ANNO LXIV - N. 3 LUGLIO - SETTEMBRE 2012 
RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 
PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO
COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - 
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 
DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. 
COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria 
Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Antonio Palatiello - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano 
Varone. 
CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - 
Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni 
- Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola 
Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 
HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Ugo Adorno, Giuseppe Albenzio, Antonella 
Anselmo, Stefano Bini, Daniela Canzoneri, Ignazio Francesco Caramazza, Gianna Maria De 
Socio, Alessandro De Stefano, Lorenzo Diotallevi, Michele Dipace, Wally Ferrante, Federico 
Maria Giuliani, Emanuele Manzo, Loredana Martinez, Marco Stigliano Messuti, Marco Morelli, 
Serena Oggianu, Tommaso Pistone, Sabrina Scalini, Maria Elena Scaramucci, Mario Antonio 
Scino, Agnese Soldani, Francesco Spada, Vito Tufariello, Giuseppe Zuccaro. 
E-mail: 
giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 
maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829597 
ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................� 40,00 
UN NUMERO .............................................................................................. � 12,00 
Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico 
bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 
42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare 
la spedizione, codice fiscale del versante. 
I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo 
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 
Stampato in Italia - Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966
INDICE - SOMMARIO 
TEMI ISTITUZIONALI 
Conflitto di attribuzione tra Poteri dello Stato: Presidente della Repubblica 
c. PM Palermo. Gli atti defensionali dell�Avvocatura e la sentenza 
della Consulta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 
Antonella Anselmo, Strumenti legali europei e degli Stati Membri per la 
prevenzione e repressione della violenza contro le donne e la violenza domestica 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Mario Antonio Scino, La politica energetica europea: Dalle origini alle 
pi� recenti evoluzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
1.- Le decisioni della Corte di giustizia dell�Unione europea 
Paolo Gentili, Considerazioni �a caldo� per spunti di riflessione alla 
sentenza sul regime linguistico nell�Ue (C. Giustizia, Grande Sezione, 
sent. 27 novembre 2012, causa C-566/10 P). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
2.- I giudizi in corso della Corte di giustizia Ue 
Wally Ferrante, Trasporti, Causa C-509/11. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Wally Ferrante, Ravvicinamento delle legislazioni, Propriet� industriale 
e commerciale, Causa C-314/12. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Lorenzo Diotallevi, Spunti in materia di mutuo dissenso nei contratti ad 
effetti reali (Cass. civ., Sez. V, sent. 6 ottobre 2011, n. 20445) . . . . . . . . 
Stefano Bini, I licenziamenti disciplinari dopo la l. 92/2012 (c.d. �Riforma 
Fornero�). Considerazioni alla luce della prima pronuncia giurisdizionale 
in materia (Trib. Bologna, ord. 15 ottobre 2012) . . . . . . . . . . 
Ugo Adorno, Licenziamento: Legge Fornero e pubblici dipendenti (Trib. 
Perugia, ord. 10 novembre 2012) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Maurizio Borgo, Art. 143, comma 11, T.U.E.L.. Un breve appunto e una 
sentenza di conferma (Tar Sicilia, Palermo, Sez. Seconda, sent. 15 ottobre 
2012 n. 2005) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Maurizio Borgo, La consulenza di legittimit� e di merito delle amministrazioni 
compete, in via esclusiva, all�Avvocatura dello Stato (Cons. St., 
Sez. Sec., parere del 23 ottobre 2012 n. 04320) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 1 
�� 67 
�� 80 
�� 96 
�� 117 
�� 126 
�� 137 
�� 147 
�� 156 
�� 161 
�� 181
Maria Elena Scaramucci, Sul patrocinio c.d. autorizzato degli enti lirici 
(ora, fondazioni di diritto privato) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Gianna Maria De Socio, Ammissione degli stranieri al servizio civile nazionale. 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giuseppe Albenzio, Applicabilit� ai dirigenti RAI dei limiti alle retribuzioni 
disposti dal d.p.r. 195/2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Wally Ferrante, �Limite massimo retributivo per emolumenti o retribuzioni 
nell�ambito di rapporto di lavoro dipendente o autonomo con le 
pubbliche amministrazioni statali� - D.P.C.M. 23 marzo 2012 . . . . . . . . 
Alessandro De Stefano, Concessioni radio/televisive: possibilit� di affitto 
del servizio da parte del concessionario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Daniela Canzoneri, Giuseppe Zuccaro, Spese di custodia dei veicoli sequestrati 
o sottoposti a fermo amministrativo per violazione del codice 
della strada. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Marco Stigliano Messuti, Criterio dell�accessoriet�/essenzialit� della prestazione 
nella disciplina dei contratti misti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Gianna Maria De Socio, Attivit� del corpo nazionale dei Vigili del Fuoco 
in favore di Prefetto/Commissario Delegato di protezione civile. . . . . . . 
Agnese Soldani, Sanzione pecuniaria irrogata dall�Antitrust: debenza di 
interessi in caso di rateizzazione ex art. 26 L. 689/81 . . . . . . . . . . . . . . . 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Giuseppe Fiengo, La Giornata della Trasparenza. Per un Freedom of 
Information Act (FOIA) anche in Italia �La difficile via italiana� . . . . . 
Federico Maria Giuliani, Sabrina Scalini, IMU ed immobili a utilizzazione 
mista indistinta (l�esenzione proporzionale tra schema decretale e parere 
consiliare) (Nota a Cons. St., Sez. Consultiva per gli atti normativi, parere 
27 settembre 2012 n. 07658) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Loredana Martinez, Il governo delle risorse idriche tra competenze statali 
e territoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Serena Oggianu, Liberalizzazioni, ambiente ed energia . . . . . . . . . . . . . 
Francesco Spada, Il �Rapporto sulla corruzione nella pubblica amministrazione�: 
analisi del fenomeno e delle proposte . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Ignazio Francesco Caramazza, Il sistema delle impugnazioni nel processo 
amministrativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Emanuele Manzo, Translatio iudicii tra giurisdizioni e sorte dei provvedimenti 
cautelari. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Serena Oggianu, Gli accordi in materia ambientale . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 185 
�� 188 
�� 192 
�� 195 
�� 197 
�� 200 
�� 207 
�� 212 
�� 221 
�� 235 
�� 241 
�� 251 
�� 288 
�� 317 
�� 323 
�� 333 
�� 355
RECENSIONI 
Maurizio Borgo, Marco Morelli, L�acquisizione e l�utilizzo di immobili 
da parte della P.A. Espropriazione per pubblica utilit� e strumenti alternativi, 
Giuffr� Editore 2012. Prefazione di Michele Dipace . . . . . . . . . . 
Vito Tufariello, La responsabilit� civile. Il danno da immissioni, Utet Giuridica, 
2012 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 375 
�� 377
TEMI ISTITUZIONALI 
Conflitto di attribuzione tra Poteri dello Stato 
Presidente della Repubblica c. PM Palermo 
Gli atti defensionali dell�Avvocatura e la sentenza della Consulta 
Nel presentare gli atti defensionali dell�Avvocatura dello Stato nel giudizio 
per conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato (Presidente della Repubblica 
c/ PM di Palermo), deciso dalla Corte Costituzionale con la sentenza 
n. 1 del 2013, il pensiero sembra volersi avvitare intorno ad una lettura universitaria, 
decisamente atipica come manuale di diritto amministrativo. Il riferimento 
topico � al Corso di Diritto amministrativo, Milano, 1970 di 
Massimo Severo Giannini e alle pagine, da 115 a 143, nelle quali l�Autore descrive 
le �figure soggettive� del diritto pubblico. Nozioni generali, ma inusuali 
nella nostra comune esperienza giuridica, tutta fondata sul potere ministeriale, 
sulla persona giuridica, sugli organi e sulle competenze separate e distinte. 
M.S. Giannini parla invece di munus, di officium, delle figure formali 
dell�organo e del rappresentante e della gamma variegata delle �imputazioni 
giuridiche� : �Ma le potest� tipiche del munus pubblico sono pubbliche in 
quanto volte a curare gli interessi della collettivit�� O il diritto formalizza le 
potest� e l�esercizio di esse, e quindi configura come atti giuridici i momenti 
dell�agire giuridico del munus ed allora il munus imputa a se stesso gli atti 
medesimi e alla collettivit� i risultati ultimi dell�attivit�. Oppure le potest� restano 
al livello informale, ed allora si realizza solo l�imputazione di risultati 
alla collettivit���. 
Ed � qui, in questa figura soggettiva, del Presidente della Repubblica - 
che �rappresenta l�unit� nazionale� ed � �munus pubblico� come ribadisce la 
memoria difensiva dell�Avvocatura dello Stato - sembra dipanarsi nella sostanza 
il pensiero della Corte Costituzionale. 
2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Anche le tesi del formalismo giuridico, per la verit� un po� giacobino, 
delle persone giuridiche e degli organi, portati avanti dalle difese dei Pubblici 
Ministeri, vengono sistematicamente ed analiticamente confutate dalla Corte 
Costituzionale con argomenti ragionevoli e convincenti, ma su tutti emerge il 
principio giuridico che appare la chiave di volta dell�intera sentenza: il riferimento 
ricorrente e costante al carattere personale dell�attivit� del Presidente 
della Repubblica, chiamato in ogni suo atto, formale od informale, al compito 
decisivo di assicurare - nei momenti di crisi, nei quali i meccanismi formali 
delle competenze e degli organi sembrano incepparsi - la continuit� del processo 
della democrazia. 
Nessun automatismo, nessun formalismo pu� ragionevolmente ostacolare 
questa fondamentale attivit�. � forse questa la lezione che, dagli atti dell�Avvocatura 
dello Stato e dalla sentenza della Corte Costituzionale, sembra emergere 
in questa vicenda processuale, come punto fermo nelle nostre istituzioni 
democratiche. 
* ** * 
CT. 27074/12 
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE 
RICORSO 
del Presidente della Repubblica, rappresentato e difeso dall�Avvocatura Generale dello Stato 
(C.F. 80224030587), PEC roma@mailcert.avvocaturastato.it, presso i cui uffici ex lege � domiciliato 
in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12, giusta Decreto Presidenziale in data l6 luglio 
2012 (doc. 1) 
avente ad oggetto 
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato 
nei confronti del Pubblico Ministero in persona del Procuratore della Repubblica presso 
il Tribunale Ordinario di Palermo in relazione all�attivit� di intercettazione telefonica, svolta 
nell�ambito di procedimento penale pendente dinanzi alla Procura della Repubblica di Palermo, 
effettuata su utenza di altra persona nell�ambito della quale sono state captate conversazioni 
del Presidente della Repubblica. 
FATTO 
Con nota in data 27 giugno 2012 prot. n. 069/s.p., l�Avvocato Generale dello Stato chiedeva 
al Dottor Francesco Messineo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, 
avendone ricevuto espresso mandato dal Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, 
�una conferma o una smentita� di quanto risultava nell�intervista effettuata dalla giornalista 
Alessandra Ziniti al P.M. Antonino Di Matteo e pubblicata sul quotidiano �La 
Repubblica� del 22 giugno 2012 (doc. 2), dalla cui risposta emergeva che sarebbero state intercettate 
conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica allo stato considerate irrilevanti, 
ma che la Procura di Palermo si sarebbe riservata di utilizzare (doc. 3). 
Con nota in data 6 luglio 2012, il Procuratore Messineo allegando la missiva in data 5 luglio
TEMI ISTITUZIONALI 3 
2012 (doc. 5) con la quale il Dott. Di Matteo rappresentava che le affermazioni, pronunciate 
nel corso di un�intervista telefonica con la giornalista Ziniti, erano conseguenza di una domanda 
di quest�ultima assolutamente generica sulla sorte processuale del compendio delle 
intercettazioni effettuate nell�ambito di indagini, limitandosi �all�ovvio richiamo alla corretta 
applicazione della normativa in tema di utilizzo degli esiti delle attivit� di intercettazione telefonica�, 
comunicava che la Procura di Palermo, �avendo gi� valutato come irrilevante ai 
fini del procedimento qualsivoglia eventuale comunicazione telefonica in atti diretta al Capo 
della Stato, non ne prevede alcuna utilizzazione investigativa o processuale, ma esclusivamente 
la distruzione da effettuare can l�osservanza delle formalit� di legge� (doc. 4). 
Con nota diffusa il 9 luglio 2012 (doc. 6) e con lettera pubblicata sul quotidiano �La Repubblica� 
in data 11 luglio 2012 (doc. 7), il Procuratore Messineo ulteriormente affermava che 
�nell�ordinamento attuale nessuna norma prescrive o anche soltanto autorizza l�immediata 
cessazione dell�ascolto e della registrazione, quando, nel corso di una intercettazione telefonica 
legittimamente autorizzata, venga casualmente ascoltata una conversazione fra il soggetto 
sottoposto ad intercettazione ed altra persona nei cui confronti non poteva essere 
disposta alcuna intercettazione�. 
Aggiungeva, inoltre, che �in tali casi, alla successiva distruzione della conversazione legittimamente 
ascoltata e registrata si procede esclusivamente, previa valutazione della irrilevanza 
della conversazione stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione del Giudice 
per le indagini preliminari, sentite le parti. Ci� � quanto prevedono le pi� elementari norme 
dell�ordinamento ...�. 
Il Presidente della Repubblica non ritiene di poter condividere la tesi del Procuratore della 
Repubblica, in quanto, a norma dell�art. 90 della Costituzione e dell�art. 7 della legge 5 giugno 
1989, n. 219, salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime 
previsto dalle norme che disciplinano il procedimento d�accusa, le intercettazioni delle conversazioni 
cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorch� indirette e occasionali, sono, 
invece, da considerarsi assolutamente vietate e non possono, quindi, essere in alcun modo valutate, 
utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al 
giudice la distruzione. 
Comportano, quindi, lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, 
quantomeno sotto il profilo della loro menomazione, l�avvenuta valutazione sulla rilevanza 
delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione (investigativa o processuale), la 
permanenza delle intercettazioni agli atti del procedimento e l�intento di attivare una procedura 
camerale che - anche a ragione della instaurazione di un contraddittorio sul punto - aggrava 
gli effetti lesivi delle precedenti condotte. 
In virt� del Decreto in epigrafe del Capo dello Stato, l�Avvocatura Generale eleva, pertanto, 
con il presente ricorso, conflitto ai sensi degli artt. 37 e seguenti della legge 11 marzo 1953, 
n. 87, per violazione degli articoli 90 e 3 della Costituzione e delle disposizioni di legge ordinaria 
che ne costituiscono attuazione (art. 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219, anche con 
riferimento all�art. 271 del codice di procedura penale). 
DIRITTO 
1. Sull�ammissibilit� del ricorso. 
1.1. Sotto il profilo soggettivo. 
La spettanza della qualificazione di potere dello Stato in capo al Presidente della Repubblica, 
odierno ricorrente, � del tutto pacifica.
4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Per quanto concerne la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, appare sufficiente 
richiamare l�insegnamento di codesta Ecc.ma Corte in ordine alla competenza del 
Procuratore della Repubblica di dichiarare definitivamente la volont� del potere a cui appartiene 
ed alla individuazione in capo al Pubblico Ministero della natura di potere dello Stato in 
quanto titolare diretto ed esclusivo dell�attivit� di indagine finalizzata all�esercizio (obbligatorio) 
dell�azione penale (sentenze della Corte Costituzionale n. 216 e 420/95; 118/98; 410/98; 
487/00; 232/2003; n. 100/2009; ordinanze n. 124/2007; n. 425/2007, n. 241/2011) (1). 
1.2. Sotto il profilo oggettivo. 
Il Presidente della Repubblica rivendica, con il presente atto, con riguardo all�attivit� istruttoria 
di intercettazione svolta dalla Procura di Palermo, l�integrit� delle proprie prerogative costituzionali 
previste dall�art. 90 della Costituzione secondo cui �il Presidente della Repubblica 
non � responsabile degli atti compiuti nell�esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto 
tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi � messo in stato di accusa dal Parlamento 
in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri�. 
In coerenza con le prerogative previste dal citato art. 90 della Costituzione, l�art. 7, comma 
3, della legge 5 giugno 1989, n. 219 citata, contempla il divieto assoluto di intercettazione e 
di altri mezzi di acquisizione della prova invasivi, stabilendo che, nei confronti del Presidente 
della Repubblica, non possono essere adottati i provvedimenti indicati nel comma precedente 
(tra i quali quelli in materia di �intercettazioni telefoniche o di altre forme di comunicazioni�) 
se non dopo che la Corte Costituzionale ne abbia disposto la sospensione dalla carica. 
Il conflitto in esame ha, dunque, per oggetto essenzialmente la corretta interpretazione dell�art. 
90 della Costituzione ed anche della disposizione dell�art. 7, comma 3, della legge n. 219/1989 
citata, di diretta attuazione ed integrazione della norma costituzionale predetta. La controversia 
si incentra, infatti, proprio sull�ambito di estensione dell�immunit�, che, a proposito del regime 
delle intercettazioni, le norme citate riservano al Presidente della Repubblica. 
Si ritiene, infatti, che la intercettazione, l�ascolto, la valutazione, la utilizzazione o la distruzione 
con la procedura prevista dall�art. 268 c.p. finirebbe per ledere le prerogative contemplate 
dall�art. 90 della Costituzione con riferimento all�insieme delle modalit� attraverso le 
quali il Presidente della Repubblica esercita le delicate funzioni attribuitegli dalla Costituzione, 
tra cui quelle di massima rappresentanza a livello internazionale. 
Non vi � dubbio, pertanto, che, anche sotto il profilo oggettivo, ricorrano i presupposti di cui 
all�art. 37 della legge n. 87/1953 citata. 
2. Nel merito: violazione dell�art. 90 della Costituzione e delle disposizioni legislative 
che ne costituiscono attuazione ed integrazione, nonch� dell�art. 3 della Costituzione. 
2.1. Come sottolinea la dottrina in sede di commento alla norma costituzionale, l�irrespon- 
(1) Sin dalle prime pronunce in materia la Corte Costituzionale ha ritenuto decisivo per ammettere la legittimazione 
dei singoli giudici il fatto che essi, da una parte, esercitano le proprie funzioni giurisdizionali 
in una condizione di indipendenza costituzionalmente garantita e, dall�altra, pongono in essere atti che, 
pur non essendo necessariamente definitivi, sono idonei a �impegnare� il potere cui appartengono. 
In particolare, il Pubblico Ministero � stato considerato potere dello Stato quando il conflitto, come accade 
nel caso di specie, � correlato all�esercizio dell�azione penale, sulla base delle competenze costituzionalmente 
attribuite a tale organo ex art. 112 Costituzione (sentenze n. 216 e 420/95; n. 410/98 e 
232/2003 citate).
TEMI ISTITUZIONALI 5 
sabilit� del Presidente della Repubblica non � solo una irresponsabilit� giuridica per le conseguenze 
penali, amministrative e civili eventualmente derivanti dagli atti tipici compiuti 
nell�esercizio delle proprie funzioni, ma anche una irresponsabilit� politica diretta a garantire 
la piena libert� e la sicurezza di tutte le modalit� di esercizio delle funzioni presidenziali. Ci� 
comporta l�assoluta riservatezza di tutte le attivit� del Presidente della Repubblica che sono 
propedeutiche e preparatorie rispetto al compimento degli atti tipici e pubblici attraverso i 
quali esercita formalmente i propri poteri (2): si tratta, dunque, di una immunit� sostanziale 
e permanente imputata all�organo costituzionale e posta a protezione della persona fisica che 
ne � titolare. 
La dottrina ha anche osservato che non ha molto senso chiedersi se la (ir)responsabilit� politica 
costituisca la regola o l�eccezione (3), per la scelta inequivocabile fatta dal diritto positivo, che 
ha sancito il principio del necessario collegamento fra irresponsabilit� ed esercizio della funzione. 
Le funzioni del Presidente della Repubblica sono strettamente connesse e vanno interpretate 
con il ruolo, che la Costituzione gli attribuisce, di Capo dello Stato, rappresentante dell�unit� 
nazionale. 
La sottrazione del Presidente della Repubblica alla responsabilit� anche politica � stabilita in 
funzione di tale ruolo e non certo per escludere la �politicit�� della sua azione diretta ad assicurare 
in modo imparziale, insieme agli altri organi di garanzia, il corretto funzionamento 
del sistema istituzionale e la tutela degli interessi permanenti della Nazione (4). 
Deve, in conclusione, ribadirsi che la sfera di immunit� che la Costituzione riserva al Capo 
dello Stato non costituisce un inammissibile privilegio, legato ad esperienze ormai definitivamente 
superate. Al contrario, le prerogative che la Costituzione attribuisce al Capo dello 
Stato sono strettamente funzionali agli altissimi compiti che � chiamato a sostenere nell�espletamento 
della citata funzione di garanzia complessiva del corretto andamento del sistema che 
egli esercita, mantenendo, appunto, l�unit� della Nazione. � del tutto evidente che, nell�espletamento 
di questi compiti, al Presidente della Repubblica deve essere assicurato il massimo 
di libert� di azione e di riservatezza, appunto perch� alcune attivit� che egli pone in essere, e 
certamente non poco significative, non hanno un carattere formalizzato. 
Il perseguimento delle finalit� costituzionali caratterizza, dunque, l�attivit�, sia formalizzata 
sia non formalizzata, del Presidente della Repubblica connotandola in senso funzionale, cos� 
che la protezione derivante dall�immunit� prevista dall�art. 90 della Costituzione ricomprende 
tutti gli atti presidenziali, nei quali siano appunto rinvenibili quelle finalit�. 
La Costituzione ha, in effetti, delineato un equilibrato rapporto tra poteri e responsabilit� ed 
in questa ottica garantista l�immunit� del Presidente della Repubblica non pu� essere affatto 
considerata come un�inammissibile rottura del principio dell�eguaglianza dei cittadini davanti 
alla legge, ma come strumento indispensabile per consentire il pi� efficace conseguimento 
degli obiettivi prefissati in Costituzione. L�immunit� si configura, quindi, come un essenziale 
strumento di garanzia dell�attuazione della Costituzione ed, in questa ottica, deve essere interpretata 
nel raffronto con la legislazione ordinaria, che, come � noto, va sempre applicata in 
modo costituzionalmente orientato. 
(2) L. Paladin, Presidente della Repubblica, Enc. Diritto, Giuffr�, 1986, vol. XXXV, pagg. 221 e segg. 
(3) V. Crisafulli, Aspetti problematici del sistema parlamentare vigente in Italia, in Studi per Crosa, vol. I. 
(4) A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, vol. l. p. 357. 
La dottrina insiste particolarmente sul valore della irresponsabilit� ex art. 90 Cost. ai fini di dedurne la 
funzione presidenziale di garanzia della Costituzione.
6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
ComՏ stato osservato in dottrina (5), l�art. 90 della Costituzione rappresenta, infine, al tempo 
stesso, anche un limite alle attribuzioni degli altri poteri dello Stato che, ove non correttamente 
esercitati, menomerebbero le prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica (6). 
2.2. Anche dall�interpretazione sistematica delle norme di legge ordinaria che disciplinano, 
in attuazione dei principi costituzionali, la posizione del Presidente della Repubblica deriva, 
per quanto qui interessa, che la libert� di comunicazione non possa subire alcuna limitazione 
neppure da parte di altra Autorit� (7). 
L�inviolabilit� delle determinazioni e delle comunicazioni del Presidente durante il mandato 
� espressamente riconosciuta dall�art. 7, comma 2, della legge 5 giugno 1989, n. 219 citata, 
significativamente intitolata �Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti 
dall�articolo 90 della Costituzione�, articolo contenuto nella fonte legislativa connessa alla 
norma costituzionale predetta e che assume il ruolo integrativo di quest�ultima. 
La norma di cui all�art. 7, comma 3, della legge citata, contiene l�espresso e assoluto divieto 
di disporre intercettazioni telefoniche o di altre forme di comunicazione nei confronti del Presidente 
della Repubblica senza prevedere alcuna eccezione e consente le intercettazioni solo 
dopo che la Corte Costituzionale ne abbia disposto la sospensione dalla carica. 
Va sottolineato che questo divieto assoluto di intercettazione diretta delle conversazioni del 
Capo dello Stato � legislativamente ed espressamente stabilito per i due soli reati, per i quali, 
secondo la previsione dell�art. 90 della Costituzione, pu� essere messo in stato di accusa il 
Presidente della Repubblica. Se cՏ dunque, in questi casi, un divieto di intercettazione diretta 
nel periodo in cui il Presidente � in carica � naturale che debba esistere anche un divieto altrettanto 
assoluto delle intercettazioni, qualora fossero captate in modo indiretto o casuale. 
Quello, infatti, che si desume con assoluta chiarezza dal combinato disposto dell�art. 90 della 
Costituzione e dell�art. 7, comma 3, della legge 5 giugno 1989 n. 219 citata, �, appunto, l�impossibilit� 
di intercettare e anche, se del caso, di utilizzare il testo di quelle intercettazioni, 
proprio perch� il Presidente della Repubblica, anche se messo in stato di accusa, non pu�, 
fino a quando � in carica, subire alcuna limitazione nelle sue comunicazioni, dato che, altrimenti, 
risulterebbe lesa la sua sfera di immunit�. 
Se questa � la ratio del sistema che impone divieto assoluto di usare e di utilizzare tali mezzi 
di prova riguardo ai reati presidenziali, lo stesso divieto di uso e di utilizzazione dei medesimi 
mezzi di prova, certamente limitativi della libert� di comunicazione del Presidente, non pu� 
logicamente, anche nel silenzio della legge, non estendersi ad altre fattispecie di reato che 
(5) Rossano, �Il Presidente della Repubblica�, Enc. Giur. Treccani 2007, vol. 24, p. 2 
(6) La maggioranza assoluta per la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica � stata introdotta 
su proposta del prof. Mortati al dichiarato fine di preservare l�indipendenza dell�Organo, Comm. 
della Cost., a cura di G. Branca, Art. 90, L. Carlassare, pag. 154. 
(7) Osserv� in proposito il Ministro della Giustizia nel corso della seduta del Senato del 7 marzo 1997 
� e sul punto l�intera Assemblea convenne � che �essendo la libert� di comunicazione e di corrispondenza 
un connotato essenziale dell�esercizio delle funzioni del Presidente della Repubblica, appare 
ovvio ritenere che la libert� e la segretezza delle comunicazioni e conversazioni del Presidente della 
Repubblica non possano essere soggette ad alcuna limitazione. L�ovviet� di tale affermazione, che discende 
gi� dalla interpretazione sistematica delle norme che regolano la posizione e le attribuzioni costituzionali 
della figura istituzionale del Presidente della Repubblica, importa che la libert� di 
determinazione e comunicazione non possa subire alcuna limitazione neppure da parte di altra autorit�. 
Non si tratta di un privilegio della persona ma della conseguenza della collocazione istituzionale�.
TEMI ISTITUZIONALI 7 
possano a diverso titolo coinvolgere il Presidente. Ed ancor pi� inammissibile � la possibilit� 
di utilizzazione di conversazioni intercettate occasionalmente nell�ambito di fattispecie riguardanti 
reati che non possono essere addebitati al Presidente, come, appunto, si verifica nel 
caso del conflitto in esame. 
Quando coinvolgono in qualsiasi pur minimo modo il Presidente della Repubblica, le indagini 
devono svolgersi, pertanto, nel rispetto delle sue prerogative costituzionali, evitando quelle 
forme invasive di acquisizione della prova che non si conciliano con la sua assoluta libert� di 
determinazione e di comunicazione. 
Tali considerazioni portano a concludere che il divieto di intercettazione riguarda anche le 
c.d. intercettazioni indirette o casuali comunque effettuate mentre il Presidente della Repubblica 
� in carica. 
2.3. Se, dunque, il divieto di intercettazioni � la conseguenza diretta dell�immunit� presidenziale, 
� evidente che si debba ritenere la inutilizzabilit� e procedere alla distruzione immediata 
del testo intercettato, ai sensi dall�art. 271 c.p.p., secondo cui �i risultati delle 
intercettazioni non possono essere utilizzati quando le stesse siano state eseguite fuori dei 
casi consentiti dalla legge e il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni� 
sia distrutta�. Anche se non espressamente richiamate dal citato art. 271, valgono a fortiori 
per il Capo dello Stato le stesse tutele e la stessa disciplina vigenti per l�intercettazione del 
difensore (art. 103 c.p.p.): un divieto assoluto di esecuzione e un divieto di utilizzazione poich� 
si tratta di atto eseguito �fuori dei casi consentiti dalla legge�. E ci� in quanto riguarda la captazione 
di conversazioni che risulta rientrare nel generale divieto sancito dal principio normativo, 
che si ricava dall�immunit� presidenziale. E infatti � proprio l�irresponsabilit� prevista 
dall�art. 90 della Costituzione, cos� come integrato dalla citata norma ordinaria, a dare vita ad 
un principio normativo, che si impone all�interprete, in tutti quei casi in cui occorre fare riferimento 
alla �legge�. Ed in questo senso va letto lo stesso art. 15, secondo comma, della Costituzione. 
Se tutto questo � vero, � evidente che alla procedura per la distruzione del frutto della captazione 
illegittima di una conversazione del Presidente non sono applicabili n� l�art. 268, comma 
4, e seguenti c.p.p. (deposito delle intercettazioni in segreteria del P.M.; facolt� di esame da 
parte dei difensori; acquisizione delle conversazioni indicate dalle parti, non manifestamente 
irrilevanti; stralcio delle registrazioni di cui � vietata l�utilizzazione; inserimento nel fascicolo 
e possibilit� di estrarre copia delle altre registrazioni); n� l�art. 269 c.p.p. (conservazione dei 
verbali e registrazioni; udienza camerale per la distruzione, se richiesta, delle registrazioni e 
dei verbali non necessari per il procedimento, a tutela della riservatezza); n� l�art. 270 c.p.p. 
(utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi, seguendo le prescrizioni 
dell�art. 268 citato). N�, infine, in via analogica, � applicabile alle intercettazioni indirette 
o casuali del Presidente della Repubblica l�art. 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (che disciplina 
le intercettazioni indirette o casuali nei confronti di un parlamentare). 
� sufficiente osservare in proposito che, sulla base della normativa costituzionale e ordinaria 
gi� richiamata (artt. 90 della Costituzione e 7 della legge n. 219/89), la posizione del Presidente 
della Repubblica non pu� essere assimilata a quella del parlamentare. 
Solo quest�ultimo, a differenza del Capo dello Stato, pu� essere sottoposto a intercettazione 
da parte del giudice ordinario (ovviamente su autorizzazione della Camera di appartenenza). 
Al solo parlamentare si riferisce, poi, testualmente l�art. 6 della legge n. 140/2003 citata 
quando stabilisce la necessit� dell�autorizzazione �successiva� per l�utilizzazione delle inter-
8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
cettazioni indirette o casuali del parlamentare stesso. Il legislatore del 2003 - pur consapevole 
del clamore sollevato nel 1997 dal caso delle intercettazioni di conversazioni cui aveva partecipato 
un Presidente della Repubblica - non ha dettato alcuna previsione relativa a tali intercettazioni, 
presupponendo, all�evidenza, che per esse non pu� valere la stessa distinzione 
tra intercettazioni dirette e indirette stabilita per quelle dei parlamentari. E, ancora, la Corte 
Costituzionale, nel dichiarare con la sentenza n. 390 del 2007 l�illegittimit� costituzionale 
parziale dell�art. 6 prima citato, ha stabilito che la necessit� di autorizzazione non si applica 
quando le intercettazioni occasionali debbono essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi 
dal parlamentare (cos� confermando espressamente che la disciplina della legge n. 140/2003 
citata � applicabile solo alle intercettazioni relative ai parlamentari). 
Pi� in generale, deve, poi, sottolinearsi la differenza della ratio della tutela del parlamentare 
rispetto a quella del Presidente della Repubblica per le intercettazioni indirette relative a reati 
a carico di altri: per il Presidente, la ratio risiede nella tutela della sua funzione; per il parlamentare, 
invece, nella sola tutela della sua privacy, che sarebbe ingiustificato differenziare 
da quella di qualunque altro cittadino non essendo in tal caso configurabile un pregiudizio 
per la funzionalit� della Camera di appartenenza, unico presupposto dell�istituto dell�autorizzazione 
previsto dall�art. 68 della Costituzione (cfr. la motivazione della sentenza della Corte 
Costituzionale n. 390/2007 citata, paragrafo 5.2 del �Considerato in diritto� in particolare). 
Di conseguenza, in conclusione, per l� intercettazione di conversazioni del Presidente della 
Repubblica non ha senso porsi il problema di una loro eventuale utilizzabilit� nel processo in 
corso o in altri procedimenti (in difesa o a carico di altri soggetti), poich� ci� vanificherebbe 
in toto la garanzia funzionale riconosciutagli dagli artt. da 87 a 90 della Costituzione; n� assume 
rilievo la distinzione tra intercettazione �diretta� e �indiretta�. Concetti, questi, che trovano 
il loro fondamento nella legge n. 140/2003 citata - insuscettibile, per quanto gi� 
evidenziato, di applicazione analogica al Capo dello Stato - e che presuppongono l�esistenza 
di un organo competente a esprimere una autorizzazione preventiva o successiva, nonch� a 
verificare doverosamente il carattere indiretto o diretto dell�intercettazione. 
2.4. Le argomentazioni fin qui sostenute escludono la correttezza di una diversa interpretazione�
ricostruzione del sistema, secondo cui l�operativit� dell�art. 7, comma 3 della legge n. 
219/1989 citata varrebbe solo per le intercettazioni dirette di conversazioni del Capo dello 
Stato (come ritiene il Pubblico Ministero della Procura di Palermo). Va ribadito, infatti, che, 
nel caso di specie, � sufficiente la portata dell�immunit� derivante, secondo quanto argomentato 
in precedenza, dall�irresponsabilit� prevista dall�art. 90 della Costituzione per orientare 
in senso ad essa conforme l�interpretazione dell�insieme delle norme in materia di utilizzazione 
delle intercettazioni, ritenendo quindi pienamente applicabile alle intercettazioni di conversazioni 
del Presidente della Repubblica soltanto l�art. 271 del c.p.p.. 
* * * 
* * * 
Tanto premesso, nel caso in esame, sussistono precisi elementi oggettivi di prova del non corretto 
uso del potere giurisdizionale. Essi sono l�aver quantomeno registrato le intercettazioni 
nelle quali casualmente e indirettamente era coinvolto il Presidente della Repubblica, unitamente 
alle circostanze (pacifiche e non contestate) che il testo delle telefonate � agli atti del 
processo e che ne � stata addirittura valutata l�(ir)rilevanza e, soprattutto, che si ipotizza lo 
svolgimento di un�udienza secondo le modalit� indicate dall�art. 268 c.p.p. (trascrizione integrale 
delle intercettazioni, previa valutazione dell�irrilevanza; facolt� dei difensori di estrarne
TEMI ISTITUZIONALI 9 
copia e udienza c.d. stralcio; autorizzazione del G.I.P. sentite le parti) per ottenerne l�acquisizione 
o la distruzione: procedimento che, come si � detto, non � applicabile alla fattispecie, 
perch� produrrebbe un grave �vulnus� alle prerogative del Presidente della Repubblica, operando 
senza tenere di esse alcun conto e alterando in concreto e in modo definitivo la consistenza 
dell�assetto dei poteri previsti dalla Costituzione. 
Ritenuto quanto precede, il ricorrente Presidente della Repubblica chiede che l�Ecc.ma Corte 
adita dichiari che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di 
Palermo omettere l�immediata distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali del Presidente 
della Repubblica n� spetta valutarne la (ir)rilevanza offrendole all�udienza stralcio di 
cui all�art. 268 c.p.p.. 
* * * 
* * * 
Al Signor Presidente della Corte Costituzionale 
L�estrema delicatezza e la rilevanza delle questioni sottoposte all�esame di codesta Ecc.ma 
Corte, che di per s� costituiscono ragione di urgenza, inducono i sottoscritti difensori, nella 
qualit�, a proporre rispettosa 
ISTANZA 
di trattazione quanto pi� possibile sollecita del presente ricorso. 
Si depositano: 
1. Decreto del Presidente della Repubblica in data 16 luglio 2012. 
2. Intervista al P.M. Dott. Di Matteo pubblicata su �La Repubblica� in data 22 giugno 2012. 
3. Nota dell�Avvocato Generale dello Stato al Procuratore della Repubblica di Palermo in 
data 27 giugno 2012. 
4. Nota del Procuratore Dott. Messineo in data 6 luglio 2012 diretta all�Avvocato Generale 
dello Stato. 
5. Nota in data 5 luglio 2012 del P.M. Dott. Di Matteo allegata alla nota del Procuratore 
Dott. Messineo del 6 luglio 2012. 
6. Nota del Procuratore Dott. Messineo diffusa sulla stampa in data 9 luglio 2012. 
7. Lettera del Procuratore Dott. Messineo pubblicata su �La Repubblica� in data 11 luglio 
2012. 
Roma, 30 luglio 2012 
L�Avvocato Generale dello Stato 
Ignazio Francesco Caramazza 
Il Vice Avvocato Generale dello Stato 
Antonio Palatiello 
L�Avvocato dello Stato 
Gabriella Palmieri
10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
CT. 27074/12 
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE 
Registro Conflitti n. 4/2012 
Udienza 4 dicembre 2012 
MEMORIA 
del Presidente della Repubblica, rappresentato e difeso dall�Avvocatura Generale dello Stato 
(C.F. 80224030587), PEC roma@mailcert.avvocaturastato.it, presso i cui uffici ex lege � domiciliato 
in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12 
nel giudizio avente ad oggetto 
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato 
nei confronti del Pubblico Ministero in persona del Procuratore della Repubblica presso 
il Tribunale Ordinario di Palermo in relazione all�attivit� di intercettazione telefonica, svolta 
nell�ambito di procedimento penale pendente dinanzi alla Procura della Repubblica di Palermo, 
effettuata su utenza di altra persona nell�ambito della quale sono state captate conversazioni 
del Presidente della Repubblica. 
*** 
1.1. Riepilogo dei fatti di causa 
Con ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato depositato il 30 luglio 2012, il 
Presidente della Repubblica rappresentato e difeso dall�Avvocatura Generale dello Stato, in 
virt� del proprio Decreto Presidenziale in data l6 luglio 2012, elevava conflitto, ai sensi degli 
artt. 37 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, per violazione degli articoli 90 e 3 della 
Costituzione e delle disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione (art. 7 
della legge 5 giugno 1989, n. 219, anche con riferimento all�art. 271 del codice di procedura 
penale). 
Nel ricorso i fatti erano, come di seguito, riepilogati. 
Con nota in data 27 giugno 2012 prot. n. 069/s.p., l�Avvocato Generale dello Stato chiedeva 
al Dottor Francesco Messineo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, 
avendone ricevuto espresso mandato dal Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, 
�una conferma o una smentita� di quanto risultava nell�intervista effettuata dalla giornalista 
Alessandra Ziniti al P.M. Antonino Di Matteo e pubblicata sul quotidiano �La 
Repubblica� del 22 giugno 2012 (doc. 2 del fascicolo di parte), dalla cui risposta emergeva 
che sarebbero state intercettate conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica allo 
stato considerate irrilevanti, ma che la Procura di Palermo si sarebbe riservata di utilizzare 
(doc. 3 del fascicolo di parte). 
Con nota in data 6 luglio 2012, il Procuratore Messineo allegando la missiva in data 5 luglio 
2012 (doc. 5 del fascicolo di parte) con la quale il Dott. Di Matteo rappresentava che le affermazioni, 
pronunciate nel corso di un�intervista telefonica con la giornalista Ziniti, erano conseguenza 
di una domanda di quest�ultima assolutamente generica sulla sorte processuale del 
compendio delle intercettazioni effettuate nell�ambito di indagini, limitandosi �all�ovvio richiamo 
alla corretta applicazione della normativa in tema di utilizzo degli esiti delle attivit� 
di intercettazione telefonica�, comunicava che la Procura di Palermo, �avendo gi� valutato 
come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia eventuale comunicazione telefonica in 
atti diretta al Capo della Stato, non ne prevede alcuna utilizzazione investigativa o proces-
TEMI ISTITUZIONALI 11 
suale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare can l�osservanza delle formalit� di 
legge� (doc. 4 del fascicolo di parte). 
Con nota diffusa il 9 luglio 2012 (doc. 6 del fascicolo di parte) e con lettera pubblicata sul 
quotidiano �La Repubblica� in data 11 luglio 2012 (doc. 7 del fascicolo di parte), il Procuratore 
Messineo ulteriormente affermava che �nell�ordinamento attuale nessuna norma prescrive o 
anche soltanto autorizza l�immediata cessazione dell�ascolto e della registrazione, quando, 
nel corso di una intercettazione telefonica legittimamente autorizzata, venga casualmente 
ascoltata una conversazione fra il soggetto sottoposto ad intercettazione ed altra persona nei 
cui confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione�. 
Aggiungeva, inoltre, che �in tali casi, alla successiva distruzione della conversazione legittimamente 
ascoltata e registrata si procede esclusivamente, previa valutazione della irrilevanza 
della conversazione stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione del Giudice 
per le indagini preliminari, sentite le parti. Ci� � quanto prevedono le pi� elementari norme 
dell�ordinamento ...�. 
Il Presidente della Repubblica non riteneva di poter condividere la tesi del Procuratore della 
Repubblica, in quanto, a norma dell�art. 90 della Costituzione e dell�art. 7 della legge 5 giugno 
1989, n. 219, salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime 
previsto dalle norme che disciplinano il procedimento d�accusa, le intercettazioni delle conversazioni 
cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorch� indirette e occasionali, sono, 
invece, da considerarsi assolutamente vietate e non possono, quindi, essere in alcun modo valutate, 
utilizzate e trascritte e di esse il Pubblico Ministero deve impedire ingresso negli atti 
del procedimento e, comunque, senza alcun contraddittorio immediatamente chiederne al giudice 
la distruzione. 
Comportavano, quindi, lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, 
quantomeno sotto il profilo della loro menomazione, l�avvenuta valutazione sulla rilevanza 
delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione (investigativa o 
processuale), la permanenza delle intercettazioni agli atti del procedimento e l�intento di attivare 
una procedura camerale che - anche a ragione della instaurazione di un contraddittorio 
sul punto - aggravava gli effetti lesivi delle precedenti condotte, essendo elevato il rischio 
della diffusione del contenuto delle intercettazioni vietate. 
Il Presidente della Repubblica rivendicava, con il ricorso, con riguardo all�attivit� istruttoria 
di intercettazione svolta dalla Procura di Palermo, l�integrit� delle proprie prerogative costituzionali 
previste dall�art. 90 della Costituzione secondo cui �il Presidente della Repubblica 
non � responsabile degli atti compiuti nell�esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto 
tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi � messo in stato di accusa dal Parlamento 
in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri�. 
In coerenza con le prerogative previste dal citato art. 90 della Costituzione, l�art. 7, comma 
3, della legge 5 giugno 1989, n. 219 citata, contempla il divieto assoluto di intercettazione 
anche occasionale e di altri mezzi di acquisizione della prova invasivi, stabilendo che, nei 
confronti del Presidente della Repubblica, non possono essere adottati i provvedimenti indicati 
nel comma precedente (tra i quali quelli in materia di �intercettazioni telefoniche o di altre 
forme di comunicazioni�) se non dopo che la Corte Costituzionale ne abbia disposto la sospensione 
dalla carica. 
1.2. Il conflitto in esame ha, dunque, per oggetto essenzialmente la corretta interpretazione 
dell�art. 90 della Costituzione ed anche della disposizione dell�art. 7, comma 3, della legge n. 
219/1989 citata, di diretta attuazione ed integrazione della norma costituzionale predetta. 
12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
La controversia si incentra, infatti, proprio sull�ambito di estensione dell�immunit�, che, a 
proposito del regime delle intercettazioni, le norme citate riservano al Presidente della Repubblica. 
Nel ricorso si sottolineava, infatti, che l�intercettazione, l�ascolto, la valutazione, la utilizzazione 
o la distruzione con la procedura prevista dall�art. 268 c.p.p. avrebbero finito per ledere 
le prerogative contemplate dall�art. 90 della Costituzione con riferimento all�insieme delle 
modalit� attraverso le quali il Presidente della Repubblica esercita le delicate funzioni attribuitegli 
dalla Costituzione, comprese quelle propedeutiche e preparatorie. 
1.3. Con Decreto in data 19 settembre 2012, vista l�istanza di sollecita trattazione, formulata 
dalla Parte ricorrente, in ragione della delicatezza e rilevanza delle questioni sottoposte all�esame 
della Corte Costituzionale, il Presidente disponeva la riduzione alla met� di tutti i termini 
del procedimento. 
1.4. Con ordinanza n. 218/12 in data 19 settembre 2012, depositata in data 20 settembre 
2012, la Corte Costituzionale dichiarava ammissibile il proposto conflitto, ritenendo, in particolare, 
sussistente, �per quanto attiene all�aspetto soggettivo, la natura di potere dello Stato 
e la conseguente legittimazione del Presidente della Repubblica ad avvalersi dello strumento 
del conflitto a tutela delle proprie attribuzioni costituzionali�; e che �sotto il profilo oggettivo, 
il ricorso � proposto a salvaguardia di prerogative del Presidente della Repubblica che sono 
prospettate come garanzia insita nell�immunit� prevista dall�art. 90 Cost. e nelle disposizioni 
di legge ordinaria ad essa collegate, a fronte di lesioni in assunto realizzate o prefigurate 
dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo nello svolgimento 
dei propri compiti�. 
1.5. Con ordinanza istruttoria in data 19 settembre 2012, depositata in data 20 settembre 
2012, la Corte Costituzionale disponeva, a carico della Procura della Repubblica presso il Tribunale 
ordinario di Palermo, la comunicazione del numero e delle date delle intercettazioni 
di conversazioni telefoniche alle quali avesse preso parte il Presidente della Repubblica, effettuate 
nell�ambito del procedimento in questione; e, anche previa eventuale acquisizione 
presso altri Uffici giudiziari, la trasmissione della copia integrale ed autentica delle richieste 
e dei provvedimenti di autorizzazione, compresi gli eventuali decreti di proroga, delle intercettazioni 
telefoniche eseguite nell�ambito del procedimento in cui sono state captate le conversazioni 
alle quali abbia preso parte il Presidente della Repubblica, nonch� dei relativi 
verbali e delle eventuali relazioni di polizia giudiziaria, con esclusione delle parti relative al 
contenuto delle conversazioni alle quali abbia partecipato il Presidente della Repubblica; copia 
integrale ed autentica degli eventuali provvedimenti di separazione adottati nell�ambito del 
procedimento sopra indicato; disponendo specificamente che gli atti in questione siano trasmessi, 
ricevuti e conservati, presso la cancelleria della Corte, �con modalit� idonee a garantirne 
la segretezza�. 
2.1. La memoria di costituzione della Procura di Palermo 
Con memoria depositata in data 12 ottobre 2012, si costituiva la Procura della Repubblica di 
Palermo nella persona del Procuratore della Repubblica, dott. Francesco Messineo. 
Nella memoria erano, innanzitutto, riepilogate analiticamente (pagg. 3-4 della memoria), 
anche con riferimento al numero dell�utenza, alla data, all�ora e alla durata, le quattro conversazioni 
telefoniche, �tra le 9295 complessivamente registrate sulle utenze del Sen. Nicola 
Mancino, lungo un arco di tempo dal 7 novembre 2011 al 26 gennaio 2012 ... e dal 21 dicembre 
2011 al 9 maggio 2012, che hanno riguardato le sue interlocuzioni con il Presidente della
TEMI ISTITUZIONALI 13 
Repubblica Napolitano� (1). 
2.2. In estrema sintesi, i profili della memoria di costituzione della Procura di Palermo possono 
essere cos� riepilogati. 
Innanzitutto, la memoria richiama le modalit� tecniche delle intercettazioni, per dimostrare 
l�oggettiva impossibilit� di escludere la prosecuzione della registrazione, nel corso di intercettazione 
indiretta e/o casuale del Presidente della Repubblica; l�effetto di tale (assunto) automatismo 
sarebbe stato quello di escluderne la lesivit�, enfatizzandone, pertanto, il profilo 
tecnico-esecutivo (pp. 6 e 7 della memoria) (2). 
2.2.3. Nella memoria si eccepiva, poi, l�inammissibilit� del ricorso per impossibilit� giuridica 
del petitum, la violazione del principio di tipicit� dei provvedimenti del P.M. (art. 101, comma 
2, Cost.) e l�inammissibilit� per contraddittoriet� del petitum con le ragioni che lo sostenevano. 
2.2.4. Si affermava, quindi, l�inapplicabilit� al caso di specie dell�art. 271 c.p.p. come prospettata 
nel ricorso con il quale era stato sollevato il conflitto di attribuzione. 
L�art. 7 della legge n. 219/89 citata, si sostiene, contiene il divieto espresso per le sole intercettazioni 
dirette, estensibili al pi� (sentenza n. 390/07 della Corte Costituzionale) alle intercettazioni 
indirette non casuali e, quindi, le intercettazioni indirette, ma casuali, non sarebbero 
affatto riconducibili all�art. 271, commi 1 e 2, c.p.p., anche in base al principio di tassativit� 
delle invalidit� processuali. 
2.2.5. Tutte le argomentazioni relative all�inammissibilit� sono incentrate essenzialmente sull�assunto 
della impossibilit� giuridica per il P.M. di disporre la distruzione delle intercettazioni 
della Procura di Palermo che pu� essere sintetizzato nell�affermazione (p. 11 della memoria) 
secondo cui, �pur nella differenza intercorrente tra l�art. 269, comma 2, e l�art. 271, comma 
3, c.p.p. in nessuno dei due casi � possibile procedere all�immediata distruzione della documentazione 
delle intercettazioni prescindendo dal ricorso al giudice e dalle garanzie del contraddittorio�, 
richiamando in argomento la sentenza della Corte Costituzionale n. 463/1994. 
2.2.6. Analogamente, nel merito, si contestava il fondamento normativo del ricorso e della 
(1) La memoria di costituzione della Procura di Palermo conteneva, fra l�altro, l�indicazione del numero 
e delle date delle intercettazioni di conversazioni alle quali aveva preso parte il Presidente della Repubblica, 
per le quali, come si � detto, la Corte aveva specificamente disposto che fossero trasmesse, ricevute 
e conservate �con modalit� idonee a garantirne la segretezza�; la memoria era, invece, diffusa integralmente 
sul web il giorno stesso del deposito presso la Cancelleria della Corte e, in una prima versione 
rimasta in rete per alcune ore facilmente consultabile, erano anche perfettamente leggibili sia i numeri 
delle utenze intercettate, che riguardavano le interlocuzioni con il Presidente della Repubblica, sia il numero 
e la durata delle conversazioni telefoniche intercettatene. 
La Corte Costituzionale, quindi, diramava, in data 12 ottobre 2012, un comunicato stampa per specificare 
che �le indiscrezioni sul numero delle intercettazioni telefoniche concernenti il Capo dello Stato, le relative 
date e la loro esatta durata non provengono da ambienti della Corte Costituzionale la quale ha 
provveduto a conservare tutti gli atti del procedimento con il massimo riserbo. Peraltro, qualche organo 
di stampa ha dimostrato di essere a conoscenza di tali elementi che sono contenuti nella memoria della 
costituzione in giudizio della Procura della Repubblica di Palermo�. 
(2) Se vi sono stati altri due casi in cui le conversazioni (p. 6 memoria di costituzione della Procura di 
Palermo) del Presidente della Repubblica sono state indirettamente captate e non � stato sollevato il 
conflitto di attribuzione, ci� � dovuto dalla circostanza che la Procura della Repubblica territorialmente 
competente non ha rilasciato in quell�occasione n� interviste, n� dichiarazioni in merito alla (ir)rilevanza 
di esse o all�inutilizzabilit� successiva (come espressamente chiarito dal Presidente della Repubblica in 
occasione dell�inaugurazione dei corsi di formazione per i Magistrati Ordinari in Tirocinio avvenuta il 
15 ottobre 2012 a Scandicci).
14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
sua causa petendi; si affermava anche l�insussistenza in fatto delle lesioni alle prerogative del 
Presidente della Repubblica e, comunque, l�infondatezza del ricorso, sia alla luce di considerazioni 
generali sulla portata della richiamata normativa costituzionale; sia con riferimento a 
considerazioni di carattere ordinamentale; sia con richiamo alla giurisprudenza costituzionale, 
soffermandosi anche su specifici profili del ricorso e su singoli passaggi di esso. 
2.3. In conclusione, dopo aver delineato alcune conseguenze (negative per l�attivit� dei magistrati) 
che potrebbero derivare dall�accoglimento del ricorso, si chiedeva la declaratoria: 
- in rito dell�inammissibilit� del ricorso: a) in quanto con esso si chiede a codesta ecc.ma 
Corte di ordinare al P.M. un facere - e cio� �l�immediata distruzione delle intercettazioni telefoniche 
casuali del Presidente della Repubblica� - che non rientra nei poteri processuali 
del P.M. n� ai sensi dell�art. 269 comma 2 n� ai sensi dell�art. 271 comma 3 c.p.p.; b) per 
contraddittoriet� di esso derivante dal contrasto per petitum con la motivazione; 
- in subordine, se ne chiedeva il rigetto nel merito per l�infondatezza alla luce di tutte le ragioni 
sopra illustrate; 
- dichiarando, a tal fine, che �non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale 
ordinario di Palermo provvedere all�immediata distruzione delle intercettazioni telefoniche 
casuali del Presidente della Repubblica, mancando una norma che attribuisce al pubblico 
ministero un siffatto potere�. 
3. Le ragioni del conflitto 
Al fine di valutare nei suoi esatti termini e nella sua effettiva portata l�oggetto del contenzioso 
che � stato sottoposto all�esame della Corte occorre ribadire - come espressamente sancito 
con cristallina chiarezza dallo stesso Decreto Presidenziale in data 16 luglio 2012 - che il conflitto 
di attribuzione � stato elevato perch� ҏ dovere del Presidente della Repubblica di evitare 
si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell�occorso, precedenti, 
grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni 
da qualsiasi incrinatura le facolt� che la Costituzione gli attribuisce (Luigi Enaudi)�. Come 
lo stesso Presidente della Repubblica ha recentemente ribadito, il conflitto di attribuzione � 
stata una decisione obbligata per chi abbia giurato dinanzi al Parlamento di osservare lealmente 
la Costituzione e avverte la necessit� di una chiara puntualizzazione, nella sede appropriata, 
delle norme poste a tutela del libero svolgimento delle funzioni del Presidente della 
Repubblica. 
Non si � voluto, perci�, tutelare la singola persona che attualmente ricopre la carica di Presidente 
della Repubblica, ma l�Istituzione e le sue prerogative, tra le quali vi � certamente quella 
di poter contare sulla totale riservatezza delle proprie conversazioni, anche telefoniche, perch� 
altrimenti verrebbe compromessa la piena libert� di esercizio dell�insieme delle modalit� attraverso 
le quali il Capo dello Stato esercita le sue funzioni. 
Lo scopo del proposto conflitto �, pertanto, quello di ristabilire l�equilibrio nel rapporto tra 
l�area delle prerogative riconosciute al Presidente della Repubblica e i poteri di accertamento 
riservati alla magistratura nel nome della legalit� costituzionale e del principio della libert� e 
della riservatezza dell�esercizio delle funzioni presidenziali, attraverso l�affermazione di regole 
certe da parte di un Giudice (la Corte Costituzionale), chiamato, appunto, a pronunciarsi sui 
modi di applicazione delle leggi. 
Come � stato osservato (3), infatti, �si chiama conflitto ma il suo fine � l�equilibrio. L�equilibrio 
fra i poteri dello Stato: la bilancia ove sono misurati pesi e contrappesi nella vita pubblica, 
la forza del potere e le garanzie dei cittadini�.
TEMI ISTITUZIONALI 15 
La caratteristica immanente di questo equilibrio � che �non � mai fissato una volta per sempre� 
per la mutevolezza stessa del pi� generale contesto nel quale devono essere esercitati compiti 
opportunamente definiti con la necessaria elasticit�, in rapporto alle finalit�, prima ancora che 
allo specifico contenuto di determinati atti e che, quindi, �ogni volta, pazientemente, si deve 
ricreare�; ma l�equilibrio � anche �l�essenza di ogni costituzione degna di questo nome�. 
Si tratta, cio�, di un conflitto sollevato per affermare un principio, una regola, di valenza costituzionale 
che disciplina su un piano generale rapporti tra poteri; conflitto affidato ad una 
sede � la Corte Costituzionale � per sua natura chiamata a risolvere contrasti nell�interpretazione 
delle norme e non gi� ad arbitrare conflitti soltanto politici. 
Per questi motivi l�utilizzo dello strumento rappresentato dal conflitto fra poteri dello Stato � 
letto in chiave positiva dalla dottrina che ne sottolinea la funzione di �ribadire che vi � una 
tipicit� indisponibile dei ruoli, che richiede di essere salvaguardata anche per l�avvenire (4). 
La proposizione del conflitto appare, dunque, come lo strumento pi� lineare e come il rimedio 
fisiologico per chiarire definitivamente l�esatta latitudine delle prerogative costituzionali riconosciute 
al Presidente della Repubblica nel rispetto, appunto, dei principi e delle regole fissate 
dalla Costituzione a presidio e tutela delle Istituzioni (5) e dell�equilibrio tra i poteri. 
Come si illustrer� diffusamente infra (in particolare al paragrafo 6), lo scopo del proposto 
conflitto � l�affermazione del principio della libert� delle comunicazioni del Presidente della 
Repubblica come connotato essenziale dell�esercizio delle sue attivit�; principio che � strettamente 
correlato, perch� legato da un nesso di conseguenzialit�, con l�altro principio della 
assoluta riservatezza di tali comunicazioni. 
4. Infondatezza dell�eccezione di inammissibilit� del ricorso 
In ordine all�eccezione in rito di inammissibilit� del ricorso per impossibilit� giuridica del 
petitum e per violazione del principio di tipicit� dei provvedimenti del Pubblico Ministero di 
cui all�art. 101, comma 2, Cost., va rilevato che essa � infondata. 
Il ricorso, infatti, nel suo complesso � chiarissimo nel richiamare, quale motivo di proposizione 
del conflitto, il decreto del Capo dello Stato in data 16 luglio 2012, citato proprio nell�epigrafe 
(3) Andrea Manzella, Conflitto di poteri l�equilibrio smarrito, La Repubblica, 18 luglio 2012; Michele 
Ainis, La Procura, il Quirinale e le regole violate, L�Espresso, 19 luglio 2012, che sottolinea come le 
procedure �servano a garantire l�equilibrio fra i poteri dello Stato�. 
(4) Antonio Ruggeri, Evoluzione del sistema politico-istituzionale e ruolo del Presidente della Repubblica; 
notazioni introduttive in A. Ruggeri (a cura di). Atti di un incontro di studio (Messina-Siracusa, 
19 e 20 novembre 2010). 
(5) Stefano Ceccanti, Il conflitto di attribuzione pi� rilevante di quanto appare, L�Unit� del 15 luglio 
2012, afferma che �il conflitto di attribuzione � lo strumento pi� lineare e fisiologico�; anche Beniamino 
Caravitta di Toritto, Intercettazioni, decida la Consulta, Il Tempo del 19 agosto 2012, sostiene che il 
conflitto di attribuzione � lo strumento pi� idoneo per �giuridicizzare conflitti istituzionali altrimenti 
destinati a rimanere terreno di scontro politico�, ribadendo, quindi, la correttezza politico-costituzionale 
dello strumento stesso; sottolinea l�essenza democratica del conflitto Michele Ainis, Le prerogative del 
garante della legge, Corriere della Sera, 17 luglio 2012. Un riepilogo esaustivo degli interventi sulla 
stampa si trova nell�articolo di Elisa Tira, Il conflitto di attribuzione tra il Presidente della Repubblica 
e la Procura di Palermo in materia di intercettazioni indirette o casuali, in Rivista AIC, n. 4/2012, in 
particolare il paragrafo 1. 
Sottolinea il ruolo di primo piano dei giornali nell�intera vicenda Anna Pirozzoli, L�immunit� del Presidente 
della Repubblica davanti alla Corte Costituzionale: i dubbi della vigilia, in Forum di Quaderni 
Costituzionali, Rassegna n. 9/2012, pagg. 1 � 2.
16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
dell�atto e ad esso allegato. Tale decreto, infatti, che fa corpo con il ricorso, nel primo �Ritenuto� 
chiaramente lamenta il fatto che il pubblico ministero non abbia immediatamente richiesto 
al giudice la distruzione delle intercettazioni di conversazioni alle quali abbia 
partecipato il Presidente della Repubblica, ancorch� indirette od occasionali, non chiedendo, 
quindi, al Pubblico Ministero di procedere in via diretta, come erroneamente sostenuto dalla 
Procura di Palermo. Inoltre, nella motivazione del ricorso (in particolare, alle pagine 12-13) 
sono chiarite le norme applicabili alle intercettazioni che abbiano attinto il Capo dello Stato 
e in particolare � espressamente riportato l�art. 271 c.p.p., secondo cui, a fronte di intercettazioni 
eseguite fuori dei casi previsti dalla legge �il giudice dispone che la documentazione 
sia distrutta� (v. pag. 12, primo periodo del punto 2.3.). 
Nell�impostazione seguita nel ricorso del Presidente della Repubblica si tratta solo dell�applicabilit� 
dell�art. 271 c.p.p. che, ovviamente, come chiarito dal comma 3, non pu� non passare 
attraverso un provvedimento del giudice. L�espressione riportata nelle conclusioni del 
citato ricorso, laddove si chiede alla Corte costituzionale di dichiarare che non spetta alla Procura 
della Repubblica presso il Tribunale di Palermo omettere l�immediata distruzione delle 
comunicazioni telefoniche del Presidente della Repubblica intercettate indirettamente, non 
pu� quindi non essere interpretata nel senso che non spetta alla Procura della Repubblica 
omettere quanto in suo potere ex art. 101, comma 2, Cost. e art. 271, comma 3, c.p.p. per ottenere 
dal giudice l�immediata distruzione di tale materiale probatorio, acquisito fuori dai casi 
consentiti dalla legge. Non sussiste quindi alcuna inammissibilit� del conflitto di attribuzione 
n� � stato mai richiesto al pubblico ministero di disporre l�immediata distruzione senza un 
vaglio giurisdizionale, essendo l�omissione di tale richiesta la ragione dell�odierno conflitto 
di attribuzione tra poteri dello Stato. 
Non sussiste, pertanto, neppure la contraddittoriet� del petitum con le ragioni che lo sostengono, 
poich� il petitum � solo formulato in modo sintetico e va interpretato alla luce dei poteri 
che la Costituzione riconosce al Pubblico Ministero ex art. 101, comma 2, Cost. e art. 112 
Cost., i quali sono concretizzati nella specifica previsione dell�art. 271 c.p.p., sopra richiamato, 
norma che si deve intendere posta a presidio dei valori costituzionali tutelati dall�art. 90 Cost. 
e dall�art. 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219. 
5. Il quadro normativo di riferimento 
5.1. Come sostenuto nel ricorso, l�art. 7, comma 3, della legge n. 219/1989, significativamente 
intitolata �Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall�articolo 90 della 
Costituzione�, in coerenza, appunto, con l�art. 90 Cost., stabilisce il divieto assoluto di intercettazione 
telefoniche o di altre forme di comunicazione, ovvero di altri mezzi invasivi di acquisizione 
della prova (perquisizioni personali o domiciliari) nei confronti del Presidente della 
Repubblica, salvo il caso in cui la Corte Costituzionale ne abbia gi� disposto la sospensione 
dalla carica. 
In questa prospettiva la norma citata assume fondamentale importanza nella parte in cui dispone 
l�impossibilit� di intercettare il Presidente della Repubblica, anche se posto in stato di 
accusa, fino a quando resta in carica. 
Dall�inequivoco tenore della norma, emanata - si ribadisce - in dichiarata attuazione dell�art. 
90 Cost., discende che disporre e/o svolgere atti di indagine invasivi e lesivi della libert� di comunicazione 
del Presidente della Repubblica costituisce inevitabilmente una lesione delle funzioni 
e delle attivit� proprie del Presidente. Anche se la disposizione in questione non contempla 
espressamente le intercettazioni c.d. indirette e/o casuali, il divieto discende dall�ampia previ-
TEMI ISTITUZIONALI 17 
sione normativa (�intercettazioni telefoniche�) e dalla univoca interpretazione della norma che 
ne offre la maggior parte della dottrina, che, pertanto, prevede l�impossibilit� in modo assoluto 
di effettuare intercettazioni di conversazioni del Presidente della Repubblica in carica. 
L�art. 90 Cost., con l�esclusione della responsabilit� del Presidente della Repubblica per gli atti 
funzionali (tranne che per alto tradimento e attentato alla Costituzione), ha quale ratio la tutela 
della piena libert� del Presidente della Repubblica nello svolgimento delle proprie funzioni di 
garanzia del corretto funzionamento del sistema istituzionale al fine di assicurare la costante 
salvaguardia dell�interesse nazionale. Come osservato, si tratta di funzioni connotate da notevole 
discrezionalit� in ragione delle necessit� e della evoluzione del quadro politico e istituzionale. 
Come precisato nel ricorso, il delineato regime di garanzie discende dalla circostanza che la 
Costituzione assegna al Presidente della Repubblica �una immunit� sostanziale e permanente 
imputata all�organo costituzionale e posta a protezione della persona fisica che ne � titolare�. 
Con la conseguenza che �ci� comporta l�assoluta riservatezza di tutte le attivit� del Presidente 
della Repubblica che sono propedeutiche e preparatorie rispetto al compimento degli atti tipici 
e pubblici attraverso i quali esercita formalmente i propri poteri�. 
Dal divieto di disporre e di utilizzare le intercettazioni, divieto configurabile come diretta 
conseguenza della immunit� presidenziale, costituzionalmente prevista, deriva che le suddette 
intercettazioni sono illegittime se non nulle e, perci�, occorre provvedere alla distruzione immediata 
dei contenuti delle captazioni, effettuate dalla Procura, ai sensi dell�art. 271 c.p.p., 
individuata come norma di chiusura del sistema. 
Come gi� ricordato, l�unico precedente sostanzialmente analogo al caso in oggetto � quello 
del 1997 dell�intercettazione telefonica indiretta dell�allora Presidente della Repubblica Oscar 
Luigi Scalfaro (ascoltato in una conversazione con l�amministratore delegato della Banca Popolare 
di Novara). In quella occasione, rispondendo a numerose interpellanze parlamentari 
in merito, venne offerta una ricostruzione della questione dal Ministro di Grazia e Giustizia 
dell�epoca, il quale, sottolineando la necessit� di tutelare le conversazioni private del Presidente 
della Repubblica, afferm� il �divieto (�) di trascrizione e di deposito della registrazione 
relativa�. Ci� anche perch� la �tutela della riservatezza� del terzo nelle intercettazioni trova 
per il Presidente della Repubblica �un�esigenza di rafforzamento (�) essendo la libert� di 
comunicazione e di corrispondenza un connotato essenziale dell�esercizio delle funzioni del 
Presidente della Repubblica�. 
A sostegno di tale tesi il Ministro aggiungeva due ulteriori considerazioni. In primo luogo, 
che �non pu� essere rimessa al sindacato successivo dell�autorit� giudiziaria (�), la distinzione 
tra atti riconducibili all�esercizio delle funzioni e atti estranei a tale esercizio�, poich� 
tale procedura �comporterebbe anzitutto una valutazione (�) sugli atti riferibili al profilo 
funzionale dell�attivit� del Presidente della Repubblica�. In secondo luogo, che l�inviolabilit� 
delle comunicazioni del Presidente della Repubblica era da ricavarsi dall�art. 7 della legge n. 
219/1989 citata, poich� �se � previsto che per i reati di attentato alla Costituzione ed alto tradimento 
l�intercettazione possa essere disposta solo dopo la sospensione dalla carica, a maggior 
ragione deve prefigurarsi una tutela piena in rapporto ad ipotesi di reati comuni e, a 
fortiori, rispetto a qualsiasi fatto penalmente irrilevante�. 
Pertanto, non si pu� parlare di esenzione dalla giurisdizione, come si adombra nella memoria 
della Procura di Palermo, ma di prerogativa del Presidente della Repubblica costituzionalmente 
prevista, connaturata all�esercizio delle sue funzioni. 
5.2. Come illustrato nel ricorso, la impossibilit� di distinguere tra le diverse modalit� di esercizio 
delle funzioni presidenziali, sia che le stesse si traducano nel compimento di atti tipici
18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
o in attivit� meramente propedeutiche e preparatorie, comporta la necessit� che siano vietate 
le intercettazioni indirette o casuali delle conversazioni del Presidente della Repubblica. 
La dottrina, come si � accennato, ha sottolineato l�impossibilit� di delineare in termini rigidi 
i compiti propri del Presidente della Repubblica, delineando la Costituzione ruolo e funzioni 
prima ancora che competenze al compimento di specifici atti (6). 
Determinante � dunque il fine complessivo di garantire la salvaguardia dei superiori interessi 
nazionali e il corretto funzionamento delle Istituzioni (7). 
Ne consegue l�impossibilit� di definire in modo esaustivo tutte le attivit� che in concreto il 
Presidente della Repubblica dovr� e potr� svolgere nell�ambito del suo ruolo istituzionale. 
La norma di cui all�art. 90 Cost. � ispirata all�intento di consentire al Presidente della Repubblica 
di interpretare il suo ruolo con elasticit� e di �orientare il suo operato, in ragione delle 
mutevoli ed imprevedibili necessit� politico-istituzionali�. 
Una �delimitazione della irresponsabilit� ai soli atti tipici di esercizio delle funzioni presidenziali, 
non consentirebbe al Presidente della Repubblica di intervenire con efficacia nelle 
forme e nei modi ritenuti, di volta in volta, opportuni�, proprio in ragione della cura dei supremi 
interessi nazionali, attribuiti al Presidente della Repubblica e �la responsabilit� presidenziale 
� a causa della particolarit� o, forse meglio dell� unicit� di tale carica nel nostro 
assetto costituzionale � non pu� rimanere imbrigliata nei limiti di precetti eccessivamente 
circoscritti e predefiniti, poich� in tale eventualit�, risulterebbe depotenziato il ruolo di garanzia 
di tale Ufficio (8)�. 
L�irresponsabilit� contemplata dall�art. 90 Cost. ha una valenza funzionale: l�immunit� costituisce, 
quindi, �... una sorta di scudo a difesa dalle interferenze che possano condizionare 
� anche indirettamente � il sereno svolgimento delle funzioni presidenziali�. Anche con riferimento 
alle interlocuzioni, �che rispetto alle attivit� formalmente esternate e poste in essere 
si pongano come elementi prodromici e preparatori� (9). 
(6) Emerge, quindi, nel complesso una definizione della figura istituzionale �con chiare affinit� con la 
tradizionale teoria del �potere neutro� in cui al Presidente viene riconosciuto, oltre al ruolo di unit� 
nazionale, la funzione di garanzia costituzionale che si evidenzierebbe in momenti di crisi� anche semplicemente 
in casi di �fiacco funzionamento� del sistema� Angioletta Sperti, �La Responsabilit� del 
Presidente della Repubblica, Evoluzione e recenti interpretazioni�, Giappichelli, 2012, pagg. 27-35, 
pag. 31. 
Claudio Martinelli, Le immunit� costituzionali nell�ordinamento italiano e nel diritto comparato, Giuffr�, 
2008, pag. 174 �La sua natura di organo di garanzia, potere neutro, rappresentante dell�Unit� nazionale, 
estraneo all�elaborazione dell�indirizzo politico, non pu� non avere conseguenze anche sul piano 
dello statuto della responsabilit��. 
(7) Francesco Paterniti, Riflessioni sulla (im) possibilit� di svolgere intercettazioni �indirette� nei confronti 
del Presidente della Repubblica. Il caso del conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo, 
Federalismi, n. 21/2012, pagg. 15-16 in particolare. 
C. Martinelli, op. cit, p. 185 �Il complesso delle funzioni presidenziali sintetizzabile con l�incarnazione 
della rappresentanza nazionale, mette il Presidente nella condizione di dover compiere un complesso 
eterogeneo di atti, non ricollegabile n� ad unico luogo n� ad unico fine, come appunto l�articolo 90 
della Costituzione mette in mostra, menzionando il generico termine di atti�. 
(8) F. Paterniti, ivi, pagg. 16-17. 
(9) La dottrina si � dimostrata di recente sempre pi� attenta alla peculiarit� della posizione del Presidente 
della Repubblica rispetto agli altri organi costituzionali, sottolineando come per il Presidente �� in 
quanto organo monocratico, maggiore sia il rischio che eventuali iniziative giudiziarie riguardanti la 
persona � possano incidere direttamente sull�esercizio delle sue delicatissime attribuzioni costituzionali�, 
Tommaso Francesco Giupponi, Immunit� presidenziale e �nesso� funzionale in un anomalo con-
TEMI ISTITUZIONALI 19 
La previsione di cui all�art. 90 Cost. �, dunque, una prerogativa, da intendere nel senso di un 
particolare regime giuridico giustificato dal munus publicum ricoperto (v., ampiamente, la 
sentenza della Corte Cost. n. 262/2009). 
Le intercettazioni delle conversazioni del Presidente della Repubblica, pur se indirette e fortuite, 
sono dunque illegittime, perch� effettuate in violazione della prerogativa di cui all�art. 
90 Cost. Ancora di pi� se, come nel caso in questione, le conversazioni del Presidente della 
Repubblica siano state valutate come un contatto assolutamente lecito e, presumibilmente, 
preparatorio rispetto al successivo intervento con il quale il Quirinale, avendo riguardo all�esercizio 
dei poteri attribuiti dalla legge alla Procura nazionale antimafia e alle Procure Generali 
delle Corti di Appello, ha prospettato la necessit� di salvaguardare esigenze di 
coordinamento rispetto alle diverse iniziative in corso presso varie Procure. 
In tal modo, infatti, come ribadito dallo stesso Presidente della Repubblica, � stato esercitato 
quel doveroso compito che la Costituzione gli assegna - anche nella qualit� di Presidente del 
Consiglio Superiore della Magistratura - al fine di garantire la correttezza e l�efficacia dell�azione 
della magistratura. Tale attivit� presidenziale, infatti, risultando ampiamente riconducibile 
a quelle �prestazioni di unit�� che, oltrepassando le singole attribuzioni separatamente 
considerate, l�art. 87, comma 1, Cost. impone al Presidente della Repubblica, appare perfettamente 
in linea con le funzioni attive di controllo, di iniziativa e di stimolo nei confronti di 
altri poteri dello Stato, per assicurare il corretto funzionamento del sistema costituzionale. 
In definitiva, quindi, dalla mancanza di segretezza deriva una menomazione non solo delle 
attribuzioni del Presidente della Repubblica, ma, ancor pi�, dei supremi interessi nazionali 
affidati alla sua cura. 
L�immunit� riconosciuta al Presidente della Repubblica dalla Costituzione non � legata ad 
antichi privilegi ormai obsoleti, ma � diretta ad assicurargli la libert� di azione, la libert� di 
comunicazione e la riservatezza connesse allo svolgimento delle sue funzioni. 
La soluzione della questione non pu� che avvenire, quindi, a livello costituzionale e certamente 
i limiti di applicazione della norma costituzionale non possono essere dettati da una 
norma ordinaria, come il codice di procedura penale (10). 
Nello Stato democratico-costituzionale, in correlazione con l�affermazione del principio dell�indipendenza 
della magistratura, �le immunit� assumono la valenza di garanzia della funzione 
esercitata nei confronti di qualsiasi condizionamento esterno o di intenti persecutori 
da parte di singoli magistrati. Esse si caratterizzano non pi� come privilegi, accordati intuitu 
personae e strettamente correlati all�attributo della sovranit�. Per gli organi rappresentativi 
posti al vertice dello Stato le immunit� si configurano come prerogative che da un lato tutelano 
non le persone dei titolari ma l�esercizio della funzione svolta e dall�altro derogano al 
diritto comune� (11). 
flitto, Torino, 2003, pag. 194-195, citato da A. Sperti, op. cit., pag. 112; come pure M. Cavino, L�irresponsabilit� 
del Capo dello Stato, Giuffr�, 2008, pag. 42 e ss., sulla �garanzia della serenit� della sua 
azione politica�, sottolineando l�importanza di predisporre �un sistema particolare di garanzie che mettano 
il Presidente al riparo dall�uso strumentale di azioni giudiziarie�. 
(10) Il codice di procedura penale non pu� costituire la chiave normativa per la soluzione del conflitto 
che �, appunto, di livello costituzionale (p. 2) e, comunque, non si potrebbe ricorrere a uno strumento 
di giurisdizione penale in una sfera in cui non cՏ giurisdizione (p. 5), Glauco Nori, Il conflitto - a proposito 
delle intercettazioni telefoniche, alcune osservazioni preliminari, Federalismi.it, n. 16/12. 
(11) Mauro Volpi, Le immunit� penali della politica, a cura di G. Fumu e M. Volpi, Il Mulino, 2012, Introduzione, 
pag. 8, che richiama, anche sulla �duplice caratteristica� delle immunit�, la sentenza della
20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Appare, quindi, curioso e ad effetto � e, comunque, palesemente infondato se non inconferente 
- il richiamo all�inviolabilit� del Re nell�ordinamento spagnolo, contenuto a pagina 22 della 
memoria di costituzione della Procura di Palermo (12). 
6. Il profilo oggettivo del conflitto. 
Occorre ricordare che non � stata posta assolutamente in dubbio, neanche nella memoria della 
Procura di Palermo, l�irrilevanza delle intercettazioni che hanno captato le conversazioni del 
Presidente della Repubblica; come non � assolutamente posto in dubbio che i comportamenti 
del Presidente della Repubblica e, nello specifico, i contatti (anche) telefonici che lo stesso 
ha avuto siano inquadrabili nella sfera del lecito, cio� del penalmente irrilevante. 
Peraltro, nel caso in esame, non si tratta di individuare la linea di demarcazione tra irresponsabilit� 
funzionale e responsabilit� extrafunzionale (per atti privati) del Presidente della Repubblica, 
che resta perci� affatto estranea all�oggetto del conflitto e alle richieste formulate 
nel ricorso (pp. 17 e ss. della memoria della Procura di Palermo). Non � necessario, dunque, 
soffermarsi sulla questione relativa alla possibilit� di delineare in termini estensivi ovvero restrittivi 
i confini della irresponsabilit� di cui all�art. 90 Cost. (13) 
Corte Cost. n. 262/2009, considerato in diritto n. 7.3.1. 
Ugo De Siervo ricostruisce �una uniforme logica istituzionale sottesa alle varie immunit�, consistente 
nella necessit� di mettere i componenti di questi diversi organi di poter espletare in piena libert� le loro 
funzioni, senza dover neppure temere possibili interventi delle autorit� giurisdizionali nelle pi� o meno 
ampie aree di immunit� loro garantite�, La responsabilit� penale del Capo dello Stato, in Il Presidente 
della Repubblica, a cura di Massimo Luciani e Mauro Volpi, Il Mulino, 1997; richiamato da A. Sperti, 
op. cit., pag. 108, che richiama le due esigenze di tutela dell�indipendenza del Presidente della Repubblica 
� �quella nei confronti degli attacchi politici della maggioranza e quella essenzialmente rivolta 
alla tutela dalle accuse pretestuose��, in quanto ��ugualmente presenti nel fondamento giustificativo 
dell�immunit� presidenziale��. 
(12) Come � stato osservato dalla dottrina, il diritto comparato presenta in materia, �un quadro molto 
variegato e complesso delle immunit��; sottolineando la �notevole differenza fra gli ordinamenti anglosassoni 
e quelli europeo-continentali�, essendo le immunit� disciplinate distinguendo le figure dei 
Presidenti della Repubblica dai membri del Governo e dai Parlamentari. 
In alcuni ordinamenti � prevista l�improcedibilit� nel corso del mandato e in alcuni paesi (Grecia, Israele 
e Portogallo) tale immunit� � strettamente correlata al ruolo, attribuito al Capo dello Stato, di rappresentante 
della Nazione e di garante del rispetto della Costituzione. 
Molto ampia, anzi �totale�, la prerogativa prevista dopo la revisione del 2007, in favore del Presidente 
francese, che ha accentuato la �natura evanescente� della sua responsabilit�, assoluta e totale e perpetua, 
non del tutto riconducibile al suo ruolo c.d. di �Giano bifronte� (Capo dello Stato e vertice politico del 
potere esecutivo) all�interno di un sistema che solo nel caso di �cohabitation� � dualistico. Due sono i 
presupposti dell�immunit� presidenziale, l�irresponsabilit� e il suo corollario l�inviolabilit� del Capo 
dello Stato. M. Volpi, op. cit., pagg. 9 e 11; Jean Gicquel, op. cit., pagg. 101-110; sul sistema spagnolo 
Francisco Fernando-Segado, che sottolinea come, e soprattutto �in relazione alle prerogative parlamentari, 
la materia manca di una legislazione postcostituzionale di attuazione, essendo tuttora una legge 
gi� centenaria (dal 1912) a regolare la materia�, op. cit., pagg. 125-197. 
Sulla disciplina vigente in Francia, v. anche Tommaso Giovannetti, La disciplina della responsabilit� 
penale dei titolari del potere esecutivo in Francia, Consulta online, punti 2.1. � 2.1, 2.2. 
(13) Non ha alcun rilievo - nemmeno come argomentazione a contrario � l�assunto a tenor del quale il 
Presidente della Repubblica sarebbe responsabile e, quindi, sottoponibile all�azione della magistratura 
ordinaria, alla stregua di qualsiasi altro cittadino, per le condotte che, esorbitando dall�esercizio delle 
sue funzioni, integrino una comune fattispecie criminosa. 
In proposito � stato osservato - per quanto rileva in questa sede - che poich� la norma di cui all�art.7 
citato �ha intuitivamente una portata generale (perch� se tale norma vale per i reati funzionali, ben pi�
TEMI ISTITUZIONALI 21 
La questione oggetto del ricorso � incentrata, infatti, sulla sussistenza, e la conseguente ampiezza, 
di quell�aspetto della prerogativa che, salvaguardando la riservatezza delle conversazioni 
del Presidente della Repubblica, permetta di garantire la libera determinazione 
dell�organo nello svolgimento delle sue funzioni e, pi� in particolare, di tutte quelle attivit� 
preordinate e propedeutiche al perseguimento delle finalit� che l�ordinamento assegna al Presidente 
della Repubblica. 
Il proposto ricorso per conflitto di attribuzione mira, pertanto, non solo a tutelare il sereno 
svolgimento della funzione presidenziale, ma anche e soprattutto a salvaguardare gli interessi 
ai quali la funzione stessa � preposta. �Ci� perch� la conoscibilit� delle conversazioni del 
Presidente della Repubblica minerebbe la necessaria riservatezza che deve essere garantita 
a tutte le attivit� preparatorie rispetto agli atti presidenziali� (14). 
Il punto nodale della questione, quindi, - come rilevato nel ricorso - � costituito dalla relazione 
che intercorre tra le funzioni presidenziali e le prerogative che le tutelano, nell�ottica della riservatezza 
necessaria alle stesse attivit� e perci� posta a loro garanzia. 
Come sottolineato dalla dottrina, si tratta di �...una carica tradizionalmente monocratica, la 
cui attivit� ufficiale pu� quindi essere pi� facilmente incisa attraverso iniziative giudiziarie 
che riguardino la persona fisica del titolare e delle sue attivit�� (15). 
Alla luce di tali considerazioni sistematiche, �l�acquisizione delle intercettazioni in un�udienza 
finalizzata alla valutazione della loro rilevanza processuale (art. 268 c.p.p. e ss.), comportando, 
di fatto, la conoscibilit� e la divulgabilit� del contenuto delle stesse, produrrebbe di 
per s� un vulnus nelle prerogative legate alla funzione del Presidente della Repubblica e, conseguentemente, 
anche per gli interessi (rilevantissimi) che tale funzione � chiamata a garantire. 
Il Capo dello Stato, infatti, � titolare di funzioni che necessitano certamente di una 
particolare riservatezza nell�iter della loro preparazione. A tale riguardo, a titolo puramente 
esemplificativo, basti pensare alle attivit� inerenti i rapporti diplomatici (art. 87, co. 8, Cost.) 
ovvero al comando delle forze armate (art. 87, co. 9, Cost.) o, come nel caso in questione, a 
tutte quelle funzioni che, seppur non tassativamente individuabili, gli derivano indubbiamente, 
in termini pi� o meno espliciti, dalla presidenza del CSM (art. 104, co. 2,) o, ancora, dalla 
rappresentanza dell�unit� nazionale (art. 87, co. 1, Cost.)�. 
gravi dal punto di vista istituzionale, essa vale a fortiori per i reati comuni, in quanto con riferimento 
ad essi non esiste una disposizione analogamente permissiva), ci� significa che anche per i procedimenti 
penali a carico del Presidente della Repubblica per reati extrafunzionali la magistratura non pu� acquisire 
prove mediante intercettazioni telefoniche e perquisizioni, tranne che, per queste ultime, il Presidente 
abbia dato la sua disponibilit� a collaborare. 
Il che significa che l�azione penale potrebbe essere promossa nei confronti del Presidente della Repubblica 
in carica solo quando il magistrato sia in possesso di prove inconfutabili - documentali o testimoniali 
- di reit�. Ci� costituisce, sotto il profilo probatorio, un deterrente contro spericolate inchieste 
penali contro il Presidente della Repubblica�, Alessandro. Pace, Le immunit� penali extrafunzionali 
del Presidente della repubblica e dei membri del Governo in Italia, Rivista Telematica giuridica dell�Associazione 
Italiana dei Costituzionalisti, n. 1/2011, 14.1.2011; Le immunit� penali della politica, a 
cura di Giacomo Fumu e Mauro Volpi, il Mulino, 2012, p. 38. 
Ci�, sottolineando i limiti delle attivit� di investigazione rende evidente l�infondatezza della tesi seguita 
nella memoria della Procura di Palermo (p. 50, nota 31), secondo cui l�art. 7, comma 3, si intende riferito 
alle sole intercettazioni dirette. 
(14) F. Paterniti, op. cit., pag. 14. 
(15) T.F. Giupponi, Le immunit� della politica. Contributo allo studio delle prerogative costituzionali, 
Torino, 2005, pag. 374.
22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Ne deriva, perci�, ... �che permettendo di divulgare il contenuto delle attivit� preparatorie, 
metterebbe a rischio gli interessi alla cui salvaguardia tali funzioni sono preordinate� (16). 
Infondate sono, pertanto, tutte le argomentazioni svolte nella memoria della Procura di Palermo 
(pagg. 11-18) a proposito della latitudine della prerogativa riconosciuta al Presidente 
della Repubblica. 
Si ribadisce che si tratta della libert� di comunicazione del Presidente della Repubblica che � 
assoluta per come � configurata dalla legge di attuazione costituzionale n. 219 del 1989 che 
vieta le intercettazioni del Capo dello Stato in carica. 
In conclusione, le intercettazioni captate fortuitamente sono inutilizzabili e vanno immediatamente 
distrutte, in quanto non consentite dalla legge. 
Nel caso di specie, non rileva, poi, nemmeno la distinzione tra atti funzionali e atti extra funzionali 
(17). 
Al riguardo, si precisa, tuttavia, che le conversazioni oggetto dell�odierno conflitto di attribuzione 
rientrano negli atti funzionali del Presidente della Repubblica, in relazione alla qualit� 
dei soggetti tra i quali sono intercorse ed alla sede nella quale sono state poste in essere (tutte 
effettuate attraverso il centralino del Quirinale). 
In ogni caso proprio perch� spesso non � agevole distinguere gli atti funzionali dagli atti extra 
funzionali, tutte le conversazioni devono essere libere e garantite dai principi costituzionali. 
In sostanza quando non � possibile distinguere gli atti funzionali da quelli extra funzionali, 
deve sempre presumersi che le conversazioni siano state poste in essere nell�esercizio delle 
funzioni istituzionali. Una conferma pu� essere rinvenuta anche nel fatto che il Presidente 
svolge la propria vita istituzionale nella sede del Quirinale. La vita del Presidente � scandita 
principalmente, se non quasi esclusivamente, da impegni istituzionali. Nell�organo monocratico 
l�istituzione e la persona coincidono per definizione. 
Egualmente non sono condivisibili anche le argomentazioni sostenute a pagina 27 (in neretto) 
nella memoria difensiva della Procura di Palermo, laddove si sostiene che �l�intercettazione 
(16) F. Paterniti, ibidem. 
(17) Il c.d. caso Cossiga, richiamato nella memoria della Procura di Palermo (a pag. 20, in particolare, 
e pag. 19), cio�, la sentenza n. 154/2004, non si attaglia al caso di specie, avendo ad oggetto un�esternazione 
volontaria del Presidente e non la tutela della riservatezza delle comunicazioni del Presidente. 
Inoltre, si tratta di �una decisione non definitiva e per nulla risolutiva�, perch� il giudice dei conflitti 
non ha affrontato espressamente e definitivamente la questione della sorte processuale del Capo dello 
Stato in carica in relazione agli atti extrafunzionali, ma ha solo stabilito gli esatti confini della sua irresponsabilit� 
ex art. 90 Cost. Particolarmente significativo, pertanto, � un passaggio della decisione predetta, 
�che viene raramente sottolineato�, nel quale la Corte afferma �che non viene qui in considerazione 
il diverso e discusso problema degli eventuali limiti alla procedibilit� di giudizi (in particolare penali) 
nei confronti della persona fisica del Capo dello Stato durante il mandato, limiti che, se anche sussistessero, 
non varrebbero, appunto, se non fino alla cessazione della carica. Qui si discute invece dei limiti 
della responsabilit�, che come tali valgono allo stesso modo sia durante il mandato presidenziale, 
sia, per gli atti compiuti durante il mandato, dopo la sua scadenza�. 
�Una cosa, infatti, � stabilire una forma di immunit� sostanziale, come prevede l�art. 90 Cost., la quale 
impedisce sul piano sostanziale l�attivazione di qualunque forma di responsabilit� (politica e giuridica) 
in relazione agli atti compiuti dal Presidente della Repubblica nell�esercizio delle sue funzioni; un�altra, 
invece, stabilire forme di inviolabilit� temporanea sul piano processuale a tutela della persona fisica 
del titolare pro-tempore della carica presidenziale�, T.F. Giupponi, �Il Presidente intercettato. Il Conflitto 
tra Presidenza della Repubblica e Procura di Palermo: problematiche costituzionali in tema di 
inviolabilit� del Capo dello Stato�, �Amicus curiae 2012� pagg. 7-8.
TEMI ISTITUZIONALI 23 
della conversazione del Presidente della Repubblica che sia occasionale, del tutto involontaria, 
non evitabile e non prevenibile, non pu�, in ragioni di tali sue caratteristiche, integrare in s�, 
alcuna lesione delle prerogative presidenziali quale che sia il contenuto della conversazione�. 
L�inaccettabilit� della tesi della Procura, oltre a quanto gi� osservato, emerge con evidenza 
ove il contenuto di quelle conversazioni abbia ad oggetto delicate questioni di sicurezza o di 
politica estera o di difesa nazionale, in quanto le sue funzioni sarebbero esposte in modo del 
tutto casuale e, quindi, irrazionale al pubblico mentre se ne imporrebbe la massima riservatezza 
proprio al fine di garantirne la massima efficacia. 
7. La normativa applicabile 
Come gi� osservato nel ricorso, il legislatore, nel prevedere la possibilit� di intercettare il Presidente 
della Repubblica, all�art. 7, comma 3, della legge n. 219/1989 citata, ha esplicitamente 
stabilito che, per rendere operativo tale strumento investigativo, lo stesso Presidente della Repubblica 
debba essere sospeso dalla carica. 
In linea con tali considerazioni � anche la gi� richiamata ricostruzione offerta dal Ministro 
della Giustizia, nell�analogo caso del 1997. In tale circostanza, infatti, era stato evidenziato 
che essendo la libert� di comunicazione un connotato essenziale dell�esercizio delle funzioni 
presidenziali, la correlativa libert� e segretezza delle conversazioni non pu� essere soggetta 
ad alcuna menomazione. 
La dottrina ha ritenuto di rinvenire un �principio ordinamentale�, ricavabile da una ricostruzione 
sistematica e dalla valutazione congiunta delle norme di cui all�art. 90 Cost. e all�art.7, 
comma 3, legge n. 219/1989 citata che �induce a reputare preclusa, fino a quando permane 
la carica, ogni forma di intercettazione diretta. Naturalmente, discendendo questa garanzia 
esclusivamente dall�esercizio delle funzioni presidenziali, a identica conclusione si deve pervenire, 
onde evitare palesi contraddittoriet� e soprattutto paradossali illogicit�, anche per le 
ipotesi di intercettazioni casuali� (18). 
Alla luce di tali considerazioni pu� essere individuata l�esatta portata del primo comma dell�art. 
271 c.p.p., il quale prevede che �i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati 
qualora le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge�. 
Il codice di procedura penale, infatti, rende legittimi gli atti di indagine e la loro utilizzazione, 
non gi� allorch� il dettato normativo ometta di prevedere un divieto di agire, bens�, diversamente, 
in presenza di una esplicita previsione di legge che consenta una attivit� di tal genere. 
A fronte di ci�, invero, non pu� di certo essere affermato che l�art. 7 della legge n. 219/1989 
citata ammetta espressamente tale tipologia di intercettazioni nei confronti del Presidente della 
Repubblica. Anzi, dopo aver contemplato l�intercettazione c.d. diretta quale possibile strumento 
investigativo, la predetta disposizione stabilisce chiaramente che �in ogni caso� il Comitato 
parlamentare pu� autorizzare le intercettazioni solo dopo che il Presidente della 
(18) Marco Petrini, Intercettazioni senza pace: il conflitto di attribuzioni tra Capo dello Stato e Procura 
della Repubblica di Palermo, Archivio penale 2012, n. 3, p. 5 . 
Carlotta Conti, Il volto attuale dell�inutilizzabilit� derive sostanzialistiche e bussola della legalit�, in 
Dir. pen. e proc., 7/2010, p. 785, la quale precisa che �in materia di diritti fondamentali � tutto vietato 
salvo ci� che � espressamente consentito�, pertanto, �quando un�acquisizione probatoria incide su 
diritti fondamentali, essa deve essere disciplinata dal legislatore nei casi e nei modi; in assenza di una 
simile argomentazione, la prova deve intendersi vietata. L�inutilizzabilit� delle prove incostituzionali� 
si ricava dal silenzio della legge�. 
24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Repubblica sia stato sospeso dalla carica. �Da ci� potendosi ricavare che mentre la parte assertiva 
della prescrizione � espressamente dedicata alle sole intercettazioni dirette (consentendone, 
in determinati casi, lo svolgimento e l�utilizzazione), diversamente, i limiti introdotti 
dalla stessa norma sono applicabili �in ogni caso�, quindi, anche nella diversa ipotesi di intercettazioni 
indirette� (19). 
8. L�inutilizzabilit� assoluta delle intercettazioni. 
Come gi� rilevato nel ricorso, si ribadisce che le intercettazioni che, anche se indirettamente, 
captino le conversazioni del Presidente della Repubblica in carica, sono da ritenersi �illegittime�. 
Trattandosi di conseguente �inutilizzabilit� assoluta�, le stesse intercettazioni devono 
essere distrutte immediatamente e senza alcuna valutazione circa la loro eventuale rilevanza 
processuale. 
Come gi� osservato, non vale opporre in contrario l�asserita iniziale inevitabilit� delle intercettazioni 
che, sebbene originariamente indirizzate ad un soggetto terzo, solo incidentalmente 
coinvolgano le conversazioni del Presidente della Repubblica. Infatti, in mancanza di una 
norma che espressamente ne consenta la captazione, non appena accertato il requisito soggettivo 
dell�interlocutore (Presidente della Repubblica �in carica�) si sarebbe dovuta interrompere 
l�attivit� di intercettazione. In questi termini, dunque, deve essere riconosciuta la 
illegittimit� delle intercettazioni, anche �indirette�, e conseguentemente l�impossibilit� dell�eventuale 
uso (in qualsiasi forma) delle stesse. 
Come gi� precisato nel ricorso, si tratta di una illegittimit� che scaturisce dal combinato disposto 
della norma di cui all�art. 271, comma 1, c.p.p. con l�art. 7, comma 3, della legge n. 
219/1989 citata. Le intercettazioni �indirette e/o casuali� del Presidente della Repubblica �in 
carica�, pertanto, non possono essere acquisite agli atti del processo, restandone fuori, dovendo, 
invece, affermarsi l�obbligo di distruggerle (20). 
(19) F. Paterniti, op. cit., p. 22. 
La giurisprudenza ha precisato la valenza dell�art. 271 c.p.p. in termini di �inutilizzabilit�� correlandola 
all�art. 15 Cost. (Cass. Pen., SS. UU., 13.1.2009, n. 1153); sottolineando che �l�eliminazione �fisica� 
dell�intercettazione �illegittima era e resta l�epilogo �ordinario�; �avendo il legislatore stabilito, accanto 
all�inutilizzabilit� dei risultati, la distruzione delle intercettazioni nei casi previsti dal richiamato 
art. 271 c.p.p., se ne deve dedurre �che nelle ipotesi normativamente indicate, la volont� perseguita 
dalla legge � stata quella di escludere, non soltanto sul piano giuridico, ma financo su quello della �materialit�� 
degli atti, qualsiasi possibilit� di legittima fruizione di quelle acquisizioni�; id., 9 aprile 2010, 
n. 13426; come gi� affermato da Cass., Sez., I penale, 3 dicembre 1997, n. 11077. 
Una soluzione pratica al problema � la circolare emessa dal Procuratore Distrettuale di Catania, dott. 
Giovanni Salvi, in data 21 aprile 2012, dettata proprio al fine di garantire la riservatezza delle conversazioni 
anche nei confronti delle altre parti processuali, sulla quale si sofferma l�intervista al Dott. Salvi 
su La Repubblica del 30 luglio 2012. In particolare, in essa si precisa che: a) l�attivit� di captazione non 
pu� essere interrotta per il solo fatto che uno degli interlocutori sia il difensore; b) l�attivit� deve essere 
documentata; c) il pubblico ministero ha l�obbligo di verificare immediatamente l�operativit� o meno 
delle garanzie sancite dall�art. 103 c.p.p. e la conseguente inutilizzabilit� processuale delle intercettazioni; 
d) al pubblico ministero spetta di evitare ogni utilizzo illegittimo di tali comunicazioni e di attivare 
la procedura di distruzione delle comunicazioni intercettate e della relativa documentazione. 
(20) F. Paterniti, op. cit., pagg.23-24 �In tal modo, tra l�altro, si evita che la loro divulgazione, interferendo 
con lo svolgimento del mandato presidenziale, possa compromettere gli interessi affidati alla cura 
del Presidente della Repubblica, potendo, tra l�altro, causare una inammissibile strumentalizzazione 
delle fasi preparatorie rispetto alle attivit� funzionali formalmente poste in essere. 
Il presupposto della necessaria distruzione delle intercettazioni �indirette e/o casuali� deve rinvenirsi
TEMI ISTITUZIONALI 25 
La norma di cui all�art. 271, primo comma, prima parte, a mente della quale �i risultati delle 
intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dai 
casi consentiti dalla legge...� conferma, nel rispetto della riserva di legge affermata dall�art. 
15 Cost. , il principio generale dell�inutilizzabilit� delle prove acquisite in violazione dei divieti 
stabiliti dalla legge. 
Secondo la dottrina si devono distinguere i casi in cui l�intercettazione � vietata da quelli in 
cui solo l�utilizzazione dei suoi risultati � inibita (ad esempio per la loro irrilevanza). I primi 
sono divieti categorici che, pur comportando il dovere di inibire immediatamente l�intercettazione 
vietata, si convertono ex post in divieti di utilizzare i risultati della intercettazione, 
perch� con essi si sono voluti proteggere fondamentali valori costituzionali (come, ad esempio, 
l�art. 90 Cost. appunto). 
Questione diversa e centrale � quella del contraddittorio o della celebrazione di un�udienza 
camerale per la distruzione. 
Va, in primo luogo, osservato che la stessa Procura della Repubblica di Palermo ritiene che le 
intercettazioni per cui � conflitto siano irrilevanti (nel procedimento e nel processo penale) 
ed esclude che siano corpo di reato. 
Va osservato inoltre - ed � questa la contraddizione processuale della Procura di Palermo - 
che i nastri delle intercettazioni non sono stati riversati nel nuovo fascicolo n. 11719/12, in 
esito al quale � stato richiesto il rinvio a giudizio, tra gli altri, del sen. Mancino, ma sono rimasti 
nel fascicolo madre 11609/08, che scaturisce dal procedimento penale n. 18101/00 (riguardante 
la presunta trattativa Stato-mafia), gi� archiviato e poi oggetto di riapertura. In 
ordine a queste modalit� processuali, si rileva che la Procura di Palermo, se avesse ritenuto 
essenziale (come detto a pagina 12 della memoria difensiva) �non inibire all�innocente la 
possibilit� di portare in giudizio la prova, anche irritualmente acquisita, della non colpevolezza�, 
avrebbe dovuto allegare le n. 4 intercettazioni di cui al fascicolo 11719/12. Non essendosi 
verificata tale allegazione, la Procura di Palermo non ha alcun interesse a far valere 
oggi un avviso contrario, nell�ambito delle indagini per cui procede. La mancata allegazione 
al fascicolo, formato per stralcio, conclusivamente depone per la totale irrilevanza di tale materia 
ai fini della prova dell�innocenza degli imputati, secondo la valutazione effettuata dagli 
stessi Pubblici Ministeri. 
D�altra parte, anche qualora tale materiale fosse rilevante ai fini della prova della non colpevolezza 
degli imputati nel procedimento n. 11719/12 (in disparte ogni questione sull�incoerenza 
della condotta tenuta dall�organo dell�accusa), dall�immediata distruzione di esso non 
nella loro illegittimit� dalla quale deriva la loro inutilizzabilit� assoluta ricavabile dall�art. 271, comma 
1, c.p.p.�. 
La procedura contemplata dall�art. 268 c.p.p. � inutilizzabile, non solo perch� inopportuna, ma anche 
e soprattutto perch� inapplicabile. 
L�inapplicabilit� � logicamente connessa all�illegittimit� delle intercettazioni e �alla conseguente inutilizzabilit� 
assoluta delle stesse che, quindi, non possono essere nemmeno valutate nel merito quanto 
alla loro (ir)rilevanza processuale�. 
�L�inutilizzabilit� assoluta delle intercettazioni che captino indirettamente il Presidente della Repubblica, 
infatti, � un�inidoneit� funzionale della causa dell�atto a contenuto astrattamente probatorio. 
Tale garanzia, invocabile in presenza di un vizio assunto in violazione di un divieto probatorio, ovvero, 
in mancanza di un�esplicita autorizzazione specifica, derivante dalla legge, � espressione non solo di 
un principio di generale protezione dei diritti fondamentali della persona, ma � anche rafforzata, nel 
caso in esame, dall�art. 90 Cost�.
26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
deriverebbe, comunque, alcuna lesione dei diritti di difesa degli imputati stessi, in particolare, 
del sen. Mancino. 
Ne consegue, quindi, che, anche ove si dovesse ritenere che la registrazione casuale delle conversazioni 
del Presidente della Repubblica non determini ex se una lesione delle prerogative 
presidenziali, una lesione delle stesse sarebbe senz�altro rinvenibile nella pretesa di valutare, 
in contraddittorio tra le parti, l�eventuale rilevanza nel processo delle conversazioni, nonch� 
la loro conservazione in atti in un processo che non ha imputati e senza allegazione al fascicolo 
oggetto di stralcio, relativo a soggetti nei cui confronti � stata elevata formale imputazione. 
Del resto dalla sentenza n. 390/07 della Corte Costituzionale riguardante intercettazioni di 
conversazioni di parlamentari - invocata nella memoria di controparte - non pu� ricavarsi 
alcun principio che enunci la non riferibilit� dell�art. 271 c.p.p. alle intercettazioni indirette e 
casuali di conversazioni del Presidente della Repubblica; essa, infatti, ha riguardo all�art. 6 
della legge 20 giugno 2003, n. 140 di attuazione dell�art. 68 Cost.: norma non applicabile al 
Capo dello Stato per effetto dell�art. 6 della legge 219/89 citata. 
Il codice di procedura penale, peraltro, si � occupato espressamente del Presidente della Repubblica, 
non ignorando la legge costituzionale che sottrae alla magistratura ordinaria i procedimenti 
di accusa dello stesso Presidente. In particolare, l�art. 205, comma 3, c.p.p, nel 
disporre la possibilit� di confronto tra i testi che rivestono alte cariche dello Stato e altri testimoni, 
esclude che per il Presidente della Repubblica possa essere disposto il confronto con 
altri testi, nonch� che ne possa essere statuita la comparizione in giudizio. 
Da ci� ne consegue che sarebbe del tutto anomalo consentire che la voce del Presidente, non 
sottoponibile al confronto con le modalit� che la legge prescrive per la testimonianza dei testi, 
possa essere stata captata indirettamente e casualmente e poi successivamente utilizzata nel 
corso dell�attivit� investigativa (21). 
D�altra parte l�art. 268 c.p.p. si applica unicamente alle intercettazioni che sono state non solo 
legittimamente acquisite, ma che, anche e soprattutto, siano legittimamente utilizzabili. 
Infatti, la procedura prevista dall�art. 268 c.p.p., - come gi� osservato nel ricorso - facendo 
(21) �Alla luce dell�interpretazione sistematica delle disposizioni costituzionali rilevanti in materia, 
nonch� in base alla giurisprudenza costituzionale�, l�esistenza di un principio costituzionale volto alla 
tutela della sfera personale del titolare pro-tempore della Presidenza della Repubblica appare coerente 
con il ruolo e le attribuzioni che il nostro ordinamento riconosce al Capo dello Stato nell�ambito degli 
assetti connessi alla nostra forma di governo parlamentare. �Diversi, in sintesi, gli elementi che possono 
rappresentare �indizi� sull�esistenza di tale principio: a) la natura monocratica dell�organo, che comporta 
forme peculiari di tutela della sua libert� d�azione; b) la peculiarit� delle funzioni riconosciuto 
al Presidente dall�art. 87 Cost. e da altre disposizioni costituzionali, volte a configurarlo come un organo, 
autonomo e indipendente, di garanzia dell�equilibrio del complessivo sistema istituzionale, con 
poteri che attengono all�esercizio di tutte le principale funzioni statali; c) lo stesso art. 90 Cost. che riconosce 
al Capo dello Stato (e solo a lui nel nostro ordinamento) una esenzione totale da ogni forma 
di responsabilit� per tutti gli atti compiuti nell�esercizio delle funzioni. 
Tracce di tale principio, a ben vedere, sono rinvenibili in materia penale, sia sul piano sostanziale che 
sul piano processuale. Dal primo punto di vista, infatti, si ricorda l�art. 277 c.p. che punisce chiunque 
�attenta alla libert� del Presidente della Repubblica�; dal secondo, invece, si segnala l�art. 205 c.p.p. 
il quale prevede forme particolari di assunzione della testimonianza del Presidente della Repubblica, 
che deve essere sentito �nella sede in cui egli esercita la funzione di Capo dello Stato�. Disposizioni, 
tutte, che sembrano fare emergere (pur in ambiti e con finalit� differenti) la necessit� di dover garantire 
la libert� e continuit� dell�esercizio delle funzioni presidenziali, al riparo da ogni coercizione della sua 
persona�, T.F. Giupponi, op. ult. cit., pag. 11 e nota 24.
TEMI ISTITUZIONALI 27 
confluire le intercettazioni in un�udienza camerale nella quale le parti devono essere poste a 
conoscenza del contenuto delle conversazioni intercettate, sarebbe il tramite per la successiva 
e inevitabile divulgazione del contenuto delle conversazioni stesse. 
Come gi� osservato al precedente punto 4 (pagg. 14-15), quanto alla (pretesa) inammissibilit� 
del ricorso, nella memoria di costituzione la Procura di Palermo sostiene che �non � il P.M. 
che pu� disporre la distruzione della c.d. documentazione delle intercettazioni assertivamente 
vietate, ma il giudice, tanto nell�ipotesi di cui all�art. 271, comma 3, c.p.p. (l�unica disposizione 
applicabile al caso di specie, secondo l�esplicita affermazione dell�Avvocatura Generale 
dello Stato: ric. pag. 15), quanto nell�ipotesi, ben pi� corretta, dell�applicabilit� alla specie 
dell�art. 268, comma 6, e 269, comma 2, c.p.p.�. 
Le conclusioni (pag. 16 del ricorso), si ribadisce, devono evidentemente intendersi nel senso 
che si richiede alla Corte Costituzionale di dichiarare �che non spetta alla Procura della Repubblica 
presso il Tribunale Ordinario di Palermo di omettere l�immediata interruzione delle 
intercettazioni telefoniche casuali del Presidente della Repubblica, n� spetta valutarne l�(ir)rilevanza 
offrendole all�udienza stralcio di cui all�art. 268 c.p.p.�; proprio sul presupposto �del 
non corretto uso del potere giurisdizionale�, che, �produrrebbe un grave �vulnus� alle prerogative 
del Presidente della Repubblica, operando senza tenere di esse alcun conto e alterando 
in concreto e in modo definitivo la consistenza e l�assetto dei poteri previsti dalla Costituzione�; 
e dichiarare, altres�, che, comunque, la Procura della Repubblica di Palermo deve immediatamente 
attivarsi per chiedere al giudice la distruzione delle suindicate intercettazioni 
senza alcun contraddittorio. 
Non � assolutamente, quindi, posto in alcun dubbio che �i magistrati devono esercitare le 
proprie competenze� (pag. 8 della memoria della Procura di Palermo) e certamente non si 
chiede di modificare l�assetto delineato dall�art. 101 Cost. o di far emettere ai Pubblici Ministeri 
un provvedimento �contra legem�. 
Nessun contrasto, quindi, fra �petitum� e �causa petendi�, come si vorrebbe nella memoria 
(pag. 10), ma un logico svolgimento delle argomentazioni giuridiche, prima, e una corretta 
esplicazione delle conclusioni poi. 
Quanto alla asserita impossibilit� giuridica per il Pubblico Ministero di disporre la distruzione 
delle intercettazioni effettuate, l�assunto della Procura di Palermo pu� essere sintetizzato nell�affermazione 
(pag. 11) che, �pur nella differenza intercorrente tra l�art. 269, comma 2, e 
l�art. 271, comma 3, c.p.p. in nessuno dei due casi � possibile procedere all�immediata distruzione 
della documentazione delle intercettazioni prescindendo dal ricorso al giudice e 
dalle garanzie del contraddittorio�, richiamando in argomento la sentenza della Corte Costituzionale 
n. 463/1994. 
Tale argomentazione richiama un precedente che, per�, riguarda, invece, espressamente il 
solo caso dell�udienza camerale disposta su istanza di distruzione a tutela della riservatezza 
presentata da privati interessati dalle attivit� di indagine e non la disciplina giuridica del procedimento 
di distruzione delle intercettazioni eseguite in violazione di un preciso divieto di 
legge (e, nella specie, di legge di attuazione costituzionale). 
L�argomentazione finisce, poi, per rendere identiche due fattispecie affatto diverse (269, 
comma 3 e 271, comma 3, c.p.p.) e costituisce, anzi, proprio sotto tale profilo di equiparazione, 
una indiretta conferma della fondatezza del ricorso. 
Si tratta, infatti, di un caso (non sottoponibilit� a intercettazioni mentre il Presidente � in 
carica, sancito dall�art. 90 Cost.) posto come divieto assoluto e, quindi, come inutilizzabilit� 
processualmente definitiva: introdurre la fase del contraddittorio sulla rilevanza e/o l�utiliz-
28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
zabilit� delle intercettazioni, non previsto dal 3� comma dell�art. 271 c.p.p. equivale � inammissibilmente 
� a renderlo identico all�art. 269 c.p.p. 
Non � neppure condivisibile l�affermazione della Procura di Palermo secondo cui la fattispecie 
oggetto del conflitto non potrebbe comunque essere regolata dall�art. 271 c.p.p., poich� la giurisprudenza 
di legittimit� ha precisato che, sulla base del principio di tassativit� delle invalidit� 
processuali, l�art. 271, comma 1, c.p.p. si applica �ai soli casi di violazione di divieti normativi 
espressi e non � suscettibile di interpretazione analogica� (Cass. pen., sez. IV, n. 20130/05). 
In primo luogo, va osservato che, nella specie la sanzione prevista � l�inutilizzabilit� e non 
l�invalidit�. 
Va considerato, poi, che il richiamo giurisprudenziale non � corretto: la sentenza della Cassazione 
riguarda il caso di mancata osservanza delle prescrizioni previste dall�art. 268, terzo 
comma, c.p.p. (per essere state le intercettazioni eseguite presso i locali della Procura della 
Repubblica mentre il relativo verbale era stato redatto presso gli uffici del Comando Provinciale 
dei carabinieri) e, nella specie, � stata esclusa la possibilit� di applicare in via analogica 
alla redazione del verbale la previsione secondo cui �le operazioni possono essere compiute 
esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella Procura della Repubblica�. 
Del tutto diverso - si ripete - � il caso in esame, in cui le intercettazioni - per le motivazioni 
sopra diffusamente esposte - sono state �eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge�, ipotesi 
che �d� luogo automaticamente ad una situazione di radicale illegittimit� sanzionata non solo 
dalla inutilizzabilit� dei risultati, ma addirittura dalla fisica distruzione del materiale ricavato, 
che il giudice deve disporre di ufficio in ogni stato e grado del processo� (Cass. pen., sez. I, 
n. 11077/97 cit.). 
* * * 
Tanto premesso, nel caso in esame, sussistono precisi elementi oggettivi di prova del non corretto 
uso del potere inquirente e, di riflesso, giurisdizionale. Essi sono il non aver disposto 
l�interruzione della registrazione delle conversazioni nelle quali casualmente e indirettamente 
era coinvolto il Presidente della Repubblica, unitamente alle circostanze (pacifiche e non contestate) 
che il testo delle telefonate � stato mantenuto agli atti del processo e ne � stata addirittura 
valutata l�(ir)rilevanza e, soprattutto, che si ipotizza lo svolgimento di un�udienza 
secondo le modalit� indicate dall�art. 268 c.p.p. (trascrizione integrale delle intercettazioni, 
previa valutazione dell�irrilevanza; facolt� dei difensori di estrarne copia e udienza c.d. stralcio; 
autorizzazione del G.I.P. sentite le parti) per ottenerne l�acquisizione o la distruzione: 
procedimento inapplicabile alla fattispecie per le ragioni gi� ampiamente svolte. 
Le intercettazioni in questione, come si � detto, avrebbero dovuto essere immediatamente sospese 
e, comunque, di esse doveva chiedersi al giudice l�immediata distruzione non appena 
avuta contezza che nella conversazione era coinvolto il Presidente della Repubblica. 
La interruzione dell�intercettazione avrebbe dovuto essere disposta da parte dello stesso Pubblico 
Ministero o, nel caso di mancata interruzione, si sarebbe dovuta chiedere al Giudice la 
distruzione con la procedura di cui all�art. 271, comma 3, c.p.p., in difetto, comunque, di qualsiasi 
contraddittorio sulla rilevanza e/o l�utilizzabilit� delle intercettazioni; con l�ovvia avvertenza 
che il giudice avrebbe dovuto limitarsi a rilevare il fatto storico della intercettazione 
del Presidente della Repubblica, evitando qualsiasi esame dei contenuti delle medesime, in 
quanto intercettazioni vietate, perci�, illegittime e affette da nullit� assoluta. 
La valutazione del Pubblico Ministero e del Giudice non pu� che essere limitata, infatti, alla verifica 
del fatto storico dell�essere stata effettuata una intercettazione assolutamente vietata, senza 
entrare e, perci�, valutare il contenuto della stessa anche ai fini della sua rilevanza processuale.
TEMI ISTITUZIONALI 29 
L�intercettazione assolutamente vietata dalla legge � assolutamente inutilizzabile nel processo, 
resta fuori dal processo e rileva solo come accertamento del fatto storico vietato ai fini dell�immediata 
distruzione. 
Ritenuto quanto precede, il ricorrente Presidente della Repubblica, alla luce di quanto ampiamente 
esposto sulle conclusioni gi� rassegnate, chiede che l�Ecc.ma Corte adita dichiari: 1) 
che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo di omettere 
di interrompere l�effettuazione delle intercettazioni casuali del Presidente della Repubblica; 
2) e che, comunque, non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale 
Ordinario di Palermo di omettere, una volta acquisite le predette intercettazioni, di chiederne 
al Giudice l�immediata distruzione n� spetta valutarne la (ir)rilevanza offrendole all�udienza 
stralcio di cui all�art. 268 c.p.p. 
* * * 
Roma, 23 novembre 2012 
L�Avvocato Generale dello Stato 
Michele Giuseppe Dipace 
Il Vice Avvocato Generale dello Stato 
Antonio Palatiello 
L�Avvocato dello Stato 
Gabriella Palmieri 
DISCUSSIONE 
Ud. Pubblica del 4 dicembre 2012 
Credo sia essenziale precisare, ancora una volta, l�oggetto e la finalit� del presente conflitto 
attribuzione, perch� si � dovuto constatare che, anche nella memoria della Procura di Palermo, 
oltre che nell�atto di costituzione, sono state formulate eccezioni di inammissibilit� del conflitto 
stesso che fanno venire il dubbio che la portata oggettiva del ricorso non sia stata intesa 
correttamente. 
1.- Oggetto del conflitto 
1.1 Al fine di definire con precisione l�oggetto del conflitto e le ragioni che lo hanno determinato 
bisogna tener presente alcuni comportamenti (fatti) e atti della Procura della Repubblica 
di Palermo che hanno avuto e tutt�ora continuano ad avere una chiara e puntuale 
rilevanza giuridica che hanno imposto la proposizione del presente ricorso. 
Anche se si vuole prescindere dall�intervista del P.M. Antonino Di Matteo pubblicata sul quotidiano 
�La Repubblica� del 22 giugno 2012, che ha portato a conoscenza pubblica l�esistenza 
di alcune intercettazioni telefoniche, sembra indirette e/o casuali, di conversazioni tra il Sen. 
Mancino ed il P.d.R., successivamente sia lo stesso P.M. che il Sig. Procuratore Capo della procura 
di Palermo confermavano l�esistenza di tali intercettazioni e affermavano che �avendo 
gi� valutato come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia eventuale conversazione in 
atti diretta al Capo dello Stato, non se ne prevede alcuna utilizzazione investigativa e processuale, 
ma esclusivamente la distruzione da effettuare con l�osservanza delle formalit� di legge�.
30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Ancor pi� il procuratore capo con nota del 9 luglio 2012 e con lettera pubblicata in data 11 
luglio 2012 sul quotidiano la Repubblica affermava che �nell�ordinamento attuale nessuna 
norma prescrive, o anche soltanto autorizza, l�immediata cessazione dell�ascolto e della registrazione 
quando, nel corso di una intercettazione telefonica legittimamente autorizzata, 
venga casualmente ascoltata una conversazione fra il soggetto sottoposto ad intercettazione 
ed altra persona nei cui confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione�. 
Inoltre che �in tali casi, alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata 
e registrata si procede esclusivamente, previa valutazione della rilevanza della conversazione 
stessa ai fini del procedimento e con l�autorizzazione del giudice per le indagini 
preliminari, sentite le parti. Ci� � quanto prevedono le pi� elementari norme di legge ...�. 
Da queste affermazioni e dalla risposta ufficiale alla richiesta di informazione e chiarimenti 
all�Avvocato Generale dello Stato (nota 6 luglio 2012) emergeva che: 
1 - erano state effettuate alcune intercettazioni telefoniche di conversazioni tra il Sen. Mancino 
e il P.d.R. 
2 - la Procura della Repubblica, dopo averle ascoltate, ne aveva valutato la rilevanza ai fini 
della loro eventuale utilizzazione investigativa o processuale, ritenendole poi irrilevanti ai 
fini del processo in corso; (atto tipicamente processual-penalistico) 
3 - le predette intercettazioni erano rimaste e tuttora restano agli atti del procedimento omettendo 
la procura della Repubblica di procedere alla immediata richiesta al GIP di distruzione 
delle stesse perch� assolutamente vietate; (comportamento giuridico omissivo di un 
atto del procedimento) 
4 - per esse il P.M. riteneva di applicare la procedura camerale ex art. 269 c.p.p. secondo cui 
le registrazioni delle intercettazioni (legittime) sono conservate fino alla sentenza non pi� 
soggetta a impugnazione. 
Prevede tale norma che in tali casi gli interessati (le parti del processo, e non certo il P.d.R. 
che non solo non � parte del processo in questione, ma neppure era a conoscenza delle intercettazioni) 
possono richiedere che la documentazione non necessaria per il processo (cio� irrilevante) 
sia distrutta a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato e convalidato 
l�intercettazione, che decide in camera di consiglio in contraddittorio con le parti (a norma 
dell�art. 127 c.p.p.) 
Queste circostanze comportano senza dubbio che tale procedura ex art. 269 c.p.p. era stata sostanzialmente 
iniziata poich� le intercettazioni in questione venivano inserite in un fascicolo stralcio 
e perci� veniva omessa la necessaria richiesta al G.I.P. di immediata distruzione delle stesse. 
Diversamente da quanto ipotizza la Procura della Repubblica sollevando, anche nella memoria 
per questa udienza, l�eccezione di inammissibilit� del conflitto in quanto rivolto a un mero 
intento della Procura stessa di procedere con l�osservanza delle formalit� di legge e, ancora 
pi�, di aver proposto un conflitto prematuro perch� sarebbe dovuto essere rivolto contro un 
provvedimento giurisdizionale del G.I.P. e non verso il mero intento del P.M., i comportamenti 
descritti e gli atti formali del P.M. giuridicamente rilevanti prima indicati, hanno imposto la 
proposizione del conflitto di attribuzione in quanto tali fatti e atti sono ritenuti violativi delle 
prerogative (o immunit�) del P.d.R. previste e derivanti dall�art. 90 Cost. e dall�art. 7 della 
legge 5 giugno 2009 n. 219 che ha reso operativa tale norma della Costituzione regolando appunto 
anche la materia di qualsiasi intercettazioni telefoniche dirette e indirette nei confronti 
del P.d.R. Tale normativa, come � noto, integra le norme costituzionali sulla responsabilit� 
penale del P.d.R. per le ipotesi previste nell�art. 90 della Costituzione e costituiscono esse 
stesse un parametro di costituzionalit�.
TEMI ISTITUZIONALI 31 
Peraltro si deve osservare che non di solo intento del P.M. si tratti, � dimostrato dal fatto che 
tuttora la situazione non � mutata e pertanto persiste l�omissione di immediata richiesta al 
G.I.P. di distruzione delle intercettazioni, illegittime in questione. 
Si deve altres� precisare che il P.d.R. � del tutto estraneo ai procedimenti penali in corso per 
cui non pu� reagire con gli strumenti processuali interni al processo avverso le scelte, anche 
processuali del P.M., che ritiene illegittime, ma ritenendo che siano violate le prerogative della 
propria funzione ha la via obbligata del conflitto di attribuzione, come appunto � avvenuto. 
Non si tratta, inoltre, come afferma la procura, di un conflitto su una ipotetica scelta di soluzione 
processuale, ma di atti giuridici precisi della Procura in quanto attraverso la valutazione 
della rilevanza ai fini processuali delle intercettazioni in questione si � iniziata la procedura 
ex artt. 268 e 269 c.p.p. che, secondo l�assunto contenuto nel ricorso, porta a violare il principio 
dell�assoluta riservatezza delle comunicazioni del P.d.R. in quanto tale procedura comporta 
il contraddittorio pieno tra le parti interessate e la sicura pubblicit� del contenuto delle 
conversazioni. 
Contenuto delle conversazioni che codesta Corte, nell�ordinanza che ha dichiarato l�ammissibilit� 
del presente ricorso, ha deciso di non voler conoscere perch� appunto ha ritenuto che 
dovesse restare riservato. 
Inoltre, per ulteriore chiarezza, si deve ribadire che non � stato mai chiesto che la distruzione 
delle intercettazioni fosse effettuata dal Pubblico Ministero, ma dal Giudice come emerge chiaramente 
da tutto il contesto del ricorso nel quale si � richiamata l�applicazione dell�art. 271 c.p.p. 
La tesi avversa sulla quale insiste la difesa della procura, � frutto di un�errata e parziale interpretazione 
delle conclusioni del ricorso avulsa da tutto il contesto del ricorso stesso e pertanto 
del tutto infondata. 
1.2 E veniamo all�oggetto del presente conflitto. La Corte Costituzionale dovr� stabilire sostanzialmente 
quale sia il trattamento giuridico relativo alle intercettazioni assunte come occasionali 
delle conversazioni del P.d.R. e stabilire la procedura con la quale si deve pervenire 
alla distruzione che non contrasti con i principi costituzionali inerenti la riservatezza delle comunicazioni 
del P.d.R.. 
La Corte dovr� stabilire se le disposizioni costituzionali dell�art. 90 Cost. e dell�art. 7 della l. 
219/89 siano state violate, anche sotto il profilo della menomazione delle immunit� presidenziali, 
da parte della Procura di Palermo, per aver proceduto alla valutazione della rilevanza 
del contenuto delle intercettazioni in questione; per aver tenuto e continuato a tenere tali intercettazioni 
agli atti ora di un procedimento stralcio ancora non sappiamo per quanto tempo; 
aver omesso di chiedere al G.I.P. l�immediata distruzione delle stesse; aver avviato una procedura 
processuale in cui sia il gip, in una udienza camerale, a stabilire, secondo le norme 
generali, se debbano o meno essere distrutte mettendole a disposizione delle parti ed in contraddittorio 
con esse, con la certezza che l�immunit� del P.d.R. sulla riservatezza delle sue 
conversazioni non sia pi� esistente. 
� del tutto evidente che la Procura di Palermo ha trattato le intercettazioni delle telefonate in 
questione come normali intercettazioni, sia pure acquisite indirettamente e occasionalmente, 
alle quali applicare le regole processuali delle intercettazioni legittime, senza tenere in minimo 
conto che erano intercettazioni di conversazioni in cui era coinvolto il P.d.R. e pertanto vietate 
perch� effettuate in violazione dell�art. 90 della Cost. e dell�art. 7 della l. 219/1989 prima citati. 
La procedura considerata e perseguita espressamente dalla Procura riguarda le c.d. intercettazioni 
irrilevanti per il processo penale, che, su richiesta degli interessanti, possono essere
32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
distrutte a norma dell�art. 268 c. 4-8 c.p.p. e 269 c.p.p. (deposito delle registrazioni nella segreteria 
del P.M.; facolt� del difensore di prenderne visione in modo da poter influire sulla 
decisione di stralcio dei contenuti superflui; richiesta di distruzione da parte degli interessati; 
decisione del G.I.P. in camera di consiglio ai sensi dell�art. 127 c.p.p. con il pieno contraddittorio 
delle parti) e non delle intercettazioni illegittime perch� vietate dalla legge che seguono 
la procedura dell�art. 271 1� e 3� comma c.p.p. sulla inutilizzabilit� ai fini processuali, come 
peraltro prevede il comma due dello stesso articolo 269 c.p.p. 
Sia chiaro non si contesta che le intercettazioni nei confronti di un indagato, il Sen. Mancino, 
non siano state autorizzate e perci� legittime nei confronti dell�indagato, si vuole far presente 
che quelle tra il suddetto e il P.d.R. sono divenute illegittime perch� vietate dalle norme costituzionali 
e da quelle c.d. interposte quale � l�art. 7 della l. 219/1989, e pertanto contra costitutionem, 
coinvolgendo un soggetto che non pu� essere intercettato. 
Non voglio qui stare a ripetere i principi costituzionali che sono a fondamento del presente 
conflitto di attribuzione anche e soprattutto perch� sono stati ampiamente illustrati nel ricorso 
e nella memoria. 
N� intendo ripetere le argomentazioni della portata della norma costituzionale e delle relative 
norme di attuazione in tali atti formulate e che sono state indicate anche dal giudice relatore. 
Vorrei soltanto ribadire che lo scopo del presente conflitto � l�affermazione del principio della 
libert� delle comunicazioni del P.d.R. come connotato essenziale dell�esercizio delle sue attivit�. 
Tale principio � strettamente correlato, da uno stretto nesso di conseguenzialit� con 
l�altro principio dell�assoluta riservatezza di tali comunicazioni. 
Come si � detto, il presente ricorso ha quale finalit� non solo quella di tutelare il sereno svolgimento 
della funzione presidenziale ma anche di salvaguardare gli interessi nazionali cui la 
funzione stessa � preposta. 
La conoscibilit� delle conversazioni del presidente inciderebbe negativamente sulla necessaria riservatezza 
che deve essere garantita a tutte le attivit�, anche preparatorie, degli atti presidenziali. 
In altri termini l�acquisizione delle intercettazioni in una pubblica udienza finalizzate alla valutazione 
della loro rilevanza processuale comportando di fatto la certa divulgazione del loro 
contenuto indubbiamente violerebbe la immunit� legata alla funzione del P.d.R. oltre che i 
supremi interessi nazionali che tale funzione � destinata a garantire. 
Nel caso in esame, come si � ampiamente dedotto in memoria, non vi � dubbio che le comunicazioni 
del Presidente siano collocabili all�interno delle funzioni dell�organo che impersona. 
Ogni questione sulla distinzione tra atti funzionali e attivit� extrafunzionali che nelle difese 
della procura vengono dedotte sono da ritenersi ultronee. 
Tale distinzione, � stato detto, attiene esclusivamente al diverso problema dell�individuazione 
dei confini dell�irresponsabilit� funzionale del Capo dello Stato, mentre appare inconferente 
in relazione alla individuazione di forme di tutela sul piano esclusivamente processuale della 
persona del P.d.R.. 
Tali forme di tutela appaiono coerenti con il ruolo e le attribuzioni del P.d.R. e mirano a garantire 
il libero esercizio delle sue peculiari funzioni costituzionali, soprattutto in materia di 
libert� delle comunicazioni e della corrispondenza la cui segretezza non pu� essere soggetta 
a limitazione. 
Tutta la dottrina costituzionalista che si � occupata del presente conflitto non ha messo in dubbio 
che le telefonate intercettate casualmente fossero state effettuate con riguardo non alla 
persona privata del Presidente ma alla sua qualit� e funzione di Presidente della Repubblica, 
ove questa distinzione, come si � esposto in memoria, possa avere una reale valenza nel con-
TEMI ISTITUZIONALI 33 
creto delle attivit� che il P.d.R. venga a svolgere. 
Alle attivit� di comunicazione del P.d.R. va riconosciuta l�irresponsabilit� giuridica che comporta 
l�immunit� prevista dall�art. 90 Cost. secondo i principi e le caratteristiche che in materia 
di prerogative costituzionali ha indicato la Corte nella sentenza 262 del 2009, tra cui spicca 
la libert� delle comunicazioni e la conseguente loro riservatezza. 
Non si tratta di privilegi, come assume la difesa della Procura palermitana, ormai inimmaginabili 
in un paese democratico, ma di immunit� funzionali all�esercizio dei poteri presidenziali 
derivanti dalla Costituzione. Le attivit� del P.d.R. debbono liberamente svolgersi, come � stato 
detto, in rigorosa riservatezza proprio per garantire il buon andamento delle istituzioni e, pi� 
in generale, dell�intero Paese. 
Per questo le intercettazioni delle conversazioni del Capo dello Stato, anche se indirette e casuali, 
sono da ritenersi illegittime perch� in contrasto con la prerogativa giuridica di cui all�art. 
90 Cost. integrata dall�art. 7 della L. 219/1989 e non debbono entrare nel processo penale 
L�art. 7 della l. 219 regolando espressamente il regime delle intercettazioni dirette stabilisce, 
in termini generali, l�impossibilit� di svolgere attivit� investigative allorch� il Presidente sia 
in costanza di carica se non per i casi e con la procedura prevista da tale norma (reati contemplati 
nell�art. 90 Cost. e autorizzazione del comitato parlamentare dopo che il presidente sia 
stato sospeso). 
La stessa norma stabilendo che �in ogni caso� il comitato parlamentare pu� autorizzare le intercettazioni 
solo dopo che il Presidente sia stato sospeso dalla carica autorizza a ritenere che 
i limiti introdotti da tale norma sono applicabili �in ogni caso� e quindi anche nella diversa 
ipotesi di intercettazioni c.d. indirette ed occasionali per il principio, come si � detto, che il 
pi� contenga il meno, ma soprattutto per un�interpretazione della norma che rispetti i menzionati 
principi costituzionali. 
Non � esatto che non vi sia una previsione nel codice di procedura penale circa l�interruzione 
immediata dell�intercettazione della conversazione del P.d.R. o la sua immediata distruzione 
senza contraddittorio. Ci� solo in apparenza poich� le intercettazioni in questione sono state 
eseguite fuori dai casi previsti dalla legge, non possono essere oggetto di alcuna valutazione, 
sono ex lege inutilizzabili e debbono essere distrutte dai giudici, trovando nella disposizione 
generale dell�art. 271 c.p.p., che disciplina le intercettazioni illegittime, la loro regola procedurale 
senza contraddittorio sul contenuto. 
Ci� per evitare che gli strumenti d�indagine possono incidere sulla riservatezza necessaria per 
svolgere le funzioni proprie dell�ufficio presidenziale. 
Sotto questo profilo la differenza tra intercettazioni dirette e indirette � del tutto irrilevante essendo 
tutte ugualmente vietate o acquisite contra legem in violazione di principi costituzionali. 
Ne deriva che le intercettazioni, anche casuali, del P.d.R. in carica non possono essere acquisite 
agli atti del processo sono illegittime e debbono essere immediatamente distrutte perch� assolutamente 
inutilizzabili senza la valutazione della loro eventuale rilevanza processuale. 
Il combinato disposto dell�art. 7 c. 3 della l. 219/89 e dell�art. 271 c. 1 c.p.p. regolano, sotto 
il profilo procedimentale, la sorte delle intercettazioni illegittime perch� effettuate nei confronti 
del P.d.R., e perci� del tutto inutilizzabili. 
Dalle predette norme deriva senza dubbio che l�obbligo dell�immediata distruzione debba avvenire 
senza la divulgazione della loro esistenza e del contenuto e soprattutto senza contraddittorio, 
che non riguardi il fatto storico, che potrebbe interferire con lo svolgimento del 
mandato presidenziale e compromettere le funzioni del Capo dello Stato che riguardano gli 
interessi preminenti dello Stato.
34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Come � stato detto un�intercettazione che coinvolga, anche in via indiretta il P.d.R., non oggetto 
di indagine penale, rappresenta una raccolta illegale di informazioni che deve essere immediatamente 
distrutta. 
Il testo delle intercettazioni non potrebbe mai essere introdotto in giudizio come mezzo di ricerca 
della prova, attesa l�impossibilit� giuridica che se ne valuti da terzi l�eventuale rilevanza 
processuale. 
Invero il semplice deposito del testo, ai sensi della procedura di cui agli artt. 268 e 269 c.p.p., 
sia pure per la distruzione, violerebbe il principio costituzionale della libert� di determinazione 
e azione del P.d.R. e delle comunicazioni, anche telefoniche, del Capo dello Stato che, proprio 
per il libero esercizio delle attivit� presidenziali debbono essere riservate. 
Si confida nell�accoglimento delle conclusioni formulate nel ricorso e confermate nella memoria. 
Michele Giuseppe Dipace 
Avvocato Generale dello Stato 
SENTENZA N. 1 
ANNO 2013 
REPUBBLICA ITALIANA 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, 
Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, 
Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, 
Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, 
ha pronunciato la seguente 
SENTENZA 
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell�attivit� di 
intercettazione telefonica svolta nell�ambito di un procedimento penale pendente dinanzi alla 
Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, effettuata su utenza di altra 
persona, nel corso della quale sono state captate conversazioni del Presidente della Repubblica, 
promosso dal Presidente della Repubblica, con ricorso notificato il 24 settembre 2012, depositato 
in cancelleria il 26 settembre 2012 ed iscritto al n. 4 del registro conflitti tra poteri dello 
Stato 2012, fase di merito. 
Visto l�atto di costituzione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di 
Palermo; 
uditi nell�udienza pubblica del 4 dicembre 2012 i Giudici relatori Gaetano Silvestri e Giuseppe 
Frigo; 
TEMI ISTITUZIONALI 35 
uditi gli avvocati dello Stato Michele Giuseppe Dipace, Gabriella Palmieri e Antonio Palatiello 
per il Presidente della Repubblica e gli avvocati Giovanni Serges, Mario Serio e Alessandro 
Pace per il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo. 
Ritenuto in fatto 
1.� Con ricorso depositato il 30 luglio 2012, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, 
rappresentato e difeso dall�Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto 
di attribuzione tra poteri dello Stato, �per violazione degli articoli 90 e 3 della Costituzione e 
delle disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione� � in particolare, l�art. 7 
della legge 5 giugno 1989, n. 219 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti 
dall�articolo 90 della Costituzione), �anche con riferimento all�art. 271 del codice di procedura 
penale� � nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, 
in relazione all�attivit� di intercettazione telefonica, svolta riguardo alle utenze di persona 
diversa nell�ambito di un procedimento penale pendente a Palermo, nel corso della quale 
sono state captate conversazioni intrattenute dallo stesso Presidente della Repubblica. 
1.1.� Il ricorrente riferisce che, con nota del 27 giugno 2012, l�Avvocato generale dello 
Stato, su mandato del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, aveva chiesto al 
dott. Francesco Messineo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, �una 
conferma o una smentita� di quanto risultava dalle dichiarazioni rese dal sostituto Procuratore 
Antonino Di Matteo nel corso di un�intervista pubblicata dal quotidiano �La Repubblica� del 
22 giugno 2012: che erano state intercettate, cio�, conversazioni telefoniche del Presidente della 
Repubblica, considerate allo stato irrilevanti, ma che la Procura si sarebbe riservata di utilizzare. 
Con nota del 6 luglio 2012, il Procuratore della Repubblica � allegando la missiva del 
giorno precedente, con la quale il dott. Di Matteo aveva rappresentato che, in risposta ad una 
domanda �assolutamente generica� dell�intervistatore sulla sorte delle intercettazioni effettuate, 
egli si era limitato �all�ovvio richiamo alla corretta applicazione della normativa in 
tema di utilizzo degli esiti delle attivit� di intercettazione telefonica� � aveva comunicato che 
la Procura di Palermo, �avendo gi� valutato come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia 
eventuale comunicazione telefonica in atti diretta al Capo dello Stato, non ne 
prevede[va] alcuna utilizzazione investigativa o processuale, ma esclusivamente la distruzione 
da effettuare con l�osservanza delle formalit� di legge�. 
Con successiva nota, diffusa il 9 luglio 2012, e con lettera pubblicata sul quotidiano �La 
Repubblica� l�11 luglio 2012, il dott. Messineo aveva ulteriormente affermato che �nell�ordinamento 
attuale nessuna norma prescrive o anche soltanto autorizza l�immediata cessazione 
dell�ascolto e della registrazione, quando, nel corso di una intercettazione telefonica legittimamente 
autorizzata, venga casualmente ascoltata una conversazione fra il soggetto sottoposto 
ad intercettazione ed altra persona nei cui confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione
�. Si aggiungeva dal Procuratore che, �in tali casi, alla successiva distruzione della 
conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede esclusivamente, previa valutazione 
della irrilevanza della conversazione stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione 
del Giudice per le indagini preliminari, sentite le parti. Ci� � quanto prevedono le pi� 
elementari norme dell�ordinamento [�]�. 
1.2.� Ad avviso del ricorrente, la tesi del Procuratore della Repubblica non sarebbe condivisibile, 
in quanto, alla luce dell�art. 90 Cost. e dell�art. 7 della legge n. 219 del 1989 � salvi 
i casi di alto tradimento e di attentato alla Costituzione e con l�applicazione del regime previsto 
dalle norme che disciplinano il procedimento d�accusa � le intercettazioni delle conversazioni
36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorch� �indirette� od �occasionali�, dovrebbero 
ritenersi assolutamente vietate. Di conseguenza, esse non potrebbero essere in alcun 
modo valutate, utilizzate e trascritte, dovendo il pubblico ministero chiederne al giudice l�immediata 
distruzione. 
L�art. 90 Cost. stabilisce, infatti, che �il Presidente della Repubblica non � responsabile 
degli atti compiuti nell�esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato 
alla Costituzione�, aggiungendo che �in tali casi � messo in stato di accusa dal Parlamento 
in seduta comune, a maggioranza assoluta dei propri membri�. L�immunit� in tal modo 
accordata al Presidente non consisterebbe solo in una irresponsabilit� giuridica per le conseguenze 
penali, amministrative e civili eventualmente derivanti dagli atti tipici compiuti nell�esercizio 
delle sue funzioni, ma anche in una irresponsabilit� politica, diretta a garantire la 
piena libert� e la sicurezza di tutte le modalit� di esercizio delle attribuzioni presidenziali. 
Lungi dal costituire un �inammissibile privilegio�, legato ad esperienze ormai definitivamente 
superate e tale da incrinare il principio dell�eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, l�immunit� 
in questione risulterebbe strumentale all�espletamento degli altissimi compiti che la 
Costituzione demanda al Presidente della Repubblica, nella sua veste di Capo dello Stato e di 
rappresentante dell�unit� nazionale, intesi ad assicurare in modo imparziale, insieme agli altri 
organi di garanzia, il corretto funzionamento del sistema istituzionale e la tutela degli interessi 
permanenti della Nazione. La previsione dell�art. 90 Cost. rappresenterebbe, in questa prospettiva, 
anche un limite alle attribuzioni degli altri poteri dello Stato, le quali, ove non correttamente 
esercitate, menomerebbero le prerogative presidenziali. 
Sarebbe, in pari tempo, del tutto evidente come, nello svolgimento dei predetti compiti, 
debba essere garantito al Presidente della Repubblica �il massimo di libert� di azione e di riservatezza
�, anche perch� alcune delle attivit� che egli pone in essere nel perseguimento delle 
finalit� istituzionali � e di non poco significato � �non hanno un carattere formalizzato�. 
La conseguente impossibilit� che vengano posti limiti alla libert� di comunicazione del 
Capo dello Stato, anche da parte di altra autorit�, risulterebbe confermata dall�interpretazione 
sistematica delle norme di legge ordinaria che, in attuazione dei principi costituzionali, disciplinano 
la posizione del Presidente. L�art. 7, comma 3, della legge n. 219 del 1989 � disposizione 
che, in quanto contenuta in una fonte legislativa dichiaratamente volta ad attuare l�art. 
90 Cost., assumerebbe un �ruolo integrativo� della norma costituzionale � vieta infatti, in 
modo assoluto, di disporre l�intercettazione di conversazioni telefoniche o di altre forme di 
comunicazione nei confronti del Presidente della Repubblica, se non dopo che la Corte costituzionale 
ne abbia disposto la sospensione dalla carica. Il divieto � sancito con riferimento ai 
reati per i quali, in base all�art. 90 Cost., il Presidente pu� essere messo in stato di accusa 
(alto tradimento e attentato alla Costituzione). Ma se, in questi casi, vi � un divieto assoluto 
di intercettazione �diretta� fin quando il Presidente � in carica, sarebbe �naturale� che sussista 
un divieto, altrettanto assoluto, di intercettare e, se del caso, di utilizzare le comunicazioni 
presidenziali anche qualora captate in modo indiretto o casuale, trattandosi di attivit� egualmente 
idonea a ledere la sua sfera di immunit�. 
Sarebbe poi altrettanto evidente che il divieto assoluto di ricorso al controllo delle comunicazioni 
telefoniche, enunciato in rapporto ai reati presidenziali, debba estendersi, nel silenzio 
della legge, ad altre fattispecie di reato che possano a diverso titolo coinvolgere il 
Presidente. A maggior ragione dovrebbe ritenersi inammissibile l�utilizzazione di sue conversazioni 
intercettate occasionalmente nel corso di indagini concernenti reati addebitabili a terzi, 
come � avvenuto nel caso in esame. 
TEMI ISTITUZIONALI 37 
1.3.� In conclusione, il divieto di intercettazione riguarderebbe anche le cosiddette intercettazioni 
�indirette� o �casuali� effettuate mentre il Presidente della Repubblica � in carica: 
con l�immediata conseguenza che i risultati delle captazioni eventualmente intervenute 
non potrebbero essere comunque utilizzati, dovendo la relativa documentazione essere immediatamente 
distrutta in applicazione dell�art. 271 cod. proc. pen. Varrebbero infatti a fortiori, 
per il Capo dello Stato, le tutele stabilite per l�intercettazione delle comunicazioni del difensore 
(art. 103 cod. proc. pen.): segnatamente, il divieto assoluto di utilizzazione, essendosi di fronte 
ad un atto eseguito �fuori dei casi consentiti della legge�. 
Con riguardo all�illegittima captazione di conversazioni del Presidente non sarebbero 
applicabili, dunque, n� la procedura prevista dall�art. 268, commi 4 e seguenti, cod. proc. pen. 
(deposito della documentazione nella segreteria del pubblico ministero; facolt� di esame della 
stessa da parte dei difensori; acquisizione, ad opera del giudice per le indagini preliminari, 
delle conversazioni indicate dalle parti che appaiano non manifestamente irrilevanti; stralcio 
delle conversazioni di cui � vietata l�utilizzazione; inserimento nel fascicolo della documentazione 
acquisita e possibilit� per le parti di estrarre copia delle registrazioni), n� le disposizioni 
dell�art. 269 cod. proc. pen. (conservazione dei verbali e delle registrazioni fino alla 
sentenza non pi� soggetta a impugnazione; udienza camerale per la distruzione, a tutela delle 
riservatezza degli interessati e su loro richiesta, delle registrazioni e dei verbali la cui conservazione 
non risulti necessaria ai fini del procedimento), n�, ancora, la previsione dell�art. 270 
cod. proc. pen. (utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi, secondo 
le prescrizioni del citato art. 268). 
Egualmente inapplicabile sarebbe l�art. 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni 
per l�attuazione dell�articolo 68 della Costituzione nonch� in materia di processi penali 
nei confronti delle alte cariche dello Stato), che disciplina le intercettazioni indirette o casuali 
di conversazioni o comunicazioni di membri del Parlamento. Alla luce della normativa costituzionale 
e ordinaria richiamata in precedenza, la posizione del Presidente della Repubblica 
non sarebbe assimilabile a quella del parlamentare: solo il secondo, infatti, pu� essere sottoposto 
ad intercettazione da parte del giudice ordinario, previa autorizzazione della Camera di 
appartenenza; correlativamente, al solo parlamentare si riferisce l�art. 6 della legge n. 140 del 
2003, quando richiede un�autorizzazione �successiva� per l�utilizzazione delle intercettazioni 
casuali. Con riguardo alle intercettazioni occasionalmente effettuate nel corso di indagini 
svolte nei confronti di altri soggetti, la tutela del parlamentare risponderebbe, d�altra parte, 
ad una ratio diversa da quella della tutela del Presidente della Repubblica. Rispetto a quest�ultimo, 
detta ratio risiederebbe nella protezione della funzione; per il parlamentare, invece, 
nella sola salvaguardia della sua riservatezza, che � come rilevato dalla Corte costituzionale 
nella sentenza n. 390 del 2007 � sarebbe ingiustificato differenziare da quella di qualunque 
altro cittadino, non essendo in tal caso configurabile un pregiudizio per la funzionalit� della 
Camera di appartenenza, unico presupposto dell�autorizzazione prevista dall�art. 68 Cost. 
Rispetto all�intercettazione di conversazioni del Presidente della Repubblica, in definitiva, 
non avrebbe senso porsi il problema di una loro eventuale utilizzazione nel procedimento 
in corso o in altri procedimenti, a carico o in difesa di diversi soggetti, poich� ci� vanificherebbe 
comunque la garanzia funzionale riconosciuta negli articoli da 87 a 90 della Costituzione; 
n� assumerebbe rilievo la distinzione tra intercettazioni dirette, indirette o casuali, 
trattandosi di concetti che trovano il loro fondamento nella citata legge n. 140 del 2003 � insuscettibile 
di applicazione analogica al Capo dello Stato � e che presuppongono, altres�, l�esistenza 
di un organo competente al rilascio di una autorizzazione preventiva o successiva. 
38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
1.4.� Alla stregua delle considerazioni che precedono, si dovrebbe conclusivamente ritenere 
che la Procura della Repubblica di Palermo abbia fatto un uso non corretto dei propri 
poteri, menomando, con ci�, le prerogative del ricorrente. Queste ultime risulterebbero lese, 
in specie, dall�avvenuta registrazione delle intercettazioni �nelle quali era casualmente e indirettamente 
coinvolto il Presidente della Repubblica�; dalla permanenza della relativa documentazione 
tra gli atti del procedimento; dal fatto che ne sia stata valutata la rilevanza ai 
fini di una eventuale utilizzazione investigativa o processuale, e � soprattutto � dal manifestato 
intento della Procura di attivare un�udienza secondo le modalit� indicate dall�art. 268 cod. 
proc. pen., per ottenerne l�acquisizione o la distruzione: procedura che � anche in ragione dell�instaurazione 
di un contraddittorio sul punto � aggraverebbe gli effetti lesivi delle precedenti 
condotte, rendendoli definitivi. 
Il ricorrente, pertanto, chiede alla Corte di dichiarare che non spetta alla Procura di Palermo 
�omettere l�immediata distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali di conversazioni 
del Presidente della Repubblica�, delle quali si discute, n� valutarne la �(ir)rilevanza�, 
offrendole alla �udienza stralcio� disciplinata dall�art. 268 cod. proc. pen. 
2.� Il conflitto � stato dichiarato ammissibile dalla Corte con ordinanza n. 218 del 2012, 
�impregiudicata ogni ulteriore e diversa determinazione, anche in relazione alla stessa ammissibilit� 
del ricorso�. 
Con ordinanza istruttoria del 19 settembre 2012, la stessa Corte � ritenendo gi� da quel 
momento necessaria la cognizione dei relativi elementi � ha disposto che la Procura di Palermo, 
entro il termine di venti giorni dalla comunicazione del provvedimento, indicasse il 
numero e la data delle intercettazioni di comunicazioni telefoniche del Presidente della Repubblica 
effettuate nell�ambito del procedimento in questione, e che trasmettesse, altres�, copia 
integrale ed autentica delle richieste e dei provvedimenti di autorizzazione, compresi gli eventuali 
decreti di proroga, delle intercettazioni eseguite nell�ambito del citato procedimento, dei 
relativi verbali e delle eventuali relazioni di polizia giudiziaria, con esclusione delle parti relative 
al contenuto delle conversazioni cui avesse partecipato il Capo dello Stato. Adempimenti, 
questi, che sono stati tempestivamente effettuati. 
Con decreto in pari data, il Presidente della Corte ha, inoltre, disposto che tutti i termini 
del procedimento fossero ridotti alla met�. 
3.� Si � costituita nel giudizio la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario 
di Palermo, nella persona del Procuratore della Repubblica, dott. Francesco Messineo, chiedendo 
che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, rigettato nel merito. 
3.1.� In via preliminare, la resistente descrive in modo analitico il contesto fattuale entro 
il quale si collocano le intercettazioni dei colloqui telefonici del Presidente della Repubblica 
che hanno dato luogo al ricorso. Riferisce, in particolare, come dette intercettazioni siano state 
effettuate su utenze telefoniche in uso al senatore � non pi� in carica � Nicola Mancino, nell�ambito 
del procedimento penale n. 11609/08, scaturito dalla riapertura delle indagini relativamente 
ad un altro procedimento (n. 18101/00), avente ad oggetto la cosiddetta �trattativa� 
tra Stato e mafia negli anni a cavallo tra il 1992 e 1994, in rapporto alla quale era stato ipotizzato 
il delitto di cui all�art. 338 del codice penale, aggravato ai sensi dell�art. 339 del medesimo 
codice e dell�art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti 
in tema di lotta alla criminalit� organizzata e di trasparenza e buon andamento dell�attivit� 
amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203. 
Le operazioni di intercettazione, regolarmente autorizzate dal Giudice per le indagini 
preliminari tanto nei confronti del sen. Mancino che di altre persone, avevano avuto inizio
TEMI ISTITUZIONALI 39 
nei primi giorni del novembre 2011. Per quanto in particolare attiene alle diverse utenze telefoniche 
in uso al predetto sen. Mancino, sottoposte a intercettazione in forza di due distinti 
decreti autorizzativi (uno solo dei quali seguito da ripetute proroghe), il controllo si era protratto 
dal 7 novembre 2011 al 9 maggio 2012, consentendo la captazione di 9.295 conversazioni. 
Tra esse, solo quattro � della durata complessiva di diciotto minuti � erano costituite da 
colloqui con il Presidente della Repubblica. Tali colloqui si erano svolti nei giorni 24 dicembre 
2011, 31 dicembre 2011, 13 gennaio 2012 e 6 febbraio 2012. Nei primi due casi, si era trattato 
di telefonate �in uscita� (effettuate, cio�, dalla persona sottoposta alle indagini); nei casi successivi, 
di telefonate �in entrata�, cio� promananti dal Capo dello Stato (anche se la conversazione 
del 13 gennaio 2012 era stata preceduta da un contatto tra l�utenza sottoposta a 
controllo e il centralino del Quirinale, nel corso del quale il sen. Mancino aveva chiesto di 
parlare con il Presidente della Repubblica). 
Con riguardo al decreto di autorizzazione sulla cui base erano stati captati i primi due 
colloqui telefonici del Capo dello Stato, la Procura palermitana, ritenendo che non fossero 
emersi elementi investigativi utili, non aveva chiesto la proroga delle operazioni di intercettazione, 
le quali erano cessate, quindi, il 26 gennaio 2012. Era stata, invece, prorogata sino al 
maggio 2012 l�efficacia del secondo decreto, sicch� aveva potuto essere intercettata anche, 
in data 20 aprile, una chiamata proveniente dal centralino del Quirinale e diretta al sen. Mancino, 
il quale, per�, non era stato reperito. 
Su disposizione della Procura, cui la polizia giudiziaria aveva prontamente riferito in 
forma orale, il verbale delle intercettazioni dei colloqui telefonici ai quali aveva preso parte 
il Capo dello Stato era stato redatto senza alcuna trascrizione, neppure in forma sintetica, del 
contenuto delle conversazioni. 
All�esito delle attivit� investigative, la Procura aveva deciso di esercitare l�azione penale 
solo nei confronti di alcuni degli indagati e per alcune delle incolpazioni, e di proseguire invece 
le indagini, con riserva di ulteriori valutazioni, riguardo agli altri indagati e alle residue 
ipotesi di reato. Il 1� giugno 2012 era stata, quindi, disposta la separazione del procedimento 
relativo ai soggetti per i quali era maturato il proposito di esercitare l�azione penale, tra cui il 
sen. Mancino. Nell�ambito di tale procedimento, che aveva preso il n. 11719/12, dopo la notificazione 
agli interessati dell�avviso di conclusione delle indagini preliminari, ai sensi dell�art. 
415-bis cod. proc. pen., era stata formulata richiesta di rinvio a giudizio, cui era seguito 
il decreto giudiziale di fissazione dell�udienza preliminare, convocata per il 29 ottobre 2012. 
Nel fascicolo relativo al procedimento separato, la Procura aveva, peraltro, inserito le sole intercettazioni 
ritenute utili per il processo, tra le quali non figuravano quelle concernenti i colloqui 
tra il sen. Mancino e il Capo dello Stato. La documentazione relativa a tali colloqui � 
tuttora custodita nel fascicolo relativo al procedimento n. 11609/08 � non aveva, pertanto, 
mai formato oggetto di deposito idoneo a renderla conoscibile alle parti processuali. 
3.2.� Ci� premesso � e dopo aver rimarcato come, nel sollevare l�odierno conflitto, il 
Presidente della Repubblica si sia comportato in modo diverso rispetto a quanto era avvenuto 
in occasione di due precedenti intercettazioni �indirette� di sue comunicazioni, operate nel 
2009 e nel 2010 nel corso di altrettante indagini della Procura della Repubblica presso il Tribunale 
ordinario di Firenze � la resistente eccepisce l�inammissibilit� del ricorso sotto un duplice 
profilo. 
In primo luogo, il ricorso avrebbe un oggetto �giuridicamente impossibile�. Il ricorrente, 
infatti, avrebbe chiesto alla Corte di ordinare alla Procura di Palermo un �facere� � cio� �l�immediata 
distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali del Presidente della Repubblica�
40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
� che esulerebbe dai poteri processuali della resistente. Tanto nell�ipotesi prevista dall�art. 
271, comma 3, che in quella regolata dagli artt. 268, comma 6, e 269, comma 2, cod. proc. 
pen., la distruzione della documentazione delle intercettazioni non potrebbe essere comunque 
disposta dal pubblico ministero, ma esclusivamente dal giudice, a garanzia degli eventuali interessi 
di segno contrario. 
In secondo luogo, il petitum risulterebbe contraddittorio rispetto alle ragioni addotte in 
suo sostegno. Pur invocando un provvedimento che esclude ogni vaglio giurisdizionale, infatti, 
la stessa Avvocatura dello Stato avrebbe prospettato, nella motivazione del ricorso, il dovere 
della Procura di chiedere �al giudice� la distruzione della documentazione, conformemente 
a quanto prevede il citato art. 271 del codice di rito penale. 
3.3.� Nel merito, il ricorso sarebbe comunque infondato. 
Al riguardo, la resistente rimarca come il carattere del tutto �casuale�, e non gi� �mirato�, 
della captazione dei colloqui presidenziali sia stato riconosciuto dalla stessa Presidenza 
della Repubblica, e risulti comunque eloquentemente dimostrato dalla enorme sproporzione 
tra il numero complessivo delle telefonate intercettate sulle utenze in uso all�indagato e quello 
delle conversazioni � appena quattro � cui ha preso parte il Capo dello Stato. 
Ci� posto, nessuno dei comportamenti censurati dal ricorrente potrebbe essere ritenuto 
realmente produttivo di una menomazione delle prerogative presidenziali. 
Quanto all�avvenuta registrazione delle telefonate, si tratterebbe di operazione radicalmente 
priva di ogni idoneit� lesiva in ragione delle sue stesse modalit� tecniche. La registrazione, 
infatti, ha luogo in modo automatico, tramite apparecchiature informatiche, non 
controllate n� influenzabili, almeno nell�immediato, da alcun operatore: e ci� anche quando 
la polizia giudiziaria sia posta in grado di ascoltare simultaneamente nei propri uffici le conversazioni 
intercettate, non avendo il cosiddetto ascoltatore �da remoto� � a garanzia della 
genuinit� della registrazione � alcuna possibilit� di intervenire per interrompere le operazioni. 
Riguardo, poi, alla lamentata allegazione del testo delle telefonate agli atti del procedimento, 
essa non sarebbe mai avvenuta. Proprio perch� ritenute processualmente irrilevanti, infatti, 
le intercettazioni delle comunicazioni presidenziali non sono state allegate al fascicolo relativo 
al procedimento n. 11719/12, attualmente pendente davanti al Giudice dell�udienza preliminare 
del Tribunale di Palermo. In ogni caso, l�allegazione agli atti costituirebbe �una circostanza in 
s� neutra�: ogni atto di indagine si colloca, infatti, all�interno di un determinato procedimento, 
onde la relativa documentazione � necessariamente unita al corrispondente fascicolo. 
Per quel che attiene, ancora, alla censurata valutazione in ordine alla rilevanza delle intercettazioni, 
nella lettera inviata dal Procuratore della Repubblica di Palermo all�Avvocatura generale 
dello Stato il 6 luglio 2012 si legge che la Procura ha valutato come irrilevante �qualsivoglia 
comunicazione telefonica in atti diretta al Capo dello Stato�. Da tale affermazione si desumerebbe 
che la valutazione ha avuto ad oggetto le sole espressioni verbali della persona sottoposta ad indagini 
nel suo colloquio con il Presidente, e non le risposte fornite dell�interlocutore. 
Peraltro, anche a voler prescindere da tale rilievo, resterebbe dirimente la considerazione 
che un divieto assoluto di valutazione delle espressioni verbali del Presidente, occasionalmente 
captate nel contesto di una intercettazione legittima, sarebbe ipotizzabile solo a fronte di una 
prerogativa presidenziale intesa come immunit� totale dalla giurisdizione. Per converso, in 
presenza di un quadro costituzionale che prevede l�irresponsabilit� del Capo dello Stato per 
gli atti funzionali, ma non lo esenta dalla giurisdizione per gli atti estranei alla funzione, e 
che certamente non copre le responsabilit� del suo interlocutore, l�attivit� di valutazione risulterebbe 
non solo legittima, ma �doverosa e ineliminabile�. 
TEMI ISTITUZIONALI 41 
Quanto, infine, all�ipotizzato ricorso alla procedura prevista all�art. 268, commi 6 e seguenti, 
cod. proc. pen., sarebbe questa, in realt�, l�unica modalit� legittima per pervenire alla distruzione 
del materiale. Alla fattispecie in esame, infatti, non sarebbe applicabile l�art. 271 cod. proc. pen., 
non ricorrendo alcuna delle ipotesi di inutilizzabilit� disciplinate da tale disposizione. 
Non verrebbe in rilievo, in particolare, la previsione del comma 1, relativa alle intercettazioni 
eseguite �fuori dai casi consentiti dalla legge�, la quale � alla luce di quanto affermato 
dalla giurisprudenza di legittimit� � presupporrebbe, in ossequio al principio di tassativit� 
delle invalidit� processuali, l�avvenuta violazione di un divieto normativo espresso, nella specie 
non rinvenibile. Il divieto di intercettare le comunicazioni del Presidente della Repubblica 
sancito dall�art. 7 della legge n. 219 del 1989 atterrebbe, infatti, alle sole intercettazioni �dirette
�. Sulla base delle sentenze della Corte costituzionale n. 390 del 2007, n. 113 e n. 114 
del 2010, la preclusione potrebbe venire estesa, al pi�, alle intercettazioni indirette �non accidentali
� � ossia alle intercettazioni che, sebbene disposte su utenze di altri soggetti, mirino 
in concreto ad accedere nella sfera delle comunicazioni del Capo dello Stato � ma non pure 
alle intercettazioni �casuali�. Un divieto di intercettare anche �casualmente� le conversazioni 
presidenziali, del resto, sarebbe inconcepibile sul piano logico, dato che qualsiasi proibizione 
legale presuppone necessariamente che l�accadimento che si intende scongiurare sia prevedibile 
e prevenibile: tratti, questi, incompatibili con un evento qualificato come �casuale�. 
La fattispecie in discussione non sarebbe riconducibile neppure alla previsione del 
comma 2 dell�art. 271 cod. proc. pen., inerente alle intercettazioni di comunicazioni coperte 
dal segreto professionale. L�accostamento � prospettato dal ricorrente � tra le intercettazioni 
casuali di conversazioni presidenziali e le intercettazioni delle comunicazioni del difensore 
sarebbe, infatti, chiaramente improprio, non essendovi alcuna analogia tra le due ipotesi. 
Anche nel caso della distruzione delle intercettazioni inutilizzabili, disciplinato dall�art. 
271, comma 3, cod. proc. pen., non sarebbe d�altronde possibile prescindere � oltre che dall�intervento 
del giudice � dalle garanzie del contraddittorio. Varrebbe, a tale riguardo, il principio 
enunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 463 del 1994 in rapporto alla 
procedura di distruzione delle intercettazioni a tutela della riservatezza, regolata dall�art. 269, 
comma 2, cod. proc. pen.: e, cio�, che il giudice, prima di decidere, deve sentire in camera di 
consiglio le parti interessate in ordine all�eventuale rilevanza in futuro delle registrazioni, 
quale possibile prova di non colpevolezza. Identica sarebbe, infatti, l�esigenza che ricorre 
nelle due situazioni, di non impedire all�innocente di portare in giudizio la prova che lo scagiona, 
ancorch� irritualmente acquisita, essendo la sanzione dell�inutilizzabilit� destinata a 
colpire esclusivamente gli �effetti �contra reum�� dell�atto di cui si discute. 
La distruzione, nel caso regolato dall�art. 271, non potrebbe essere inoltre immediata, 
in quanto � secondo la giurisprudenza di legittimit� � richiederebbe, a differenza di quella disposta 
ai sensi dell�art. 269, commi 2 e 3, cod. proc. pen., �una statuizione di inutilizzabilit� 
processualmente insuscettibile di modifiche, che faccia escludere la possibilit� di utilizzazione 
futura nell�ambito del processo a carico di altri imputati a seguito di diverse e autonome valutazioni 
del giudice competente�. 
3.4.� Su un piano pi� generale, la Procura contesta la validit� della tesi del ricorrente in 
ordine all�ampiezza delle prerogative presidenziali, stando alla quale l�art. 90 Cost. � prevedendo 
l�irresponsabilit� del Presidente per gli atti funzionali � configurerebbe, in sostanza, 
un �regime globale di immunit�� rispetto all�applicazione della legge penale, sostanziale e 
processuale, cui farebbe da corollario una generale esigenza di salvaguardia della riservatezza 
delle comunicazioni. 
42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Tale ricostruzione � assimilando, in pratica, l�irresponsabilit� del Presidente della Repubblica 
alla �inviolabilit�� del sovrano nei regimi monarchici � si scontrerebbe con il rilievo che, 
nello Stato democratico-costituzionale, le immunit� non costituiscono privilegi, accordati �intuitu 
personae�, ma valgono come garanzia della funzione esercitata nei confronti di condizionamenti 
esterni promananti da singoli magistrati. Ci� impedirebbe di ritenere che 
l�irresponsabilit� del Presidente si estenda ai reati extrafunzionali: ipotesi, questa, contraddetta 
� oltre che dal dato letterale � da precisi argomenti di ordine storico e sistematico (ricavabili rispettivamente 
dai lavori dell�Assemblea costituente e dalla disciplina recata dalla legge n. 219 
del 1989), e specificamente disattesa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 154 del 2004. 
Le vicende relative alla legge n. 140 del 2003 e alla legge 23 luglio 2008, n. 124 (Disposizioni 
in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello 
Stato), le quali prevedevano espressamente la sospensione dei processi per i reati extrafunzionali 
del Presidente della Repubblica � leggi entrambe colpite da dichiarazioni di illegittimit� 
costituzionale, rispettivamente con le sentenze n. 24 del 2004 e n. 262 del 2009 � 
avrebbero d�altronde dimostrato, in modo inequivoco, come tanto in sede parlamentare, quanto 
da parte dello stesso Presidente della Repubblica, si desse per scontato che l�improcedibilit� 
per i suddetti reati non fosse desumibile dall�art. 90 Cost. 
Il regime delle immunit� costituzionali resterebbe, in ogni caso, strettamente connesso 
alla pertinente disciplina positiva, senza che l�area dell�irresponsabilit� possa essere dilatata 
facendo leva sulla considerazione complessiva della posizione di un determinato organo nel 
sistema costituzionale. Nella specie, la circostanza che il Presidente della Repubblica sia il 
rappresentante dell�unit� nazionale non potrebbe essere, dunque, fonte di ulteriori poteri, quale 
quello di esigere la distruzione delle intercettazioni di tutte le sue telefonate, anche se intrattenute 
con persone sottoposte a indagine penale. 
Sotto altro profilo, sarebbe pacifico che, nell�ordinamento costituzionale italiano, ai fini 
della tutela della libert� e della segretezza delle comunicazioni, risulti assolutamente irrilevante 
il relativo contenuto, �quale che ne sia il mittente o il destinatario�. Di conseguenza sarebbe 
altrettanto irrilevante, per le intercettazioni telefoniche, la distinzione tra atti funzionali 
e non. Ma dall�assunto non discenderebbe, come vorrebbe il ricorrente, che tutte le conversazioni 
alle quali prenda parte il Presidente della Repubblica, costituendo atti di funzione, godano 
dell�immunit�, e cio� che il Presidente parli sempre e soltanto, anche nelle comunicazioni 
riservate, come Capo dello Stato. Al contrario, l�intercettazione occasionale � dunque del tutto 
involontaria e non evitabile � non integrerebbe, in ragione di tali caratteristiche, alcuna lesione 
delle prerogative presidenziali, quale che sia il contenuto del colloquio. 
3.5.� La resistente rimarca, infine, come l�ipotetico accoglimento del ricorso determinerebbe 
conseguenze di particolare gravit�, inconciliabili con le affermazioni delle gi� citate 
sentenze n. 390 del 2007, n. 113 e n. 114 del 2010. In particolare, una simile decisione renderebbe 
illecito �ex se� anche l�ascolto occasionale di una conversazione presidenziale nel 
contesto di un�intercettazione debitamente autorizzata; impedirebbe al magistrato penale di 
prendere cognizione del contenuto della comunicazione, anche al solo fine di apprezzare la 
responsabilit� di un altro soggetto, non protetto da alcuna immunit�; imporrebbe, infine, l�immediata 
distruzione delle intercettazioni, in violazione del diritto di difesa del terzo che avesse 
un interesse contrario alla distruzione. In una simile situazione, i magistrati sarebbero inevitabilmente 
indotti ad astenersi dal disporre intercettazioni a carico di tutti coloro che, ancorch� 
sottoposti ad indagine penale, potrebbero avere titolo per comunicare direttamente con il Presidente 
della Repubblica, in ragione di attuali o pregressi rapporti: ci�, peraltro, in aperto con-
TEMI ISTITUZIONALI 43 
trasto con il principio di obbligatoriet� dell�azione penale (art. 112 Cost.). 
4.� In prossimit� dell�udienza pubblica, l�Avvocatura generale dello Stato ha depositato 
una memoria illustrativa, con la quale, anzitutto, ha contestato la fondatezza delle eccezioni 
di inammissibilit� del ricorso formulate dalla Procura palermitana. 
4.1.� Quanto all�eccezione di inammissibilit� per �impossibilit� giuridica del petitum�, 
l�Avvocatura rileva come, nell�atto introduttivo del giudizio, non sia stato affatto ipotizzato 
che il pubblico ministero debba procedere alla distruzione delle intercettazioni in via diretta, 
senza passare attraverso il vaglio giurisdizionale. Il ricorso richiama, infatti, il decreto del Capo 
dello Stato del 16 luglio 2012, recante la determinazione di proporre il conflitto � decreto allegato 
al ricorso stesso e destinato, dunque, a �fa[re] corpo� con esso � nel quale si lamenta 
che il pubblico ministero non abbia immediatamente richiesto �al giudice� la distruzione del 
materiale. Nella motivazione del ricorso, inoltre, la disposizione applicabile alla fattispecie � 
individuata nell�art. 271 cod. proc. pen., che al comma 3 demanda al giudice, appunto, il compito 
di disporre la distruzione delle intercettazioni eseguite fuori dei casi previsti dalla legge. 
Di conseguenza, la formula sintetica utilizzata nelle conclusioni � la richiesta, cio�, di dichiarare 
che non spetta alla Procura di Palermo omettere l�immediata distruzione del materiale � andrebbe 
necessariamente intesa nel senso che non spetta alla Procura palermitana omettere 
quanto in suo potere per ottenere immediatamente dal giudice un provvedimento di distruzione. 
Insussistente risulterebbe, di conseguenza, anche l�ulteriore motivo di inammissibilit�, 
legato all�asserita contraddittoriet� del petitum rispetto alle ragioni che lo sostengono, dovendo 
il petitum essere interpretato proprio alla luce di tali ragioni. 
4.2.� Nel merito, l�Avvocatura dello Stato ribadisce come il divieto di disporre e utilizzare 
intercettazioni di comunicazioni del Presidente della Repubblica, ancorch� indirette o 
casuali, discenda dal disposto dell�art. 7, comma 3, della legge n. 219 del 1989 e risulti coerente 
con la garanzia di assoluta riservatezza di tutte le attivit� del Capo dello Stato, anche 
propedeutiche e preparatorie allo svolgimento dei suoi compiti, insita nel ruolo che la Costituzione 
gli assegna. 
La medesima convinzione fu espressa del resto, gi� nel 1997, dal Ministro di grazia e 
giustizia in carica, nel rispondere a numerose interpellanze parlamentari relative al solo precedente 
sostanzialmente analogo al caso in esame, concernente l�intercettazione �indiretta� 
di un colloquio telefonico dell�allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Nell�occasione, 
infatti, il Ministro aveva ipotizzato la sussistenza di un divieto di trascrizione e 
deposito della registrazione del colloquio, rilevando come la tutela della riservatezza dell�interlocutore 
occasionale, nel caso in cui si tratti del Capo dello Stato, risulti rafforzata, in ragione 
del fatto che la libert� di comunicazione e di corrispondenza costituisce �un connotato 
essenziale dell�esercizio delle funzioni� presidenziali. Il Ministro aveva sostenuto, inoltre, 
che l�inviolabilit� delle comunicazioni del Presidente fosse desumibile, per l�appunto, dall�art. 
7 della legge n. 219 del 1989, giacch�, �se � previsto che per i reati di attentato alla Costituzione 
ed alto tradimento l�intercettazione possa essere disposta solo dopo la sospensione dalla 
carica, a maggior ragione deve prefigurarsi una tutela piena in rapporto ad ipotesi di reati comuni 
e, a fortiori, rispetto a qualsiasi fatto penalmente irrilevante�. 
4.3.� L�impossibilit�, ampiamente sottolineata in dottrina, di delineare in termini rigidi 
i compiti del Presidente della Repubblica e di distinguere tra le diverse modalit� di esercizio 
delle sue funzioni � si traducano esse in �atti tipici� o �in attivit� meramente propedeutiche 
e preparatorie� � confermerebbe, d�altro canto, che l�esigenza di salvaguardare la libert� e la 
segretezza delle comunicazioni del Capo dello Stato sussiste anche in confronto alle intercet-
44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
tazioni �indirette o casuali�: e ci� tanto pi� qualora, come nella fattispecie in esame, dette 
comunicazioni si siano tradotte in �un contatto assolutamente lecito�. 
Il Presidente della Repubblica � investito, in effetti, di funzioni che necessitano di una 
particolare riservatezza �nell�iter della loro preparazione�: basti pensare alle attivit� inerenti 
ai rapporti diplomatici (art. 87, ottavo comma, Cost.), ovvero al comando delle forze armate 
(art. 87, nono comma, Cost.), ovvero ancora a tutte quelle funzioni che, se pure non tassativamente 
individuabili, gli derivano dalla presidenza del Consiglio superiore della magistratura 
(art. 104, secondo comma, Cost.) o dalla rappresentanza dell�unit� nazionale (art. 87, primo 
comma, Cost.). Con la conseguenza che, se si permettesse di divulgare il contenuto delle attivit� 
preparatorie, si metterebbero a rischio gli interessi � rilevantissimi � alla cui salvaguardia 
tali funzioni sono preordinate. 
Al riguardo, occorrerebbe anche considerare che quella del Presidente della Repubblica 
� una carica monocratica, �la cui attivit� ufficiale pu� quindi essere pi� facilmente incisa attraverso 
iniziative giudiziarie che riguardino la persona fisica del titolare e le sue attivit��. 
Nella specie, non verrebbe neppure in rilievo la distinzione tra atti funzionali ed extrafunzionali: 
ci� a prescindere dal fatto che le conversazioni telefoniche oggetto del conflitto 
rientrerebbero comunque tra gli atti funzionali, tenuto conto della qualit� dei soggetti tra i 
quali sono intercorse e della sede nella quale sono state poste in essere (trattandosi di conversazioni 
tutte effettuate tramite il centralino del Quirinale). 
4.4.� I risultati delle intercettazioni in questione sarebbero, di conseguenza, assolutamente 
inutilizzabili ai sensi del comma 1 dell�art. 271 cod. proc. pen., trattandosi di captazioni 
eseguite �fuori dei casi consentiti dalla legge�. Infatti, il codice di procedura penale considera 
legittime le intercettazioni non gi� quando manchi un divieto di eseguirle, ma solo quando vi 
sia una norma che espressamente le consenta. Una simile previsione non potrebbe essere certamente 
rinvenuta, quanto al Presidente della Repubblica, nell�art. 7 della legge n. 219 del 
1989. Detta disposizione, anzi, dopo aver regolato l�ipotesi dell�intercettazione �diretta�, stabilisce 
che �in ogni caso� il Comitato parlamentare per i giudizi di accusa pu� autorizzare le 
intercettazioni solo dopo che il Presidente sia stato sospeso dalla carica. Da ci� si dedurrebbe 
che, �mentre la parte assertiva della prescrizione � espressamente dedicata alle sole intercettazioni 
dirette (consentendone, in determinati casi, lo svolgimento e l�utilizzazione), diversamente 
i limiti introdotti dalla stessa norma sono applicabili �in ogni caso�, quindi, anche nella 
diversa ipotesi di intercettazioni indirette�. 
Significativa sarebbe, altres�, la circostanza che l�art. 205, comma 3, cod. proc. pen., 
nel prevedere che possa essere disposta la comparizione in giudizio dei testimoni che rivestono 
alte cariche dello Stato allorch� essa appaia indispensabile per eseguire un confronto, sottragga 
a tale disposizione il Presidente della Repubblica. Sarebbe, dunque, �del tutto anomalo consentire 
che la voce del Presidente, non sottoponibile al confronto con le modalit� che la legge 
prescrive per la testimonianza dei testi, possa essere stata captata indirettamente o casualmente 
[�] e successivamente utilizzata nel corso dell�attivit� investigativa�. 
4.5.� L�assoluta inutilizzabilit� delle intercettazioni qui considerate imporrebbe di procedere 
alla loro distruzione immediata, senza alcuna valutazione circa la loro eventuale rilevanza 
processuale. 
In senso contrario, non varrebbe far leva sulla �involontariet�� e sulla �inevitabilit� iniziale� 
delle intercettazioni telefoniche che, disposte nei confronti di un terzo, solo accidentalmente 
coinvolgano il Presidente della Repubblica. In assenza di una norma che 
espressamente consenta la captazione dei colloqui presidenziali, infatti, l�attivit� di intercet-
TEMI ISTITUZIONALI 45 
tazione avrebbe dovuto essere interrotta dalla Procura palermitana non appena accertata la 
qualit� soggettiva dell�interlocutore. In ogni caso, se pure si ritenesse che la registrazione casuale 
dei colloqui non abbia determinato �ex se� una lesione delle prerogative presidenziali, 
tale lesione sarebbe senz�altro rinvenibile nella loro conservazione tra gli atti del procedimento 
e, soprattutto, nella pretesa di subordinarne la distruzione alla preventiva valutazione, in 
un�udienza camerale aperta al contraddittorio tra le parti, della eventuale rilevanza ai fini del 
processo, secondo quanto previsto dall�art. 268 cod. proc. pen.: procedura che avrebbe l�effetto 
di rendere conoscibile e divulgabile il contenuto delle conversazioni stesse. A smentire il contrario 
assunto della Procura palermitana, basterebbe por mente all�ipotesi in cui tali conversazioni 
abbiano ad oggetto delicate questioni di sicurezza o di politica estera o di difesa 
nazionale, le quali � ove fosse valida la tesi della controparte � sarebbero �esposte in modo 
del tutto casuale e, quindi, irrazionale al pubblico�. 
Nessun argomento a conforto della tesi dell�inapplicabilit� dell�art. 271 cod. proc. pen. 
alle intercettazioni �indirette e casuali� del Presidente della Repubblica potrebbe essere tratto, 
inoltre, dalla sentenza n. 390 del 2007 della Corte costituzionale, in tema di intercettazioni di 
conversazioni dei membri del Parlamento � pure invocata dalla controparte � trattandosi di 
pronuncia attinente all�art. 6 della legge n. 140 del 2003: norma, questa, da ritenere inapplicabile 
al Capo dello Stato. 
4.6.� Non sarebbe condivisibile neppure l�ulteriore assunto della Procura di Palermo, 
stando al quale la garanzia del contraddittorio risulterebbe indefettibile anche nell�ambito della 
procedura regolata dall�art. 271, comma 3, cod. proc. pen. La sentenza della Corte costituzionale 
n. 463 del 1994 � richiamata a sostegno dell�assunto � attiene infatti, esclusivamente, all�ipotesi 
della distruzione delle intercettazioni a tutela della riservatezza, disposta in udienza 
camerale su istanza dei privati interessati ai sensi dell�art. 269, comma 2, cod. proc. pen.: fattispecie 
ben diversa da quella, qui in rilievo, della distruzione di intercettazioni eseguite in violazione 
di un divieto di legge (e, segnatamente, �di legge di attuazione costituzionale�). 
N�, al fine di omologare le due ipotesi, gioverebbe fare appello all�esigenza di non disperdere 
una eventuale prova di non colpevolezza. La stessa Procura di Palermo ha ritenuto, 
infatti, che le intercettazioni oggetto del conflitto siano irrilevanti e che non costituiscano 
corpo di reato. Inoltre, la relativa documentazione non � stata riversata nel fascicolo relativo 
al nuovo procedimento n. 11719/12 � nell�ambito del quale � stato chiesto il rinvio a giudizio, 
tra gli altri, del sen. Mancino � ma � stata lasciata nel fascicolo originario: circostanza, questa, 
che attesterebbe la totale irrilevanza dei colloqui anche ai fini della prova dell�innocenza degli 
imputati, secondo la valutazione effettuata dagli stessi magistrati della Procura. 
4.7.� Puntualizzando le conclusioni gi� formulate nell�atto introduttivo del giudizio, il 
ricorrente chiede, quindi, che la Corte costituzionale dichiari �che non spetta alla Procura 
della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo di omettere di interrompere l�effettuazione 
delle intercettazioni casuali del Presidente della Repubblica�; e che, comunque, 
non spetta ad essa �di omettere, una volta acquisite le predette intercettazioni, di richiederne 
al Giudice l�immediata distruzione n� [�] valutarne la (ir)rilevanza offrendole all�udienza 
stralcio di cui all�art. 268 c.p.p.�. 
5.� Anche la Procura della Repubblica di Palermo ha depositato una memoria illustrativa, 
con la quale ha preliminarmente eccepito l�inammissibilit� del ricorso sotto due ulteriori profili. 
5.1.� In primo luogo, il conflitto sarebbe stato sollevato a fronte del mero intento, 
espresso nella nota del Procuratore della Repubblica del 6 luglio 2012, di procedere alla distruzione 
delle intercettazioni �con l�osservanza delle formalit� di legge�. L�iniziativa presi-
46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
denziale mirerebbe, in particolare, a contrastare la preconizzata scelta del rito camerale previsto 
dall�art. 268 cod. proc. pen. � ritenuta insita nel riferimento alle �formalit� di legge� � 
in luogo di quella regolata dall�art. 271 cod. proc. pen., unica in assunto idonea a salvaguardare 
le prerogative del ricorrente. In questo modo, il ricorso verrebbe a focalizzarsi su una questione 
inerente all�interpretazione e all�applicazione delle regole processuali, censurando, in sostanza, 
un presunto errore in procedendo nell�esercizio della funzione giudiziaria: materia che � alla 
luce della giurisprudenza costituzionale � non potrebbe costituire oggetto di un conflitto di 
attribuzione. 
In secondo luogo, il conflitto sarebbe stato sollevato prematuramente, non essendo una 
mera manifestazione d�intenti idonea a produrre alcuna lesione attuale e concreta di attribuzioni 
costituzionali. La menomazione denunciata potrebbe, in realt�, configurarsi solo in presenza 
di un atto del giudice � unico soggetto a ci� legittimato � che esprimesse in modo 
inequivoco la volont� di non procedere alla distruzione delle intercettazioni: prospettiva nella 
quale, peraltro, il ricorso dovrebbe essere proposto nei confronti dell�autorit� giudiziaria giudicante, 
e non gi� di quella requirente. 
5.2.� La resistente rimarca, per altro verso, come le attribuzioni costituzionali dei poteri 
dello Stato, rilevanti nell�ambito dei giudizi per conflitto, non siano configurate esclusivamente 
da norme costituzionali, ma anche da norme di rango inferiore che integrano i relativi 
parametri, fondando le competenze degli organi confliggenti. Di tale principio, del resto, 
avrebbe fatto applicazione anche il ricorrente, evocando a fondamento del ricorso, a fianco 
dell�art. 90 Cost., l�art. 7, comma 3, della legge n. 219 del 1989. 
Sul versante della resistente Procura della Repubblica, la fattispecie oggetto del giudizio 
resterebbe regolata dall�art. 112 Cost.: non esisterebbe, per�, una norma di rango ordinario che 
� coniugandosi con quella dell�art. 101, secondo comma, Cost. � attribuisca al pubblico ministero 
il potere di disporre in via diretta la distruzione delle intercettazioni, ancorch� inutilizzabili 
(norma che risulterebbe oltretutto lesiva del principio del contraddittorio). Profilo per il quale 
il ricorso sarebbe � oltre che inammissibile �per impossibilit� giuridica del petitum�, secondo 
quanto gi� eccepito in sede di costituzione in giudizio � anche infondato nel merito. 
5.3.� La correttezza dell�operato della Procura troverebbe, d�altra parte, una significativa 
conferma nelle risultanze del dibattito svoltosi in Senato il 7 marzo 1997, in relazione alle interpellanze 
concernenti l�analogo caso dell�intercettazione occasionale di una conversazione 
telefonica del Presidente Scalfaro. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, tale dibattito 
� pur facendo emergere delle �perplessit� giuridiche�, legate soprattutto all�avvenuta 
pubblicazione dei contenuti della conversazione su un quotidiano � non evidenzi� affatto la 
convinzione che le norme vigenti fossero state violate dalla Procura della Repubblica che allora 
procedeva. Fatta eccezione per l�ex Presidente Cossiga (il quale sostenne che non fosse 
necessario l�intervento del legislatore per evitare il ripetersi di fatti analoghi), tutti gli altri interpellanti 
non avrebbero, infatti, mosso alcun �preciso appunto� alla Procura. A sua volta, il 
Ministro di grazia e giustizia del tempo � pur stigmatizzando l�accaduto �a livello di principi� 
� sottoline� con forza l�esigenza di un intervento normativo chiarificatore, escludendo che si 
fosse dato luogo, con il deposito degli atti secondo la procedura ordinaria, a macroscopiche 
violazioni di legge o ad interpretazioni abnormi da parte dei magistrati. 
Tale precedente confermerebbe che nessuna norma di legge e nessuna prassi costituzionale 
vietavano e vietano l�intercettazione accidentale delle comunicazioni del Presidente della 
Repubblica, tanto che l�interessato (on. Scalfaro) non sollev�, nella circostanza, alcun conflitto 
(al pari, d�altronde, dello stesso Presidente Napolitano, nelle due precedenti occasioni in cui
TEMI ISTITUZIONALI 47 
sono state captate accidentalmente sue comunicazioni telefoniche). 
5.4.� La difesa della resistente ribadisce poi che, per le ragioni gi� addotte nella memoria 
di costituzione, l�irresponsabilit� del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nell�esercizio 
delle sue funzioni, sancita dall�art. 90 Cost., e la correlata impossibilit� di ricorrere, 
in rapporto ad essi, agli ordinari strumenti investigativi, non possono essere in alcun modo 
estese agli atti extrafunzionali, neppure facendo leva sull�argumentum a fortiori. 
Il carattere �pacificamente eccezionale� dell�immunit� in parola ne imporrebbe, infatti, 
una interpretazione restrittiva, tale da escludere la praticabilit� tanto dell�analogia iuris che 
dell�analogia legis: ci�, a maggior ragione, considerando che la ratio sottesa al riconoscimento 
dell�irresponsabilit� per gli atti funzionali non sarebbe riscontrabile con riguardo ai comportamenti 
estranei all�esercizio della funzione. Solo la prima, infatti, sarebbe necessaria per garantire 
il libero svolgimento dei compiti istituzionali, connettendosi strettamente alla 
irresponsabilit� politica del Capo dello Stato, che dell�immunit� giuridica rappresenterebbe 
�allo stesso tempo il fondamento costitutivo ed il limite insuperabile�. 
Non potrebbe quindi essere accolta, in questa prospettiva, la tesi dell�Avvocatura dello 
Stato, secondo la quale �il perseguimento delle finalit� costituzionali caratterizz[erebbe] l�attivit�, 
sia formalizzata sia non formalizzata, del Presidente della Repubblica�, ponendola cos� 
indistintamente � in quanto connotata in senso funzionale � sotto il cono protettivo dell�art. 
90 Cost. Tale tesi, nella misura in cui risulti volta a suffragare l�assunto che le conversazioni 
telefoniche del Capo dello Stato sarebbero sempre effettuate nell�esercizio delle funzioni presidenziali, 
ai sensi e per gli effetti dell�art. 90 Cost., risulterebbe, per giunta, inconferente ai 
fini del presente giudizio, non essendo mai stata ipotizzata dai magistrati di Palermo una eventuale 
responsabilit� penale del Presidente. 
La distinzione tra atti funzionali ed extrafunzionali, d�altra parte, verrebbe in rilievo 
solo quando ci si muova sul piano sostanziale della responsabilit� da atto illecito; non anche 
quando si discuta delle garanzie del Capo dello Stato di fronte ad attivit� investigative � e, in 
particolare, ad intercettazioni telefoniche � aventi come bersaglio un terzo soggetto, nelle 
quali egli si trovi accidentalmente coinvolto. 
Con riguardo a tale ipotesi, la disciplina costituzionale applicabile sarebbe determinata 
esclusivamente dalla �direzione delle indagini�. Nella specie, il mezzo investigativo � stato 
disposto nei confronti di �un comune cittadino� (ancorch� ex senatore ed ex ministro), con 
conseguente operativit� della sola tutela della libert� e segretezza delle comunicazioni offerta 
alla generalit� dei consociati dall�art. 15 Cost.: conclusione che non muterebbe per il solo fatto 
che l�interlocutore dell�indagato si identifichi nel Capo dello Stato, analogamente a quanto gi� 
affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 390 del 2007, n. 113 e n. 114 del 2010, 
in riferimento alle intercettazioni casuali di conversazioni di membri del Parlamento. 
Tra l�immunit� presidenziale riguardo alle intercettazioni telefoniche prevista dall�art. 
7, comma 3, della legge n. 219 del 1989 e quella riconosciuta ai parlamentari dall�art. 68 
Cost., d�altronde, non vi sarebbe, sul piano degli obiettivi di tutela, la distinzione ipotizzata 
dall�Avvocatura dello Stato. Anche la seconda sarebbe, infatti, destinata a proteggere il libero 
esercizio della funzione (nella specie, quella parlamentare) e non gi� la mera �privacy� delle 
singole persone appartenenti all�istituzione. 
L�impossibilit� di assoggettare le intercettazioni occasionali al regime valevole per le 
intercettazioni dirette deriverebbe, inoltre, dalla differenza �strutturale�, e non gi� meramente 
�giuridica�, tra le due ipotesi, imponendosi, di conseguenza, anche in rapporto al Capo dello 
Stato. Nel caso delle intercettazioni casuali, infatti, la captazione dei colloqui del soggetto
48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
immune non consegue a una scelta volontaria degli organi inquirenti, con la conseguenza che 
�in essa non gioca alcun ruolo lo status, pi� o meno privilegiato, dell�interlocutore�. 
5.5.� Un �surplus di garanzia� per la riservatezza delle comunicazioni del Presidente 
della Repubblica, che implichi il divieto delle intercettazioni occasionali e l�inutilizzabilit� 
assoluta dei risultati di quelle eseguite, non potrebbe essere desunto neppure dalla qualit� 
delle funzioni assegnate dalla Costituzione al Capo dello Stato. 
Una volta, infatti, che la garanzia venga collegata all�esercizio di funzioni costituzionali, 
non si comprenderebbe perch� essa non debba caratterizzare anche lo �status� di altri organi, 
a cominciare dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai singoli ministri, i quali sarebbero 
dotati di poteri addirittura pi� importanti, �dal punto di vista operativo�, di quelli del Capo 
dello Stato. L�eventuale dilatazione dell�immunit� avrebbe, peraltro, l�effetto di amplificare 
enormemente le conseguenze pregiudizievoli per la giustizia penale gi� evidenziate dalla resistente 
nell�atto di costituzione in giudizio. 
5.6.� La Procura di Palermo, infine, ritiene di dover ribadire come la natura casuale 
delle intercettazioni dei colloqui presidenziali che hanno originato il conflitto � peraltro riconosciuta 
dallo stesso ricorrente � non possa essere oggettivamente messa in discussione. 
In aggiunta a quanto gi� evidenziato nella memoria di costituzione � in particolare, riguardo 
al numero �infinitesimale� delle telefonate intercorse tra l�indagato e il Presidente rispetto 
al totale di quelle intercettate � si mette in rilievo come la Procura si sia astenuta dal 
richiedere la proroga delle intercettazioni condotte riguardo ad alcune delle utenze in uso al 
sen. Mancino, sebbene gi� due colloqui con il Capo dello Stato fossero stati intercettati. Non 
ricorrerebbe inoltre, nella specie, alcuno degli �indici rivelatori� che � alla luce delle indicazioni 
fornite dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 390 del 2007, n. 113 e n. 114 del 
2010, recepite anche dalla giurisprudenza ordinaria � potrebbero evidenziare un carattere mirato 
del controllo. Le informazioni disponibili circa la natura dei rapporti tra il sen. Mancino 
e il Presidente della Repubblica non lasciavano presagire che i colloqui tra loro sarebbero 
stati frequenti � come, in effetti, non sono stati � essendo da tempo il sen. Mancino privo di 
�qualsiasi carica pubblica�. Nel contempo, mancava e manca qualunque elemento idoneo a 
suggerire il sospetto di un coinvolgimento del Presidente della Repubblica nei fatti oggetto 
di investigazione. 
5.7.� Ci� posto, l�assunto del ricorrente, in base al quale le intercettazioni in questione 
dovrebbero essere immediatamente distrutte in quanto �assolutamente vietate�, si scontrerebbe 
con la gi� rimarcata impossibilit� logica che un fatto fortuito � derivato, cio�, da una 
catena causale non dominabile dal destinatario del precetto � costituisca oggetto di un divieto 
normativo. L�ordinamento potrebbe disciplinare, semmai, le conseguenze di una intercettazione 
casuale, in particolare sancendone l�inutilizzabilit�: ma, a tal fine, occorrerebbe una 
previsione espressa, nella specie inesistente. 
La resistente, dunque, avrebbe agito secondo diritto valutando la irrilevanza delle comunicazioni 
captate ed omettendone la distruzione, che spetterebbe esclusivamente al giudice 
disporre secondo quanto previsto dall�art. 269, comma 2, cod. proc. pen. Dal che dovrebbe 
conclusivamente discendere il rigetto del ricorso, semprech� non ne venga previamente riconosciuta 
l�inammissibilit�. 
Considerato in diritto 
1.� Il Presidente della Repubblica ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello 
Stato, �per violazione degli articoli 90 e 3 della Costituzione e delle disposizioni di legge or-
TEMI ISTITUZIONALI 49 
dinaria che ne costituiscono attuazione� � segnatamente, l�art. 7 della legge 5 giugno 1989, 
n. 219 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall�articolo 90 della Costituzione), 
�anche con riferimento all�art. 271 del codice di procedura penale� � nei confronti 
del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, in relazione all�attivit� 
di intercettazione telefonica, svolta riguardo alle utenze di persona diversa nell�ambito 
di un procedimento penale pendente a Palermo, nel corso della quale sono state captate conversazioni 
intrattenute dallo stesso Presidente della Repubblica. 
2.� Giova preliminarmente riepilogare, nei suoi termini essenziali, la vicenda che ha dato 
origine al conflitto, quale emerge dalle deduzioni e dalle produzioni documentali delle parti. 
Le intercettazioni per le quali si controverte sono state effettuate su utenze telefoniche 
in uso al senatore � non pi� in carica � Nicola Mancino, sottoposto ad indagini, assieme a numerose 
altre persone, nell�ambito del procedimento penale n. 11609/08, concernente la cosiddetta 
�trattativa� tra Stato e mafia negli anni tra il 1992 e il 1994, in rapporto alla quale � 
stato ipotizzato il reato di violenza o minaccia aggravata ad un Corpo politico, amministrativo 
o giudiziario. 
Nel periodo compreso tra il 7 novembre 2011 e il 9 maggio 2012, in particolare, sono 
state intercettate sulle utenze in uso al sen. Mancino, in forza di due distinti decreti di autorizzazione 
(e di successive proroghe per il secondo tra essi), 9.295 telefonate, quattro delle 
quali, della complessiva durata di diciotto minuti, hanno avuto come interlocutore il Capo 
dello Stato: le prime due effettuate ad iniziativa della persona sottoposta alle indagini, le altre 
su chiamata del Presidente. 
Alla luce delle risultanze investigative, la Procura di Palermo ha deciso di esercitare 
l�azione penale solo nei confronti di alcuni degli indagati e per alcune delle incolpazioni, e di 
proseguire le indagini quanto agli altri indagati ed alle residue ipotesi di reato, con riserva di 
ulteriori valutazioni. Il 1� giugno 2012, di conseguenza, � stata disposta la separazione del 
procedimento relativo ai soggetti per i quali si � stabilito di esercitare l�azione penale, tra i 
quali il sen. Mancino. 
Nel fascicolo relativo al procedimento separato � che ha preso il n. 117919/02 e in relazione 
al quale � stata formulata richiesta di rinvio a giudizio degli imputati, con conseguente 
fissazione dell�udienza preliminare � la Procura ha inserito le sole intercettazioni ritenute utili 
per l�instaurando giudizio, non comprendendovi i colloqui cui ha preso parte il Capo dello 
Stato. Pertanto la documentazione concernente tali colloqui, rimasta nel fascicolo del procedimento 
originario n. 11609/08, non ha sinora formato oggetto di deposito, idoneo a renderla 
conoscibile alle parti processuali. 
Alla stregua di quanto dedotto nell�atto introduttivo del giudizio, la Presidenza della 
Repubblica ha appreso dell�avvenuta registrazione a seguito di un�intervista rilasciata al quotidiano 
�La Repubblica� dal sostituto Procuratore dott. Antonino Di Matteo, pubblicata il 22 
giugno 2012. Nell�occasione, rispondendo a una domanda che introduceva il tema, l�intervistato 
aveva affermato che �negli atti depositati non cՏ traccia di conversazioni del Capo dello 
Stato e questo significa che non sono minimamente rilevanti�, aggiungendo poi � in risposta 
all�ulteriore domanda se ci� preludesse alla loro distruzione � che la Procura palermitana 
avrebbe applicato �la legge in vigore�: �quelle che dovranno essere distrutte con l�instaurazione 
di un procedimento davanti al [Giudice per le indagini preliminari] saranno distrutte, 
quelle che riguardano altri fatti da sviluppare saranno utilizzate in altri procedimenti�. 
Con nota del 27 giugno 2012, l�Avvocato generale dello Stato, su mandato della Presidenza, 
ha quindi chiesto al Procuratore della Repubblica di Palermo �una conferma o una
50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
smentita� di quanto sembrava emergere da tali dichiarazioni: ossia �che sarebbero state intercettate 
conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, allo stato considerate irrilevanti 
ma che la Procura di Palermo si [sarebbe riservata] di utilizzare�. 
In risposta all�interpello, il Procuratore della Repubblica, con nota del 6 luglio 2012 � 
allegando una missiva del dott. Di Matteo del giorno precedente � ha comunicato che la Procura 
di Palermo, �avendo gi� valutato come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia 
eventuale comunicazione telefonica in atti diretta al Capo dello Stato, non ne prevede[va] alcuna 
utilizzazione investigativa o processuale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare 
con l�osservanza delle formalit� di legge�. 
Con successiva nota, diffusa da agenzie di stampa il 9 luglio 2012, il dott. Messineo ha 
ulteriormente affermato che �nell�ordinamento attuale nessuna norma prescrive o anche soltanto 
autorizza l�immediata cessazione dell�ascolto e della registrazione, quando, nel corso 
di una intercettazione telefonica legittimamente autorizzata, venga casualmente ascoltata una 
conversazione fra il soggetto sottoposto ad intercettazione ed altra persona nei cui confronti 
non poteva essere disposta alcuna intercettazione�; aggiungendo che, �in tali casi, alla successiva 
distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede esclusivamente, 
previa valutazione della irrilevanza della conversazione stessa ai fini del 
procedimento e con la autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari, sentite le parti�. 
Da ultimo, in una lettera diretta al quotidiano �La Repubblica�, pubblicata l�11 luglio 2012, 
il Procuratore della Repubblica ha ribadito che �la procedura di distruzione delle intercettazioni 
ritenute non rilevanti� sarebbe stata �attivata nei modi e nei termini di legge�. 
3.� Ad avviso del ricorrente, la tesi espressa dalla Procura palermitana non sarebbe condivisibile, 
dovendosi ritenere, al contrario, che le intercettazioni, anche indirette o casuali, di 
conversazioni del Capo dello Stato siano radicalmente vietate dalla legge. 
Tale divieto risulterebbe insito nella garanzia dell�irresponsabilit� per gli atti compiuti 
nell�esercizio delle funzioni (salvi i casi di alto tradimento e attentato alla Costituzione), assicurata 
al Presidente della Repubblica dall�art. 90 Cost. in vista dell�espletamento degli altissimi 
compiti di cui � investito, e troverebbe conferma nell�interpretazione sistematica delle 
norme di legge ordinaria intese a dare attuazione a detta garanzia. 
L�art. 7, comma 3, della legge n. 219 del 1989 vieta infatti, in modo assoluto, di disporre 
intercettazioni telefoniche nei confronti del Presidente della Repubblica, se non dopo che la 
Corte costituzionale ne abbia disposto la sospensione dalla carica (nel qual caso, competente 
a disporle � solo il Comitato parlamentare per i giudizi d�accusa). Il divieto � sancito in rapporto 
ai reati per i quali, in base all�art. 90 Cost., il Presidente pu� essere messo in stato di accusa, 
e con riguardo alle intercettazioni �dirette� delle sue comunicazioni. La preclusione 
dovrebbe ritenersi, tuttavia, logicamente estesa, per un verso, anche alle intercettazioni �indirette
� o �casuali�, egualmente idonee a ledere la sfera di immunit� del Capo dello Stato, e, 
per altro verso, anche ai procedimenti aventi ad oggetto altre ipotesi di reato che coinvolgano 
il Presidente. A maggior ragione, poi, dovrebbe ritenersi inammissibile l�utilizzazione di conversazioni 
del Capo dello Stato occasionalmente intercettate nell�ambito di indagini concernenti 
reati addebitabili a diversi soggetti, come quelle che hanno originato l�odierno conflitto. 
Alle intercettazioni indicate da ultimo non sarebbe applicabile neppure la disciplina dettata 
dall�art. 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l�attuazione dell�articolo 68 della 
Costituzione nonch� in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), 
avuto riguardo alla captazione casuale di conversazioni o comunicazioni di membri del Parlamento, 
non essendo la posizione del Capo dello Stato assimilabile a quella del parlamentare. 
TEMI ISTITUZIONALI 51 
Di conseguenza, le registrazioni di cui si discute non potrebbero essere in alcun modo 
valutate, utilizzate o trascritte, e se ne dovrebbe piuttosto chiedere al giudice l�immediata distruzione 
ai sensi dell�art. 271 cod. proc. pen., in quanto eseguite �fuori dei casi consentiti 
dalla legge�. 
Su queste premesse, il ricorrente ritiene che la Procura della Repubblica di Palermo 
abbia menomato, sotto pi� profili, le proprie prerogative costituzionali, facendo un uso non 
corretto dei suoi poteri. Dette prerogative risulterebbero lese, in specie, dall�avvenuta registrazione 
dei colloqui; dalla permanenza della relativa documentazione tra gli atti del procedimento; 
dal fatto che ne sia stata valutata la rilevanza ai fini di una eventuale utilizzazione 
investigativa o processuale e, soprattutto, dal manifestato intento della Procura di attivare 
un�udienza secondo le modalit� indicate dall�art. 268 cod. proc. pen., per ottenerne l�acquisizione 
o la distruzione: procedura che � anche in ragione dell�instaurazione di un contraddittorio 
sul punto � aggraverebbe gli effetti lesivi delle precedenti condotte, rendendoli definitivi. 
Con l�atto introduttivo del giudizio, il ricorrente ha chiesto, pertanto, alla Corte di dichiarare 
che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo 
�omettere l�immediata distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali di conversazioni 
del Presidente della Repubblica�, delle quali si discute, n� valutarne la �(ir)rilevanza�, offrendole 
all��udienza stralcio� disciplinata dall�art. 268 cod. proc. pen. 
4.� Va confermata, anzitutto, l�ammissibilit� del conflitto � gi� dichiarata da questa 
Corte, in sede di prima e sommaria delibazione, con l�ordinanza n. 218 del 2012 � sussistendone 
i presupposti soggettivi e oggettivi. 
Con riguardo all�aspetto soggettivo, la natura di potere dello Stato e la conseguente legittimazione 
del Presidente della Repubblica ad avvalersi dello strumento del conflitto a tutela 
delle proprie attribuzioni costituzionali sono pacifiche nella giurisprudenza di questa Corte 
(sentenze n. 200 del 2006 e n. 129 del 1981, ordinanza n. 354 del 2005). Si tratta, infatti, di 
organo titolare di un complesso di attribuzioni, non inquadrabili nella tradizionale tripartizione 
dei poteri dello Stato ed esercitabili in posizione di piena indipendenza e autonomia, costituzionalmente 
garantita (ordinanza n. 150 del 1980). 
Egualmente costante � la giurisprudenza della Corte nel riconoscere la natura di potere 
dello Stato al pubblico ministero. Gli organi inquirenti sono infatti investiti dell�attribuzione, 
essa pure costituzionalmente garantita, inerente all�esercizio obbligatorio dell�azione penale 
(art. 112 Cost.), cui si connette la titolarit� diretta ed esclusiva delle indagini ad esso finalizzate 
(tra le molte, sentenze n. 88 e n. 87 del 2012, ordinanze n. 241 e n. 104 del 2011). A fronte 
del riparto di detta attribuzione fra i diversi uffici giudiziari territorialmente e funzionalmente 
competenti, ma, al tempo stesso, della organizzazione gerarchica interna ai singoli uffici, 
quello requirente si presenta come un potere �parzialmente diffuso�: legittimato ad agire e a 
resistere nei giudizi per conflitto di attribuzione � il capo dell�ufficio interessato � in particolare, 
il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale � in quanto competente a dichiarare 
definitivamente, nell�assolvimento della ricordata funzione, la volont� del potere cui appartiene 
(ordinanza n. 60 del 1999). 
Riguardo, poi, al profilo oggettivo, il ricorso � proposto a salvaguardia di prerogative 
del Presidente della Repubblica che si deducono insite nella garanzia dell�immunit� prevista 
dall�art. 90 Cost., in correlazione alle altre norme costituzionali che definiscono il ruolo e le 
funzioni del Capo dello Stato (il richiamo all�art. 3 Cost. � puramente collaterale), nonch� 
nelle disposizioni di legge ordinaria collegate a detta garanzia, a fronte di lesioni in assunto 
realizzate o prefigurate dalla Procura di Palermo nello svolgimento dei propri compiti. 
52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
5.� Risulta d�altra parte infondata l�eccezione di inammissibilit�, formulata dalla difesa 
della Procura resistente nella propria memoria illustrativa, riguardo ad un preteso carattere 
�prematuro� del conflitto, che si assume volto a censurare una semplice �manifestazione d�intenti�, 
in carenza di una lesione attuale e concreta. Il riferimento concerne segnatamente l�intenzione 
della Procura palermitana � espressa nella nota del 6 luglio 2012, in risposta 
all�interpello dell�Avvocato generale dello Stato � di procedere alla distruzione delle intercettazioni 
di cui si discute �con l�osservanza delle formalit� di legge�: formula che il ricorrente 
� anche alla luce di quanto affermato nella successiva nota del Procuratore della Repubblica 
del 9 luglio 2012, diffusa a mezzo di agenzie di stampa � considera evocativa della procedura 
disciplinata dall�art. 268, commi 4 e seguenti, cod. proc. pen. 
Va rilevato, in via preliminare, che l�eccezione non copre nella loro interezza i contenuti 
del ricorso, il quale investe anche comportamenti gi� tenuti dalla Procura palermitana, come 
ad esempio la compiuta valutazione di rilevanza delle comunicazioni intercettate. 
Quanto agli adempimenti non ancora posti in essere, costituisce in effetti affermazione 
ripetuta, nella giurisprudenza costituzionale, che la Corte, �come regolatrice dei conflitti, � 
chiamata a giudicare su conflitti non astratti e ipotetici, ma attuali e concreti� (sentenza n. 
106 del 2009, ordinanza n. 404 del 2005). Ci� in applicazione del generale principio per cui 
non � consentito chiedere al giudice che sia accertato un proprio diritto (in questo caso: una 
attribuzione) se non quando quel diritto (quella attribuzione) � leso o minacciato. Proprio in 
tale prospettiva, peraltro, questa Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini della configurabilit� dell�interesse 
a ricorrere, anche la sola minaccia di lesione, purch� attuale e concreta, e non meramente 
congetturale. Il conflitto di attribuzione � inammissibile quando si verta in una 
situazione di contrasto solo ipotetica, ossia quando il conflitto venga proposto �senza che 
siano sorte in concreto contestazioni relative alla �delimitazione della sfera di attribuzioni determinata 
per i vari poteri da norme costituzionali�� (ordinanza n. 84 del 1978), non potendo 
la Corte essere adita �a scopo meramente consultivo�; tuttavia, ai fini dell�ammissibilit� dei 
conflitti di attribuzione, � richiesto solo �l�interesse ad agire, la cui sussistenza � necessaria e 
sufficiente a conferire al conflitto gli indispensabili caratteri della concretezza e dell�attualit�� 
(sentenze n. 379 del 1996 e n. 420 del 1995). 
In quest�ordine d�idee, si � quindi ritenuto � avendo riguardo ai conflitti di attribuzione 
tra enti, ma con affermazione senz�altro estensibile ai conflitti interorganici � che costituisce 
atto idoneo ad innescare un conflitto �qualsiasi comportamento significante�, dotato di rilevanza 
esterna, anche se preparatorio o non definitivo, che appaia comunque diretto �ad esprimere 
in modo chiaro ed inequivoco la pretesa di esercitare una data competenza, il cui 
svolgimento possa determinare una invasione nella altrui sfera di attribuzioni o, comunque, 
una menomazione altrettanto attuale della possibilit� di esercizio della medesima� (tra le 
molte, sentenze n. 332 del 2011, n. 235 del 2007 e n. 382 del 2006). 
Nel caso in esame, bench� negli atti a firma del Procuratore della Repubblica di Palermo 
allegati al ricorso non vengano richiamate in modo espresso n� la procedura di cui all�art. 
268, commi 4 e seguenti, n� quella di cui all�art. 269, comma 2, cod. proc. pen., risulta incontestabile 
� e le difese svolte dalla resistente nell�odierno giudizio ne costituiscono eloquente 
riprova � che, alla luce del modus operandi seguito dalla Procura, la distruzione delle 
intercettazioni dovrebbe passare attraverso le procedure suindicate, e non gi� tramite quella 
delineata dall�art. 271 cod. proc. pen., la cui applicazione � invece pretesa dal ricorrente (sul 
presupposto che si tratti di procedura �non partecipata�). La Procura fa conseguire, infatti, la 
�prognosi� di distruzione del materiale dall�avvenuta valutazione della sua irrilevanza ai fini
TEMI ISTITUZIONALI 53 
del procedimento � valutazione destinata, per affermazione della Procura stessa, ad essere 
sottoposta alla verifica del giudice nel contraddittorio fra le parti, le quali potrebbero essere 
latrici di differenti apprezzamenti � e non gi� dalla inutilizzabilit� dei colloqui intercettati, in 
quanto acquisiti contra legem. 
Il comportamento della Procura, in conclusione, risulta inequivocamente espressivo 
della rivendicazione del potere-dovere di attivare la procedura di selezione prevista dall�art. 
268, all�esito della quale soltanto potrebbe essere disposta, ai sensi dell�art. 269, comma 2, 
cod. proc. pen. � ma esclusivamente su istanza degli �interessati� (ossia, nella specie, dello 
stesso Presidente della Repubblica) e passando attraverso una ulteriore udienza camerale � la 
distruzione del materiale in questione �a tutela della riservatezza�. 
In tale contesto, appare evidente come non possa essere condiviso l�assunto della resistente, 
secondo il quale il Presidente della Repubblica dovrebbe attendere, prima di sollevare 
il conflitto, la decisione del giudice che eventualmente neghi la distruzione del materiale (e, 
di conseguenza, proporre il conflitto stesso contro l�autorit� giudicante, anzich� contro quella 
inquirente). Il vulnus paventato dal ricorrente non si connette, infatti, solo all�eventualit� che, 
a seguito delle indicazioni delle parti private, il giudice vada in contrario avviso rispetto alla 
Procura sul punto della irrilevanza delle conversazioni e ne disponga, quindi, l�acquisizione 
in vista di una loro utilizzazione processuale. La lesione temuta � e che l�odierno conflitto 
mira a scongiurare � si connette anche, e prima di tutto, alla rivelazione del contenuto dei colloqui 
presidenziali ad ulteriori soggetti (e, in particolare, a soggetti privati, quali i difensori 
delle parti) che inevitabilmente deriverebbe dal ricorso alle procedure di cui agli artt. 268 e 
269 cod. proc. pen., con il conseguente rischio di una loro generale propalazione. Per questo 
aspetto, la reazione successiva al provvedimento del giudice risulterebbe, nella prospettiva 
del ricorrente, chiaramente tardiva, essendosi la lesione ormai irreparabilmente prodotta. 
6.� Parimenti infondata � l�altra eccezione di inammissibilit�, essa pure formulata dalla 
resistente nella memoria illustrativa, in base alla quale il ricorrente si sarebbe impropriamente 
avvalso dello strumento del conflitto di attribuzione per censurare un mero errore in procedendo 
da parte dell�autorit� giudiziaria � quello in ipotesi derivante dal (preconizzato) ricorso 
ad una certa procedura anzich� ad un�altra, al fine di pervenire alla distruzione del materiale 
� ponendo, di conseguenza, una questione che attiene esclusivamente all�interpretazione e all�applicazione 
delle norme processuali. 
A suffragio di tale eccezione, la difesa della Procura palermitana evoca la giurisprudenza 
di questa Corte in ordine ai limiti di ammissibilit� dei conflitti di attribuzione nei confronti di 
atti giurisdizionali: giurisprudenza secondo la quale il conflitto non pu� essere utilizzato per 
sindacare semplicemente presunti errores in iudicando o in procedendo nell�esercizio della 
funzione giudiziaria, col risultato di trasformarlo in un improprio mezzo di impugnazione. 
Al riguardo, va anzitutto osservato che nel presente caso non si discute di atti giurisdizionali, 
non venendo in considerazione alcun provvedimento del giudice, ma solo attivit� giudiziarie 
poste in essere dall�organo inquirente. 
Ad ogni modo, l�orientamento della giurisprudenza costituzionale richiamato dalla stessa 
Procura palermitana � nel senso che gli atti giurisdizionali sono suscettibili di essere posti a 
base di un conflitto di attribuzione, tanto interorganico che intersoggettivo, quando sia contestata 
radicalmente la riconducibilit� dell�atto che determina il conflitto alla funzione giurisdizionale, 
ovvero quando sia messa in discussione l�esistenza stessa del potere giurisdizionale 
nei confronti del soggetto ricorrente, o, pi� in generale, si lamenti il superamento dei limiti, 
diversi dal generale vincolo (anche costituzionale) di soggezione del giudice alla legge, che
54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
detta funzione incontra nell�ordinamento a garanzia di altre attribuzioni costituzionali (in materia 
di conflitto tra poteri, sentenza n. 359 del 1999, ordinanze n. 285 del 2011, n. 334 e n. 
284 del 2008; in materia di conflitto tra enti, sentenze n. 195 e n. 39 del 2007, n. 326 e n. 276 
del 2003). 
Nella specie, il ricorso del Presidente della Repubblica � volto propriamente a contestare 
la stessa esistenza nei confronti del ricorrente, in ragione delle sue prerogative costituzionali, 
del potere che la Procura riterrebbe invece competerle: quello, cio�, di intercettare i colloqui 
del Capo del Stato, almeno quando si tratti di captazioni �occasionali�, e di utilizzare le conversazioni 
presidenziali cos� intercettate ai fini del procedimento (potere, quest�ultimo, la cui 
esistenza rappresenta, come gi� accennato, il presupposto logico della valutazione di �irrilevanza
� delle conversazioni, operata dalla Procura, e della manifestata convinzione che la loro 
distruzione debba transitare attraverso la cosiddetta udienza stralcio, di cui all�art. 268 cod. 
proc. pen.). 
Questa Corte, del resto, ha pi� volte ritenuto ammissibili conflitti di attribuzione promossi 
in relazione ad atti od omissioni del pubblico ministero strutturalmente analoghi, sotto 
il profilo in esame, a quelli che formano oggetto delle odierne censure (ad esempio, sentenze 
n. 88 e n. 87 del 2012, n. 106 del 2009; ordinanze n. 241 e n. 104 del 2011). 
7.� Neppure ha fondamento l�ulteriore eccezione � prospettata dalla difesa della resistente 
nell�atto di costituzione in giudizio � di inammissibilit� del ricorso �per impossibilit� 
giuridica del petitum�. 
Deve, infatti, escludersi che la Presidenza della Repubblica abbia postulato un dovere 
della Procura di distruggere essa stessa, omisso medio, la documentazione delle intercettazioni 
di cui si discute: comportamento � secondo la resistente � �non esigibile� in base alla disciplina 
processuale vigente, posto che, tanto nell�ipotesi prevista dagli artt. 268, comma 6, e 
269, comma 2, quanto in quella regolata dall�art. 271, comma 3, cod. proc. pen., la distruzione 
pu� essere disposta esclusivamente dal giudice. 
In senso contrario va osservato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, l�oggetto 
del conflitto di attribuzione deve essere individuato sulla base di una lettura complessiva 
dell�atto di promovimento, la quale pu� bene valere a precisare o ad integrare la formale enunciazione 
del petitum (tra le molte, sentenze n. 334 del 2011, n. 223 del 2009, n. 286 del 2006 
e n. 137 del 2001). 
Nella specie � anche a prescindere dalle inequivoche puntualizzazioni successivamente 
fornite dall�Avvocatura dello Stato nella memoria illustrativa � appare in effetti evidente, alla 
luce del tenore complessivo del ricorso introduttivo, come la locuzione che figura nelle relative 
conclusioni (�chiede che l�Ecc.ma Corte adita dichiari che non spetta alla Procura della Repubblica 
presso il Tribunale Ordinario di Palermo omettere l�immediata distruzione delle intercettazioni 
telefoniche casuali del Presidente della Repubblica�) assuma un carattere ellittico, 
non disconoscendo il ricorrente, in realt�, che la distruzione del materiale probatorio debba 
passare attraverso il vaglio del giudice. Depone in tal senso non solo l�esplicito richiamo, 
quale �parametro integrativo�, all�art. 271 cod. proc. pen. � il cui comma 3 prevede che la distruzione 
� disposta per ordine del giudice � ma anche la specifica affermazione, fatta a pagina 
3 del ricorso, secondo cui il pubblico ministero dovrebbe immediatamente �chiedere al giudice
� la distruzione delle intercettazioni delle conversazioni presidenziali, ancorch� �indirette 
od occasionali� (affermazione che figura, peraltro, anche nel decreto del Presidente della Repubblica 
del 16 luglio 2012, recante la determinazione di proporre il conflitto e l�affidamento 
della difesa all�Avvocatura dello Stato: decreto richiamato nel ricorso e allo stesso allegato). 
TEMI ISTITUZIONALI 55 
Riguardo poi alla richiesta che sia riconosciuto l�obbligo della Procura palermitana di 
procedere �immediatamente� alla distruzione del materiale acquisito, risulta chiaro, alla luce 
del tenore complessivo dell�atto di promovimento, come la scelta dell�avverbio non evochi 
affatto un ruolo diretto ed esclusivo del pubblico ministero nella procedura. Il termine vale 
piuttosto a significare, al fianco di una connotazione di urgenza dell�atto, come il ricorrente 
ritenga che la distruzione non debba essere preceduta da quegli adempimenti �intermedi� che 
la Procura palermitana intende compiere, cio� la cosiddetta �udienza stralcio� e, inoltre, la 
procedura camerale partecipata di cui all�art. 269 cod. proc. pen. 
In definitiva il ricorrente � come confermato dall�Avvocatura dello Stato nella propria 
memoria � ha inteso dolersi del fatto che la resistente non abbia prontamente promosso la distruzione 
del materiale, facendone istanza al giudice. 
Cade automaticamente, con ci�, anche la correlata e conclusiva eccezione di inammissibilit� 
sollevata dalla Procura, inerente alla pretesa contraddizione tra il petitum e le ragioni 
addotte in suo sostegno, dovendo il primo essere identificato proprio alla luce delle seconde. 
8.� Nel merito, il ricorso � fondato. 
8.1.� Al fine di decidere il presente conflitto di attribuzione, non � sufficiente una mera 
esegesi testuale di disposizioni normative, costituzionali od ordinarie, ma � necessario far riferimento 
all�insieme dei principi costituzionali, da cui emergono la figura ed il ruolo del Presidente 
della Repubblica nel sistema costituzionale italiano. 
� appena il caso di osservare, inoltre, che in tutte le sedi giurisdizionali (e quindi non 
solo in quella costituzionale) occorre interpretare le leggi ordinarie alla luce della Costituzione, 
e non viceversa. La Carta fondamentale contiene in s� principi e regole, che non soltanto si 
impongono sulle altre fonti e condizionano pertanto la legislazione ordinaria � determinandone 
la illegittimit� in caso di contrasto � ma contribuiscono a conformare tale legislazione, mediante 
il dovere del giudice di attribuire ad ogni singola disposizione normativa il significato 
pi� aderente alle norme costituzionali, sollevando la questione di legittimit� davanti a questa 
Corte solo quando sia impossibile, per insuperabili barriere testuali, individuare una interpretazione 
conforme (sentenza n. 356 del 1996). Naturalmente allo stesso principio deve ispirarsi 
il giudice delle leggi. 
La conformit� a Costituzione dell�interpretazione giudiziale non pu� peraltro limitarsi 
ad una comparazione testuale e meramente letterale tra la disposizione legislativa da interpretare 
e la norma costituzionale di riferimento. La Costituzione � fatta soprattutto di principi 
e questi ultimi sono in stretto collegamento tra loro, bilanciandosi vicendevolmente, di modo 
che la valutazione di conformit� alla Costituzione stessa deve essere operata con riferimento 
al sistema, e non a singole norme, isolatamente considerate. Un�interpretazione frammentaria 
delle disposizioni normative, sia costituzionali che ordinarie, rischia di condurre, in molti casi, 
ad esiti paradossali, che finirebbero per contraddire le stesse loro finalit� di tutela. 
8.2.� Poste le premesse metodologiche di cui sopra, la ricostruzione del complesso delle 
attribuzioni del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano mette in rilievo 
che lo stesso � stato collocato dalla Costituzione al di fuori dei tradizionali poteri dello Stato 
e, naturalmente, al di sopra di tutte le parti politiche. Egli dispone pertanto di competenze che 
incidono su ognuno dei citati poteri, allo scopo di salvaguardare, ad un tempo, sia la loro separazione 
che il loro equilibrio. Tale singolare caratteristica della posizione del Presidente si 
riflette sulla natura delle sue attribuzioni, che non implicano il potere di adottare decisioni 
nel merito di specifiche materie, ma danno allo stesso gli strumenti per indurre gli altri poteri 
costituzionali a svolgere correttamente le proprie funzioni, da cui devono scaturire le relative
56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
decisioni di merito. La specificit� della posizione del Capo dello Stato si fonda sulla descritta 
natura delle sue attribuzioni, che lo differenziano dagli altri organi costituzionali, senza incidere, 
tuttavia, sul principio di parit� tra gli stessi. 
Alla luce di quanto detto, il Presidente della Repubblica �rappresenta l�unit� nazionale� 
(art. 87, primo comma, Cost.) non soltanto nel senso dell�unit� territoriale dello Stato, ma anche, 
e soprattutto, nel senso della coesione e dell�armonico funzionamento dei poteri, politici e di 
garanzia, che compongono l�assetto costituzionale della Repubblica. Si tratta di organo di moderazione 
e di stimolo nei confronti di altri poteri, in ipotesi tendenti ad esorbitanze o ad inerzia. 
Tutti i poteri del Presidente della Repubblica hanno dunque lo scopo di consentire allo 
stesso di indirizzare gli appropriati impulsi ai titolari degli organi che devono assumere decisioni 
di merito, senza mai sostituirsi a questi, ma avviando e assecondando il loro funzionamento, 
oppure, in ipotesi di stasi o di blocco, adottando provvedimenti intesi a riavviare il 
normale ciclo di svolgimento delle funzioni costituzionali. Tali sono, ad esempio, il potere di 
sciogliere le Camere, per consentire al corpo elettorale di indicare la soluzione politica di uno 
stato di crisi, che non permette la formazione di un Governo o incide in modo grave sulla rappresentativit� 
del Parlamento; la nomina del Presidente del Consiglio e, su proposta di questi, 
dei ministri, per consentire l�operativit� del vertice del potere esecutivo; l�assunzione, nella 
sua qualit� di Presidente del Consiglio superiore della magistratura, di iniziative volte a garantire 
le condizioni esterne per un indipendente e coerente esercizio della funzione giurisdizionale. 
8.3.� Per svolgere efficacemente il proprio ruolo di garante dell�equilibrio costituzionale 
e di �magistratura di influenza�, il Presidente deve tessere costantemente una rete di raccordi 
allo scopo di armonizzare eventuali posizioni in conflitto ed asprezze polemiche, indicare ai 
vari titolari di organi costituzionali i principi in base ai quali possono e devono essere ricercate 
soluzioni il pi� possibile condivise dei diversi problemi che via via si pongono. 
� indispensabile, in questo quadro, che il Presidente affianchi continuamente ai propri 
poteri formali, che si estrinsecano nell�emanazione di atti determinati e puntuali, espressamente 
previsti dalla Costituzione, un uso discreto di quello che � stato definito il �potere di 
persuasione�, essenzialmente composto di attivit� informali, che possono precedere o seguire 
l�adozione, da parte propria o di altri organi costituzionali, di specifici provvedimenti, sia per 
valutare, in via preventiva, la loro opportunit� istituzionale, sia per saggiarne, in via successiva, 
l�impatto sul sistema delle relazioni tra i poteri dello Stato. Le attivit� informali sono 
pertanto inestricabilmente connesse a quelle formali. 
Le suddette attivit� informali, fatte di incontri, comunicazioni e raffronti dialettici, implicano 
necessariamente considerazioni e giudizi parziali e provvisori da parte del Presidente 
e dei suoi interlocutori. Le attivit� di raccordo e di influenza possono e devono essere valutate 
e giudicate, positivamente o negativamente, in base ai loro risultati, non gi� in modo frammentario 
ed episodico, a seguito di estrapolazioni parziali ed indebite. L�efficacia, e la stessa 
praticabilit�, delle funzioni di raccordo e di persuasione, sarebbero inevitabilmente compromesse 
dalla indiscriminata e casuale pubblicizzazione dei contenuti dei singoli atti comunicativi. 
Non occorrono molte parole per dimostrare che un�attivit� informale di stimolo, 
moderazione e persuasione � che costituisce il cuore del ruolo presidenziale nella forma di 
governo italiana � sarebbe destinata a sicuro fallimento, se si dovesse esercitare mediante dichiarazioni 
pubbliche. La discrezione, e quindi la riservatezza, delle comunicazioni del Presidente 
della Repubblica sono pertanto coessenziali al suo ruolo nell�ordinamento 
costituzionale. Non solo le stesse non si pongono in contrasto con la generale eguaglianza dei 
cittadini di fronte alla legge, ma costituiscono modalit� imprescindibili di esercizio della fun-
TEMI ISTITUZIONALI 57 
zione di equilibrio costituzionale � derivanti direttamente dalla Costituzione e non da altre 
fonti normative � dal cui mantenimento dipende la concreta possibilit� di tutelare gli stessi 
diritti fondamentali, che in quell�equilibrio trovano la loro garanzia generale e preliminare. 
9.� Dalle considerazioni svolte consegue che il Presidente della Repubblica deve poter 
contare sulla riservatezza assoluta delle proprie comunicazioni, non in rapporto ad una specifica 
funzione, ma per l�efficace esercizio di tutte. Anche le funzioni che implicano decisioni 
molto incisive, che si concretizzano in solenni atti formali, come lo scioglimento anticipato 
delle assemblee legislative (art. 88 Cost.), presuppongono che il Presidente intrattenga, nel 
periodo che precede l�assunzione della decisione, intensi contatti con le forze politiche rappresentate 
in Parlamento e con altri soggetti, esponenti della societ� civile e delle istituzioni, 
allo scopo di valutare tutte le alternative costituzionalmente possibili, sia per consentire alla 
legislatura di giungere alla sua naturale scadenza, sia per troncare, con l�appello agli elettori, 
situazioni di stallo e di ingovernabilit�. La propalazione del contenuto di tali colloqui, nel 
corso dei quali ciascuno degli interlocutori pu� esprimere apprezzamenti non definitivi e valutazioni 
di parte su persone e formazioni politiche, sarebbe estremamente dannosa non solo 
per la figura e per le funzioni del Capo dello Stato, ma anche, e soprattutto, per il sistema costituzionale 
complessivo, che dovrebbe sopportare le conseguenze dell�acuirsi delle contrapposizioni 
e degli scontri. 
Le stesse considerazioni � possibile fare a proposito dei contatti necessari per un efficace 
svolgimento del ruolo di Presidente del Consiglio superiore della magistratura, che non si riduce 
ai discorsi ufficiali in occasione delle sedute solenni di quest�organo o alla firma dei 
provvedimenti dallo stesso deliberati, ma implica la conoscenza di specifiche situazioni e particolari 
problemi, che attengono all�esercizio della giurisdizione a tutti i livelli, senza ovviamente 
alcuna interferenza con il merito degli orientamenti, processuali e sostanziali, dei 
giudici nell�esercizio delle loro funzioni. 
Ancora va ricordato come il Capo dello Stato presieda il Consiglio supremo di difesa 
ed abbia il comando delle Forze armate, e come sia chiamato ad intrattenere, anche nelle vesti 
indicate, rapporti e comunicazioni del cui carattere riservato non occorre dare particolare dimostrazione. 
Dagli esempi test� prospettati si pu� dedurre in quale misura, nel campo delle prerogative 
costituzionali, vengano in rilievo le esigenze intrinseche del sistema, che non sempre 
sono enunciate dalla Costituzione in norme esplicite, e che risultano peraltro del tutto evidenti, 
se si adotta un punto di vista sensibile alla tenuta dell�equilibrio tra i poteri. Questa Corte ha 
reiteratamente affermato che le prerogative degli organi costituzionali � in quanto derogatorie 
del principio della parit� di trattamento davanti alla giurisdizione, posto alle origini della formazione 
dello Stato di diritto (sentenza n. 24 del 2004) � trovano fondamento nel dettato costituzionale, 
al quale il legislatore ordinario pu� dare solo stretta attuazione (sentenza n. 262 
del 2009), senza aggiungere alcuna nuova deroga al diritto comune. Tale esigenza, peraltro, 
� soddisfatta anche quando quel fondamento, pur nell�assenza di una enunciazione formale 
ed espressa, emerga in modo univoco dal sistema costituzionale (sentenza n. 148 del 1983). 
� evidente altres� che tutti gli organi costituzionali hanno necessit� di disporre di una 
garanzia di riservatezza particolarmente intensa, in relazione alle rispettive comunicazioni 
inerenti ad attivit� informali, sul presupposto che tale garanzia � principio generale valevole 
per tutti i cittadini, ai sensi dell�art. 15 Cost. � assume contorni e finalit� specifiche, se vengono 
in rilievo ulteriori interessi costituzionalmente meritevoli di protezione, quale l�efficace e libero 
svolgimento, ad esempio, dell�attivit� parlamentare e di governo. 
58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Si inquadra in questa prospettiva la disposizione di cui all�art. 68, terzo comma, Cost., 
riguardante i membri delle due Camere, la quale stabilisce che non si possa ricorrere, nei confronti 
di tali soggetti, ad intercettazioni telefoniche o ad altri mezzi invasivi di ricerca della 
prova, se non a seguito di autorizzazione concessa dalla Camera competente. Specifiche limitazioni 
all�esercizio di poteri di indagine mediante atti invasivi, quali le intercettazioni telefoniche, 
sono previste da norme di rango costituzionale anche per i componenti del Governo 
(art. 10 della legge cost. 16 gennaio 1989, n. 1, recante � Modifiche degli articoli 96, 134 e 
135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di 
procedimenti per i reati di cui all�articolo 96 della Costituzione�). 
La posizione dei soggetti appena indicati e quella del Presidente della Repubblica divergono 
tuttavia per due distinti profili. In primo luogo, il Presidente possiede soltanto funzioni 
di raccordo e di equilibrio, che non implicano l�assunzione, nella sua quotidiana attivit�, di 
decisioni politiche � delle quali debba rispondere ai suoi elettori o a chi abbia accordato la fiducia 
� ma richiedono che ponga in collegamento tutti i titolari delle istituzioni di vertice, 
esercitando quei poteri di impulso, di persuasione e di moderazione, di cui si diceva prima, 
richiedenti necessariamente discrezione e riservatezza. Per altro verso, e non a caso, la Costituzione 
non prevede alcuno strumento per rimuovere la preclusione all�utilizzazione, nei confronti 
del Presidente, di mezzi di ricerca della prova invasivi, a differenza di quel che concerne 
i parlamentari ed i componenti del Governo, per i quali � possibile procedere a tali forme di 
controllo se la Camera competente, secondo le diverse discipline della materia, concede la 
prescritta autorizzazione. 
Nel quadro normativo fa difetto, del resto, ogni riferimento ai soggetti istituzionali cui 
sarebbe possibile chiedere, da parte dell�autorit� giudiziaria, una autorizzazione concernente 
il Presidente della Repubblica. L�assenza di una previsione non potrebbe essere superata in 
via interpretativa, neanche da parte di questa Corte, poich� manca in modo evidente una soluzione 
costituzionalmente obbligata. L�individuazione di un soggetto competente a rilasciare 
un�autorizzazione del genere potrebbe essere operata soltanto da una norma di rango costituzionale, 
non surrogabile da alcun altro tipo di fonte n�, tanto meno, da una pronuncia del giudice 
costituzionale. 
La mancata previsione di atti autorizzatori simili a quelli contemplati per i parlamentari 
ed i ministri, e la carenza inoltre di limitazioni esplicite per categorie di reati stabilite da norme 
costituzionali, non possono portare alla paradossale conseguenza che le comunicazioni del 
Presidente della Repubblica godano di una tutela inferiore a quella degli altri soggetti istituzionali 
menzionati, ma alla pi� coerente conclusione che il silenzio della Costituzione sul 
punto sia espressivo della inderogabilit� � in linea di principio e con l�eccezione costituzionalmente 
necessaria di cui si dir� poco oltre � della riservatezza della sfera delle comunicazioni 
presidenziali. 
Tale inderogabilit� discende dalla posizione e dal ruolo del Capo dello Stato nel sistema 
costituzionale italiano e non pu� essere riferita ad una norma specifica ed esplicita, poich� 
non esiste una disposizione che individui un soggetto istituzionale competente ad autorizzare 
il superamento della prerogativa. Non si tratta quindi di una lacuna, ma, al contrario, della 
presupposizione logica, di natura giuridico-costituzionale, dell�intangibilit� della sfera di comunicazioni 
del supremo garante dell�equilibrio tra i poteri dello Stato. 
Da quanto sinora detto si deduce l�improponibilit� di qualunque analogia, nella disciplina 
della prerogativa di riservatezza delle comunicazioni del Capo dello Stato, sia in funzione 
estensiva che restrittiva, con le norme contenute nella legge 20 giugno 2003, n. 140 (Dispo-
TEMI ISTITUZIONALI 59 
sizioni per l�attuazione dell�articolo 68 della Costituzione nonch� in materia di processi penali 
nei confronti delle alte cariche dello Stato), da considerare attuative � specie dopo la sentenza 
di questa Corte n. 24 del 2004 � di una previsione costituzionale riguardante soltanto i membri 
del Parlamento. � proprio dallo stesso art. 68 Cost., e non dalle norme di legge ordinaria che 
vi hanno dato attuazione, che si pu� invece muovere, sulla base di una logica argomentazione 
a fortiori, per dare un significato, nella direzione indicata, al silenzio della Costituzione in 
tema di intercettazione delle comunicazioni del Presidente della Repubblica. 
10.� Non sarebbe, in effetti, rispondente ad un corretto metodo interpretativo della Costituzione 
trarre conclusioni negative sull�esistenza di una tutela generale della riservatezza 
delle comunicazioni del Presidente della Repubblica dall�assenza di una esplicita disposizione 
costituzionale in proposito. 
Nessuno, ad esempio, potrebbe dubitare della sussistenza delle immunit� riconosciute 
alle sedi degli organi costituzionali, sol perch� non � prevista in Costituzione e rimane affidata 
esclusivamente all�efficacia dei regolamenti di tali organi, ove invece � sancita in modo esplicito. 
Questa Corte ha gi� chiarito che alle disposizioni contenute nella Costituzione, volte a 
salvaguardare l�assoluta indipendenza del Parlamento, �si aggiungono poi, svolgendone ed 
applicandone i principi, quelle dei regolamenti parlamentari�, da cui �si suole trarre la regola 
della cos� detta �immunit� della sede� (valevole anche per gli altri supremi organi dello Stato) 
in forza della quale nessuna estranea autorit� potrebbe far eseguire coattivamente propri provvedimenti 
rivolti al Parlamento ed ai suoi organi. Di guisa che, ove gli organi parlamentari 
non vi ottemperassero, sarebbe unicamente possibile provocare l�intervento di questa Corte, 
in sede di conflitto di attribuzione [�]� (sentenza n. 231 del 1975). In definitiva, e per giurisprudenza 
risalente, la legge e i regolamenti degli organi costituzionali non possono creare 
nuove prerogative, ma possono tuttavia esprimere prerogative implicite alla particolare struttura 
ed alle specifiche funzioni dei medesimi organi. 
La immunit� delle sedi � legata all�esistenza stessa dello Stato di diritto democratico, che 
verrebbe posta certamente in pericolo dall�esercizio non contrastabile dei poteri repressivi, anche 
nei luoghi ove si esercitano le massime funzioni di rappresentanza e di garanzia. La violazione 
delle sedi degli organi costituzionali potrebbe avvenire solo in uno Stato autoritario di polizia, 
che ovviamente costituisce l�opposto dello Stato costituzionale delineato dalla Carta del 1948. 
L�interpretazione meramente letterale delle disposizioni normative, metodo primitivo 
sempre, lo � ancor pi� se oggetto della ricostruzione ermeneutica sono le disposizioni costituzionali, 
che contengono norme basate su principi fondamentali indispensabili per il regolare 
funzionamento delle istituzioni della Repubblica democratica. La natura derogatoria del principio 
di uguaglianza, propria delle norme che sanciscono le prerogative degli organi costituzionali, 
impone � come questa Corte ha costantemente affermato � una stretta interpretazione 
delle relative disposizioni. Sono pertanto escluse sia l�interpretazione estensiva che quella 
analogica, ma resta possibile ed anzi necessaria l�interpretazione sistematica, che consente 
una ricostruzione coerente dell�ordinamento costituzionale. 
Non sarebbe ragionevole dire, d�altra parte, che l�immunit� delle sedi costituisca un 
inaccettabile privilegio degli organi costituzionali, contrario all�art. 3 Cost., perch� uguale 
immunit� non � prevista per le abitazioni dei cittadini. Le norme regolamentari in discorso 
esplicitano una garanzia funzionale presente nella Costituzione, e per questa ragione sono con 
essa perfettamente compatibili. 
Si consideri ancora che, una volta stabilita l�inviolabilit� della sede degli organi costituzionali 
rispetto all�esercizio di poteri coercitivi dell�autorit� giudiziaria o di polizia, sarebbe
60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
davvero irragionevole ammettere la possibilit� di una intrusione sulle linee telefoniche in uso 
ai titolari degli organi stessi, per di pi� installate proprio nelle sedi protette da immunit�. Se 
si rileva poi che, oltre alle intercettazioni telefoniche, sono possibili � in relazione a determinate 
fattispecie � anche intercettazioni ambientali, si dovrebbe assurdamente concludere che 
sia consentito collocare, previa autorizzazione del giudice, apparecchi trasmittenti nelle sedi 
delle Camere, del Governo, della Corte costituzionale, sol perch� non esiste un esplicito divieto 
costituzionale di compiere tali atti investigativi. 
Il paradosso legato ad una ricerca solo testuale delle prerogative potrebbe spingersi fino 
a conseguenze ancor pi� estreme. Norme di rango costituzionale pongono limiti espressi alla 
possibilit� che i componenti delle Camere o del Governo siano assoggettati a provvedimenti 
coercitivi della libert� personale, oltre che a mezzi di indagine lesivi dell�inviolabilit� delle 
comunicazioni e del domicilio (rispettivamente, art. 68 Cost. e art. 10 della legge cost. n. 1 
del 1989). Nell�assenza di analoghe previsioni che lo riguardano, dovrebbe ritenersi, secondo 
il metodo qui disatteso, che il Presidente della Repubblica possa essere indiscriminatamente 
assoggettato a provvedimenti coercitivi � perfino eseguibili attraverso la restrizione in carcere 
� anche ad iniziativa della polizia giudiziaria. E ci� qualunque sia la natura del reato in ipotesi 
perseguito. L�inaccettabilit� della conseguenza, comՏ ovvio, invalida il metodo. Ed infatti 
non mancano, nell�ordinamento, norme sintomatiche dell�incoercibilit� della libert� personale 
del Capo dello Stato. Si pensi ad esempio all�esclusione per quest�ultimo della possibilit� di 
procedere nelle forme ordinarie (e dunque anche mediante l�eventuale accompagnamento coattivo) 
all�assunzione della testimonianza (art. 205, comma 3, cod. proc. pen., in relazione al 
comma 1 della stessa norma): lungi dal costituire una eccezione (in questo senso irragionevole) 
nell�ambito di una generalizzata possibilit� di coercizione, la disposizione rappresenta piuttosto 
la regola applicativa, sul piano particolare, del pi� generale regime di tutela della funzione 
presidenziale. 
11.� L�art. 90 Cost. prevede che il Presidente della Repubblica non � responsabile degli 
atti compiuti nell�esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o attentato alla 
Costituzione. � opinione pacifica che l�immunit� di cui alla citata norma costituzionale sia 
onnicomprensiva, copra cio� i settori penale, civile, amministrativo e politico. Tuttavia la perseguibilit� 
del Capo dello Stato per i delitti di alto tradimento e di attentato alla Costituzione 
rende necessario che, allo scopo di accertare cos� gravi illeciti penali, di rilevanza non solo 
personale, ma istituzionale, possano essere utilizzati anche mezzi di ricerca della prova particolarmente 
invasivi, come le intercettazioni telefoniche. Si tratta di una limitazione logica 
ed implicita alla statuizione costituzionale che assoggetta il Presidente della Repubblica alla 
giurisdizione penale � sia pure con forme e procedimenti peculiari � in vista dell�accertamento 
della sua responsabilit� per il compimento di uno dei suddetti reati funzionali. 
La ritenuta necessit� di consentire l�esercizio di poteri investigativi particolarmente penetranti, 
come (per quanto qui interessa) le intercettazioni telefoniche, ha indotto il legislatore 
ordinario a dare stretta attuazione al disposto costituzionale, mediante l�art. 7, commi 2 e 3, 
della legge n. 219 del 1989. Tale disciplina attribuisce al Comitato parlamentare, di cui all�art. 
12 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti 
la Corte costituzionale), il potere di deliberare i provvedimenti che dispongono intercettazioni 
telefoniche nei confronti del Presidente della Repubblica, sempre dopo che la Corte 
costituzionale abbia sospeso lo stesso dalla carica: un�eccezione, stabilita con legge ordinaria, 
al generale divieto, desumibile dal sistema costituzionale, di intercettare le comunicazioni del 
Capo dello Stato. La norma eccezionale si contiene nei limiti strettamente necessari all�attua-
TEMI ISTITUZIONALI 61 
zione processuale dell�art. 90 Cost. � che costituisce, a sua volta, norma derogatoria � disponendo, 
per di pi�, che, finanche nell�ipotesi di indagini volte all�accertamento dei pi� gravi delitti 
contro le istituzioni della Repubblica previsti dall�ordinamento costituzionale, siano 
interdette agli investigatori intercettazioni telefoniche nei confronti del Presidente in carica. 
Lo stesso argomento a fortiori, che consente di dare un significato coerente con il sistema 
al silenzio della Costituzione sulle garanzie di riservatezza delle comunicazioni del Capo dello 
Stato, deve essere utilizzato per dedurre dalla rigorosa previsione dell�art. 7, commi 2 e 3, 
della legge n. 219 del 1989, la conclusione che la garanzia prevista perfino per le indagini 
concernenti i delitti pi� gravi sul piano istituzionale implica che, per tutte le altre fattispecie, 
non si possa ipotizzare un livello di tutela inferiore. Ci�, del resto, � esplicitamente riconosciuto 
anche da quella parte della dottrina che circoscrive nel modo pi� restrittivo le prerogative 
presidenziali. La stessa Procura della Repubblica di Palermo, odierna resistente, non 
contesta che sia inibita qualunque forma di intercettazione telefonica nei confronti del Presidente 
della Repubblica ed ha piuttosto incentrato le sue difese � come si vedr� poco pi� avanti 
� sull�asserita impossibilit� di riferire tale divieto alle intercettazioni �casuali�. 
12.� Sulla base delle considerazioni sinora esposte, si deve affermare altres� che, al fine 
di determinare l�ampiezza della tutela della riservatezza delle comunicazioni del Presidente 
della Repubblica, non assume alcuna rilevanza la distinzione tra reati funzionali ed extrafunzionali, 
giacch� l�interesse costituzionalmente protetto non � la salvaguardia della persona 
del titolare della carica, ma l�efficace svolgimento delle funzioni di equilibrio e raccordo tipiche 
del ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano, fondato 
sulla separazione e sull�integrazione dei poteri dello Stato. 
Si deve inoltre sottolineare che tutta la discussione sulla distinzione tra i reati ascrivibili 
al Capo dello Stato, sviluppata anche nell�ambito del presente giudizio, risulta invece ad esso 
estranea, giacch� nel procedimento penale da cui origina il conflitto non � mai emersa alcuna 
contestazione di natura penale nei confronti del Presidente. 
13.� Ugualmente fuor di luogo sono tutte le discussioni sviluppate in questo giudizio 
sulla responsabilit� penale del Presidente della Repubblica per reati extrafunzionali. � noto 
infatti come questa Corte abbia stabilito che �l�art. 90 della Costituzione sancisce la irresponsabilit� 
del Presidente � salve le ipotesi estreme dell�alto tradimento e dell�attentato alla Costituzione 
� solo per gli �atti compiuti nell�esercizio delle sue funzioni��. La medesima 
pronuncia ha concluso sul punto con chiarezza: �� dunque necessario tenere ferma la distinzione 
fra atti e dichiarazioni inerenti all�esercizio delle funzioni, e atti e dichiarazioni che, 
per non essere esplicazione di tali funzioni restano addebitabili, ove forieri di responsabilit�, 
alla persona fisica del titolare della carica� (sentenza n. 154 del 2004). 
Allo scopo di fugare ogni ulteriore equivoco sul punto, va riaffermato che il Presidente, 
per eventuali reati commessi al di fuori dell�esercizio delle sue funzioni, � assoggettato alla 
medesima responsabilit� penale che grava su tutti i cittadini. Ci� che invece non � ammissibile 
� l�utilizzazione di strumenti invasivi di ricerca della prova, quali sono le intercettazioni telefoniche, 
che finirebbero per coinvolgere, in modo inevitabile e indistinto, non solo le private 
conversazioni del Presidente, ma tutte le comunicazioni, comprese quelle necessarie per lo 
svolgimento delle sue essenziali funzioni istituzionali, per le quali, giova ripeterlo, si determina 
un intreccio continuo tra aspetti personali e funzionali, non preventivabile, e quindi non 
calcolabile ex ante da parte delle autorit� che compiono le indagini. In tali frangenti, la ricerca 
della prova riguardo ad eventuali reati extrafunzionali deve avvenire con mezzi diversi (documenti, 
testimonianze ed altro), tali da non arrecare una lesione alla sfera di comunicazione
62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
costituzionalmente protetta del Presidente. 
In definitiva, nella materia su cui incide il presente conflitto si deve procedere tenendo 
conto del necessario bilanciamento tra le esigenze di giustizia e gli interessi supremi delle 
istituzioni, senza giungere al sacrificio n� delle prime n� dei secondi. Va ribadito peraltro, 
anche a questo proposito, che il tema della responsabilit� penale del Presidente della Repubblica 
resta estraneo all�odierno giudizio. 
Questa Corte deve fornire le precisazioni di cui sopra in ragione della trattazione di tale 
argomento negli atti difensivi delle parti, le quali � anche per giungere ad opposte conclusioni 
� hanno ritenuto di collegare il problema dell�ammissibilit� delle intercettazioni nei confronti 
del Presidente della Repubblica a quello della sua soggezione alla giurisdizione penale, della 
quale, come appena ricordato, questa Corte ha da tempo affermato la sussistenza, e che oggi 
deve essere ribadita. 
14.� Contrariamente a quanto sostiene la resistente, non assume neppure rilevanza � se 
non per il profilo che appresso si indicher� � la distinzione (tuttora oggetto di controversie 
nei casi concreti) tra intercettazioni dirette, indirette e casuali. 
In via preliminare va ricordato come, secondo la giurisprudenza costituzionale formatasi 
a proposito delle indagini riguardanti parlamentari o membri del Governo, occorra distinguere 
tra controlli mirati all�ascolto delle comunicazioni del soggetto munito della prerogativa, e 
controlli casuali od occasionali, cio� intervenuti accidentalmente in forza dell�intercettazione 
disposta a carico di un soggetto non immune. Nella prima delle due categorie sono comprese 
anche le intercettazioni �indirette�, cio� quelle indagini che, pur non riguardando (a differenza 
delle intercettazioni �dirette�) le utenze in uso al soggetto immune, siano comunque mirate a 
captarne le comunicazioni, a causa del suo rapporto personale o professionale con la persona 
assoggettata al controllo (si vedano, in proposito, le sentenze n. 114 e n. 113 del 2010, n. 390 
del 2007, nonch� le ordinanze n. 171 del 2011 e n. 263 del 2010). 
Nel caso in esame, l�occasionalit� delle intercettazioni effettuate non � in contestazione 
fra le parti. Sia nell�atto introduttivo del giudizio che nella successiva memoria, lo stesso ricorrente 
muove, infatti, dall�esplicito presupposto che le captazioni dei colloqui presidenziali 
siano state operate accidentalmente, non prospettando, neppure in via di ipotesi, un intento 
surrettizio degli inquirenti di accedere alla sfera delle comunicazioni del Capo dello Stato tramite 
il monitoraggio delle utenze in uso all�indagato. 
Tuttavia, anche aderendo alla concorde qualificazione operata dalle parti, ci� non comporta 
che le intercettazioni in questione debbano ritenersi consentite e suscettibili di utilizzazione 
processuale, sulla base dell�argomento che quanto � fortuito non pu� formare oggetto 
di divieto. Difatti, se il fondamento della tutela della riservatezza delle comunicazioni presidenziali 
non � l�espressione di una presunta � e inesistente � immunit� del Presidente per i 
reati extrafunzionali, ma consiste nell�essenziale protezione delle attivit� informali di equilibrio 
e raccordo tra poteri dello Stato, ossia tra soggetti che svolgono funzioni, politiche o di 
garanzia, costituzionalmente rilevanti, allora si deve riconoscere che il livello di tutela non si 
abbassa per effetto della circostanza, non prevista dagli inquirenti e non conosciuta ovviamente 
dallo stesso Presidente, che l�intercettazione non riguardi una utenza in uso al Capo dello 
Stato, ma quella di un terzo destinatario di indagini giudiziarie. Si verificherebbe, secondo 
l�opposta opinione, la singolare situazione di una tutela costituzionale che degrada in seguito 
a circostanze casuali, imprevedibili anche da parte degli stessi inquirenti. 
Semmai la distinzione di cui sopra potrebbe assumere rilevanza per valutare la responsabilit� 
di chi dispone le intercettazioni, giacch� diversa � la posizione di chi deliberatamente
TEMI ISTITUZIONALI 63 
interferisce in modo illegittimo nella sfera di riservatezza di un organo costituzionale e di chi 
si trovi occasionalmente di fronte ad una conversazione captata nel corso di una attivit� di 
controllo legittimamente mirata verso un altro soggetto. 
Se l�intercettazione � stata casuale, cio� non prevedibile n� evitabile, il problema non � 
quello di affermare il suo divieto preventivo, che, in via generale, esiste, ma non � applicabile 
nella fattispecie � anche per le modalit� tecniche della relativa esecuzione � proprio per la 
casualit� e l�imprevedibilit� della captazione (considerazione che priva, tra l�altro, della sua 
necessaria premessa logica la richiesta del ricorrente di dichiarare che non spettava agli inquirenti 
non interrompere la registrazione delle conversazioni). La funzione di tutela del divieto 
si trasferisce dalla fase anteriore all�intercettazione, in cui rileva la direzione impressa 
all�atto di indagine dall�autorit� procedente, a quella posteriore, giacch� si impone alle autorit� 
che hanno disposto ed effettuato le captazioni l�obbligo di non aggravare il vulnus alla sfera 
di riservatezza delle comunicazioni presidenziali, adottando tutte le misure necessarie e utili 
per impedire la diffusione del contenuto delle intercettazioni. 
Si tratta di conclusioni perfettamente compatibili con la logica dei divieti probatori nel 
processo penale, cui si connette la sanzione dell�inutilizzabilit� della prova (art. 191 cod. proc. 
pen.). Tale sanzione processuale opera a garanzia dell�interesse presidiato dal divieto, a prescindere 
dalla responsabilit� dell�inquirente per la violazione di regole procedurali nell�attivit� 
di acquisizione. Il carattere casuale di una captazione non consentita (si pensi all�episodico 
contatto, da parte di una persona legittimamente sottoposta ad intercettazione, con un soggetto 
tenuto al segreto professionale) non incide sulla necessit� di tutela della riservatezza del relativo 
colloquio. 
� chiaro dunque come, specie ai livelli di protezione assoluta che si sono riscontrati riguardo 
alle comunicazioni del Presidente della Repubblica, gi� la semplice rivelazione ai 
mezzi di informazione dell�esistenza delle registrazioni costituisca un vulnus che deve essere 
evitato. Se poi si arrivasse ad intraprendere iniziative processuali suscettibili di sfociare nella 
divulgazione dei contenuti delle stesse comunicazioni, la tutela costituzionale, di cui sinora 
si � trattato, sarebbe irrimediabilmente e totalmente compromessa. Dovere dei giudici � soggetti 
alla legge, e quindi, in primo luogo, alla Costituzione � � quello di evitare che ci� possa 
accadere e, quando ci� casualmente accada, di non portare ad ulteriori conseguenze la lesione 
involontariamente recata alla sfera di riservatezza costituzionalmente protetta. 
15.� La soluzione del presente conflitto non pu� che fondarsi � in base a quanto detto 
sinora � sull�affermazione dell�obbligo per l�autorit� giudiziaria procedente di distruggere, 
nel pi� breve tempo, le registrazioni casualmente effettuate di conversazioni telefoniche del 
Presidente della Repubblica, che nel caso di specie risultano essere quattro, peraltro intrattenute 
mediante linee telefoniche del Palazzo del Quirinale. 
Lo strumento processuale per giungere a tale risultato, costituzionalmente imposto, non 
pu� essere quello previsto dagli artt. 268 e 269 cod. proc. pen., giacch� tali norme richiedono 
la fissazione di un�udienza camerale, con la partecipazione di tutte le parti del giudizio, i cui 
difensori, secondo quanto prevede il comma 6 del citato art. 268, �hanno facolt� di esaminare 
gli atti e ascoltare le registrazioni�, previamente depositati a tale fine. Anche la procedura di 
distruzione regolata dai commi 2 e 3 del citato art. 269 � incentrata, come questa Corte ha ribadito 
a suo tempo con la sentenza n. 463 del 1994, sull�adozione del rito camerale e dei connessi 
strumenti di garanzia del contraddittorio. 
Un duplice ordine di motivi conduce ad escludere la legittimit� del ricorso agli istituti 
processuali in questione. 
64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
In primo luogo, la cosiddetta �udienza di stralcio�, di cui al sesto comma dell�art. 268 
cod. proc. pen., � inconferente rispetto al caso che ha dato origine al conflitto, essendo strutturalmente 
destinata alla selezione dei colloqui che le parti giudicano rilevanti ai fini dell�accertamento 
dei fatti per cui � processo. Nel caso di specie nessuna valutazione di rilevanza � 
possibile, alla luce del riscontrato divieto di divulgare, ed a maggior ragione di utilizzare in 
chiave probatoria, riguardo ai fatti oggetto di investigazione, colloqui casualmente intercettati 
del Presidente della Repubblica. Quanto alla procedura partecipata di distruzione, essa riguarda 
per definizione conversazioni prive di rilevanza ma astrattamente utilizzabili, come 
risulta dalla clausola di esclusione inserita, riguardo alle intercettazioni delle quali sia vietata 
l�utilizzazione, in apertura del secondo comma dell�art. 269 cod. proc. pen. 
� evidente d�altra parte, nella dimensione propria e prevalente delle tutele costituzionali, 
che l�adozione delle procedure indicate vanificherebbe totalmente e irrimediabilmente la garanzia 
della riservatezza delle comunicazioni del Presidente della Repubblica. 
Esiste piuttosto un�altra norma processuale � cio� l�art. 271, comma 3, cod. proc. pen., 
invocato dal ricorrente � che prevede che il giudice disponga la distruzione della documentazione 
delle intercettazioni di cui � vietata l�utilizzazione ai sensi dei precedenti commi dello 
stesso articolo, in particolare e anzitutto perch� �eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge�, 
salvo che essa costituisca corpo di reato. Per le ragioni fin qui illustrate, le intercettazioni 
delle conversazioni del Presidente della Repubblica ricadono in tale ampia previsione, ancorch� 
effettuate in modo occasionale. 
Quanto alla procedura da seguire, nella citata disposizione non sono contenuti rinvii ad 
altre norme del codice di rito, e manca in particolare il richiamo all�art. 127, che invece � operato 
nella contigua previsione dell�art. 269 cod. proc. pen. Dunque, la norma processuale in 
questione non impone la fissazione di una udienza camerale �partecipata�, e neppure la esclude. 
La soluzione � coerente con l�eterogeneit� delle fattispecie regolate dallo stesso art. 271 
cod. proc. pen., consentendo di tener conto delle diverse ragioni che sono alla base delle singole 
ipotesi di inutilizzabilit�. Questa pu� derivare, per un verso, dall�inosservanza di regole 
procedurali, che prescindono dalla qualit� dei soggetti coinvolti e dal contenuto delle comunicazioni 
captate: tali, in particolare, le prescrizioni degli artt. 267 e 268, commi 1 e 3, specificamente 
richiamate dal comma 1 dell�art. 271 cod. proc. pen., in materia di presupposti e 
modalit� di esecuzione delle operazioni. Ma l�inutilizzabilit� pu� connettersi anche a ragioni 
di ordine sostanziale, espressive di un�esigenza di tutela �rafforzata� di determinati colloqui 
in funzione di salvaguardia di valori e diritti di rilievo costituzionale che si affiancano al generale 
interesse alla segretezza delle comunicazioni (quali la libert� di religione, il diritto di 
difesa, la tutela della riservatezza su dati sensibili ed altro). � questo il caso, specificamente 
previsto dal successivo comma 2, delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni dei 
soggetti indicati dall�art. 200, comma 1, cod. proc. pen. (ministri di confessioni religiose, avvocati, 
investigatori privati, medici ed altro), allorch� abbiano ad oggetto fatti conosciuti per 
ragione del loro ministero, ufficio o professione. Ma � questo ovviamente anche il caso dell�intercettazione, 
bench� casuale, di colloqui del Capo dello Stato, riconducibile, come detto, 
all�ipotesi delle intercettazioni �eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge�, cui � preliminare 
e distinto riferimento (come univocamente emerge dall�impiego della particella disgiuntiva 
�o�) nel comma 1 dell�art. 271: previsione che si presta a svolgere un ruolo �di chiusura� 
della disciplina dell�inutilizzabilit�, abbracciando fattispecie preclusive diverse e ulteriori rispetto 
a quelle dianzi indicate, ricavabili anche, e in primo luogo, dalla Costituzione. 
A proposito delle regole da seguire ai fini della distruzione del materiale inutilizzabile,
TEMI ISTITUZIONALI 65 
il trattamento delle due categorie di intercettazioni deve essere diverso. Le intercettazioni inutilizzabili 
per vizi di ordine procedurale attengono a comunicazioni di per s� non inconoscibili, 
e che avrebbero potuto essere legittimamente captate se fosse stata seguita la procedura corretta. 
La loro distruzione pu� pertanto seguire l�ordinaria procedura camerale, nel contraddittorio 
fra le parti. Nel caso invece si tratti di intercettazioni non utilizzabili per ragioni 
sostanziali, derivanti dalla violazione di una protezione �assoluta� del colloquio per la qualit� 
degli interlocutori o per la pertinenza del suo oggetto, la medesima soluzione risulterebbe antitetica 
rispetto alla ratio della tutela. L�accesso delle altre parti del giudizio, con rischio concreto 
di divulgazione dei contenuti del colloquio anche al di fuori del processo, vanificherebbe 
l�obiettivo perseguito, sacrificando i principi e i diritti di rilievo costituzionale che si intende 
salvaguardare. Basti pensare alla conoscenza da parte dei terzi � o, peggio, alla diffusione 
mediatica � dei contenuti di una confessione resa ad un ministro del culto, ovvero all�ostensione 
al difensore della parte civile del colloquio riservato tra l�imputato e il suo difensore 
(possibile ove la procedura di cui all�art. 271, comma 3, cod. proc. pen. fosse avviata dopo 
l�esercizio dell�azione penale). 
Nelle ipotesi ora indicate � e dunque anche, a maggior ragione (stante il rango degli interessi 
coinvolti), in quella dell�intercettazione di colloqui presidenziali � deve ritenersi che i 
principi tutelati dalla Costituzione non possano essere sacrificati in nome di una astratta simmetria 
processuale, peraltro non espressamente richiesta dall�art. 271, comma 3, cod. proc. 
pen. N� gioverebbe richiamare, in senso contrario, la sentenza di questa Corte n. 173 del 2009, 
che ha stabilito la necessit� dell�udienza camerale, nel contraddittorio delle parti, per procedere 
alla distruzione dei documenti, supporti o atti recanti dati illegalmente acquisiti inerenti a comunicazioni 
telefoniche o telematiche, ovvero ad informazioni illegalmente raccolte. A prescindere 
da ogni altro possibile rilievo, si discuteva, nel caso che ha dato origine alla questione 
decisa con la suddetta pronuncia, di documenti che costituivano essi stessi corpo di reato, 
esplicitamente esclusi dalla previsione di distruzione di cui al comma 3 dell�art. 271 cod. proc. 
pen., palesemente inapplicabile dunque a quelle fattispecie. 
16.� Le intercettazioni oggetto dell�odierno conflitto devono essere distrutte, in ogni 
caso, sotto il controllo del giudice, non essendo ammissibile, n� richiesto dallo stesso ricorrente, 
che alla distruzione proceda unilateralmente il pubblico ministero. Tale controllo � garanzia 
di legalit� con riguardo anzitutto alla effettiva riferibilit� delle conversazioni intercettate 
al Capo dello Stato, e quindi, pi� in generale, quanto alla loro inutilizzabilit�, in forza delle 
norme costituzionali ed ordinarie fin qui citate. 
Ferma restando la assoluta inutilizzabilit�, nel procedimento da cui trae origine il conflitto, 
delle intercettazioni del Presidente della Repubblica, e, in ogni caso, l�esclusione della 
procedura camerale �partecipata�, l�Autorit� giudiziaria dovr� tenere conto della eventuale 
esigenza di evitare il sacrificio di interessi riferibili a principi costituzionali supremi: tutela 
della vita e della libert� personale e salvaguardia dell�integrit� costituzionale delle istituzioni 
della Repubblica (art. 90 Cost.). In tali estreme ipotesi, la stessa Autorit� adotter� le iniziative 
consentite dall�ordinamento. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
dichiara che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di 
Palermo di valutare la rilevanza delle intercettazioni di conversazioni telefoniche del Presidente 
della Repubblica, operate nell�ambito del procedimento penale n. 11609/08; 
66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
dichiara che non spettava alla stessa Procura della Repubblica di omettere di chiedere 
al giudice l�immediata distruzione della documentazione relativa alle intercettazioni indicate, 
ai sensi dell�art. 271, comma 3, del codice di procedura penale, senza sottoposizione della 
stessa al contraddittorio tra le parti e con modalit� idonee ad assicurare la segretezza del contenuto 
delle conversazioni intercettate. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 
dicembre 2012. 
F.to: 
Alfonso QUARANTA, Presidente 
Gaetano SILVESTRI e Giuseppe FRIGO, Redattori 
Gabriella MELATTI, Cancelliere 
Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2013. 
Il Direttore della Cancelleria 
F.to: Gabriella MELATTI 
CONTENZIOSO COMUNITARIO 
ED INTERNAZIONALE 
Strumenti legali europei e degli Stati Membri per la prevenzione 
e repressione della violenza contro le donne e la violenza 
domestica 
Antonella Anselmo* 
SOMMARIO: 1. Prenessa - 2. La dimensione del fenomeno e la sua definizione giuridica. 
Consiglio d�Europa: la Raccomandazione Rec (2002) 5 del Consiglio dei Ministri agli stati 
Membri sulla protezione delle donne dalla violenza - 3. La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione 
e la lotta contro la violenza nei confronti della donna e la violenza domestica - 4. 
Le politiche comunitarie e gli strumenti dell�UE - 5. Gli Stati membri: il caso della Spagna. 
1. Premessa. 
Parlare di violenza nei confronti delle donne e di violazione dei loro diritti 
fondamentali in un ambito sopranazionale � una grande impresa. Ritengo 
quindi opportuno limitarmi ad una breve riflessione ragionata sulle linee evolutive 
che caratterizzano le varie azioni di intervento nel continente europeo, 
riferibili rispettivamente al Consiglio d�Europa e all�Unione Europea, anche 
al fine di valutarne l�efficacia e l�incisivit�. 
Preliminarmente ritengo tuttavia necessaria una breve premessa. 
Il recente riconoscimento del premio Nobel della pace all�Europa conferisce 
l�esatto inquadramento della genesi, sotto il profilo storico, sociale e giuridico, 
del fenomeno della violenza nei confronti delle donne. 
Questa la motivazione dell�alto riconoscimento: �il successo nello sforzo 
per la pace e la riconciliazione, per la democrazia e i diritti umani�. Risuo- 
(*) Avvocata del Foro di Roma e membro del comitato promotore �Se Non Ora Quando? �. 
Il presente scritto costituisce l�intervento della Autrice all� �Incontro nazionale MAI + COMPLICI!�, 
Torino, 13 e 14 ottobre 2012.
68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
nano evidentemente nelle citate parole la memoria, i ricordi, gli orrori, le macerie 
dei conflitti mondiali e dei regimi totalitari che hanno segnato la recente 
storia europea e gli esiti di una ricostruzione e pacificazione post-bellica, che 
hanno trovato risposte nell�integrazione europea. 
La qualit� �democratica� nello spazio comune europeo, indubbiamente 
non ancora compiuta, � dunque garanzia di tutela dei diritti fondamentali. Vi 
� inoltre una stretta correlazione tra pienezza della cittadinanza e il rispetto 
dei diritti umani. Per questa ragione credo che non vi sia possibilit� di uscita 
dalla crisi economica se si ammettono ricadute che contemplino livelli �inferiori� 
di tutela dei diritti fondamentali. 
E questo � tanto pi� vero se � riferito ai diritti umani delle donne. 
Questa duplice consapevolezza � alla base di ogni azione e politica attiva 
di intervento per la prevenzione e repressione della violenza contro le donne 
e la violenza domestica. 
2. La dimensione del fenomeno e la sua definizione giuridica. Consiglio d�Europa: 
la Raccomandazione Rec (2002) 5 del Consiglio dei Ministri agli stati 
Membri sulla protezione delle donne dalla violenza. 
Il primo elemento di analisi deve essere incentrato su quelle che sono le 
elaborazioni, gli studi e le azioni del Consiglio d�Europa, sia per la sua ampia 
rappresentativit� (include ben 47 paesi membri facenti parte del continente 
europeo), sia per la missione. 
Il Consiglio d�Europa - costituito nel 1949, nell�immediato dopoguerra - 
si pone infatti come obiettivo di favorire la creazione di uno spazio democratico 
e giuridico comune in Europa, nel rispetto della Convenzione europea dei 
Diritti dell�Uomo (CEDU) e di altri testi di riferimento relativi alla tutela dell�individuo. 
La tutela dei diritti umani fondamentali delle donne e la parit� di 
genere, attuata mediante l�applicazione della CEDU, rientra pertanto a pieno 
titolo nelle finalit� istituzionali del Consiglio d�Europa. 
A fronte di una copiosa attivit� di studio, elaborazione e produzione di 
atti, prevalentemente aventi natura di risoluzioni e raccomandazioni, si evidenzia 
tuttavia una scarsa capacit� di incidere in termini di efficacia nel determinare 
la regressione del fenomeno. 
Gli atti di maggior rilievo emanati del Consiglio d�Europa sono la Raccomandazione 
Rec (2002) 5 del Consiglio dei Ministri agli stati Membri sulla 
protezione delle donne dalla violenza, adottata il 30 aprile 2002 e la Convenzione 
di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti 
della donna e la violenza domestica del 2011. 
La Raccomandazione Rec (2002) 5 costituisce il primo atto di analisi e definizione 
giuridica del fenomeno ed introduce un approccio globale e trasversale 
al problema: tuttavia data la sua natura la stessa si limita ad indicare una priorit� 
politica agli Stati, senza imporre agli stessi specifici vincoli (soft law).
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 
La Convenzione - viceversa - � il primo strumento vincolante per gli Stati 
aderenti, che attribuisce cogenza ai mezzi e alle azioni gi� contemplate dalla 
Raccomandazione, rendendo pi� incisivo l�approccio multidisciplinare ed integrato. 
Con la Raccomandazione Rec (2002)5 il Consiglio d�Europa recepisce 
sia l�elaborazione dei movimenti femministi in ambito internazionale sia i 
principi fondamentali contenuti nelle Convenzioni internazionali di lotta e 
contrasto alla violenza di genere. 
Mi riferisco, sul piano dogmatico e di pensiero, agli studi di Diana Russell 
(1) sul �Femicidio� e di Marcela Lagarde (2) sul �Femminicidio�, elaborati 
nel corso degli anni Novanta, in cui si individua la stretta correlazione tra la 
violenza e l�essere donna della vittima e, dunque, la matrice maschilista e patriarcale 
del crimine. 
Dal punto di vista giuridico il punto di partenza � senza dubbio la Convenzione 
Cedaw per l��Eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro 
le donne� del 1979 (3) e la Piattaforma di Azione della Conferenza ONU 
di Pechino del 1995. 
Detta complessa elaborazione dommatica, e la conseguente produzione 
giuridica in ambito internazionale, consente di affermare che 
i) la violenza di genere - quale atto palesemente discriminatorio - � compressione 
o negazione del godimento da parte delle donne dei diritti umani e 
delle libert� fondamentali conformemente ai principi generali di diritto inter- 
(1) Nel libro Femicide: The Politics of woman killing, prima ancora che fossero disponibili indagine 
statistiche sul fenomeno, utilizza in ambito criminologico e metagiuridico il termine Femmicidio 
(femicide) per indicare la causa principale degli omicidi nei confronti delle donne, intesa quale violenza 
estrema da parte dell�uomo contro la donna �perch� donna�. �Il concetto di femmicidio si estende aldil� 
della definizione giuridica di assassinio ed include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta 
l'esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine�. La teoria di Diana Russell 
diviene universalmente nota ed utilizzata da numerose scienziate per analizzare le varie forme di femmicidio 
(delitto d�onore, lesbicidio, ecc.). 
(2) Il termine Femminicidio (femminicidio) � quindi riconducibile al pensiero di Marcela Lagarde 
�La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei loro diritti umani 
in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine - maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, 
sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale 
- che comportano l�impunit� delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e 
che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l�uccisione o il 
tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, 
incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all�insicurezza, al disinteresse 
delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia�. 
(3) Nel 1989 la raccomandazione n. 12 del Comitato Cedaw specifica che la violenza contro le 
donne rientra fra i temi di interesse della Convenzione. Nel 1992 la Raccomandazione 19 chiarisce che 
entro la definizione di discriminazione � compresa la violenza di genere, vale a dire la violenza che � 
diretta contro le donne in quanto donne, o che colpisce le donne in modo sproporzionato. Vi rientrano 
le azioni che procurano sofferenze o danni fisici, mentali o sessuali, nonch� la minaccia di tali azioni, 
la coercizione e la privazione della libert�.
70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
nazionale o alle convenzioni sui diritti umani (4); 
ii) che la stessa violenza di genere costituisce un importante problema 
strutturale della societ� fondato su impari rapporti di potere fra le donne e gli 
uomini. Di qui la necessit� di un coinvolgimento anche degli uomini e della 
previa rimozione degli ostacoli all�uguaglianza di genere, di natura culturale, 
sociale ed economica. 
La Raccomandazione Rec (2002) 5 � preceduta da un�ampia fase di studio 
e di monitoraggio. 
Le analisi del fenomeno effettuate nei vari Paesi e raccolte dal Consiglio 
d�Europa presentano un �volto nascosto� della violenza nei confronti delle 
donne: � certo che, per tutti i tipi di violenza, il numero dei casi denunciati e 
registrati � sensibilmente inferiore alla realt�. Dunque la stima secondo la quale 
una donna su sei, in Europa, � stata vittima di violenza almeno una volta nella 
vita testimonia solo l�aspetto �visibile� del fenomeno. Appare allora evidente 
che qualsiasi approccio o azione politica presupponga la creazione di un clima 
sociale di fiducia e sostegno psicologico alle donne per convincerle ad uscire 
dal silenzio e dalla vergogna. 
Le caratteristiche generali del fenomeno riscontrate dal Consiglio d�Europa 
sono l�universalit� e il carattere multiforme. 
La violenza contro le donne riguarda infatti tutti i paesi, tutte le classi sociali, 
pu� colpire persone di qualsiasi et�, etnia, religione, quale che sia la loro 
situazione professionale o personale, o la loro appartenenza ad una minoranza 
nazionale. 
Inoltre la violenza pu� assumere diverse forme: fisica, verbale, sessuale, 
psicologica, economica e morale; pu� essere perpetrata all�interno della famiglia 
o entro le mura domestiche nella comunit� in generale. Alcune situazioni 
critiche, quali la disoccupazione e la povert�, l�alcoolismo, le crisi politiche, 
le forti migrazioni e i conflitti armati costituiscono fattori aggravanti nella misura 
in cui le donne trovandosi in situazione di precariet� divengono un bersaglio 
privilegiato. Le violenze - che spesso sono il frutto della combinazione 
di diversi comportamenti aggressivi - hanno quasi sempre conseguenze durevoli 
sull�equilibrio fisico e/o psichico delle vittime. 
Gli studi effettuati dal Consiglio d�Europa riservano un�attenzione del 
tutto peculiare alla violenza nei confronti delle bambine, che assume caratteri 
ancor pi� drammatici e sommersi. 
(4) Tali diritti e libert� comprendono: a) Il diritto alla vita; b) il diritto a non essere sottoposte a 
tortura n� a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti; c) Il diritto ad una pari protezione ai sensi 
delle norme umanitarie in tempo di conflitto armato interno o internazionale; d) il diritto alla libert� e 
alla sicurezza della propria persona; e) il diritto ad una pari protezione da parte della legge; f) il diritto 
alla parit� nella famiglia; g) il diritto al pi� alto livello possibile di salute fisica e mentale; h) il diritto a 
condizioni di lavoro giuste e favorevoli. Viene poi chiarito nella Raccomandazione che la Convenzione 
si applica alla violenza perpetrata dalle autorit� pubbliche.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 
Sul piano delle definizioni la Raccomandazione opta per un�accezione 
ampia e comunque non esaustiva. 
A tal fine si afferma che il termine violenza contro le donne designa 
�qualsiasi azione di violenza fondata sull�appartenenza sessuale che 
comporta o potrebbe comportare per le donne che ne sono bersaglio danni o 
sofferenze di natura fisica, sessuale o psicologica, ivi compresa la minaccia 
di mettere in atto simili azioni, la costrizione, la privazione arbitraria della 
libert�, sia nella vita pubblica che in quella privata. Questa definizione si applica, 
ma non � circoscritta, alle azioni seguenti: 
a. La violenza perpetrata all�interno della famiglia o delle mura domestiche 
ed in particolare le aggressioni di natura fisica o psichica, gli abusi di 
tipo emotivo o psicologico, lo stupro e l�abuso sessuale, l�incesto, lo stupro 
fra coniugi, partner abituali, partner occasionali o conviventi, i crimini commessi 
in nome dell�onore, la mutilazione degli organi genitali o sessuali femminili, 
cos� come le altre pratiche tradizionali dannose per le donne, quali i 
matrimoni forzati; 
b. La violenza perpetrata nella comunit� in generale ed in particolare lo 
stupro, gli abusi, le molestie sessuali e le intimidazioni sul luogo di lavoro, 
nelle istituzioni o in altri luoghi, la tratta delle donne a fini di sfruttamento 
sessuale; 
c. La violenza perpetrata o tollerata dallo Stato o dagli agenti della forza 
pubblica; 
d. La violenza dei diritti fondamentali delle donne in situazioni di conflitto 
armato, in particolare la presa di ostaggi, la deportazione, lo stupro sistematico, 
la schiavit� sessuale, la gravidanza forzata e la tratta ai fini di 
sfruttamento sessuale ed economico�. 
La Raccomandazione, come gi� chiarito, � uno strumento di soft law in 
virt� del quale il Consiglio d�Europa sollecita gli Stati membri alla revisione 
delle proprie legislazioni e all�adozione di piani di azione nazionali, di carattere 
trasversale e coordinato, volti alla prevenzione e repressione del fenomeno. 
Dunque, tale strumento ha assunto un profondo significato culturale, simbolico, 
politico e metodologico, che ha influenzato le successive politiche, 
anche in ambito UE, pur non esplicando effetti diretti negli ordinamenti dei 
singoli Stati Parti. 
3. La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza 
nei confronti della donna e la violenza domestica. 
Diverso, in termini di efficacia e cogenza, � lo strumento della Convenzione, 
che assurge a rango di vincolo nei confronti dello Stato, anche in riferimento 
alla potest� legislativa ordinaria, in quanto derivante da obblighi 
internazionali ai sensi dell�art. 117/1 Cost. 
Il Consiglio d�Europa ha adottato ad Istanbul l�11 maggio 2011 la Con-
72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
venzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti della 
donna e la violenza domestica. 
In tale Trattato - in linea di continuit� con la Raccomandazione Rec 
(2002) 5 - si riconosce che il raggiungimento dell�uguaglianza di genere de 
jure e de facto � un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne; 
che la violenza contro le donne � una manifestazione dei rapporti di forza storicamente 
diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne 
e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la 
loro piena emancipazione; si riconosce altres� la natura strutturale della violenza 
contro le donne, in quanto basata sul genere, e in quanto meccanismo 
sociale cruciale per mezzo del quale le donne sono costrette in una posizione 
subordinata rispetto agli uomini. 
La Convenzione elenca quindi tra le varie gravi forme di violenza, la violenza 
domestica, le molestie sessuali, lo stupro, il matrimonio forzato, i delitti 
commessi in nome del cosiddetto "onore" e le mutilazioni genitali femminili, 
che costituiscono una grave violazione dei diritti umani delle donne e delle 
ragazze e il principale ostacolo al raggiungimento della parit� tra i sessi; constata 
altres� le ripetute violazioni dei diritti umani nei conflitti armati che colpiscono 
le popolazioni civili, e in particolare le donne, sottoposte a stupri 
diffusi o sistematici e a violenze sessuali e il potenziale aggravamento della 
violenza di genere durante e dopo i conflitti. Riconosce che le donne e le ragazze 
sono maggiormente esposte al rischio di subire violenza di genere rispetto 
agli uomini e che la violenza domestica colpisce le donne in modo 
sproporzionato: ricorda infine che i bambini sono vittime di violenza domestica 
anche in quanto testimoni di violenze all'interno della famiglia. 
Dal punto di vista classificatorio la Convenzione - anche qui in linea di 
continuit� con la Raccomandazione Rec (2002) 5 - stabilisce che per �violenza 
nei confronti delle donne� si intende designare una violazione dei diritti umani 
e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di 
violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare 
�danni� o �sofferenze� di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, 
comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria 
della libert�, sia nella vita pubblica, che nella vita privata; che inoltre 
per �violenza domestica� si intendono tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, 
psicologica o economica che si verificano all�interno della famiglia o del nucleo 
familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente 
dal fatto che l�autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza 
con la vittima. 
Le azioni contemplate dalla Convenzione possono essere classificate, rispettivamente, 
in : 
1) Prevenzione (media, stereotipi culturali, educazione, politiche di uguaglianza 
di genere);
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 
2) Protezione (formazione professionale, rete di sostegno, assistenza sanitaria 
e legale, pronto intervento, valutazione e gestione dei rischi); 
3) Repressione (previsione di fattispecie penali); 
4) Monitoraggio (osservatorio, raccolta dei dati, statistiche); 
5) Integrazione delle singole politiche (coordinamento tra istituzioni e 
ONG.). 
Di particolare interesse in questa sede mi appare la disciplina sulle figure 
professionali e sui servizi di supporto, nell�ambito delle politiche di prevenzione 
e protezione. 
L�articolo 15 riguarda la Formazione delle figure professionali. 
Gli Stati firmatari devono fornire e rafforzare un'adeguata formazione 
delle figure professionali che si occupano delle vittime o degli autori di tutti 
gli atti di violenza in materia di prevenzione e individuazione di tale violenza, 
uguaglianza tra le donne e gli uomini, bisogni e diritti delle vittime, e su come 
prevenire la �vittimizzazione secondaria�. 
Particolare rilievo assume nella formazione la cooperazione coordinata 
interistituzionale, al fine di consentire una gestione globale e adeguata degli 
orientamenti da seguire nei casi di violenza. 
La Convenzione prevede inoltre (art. 16) programmi di intervento di carattere 
preventivo e di trattamento rivolti agli autori degli atti di violenza, con 
particolare riguardo ai reati di natura sessuale, imponendo tuttavia che la sicurezza, 
il supporto e i diritti umani delle vittime siano una priorit� e che tali 
programmi, se del caso, siano stabiliti ed attuati in stretto coordinamento con 
i servizi specializzati di sostegno alle vittime. 
Stante il profondo legame tra violenza e stereotipi culturali la Convenzione 
prevede (art. 17) una serie di attivit� di partecipazione da parte dei media 
e del settore privato all�elaborazione e attuazione di politiche e alla definizione 
di linee guida e di norme di autoregolazione per prevenire la violenza contro 
le donne e rafforzare il rispetto della loro dignit�. 
Particolare attenzione � dedicata alla previsione degli obblighi generali di 
protezione e sostegno per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza. 
In tale prospettiva sono contemplati adeguati meccanismi di cooperazione 
efficace tra tutti gli organismi statali competenti, comprese le autorit� giudiziarie, 
i pubblici ministeri, le autorit� incaricate dell�applicazione della legge, 
le autorit� locali e regionali, le organizzazioni non governative e le altre organizzazioni 
o entit� competenti, al fine di proteggere e sostenere le vittime e i 
testimoni di ogni forma di violenza. 
Occorre inoltre che tali misure, mediante servizi di supporto generale e 
speciale, siano basate su una comprensione della violenza di genere contro le 
donne e della violenza domestica e si concentrino sui diritti umani e sulla sicurezza 
della vittima; su un approccio integrato che prenda in considerazione 
il rapporto tra vittime, autori, bambini e il loro pi� ampio contesto sociale; mi-
74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
rino ad evitare la vittimizzazione secondaria; mirino ad accrescere l�autonomia 
e l�indipendenza economica delle donne vittime di violenze; consentano, se 
del caso, di disporre negli stessi locali di una serie di servizi di protezione e di 
supporto; soddisfino i bisogni specifici delle persone vulnerabili, compresi i 
minori vittime di violenze e siano loro accessibili. 
Per servizi di supporto generali, destinati a facilitare il recupero, si intendono 
le consulenze legali e un sostegno psicologico, un�assistenza finanziaria, 
alloggio, istruzione, formazione e assistenza nella ricerca di un lavoro. 
Le vittime debbono avere accesso ai servizi sanitari e sociali, dotati di risorse 
adeguate e di figure professionali adeguatamente formate per fornire assistenza 
alle vittime e indirizzarle verso i servizi appropriati anche al fine di 
aiutarle a sporgere denuncia. 
Riguardo ai servizi di supporto specializzati, secondo una ripartizione 
geografica appropriata, gli Stati Parti possono istituire servizi di supporto immediato 
specializzati, nel breve e lungo periodo, per ogni vittima di un qualsiasi 
atto di violenza, case rifugi, linee telefoniche di sostegno. 
L�art. 25, afferente il supporto alle vittime di violenza sessuale, indica la 
creazione di centri di prima assistenza adeguati, facilmente accessibili e in numero 
sufficiente, per le vittime di stupri e di violenze sessuali, che possano 
proporre una visita medica e una consulenza medico-legale, un supporto per 
superare il trauma e dei consigli. 
Per evitare il rischio di isolamento delle vittime la Convenzione sollecita 
altres� il ricorso alle testimonianze e alle segnalazioni, da parte delle figure 
professionali, alle organizzazioni o autorit� competenti, qualora abbiano ragionevoli 
motivi per ritenere che sia stato commesso un grave atto di violenza. 
La Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti 
della donna e la violenza domestica � stata recentemente firmata dallo 
Stato Italiano in seguito alle forti pressioni dei movimenti di donne e di alcune 
forze parlamentari: allo stato si � in attesa della ratifica. 
Rester� poi affidato alla discrezionalit� del legislatore italiano definire 
le modalit� di organizzazione dei servizi socio assistenziali e l�individuazione 
dei livelli concreti di tutela, nel rispetto degli obblighi e dei principi discendenti 
dalla Convenzione. 
4. Le politiche comunitarie e gli strumenti dell�UE. 
Il processo di consolidamento dei Trattati UE ha portato verso una progressiva 
accentuazione delle competenze comunitarie in materia di tutela dei 
diritti fondamentali dei cittadini europei e ad una chiarificazione dei criteri di 
riparto rispetto alle competenze dei singoli Stati membri. 
Il principio della parit� di genere e il divieto di discriminazioni sessiste 
sono stati progressivamente riconosciuti quali valori comuni dell�Unione Europea 
e dunque affermati sia dal Trattato UE (art. 2) sia dalla Carta dei Diritti
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 
Fondamentali dell�Unione Europea (artt. 21 e 23). Tuttavia � oramai principio 
consolidato che la Carta dei Diritti Fondamentali dell�Unione Europea, a differenza 
della CEDU, avente valenza di obbligo internazionale convenzionale, 
trovi applicazione nell�ambito di procedure di interpretazione ed applicazione 
dei soli atti dell�Unione e/o comunque nell�attuazione delle politiche attive di 
derivazione comunitaria. 
In tale contesto la Commissione UE, con la Carta delle Donne 2010, ha 
introdotto nella strategia di attuazione della parit� di genere, anche la lotta e 
il contrasto alla violenza contro le donne. 
Parimenti il Consiglio dell�Unione Europea, nel Patto Europeo di Genere 
2010 - 2015, ha evidenziato la stretta connessione tra la strategia Europa 2020 
per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, da un lato, e la Carta delle 
Donne 2010 della Commissione, dall�altro. 
Anche in tale atto � ribadita la centralit� della lotta alla violenza di genere 
per un rafforzamento democratico ed economico dell�Unione. 
Le azioni per il raggiungimento dei citati obiettivi - e dunque per la realizzazione 
di uno spazio comune di eguaglianza, sicurezza e giustizia - sono 
condizionate dalle disposizioni del Trattato UE che regolano l�esercizio delle 
funzioni comunitarie. 
Il trattato di Lisbona introduce infatti una classificazione precisa che distingue 
tre competenze principali (5): le competenze esclusive (articolo 3 del 
TFUE): le competenze concorrenti (articolo 4 del TFUE) e le competenze di 
sostegno (articolo 6 del TFUE). 
Vi sono poi le competenze specifiche in alcuni settori quali il coordinamento 
delle politiche economiche e occupazionali (articolo 5 del TFUE) (6): 
la PESC (articolo 24 del trattato sull�UE) (7). L�esercizio delle competenze 
(5) Competenze esclusive (articolo 3 del TFUE): solo l�UE pu� legiferare e adottare atti vincolanti 
in questi settori, il ruolo degli Stati membri � quindi soltanto quello di dare applicazione a questi atti, a 
meno che l�Unione non li autorizzi ad adottare autonomamente taluni atti; (articolo 4 del TFUE): l�UE 
e gli Stati membri possono adottare atti vincolanti in tali settori. Tuttavia gli Stati membri possono esercitare 
la loro competenza soltanto nella misura in cui l�UE non ha o ha deciso di non esercitare la propria; 
le competenze di sostegno (articolo 6 del TFUE): l�UE pu� solamente sostenere, coordinare o completare 
l�azione degli Stati membri. L�Unione non dispone dunque di potere legislativo in questi settori e non 
pu� interferire nell�esercizio delle competenze riservate agli Stati membri. 
(6) L�UE dispone di una competenza per assicurare le modalit� di tale coordinamento. Deve altres� 
definire gli orientamenti rivolti agli Stati membri. 
(7) L�UE dispone di una competenza relativa a tutti i settori collegati alla PESC. Definisce e attua 
detta politica anche per il tramite del presidente del Consiglio europeo e dell�alto rappresentante dell�Unione 
per gli affari esteri e la politica di sicurezza, i cui rispettivi ruoli e status sono riconosciuti dal 
trattato di Lisbona. Ci� nonostante l�UE non pu� in nessun caso adottare atti legislativi in questo settore. 
Inoltre la Corte europea di giustizia non ha la competenza per deliberare in questo settore; la clausola 
di flessibilit� (articolo 352 del TFUE), permette all�UE di andare al di l� del potere d�azione che le � attribuito 
dai trattati, se necessario per raggiungere l�obiettivo prefissato. Tale clausola � regolata da una 
procedura rigida e da talune restrizioni relative alla sua applicazione.
76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
dell�Unione � subordinato a tre principi fondamentali enunciati nell�articolo 
5 del Trattato sull�UE: 
� il principio di attribuzione: l�Unione dispone soltanto delle competenze 
che le sono attribuite dai Trattati; 
� il principio di proporzionalit�: l�esercizio delle competenze dell�UE si 
limita a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati; 
� il principio di sussidiariet�: nel caso delle competenze concorrenti, 
l�UE pu� intervenire solamente se � in grado di agire in modo pi� efficace rispetto 
agli Stati membri. 
Tale premessa consente di comprendere per quale ragione talune azioni 
in tema di contrasto alla violenza di genere rientrino nella competenza specifica 
dell�UE - nell�obiettivo di raggiungere una piena ed effettiva parit� fra i 
sessi (8) - mentre altre azioni sono in via principale rimesse alla discrezionalit� 
e responsabilit� degli Stati membri: � il caso dell�organizzazione dei propri 
servizi socio-sanitari ovvero della legislazione in sede penale. 
Tale riparto di competenze spiega anche il perch� non esista una direttiva 
organica e multisettoriale contro la violenza nei confronti delle donne. 
Quindi, il quadro positivo, di diritto derivato, � ampiamente variegato. 
In applicazione dei principi dei Trattati risulta particolarmente copiosa la 
produzione di raccomandazioni e risoluzioni (soft law) nonch� di atti normativi 
- vincolanti per gli stati membri - costituiti principalmente da Direttive, ma limitatamente 
a talune materie. 
In particolare le Direttive sono volte a contrastare le discriminazioni di 
genere in ambito lavorativo, retributivo, di sicurezza sociale, di accesso alle 
forniture di beni e servizi. 
Di particolare rilievo � poi l�Ordine di Protezione Europeo (OPE) che riconosce 
uguale tutela alle vittime dei reati in tutta l�UE. L�OPE � uno strumento 
che si fonda sul principio del reciproco riconoscimento nell�ambito 
della cooperazione giudiziaria penale tra gli stati membri rivolto in particolare 
a garantire protezione alle donne vittime di violenze, molestie, rapimento, stalking 
e tentato omicidio. 
Pi� recentemente � stata emanata la Direttiva che istituisce Norme minime 
in materia di diritti assistenza. 
L�Unione Europea ha poi avviato un programma specifico cd. Daphne, 
articolato in tre distinte fasi temporali, volto a finanziare azioni mirate �per 
prevenire e combattere la violenza contro i bambini, i giovani e le donne e per 
proteggere le vittime e i gruppi a rischio, nell�ambito del programma generale 
Diritti fondamentali e giustizia�. 
Ci� che colpisce � che a tale copiosa produzione di atti, di varia natura e 
(8) Carta delle donne adottata dalla Commissione europea nel marzo del 2010; strategia per l�uguaglianza 
tra donne e uomini per il periodo 2010 � 2015. 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 77 
genere - e conseguenti stanziamenti pubblici - non corrisponda una regressione 
del fenomeno n� un sostanziale superamento delle discriminazione de facto 
ancora esistenti in ogni ambito della vita pubblica e privata. 
La causa primaria, allora, � ancora oggi riconducibile all�impianto strutturale, 
pericolosamente sbilanciato da punto di vista di genere, su cui si fonda 
il potere e la forza decisionale ai vari livelli di governo, e dunque la stessa organizzazione 
familiare, sociale ed economica. 
Come si vedr� � questa l�analisi di fondo che ha ispirato le leggi organiche 
spagnole. 
5. Gli Stati membri: il caso della Spagna. 
Gli Stati Europei hanno legiferato in vario modo per reprimere il fenomeno 
della violenza contro le donne: in alcuni casi con interventi settoriali di 
natura legislativa, ad esempio con modifiche integrative al codice penale, in 
altri casi con vere e proprie leggi organiche. 
Non tutti gli Stati hanno approntato Piani Nazionali o recepito le migliori 
pratiche internazionali di gestione dei centri antiviolenza. 
Il carattere variegato esistente in ambito europeo dipende certamente dalle 
politiche assistenziali e sanitarie attuate dai singoli Stati, dai relativi finanziamenti 
pubblici, dal tipo di relazioni interistituzionali e dai rapporti di collaborazione 
con gli attori pubblici e privati. 
Un rilievo fondamentale svolgono inoltre i media e le istituzioni coinvolte 
nell�istruzione e nell�educazione, ma anche nei percorsi formativi e professionali. 
Una tra le legislazioni pi� avanzate � considerata quella spagnola. 
In particolare la Legge Organica n. 1/2004 sulle �Misure di protezione 
contro la violenza di genere� e la Legge Costituzionale 3/2007 del 22 marzo 
per la �Parit� effettiva tra gli uomini e le donne�. 
Come si evince dalla Relazione il contenuto della legge n. 1/2004 abbraccia 
sia gli aspetti preventivi, educativi, sociali, assistenziali e di sostegno alle 
vittime, sia la normativa civile che afferisce alla sfera familiare o della convivenza, 
dove prevalentemente si verificano le aggressioni. Si affronta, ugualmente 
in modo deciso, il sistema delle pene che devono essere comminate a 
tutte le manifestazioni di violenza che questa legge regola. La violenza di genere 
� inquadrata dalla Legge in modo integrale e multidisciplinare, iniziando 
dal processo di socializzazione e di educazione. La conquista dell�uguaglianza 
ed il rispetto della dignit� umana e della libert� della persona sono intesi come 
obiettivi �prioritari� per l�intera societ�. 
Tuttavia nella definizione di violenza di genere il legislatore privilegia il 
contesto delle relazioni affettive e di vita domestica: �la presente legge ha come 
oggetto l�azione contro la violenza che come manifestazione della discriminazione 
della situazione d�ineguaglianza e di relazioni di potere degli uomini
78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
verso le donne � esercitata su queste ultime da coloro che sono o sono stati 
loro congiunti oppure da coloro che sono o sono stati legati a queste ultime da 
una relazione affettiva analoga incluso i casi di assenza di coabitazione�. 
Aspetti peculiari degni di nota sono la previsione di specifiche misure di 
sensibilizzazione, prevenzione e individuazione nell�ambito educativo (9); nel 
settore della pubblicit� e dei mezzi di comunicazione (10); nell�ambito sanitario 
(11). Segue la parte relativa alla garanzia dei diritti, senza discriminazioni 
di sorta. In particolare sono contemplati i diritti all�informazione, tenendo 
conto delle peculiari condizioni personali e sociali delle vittime; il diritto all�assistenza 
sociale integrale (d�attenzione, soccorso, accoglienza e recupero 
integrale) gestita dalle Comunit� Montane e dagli Organismi locali, in coordinamento 
con le altre istituzioni competenti; l�assistenza legale gratuita e i 
corsi di specializzazione per gli avvocati; i diritti al lavoro e all�assistenza sociale; 
i diritti delle funzionarie pubbliche alla modifica degli orario lavoro e 
alla mobilit� geografica; i diritti economici da riconoscere alle donne vittime 
di violenza quali gli aiuti sociali, di accesso all�alloggio e alle residenze pubbliche 
per anziani. 
Una particolare attenzione � poi dedicata alla tutela costituzionale, attuata 
mediante l�istituzione di una Delegazione Speciale del Governo contro la violenza 
sulla Donna, di un Osservatorio dello Stato e di Unit� specializzate delle 
forze e corpi di polizia. 
La tutela penale si articola mediante l�inasprimento di molte fattispecie penali 
e attraverso politiche di riorganizzazione territoriale dell�amministrazione 
della giustizia con istituzione dei Tribunali della violenza della donna e della 
figura del Pubblico Ministero ad hoc, oltre a strumenti di semplificazione e accelerazione 
dei processi. Sono poi contemplati, per le ipotesi meno gravi, sistemi 
- di natura strutturale - di trattamento degli uomini autori della violenze di genere. 
Si tratta di istituti gi� ampiamente sperimentati nella gran parte degli altri 
Paesi europei e documentati nell�ambito del progetto �Work with perpetrators 
of domestic violence�, Daphne II, finanziato dalla Commissione Europea (12). 
La successiva Legge spagnola n. 3/2007 del 22 marzo per la �Parit� effettiva 
tra gli uomini e le donne�, di rango costituzionale, concepita in rapporto 
di rafforzamento della L. 1/2004, prevede che il sistema educativo, in ogni li- 
(9) Principi e valori in ogni fase del processo educativo e formativo: rispetto dei diritti e delle libert�, 
principio di eguaglianza tra i sessi, tolleranza e coabitazione, soppressione stereotipi sessisti e 
promozione effettiva dell�eguaglianza , formazione iniziale e permanente dei professori. Rappresentanze 
entro i Consigli Scolastici e poteri ispettivi. 
(10) Viene qualificata illecita la pubblicit� vessatoria e/o discriminatoria; previsioni circa la legittimazione 
ad agire in capo a Istituzioni e enti rappresentativi per l�interruzione pubblicitaria. 
(11) Formazione operatori, sostegno alla diagnosi precoce; Piani Nazionali della Sanit� integrati. 
(12) Si tratta di 170 programmi riferibili da 19 paesi Europei e raccolti nel data base dedicato. A 
ci� si aggiunge la produzione del Documento �Standards nel lavoro con gli uomini maltrattanti� 2008.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 
vello e grado, includa tra le proprie finalit� l�istruzione nel rispetto dei diritti 
e delle libert� fondamentali e nella parit� di diritti e opportunit� tra le donne 
e gli uomini. Analogamente, al fine di combattere le discriminazioni anche de 
facto esistenti, il medesimo sistema educativo include, tra i principi �di qualit��, 
l�eliminazione degli ostacoli che avversano la parit� effettiva tra le donne 
e gli uomini e la promozione della piena parit� tra le une e gli altri. Seguono 
misure specifiche in ordine al raggiungimento di un�eguaglianza e parit� di 
genere in ogni settore della vita pubblica e privata. 
Il quadro generale sopranazionale, brevemente descritto nelle linee generali, 
suggerisce che eventuali futuri interventi normativi in materia siano 
supportati da politiche attive di formazione, sensibilizzazione ed educazione 
nel riconoscimento e rispetto delle differenze e della parit� di genere. Un processo 
indubbiamente lungo e faticoso. 
Credo inoltre che le misure di intervento nel settore culturale, educativo 
e formativo desumibili dalla legge spagnola possano fornire importanti spunti 
per una riflessione condivisa che sia alla base della produzione normativa italiana. 
Nutro viceversa forti perplessit� in ordine all�organizzazione e scelta di 
modelli gestionali dei servizi socio-assistenziali - esclusivamente pubblicistici 
in Spagna - e in ordine ad una articolazione dell�amministrazione degli organi 
giudiziari costituita da Tribunali speciali, attese le differenze strutturali e i limiti 
costituzionali che contraddistinguono il nostro ordinamento rispetto a 
quello spagnolo.
80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
La politica energetica europea: 
Dalle origini alle pi� recenti evoluzioni 
Mario Antonio Scino* 
SOMMARIO: 1. L�originaria mancanza nel Trattato istitutivo della Comunit� economica 
europea di disposizioni espressamente concernenti l�energia. � 2. Il progressivo aumentare 
in sede comunitaria dell�attenzione verso i problemi generali dell�energia in conseguenza dei 
c.d. �shock petroliferi�. � 3. L�impatto dell�Atto unico europeo sulle questioni generali dell�energia. 
� 4. Le disposizioni del Trattato CEE legittimanti, in mancanza di una specifica 
attribuzione di competenza in materia di energia, gli interventi delle Istituzioni comunitarie 
nel settore energetico. � 5. La �svolta� di Maastricht: l�individuazione espressa di una generale 
competenza comunitaria in materia di energia. � 6. Il Trattato di Lisbona: il �salto di 
qualit�� verso una politica energetica dell�Unione di tipo globale ed integrato. � 7. Le pi� 
recenti evoluzioni della politica energetica europea. 
1. L�originaria mancanza nel Trattato istitutivo della Comunit� economica 
europea di disposizioni espressamente concernenti l�energia. 
La competenza dell�Unione europea in materia di �politica energetica� � 
un�acquisizione assai recente del diritto comunitario c.d. �originario� (ossia, 
come noto, del diritto dei Trattati), essendo stata espressamente prevista solo 
con il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 
1� dicembre 2009. 
Il Trattato istitutivo della Comunit� economica europea, dunque, non conteneva, 
originariamente, alcuna disposizione espressamente concernente 
l�energia, n� di carattere generale, n� tantomeno di carattere specifico, ossia 
relativa ai comparti energetici non contemplati dai Trattati speciali. 
Per contro, il Trattato istitutivo della CECA (Comunit� europea del carbone 
e dell�acciaio) del 1951 ed il Trattato istitutivo della CEEA (Comunit� 
europea dell�energia atomica) del 1957, entrambi di portata settoriale, riguardavano 
in modo preminente, se non esclusivo, temi energetici, attuando un livello 
di integrazione molto avanzato, con l�attribuzione alle Istituzioni 
comunitarie di ampie funzioni di intervento. 
Col senno di poi, pu� certo destare stupore che, mentre si disegnavano 
due apposite comunit� �consacrate� - per intero l�una, parzialmente l�altra - a 
specifiche fonti di energia, il Trattato CEE, quello di valenza generale, serbasse 
un silenzio assoluto riguardo all�energia in quanto tale; ci� che ha fatto affermare 
a taluno che l�energia rappresenta per la Comunit� un vero paradosso (1). 
(*) Avvocato dello Stato. 
(1) C. BLUMANN, �nergie et Communaut�s europ�ennes, Premi�re Partie, in Rev. trim. droit. 
europ., 1984, p. 571.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 81 
In realt�, le ragioni di tale silenzio possono essere comprese se solo si 
consideri il contesto storico-economico in cui furono costituite le Comunit� 
europee: in quel contesto, quando il problema della scarsit� delle risorse di 
energia non era ancora attuale, non avendo le crisi mondiali energetiche ancora 
messo a nudo la debolezza dei sistemi basati principalmente sulle importazioni 
petrolifere n� la sostanziale interdipendenza dei vari settori energetici, ben poteva 
ritenersi sufficiente aver provveduto a disciplinare quelle fonti che, per 
motivi diversi (risorsa europea il carbone; risorsa del futuro l�atomo), sembravano 
le sole meritevoli di specifica considerazione (2). Inoltre, va considerato 
che, all�epoca dell�istituzione delle Comunit� europee i rapporti che i 
vari Stati membri intrattenevano con i Paesi produttori di petrolio erano di carattere 
essenzialmente bilaterale e che esistevano profonde differenze nei sistemi 
nazionali di produzione e distribuzione di energia elettrica, sia quanto a 
fonti energetiche utilizzate, sia quanto a tipologia degli operatori presenti sul 
mercato (3). 
2. Il progressivo aumentare in sede comunitaria dell�attenzione verso i problemi 
generali dell�energia in conseguenza dei c.d. �shock petroliferi�. 
Una maggiore attenzione, in sede comunitaria, ai problemi generali dell�energia, 
che si traduce ben presto nell�esigenza di elaborare una politica energetica 
comune a livello europeo (4), anche al di fuori dei settori rientranti 
nell�ambito di applicazione dei due Trattati speciali, pu� riscontrarsi a partire 
dagli anni 1973-1974, quando gli eventi legati al c.d. �primo shock petrolifero� 
rivelano in modo drammatico il problema della dipendenza energetica della 
Comunit� dall�estero. 
L�improvviso rialzo dei prezzi sui mercati dei prodotti petroliferi induce i 
paesi consumatori a riflettere seriamente sulla dimensione economica della questione 
energetica: �non seulement lՎnergie devient un produit rare, mais encore, 
son co�t �lev� risque de d�stabiliser les �conomies europ�ennes, largement tributaires, 
pour leur approvisionnement �nerg�tique, de l�ext�rieur� (5). 
Per far fronte alla contingenza della crisi petrolifera del 1973-1974 la Comunit� 
- che sin dai primi anni Sessanta aveva sostanzialmente abbandonato 
(2) Cfr. G.G. GENTILE, La strada italiana al mercato europeo dell�energia elettrica, in Rass. giur. 
energia elettr., 1995, p. 303. 
(3) Cfr. G. CAIA - N. AICARDI, voce Energia, in Trattato di Diritto amministrativo europeo, diretto 
da M.P. CHITI e G. GRECO, Parte speciale, tomo II, Milano, 1997, p. 676. 
(4) Sul fondamento giuridico e sull�evoluzione della politica energetica comunitaria, v., tra gli 
altri, L. CARTOU, La politique de lՎnergie, in Rev. trim. droit. europ., 1983, p. 523 ss.; E. LAMANDA, La 
CEE e l�attivit� energetica, in AA. VV., Il governo dell�energia, direzione di S. CASSESE, Rimini, 1992, 
p. 217 ss.; C. CANEVARI, La politica dell�energia, in U. DRAETTA (a cura di), Elementi di diritto comunitario, 
Parte speciale, Il diritto sostanziale della Comunit� Europea, Milano, 1995, p. 293 ss. 
(5) C. BLUMANN - G. JOLY, Energie et Communaut�s europ�ennes, Deuxi�me Partie, in Rev. trim. 
droit. europ., 1986, p. 614.
82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
ogni tentativo di integrazione energetica globalista - comincia a tracciare le 
prime linee di una politica comune, che si manifesta nell�approvazione della 
Risoluzione del Consiglio del 17 dicembre 1974, volta a formulare i primi 
obiettivi comunitari di politica energetica, per il periodo fino al 1985 (la Risoluzione 
si proponeva essenzialmente lo scopo di ridurre il grado di dipendenza 
degli Stati membri dall�energia importata, migliorando la sicurezza delle forniture 
e riducendo l�onere economico), seguita dalla Risoluzione del 13 febbraio 
1975, concernente i mezzi da porre in opera per raggiungere tali obiettivi. 
Peraltro, � soltanto con il c.d. �secondo shock petrolifero�, susseguente 
allo scoppio della guerra Iran-Irak, che si viene a creare una situazione irreversibile. 
Il Consiglio, spinto dalla necessit�, adotta la Risoluzione del 9 giugno 
1980, concernente gli obiettivi di politica energetica della Comunit� per 
il 1990 e la convergenza delle politiche degli Stati membri, in cui conferma 
nella sostanza le proprie scelte strategiche del 1974 e provvede ad affinare ed 
attualizzare gli obiettivi individuati. 
3. L�impatto dell�Atto unico europeo sulle questioni generali dell�energia. 
L�interesse verso le questioni generali dell�energia � andato poi crescendo 
con il trascorrere degli anni, soprattutto a seguito dell�adozione dell�Atto unico 
europeo nel febbraio 1986. L�Atto unico, come noto, � in grandissima parte 
uno strumento modificativo dei Trattati CEE, CECA e CEEA: oltre a norme 
recanti emendamenti o sostituzioni di quelle precedentemente in vigore, contiene 
norme che completano la normativa iniziale (6). Anch�esso, tuttavia, non 
conteneva alcuna disposizione che regolasse direttamente la materia dell�energia. 
Ciononostante, esso ha impresso una forte accelerazione al processo di 
integrazione dei singoli mercati energetici nazionali, e ci� per aver posto quale 
suo principale obiettivo l�instaurazione, entro il 31 dicembre 1992, del mercato 
interno, ovvero di �uno spazio senza frontiere interne, nel quale � assicurata 
la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali� (art. 
8 A, cpv., del Trattato CEE (7), oggi art. 26 TFUE), cos� rilanciando la costruzione 
del mercato comune voluta dal Trattato di Roma del 1957. L�individuazione 
dell�obiettivo di instaurare il mercato interno, e soprattutto l�indicazione 
della relativa scadenza (8), hanno incoraggiato la Commissione ad intensificare 
l�opera di studio e di elaborazione di proposte volte a rimuovere progres- 
(6) Sull�Atto unico europeo e sulle innovazioni istituzionali e sostanziali con esso introdotte, si 
vedano, tra gli altri, J.DE RUYT, L�Acte Unique Europ�en, in Rev. march� comm., 1986, p. 307 ss.; T. 
BALLARINO, Gli Accordi di Lussemburgo e l�Atto Unico Europeo, in Jus, 1992, p. 139 ss.; L. DANIELE, 
Il Trattato di Roma e l�Atto unico a confronto: qualche considerazione, ivi, p. 145 ss. 
(7) L�articolo 8 A � stato aggiunto dall�art. 13 (�Il Trattato CEE � completato dalle disposizioni 
seguenti�) dell�Atto unico europeo. 
(8) Cfr. in tal senso F. CAPOTORTI, Normativa comunitaria ed energia elettrica, in Rass. giur. energia 
elettr., 1990, p. 892.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 83 
sivamente le barriere nazionali poste alla realizzazione di un mercato interno 
dell�energia; ed a conseguire cos� gli scopi (di sicurezza nell�approvvigionamento, 
di riduzione dei costi e di aumento della competitivit�) assegnati al 
processo di integrazione comunitaria nell�ambito in considerazione (9). 
In vista del conseguimento dell�obiettivo del completamento del mercato 
interno fissato per il 1992, l�integrazione dei singoli mercati energetici nazionali, 
ossia la realizzazione di un mercato comune dell�energia, �liberato� dagli 
ostacoli esistenti agli scambi, ha assunto una fondamentale rilevanza. Una 
volta assunto che l�energia non sfuggisse alla regola comune di cui all�art. 8 
A del Trattato CEE, l�obiettivo globale del 1992 non risultava completamente 
raggiungibile senza un�integrazione dei singoli mercati energetici nazionali, 
che li aprisse alla concorrenza (10). L�energia, infatti, rappresenta spesso una 
quota consistente dei costi di produzione e la compartimentazione dei suoi 
mercati rischia di danneggiare determinate industrie. 
4. Le disposizioni del Trattato CEE legittimanti, in mancanza di una specifica 
attribuzione di competenza in materia di energia, gli interventi delle Istituzioni 
comunitarie nel settore energetico. 
Anche in mancanza di una specifica attribuzione di competenza in materia 
di energia e specialmente a partire dalla seconda met� degli anni Ottanta del 
secolo scorso, per effetto della forte accelerazione impressa dall�Atto unico 
europeo al processo di formazione e completamento del mercato interno, la 
Comunit� ha potuto assumere iniziative e compiere passi anche importanti nel 
settore energetico. 
A prima vista, considerando che la Comunit� non � un ordinamento a fini 
generali, ma si fonda sull�attribuzione di competenze specifiche (� caratterizzato, 
cio�, dal principio detto delle �competenze di attribuzione�, il quale, fondamentalmente, 
implica che le Istituzioni della Comunit� possano agire se non 
nell�ambito di competenze specificamente previste), sarebbero potute sembrare 
discutibili le iniziative comunitarie in un settore astrattamente rimasto 
nella competenza degli Stati membri. Peraltro, gli interventi comunitari nel 
campo dell�energia si sono rivelati ampiamente giustificabili attraverso l�argomentazione 
che tali interventi rinvenissero adeguato fondamento in diverse 
disposizioni del Trattato. In particolare - come in parte anticipato - nelle norme 
relative all�instaurazione e al funzionamento del mercato interno, e pi� in ge- 
(9) M. POLITI, voce Energia nel diritto comunitario, in Digesto Disc. Pubbl., vol. VI, Torino, 
1991, p. 2. 
(10) In argomento cfr. L. MEZZETTI, Europa 1992: realizzazione del mercato interno e integrazione 
del settore energetico comunitario, in Not. giur. reg., 1990, p. 137 ss.; L. HANCHER, P. A. TREPTE, Competition 
and the Internal Energy Market, in Eur. Comp. Law Rev., 1992, n. 4, p. 149 ss.; M.C. BOUTAARD-
LABARDE, La construction du march� europ�en de lՎnergie: la logique du droit communautaire 
de la concurrence, in Rev. �nergie, 1994, p. 321 ss.
84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
nerale nelle norme che tutelano la libert� di concorrenza fra le imprese (11). 
� appena il caso di osservare che a tali due insiemi normativi corrisponde il 
complesso di poteri che costituiscono il nucleo essenziale delle competenze 
comunitarie. 
Secondo questa prospettiva, dunque, l�impulso rivolto alla creazione di 
un mercato energetico integrato � stato riguardato nel quadro pi� ampio delle 
azioni comunitarie finalizzate alla creazione del mercato interno. Per altro 
verso, poich� le imprese di produzione e di distribuzione di energia sono certamente 
da annoverare fra quelle operanti sul mercato comunitario, le competenze 
rivolte ad assicurare la libert� di concorrenza fra le imprese sono risultate 
esercitabili nei loro riguardi. 
In funzione della realizzazione di un mercato europeo dell�energia aperto 
alla concorrenza, un peso notevole � stato attribuito alla natura giuridica dell�energia. 
Cos�, l�energia elettrica, � stata qualificata, in sede di giurisprudenza 
comunitaria, dapprima per implicito (12) e poi espressamente (13), come una 
merce ai sensi dell�art. 30 del Trattato CEE (oggi art. 34 TFUE). Orbene, � 
evidente che, qualificando l�energia elettrica come una merce o un prodotto 
avente un suo mercato, i relativi problemi di scambi fra gli Stati membri sono 
riconducibili alle norme del Trattato sulla circolazione delle merci e che, pi� 
in generale, in virt� di tale sua affermata natura giuridica, essa risulta assoggettata 
all�ambito di applicazione dell�art. 8 A del Trattato CEE, l� dove � prevista 
la realizzazione del mercato interno, ed alle regole di concorrenza. 
La qualificazione nel senso indicato dell�energia elettrica si � rivelata 
dunque di fondamentale importanza, in quanto � essenzialmente da essa che 
ha tratto fondamento il concetto di mercato interno dell�energia, ovvero di un 
mercato unico, privo di frontiere, in cui l�energia potesse costituire libera 
(11) Cfr. in tal senso F. CAPOTORTI, Normativa comunitaria, cit., p. 888; A. LOLLI, Riserva d�impresa 
e diritto comunitario. I monopoli elettrici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1993, p. 95; G. CAIA - N. AICARDI, 
voce Energia, cit., p. 679. 
(12) Corte di giustizia delle Comunit� europee, sentenza 15 luglio 1964, causa 6/64, F. Costa c. 
Enel, in Racc., 1964, p. 1127 (la si pu� leggere anche in Foro it., 1964, IV, c. 137 ss., con nota di N. CATALANO, 
Portata dei trattati istitutivi delle Comunit� europee e limiti dei poteri sovrani degli Stati membri, 
c. 152 ss.). 
(13) Corte di giustizia delle Comunit� europee, sentenza 27 aprile 1994, causa C-393-92, Comune 
di Almelo e altri c. NV Energiebedrijf Ijssellmij, in Racc., 1994, p. I-1477 (la si pu� leggere anche in 
Rass. giur. energia elettr., 1994, p. 786 ss., con nota di G.P. TAGARIELLO, Accordi che ostacolano l�importazione 
di elettricit� e nozione di servizio d�interesse generale in una recente decisione della Corte 
di Giustizia, p. 794 ss.). La qualificazione dell�energia elettrica come merce ai sensi del Trattato CE ed 
il suo conseguente assoggettamento alle disposizioni del Trattato stesso relative alla libera circolazione 
delle merci sono state ribaditi espressamente anche nella sentenza 23 ottobre 1997, causa C-158/94, 
Commissione delle Comunit� europee c. Repubblica italiana, in Racc., 1997, p. I-5789 (la si pu� leggere, 
in parte, anche in Rass. giur. energia elettr., 1997, p. 848 ss., con nota di S. SANTI, Diritti esclusivi di 
importazione e di esportazione di energia elettrica e nozione di servizio d�interesse economico generale 
in una recente sentenza della Corte di Giustizia, p. 860 ss.), nella quale la Corte ha al riguardo richiamato 
sia la sentenza �Costa� che quella �Comune di Almelo�.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 85 
merce di scambio (14) 
Peraltro, va rilevato che la qualificazione dell�energia come merce, o la 
sua equiparazione al prodotto, non elide comunque il carattere di �servizio� - 
ossia la qualificazione come tale - della prestazione continuativa di energia, 
�data la evidente riconducibilit� di tale prestazione sia alla definizione - per 
quanto residuale - di servizio, contenuta nell�art. 60 del trattato CEE [oggi art. 
57 TFUE](15), sia alla categoria dei �servizi d�interesse economico generale� 
delineata nel successivo art. 90 [oggi art. 106 TFUE]� (16). Da questo punto 
di vista, dunque, hanno assunto rilievo anche le norme del Trattato riguardanti 
la libera circolazione dei servizi. 
Muovendo dal presupposto che l�energia ed i servizi ad essa relativi sono 
sottoposti alle norme del Trattato al pari di qualsiasi altra merce o di qualsiasi 
altro servizio, le Istituzioni comunitarie, pur senza avere, come visto, specifici 
poteri a disposizione, hanno potuto legittimamente porre in essere i loro interventi 
nella materia energetica, e ci� anche sul piano propriamente normativo. 
Oltre alla serie di norme e di competenze sin qui richiamate, le Istituzioni 
comunitarie, per adottare atti volti a regolare i diversi aspetti della tematica 
dell�energia, hanno fatto frequentemente ricorso alla norma di cui all�art. 235 
del Trattato CEE (oggi art. 352 TFUE) - esprimente il principio concernente i 
cosiddetti �poteri impliciti della Comunit�� - secondo cui quando un�azione 
comunitaria sia necessaria per raggiungere uno degli scopi della Comunit�, 
senza che il Trattato abbia previsto i poteri richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando 
all�unanimit� e dopo aver consultato il Parlamento europeo, � autorizzato 
a prendere le disposizioni del caso. 
Infine, un�altra norma del Trattato capace di produrre un risultato di espansione 
delle competenze comunitarie �nominate�, e che quindi ha offerto agli 
organi comunitari un importante strumento di intervento nella materia dell�energia, 
� stata rappresentata dall�art. 100. Si tratta della norma che attribuisce 
al Consiglio unanime il potere di stabilire direttive �volte al ravvicinamento 
delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri 
che abbiano un�incidenza diretta sull�instaurazione o sul funzionamento 
del mercato comune�. 
5. La �svolta� di Maastricht: l�individuazione espressa di una generale competenza 
comunitaria in materia di energia. 
L�individuazione espressa di una generale competenza comunitaria in ma- 
(14) Cfr. L. RAZZITTI, Principi ed evoluzione della normativa e della politica comunitaria in tema 
di energia elettrica, in Rass. giur. energia elettr., 1996, p. 632. 
(15) Tale articolo stabilisce che ai sensi del Trattato si considerano come servizi �le prestazioni 
fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera 
circolazione delle merci, dei capitali e delle persone�. 
(16) Cos� G.G. GENTILE, La strada italiana, cit., p. 305.
86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
teria di energia si � comunque avuta con il Trattato sull�Unione europea - sottoscritto 
a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1� novembre 
1993 (17) - che, modificando ed integrando il testo del Trattato CEE, ha inserito 
tra le attribuzioni della Comunit� europea anche l�adozione di �misure in 
materia di energia� (art. 3, lett. t, TCE, come sostituito dall�art. G, B. par. 3, 
TUE), nonch� dettato alcune specifiche disposizioni in cui si fa espressa menzione 
dell�energia. 
Cos�, pi� in particolare, a seguito del Trattato sull�Unione europea: 
- l�azione che la Comunit� pone in essere per adempiere al proprio compito 
(cos� come formulato nell�art. 2 TCE), comporta anche �misure in materia 
di energia� (art. 3, lett. t, TCE, cit.), ancorch� tale azione debba procedere secondo 
i principi della sussidiariet� e della proporzionalit� (art. 3 B TCE); 
- deve svilupparsi un�azione della Comunit� diretta a promuovere �l�incentivazione 
della creazione e dello sviluppo di reti transeuropee� (art. 3, lett. 
n, TCE); e ci� con speciale riferimento al settore delle infrastrutture dell�energia 
(oltre che dei trasporti e delle telecomunicazioni) (art. 129 B TCE); 
- la politica ambientale della Comunit� pu� indirettamente condizionare 
la materia energetica, anche se �le misure aventi una sensibile incidenza sulla 
scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale 
dell�approvvigionamento energetico del medesimo� possono essere adottate 
solo all�unanimit� dal Consiglio (art. 130 S TCE). 
Invero, la semplice menzione, nel testo, come rivisto a Maastricht, del 
Trattato che istituisce la Comunit� europea, della competenza comunitaria ad 
adottare �misure in materia di energia�, non accompagnata da alcuna indicazione 
di principi, obiettivi e forme di esercizio della stessa, pur venendo a fornire 
una base giuridica certa agli atti comunitari in subiecta materia, non ha 
introdotto innovazioni di rilievo nelle condizioni di esplicazione della politica 
energetica n� ha messo nuovi strumenti nelle mani delle Istituzioni comunitarie 
(18), che rimanevano cos� quelli utilizzabili �sulla base delle disposizioni vi- 
(17) La bibliografia relativa al Trattato di Maastricht � vastissima. Ex plurimis, cfr.: Y. DOUTRIAUX, 
Le Trait� sur l�Union Europ�enne, Paris, 1992; U. EVERLING, Reflections on the Structure of European 
Union, in Comm. mark. law. rev., 1992, p. 1053 ss.; E. MOAVERO MILANESI, Il Trattato di Maastricht e 
le novit� che comporta: spunti di compendio e brevi riflessioni, in Dir. comun. scambi internaz., 1992, 
p. 7 ss.; M.P. CHITI, Il Trattato sull�Unione europea e la sua influenza sulla Costituzione italiana, in 
Riv. it. dir. pubbl. comun., 1993, p. 343 ss.; J. CLOOS, G. REINESCH, D. VIGNES, J. WEYLAND, Le Trait� 
de Maastricht: gen�se, analyse, commentaires, Bruxelles, 1993; V. CONSTANTINESCO, La structure du 
Trait� instituant l�Union europ�enne - Les dispositions communes et finales - Les nouvelles comp�tences, 
in Cah. droit europ., 1993, p. 251 ss.; C. CURTI GIALDINO, Il Trattato di Maastricht sull�Unione europea: 
genesi, struttura, contenuto, processo di ratifica, Roma, 1993; R. DEOHUSSE, La Communaut� Europ�enne 
apr�s Maastricht: vers un nouvel equilibre institutionnel?, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 1993, p. 
1 ss.; U. DRAETTA, Il Trattato di Maastricht e le prospettive dell�integrazione europea, in Riv. comm. 
internaz., 1993, p. 5 ss.; A. TIZZANO, Appunti sul Trattato di Maastricht: struttura e natura dell�Unione 
europea, in Foro it., 1995, IV, c. 210 ss. 
(18) Cfr. G. CAIA - N. AICARDI, voce Energia, cit., p. 678.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 87 
genti dei Trattati che istituiscono le Comunit� europee� (19). 
Altrettanto non � a dirsi, invece, per quel comparto della materia energetica 
costituito dalle �reti transeuropee� di energia (elettrodotti, gasdotti, oleodotti, 
ecc.), con riferimento al quale il Trattato UE, come emerge dalle 
disposizioni richiamate, ha attribuito alle Istituzioni comunitarie competenze 
specifiche e peculiari. 
Gli � che, anche a seguito dell�inserimento, con la revisione di Maastricht, 
nel testo del Trattato CE, di previsioni normative facenti espressa menzione 
dell�energia, le misure comunitarie nella materia de qua hanno potuto essere 
adottate soltanto ricorrendo a poteri d�azione di carattere generale ed orizzontale 
ovvero utilizzando strumenti contemplati per altri ambiti materiali, di cui 
il profilo energetico costituisca una componente. 
Anche dopo Maastricht, pertanto, i provvedimenti comunitari nella materia 
energetica sono stati assunti, fondamentalmente, nell�esercizio dei poteri 
relativi all�instaurazione e al funzionamento del mercato interno ed alla tutela 
e promozione della concorrenza. 
� cos� che la Comunit�, muovendo dalla premessa che i prodotti energetici 
e i servizi che vi corrispondono sono prodotti e servizi come gli altri ed al pari 
di questi sono quindi soggetti alle norme del Trattato, si � posta, ormai da un 
quindicennio, quale obiettivo fondamentale e privilegiato della propria azione 
in campo energetico, la piena realizzazione del mercato interno e la promozione 
della concorrenza, al fine di assicurare, sia per le imprese che per i cittadini, la 
disponibilit� di energia al minor prezzo ed alle migliori condizioni. 
6. Il Trattato di Lisbona: il �salto di qualit�� verso una politica energetica 
dell�Unione di tipo globale ed integrato. 
Peraltro, la tappa pi� importante del processo comunitario di �costituzionalizzazione� 
della materia �energia� � certamente costituita dal Trattato di Lisbona, 
entrato in vigore il 1� dicembre 2009 (20). Tale Trattato, che segna la 
(19) Cos� testualmente recita la dichiarazione n. 1 allegata all�Atto finale del Trattato sull�Unione 
europea. 
(20) Molto vasta � la letteratura gi� formatasi sul nuovo Trattato europeo. Limitandosi alle opere 
alle opere monografiche o collettanee, si possono richiamare: J. ZILLER, Il nuovo Trattato europeo, Bologna, 
2007; AA.VV., Dalla Costituzione europea al Trattato di Lisbona, a cura di M.C. BARUFFI, Padova, 
2008; M. DONY, Apr�s la r�forme de Lisbonne. Les nouveaux trait�s europ�ens, Bruxelles, 2008; 
F. X. PRIOLLAUD � D. SIRITZKY, Le trait� de Lisbonne, Paris, 2008; J.L. SAURON, Comprendre le Trait� 
de Lisbonne, Paris, 2008; AA.VV., La nuova Europa dopo il Trattato di Lisbona, a cura di P. BILANCIA 
� M. D�AMICO, Milano, 2009; AA.VV., Dal Trattato costituzionale al Trattato di Lisbona. Nuovi studi 
sulla Costituzione europea, Quaderni della Rassegna di diritto pubblico europeo, n. 5, 2010; AA.VV., 
Europa: Costituzione o Trattato per suo Fondamento? Sul Trattato di Lisbona e i suoi sviluppi, a cura 
di M.M. FRACANZANI � S. BARONCELLI, Napoli, 2010; AA.VV., Il Trattato di Lisbona tra conferme e 
novit�, a cura di C. ZANCGHI � L. PANELLA, Torino, 2010; AA.VV., Le nuove istituzioni europee. Commento 
al Trattato di Lisbona, a cura di F. BASSANINI� G. TIBERI, 2a ed., Bologna, 2010; M. FRAGOLA, Il 
Trattato di Lisbona, Milano, 2010.
88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
conclusione di diversi anni di negoziati sulla riforma istituzionale, modifica il 
Trattato sull�UE e il Trattato che istituisce la Comunit� europea, senza tuttavia 
sostituirli. Il primo mantiene il suo titolo attuale, mentre il secondo viene ad 
essere denominato �Trattato sul funzionamento dell�Unione europea� (TFUE). 
L�art. 4 TFUE inserisce l�energia e l�ambiente nell�elenco di competenze 
concorrenti tra Unione e Stati membri. 
Va evidenziato che il Trattato di Lisbona migliora la capacit� di azione 
dell�UE in diversi settori prioritari: in ambiti come la politica energetica, la salute 
pubblica, la protezione civile, i cambiamenti climatici, i servizi di interesse 
generale, la ricerca, lo spazio, la coesione territoriale, la politica commerciale, 
gli aiuti umanitari, lo sport, il turismo e la cooperazione amministrativa. 
Su energia e ambiente l�Unione potr� legiferare in maniera diretta in materie 
come lo sviluppo sostenibile e il cambiamento climatico. In questo scenario 
il ruolo del Parlamento Europeo non sar� solo consultivo ma decisionale. 
Vengono introdotti per la prima volta e risultano quindi una novit� assoluta: 
- il riferimento alla promozione sul piano internazionale di misure destinate 
a risolvere i problemi dell�ambiente a livello regionale o mondiale e, in 
particolare, a combattere i cambiamenti climatici; 
- il riferimento, in ambito energetico, allo spirito di solidariet� tra gli Stati 
membri e alla promozione dell'interconnessione delle reti energetiche. 
Come � stato efficacemente osservato (21), �Siamo di fronte a un importante 
salto di qualit� nel processo di integrazione europea, influenzato, come 
emerge anche dai lavori preparatori, dalla crescente urgenza di risolvere la sicurezza 
dell�approvvigionamento, del costo dell�energia e della sostenibilit� 
ambientale�. 
L�UE potr� sviluppare azioni positive anche attraverso le sinergie tra ambiente 
ed energia generate dalla nuova competenza sancita dal Trattato in tema 
di lotta ai cambiamenti climatici all�art. 191 del TFUE. 
Con specifico riguardo all�energia, il Trattato di Lisbona rappresenta un 
strumento importante per l�UE che consente di promuovere la sicurezza dell�approvvigionamento 
energetico, oltre all�incremento dell�utilizzo di risorse 
sostenibili e competitive (22). 
Un capitolo specifico del trattato, il nuovo Titolo XXI e l�articolo 194 del 
TFUE, introducono una base giuridica ad hoc per la politica dell�Unione in 
tale settore. 
In particolare, l�articolo 194 definisce i principali ambiti e gli obiettivi 
generali della politica energetica: 
- funzionamento del mercato dell'energia, 
- sicurezza dell'approvvigionamento energetico, 
(21) C. CORAZZA, Ecoeuropa � Le nuove politiche per l�energia e il clima, Milano, 2009, p. 11. 
(22) A. DI PIPPO, I beni pubblici europei: energia e ambiente, Astrid, 2009.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 89 
- efficienza e risparmio energetico, 
- sviluppo di energie nuove e interconnessione delle reti. 
Viene introdotto per la prima volta il principio di solidariet�, per far s� 
che un paese che si trovi in gravi difficolt� in termini di approvvigionamento 
energetico possa contare sull�aiuto degli altri Stati membri. 
La procedura legislativa ordinaria � prevista per le misure tese a garantire 
il funzionamento del mercato dell�energia e la sicurezza dell�approvvigionamento 
energetico nell�Unione, nell�ambito di una politica a sostegno del risparmio 
energetico, dell�efficienza energetica, dello sviluppo di energie nuove 
e rinnovabili e dell�interconnessione tra reti energetiche. 
Resta ferma, tuttavia, la non incidenza dei provvedimenti assunti dall�Unione 
sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla 
struttura dell�approvvigionamento energetico del medesimo. 
L�introduzione di una specifica base giuridica per l�energia pu� tradursi 
in un prezioso strumento per rafforzare la natura globale e integrata della 
nuova politica energetica dell�Unione. 
Sulla base del �nucleo storico� della dimensione interna dei mercati dell�energia 
elettrica e del gas, si inseriranno, acquistando sempre pi� importanza, 
strategie legate alla sostenibilit� ambientale e alla dimensione esterna dell�energia, 
con particolare evidenza attribuita alla problematica della sicurezza 
degli approvvigionamenti (23). 
Per valutare la reale portata innovativa dell�articolo 194 del Trattato di 
Lisbona � necessario considerarla nell�ambito del processo d�integrazione europeo 
nel settore energetico. 
� vero che �L�articolo 194 TFUE non crea ex novo una competenza comunitaria, 
mirando piuttosto a consolidare una competenza comunitaria che, 
ormai per prassi consolidata, veniva esercita in via di fatto ricorrendo a una 
pluralit� di fondamenti normativi� (24). Questo, per�, non significa sminuire 
la portata delle novit� introdotte dal Trattato. Al contrario, grazie al nuovo 
quadro normativo, la politica energetica dell�Unione trover� finalmente la sua 
base giuridica ad hoc. Le Istituzioni comunitarie, ad esempio, non dovranno 
pi� dimostrare che l�adozione delle misure energetiche, sia necessaria al raggiungimento 
di uno degli scopi previsti dal Trattato. 
Non bisogna dimenticare che l�estensione della procedura di co-decisione 
alla competenza energetica incrementer� il ruolo del Parlamento Europeo nella 
formazione degli atti in materia di energia. Di conseguenza: �L�articolo 194 
TFUE potr� dunque rivelarsi un importante strumento di garanzia per un ap- 
(23) M. BOCACCIMARIANI � G.M. PIANA, Energia e ambiente nel Trattato di Lisbona, in AA.VV., 
Il Trattato di Lisbona: genesi, struttura e politiche europee, I Quaderni europei, n. 28/2011, p. 18. 
(24) M. LOMBARDO, L�impatto del Trattato di Lisbona sulla politica energetica europea, in Diario 
Europeo n. 1-2/2009, p. 53.
90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
proccio globale e coerente della legislazione europea e potr� offrire una nuova 
legittimazione politica all�azione dell�Unione in materia di energia� (25). 
7. Le pi� recenti evoluzioni della politica energetica europea. 
Da quanto sopra esposto emerge dunque l��orizzonte� dell�art. 194 TFUE, 
che, oltre ad una pi� chiara demarcazione dell�azione dell�Unione nel settore 
energetico, almeno sul piano astratto, offre a quest�ultima un ampio raggio 
d�azione. L�Unione del dopo Lisbona in poi, � sicuramente legittimata a dotarsi 
di una propria politica energetica e ad intervenire cos� sulle pi� complesse 
questioni dell�energia �nel rispetto dell�ambiente e in uno spirito di solidariet� 
fra Stati�. 
Con la sottoscrizione del Trattato di Lisbona, in effetti, si � ulteriormente 
intensificato il dibattitito europeo sugli obiettivi e gli strumenti delle politiche 
energetiche. Ci�, invero, anche a fronte della cresciuta preoccupazione per gli 
alti prezzi del petrolio e del gas naturale, e per la dipendenza dei Paesi UE 
dalle importazioni di idrocarburi provenienti da un numero limitato di paesi, 
e per il riscaldamento del pianeta. 
Le priorit� della politica energetica dell�Unione Europea, peraltro, risultano 
gi� indicate nel Libro verde sull�energia pubblicato dalla Commissione 
europea nel 2006. Esse sono: 
a) garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici (security of 
supply); 
b) limitare la dipendenza dalle importazioni di idrocarburi (competitiveness); 
c) coniugare le politiche energetiche con il contrasto al cambiamento climatico 
(sustainability). 
Alla luce di queste priorit�, il 10 gennaio 2007, la Commissione ha definito 
un pacchetto integrato di misure, convergenti nella strategia detta del �20- 
20-20 entro il 2020�: 
a) riduzione del 20% delle emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990; 
b) aumento dell�efficienza energetica pari al 20% del consumo totale di 
energia primaria; 
c) incremento della quota del consumo energetico proveniente dalle energie 
rinnovabili fino al 20% del totale. 
Per l�attuazione di questi obiettivi, l�Unione europea ha successivamente 
adottato il c.d. �pacchetto clima-energia�, approvato dal Parlamento europeo 
il 17 dicembre 2008 e composto da un regolamento, quattro direttive � tra cui 
la direttiva 2009/29/CE � e una decisione (26). 
(25) M. LOMBARDO, L�impatto del Trattato di Lisbona, cit., p. 54. 
(26) In argomento, cfr., amplius, D. CALDIROLA, Energia, clima e generazioni future, in Amministrare, 
2009, p. 281 ss., e B. POZZO, Le politiche comunitarie in campo energetico, in B. POZZO (a cura 
di), Le politiche energetiche comunitarie, cit., p. 64 s.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 91 
Il 13 novembre 2008 la Commissione ha inoltre reso pubblica una Second 
Strategic Energy Review, che contiene un nuovo gruppo di misure volte soprattutto 
a garantire la sicurezza energetica, integrando cos� le misure relative 
al �20-20-20 entro il 2020�. 
Con specifico riferimento alla sicurezza degli approvvigionamenti, va 
evidenziato che l�Unione europea, per garantire tale priorit�, tale obiettivo, 
agisce essenzialmente su due fronti, uno interno (politiche di domanda e offerta) 
e l�altro esterno (relazioni con i Paesi produttori e di transito). 
Sul piano interno, le istituzioni UE europee perseguono due obiettivi: a) 
il contenimento della domanda di energia degli Stati membri e b) la promozione 
dell�autosufficienza energetica, soprattutto tramite lo sviluppo di fonti 
alternative ai combustibili fossili. 
Per quel che riguarda le politiche di domanda, l�impegno dell�UE si concentra 
soprattutto sull�efficienza e il risparmio energetico. Gi� da qualche anno 
l�Unione sta sviluppando una fitta rete di direttive volte a favorire l�efficienza 
energetica. Al riguardo, il Piano d�azione per l�efficienza energetica (2007- 
2012), adottato dalla Commissione il 19 ottobre 2006, ha identificato importanti 
opportunit� di risparmio nei settori dell�edilizia, delle industrie 
manifatturiere, della conservazione dell�energia e dei trasporti, fissando 
l�obiettivo di ridurre entro il 2020 il consumo annuo di energia primaria del 
20% rispetto alle proiezioni sul consumo energetico per quello stesso anno. 
Per quel che concerne l�autosufficienza energetica, la strategia relativa 
alla sua promozione si incentra sul potenziamento della produzione domestica 
di risorse, indipendentemente dal fatto che esse provengano dagli idrocarburi, 
da fonti rinnovabili o dall�energia nucleare. Un�enfasi particolare � posta, peraltro, 
sulle energie rinnovabili, che sono un�alternativa fondamentale ai combustibili 
fossili che l�UE importa in grandi quantit�. Lo sviluppo delle energie 
rinnovabili viene infatti considerato fondamentale perch� contribuirebbe sia 
a ridurre le emissioni di gas serra sia a mitigare la dipendenza dall�estero 
dell�Unione (27). 
Gli sforzi dell�UE per far fronte all�insicurezza energetica tramite soluzioni 
interne non sono tuttavia sufficienti a garantire un sicuro approvvigionamento 
di risorse. Poich� oltre tre quarti del fabbisogno energetico europeo 
vengono soddisfatti dai combustibili fossili - petrolio, gas naturale e carbone, 
i quali sono in larga misura importati - il concetto di sicurezza energetica si 
traduce innanzitutto nell�esigenza di garantire un flusso continuo di importazioni 
ad un prezzo ragionevole. Ne consegue che la politica energetica dell�UE 
(27) Dal 1997 a oggi, il contributo delle energie rinnovabili al consumo di energia dell�UE � pi� 
che raddoppiato, specialmente grazie a fonti quali il vento, le biomasse3 e l�energia solare. Malgrado 
ci�, le energie rinnovabili costituiscono attualmente solo circa il 7% del consumo interno di energia 
dell�Ue.
92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
deve anche basarsi su una dimensione esterna incentrata sulla cooperazione e 
sull�accordo con i paesi esportatori, oltre che con quelli di transito e con i maggiori 
consumatori. 
In verit�, la dipendenza energetica dall�estero non costituisce di per s� un 
grave problema, ma tende a divenirlo nella misura in cui, in un contesto di 
crescente competitivit� globale, le risorse energetiche si concentrano in pochi 
paesi produttori, o di transito, retti da regimi politici alquanto instabili o non 
democratici. Questo � il caso soprattutto del petrolio e del gas naturale, la cui 
dipendenza dalle importazioni � crescente. 
L�UE ha sviluppato una fitta rete di dialoghi bilaterali e regionali con i 
paesi produttori di energia, i paesi consumatori e di transito. Tra questi, la relazione 
pi� importante rimane indubbiamente quella con la Russia, principale 
fornitore di idrocarburi per molti paesi europei (28). 
Tra i dialoghi regionali, si segnala, poi, il Forum euro-mediterraneo sull�energia 
attivo dal 1998. Tra gli obiettivi del forum si ricordano l�adesione dei 
paesi nord-africani alla Carta dell�Energia, la riforma del loro sistema legislativo, 
regolamentare e industriale in linea con gli standard UE, lo sviluppo sostenibile 
e l�integrazione dei mercati energetici del Mediterraneo con quelli dell�UE. 
Rilevante � poi il dialogo UE-OPEC, lanciato nel 2005 con l�intento di 
creare una piattaforma di discussione sui prezzi, gli investimenti e lo sviluppo 
di nuove tecnologie. Ad esso � collegata una serie di relazioni bilaterali con i 
paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo e altri importanti produttori, 
come l�Iraq. Parallelamente, si fa sempre pi� forte l�interesse dell�UE nei confronti 
dei produttori di gas e petrolio della regione del Mar Nero e del Mar 
Caspio con i quali, dal 2001, l�UE condivide il programma di trasporto di gas 
e petrolio intra-statale conosciuto come INOGATE (si tratta di un accordoquadro 
in cui l�Europa si impegna a stimolare gli investimenti in queste regioni 
in cambio di garanzie di approvvigionamento). Sul continente europeo, l�UE 
coordina le sue politiche energetiche con la Norvegia, all�interno di un intenso 
dialogo che comprende possibili esplorazioni nel Mare di Barents, la legislazione 
relativa al mercato interno dell'energia, la ricerca e lo sviluppo tecnologico 
del settore. Infine, vale la pena citare gli accordi coi paesi di transito delle 
rotte energetiche, quali l�Ucraina e la Moldavia. 
Questa fitta rete di dialoghi e cooperazioni regionali serve all�UE per diversificare 
l�origine delle sue importazioni. 
Tuttavia, la tendenza degli Stati membri a priviliegiare i rapporti bilaterali 
(28) Il dialogo UE-Russia sull�energia � stato lanciato nel 2000 con obiettivi molto ambiziosi: la 
sicurezza delle forniture e della domanda, una maggiore apertura del mercato russo dell�energia, la costruzione 
di infrastrutture per il trasporto e il collegamento di reti elettriche, la creazione di un ambiente 
favorevole agli investimenti in Russia, la cooperazione sul riscaldamento climatico, il risparmio di energia 
e la sicurezza nucleare.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 93 
con i Paesi fornitori di energia limita la capacit� di azione dell�Unione. 
Le difficolt� che l�UE incontra nel perseguire con la massima efficacia 
una politica energetica comune dipendono anche dal non ancora avvenuto 
completamento di un autentico mercato unico dell�energia. 
La creazione di un mercato interno dell�energia � tra le priorit� dell�Unione 
europea. Secondo la Commissione, una maggiore integrazione 
avrebbe l�effetto di aumentare la concorrenza e quindi ridurre i prezzi, nonch� 
di facilitare l�accesso al mercato anche alle imprese di piccole dimensioni e a 
quelle che investono in energie rinnovabili. Una rete energetica europea sicura 
e solida dovrebbe garantire una migliore qualit� dei servizi; favorire gli investimenti 
nelle infrastrutture; contribuire alla diversificazione delle vie di trasporto 
e delle fonti di energia, e quindi, in ultima istanza, alla sicurezza degli 
approvvigionamenti. Il mercato interno dell�energia, inoltre, � una condizione 
essenziale perch� l�UE si doti di un�autentica politica comune nei confronti 
dei principali fornitori di energia. 
Le basi per la creazione di un mercato unico per l�energia sono state poste 
alla fine degli anni Novanta, con la direttiva 96/92/CE relativa al mercato interno 
dell�elettricit�, e con la direttiva 98/30/CE relativa al mercato del gas. Il 
processo di integrazione ha per� conosciuto un�accelerazione solo nel 2003, 
con le direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE, rispettivamente per l�elettricit� e 
per il gas naturale. Queste hanno introdotto il diritto di accesso non discriminatorio 
da parte di terzi alle reti di trasporto e di distribuzione, nonch� agli 
impianti di gas naturale liquefatto. 
Inoltre, la legislazione del 2003 (ricompresa nel c.d. �Secondo Pacchetto 
Energia�) ha previsto la trasformazione dei gestori delle reti in entit� legali 
distinte dalle imprese di fornitura e di produzione (c.d. unbundling). Al fine 
di dare alle imprese la possibilit� di adattarsi, la Commissione ha scelto un 
approccio bens� graduale, ma che avrebbe dovuto permettere ai consumatori 
industriali di scegliere liberamente i propri fornitori dal primo luglio 2004 e a 
quelli privati dal primo luglio 2007. Tuttavia, un�indagine settoriale del 2006 
sul funzionamento dei mercati del gas e dell�elettricit� rilevava la persistenza 
di notevoli distorsioni della concorrenza che impedivano, soprattutto alle imprese, 
di poter beneficiare pienamente dei vantaggi della liberalizzazione (29). 
Si riscontrava in primo luogo la sussistenza di un elevato livello di concentrazione 
di mercato, con poche e grandi compagnie �dominanti� i due settori in 
questione; in secondo luogo, queste stesse compagnie continuano a detenere 
il controllo della produzione e della distribuzione, determinando quindi il li- 
(29) Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio del 10 gennaio 
2007, Una politica energetica per l�Europa, COM(2007) 1 def.; Comunicazione della Commissione al 
Consiglio e al Parlamento Europeo, del 10 gennaio 2007, Prospettive del mercato interno del gas e dell�elettricit�, 
COM(2006) 841 def. 
94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
vello dei prezzi dell�elettricit� e bloccando l�entrata di nuovi utenti nel mercato 
elettrico e nel sistema di gasdotti; infine, si notava la frammentazione dei mercati 
lungo linee nazionali, e dunque la mancanza di una reale integrazione dei 
settori europei del gas e dell�elettricit�. 
Per superare tali criticit�, la Commissione ha lanciato, il 17 settembre 
2007, un terzo pacchetto legislativo (30), incentrato sui seguenti aspetti: un 
pi� alto livello di separazione delle attivit� di produzione e di distribuzione di 
energia; le competenze e l�indipendenza dei regolatori nazionali, nonch� la 
loro cooperazione a livello europeo; l�elaborazione di codici commerciali e 
tecnici comuni per i gestori delle reti di trasporto; la trasparenza del mercato. 
La necessit� di risolvere gli impedimenti che ostacolano la formazione 
di un mercato unico europeo realmente integrato, hanno anche portato all'istituzione 
dell�ACER (Agenzia per la Cooperazione dei Regolatori Nazionali) 
(31), ad opera del regolamento (CE) n. 713/2009. Il compito essenziale di tale 
Agenzia � quello di coordinare e complementare le attivit� dei differenti regolatori 
nazionali intervenendo sulle materie di �portata europea�, come ad 
esempio i gasdotti transfrontalieri. L'ACER pu� sia fornire orientamenti-quadro 
non vincolanti, sia esprimersi in maniera impegnativa sulle condizioni di 
accesso alle reti transnazionali. 
Si � tentato in questo senso di �forzare� l�integrazione del mercato europeo, 
condizionando la prassi consolidata negli Stati membri di gestire la propria politica 
energetica in prima persona e introdurre allo stesso tempo una figura garante 
che fosse indipendente sia dai governi nazionali, sia dall�Unione Europea. 
Le misure politiche e normative adottate dall�UE dal 2009 hanno inoltre 
consentito di creare una base forte e solida per la pianificazione delle infrastrutture 
europee. Il terzo pacchetto sul mercato interno dell�energia ha infatti 
gettato le basi della pianificazione e degli investimenti nelle reti europee, introducendo 
l�obbligo a carico dei gestori dei sistemi di trasmissione (GST) di 
cooperare e di elaborare piani decennali regionali ed europei di sviluppo delle 
reti dell�elettricit� e del gas nel quadro della rete europea dei gestori dei sistemi 
di trasmissione ( European Network of Transmission System Operators - 
ENTSO) e fissando norme sulla cooperazione tra le autorit� nazionali di regolamentazione 
in materia di investimenti transfrontalieri nel quadro 
dell�ACER. 
(30) Il c.d. �Terzo Pacchetto Energia� si compone di cinque misure normative (regolamento n. 
713/2009 che istituisce un�Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell�energia, direttive 
2009/72/CE e 2009/73/CE in materia di energia elettrica e gas naturale, e i regolamenti n. 714/2009 e 
n. 715/2009 in materia di accesso alla infrastrutture di trasmissione / trasporto). 
(31) Su cui cfr. L. AMMANATI, L'agenzia per la cooperazione tra i regolatori dell'energia e la costruzione 
del mercato unico dell'energia, in Riv. it. dir. pubbl comun., 2011, p. 675 ss., e G. NAPOLITANO, 
L�Agenzia dell�energia e l�integrazione regolatoria europea, in P. BILANCIA (a cura di), La regolazione 
dei mercati di settore tra autorit� indipendenti nazionali e organismi europei, Milano, 2012, 153 ss.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 95 
In sintesi, dunque, un obiettivo chiave del Terzo Pacchetto � rappresentato 
dal rafforzamento della cooperazione tra regolatori nazionali come anche tra 
operatori dei sistemi di trasmissione. In questo senso, un ruolo cruciale per 
l�accelerazione della trasformazione del mercato europeo dell�energia in un 
mercato realmente integrato non potr� che essere svolto dall�ACER, chiamata 
a rafforzare e rendere pi� efficace la regolazione a livello europeo attraverso 
una nuova forma di cooperazione tra regolatori nazionali e, per questa via, diffondere 
buone prassi regolatorie e conseguire una maggiore convergenza tra 
Stati membri, anche normativa.
96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Considerazioni �a caldo� per spunti di riflessione alla sentenza 
sul regime linguistico nell�Ue 
(C. giustizia, Grande Sezione, sent. 27 novembre 2012, causa C-566/10 P, 
Repubblica italiana c. Commissione europea) 
Paolo Gentili* 
La sentenza � importante perch� � una delle poche in cui la Corte mostri 
finalmente il coraggio di comportarsi da vera Corte costituzionale europea, e 
non da brutta copia di un Tar di provincia (come continua a fare in tante materie, 
p. es. negli aiuti di Stato, dove protegge veri abusi di potere della Commissione). 
Nel merito mi sembra particolarmente rilevante il punto 94 in cui, accogliendo 
il nostro motivo riassunto nel punto 79, chiarisce che altro � la preparazione 
professionale e altro � la preparazione linguistica: i concorsi debbono 
accertare soprattutto la prima, e questo � pi� facile se si lasciano i candidati 
liberi di esprimersi nelle lingue che conoscono meglio. 
Il solo punto che temo (conoscendo i nostri polli, o meglio, unsere H�hne) 
� il 91: qui la Corte sembra prefigurare la possibilit� per la Commissione di 
redigere non meglio qualificate �comunicazioni enuncianti i criteri per una 
limitazione della scelta di una lingua come seconda lingua per partecipare ai 
concorsi�. Scommettiamo che tra un po� ne sforner� una, ovviamente nel 
senso del trilinguismo? 
Altro aspetto da approfondire � la possibilit� di usare la sentenza nella 
lotta pi� generale contro il trilinguismo, anche al di fuori dei concorsi. 
A questo proposito mi sembra importante la secca affermazione dei punti 
69 e 74/75, dai quali trarrei il principio che nelle comunicazioni istituzionali 
rivolte alla generalit� degli europei (quali si � finalmente chiarito che sono 
anche i candidati a un concorso) usare senza motivo tre sole lingue costituisce 
una discriminazione vietata dall�art. 21 della Carta. 
Roma, 27 novembre 2012 
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 
(*) Avvocato dello Stato.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 97 
Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 27 novembre 2012 nella causa C-566/10 
P - Pres. V. Skouris, Rel. A. Rosas, Avv. Gen. J. Kokott - Repubblica italiana (avv. Stato P. 
Gentili) c. Commissione europea. 
�Impugnazione � Regime linguistico � Bandi di concorsi generali per l�assunzione di amministratori 
e di assistenti � Pubblicazione integrale in tre lingue ufficiali � Lingua delle prove 
� Scelta della seconda lingua tra tre lingue ufficiali� 
(...)
1 Con la sua impugnazione, la Repubblica italiana chiede l�annullamento della sentenza 
del Tribunale dell�Unione europea del 13 settembre 2010, Italia/Commissione (T 166/07 
e T 285/07; in prosieguo: la �sentenza impugnata�), con la quale tale giudice ha respinto 
i ricorsi di detto Stato membro intesi all�annullamento dei bandi relativi ai concorsi generali 
EPSO/AD/94/07, per la costituzione di un elenco di riserva ai fini dell�assunzione 
di amministratori (AD 5) nel settore dell�informazione, della comunicazione e dei media 
(GU 2007, C 45 A, pag. 3), EPSO/AST/37/07, per la costituzione di un elenco di riserva 
ai fini dell�assunzione di assistenti (AST 3) nel settore della comunicazione e dell�informazione 
(GU 2007, C 45 A, pag. 15), ed EPSO/AD/95/07, per la costituzione di un 
elenco di riserva ai fini dell�assunzione di amministratori (AD 5) nel settore dell�informazione 
(biblioteca/documentazione) (GU 2007, C 103 A, pag. 7) (in prosieguo, congiuntamente: 
i �bandi di concorso controversi�). 
Contesto normativo 
2 Gli articoli 1 6 del regolamento (CEE) n. 1 del Consiglio, del 15 aprile 1958, che stabilisce 
il regime linguistico della Comunit� economica europea (GU 1958, 17, pag. 385), 
come modificato dal regolamento (CE) n. 1791/2006 del Consiglio, del 20 novembre 
2006 (GU L 363, pag. 1; in prosieguo: il �regolamento n. 1�), dispongono quanto segue: 
�Articolo 1 
Le lingue ufficiali e le lingue di lavoro delle istituzioni dell�Unione sono la lingua bulgara, 
la lingua ceca, la lingua danese, la lingua estone, la lingua finlandese, la lingua 
francese, la lingua greca, la lingua inglese, la lingua irlandese, la lingua italiana, la lingua 
lettone, la lingua lituana, la lingua maltese, la lingua olandese, la lingua polacca, la 
lingua portoghese, la lingua rumena, la lingua slovacca, la lingua slovena, la lingua spagnola, 
la lingua svedese, la lingua tedesca e la lingua ungherese. 
Articolo 2 
I testi, diretti alle istituzioni da uno Stato membro o da una persona appartenente alla 
giurisdizione di uno Stato membro, sono redatti, a scelta del mittente, in una delle lingue 
ufficiali. La risposta � redatta nella medesima lingua. 
Articolo 3 
I testi, diretti dalle istituzioni a uno Stato membro o ad una persona appartenente alla 
giurisdizione di uno Stato membro, sono redatti nella lingua di tale Stato. 
Articolo 4 
I regolamenti e gli altri testi di portata generale sono redatti nelle lingue ufficiali. 
Articolo 5 
La Gazzetta ufficiale dell�Unione europea � pubblicata nelle lingue ufficiali. 
Articolo 6 
Le istituzioni possono determinare le modalit� di applicazione del presente regime linguistico 
nei propri regolamenti interni�.
98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
3 Gli articoli 1 quinquies, 7, paragrafo 1, primo comma, 24 bis, 27, 28, 29, paragrafo 1, 
e 45 dello Statuto dei funzionari delle Comunit� europee, come modificato dal regolamento 
(CE, Euratom) n. 723/2004 del Consiglio, del 22 marzo 2004 (GU L 124, pag. 1; 
in prosieguo: lo �Statuto dei funzionari�), enunciano quanto segue: 
�Articolo 1 quinquies 
� 1. Nell�applicazione del presente statuto � proibita ogni discriminazione fondata, in 
particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle, le origini etniche o sociali, le caratteristiche 
genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche 
o di qualsiasi altra natura, l�appartenenza a una minoranza nazionale, il patrimonio, 
la nascita, gli handicap, l�et� o l�orientamento sessuale. 
(�) 
6. Nel rispetto del principio di non discriminazione e del principio di proporzionalit�, 
ogni limitazione di tali principi deve essere oggettivamente e ragionevolmente giustificata 
e deve rispondere a obiettivi legittimi di interesse generale nel quadro della politica del 
personale. Tali obiettivi possono in particolare giustificare la fissazione di un�et� pensionabile 
obbligatoria e di un�et� minima per beneficiare di una pensione di anzianit�. 
(�) 
Articolo 7 
1. L�autorit� che ha potere di nomina assegna ciascun funzionario mediante nomina o 
trasferimento, nel solo interesse del servizio e prescindendo da considerazioni di cittadinanza, 
ad un impiego corrispondente al suo grado, nel suo gruppo di funzioni. 
(�) 
Articolo 24 bis 
Le Comunit� facilitano il perfezionamento professionale del funzionario, compatibilmente 
con le esigenze del buon funzionamento dei servizi e conformemente ai loro interessi. 
Di tale perfezionamento si tiene conto anche ai fini dello svolgimento della carriera. 
(�) 
Articolo 27 
Le assunzioni debbono assicurare all�istituzione la collaborazione di funzionari dotati 
delle pi� alte qualit� di competenza, rendimento e integrit�, assunti secondo una base 
geografica quanto pi� ampia possibile tra i cittadini degli Stati membri delle Comunit�. 
Nessun impiego deve essere riservato ai cittadini di un determinato Stato membro. 
(�) 
Articolo 28 
Per la nomina a funzionario, occorre possedere i seguenti requisiti: 
(�) 
f) avere una conoscenza approfondita di una delle lingue delle Comunit� e una conoscenza 
soddisfacente di un�altra lingua delle Comunit� nella misura necessaria alle funzioni 
da svolgere. 
(�) 
Articolo 29 
1. Per assegnare i posti vacanti in un�istituzione, l�autorit� che ha il potere di nomina (...) 
(�) 
bandisce un concorso per titoli o per esami, ovvero per titoli ed esami. La procedura di 
concorso � stabilita nell�allegato III. 
Pu� essere bandito un concorso anche per costituire una riserva ai fini di future assunzioni.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 99 
(�) 
Articolo 45 
1. La promozione � conferita con decisione dell�autorit� che ha il potere di nomina in 
considerazione dell�articolo 6, paragrafo 2. Essa comporta per il funzionario la nomina 
al grado superiore del gruppo di funzioni al quale appartiene. La promozione � fatta 
esclusivamente a scelta, tra i funzionari che abbiano maturato un minimo di due anni di 
anzianit� nel loro grado, previo scrutinio per merito comparativo dei funzionari che 
hanno i requisiti per essere promossi. Ai fini dell�esame comparativo dei meriti, l�autorit� 
che ha il potere di nomina tiene conto, in particolare, dei rapporti dei funzionari, 
dell�uso, nell�esercizio delle loro funzioni, di lingue diverse da quella di cui hanno dimostrato 
di possedere una conoscenza approfondita ai sensi dell�articolo 28, lettera f) 
e, se del caso, del livello di responsabilit� esercitate. 
2. Precedentemente alla prima promozione successiva all�assunzione, i funzionari devono 
dimostrare la loro capacit� di lavorare in una terza lingua tra quelle menzionate 
all�articolo 314 del Trattato CE. Le istituzioni adottano una regolamentazione di comune 
accordo per l�esecuzione del presente paragrafo. Tale regolamentazione prevede l�accesso 
dei funzionari alla formazione in una terza lingua e fissa le procedure destinate a 
verificare la loro capacit� di lavorare in una terza lingua, conformemente all�articolo 7, 
paragrafo 2, lettera d) dell�allegato III�. 
4 Gli articoli 1, paragrafi 1 e 2, e 7 dell�allegato III dello Statuto dei funzionari cos� dispongono: 
�Articolo 1 
�1. Il bando di concorso � stabilito dall�autorit� che ha il potere di nomina, previa consultazione 
della commissione paritetica. 
Il bando deve specificare: 
a) il tipo di concorso (concorso interno nell�ambito dell�istituzione, concorso interno 
nell�ambito delle istituzioni, concorso generale, eventualmente comune a due o pi� 
istituzioni); 
b) le modalit� (concorso per titoli o per esami, ovvero per titoli ed esami); 
c) la natura delle funzioni e delle attribuzioni relative ai posti da coprire e il gruppo di 
funzioni ed il grado proposti; 
d) conformemente all�articolo 5, paragrafo 3, dello statuto, i diplomi e gli altri titoli o il 
grado di esperienza richiesti per i posti da coprire; 
e) nel caso di concorso per esami, il tipo degli esami e la loro rispettiva valutazione; 
f) eventualmente, le conoscenze linguistiche richieste per la particolare natura dei posti 
da coprire; 
g) eventualmente, i limiti di et�, nonch� l�elevazione di tali limiti per gli agenti in servizio 
da almeno un anno; 
h) il termine entro il quale devono pervenire le candidature; 
i) eventualmente, le deroghe accordate a norma dell�articolo 28, lettera a) dello statuto. 
Nei concorsi generali comuni a due o pi� istituzioni, il bando di concorso � stabilito 
dall�autorit� che ha il potere di nomina di cui all�articolo 2, paragrafo 2, dello statuto, 
previa consultazione della commissione paritetica comune. 
2. Per i concorsi generali, si deve pubblicare un bando di concorso nella Gazzetta Ufficiale 
delle Comunit� Europee almeno un mese prima del termine entro il quale devono pervenire 
le candidature e, eventualmente, almeno due mesi prima della data fissata per gli esami.
100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
3. Tutti i concorsi devono essere resi noti nell�ambito delle istituzioni delle tre Comunit� 
europee negli stessi limiti di tempo. 
(�) 
Articolo 7 
1. Previa consultazione del comitato dello statuto, le istituzioni affidano all�Ufficio di 
selezione del personale delle Comunit� europee [in prosieguo: l��EPSO�] l�incarico di 
adottare le misure necessarie ai fini dell�applicazione di norme uniformi nell�ambito 
delle procedure di selezione dei funzionari e delle procedure di valutazione e di esame 
di cui agli articoli 45 e 45 bis dello statuto. 
2. L�[EPSO] ha il compito di: 
a) organizzare concorsi generali su richiesta delle singole istituzioni; 
(�) 
d) assumere la responsabilit� generale per la definizione e l�organizzazione della valutazione 
delle capacit� linguistiche affinch� le esigenze dell�articolo 45, paragrafo 2 
dello statuto si attuino in modo armonizzato e coerente. 
(�)� 
5 L�EPSO � stato creato dalla decisione 2002/620/CE del Parlamento europeo, del Consiglio, 
della Commissione, della Corte di giustizia, della Corte dei conti, del Comitato 
economico e sociale, del Comitato delle regioni e del Mediatore, del 25 luglio 2002 (GU 
L 197, pag. 53). Ai sensi dell�articolo 2, paragrafo 1, prima frase, di detta decisione, 
l�EPSO esercita i poteri di selezione conferiti, in particolare, in virt� dell�allegato III 
dello Statuto dei funzionari alle autorit� che hanno il potere di nomina delle istituzioni 
firmatarie della decisione stessa. Ai sensi dell�articolo 4, ultima frase, della decisione 
2002/620, tutti i ricorsi nei settori contemplati da tale decisione sono diretti contro la 
Commissione europea. 
6 Il ruolo dell�EPSO � stato precisato dall�articolo 7 dell�allegato III dello Statuto dei 
funzionari, che � stato aggiunto dal citato regolamento n. 723/2004. 
Fatti all�origine della controversia 
7 Il 28 febbraio 2007, l�EPSO ha pubblicato i bandi relativi ai concorsi generali 
EPSO/AD/94/07 e EPSO/AST/37/07 soltanto nelle edizioni in lingua tedesca, inglese e 
francese della Gazzetta ufficiale dell�Unione europea, al fine di costituire, da un lato, 
un elenco di riserva destinato alla copertura di posti vacanti presso le istituzioni per amministratori 
(AD 5) nel settore dell�informazione, della comunicazione e dei media e, 
dall�altro, un elenco di riserva destinato alla copertura di posti vacanti presso le istituzioni 
per assistenti (AST 3) nel settore della comunicazione e dell�informazione. 
8 L�8 maggio 2007, l�EPSO ha pubblicato il bando relativo al concorso generale 
EPSO/AD/95/07 soltanto nelle edizioni in lingua tedesca, inglese e francese della Gazzetta 
ufficiale dell�Unione europea, al fine di costituire un elenco di riserva destinato 
alla copertura di posti vacanti, in particolare presso il Parlamento europeo, per amministratori 
(AD 5) nel settore dell�informazione (biblioteca/documentazione). 
9 Il punto I A dei bandi di concorso controversi, disciplinante le condizioni di ammissione 
ai test di preselezione, prevedeva, sotto la rubrica �Conoscenze linguistiche�, che tutti 
i candidati dovessero avere una conoscenza approfondita di una delle lingue ufficiali 
dell�Unione (in prosieguo: le �lingue ufficiali�) quale lingua principale e una conoscenza 
soddisfacente del tedesco, dell�inglese o del francese come seconda lingua, obbligatoriamente 
diversa dalla lingua principale. Era inoltre previsto, sotto la medesima rubrica,
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 101 
che, per garantire la chiarezza e la comprensione dei testi di carattere generale e di tutte 
le comunicazioni tra l�EPSO e i candidati, le convocazioni ai diversi test ed alle prove 
nonch� ogni scambio di corrispondenza tra l�EPSO o il segretariato della commissione 
giudicatrice ed i candidati avrebbero avuto luogo esclusivamente in tedesco, in inglese 
o in francese. Il punto I B dei bandi di concorso controversi indicava poi che i test di 
preselezione si sarebbero svolti �in tedesco, in inglese o in francese ([seconda] lingua)�. 
10 Il punto II A dei bandi di concorso controversi, relativo alla natura delle funzioni e alle 
condizioni di ammissione ai concorsi, stabiliva, sotto la rubrica �Conoscenze linguistiche
�, che, per essere ammessi alle prove scritte, i candidati dovevano avere una conoscenza 
approfondita di una delle lingue ufficiali come lingua principale e una conoscenza 
soddisfacente del tedesco, dell�inglese o del francese come seconda lingua, obbligatoriamente 
diversa dalla lingua principale. Il punto II B dei bandi di concorso controversi 
stabiliva inoltre che le prove scritte si sarebbero svolte �in tedesco, in inglese o in francese 
([seconda] lingua)�. 
11 Il 20 giugno e il 13 luglio 2007, l�EPSO ha pubblicato due modifiche ai bandi di concorso 
controversi in tutte le versioni linguistiche della Gazzetta ufficiale dell�Unione 
europea (C 136 A, pag. 1, e C 160, pag. 14). Nella modifica pubblicata il 20 giugno 
2007 era indicato che i candidati dovevano possedere, per il concorso EPSO/AD/94/07, 
un diploma attestante una formazione universitaria completa di tre anni nel settore in 
questione, cio� quello dell�informazione, della comunicazione e dei media, oppure un 
diploma attestante una formazione universitaria completa di tre anni in un altro settore, 
seguita da un�esperienza professionale di almeno tre anni in un settore pertinente alla 
natura delle funzioni da svolgere. Riguardo al concorso EPSO/AST/37/07, era poi indicato 
che i candidati dovevano avere, secondo il tipo di qualificazione da loro posseduto, 
un�esperienza professionale di tre o sei anni. Nella modifica pubblicata il 13 luglio 2007 
era indicato, per il concorso EPSO/AD/95/07, che i candidati dovevano aver compiuto 
studi di livello universitario di durata triennale nel settore dell�informazione 
(biblioteca/documentazione) o studi di livello universitario di durata triennale seguiti 
da una qualificazione specialistica nel detto settore, e che non era richiesta alcuna esperienza 
professionale. Inoltre, le due modifiche rinviavano espressamente alla versione 
integrale dei bandi di concorso controversi pubblicati nelle edizioni tedesca, inglese e 
francese della Gazzetta ufficiale e fissavano nuovi termini per la presentazione delle 
candidature ai concorsi in parola. 
Ricorsi dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata 
12 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale l�8 maggio 2007, la 
Repubblica italiana ha proposto un ricorso inteso all�annullamento dei bandi di concorso 
EPSO/AD/94/07 ed EPSO/AST/37/07. La Repubblica di Lituania � intervenuta a sostegno 
delle conclusioni della Repubblica italiana in tale causa, registrata con il numero 
di ruolo T 166/07. 
13 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 luglio 2007, la 
Repubblica italiana ha proposto un ricorso inteso all�annullamento del bando di concorso 
EPSO/AD/95/07. La Repubblica ellenica � intervenuta a sostegno delle conclusioni della 
Repubblica italiana in tale causa, registrata con il numero di ruolo T 285/07. 
14 Le cause T 166/07 e T 285/07 sono state riunite con ordinanza del 9 novembre 2009 ai 
fini della fase orale del procedimento e della sentenza. 
15 La Repubblica italiana contestava essenzialmente, in primo luogo, la mancata pubbli-
102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
cazione integrale nella Gazzetta ufficiale dell�Unione europea dei bandi di concorso 
controversi nelle lingue ufficiali diverse da quelle tedesca, inglese e francese e, in secondo 
luogo, l�arbitraria limitazione a tre lingue soltanto nella scelta della seconda lingua 
per la partecipazione ai concorsi in questione, per tutte le comunicazioni con l�EPSO e 
per lo svolgimento delle prove. 
16 Dopo aver rigettato una domanda di non luogo a provvedere presentata dalla Commissione, 
il Tribunale ha esaminato, in primo luogo, il motivo di ricorso relativo alla violazione 
dell�articolo 290 CE e, in secondo luogo, quello attinente alla violazione degli 
articoli 1, 4, 5 e 6 del regolamento n. 1. In terzo luogo, esso si � pronunciato sul motivo 
di ricorso vertente sulla violazione dei principi di non discriminazione, di proporzionalit� 
e del multilinguismo. Tale motivo, suddiviso in due parti, verteva, nella sua prima parte, 
sulla conformit� ai suddetti tre principi della pubblicazione integrale, nella Gazzetta Ufficiale 
dell�Unione europea, dei bandi di concorso controversi nelle sole lingue tedesca, 
inglese e francese. La seconda parte del motivo riguardava la conformit� a questi stessi 
principi della scelta della seconda lingua tra le tre lingue fissate per la partecipazione ai 
concorsi in questione, per tutte le comunicazioni con l�EPSO e per lo svolgimento delle 
prove. In quarto luogo, il Tribunale ha esaminato il motivo relativo alla violazione del 
principio della tutela del legittimo affidamento, al fine di verificare se la pubblicazione 
nella Gazzetta ufficiale dell�Unione europea dei bandi di concorso controversi violasse 
tale principio, dal momento che essa contraddiceva una prassi costante seguita sino al 
mese di luglio 2005, consistente nel redigere e pubblicare integralmente nella Gazzetta 
ufficiale dell�Unione europea i bandi di concorso in tutte le lingue ufficiali. Infine, il 
Tribunale ha esaminato i motivi relativi al difetto di motivazione dei bandi di concorso 
controversi e allo sviamento di potere. 
17 Il Tribunale ha respinto ciascuno dei suddetti motivi di ricorso e, di conseguenza, i ricorsi 
di annullamento proposti. 
Conclusioni delle parti nel giudizio di impugnazione 
18 La Repubblica italiana chiede che la Corte voglia: 
� annullare la sentenza impugnata; 
� statuire direttamente sulla controversia, annullando i bandi di concorso controversi; 
� condannare la Commissione alle spese. 
19 La Commissione chiede che la Corte voglia: 
� respingere l�impugnazione; 
� condannare la Repubblica italiana alle spese. 
20 La Repubblica ellenica conclude che la Corte voglia accogliere la sua comparsa di risposta, 
con conseguente annullamento della sentenza pronunciata dal Tribunale il 13 
settembre 2010 nelle cause T 166/07 e T 285/07. 
21 La Repubblica di Lituania non ha depositato comparsa di risposta. 
Sull�impugnazione 
22 L�impugnazione � fondata su sette motivi. 
Argomenti delle parti 
Il primo motivo 
23 Il primo motivo di impugnazione riguarda la violazione dell�articolo 290 CE e dell�articolo 
6 del regolamento n. 1. 
24 Esso � diretto contro i punti 41 e 42 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale 
ha statuito che i bandi di concorso controversi non violavano l�articolo 290 CE, in quanto
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 103 
essi erano stati adottati dalla Commissione in virt� della competenza riconosciuta alle 
istituzioni e agli organi comunitari dall�articolo 6 del regolamento n. 1, il quale consente 
espressamente alle istituzioni di determinare le modalit� di applicazione del regime linguistico 
nei loro regolamenti interni. Facendo segnatamente riferimento al paragrafo 48 
delle conclusioni presentate dall�avvocato generale Poiares Maduro nella causa definita 
dalla sentenza del 15 marzo 2005, Spagna/Eurojust (C 160/03, Racc. pag. I 2077), ed 
alla giurisprudenza citata in detto paragrafo, il Tribunale ha statuito nei medesimi punti 
41 e 42 che occorreva riconoscere alle istituzioni una certa autonomia funzionale nell�esercizio 
della competenza ad esse conferita dall�articolo 6 del regolamento n. 1, al 
fine di garantire il loro buon funzionamento. 
25 La Repubblica italiana fa valere che il Tribunale ha violato l�articolo 290 CE e l�articolo 
6 del regolamento n. 1, riconoscendo la competenza della Commissione ad adottare i 
bandi di concorso controversi malgrado che, in primo luogo, nessun regolamento interno 
sia mai stato adottato dalla Commissione al fine di determinare le modalit� di applicazione 
del citato regolamento n. 1, che, in secondo luogo, un bando di concorso non sia 
un regolamento interno e che, in terzo luogo, la Commissione, per il tramite dell�EPSO, 
si sia sostituita al Consiglio pretendendo di dettare in via di mera prassi amministrativa 
un regime linguistico in una materia importante come i concorsi di ammissione alle carriere 
dell�amministrazione dell�Unione. 
26 La Repubblica ellenica, facendo riferimento alla sentenza del Tribunale della funzione 
pubblica dell�Unione europea del 15 giugno 2010, Pachtitis/Commissione (F 35/08, non 
ancora pubblicata nella Raccolta), � sentenza che, al momento del deposito della comparsa 
di risposta della Repubblica ellenica, era stata oggetto di un�impugnazione della 
Commissione, poi respinta dal Tribunale con la sentenza del 14 dicembre 2011, Commissione/
Pachtitis (T 361/10 P, non ancora pubblicata nella Raccolta), � sottolinea che 
l�EPSO � incompetente a stabilire la lingua di un concorso, non soltanto perch� ci� finisce 
per determinare il regime linguistico di un�istituzione, pur rientrando tale aspetto 
nella competenza del Consiglio, ma anche perch� le lingue costituiscono il �contenuto 
delle prove� e fanno parte delle conoscenze la cui valutazione spetta alla commissione 
giudicatrice. La Repubblica ellenica si interroga in merito all�esistenza di un��autonomia 
funzionale� � quale rilevata al punto 41 della sentenza impugnata � fondata sull�articolo 
6 del regolamento n. 1 e riconosciuta alle istituzioni dal Tribunale. Detto Stato membro 
conclude che il regolamento viene utilizzato per evitare il voto all�unanimit� richiesto 
dall�articolo 290 CE. 
27 La Commissione sostiene che il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto. Essa 
ricorda che la necessit� di riconoscere alle istituzioni una certa autonomia funzionale 
risulta dalla giurisprudenza della Corte. Pertanto, sarebbe corretta la statuizione del Tribunale 
secondo cui i bandi di concorso sono un�espressione di tale potere di auto organizzazione. 
Il fatto che la Commissione non abbia adottato disposizioni interne ai sensi 
dell�articolo 6 del regolamento n. 1 non sarebbe pertinente, in quanto tale disposizione 
non sarebbe altro che l�espressione di un potere di auto organizzazione pi� ampio. 
Il secondo motivo 
28 Il secondo motivo di impugnazione riguarda la violazione degli articoli 1 e 4 6 del regolamento 
n. 1. 
29 Esso � diretto contro i punti 52 57 della sentenza impugnata. Al punto 52 di tale sentenza, 
il Tribunale, citando in particolare il punto 60 della sentenza del 5 ottobre 2005, Ra-
104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
smussen/Commissione (T 203/03, Racc. FP pagg. I A 279 e II 1287), ha ricordato la costante 
giurisprudenza secondo cui �il regolamento n. 1 non � applicabile ai rapporti tra 
le istituzioni e i loro funzionari e agenti, in quanto fissa unicamente il regime linguistico 
applicabile tra le istituzioni ed uno Stato membro o una persona che ricade nella giurisdizione 
di uno degli Stati membri�. Al punto 53 della sentenza impugnata, facendo riferimento 
in particolare al punto 13 della sentenza del 7 febbraio 2001, Bonaiti 
Brighina/Commissione (T 118/99, Racc. FP pagg. I A 25 e II 97), il Tribunale ha affermato 
che �i funzionari e gli altri agenti delle Comunit�, nonch� i candidati a tali posti, 
(�) sono soggetti unicamente alla giurisdizione comunitaria� e, inoltre, che �l�art. 6 
del regolamento n. 1 consente espressamente alle istituzioni di determinare le modalit� 
di applicazione del regime linguistico nei loro regolamenti interni�. Al punto 54 di detta 
sentenza, il Tribunale ha giustificato l�equiparazione ai funzionari e agli altri agenti delle 
Comunit� dei candidati a tali posti, in materia di regime linguistico applicabile, con la 
�circostanza che tali candidati entrano in relazione con un�istituzione unicamente al fine 
di ottenere un posto di funzionario o di agente per il quale talune conoscenze linguistiche 
sono necessarie e possono essere imposte dalle disposizioni comunitarie applicabili per 
assegnare il posto di cui � causa�. Su tale base, il Tribunale ha concluso, ai punti 55 e 
56 della medesima sentenza, che �gli artt. 1, 4 e 5 del regolamento n. 1 non si applicano 
ai bandi di concorso controversi� e che �[r]ientra (�) nella responsabilit� delle istituzioni 
la scelta della lingua di pubblicazione esterna di un bando�. 
30 La Repubblica italiana sottolinea nuovamente che nessun regolamento interno � stato 
adottato dalla Commissione in applicazione dell�articolo 6 del regolamento n. 1. Essa 
sostiene, inoltre, che un bando di concorso � un testo di portata generale ai sensi dell�articolo 
4 del regolamento n. 1, dal momento che esso pu� interessare la generalit� dei 
cittadini comunitari e che, comunque, il bando � la legge particolare del concorso. Ci� 
sarebbe confermato dall�articolo 1, paragrafo 2, dell�allegato III dello Statuto dei funzionari, 
il quale impone la pubblicazione dei bandi di concorso nella Gazzetta ufficiale 
delle Comunit� europee. Detto Stato membro contesta infine l�equiparazione dei candidati 
di un concorso ai funzionari e agli altri agenti, sottolineando che un candidato � 
un cittadino dell�Unione, il quale � titolare di un diritto pubblico soggettivo fondamentale 
ad accedere agli impieghi della funzione pubblica dell�Unione e che, quando chiede 
di partecipare ad un concorso per entrare in un�istituzione, � necessariamente esterno a 
quest�ultima. 
31 La Repubblica ellenica sostiene che esiste una contraddizione tra i punti 41 e 42 della 
sentenza impugnata � con i quali il Tribunale ha concluso che i bandi di concorso controversi 
erano stati adottati in virt� della competenza riconosciuta alle istituzioni dall�articolo 
6 del regolamento n. 1 � e i punti 52 58 della medesima sentenza � con i quali 
detto giudice ha respinto il motivo di ricorso relativo alla violazione degli articoli 1 e 4 
6 del citato regolamento, giudicando che quest�ultimo non fosse applicabile ai rapporti 
tra le istituzioni dell�Unione e i loro funzionari. Secondo la Repubblica ellenica, o il regolamento 
n. 1 � applicabile � e allora l�articolo 6 del medesimo � pertinente � o non lo 
�. Detto Stato membro fa inoltre valere come il punto 60 della citata sentenza Rasmussen 
sia una semplice affermazione che non � giustificata e che, in via tralatizia, � divenuta 
giurisprudenza costante. 
32 La Commissione sostiene che il Tribunale non � incorso in alcun errore di diritto, segnatamente 
per quanto riguarda l�equiparazione dei candidati di un concorso ai funzio-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 105 
nari in ruolo. Un principio siffatto figurerebbe anche nella giurisprudenza della Corte 
per giustificare l�applicazione delle procedure dello Statuto dei funzionari a coloro che 
rivendicano tale qualit�. Inoltre, un bando di concorso definirebbe le regole applicabili 
alle persone che sottopongono la propria candidatura, regole che esprimerebbero l�esclusivo 
interesse del servizio e, dunque, i bisogni interni dell�istituzione. Un bando siffatto 
non potrebbe dunque costituire un testo di portata generale. 
33 La Commissione sottolinea che l�allegato III dello Statuto dei funzionari impone degli 
obblighi al fine di garantire l�uguaglianza nell�accesso alle informazioni, e non esprime 
esigenze linguistiche di forma che caratterizzano il regime �esterno�, vale a dire le relazioni 
tra le istituzioni e il mondo esterno. 
Il terzo motivo 
34 Il terzo motivo di impugnazione riguarda la violazione dei principi di non discriminazione, 
di proporzionalit� e del multilinguismo, e segnatamente la violazione dell�articolo 
12 CE, dell�articolo 22 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea (in prosieguo: 
la �Carta�), dell�articolo 6, paragrafo 3, UE, dell�articolo 5 del regolamento n. 
1, dell�articolo 1, paragrafi 2 e 3, dell�allegato III dello Statuto dei funzionari e, infine, 
dell�articolo 230 CE. 
35 Detto motivo � diretto contro i punti 72 91 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale 
ha statuito sulla prima parte di un motivo di ricorso, relativa alla pubblicazione 
nella Gazzetta ufficiale dell�Unione europea nelle lingue tedesca, inglese e francese dei 
bandi di concorso controversi, nonch� alla pubblicazione nella citata Gazzetta, in tutte 
le lingue ufficiali, di modifiche ai suddetti bandi di concorso. 
36 Al punto 72 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che �non sussistono disposizioni 
n� principi di diritto comunitario che impongano la pubblicazione sistematica 
nella Gazzetta ufficiale, in tutte le lingue ufficiali, di bandi di concorso�. Esso ha tuttavia 
ricordato, al successivo punto 74, che, �se � vero che l�amministrazione pu� legittimamente 
adottare le misure che le sembrano adeguate al fine di disciplinare alcuni aspetti 
della procedura di assunzione del personale, tali misure non devono sfociare in una discriminazione 
fondata sulla lingua tra i candidati a un determinato posto�. Al punto 84 
della medesima pronuncia, il Tribunale ha constatato che �i bandi di concorso controversi 
sono stati pubblicati, integralmente, soltanto nelle lingue francese, inglese e tedesca
�. Esso ha per� sottolineato, al punto 85 della sua decisione, che le due modifiche 
pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell�Unione europea in tutte le lingue ufficiali, che 
informavano succintamente il pubblico dell�esistenza e del contenuto dei bandi di concorso 
controversi e che rinviavano alle edizioni francese, inglese e tedesca per ottenere 
il loro testo integrale, �hanno posto rimedio all�omessa pubblicazione nella Gazzetta 
ufficiale dei bandi di concorso controversi in tutte le lingue ufficiali�. Il Tribunale ha 
cos� concluso, al punto 90 della sentenza impugnata, che �la pubblicazione integrale 
nella Gazzetta ufficiale dei bandi di concorso controversi in sole tre lingue, seguita da 
una pubblicazione succinta nella Gazzetta ufficiale, in tutte le lingue ufficiali, di modifiche 
di detti bandi, non costituisce una discriminazione [tra candidati] basata sulla lingua 
contraria all�art. 12 CE[, che essa] non integra neppure una violazione dell�art. 6, 
n. 3, UE, il quale si limita ad indicare che l�Unione rispetta le identit� nazionali[, e che] 
detta pubblicazione non viola l�art. 22 della Carta, che comunque � priva di forza giuridica 
vincolante�. 
37 La Repubblica italiana sostiene che il Tribunale, prendendo in considerazione le modi-
106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
fiche dei bandi di concorso, ha violato l�articolo 230 CE, in quanto la legittimit� di un 
atto deve essere valutata tenendo conto della sua formulazione nel momento in cui viene 
emanato. Detto Stato membro sostiene inoltre che, comunque, la pubblicazione delle 
modifiche non ha consentito di porre rimedio alla mancata pubblicazione dei bandi in 
tutte le lingue ufficiali. 
38 Secondo la Repubblica italiana, il ragionamento del Tribunale � viziato da una tautologia, 
in quanto esso presume la conoscenza delle tre lingue a motivo del fatto che i 
bandi prevedevano soltanto queste tre lingue. Orbene, era necessario appunto giustificare 
la limitazione a tre lingue, nonch� la discriminazione che ne derivava. 
39 Anche la Repubblica ellenica sostiene che i bandi di concorso avrebbero dovuto essere 
pubblicati in tutte le lingue ufficiali e nega che la pubblicazione delle modifiche abbia 
posto rimedio alla violazione iniziale. 
40 La Commissione rileva che gli argomenti sviluppati nell�ambito del presente motivo di 
impugnazione non rimettono in discussione il ragionamento seguito dal Tribunale ai punti 
72, 73 76, nonch� 79 81 della sentenza impugnata, il quale era a suo avviso sufficiente 
per fondare il dispositivo di tale sentenza. Ad ogni modo, il bando di concorso doveva 
indicare i requisiti dettati dall�interesse del servizio, al fine di evitare che persone non 
qualificate si presentassero inutilmente. Essa sostiene che il Tribunale ha correttamente 
motivato la conclusione cui � giunto, secondo la quale l�obbligo dell�istituzione non � di 
pubblicare tutti i bandi di concorso in tutte le lingue ufficiali, ma soltanto di assicurare 
che il metodo di pubblicazione scelto non sia fonte di discriminazione tra candidati. 
Il quarto motivo 
41 Il quarto motivo di impugnazione riguarda la violazione delle norme sulla non discriminazione 
in base alla lingua, nonch� la violazione degli articoli 1 e 6 del regolamento 
n. 1 e degli articoli 1 quinquies, paragrafi 1 e 6, 27, secondo comma, e 28, lettera f), 
dello Statuto dei funzionari. 
42 Detto motivo � diretto contro i punti 93 105 della sentenza impugnata, nei quali il Tribunale 
si � pronunciato su una parte di un motivo di ricorso relativa alla scelta della seconda 
lingua tra tre lingue per la partecipazione ai concorsi in questione, per qualsiasi 
comunicazione con l�EPSO e per lo svolgimento delle prove, e nei quali esso ha infine 
concluso, al citato punto 105, che occorreva respingere nella sua interezza il motivo relativo 
alla violazione dei principi di non discriminazione, di proporzionalit� e di multilinguismo. 
43 Fondandosi sulle conclusioni presentate dall�avvocato generale Poiares Maduro nella 
causa decisa dalla citata sentenza Spagna/Eurojust, il Tribunale ha ricordato, al punto 
93 della sentenza impugnata, �che il buon funzionamento delle istituzioni e degli organi 
comunitari pu� obiettivamente giustificare una scelta limitata di lingue di comunicazione 
interna�. Al punto 94 di tale sentenza, esso ha altres� ricordato che la scelta di una o di 
pi� lingue ufficiali a livello interno non pu� compromettere la parit� di accesso dei cittadini 
dell�Unione ai posti di lavoro offerti dalle istituzioni e dagli organi comunitari. 
Tuttavia, al punto 95 della medesima pronuncia, il Tribunale ha constatato �che qualsiasi 
candidato ai concorsi di cui trattasi in possesso delle competenze linguistiche richieste 
dai bandi di concorso controversi ha potuto accedere e partecipare, alle stesse condizioni, 
ai procedimenti di assunzione�. Al punto 99 della sentenza impugnata, il Tribunale ha 
rilevato che �la Repubblica italiana non ha fornito alcun elemento concreto atto a contestare 
la pertinenza delle conoscenze linguistiche richieste nei bandi di concorso con-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 107 
troversi[, e che essa] non pu� pertanto asserire che tale requisito non sia oggettivamente 
dettato dalle esigenze del servizio�. Il Tribunale ha del pari rilevato, nel medesimo punto, 
che la mancata pubblicazione iniziale di una menzione in tutte le lingue ufficiali non ha 
penalizzato i candidati la cui lingua principale non era quella tedesca, inglese o francese, 
in quanto le due modifiche pubblicate successivamente hanno riaperto il termine per la 
presentazione delle candidature ai concorsi in questione. Infine, al punto 101 della medesima 
sentenza, il Tribunale ha statuito che, se certo i settori cui fanno riferimento i 
bandi di concorso controversi richiedono una grande variet� di competenze linguistiche, 
il fatto che la lingua principale, della quale i bandi di concorso controversi richiedono 
una conoscenza approfondita, possa essere qualsiasi lingua ufficiale � sufficiente a garantire 
una grande variet� di competenze linguistiche nell�assunzione dei candidati che 
rispondono ai suddetti bandi di concorso. 
44 Mediante tale motivo di impugnazione, la Repubblica italiana sostiene che il fatto di 
accettare soltanto tre lingue ufficiali come seconda lingua, ai fini di qualsiasi comunicazione 
con l�EPSO nonch� dello svolgimento delle prove del concorso, costituisce una 
discriminazione sulla base della lingua, anzitutto rispetto alle altre lingue non ammesse 
come seconda lingua, ma anche nei confronti dei cittadini degli Stati membri che conoscano 
una seconda lingua ufficiale diversa dalle tre lingue ammesse. La Repubblica italiana 
fa valere che la facolt�, per le istituzioni, di determinare le modalit� di applicazione 
del regime linguistico nei loro regolamenti interni riguarda solo il funzionamento interno 
delle istituzioni, e non lo svolgimento dei concorsi esterni, e che in ogni caso nessuna 
istituzione ha adottato disposizioni al riguardo. 
45 Detto Stato membro sostiene inoltre che, alla luce del principio che vieta di riservare 
impieghi ai cittadini di un determinato Stato membro, enunciato all�articolo 27, secondo 
comma, dello Statuto dei funzionari, le limitazioni all�uso delle lingue all�interno delle 
istituzioni devono essere considerate quali eccezioni necessitanti di congrua giustificazione. 
Inoltre, l�articolo 28 dello Statuto dei funzionari preciserebbe che la seconda lingua 
pu� essere scelta tra una qualsiasi delle lingue dell�Unione e non prevedrebbe una 
posizione privilegiata di alcuna di esse a tale riguardo. La Repubblica italiana ne deduce 
che le lingue di selezione devono essere il pi� possibile neutre rispetto ai titoli richiesti 
per superare la selezione, ci� che presupporrebbe che tutte le lingue dell�Unione possano 
essere ammesse. Secondo la Repubblica italiana, una corretta interpretazione dell�articolo 
28, lettera f), dello Statuto dei funzionari deve portare alla conclusione che la valutazione 
dei titoli professionali necessari per superare la selezione, per essere efficiente 
e non discriminatoria, non dovrebbe essere influenzata in modo decisivo dalle conoscenze 
linguistiche del candidato. Questa interpretazione sarebbe confermata dall�articolo 
l dell�allegato III dello Statuto dei funzionari, a norma del quale il bando di 
concorso deve specificare, eventualmente, le conoscenze linguistiche richieste per la 
particolare natura dei posti da coprire. Le limitazioni che tale disposizione prevede sarebbero 
soltanto semplici eventualit�. Esse dovrebbero essere motivate nel bando di 
concorso e fondarsi su quanto � �necessario alle funzioni� da svolgere e sulla �particolare 
natura dei posti da coprire�. Orbene i bandi di concorso controversi non avrebbero 
rispettato tali regole. 
46 La Repubblica italiana contesta l�affermazione compiuta dal Tribunale, ai punti 98 e 99 
della sentenza impugnata, secondo cui essa non avrebbe dimostrato che la scelta delle 
tre lingue come lingue di svolgimento delle prove fosse incongrua rispetto alle finalit�
108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
dei concorsi in questione. Detto Stato membro sostiene che l�onere della prova gravava 
non su di esso, bens� sulla Commissione, dal momento che tale istituzione si avvaleva 
di un�eccezione alle norme secondo cui tutte le lingue comunitarie sono lingue ufficiali 
e lingue di lavoro. 
47 La Repubblica italiana non nega l�importanza delle esigenze organizzative interne, e 
perfino delle prassi, delle istituzioni. Essa afferma per� che tale importanza, allorch� si 
traduce in limitazioni delle possibilit� di espressione linguistica dei cittadini europei, 
deve essere fatta valere nel contesto di norme trasparenti ed appropriate. Le istituzioni 
dovrebbero precisare la natura delle esigenze che possono condurre a limitazioni linguistiche 
non soltanto all�interno delle istituzioni, ma anche e tanto pi� nei concorsi di 
accesso � che non sono un mero affare interno a queste �, nonch� stabilire le modalit� 
procedurali con cui pervenire a tali limitazioni. Secondo detto Stato membro, non sarebbe 
accettabile l�esercizio di un potere discrezionale basato unicamente sul rilievo 
(fatto non si sa in quali sedi e con quali criteri) di presunte pratiche di fatto. 
48 La Commissione sottolinea che la Repubblica italiana non contesta l�esistenza di un bisogno 
oggettivo delle istituzioni giustificante la limitazione della scelta della seconda 
lingua del concorso a tre lingue ufficiali determinate. Essa ricorda, inoltre, che tali bisogni 
sono riconosciuti dalla giurisprudenza (sentenza del 5 aprile 2005, Hendrickx/Consiglio, 
T 376/03, Racc. FP pagg. I A 83 e II 379). Essa sostiene, infine, che la 
constatazione del Tribunale di cui al punto 95 della sentenza impugnata, secondo la 
quale �qualsiasi candidato ai concorsi di cui trattasi in possesso delle competenze linguistiche 
richieste dai bandi di concorso controversi ha potuto accedere e partecipare, 
alle stesse condizioni, ai procedimenti di assunzione�, costituisce una constatazione di 
fatto che non pu� essere esaminata dalla Corte nell�ambito di un�impugnazione. 
Il quinto motivo 
49 Il quinto motivo di impugnazione verte sulla violazione dell�articolo 6, paragrafo 3, UE, 
nella parte in cui tale norma afferma il principio della tutela del legittimo affidamento quale 
diritto fondamentale risultante dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. 
50 Esso � diretto contro i punti 110 115 della sentenza impugnata, nei quali il Tribunale ha 
respinto il motivo di ricorso riguardante la violazione del suddetto principio. Il Tribunale 
ha in particolare statuito, al punto 110 di detta sentenza, che �nessuno pu� affermare la 
violazione di tale principio in mancanza di assicurazioni precise fornitegli dall�amministrazione
� e, al successivo punto 112, �che una semplice prassi (�) non equivale a 
informazioni precise, incondizionate e concordanti� ai sensi della giurisprudenza. 
51 La Repubblica italiana sostiene che, nel negare l�esistenza di un affidamento perch� 
non erano state fornite assicurazioni, senza considerare la portata della prassi pluridecennale 
della cui esistenza lo stesso Tribunale aveva dato atto, quest�ultimo ha violato 
il principio dell�affidamento. Avere da un certo momento, senza alcun preavviso e senza 
alcuna giustificazione, mutato rotta in senso trilinguistico, pu� avere discriminato quanti 
ragionevolmente ipotizzavano di accedere alle carriere europee sulla base di competenze 
linguistiche diverse, e fino allora perfettamente legittimate. 
52 La Commissione sostiene che, sul punto, il Tribunale non � incorso in alcun errore di 
diritto. 
Il sesto motivo 
53 Il sesto motivo di impugnazione concerne la violazione dell�articolo 253 CE, relativo 
all�obbligo di motivazione degli atti. 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 109 
54 Esso � diretto contro i punti 125 e 126 della sentenza impugnata. Al punto 125 di tale 
sentenza, il Tribunale ha ricordato �che la funzione essenziale del bando di concorso 
consiste nell�informare gli interessati, con la maggiore precisione possibile, del tipo di 
condizioni richieste per occupare il posto di cui trattasi, al fine di porli in grado di valutare, 
da un lato, se sia per essi opportuno presentare la propria candidatura e, dall�altro, 
quali documenti giustificativi siano rilevanti per i lavori della commissione giudicatrice 
e debbano, conseguentemente, essere allegati agli atti di candidatura�. Al punto 126 
della suddetta sentenza, il Tribunale ha giudicato che �l�amministrazione non era tenuta 
a giustificare, nei bandi di concorso controversi, la scelta delle tre lingue da utilizzare 
come seconda lingua per partecipare ai concorsi e alle prove, dal momento che � pacifico 
che tale scelta risponde alle sue esigenze interne�. 
55 La Repubblica italiana sostiene che il Tribunale ha confuso la funzione dei bandi di 
concorso e la loro motivazione. I bandi costituivano attuazione delle possibilit� di restrizione 
linguistica concesse dallo Statuto dei funzionari e dovevano dunque indicare 
la precisa connessione funzionale tra la natura delle mansioni o le esigenze del servizio 
da svolgere e le restrizioni linguistiche apportate alla procedura di selezione. Il totale 
silenzio sull�esistenza e sulla natura delle presunte �esigenze interne� rendeva la scelta 
operata dalla Commissione incontrollabile dal giudice e dai destinatari dell�atto. Il Tribunale 
avrebbe commesso un errore di diritto affermando che la motivazione relativa 
alle esigenze corrispondenti del servizio poteva essere desunta dalla presenza, nel bando, 
di disposizioni restrittive. 
56 La Commissione ricorda che la necessit� di una motivazione � in funzione della natura 
e della finalit� dell�atto in questione. Nel caso di specie, non si trattava di atti vincolanti, 
bens� di atti informativi, ossia inviti a partecipare a dei concorsi. Essa ritiene che il Tribunale 
avesse pieno titolo per concludere, al punto 126 della sentenza impugnata, che 
nessuna motivazione era richiesta quanto alla scelta delle tre lingue da utilizzare. 
Il settimo motivo 
57 Il settimo motivo di impugnazione verte sulla violazione delle norme sostanziali inerenti 
alla natura e alla finalit� dei bandi di concorso, e in particolare degli articoli 1 quinquies, 
paragrafi 1 e 6, 28, lettera f), e 27, secondo comma, dello Statuto dei funzionari. 
58 Detto motivo � diretto contro i punti 128 135 della sentenza impugnata, con i quali il 
Tribunale ha in particolare statuito che l�EPSO non aveva commesso alcuno sviamento 
di potere dal momento che esso non aveva utilizzato il regime linguistico dei concorsi 
per fini estranei ai suoi compiti istituzionali. La Repubblica italiana contesta il punto 
133 di detta sentenza, in cui il Tribunale ha rilevato che �la commissione giudicatrice � 
vincolata al bando di concorso e, in particolare, alle condizioni di ammissione stabilite 
da quest�ultimo�, nonch� il successivo punto 134, dove il Tribunale ha concluso che 
�[n]on si pu� (�) contestare all�EPSO di aver stabilito, nei bandi di concorso controversi, 
requisiti linguistici che, in quanto condizioni di ammissione, potevano escludere 
alcuni candidati potenziali e, in particolare, di aver fatto ricorso a modalit� di pubblicazione 
che ostacolavano, in pratica, la partecipazione ai concorsi in parola degli interessati 
[che] non soddisface[ssero] tali requisiti linguistici�. 
59 Secondo la Repubblica italiana, il requisito linguistico � distinto da quello professionale. 
I requisiti linguistici dovrebbero essere accertati dalla commissione giudicatrice nel corso 
della procedura di selezione, e non prima, ad opera dell�autorit� che emana il bando. Le 
restrizioni linguistiche preliminari, cio� quelle previste nel bando, sarebbero ammissibili
110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
solo se collegate a dimostrate esigenze di servizio. Orbene, nella specie, la Commissione 
non ha precisato nei bandi di concorso controversi alcuna esigenza linguistica giustificante 
le limitazioni, per� nello stesso tempo ha preteso, come risulta dal punto 134 della 
sentenza impugnata, di �ostacola[re], in pratica, la partecipazione ai concorsi in parola 
degli interessati� che non fossero in grado di soddisfare al restrittivo requisito linguistico 
imposto dai bandi. Da ci� il suddetto Stato membro conclude che il Tribunale, ritenendo 
che non spettasse alla commissione giudicatrice valutare le competenze linguistiche dei 
candidati, in quanto l�autorit� che emana il bando potrebbe in via preventiva operare una 
selezione preliminare degli interessati su base puramente linguistica, ha violato le norme 
sopra menzionate, nonch� il principio che in queste � insito, secondo cui i bandi di concorso 
debbono tendere a verificare, con la maggiore ampiezza possibile, l�esistenza delle 
competenze linguistiche necessarie a ricoprire i posti presso le istituzioni. 
60 La Commissione rileva che la Repubblica italiana ripete l�argomentazione gi� sviluppata 
negli altri motivi di impugnazione e rinvia a sua volta alle risposte da essa fornite a tali 
motivi. Essa ricorda nuovamente che la Repubblica italiana non ha messo in dubbio la 
realt� della situazione fattuale nelle istituzioni, concernente l�impiego di certe lingue 
per facilitare la comunicazione interna. 
Giudizio della Corte 
61 Occorre esaminare congiuntamente, da un lato, i primi tre motivi di impugnazione relativi 
alla pubblicazione dei bandi di concorso controversi e, dall�altro, gli ultimi quattro motivi, 
riguardanti la designazione delle lingue tedesca, inglese e francese come seconda lingua, 
come lingua di comunicazione con l�EPSO e come lingua delle prove del concorso. 
Sui primi tre motivi di impugnazione, relativi alla pubblicazione dei bandi di concorso 
62 Ai sensi dell�articolo 1 dell�allegato III dello Statuto dei funzionari, il bando di concorso 
viene emanato dall�autorit� avente il potere di nomina dell�istituzione che organizza il 
concorso stesso, previa consultazione della commissione paritetica, e deve specificare 
un certo numero di informazioni riguardanti la procedura di selezione. A seguito della 
decisione 2002/620, i poteri di selezione conferiti segnatamente da tale allegato alle autorit� 
che hanno il potere di nomina delle istituzioni firmatarie della decisione stessa 
sono esercitati dall�EPSO. 
63 Nell�ambito della presente impugnazione, due sono le norme fatte valere come fonte di 
un obbligo di pubblicare i bandi di concorso controversi in tutte le lingue ufficiali, e 
precisamente l�articolo 4 del regolamento n. 1 e l�articolo 1, paragrafo 2, dell�allegato 
III dello Statuto dei funzionari, letto in combinato disposto con l�articolo 5 del regolamento 
n. 1. Occorre dunque esaminare gli obblighi previsti da ciascuna di tali norme. 
64 L�articolo 4 del regolamento n. 1 stabilisce che i regolamenti e gli altri testi di portata generale 
sono redatti nelle lingue ufficiali. A questo proposito la Commissione fa valere: anzitutto, 
che il regolamento n. 1 non � applicabile ai bandi di concorso, in quanto questi 
ultimi concernono persone equiparate ai funzionari; poi, e in ogni caso, che l�istituzione ha 
la facolt� di determinare la lingua di pubblicazione del bando a norma dell�articolo 6 del 
suddetto regolamento; infine, che i bandi di concorso non sono testi di portata generale. 
65 Al punto 52 della sentenza impugnata, il Tribunale ha statuito che, secondo una sua consolidata 
giurisprudenza, il regolamento n. 1 non � applicabile ai rapporti tra le istituzioni 
e i loro funzionari e agenti, in quanto esso fissa unicamente il regime linguistico applicabile 
tra le istituzioni e uno Stato membro o una persona ricadente nella giurisdizione 
di uno degli Stati membri.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 111 
66 A giudizio del Tribunale, tale inapplicabilit� troverebbe giustificazione, da un lato, nel 
fatto che i funzionari e gli altri agenti, nonch� i candidati di un concorso, sono assoggettati, 
per quanto riguarda l�applicazione delle disposizioni dello Statuto dei funzionari, 
unicamente alla giurisdizione delle Comunit� e, dall�altro lato, nell�articolo 6 del regolamento 
n. 1. 
67 A questo proposito occorre rilevare, anzitutto, che l�articolo 1 del regolamento n. 1 enuncia 
espressamente quali sono le lingue di lavoro delle istituzioni, mentre l�articolo 6 del 
medesimo regolamento stabilisce che le istituzioni possono determinare le modalit� di 
applicazione del regime linguistico nei loro regolamenti interni. Tuttavia, si deve constatare 
che le istituzioni interessate dai bandi di concorso controversi non hanno stabilito, 
sulla base dell�articolo 6 del regolamento n. 1, le modalit� del regime linguistico nei 
loro regolamenti interni. In particolare, come rilevato dall�avvocato generale al paragrafo 
29 delle sue conclusioni, i bandi di concorso non possono essere considerati come costituenti 
dei regolamenti interni in ordine a tale aspetto. 
68 In assenza di norme regolamentari speciali applicabili ai funzionari e agli agenti, e in 
mancanza di norme al riguardo nei regolamenti interni delle istituzioni interessate dai 
bandi di concorso controversi, nessun testo normativo consente di concludere che i rapporti 
tra tali istituzioni e i loro funzionari e agenti siano totalmente esclusi dalla sfera di 
applicazione del regolamento n. 1. 
69 Lo stesso vale, a fortiori, per quanto riguarda i rapporti tra le istituzioni e i candidati a 
un concorso esterno che non sono, di norma, n� funzionari n� agenti. 
70 Quanto poi alla questione se dei bandi di concorsi generali, quali i bandi di concorso 
controversi, ricadano sotto l�articolo 4 del regolamento n. 1 o sotto l�articolo 1, paragrafo 
2, dell�allegato III dello Statuto dei funzionari, � sufficiente constatare come quest�ultima 
disposizione stabilisca specificamente che, per i concorsi generali, deve essere pubblicato 
un bando di concorso nella Gazzetta ufficiale delle Comunit� europee. 
71 Pertanto, senza che occorra stabilire se un bando di concorso sia un testo di portata generale 
ai sensi dell�articolo 4 del regolamento n. 1, � sufficiente constatare che, a norma 
dell�articolo 1, paragrafo 2, dell�allegato III dello Statuto dei funzionari, letto in combinato 
disposto con l�articolo 5 del regolamento n. 1, il quale dispone che la Gazzetta 
ufficiale dell�Unione europea � pubblicata in tutte le lingue ufficiali, i bandi di concorso 
controversi avrebbero dovuto essere pubblicati integralmente in tutte le lingue ufficiali. 
72 Poich� tali disposizioni non prevedono alcuna eccezione, il Tribunale ha commesso un 
errore di diritto statuendo, al punto 85 della sentenza impugnata, che la successiva pubblicazione 
delle modifiche in data 20 giugno e 13 luglio 2007, le quali contenevano soltanto 
informazioni succinte, aveva posto rimedio all�omessa pubblicazione integrale 
nella suddetta Gazzetta dei bandi di concorso in tutte le lingue ufficiali. 
73 Ad ogni modo, anche se tali modifiche contenevano un certo numero di informazioni relative 
al concorso, partendo dal presupposto che i cittadini dell�Unione europea leggano 
la Gazzetta ufficiale dell�Unione europea nella loro lingua materna e che tale lingua sia 
una delle lingue ufficiali dell�Unione, un potenziale candidato la cui lingua materna non 
fosse una delle lingue in cui erano stati pubblicati integralmente i bandi di concorso controversi 
doveva procurarsi la citata Gazzetta in una di tali lingue e leggere il bando in 
questa lingua prima di decidere se presentare la propria candidatura a uno dei concorsi. 
74 Un candidato siffatto era svantaggiato rispetto ad un candidato la cui lingua materna 
fosse una delle tre lingue nelle quali i bandi di concorso erano stati pubblicati integral-
112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
mente, sia sotto il profilo della corretta comprensione di tali bandi sia relativamente al 
termine per preparare ed inviare una candidatura a tali concorsi. 
75 Tale svantaggio � la conseguenza della diversit� di trattamento a motivo della lingua, � 
vietata dall�articolo 21 della Carta e dall�articolo 1 quinquies, paragrafo 1, dello Statuto 
dei funzionari, � generata dalle pubblicazioni suddette. Tale articolo 1 quinquies prescrive, 
al paragrafo 6, che, nel rispetto del principio di non discriminazione e del principio 
di proporzionalit�, ogni limitazione di tali principi deve essere oggettivamente 
giustificata e deve rispondere a obiettivi legittimi di interesse generale nel quadro della 
politica del personale. 
76 All�udienza, la Commissione ha chiarito che la nuova prassi di pubblicazione limitata 
dei bandi di concorso era stata resa necessaria dal carico di lavoro risultante dalle adesioni 
dei nuovi Stati all�Unione europea nel corso degli anni 2004 e 2007 e, in particolare, 
dall�aumento improvviso del numero di lingue ufficiali, mentre l�EPSO non 
disponeva delle capacit� di traduzione sufficienti. Tuttavia, all�udienza � stato sostenuto 
che tale prassi di pubblicazione non sembrava collegata alle adesioni, perch� essa perdurava, 
perch� i testi dei bandi di concorso avevano carattere ripetitivo, ci� che dunque 
non doveva costituire un carico di lavoro insormontabile, e perch� i problemi materiali 
relativi alle capacit� di traduzione dovevano essere messi in bilanciamento con il diritto 
per tutti i cittadini dell�Unione di prendere conoscenza dei bandi di concorso alle medesime 
condizioni. 
77 Ne consegue che la prassi di pubblicazione limitata non rispetta il principio di proporzionalit� 
e configura pertanto una discriminazione fondata sulla lingua, vietata dall�articolo 
1 quinquies dello Statuto dei funzionari. 
78 Dal complesso di tali elementi risulta che il Tribunale � incorso in errori di diritto statuendo 
che n� l�articolo 1, paragrafo 2, dell�allegato III dello Statuto dei funzionari, 
letto in combinato disposto con l�articolo 5 del regolamento n. 1, n� l�articolo 1 quinquies 
del medesimo Statuto erano stati violati nell�ambito della pubblicazione dei bandi 
di concorso controversi. 
Sugli ultimi quattro motivi di impugnazione, relativi alle lingue imposte come seconda 
lingua, per le comunicazioni con l�EPSO e per le prove dei concorsi 
79 La Repubblica italiana, pur riconoscendo che un multilinguismo integrale potrebbe nuocere 
all�efficacia del lavoro nelle istituzioni, critica la mancanza di regole chiare, obiettive 
e prevedibili riguardo alla scelta della seconda lingua dei concorsi, circostanza 
questa che non consentirebbe a un candidato di prepararsi alle prove. Essa sostiene, inoltre, 
che l�obbligo di presentare il concorso in una seconda lingua costituisce in realt� 
una forma inadeguata di preselezione, in quanto, a suo avviso, un candidato dovrebbe 
essere selezionato sulla base, anzitutto, delle sue competenze professionali e, poi, delle 
sue conoscenze linguistiche. 
80 All�udienza, la Commissione ha chiarito che le tre lingue scelte sono quelle pi� utilizzate 
nelle istituzioni � e questo da molto tempo � e che risultava da uno studio dell�EPSO 
che, tra l�anno 2003 e l�anno 2005 � vale a dire un�epoca in cui i candidati potevano 
scegliere la loro seconda lingua � pi� del 90% dei candidati di concorsi avevano scelto 
le lingue tedesca, inglese o francese come seconda lingua. Inoltre, la Commissione ha 
fatto valere che l�indicazione delle lingue di concorso nel bando consente ai candidati 
di prepararsi alle prove. 
81 A questo proposito, come si � ricordato al punto 67 della presente sentenza, l�articolo 1
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 113 
del regolamento n. 1 designa 23 lingue non soltanto come lingue ufficiali, ma anche 
come lingue di lavoro delle istituzioni dell�Unione. 
82 Inoltre, l�articolo 1 quinquies, paragrafo 1, dello Statuto dei funzionari stabilisce che, 
nell�applicazione dello Statuto stesso, � vietata qualsiasi discriminazione fondata, tra 
l�altro, sulla lingua. A norma del paragrafo 6, prima frase, del medesimo articolo, qualsiasi 
limitazione dei principi di non discriminazione e di proporzionalit� deve essere 
oggettivamente e ragionevolmente giustificata e deve rispondere a obiettivi legittimi di 
interesse generale nel quadro della politica del personale. 
83 Inoltre, l�articolo 28, lettera f), dello Statuto dei funzionari dispone che, per la nomina 
a funzionario, � necessario avere una conoscenza approfondita di una delle lingue dell�Unione 
e una conoscenza soddisfacente di un�altra lingua dell�Unione. Tale disposizione 
precisa invero che la conoscenza soddisfacente di un�altra lingua � richiesta �nella 
misura necessaria alle funzioni� che il candidato � chiamato a svolgere, ma non indica 
i criteri che possono essere presi in considerazione per limitare la scelta di tale lingua 
nell�ambito delle 23 lingue ufficiali. 
84 Vero � che, ai sensi dell�articolo 1, paragrafo 1, lettera f), dell�allegato III dello Statuto 
dei funzionari, il bando di concorso pu� specificare eventualmente le conoscenze linguistiche 
richieste per la particolare natura dei posti da coprire. Tuttavia, da tale disposizione 
non discende un�autorizzazione generale a derogare alle prescrizioni dell�articolo 
1 del regolamento n. 1. 
85 Le disposizioni suddette non prevedono dunque criteri espliciti che consentano di limitare 
la scelta della seconda lingua, indipendentemente dal fatto che tale restrizione avvenga 
a favore delle tre lingue imposte dai bandi di concorso controversi oppure a favore 
di altre lingue ufficiali. 
86 Occorre aggiungere che le istituzioni interessate dai bandi di concorso controversi non 
sono assoggettate ad un regime linguistico specifico (v., riguardo al regime linguistico 
dell�UAMI, sentenza del 9 settembre 2003, Kik/UAMI, C 361/01 P, Racc. pag. I 8283, 
punti 81 97). 
87 Occorre tuttavia verificare se il requisito della conoscenza di una delle tre lingue in questione 
possa essere giustificato � cos� come sostiene la Commissione � dall�interesse 
del servizio. 
88 A questo proposito, dall�insieme delle disposizioni sopra citate risulta che l�interesse 
del servizio pu� costituire un obiettivo legittimo idoneo ad essere preso in considerazione. 
In particolare, come si � indicato al punto 82 della presente sentenza, l�articolo 1 
quinquies dello Statuto dei funzionari autorizza limitazioni ai principi di non discriminazione 
e di proporzionalit�. � necessario per� che tale interesse del servizio sia oggettivamente 
giustificato e che il livello di conoscenze linguistiche richiesto risulti 
proporzionato alle effettive esigenze del servizio (v., in tal senso, sentenze del 19 giugno 
1975, K�ster/Parlamento, 79/74, Racc. pag. 725, punti 16 e 20, nonch� del 29 ottobre 
1975, K�ster/Parlamento, 22/75, Racc. pag. 1267, punti 13 e 17). 
89 Al punto 126 della sentenza impugnata, il Tribunale ha statuito che Ǐ pacifico� che la 
scelta delle tre lingue da utilizzare come seconda lingua per partecipare ai concorsi e 
alle prove risponde alle esigenze interne dell�amministrazione. Tuttavia, il Tribunale 
non soltanto non ha motivato la propria affermazione, ma ha per giunta constatato che 
una motivazione siffatta da parte dell�amministrazione non era richiesta. 
90 A questo proposito, occorre sottolineare che eventuali norme che limitino la scelta della
114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
seconda lingua devono stabilire criteri chiari, oggettivi e prevedibili affinch� i candidati 
possano sapere, con sufficiente anticipo, quali requisiti linguistici debbono essere soddisfatti, 
e ci� al fine di potersi preparare ai concorsi nelle migliori condizioni. 
91 Orbene, come si � ricordato al punto 67 della presente sentenza, le istituzioni interessate 
dai concorsi non hanno mai adottato norme interne ai sensi dell�articolo 6 del regolamento 
n. 1. Inoltre, la Commissione non ha neppure invocato l�esistenza di altri atti, 
quali ad esempio comunicazioni enuncianti i criteri per una limitazione della scelta di 
una lingua come seconda lingua per partecipare ai concorsi. Infine, i bandi di concorso 
controversi non recano alcuna motivazione che giustifichi la scelta delle tre lingue in 
questione. 
92 Contrariamente a quanto asserito dalla Commissione, la citata sentenza Hendrickx/Consiglio 
non conferma la tesi secondo cui l�interesse del servizio potrebbe giustificare il 
requisito della conoscenza della lingua tedesca, inglese o francese indicato nei bandi di 
concorso controversi. Infatti, mentre tali bandi di concorso generali erano rivolti a cittadini 
dell�Unione che, in grande maggioranza, non erano abitualmente in contatto con 
le istituzioni, la citata sentenza Hendrickx/Consiglio riguardava un avviso di concorso 
interno aperto ai funzionari e agli agenti in servizio presso il segretariato generale del 
Consiglio dell�Unione europea con almeno cinque anni di anzianit� di servizio presso 
le Comunit�. Inoltre, le funzioni da esercitare erano descritte in maniera precisa, ci� che 
consentiva ai funzionari e agli agenti del segretariato generale di comprendere la giustificazione 
delle lingue imposte per le prove e al Tribunale di esercitare il suo controllo 
sulla scelta di tali lingue. 
93 Nei limiti in cui sia possibile far valere un obiettivo legittimo di interesse generale e dimostrarne 
l�effettiva sussistenza, � importante ricordare che una differenza di trattamento 
a motivo della lingua deve altres� rispettare il principio di proporzionalit�, vale a dire 
essa deve essere idonea a realizzare l�obiettivo perseguito e non deve andare oltre quanto 
� necessario per raggiungerlo (v., in tal senso, sentenza del 6 dicembre 2005, ABNA e 
a., C 453/03, C 11/04, C 12/04 e C 194/04, Racc. pag. I 10423, punto 68). 
94 Conformemente all�articolo 27, primo comma, dello Statuto dei funzionari, le assunzioni 
devono assicurare all�istituzione la collaborazione di funzionari dotati delle pi� alte qualit� 
di competenza, rendimento e integrit�. Poich� tale obiettivo pu� essere meglio salvaguardato 
quando i candidati sono autorizzati a presentare le prove di selezione nella 
loro lingua materna o nella seconda lingua della quale si reputano maggiormente esperti, 
� onere delle istituzioni sotto questo aspetto effettuare un bilanciamento tra l�obiettivo 
legittimo che giustifica la limitazione del numero delle lingue dei concorsi e l�obiettivo 
dell�individuazione dei candidati dotati delle pi� alte qualit� di competenza. 
95 All�udienza, la Commissione ha fatto valere che i candidati avevano la possibilit� di 
prepararsi dopo la pubblicazione del bando di concorso. Occorre nondimeno rilevare 
che il termine tra la pubblicazione di ciascun bando di concorso controverso e la data 
delle prove scritte non consente necessariamente a un candidato di acquisire le conoscenze 
linguistiche sufficienti per dimostrare le proprie competenze professionali. 
Quanto alla possibilit� di apprendere una di queste tre lingue nella prospettiva di futuri 
concorsi, essa presuppone che le lingue imposte dall�EPSO siano determinabili con 
grande anticipo di tempo. Orbene, la mancanza di norme quali quelle menzionate al 
punto 91 della presente sentenza non garantisce in alcun modo il perdurare della scelta 
delle lingue di concorso e non consente alcuna prevedibilit� in materia.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 115 
96 Inoltre, le conoscenze linguistiche dei funzionari sono un elemento essenziale della loro 
carriera e le autorit� che hanno il potere di nomina dispongono di vari mezzi per controllare 
tali conoscenze e l�impegno mostrato dai funzionari per metterle in pratica e acquisirne 
eventualmente di nuove. Ci� risulta in particolare dall�articolo 34, paragrafo 3, 
dello Statuto dei funzionari, relativo al periodo di prova, e dall�articolo 45, paragrafo 1, 
del medesimo Statuto, riguardante i criteri di promozione. L�importanza delle conoscenze 
linguistiche � stata del resto rafforzata dalla riforma del 1� maggio 2004, introdotta 
dal regolamento n. 723/2004, dal momento che, a norma dell�articolo 45, paragrafo 
2, dello Statuto, il funzionario � ormai tenuto a dimostrare, anteriormente alla sua prima 
promozione dopo l�assunzione, la propria capacit� di lavorare in una terza lingua tra 
quelle menzionate all�articolo 314 CE. 
97 Dunque, in proposito, spetta alle istituzioni effettuare un bilanciamento tra l�obiettivo 
legittimo che giustifica la limitazione del numero di lingue dei concorsi e le possibilit� 
per i funzionari assunti di apprendere, in seno alle istituzioni, le lingue necessarie all�interesse 
del servizio. 
98 Dalle considerazioni svolte ai punti 81 97 della presente sentenza risulta che gli elementi 
presentati dalla Commissione al Tribunale non consentivano un controllo giurisdizionale 
inteso a verificare se l�interesse del servizio costituisse un obiettivo legittimo giustificante 
una deroga alla regola enunciata all�articolo 1 del regolamento n. 1. Il Tribunale 
� dunque incorso in un errore di diritto. 
99 Non vi � luogo a pronunciarsi sugli altri motivi e addebiti invocati in rapporto con le seconde 
lingue imposte per i concorsi. 
100 Dall�insieme di tali elementi e, pi� in particolare, dai punti 78 e 98 della presente sentenza 
risulta che la sentenza impugnata deve essere annullata. 
Sui ricorsi in primo grado 
101 Ai sensi dell�articolo 61, primo comma, seconda frase, dello Statuto della Corte di giustizia 
dell�Unione europea, quest�ultima pu�, in caso di annullamento della decisione del 
Tribunale, statuire definitivamente sulla controversia se lo stato degli atti lo consente. 
102 Nella specie, per le motivazioni sopra illustrate, e considerando, pi� in particolare, 
� la violazione dell�articolo 1, paragrafo 2, dell�allegato III dello Statuto dei funzionari, 
letto in combinato disposto con l�articolo 5 del regolamento n. 1, e 
� la violazione del principio di non discriminazione a motivo della lingua, enunciato 
all�articolo 1 quinquies dello Statuto dei funzionari, 
occorre annullare i bandi di concorso controversi. 
103 Come proposto dall�avvocato generale ai paragrafi 115 e 116 delle sue conclusioni, e al 
fine di preservare il legittimo affidamento dei candidati prescelti, non � opportuno rimettere 
in discussione i risultati dei suddetti concorsi. 
Sulle spese 
104 Ai sensi dell�articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando l�impugnazione 
� accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, quest�ultima 
statuisce sulle spese. 
105 Ai sensi dell�articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, applicabile 
al procedimento di impugnazione in virt� dell�articolo 184, paragrafo 1, del medesimo 
regolamento, la parte soccombente � condannata alle spese se ne � stata fatta 
domanda. 
106 La Repubblica italiana ha chiesto la condanna della Commissione al pagamento delle
116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
spese relative al procedimento di primo grado e al procedimento di impugnazione. Essendo 
rimasta soccombente nelle difese proposte, la Commissione deve essere condannata 
a sopportare le spese sostenute dalla Repubblica italiana nonch� quelle da essa 
stessa sostenute in entrambi i gradi di giudizio. 
107 L�articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura, anch�esso applicabile al procedimento 
di impugnazione in virt� dell�articolo 184, paragrafo 2, del medesimo regolamento, 
stabilisce che le spese sostenute dagli Stati membri e dalle istituzioni 
intervenuti nella causa restano a loro carico. In conformit� di tale norma, vi � luogo per 
decidere che la Repubblica ellenica e la Repubblica di Lituania sopporteranno ciascuna 
le proprie spese. 
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce: 
1) La sentenza del Tribunale dell�Unione europea del 13 settembre 2010, 
Italia/Commissione (T 166/07 e T 285/07), � annullata. 
2) I bandi dei concorsi generali EPSO/AD/94/07, per la costituzione di un elenco 
di riserva ai fini dell�assunzione di amministratori (AD 5) nel settore dell�informazione, 
della comunicazione e dei media, EPSO/AST/37/07, per la costituzione 
di un elenco di riserva ai fini dell�assunzione di assistenti (AST 3) nel settore 
della comunicazione e dell�informazione, ed EPSO/AD/95/07, per la costituzione 
di un elenco di riserva ai fini dell�assunzione di amministratori (AD 5) nel settore 
dell�informazione (biblioteca/documentazione), sono annullati. 
3) La Commissione europea � condannata a sopportare le spese sostenute dalla Repubblica 
italiana nonch� quelle da essa stessa sostenute in entrambi i gradi di 
giudizio. 
4) La Repubblica ellenica e la Repubblica di Lituania sopportano ciascuna le proprie 
spese.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 117 
Intervento orale del Governo Italiano (avv. Stato Wally Ferrante, AL 
49012/11) nella causa C-509/11. 
Materia: Trasporti 
Signor Presidente, signori Giudici, signor Avvocato Generale, 
Premessa 
1. Preliminarmente, devo sottolineare che il Governo italiano ha tempestivamente inviato 
via fax le osservazioni scritte in data 2 febbraio 2012 ma non ha potuto provvedere al 
deposito dell�originale entro il 12 febbraio successivo in quanto, per le avverse e straordinarie 
condizioni metereologiche, il Prefetto di Roma ha disposto la chiusura degli 
uffici pubblici nei giorni 3, 4, 10 e 11 febbraio 2012. 
2. Il Ministro della Giustizia, con decreti dell�8 febbraio 2012 e del 13 marzo 2012, ha 
quindi disposto la proroga di quindici giorni di tutti i termini scadenti nei suddetti giorni 
o nei cinque giorni successivi. 
3. L�istanza di deposito tardivo dell�originale delle osservazioni scritte, avanzata dall�Agente 
del Governo il 15 febbraio 2012, sulla base di tali presupposti, � stata tuttavia 
respinta dal Presidente della Corte, di qui l�esigenza di partecipazione alla fase orale 
del procedimento. 
FATTI DI CAUSA 
4. La domanda di pronuncia pregiudiziale � stata sollevata in relazione ad 
una causa, pendente in Austria, tra un�impresa ferroviaria e l�autorit� nazionale 
di regolamentazione. 
5. Detta impresa applica ai contratti di trasporto condizioni generali che prevedono 
anche disposizioni relative all�indennizzo per il prezzo del biglietto 
nel caso di ritardo o soppressione del servizio. 
6. L�autorit� nazionale di regolamentazione, con decisione del 6 dicembre 
2010, ha imposto alla ricorrente di modificare le modalit� di indennizzo 
nella parte in cui escludono il diritto all�indennizzo o al rimborso delle 
spese sostenute in ragione del ritardo del treno in alcuni casi specifici accomunati 
dall�assenza di colpa del trasportatore. 
7. La ricorrente ha impugnato tale provvedimento assumendo che l�autorit� 
resistente non sarebbe competente ad ordinare una modifica delle modalit� 
di indennizzo e che l�esclusione dell�obbligo di indennizzo in caso di 
forza maggiore sarebbe contemplato dal regolamento n. 1371/2007 relativo 
ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario. 
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE
118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
QUESITO POSTO DALLA CORTE 
8. Ci� detto, con il quesito rivolto alle parti, la Corte chiede di pronunciarsi 
sulla natura amministrativa o giurisdizionale dell�autorit� nazionale di regolamentazione 
austriaca nonch� organismo di controllo ai sensi dell�art. 
30 del regolamento n. 1371/2007, la Schienen Control Kommission. 
9. Al riguardo, il Governo italiano concorda con l�opinione espressa dall�Avvocato 
Generale nella causa C-136/11 in ordine alla natura giurisdizionale 
della Schienen Control Kommission. 
10. Da quanto allegato e documentato da quest�ultima nella risposta scritta 
al quesito rivoltole dalla Corte, risulta che la stessa rispetta le condizioni 
per poter essere definita un organo giurisdizionale, conformemente alla 
consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia (da ultimo sentenza 
del 10 dicembre 2009, causa C-205/08, Umweltanwalt von K�rnten). 
11. Tali condizioni sono: l�origine legale dell�organo, il suo carattere permanente, 
l�obbligatoriet� della sua giurisdizione, l�applicabilit� del principio 
del contraddittorio nel relativo procedimento, la decisione in base a norme 
giuridiche, l�indipendenza dei suoi componenti. 
12. La Schienen Control Kommission infatti � stata istituita in via permanente 
con legge federale e nella sua giurisdizione, che � obbligatoria, rientrano 
le controversie relative ai mercati ferroviari. I procedimenti dinanzi ad 
essa si svolgono in contraddittorio e possono prevedere un�udienza alla 
quale possono essere citati testimoni e periti. La stessa � soggetta alla 
legge generale sul procedimento amministrativo e le sue decisioni non 
sono annullabili per via amministrativa ma sono soggette al sindacato 
giurisdizionale del Verwaltungsgerichtshof (Tribunale amministrativo). 
Infine, i suoi tre componenti non possono essere ministri o segretari di 
Stato del governo federale o del governo di un Land e devono essere indipendenti 
da qualsiasi soggetto che presenti un collegamento con le attivit� 
della Schienen Control Kommission. In particolare, il suo presidente 
deve appartenere alla magistratura ed � nominato dal Ministro della giustizia 
mentre gli altri membri sono nominati dal governo federale. 
13. � evidente tuttavia che, mentre nella causa C-136/11 la Schienen Control 
Kommission era stata investita, quale organo giurisdizionale, nella controversia 
insorta tra la Westbahn Management e la �BB-Personenverkehr, 
con conseguente legittimazione a sollevare una questione pregiudiziale 
ai sensi dell�art. 267 TFUE, nella presente causa principale, la Schienen 
Control Kommission � coinvolta in veste di parte nella controversia che 
la contrappone alla �BB-Personenverkehr innanzi al Verwaltungsgerichtshof 
e quindi non sarebbe legittimata a sollevare una questione pregiudiziale 
ai sensi dell�art. 267 TFUE, che infatti � stata sollevata dal 
Tribunale amministrativo.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 119 
PRIMO QUESITO 
14. Ci� detto, pu� essere affrontato il merito della causa. Con il primo quesito, 
il giudice del rinvio chiede, nella sostanza, alla Corte di Giustizia di stabilire 
se l�organismo nazionale designato da ciascuno Stato membro possa 
ordinare all�impresa ferroviaria l�adozione di specifiche modalit� di indennizzo, 
l� dove quelle introdotte da parte di tale impresa non siano conformi 
ai criteri dettati dall�articolo 17 del Regolamento n. 1371/2007. 
15. Al quesito, il Governo italiano d� risposta positiva. 
16. La questione riguarda la portata e l�efficacia della tutela dei diritti del 
consumatore, acquirente e fruitore dei servizi di trasporto ferroviario, nonch� 
l�estensione dei poteri di intervento dell�autorit� di regolazione cui 
spetta la funzione generale di tutela del consumatore. 
17. Secondo il diritto nazionale austriaco, l�organismo di controllo ha solo il 
potere di dichiarare inefficaci le clausole che stabiliscano modalit� di indennizzo 
dei passeggeri non conformi al regolamento. 
18. In base all�articolo 30 del Regolamento n. 1371/2007/CE: �Ogni Stato 
membro designa uno o pi� organismi responsabili dell�applicazione del 
presente regolamento. Ciascun organismo adotta le misure necessarie 
per garantire il rispetto dei diritti dei passeggeri�. 
19. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Svezia nelle sue osservazioni 
scritte, il regolamento non si limita a richiedere l�istituzione dell�organismo 
di controllo e prevederne l�indipendenza ma sancisce anche la competenza 
di tale organismo che � appunto quella di adottare le misure 
necessarie per garantire il rispetto dei diritti dei passeggeri. 
20. Il Governo italiano � dell�avviso che il citato art. 30 debba essere interpretato 
nel senso di riconoscere all�organismo di controllo non solo il potere 
di dichiarare inefficaci le clausole che prevedano modalit� di 
indennizzo non conformi al regolamento medesimo, ma anche quello di 
ordinare all�impresa ferroviaria l�adozione di clausole che contemplino 
modalit� di indennizzo conformi all�articolo 17. 
21. Tale norma disciplina l�indennit� per il prezzo del biglietto in caso di ritardo 
del treno o soppressione del servizio. 
22. In particolare, il par. 1 dell�art. 17 prescrive le condizioni e la misura dell�indennizzo; 
il par. 2 stabilisce il termine entro il quale va corrisposto 
l�indennizzo e le modalit� di erogazione dello stesso; il par. 3 prevede 
l�inapplicabilit� di costi che possano decurtare l�importo del risarcimento, 
ferma restando una franchigia minima; infine, il par. 4 prevede due cause 
di esclusione del diritto all�indennizzo: la previa informazione circa il 
ritardo prima dell�acquisito del biglietto e il ritardo inferiore a 60 minuti 
in caso di prosecuzione del viaggio su un servizio diverso o con un itinerario 
alternativo. 
23. Ci� posto, un siffatto potere di intervento dell�organismo di controllo ap-
120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
pare necessario a garantire che i diritti dei passeggeri del trasporto ferroviario 
- identificati nel terzo considerando del Regolamento 1371/2007/CE 
come parte debole del contratto di trasporto - ricevano una tutela piena, 
adeguata, tempestiva ed efficace. 
24. Tra gli obiettivi del Regolamento compare anche il rafforzamento dei diritti 
di indennizzo e di assistenza ai passeggeri in caso di ritardo, perdita 
di coincidenza o soppressione del servizio (tredicesimo considerando). 
25. Pertanto, prevedere che i poteri dell�organismo di controllo contemplino 
solo la mera dichiarazione di inefficacia significherebbe privare tale organismo 
degli strumenti necessari a garantire il pieno soddisfacimento 
della sua �missione�. 
26. Nell�ipotesi in cui dovesse prevalere quest�ultima opzione interpretativa, 
l�organismo di controllo non potrebbe disporre di uno strumento di intervento 
decisivo ed efficace ai fini del riconoscimento, a favore dei passeggeri, 
di un sistema di indennizzo adeguato. 
27. Ci� potrebbe anche prestarsi a favorire comportamenti �dilatori� dell�impresa 
ferroviaria volti a ritardare l�adozione di meccanismi di indennizzo 
conformi ai criteri del Regolamento. 
28. Dunque, la tesi secondo cui l�organismo di controllo pu� ordinare all�impresa 
ferroviaria l�adozione di specifiche modalit� di indennizzo appare 
perfettamente conforme alla ratio dell�articolo 30 del Regolamento, poich� 
riconosce all�organismo di controllo un potere necessario e proporzionato 
rispetto al fine enunciato nella norma stessa, che � quello di 
garantire il rispetto dei diritti dei passeggeri. 
29.A ci� si aggiunga che l�attribuzione all�organismo di controllo di ampi 
poteri di intervento, anche di tipo sostitutivo, appare coerente con quanto 
previsto nell�articolo 32 del Regolamento citato, ai sensi del quale gli 
Stati membri stabiliscono sanzioni proporzionate, efficaci e dissuasive 
per le infrazioni alle disposizioni del Regolamento stesso. 
30. La Commissione, nelle sue osservazioni scritte, pur ritenendo, al punto 
22, che � certamente possibile che, in base al regolamento, l�autorit� nazionale 
di regolamentazione possa prescrivere il contenuto concreto della 
clausola di indennizzo affinch� sia conforme all�art. 17, ritiene tuttavia 
che il regolamento non imponga in modo cogente che detta autorit� 
debba avere un tale potere sostitutivo. 
31. Secondo la Commissione, il regolamento lascerebbe agli Stati membri la 
competenza a decidere sull�estensione dei poteri delle autorit� di regolamentazione. 
32. Non si pu� concordare con tale assunto. Infatti, se � vero che l�art. 30 del 
regolamento rimette agli Stati membri la designazione dell�organismo di 
controllo, non pu� sostenersi che detti organismi possano avere, in ogni 
Stato, poteri di intervento totalmente diversi.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 121 
33. L�esigenza di uniformit� nell�applicazione del regolamento e la finalit� 
dello stesso di assicurare una efficace tutela dei diritti dei passeggeri nel 
trasporto ferroviario ne risulterebbero del tutto compromesse ove le autorit� 
nazionali di regolamentazione non avessero in ogni Stato membro 
analoghi poteri di intervento per arginare eventuali pratiche dilatorie delle 
imprese ferroviarie. 
34. Tali pratiche potrebbero comportare una sorta di �ping-pong�, come paventato 
dal giudice del rinvio, tra autorit� e imprese che, a seguito del 
mero annullamento di una clausola non conforme all�art. 17, potrebbero 
riproporla in modo di nuovo non conforme ai criteri dettati dal regolamento 
e cos� all�infinito. 
35. Ci� � effettivamente accaduto diverse volte, come � stato evidenziato 
dalla Schienen Control Kommission nelle sue osservazioni scritte al punto 
VII. 
36. La stessa Germania, pur giungendo nelle sue osservazioni scritte a conclusioni 
opposte rispetto a quelle del Governo italiano, ricorda, al punto 
11, che per realizzare gli obiettivi di miglioramento della qualit� e dell�efficacia 
dei servizi ferroviari nonch� della tutela dei diritti dei passeggeri, 
il regolamento armonizza in particolare la responsabilit� delle 
imprese ferroviarie e il regime di indennizzo per i ritardi e le cancellazioni 
dei treni. 
37. � evidente che questa armonizzazione non pu� passare che per una uniforme 
disciplina dei poteri di intervento degli organismi di controllo deputati 
a vigilare sul rispetto del regolamento medesimo. 
38. Peraltro, al punto 29, la Germania ammette che, se le condizioni generali 
di contratto delle imprese ferroviarie violano nel caso specifico il regolamento 
1371/2007, le �misure necessarie� che gli organismi nazionali sono 
tenuti ad adottare comprendono la possibilit� di imporre all�impresa 
ferroviaria di modificare le suddette condizioni. Tali organismi non 
potrebbero tuttavia prescrivere all�impresa il contenuto concreto delle 
condizioni contrattuali. 
39. Sinceramente non si comprende quale sostanziale differenza ci sia tra 
queste due ipotesi. Posto che la possibilit� di imporre la modifica delle 
condizioni non conformi va senz�altro oltre il mero potere di annullare 
la condizione medesima, non si vede come l�organismo nazionale potrebbe 
imporre all�impresa di modificare la clausola senza indicare in che 
termini. 
40. Si concorda quindi con la tesi sostenuta dal Giudice del rinvio secondo 
la quale l�organismo nazionale ha il potere di rendere obbligatorio per 
un�impresa ferroviaria il contenuto specifico delle modalit� di indennizzo, 
affinch� siano conformi al regolamento.
122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
SECONDO QUESITO 
41.Venendo al secondo quesito, il giudice del rinvio chiede alla Corte di Giustizia 
se l�articolo 17 del Regolamento n. 1371/2007/CE debba essere interpretato 
nel senso di consentire all�impresa ferroviaria di escludere la 
sua responsabilit� in ordine all�indennizzo per il prezzo del biglietto in 
presenza di cause di forza maggiore, in analogia con quanto previsto nei 
Regolamenti n. 261/2004/CE, n. 1177/2010/UE e n. 181/2011/UE in materia 
di trasporto aereo, via mare e con autobus nonch� dall�art. 32, par. 
2 delle regole uniformi concernenti il contratto di trasporto internazionale 
per ferrovia dei viaggiatori e dei bagagli (allegato I del regolamento). 
42. Al quesito, il Governo d� risposta negativa. 
43. Al riguardo, si ritiene che l�articolo 17 del Regolamento 1371/2007 rechi 
una disciplina compiuta ed esaustiva dell�indennit� per il prezzo del biglietto, 
che contempla, come si � visto, due specifiche cause di esclusione 
della responsabilit� - la previa informazione circa il ritardo e il ritardo inferiore 
a 60 minuti - e non prevede invece l�esonero di responsabilit� per 
causa di forza maggiore. 
44. Come correttamente rilevato dall�Austria al punto 5 delle sue osservazioni 
scritte, non vi � una lacuna da colmare nel regolamento 1371/2007 in 
quanto lo stesso, all�art. 17, disciplina esaustivamente i casi di esonero 
da responsabilit� senza, scientemente, prevedere l�esclusione di responsabilit� 
per causa di forza maggiore. 
45. Si tratta quindi di un�omissione consapevole e voluta - atteso che detto 
regolamento � successivo a quello del 2004 in materia di trasporto aereo 
- da ritenersi perfettamente legittima in assenza di un principio generale, 
nel diritto dell�Unione, che consenta in ogni caso di invocare la 
forza maggiore. 
46. Non vi � infatti alcuna sentenza della Corte di Giustizia che richiami l�esistenza 
di un tale principio a prescindere dalla specifica previsione della 
normativa in concreto applicabile (punto 10 delle osservazioni dell�Austria). 
47. Appare poi assorbente il fatto che il rinvio operato dall�articolo 15 del 
Regolamento 1371/2007 alle disposizioni del Contratto di trasporto Internazionale 
per ferrovia dei Viaggiatori e dei bagagli (CIV), ed in particolare 
all�articolo 32 di quest�ultimo, fa espressamente salve �le 
disposizioni del presente capo�, segnatamente gli articoli da 15 a 18, 
tra le quali rientra appunto anche l�art. 17, che limita ai due casi suddetti 
l�esclusione della responsabilit�. 
48. Sorprende peraltro l�affermazione della Commissione, al punto 30 delle 
osservazioni scritte, secondo la quale sarebbe incontestato che gli articoli 
16 e 18 - che dispongono, in caso di ritardo, il rimborso integrale del biglietto, 
l�offerta di prosecuzione del viaggio con un mezzo o un itinerario
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 123 
alternativo e l�assistenza ai passeggeri con pasti ed alloggio in albergo - 
non prevedono alcun esonero di responsabilit� per causa di forza 
maggiore mentre tale esonero sarebbe applicabile all�indennit� di cui 
all�art. 17. 
49. Tutte e tre le norme infatti sono fatte salve dal richiamo dell�art. 15 all�art. 
32 dell�allegato I del regolamento e quindi prevalgono, quali disposizioni 
speciali, rispetto al predetto art. 32. 
50. La stessa tesi � sostenuta dalla ricorrente nella causa principale, la �BBPersonenverkehr 
che, nelle sue osservazioni scritte ai punti 52 e 53, assume 
che il rinvio dell�art. 15 all�art. 32 dell�allegato I riguarderebbe solo 
l�art. 17 mentre resterebbe salva la diversa disciplina degli articoli 16 e 
18 in quanto tali norme, contrariamente all�art. 17, non riguarderebbero 
i ritardi dei treni. 
51. Tale tesi, oltre a confliggere palesemente con il tenore dell�art. 15, che fa 
salve tutte le disposizioni del capo IV a quindi gli articoli 15, 16, 17 e 
18, � altres� chiaramente contrastante con il contenuto degli articoli 16 e 
18 che, anche essi, disciplinano i diritti dei passeggeri in caso di ritardo. 
52. Lo stesso Governo tedesco, pur giungendo a conclusioni opposte, riconosce, 
al punto 39 delle sue osservazioni scritte, che la formulazione 
dell�art. 15 comporta che la disciplina contenuta nell�art. 32 dell�allegato 
I si applica solo in maniera sussidiaria, quando cio� le disposizioni del 
capo IV del regolamento, e segnatamente l�art. 17, non prevedano regole 
contrarie. 
53. Ed � proprio ci� che accade nel caso di specie. L�art. 17, paragrafo 4 infatti 
prevede espressamente le cause di esonero da responsabilit� per ritardo 
del treno senza includere quella per forza maggiore. 
54. Inoltre, detta norma prevede una disciplina dell�indennizzo del prezzo 
del biglietto che non � in alcun modo contemplata nell�art. 32 dell�allegato 
I e che, come dice la stessa Germania al punto 45, � redatta in modo 
incondizionato ed � applicabile in via prioritaria rispetto all�art. 32 
dell�allegato I. 
55. Detta ultima norma infatti disciplina un�ipotesi particolare di risarcimento, 
riguardante le spese ragionevoli di alloggio, nonch� le spese ragionevoli 
per avvisare le persone che attendono il viaggiatore, 
derivanti dalla soppressione, dal ritardo o dalla mancanza di una corrispondenza 
che precludano la prosecuzione del viaggio nello stesso giorno. 
56. Il citato articolo 17 contempla, invece, un�ipotesi diversa che � quella 
dell�indennizzo del prezzo del biglietto in caso di ritardo e soppressione 
del treno, che deve essere sempre pagato dall�impresa ferroviaria l� dove 
ricorrano le condizioni indicate nell�articolo 17 stesso. 
57. Del resto che le due ipotesi siano diverse e che per esse non possano valere 
le medesime cause di esclusione della responsabilit� dell�impresa
124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
ferroviaria � desumibile anche dalla circostanza che il viaggiatore, che 
ha sub�to il ritardo, potrebbe non avere sempre diritto anche al risarcimento 
delle spese di alloggio o per avvisare le persone che lo attendono, 
nei casi ad esempio in cui la prosecuzione del viaggio sia possibile nello 
stesso giorno. 
58. Come correttamente osservato dalla Svezia al punto 14 delle sue osservazioni 
scritte, la finalit� del regolamento e cio� la tutela del consumatore e 
il rafforzamento dei diritti dei passeggeri nel trasporto ferroviario (sesto 
considerando) militano contro una interpretazione estensiva delle cause di 
esclusione della responsabilit� dell�impresa ferroviaria previste dall�art. 17. 
59. La stessa Commissione, pur giungendo a conclusioni contrarie, richiama, 
al punto 41, il principio secondo il quale le eccezioni devono essere oggetto 
di un�interpretazione restrittiva. 
60. Contraddittoriamente, per�, la Commissione invoca una sorta di interpretazione 
analogica delle cause di esclusione della responsabilit� previste 
dai regolamenti disciplinanti il trasporto aereo, via mare e per autobus, 
affermando che non vi � ragione di pensare che il legislatore dell�Unione 
abbia voluto disciplinare diversamente il trasporto ferroviario, ripartendo 
diversamente il rischio tra passeggeri e impresa di trasporto (punto 40). 
61. La base testuale che preclude tale interpretazione � invece proprio che in 
quei regolamenti l�esonero di responsabilit� per causa di forza maggiore 
� espressamente previsto mentre nel regolamento 1371/2007 non lo �. 
62. Il Governo italiano ritiene quindi che dette cause di esonero di responsabilit� 
non siano estensibili al trasporto ferroviario anche in ragione delle 
peculiari motivazioni, attinenti alle condizioni metereologiche e alla sicurezza, 
che giustificano dette esenzioni per quei tipi di trasporto e non 
anche per quello ferroviario. 
63. L�art. 5, n. 3 del regolamento n. 261/2004 sul trasporto aereo dispone che: 
�il vettore aereo operativo non � tenuto a pagare una compensazione pecuniaria 
a norma dell�art. 7, se pu� dimostrare che la cancellazione del 
volo � dovuta a circostanze eccezionali che non si sarebbero comunque 
potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso�. 
64. L�art. 20, n. 4 del regolamento n. 1177/2010 sul trasporto via mare stabilisce 
che il diritto a compensazione economica connessa al prezzo del biglietto 
in caso di ritardo all�arrivo non � dovuto �se il vettore prova che 
la cancellazione o il ritardo � provocato da condizioni metereologiche 
che mettono a rischio il funzionamento sicuro della nave o da circostanze 
straordinarie che ostacolano l�esecuzione del servizio passeggeri, le quali 
non potevano essere evitate anche adottando tutte le misure ragionevoli�. 
65. Infine, l�art. 23, n. 2 del regolamento n. 181/2011 sul trasporto con autobus 
prescrive che la sistemazione in albergo o in altro alloggio nonch� il 
trasporto tra la stazione e il luogo di alloggio quando si renda necessario
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 125 
un soggiorno di una o pi� notti non sono dovuti �se il vettore prova che 
la cancellazione o il ritardo sono dovuti a condizioni metereologiche avverse 
o gravi catastrofi naturali che mettono a rischio il funzionamento 
sicuro dei servizi a mezzo autobus�. 
66. L�inapplicabilit� delle suddette norme di esenzione da responsabilit� al 
trasporto ferroviario deriva altres� dal preciso tenore dell�art. 6 del regolamento 
n. 1371/2007, in base al quale gli obblighi nei confronti dei passeggeri 
stabiliti nel regolamento medesimo non possono essere soggetti 
a limitazioni o esclusioni, segnatamente mediante l�introduzione di 
clausole derogatorie o restrittive nel contratto di trasporto. 
67. Detta norma prevede semmai che le imprese ferroviarie possono offrire 
al passeggero condizioni contrattuali pi� favorevoli delle condizioni fissate 
dal regolamento ma certamente non peggiorative. 
68. Del resto, la Corte di Giustizia (sentenza 19 novembre 2009, cause riunite 
C-402/07 e C-432/07, Sturgeon, punto 45) ha chiaramente affermato che 
le disposizioni che conferiscono diritti ai passeggeri del traffico aereo, 
comprese quelle che riconoscono il diritto alla compensazione pecuniaria, 
devono essere interpretate estensivamente (nello stesso senso, Corte di 
giustizia, sentenza 22 dicembre 2008, causa C-549/07, Wallentin-Herzmann, 
punto 17). 
69.A contrario, si deduce che le disposizioni che prevedono esclusioni o limitazioni 
di responsabilit� a carico dei vettori debbono essere interpretate 
restrittivamente e non oltre i casi dalle stesse espressamente disciplinati. 
70. Tanto � vero che la citata sentenza Sturgeon ha ritenuto che un problema 
tecnico occorso ad un aereomobile e che comporta la cancellazione o il 
ritardo del volo non rientra nella nozione di �circostanze eccezionali� ai 
sensi dell�art. 5, n. 3 del regolamento n. 261/2004. 
71. Si concorda quindi con la tesi sostenuta dal Giudice del rinvio secondo 
la quale l�art. 17 del regolamento n. 1371/2007 non contempla esenzioni 
di responsabilit� per causa di forza maggiore. 
Lussemburgo, 22 novembre 2012 
Wally Ferrante 
Avvocato dello Stato
126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Wally Ferrante, 
AL 30397/12) nella causa C-314/12. 
Materia: Ravvicinamento delle legislazioni 
Propriet� industriale e commerciale 
QUESTIONE PREGIUDIZIALE 
1. Con l�ordinanza del 11 maggio 2012, depositata in data 29 giugno 2012 
dal Oberster Gerichtshoh � Austria, � stato chiesto alla Corte di Giustizia 
dell�Unione europea di pronunciarsi, ai sensi dell�art. 267 TFUE, sulle 
seguenti questioni pregiudiziali: 
1. �Se l�art. 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE debba essere interpretato 
nel senso che un soggetto, il quale mette a disposizione del 
pubblico in internet materiali protetti senza l�autorizzazione dei titolari 
dei diritti (articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2001/29), utilizza i 
servizi del fornitore di accesso a internet dei soggetti che accedono a 
tali materiali�. 
2. In caso di risposta negativa alla prima questione: 
se una riproduzione effettuata per uso privato (articolo 5, paragrafo 
2, lettera b), della direttiva 2001/29) e una riproduzione priva di rilievo 
economico proprio e transitoria o accessoria (articolo 5, paragrafo 1, 
della direttiva 2001/29) siano ammissibili soltanto qualora l�originale 
usato per la riproduzione sia stato riprodotto, diffuso o reso accessibile 
al pubblico in modo lecito. 
3. In caso di risposta affermativa alla prima o alla seconda questione, e 
di conseguente necessit� di adottare provvedimenti inibitori ai sensi 
dell�articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29 nei confronti del 
fornitore di accesso a internet degli utenti: 
se sia compatibile con il diritto dell�Unione, in particolare con la necessit� 
di operare un bilanciamento fra i diritti fondamentali delle parti 
coinvolte, vietare a un fornitore di accesso a internet in modo totalmente 
generale (dunque senza la prescrizione di misure concrete) di consentire 
ai suoi clienti l�accesso a un determinato sito internet fintanto che ivi 
siano, esclusivamente o prevalentemente, resi accessibili contenuti 
senza l�autorizzazione dei titolari dei diritti, qualora il fornitore di accesso 
a internet possa evitare sanzioni per la violazione di tale divieto 
dimostrando di avere comunque adottato tutte le misure ragionevoli. 
4. In caso di risposta negativa alla terza questione: 
se sia compatibile con il diritto dell�Unione, in particolare con la necessit� 
di bilanciamento dei diritti fondamentali delle parti coinvolte, 
prescrivere a un fornitore di accesso a internet determinate misure volte 
a ostacolare i suoi clienti nell�accesso a un sito internet nel quale siano
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 127 
resi disponibili contenuti in modo illecito, qualora tali misure comportino 
un impiego di mezzi non trascurabile e, tuttavia, possano essere 
facilmente aggirate anche senza particolari conoscenze tecniche�. 
ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA 
2. La questione pregiudiziale trae origine da una controversia tra due societ� 
titolari di diritti d�autore su vari film (di seguito le ricorrenti) e una societ� 
fornitrice di accesso ad internet di grandi dimensioni (di seguito la convenuta) 
che ha messo a disposizione del pubblico i predetti film sul sito 
internet gestito sotto il dominio kino.to senza la previa autorizzazione dei 
titolari dei diritti. 
3. Tale sito internet ha l�obiettivo di fornire agli utenti l�accesso su vasta 
scala a film protetti. 
4. Le ricorrenti hanno chiesto, in via cautelare, che sia vietato alla convenuta 
di fornire ai propri clienti l�accesso al sito internet kino.to ove tale sito 
metta a disposizione dei clienti medesimi i film in relazione ai quali le ricorrenti 
sono titolari di diritti. 
5. La domanda delle ricorrenti � stata accolta nei giudizi di primo e di secondo 
grado. 
6. La convenuta ha proposto ricorso per cassazione e tale giudice ha sollevato 
le suddette questioni pregiudiziali, dando atto che il dominio kino.to 
attualmente non attivo e che tuttavia la decisione dovr� basarsi sullo stato 
di fatto esistente al momento della decisione di primo grado, essendo irrilevanti 
modifiche intervenute successivamente. 
NORMATIVA COMUNITARIA 
7. La direttiva 2001/29/CE sull�armonizzazione di taluni aspetti del diritto 
d�autore e dei diritti connessi nella societ� dell�informazione (di seguito 
direttiva sul diritto d�autore), all�art. 8, paragrafo 3, recante �sanzioni e 
mezzi di ricorso�, dispone: �Gli Stati membri si assicurano che i titolari 
dei diritti possano chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti 
degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare un diritto 
d�autore o diritti connessi�. 
8. La predetta norma, di cui viene chiesta l�interpretazione, impone, in via 
preliminare, di soffermarsi sulla figura degli �intermediari�, essendo tale 
nozione centrale per la risposta ai quesiti. 
9. Al riguardo, il citato art. 8, paragrafo 3 richiede, ai fini di una pi� compiuta 
analisi, di essere esaminato anche alla luce delle norme comunitarie 
che disciplinano il ruolo e le responsabilit� dei prestatori intermediari nei 
servizi della societ� dell�informazione, rinvenibili nella direttiva 
2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della societ� dell�informazione, 
in particolare il commercio elettronico nel mercato in-
128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
terno (di seguito direttiva sul commercio elettronico), che riguarda la circolazione 
dei servizi nella societ� dell�informazione, inclusa la materia 
del diritto d�autore. 
10. Bench� il giudice del rinvio ometta di menzionare tale direttiva nella ricostruzione 
del quadro normativo, la rilevanza della stessa discende direttamente 
dal sedicesimo considerando della direttiva sul diritto d�autore, 
ove si precisa che quest�ultima dovrebbe essere attuata in tempi analoghi 
a quelli previsti per l�attuazione della direttiva sul commercio elettronico, 
in quanto tale direttiva fornisce un quadro armonizzato di principi e di 
regole che riguardano tra l�altro alcune parti importanti della direttiva sul 
diritto d�autore che, in particolare, lascia impregiudicate le regole relative 
alla responsabilit� della direttiva sul commercio elettronico. 
11. Quest�ultima direttiva, infatti, agli articoli 12, 13 e 14 definisce le caratteristiche 
delle tre figure di prestatori intermediari e descrive rispettivamente 
le attivit� di mere conduit, caching e hosting e le relative 
responsabilit�. 
12. In particolare, l�art. 12, recante Semplice trasporto (�mere conduit"), cos� 
dispone: �1. Gli Stati membri provvedono affinch�, nella prestazione di 
un servizio della societ� dell'informazione consistente nel trasmettere, su 
una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del 
servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore 
non sia responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che egli: 
a) non dia origine alla trasmissione; b) non selezioni il destinatario della 
trasmissione; c) non selezioni n� modifichi le informazioni trasmesse. 2. 
Le attivit� di trasmissione e di fornitura di accesso di cui al paragrafo 1 
includono la memorizzazione automatica, intermedia e transitoria delle 
informazioni trasmesse, a condizione che questa serva solo alla trasmissione 
sulla rete di comunicazione e che la sua durata non ecceda il tempo 
ragionevolmente necessario a tale scopo. 3. Il presente articolo lascia 
impregiudicata la possibilit�, secondo gli ordinamenti degli Stati membri, 
che un organo giurisdizionale o un'autorit� amministrativa esiga che il 
prestatore impedisca o ponga fine ad una violazione� (sottolineatura aggiunta). 
13. L�art. 13, recante Memorizzazione temporanea detta "caching", cos� dispone: 
�1. Gli Stati membri provvedono affinch�, nella prestazione di un 
servizio della societ� dell'informazione consistente nel trasmettere, su 
una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del 
servizio, il prestatore non sia responsabile della memorizzazione automatica, 
intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo 
scopo di rendere pi� efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a 
loro richiesta, a condizione che egli: a) non modifichi le informazioni; 
b) si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni; c) si conformi
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 129 
alle norme di aggiornamento delle informazioni, indicate in un modo ampiamente 
riconosciuto e utilizzato dalle imprese del settore; d) non interferisca 
con l'uso lecito di tecnologia ampiamente riconosciuta e utilizzata 
nel settore per ottenere dati sull'impiego delle informazioni; e) agisca 
prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per 
disabilitare l'accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del 
fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano 
inizialmente sulla rete o che l'accesso alle informazioni � stato disabilitato 
oppure che un organo giurisdizionale o un'autorit� amministrativa 
ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione dell'accesso. 2. Il presente 
articolo lascia impregiudicata la possibilit�, secondo gli ordinamenti 
degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un'autorit� amministrativa 
esiga che il prestatore impedisca o ponga fine ad una violazione� 
(sottolineatura aggiunta). 
14. Infine, l�art. 14, recante "Hosting", cos� dispone: �1. Gli Stati membri 
provvedono affinch�, nella prestazione di un servizio della societ� dell'informazione 
consistente nella memorizzazione di informazioni fornite 
da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle 
informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a 
condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente al corrente del 
fatto che l'attivit� o l'informazione � illecita e, per quanto attiene ad 
azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono 
manifesta l'illegalit� dell'attivit� o dell'informazione; b) non appena al 
corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni 
o per disabilitarne l'accesso. 2. Il paragrafo 1 non si applica se il 
destinatario del servizio agisce sotto l'autorit� o il controllo del prestatore. 
3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilit�, per un 
organo giurisdizionale o un'autorit� amministrativa, in conformit� agli 
ordinamenti giuridici degli Stati membri, di esigere che il prestatore 
ponga fine ad una violazione o la impedisca nonch� la possibilit�, per 
gli Stati membri, di definire procedure per la rimozione delle informazioni 
o la disabilitazione dell'accesso alle medesime� (sottolineatura aggiunta). 
15. Le tre suddette categorie di prestatori intermediari operano in un regime 
di esonero dall�obbligo di vigilanza preventiva sui contenuti, come previsto 
dall�art. 15 della medesima direttiva, impregiudicata la possibilit�, 
secondo gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale 
o un'autorit� amministrativa esiga che il prestatore impedisca o ponga 
fine ad una violazione. 
16. L�art. 15, infatti, recante Assenza dell'obbligo generale di sorveglianza, 
cos� dispone. �1. Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 12, 13 
e 14, gli Stati membri non impongono ai prestatori un obbligo generale 
di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano n� un
130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino 
la presenza di attivit� illecite. 2. Gli Stati membri possono stabilire che i 
prestatori di servizi della societ� dell'informazione siano tenuti ad informare 
senza indugio la pubblica autorit� competente di presunte attivit� 
o informazioni illecite dei destinatari dei loro servizi o a comunicare alle 
autorit� competenti, a loro richiesta, informazioni che consentano l'identificazione 
dei destinatari dei loro servizi con cui hanno accordi di memorizzazione 
dei dati�. 
RISPOSTA AL PRIMO QUESITO 
17. Con il primo quesito, il giudice del rinvio chiede nella sostanza alla Corte 
di giustizia se, dall�interpretazione dell�art. 8, paragrafo 3 della direttiva 
sul diritto d�autore, possa evincersi che, tra gli intermediari che possono 
essere destinatari di provvedimenti inibitori, rientrino anche i fornitori di 
accesso ad internet degli utenti che accedono al materiale illecito. 
18. Il Governo italiano ritiene che al quesito debba darsi risposta positiva. 
19. Come si � visto, la generale presunzione di irresponsabilit� del prestatore 
intermediario, sancita dagli articoli 12, 13 e 14 della direttiva sul commercio 
elettronico, viene a cadere nel momento in cui ricorrano le circostanze 
ivi espressamente menzionate che sostanzialmente rimuovono la 
condizione di non responsabilit� quando il prestatore viene a conoscenza 
dell�illecito. 
20. Come infatti precisato al considerando 48 della direttiva sul commercio 
elettronico, la medesima direttiva �non pregiudica la possibilit� per gli 
Stati membri di chiedere ai prestatori di servizi, che detengono informazioni 
fornite dai destinatari del loro servizio, di adempiere al dovere di 
diligenza che � ragionevole attendersi da loro ed � previsto dal diritto 
nazionale, al fine di individuare e prevenire taluni tipi di attivit� illecite�. 
21. Per quanto riguarda i tipi di interventi che possono essere richiesti dalle 
autorit� competenti (giurisdizionale o amministrativa) nei confronti dei 
prestatori intermediari, le citate norme prevedono una serie di azioni ex 
post, per porre fine alle violazioni, in capo a chi presta le attivit� di memorizzazione 
temporanea (caching) e di memorizzazione (hosting). 
22. Ai sensi dell�articolo 13, paragrafo 1, lett. e), della direttiva sul commercio 
elettronico, il fornitore di servizi di caching � tenuto ad agire prontamente 
per rimuovere le informazioni che ha memorizzato o per 
disabilitarne l'accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del 
fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano 
inizialmente sulla rete o che l'accesso alle informazioni � stato disabilitato 
oppure che un organo giurisdizionale o un'autorit� amministrativa ne ha 
disposto la rimozione o la disabilitazione del relativo accesso. 
23. Ai sensi dell�articolo 14, paragrafo 1, lett. b), della direttiva sul commercio
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 131 
elettronico, il fornitore di servizi di hosting, non appena a conoscenza del 
fatto che l'attivit� o l'informazione � illecita e, per quanto attiene ad azioni 
risarcitorie, non appena a conoscenza di fatti o di circostanze che rendano 
manifesta l'illiceit� dell'attivit� o dell'informazione, � tenuto ad agire immediatamente 
per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso. 
24. Il fornitore di servizi di mere conduit, invece, non � soggetto ad obblighi 
positivi consistenti nella rimozione delle informazioni o nella disabilitazione 
dell�accesso alle stesse, proprio in virt� della specifica attivit� che 
svolge, consistente nel semplice trasporto delle informazioni, la cui disponibilit� 
in rete � indipendente dalle sue azioni. 
25. A tale categoria di intermediario, come espressamente previsto all�articolo 
12, paragrafo 3, della direttiva sul commercio elettronico, pu� essere rivolta, 
tramite le autorit� giurisdizionali o amministrative competenti, solo 
un ingiunzione volta a impedire o porre fine alla violazione. 
26. In tale quadro, la ricostruzione del giudice di rinvio - secondo la quale 
per �intermediario� ai sensi dell�articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sul 
diritto d�autore non deve intendersi solamente il fornitore di accesso utilizzato 
dall�autore della violazione per mettere a disposizione in modo illecito 
il materiale ma anche il fornitore di accesso ad internet dei soggetti 
che comunque accedono a tali materiali - appare del tutto condivisibile 
per i motivi di seguito illustrati. 
27. In primo luogo, tale tesi � supportata dal cinquantanovesimo considerando 
della direttiva sul diritto d�autore, in base al quale �i titolari dei diritti 
dovrebbero avere la possibilit� di chiedere un provvedimento inibitorio 
contro un intermediario che consenta violazioni in rete da parte di un 
terzo contro opere o altri materiali protetti�. 
28. Il generico riferimento all��intermediario che consenta violazioni in rete 
da parte di un terzo� permette di ricomprendere in tale nozione anche il 
fornitore di accesso ad internet degli utenti che accedono al materiale protetto. 
29. In secondo luogo, la lettura dell�articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sul 
diritto d�autore deve essere operata, in questo caso, alla luce dell�articolo 
3 della direttiva medesima, che concerne la disposizione di carattere sostanziale 
in tema di diritto di comunicazione al pubblico. 
30. Ebbene, il diritto di comunicazione al pubblico di un�opera consiste proprio 
nel �mettere a disposizione tale materiale in maniera tale che ciascuno 
possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente�. 
31. In tale quadro, appare evidente che anche l�attivit� del fornitore di accesso 
degli utenti, e non solo quella del fornitore d�accesso di chi offre materiale 
illecito, appare necessaria a commettere la violazione. 
32. Pi� in dettaglio, come del resto, illustrato dal giudice del rinvio, l�autore 
della violazione utilizza necessariamente anche i servizi del fornitore di
132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
accesso degli utenti per mettere a disposizione del pubblico il materiale 
illecito, senza i quali egli non solo non potrebbe trarre alcun vantaggio 
economico ma - occorre aggiungere e sottolineare - non potrebbe neppure 
commettere la violazione, che consiste appunto nella messa a disposizione 
del pubblico in rete del materiale protetto, consentendone l�accesso �dal 
luogo e nel momento scelti individualmente�. 
33. Per le ragioni esposte, si propone pertanto di rispondere al primo quesito 
nel senso di individuare tra gli intermediari di cui all�art. 8, paragrafo 3, 
della direttiva 2001/29/CE anche i fornitori di accesso ad internet degli 
utenti che accedono al materiale illecito. 
RISPOSTA AL SECONDO QUESITO 
34. Avendo dato risposta positiva al primo quesito, non � necessario rispondere 
al secondo quesito. 
RISPOSTA AL TERZO E AL QUARTO QUESITO 
35. Con il terzo quesito, in sostanza, il giudice del rinvio chiede alla Corte se 
sia ammissibile un provvedimento inibitorio a carico del fornitore di accesso 
a internet ex articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sul diritto d�autore, 
formulato in modo generale e consistente nel blocco totale 
dell�accesso al sito a tutti i suoi clienti. 
36. Con il quarto quesito, al quale occorre rispondere solo in caso di risposta 
negativa al terzo quesito, il giudice chiede alla Corte di chiarire se sia 
ammissibile prescrivere a un fornitore di accesso ad internet misure specifiche 
di blocco qualora la facile aggirabilit� dei blocchi sia tale da rendere 
sproporzionati gli sforzi connessi alla loro attivazione. 
37. La stretta correlazione tra i due quesiti rende opportuno affrontare contestualmente 
i problemi interpretativi sottoposti all�attenzione della Corte, 
rimettendo tuttavia al giudice nazionale la valutazione del caso concreto e 
della conseguente proporzionalit� del provvedimento inibitorio da adottare. 
38. In proposito, la giurisprudenza della Corte, richiamata dallo stesso giudice 
del rinvio, ha chiaramente affermato, rispettivamente per un fornitore di 
servizi di mere conduit (sentenza del 24 novembre 2011, causa C-70/10, 
Scarlet Extended) e per un prestatore di servizi di hosting (sentenza del 
16 febbraio 2012, causa C-360/10, Sabam) che il diritto dell�Unione osta 
ad un�ingiunzione rivolta da un giudice nazionale ad un prestatore di servizi 
di accesso ad internet o di hosting che lo obblighi a predisporre un sistema 
di filtraggio delle informazioni che si applichi indistintamente a tutti 
gli utenti, a titolo preventivo, a spese esclusive del prestatore e senza limiti 
di tempo, onde bloccare la messa a disposizione del pubblico del materiale 
rispetto al quale il richiedente vanta diritti di propriet� intellettuale. 
39. Infatti, sebbene la tutela del diritto d�autore - in quanto appartenente alla
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 133 
sfera del diritto di propriet� intellettuale - sia sancita dall�art. 17, paragrafo 
2 della Carte dei diritti fondamentali dell�Unione europea, non pu� desumersi 
n� da tale disposizione, n� dalla giurisprudenza della Corte che tale 
diritto sia intangibile e che la sua tutela debba essere garantita in modo 
assoluto. 
40. Al riguardo, come gi� affermato dalla sentenza della Corte del 29 gennaio 
2008, causa C-275/06, Promusicae, � compito delle autorit� e dei giudici 
nazionali, nel contesto delle misure adottate per proteggere i titolari di 
diritto d�autore, garantire un giusto equilibrio tra la tutela di tali diritti e 
quella dei diritti fondamentali delle persone su cui incidono dette misure. 
41. In particolare, un�ingiunzione generalizzata di vietare il totale accesso al 
sito internet a tutti i clienti potrebbe causare una violazione della libert� di 
impresa del fornitore di accesso ad internet non proporzionata allo scopo. 
42. Una tale misura potrebbe inoltre non apparire coerente con quanto disposto 
dal quarantacinquesimo considerando della direttiva sul commercio elettronico, 
secondo il quale le limitazioni della responsabilit� dei prestatori 
intermedi lasciano impregiudicata la possibilit� di azioni inibitorie di altro 
tipo, che obblighino, tra l�altro, ad impedire o a porre fine ad una violazione 
anche con la rimozione dell�informazione o la disabilitazione dell�accesso 
alla medesima e quindi in modo selettivo e non generalizzato. 
43. Inoltre, gli effetti di un�ingiunzione che imponga un blocco totale dell�accesso 
al sito non si limiterebbero al prestatore di servizi, incidendo 
anche sui diritti fondamentali degli utenti dei servizi di tale prestatore ed 
in particolare sul loro diritto di ricevere o di comunicare informazioni. 
44. Detta ingiunzione rischierebbe peraltro di ledere la libert� di informazione 
sotto altro profilo in quanto la misura investirebbe allo stesso modo un 
contenuto illecito ed un contenuto lecito, con il risultato di bloccare anche 
l�accesso a materiale lecito. 
45. Alla luce di quanto sopra, si osserva che la questione interpretativa posta 
al vaglio della Corte sottende l�analisi del ventaglio di provvedimenti inibitori 
alla luce della necessit� di assicurare un equo contemperamento tra 
l�esigenza di garantire un�efficace tutela del diritto d�autore con la libert� 
di ricevere e di comunicare notizie e informazioni. 
46. Al riguardo, appare possibile ricorrere ad interventi dalla pervasivit� graduata 
in ragione della potenziale offensivit� della violazione, adottando 
provvedimenti inibitori pi� severi per i casi di violazioni sistematiche del 
diritto d�autore. 
47. Mentre in capo ai prestatori di caching e hosting � agevole configurare 
un intervento di rimozione selettiva dei contenuti illeciti, azione particolarmente 
adatta e rispettosa del principio di proporzionalit� per le violazioni 
episodiche o isolate, nel caso di violazioni sistematiche ad opera 
del prestatore di servizi di mere conduit, invece, diventa pressoch� im-
134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
possibile operare un intervento selettivo, con conseguente frustrazione 
dell�efficacia dell�intervento. 
48. Per le violazioni massive, come quella che appare sottesa alla causa de 
qua, l�unica forma di intervento che consenta un raggiungimento della 
finalit� di tutela del diritto d�autore appare infatti il blocco dell�accesso 
a tutto il sito internet, ad opera dei prestatori di mere conduit. 
49. Inoltre, l�intervento di inibizione dell�accesso del prestatore di servizi di 
mere conduit appare essere l�unico possibile nel caso di siti internet ospitati 
su server esteri rispetto al Paese verso il quale sono destinati i contenuti 
illegali, stante l�inefficacia, sia in termini di tempistica che di risultato 
delle richieste di blocco di contenuti destinate a hosting provider o caching 
provider ubicati in territori extra UE. 
50. Un tale provvedimento non sembra precluso dall�art. 15, paragrafo 1 della 
direttiva sul commercio elettronico, che si limita a vietare un obbligo generale 
di sorveglianza e quindi di �filtraggio�, in capo ai prestatori, sulle 
informazioni che trasmettono o memorizzano nonch� un obbligo generale 
di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di 
attivit� illecite. 
51. Tale norma vieta quindi un obbligo generale di controllo preventivo a carico 
degli intermediari ma non impedisce di adottare misure generalizzate 
ex post di blocco dell�accesso ad un sito una volta che le violazioni siano 
state accertate, su istanza dei titolari dei diritti violati, da parte del giudice 
nazionale. 
52. I criteri di valutazione del requisito della prevalente finalit� di un sito 
possono essere ricondotti alla �sistematicit�� delle violazioni, facendo riferimento 
a parametri quali, ad esempio, il valore economico della violazione 
nonch� la reiterazione della violazione e l�incoraggiamento alla 
fruizione illegale dei contenuti. 
53. Tali elementi indiziari potrebbero includere: a) la persistenza della messa 
a disposizione di contenuti in violazione delle norme sul diritto d'autore; 
b) la significativa quantit� dei contenuti diffusi in violazione del diritto 
d'autore e la sponsorizzazione del sito attraverso strumenti di linkaggio 
in grado di comportare l�accesso di un numero elevatissimo di utenti; c) 
il valore economico dei diritti violati; d) l�incoraggiamento anche indiretto 
della fruizione di contenuti diffusi in violazione delle norme sul diritto 
d'autore, ad esempio, fornendo indicazioni in merito alle modalit� 
tecniche per accedere a contenuti illegali, ricavando introiti da modelli di 
business legati alla loro fruizione mediante pagamento o associando ad 
essi messaggi pubblicitari, cos� inducendo nell�utente l�erronea convinzione 
che trattasi di attivit� lecita. 
54. In conclusione, si ritiene che spetti al giudice nazionale verificare la gradualit� 
della tipologia di provvedimenti inibitori da adottare nel caso con-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 135 
creto, tenendo conto dei principi di proporzionalit� e di contenimento dei 
costi a carico degli intermediari, che consentano di garantire un equo contemperamento 
tra i vari diritti in gioco, tutti meritevoli di tutela, ed in 
particolare tra il diritto d�autore da un lato e la libert� di impresa e il diritto 
all�informazione dall�altra. 
CONCLUSIONI 
55. Il Governo italiano propone alla Corte di risolvere il primo quesito nel 
senso che l�art. 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE debba essere 
interpretato nel senso che un soggetto, il quale mette a disposizione del 
pubblico in internet materiali protetti senza l�autorizzazione dei titolari 
dei diritti utilizza i servizi del fornitore di accesso a internet dei soggetti 
che accedono a tali materiali. 
56. Avendo dato risposta positiva al primo quesito, non � necessario rispondere 
al secondo quesito. 
57. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il terzo e il 
quarto quesito nel senso che spetti al giudice nazionale verificare la gradualit� 
della tipologia di provvedimenti inibitori da adottare nel caso concreto, 
tenendo conto dei principi di proporzionalit� e di contenimento dei 
costi a carico degli intermediari, che consentano di garantire un equo contemperamento 
tra il diritto d�autore da un lato e la libert� di impresa e il 
diritto all�informazione dall�altra. 
Roma, 3 ottobre 2012 
Wally Ferrante 
Avvocato dello Stat
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Spunti in materia di mutuo dissenso nei contratti ad effetti reali 
(Nota a Cassazione, sez. trib. civ., sent. 6 ottobre 2011, n. 20445) 
Lorenzo Diotallevi* 
1. Con contratto stipulato in data 23 dicembre 1992, la Saif s.r.l. ha acquistato 
da Edilizia Napoli Nord s.r.l. un fabbricato in costruzione al prezzo 
di lire 14.047.803.346 oltre Iva al 4 per cento. 
Successivamente, nell�ambito della transazione concordata in relazione 
alla controversia insorta sull�esecuzione dell�appalto di lavori commissionato 
dall�acquirente alla venditrice, in data 14 aprile 1993, � stato stipulato un altro 
contratto, con il quale si � previsto il ritrasferimento a Edilizia Napoli Nord 
dell�immobile al medesimo prezzo, la corresponsione a Saif - a tacitazione di 
eventuali pretese risarcitorie - di un indennizzo pari a 2 miliardi di lire, nonch� 
il rimborso dell�Iva, con contestuale emissione di nota di credito a compensazione 
della fattura emessa in occasione della conclusione del primo negozio. 
2. Tale comportamento veniva contestato dall�Agenzia delle Entrate, la 
quale ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione per l�annullamento della 
sentenza della Commissione tributaria regionale di Bari del 23 maggio 2005, 
n. 28 che, avendo qualificato il contratto stipulato in data 14 aprile 1993 come 
atto di mutuo dissenso, avente efficacia risolutoria del primo accordo, ha da 
ci� ricavato l�applicabilit�, in favore di Saif, dell�art. 26, commi 2 e 3, del 
d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, ai sensi del quale viene riconosciuto il diritto 
alla detrazione dell�imposta versata per l�operazione eseguita e successivamente 
venuta meno �in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti�. 
In particolare, l�Agenzia delle Entrate ha denunciato il vizio di violazione 
(*) Dottore in Giurisprudenza, gi� praticante forense presso l�Avvocatura dello Stato.
138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
e falsa applicazione degli artt. 1321, 1343, 1470 ss., 1362 ss. e 1453 c.c., degli 
artt. 21 e 26 del citato d.p.r., nonch� vizio di motivazione, sottolineando come 
i giudici di merito abbiano desunto l�effetto risolutorio del secondo contratto 
da una vicenda inerente ad un altro e distinto rapporto contrattuale, in ordine 
al quale soltanto era insorta una controversia e si era posta l�esigenza di addivenire 
alla stipula di un accordo transattivo. 
Ha altres� osservato la ricorrente che il primo contratto aveva ormai prodotto 
i suoi effetti traslativi, con la conseguenza di non potersi ammettere un 
negozio risolutorio di un contratto gi� eseguito. 
In quest�ottica, l�Agenzia delle Entrate ha evidenziato come la retrovendita 
immobiliare conclusa tra le parti si configurasse come un nuovo negozio traslativo, 
soggetto ad Iva all�aliquota del 9 per cento vigente al tempo della stipula. 
3. Con sentenza del 6 ottobre 2011, n. 20445, la Corte di Cassazione, sez. 
trib. civ., ha rigettato il ricorso proposto dall�Agenzia delle Entrate. 
In particolare - per quel che qui interessa -, con riferimento all�asserita 
violazione delle norme codicistiche in materia di interpretazione del contratto, 
il Giudice di legittimit�, dopo aver escluso, in termini generali, che, a differenza 
di quanto prospettato dalla difesa erariale, �la risoluzione con efficacia 
ex tunc oper(i) esclusivamente quale rimedio ai vizi funzionali della causa, e 
cio� alle situazioni patologiche connesse alla esecuzione del contratto�, ha affermato 
che �la figura del mutuo dissenso (o mutuo consenso o risoluzione 
convenzionale o accordo risolutorio: cfr. artt. 1321 e 1372 c.c.) costituisce 
espressione della autonomia negoziale dei privati che bene sono liberi di regolare 
gli effetti prodotti da un precedente negozio a prescindere dalla esistenza 
di eventuali fatti o circostanze sopravvenute impeditivi o modificativi 
della attuazione dell�originario regolamento di interessi (�)�. 
Quanto, invece, alla seconda obiezione - secondo cui il contratto da risolvere 
per mutuo dissenso aveva gi� prodotto i suoi effetti, trattandosi di contratto 
ad effetti reali -, il Supremo Collegio ha sottolineato che �(l)a risoluzione convenzionale 
integra (�) un contratto autonomo con il quale le stesse parti o i 
loro eredi ne estinguono uno precedente, liberandosi dal relativo vincolo�, ed 
ha aggiunto che �(l)�effetto ripristinatorio � (�) espressamente previsto (art. 
1458 c.c.) per il caso di risoluzione per inadempimento anche dei contratti 
aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali, non essendo dato pertanto riscontrare 
impedimenti ad un accordo risolutorio con effetto retroattivo di un 
contratto ad efficacia reale, fatto salvo l�onere della forma ad substantiam (...)�. 
4. Tutto ci� premesso, la sentenza in commento suscita fondate perplessit� 
in relazione ai seguenti profili: a) l�affermazione della naturale retroattivit� 
del mutuo dissenso; b) l�estensione di tale principio ai contratti ad effetti reali. 
Quanto al punto a), va ribadito come la Corte di Cassazione abbia ritenuto
CONTENZIOSO NAZIONALE 139 
applicabile al caso di specie l�art. 1458 c.c., a mente del quale �(l)a risoluzione 
del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso 
di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l�effetto 
della risoluzione non si estende alle prestazioni eseguite� (1). 
Una simile opzione, invero, presuppone la ricostruzione del mutuo dissenso 
come ipotesi particolare di risoluzione convenzionale (2). Sennonch�, 
non possono essere sottaciute le profonde differenze esistenti tra gli istituti in 
parola quanto a presupposti e oggetto. 
Sotto il primo profilo, � pacifico come la risoluzione convenzionale richieda 
la sussistenza di vizi funzionali della causa - quali positivamente individuati 
dalla legge (3) -, laddove con il mutuo dissenso le parti, sul presupposto 
della validit� ed efficacia del contratto, procedono allo scioglimento di un 
preesistente rapporto giuridico di carattere patrimoniale, non avendo pi� interesse 
alla sua realizzazione (4). 
Sotto il secondo, invece, vՏ da dire che, mentre ai sensi dell�art. 1453, 
comma 1, c.c. la risoluzione pu� operare solo ed esclusivamente con riferimento 
a contratti a prestazioni corrispettive, per il combinato disposto degli 
artt. 1321 e 1372 c.c., il mutuo dissenso � teoricamente predicabile in relazione 
a qualsiasi tipo di rapporto contrattuale, e dunque - per quel che qui interessa 
- anche in mancanza di detto nesso di sinallagmaticit� (5). 
Ma cՏ di pi�. Infatti, che il principio dell�efficacia retroattiva della risoluzione 
non possa trovare applicazione nelle ipotesi di mutuo dissenso, sembra 
trovare conferma, non solo nelle rilevanti differenze strutturali e funzionali riscontrabili 
tra i due istituti, ma anche in considerazioni di ordine sistematico 
e interpretativo. 
Si vuole, in primo luogo, fare riferimento alla circostanza che la retroattivit� 
costituisce un fenomeno eccezionale che, come tale, necessita di una 
esplicita previsione di legge (6). 
D�altra parte, se - come evidenziato da autorevole dottrina - �il vincolo 
(1) V. supra il paragrafo n. 2. 
(2) In tal senso, v., in dottrina, F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli 
1974, 217-218; F. GRADASSI, Requisiti formali della risoluzione consensuale di compravendita immobiliare, 
in Notariato, 6, 1997, 520-521; E. ROPPO, Il contratto, in G. IIUDICA e P. ZATTI (a cura di), Tratt. 
dir. civ., Milano 2001, 540. 
(3) � vale a dire l�inadempimento (art. 1453 c.c. ss.), l�impossibilit� sopravvenuta della prestazione 
(art. 1463 c.c ss.) e la sua eccessiva onerosit� (art. 1467 c.c. ss.). 
(4) In proposito, v. A. LUMINOSO, Il mutuo dissenso, Milano 1980, 256 ss.; C. M. BIANCA, Diritto 
civile, III, Il contratto, Milano 1998, 700; A. GALATI, Mutuo dissenso e contratti ad effetti reali, in 
www.treccani.it, 2. 
(5) Cfr. A. GALATI, Mutuo dissenso, cit., 2. 
(6) Il punto � messo in evidenza da W. BIGIAVI, Irretroattivit� della risoluzione per inadempimento, 
in Riv. dir. comm. 1934, I, 718; G. DEIANA, Contrarius consensus, in Riv. dir. priv. 1939, I, 103 ss.; S. 
ROMANO, voce Revoca, in Noviss. Dig. It, XV, Torino 1968, 810.
140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
della legge � una precondizione selettiva delle conseguenze sulle quali pu� 
essere trasferita una questione di valutazione� (7), e se �il tenore letterale segna 
il limite estremo delle variabili di senso ascrivibili al testo� (8), ne deriva che 
non pu� essere affermata l�efficacia retroattiva del mutuo dissenso, laddove 
l�art. 1458 c.c. si limita a fare riferimento alle sole ipotesi di �risoluzione per 
inadempimento� (9). 
5. Ci� detto, deve altres� essere osservato come l�affermazione della naturale 
efficacia retroattiva del mutuo dissenso sia ancor pi� discutibile se riferita 
ai contratti ad effetti reali. 
In primo luogo, se la causa del mutuo dissenso risiede nell�estinzione di 
un rapporto giuridico pendente, va da s� che nessun effetto eliminativo � predicabile 
in relazione a contratti - come quello concluso in data 23 dicembre 
1992 da Edilizia Napoli Nord e Saif - i cui effetti reali siano gi� integralmente 
prodotti (10). 
A ci� si aggiungano le conseguenze pregiudizievoli che, ad accettare la 
soluzione criticata, si verrebbero a determinare sui diritti acquisiti dai terzi (11). 
Tutt�al pi� - � stato evidenziato -, si potrebbe ammettere l�efficacia retroattiva 
del mutuo dissenso con riferimento ai contratti ad effetti obbligatori, 
nonch� a tutte quelle ipotesi in cui la �costituzione� o il �trasferimento� del 
diritto non si realizzino immediatamente, all�atto della manifestazione del consenso 
(12), ma siano differiti ad un momento successivo (13). 
N� a conclusioni diverse sembra condurre la giurisprudenza richiamata 
dalla Corte di Cassazione al fine di giustificare l�affermazione in base alla 
quale �non (�) dato (�) riscontrare impedimenti ad un accordo risolutorio con 
effetto retroattivo di un contratto ad efficacia reale, fatto salvo l�onere della 
forma ad substantiam (�)�. Si tratta, infatti, di pronunce aventi ad oggetto 
contratti ad effetti obbligatori (14), ovvero compravendite immobiliari in relazione 
alle quali � stato bens� ritenuto ammissibile il ricorso al mutuo dissenso, 
ma � stato pure sottolineato come, attraverso tale operazione negoziale, 
(7) Cos�, L. MENGONI, Ermeneutica e dogmatica giuridica. Saggi, Milano 1996, 103. 
(8) Di nuovo, L. MENGONI, Ermeneutica e dogmatica giuridica. Saggi, cit., 103. 
(9) In tal senso, A. GALATI, Il mutuo dissenso, cit., 4. 
(10) Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in A. CICU e F. MESSINEO (a cura di), Tratt. dir. civ. comm., 
Milano 1971, 1024; G. MIRABELLI, Dei contratti in generale, in Comm. cod. civ., Torino 1980, 290; A. 
GALATI, Mutuo dissenso, cit., 9. 
(11) Cfr. G. DEIANA, Contrarius consensus, cit., 103 ss. 
(12) Cfr. l�art. 1376 c.c. 
(13) Basti pensare alle varie ipotesi di �vendita obbligatoria�, ovvero alla vendita di genere (art. 
1378 c.c.), alla vendita di cosa altrui (art. 1478 c.c.), alla vendita di cosa futura (art. 1472 c.c.), alla vendita 
alternativa (art.1286 c.c.), alla vendita con patto di riservato dominio (art.1523 c.c.). Sul punto, cfr., 
ad es., A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova 1995, 726; A. GALATI, Mutuo dissenso, cit., 9. 
(14) � ovvero un contratto preliminare di compravendita immobiliare (Cass., sez. un. civ., sent. 
28 agosto 1990, n. 8878) e una vendita di cosa futura (Cass., sez. II civ., sent. 6 novembre 1991, n. 11840). 
CONTENZIOSO NAZIONALE 141 
si realizzi una nuova e distinta vicenda traslativa (15). 
Con il che il Giudice di legittimit� ha finito, in realt�, per aderire alla tesi 
prospettata, nel caso di specie, dalla difesa erariale, laddove ha qualificato il 
contratto stipulato da Edilizia Napoli Nord e Saif, in data 14 dicembre 1993, 
come �retrovendita�. 
Una soluzione, questa, in linea con le considerazioni di ordine teorico e 
pratico sopra esposte, ove si ponga mente al fatto che solo la stipulazione di 
un �contronegozio� - vale a dire di un negozio �uguale� e �contrario� rispetto 
a quello precedentemente concluso - pu� consentire alle parti di rimuovere - 
con efficacia, evidentemente, ex nunc - le modificazioni reali prodottesi in via 
definitiva, senza con ci� andare ad incidere sul generale principio di tutela 
dell�affidamento dei terzi (16). 
Cassazione civile, Sez. V, sentenza 6 ottobre 2011 n. 20445 - Pres. Pivetti, Rel. Olivieri, 
P.M. Gambardella (conforme) - Agenzia delle entrate (avv. gen. Stato) c. S.A.I.F. s.r.l. (avv. 
Lacarra). 
(...) 
Svolgimento del processo 
Con sentenza 23 maggio 2005 la 13A sezione della Commissione Tributaria Regionale di 
Bari, rigettava l'appello proposto dall'Ufficio finanziario, confermando la sentenza impugnata, 
rilevando che il contratto stipulato in data 14 dicembre 1993 tra SAIF s.p.a. ed Edilizia Napoli 
Nord s.r.l. aveva effetto risolutorio del precedente contratto stipulato per atto pubblico in data 
23 dicembre 1992 tra le stesse parti con il quale la SAIF s.r.l. - successivamente dichiarata 
fallita in data 25 novembre 1996 dal Tribunale di Bari - aveva acquistato da Edilizia Napoli 
Nord s.r.l. un fabbricato in costruzione per il prezzo di L. 14.047.803.346 oltre Iva al 4%. 
I Giudici di appello rilevavano che l'atto di risoluzione era intervenuto nell'ambito della soluzione 
transattiva concordata tra le parti in ordine alla controversia insorta sulla esecuzione dell'appalto 
di lavori commissionato dalla acquirente alla venditrice. Pertanto con il contratto del 
14 dicembre 1993 si procedeva al ritrasferire l'immobile al medesimo prezzo corrisposto (nonch� 
alla corresponsione a SAIF di un indennizzo di L. 2 miliardi a tacitazione di pretese risarcitorie) 
ed al rimborso da parte di Edilizia Napoli Nord della IVA pagata da SAIF, con contestuale emissione 
da parte della stessa Edilizia Napoli Nord di nota di credito n. (omissis) - con aliquota 
(15) Cfr. Cass., sez. II civ., sent. 15 maggio 1998, n. 4906, secondo cui �nel caso di contratto di 
trasferimento della propriet� immobiliare, per la cui validit� la legge richiede la forma scritta ad substantiam, 
anche il suo scioglimento per mutuo consenso deve risultare da atto scritto poich� per effetto 
di esso si opera un nuovo trasferimento della propriet� al precedente proprietario�. Nel medesimo senso, 
Cass., sez. III civ., sent. 18 febbraio 1980, n. 1186; Cass., sez. II civ., sent. 14 febbraio 1981, n. 908; 
Cass., sez. II civ., sent. 14 luglio 1989, n. 3288; Cass., sez. II civ., sent. 7 marzo 1997, n. 2040, parimenti 
richiamate dal Giudice di legittimit�. 
(16) In tal senso, ad es., D. RUBINO, La compravendita, cit., 1024; G. MIRABELLI, Dei contratti in 
generale, cit., 290; R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, in G. GROSSO e S. SANTORO-PASSARELLI (a 
cura di), Tratt. dir. civ., Milano 1972, 205 ss., 290; A. GALATI, Mutuo dissenso, cit., 4.
142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
IVA al 4% - a compensazione della fattura emessa in occasione del primo contratto. 
La identit� del contenuto dei due contratti e la motivazione relativa alla volont� manifestata 
dalle parti di risolvere stragiudizialmente la controversia tra le stesse insorta, legittimava la 
operazione eseguita che doveva ricondursi sotto la disciplina del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 
26, non potendo dar luogo il secondo atto ad una nuova operazione economica a fini fiscali 
come riteneva l'Ufficio finanziario che qualificava il secondo atto come retrovendita. 
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate 
deducendo un unico motivo. Resiste con controricorso il Fallimento SaiF s.p.a. 
Motivi della decisione 
1. I Giudici di appello hanno fondato la propria decisione qualificando il contratto stipulato 
dalle parti in data 14 dicembre 1993 come atto di muto dissenso volto allo scioglimento del 
precedente atto pubblico in data 23 dicembre 1992. A tale conclusione sono pervenuti all'esito 
della interpretazione del contenuto dei due atti negoziali nonch� dei rapporti intercorsi tra le 
parti nel periodo di tempo tra la stipula del primo e del secondo contratto. Quanto al primo 
aspetto i Giudici di merito hanno rilevato che le disposizioni e clausole pattizie di entrambi i 
contratti erano da ritenersi identiche e contrarie, sicch� il secondo contratto veniva ad elidere 
gli effetti del primo. Quanto al secondo aspetto i Giudici rilevavano che la societ� prima acquirente 
aveva commissionato all'alienate l'appalto dei lavori di ultimazione dell'immobile 
compravenduto, nonch� aveva conferito alla stessa mandato a vendere le singole unit� immobiliari. 
Essendo insorta tra le parti controversia in ordine all'esatto adempimento dei rapporti 
obbligatori, le parti erano pervenute alla definizione delle reciproche pretese, 
ripristinando lo "status quo ante" mediante la risoluzione di comune accordo di tutti rapporti 
negoziali intercorsi tra di esse (contratto di compravendita - con restituzione del medesimo 
importo corrisposto a titolo di prezzo ed emissione, restituzione all'originario acquirente dell'IVA 
applicata al 4% e contestuale emissione di nota credito di pari importo; contratto di appalto 
-con corresponsione a SAIF di un indennizzo a tacitazione di ogni pretesa di natura 
risarcitoria; contratto di mandato a vendere), dovendo sussumersi tale accordo nella figura 
dell'accordo transattivo. Inoltre elemento decisivo a sostegno della qualificazione del secondo 
atto come negozio risolutorio veniva attribuito dai Giudici di merito alla circostanza che il 
secondo contratto era intervenuto entro l'anno dalla stipula del primo, elemento questo espressamente 
considerato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, commi 2 e 3 per il riconoscimento di 
diritto alla detrazione - restituzione della imposta versata per la operazione eseguita e successivamente 
venuta meno "in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti". 
2. La Agenzia delle Entrate censura la sentenza di appello, denunciando vizio di violazione e 
falsa applicazione degli artt. 1321, 1343 c.c., dell'art. 1470 c.c. e segg., dell'art. 1362 c.c. e segg. 
e dell'art. 1453 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 21 e 26 nonch� vizio di motivazione, in 
quanto i Giudici di merito che avrebbero desunto l'effetto risolutorio del secondo contratto da 
una vicenda inerente un altro e distinto rapporto contrattuale intercorso tra le parti (appalto lavori), 
in ordine al quale soltanto era insorta controversia e dunque sussisteva la esigenza della 
stipula di un atto transattivo: con la conseguenza che dovevano essere tenute distinte le cause 
negoziali relative alla transazione, avente ad oggetto il rapporto di appalto, ed alla retrovendita 
immobiliare che configurava, pertanto, un nuovo negozio traslativo ed andava quindi assoggettata 
ad IVA all'aliquota del 9% vigente al tempo della stipula. Pur senza negare che la retrocessione 
della propriet� dell'immobile era stata determinata dalla risoluzione del contratto di appalto, 
tuttavia ci� configurava soltanto il motivo ma non la causa giustificativa del nuovo atto. 
Inoltre la autonomia del successivo negozio di vendita derivava necessariamente dal fatto che
CONTENZIOSO NAZIONALE 143 
il primo contratto aveva ormai prodotto i propri effetti traslativi e pertanto non poteva configurarsi 
un negozio risolutorio di un contratto gi� eseguito. 
3. Controdeduce il Fallimento SAIF s.p.a. aderendo alle argomentazioni poste a base della 
decisione impugnata e rilevando che indipendentemente dalla qualificazione del secondo contratto 
come atto transattivo, era innegabile che la originaria operazione eseguita dalle parti 
(trasferimento della propriet� immobiliare) era venuta meno, entro l'anno, per volont� delle 
parti contraenti, con la conseguenza che dovevano comunque ritenersi integrati i presupposti 
che legittimavano il recupero dell'IVA assolta in occasione della stipula del contratto risolto 
per mutuo dissenso. 
4. Il ricorso deve essere rigettato m relazione ad entrambe le censure prospettate con l'unico 
complesso motivo. 
Occorre premettere che la qualificazione del contratto � una operazione ermeneutica volta ad 
identificare il modello legale astratto di contratto all'interno del quale sussumere il contratto 
in concreto stipulato, a fine di assoggettare quest'ultimo alla disciplina dettata dal primo. Tale 
operazione strutturalmente si articola in tre fasi, la prima delle quali consiste nella ricerca 
della comune volont� dei contraenti, la seconda nella individuazione della fattispecie legale 
e l'ultima consiste nel giudizio di rilevanza giuridica qualificante gli elementi di fatto in concreto 
accertati (cfr. Corte cass. 3^ sez. 16 giugno 1997 n. 5387: Corte cass. 3^ sez. 5 luglio 
2004 n. 12289). 
La prima fase si risolve in un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile 
in sede di legittimit� solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica 
contrattuale di cui all'art. 1362 c.c. e segg. Le successive consistono nella ricerca del paradigma 
legale da applicare alla fattispecie (id est della norma o del complesso normativo in 
base al quale si intende regolare il rapporto dedotto in giudizio) e nella qualificazione che 
procede secondo il modello della sussunzione - cio� del confronto tra fattispecie contrattuale 
concreta e tipo astrattamente definito dalla norma - per verificare la corrispondenza degli elementi 
di fatto accertati a quelli individuanti la fattispecie normativa. Queste fasi comportano 
applicazione di norme giuridiche ed il giudice non � vincolato dal "nomen juris" adoperato 
dalle parti, ma pu� correggere la loro autoqualificazione quando riscontri che non corrisponde 
alla sostanza del contratto come da esse voluto. La ricostruzione data dal giudice di merito � 
incensurabile in sede di legittimit� allorquando si risolva nella richiesta di una nuova valutazione 
dell'attivit� negoziale oppure nella contrapposizione di un'interpretazione della medesima 
a quella del giudice di merito (cfr. Corte cass. 2^ sez. 3 novembre 2004 n. 21064; Corte 
cass. 3^ sez. 22 giugno 2005 n. 13399). 
Tanto premesso, con riferimento alla asserita violazione delle norme codicistiche indicate in 
rubrica, palesemente privo di pregio � l'assunto della ricorrente secondo cui la risoluzione con 
efficacia ex tunc opera esclusivamente quale rimedio ai vizi funzionali della causa e cio� alle 
situazioni patologiche connesse alla esecuzione del contratto, essendo appena il caso di rilevare 
che la figura del mutuo dissenso (o mutuo consenso o risoluzione convenzionale o accordo 
risolutorio: cfr. artt. 1321 e 1372 c.c.) costituisce espressione della autonomia negoziale 
dei privati che bene sono libere di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio a prescindere 
dalla esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute impeditivi o modificativi 
della attuazione dell'originario regolamento di interessi: come infatti ribadito dalle pronunce 
di questa Corte la risoluzione del contratto per mutuo dissenso costituisce un caso di ritrattazione 
bilaterale del contratto con la conclusione di un nuovo negozio uguale e contrario a 
quello da risolvere (cfr. Corte cass. 3^ sez. 10. marzo 1966 n. 683; id. 2^ sez. 30 agosto 2005
144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
n. 17503; id. 3^ sez. 10 luglio 2008 n. 18859). 
Inconsistente � altres� la obiezione secondo cui il contratto da risolvere per mutuo consenso 
aveva gi� prodotto i propri effetti, trattandosi di contratto ad efficacia reale. 
La risoluzione convenzionale integra, infatti, un contratto autonomo con il quale le stesse 
parti o i loro eredi ne estinguono uno precedente, liberandosi dal relativo vincolo e "la sua 
peculiarit� � di presupporre un contratto precedente fra le medesime parti e di produrre effetti 
estintivi delle posizioni giuridiche create da esso" (cfr. Corte cass. 3^ sez. 27 novembre 2006). 
L'effetto ripristinatorio �, peraltro, espressamente previsto (art. 1458 c.c.) per il caso di risoluzione 
per inadempimento anche dei contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali, 
non essendo dato pertanto riscontrare impedimenti ad un accordo risolutorio con effetto retroattivo 
di un contratto ad efficacia reale, fatto salvo l'onere della forma "ad substantiam": "la 
forma scritta costituisce requisito necessario dei contratti risolutori del diritto di propriet� sui 
beni immobili, dovendo dai medesimi trarsi con sufficiente certezza tutti gli elementi del negozio 
cui le parti abbiano inteso dare vita, quali l'indicazione del bene ritrasferito e del prezzo, 
nonch� la manifestazione della effettiva volont� di operare il nuovo trapasso del bene" (cfr. con 
riferimento a contratto di compravendita immobiliare: Corte cass, 3^ sez.. 18 febbraio 1980 n. 
1186; id. 2^ sez. 14 febbraio 1981; id. 2^ sez. 14 luglio 1989 n. 3288; id. 2^ sez. 7 marzo 1997 
n. 2040; id. 2^ sez. 15 maggio 1998 n. 4906 "nel caso di contratto di trasferimento della propriet� 
immobiliare, per la cui validit� la legge richiede la forma scritta ad substantiam, anche il suo 
scioglimento per mutuo consenso deve risultare da atto scritto poich� per effetto di esso si opera 
un nuovo trasferimento della propriet� al precedente proprietario (v. sent. 20 dicembre 1988 n. 
6959. 28 agosto 1990 n. 8878) ...": cfr. con riferimento al contratto di vendita di cosa futura 
Corte cass. 2^ sez.. 6 novembre 1991 n. 11840 che desume l'obbligo della forma scritta dell'accordo 
risolutorio dalla efficacia definitiva e non meramente obbligatoria della vendita). 
Del pari manifestamente infondato � il denunciato vizio di sussunzione della fattispecie concreta 
nello schema normativo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, commi 2 e 3 nonch� la censura 
per vizio motivazionale. 
La norma invocata attribuisce al cedente (nella specie alla Edilizia Napoli Nord s.r.l.) di portare 
in detrazione l'imposta - previa registrazione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 25 - in ogni caso 
in cui "un'operazione per la quale sia stata emessa fattura... viene meno in tutto od in parte, o 
se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullit�, annullamento, 
revoca, risoluzione, rescissione e simili, o per mancato pagamento...'" (comma 2). Qualora 
tali eventi si verifichino "in dipendenza di sopravvenuto accordo tra le parti la neutralit� fiscale 
pu� essere fatta valere esclusivamente entro l'anno dalla operazione imponibile (comma 3). 
Orbene gli elementi normativi della fattispecie possono quindi individuarsi: 
a) nella realizzazione di una operazione imponibile, per la quale sia stata emessa fattura, che 
deve essere "vera e reale e non gi� del tutto inesistente", come deve argomentarsi dalla disposizione 
di chiusura del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7 che individua il presupposto 
impositivo, in caso di operazione inesistente, e dunque in assenza di un fatto imponibile definito 
nel suo effettivo contenuto economico D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 6, nel mero elemento 
cartolare della fattura (cfr. Corte cass. 5^ sez. 10 giugno 2005 n. 12353); 
b) nella realizzazione di una causa di scioglimento del contratto (cui consegue i venir meno 
della "operazione imponibili": nella specie cessione di bene immobile), non occorrendo uno 
specifico accertamento negoziale o giudiziale della intervenuta risoluzione (Corte cass. 3^ 
sez. 21 gennaio 2010 n. 987). Deve sussistere quindi un titolo idoneo a realizzare gli effetti 
risolutori del precedente contratto (Corte cass. 1^ sez. 23 aprile 1993 n. 4767 ove si esclude
CONTENZIOSO NAZIONALE 145 
che un "accordo" comportante variazioni dell'imponibile o dell'imposta riguardo ad una precedente 
operazione regolarmente assoggettata ad IVA non pu� essere desunto dal mero fatto 
che una delle parti del rapporto di cessione ha emesso, senza neppure indicarne la causa, alcune 
"note di accredito"): con la conseguenza che l�accordo risolutorio di un contratto per il 
quale sia richiesta la forma scritta "ad substantiam" � soggetto alla stessa forma stabilita per 
la sua conclusione e l�anzidetto requisito formale pu� ritenersi sussistente solo in presenza di 
un documento che contenga in modo diretto la dichiarazione della volont� negoziale e che 
venga redatto al fine specifico di manifestare tale volont� (Corte cass. 2^ sez. 7 marzo 1997 
n. 2040; id. 3^ sez. 27 novembre 2006 n. 25126; id. 2^ sez. 6 aprile 2009 n. 8234): 
c) nella identit� delle parti dell'accordo risolutorio e del negozio oggetto di risoluzione consensuale 
(Corte cass. 5^ sez. 12 febbraio 2010 n. 3380); 
d) nel regolare adempimento degli obblighi di registrazioni previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972: 
in tema di detrazioni IVA, la norma di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2 - a 
mente della quale le ragioni per cui un'operazione fatturata viene meno in tutto o in parte, ovvero 
sia ridotta nel suo ammontare imponibile, possono essere varie, e consistere, in particolare, 
non solo nella nullit�, nell'annullamento, nella revoca, nella risoluzione, nella rescissione, 
ma anche in ragioni "simili", quali il mancato pagamento o la concessione di abbuoni o sconti 
previsti contrattualmente - va interpretata nel senso che ci� che rileva, per volont� legislativa, 
non � tanto la modalit� secondo cui si manifesta la causa della variazione dell'imponibile IVA, 
quanto, piuttosto, che, tanto della variazione, quanto della sua causa, si effettui registrazione 
ai sensi degli artt. 23, 24 e 25 del citato D.P.R. (Corte cass. 5^sez. 6 luglio 2001 n. 9195. Sui 
rispettivi obblighi di registrazione gravanti sul cedente e sul cessionari cfr. Corte cass. 1 sez. 
11 giugno 1993 n. 6552); 
e) nel lasso temporale infrannuale entro il quale deve verificarsi la vicenda risolutoria nel caso 
in cui l'effetto risolutorio trovi titolo in un accordo di mutuo dissenso: la prova relativa pu� 
legittimamente essere fornita soltanto attraverso l'indicazione di quei dati che risultino idonei 
a collegare le due operazioni - essendo lo scopo perseguito dalla legge quello di impedire pericolose 
forme di elusione degli obblighi del contribuente, ed essendo tale scopo perseguibile 
attraverso il principio di immodificabilit�, sia unilaterale, sia concordata tra le parti, delle registrazioni 
obbligatorie, fatto salvo il caso di successive variazioni dell'imponibile o dell'imposta, 
ex art. 26 citato - merc� dimostrazione, da parte del contribuente, dell'identit� tra 
l'oggetto della fattura e della registrazione originarie, da un canto, e l'oggetto della registrazione 
della variazione, dall'altro, s� da palesare inequivocabilmente la corrispondenza tra i 
due atti contabili (Corte cass. 5^ sez. 6 luglio 2001 n. 9188). 
Orbene i Giudici territoriali hanno correttamente ricondotto la fattispecie concreta nello 
schema normativo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, commi 2 e 3, ravvisando la identit� di 
contenuto dei due atti negoziali uguali e contrari (quanto all'oggetto - propriet� dell'immobile 
- ed alla prestazione avente ad oggetto il pagamento del prezzo, nonch� quanto alla forma), 
accertando la identit� delle parti contraenti, la eseguita registrazione della variazione contabile 
ai fini della detrazione IVA da parte del cedente, la esatta corrispondenza dell'imposta versata 
e di quella recuperata (con applicazione della identica aliquota pari al 4%), la esistenza del 
presupposto temporale richiesto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 3. 
Hanno inoltre desunto l'effetto risolutorio del primo contratto dall'inserimento del contratto 
stipulato in data 14 dicembre 1993 nell'ambito della composizione transattiva, con la quale le 
medesime parti hanno voluto definire tutti i rapporti pendenti, della pi� ampia vicenda negoziale 
intercorsa tra le parti che oltre al contratto di compravendita concerneva anche il contratto
146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
di appalto relativo alla esecuzione dei lavori di ultimazione dell'intero immobile ed il contratto 
di mandato a vendere le singole unit� immobiliari. 
Evidente � la confusione in cui incorre la Agenzia delle Entrate laddove ipotizza una mancanza 
originaria della causa negoziale dell'accordo risolutorio allegando che il contenzioso tra le 
parti concerneva esclusivamente il rapporto originato dal contratto di appalto, in tal modo 
non considerando che, tanto gli artt. 1321 e 1372 c.c. quanto il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 
26, comma 3, prevedendo espressamente l'accordo delle parti quale negozio risolutorio idoneo 
a determinare il venir meno della "operazione imponibile", prescindono del tutto da eventuali 
vizi genetici o funzionali della causa del contratto che le stesse intendono risolvere. 
La critica motivazionale della ricorrente, pertanto, si risolve soltanto nel contrapporre una diversa 
ricostruzione giuridica dei fatti rispetto a quella effettuata dai Giudici di merito, senza 
individuare specificamente gli errori logici che inficiano la ratio decidendi della sentenza impugnata, 
con la conseguenza che l'accertamento della risoluzione del contratto per mutuo dissenso 
costituisce apprezzamento di fatto del Giudice di merito, che rimane incensurabile in 
sede di legittimit� in presenza di congrua motivazione (Corte cass. 3^ sez. 27 novembre 2006 
n. 25126). 
5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato ed in applicazione del principio di soccombenza 
la parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano 
in dispositivo. 
P.Q.M. 
La Suprema Corte di cassazione: 
- rigetta i ricorso e condanna la Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite del presente 
giudizio che liquida in Euro 7.200,00 (di cui Euro 7.000,0 per onorari) oltre rimborso 
forfetario spese generali ed accessori di legge.
CONTENZIOSO NAZIONALE 147 
I licenziamenti disciplinari dopo la l. 92/2012 (c.d. �Riforma 
Fornero�). Considerazioni alla luce della prima pronuncia 
giurisdizionale in materia 
(Nota a Tribunale di Bologna, ordinanza 15 ottobre 2012)
Stefano Bini* 
La legge 28 giugno 2012, n. 92, c.d. �Riforma Fornero�, ha come noto 
significativamente inciso sull�intero corpus normativo del diritto del lavoro 
italiano e, in special modo, su quello attinente alla materia dei licenziamenti. 
Particolarmente rilevanti risultano essere, tra le altre, le modifiche apportate 
all�art. 18 della l. 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. �Statuto dei lavoratori�), al dichiarato 
fine di facilitare e snellire la �flessibilit� in uscita� dal rapporto di lavoro, 
rivisitando cos� l�apparato sanzionatorio connesso alle ipotesi di 
illegittimit� del licenziamento. 
A distanza di poco pi� di un anno dall�importante ed innovativa promulgazione 
del c.d. �Collegato Lavoro� (l. 4 novembre 2010, n. 183), il Legislatore 
� nuovamente intervenuto, animato dall�intento di �realizzare un mercato 
del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, 
in quantit� e qualit�, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione 
permanente del tasso di disoccupazione [...] �(1). 
Il disegno riformatore posto a fondamento della l. 92/2012 ha portato ad 
un radicale superamento del precedente schema di classificazione delle sanzioni 
applicabili in conseguenze di illegittimi casi di recesso datoriale dal rapporto 
di lavoro: mentre infatti precedentemente il �rimedio� principale (se non 
unico), nelle ipotesi di licenziamento invalido, era costituito dalla reintegrazione 
del lavoratore nel posto di lavoro, unitamente al risarcimento del danno, 
(*) Ammesso alla pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato, Dottorando di ricerca in "Diritto 
ed Impresa" (LUISS "Guido Carli", Roma). 
(1) Significativa � la non usuale esposizione delle finalit� e degli obiettivi che il legislatore intende 
perseguire, di cui all�art. 1, comma 1 (incipit) della legge 28 giugno 2012, n. 92: �La presente legge dispone 
misure e interventi intesi a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire 
alla creazione di occupazione, in quantit� e qualit�, alla crescita sociale ed economica e alla 
riduzione permanente del tasso di disoccupazione, in particolare [...] c) ridistribuendo in modo pi� equo 
le tutele dell�impiego [...] adeguando contestualmente alle esigenze del mutato contesto di riferimento 
la disciplina del licenziamento, con previsione altres� di un procedimento giudiziario specifico per accelerare 
la definizione delle relative controversie [...]. 
Di interesse � anche Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Comunicato stampa �La riforma 
del mercato del lavoro � legge� , Roma, 27 giugno 2012, p. 2. 
Per quanto concerne l�introduzione del nuovo rito per l�impugnazione dei licenziamenti, si rinvia all�esaustivo 
saggio di A. GIORDANO, Il nuovo rito per l�impugnazione dei licenziamenti, Treccani.it, 2012, 
www.treccani.it/magazine/diritto.
148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
in misura non inferiore a cinque mensilit� (2), con la legge entrata in vigore 
lo scorso 18 luglio 2012 si supera il carattere di esclusivit�, che aveva precedentemente 
connotato la soluzione della reintegrazione: � cos� il giudice ad 
essere investito della scelta della sanzione da irrogare nel concreto caso di specie, 
sulla base dei criteri e dei parametri previsti, anche se solo in generale, 
dalla normativa (3). 
Le tipologie di licenziamento sono sostanzialmente ricondotte a tre: disciplinare, 
economico e discriminatorio; non potendosi in questa sede esaminare 
la complessiva disciplina di riforma in materia, si prenderanno in 
considerazione solamente i profili della stessa, che presentino maggiore interesse, 
ai fini di una chiara ed organica analisi dell�ordinanza che qui si annota. 
Quello relativo ai licenziamenti disciplinari costituisce dunque certamente 
uno dei profili di maggiore interesse nell�indagine attorno all�ampia materia 
del recesso dal rapporto di lavoro, con particolare riferimento alla sua riconducibilit� 
nell�ambito del potere disciplinare, ex art. 7 St. lav. 
Essendo la c.d. �Riforma Fornero� di cos� recente introduzione, sono le 
concrete implicazioni applicative ad assumere una rilevanza ed una valenza 
davvero cruciali: il ruolo della giurisprudenza di merito, assume dunque un 
fondamentale ruolo integrativo, complementare all�elaborazione dottrinale di 
commento alla disciplina normativa. In quest�ottica, pertanto, si presenta di 
notevole interesse quello che potrebbe essere definito come il primo provvedimento 
giudiziale �post Riforma Fornero�, ovvero l�ordinanza del Tribunale 
di Bologna del 15 ottobre 2012 (procedimento n. 2631/2012). 
Con il provvedimento appena richiamato, la sezione lavoro del Tribunale 
di Bologna ha disposto la reintegrazione del dipendente di un�impresa, impiegato 
con qualifica di responsabile del reparto qualit�, licenziato per aver 
espresso, in uno scambio di e-mail con il suo diretto superiore gerarchico, la 
seguente valutazione circa l�attitudine alla pianificazione dell�impresa: �Parlare 
di pianificazione nel Gruppo [nome dell�impresa, omissis] � come parlare 
di psicologia con un maiale, nessuno ha il minimo sentore di cosa voglia dire 
pianificare una minima attivit� in questa azienda �. 
Affermata primariamente la necessit� di considerare e qualificare il fatto 
storico nell�ambito di una pi� ampia contestualizzazione spazio-temporale, 
tesa a tenere in debito conto, oltre che la sequenza di avvenimenti e condotte, 
anche (e - nell�approccio ermeneutico adottato dal giudice - soprattutto) la situazione 
psicologica dei soggetti coinvolti, il Tribunale di Bologna fonda la 
condanna del datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro del lavo- 
(2) Per quanto concerne la disciplina dei licenziamenti in vigore anteriormente all�entrata in vigore 
della recente riforma del mercato del lavoro, si veda R. PESSI, Lezioni di diritto del lavoro, Giappichelli, 
Torino, 2010, pp. 352 e ss. 
(3) F. TOFFOLETTO, Il nuovo regime sanzionatorio previsto dalla legge Fornero in caso di licenziamento 
invalido, Top Legal, ottobre 2012, n. 9, p. 46.
CONTENZIOSO NAZIONALE 149 
ratore licenziato, su due argomentazioni tra loro marcatamente eterogenee. 
Invero il fatto viene considerato, nel caso di specie, come insussistente e 
al contempo riconducibile alla c.d. �lieve insubordinazione� inquadrata, dalla 
contrattazione collettiva concretamente applicabile, nell�ambito delle condotte 
punite con sanzione conservativa. 
Il Tribunale di Bologna, presenta in primo luogo un�interessante argomentazione 
attorno all�interpretazione da attribuire alla nozione di �insussistenza 
del fatto�, di cui all�art. 1, comma 42 della l. 92/2012: �[...] la norma in questione, 
parlando di fatto, fa necessariamente riferimento al c.d. Fatto Giuridico, 
inteso come il fatto globalmente accertato, nell�unicum della sua componente 
oggettiva e nella sua componente inerente l�elemento soggettivo� (4). 
Perch� quindi il �fatto� possa ritenersi effettivamente sussistente, occorre 
che la condotta del prestatore di lavoro si sia pienamente verificata tanto sotto 
il profilo oggettivo, quanto sotto quello soggettivo-psicologico, attinente 
all��animus� del lavoratore stesso. 
Sulla base della suddetta considerevole premessa argomentativa, nell�ordinanza 
si procede cos� osservando che la proposizione oggetto del contendere 
(�Parlare di pianificazione nel Gruppo [nome dell�impresa, omissis] � come 
parlare di psicologia con un maiale�) non pu� ritenersi pronunciata nel quadro 
di quella che potrebbe definirsi come una lucida, fredda e deliberata ponderazione, 
tesa a ledere il prestigio della societ� di appartenenza, dovendosi al contrario 
ritenere che la stessa frase rappresenti l�impetuosa reazione del 
lavoratore alla stressante pressione cui era sottoposto da parte del superiore 
gerarchico, viste anche le scuse per il comportamento posto in essere, che il 
lavoratore ha successivamente formulato e presentato (5). 
Posta pertanto dal giudice un�interpretazione pi� ampia ed estensiva della 
nozione di �fatto�, il comportamento del prestatore di lavoro viene ad essere 
preso in considerazione non solo limitatamente al dato materiale ed oggettivo, 
ma unitamente alla centrale componente soggettiva dell�elemento psicologico; 
a sostegno di tale tesi ermeneutica, la sezione lavoro del Tribunale di Bologna 
argomenta la necessit� di osservare i principi generali dell�ordinamento civilistico 
della diligenza, nonch� della buona fede, �calati� nell�ambito dello svolgimento 
del rapporto di lavoro (si vedano a tal proposito gli artt. 1175 e 1176 
(4) Tribunale di Bologna, ordinanza 15 ottobre 2012, procedimento n. 2631/2012, p. 2. 
(5) Nell�ordinanza, la condotta posta in essere dal superiore gerarchico del lavoratore licenziato, 
attraverso le diverse mail inviate, viene considerata e valutata in termini di palese ed inutile contenuto 
denigratorio, connotato da un�intrinseca offensivit� della professionalit� del dipendente. Il Tribunale di 
Bologna, invero, ricostruisce il �fatto� posto in essere dal lavoratore nella pi� ampia cornice di una relazione 
di causalit�, tra la mail �inutilmente denigratoria� del superiore gerarchico e quella �non finalizzata 
a ledere il prestigio aziendale� del lavoratore, espressione di un disagio conseguente allo stress 
lavorativo, indotto - ed ecco quindi l�essenza del nesso di causalit�, rinvenuto dal giudice - proprio dal 
contenuto e, soprattutto, dal tono della mail del superiore gerarchico. 
150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
c.c., rispettivamente rubricati: �Comportamento secondo correttezza� e �Diligenza 
nell�adempimento�). 
Assumendo a fondamento della propria decisione tali considerazioni di 
carattere interpretativo della normativa di recente introduzione, dunque, il Tribunale 
riconosce la insussistenza del fatto nel comportamento posto in essere 
dal lavoratore licenziato. 
Meritevole per� di attenzione � il fatto che il suddetto Tribunale, fonda 
tale dichiarazione di insussistenza del fatto, non sulla esclusione dell�elemento 
soggettivo (riconosciuto, nella stessa ordinanza, come elemento imprescindibile 
ai fini dell�accertamento del fatto, inteso nella sua accezione di �fatto giuridico�), 
ma piuttosto sulla valutazione della sua scusabilit�. 
Semplificando, il giudice ritiene il fatto �insussistente� non perch� il fatto 
non � stato oggettivamente posto in essere o perch� non ricorre il necessario elemento 
soggettivo nel comportamento del lavoratore, quanto invece perch� considera 
la condotta del prestatore come scusabile, in quanto impetuosamente 
reattiva al comportamento offensivamente denigratorio del superiore gerarchico. 
Appare gi� prima facie evidente come l�iter argomentativo adottato e segu�to 
dall�organo giudicante nella concreta fattispecie si presenta pervaso da 
una intrinseca e sostanziale peculiarit�; il fatto � considerato insussistente, cos� 
da determinare la reintegrazione del lavoratore licenziato ex art. 18, comma 
4, St. lav., sebbene per� la ragione di tale insussistenza sia rinvenuta nella 
scarsa rilevanza del fatto stesso; valutando purtuttavia il fatto scarsamente rilevante 
sotto un profilo di analisi disciplinare, per�, se ne riconosce in tal guisa 
la sua ontologica esistenza. 
La condanna alla reintegrazione del lavoratore viene altres� motivata dal 
Tribunale sulla base di un secondo argomento, rappresentato dalla riconducibilit� 
del fatto contestato nell�ambito delle cc.dd. condotte punibili con sanzione 
conservativa, secondo quanto disposto dalla contrattazione collettiva e 
dai codici disciplinari, concretamente applicabili al rapporto di lavoro. 
Considerate le due distinte fattispecie giuridiche astratte, contemplate dall�art. 
18, commi 4 e 5, l. 300/1970, nella sua versione riformata dalla l. 
92/2012, �Nel caso in esame, osserva il Tribunale che ricorrono entrambe le 
fattispecie previste dalla norma in questione�. 
L�art. 1, comma 41 della l. 92/2012, nel predisporre la nuova formulazione 
del quarto comma dell�art. 18 dello Statuto dei lavoratori, prevede che il giudice 
del lavoro possa condannare il datore di lavoro, unitamente al pagamento di 
un�indennit� risarcitoria (6), alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro 
solamente allorquando sia accertata la infondatezza della giusta causa o del giustificato 
motivo soggettivo, posti a fondamento del recesso stesso, per insussistenza 
del fatto contestato ovvero perch� la condotta posta in essere dal 
prestatore di lavoro (il fatto) � inquadrabile tra quelle per le quali i contratti collettivi 
o i codici disciplinari applicabili prevedano una sanzione conservativa.
CONTENZIOSO NAZIONALE 151 
Nel dettaglio, il contratto collettivo di categoria cui fare riferimento nel 
caso de quo � rappresentato dal C.C.N.L. Metalmeccanici del 2008 che, alla 
lettera c) dell�art. 9 (Titolo 7, Sezione 4), dispone che: �Incorre nei provvedimenti 
di ammonizione scritta, multa o sospensione, il lavoratore che: [...] compia 
lieve insubordinazione nei confronti dei superiori�; come appare chiaro 
dalla lettura della disposizione contrattuale, tutti i citati provvedimenti, presentati 
nella loro crescente gradazione di gravit�, presentano natura conservativa. 
Una riflessione pi� ampia potrebbe a tal punto esplorarsi, seppur 
concisamente, con riferimento all�inquadrabilit� della condotta contestata nel 
caso di specie nell�ambito della lieve insubordinazione (con conseguente sanzione 
conservativa ex art. 9, lett. c), titolo 7, sezione 4, C.C.N.L. Metalmeccanici 
2008), oppure nel novero della pi� generica �insubordinazione ai 
superiori�, per la quale l�art. 10, lett. A), lett. a), titolo 7, sezione 4, C.C.N.L. 
Metalmeccanici 2008, contempla la sanzione del licenziamento con preavviso 
(licenziamento per giustificato motivo soggettivo). La questione rientra nell�ambito 
di quella che potrebbe definirsi come una �sovrapponibilit�� di casistiche, 
verificabili allorquando la medesima fattispecie concreta appaia come 
sussumibile sotto un molteplice novero di fattispecie giuridiche astratte; si 
pensi esemplificativamente alle tre nozioni di �lieve insubordinazione nei confronti 
dei superiori� (art. 9, lett. c)), �insubordinazione ai superiori� (art. 10, 
lett. A), lett. a)) e �grave insubordinazione ai superiori� (art. 10, lett. B), lett. 
a)): forte appare la necessit� di fondare tale distinzione sulla base di parametri 
ed elementi oggettivi che certamente appaiono essere contestabili. Nella fattispecie 
oggetto di analisi, appare tuttavia chiaro che le diverse ragioni argomentate 
dal Tribunale nell�ordinanza, corroborano l�interpretazione della 
condotta del lavoratore come in s� espressiva di una �lieve insubordinazione 
nei confronti dei superiori�. 
A margine delle considerazioni sin qui svolte, emerge che l�importanza 
della pronuncia esaminata risiede, oltre che nel fatto di aver costituito essa il 
primo provvedimento giudiziario in materia di licenziamenti dopo l�entrata in 
vigore della riforma Fornero (7), nel significativo contributo ermeneutico offerto, 
fornendo essa un�interpretazione dell�art. 1, comma 41 della l. 92/2012 
di rilevante interesse. 
Il decisum del Tribunale di Bologna appare certamente distante dallo spi- 
(6) L�indennit� risarcitoria prevista dal comma 4 dell�art. 18, St. lav. deve essere �commisurata 
all�ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell�effettiva reintegrazione 
dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di 
altre attivit� lavorative, nonch� quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca 
di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell�indennit� risarcitoria non pu� essere superiore a 
dodici mensilit� della retribuzione globale di fatto�. 
(7) Di certo interesse � l�analisi critica del �nuovo� art. 18, St. lav., elaborata da S. MAGRINI, Quer 
pasticciaccio brutto (dell�art. 18), in Argomenti di Diritto del Lavoro, 2012, n. 3, pp. 535 e ss.
152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
rito del legislatore (8): �A fronte di una invarianza delle tutele a favore del lavoratore 
in caso di licenziamento discriminatorio e in alcuni casi di infondatezza 
del licenziamento disciplinare, con la riforma si riduce l�incertezza che 
circonda gli esiti dei procedimenti eventualmente avviati in caso di licenziamento 
per motivi economici� (9). 
Tale distanza interpretativa trova la sua principale ragione giustificativa 
nella considerevole discrezionalit� rimessa al Giudice tanto nella valutazione 
dei comportamenti posti in essere dal prestatore di lavoro quanto nella decisione 
circa le sanzioni da ricondurre alle diverse fattispecie di licenziamento 
disciplinare, concretamente verificatesi. 
Pur non volendo in alcun modo esprimere considerazioni attorno alla condivisibilit� 
o meno della decisione del Tribunale di Bologna dello scorso 15 novembre 
2012, appare per� inevitabile constatare come gli ampi margini di 
discrezionalit� rimessi al magistrato giudicante - nell�assenza di fattispecie di reintegrazione 
normativamente ben definite - possono verosimilmente determinare 
significative disparit� decisionali di trattamento, in presenza di casi tra loro identici 
(o quantomeno simili), ma differentemente considerati da giudici diversi (10). 
La formulazione delle due ipotesi al ricorrere delle quali deve trovare applicazione 
la sanzione della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro 
(insussistenza del fatto contestato e sussumibilit� del fatto sotto una delle condotte 
punibili con sanzione conservativa ex contrattazione collettiva o codici 
disciplinari) risulta cos� ampia e poco circoscritta, da poter abbracciare qualsiasi 
ipotesi di licenziamento disciplinare illegittimo. 
L�argomento principe considerato dal Tribunale di Bologna per sorreggere 
la condanna alla reintegrazione � costituita dalla sostanziale involontariet� (assenza 
dell�animus, dell�elemento soggettivo, con riferimento ad un comportamento 
comunque oggettivamente sussistente) e scusabilit� (scarsa rilevanza, 
vista anche la formulazione delle scuse da parte dello stesso lavoratore licenziato) 
della condotta del prestatore: si afferma in sostanza la sproporzione del 
licenziamento, rispetto alla natura �lieve� della insubordinazione, per la quale 
occorrerebbe ricorrere a sanzioni conservative. 
(8) Per un�organica analisi sul punto, si veda in Dottrina F. CARINCI, Il legislatore e il giudice: 
l�imprevidente innovatore ed il prudente conservatore (in occasione di Trib. Bologna, ord. 15 ottobre 
2012), in Argomenti di Diritto del Lavoro, 2012, n. 4-5, pp. 773 e ss: �[...] noi tutti consegnati ad una 
giurisprudenza di merito che, come testimonia questa prima ordinanza del Tribunale di Bologna, si prospetta 
all�insegna di una continuit� sostanziale, ma con una forzatura rispetto alla finalit� perseguita 
dalla legge, s� da produrre la madre di ogni incertezza, quale data dalla delegittimazione della stessa 
fonte regolativa�. 
(9) Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Comunicato stampa �La riforma del mercato 
del lavoro � legge�, Roma, 27 giugno 2012, p. 2. 
(10) D. CARBONE, Riforma Fornero e nuovo articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: un caso di 
reintegra del dipendente licenziato, in Italia Oggi, 7 novembre 2012, www.italiaoggi.it/news/dettaglio_
news.asp?id=201211070351001468&chkAgenzie=PREV.
CONTENZIOSO NAZIONALE 153 
Appare per� a tal punto lecito chiedersi quando il licenziamento disciplinare 
illegittimo potr� effettivamente incontrare la condanna del datore di lavoro 
alla sola liquidazione dell�indennit� risarcitoria (nella misura compresa 
tra 12 e 24 mensilit�). La risposta che sembrerebbe potersi esprimere, alla luce 
dell�orientamento espresso dalla recentissima pronuncia di merito esaminata, 
sembrerebbe essere quasi paradossale: la tutela esclusivamente economica troverebbe 
applicazione - secondo l�argomentazione ermeneutica dell�ordinanza 
del Tribunale di Bologna - esclusivamente nei casi di licenziamento legittimo, 
ovverosia allorquando si accerti la sussistenza del comportamento nella sua 
complessit� oggettiva e soggettiva, tanto sotto il profilo materiale quanto sotto 
quello soggettivo, unitamente alla rilevanza della condotta stessa. 
Un�attenzione particolarmente vigile dovr� allora necessariamente essere 
focalizzata sulle prossime pronunce in materia, al fine di registrare la uniformit� 
o difformit� di approcci ermeneutici rispetto all�orientamento recentemente 
assunto dal Tribunale di Bologna. Il contesto italiano di relazioni 
industriali, improntato ad una concezione del lavoratore inteso quale �parte 
debole� del rapporto di lavoro, lascia pensare che l�area della tutela esclusivamente 
economica sar� notevolmente compressa, a favore di una maggiore 
predisposizione alla reintegrazione del lavoratore (11). 
Tribunale di Bologna, Sez. lavoro, ordinanza 15 ottobre 2012 - Giud. M. Marchesini. 
(...) 
Il Tribunale di Bologna in funzione di Giudice del Lavoro, a scioglimento della riserva, osserva 
quanto segue. 
Il fatto storico che ha dato luogo al licenziamento di (...) da parte di (...) srl, � documentale ed 
incontestato tra le parti. 
Nello specifico � accaduto che in data 13 luglio 2012, (...) superiore gerarchico diretto del ricorrente 
ha inviato al medesimo ricorrente, un'e-mail interna avente il seguente contenuto: 
"Per favore controlla questi disegni, hanno modificato di nuovo i disegni (alcune cose). Tolleranze 
sono state modificate. Per favore fare misurare sulla base di questi ultimi disegni allegati. 
Buttare via i disegni che avevamo chiesto ieri". 
In data 17 luglio 2012, (...) ha risposto con la seguente e-mail: "Confido per marted� 24 luglio 
2012 di avere i rilievi con le tempistiche di modifica dei programmi". 
Nello stesso giorno, (...) rispondeva alla predetta e-mail con la seguente e-mail: "Non devi 
confidare. Devi avere pianificato l'attivit�, quindi se hai dato come data il 24 luglio, deve essere 
quella la data di consegna dei dati. Altrimenti indichi una data diversa, che non � confidente 
ma certa, per favore". 
(11) R. PESSI, Intervista ad Adnkronos Labitalia (�Pessi, dubbi di costituzionalit� su disciplina 
per licenziamenti economici�), 21 marzo 2012.
154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
Nella stessa data, (...) rispondeva all'e-mail di (...), con la seguente e-mail: "Parlare di pianificazione 
nel Gruppo (...), � come parlare di psicologia con un maiale, nessuno ha il minimo 
sentore di cosa voglia dire pianificare una minima attivit� in questa azienda. Pertanto, se Dio 
vorr�, per martedi 24 luglio 2012, avrai tutto quello che ti serve". 
Questo � il fatto storico che ha dato luogo al licenziamento del ricorrente, sulla base di un'asserita 
giusta causa di licenziamento, in relazione al contenuto offensivo dell'ultima e-mail 
dello stesso ricorrente. 
Ci� posto osserva il Tribunale che la qualificaz�one e la valutazione di tale fatto, come di qualunque 
fatto storico, richiede la contestualizzazione del fatto medesimo e la sua collocazione 
nel tempo, nello spazio, nella situazione psicologica dei soggetti operanti, nonch� nella sequenza 
degli avvenimenti e nelle condotte degli altri soggetti che hanno avuto un ruolo nel 
fatto storico in esame e nelle condotte antefatte e nelle condotte post factum dei protagonisti. 
Ci� posto osserva il Tribunale che da una serena e complessiva valutazione del fatto storico 
che ha dato luogo al presente procedimento, emerge con evidenza la modestia dell'episodio 
in questione, la sua scarsa rilevanza offensiva, ed il suo modestissimo peso disciplinare. 
Infatti, in primo luogo, (...) lavora in azienda dal luglio 2007 con qualifica di impiegato e 
mansioni di Responsabile del reparto qualit�, e non ha mai avuto precedenti richiami disciplinari, 
neppure minimi. 
In secondo luogo, la frase incriminata "� come parlare di psicologia ..n un maiale", non � 
stata pronunciata a freddo, in maniera pensata e deliberata, nell'ambito di un'aggressione verbale 
preordinata e finalizzata a ledere il prestigio aziendale, bens� � stata pronunciata, in un 
evidente momento di disagio conseguente da una parte allo stress lavorativo che emerge dallo 
scambio epistolare, da cui si evince che il lavoratore era sotto pressione per le scadenze lavorative 
in essere. 
� poi stata pronunciata a fronte e nell'immediatezza di un' e-mail del superiore gerarchico il 
cui contenuto � palesemente ed inutilmente denigratorio e contenutisticamente offensivo della 
professionalit� del soggetto cui era diretta, ossia dello stesso (...). 
Infatti se si esamina il tono ed il contenuto della e-mail di (...), che qui si riporta: "Non devi 
confidare. Devi avere pianificato l'attivit�, quindi se hai dato come data il 24 luglio, deve essere 
quella la data di consegna dei dati. Altrimenti indichi una data diversa, che non � confidente 
ma certa, per favore", emerge con evidenza il contenuto implicitamente ed inutilmente 
denigratorio ed offensivo, ed il tono che � palesemente di aggressivo rimprovero e dispregiativo, 
e riflette a sua volta, con ogni probabilit�, quello che era in quel momento, uno stato di 
tensione e stress lavorativo dello stesso (...), a sua volta sotto pressione per le incombenze legate 
all'attivit� di certificazione che era in essere, con scadenze ravvicinate ed assillanti. 
A ci� si aggiunge, quale ulteriore elemento valutativo dell'atteggiamento psicologico del ricorrente, 
che lo stesso ricorrente, nell'immediatezza del fatto, con lettera del 24 luglio 2012, 
ha dato atto dell'inopportunit� della propria affermazione, ne ha spiegato la genesi, riconducendola 
ad un momento di stress lavorativo, ed ha posto le scuse del predetto comportamento. 
Ne consegue, sotto il profilo della valutazione di gravit� del ..m..rtamento addebitato al ricorrente, 
che lo stesso non � idoneo ad integrare il concetto di giusta causa di licenziamento 
ex art. 2119. 
Da tale valutazione inerente la gravit� del fatto come sopra ricostruito, discende un'importante 
conseguenza, relativa alla disciplina applicabile. 
Infatti, la recente riforma dell'art. 18 della L. n. 300 del 1970, ha modificato la predetta norma, 
ed ha delineato nel comma 4, le fattispecie di licenziamento disciplinare con reintegra, distin-
CONTENZIOSO NAZIONALE 155 
guendole dalle fattispecie di licenziamento disciplinare senza reintegra, disciplinate dal successivo 
comma 5 della stessa norma. Nello specifico, l'art. 18 comma 4 della L. n. 300 del 
1970, come novellato, prevede che il Giudice dispone la reintegra del lavoratore, nelle ipotesi 
in cui non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, 
allorch� ricorra un'ipotesi di insussistenza del fatto contestato, o qualora il fatto 
rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, secondo le previsioni dei contratti 
collettivi e dei codici disciplinari applicabili. 
Nel caso in esame, osserva il Tribunale che ricorrono entrambe le fattispecie previste dalla 
norma in questione. 
Infatti, per quanto riguarda la fattispecie inerente la c.d. "insussistenza del fatto contestato", 
osserva il Tribunale che la norma in questione, parlando di fatto, fa necessariamente riferimento 
al c.d. Fatto Giuridico, inteso come il fatto globalmente accertato, nell'unicum della 
sua componente oggettiva e nella sua componente inerente l'elemento soggettivo. 
N� pu� ritenersi che l'espressione "insussistenza del fatto contestato", utilizzata dal legislatore 
facesse riferimento al solo fatto materiale, posto che tale interpretazione sarebbe palesemente 
in violazione dei principi generali dell'ordinamento civilistico, relativi alla diligenza ed alla 
buona fede nell'esecuzione del rapporto lavorativo, posto che potrebbe giungere a ritenere applicabile 
la sanzione del licenziamento indennizzato, anche a comportamenti esistenti sotto 
l'aspetto materiale ed oggettivo, ma privi dell'elemento psicologico, o addirittura privi dell'elemento 
della coscienza volont� dell'azione. 
Per quanto riguarda poi la fattispecie inerente l'ipotesi che "il fatto rientri tra le condotte punibili 
con una sanzione conservativa, secondo le previsioni dei contratti collettivi e dei codici 
disciplinari applicabili, osserva il Tribunale che l'art. 9 Sez. 4. Titolo 7 C.C.N.L. Metalmeccanici 
2008, applicabile al rapporto di lavoro in questione, prevede espressamente solo sanzioni 
conservative, nella diversa gradazione ivi contemplata, per la fattispecie della c.d. "lieve 
insubordinazione nei confronti dei superiori", previsioni in cui rientra palesemente, per le ragioni 
sopra esposte, il fatto commesso dal ricorrente. 
Per tali motivi deve essere disposta la reintegra del ricorrente, nel posto di lavoro e nelle mansioni, 
. in mansioni equivalenti, ed il risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni 
mensili globali di fatto dovute e non corrisposte, dal giorno del licenziamento al giorno della 
reintegra, con interessi legali e rivalutazione monetaria seconde indici Istat, dalla mora al 
saldo. 
Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono liquidate in Euro 2.000,00 oltre Iva 
e .... 
P.Q.M. 
Il Giudice del Tribunale di Bologna in funzione di Giudice del Lavoro, dichiara l'illegittimit� 
del licenziamento intimato da (...) srl a (...), in data 30 luglio 2012, ed ordina ad (...) srl la 
reintegra di (...), nel posto di lavoro e nelle mansioni, o in mansioni equivalenti. 
Condanna (...) srl al risarcimento del danno a favore di (...), liquidato in misura pari alle retribuzioni 
mensili globali di fatto dovute, dal giorno del licenziamento a quello di reintegra, 
dedotto l'aliunde perceptum, oltre alla regolarizzazione contributiva, con interessi legali e rivalutazione 
monetaria secondo indici Istat, dalla mora al saldo. 
Condanna (...) srl alla rifusione delle spese processuali a favore del ricorrente, liquidate in 
Euro 2,000,00 oltre Iva e ..., con distrazione ai Procuratori Antistatari.
156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
Licenziamento: Legge Fornero e pubblici dipendenti 
(e.mail a Tribunale Perugia, ordinanza 10 novembre 2012)
Ugo Adorno* 
�Da: Ugo Adorno [mailto:ugo.adorno@avvocaturastato.it] 
Inviato: ven 30/11/2012 12.40 
A: Avvocati_tutti 
Oggetto: Licenziamento: Legge fornero e pubblici dipendenti 
Con l'allegata ordinanza del 10 novembre u.s., il Tribunale del lavoro di 
Perugia si � pronunciato (in senso positivo) sulla questione dell'applicabilit� 
della disciplina sostanziale (art. 18 St. lav.) e processuale della legge 
Fornero ai dipendenti pubblici, sia pure dichiaratamente nei limiti della 
cognizione sommaria propria della fase cautelare. Si afferma infatti che 
�il rinvio allo statuto dei lavoratori, per quel che interessa in materia di 
licenziamento, � operato, infatti, con l�utilizzo della tecnica del rinvio 
mobile, che recepisce il contenuto di norme collocate in altre fonti adeguandosi 
automaticamente all�evoluzione delle medesime, dal che consegue 
l�applicazione del nuovo art. 18 St. lav. (e del rito speciale che 
detto articolo richiama) anche al pubblico impiego privatizzato�. 
Dal che ne � derivata la necessaria applicazione del rito celere ex art. 47 
legge Fornero. 
Il Tribunale ha ritenuto anche l�ammissibilit� del 700 come rimedio cautelare 
atipico, in mancanza di altri mezzi per fare valere l�urgenza, pur 
nell�ambito di un �processo di merito incanalato su una corsa veloce�. 
L�ordinanza � criticabile, sul punto, posto che il rimedio ex art. 700 c.p.c. 
ha carattere residuale, e che la residualit� non opera solo limitatamente 
ai provvedimenti cautelari disciplinati dal codice di procedura, ma anche 
in relazione a quelli contemplati nel codice civile o in leggi speciali, a 
quelli c.d. endo-processuali, alle tutele speciali non cautelari, etc. In applicazione 
dello stesso principio, allora, anche nel presente caso, il rimedio 
ex art. 700 c.p.c. doveva essere dichiarato inammissibile, risultando 
l�impugnazione del licenziamento compiutamente disciplinata dall�art. 1, 
L. 92/2012, co. 48 ss., con specifica previsione di una fase sommaria d�urgenza 
tesa a soddisfare le medesime esigenze cui risulta preordinato lo 
strumento della tutela atipica. 
In ogni caso, l�ordinanza, proprio nel prevedere l�ammissibilit� di una 
fase cautelare atipica riguardante un giudizio che benefica di per s� di un 
(*) Avvocato dello Stato.
CONTENZIOSO NAZIONALE 157 
rito celere ha riconosciuto un peso preponderante alla valutazione del periculum 
in mora che deve essere oggetto di una allegazione rigorosissima 
(nel caso di specie assente). 
Da quanto risulta, la pronuncia sembra essere la prima in materia di pubblico 
impiego, ... 
Buon lavoro a tutti 
UA � 
Tribunale di Perugia, Sez. lavoro, ordinanza 10 novemnre 2012 - Giud. M. Medoro. 
(...) 
R.S. si � rivolto a questo Tribunale per ottenere, in via interinale ed urgente, previa declaratoria 
di illegittimit� del licenziamento intimatogli in data 29 agosto 2012 dal Ministero dell'Istruzione 
(d'ora in poi, MIUR), alle dipendenze del quale presta servizio dal 2007 in qualit� di 
collaboratore scolastico, la reintegrazione nel posto di lavoro. 
Il MIUR e l'Ufficio scolastico regionale si sono costituiti in giudizio sostenendo, in via preliminare 
l'inammissibilit� del ricorso alla tutela cautelare atipica per difetto del requisito di residualit� 
in ragione dell'entrata in vigore del rito speciale accelerato previsto dalla legge 
92/2012 e contestando il fondamento delle numerose censure, formali e sostanziali, di legittimit� 
del recesso intimato in tronco al (�) a seguito della sentenza con cui questo Ufficio, 
ai sensi dell'art. 444 c.p.p., aveva applicato al medesimo, con il beneficio della sospensione 
condizionale, la pena di mesi 10 di reclusione e di 2.000,00 e di multa per i reati p. e p. dagli 
artt. 81, cpv., 600 quater, secondo comma e 600 ter, terzo e quinto comma, c.p. 
Il ricorso deve ritenersi ammissibile, ma va respinto per l�assorbente difetto dell'imprescindibile 
requisito del periculum in mora per le considerazioni dappresso brevemente indicate. 
La legge n. 92 del 28 giugno 2012 "Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro 
in una prospettiva di crescita", ha modificato profondarnente, tra l�altro, la disciplina dei licenziamenti 
del personale delle aziende con pi� di 15 dipendenti, ristrutturando, in particolare 
- a precetti sostanzialmente invariati - la disciplina delle sanzioni applicabili, confinando in 
uno spazio tendenzialmente residuale (o quantomeno tale sembra essere l�intenzione del legislatore 
in senso soggettivo) la tutela in forma specifica costituita dalla reintegra nel posto 
di lavoro. A completamento di un complesso disegno di cui fanno parte anche interventi di 
modifica del sistema degli arnmortizzatori sociali e una nuova regolamentazione di alcune figure 
contrattuali (lavoro subordinate a termine, lavoro a progetto, associazione in partecipazione) 
tesa a ridurre la c.d. flessibilit� in entrata nel mercato del lavoro, l�art. 1, commi 47 e 
ss. ha introdotto un rito speciale accelerato, costituito da una fase a cognizione sommaria e 
da una eventuale fase successiva a cognizione piena per decidere le controversie in tema di 
impugnazione dei licenziamenti ai sensi dell'art. 18 St. lav. 
A monte, i commi 7 e 8 dello stesso art. 1, con una formulazione piuttosto anodina, si sono 
posti il problema dell'applicazione della riforma nel suo complesso ai rapporti di pubblico 
impiego, stabilendo the "7. Le disposizioni della presente legge, per quanto da esse non 
espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro 
dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificcizioni, in coerenza con quanto disposto 
dall'articolo 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo. Restano ferme le previsioni di cui 
all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo. 8. Al fine dell'applicazione del comma 7 il 
Ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali 
maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individua 
e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalitt� e i tempi di 
armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche" . Tale 
enunciazione di principio, con le cautele imposte dalla cognizione sommaria che caratterizza 
la sede e peraltro da una prima lettura che vede gi� confrontarsi posizioni molto diverse in 
dottrina, manifesta l'intento (in contraddizione con la tendenza sviluppata sin dalla legge-delega 
421/1992 ma in sintonia con l'assetto attuale di molti aspetti della relazione lavorativa 
pubblica) di approvare un corpo di norme speciali per la disciplina dei rapporti di pubblico 
impiego c.d. privatizzato pur nell'ottica di recepire i principi-cardine della novella attraverso 
un confronto con le OO.SS. Si pone, - dunque il problema - nelle more dell'approvazione di 
questa ulteriore novella di individuare i parametri sostanziali e processuali di riferimento per 
la regolamentazione delle vicende che cadono, a partire dal 18 luglio 2012, sotto l'impero dell'attuale 
legislazione. 
Sulla base di queste premesse, ritiene lo scrivente che, allo stato, non possa negarsi l'applicazione 
ai rapporti di lavoro pubblico della disciplina attualmente vigente in materia di licenziamenti 
dal punto di vista sia sostanziale che processuale. Depone in tal senso l'art. 51 del 
d.lgs. 165/2001 (T.U.P.I.) che stabilisce che "Il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni 
pubbliche � disciplinato secondo le disposizioni degli articoli 2, commi 2 e 3, e 3, 
comma 1. La legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica 
alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti". 
Il rinvio allo statuto dei lavoratori, per quel che interessa in materia di licenziamento, � operato, 
infatti, con l'utilizzo della tecnica del rinvio mobile che recepisce il contenuto di norme 
collocate in altre fonti adeguandosi automaticamente all'evoluzione delle medesime, dal che 
consegue l'applicazione del nuovo art. 18 St lav. (e del rito speciale che il predetto articolo richiama) 
anche al pubblico impiego privatizzato. La tesi opposta, propugnata da una parte 
della dottrina, poggia sull'assunto - non secondario dell'intenzione sopra lumeggiata di dettare 
norme speciali in materia, ma non spiega come sia possibile, a fronte di una lettera cos� chiara 
che la riforma non ha corretto n� intaccato, dettando disposizioni transitorie, considerare il 
rinvio di tipo recettizio e, per l'effetto, porre a base delle decisioni sui licenziamenti pubblici 
il vecchio art. 18 St. lav. abrogato dalla legge 92/12, determinandone una sopravvivenza a 
tempo indeterminato che la norma sopra riportata e la carenza di una espressa salvezza delle 
disposizioni precedenti paiono inequivocabilmente escludere. 
La legittimit� del licenziamento oggetto di causa, intimato il 29 agosto 2012 nella piena vigenza 
della riforma dovr�, dunque, essere vagliata alla luce del nuovo art. 18 St. lav. e la presente 
controversia, nella fase di merito, andr� trattata con il rito speciale imposto dall'art. 1, 
commi 47 e ss. della legge 92/2012 a tutela dell'interesse di entrambe le parti alla celere definizione 
del giudizio. Detto rito, infatti, a differenza di quello - disegnato dagli artt. 702 - bis 
e ss. c.p.c. non ha carattere opzionale e non �, perci�, a disposiziorte della parte che, sull'assunto 
di una prognosi di sommariet� dell'istruttoria, abbia interesse a velocizzare la causa, 
ma � funzionale all'interesse pubblico ad una risposta rapida che la Giustizia deve dare in ordine 
alla prosecuzione del rapporto. 
Dalle consideraziorti che precedono discende che il presente ricorso d'urgenza formalmente
CONTENZIOSO NAZIONALE 159 
ammissibile giacch� il rito celere-sommario, non presupponendo il vaglio del periculum in 
mora ed essendo preordinato alla formazione di un giudicato, � una species del rito ordinario 
del lavoro e non pu� quindi considerarsi sostitutivo della tutela cautelare. Deve, quindi, convenirsi 
con la difesa del ricorrente che, nel caso in esame, non difetta la residualit� del mezzo 
che la tutela cautelare atipica dell'art. 700 c.p.c. richiede giacch� non esistono altri strumenti 
omogenei preordinati ad assicurare l'anticipazione, interinale ed urgente, della reintegraziorte 
pretendibile in sede di merito attraverso il rito speciale. 
Cionondimeno, della tutela cautelare, come prima e pi� di prima essendo il processo di merito 
incanalato su una corsia veloce, devono sussistere tutti i presupposti, a partire da quello pi� 
qualificante costituito proprio dal pericolo irnminente ed attuale di un pregiudizio grave ed 
irreparabile che potrebbe rendere inutile la sentenza emessa al termine del giudizio di merito. 
Nel caso in esame, di contro, il R. invoca la reintegrazione non articolando alcuna deduzione 
atta ad illuminarne l'urgenza, limitandosi a richiamare l'orientamento giurisprudenziale che 
associa alla perdita del posto di lavoro un periculum in re ipsa. Sul punto va osservato che la 
giurisprudenza di questo Tribunale, in armonia con il maggioritario orientamento del Giudici 
di merito, ha costantemente sancito che anche nel caso di perdita del posto di lavoro, chi ricorre 
all'A.G.O. deve allegare ed offrire la prova dell' esistenza di circostanze atte a dimostrare 
che il tempo necessario per il tramite del rito ordinario (ma ora attraverso il rito veloce) a riallacciare 
il rapporto � in grado di procurare conseguenze irreparabili a chi lo invoca. Ci� significa, 
nella pi� semplice delle ipotesi, che il ricorrente deve quantomeno offrire un quadro 
completo della propria situazione patrimoniale e cos� dimostrare l'urgenza della reintegra adducendo 
che non dispone di fonti di reddito alternative al posto di lavoro che ha perduto sufficienti 
a garantire il mantenimento proprio e della propria famiglia. 
Nel caso in esame, l'assoluta carenza di allegazioni e produzioni documentali sul punto non 
pu� che fare deporre in direzione della mancanza del requisito dell'urgenza che, peraltro, doveva 
essere argomentato tenendo conto che non � pi� possibile poggiare sull'assunto dei tempi 
lunghi di un processo strutturato per essere rapido e deformalizzato. Nulla sposta il precedente 
giurisprudenziale di questo Ufficio, risalente peraltro ad oltre sei anni fa, nel quale, a differenza 
di quanto ipotizzato dalla difesa del ricorrente, si argomentava della sussistenza dell'urgenza 
anche in base ad un compendio fattuale attinente la situaz�one patrimoniale del lavoratore e 
della sua famiglia di cui nel caso che ci occupa non v'� traccia. Del resto, solo una qualificata 
urgenza, tale cio� da non potete attendere neppure i ristretti termini di emissione dell'ordinanza 
prevista dall'art. 1, comma 51, della legge 92/2012 potrebbe giustificare - unicum nel nostro 
ordinamento - l'apposizione del primo tassello d� un giudizio potenzialmente composto da 
una concatenazione di ben sei distinte fasi processuali di cui tre a cognizione sommaria (700, 
reclamo al Collegio, fase sommaria del giudizio celere, opposizione a cognizione piena, reclamo 
alla Corte d'Appello, giudizio di legittimit� dinanzi alla S.C.). 
Il ricorso cautelare va, dunque, rigettato, assorbita ogni considerazione sul fumus boni juris, 
per difetto di periculum in mora. 
Non pu� accedersi, da ultimo, alla richiesta subordinata avanzata dal R. nel verbale di udienza 
del 9 ottobre 2012 di trattare il procedimento "direttamente" con il rito Fornero: a ci� osta, all'evidenza, 
sia il conflitto logico con la sopra argomentata ammissibilit� della tutela cautelare 
richiesta proprio dal ricorrente sia l'impossibilit� di applicare in via analogica in questo caso 
le disposizioni sul mutamento di rito (artt. 426-427 c.p.c. e 4 d.lgs. 150/2011) che sono dettate 
allo scopo di consentire la correzione dell�errore di impostazione dell'azione di merito tesa 
ad ottenere la definizione di una controversia con la formaziorte di un giudicato e non ad ot-
160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
tenere un'improponibile osmosi tra forme di tutela (cautelare e di merito) strutturalmente differentti. 
Le considerazioni sopra esposte determirtano la reiezione del ricorso. L'assoluta peculiarit� 
"cronologica" della fattispecie, tra i primi casi verificatisi in un contesto di grande incertezza 
dal punto di vista normativo sostanziale e processuale, costituisce una ragione grave ed eccezionale, 
ai sensi dell'attuale art. 92 c.p.c. per dichiarare integrabnente compensate tra le parti 
le spese della presente fase. 
PQM 
Visti gli artt. 669 bis e seguenti e 700 c.p.c.; 
- respinge il ricorso; 
- compensa le spese. 
Si comunichi. 
Perugia, 9 novembre 2012
CONTENZIOSO NAZIONALE 161 
Art. 143, comma 11, T.U.E.L. 
Un breve appunto e una sentenza di conferma 
(TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, sent. 15 ottobre 2012, n. 2005) 
�L�art. 143 T.U.E.L., come novellato dall�art. 2, comma 30, della legge 
15 luglio 2009, n. 94, prevede che �Fatta salva ogni altra misura interdittiva 
ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle 
condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo 
non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e 
circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l�ente 
interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo 
allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilit� sia dichiarata 
con provvedimento definitivo. Ai fini della dichiarazione d�incandidabilit� il 
Ministro dell�interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al 
comma 4 al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli 
elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella 
proposta stessa. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al 
libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile�. 
La giurisprudenza, formatasi nel breve arco temporale di vigenza della 
prefata disposizione, ha evidenziato che l�ipotesi di incandidabilit� disciplinata 
all�art. 143, comma 11, T.U.E.L. presenta �presupposti, funzione ed effetti non 
assimilabili a quelli di cui all�ipotesi contemplata dall�art. 58 del medesimo 
T.U.E.L.� (cfr. provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria del 14 marzo 
2011); pi� in particolare, la giurisprudenza ha osservato che mentre l�incandidabilit� 
di cui all�art. 58 del T.U.E.L. consegue automaticamente al verificarsi 
dei presupposti enucleati dalla legge (sentenza di condanna definitiva per determinati 
delitti, applicazione di misure di prevenzione con provvedimento definitivo) 
e limita considerevolmente il diritto di elettorato passivo in quanto 
opera senza limiti di tempo ed � esclusa solo se � concessa la riabilitazione ai 
sensi dell�art. 178 c.p., l�incandidabilit� di cui all�art. 143, comma 11, T.U.E.L. 
�deve essere dichiarata con un provvedimento definitivo di carattere giurisdizionale�, 
� limitata, sotto il profilo temporale, al primo turno elettorale successivo 
allo scioglimento e, da un punto di vista spaziale, alle elezioni regionali, 
provinciali, comunali e circoscrizionali relative al territorio regionale in cui si 
trova l�ente locale il cui consiglio sia stato attinto dal provvedimento dissolutorio, 
ed � infine correlata non alla condanna definitiva per specifici titoli di 
reato (ovvero alla applicazione, sempre con provvedimento definitivo, di misure 
di prevenzione) �bens� a condotte, in ipotesi non contestate in sede penale, 
che abbiano dato causa allo scioglimento del consiglio dell�ente locale� (cfr. 
provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria, sopra menzionato). 
Alla luce di quanto sopra, ben si comprende il motivo per il quale il legisla-
162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
tore ha previsto che l�incandidabilit� di cui all�art. 143, comma 11, del T.U.E.L. 
debba essere dichiarata con provvedimento definitivo di carattere giurisdizionale. 
Occorre, a questo punto, stabilire quando il provvedimento di cui sopra 
diventi definitivo e, conseguentemente, a quali e quanti mezzi di impugnazione 
sia assoggettabile il provvedimento reso dal Tribunale. 
L�art. 143, comma 11, del T.U.E.L. prevede che al relativo giudizio si 
�applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al libro IV, titolo II, 
capo VI, del codice di procedura civile�; vengono, pertanto, in rilievo gli articoli 
737 e seguenti del codice di procedura civile. 
Di particolare interesse, risultano, ai fini che ci occupano, le disposizioni 
di cui all�art. 739 c.p.c. secondo le quali �� Contro i decreti pronunciati dal 
tribunale in camera di consiglio in primo grado si pu� proporre reclamo con 
ricorso alla Corte d'appello, che pronuncia anch'essa in camera di consiglio. 
Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla 
comunicazione del decreto se � dato in confronto di una sola parte, o dalla 
notificazione se � dato in confronto di pi� parti. Salvo che la legge disponga 
altrimenti, non � ammesso reclamo contro i decreti della Corte d'appello��. 
In forza delle predette previsioni, sembrerebbe doversi concludere che il 
provvedimento del Tribunale, che dichiari l�incandidabilit� di un soggetto ai sensi 
dell�art. 143, comma 11, del T.U.E.L., diventi definitivo in caso di mancata proposizione 
del reclamo nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione 
dello stesso ovvero quando il provvedimento di primo grado (come nel caso che 
ci occupa) sia stato confermato dalla Corte di Appello adita in sede di reclamo. 
Trattasi di conclusione che non pu�, tuttavia, ritenersi corretta per le ragioni 
che seguono. 
La Corte di Cassazione ha, in diverse occasioni, affermato l�ammissibilit� 
del ricorso per Cassazione ai sensi dell�art. 111, comma 7, Cost., avverso quei 
provvedimenti, relativi a diritti soggettivi ed a status, che siano stati emessi 
all'esito di una procedura contenziosa in camera di consiglio (cfr., tra le altre, 
Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza del 18 novembre 2008, n. 
28873 relativa al giudizio avente ad oggetto il riconoscimento dello status di 
apolide; Corte di Cassazione, sentenze 20 dicembre 2007 n. 26822, 15 gennaio 
2007 n. 747, relative allo status di rifugiato politico ed ai provvedimenti che 
lo riconoscono). 
La predetta ricorribilit� in Cassazione � stata, invece, esclusa con riferimento 
a provvedimenti di volontaria giurisdizione, emessi cio� in procedimenti 
non contenziosi (cfr., tra le altre, Corte di Cassazione, sentenze 5 
febbraio 2008 n. 2576, 4 novembre 2003 n. 16568, 7 maggio 1998 n. 4614). 
Orbene, non � revocabile in dubbio che il provvedimento giurisdizionale, 
con il quale venga dichiarata l�incandidabilit� di un soggetto ai sensi dell�art. 
143, comma 11, del T.U.E.L., abbia natura decisoria, incida su interessi di 
rango costituzionale (il diritto di elettorato passivo, da un lato, e l�interesse al
CONTENZIOSO NAZIONALE 163 
buon andamento della Pubblica Amministrazione, dall�altro) e sia emesso all�esito 
di una procedura contenziosa, sebbene svolta nelle forme dei procedimenti 
in camera di consiglio. 
Quanto al primo profilo, la natura decisoria del provvedimento in argomento 
trova conferma nelle motivazioni del provvedimento reso dalla Corte di 
Appello di Palermo in data odierna; alle pagine 3 e 4, infatti, il Giudice di appello 
palermitano richiama espressamente la giurisprudenza di legittimit� che ritiene 
compatibili le regole del rito camerale con provvedimenti �che presuppongono 
una fase contenziosa e sfociano in un provvedimento di natura decisoria�. 
Quanto, poi, al terzo profilo (non abbisognando il secondo di ulteriori 
considerazioni), giova osservare, proprio con riferimento al giudizio che ha 
riguardato l�On.le (...), che sia il Tribunale di Marsala che la Corte di Appello 
di Palermo hanno riconosciuto inequivocabilmente la natura contenziosa del 
procedimento, assicurando il pi� ampio contraddittorio tra le parti con la concessione, 
all�uopo, di seppure brevi differimenti dello svolgimento dell�udienza 
camerale ai fini del deposito di memorie e repliche scritte. 
Per completezza, si evidenzia che non potrebbe pervenirsi a diversa conclusione 
facendo leva sulla previsione di cui all�art. 741 c.p.c. a tenore del 
quale �I decreti acquistano efficacia quando sono decorsi i termini di cui agli 
articoli precedenti senza che sia stato proposto reclamo�. 
Non bisogna, infatti, confondere l�efficacia ovvero l�esecutoriet� di un 
provvedimento giurisdizionale con la definitivit� dello stesso. 
A quest�ultimo proposito, giova richiamare quanto concordemente affermato 
dall�Avvocatura Generale dello Stato e dal Consiglio di Stato - Sezione 
I Consultiva, in ordine al quesito, posto dal Ministero dell�Interno, circa la 
possibilit� di procedere allo scioglimento del consiglio comunale ai sensi dell�art. 
141, comma 1, lett. B, n. 1, e comma 3, del T.U.E.L., subito dopo la sentenza 
con la quale la Corte di Appello abbia dichiarato l�incandidabilit� del 
sindaco, senza attendere la pronuncia definitiva della Corte di Cassazione. 
In merito, entrambi gli Organi consultivi hanno ritenuto che �non possa 
sostenersi l�equiparabilit� della �esecutoriet�� della sentenza di accertamento 
di una condizione di incandidabilit� alla �definitivit�� della decisione�, 
evidenziando che �solo la sentenza passata in giudicato o la sentenza 
di ultima istanza determina un accertamento irretrattabile, mentre tale non � 
la sentenza (ancorch� esecutiva) soggetta a ricorso ad una istanza giurisdizionale 
superiore� (cfr. Avvocatura Generale dello Stato, parere del 19 febbraio 
2002, prot. n. 15967/57 e Consiglio di Stato, Sez. I, parere n. 1392/02 
del 22 maggio 2002). 
Si resta a disposizione per ogni ulteriore chiarimento. 
Roma, 4 maggio 2012 
Maurizio Borgo�
164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
Tar Sicilia, Palermo, Sezione Seconda, sentenza del 15 ottobre 2012 n. 2005 - Pres. Giamportone, 
Est. Cavallo. 
(...) 
1. Nei giorni 6 e 7 maggio 2012 si � svolta la competizione elettorale per il rinnovo del Sindaco 
e del Consiglio Comunale di Cefal�, che ha visto vincitore il sig. R.L. con 3325 voti validi. 
Tra i candidati per il posto di primo cittadino concorrevano anche, tra gli altri, E.C., odierno 
ricorrente e secondo classificato con 2190 voti validi, e V.S., gi� Sindaco del Comune siciliano 
di Salemi, che ha ottenuto 1621 voti. 
2. Il prof. C., unitamente al candidato al consiglio comunale G.S., in data 14 giugno 2012 ha 
depositato presso questo Tribunale Amministrativo Regionale un ricorso ai sensi dell'art. 130 
c.p.a., chiedendo la declaratoria di nullit� delle operazioni elettorali e l'annullamento di tutti 
gli atti del relativo procedimento, nonch� la rinnovazione delle operazioni elettorali e quindi, 
in finale, la ripetizione delle elezioni. 
Il motivo posto a fondamento della suddetta richiesta risiede nella pretesa alterazione delle 
operazioni elettorali, e quindi, da ultimo, del risultato finale, a causa della partecipazione del 
prof. V.S. alla competizione elettorale. 
Sostengono infatti i ricorrenti che S. non avrebbe potuto partecipare alla tornata elettorale, in 
quanto dichiarato incandidabile ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 143, comma 11, del 
D.Lgs. n. 267 del 2000 (Testo Unico degli Enti Locali - T.U.E.L.), per ragioni connesse alla 
sua precedente qualit� di sindaco del Comune di Salemi, il cui consiglio comunale, con D.P.R. 
del 30 marzo 2012, � stato sciolto per infiltrazioni mafiose. 
Ed allora, a detta del C., stante il chiaro tenore della disposizione sopra citata, che vieta la 
partecipazione - nel territorio regionale interessato - al primo turno elettorale successivo allo 
scioglimento del consiglio comunale qualora l'incandidabilit� sia dichiarata con provvedimento 
definitivo, S. non avrebbe sicuramente potuto prender parte alla competizione elettorale, 
posto che il Tribunale di Marsala, con Provv. del 20 aprile 2012, lo ha dichiarato "incandidabile" 
per le prime elezioni siciliane successive al decreto di scioglimento del Comune di Salemi 
(quindi, anche per quelle in corso a Cefal�), e che tale provvedimento � stato confermato 
con decreto della I Sezione della Corte di Appello di Palermo del 3 maggio 2012. 
I ricorrenti sostengono che il provvedimento della Corte d'Appello sia definitivo, per il combinato 
disposto degli artt. 739 e 741 c.p.c., ossia della normativa processuale applicabile al 
giudizio per la declaratoria di incandidabilit�; di conseguenza, S. non avrebbe potuto prender 
parte alle elezioni, che avrebbero dovuto essere rinviate per cause di forza maggiore ex art. 
8, comma 4, del D.P. reg. n. 3/1960, come pure chiesto dalla Prefettura di Palermo all'Assessorato 
Regionale delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica, responsabile delle elezioni, 
che invece non aveva accolto tale richiesta. 
A detta dei ricorrenti il solo fatto della presenza del nominativo dell'incandidabile V.S. nei 
manifesti ma soprattutto nelle schede elettorali, avrebbe alterato senza rimedio la competizione 
elettorale, in quanto i cittadini di Cefal� avrebbero potuto votare, come in effetti hanno fatto 
in una cospicua percentuale (circa il 16% dei voti espressi), per un soggetto dichiarato non 
candidabile prima dello svolgimento delle elezioni, e questo senza che la maggior parte di 
loro fosse debitamente informata della circostanza. 
Il voto espresso per S., pertanto, sarebbe nullo ab origine, in quanto una parte dei cittadini di 
Cefal� sarebbe stata indotta a votare per un soggetto il cui nome era stampigliato sulla scheda 
come candidato Sindaco, ma che al momento dello svolgimento delle elezioni non aveva la 
capacit� soggettiva per farlo.
CONTENZIOSO NAZIONALE 165 
Chi � incandidabile, infatti, non pu� prendere parte fin dall'inizio della procedura alla competizione 
elettorale, come pi� volte ribadito dalla giurisprudenza, anche siciliana, richiamata 
diffusamente nel ricorso. 
Non essendosi invece bloccate le elezioni, i voti poi andati a S. (ben 1621), nonch� quelli attribuiti 
alle liste elettorali con lui collegate (che hanno ottenuto 3 seggi in consiglio comunale), 
sarebbero da considerare nulli, con evidente alterazione del risultato elettorale, tale da legittimarne 
l'annullamento e la conseguente ripetizione delle elezioni. 
3. Con decreto presidenziale dell'8 giugno 2012, veniva fissata l'udienza per la discussione al 
9 ottobre 2012 e ordinate le notifiche dello stesso alle parti resistenti e controinteressate. 
4. Il 28 giugno 2012 si � costituito il Comune di Cefal�, chiedendo la conferma del risultato 
elettorale e dei provvedimenti impugnati. 
4.1. In via preliminare, il Comune ha eccepito l'inammissibilit� del ricorso per difetto di litisconsorzio 
necessario, a causa della mancata vocatio in ius del Ministero dell'Interno e della 
Prefettura, quest'ultima, in particolare, per esser titolare del potere di adottare misure interdittive 
dello svolgimento delle elezioni, ai sensi dell'art. 143 T.U.E.L. 
4.2. In secondo luogo, ha prospettato l'infondatezza del ricorso sotto il profilo della inesistenza 
di un provvedimento definitivo di incandidabilit� di V.S.. 
Tale non sarebbe, infatti, quello pronunciato dal Tribunale di Marsala il 20 aprile 2012, in 
quanto lo stesso era stato oggetto di reclamo, da parte di S., davanti alla Corte d'Appello, sicch� 
le note dell'Assessorato che confermavano il prossimo svolgimento delle elezioni, impugnate 
anch'esse con il ricorso introduttivo, sarebbero da ritenersi perfettamente legittime. 
Ma neppure il decreto della Corte d'Appello di Palermo, del 3 maggio 2012, avrebbe potuto 
considerarsi tale, posto che avverso lo stesso � possibile il ricorso straordinario in Cassazione 
ex art. 111 Cost., ricorso che, stando a quanto affermato dal Comune medesimo, � stato proposto 
dal prof. S., sia pur dopo le elezioni. 
In ogni caso, a detta dell'ente resistente, il decreto della Corte d'Appello non sarebbe stato notificato 
o comunicato all'Assessorato regionale competente, e sarebbe, sotto questo profilo, 
privo di efficacia. 
4.2.2. In subordine a tale prospettazione, il Comune ha chiesto la sospensione del processo 
ex art. 295 c.p.c., proprio per via della pendenza del ricorso in cassazione. 
4.3.Infine, e solo per il caso di accoglimento della tesi dei ricorrenti sulla incandidabilit� di V.S., 
la parte resistente ha lungamente articolato in ordine alla circoscrivibilit� degli effetti di detta 
incandidabilit� ai soli voti ottenuti da S. e dalla liste a lui collegate, senza che possa configurarsi 
alterazione alcuna del risultato elettorale finale e dei voti ottenuti dal sindaco eletto, R.L.. 
5. Con memoria depositata il 29 giugno 2012, si � costituita l'Avvocatura dello Stato di Palermo, 
eccependo, preliminarmente, il difetto di legittimazione passiva delle Amministrazioni 
intimate, in quanto l'art. 130 c.p.a. e la giurisprudenza hanno dato risalto al criterio di imputazione 
sostanziale, e non formale, degli effetti della competizione elettorale, sicch� le parti 
pubbliche (nella specie, Assessorato, Ufficio Centrale Elettorale e Commissione elettorale 
circoscrizionale) non avrebbero alcun ruolo e alcun interesse nella procedura conclusa, n�, 
tantomeno, nel giudizio incardinato davanti al T.a.r. 
5.1. Piuttosto, il ricorso sarebbe inammissibile in quanto non notificato all'unico vero controinteressato, 
della cui incandidabilit� si sta trattando, ossia il prof. V.S.. 
5.2. Nel merito, la difesa erariale, dopo aver efficacemente riepilogato i fatti alla base dell'odierno 
giudizio, ha sostenuto la legittimit� della decisione dell'Assessorato Regionale delle 
Autonomie Locali e della Funzione Pubblica di non sospendere o bloccare i comizi elettorali
166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
in forza dell'art. 8 del D.P. Reg. n. 3 del 1960, che prevede a fondamento del rinvio solo " sopravvenute 
cause di forza maggiore". 
Inoltre, esaminando il procedimento "atipico" di cui all'art. 143 T.U.E.L., l'Avvocatura ha evidenziato 
come decisiva, ai fini della decisione del giudizio, sia la valutazione sulla misura in 
cui i decreti del Tribunale di Marsala prima, e della Corte d'Appello poi, possano ritenersi 
idonei a confermare la dedotta non candidabilit� del prof. S., ovvero se, sulla base di quelle 
due pronunce di merito, possa ritenersi definitivamente accertata l'esistenza di adeguati presupposti 
alla declaratoria di incandidabilit� dello S. alle prime elezioni successive. 
La circostanza che l'accertamento della Corte d'Appello riguardi uno status personale, collegato 
alla responsabilit� delle condotte poste in essere come membri del disciolto consiglio 
comunale, renderebbe dunque ammissibile l'esistenza di un terzo grado di giudizio, e, di conseguenza, 
ricollegabile solo all'ultima pronuncia la connotazione di "definitivit�", ai sensi e 
per gli effetti di cui al comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L. 
In conclusione, alla data delle elezioni, S. - essendo ancora in termini per fare ricorso in Cassazione, 
successivamente presentato - non poteva considerarsi incandidabile in via definitiva. 
6. Con memoria depositata il 30 giugno 2012, si � costituito il Sindaco eletto R.L., che ha anch'egli 
incentrato le proprie difese sulla non definitivit� del provvedimento della Corte d'Appello 
del 3 maggio 2012, che dichiarava S. incandidabile. 
6.1. Ha altres� aggiunto che, alla data ultima fissata per la presentazione delle candidature (11 
aprile 2012), il prof. S. era perfettamente candidabile, in quanto il decreto del Tribunale di Marsala 
interveniva solo il 20 aprile 2012, e quello della Corte d'Appello il 3 maggio successivo. 
6.2. Infine, ha chiesto la declaratoria di inammissibilit� del ricorso per difetto di interesse in 
relazione alla impossibilit� del travolgimento dell'intero risultato elettorale per la partecipazione 
di un soggetto incandidabile, e in relazione al mancato superamento della prova di resistenza, 
ed anche l'inammissibilit� della domanda relativa alla rinnovazione delle operazioni 
elettorali a partire dal momento della asserita illegittima ammissione della candidatura di V.S.. 
7. Con memoria depositata il 21 settembre 2012, i ricorrenti hanno, preliminarmente, prospettato 
l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilit� formulata dall'Avvocatura dello Stato 
circa la mancata notificazione del ricorso al candidato S.. 
Quest'ultimo, infatti, non avrebbe conseguito dall'accoglimento del ricorso alcun pregiudizio, 
non essendo beneficiario del provvedimento impugnato. Per questo motivo, egli non pu� ritenersi 
parte necessaria nel giudizio. 
7.1. Pure l'eccezione di inammissibilit� per mancata evocazione in giudizio della Prefettura e 
del Ministero dell'Interno � stata ritenuta infondata, anche in ragione del fatto che le funzioni 
di quest'ultimo sono svolte, in Sicilia, dall'Assessorato regionale delle Autonomie Locali e 
della Funzione Pubblica, debitamente citato. 
7.2. In ordine al mancato superamento della prova di resistenza, i ricorrenti hanno evidenziato 
che l'azione di annullamento � proposta anche da G.S., in qualit� di candidato al consiglio comunale 
ed elettore del Comune di Cefal�. 
7.3. Nel merito, hanno prospettato l'infondatezza delle difese avversarie in ordine sia alla 
mancata tempestiva comunicazione del decreto della Corte d'Appello di Palermo (avvenuta 
il 5 maggio 2012), sia alla definitivit� del decreto della Corte d'Appello, quest'ultimo riferibile 
al rilievo della incandidabilit� per la sola tornata elettorale del 6 e 7 maggio 2012, proprio 
quella interessata anche dalle elezioni per l'elezione del Sindaco di Cefal�. 
D'altra parte, non avrebbe senso la previsione di un procedimento rapido per l'accertamento della 
incandidabilit� se poi fosse possibile proporre ricorso per Cassazione avverso la decisione del
CONTENZIOSO NAZIONALE 167 
reclamo da parte della Corte d'Appello, considerando i tempi assai pi� lunghi di tale giudizio. 
In pratica, per la difesa dei ricorrenti, la rapidit� del procedimento giurisdizionale contemplato 
dall'art. 143 comma 11 T.U.E.L. sarebbe posta a garanzia dell'interesse della collettivit� a non 
essere amministrata da soggetti rei di condotte che hanno dato causa allo scioglimento degli organi 
rappresentativi, e anche del soggetto colpito dalla declaratoria di incandidabilit�, che vede 
rapidamente definita la propria situazione relativa all'esercizio del diritto di elettorato passivo. 
Tutto questo, invece, verrebbe vanificato accedendo alla tesi della non definitivit� del provvedimento 
camerale di secondo grado. 
8. Con memoria depositata il 28 settembre 2012, L. ha replicato alle affermazioni avversarie 
circa la non ricorribilit� in Cassazione del decreto della Corte d'Appello, in quanto i procedimenti 
camerali contenziosi, quale quello in oggetto, mirando alla soluzione di conflitti su 
diritti soggettivi, possono sfociare in provvedimenti che sono idonei al giudicato, e come tali 
impugnabili per Cassazione. 
Non vi sarebbe dubbio, pertanto, che l'accertamento dell'esistenza del diritto all'elettorato passivo 
rientri nel novero di tali situazioni. 
8.1. Con la stessa memoria, si � replicato alle ulteriori contestazioni dei ricorrenti in ordine 
alle prospettazioni circa l'inammissibilit� del ricorso per mancato superamento della prova di 
resistenza e del difetto di interesse (cfr. supra, pt. 6.2.). 
9. Alla udienza pubblica del 9 ottobre 2012, il Comune resistente ha depositato l'avviso di 
cancelleria della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, relativo alla fissazione per 
il 14 novembre 2012 dell'udienza pubblica per la discussione del ricorso proposto da V.S. avverso 
il decreto della Corte d'Appello di Palermo. 
10. Il collegio, sentiti tutti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa per la decisione. 
DIRITTO 
1. Il Collegio prende in esame, preliminarmente, le eccezioni di rito e di merito presentate, a 
vario titolo, da tutte le parti resistenti costituite. 
Si tratta, nell'ordine di esame ritenuto logico da parte del giudicante, i) dell'eccezione di difetto 
di legittimazione passiva delle Amministrazioni intimate; ii) dell'inammissibilit� del ricorso 
per mancata vocatio in ius, in qualit� di parti necessarie del giudizio, del Ministero dell'Interno 
e della Prefettura nonch� iii) del prof. V.S.. 
La dedotta inammissibilit� del ricorso per difetto di interesse del ricorrente in relazione all'impossibilit� 
del travolgimento del risultato elettorale, ed in relazione al mancato superamento 
della prova di resistenza (cfr. supra pt. 6.2.), essendo strettamente collegata alla 
decisione del ricorso nel merito e, di conseguenza, irrilevante in caso di rigetto dello stesso, 
pur afferendo ad una condizione dell'azione, verr� esaminata dal collegio solo in caso di accoglimento 
dell'impugnativa. 
2. L'eccezione di difetto di legittimazione a resistere delle Amministrazioni intimate, prospettata 
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, � fondata solo in parte. 
Essa va sicuramente accolta con riguardo alla posizione dell'Ufficio Centrale Elettorale e della 
Commissione circoscrizionale, in quanto, per giurisprudenza pacifica e consolidata, tali uffici 
pubblici non sono centri di imputazione sostanziale degli interessi dedotti in giudizio e, quindi, 
non sono parti necessarie del relativo contenzioso. 
Gli uffici elettorali, in particolare, stante la loro natura di organi straordinari e temporanei in 
posizione neutra, investiti solo del compito di dichiarare la volont� del corpo elettorale, esauriscono 
la loro funzione con la proclamazione degli eletti, e quindi non sono direttamente o 
indirettamente toccati dall'esito del giudizio elettorale davanti al T.a.r.
168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
Infatti, l'art. 130 comma 3, c.p.a., prescrivendo che il ricorso relativo alle operazioni elettorali 
riguardanti le consultazioni amministrative debba essere notificato "all'ente della cui elezione 
si tratta", oltre che alle altre parti che vi abbiano interesse, individua quale unica parte pubblica 
necessaria l'ente locale interessato alle elezioni, cui vanno imputati i risultati elettorali ed al 
quale soltanto spetta la legittimazione passiva (ex plurimis Cons. Stato, 23 luglio 2010 n. 
4851; C.G.A. 18 maggio 2007 n. 396; T.a.r. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 10 luglio 2012 
n. 266; T.a.r. Sicilia, Palermo, sez. II, 05 marzo 2012, n. 494; T.a.r. Puglia, Bari, sez. I, 09 dicembre 
2010, n. 4115; T.a.r. Calabria, Catanzaro, 28 ottobre 2010, n. 2648; T.a.r. Piemonte, 
sez. I, 28 luglio 2010, n. 3136; T.a.r. Lombardia, Milano, sez. IV, 2 febbraio 2010, n. 231; 
T.a.r. Lazio, Latina, 29 gennaio 2010, n. 45). 
Deve essere, pertanto, dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'Ufficio Elettorale e 
della Commissione circoscrizionale, con estromissione degli stessi dal presente giudizio. 
2.1. Astrattamente, tale eccezione avrebbe dovuto essere accolta anche con riferimento all'Assessorato 
Regionale delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica, anch'esso evocato 
in giudizio e difeso dall'Avvocatura dello Stato, ed anch'esso ben lungi dall'essere centro di 
imputazione del risultato elettorale, nonostante il ruolo di primo piano svolto, in Sicilia, nella 
convocazione dei comizi elettorali e nella gestione dell'intero procedimento. 
Tuttavia, il collegio rileva che tra gli atti impugnati dai ricorrenti vi sono anche le note assessoriali 
prot. 64589 del 30 aprile 2012 e 65542 del 2 maggio 2012, a mezzo delle quali l'Assessorato, 
in risposta alle richieste della Prefettura che chiedeva lo slittamento della 
competizione elettorale ad altra data (a ci� a seguito del pronunciamento, del Tribunale di 
Marsala prima e della Corte d'Appello poi, sull'incandidabilit� di V.S.), confermava lo svolgimento 
delle elezioni nelle date del 6 e 7 maggio 2012. 
Dette note, ad avviso del collegio, sono state correttamente impugnate nel contesto del ricorso 
proposto dal prof. C. e dal sig. S. ai sensi dell'art. 130 c.p.a. 
Tale circostanza, pertanto, legittima la presenza in questo giudizio dell'Assessorato delle Autonomie 
Locali e della Funzione Pubblica, chiamato a difendere (come in effetti fa) il proprio 
operato, ed interessato alla reiezione del ricorso e alla conferma del risultato elettorale. 
D'altronde, quando il comma 3, lett. c) dell'art. 130 c.p.a. fa riferimento, ai fini della notifica 
del ricorso, alle " altre parti che vi hanno interesse, e comunque ad almeno un controinteressato", 
non pu� che riferirsi a parti il cui interesse all'esito del giudizio, trascendendo l'aspetto 
della mera aspettativa di fatto, si connoti da un punto di vista giuridico come interesse al mantenimento 
del risultato elettorale. 
Nel caso concreto, l'Assessorato regionale, con le note impugnate, ha ritenuto di non dover 
sospendere o procrastinare le elezioni in programma da l� a pochissimi giorni, negando la presenza 
delle "cause di forza maggiore" paventate dalla Prefettura di Palermo, che invece ne 
aveva sollecitato l'intervento. 
Considerando che la decisione assessoriale � strettamente collegata alla valutazione giuridica 
circa la candidabilit� o meno del prof. S., la cui peculiare posizione soggettiva - dopo i pronunciamenti 
dell'autorit� giudiziaria - non � stata ritenuta tale da integrare una causa di forza 
maggiore, risultano evidenti al collegio le ragioni di connessione tra i provvedimenti dell'Assessorato, 
oggetto del ricorso, e l'esito della competizione elettorale, anch'essa impugnato, 
sicch� sussiste l'interesse giuridicamente qualificato dell'Amministrazione regionale a veder 
confermata la bont� del proprio operato. 
Sotto questo profilo, pertanto, non pu� censurarsi la chiamata in giudizio dell'Assessorato da 
parte dei ricorrenti, che dunque resta parte del processo, anche ai fini della possibile condanna
CONTENZIOSO NAZIONALE 169 
alle spese e dell'esame delle eccezioni e prospettazioni contenute nei propri atti processuali. 
3. Chiarito quali siano le effettive parti del giudizio, il collegio passa all'esame delle eccezioni 
di inammissibilit� del ricorso per mancata notifica ad uno o pi� controinteressati. 
3.1. Il Comune ha prospettato la mancanza del litisconsorzio necessario con riferimento alla 
Prefettura di Palermo e al Ministero dell'Interno, in quanto titolari dello specifico potere di 
azione in materia elettorale, nonch�, stando al disposto del comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L., 
del potere di adottare "ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista". 
L'eccezione � del tutto infondata. 
Nel ribadire quanto gi� chiarito in ordine alle parti necessarie del giudizio elettorale, che sono 
solo quelle cui vanno imputati i risultati elettorali e che sono ora elencate dal Codice del Processo 
Amministrativo all'art. 130, il collegio sottolinea, da un lato, l'assoluta irrilevanza di 
eventuali e comunque non meglio tipizzati poteri del Prefetto in ordine al ricorso elettorale di 
cui di discute, sicch� la circostanza che, nel caso concreto, la Prefettura non sia intervenuta 
in alcun modo nella competizione elettorale, conferma la correttezza della scelta dei ricorrenti 
di non evocarla in giudizio; dall'altro, si ricorda che nella Regione Sicilia l'art. 8 del D.P. Reg. 
20 agosto 1960 n. 3 ("Approvazione del testo unico delle leggi per la elezione dei consigli 
comunali nella Regione Siciliana") ha attribuito all'Assessorato Regionale per gli Enti Locali 
tutti i poteri in ordine allo svolgimento delle competizioni elettorali, sicch� nella materia de 
qua il Ministero dell'Interno non ha alcun ruolo che renda sia pur astrattamente possibile la 
sua presenza in giudizio. 
3.2. Parimenti infondata � l'eccezione di inammissibilit� del ricorso, sollevata dalla difesa erariale, 
per la mancata notificazione dello stesso "all'unico vero controinteressato, ovvero il 
prof. V.S.", della cui incandidabilit� si starebbe controvertendo. 
Il collegio non pu� non evidenziare che il ricorso elettorale sottoposto alla sua attenzione non 
ha ad oggetto l'incandidabilit� di S. a Sindaco del Comune di Cefal� (come invece � accaduto 
nel giudizio davanti al tribunale di Marsala prima e alla Corte d'Appello di Palermo poi), 
bens� l'esito della competizione elettorale del 6 e 7 maggio 2012, nella quale il prof. S. si � 
classificato al terzo posto tra i soggetti candidati a ricoprire la carica di Sindaco di Cefal�. 
Quand'anche, in via incidentale ed ai fini della decisione del ricorso, questo collegio debba 
valutare la candidabilit� o meno dello S., ci� non lo qualifica come "controinteressato" ai 
sensi e per gli effetti di cui al combinato disposto degli artt. 130 e 41 c.p.a., giacch� il controinteressato 
� solo ed esclusivamente colui che ha un interesse sostanziale analogo e contrario 
a quello che legittima la proposizione del ricorso, e quindi, in concreto, il solo candidato 
eletto Sindaco e gli altri soggetti risultati vincitori della tornata elettorale (T.a.r. Sicilia, Catania, 
sez. I, ord., 17 novembre 2005, n. 425). 
Infatti, "solo i soggetti i quali ricevano un pregiudizio, attuale e diretto, dalla pronuncia di annullamento 
del risultato elettorale , sono titolari di un interesse processuale uguale e di segno 
contrario a quello del ricorrente, mentre la lesione subita dai candidati non eletti non � immediata 
e diretta: la situazione giuridica connessa all'aspettativa al subentro �, infatti, soltanto 
ipotetica ed eventuale, perci� non idonea a conferire la qualit� di controinteressato ma, semmai, 
quella di titolarit� di un interesse "di fatto" all'esito della controversia che legittima il 
soggetto a divenire parte processuale attraverso lo strumento dell'intervento in giudizio" (T.a.r. 
Molise, 26 giugno 1996, n. 231). 
Semmai il prof. S. potrebbe aver avuto interesse, in qualit� di cointeressato e analogamente 
ai ricorrenti, alla ripetizione delle operazioni elettorali, posto che egli, classificatosi al terzo 
posto, si trova in una situazione del tutto analoga a quella del C., con l'unica (rilevante) dif-
170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
ferenza che non avrebbe certamente sollevato questioni relative alla sua stessa pretesa incandidabilit�, 
status che egli - alla luce della vicenda giudiziaria che lo ha visto protagonista davanti 
agli organi di giustizia ordinaria - ha finora contestato. 
Al di l� di queste considerazioni, il collegio osserva che i ricorrenti hanno notificato il ricorso 
a ben ventiquattro effettivi controinteressati (consiglieri comunali eletti ed assessori nominati 
dal Sindaco), in linea con la lett. c) del comma 3 dell'art. 130 c.p.a., che fa riferimento " ad 
almeno un controinteressato". 
Inoltre, l'eventuale rilievo - da parte del collegio - della pretermissione di taluni controinteressati 
determina esclusivamente l'onere per il ricorrente di integrare il contraddittorio su richiesta 
del giudice, ai sensi dell'art. 41 c.p.a., ma non pu� comportare l'inammissibilit� del 
ricorso laddove si rilevi, come nel caso di specie, che almeno un altro controinteressato � stato 
evocato in giudizio. 
4. Il collegio passa all'esame del merito della vicenda sottoposta al suo giudizio, avendo cura 
di illustrarne il quadro normativo e processuale, poich� fondamentale ai fini della comprensione 
della stessa. 
L'art. 143 T.U.E.L. ("Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni 
di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. Responsabilit� dei dirigenti e dipendenti") 
disciplina, per l'appunto, la procedura di scioglimento degli organi elettivi degli enti 
locali interessati da fenomeni di criminalit� mafiosa. 
Il Comune di Salemi, in provincia di Trapani, di cui V.S. era stato Sindaco per alcuni anni, � 
stato sciolto con D.P.R. del 30 marzo 2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 20 aprile 
2012 S.O. n. 79. 
Pertanto, in base al comma 11 della medesima disposizione, introdotto con l'art. 2, comma 
30, della L. n. 94 del 2009, agli amministratori del Comune disciolto si sarebbe dovuta applicare 
la speciale disciplina sulla loro incandidabilit� per la prima tornata elettorale successiva 
allo scioglimento. 
Pi� precisamente, il comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L stabilisce che : "Fatta salva ogni altra 
misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle 
condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere 
candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella 
regione nel cui territorio si trova l'ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo 
turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilit� sia dichiarata 
con provvedimento definitivo. Ai fini della dichiarazione d'incandidabilit� il Ministro 
dell'interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente 
per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento 
agli amministratori indicati nella proposta stessa. Si applicano, in quanto compatibili, 
le procedure di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile". 
La disposizione prevede, dunque, una particolare ipotesi di responsabilit� "dirigenziale", applicabile 
ad ampio spettro sia ai dirigenti che ai membri degli organi elettivi degli enti locali 
disciolti. Tuttavia, lungi dal trattarsi di una responsabilit� "automatica", essa deve essere oggetto 
di accertamento in via definitiva da parte degli organi giurisdizionali a ci� preposti, in 
quanto sfocia nella sanzione della "incandidabilit�" - in ambito regionale - alle prime elezioni 
successive allo scioglimento dell'ente locale, impingendo quindi nella sfera soggettiva pi� intima 
dei candidati, in quanto ha ad oggetto il diritto di elettorato passivo, che, come � noto, � 
un diritto costituzionalmente garantito. 
L'accertamento della incandidabilit� � devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario, che
CONTENZIOSO NAZIONALE 171 
opera nell'ambito dei "procedimenti speciali" di cui al Libro IV del Codice di procedura civile 
(artt. 737 - 742 bis c.p.c.), e precisamente con il cd. rito camerale, caratterizzato da forme 
celeri di presentazione e decisione del ricorso, che avviene sempre in camera di consiglio, da 
parte del collegio. 
La scelta del legislatore di devolvere l'accertamento della incandidabilit� a tale particolare 
forma di procedimento giurisdizionale � collegata alla circostanza che essa si applica per tutti 
i procedimenti in materia di "famiglia e stato delle persone". 
Tuttavia, si fa notare sin d'ora che la disciplina de quo � richiamata dal comma 11 dell'art. 
143 "in quanto compatibile". 
5. Orbene, come pure sottolineato dalle difese di tutte le parti resistenti, che, al pari dei ricorrenti, 
hanno insistito lungamente sull'argomento, il punto nodale della presente vicenda giudiziaria 
� la questione relativa alla candidabilit� o meno del prof. V.S. alle elezioni per il 
rinnovo degli organi elettivi del Comune di Cefal�. 
Infatti, l'unico articolato motivo di ricorso da parte dei ricorrenti concerne la legittimit� di 
una competizione elettorale nella quale � stato presente, ottenendo il 16% dei voti validi, un 
soggetto che, a detta loro, non avrebbe potuto parteciparvi, sicch� il solo fatto che quasi un 
quinto degli elettori di C. si sia determinato a dargli il suo voto significa chiara alterazione 
degli equilibri in campo, della volont� e della libera autodeterminazione del corpo elettorale 
e quindi, in finale, di tutta la competizione svoltasi il 6 e 7 maggio 2012. 
A ci� aggiungendosi che alcuni esponenti delle liste che appoggiavano il suddetto candidato, 
odierni controinteressati non costituiti, siedono tuttora in consiglio comunale. 
� quindi evidente che diventa cruciale stabilire se il prof. S. fosse candidabile alle elezioni 
del Comune di Cefal�: se lo era, le elezioni sono valide; se non lo era, spetta a questo collegio 
annullarle. 
5.1. Il collegio rigetta il ricorso, in quanto ritiene che V.S. fosse candidabile alla data di svolgimento 
delle elezioni e che quindi le medesime siano valide. 
Sotto un primo profilo, va rilevato che nessun dubbio pu� sussistere in ordine al fatto che alla 
data di presentazione delle candidature (11 aprile 2012), il prof. S. fosse perfettamente candidabile, 
non essendo intervenuta alcuna pronuncia dell'autorit� giudiziaria, e non potendo in 
alcun modo attribuirsi valore retroattivo a quelle successivamente intervenute. 
5.2. Dovendo spostare l'analisi sulla candidabilit� al momento dello svolgimento delle elezioni 
e dovendo quindi incidentalmente valutare se a tale data il prof. S. fosse o meno candidabile, 
questo giudice si orienta per la prima delle due soluzioni, e questo in base all'attuale maggioritaria 
interpretazione giurisprudenziale circa la sottoponibilit� o meno del provvedimento della 
Corte d'Appello, emesso in sede di reclamo ai sensi dell'art. 739 c.p.c., ad un ulteriore grado di 
giudizio davanti alla Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 111, comma 7 della Costituzione. 
La normativa processuale richiamata, infatti, non contempla espressamente tale rimedio, ed 
anzi � caratterizzata da un regime di sostanziale revocabilit� che, ad una prima lettura, sembrerebbe 
escludere la possibilit� stessa di un giudicato formale e sostanziale, sicch�, sotto 
questo profilo, il provvedimento "definitivo" non potrebbe che essere quello del Tribunale, 
se non reclamato, o quello della Corte d'Appello in seconda istanza. 
Tuttavia, come si vedr�, nonostante il silenzio della legge, la giurisprudenza ha aperto il varco 
alla proposizione del ricorso straordinario in Cassazione, in particolari ipotesi. 
In sostanza, nel caso concreto, come debitamente illustrato nella parte in Fatto della presente 
sentenza, � la definitivit� o meno del provvedimento della Corte d'Appello di Palermo a determinare 
il consolidamento dello status di incandidabile del prof. S..
172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
Pertanto, poich� la proposizione, da parte di quest'ultimo, di ricorso in Cassazione avverso la 
decisione della Corte d'Appello del 3 maggio 2012 non consente di dedurre, in automatico, la 
non definitivit� della pronuncia di incandidabilit� (e questo perch� la Suprema Corte potrebbe 
ritenerlo non ammissibile), il collegio � chiamato a decidere in via incidentale, e senza nulla 
togliere rispetto al futuro decisum della Cassazione, circa la legittimit� o meno di un terzo 
grado di giudizio nella materia de qua, in quanto la risposta positiva a questo quesito determina, 
come conseguenza pressoch� automatica, quella di ritenere non definitivo il giudizio 
della Corte d'Appello e quindi, la candidabilit� del prof. S. alla data di svolgimento delle elezioni, 
che, conseguentemente, si sarebbero svolte in maniera del tutto legittima. 
5.3. Per arrivare alle conclusioni sopra accennate, � necessario illustrare, sia pure in maniera 
concisa, come si conviene a un provvedimento giurisdizionale, la materia di cui si sta trattando. 
Il procedimento giurisdizionale in camera di consiglio, di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c., � pacificamente 
utilizzato per ambiti assai diversi tra loro, assumendo la definizione di "contenitore 
neutro" da parte della dottrina pi� perspicace. 
In pratica, esso � utilizzato sia per la gestione di procedimenti cd. non contenziosi (la cd. volontaria 
giurisdizione, caratterizzata da funzioni giurisdizionali non necessarie e dalla gestione 
di interessi da parte del giudice, ovviamente nei casi previsti dalla legge), sia per la tutela giurisdizionale 
dei diritti e degli status, ambito rimesso necessariamente alla potest� di un magistrato 
e, normalmente, assoggettato alla cognizione piena, la quale costituisce la forma tipica 
nella quale assicurare la tutela dei diritti. 
Esistono, tuttavia, alcune eccezioni, in particolari materie e per particolari esigenze - soprattutto 
di celerit� della decisione - per cui la tutela di diritti e status � attribuita sempre all'autorit� 
giurisdizionale, ma attraverso la forma del procedimento speciale o sommario, la cui principale 
differenza sostanziale rispetto al procedimento a cognizione piena consiste nella astratta non 
attitudine al giudicato dei provvedimenti decisori emessi dal giudice. 
In poche parole, l'attitudine al giudicato formale e sostanziale (artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.) di 
cui si sostanziano le sentenze emesse al termine di un giudizio di cognizione ordinaria, � 
astrattamente assente per i provvedimenti emessi al termine del procedimento camerale di cui 
agli artt. 737 c.p.c. 
� innegabile per� che, fin dall'entrata in vigore del Codice di procedura civile, il processo di 
"cameralizzazione dei diritti" sia stato pressoch� continuo e massiccio, al punto che gi� nel 
1950 l'art. 51 della L. 14 luglio 1950, n. 581 aveva introdotto l'art. 742 bis, il quale stabilisce 
che " le disposizioni del presente capo si applicano a tutti i procedimenti in camera di consiglio, 
ancorch� non regolati dai capi precedenti o che non riguardino materia di famiglia o di 
stato delle persone". 
Tenuto conto della essenzialit� del procedimento camerale e, soprattutto, della astratta sua 
non attitudine a dare certezze assimilabili al giudicato formale e sostanziale (certamente ottenibili 
attraverso il procedimento a cognizione piena, destinato a sfociare in una sentenza), 
la dottrina maggioritaria ha costantemente ritenuto che la procedura ex artt. 737 e ss. da sola, 
mentre appare adeguata nei casi in cui, attraverso essa, si attua la gestione di interessi, risulta 
strutturalmente e funzionalmente inadeguata ad assicurare la tutela giurisdizionale dei diritti 
e degli status, in quanto da un lato non garantista (a causa della struttura procedimentale semplificata, 
della presenza di una istruttoria atipica quanto ai mezzi di prova ed informale quanto 
alle modalit� di espletamento, etc.), dall'altro perch� inidonea al giudicato (i decreti sono sempre 
revocabili ex art. 742 c.p.c.). 
Pertanto, sul piano ermeneutico la conseguenza per il giudice non pu� che essere che in pre-
CONTENZIOSO NAZIONALE 173 
senza di ipotesi in cui il legislatore ha richiamato, in tutto o in parte, il procedimento di cui 
agli artt. 737 e ss. per la tutela giurisdizionale dei diritti, � doveroso offrire l'interpretazione 
che risulti il pi� possibile conforme con l'esigenza, da un lato, di semplificazione-accelerazione 
di cui � espressione la scelta legislativa concretatasi con il ricorso allo schema camerale, dall'altro 
di garantire che il ricorso allo schema camerale non significhi messa al bando della 
possibilit� di avvalersi della cognizione piena. 
Sotto questo punto di vista, la non attitudine al giudicato costituisce sicuramente la criticit� 
maggiore. 
Infatti, poich� il combinato disposto degli artt. 739, comma 3 c.p.c. ("salvo che la legge disponga 
altrimenti, non � ammesso reclamo contro i decreti della corte d'appello e contro quelli 
del tribunale pronunciati in sede di reclamo") e 742 c.p.c. (" i decreti possono essere in ogni 
tempo modificati o revocati, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza 
di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca") delinea uno schema che esclude la 
possibilit� stessa di un provvedimento con caratteristiche di definitivit�, ne discende che esso 
appare adeguato nei casi in cui, attraverso il medesimo, si attui la gestione di interessi, ma � 
altres� evidente che esso � sostanzialmente entrato in crisi in concomitanza con la sua espansione 
applicativa, legata sia all'introduzione del citato art. 742 bis, sia con una serie di interventi 
legislativi " a pioggia", i quali, nel disciplinare nuovi procedimenti, hanno espressamente 
richiamato tutte o alcune delle disposizioni di cui agli artt. 737 e ss. 
Tale espansione applicativa ha significato l'utilizzo del procedimento camerale per la tutela 
di posizioni sostanziali di diritto soggettivo o status, ovvero di situazioni sostanziali su di essi 
pesantemente incidenti. 
In questo modo il quadro di fondo si � modificato, passandosi da una situazione iniziale nella 
quale si aveva una tendenziale coincidenza tra procedimento in camera di consiglio e tutela 
giurisdizionale di interessi, alla situazione odierna, caratterizzata da eccessiva frammentazione 
delle fattispecie e da un uso promiscuo del procedimento, per la tutela di situazioni sostanziali 
alquanto disomogenee, che vanno dalla gestione di interessi ad esclusiva rilevanza pubblicistica 
alla attuazione di diritti soggettivi violati, di obbligazioni civili classiche come di diritti 
della personalit�. 
Tra questi, il riferimento contenuto nel comma 11 dell'art. 143 del T.U.E.L. � sicuramente tra 
gli ultimi arrivati (la norma fu modificata nel 2009, introducendo per l'appunto il comma 11) 
e, per le implicazioni che pu� avere in ordine ai diritti coinvolti, come detto di rilievo costituzionale, 
sicuramente uno tra i pi� problematici. 
Infatti, la questione dell'incandidabilit� o meno di un cittadino alle competizioni elettorali, 
coinvolge aspetti strettamente personali, poich� incide sul diritto di elettorato passivo e, in 
qualche modo, anche sulla stessa reputazione e onorabilit� del soggetto coinvolto, ma al contempo 
tocca anche aspetti pubblicistici, pure di livello costituzionale, perch� � posta a garanzia 
del buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.) e, in finale, del diritto 
delle comunit� locali ad avere assicurato il diritto a votare per vedersi garantito un assetto politico 
quanto pi� possibile immune da contaminazioni e deviazioni di qualsiasi genere. 
5.4. Tornando al caso concreto, poich� sulla questione non esistono precedenti giurisprudenziali, 
il collegio non pu� che far riferimento all'evoluzione della giurisprudenza di legittimit� 
in materia di adeguamento dello schema camerale alle esigenze di tutela piena dei diritti soggettivi 
coinvolti nei procedimenti sommari, ed in particolare a quella giurisprudenza che ammette 
l'utilizzo del ricorso straordinario in cassazione per garantire almeno un grado di 
giudizio a cognizione piena e per salvare, al contempo, l'impianto codicistico da una declara-
174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
toria di incostituzionalit� per violazione dell'art. 111 Cost., che sin dalla sua versione originaria, 
prima delle modifiche di cui alla l. cost. 23 novembre 1999 n. 2 (Inserimento dei principi 
del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione), consentiva il ricorso in cassazione 
per violazione di legge "contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libert� personale, 
pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali". 
Un ruolo decisivo � stato ed � tuttora prospettato dalla giurisprudenza della Suprema Corte in 
tema di ricorribilit� ex art. 111 Cost. dei provvedimenti emanati al termine di procedimenti 
camerali, che ha inaugurato quest'orientamento con la sentenza a Sezioni Unite del 30 luglio 
1953, n. 2593, avente ad oggetto il procedimento di cui agli artt. 28-30 della L. n. 794 del 
1942 ("l'ordinanza del giudice che decide un'opposizione a decreto ingiuntivo in materia di 
spese e di onorari di avvocati e procuratori per prestazione di opera giudiziale, avendo carattere 
decisorio, � impugnabile con ricorso per Cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione"). 
Sulla scorta di tale pronuncia sono seguite numerose altre. 
Tra le pi� recenti, Cass. Civ. Sez. Un., 21 ottobre 2009, n. 22238, che ha ammesso la ricorribilit� 
in cassazione con ricorso straordinario del decreto emesso in camera di consiglio dalla 
corte d'appello a seguito di reclamo avverso i provvedimenti emanati dal tribunale sull'istanza 
di revisione delle disposizioni accessorie alla separazione, in quanto incidente su diritti soggettivi 
delle parti, nonch� caratterizzato da stabilit� temporanea, che lo rende idoneo ad acquistare 
efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus (la sentenza ha anche stabilito che 
il decreto, dovendo essere motivato, sia pure sommariamente, pu� essere censurato anche per 
carenze motivazionali, le quali sono prospettabili in rapporto all'ultimo comma dell'art. 360 
cod. proc. civ., nel testo novellato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che qualifica come violazione 
di legge il vizio di cui al n. 5 del primo comma, alla luce dei principi del giusto processo, 
che deve svolgersi nel contraddittorio delle parti e concludersi con una pronuncia 
motivata). Nel medesimo senso, Cass. civ., sez. I, 7 dicembre 2007 n. 25619; id., 18 agosto 
2006 n. 18187; id., 28 giugno 2006 n. 18627; id., 16 maggio 2005 n. 10229; id., 30 dicembre 
2004 n. 24265. 
Parimenti, il ricorso straordinario � stato escluso quando il provvedimento impugnato sia privo 
dei caratteri della decisoriet� e definitivit� in senso sostanziale (come nel caso di provvedimenti 
emessi in sede di volontaria giurisdizione, che disciplinino, limitino, escludano o ripristinino 
la potest� dei genitori naturali ai sensi degli artt. 317 bis, 330, 332, 333 cod.civ.), 
neppure se il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione 
del diritto di azione, posto che la situazione strumentale in tal modo prospettata non assume 
certo una rilevanza sostanziale di decisoriet� e definitivit� (Cass. civ., sez. I, 14 maggio 
2010 n. 11756; id., 1 agosto 2007 n. 16984). 
Anche la Corte Costituzionale ha utilizzato, in diverse occasioni, il richiamo alla affermata 
ricorribilit� per Cassazione dei decreti della Corte d'Appello quando aventi ad oggetto diritti 
soggettivi accertati con provvedimenti dotati di definitivit� in senso sostanziale (ex multis, C. 
Cost., 1 marzo 1973, n. 22; 16 aprile 1985, n. 103). 
Alla base di tutte queste decisioni vi � la comune interpretazione del termine " sentenza", di 
cui all'art. 111, comma 7, Cost., quale provvedimento " a contenuto decisorio", secondo la 
tesi, fatta propria dalla dottrina maggioritaria e della maggior parte della giurisprudenza anche 
di merito, della prevalenza della sostanza sulla forma, sicch� quando la legge abbia voluto 
escludere la forma di "sentenza ", apparentemente escludendo anche la possibilit� di un'impugnazione 
straordinaria, l'interpretazione sistematica dell'ordinamento giuridico consente di 
fare uso del ricorso straordinario ex art. 111 Cost., anche per interpretare le norme sui proce-
CONTENZIOSO NAZIONALE 175 
dimenti camerali in maniera costituzionalmente orientata, facendole uscire indenni, dopo sessant'anni 
di vigenza della Costituzione, dal sindacato di costituzionalit�. 
5.5. Cos� riassunta, tuttavia, la questione verrebbe posta in termini troppo semplicistici rispetto 
alla complessit� della stessa, agli istituti coinvolti e anche al dibattito giurisprudenziale e dottrinario 
che ha alimentato, e tuttora alimenta, da oltre sette decenni. 
Al fine di stabilire, sia pure in via incidentale, se il provvedimento emesso dalla Corte d'Appello 
in sede di reclamo nella fattispecie contemplata dal comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L. sia 
o meno definitivo e, come tale, idoneo a sancire l'incandidabilit� del soggetto cui si rivolga, 
il collegio non pu� prescindere dal fondamentale insegnamento della sentenza a Sezioni Unite 
della Corte di Cassazione del 23 ottobre 1986 n. 6220. 
In base a quanto in essa stabilito, il problema della impugnabilit� di un provvedimento, ai 
sensi dell'art. 111, comma 2 (ora, comma 7) della Costituzione, cos� come sviluppatosi a seguito 
della giurisprudenza successiva alla citata sentenza n. 2593 del 1953, deve risolversi 
verificando di volta in volta se ne ricorrano la due condizioni consistenti nella "decisoriet�", 
intesa come risoluzione di una controversia su diritti soggettivi o status, e nella "definitivit�", 
intesa come mancanza di rimedi diversi e nell'attitudine del provvedimento a pregiudicare 
con l'efficacia propria del giudicato quei diritti e quegli status. 
Citando le parole delle Sezioni Unite, " le due condizioni devono coesistere, in quanto � irrilevante 
la decisoriet� se il provvedimento � sempre modificabile e revocabile tanto per una 
nuova e diversa valutazione delle circostanze precedenti, quanto per il sopravvenire di nuove 
circostanze, nonch� per motivi di legittimit� (art. 742 c.p.c.). In questi casi il provvedimento 
non contiene una statuizione definitiva ed un pregiudizio irreparabile ai diritti che vi sono 
coinvolti". 
"Pur essendo necessaria la prima condizione attinente al contenuto (per esempio: una modifica 
del diritto o dello status), detto contenuto deve essere anche espressione di un potere giurisdizionale 
esercitato con carattere vincolante rispetto all'oggetto della pronuncia, in modo da 
garantire l'immodificabilit� da parte del giudice che lo ha pronunciato e l'efficacia di giudicato 
ex art. 2909 c.c. " 
Il problema, afferma la Corte, "sorge a proposito dei procedimenti in camera di consiglio, regolati 
con le forme degli artt. 737 e ss. perch� (a meno di una deroga espressa, che per esempio 
qualifichi come sentenza il provvedimento terminativo: v. Cass. 9 dicembre 1985 n. 6211), 
dovrebbe applicarsi in via di principio l'intera normativa, e quindi anche gli artt. 739 ultimo 
comma e 742, con conseguente esclusione dell'art. 111 comma 2 Cost. A prima vista, l'esclusione 
degli artt. 739 ultimo comma e 742 (e la conseguente applicazione dell'art. 111 Cost.) � 
ancorata ad un criterio incerto e non risolutivo (l'incidenza su diritti soggettivi o status) sia 
perch� l'esperienza giurisprudenziale dimostra la variet� di soluzioni adottate per il medesimo 
caso, sia perch� sarebbe una pura e semplice petizione di principio ritenere il provvedimento 
suscettibile di conseguire l'efficacia di giudicato in base agli indici relativi alla sua decisoriet� 
su diritti soggettivi o status". 
La Corte, pertanto, ritiene che si "debbano utilizzare degli indici pi� puntuali, tratti dalla concreta 
regolamentazione della singola materia, per quel che concerne i principi fondamentali 
del processo contenzioso (domanda, contraddittorio e difesa, immutabilit� del provvedimento 
sotto forma di preclusioni). Dove i suddetti indici esistono, l'opzione verso la "sostanza" contenziosa, 
pur nella "forma volontaria" ha un alto grado di attendibilit�. Dove non esistono, 
quell'opzione appare contrastante con la scelta del legislatore (salvo il controllo di costituzionalit�, 
se ne sia il caso, e cio� se vi sia contratto fra alcuni di quegli indici e la qualificazione
176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
del provvedimento finale)." 
Pertanto, la Corte fornisce alcuni precisi indici per stabilire l'idoneit� al giudicato, quali: 
a) l'esistenza di una controversia o conflitto in ordine a diritti soggettivi o status, con la conseguenza 
che se si � in presenza di situazioni di interesse, che la legge non ritiene di affidare 
all'autonomia privata, ma sottopone al controllo giudiziario mediante interventi incidenti sulla 
attribuzione, esercizio e conformazione delle posizioni soggettive coinvolte nella cura o gestione 
di tale interesse, si � fuori dal campo della giurisdizione contenziosa; 
b) la strutturazione del procedimento in forme che, anche se rimesse al'iniziativa della parte, 
assicurino il diritto di azione e di difesa ed il contraddittorio. 
Secondo la Corte, "la negazione di tali diritti pu� essere considerata in una duplice direzione: 
o come sospetto di incostituzionalit� di una disciplina che - pur conducendo al giudicato e 
quindi al pregiudizio definitivo ed irreparabile delle posizioni soggettive delle parti - non assicura 
quelle garanzie; o come presa d'atto di una scelta legislativa che, da un canto, esclude 
il giudicato e quindi il pregiudizio irreparabile prevedendo il rimedio alternativo della modificabilit� 
e revocabilit� e, dall'altro lato, esclude l'incostituzionalit�"; 
c) la mancata espressa previsione della revocabilit� dei provvedimenti per fatti originari e sopravvenuti. 
5.6. Senza avventurarsi nell'esame, pressoch� infinito, della casistica in subiecta materia, il 
collegio giunge dunque al punto di dover applicare alla fattispecie oggetto del giudizio quanto 
esposto sin ora quale portato dell'evoluzione giurisprudenziale sull'argomento della ricorribilit� 
in cassazione dei provvedimenti emessi in sede camerale, aventi ad oggetto materie contenziose 
e comunque collegati all'accertamento di diritti o status. 
Come pi� volte ribadito, l'incandidabilit� - di cui al comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L. - deve 
essere dichiarata con provvedimento definitivo. 
Il collegio deve dunque accertare, da un lato, se la qualit� sulla quale si controverte (ossia, la 
"candidabilit�") sia da considerare o meno alla stregua di un diritto o di uno status (cos� integrandosi 
il requisito poc'anzi illustrato sub a), che attiene alla decisoriet� del provvedimento); 
dall'altro, deve verificare se il procedimento sia strutturato in modo da assicurare la tutela del 
contraddittorio e del diritto di difesa (requisito sub b); infine, deve stabilire se il provvedimento 
della Corte d'Appello possa essere inteso come definitivo nel senso sopra indicato, sia sotto 
il profilo della sua non revocabilit� (requisito sub c) che sotto quello della sua attitudine a 
pregiudicare, con l'efficacia propria del giudicato, i diritti e gli status del soggetto coinvolto. 
5.6.1.Sul primo punto la motivazione � quasi superflua: l'art. 51 della Costituzione garantisce 
il diritto all'elettorato passivo, in quanto "tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono 
accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti 
stabiliti dalla legge". 
La giurisprudenza amministrativa e civile ha in pi� occasioni (da ultimo, con ampia ricognizione 
della giurisprudenza in materia, Tar Sicilia, Catania, 24 febbraio 2012, n. 483) affermato 
che "il diritto di accedere alle cariche elettive pubbliche di cui all'art. 51 Cost. - cd. diritto di 
elettorato passivo - rappresenta un diritto politico fondamentale, riconosciuto e garantito dalla 
Costituzione". 
"Esso costituisce un aspetto essenziale della partecipazione dei cittadini alla vita democratica 
del paese, e rientra nel novero dei diritti inviolabili di cui all'art. 2 Cost. (cfr. Corte Cost. 
235/88 e 571/89)". 
"Pur trattandosi di diritto costituzionalmente tutelato ed inviolabile, lo stesso costituente ha 
previsto la possibilit� che il legislatore ordinario lo limiti attraverso norme di contenuto ge-
CONTENZIOSO NAZIONALE 177 
nerale che stabiliscano i requisiti di accesso alle cariche elettive. La Consulta, movendo dal 
principio per cui "l'eleggibilit� � la regola, e l'ineleggibilit� deve essere l'eccezione" (Corte 
Cost. 310/1991) ha pi� volte affermato che tutte le limitazioni legali al diritto di elettorato 
passivo devono essere necessarie e ragionevolmente proporzionate (Corte Cost. 141/1996 e 
476/1991), devono rispondere all'esigenza di "realizzare altri interessi costituzionali altrettanto 
fondamentali e generali" (Corte Cost. 235/1988), o comunque essere ispirate da "motivi adeguati 
e ragionevoli finalizzati alla tutela di un interesse generale" (Corte Cost. 571/1989), 
quale ad esempio la "salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, di tutela della libera 
determinazione degli organi elettivi, di buon andamento e trasparenza delle amministrazioni 
pubbliche (sentenze n. 407 del 1992, nn. 197, 218 e 288 del 1993, nn. 118 e 295 del 1994, n. 
141 del 1996), finalit�, queste, "di indubbio rilievo costituzionale" (sentenza n. 197 del 1993), 
connesse "a valori costituzionali di rilevanza primaria" (sentenza n. 218 del 1993)" (Corte 
Cost. 132/2001)". 
L'attivit� di "selezione" di tali interessi primari che giustificano l'apposizione di limitazioni 
al diritto di elettorato passivo si snoda attraverso un giudizio discrezionale di bilanciamento 
degli interessi meritevoli di tutela, affidato alla competenza del legislatore ordinario (Corte 
Cost. 160/97), con la conseguenza che in subiecta materia non esistono spazi discrezionali 
per l'Amministrazione pubblica, e, quindi, trattandosi di diritti soggettivi, l'accertamento dei 
medesimi � rimesso alla cognizione del giudice ordinario. 
5.6.1.1. In relazione al caso concreto, non vi sono dubbi che con il comma 11 dell'art. 143 il 
legislatore abbia previsto una ipotesi di incandidabilit�, ulteriore rispetto a quelle di cui all'art. 
58 T.U.E.L., affidando l'accertamento della medesima alla giurisdizione del giudice ordinario, 
sia pure nella forma dei procedimenti in camera di consiglio. 
Pertanto, nel procedimento camerale applicabile alla fattispecie concreta, � sicuramente coinvolto 
un diritto soggettivo (che ha i suoi riflessi anche sotto il piano, quanto mai importante, della 
tutela del diritto della personalit� all'onorabilit� e al rispetto nel contesto sociale di appartenenza). 
Risulta dunque integrato il primo dei tre requisiti illustrati come necessari per la sottoponibilit� 
a ricorso straordinario dei provvedimenti giurisdizionali della Corte d'Appello. 
5.6.2. In ordine al secondo dei suddetti requisiti (procedimento strutturato in modo da assicurare 
la tutela del contraddittorio e del diritto di difesa), il collegio non nutre dubbi sulla risposta 
positiva, anche considerando lo svolgimento del giudizio in capo al prof. S. nei due gradi 
svoltisi davanti ai giudici di primo e secondo grado. 
Anche se detto procedimento origina da un'iniziativa d'ufficio del Ministero dell'Interno (che 
"invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente 
per territorio"), la disposizione, nel prevedere che il tribunale valuti "la sussistenza degli elementi 
di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa", 
impone al giudice l'effettuazione di una effettiva e nuova ponderazione dei fattori che hanno 
condotto allo scioglimento del consiglio comunale o provinciale (ossia, "concreti, univoci e 
rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalit� organizzata di tipo mafioso 
o similare degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento 
degli stessi"). 
Se cos� non fosse, non si vede alcuna logica nell'operato del legislatore, che, a fronte dello 
scioglimento dell'ente, non ha previsto una automatica incandidabilit� degli amministratori 
decaduti dalla carica (come invece accade per l'incandidabilit� di cui all'art. 58 T.U.E.L., che 
discende in automatico dal verificarsi della situazioni contemplate dalla norma), ma ha rimesso 
alla magistratura ordinaria l'accertamento della stessa ricorrendone tutti i presupposti, sia pure
178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
nelle forme rapide e sommarie del giudizio in camera di consiglio, nel cui ambito � comunque 
garantito il contraddittorio. 
Questo specifico profilo � stato colto anche dal provvedimento del tribunale di Marsala del 
22 aprile 2012, con il quale veniva dichiarata l'incandidabilit� di S., confermata dalla Corte 
d'Appello di Palermo. 
Proprio dall'esame dei suddetti provvedimenti, ampiamente motivati anche in ordine ai rapporti 
tra gli amministratori locali coinvolti ed esponenti della criminalit� organizzata, il collegio 
trae conforto nel ritenere che il procedimento all'esito del quale � sopravvenuta la 
pronuncia di incandidabilit� � stato condotto all'insegna del pieno rispetto del diritto di difesa 
del soggetto resistente. 
Sul punto, � la stessa Corte d'Appello, nel suo provvedimento, che, a fronte di un'eccezione 
di legittimit� costituzionale dell'art. 143 comma 11 T.U.E.L , in relazione ai principi del giusto 
processo di cui all'art. 111 Cost., sollevata dalla difesa di V.S., ha superato la stessa facendo 
riferimento alla natura dei procedimenti camerali e ai suoi connotati di celerit� e urgenza, 
quanto mai opportuni in un contesto nel quale la natura degli interessi coinvolti, entrambi di 
rilievo costituzionale (diritto di elettorato passivo da un lato; buon andamento della Pubblica 
Amministrazione dall'altro) legittimano il ricorso a un procedimento diverso, e alquanto pi� 
snello, di quello di cognizione ordinaria. 
In particolare sotto il profilo della inesistenza, nell'art. 737 c.p.c., di un termine a difesa, la Corte 
d'Appello ha chiarito che la " natura urgente delle materie consegnate dal legislatore al procedimento 
camerale, induce a ritenere irragionevole la previsione di qualsivoglia termine minimo 
di comparizione, che proprio per la sua astratta predeterminazione potrebbe risultare contrastante 
col raggiungimento delle finalit� di volta in volta sottoposte al vaglio dell'Autorit� giudiziaria". 
Sotto l'altro profilo, anche esso sollevato dalla difesa di S., della congruit� del termine a difesa, 
la Corte ha ribadito il principio generale secondo il quale detta congruit� va valutata comparando 
l'interesse di chi sia gravato dall'onere di rispettarlo con quello, generale, al compimento 
di un atto entro un termine tale da non vanificare le finalit� per le quali sia attivato un determinato 
procedimento (nel caso concreto, l'imminente svolgimento delle elezioni). 
5.6.3. Infine, con riguardo all'ultimo dei requisiti sopra illustrati (la mancata espressa previsione 
della revocabilit� dei provvedimenti per fatti originari e sopravvenuti), non resta che 
considerare il disposto del comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L, che non solo non contempla alcuna 
ipotesi di revocabilit� del provvedimento, ma anzi fa riferimento alla attitudine del medesimo 
a diventare definitivo. 
Per contro, la " revocabilit�" cui fa riferimento l'art. 742 c.p.c. � ormai associata esclusivamente 
ai provvedimenti di volontaria giurisdizione, non idonei a passare in giudicato (ex multis, 
Cass. civ., sez. I, 9 dicembre 1985, n. 6223; id., 6 novembre 2006, n. 23673). 
Lo stesso art. 739 c.p.c. esclude la reclamabilit� (alias, impugnabilit�) dei provvedimenti di 
secondo grado "salvo che la legge disponga altrimenti", aprendo dunque la strada alla possibilit� 
di una fase di impugnazione ulteriore davanti alla Corte di cassazione, quando ci� sia 
reso necessario in ragione della natura delle situazione soggettive coinvolte. 
5.7. Ne consegue che, interpretando in modo sistemico, e alla luce della giurisprudenza su richiamata, 
la disciplina degli artt. 737 e ss. con quella del T.U.E.L, non pu� che pervenirsi alla 
conclusione che la declaratoria di incandidabilit� ad opera della Corte d'Appello abbia in s� 
tutte le caratteristiche necessarie per essere assoggettata al ricorso straordinario per Cassazione, 
non potendosi ricondurre alla pronuncia dei giudici di secondo grado quella definitivit� 
strutturalmente e funzionalmente incompatibile con un ulteriore grado di giudizio.
CONTENZIOSO NAZIONALE 179 
Il collegio, ovviamente, perviene a queste conclusioni senza trascurare che, cos� interpretata, la 
disciplina dell'art. 11 dell'art. 143, presta il fianco alle critiche di chi sostiene (compresi i ricorrenti) 
che ammettendo la proponibilit� del ricorso in Cassazione vengono meno tutte le esigenze 
di celerit� che il legislatore ha inteso tutelare rimettendo questo tipo di accertamento alle forme 
semplificate e veloci, anche quanto a mezzi di impugnazione, del procedimento camerale. 
Non vi � dubbio che tale aspetto � stato ben evidenziato dalla Corte di Appello, nel suo Provv. 
del 3 maggio 2012, con il quale, nel rigettare le questioni di costituzionalit� della disciplina sollevate 
dalla difesa degli appellanti, faceva riferimento proprio all'esigenza costituzionale di assicurare 
la certezza del diritto in una materia dalle profonde implicazioni sociali e costituzionali, 
stante la natura costituzionalmente protetta di tutti gli interessi coinvolti (non ultimo, quello 
delle comunit� locali a votare per soggetti la cui candidabilit� non � messa in discussione). 
Tuttavia, pur constatando che con l'ammissibilit� del ricorso in cassazione, la disposizione del 
comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L verrebbe snaturata quanto alla sua ratio intrinseca, di accertamento 
rapido della incandidabilit� o meno degli amministratori locali coinvolti nello scioglimento 
del proprio ente, questo Collegio evidenzia che il caso sottoposto al proprio giudizio � 
quanto mai peculiare, in quanto lo scioglimento del Comune di Salemi (e, quindi, l'inizio del 
procedimento di cui all'art. 143 comma 11, ad opera del Ministero dell'Interno) �, per pura 
coincidenza, avvenuto a ridosso della consultazione elettorale indetta per il 6 e 7 maggio 2011. 
Considerando che il tempo fisiologico per una consiliatura � di cinque anni, � alquanto improbabile 
che lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose, e le successive elezioni, 
si verifichino nel medesimo periodo. 
Va altres� considerato che il divieto di candidarsi riguarda solo le elezioni regionali, provinciali, 
comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l'ente interessato 
dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento 
stesso, e naturalmente solo se l'incandidabilit� venga accertata con provvedimento definitivo. 
Ne consegue che solo per una pura fatalit� la vicenda che ha visto protagonista il prof. S. si � 
concentrata, sostanzialmente, nell'arco di un mese, di talch� il definitivo pronunciamento della 
Cassazione (successivo solo di sei mesi alla data delle elezioni, che, tenuto anche conto della 
sospensione feriale, � un tempo pi� che ragionevole per una decisione delle Suprema Corte) 
arriver� quando ormai le elezioni si sono svolte, con la partecipazione dello S., come pi� volte 
illustrato. 
Evidentemente, il solo fatto che ci� sia accaduto dimostra che, per quanto improbabile, la circostanza 
� non solo possibile, ma anche suscettibile di ripetersi. 
Tuttavia, allo stato, � da ritenere che questo fatto non possa impedire la proposizione del ricorso 
in cassazione avverso la decisone della Corte d'Appello, in quanto nessuna interpretazione 
- sia pur ragionevole - della ratio di una legge pu� precludere agli interessati di tutelare 
appieno i propri diritti in tutte le forme consentite dall'ordinamento. 
6. Alla luce di quanto sopra esposto, diventa irrilevante, per il collegio, procedere all'esame 
delle eccezioni e prospettazioni delle parti resistenti, relative al possibile accoglimento della 
tesi dei ricorrenti in ordine alla incandidabilit� del prof. V.S.. 
6.1. Anche la richiesta del Comune, peraltro subordinata, di sospensione del processo ai sensi 
dell'art. 295 c.p.c. non merita l'esame del collegio, che ribadisce la natura incidentale del proprio 
accertamento, posto che esso � devoluto, nel merito, esclusivamente alla cognizione del 
giudice ordinario. 
7. In conclusione, il ricorso va respinto, con condanna dei ricorrenti, in solido, alle spese di 
giudizio, liquidate in dispositivo.
180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
P.Q.M. 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando 
sul ricorso, come in epigrafe proposto: 
- dichiara il difetto di legittimazione passiva dell'Ufficio Centrale Elettorale e della Commissione 
Elettorale Circoscrizionale; 
- respinge il ricorso; 
- condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali in favore delle parti resistenti 
costituite in giudizio, pro quota, che liquida in complessivi Euro 3000,00 (tremila/00); 
- dispone che la Segreteria, ai sensi dell'art. 130, comma 8, c.p.a., trasmetta copia della presente 
sentenza al Prefetto della Provincia di Palermo nonch� al Sindaco pro tempore del Comune 
di Cefal�, per gli ulteriori adempimenti previsti e per quelli di cui al comma 11 dello stesso 
art. 130 c.p.a. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 9ottobre 2012.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
La consulenza di legittimit� e di merito delle amministrazioni 
compete, in via esclusiva, all�Avvocatura dello Stato 
(Appunto a Consiglio di Stato, Sez. seconda, parere del 23 ottobre 2012 n. 04320) 
L�Avvocatura dello Stato � l�organo istituzionalmente preposto a fornire 
pareri ed indicazioni nell�interesse dell�amministrazione; ad essa spetta supportare 
le scelte decisionali delle amministrazioni ogni qual volta le stesse 
ritengano, a loro discrezione, di doversi avvalere della consulenza pubblicoistituzionale. 
All�Avvocatura compete il supporto gestionale dell�amministrazione con 
riguardo anche all�eventuale profilarsi di contenziosi. 
Di contro, il Consiglio di Stato non � organo consultivo dell�Amministrazione 
e, quindi, non partecipa, mediante un�attivit� di consulenza di legittimit� 
o di merito, all�ordinario svolgersi dell�azione amministrativa; per tale funzione 
di consulenza � previsto l�ausilio dell�Avvocatura dello Stato. 
M.B. 
Numero 04320/2012 e data 23/10/2012 
R E P U B B L I C A I TA L I A N A 
C o n s i g l i o d i S t a t o 
Sezione Seconda 
Adunanza di Sezione del 4 luglio 2012 
NUMERO AFFARE 00265/2012 
OGGETTO: 
Ministero dell�economia e delle finanze, Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato. 
Lotteria istantanea �Sette e Vinci� � Vertenza Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato 
(AAMS) e Istituto Poligrafico Zecca dello Stato (IPZS) � Parere sulla proposta di transazione.
182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
LA SEZIONE 
Vista la relazione dell�Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato prot. n. 49948, in 
data 16 dicembre 2011, trasmessa dal Ministero dell�economia e delle finanze, Ufficio del 
coordinamento legislativo finanze, con nota prot. n. 3-1309 del 2 febbraio 2012, con la quale 
� stato richiesto al Consiglio di Stato il parere sull�affare in oggetto; 
Visto il parere interlocutorio reso nell�Adunanza del 7 marzo 2012; 
Vista la nota prot. n. 406363 del 17 dicembre 2011 dell�Avvocatura generale dello Stato, trasmessa, 
in relazione al predetto parere interlocutorio, dal Ministero dell�economia e delle finanze 
- Ufficio del coordinamento legislativo - Finanze con lettera prot. n. 38293 del 13 
giugno 2012; 
Esaminati gli atti e udito il relatore, Consigliere Gerardo Mastrandrea; 
Premesso: 
Il quesito ha come oggetto la possibile soluzione, mediante un apposito atto di transazione, 
della vertenza intercorsa tra Amministrazione dei Monopoli di Stato (AAMS) e l�Istituto Poligrafico 
Zecca dello Stato (IPZS), in relazione alla vicenda della lotteria istantanea denominata 
�Sette e Vinci�, per la quale si sono verificati errori di stampa da parte del Poligrafico 
dello Stato, che hanno determinato l�emissione di biglietti apparentemente vincenti venduti 
nella zona di Curno, risalenti al maggio 1996. 
In particolare, premetteva l�AAMS che all�epoca dei fatti l�attivit� di ideazione, stampa e gestione 
delle lotterie, istantanee e tradizionali, era gestita dall�AAMS medesima, mentre la 
stampa, in concreto, dei biglietti era affidata ex lege al Poligrafico dello Stato, quale struttura 
�in house� del Ministero delle finanze. 
In relazione a tali errori di stampa, si � registrata l�insorgenza di una consistente mole di contenzioso, 
ad oggi non del tutto definito (risultano pendenti n. 19 giudizi, per i quali � stata 
emessa sentenza di primo o secondo grado, perdipi� favorevole all�Amministrazione, successivamente 
impugnata dai detentori dei biglietti in questione, o per i quali si attendono notizie 
dalle Avvocature distrettuali sulla definitivit� dei provvedimenti), con rischio dunque di 
notevole ulteriore esborso di risorse pubbliche. 
In proposito, puntualizzava l�Amministrazione, la situazione connessa al contenzioso � stata 
contenuta e fronteggiata in virt� dell�accoglimento di tesi difensive impostate sulla ripetibilit�, 
nei casi di specie, della sola somma pari al costo del biglietto, ma non pu� escludersi che alla 
fine si addivenga a pronunzie di condanna dell�Amministrazione al pagamento dei premi reclamati 
dagli attori. 
Ricadendo l�erronea stampa dei biglietti nell�imputabilit� esclusiva dell�IPZS, l�AAMS, con 
la finalit� di evitare l�accollo dell�onere economico corrispondente, ha, nel tempo, disposto 
la cessazione dei pagamenti al predetto Istituto a fronte di fatture emesse per la stampa di biglietti 
per altre lotterie. E ci�, fino alla conclusione dei giudizi ancora pendenti. 
Precisava, altres�, l�Amministrazione riferente che tra la stessa e l�IPZS � intercorsa negli anni 
� anche per il tramite dell�Avvocatura dello Stato � una copiosa corrispondenza. In particolare, 
rileva che detto Istituto, pur avendo gi� in data 4 dicembre 1996 (nota prot. n. 297) assunto 
l�impegno di fronteggiare eventuali ed accertate responsabilit� per i fatti contestati o contestabili 
dalla stessa, ha successivamente disatteso tali impegni (nota prot. n. 192 
dell�8/04/2004), respingendo, di contro, le richieste di rimborso delle somme pagate dall�Amministrazione 
oggetto del citato contenzioso ed inviando, peraltro, periodici solleciti di pagamento 
delle fatture sospese. 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 183 
Riferiva, inoltre, l�AAMS che da circa due anni, con la mediazione dell�Avvocatura generale 
dello Stato, sono in corso trattative per addivenire ad una transazione per la quale la stessa si 
� resa disponibile a riconoscere la somma di � 11.677.053,32, per fatture non pagate, oltre interessi 
legali, in cambio del riconoscimento della somma di � 900.183,44, quale importo versato 
dall�Amministrazione in esecuzione di sentenze passate in giudicato e di provvedimenti 
giudiziari, nonch� di � 130.872,00 per i costi concernenti l�impiego del personale adibito al 
contenzioso insorto. 
L�IPZS ha manifestato la propria disponibilit� ad accedere a tale proposta, mentre non ha acconsentito 
alla proposta di pattuizione transattiva rispetto agli ulteriori oneri relativi ai contenziosi 
tuttora pendenti. Tali oneri economici, precisava l�Amministrazione, ammontano ad 
� 1.724.066,04 e si riferiscono a contenziosi per i quali � solo potenziale l�individuazione 
dell�effettivo soggetto onerato, essendosi consolidata una giurisprudenza favorevole all�Amministrazione. 
Concludendo, l�AAMS evidenziava che, rispetto all�epoca nella quale i fatti si sono verificati, 
� mutata la natura giuridica dell�IPZS, ora S.p.A., con il Ministero dell�economia e delle finanze 
unico azionista, e trasmetteva la bozza dell�atto di transazione sopra descritto, predisposta 
dall�IPZS, ai fini dell�acquisizione del parere del Consiglio di Stato, ai sensi della 
direttiva del Ministro delle finanze del 22 settembre 1997. 
La Sezione, in sede di esame dell�affare in oggetto, nell�Adunanza del 7 marzo 2012, premesso 
che l�invocata direttiva del Ministro delle finanze in data 22 settembre 1997, nell�individuare 
i casi nei quali � �conveniente acquisire il parere facoltativo del Consiglio di Stato ai fini del 
miglior perseguimento dell�interesse pubblico� cita �ogni transazione allorquando l�importo 
dal quale si origina il relativo contratto sia di misura superiore a lire 500 milioni�, precisando, 
tuttavia, che �detto parere va richiesto in aggiunta a quello che � prescritto si debba acquisire 
dall�Avvocatura di Stato�, osservava che il parere che a lume di tale direttiva � d�uopo sia richiesto 
al Consiglio di Stato �non si configura come sostitutivo, ma, semmai, al pi�, come 
aggiuntivo�. Il Collegio riteneva, pertanto, imprescindibile acquisire il parere dell�Avvocatura 
dello Stato sull�atto transattivo in oggetto, �cos� come, peraltro, � tenuta di norma in tutti i 
casi nei quali si predispongano schemi di transazione con la P.A. al fine di addivenire alla soluzione 
di controversie insorte� e sospendeva l�emissione del parere, evidenziando, altres�, 
che restava, comunque, impregiudicata ogni definitiva valutazione sulla sussistenza dei presupposti 
a rendere il parere richiesto. 
In relazione al predetto parere interlocutorio, con nota prot. n. 38293 del 13 giugno 2012, il 
Ministero dell�economia e delle finanze - Ufficio del coordinamento legislativo - Finanze ha 
trasmesso la nota dell�Avvocatura generale dello Stato,.prot. n. 406363 del 17 dicembre 2011. 
Considerato: 
La Sezione ritiene doveroso rilevare, preliminarmente, che l�Avvocatura generale dello Stato, 
nel parere di cui alla nota prot. n. 406363 del 17 dicembre 2011, pur dando conto di alcune 
variazioni contenute nella nuova bozza di transazione, rispetto a quella precedentemente esaminata, 
ha concluso approvando �in linea legale� la bozza di transazione de qua, �non sussistendo 
elementi di diversit� sostanziale rispetto alla precedente bozza sulla quale si era gi� 
pronunciata favorevolmente � con nota in data 6 luglio 2011, prot. n. 221948P�. 
Ci� premesso, il Collegio, nel prendere atto di tale esito, deve nondimeno osservare che, nel caso 
di specie, in relazione alla questione prospettata, non appaiono sussistere i presupposti per attivare 
l�attivit� consultiva facoltativa del Consiglio di Stato e quindi rendere il parere richiesto.
184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Giova ricordare, in via generale, che in base all�orientamento consolidatosi dopo la riqualificazione 
dell�attivit� consultiva del Consiglio di Stato, intervenuta alla luce delle disposizioni 
di cui all�art. 17, commi 25 e segg., l. n. 127/1997, ferma restando la tipicit� dei pareri da richiedersi 
in via obbligatoria, i pareri richiesti in via facoltativa devono investire questioni di 
diritto di portata generale e non attenere ad aspetti gestionali di natura concreta e singolare: 
il Consiglio di Stato non �, dunque, destinato a supportare le scelte decisionali delle amministrazioni 
ogni qual volta le stesse ritengano, a loro discrezione, di doversi avvalere della consulenza 
pubblico-istituzionale. Per una siffatta opera di supporto gestionale, con riguardo 
anche all�eventuale profilarsi di contenziosi, soccorre, infatti, l�Avvocatura dello Stato, organo 
istituzionalmente preposto a fornire pareri ed indicazioni nell�interesse non dell�ordinamento 
generale ma dell�Amministrazione assistita. 
Corre l�obbligo di rammentare, invero, che il Consiglio di Stato, che non � organo consultivo 
dell�Amministrazione, e che quindi non partecipa, mediante un�attivit� di consulenza di legittimit� 
o di merito, all�ordinario svolgersi dell�azione amministrativa (per tale funzione di 
consulenza � previsto l�ausilio dell�Avvocatura dello Stato), ma che deve qualificarsi quale 
organo ausiliario del Governo in una particolare posizione di autonomia, indipendenza e terziet�, 
attraverso la quale la funzione consultiva concorre insieme a quella giurisdizionale a 
realizzare la giustizia nell�amministrazione, non pu� che fornire il proprio avviso in stretta e 
rigorosa interpretazione della legge e su questioni di larga massima, la cui soluzione potr� 
guidare la successiva azione amministrativa nel suo concreto, futuro esplicarsi (cfr. Cons. 
Stato, II, 25 settembre 2002, n. 2994/02). 
Alla luce delle considerazioni che precedono, ritiene la Sezione che l�invocata direttiva del 
Ministro delle finanze in data 22 settembre 1997, che in base ad una valutazione di �convenienza�, 
e, quindi, meramente discrezionale, ancorch� ai fini del miglior perseguimento dell�interesse 
pubblico, individua le fattispecie nelle quali acquisire il parere facoltativo del 
Consiglio di Stato (peraltro, si ribadisce, non a caso configurato come aggiuntivo e non sostitutivo 
del parere dell�Avvocatura generale dello Stato, Organo deputato) non pu� costituire 
il fondamento giuridico per incardinare in capo al Consiglio di Stato la competenza, non supportata 
da alcuna previsione puntuale di legge, a rendere il parere sull�atto transattivo in questione. 
Alla stregua delle considerazioni che precedono, prendendo atto, dunque, che l�Avvocatura 
generale dello Stato, quale organo istituzionalmente competente, si � gi� espressa, deve, pertanto, 
essere pronunciato il non luogo ad esprimere il richiesto parere. 
P.Q.M. 
La Sezione dichiara non esservi luogo ad esprimere parere. 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE 
Gerardo Mastrandrea Pietro Falcone
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 185 
Sul patrocinio c.d. autorizzato degli enti lirici (ora, fondazioni 
di diritto privato) 
(Parere prot. 297282 del 23 luglio 2012, AL 16227/12, avv. MARIA ELENA SCARAMUCCI) 
Con nota del 16 aprile u.s. codesta Avvocatura esponeva di avere rilevato 
che il patrocinio della Fondazione (...), che per legge e per Statuto dello stesso 
Ente � attribuito all�Avvocatura dello Stato, viene da tempo affidato, se pur in relazione 
a singole controversie, ad avvocati del libero foro, senza alcuna motivazione 
in ordine alla sussistenza di particolari ragioni giustificative di tale deroga. 
Anche al fine di stabilire per tutti gli enti lirici, dopo la loro trasformazione 
in fondazioni di diritto privato, un indirizzo uniforme in materia di patrocinio 
c.d. autorizzato, chiedeva, quindi, alla Scrivente di chiarire quale 
atteggiamento si dovesse assumere nei confronti (...) in relazione alla problematica 
sopra evidenziata. 
Prima di passare all�esame del quesito, si ritiene opportuno richiamare i 
presupposti e il contenuto del patrocinio previsto dal r.d. n. 1611 del 1933, 
come modificato dalla legge n. 103 del 1979, che distingue le ipotesi della 
�rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato� da quelle sulla �assunzione 
da parte dell�Avvocatura dello Stato della rappresentanza e difesa di amministrazioni 
non statali�. 
Nella prima ipotesi � previsto che nessuna amministrazione statale possa 
richiedere l�assistenza di avvocati del libero foro se non per ragioni assolutamente 
eccezionali, inteso il parere dell�Avvocato generale dello Stato, secondo 
norme che saranno stabilite dal Consiglio dei Ministri. 
Nella seconda ipotesi, di cui all�art. 43, comma 1, � previsto che �L�Avvocatura 
dello Stato pu� assumere la rappresentanza e la difesa ... di amministrazioni 
pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela o anche 
a sola vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata da disposizione di 
legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto�. 
I commi 3 e 4 dell�art. 43 disciplinano direttamente i requisiti per la valida 
dispensa dal patrocinio obbligatorio ed indirettamente i presupposti per la valida 
nomina di un professionista del libero Foro. 
Secondo i principi generali espressi nella circolare dell�Avvocatura Generale 
n. 46/2002 in merito alla natura e agli effetti del patrocinio, oltre che 
sulla scorta della conforme giurisprudenza della S.C., del Consiglio di Stato e 
della Corte dei Conti, l�affidamento da parte dell�Ente pubblico di un incarico 
a un avvocato del libero Foro ha carattere di specialit�, e deve essere supportato 
dall�esistenza di oggettive e inderogabili esigenze, nonch� da adeguata 
motivazione. 
La mancata deliberazione da parte dell�Ente, l�inesistenza della motivazione 
o la mancata sottoposizione della deliberazione dismissiva all�organo
186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
di vigilanza, integrando una violazione del sistema normativo di cui al predetto 
art. 43, determinano l�invalidit� del mandato e il conseguente difetto di ius 
postulandi del difensore, che condurrebbe alla nullit� di tutte le attivit� processuali 
svolte, con conseguente prevedibile danno erariale. 
Ci� premesso, si ricorda che con il D.Lgs del 29 giugno 1996 n. 367 � 
stato disposto l'avvio alla trasformazione degli Enti Lirici in Fondazioni di diritto 
privato, mentre l'art. 1 del D.L. 24 novembre 2000 n. 345 (convertito in 
Legge 26 gennaio 2001 n. 6) ne ha stabilito la trasformazione effettiva a decorrere 
dal 23 maggio 1998. 
Il co. 3 della citata norma prevede che la Fondazione, che � dotata di uno 
statuto che ne specifica le finalit�, pu� continuare ad avvalersi del patrocinio 
dell'Avvocatura dello Stato. 
Come noto, lo Statuto della Fondazione (...) (adottato dal CdA della stessa 
Fondazione nella seduta del 6 maggio 1999 e approvato con D.M. 15 giugno 
1999) ha previsto all�art. 20, testualmente che: �La Fondazione si avvale della 
consulenza e del patrocinio legale dell�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 
7 del D.Lgs. n. 134/1998, salva diversa deliberazione del Consiglio di 
Amministrazione�. 
Pu�, pertanto, affermarsi che, nei confronti (...), non vi sia stata, a seguito 
della riforma, soluzione di continuit� nel rapporto di patrocinio autorizzato 
con l�Avvocatura dello Stato. 
Nonostante quanto sopra premesso, osserva la Scrivente che il comportamento 
della Fondazione nei confronti di codesta Avvocatura induce a ritenere 
che la stessa interpreti la citata disposizione statutaria, non alla stregua del 
dato normativo sopra ricordato (art. 43, commi 3 e 4), ma nel senso della possibilit� 
che il patrocinio erariale possa essere derogato mediante deliberazione 
del Consiglio di amministrazione ogniqualvolta quest�ultimo, in base a proprie 
insindacabili valutazioni, lo ritenga opportuno. 
Ricordato che anche per la Fondazione (...) - in quanto ente pubblico finanziato 
dallo Stato e sottoposto alla vigilanza dello Stato - si pone l�esigenza 
di evitare un aggravio di spese per la difesa in giudizio, essendo il patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato sostanzialmente gratuito, si ribadisce che la portata 
della norma statutaria non pu� eccedere quelli che sono i limiti tracciati dal 
chiaro dettato normativo sopra richiamato, secondo il quale, anche nel caso 
di patrocinio c.d. autorizzato, la rappresentanza e la difesa ... sono assunte 
dall�Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva. 
Caratteri fondamentali e inderogabili del patrocinio dell�Avvocatura dello 
Stato, infatti, sono quelli della organicit� e della esclusivit� consistenti, rispettivamente, 
nello stabilirsi col rapporto di patrocinio - sia obbligatorio che autorizzato 
- di un rapporto di immedesimazione organica col soggetto 
patrocinato, sicch� nell�ambito di tale rapporto il soggetto patrocinato � rappresentato, 
per ogni profilo e senza necessit� di specifico mandato, dall�Av-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 187 
vocatura dello Stato ed � nell�impossibilit� di affidare il proprio patrocinio a 
legale diverso dall�Avvocatura dello Stato o di affiancare a quest�ultima altro 
legale del libero Foro (artt. 5, co. 1, e 43, co. 4, R.D. 1611/33). Ambedue i sottolineati 
caratteri hanno la loro ragion d�essere nell�esigenza di unicit� e coerenza 
di indirizzi che potrebbe venir compromessa dall�eventualit� o di 
approntare, di volta in volta, per svolgere scelte di gestione processuale, specifiche 
direttive o di svolgere difese non coerenti con gli indirizzi generali di 
istituto, conformi alla tutela generale dei pubblici interessi necessariamente 
informata a criteri di uniformit� interpretativa ed applicativa della legalit�. 
Alla luce di quanto sopra esposto, la Scrivente ritiene che la norma statutaria 
autorizzatoria, sia se inserita in un provvedimento normativo che in un 
provvedimento amministrativo, non possa contenere altro che la previsione 
dell�estensione dei compiti dell�Avvocatura dello Stato ontologicamente dovuti 
per le Amministrazioni dello Stato anche ad altri enti diversi dalle amministrazioni 
statali. 
Non � quindi consentito alla Fondazione di autodeterminarsi in ordine 
all�affidamento del patrocinio ad avvocati del libero Foro al di fuori delle condizioni 
poste dalla legge, ossia in presenza di oggettive e inderogabili esigenze, 
previa deliberazione sorretta da adeguata motivazione. 
Viene da parte di codesta Avvocatura [distrettuale] segnalata, tuttavia, la 
difficolt� in cui l�ufficio potrebbe venire a trovarsi nell�assumere la difesa 
della Fondazione ove la consistenza del relativo contenzioso tornasse a livelli 
incompatibili con l�attuale organico presente in sede. 
A prescindere dalle ipotesi regolate dall�art. 417 bis cpc (controversie individuali 
di lavoro), in merito alle quali si � espresso il Comitato consultivo 
in data 10 febbraio 2010, si osserva che nulla osta a che una diversa motivata 
delibera (sempre necessaria) da parte del Consiglio di Amministrazione della 
Fondazione riguardi non un�unica controversia, bens� un gruppo ben definito 
e omogeneo di giudizi (casi comunque �speciali�), nell�ipotesi in cui non si 
possa ricorrere - ad esempio, per impossibilit� dell�Amministrazione di fornire 
adeguato supporto, o altre motivate ragioni - agli strumenti �ordinari� individuati 
negli articoli 2 e 3 del T.U. n. 1611/33. 
Il Comitato consultivo si � di recente espresso in argomento in data 20 
ottobre 2011, affermando che lo strumento della delibera di �carattere generale� 
pu� essere attivato laddove, in considerazione dell�Autorit� giudiziaria 
dinanzi alla quale i giudizi pendono (natura del Giudice; sua ubicazione), 
dell�oggetto delle cause (non particolare rilevanza economica e/o giuridica; 
ripetitivit�), dei tempi del giudizio, il ricorso a patrocinatore privato assicuri 
in determinati casi e in presenza di peculiari circostanze di fatto (a titolo meramente 
esemplificativo, la contiguit� con l�Amministrazione e con il Foro, 
tali da rendere pi� celere e agevole l�istruttoria e pi� facile la presenza in 
udienza) una pi� pratica difesa della parte pubblica e si risolva, in ultima
188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
analisi, in una soluzione pienamente conforme all�interesse pubblico. 
Come in quella sede � stato anche sottolineato, una simile scelta - da intendersi 
sempre eccezionale, come l�art. 43 prescrive - non potrebbe che essere 
concordata con l�Avvocatura dello Stato (ed eventualmente sottoposta, ove 
previsto, all�Organo di vigilanza) a seguito di un attento e scrupoloso esame, 
ferma restando in singoli casi la possibilit� di eccezione per particolari ragioni 
che rendano invece preferibile il ricorso all�Avvocatura. 
Nulla osta, inoltre, a che tali accordi vengano trasfusi in una convenzione 
sul modello di quella gi� conclusa con altri Enti pubblici ammessi al patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato, vincolante per entrambe le parti, eventualmente 
con l�intervento dell�autorit� di vigilanza. 
Sulla questione � stato sentito il Comitato consultivo, che si � espresso in 
conformit� nella seduta del 19 luglio 2012. 
Ammissione degli stranieri al servizio civile nazionale 
(Parere prot. 298530 del 24 luglio 2012, AL 12735/12, avv. GIANNA MARIA DE SOCIO) 
1. Con la nota indicata a margine codesto Ufficio espone che: 
- a seguito della pubblicazione del bando per la selezione di 10.481 volontari 
da impiegare in progetti di servizio civile (pubblicato nella G.U. 75 del 
20 settembre 2011), sono stati presentati due ricorsi proposti da due stranieri, 
rispettivamente dinnanzi al Tribunale di Brescia e al Tribunale di Milano, con 
i quali - ai sensi dell�art. 44 D.lgs 286/1998, come modificato dalla L. 
189/2002 - � stata denunciata la natura asseritamente discriminatoria della 
clausola del predetto bando, nella parte in cui ammette i soli cittadini italiani 
alla selezione suddetta; 
- di detti giudizi l�uno (quello instaurato a Milano) si � chiuso in primo 
grado con una decisione sfavorevole all�Ufficio, con la quale � stato dichiarato 
discriminatorio l�art. 3 del bando; sono state sospese le procedure di selezione, 
ed � stato ordinato all�amministrazione di �modificare il bando nella parte in 
cui richiede il requisito della cittadinanza, consentendo l�accesso agli stranieri 
soggiornanti regolarmente in Italia e di fissare un nuovo termine per la presentazione 
delle domande�; la decisione suddetta, impugnata dall�Ufficio, � 
stata sospesa dalla Corte d�Appello con riferimento �all�ordine di sospensione 
delle procedure di selezione�� e ad �ogni conseguente pronuncia ordinatoria 
derivante�; il giudizio pende tuttora; 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 189 
- l�altro giudizio promosso dinnanzi al Tribunale di Brescia (rimesso alla 
III sezione civile da quella Lavoro originariamente adita), � stato definito in 
primo grado con una sentenza (trasmessa alla Scrivente con la nota del 10 
maggio 2012), che ha respinto il ricorso. Per le vie brevi codesta Amministrazione 
ha fatto sapere che avverso la sentenza � stato proposto appello (con 
udienza indicata in citazione il 20 novembre 2012). 
2. In relazione alla sopra descritta situazione di fatto, codesto Ufficio 
espone altres� che, avendo concluso le procedure relative al bando ordinario 
sopra specificato, �dovrebbe procedere alla pubblicazione sul sito istituzionale 
dell�avviso recante le date entro le quali gli enti devono far pervenire il progetto 
per l�accompagnamento dei grandi invalidi e dei ciechi civili e successivamente 
emanare il Bando Straordinario per la selezione dei volontari da 
impiegare nei suddetti progetti, individuando i requisiti per la partecipazione 
alle selezioni�, precisando che �il descritto problema si pone anche in vista 
della imminente pubblicazione del bando per la selezione dei volontari da impiegare 
nei progetti autofinanziati da soggetti privati�. 
3. Si chiede pertanto il parere della Scrivente in ordine alla possibilit� di 
indire nuovi bandi senza prevedere l'ammissione degli stranieri al servizio civile, 
tenuto conto che l'esecuzione dell'ordinanza del Tribunale di Milano comporterebbe 
il problema di chiarire in cosa consista la �regolare residenza in 
Italia� del cittadino straniero. 
4. Tanto premesso, limitando le successive considerazione alla posizione 
degli stranieri extracomunitari, ai quali si riferiscono le controversie che hanno 
dato luogo alla richiesta di parere, si osserva quanto segue. 
5. La sentenza del Tribunale di Milano aveva 
- dichiarato il carattere discriminatorio dell�art. 3 del Bando; 
- sospeso le procedure di selezione; 
- ordinato all�amministrazione di �modificare il bando nella parte in cui 
richiede il requisito della cittadinanza, consentendo l�accesso agli stranieri 
soggiornanti regolarmente in Italia e di fissare un nuovo termine per la presentazione 
delle domande�. 
La decisione suddetta � stata sospesa dalla Corte di Appello con specifico 
riferimento �all�ordine di sospensione delle procedure di selezione �� e ad 
�ogni conseguente pronuncia ordinatoria derivante� (1); sicch� sembra che 
la decisione di primo grado sia stata sospesa per quello che riguarda gli effetti 
ordinatori e non per quanto concerne il contenuto dichiarativo, ci� facendo 
venir meno, fino all�esito del giudizio di merito (la cui prossima udienza � fis- 
(1) Infatti dal verbale di udienza risulta che �gli appellati non si oppongono alla sospensione degli 
effetti della decisione impugnata per la sola parte in cui ordina alla Presidenza ... di sospendere le procedure 
di selezione e di modificare il bando 20 settembre 2011, ferma restando ogni altra statuizione e in 
particolare gli effetti dell�accertamento circa il carattere discriminatorio della esclusione degli stranieri�.
190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
sata per il 22 novembre 2012), l�esecutivit� della stessa e gli obblighi conseguenti 
con riferimento alla procedura concorsuale per cui � causa. 
6. Sotto un profilo pi� generale, si osserva che la clausola del bando che 
ammette i soli cittadini italiani alla selezione per il servizio civile - ritenuta 
dal Tribunale di Milano comportamento discriminatorio ai sensi dell�art. 44 
D.lgs. 286/98 (come modificato dalla L. 189/2002) - � stata invece considerata 
legittima e non discriminatoria da altri giudici di merito (tra altri dal Tribunale 
di Brescia, con la sentenza rimessa con la nota del 10 maggio 2012). 
7. Oltre a ci� si deve rilevare che la riserva ai soli cittadini dell�accesso 
al servizio civile � prevista dall�art. 3 co. 1 del D.lgs. 5 aprile 2002 n. 77 (Disciplina 
del Servizio civile a norma dell�art. 2 della L. 64/2001) che prevede 
quanto segue: 
�Requisiti di ammissione e durata del servizio. 
1. Sono ammessi a svolgere il servizio civile, a loro domanda, senza distinzioni 
di sesso i cittadini italiani, muniti di idoneit� fisica, che, alla data di 
presentazione della domanda, abbiano compiuto il diciottesimo anno di et� e 
non superato il ventottesimo�. 
Con riferimento a tale norma non � stato aperto incidente di costituzionalit�, 
sicch� la norma suddetta - la quale crea per l�amministrazione un diretto vincolo 
non suscettibile di applicazione discrezionale - � tuttora vigente ed efficace. 
Si aggiunga a ci� che una ipotetica censura di incostituzionalit� del richiamato 
art. 3 co. 1 del D.lgs. 5 aprile 2002 n. 77 prevedibilmente non troverebbe 
avallo presso la Consulta, la quale si � ripetutamente pronunciata sulla 
peculiare natura del servizio civile, chiarendo che le norme sul servizio civile 
�trovano fondamento, anzitutto, nell'art. 52 della Costituzione �che configura 
la difesa della Patria come sacro dovere del cittadino, il quale ha una estensione 
pi� ampia dell'obbligo di prestare servizio militare. �In questo contesto 
deve leggersi pure la scelta legislativa che, a seguito della sospensione della 
obbligatoriet� del servizio militare ... configura il servizio civile come l'oggetto 
di una scelta volontaria, che costituisce adempimento del dovere di solidariet� 
(art. 2 della Costituzione), nonch� di quello di concorrere al progresso materiale 
e spirituale della societ� (art. 4 Cost., secondo comma). � In questo 
contesto, il servizio civile tende a proporsi come forma spontanea di adempimento 
del dovere costituzionale di difesa della Patria� (Corte cost. 16 luglio 
2004, n. 228, richiamata e ribadita da Corte cost., 2 dicembre 2005, n. 431). 
Alla luce di tali principi si ritiene che ben difficilmente un ipotetico vaglio 
costituzionale della norma suddetta potrebbe concludersi sfavorevolmente, 
travolgendo la legittimit� di eventuali bandi emessi sulla base della predetta 
disposizione; il che - a parere della Scrivente - porta anche ad escludere la natura 
discriminatoria (ai sensi dell�art. 44 D.lgs 286/1998) della clausola del 
bando che riserva ai soli cittadini l�accesso al servizio civile. 
8. Un ipotetico obbligo di disapplicazione diretta della norma da parte di
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 191 
codesta Amministrazione potrebbe venire, in astratto, dalla sua eventuale incompatibilt� 
con norme comunitarie direttamente efficaci o trasposte, sicch� 
� opportuno valutare anche tale aspetto al fine di rendere il richiesto parere. 
Al proposito vengono in rilievo la Direttiva 2000/43/CE (Direttiva del 
Consiglio che attua il principio della parit� di trattamento fra le persone indipendentemente 
dalla razza e dall'origine etnica) e la Direttiva n. 2000/78/CE 
(concernente la parit� di trattamento in materia di occupazione e di condizioni 
di lavoro), recepite con i D.lgs. 215 e 216 del 2003. 
Per quanto concerne la direttiva 2000/43/CE, l�art. 3 (Campo di applicazione) 
precisa che �La presente direttiva non riguarda le differenze di trattamento 
basate sulla nazionalit� e non pregiudica le disposizioni e le condizioni 
relative all'ingresso e alla residenza di cittadini di paesi terzi e di apolidi nel 
territorio degli Stati membri, n� qualsiasi trattamento derivante dalla condizione 
giuridica dei cittadini dei paesi terzi o degli apolidi interessati�. 
Tali principi sono stati ribaditi anche in sede di recepimento, infatti il 
D.Lgs. n. 215/2003 prevede (art. 3) che il principio di parit� di trattamento 
senza distinzione di razza e di origine etnica si applichi a tutte le persone, sia 
nel settore pubblico che privato, e sia suscettibile di tutela giurisdizionale, con 
specifico riferimento alle seguenti aree: a) accesso all'occupazione e al lavoro, 
sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di 
assunzione; b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti 
di carriera, la retribuzione e le condizioni di licenziamento; c) accesso a tutti 
i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e 
riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali; d) affiliazione e 
attivit� nell'ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori o di altre organizzazioni 
professionali e prestazioni erogate dalle medesime; e) protezione sociale, 
inclusa la sicurezza sociale; f) assistenza sanitaria; g) prestazioni sociali; 
h) istruzione; i) accesso a beni e servizi, incluso l'alloggio. 
Tuttavia la medesima norma precisa che �il presente decreto legislativo 
non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalit� e non pregiudica 
le disposizioni nazionali e le condizioni relative all'ingresso, al soggiorno, 
all'accesso all'occupazione, all'assistenza e alla previdenza dei 
cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato, n� qualsiasi 
trattamento, adottato in base alla legge, derivante dalla condizione giuridica 
dei predetti soggetti�. 
D�altra parte anche la direttiva n. 2000/78/CE (che riprende le diverse 
tipologie di discriminazioni individuate dalla direttiva n. 2000/43, applicandone 
il divieto, con specifico riferimento all'occupazione ed alle condizioni 
di lavoro, ad una serie di situazioni eterogenee, quali religione, convinzioni 
personali, handicap, et�, tendenze sessuali) non riguarda, neanch�essa, le differenze 
di trattamento basate sulla nazionalit�, aspetto questo confermato 
anche dal D.lgs. 216/2003 che di tale direttiva costituisce trasposizione. 
192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Tale ambito di applicazione, unitamente alla considerazione della peculiare 
natura del servizio civile, non riconducibile al rapporto di lavoro (cfr. 
Corte Cost. 2004, n. 228), a parere della Scrivente esclude la rilevanza, in materia, 
di profili comunitari. 
In relazione a quanto sopra, pertanto, si pu� concludere che l�art. 3 co. 1 
del D.lgs. 5 aprile 2002 n. 77 non appare incompatibile con la richiamata normativa 
comunitaria, il che esclude una sua diretta disapplicabilit� (per tale ragione) 
da parte dell�Amministrazione. 
9. In conclusione alla luce degli esposti principi e tenuto conto delle 
norme vigenti (che peraltro, a quanto consta, potrebbero essere oggetto di modifica 
da parte del legislatore), a parere della Scrivente nulla osta alla indizione 
di nuovi bandi contenenti la clausola di riserva ai soli cittadini dell�accesso al 
servizio civile in conformit� all�art. 3 co. 1 del D.lgs. 5 aprile 2002 n. 77, essendo 
quest�ultima norma in vigore ed efficace, non in contrasto con principi 
comunitari (in quanto tale non disapplicabile dall�Amministrazione), e non 
manifestamente contrastante con i parametri costituzionali, ci� sembrando 
anche sufficiente - in via di principio - ad escludere che da essa possano essere 
indotti comportamenti potenzialmente discriminatori. 
In tale contesto anche in caso di ipotetica soccombenza dell�Amministrazione 
in singoli giudizi intrapresi da soggetti non cittadini per accedere alla selezione, 
detta soccombenza non sarebbe di per s� sufficiente - in presenza di una 
siffatta norma di legge efficace e vincolante - a giustificare una eventuale modifica 
dei bandi n� lo stralcio della clausola che a tale norma di legge si conforma. 
Sul presente parere � stato sentito il Comitato Consultivo di cui all�art. 
26 della legge 3 aprile 1979 n. 103, che si � espresso in conformit�. 
Applicabilit� ai dirigenti RAI dei limiti alle retribuzioni disposti 
dal d.p.r. 195/2010 
(Parere prot. 312424 del 2 agosto 2012, AL 27777/12, avv. GIUSEPPE ALBENZIO) 
Codesto Ministero chiede alla Scrivente parere sull'applicabilit� ai dirigenti 
RAI dei limiti alle retribuzioni disposti dal d.p.r. 195/2010. 
1. Ad avviso di questa Avvocatura, la limitazione al trattamento retributivo 
disposta in via generale dall'art. 3, comma 44, 1. 244/2007 non si applica: 
a) ai componenti del Consiglio di amministrazione della RAI; b) ai dipendenti 
con contratto di lavoro subordinato.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 193 
a) il disposto generale appena citato ("3. 44. Il trattamento economico onnicomprensivo 
di chiunque riceva a carico delle pubbliche finanze emolumenti 
o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con 
pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto 
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, agenzie, enti pubblici anche economici, 
enti di ricerca, universit�, societ� non quotate a totale o prevalente partecipazione 
pubblica nonch� le loro controllate, ovvero sia titolare di incarichi o 
mandati di qualsiasi natura nel territorio metropolitano, non pu� superare 
quello del primo presidente della Corte di cassazione. Il limite si applica anche 
ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili, ai presidenti e componenti 
di collegi e organi di governo e di controllo di societ� non quotate, ai dirigenti") 
non si applica ai casi previsti dall'art. 4 d.p.r. 195/2010 ("3. Le attivit� 
soggette a tariffa professionale, le attivit� di natura professionale non continuativa, 
i contratti d�opera di natura non continuativa ed i compensi determinati 
ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, codice civile, degli 
amministratori delle societ� non quotate a totale o prevalente partecipazione 
pubblica e le loro controllate investiti di particolari cariche, non sono assoggettati 
al rispetto del limite di cui al presente regolamento�). 
La retribuzione dei componenti degli organi di amministrazione delle societ� 
non quotate, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato ai sensi 
dell'art. 2359, prima comma, numero 1), del codice civile (quale � la RAI) era 
stata oggetto di specifica disposizione riduttiva nella stessa 1. 244/2007, art. 
3, comma 12, lett. a): "I compensi deliberati ai sensi dell'articolo 2389, prima 
comma, del codice civile sono ridotti, in sede di prima applicazione delle presenti 
disposizioni, del 25 per cento rispetto ai compensi precedentemente deliberati 
per ciascun componenete dell'organo di amministrazione". 
L'esclusione concerne i compensi dei componenti degli organi di amministrazione, 
da intendersi il Presidente e i componenti del Consiglio di Amministrazione 
RAI, e non sembra estensibile anche al Direttore Generale, attesa 
la necessit� di stretta interpretazione della disposizione esentiva di natura eccezionale 
contenuta nel citato art. 4 d.p.r. 195/2010 e la natura e le funzioni del 
Direttore Generale, organo di gestione dell'azienda e di esecuzione delle deliberazioni 
consiliari, secondo quanto delineato dall'art. 29 dello Statuto RAI. 
b) La disposizione generale in esame non trova applicazione neppure per 
gli emoIumenti indicati nel comma 2 dell'art. 4 del d.p.r. 195/2010 il quale recita: 
"2. Ai fini della verifica del rispetto del limite non � computato il corrispettivo 
globale percepito per il rapporto di lavoro o il trattamento 
pensionistico corrisposti al soggetto destinatario, rispettivamente, dall' amministrazione 
o dalla societ� di appartenenza e dall'ente previdenziale. Ai fini 
della verifica del rispetto del limite non � computata la parte del compenso 
che il soggetto destinatario � obbligato a versare in fondi. Negli incarichi di 
durata pluriennale con compenso cumulativamente previsto, al fini della de-
194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
terminazione del limite, il compenso � computato in parti uguali per gli anni 
di riferimento, tenendo conto delle frazioni di anno". 
Nessuna rilevanza in materia assumono le disposizioni dell�art. 23-ter d.l. 
201/2011 e del suo decreto attuativo (DPCM 23 marzo 2012) aventi ad oggetto 
solo "emolumenti o retribuzioni nell�ambito di rapporti di lavoro dipendente 
o autonomo con pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 
2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, 
ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del 
medesimo decreto legislativo", quindi con esclusione delle societ� non quotate, 
direttamente o indirettamente controllate dallo Stato, oggetto della disposizione 
generale del 2007. 
Pertanto, la detta esclusione, tutt'ora operante per i dipendenti delle societ� 
controllate (e, quindi, della RAI) e non pi� per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, 
potrebbe essere applicata alla retribuzione del Direttore Generale 
qualora questa figura possa qualificarsi come rapporto di lavoro dipendente. 
In proposito, si osserva che lo Statuto RAI - art. 29 - contempla la figura 
con riferimento ai poteri attribuiti, senza indicazioni sulla natura del relativo 
rapporto di lavoro, cos� che lo stesso potrebbe in astratto strutturarsi sub specie 
di lavoro subordinato o di lavoro autonomo. 
Occorre, pertanto, verificare in concreto il contenuto del contratto che lega 
il Direttore Generale all'azienda onde attribuirgli la necessaria qualificazione. 
Qualora il detto contratto possa qualificarsi di natura dirigenziale subordinata, 
la relativa retribuzione sfuggirebbe al "tetto" retributivo previsto dall'art. 
3, comma 44, 1. 244/2007, in virt� dell'art. 4, comma 2, d.p.r. 195 sopra 
citato; nel caso, invece, il contratto sia da qualificarsi come di natura professionale 
autonoma, la retribuzione dovrebbe essere assoggettata al "tetto" di 
cui sopra perch� non potrebbe rientrare nelle ipotesi estensive previste dal 
comma 3 del citato art. 4, n� con riferimento alle "attivit� soggette a tariffe 
professionale" (non ricorrendone i presupposti) n� quanto a "le attivit� di natura 
professionale non continuativa, i contratti d'opera di natura non continuativa" 
(attesa la natura "continuativa" del rapporto). 
In conclusione, allo stato attuale della normativa vigente, i limiti alle retribuzioni 
disposti dall'art. 3, comma 44, 1. 244'2007 sembrano non potersi 
applicare ai componenti degli organi di amministrazione della RAI, secondo 
l'art. 4, comma 3, d.p.r. 195/2010, mentre non trovano applicazione per il Direttore 
Generale soltanto qualora sia stato assunto con contratto di lavoro subordinato, 
ai sensi dell'art. 4, comma 2, stesso decreto. 
2. De jure condendo, bisogna dar conto del testo del d.l. 6 luglio 2012 n. 
95, come modificato ed approvato dal Senato in sede di conversione (n. 3396 
atto senato) ed attualmente all'esame della Camera dei Deputati per la definitiva 
approvazione. 
Il trattamento economico dei dipendenti delle societ� a prevalente parte-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 195 
cipazione pubblica e, quindi, della RAI � preso in considerazione sia dall'art. 
4, comma 11 ("...il trattarnento economico complessivo ... non pu� superare 
quello ordinariamente spettante per l'anno 2011") sia dall'art. 2, commi 20- 
quater e 20-quinquies (aggiunti in sede di conversione); questi ultimi impingono 
nell'oggetto del parere richiesto, nel senso che, estendendo anche ai 
compensi dei componenti dei consigli di amministrazione ed al trattamento 
economico annuo onnicomprensivo dei dipendenti delle dette societ� il tetto 
del trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione, e 
prevedendo l'applicabilit� della disposizione solo per il futuro ("a decorrere 
dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione ... e ai contratti stipulati e 
agli atti emanati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di 
conversione del presente decreto") confermano la correttezza della ricostruzione 
della normativa attualmente vigente sopra delineata e delle conclusioni 
formulate neI precedente punto 2.1. 
Sul presente parere � state sentito ii Comitato Consultivo che si e espresso 
in conformit� nella seduta del 2 agosto 2012. 
�Limite massimo retributivo per emolumenti o retribuzioni 
nell�ambito di rapporto di lavoro dipendente o autonomo con le 
pubbliche amministrazioni statali� - D.P.C.M. 23 marzo 2012 
(Parere prot. 368257 del 26 settembre 2012, AL 21789/12, avv. WALLY FERRANTE) 
Con la nota del 1 giugno 2012, codesto Istituto ha chiesto l�avviso di questa 
Avvocatura in merito alla computabilit�, per il personale dirigenziale fuori 
ruolo proveniente dall�Avvocatura dello Stato, degli onorari ex art. 21 R.D. 30 
ottobre 1933, n. 1611 ai fini del calcolo della percentuale del 25% dell�ammontare 
complessivo del trattamento economico percepito di cui all�art. 23 ter (*) 
del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito dalla legge 22 dicembre 
2011, n. 214. Ci� alla luce di quanto disposto dagli articoli 3 e 4 del D.P.C.M. 
(*) Art. 23 ter: 
(...) 2. Il personale di cui al comma 1 che � chiamato, conservando il trattamento economico riconosciuto 
dall'amministrazione di appartenenza, all'esercizio di funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche 
in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorit� 
amministrative indipendenti, non pu� ricevere, a titolo di retribuzione o di indennit� per l'incarico 
ricoperto, o anche soltanto per il rimborso delle spese, pi� del 25 per cento dell'ammontare complessivo 
del trattamento economico percepito (...). [N.d.r.]
196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
del 23 marzo 2012, adottato in attuazione del comma 1 del predetto art. 23 ter 
che, come � noto, fissa un tetto retributivo massimo per chiunque riceva a carico 
delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell�ambito di rapporti di 
lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali. 
Trattandosi di questioni di massima di particolare delicatezza, la Scrivente, 
(...) ha reputato opportuno acquisire preliminarmente l�avviso della Presidenza 
del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la funzione pubblica e 
del Ministero dell�economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria 
Generale dello Stato in ordine al quesito prospettato. 
Con nota del 26 luglio 2012, n. 64018, il Ministero dell�economia e delle 
finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato ha rappresentato 
che gli importi degli onorari spettanti al personale dell�Avvocatura dello Stato 
collocato fuori ruolo presso l�ISVAP non possono essere computati nel calcolo 
del trattamento economico su cui applicare la percentuale del 25 %, in quanto 
trattasi di voci di natura variabile, legate all�effettiva prestazione presso l�amministrazione 
di origine e strettamente correlate all�attivit� che gli interessati, 
collocati fuori ruolo presso l�ISVAP, non svolgono pi� presso l�Avvocatura. 
Ci� premesso, va sottolineato che l�art. 4 del citato D.P.C.M. del 23 marzo 
2012, al comma 2, dispone, a proposito del conferimento di incarichi dirigenziali 
a personale collocato fuori ruolo o in aspettativa, che �se l�assunzione 
dell�incarico comporta la perdita di elementi accessori della retribuzione propri 
del servizio nell�amministrazione di appartenenza, alla percentuale di cui 
al comma 1 si aggiunge un importo pari all�ammontare dei predetti elementi 
accessori, che vengono contestualmente considerati ai fini del calcolo della 
percentuale medesima�. 
Come anche ritenuto dal Ministero dell�economia e delle finanze - Dipartimento 
della Ragioneria Generale dello Stato, tale norma non sembra potersi 
applicare agli onorari percepiti dagli avvocati e procuratori dello Stato ai 
sensi dell�art. 21 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 trattandosi di emolumenti 
accessori e di natura variabile, il cui importo muta di anno in anno e 
da dipendente a dipendente in base all�anzianit� e alla sede di servizio nonch� 
al numero degli avvocati e procuratori in ruolo. 
Nello stesso senso ha concluso la Corte dei Conti (Sezioni riunite di controllo 
del 4 ottobre 2011, n. 51/CONTR/11) in relazione alle risorse destinate 
a remunerare le prestazioni professionali dell�avvocatura interna di comuni e 
province. 
Come gi� rappresentato con nota del Segretario Generale del 24 febbraio 
2012, n. 69263 P indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento 
della Funzione Pubblica, dal tenore letterale dell�art. 9, comma 2 
del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, 
n. 122, si evince, a contrario, che gli onorari degli avvocati e procuratori dello 
Stato, salvo espressa previsione di legge, non rientrano nel loro trattamento
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 197 
economico complessivo e quindi non possono essere computati ai fini dell�applicazione 
del tetto retributivo di cui all�art. 23 ter del decreto-legge 6 dicembre 
2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Del resto, 
ai sensi dell�art. 17, comma 3 della legge 2 aprile 1979, n. 97, recante norme 
sullo stato giuridico dei magistrati e sul trattamento economico dei magistrati 
ordinari e amministrativi, dei magistrati della giustizia militare e degli avvocati 
dello Stato, i compensi previsti dal citato art. 21 del regio decreto n. 1611 del 
1933 sono esclusi dal principio di onnicomprensivit� del trattamento economico 
degli avvocati e procuratori dello Stato. 
Ne consegue, coerentemente, che detti compensi non possono essere inclusi 
nella base di calcolo della percentuale del 25% di cui al pi� volte citato 
art. 23 ter. 
Sui profili di massima della presente questione, si � espresso in conformit� 
il Comitato Consultivo nella seduta del 25 settembre 2012. 
Concessioni radio/televisive: possibilit� di affito del servizio da 
parte del concessionario 
(Parere prot. 372568 del 28 settembre 2012, AL 25265/12, avv. ALESSANDRO DE STEFANO) 
Con la nota in riferimento codesta Amministrazione chiede se, in via di 
astratto diritto, sia possibile riconoscere la validit� di un contratto di affitto di 
azienda, con il quale il concessionario di un servizio di radiodiffusione sonora 
e televisiva analogica in ambito locale o per la radiodiffusione sonora in ambito 
nazionale ceda ad altro soggetto il diritto di esercitare la propria attivit�. 
Nel caso in cui al predetto quesito si dovesse dare risposta affermativa, codesta 
Amministrazione chiede altres� se l'obbligo di pagamento del canone di concessione 
sia da imputarsi al concessionario o all'affittuario, che di fatto gestisce 
l'emittente. 
Questa Avvocatura ritiene che occorre distinguere i profili di carattere 
privatistico, che attengono al rapporto negoziale che intercorre tra le parti, dai 
profili di diritto pubblicistico, che concernono il rapporto con l'Amministrazione 
concedente. 
Sotto il primo aspetto, si rileva che - secondo la giurisprudenza della Cassazione 
- il contratto rientra nell'autonomia privata delle parti e pu� considerarsi 
valido ed efficace tra di esse, perch� non contrasta con norme imperative 
ed non ha per oggetto un bene indisponibile. Si ravvisa infatti una specie di
198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
sub-concessione, con cui il concessionario dispone delle facolt� derivanti dal 
rapporto pubblicistico istituito con l'Amministrazione, che hanno la consistenza 
di veri e propri diritti soggettivi nei rapporti interprivati (in tal senso, 
cfr. Cass., 27 marzo 2009, n. 7532, che richiama i principi enunciati dalle 
SS.UU. con sentenze nn. 9233/02 e 4021/93). 
Tuttavia, come riconoscono le stesse sentenze citate innanzi, ci� non implica 
che l'Amministrazione concedente sia obbligata a prender atto dell'accordo 
privato intercorso tra le parti ed a trasferire al terzo affittuario le 
posizioni soggettive che derivano dall'atto di concessione adottato a favore 
del locatore. Infatti, il rapporto pubblicistico rimane regolato dalla legge, che 
costituisce espressione di esigenze e di interessi di carattere generale. Da ci� 
consegue che l'Amministrazione potr� disporre il trasferimento del rapporto 
concessorio nei soli casi e con i soli limiti in cui ci� sia consentito dalle norme 
vigenti, e potr� invece ritenere che il contratto di affitto non sia opponibile nei 
suoi confronti, fino a pervenire alla dichiarazione di decadenza dal rapporto, 
qualora la situazione non sia conforme alle previsioni normative ed agli obblighi 
del concessionario. 
In questa prospettiva, si deve osservare che l'art. 27, comma 5, del d.lgs. 
177 del 2005, che specificamente disciplina il trasferimento delle concessioni 
di cui trattasi, si limita a consentire la devoluzione del rapporto a seguito di 
trasferimenti di impianti, di rami di azienda o di intere emittenti a favore di 
altro concessionario, ovvero l'acquisizione di concessionarie costituite in 
forma di societ� cooperative a r.l. da parte di societ� di capitali, ovvero le cessioni 
di intere emittenti radiofoniche analogiche a societ� di capitali di nuova 
costituzione da parte di soggetti titolari di pi� concessioni. La specificit� delle 
previsioni normative, che individuano con rigore i soggetti, l'oggetto e le condizioni 
delle operazioni di trasferimento, induce a ritenere che il legislatore 
abbia voluto ammettere la voltura delle concessioni delle frequenze nelle sole 
ipotesi espressamente contemplate, escludendo la possibilit� di interpretazioni 
analogiche ed estensive. 
In particolare, non sembra che il riferimento alle "cessioni" di emittenti 
radiofoniche analogiche da parte dei titolari di pi� concessioni a favore di societ� 
di nuova costituzione possa essere ritenuto comprensivo dell'ipotesi dell'affitto 
di azienda. Il legislatore ha fatto riferimento ad una fattispecie che 
contempla la definitiva dismissione della concessione da parte del precedente 
titolare; e non sembra che a questa ipotesi possa essere equiparata la diversa 
fattispecie in cui si determini una scissione tra la titolarit� e l'esercizio dell'emittente. 
Oltre tutto, una simile fattispecie comporterebbe una serie di problemi 
applicativi che il legislatore ha verosimilmente voluto evitare, come quello - 
posto in evidenza da codesta Amministrazione con il proprio secondo e condizionato 
quesito - della individuazione del soggetto obbligato al pagamento
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 199 
del canone concessorio. Non si pu� inoltre trascurare che la possibilit� di trasferire 
il diritto di emittenza radiotelevisiva mediante contratto di affitto potrebbe 
originare fenomeni speculativi, che il legislatore non ha inteso avallare. 
Le considerazioni sopra svolte sembrano confermate dai principi di carattere 
generale che disciplinano il rilascio della licenza d'uso delle frequenze, 
che costituisce condizione essenziale per l'esercizio dell'attivit� di trasmissione 
radio-televisiva. A tal riguardo, la normativa comunitaria di riferimento prevede 
che "gli Stati membri hanno la facolt� di prevedere che le imprese trasferiscano 
i diritti di uso delle radiofrequenze ad altre imprese" [art. 9 della 
direttiva 2002/21/CE (cd. "direttiva quadro") ] e che "Nel concedere i diritti 
[per l'uso delle frequenze: n. d. r.] gli Stati membri precisano se sono trasferibili 
su iniziativa del detentore degli stessi e a quali condizioni, nel caso delle 
frequenze radio, conformemente all'art. 9 della direttiva 2002/21/CE" [(art. 
5, par. 2, comma 2, della direttiva 2002/20/CE (cd. "direttiva autorizzazioni")]. 
Nel recepire questi principi, l'art. 27, comma 5 bis, del d.lgs. 1� agosto 
2003, n. 259, ha previsto che "al momento del rilascio dei diritti d'uso [delle 
frequenze radio: n. d. r.] il Ministero specifica se tali diritti possono essere 
trasferiti dal titolare e a quali condizioni". 
Un'ulteriore conferma della soluzione interpretativa qui sostenuta si desume 
dal comma 6 bis del citato d.lgs. n. 259 del 2003, introdotto dall'art. 23, 
comma 5, del d.lgs. 28 maggio 2012, n. 70, secondo cui "il Ministero e l'Autorit� 
[...] assicurano che le frequenze radio siano utilizzate in modo efficiente 
ed efficace [...] ", ed adottano, se del caso, �misure appropriate, quali ad esempio 
l'obbligo di vendita o di locazione dei diritti d'uso delle frequenze radio". 
Da questa norma si desume per un verso che i concessionari sono tenuti ad 
utilizzare in modo efficiente e efficace le frequenze ad essi assegnate (circostanza 
che non si verificherebbe, qualora potessero utilizzarle come beni di 
mero godimento e come oggetto di negozi di affitto), e per un altro verso che 
il legislatore ha considerato la locazione soltanto come una misura di regolamentazione, 
diretta ad evitare la distorsione della concorrenza, e non pure 
come una facolt� del concessionario. 
Per queste ragioni, si ritiene che il trasferimento possa essere ammesso 
nelle sole ipotesi espressamente previste dalla legge, nonch� negli ulteriori 
casi eventualmente previsti dal provvedimento di concessione. Ne consegue 
che, al di fuori di tali ipotesi, la dismissione ed il trasferimento a terzi del 
diritto d'uso, sebbene valido sotto il profilo civilistico, non comporta il diritto 
del terzo di conseguire il riconoscimento della sua emittente, e pu� configurare 
anzi una violazione degli obblighi gravanti sul concessionario. 
In tal senso sembra d'altronde orientata la prassi amministrativa. In relazione 
ad una controversia proposta da un'emittente televisiva (...) ed attualmente 
pendente dinanzi al Tar del Lazio (causa n.r.g. ...), codesto Ministero 
ha infatti rappresentato di non aver censito un impianto gestito dalla ricorrente
200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
perche acquisito in base ad un contratto di comodato d'uso a titolo gratuito ed 
a tempo indeterminato, che non conferisce affatto la titolarit� dell'esercizio. 
In senso analogo si � espresso l'Ispettorato Territoriale del Lazio con nota del 
6 luglio 2012 in relazione al caso dell'emittente (...), qui segnalato per le vie 
brevi da codesto Ministero. 
Si ritiene quindi che al contratto di affitto del ramo di azienda di un'emittente 
radiofonica non possano riconoscersi effetti nei confronti dell'Amministrazione, 
se ci� non sia espressamente consentito dall'atto di concessione. 
Il presente parere viene reso previa audizione del Comitato Consultivo 
di questa Avvocatura, che si e espresso in conformit� nella seduta del 25 settembre 
u.s. 
Spese di custodia dei veicoli sequestrati o sottoposti a fermo 
amministrativo per violazione del codice della strada 
(Parere prot. 375988 del 1� ottobre 2012, AL 10575/12, 
avv. DANIELA CANZONERI e dott. GIUSEPPE ZUCCARO) 
1. Individuazione della fattispecie. 
Codesto Ministero ha proposto alla Scrivente il seguente quesito: �Se le 
disposizioni di cui agli artt. 11 e 12 D.P.R. 29 luglio 1982, n. 571 devono essere 
interpretate nel senso che l�art. 11 porrebbe a carico dell�Amministrazione le 
sole spese vive che l�amministrazione o il terzo hanno sostenuto per assicurare 
la custodia dei veicoli sequestrati o sottoposti a fermo amministrativo per violazione 
del codice della strada, mentre l�art. 12 porrebbe a carico dei proprietari 
degli anzidetti veicoli le ulteriori spese di conservazione�. 
I dubbi interpretativi sono sorti a seguito di due distinti pareri resi dalla 
Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli (CS 4073/2011 del 6 luglio 2011 
prot. 81476P, e CS 2774/2012, prot. 35257P del 13 marzo 2012). 
Il primo dei pareri dell�Avvocatura Distrettuale di Napoli � stato reso in 
funzione difensiva, avuto riguardo ad una proposta di transazione avanzata da 
una ditta iscritta nell�elenco di cui all�art. 8 del D.P.R. 571/82 a seguito di 
emissione di decreti ingiuntivi ottenuti nei confronti dell�amministrazione 
sull�assunto che su questa gravasse l�obbligo di anticipazione delle spese di 
custodia di alcuni veicoli sottoposti alla misura cautelare del sequestro ammi-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 201 
nistrativo ex art. 11 del D.P.R. 571/82 ed ancora giacenti presso la depositeria, 
mentre il secondo � stato reso, unitamente ad altri successivi, in funzione esplicativa 
dell�assunto difensivo con riguardo agli aspetti generali che la problematica 
dell�affidamento della custodia aveva presentato nel corso degli anni, 
in particolare dalla entrata in vigore delle modifiche al Codice della Strada introdotte 
con D.L. 30 settembre 2003 n. 269. 
Il presente parere non costituisce quindi un riesame - per ci� solo inammissibile 
- dei pareri resi dall�Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli in 
funzione difensiva, ed � volto unicamente all�esame dei quesiti generali sottesi 
alla richiesta di parere formulata da codesta Amministrazione. 
2. Soluzioni prospettabili. Considerazioni preliminari. 
Tutto ci� premesso e considerato, occorre precisare che i pareri dell�Avvocatura 
Distrettuale di Napoli hanno il merito di aver messo in evidenza il 
cronico ritardo delle Amministrazioni interessate a dare attuazione alla disciplina 
del c.d. custode-acquirente di cui all�art. 214-bis C.d.S., dettata dal legislatore 
proprio al fine di �scardinare il sistema del ricorso alle depositerie 
ex art. 8 del D.P.R. 571/82� che ha �dato luogo, per un ventennio, a gravi disfunzioni 
che� si sono tradotte �per le casse dell�erario in un gravissimo 
danno� (cfr. nota dell�Avvocatura Distrettuale di Napoli del 23 maggio 2012, 
prot. 67089 P). 
Ne deriva che appare assolutamente necessario procedere in tempi brevi 
a dare attuazione alla disciplina del c.d. custode-acquirente, provvedendo alla 
tempestiva individuazione dei custodi-acquirenti di cui all�art. 214-bis C.d.S. 
in tutti gli ambiti provinciali del territorio nazionale. 
Nelle more dello svolgimento delle gare per l�individuazione dei custodiacquirenti, 
codesto Ministero dovr� procedere (come suggerito dall�Avvocatura 
Distrettuale di Napoli), negli ambiti provinciali ancora scoperti e 
nell�ipotesi in cui sia gi� stato individuato ed in concreto operi il c.d. custodeacquirente 
in ambiti provinciali limitrofi, all�affidamento della custodia dei 
veicoli sottoposti a sequestro o a fermo, in favore di tale operatore. 
Sempre nelle more dell�attivazione del custode-acquirente, codesto Ministero 
dovr� fare ricorso alla procedura di cui all�art. 38 d.l. 269/2003, convertito 
in L. n. 326/2003, al fine di liberare le depositerie giudiziarie dai veicoli 
da lungo tempo giacenti presso di esse. 
La norma in esame detta infatti le disposizioni per la semplificazione in 
materia di sequestro, fermo, confisca e alienazione dei veicoli. ComՏ noto, 
essa, al comma 2, prevede che: �I veicoli giacenti presso le depositerie autorizzate 
a seguito dell'applicazione di misure di sequestro e sanzioni accessorie 
previste dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, 
ovvero quelli non alienati per mancanza di acquirenti, purch� immatricolati 
per la prima volta da oltre cinque anni e privi di interesse storico e
202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
collezionistico, comunque custoditi da oltre due anni alla data del 30 settembre 
2003, anche se non confiscati, sono alienati, anche ai soli fini della rottamazione, 
mediante cessione al soggetto titolare del deposito�. Vorr�, pertanto, 
codesto Ministero adottare, di concerto con l�Agenzia del Demanio, un nuovo 
decreto dirigenziale, al fine di riattivare la procedura straordinaria di alienazione 
e rottamazione, nel rispetto dei presupposti previsti dal comma 2 dell�art. 
38 cit., al fine di liberare le depositerie giudiziarie dai veicoli ivi esistenti. 
Codesto Ministero dovr� altres� procedere, per i veicoli che non rientrano 
nell�ambito di applicazione del citato comma 2 dell�art. 38 d.l. 269/2003, secondo 
le modalit� di cui al successivo comma 11 dell�art. 38 cit, secondo il 
quale: �In relazione ai veicoli, diversi da quelli oggetto della disciplina stabilita 
dal presente articolo, che alla data di entrata in vigore del presente decreto 
sono giacenti presso le depositerie autorizzate a seguito dell'applicazione di 
misure di sequestro o di fermo previste dal decreto legislativo n. 285 del 1992, 
l'organo di polizia che ha proceduto al sequestro o al fermo notifica al proprietario 
l'avviso previsto dal comma 2-quater dell'articolo 213 del predetto 
decreto legislativo, introdotto dal comma 1, lettera a), n. 2) del presente articolo, 
con l'esplicito avvertimento che, in caso di rifiuto della custodia del veicolo 
a proprie spese, si proceder�, altres�, all'applicazione della sanzione 
amministrativa pecuniaria e della sanzione amministrativa accessoria previste, 
al riguardo, dal comma 2-ter del predetto articolo 213, introdotto dal comma 
1, lettera a), n. 2) del presente articolo. Il termine di dieci giorni, dopo il cui 
inutile decorso si verifica il trasferimento della propriet� del veicolo al custode, 
decorre dalla data della notificazione dell'avviso�. 
Giova precisare che la procedura di cui all�art. 38 co. 2 del D.L. n. 269/2003, 
convertito in L. n. 326/2003, non riveste carattere eccezionale e temporaneo. 
L�art. 38, co. 3, cit., prevede, infatti, che nel caso di giacenza presso le 
depositerie di un certo tipo di veicoli e al verificarsi di determinate condizioni, 
all�alienazione ed alle attivit� ad essa funzionali e connesse (per quanto concerne 
i veicoli di cui al comma 2) procedano congiuntamente il Ministero 
dell�Interno e l�Agenzia del Demanio, secondo modalit� stabilite con decreto 
dirigenziale di concerto tra le due amministrazioni. 
Ci� conferma il difetto del carattere di �temporaneit�� alla procedura in 
esame: la circostanza che il decreto dirigenziale del 2004 dettava una determinata 
tempistica appare coerente con tale atto, avente natura meramente amministrativa, 
volto a regolamentare un�attivit� da porre in essere con 
riferimento ad uno stato di fatto (alienazione di veicoli giacenti presso le depositerie 
al momento della adozione del decreto); nulla esclude, per�, l�adozione 
di un nuovo decreto dirigenziale che vada a regolamentare le medesime 
attivit�, allorch� il presupposto che consente la adozione della procedura di 
alienazione (giacenza da un certo tempo presso le depositerie di determinati 
veicoli sottoposti a misure di sequestro e sanzioni accessorie ex D.Lgs. n.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 203 
285/92, ovvero non alienati, ovvero non confiscati e di cui al punto 2 del medesimo 
articolo) venga constatato in un momento successivo alla adozione del 
decreto dirigenziale del 2004. 
Il carattere �temporaneo� o �eccezionale� della procedura, inoltre, non trova 
conferma neppure nella rubrica dell�articolo 38 cit., che detta le �Norme di semplificazione 
in materia di sequestro, fermo, confisca e alienazione di veicoli�. 
Facendo corretta applicazione delle previsioni di cui ai commi 2 e 11 
dell�art. 38 d.l. 269/2003 s.m.i., si ritiene che, nelle more dell�individuazione 
del custode-acquirente, si possa perseguire l�obiettivo voluto dal legislatore, 
di liberare le depositerie giudiziarie dai veicoli da lungo tempo ivi custoditi, 
e ci� con conseguente ingente risparmio di spesa per l�Erario. 
3. Ambito di applicazione della disciplina di cui al D.P.R. 571/1982, e del 
D.Lgs. 285/1992 (c.d. Codice della Strada). 
Venendo ora all�esame delle complesse problematiche sollevate dalla questione 
in esame, occorre, in primo luogo, rilevare che la corretta applicazione 
degli artt. 213 e 214 del C.d.S. dovrebbe ridurre drasticamente il numero dei 
veicoli da ricoverare presso le depositerie giudiziarie. 
L�applicazione delle sanzioni collegate alla mancata assunzione dell�obbligo 
di custodia da parte dei soggetti contemplati nelle anzidette norme dovrebbe, 
infatti, costituire un forte deterrente al verificarsi delle anomalie 
caratterizzanti il previgente sistema, nel quale di fatto il veicolo veniva �abbandonato� 
dal proprietario. 
A norma infatti dell�art. 214 , per quel che qui interessa, �salvo quanto 
previsto dal comma 2-quinquies, nelle ipotesi di cui al comma 1, il proprietario 
ovvero, in caso di sua assenza, il conducente del veicolo o altro soggetto obbligato 
in solido, � nominato custode con l'obbligo di depositare il veicolo in 
un luogo di cui abbia la disponibilit� o di custodirlo, a proprie spese, in un 
luogo non sottoposto a pubblico passaggio, provvedendo al trasporto in condizioni 
di sicurezza per la circolazione stradale (�) -2 bis. Entro i trenta giorni 
successivi alla data in cui, esauriti i ricorsi anche giurisdizionali proposti dall'interessato 
o decorsi inutilmente i termini per la loro proposizione, � divenuto 
definitivo il provvedimento di confisca, il custode del veicolo trasferisce il 
mezzo, a proprie spese e in condizioni di sicurezza per la circolazione stradale, 
presso il luogo individuato dal prefetto ai sensi delle disposizioni dell'articolo 
214-bis. Decorso inutilmente il suddetto termine, il trasferimento del veicolo 
� effettuato a cura dell'organo accertatore e a spese del custode, fatta salva 
l'eventuale denuncia di quest'ultimo all'autorit� giudiziaria qualora si configurino 
a suo carico estremi di reato (�) -ter. All'autore della violazione o ad 
uno dei soggetti con il medesimo solidalmente obbligati che rifiutino di trasportare 
o custodire, a proprie spese, il veicolo, secondo le prescrizioni fornite 
dall'organo di polizia, si applica la sanzione amministrativa del pagamento
204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
di una somma da euro 1.725 a euro 6.903, nonch� la sanzione amministrativa 
accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre mesi. In questo 
caso l'organo di polizia indica nel verbale di sequestro i motivi che non 
hanno consentito l'affidamento in custodia del veicolo e ne dispone la rimozione 
ed il trasporto in un apposito luogo di custodia individuato ai sensi delle 
disposizioni dell'articolo 214-bis (�) -quater. Nelle ipotesi di cui al comma 
2-ter, l'organo di polizia provvede con il verbale di sequestro a dare avviso 
scritto che, decorsi dieci giorni, la mancata assunzione della custodia del veicolo 
da parte del proprietario o, in sua vece, di altro dei soggetti indicati nell'articolo 
196 o dell'autore della violazione, determiner� l'immediato 
trasferimento in propriet� al custode, anche ai soli fini della rottamazione nel 
caso di grave danneggiamento o deterioramento�. 
A norma del successivo art. 214 c.d.s.: �Salvo quanto previsto dal comma 
1-ter, nelle ipotesi in cui il presente codice prevede che all'accertamento della 
violazione consegua l'applicazione della sanzione accessoria del fermo amministrativo 
del veicolo, il proprietario, nominato custode, o, in sua assenza, il 
conducente o altro soggetto obbligato in solido, fa cessare la circolazione e 
provvede alla collocazione del veicolo in un luogo di cui abbia la disponibilit� 
ovvero lo custodisce, a proprie spese, in un luogo non sottoposto a pubblico 
passaggio (�). Nei casi di cui al comma 1, il veicolo � affidato in custodia all'avente 
diritto o, in caso di trasgressione commessa da minorenne, ai genitori 
o a chi ne fa le veci o a persona maggiorenne appositamente delegata, previo 
pagamento delle spese di trasporto e custodia. All'autore della violazione o ad 
uno dei soggetti con il medesimo solidalmente obbligato che rifiuti di trasportare 
o custodire, a proprie spese, il veicolo, secondo le prescrizioni fornite dall'organo 
di polizia, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una 
somma da euro 731 a euro 2.928, nonch� la sanzione amministrativa accessoria 
della sospensione della patente di guida da uno a tre mesi�. 
Da ci� deriva che solo nelle residuali ipotesi di rifiuto alla assunzione 
della custodia, da parte del proprietario o del conducente del veicolo, al momento 
della contestazione della violazione ed applicazione della misura cautelare, 
si dovr� ricorrere alla custodia presso il custode-acquirente o in altro 
luogo di custodia. 
Nelle suddette ipotesi residuali, nel caso in cui non sia stato individuato 
il custode-acquirente, occorre avere riguardo a tre aspetti: 
1) individuazione del luogo di custodia; 
2) regime delle spese; 
3) disciplina della alienazione e rottamazione. 
Occorre premettere che il ricorso all�affidamento della custodia alle depositerie 
iscritte nell�elenco di cui all�art. 8 del D.P.R. 29 luglio 1982 n. 571, 
(disciplina che � da ritenersi in vigore dettando norme di carattere generale 
applicabili in tutti i casi di sequestro di cose, di veicoli e natanti conseguente
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 205 
alla commissione di un illecito amministrativo), determini il protrarsi di un sistema 
che nell�intenzione del legislatore avrebbe dovuto cessare in tempi ragionevoli 
legati alla individuazione del custode acquirente. 
Si rammenta inoltre che a mente dell�art. 7 del suddetto D.P.R. di regola 
�Le cose sequestrate sono custodite nell'ufficio cui appartiene il pubblico ufficiale 
che ha eseguito il sequestro, a cura del capo dello stesso, ovvero del diverso 
ufficio competente secondo le direttive impartite dalle singole amministrazioni� 
e che solo per ravvisate e motivate ragioni di opportunit� esse �non possano essere 
custodite presso gli uffici di cui al primo comma, il capo degli stessi ovvero 
il dipendente preposto al servizio pu� disporre che la loro custodia avvenga in 
luogo diverso, determinandone il modo e nominando un custode�. 
Quanto al secondo punto si ritiene che l�onere di anticipazione a carico 
dell�amministrazione cui appartiene il pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro 
ex art. 11 del D.P.R. 571/82 si riferisca unicamente alle ipotesi in cui 
la custodia � stata curata dalla stessa amministrazione ai sensi del 1^ e 2^ 
comma del citato articolo 7. 
Alla suddetta interpretazione si giunge in forza del tenore letterale della 
norma anche in ragione delle condivisibili osservazioni formulate da codesto 
Ministero: 
1) la liquidazione delle spese per la conservazione e custodia da anticipare 
va effettuata non sulla base delle c.d. �tariffe prefettizie� ma sulla base di nota 
delle spese sostenute corredata della relativa documentazione; 
2) la nota delle spese sostenute per la conservazione e custodia, che l� art. 
11 co. 1 del citato D.P.R. pone esplicitamente a carico dell�amministrazione 
(salva ripetizione nei confronti del proprietario/trasgressore) deve essere trasmessa 
�senza indugio�, quindi immediatamente dopo il sequestro; 
3) per come ritenuto da codesto Ministero �in sintesi , nel comma 1 dell�art. 
7 � disciplinata l�ipotesi che il veicolo venga posto e mantenuto in custodia 
presso l�ufficio cui appartiene il pubblico ufficiale che ha eseguito il 
sequestro, mentre il 3^ comma regola l�ipotesi che il veicolo sia affidato ad un 
custode terzo che, per i veicoli a motore, ai sensi dell�art. 8, deve essere individuato 
preventivamente dal Prefetto. Solo ai primi dei detti casi contemplati 
dal predetto art. 7 pu� ricondursi quanto stabilito dall�art. 11 co. 3, ossia che 
l�amministrazione richiede al capo dell�ufficio cui appartiene il pubblico ufficiale 
che ha eseguito il sequestro la nota spese sostenute per la conservazione 
e la custodia delle cose, risultando di tutta evidenza che solo chi ne ha direttamente 
sostenuto i costi ha titolo per trasmettere la nota spese ai fini dell�anticipazione, 
e, tra l�altro deve farlo senza indugio. Tale disciplina non trova 
invece applicazione nel caso di affidamento in custodia a soggetto terzo (custode) 
e ci� per espressa previsione normativa dello stesso art. 11 co. 3 (...)�. 
Diversamente, nelle ipotesi in cui la custodia sia affidata ad un terzo, ed 
in particolare ai soggetti abilitati iscritti nell�elenco prefettizio di cui all�art. 8
206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
del citato D.P.R., l�art. 12 prevede che: 
1) la liquidazione delle somme dovute al custode (per cui non vi � onere 
di anticipazione) ivi comprese quelle sostenute per gli ausiliari, � effettuata 
dall'autorit� di cui al primo comma dell'art. 18 della legge, tenuto conto delle 
tariffe vigenti e degli usi locali; 
2) essa � effettuata su richiesta del custode dopo che sia divenuto inoppugnabile 
il provvedimento che dispone la confisca ovvero sia stata disposta 
la restituzione delle cose sequestrate; 
3) l�amministrazione pu� disporre, a richiesta del custode, acconti sulle 
somme dovute; 
4) l�amministrazione agisce in via di regresso nei confronti del proprietario/
trasgressore salvo il caso di annullamento in sede giurisdizionale della 
sanzione accessoria, o di archiviazione della sanzione amministrativa, oppure 
di prescrizione del diritto, nel qual caso le spese di custodia restano definitivamente 
a carico dell�amministrazione. 
Quanto al terzo aspetto soccorre l�esplicita previsione dell�art. 38 comma 
12 del D.L. 269/2003 a mente del quale: �nelle ipotesi disciplinate dagli articoli 
213, comma 2-quarter e 214 comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo 
n. 285 del 1992, rispettivamente introdotto dal presente articolo, fino 
alla stipula delle convenzioni previste dall�art. 214-bis del medesimo decreto, 
l�alienazione o la rottamazione dei veicoli continuano ad essere disciplinate 
dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto�. 
In ultimo occorre rilevare che la natura giuridica del custode di cui agli 
artt. 8 e 12 D.P.R. 571/82 sembra partecipare di alcuni aspetti della figura di 
titolare di un ufficio pubblico o incaricato di pubblico servizio che custodisce 
in luogo dell�amministrazione. 
Tale valutazione potrebbe indurre a ritenere non applicabile alla fattispecie 
in esame la normativa comunitaria in materia di appalti, anche se i pi� recenti 
orientamenti della Corte di Giustizia hanno ribadito l�applicabilit�, per quanto 
di ragione, dei principi generali dei trattati anche agli atti di concessione. 
Sulla questione di massima � stato sentito il Comitato Consultivo dell�8 
giugno 2012, che si � espresso in conformit�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 207 
Criterio dell�accessoriet�/essenzialit� della prestazione nella 
disciplina dei contratti misti 
(Parere prot. 380591 del 3 ottobre 2012, AL 11154/2012, avv. MARCO STIGLIANO MESSUTI) 
Con la nota che si riscontra si chiede il parere della Scrivente in ordine 
allo schema di transazione ex art. 239, D.Lgs. n. 163/2006, tra (...). 
Al riguardo si osserva quanto segue. 
Il quesito in epigrafe impone l'analisi di due distinte questioni: 
1) se, da un punto di vista formale, l'impresa appaltatrice possa essere decaduta 
dalle richieste formulate a codesta amministrazione e se, dunque, nel 
caso di specie, si versi nell'ipotesi di un appalto di forniture ovvero di un appalto 
di lavori, con contestuale applicazione del relativo regime giuridico ed 
in particolare, per l'appalto di lavori, della disciplina delle riserve (e parallele 
decadenze) sul registro di contabilit� (articoli 165 e 174 del D.P.R. 21 dicembre 
1999, n. 554, applicabile ratione temporis); 
2) se, nel merito, le pretese avanzate dall�impresa affidataria dell�appalto 
siano giustificate e meritevoli di accoglimento in sede di transazione; se parimenti 
gli importi, riconosciuti da codesta amministrazione con lo schema di 
transazione, siano comunque giustificati in relazione ai programmi negoziali 
stipulati. 
1. 
Con riferimento alla questione sub 1), va preliminarmente segnalato che 
il contratto ad oggetto del presente parere riguardava originariamente la �fornitura 
(�a forfait� e �chiavi in mano�) con posa in opera ed installazione, 
con relativa verifica funzionale, di "alcune e determinate" parti meccaniche 
ed attrezzature necessarie all�allestimento di (...). 
Per converso, con la stipula dei diversi contratti ed atti aggiuntivi, il contratto 
in questione ha progressivamente riguardato la fornitura di altra strumentazione 
meccanica ed, in definitiva, la realizzazione di un (...), comprensiva 
anche della costruzione di una foresteria e delle strutture di servizio. 
La prestazione originaria del contratto - una semplice fornitura - � stata 
dunque novata del tempo, posto che, all'esito della stipula dei vari contratti ed 
atti aggiuntivi, la prestazione richiesta all'impresa ha per contenuto la vera e 
propria costruzione del (...). 
Tanto premesso, � pregiudiziale stabilire se l'impresa appaltatrice possa 
o meno essere decaduta - sotto un profilo formale - dalle proprie richieste nei 
confronti della stazione appaltante, il tutto in base alla peculiare disciplina 
delle riserve sul registro di contabilit� ex articoli 165 e 174 del D.P.R. 21 dicembre 
1999, n. 554; ed a tal fine occorre in prima battuta verificare quale sia 
il criterio discretivo tra i contratti pubblici di lavori (cui si applica il regime 
delle riserve) e quelli di forniture (cui non si applica il regime delle riserve),
208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
per poi concentrarsi sulla specifica disciplina applicabile ai contratti cd. misti, 
e cio� quei contratti che dovessero eventualmente presentare - come accade 
nel caso di specie - componenti di lavori e componenti di forniture. 
Ci� detto, il criterio distintivo tra gli appalti di lavori e quelli di forniture 
� dettato dall'art. 3, commi 7, 8 e 9, del D.Lgs. n. 163/2006. 
Le previsioni legislative in questione, anche se chiare in apparenza, non 
sono tuttavia idonee a distinguere una fornitura od un lavoro senza l'ausilio di 
un'attivit� di interpretazione. D'altra parte, due diversi approcci giurisprudenziali 
(non incompatibili tra loro) si contendono l'individuazione dell'esatta portata 
precettiva dell'art. 3, commi 7, 8 e 9, del Codice dei Contratti Pubblici. 
Un primo orientamento, ricavato dalla giurisprudenza del Consiglio di 
Stato, si fonda sul criterio dell'essenza del bene ad oggetto della prestazione. 
Ne deriva che, indipendentemente dalla definizione dell'appalto contenuta nel 
bando di gara, si definisce contratto di fornitura quel negozio a mezzo del 
quale l'amministrazione si approvvigiona di prodotti commercializzabili e, 
pertanto, omologati, introducibili in commercio e finiti, vale a dire non necessitanti 
di una fase di progettazione (o solo da installare; cfr. Consiglio di Stato, 
Sez. IV, 2 dicembre 2011, n. 6376; Sez. V, 10 settembre 2010, n. 6544). 
I contratti che prevedono la realizzazione di prototipi (come quello in 
esame) sarebbero, per esclusione, appalti di lavori. 
Un secondo orientamento giurisprudenziale, invece, trova fondamento 
nella giurisprudenza comunitaria, in diverse pronunce del Consiglio di Stato 
e dei TAR, nonch� nella Relazione accompagnatoria a cura della Commissione 
di Redazione del D.Lgs. n. 163/2006. Questo indirizzo giurisprudenziale vede 
nei commi 7, 8 e 9 dell'art. 3 D.Lgs. n. 163/2006, un "recepimento della nozione 
comunitaria di appalto" (Relazione accompagnatoria cit., sub art. 3 del 
D.Lgs. n. 163/2006), vale a dire la trasposizione pura e semplice dell'art. 1, 
par. 2, lettere b) e c), della direttiva 2004/18/CE. Pertanto, secondo la predetta 
tesi, la definizione di appalto di lavori, servizi e forniture deve essere rintracciata 
nell'ambito del diritto comunitario ed in seguito adattata alle esigenze 
del diritto nazionale (cfr. BIANCA, CARINGELLA, PROTTO, Codice e Regolamento 
Unico dei Contratti Pubblici commentato articolo per articolo, Dike 
Giuridica, Trento, 2011, p. 24; GAROFOLI, FERRERI, Codice degli Appalti Pubblici. 
Annotato con dottrina giurisprudenza e formule, Nel Diritto Editore, 
2012, pagine 71 e ss.). 
Quest'ultimo approccio � da preferirsi. 
Infatti, sugli organi amministrativi e giudiziari degli Stati Membri incombe 
l'obbligo di formulare un'interpretazione comunitariamente orientata 
della normativa nazionale attuativa delle direttive appalti, anche con riferimento 
alla definizione di appalto di lavori, servizi, forniture (Corte di Giustizia 
delle Comunit� Europee, Sez. I, 18 gennaio 2007, causa C-220/05). Per questo 
motivo occorre verificare come la giurisprudenza comunitaria abbia interpre-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 209 
tato l'art. 1, par. 2, lett. b) e c), della direttiva 2004/18/CE, per poi trasporre 
tale indagine sul piano del diritto interno. 
Sul punto, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, gi� Corte di Giustizia 
delle Comunit� Europee, ha precisato: 
a) che, al di l� delle indicazioni nominalistiche contenute nel bando di 
gara, il contenuto della prestazione ad oggetto del contratto di appalto � idonea 
a distinguere un appalto di lavori da uno di forniture (Consiglio di Stato, Sez. 
V, 31 gennaio 2006, n. 348): di conseguenza, gli appalti di lavori si configurano 
essenzialmente come prestazioni di servizi ed obbligazioni di facere verso corrispettivo, 
preordinate alla trasformazione della realt� fisica o comunque di materiali 
preesistenti (Corte di Giustizia delle Comunit� Europee, 25 marzo 2010, 
causa C-451/08; 26 maggio 2011, causa C-306/08; Consiglio di Stato, Sez. IV, 
21 febbraio 2005, n. 537; Sez. V, 31 gennaio 2006, n. 348); viceversa, gli appalti 
di forniture hanno ad oggetto prestazioni di dare o di consegnare, in quanto essi 
costituiscono contratti di locazione, compravendita, leasing, cessione di beni, 
anche prodotti in relazione alle istruzioni del consumatore o dell'amministrazione 
(Corte di Giustizia delle Comunit� Europee, Sez. IV, 11 giugno 2009, 
causa C-300/07; 25 febbraio 2010, causa C 381/08), senza che la fornitura 
debba necessariamente coincidere con un tipo negoziale specificato (Consiglio 
di Stato, Sez. VI, 16 giugno 2005, n. 3171; Sez. III, 23 novembre 2011, n. 6181) 
ed indipendentemente dall'esistenza di un servizio accessorio, quale pu� essere 
la manutenzione ordinaria di distributori automatici di bevande (Corte di Giustizia 
dell'Unione Europea, 10 maggio 2012, causa C-368/10); 
b) che l'esistenza di una fase di progettazione pu� essere indice sintomatico 
dell'esistenza di un appalto di lavori, anzich� di un appalto di forniture (Corte 
di Giustizia delle Comunit� Europee, Sez. VI, 12 luglio 2001, causa C-399/98); 
c) che indice sintomatico dell'esistenza di un appalto di lavori risulta essere 
la devoluzione dell'opera da realizzare, secondo il criterio della funzione 
economica e tecnico-strumentale, al servizio della collettivit�, anche mediante 
la realizzazione di strutture e centri polifunzionali ricreativi, non previsti dall'all. 
I della direttiva 2004/18/CE, ma pur sempre idonei ad incidere sull'assetto 
del territorio e a perseguire interessi di carattere pubblico e generale (Corte di 
Giustizia delle Comunit� Europee, in cause C-220/05 e C-399/98, citt.); 
d) che indice dell'esistenza di un appalto di lavori � anche l'assimilabilit�, 
per analogia, dell'opera o del manufatto ad oggetto della prestazione dell'appaltatore 
ad una delle opere tipizzate nell'all. I della direttiva 2004/18/CE: 
�L'allegato I svolge un'importante funzione. Questo strumento, infatti, costituisce 
un parametro di fondamentale rilievo, grazie al quale � possibile verificare 
che una determinata prestazione od una determinata opera rientrano nel 
concetto di lavoro di cui all'articolo 1, comma 2, b) della direttiva 2004/18� 
(Corte di Giustizia delle Comunit� Europee, 23 aprile 2009, causa C-292/07). 
Da quanto esposto emerge che la fornitura della strumentazione mecca-
210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
nica, preordinata alla costruzione di (...), vale a dire la prestazione ad oggetto 
del rapporto negoziale originario, costituisce un appalto di forniture. Tale prestazione, 
in effetti, si sostanzia nella consegna di prodotti finiti a favore dell'amministrazione, 
la quale poi provveder� al montaggio, direttamente od 
indirettamente, mediante affidamento di un appalto. 
Per converso, la costruzione e la progettazione del (...) - e cio� le prestazioni 
ad oggetto del rapporto negoziale in corso, come novato dai contratti e 
dagli atti aggiuntivi (�) - rientrano nelle specifiche degli appalti di lavori, 
anche perch� le prestazioni di facere sono indici sintomatici di un appalto di 
lavori, cos� come indice sintomatico di un appalto di lavori � l'esistenza di una 
fase di progettazione, contemplata solo per i lavori ai sensi del D.Lgs. n. 
163/2006. 
Egualmente, in ossequio a quanto affermato dalla Corte di Giustizia delle 
Comunit� Europee nella causa C-292/07, cit., i (...). possono benissimo essere 
assimilati ai sistemi di (...), i quali costituiscono un appalto di lavori tipizzato 
dal legislatore comunitario e nazionale (cfr. all. I alla Direttiva 2004/18/CE, 
punto 45.31; all. I al D.Lgs. n. 163/2006, punto 45.31). 
D'altra parte, il TAR Valle d'Aosta, con la sentenza del 7 marzo 2005, n. 
36, in continuit� con la succitata giurisprudenza del Consiglio di Stato e della 
Corte di Giustizia delle Comunit� Europee, ha stabilito che le attivit� di realizzazione 
di impianti tecnologici ed elettrici, e finanche quelle di manutenzione 
ordinaria e straordinaria, rappresentano l'oggetto di un appalto pubblico 
di lavori. 
Inoltre, sebbene vi sia certamente una componente di forniture nel contratto 
di appalto sottoposto all'attenzione della Scrivente (progressivamente 
l'impresa ha avuto l'incarico di fornire diverse componenti della strumentazione 
meccanica preordinata alla costruzione del (...), � proprio in virt� degli 
atti e dei contratti aggiuntivi che lo stesso appalto ha assunto, come prestazione 
qualificante, la realizzazione di un (...) chiavi in mano. 
Di conseguenza, laddove anche il contratto di appalto stipulato da codesta 
amministrazione fosse qualificato come appalto misto di forniture e di lavori, 
all�appalto de quo dovrebbe ritenersi applicabile in tutto e per tutto la disciplina 
dei contratti pubblici di lavori, ai sensi dell�art. 14 del D.Lgs. n. 
163/2006 e giusta l'operativit� del principio sostanzialistico di essenzialit� 
della prestazione di realizzazione dell'opera, contrapposta all'accessoriet� della 
fornitura di strumentazione meccanica. 
D�altro canto, ex art. 14, comma 2, lett. a), del Codice dei Contratti Pubblici, 
�un contratto pubblico avente per oggetto la fornitura di prodotti e, a 
titolo accessorio, lavori di posa in opera e di installazione � considerato un 
appalto pubblico di forniture�. Per converso, ex art. 14, comma 3, del Codice 
dei Contratti Pubblici, �l�oggetto principale del contratto � costituito da lavori 
se l�importo dei lavori assume rilievo superiore al cinquanta percento, salvo
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 211 
che, secondo le caratteristiche specifiche dell�appalto, i lavori abbiano carattere 
meramente accessorio rispetto ai servizi o alle forniture, che costituiscano 
l�oggetto principale del contratto�; ed a tal fine, secondo la rilevante 
giurisprudenza amministrativa, costituzionale e comunitaria � il criterio dell�accessoriet�/
essenzialit� della prestazione ad ispirare comunque la disciplina 
dei contratti misti ed a discriminare, in definitiva, tra un appalto misto con 
prevalenza dei lavori (o di servizi) ed un appalto misto con prevalenza della 
componente forniture. 
In breve, appartiene alla specie degli appalti misti con prevalenza dei lavori 
quell'appalto in cui la realizzazione dei lavori possiede un'autonomia ed 
una prevalenza causale tale da giustificare il ricorso alla regolamentazione dei 
contratti di lavori. Viceversa, appartiene al novero degli appalti misti con prevalenza 
delle forniture quell'appalto in cui la componente dei lavori � strumentale 
rispetto al programma negoziale, finalizzato alla consegna di prodotti 
e, dunque, all'esecuzione di prestazioni di dare (Corte di Giustizia delle Comunit� 
Europee, Sez. II, 21 febbraio 2008, causa C-412/04; Sez. VI, causa C- 
399/98, cit.; Corte Costituzionale, 12 febbraio 2010, n. 45; Consiglio di Stato, 
Sez. V, 30 maggio 2007, n. 2765; TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 11 febbraio 
2011, n. 450). 
Dunque, trattandosi nel caso di specie di un appalto ibrido di lavori e di 
forniture, in cui i lavori rappresentano la prestazione essenziale del contratto, 
ai sensi dell�art. 14 del Codice dei Contratti Pubblici, risulta applicabile la disciplina 
degli appalti di lavori. 
(omissis) 
2. 
(omissis) 
*** 
Si coglie l�occasione per sottolineare l�opportunit� che, laddove codesta 
amministrazione dovesse avere la necessit� - in futuro - di trasformare una 
fornitura nella realizzazione di un lavoro, la stipula dei contratti e degli atti 
aggiuntivi, la quale nova il piano negoziale originario, venga preceduta dalla 
pubblicazione di un bando di gara, e non dal ricorso alla procedura negoziata 
ex art. 57 del Codice dei Contratti Pubblici. 
Pi� precisamente, con riferimento al caso di specie, questo GU ha evidenziato 
che, a mezzo della stipula dei contratti e degli atti aggiuntivi, il piano 
negoziale si � progressivamente trasformato da un appalto di forniture, avente 
ad oggetto la dazione di strumentazione meccanica preordinata alla costruzione 
di (...), ad un appalto di lavori, finalizzato alla costruzione di un vero e 
proprio (...). 
Ci� nondimeno, il rispetto delle condizioni che, negli appalti di forniture, 
giustificano l�affidamento con procedura negoziata (art. 57, commi 1 e 2, D. 
Lgs. n. 163/2006), non necessariamente coincide con il rispetto delle condi-
212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
zioni che, negli appalti di lavori, consente il ricorso alla stessa procedura (art. 
57, commi 1 e 5, D. Lgs. n. 163/2006). Senza dimenticare come, sotto il profilo 
qualitativo, non � possibile affidare senza gara una prestazione - sub specie di 
appalto di lavori - del tutto diversa da quella originaria, relativa ad una fornitura, 
e ci� anche in relazione al possesso degli appropriati requisiti di capacit� 
tecnica richiesti per l'esecuzione di opere del genio civile (...). 
Pertanto, nel caso in cui codesta amministrazione, per motivi anche finanziari, 
dovesse in futuro avere la necessit� di appaltare progressivamente la 
realizzazione di un impianto assimilabile ad un lavoro, si ribadisce l�opportunit� 
di non ricorrere sic et simpliciter alla procedura negoziata, ma di valutare 
se, in relazione all�intera opera da costruire, non sia preferibile - e forse anche 
obbligatorio - l�utilizzo delle normali procedure ad evidenza pubblica previa 
pubblicazione del bando di gara. 
In particolare, si rammenta che, per la realizzazione di opere ad alto tasso 
tecnologico ed, in specie, per le sole fasi di progettazione ed ideazione dell�opera, 
trovano applicazione gli articoli 91, comma 5, nonch� 99 e ss. e 108 
del Codice dei Contratti Pubblici. Per il subappalto, cfr. articoli 37, comma 
11, e 118 del D.Lgs. n. 163/2006. 
Sul presente parere si � espresso in conformit� il Comitato Consultivo 
nella seduta del 25 settembre 2012. 
Nei termini suesposti � il parere di questa Avvocatura. 
Si resta a disposizione per ogni ulteriore ed eventuale chiarimento. 
Attivit� del corpo nazionale dei Vigili del Fuoco in favore di 
Prefetto/Commissario Delegato di Protezione civile 
(Parere del 26 ottobre 2012 prot. 421152, AL 20354/12, avv. GIANNA MARIA DE SOCIO) 
1. Oggetto del parere. 
La questione oggetto del presente parere concerne la possibilit� per il Prefetto 
Commissario Delegato per lo stato di emergenza determinatosi a seguito 
dei lavori di ammodernamento del tratto autostradale (...), di stipulare a titolo 
oneroso convenzioni con la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco per l�istituzione 
di un presidio dei VVF sul predetto tratto autostradale.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 213 
2. Profili di fatto. 
Dalla documentazione trasmessa risulta che: 
- nell�ambito del Piano di Coordinamento Generale dell�Emergenza ai 
sensi dell�OPCM 3628/20007 (stilato nel luglio 2007 ed aggiornato nel luglio 
2011) � stata prevista, tra l�altro, l�istituzione di presidi multi operativi, uno 
dei quali sito in localit� (...), �presidiato nell�arco delle 24 ore con � una 
squadra dei Vigili del Fuoco, con apposito automezzo attrezzato per il soccorso 
meccanico �� ; 
- sulla base del predetto Piano, in data 12 luglio 2011 � stata stipulata tra 
la Prefettura (...) e la Direzione Regionale dei VF (...) una convenzione ai sensi 
dell�art. 17 L. 246/2000, in cui si premette che la presenza dei VVF in tali presidi 
non si pu� configurare come attivit� di �soccorso tecnico urgente� e che, 
di norma, i VVF impiegati in attivit� di vigilanza operano fuori dai turni ordinari 
di servizio e prestano dunque lavoro straordinario. In base a tali premesse 
si � stabilito nella suddetta Convenzione che il servizio da parte dei VVF venga 
prestato a titolo oneroso e commisurato appunto alle tariffe previste dal vigente 
CCNL. In particolare, dalla documentazione trasmessa risulta che il corrispettivo 
dovuto � stato quantificato nella somma di euro 851.940,00 per straordinario 
del personale, 85.120 per automezzi e strutture logistiche, per un totale 
di euro 937.060,00; 
- il relativo decreto di approvazione (...) � stato restituito non registrato dalla 
locale Sezione Regionale della Corte dei Conti che, nella propria deliberazione 
(...), ha ritenuto illegittima la Convenzione in parola in base alla considerazione, 
tra l�altro, che in base alle norme vigenti �le funzioni di protezione civile rientrano 
espressamente e de plano nell�ambito delle competenze del Corpo Nazionale 
dei vigili del Fuoco � senza dunque che occorra � l�erogazione di un 
corrispettivo�; 
- successivamente il Prefetto Commissario Delegato, con nota del 5 marzo 
2012, ha chiesto a codesta Avvocatura Distrettuale il proprio parere in ordine 
alla �documentazione amministrativa e contabile da esibire agli organi di controllo 
per giustificare la spesa relativa all�impiego del personale�; 
- codesta Avvocatura con la nota in data 25 maggio 2012, richiamata la 
normativa di settore, rileva 
a) che �sembra condivisibile l�affermazione della Corte dei Conti � secondo 
la quale le funzioni di protezione civile, allorquando si sia in presenza 
di interventi disposti dal dipartimento della protezione civile, siano funzioni 
che il Corpo dei Vigili del Fuoco deve assicurare senza che occorra a tal fine 
sottoscrizione di convenzione o erogazione di corrispettivo�, 
b) che, contrariamente a quanto espressamente previsto nell�allegato al 
Piano del 2007 ove � precisato che il servizio sar� svolto al di fuori degli orari 
ordinari, �i servizi dovrebbero essere garantiti in via prioritaria con prestazioni 
lavorative rese in orario di servizio ordinario�, sicch� sulla base di tale assunto
214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
codesta Avvocatura rileva che �ove la dotazione organica dovesse risultare 
insufficiente ... l�onere di spesa per le prestazioni di lavoro straordinario dovrebbe 
essere ricompreso nell�ambito degli stanziamenti del pertinente capitolo 
di spesa del bilancio di previsione del Ministero dell�Interno. In caso di documentata 
insufficienza �solo l�eccedenza potr� eventualmente trovare copertura 
finanziaria con oneri a carico dell�ordinanza di protezione civile�; 
c) ove invece dovesse ritenersi che il servizio chiesto dal Prefetto Commissario 
Delegato sia un servizio soggetto a convenzione ai sensi dell�art. 27 
D.lgs. 139/2006, gli introiti dovrebbero essere destinati ad incrementare il 
fondo unico di amministrazione, sicch� non dovrebbe esistere alcuna correlazione 
tra gli introiti suddetti e gli eventuali oneri per la retribuzione del lavoro 
straordinario. 
- codesta Avvocatura �vista la natura di alcune delle questioni trattate�, 
ha ritenuto di sottoporre alla Scrivente il parere (non ancora trasmesso all�Amministrazione), 
per le valutazioni di questo Ufficio �in ordine all�opportunit� 
di esprimere parere di massima�. 
Tanto premesso si osserva quanto segue. 
3. Normativa di riferimento. 
La legge 24 febbraio 1992 n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della 
protezione civile) all�art. 11 prevede che: . 
11. Strutture operative nazionali del Servizio. 
1. Costituiscono strutture operative nazionali del Servizio nazionale della protezione 
civile: 
a) il Corpo nazionale dei vigili del fuoco quale componente fondamentale 
della protezione civile; 
�� 
2. In base ai criteri determinati dal Consiglio nazionale della protezione civile, 
le strutture operative nazionali svolgono, a richiesta del Dipartimento della 
protezione civile, le attivit� previste dalla presente legge nonch� compiti di 
supporto e consulenza per tutte le amministrazioni componenti il Servizio nazionale 
della protezione civile. 
Il D.Lgs. 8 marzo 2006 n. 139 (Riassetto delle disposizioni relative alle 
funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell'articolo 
11 della L. 29 luglio 2003, n. 229), all�art. 1 prevede che: 
1. Struttura e funzioni. 
1. Il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, di seguito denominato: �Corpo nazionale
�, � una struttura dello Stato ad ordinamento civile, incardinata nel 
Ministero dell'interno - Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico 
e della difesa civile, di seguito denominato: �Dipartimento�, per mezzo 
della quale il Ministero dell'interno assicura, anche per la difesa civile, il servizio 
di soccorso pubblico e di prevenzione ed estinzione degli incendi su tutto
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 215 
il territorio nazionale, nonch� lo svolgimento delle altre attivit� assegnate al 
Corpo nazionale dalle leggi e dai regolamenti, secondo quanto previsto nel 
presente decreto legislativo. 
2. Il Corpo nazionale � componente fondamentale del servizio di protezione 
civile ai sensi dell'articolo 11 della legge 24 febbraio 1992, n. 225. 
Il medesimo D.lgs. 139/2006, nel capo Capo IV (Soccorso pubblico), agli 
artt. 24 e 25, prevede quanto segue: 
24. Interventi di soccorso pubblico. 
1. Il Corpo nazionale, al fine di salvaguardare l'incolumit� delle persone e 
l'integrit� dei beni, assicura gli interventi tecnici caratterizzati dal requisito 
dell'immediatezza della prestazione, per i quali siano richieste professionalit� 
tecniche anche ad alto contenuto specialistico ed idonee risorse strumentali, 
ed al medesimo fine effettua studi ed esami sperimentali e tecnici nello specifico 
settore. 
2. Sono compresi tra gli interventi tecnici di soccorso pubblico del Corpo nazionale: 
a) l'opera tecnica di soccorso in occasione di incendi, di incontrollati rilasci 
di energia, di improvviso o minacciante crollo strutturale, di frane, di piene, 
di alluvioni o di altra pubblica calamit�; 
b) l'opera tecnica di contrasto dei rischi derivanti dall'impiego dell'energia 
nucleare e dall'uso di sostanze batteriologiche, chimiche e radiologiche. 
3. Gli interventi tecnici di soccorso pubblico del Corpo nazionale, di cui al 
comma 2, si limitano ai compiti di carattere strettamente urgente e cessano al 
venir meno della effettiva necessit�. 
4. In caso di eventi di protezione civile, il Corpo nazionale opera quale componente 
fondamentale del Servizio nazionale della protezione civile ai sensi 
dell'articolo 11 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e assicura, nell'ambito 
delle proprie competenze tecniche di cui all'articolo 1, la direzione degli interventi 
tecnici di primo soccorso nel rispetto dei livelli di coordinamento previsti 
dalla vigente legislazione. 
5. Il Corpo nazionale, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, in 
materia di difesa civile: 
a) fronteggia, anche in relazione alla situazione internazionale, mediante presidi 
sul territorio, i rischi non convenzionali derivanti da eventuali atti criminosi 
compiuti in danno di persone o beni, con l'uso di armi nucleari, 
batteriologiche, chimiche e radiologiche; 
b) concorre alla preparazione di unit� antincendi per le Forze armate; 
c) concorre alla predisposizione dei piani nazionali e territoriali di difesa civile; 
d) provvede all'approntamento dei servizi relativi all'addestramento e all'impiego 
delle unit� preposte alla protezione della popolazione civile, ivi compresa 
l'attivit� esercitativa, in caso di eventi bellici; 
e) partecipa, con propri rappresentanti, agli organi collegiali competenti in
216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
materia di difesa civile. [�] 
25. Oneri per i servizi di soccorso pubblico. 
1. I servizi di soccorso pubblico resi dal Corpo nazionale non comportano 
oneri finanziari per il soggetto o l'ente che ne beneficia. Qualora non sussista 
un imminente pericolo di danno alle persone o alle cose e ferme restando la 
priorit� delle esigenze di soccorso pubblico, il soggetto o l'ente che richiede 
l'intervento � tenuto a corrispondere un corrispettivo al Ministero dell'Interno. 
Alla determinazione e all'aggiornamento delle tariffe si provvede con il decreto 
di cui all'articolo 23, comma 2. 
Giova poi richiamare il recente D.P.R. 28 febbraio 2012 n. 64 (Regolamento 
di servizio del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ai sensi dell'articolo 
140 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217), il cui art. 53 (collocato 
nel CAPO II - I servizi di soccorso pubblico) prevede quanto segue: 
Art. 53 Esecuzione dei servizi di soccorso pubblico 
1. I servizi di soccorso pubblico, di cui all'articolo 24 del decreto legislativo 
8 marzo 2006, n. 139, resi dal Corpo nazionale, come definiti dalle disposizioni 
vigenti, sono espletati dalle strutture del Corpo nazionale in favore della 
popolazione, secondo quanto indicato nel presente regolamento e nelle direttive 
del Dipartimento. 
2. Il servizio di soccorso pubblico assume valenza prioritaria rispetto ad ogni 
altro servizio programmato o in corso di espletamento da parte del personale. 
3. I servizi di soccorso pubblico, di cui al presente articolo, sono effettuati in 
modo gratuito e nessun compenso aggiuntivo � dovuto da parte dei beneficiari 
del servizio. 
Sotto il profilo contabile gli introiti derivanti dalle convenzioni e dai servizi 
a pagamento sono disciplinati come segue. 
L�art. 17 della L .10 agosto 2000 n. 246 (Potenziamento del Corpo nazionale 
dei vigili del fuoco), prevede quanto segue: 
17. Convenzioni. 
1. Gli introiti derivanti da convenzioni che il Corpo nazionale dei vigili del 
fuoco, tramite la competente direzione generale, e il Dipartimento della pubblica 
sicurezza stipulano con regioni, enti locali e altri enti pubblici o privati 
rispettivamente nell'ambito dei compiti istituzionali del Corpo nazionale dei 
vigili del fuoco e della Polizia di Stato vengono versati su appositi capitoli 
dell'entrata del bilancio dello Stato per la immediata riassegnazione alle pertinenti 
unit� previsionali di base, rispettivamente, del centro di responsabilit� 
�Protezione civile e servizi antincendi� e del centro di responsabilit� �Pubblica 
sicurezza� dello stato di previsione del Ministero dell'interno. 
L'art. 27 D.Lgs. 8 marzo 2006 n. 139 (Riassetto delle disposizioni relative 
alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco) prevede 
quanto segue: 
27. Introiti derivanti da servizi a pagamento.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 217 
1. Gli introiti derivanti dai servizi a pagamento resi dal Corpo nazionale sono 
versati alla competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato ed affluiscono 
ad apposita unit� previsionale di base dello stato di previsione dell'entrata, 
per essere riassegnati alla pertinente unit� previsionale di base della 
spesa del Ministero dell'interno. Gli introiti derivanti dai servizi a pagamento 
e dall'attivit� di addestramento e formazione svolta dal Corpo nazionale, ai 
sensi del comma 4 dell'articolo 17, sono destinati ad incrementare il fondo 
unico di amministrazione relativo al personale del Corpo. Resta fermo quanto 
disposto dall'articolo 8 della legge 15 novembre 1973, n. 734, e dall'articolo 
43 della legge 27 dicembre 1997, n. 449. 
4. Interpretazione sistematica delle norme in esame. 
4.1. Alla luce della normativa sopra riportata la questione che si pone, al 
fine di dare il parere in esame, � quella di chiarire se gli artt. 24 e 25 del D.lgs. 
139/2006 (che circoscrivono la non onerosit� della prestazione ai soli �interventi 
tecnici caratterizzati dal requisito dell'immediatezza della prestazione� 
volti �al fine di salvaguardare l'incolumit� delle persone e l'integrit� dei 
beni�) possano essere applicati o meno agli interventi esplicati dal Corpo VVF 
quale �struttura operativa� e �componente fondamentale� del Servizio Nazionale 
della Protezione civile. 
4.2. Al proposito giova soffermarsi sulla particolare struttura organizzativa 
della protezione civile. 
ComՏ noto con la legge del 24 febbraio 1992, n. 225 l'Italia ha organizzato 
la protezione civile come "Servizio nazionale", coordinato dal Presidente 
del Consiglio dei Ministri e composto, come prescritto dall�art. 1 della predetta 
legge 225, dalle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, dalle regioni, 
dalle province, dai comuni, dagli enti pubblici nazionali e territoriali e 
da ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata presente sul territorio 
nazionale. Al coordinamento del Servizio nazionale e alla promozione 
delle attivit� di protezione civile, provvede il Presidente del Consiglio dei Ministri 
attraverso il Dipartimento della Protezione civile. 
In definitiva, mentre nella maggioranza dei Paesi europei la protezione 
civile � un compito assegnato ad una sola istituzione o a poche strutture pubbliche, 
l�Italia ha fatto la scelta di coinvolgere nella funzione varie amministrazioni, 
al centro e in periferia, in tal modo realizzando un modello di 
organizzazione ritenuto funzionale ad un contesto territoriale come quello italiano, 
che presenta una elevata gamma di possibili rischi di calamit�. 
In tale ottica, l�art. 11 della L. 1992 n. 225, richiamato dall�art. 1 del D.lgs. 
139/2006, prevede (definendole �Strutture operative nazionali del Servizio�) 
il Corpo nazionale dei vigili del fuoco definito (dall�art. 1 co. 2 del D.lgs. 
139/2006) quale �componente fondamentale della protezione civile�. 
Il secondo comma del menzionato art. 11 L. 225/1992 precisa poi che �In
218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
base ai criteri determinati dal Consiglio nazionale della protezione civile, le 
strutture operative nazionali svolgono, a richiesta del Dipartimento della protezione 
civile, le attivit� previste dalla presente legge nonch� compiti di supporto 
e consulenza per tutte le amministrazioni componenti il Servizio 
nazionale della protezione civile�. 
In definitiva alla luce di tali disposizioni sembra che il Corpo Nazionale 
dei VVF, non solo e non tanto contribuisce sotto il profilo funzionale allo svolgimento 
del servizio di protezione civile, ma �costituisce� componente organizzativa 
della Protezione Civile. 
In tale logica va letto il secondo comma del menzionato art. 11 D.lgs. 
225/1992, secondo cui le �strutture operative nazionali� (tra cui i VVF) �devono 
svolgere le attivit� previste dalla presente legge nonch� compiti di supporto 
e consulenza per tutte le amministrazioni componenti il Servizio 
nazionale della protezione civile�. 
Tale disposizione prevede l�obbligo (�devono�) per ciascuna struttura 
operativa nazionale (tra cui i VVF) di svolgere funzioni di �supporto� (oltre 
che di consulenza) per �tutte� le amministrazioni componenti il Servizio nazionale 
della protezione civile. 
Il descritto sistema normativo avvalora a parere della Scrivente la conclusione 
secondo cui il rapporto che lega il Corpo dei VVF alle altre �strutture 
operative nazionali� e al vertice della protezione civile, si configura in termini 
di vero e proprio nesso organico e non solo funzionale. 
5. Applicazione dei principi alla questione in esame. 
5.1. Passando all�esame della fattispecie in esame, risulta che: 
a) il rapporto tra Corpo Nazionale dei VVF, da un lato, e Protezione civile 
(governo o commissario delegato), dall�altro, viene impostato in termini interorganici 
(e non intersoggettivi) e 
b) l�ambito delle attribuzioni istituzionali del Corpo del VVF viene allargato 
in via generale anche a ricomprendere ogni �compito di supporto per tutte 
le amministrazioni componenti il Servizio nazionale della protezione civile�. 
In tale contesto normativo appare ben difficile ipotizzare la necessit� di 
una regolamentazione economica in termini onerosi del suddetto rapporto. 
In definitiva la normativa sulla protezione civile, configurabile come lex 
specialis, porta ad escludere che la questione in esame possa essere risolta applicando 
la norma, di carattere generale, degli artt. 24 e 25 del D.lgs. 139/2006 
(che prevedono la onerosit� degli interventi dei VVF laddove non ricorra il 
�requisito dell'immediatezza della prestazione�). 
5.2. In effetti che dette norme non possano essere applicate al caso in 
esame discende dalla considerazione di principi pi� generali legati alla natura 
stessa delle Amministrazioni coinvolte (Ministero dell�Interno/VVF e Presidenza 
del Consiglio dei Ministri/ Dipartimento della Protezione Civile) en-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 219 
trambe amministrazioni statali. 
In effetti, a parere della Scrivente, l�inesistenza di una autonoma soggettivit� 
giuridica delle suddette amministrazioni, entrambe organi dello Stato, 
osta anche in via di principio alla monetizzazione dei relativi rapporti. 
Tale conclusione � anche confermata da alcuni significativi dati normativi 
testuali, infatti: 
- le convenzioni previste dall�art. 17 della L. 246/2000 sono quelle che il 
Corpo VVF stipula (solo) con �regioni, enti locali e altri enti pubblici o privati�; 
non sembra pertanto che la norma possa essere applicata anche per prestazioni 
che il Corpo eroga alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, alla quale va ricondotta 
l�attivit� svolta dai Commissari delegati ai sensi dell�art. 5 L. 225/1992; 
- lo stesso art. 25 D.lgs. 139/2006 nel prevedere interventi �a pagamento� 
indica che obbligato a versare il corrispettivo � �il soggetto o l'ente� che richiede 
l�intervento, con ci� riferendosi evidentemente a rapporti �intersoggettivi� 
e non al caso, come nella specie, in cui il rapporto si profili in termini di 
relazione interorganica tra branche delle amministrazioni dello Stato. 
5.3. Appare pertanto corretta l�affermazione, prospettata dalla Sezione di 
Controllo della Corte dei Conti ed avallata da codesta Avvocatura Distrettuale, 
secondo cui �l�organo straordinario governativo di protezione civile, una 
volta ritenuta, la necessit� di prestare il servizio in questione, ben poteva direttamente 
rivolgersi al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, quale struttura 
operativa primaria del servizio di protezione civile, senza dover regolare rapporti 
economici mediante convenzione�, ci� tanto pi� in una fattispecie in cui 
il Governo ha ritenuto, come nel caso in esame, di deliberare lo stato di emergenza 
e di avvalersi di un commissario delegato, in quanto �sia il Governo 
che il commissario eventualmente delegato, dispongono direttamente (e senza 
necessit� di convenzioni onerose) delle strutture operative nazionali del Servizio 
di Protezione civile previste dall�art. 11 L. 225/1992�. 
Analogamente, per le medesime ragioni di specialit�, si ritiene che la questione 
della onerosit� non possa essere risolta in base alla normativa sulla prevenzione 
incendi boschivi ovvero sulla prevenzione incendi in luoghi in 
intrattenimento (DM 261/1996), trattandosi, come giustamente rileva codesta 
Avvocatura Distrettuale, di norme proprie di altri settore e comunque incompatibili 
con la L. 225/1992. 
6. Conclusioni. 
Alla luce delle esposte argomentazioni, si assumono le seguenti conclusioni: 
- vista l�esistenza di una relazione meramente interorganica tra l�Amministrazione 
dell�Interno/VVF e la Presidenza del Consiglio/Dipartimento della 
Protezione Civile, gli interventi esplicati dal Corpo VVF quale �struttura operativa 
nazionale� del Servizio Nazionale della Protezione civile, e �componente 
fondamentale� dello stesso, non sono suscettibili di una regolamentazione
220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
economica in termini onerosi; 
- detti interventi non possono essere dunque disciplinati dagli artt. 24 e 
25 del D.lgs. 139/2006 (che prevedono la onerosit� degli interventi dei VVF 
laddove non ricorra il �requisito dell'immediatezza della prestazione�), trattandosi 
di norme incompatibili con l�art. 11 L. 225/1992 (richiamato dall�art. 1 
D.lgs. 139/2006), configurabile quale lex specialis che da un lato configura un 
rapporto interorganico tra le varie strutture operative e tra le stesse e il vertice 
della protezione civile, d�altro lato prevede lo svolgimento di �compiti di supporto� 
in capo a tutte le strutture operative, senza limitazione di competenze; 
- per la medesima ragione la questione in esame non pu� essere risolta 
facendo applicazione delle norme relative alla prevenzione degli incendi boschivi 
ovvero alla prevenzione incendi in luoghi in intrattenimento, trattandosi 
di norme proprie di altri settori e comunque incompatibili con la L. 225/1992, 
configurabile quale lex specialis; 
- in relazione a quanto sopra appare ininfluente affrontare la questione 
della modalit� di svolgimento del servizio da parte degli addetti alla Direzione 
Regionale dei VVF della (...), in termini di lavoro straordinario o meno, in 
quanto in ogni caso, lo svolgimento del presidio sulla tratta autostradale in 
esame appare rientrante nel vasto ambito dei �compiti di supporto� di cui all�art. 
11 co. 2 L. 225/1992; 
- alla luce delle esposte considerazioni non assume dunque rilievo il principio, 
evidenziato da codesta Avvocatura Distrettuale in via subordinata, secondo 
cui se il servizio in esame fosse soggetto a convenzione, gli introiti 
dovrebbero essere comunque destinati ad incrementare il fondo unico di amministrazione 
(sicch� non dovrebbe esistere alcuna correlazione tra gli introiti 
suddetti e gli eventuali oneri per la retribuzione del lavoro straordinario). 
Si deve pertanto concludere che nel caso in esame le pur oggettive esigenze 
rappresentate dalla Direzione Regionale dei Vigili del fuoco per la (...) 
debbano trovare adeguata soluzione attraverso altri strumenti, compatibili con 
il suesposto quadro normativo. 
Il parere richiesto (da estendere opportunamente per conoscenza al Dipartimento 
della Protezione Civile e al Ministero dell�Interno) potr� essere 
pertanto reso nei termini sopra esposti. 
Sul presente parere � stato sentito il Comitato Consultivo di cui all�art. 
26 della legge 3 aprile 1979 n. 103, che si � espresso in conformit� nella seduta 
del 22 ottobre 2012.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 221 
Sanzione pecuniaria irrogata dall�Antitrust: debenza di interessi 
in caso di rateizzazione ex art. 26 L. 689/81 
(Parere del 28 novembre 2012 prot. 471058, AL 48436/11, avv. AGNESE SOLDANI)(*) 
L�Autorit� in indirizzo ha chiesto parere alla Scrivente Avvocatura in ordine 
alla possibilit� o meno di richiedere interessi sulle somme relative alle 
sanzioni pecuniarie dalla stessa comminate e rateizzate ai sensi dell�art. 26 1. 
689/1981 (�L'autorit� giudiziaria o amministrativa che ha applicato la sanzione 
pecuniaria pu� disporre, su richiesta dell'interessato che si trovi in condizioni 
economiche disagiate, che la sanzione medesima venga pagata in rate 
mensili da tre a trenta; ciascuna rata non pu� essere inferiore a euro 15. In 
ogni momento il debito pu� essere estinto mediante un unico pagamento�). 
Nella richiesta di parere si rappresenta che sino ad oggi, argomentando 
dall�assimilazione dell�illecito amministrativo all�illecito penale - sulla considerazione 
del necessario interesse pubblico tutelato da entrambi i rami dell�ordinamento 
- si � seguita la prassi di non richiedere interessi in caso di 
rateazione, come espressamente disposto in relazione alle pene pecuniarie 
dall�art. 236 D.P.R. 115/2002 (Testo Unico in materia di spese di giustizia) (1). 
Secondo quanto riferisce codesta Autorit�, diversa � invece la prassi seguita 
per quanto concerne gli interessi di mora sul ritardato pagamento della 
sanzione. La fattispecie � disciplinata dall�art. 27 l. 689/81, secondo cui �salvo 
quanto previsto nell�art. 26, in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta 
� maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui la 
sanzione � divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo � trasmesso all�esattore. 
La maggiorazione assorbe gli interessi eventualmente previsti dalle 
disposizioni vigenti�. 
Alla luce del tenore della norma, vengono applicati da codesta Autorit� 
gli interessi di mora per il periodo intercorrente tra il momento in cui il credito 
diviene esigibile e la scadenza del semestre di cui al citato art. 27, nella misura 
degli interessi legali, in conformit� al parere del Consiglio di Stato, Sez. III n. 
74/97, e con l�avallo della giurisprudenza di merito. 
(*) Il dott. Tommaso Pistone, praticante forense presso l�Avvocatura Generale dello Stato, � stato di 
ausilio all�avv. Soldani nella stesura del parere. 
(1) Art. 236 (L) D.P.R. 115/2002: 
Pene pecuniarie rateizzate 
�1. Per le pene pecuniarie rateizzate, rispettivamente ai sensi dell�articolo 133 ter del codice penale e 
dell�articolo 238, l�invito al pagamento o il provvedimento del giudice nella fase della conversione contiene 
l�indicazione dell�importo e la scadenza delle singole rate. 
2. Il termine per il pagamento decorre dalla scadenza delle singole rate. 
3. Non sono dovuti interessi per la rateizzazione. 
4. In caso di mancato pagamento di una rata il debitore decade automaticamente dal beneficio ed � tenuto 
al pagamento, in un�unica soluzione, della restante parte del suo debito�.
222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Tuttavia, muovendo dal convincimento che l�ipotesi del ritardo nell�adempimento 
non sia assimilabile, quanto a disciplina, a quella della concessione 
del beneficio della rateizzazione, nella richiesta di parere sembra 
invece suggerirsi che la possibilit� di richiedere gli interessi sulle somme rateizzate 
possa rinvenire altrove la propria fonte normativa. 
In particolare, si chiede se tale possibilit� sia ammessa sia in virt� del richiamo 
in via analogica agli artt. 19 e 21 del D.P.R. 602/1973 (Disposizioni 
sulla riscossione delle imposte sul reddito) (2), anche per effetto della disciplina 
contenuta nel D.P.R. 115/2002 (Testo Unico in materia di spese di giustizia) 
relativa alla rateizzazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, sia 
in virt� di un principio generale, rinvenibile nel sistema, relativo all�applicazione 
degli interessi sul pagamento rateale delle sanzioni amministrative. 
Al fine di fornire risposta al quesito l�ordine logico delle questioni da affrontare 
e risolvere sembra essere il seguente: 
1. natura giuridica (penale amministrativa) delle sanzioni irrogate dall�AGCM; 
2. applicabilit� o meno della disciplina di cui all�art. 27 l. 689/81 (maggiorazione 
comprensiva di interessi in caso di ritardo nel pagamento) anche 
all�ipotesi di rateizzazione del pagamento; 
3. possibilit� o meno di applicare in via diretta o di estendere in via analogica 
le disposizioni rinvenibili nella legislazione speciale (con particolare 
riguardo al T.U. delle spese di giustizia) all�ipotesi della rateizzazione delle 
sanzioni amministrative comminate dall�Antitrust; 
4. applicabilit� o meno del principio generale di cui all�art. 1282 c.c. al 
pagamento rateale della sanzione amministrativa ex art. 26 1. 689/81. 
1. La natura giuridica delle sanzioni irrogate dall�AGCM. 
Stabilire se le sanzioni pecuniarie irrogate dall�AGCM abbiano natura 
penale o amministrativa costituisce una priorit� nella definizione del quesito 
(2) Art. 19 D.P.R. 602/73: 
�Dilazione del pagamento 
1. L�agente della riscossione, su richiesta del contribuente, pu� concedere, nelle ipotesi di temporanea 
situazione di obiettiva difficolt� dello stesso, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo 
fino ad un massimo di settantadue rate mensili� (la disposizione prosegue dettando una disciplina specifica 
per il caso in cui l�importo iscritto a ruolo sia superiore a cinquantamila euro). 
Art. 21 D.P.R. 602/73: 
�Interessi per dilazione di pagamento. 
Sulle somme il cui pagamento � stato rateizzato o sospeso ai sensi dell�articolo 19, comma 1, si applicano 
gli interessi al tasso del 4,5 per cento annuo. 
L�ammontare degli interessi dovuto � determinato nel provvedimento con il quale viene accordata la 
prolungata rateazione dell�imposta ed � riscosso unitamente all�imposta alle scadenze stabilite. 
I privilegi generali e speciali che assistono le imposte sui redditi sono estesi a tutto il periodo per il 
quale la rateazione � prolungata e riguardano anche gli interessi previsti dall�art. 20 e dal presente articolo
�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 223 
in oggetto. Infatti qualora se ne dovesse ravvisare la natura penale si perverrebbe 
alla esclusione della debenza di interessi in caso di pagamento rateale 
sulla base di due ordini di considerazioni. 
Da un lato, l�applicazione di principi di stretta matrice penalistica porterebbe 
ad interpretare le disposizioni della l. 689/81 in via restrittiva. Il principio 
di legalit� troverebbe dunque la propria fonte direttamente nell�art. 25 co. 2 Cost. 
e contribuirebbe a creare un sistema governato dal principio di stretta legalit�, 
per il quale vale la massima secondo cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. 
Il silenzio dell�art. 26 circa la debenza di interessi sarebbe quindi un silenzio 
significativo, sintomo di una volont� negativa del legislatore. 
D�altro canto, affermata la natura penale delle sanzioni antitrust, si perverrebbe 
all�esclusione della corresponsione di interessi anche argomentando 
in ordine all�espressa disposizione di cui all�art. 236 D.P.R. 115/2002 (Testo 
Unico in materia di spese di giustizia), la quale stabilisce che per le pene pecuniarie 
�non sono dovuti interessi per la rateizzazione� (il principio era sancito 
anche nell�art. 181 disp. att. c.p.p., ora abrogato dal D.P.R. 115/2002 e 
sostituito dal citato art. 236). 
Pertanto, pare opportuna una sia pur breve disamina della dibattuta questione 
circa la natura delle sanzioni amministrative pecuniarie in generale, per 
poi analizzare in particolare la natura delle sanzioni irrogate dall�AGCM, 
anche attesa la recente pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo 
n. 43509/2011, relativa proprio alle sanzioni in antitrust. 
Le argomentazioni principali poste a fondamento della tesi della natura 
sostanzialmente penale delle sanzioni amministrative pecuniarie (che fa riferimento 
ad un ramo dell�ordinamento definito �diritto punitivo amministrativo� 
o addirittura �diritto penale amministrativo�) fanno leva, in buona 
sostanza, sulla natura afflittiva e punitiva delle sanzioni amministrative pecuniarie, 
sull�obbligatoriet� e non discrezionalit� dell�instaurazione del procedimento 
e dell�applicazione della sanzione, sulla non trasmissibilit� agli eredi 
dell�obbligo di pagare la somma di denaro e sulla previsione legislativa secondo 
cui l�importo delle sanzioni deve essere determinato tenendo conto delle 
circostanze del fatto, della personalit� dell�autore dell�illecito e delle sue condizioni 
economiche; criteri, questi ultimi, dettati proprio dalla l. 689/81. Il profilo 
sanzionatorio-afflittivo pertanto sarebbe prevalente rispetto alla 
considerazione della sanzione quale mero debito pecuniario. 
Tuttavia, l�orientamento maggioritario sostiene la tesi avversa, secondo 
cui sebbene le sanzioni pecuniarie siano indubbiamente partecipi di una funzione 
essenzialmente afflittiva, e non potrebbe essere altrimenti, tale funzione 
non pu� condurre automaticamente all�affermazione della natura penale delle 
stesse: secondo l�insegnamento di illustre dottrina (Zanobini), la sanzione amministrativa 
� intesa come una �pena in senso tecnico�, applicata da una pubblica 
amministrazione nell�esercizio di una potest� amministrativa, inquadrata
224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
nella struttura della responsabilit� da illecito amministrativo. 
Pur essendo parte della medesima categoria funzionale e poste a tutela di 
un determinato interesse pubblico, nonch� omogenee sotto il profilo teleologico, 
le sanzioni penali ed amministrative si distinguono in base alla diversa 
valutazione dell�illecito e delle sue conseguenze. Pertanto, il legislatore di 
volta in volta opera una scelta tra sanzione penale e sanzione amministrativa, 
ricorrendo alla prima quando si rende necessaria la protezione dell�interesse 
generale della societ� civile e alla seconda quando invece occorre tutelare un 
interesse pi� ristretto, devoluto alle cure dell�amministrazione alla quale � contestualmente 
conferito il potere sanzionatorio. Quando l�irrogazione della 
�pena� rileva nel campo dei rapporti tra amministrazione e amministrato, e 
dunque anche tra organo di vigilanza e vigilato, la misura sanzionatoria ha natura 
amministrativa. 
Si ritiene che le considerazioni appena esposte valgano anche in riferimento 
alle sanzioni irrogate dall�AGCM. 
N� sembrerebbe di ostacolo ad una simile conclusione il tenore della sentenza 
della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo, pronunciata nella causa Menarini 
c. Italia, del 27 settembre 2011, la quale ha affermato la natura �penale� 
della sanzione antitrust oggetto di quel giudizio, peraltro sulla base della considerazione 
della particolare entit� (e dunque gravit�) della stessa (3). 
Ci� a conferma del fatto che la valutazione, secondo la Corte, va comunque 
effettuata caso per caso, con conseguente insussistenza di un principio 
�generalizzato� relativo alla natura penale delle sanzioni antitrust. 
Peraltro, la sentenza si riferisce esclusivamente alla materia della concorrenza 
(e non anche a quella delle pratiche commerciali scorrette) e, in ogni 
caso, ha affermato la natura penale della sanzione sub iudice �rispetto alla 
Convenzione�, vale a dire ai soli fini dell�applicabilit� del principio del giusto 
processo, pur riconoscendo esplicitamente che nel diritto italiano le condotte 
anticoncorrenziali non sono sanzionate dal diritto penale (4). 
Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, si ritiene che la questione 
interpretativa circa l�eventuale debenza di interessi in caso di pagamento ra- 
(3) Nel caso di specie si trattava infatti di una sanzione pecuniaria di sei milioni di euro, circostanza 
questa che ha avuto un ruolo determinante nell�affermazione della natura penale della sanzione, come 
si evince da un significativo passaggio della motivazione: �tenuto conto dell�elevato importo della sanzione 
inflitta, la Corte ritiene che essa sia, per la sua gravit�, di natura penale�. 
(4) Nella causa Menarini c. Italia la ricorrente lamentava la violazione del suo diritto ad adire un 
giudice avente piena giurisdizione, terzo ed imparziale. La Corte dunque ha affermato la natura penale 
della sanzione antitrust ai soli fini dell�applicabilit� del principio del giusto processo, che peraltro ha 
ritenuto comunque garantito dalla giustizia amministrativa, affermando che �nel caso di specie, la societ� 
ricorrente ha avuto la possibilit� di impugnare la sanzione amministrativa in questione dinanzi al TAR 
di Roma e presentare appello dinanzi al Consiglio di Stato. Secondo la giurisprudenza della Corte, tali 
organi soddisfano i requisiti di indipendenza e di imparzialit� del �giudice� di cui all�articolo 6 della 
Convenzione (PredilAnstalt SA. c. Italia (dec.), n. 31993/96, 8 giugno 1999)�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 225 
teale della sanzione debba esser risolta tenendo presente la natura amministrativa 
delle sanzioni antitrust. 
2. L�inapplicabilit� della disciplina di cui all�art. 27 l. 689/81 (maggiorazione 
comprensiva di interessi in caso di ritardo nel pagamento) anche all�ipotesi 
di rateizzazione del pagamento. 
Si condivide l'avviso di codesta Autorit� circa la non applicabilit� dei 
principi affermati dalla giurisprudenza in tema di interessi previsti dall'art. 27 
l. 689/81 (che prevede la maggiorazione comprensiva degli eventuali interessi 
in caso di ritardo nel pagamento di una sanzione pecuniaria) all'ipotesi contemplata 
nell'art. 26 (pagamento rateale della sanzione), in quanto trattasi di 
fattispecie non assimilabili. 
Si rammenta che l�art. 27 dispone: �Salvo quanto previsto nell�art. 26, 
in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta � maggiorata di un decimo 
per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione � divenuta esigibile 
e fino a quello in cui il ruolo � trasmesso all�esattore. La maggiorazione assorbe 
gli interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti�. 
Condivisibilmente codesta Amministrazione, con l�avallo del Consiglio di 
Stato (parere reso dalla Sez. III, n. 74/97) e della giurisprudenza di merito, esige 
il pagamento degli interessi anche per il primo semestre del ritardo, nel corso 
del quale non � ancora applicabile la maggiorazione prevista dalla predetta 
norma. Ci� in quanto, pur in assenza del necessario presupposto temporale per 
l�applicazione della maggiorazione (comprensiva degli eventuali interessi), il 
provvedimento sanzionatorio � comunque gi� dotato di esecutivit� ed esecutoriet� 
e quindi il credito, liquido ed esigibile, produce comunque interessi di mora. 
Come si accennava, tali considerazioni non possono tuttavia essere estese 
all�ipotesi del pagamento rateale, essendo gli interessi c.d. dilatori o di rateazione 
strutturalmente diversi dagli interessi moratori: i primi sono giustificati 
esclusivamente dall�esigenza di compensare il creditore per aver rinunciato al 
pagamento per la durata della dilazione e, correlativamente, dalla disponibilit� 
per il debitore di somme di denaro per la durata della dilazione stessa; gli interessi 
moratori, invece, hanno una funzione essenzialmente risarcitoria in 
quanto trovano la propria ratio nelle inadempienze della parte debitrice, 
aspetto questo del tutto assente nell�ipotesi della rateizzazione. 
Peraltro, il beneficio del pagamento rateale trova la propria fonte in un 
provvedimento autorizzatorio dell'Amministrazione, che ha l'effetto di rimodulare 
la disciplina del rapporto di riscossione. Ci� impedisce di qualificare 
come ritardo la situazione in cui viene a trovarsi l'interessato nelle more della 
scadenza del termine stabilito per il pagamento delle rate, posto che tale contegno 
� determinato proprio da un'autorizzazione espressa dell'Amministrazione 
titolare dal lato attivo del relativo rapporto giuridico. 
Viceversa, nell'ipotesi disciplinata dall'art. 27 l. 689/81 si � al cospetto di
226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
un vero e proprio ritardo nel pagamento della sanzione, dovuto ad una mera 
inadempienza dell'interessato, che non ha rispettato il termine (rimasto immutato) 
e, trattandosi di �ritardo non autorizzato�, rende il credito produttivo di 
interessi di mora. 
La conclusione potrebbe essere diversa nell�ipotesi in cui la rateizzazione 
venisse concessa dopo la scadenza del termine per il pagamento tempestivo, 
ipotesi che non pu� escludersi a priori, atteso che l�art. 26, nel disciplinare la 
rateazione della sanzione, non dice che tale beneficio pu� essere concesso solo 
prima della scadenza del predetto termine. 
E in effetti la possibilit� di concedere la rateazione una volta scaduto il 
termine per il pagamento tempestivo non � da escludersi anche in considerazione 
del fatto che la rateazione viene concessa, per espressa previsione normativa, 
in considerazione delle condizioni economiche disagiate del 
destinatario della sanzione e quindi di una condizione obiettiva in cui il trasgressore 
versa, che prescinde da ogni profilo di responsabilit�. 
Certamente, per�, il mero fatto giuridico della scadenza di quel termine, 
comporta che la somma da rateizzare non sar� pi� la (sola) sanzione originaria, 
bens� la sanzione cos� come rideterminata ai sensi del successivo art. 27, vale 
a dire maggiorata, maggiorazione nella quale restano assorbiti gli interessi dovuti 
per il ritardo stesso. 
3. L�inapplicabilit� in via diretta e la non estensibilit� in via analogica delle 
disposizioni rinvenibili nella legislazione speciale (con particolare riguardo 
al T.U. delle spese di giustizia) all�ipotesi della rateizzazione delle sanzioni 
amministrative comminate dall�Antitrust. 
3.1. Sulla inapplicabilit� del T.U. spese di giustizia e delle norme sulla riscossione 
dei tributi ad esso ricollegate. 
Gli indici normativi ed il consolidato orientamento giurisprudenziale 
(Corte di Cassazione Sezioni Unite, 5 gennaio 1994, n. 52; T.A.R. Lazio Sez. 
I, 10 giugno 1998, n. 1902) confermano che la materia delle sanzioni amministrative 
pecuniarie irrogate dall�AGCM � regolata dalla legge di depenalizzazione 
n. 689 del 1981. L�art. 31 della legge n. 287 del 1990 (Norme per la 
tutela della concorrenza e del mercato) stabilisce che �per le sanzioni amministrative 
pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, 
in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I 
e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689�. 
Le sezioni I e II del Capo I riguardano rispettivamente i principi generali 
(artt. 1 - 12) e l�applicazione delle sanzioni pecuniarie (artt. 13 - 31). A sua 
volta l�art. 26 disciplina il pagamento rateale della sanzione pecuniaria, stabilendo 
che l�autorit� (giudiziaria o) amministrativa che ha applicato la sanzione 
pu� disporre, su richiesta dell�interessato che si trovi in condizioni economiche
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 227 
disagiate, che la sanzione medesima venga pagata in rate mensili da tre a trenta. 
Sebbene la norma nulla disponga in ordine alla eventuale corresponsione 
di interessi, parte considerevole della dottrina sembra orientata nel senso di 
ritenere esigibili gli interessi in caso di pagamento rateale, per effetto dell�entrata 
in vigore del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari 
in materia di spese di giustizia, D.P.R. 115/2002. 
In particolare � stato affermato che l�art. 240 D.P.R. 115/2002, rubricato 
�dilazione e rateizzazione di pagamento� ed inserito nel Titolo V dedicato 
alle �disposizioni particolari per le sanzioni amministrative pecuniarie�, 
avrebbe ormai affiancato e sostituito l�art. 26 l. 689/81. 
L�art. 240 dispone infatti che �per il pagamento rateale e per la dilazione 
del pagamento delle sanzioni amministrative pecuniarie si applica l�articolo 
19, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e 
successive modificazioni�. A sua volta l�art. 19 D.P.R. 602 del 1973 (Disposizioni 
sulla riscossione delle imposte sul reddito) prevede che �l�agente della 
riscossione, su richiesta del contribuente, pu� concedere, nelle ipotesi di temporanea 
situazione di obiettiva difficolt� dello stesso, la ripartizione del pagamento 
delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di settantadue rate 
mensili�, e prosegue dettando una disciplina specifica relativa alla garanzia del 
credito qualora l�importo iscritto a ruolo sia superiore a cinquantamila euro. 
Tale ultima disposizione deve peraltro essere letta in combinato disposto 
con l'art. 21 D.P.R. 602/73 secondo cui �sulle somme il cui pagamento � stato 
rateizzato o sospeso ai sensi dell'articolo 19, comma 1, si applicano gli interessi 
al tasso del 4,5 per cento annuo. L�ammontare degli interessi dovuto � 
determinato nel provvedimento con il quale viene accordata la prolungata rateazione 
dell�imposta ed � riscosso unitamente all�imposta alle scadenze stabilite. 
I privilegi generali e speciali che assistono le imposte sui redditi sono 
estesi a tutto il periodo per il quale la rateazione � prolungata e riguardano 
anche gli interessi previsti dall�art. 20 e dal presente articolo�. 
La dottrina maggioritaria ritiene dunque esigibili gli interessi in caso di 
pagamento rateale della sanzione amministrativa comminata ai sensi della l. 
689/1981 per effetto del combinato disposto degli artt. 240 D.P.R. 115/2002 e 
19 e 21 D.P.R. 602/73. 
Ad una simile conclusione ostano per� una serie di considerazioni. 
Si � detto che l�art. 240 D.P.R. 115/2002 � inserito nel Titolo V dedicato 
alle �disposizioni particolari per le sanzioni amministrative pecuniarie�. 
La rubrica del titolo deve essere letta ed interpretata alla luce della definizione 
che di �sanzione amministrativa pecuniaria� fornisce il medesimo 
DPR all'art. 3 lett. v) - rubricato proprio �definizioni� - secondo cui ��sanzione 
amministrativa pecuniaria� � la sanzione pecuniaria, anche derivante da conversione 
della sanzione interdittiva, dovuta dalle persone giuridiche, dalle societ� 
e dalle associazioni anche prive di personalit� giuridica, ai sensi del
228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231�. 
L�art. 240 si riferisce pertanto alle sole sanzioni irrogate agli enti per illecito 
amministrativo dipendente da reato, vale a dire di quella particolare 
forma di responsabilit� amministrativa degli enti introdotta dal D.lgs. 231/2001 
(applicabile a enti forniti di personalit� giuridica, societ� e associazioni anche 
prive di personalit� giuridica, con esclusione dello Stato, degli enti pubblici 
territoriali, degli altri enti pubblici non economici, nonch� degli enti che svolgono 
funzioni di rilievo costituzionale) che pu� essere affermata qualora una 
persona fisica, a diverso titolo inserita nell'organizzazione dell'ente, abbia commesso 
un fatto costituente reato - espressamente contemplato nel medesimo 
testo normativo - nell�interesse dell�ente medesimo o a suo vantaggio. 
Quindi le sanzioni amministrative pecuniarie cui si riferisce il Titolo V 
del DPR 115/2002 sono ben diverse dalle sanzioni amministrative irrogate ai 
sensi della l. 689/1981. 
Del resto, la limitazione del concetto di sanzioni amministrative pecuniarie 
ai soli illeciti amministrativi degli enti dipendenti da reato � conforme all�intero 
impianto normativo del DPR 115/2002, con il quale il legislatore ha 
inteso istituire per l�appunto un Testo Unico riguardante le entrate dello Stato 
connesse all�esercizio della funzione giurisdizionale e dunque al processo, sia 
esso penale, civile, amministrativo, contabile o tributario. In questo ambito � 
dunque logico che rientrino anche le sanzioni amministrative dipendenti da 
reato, che ai sensi dell�art. 36, comma 1 D.Lgs. 231/2001 possono essere irrogate 
solo da un giudice, ed anzi dal giudice penale. 
Dunque il - peraltro dibattuto - carattere �amministrativo� di tali sanzioni 
deriva certamente dalla natura giuridica delle stesse e non dalla qualifica dell�autorit� 
alla quale la legge ha attribuito il potere di irrogarle. 
Ne deriva che mentre per le sanzioni amministrative pecuniarie comminate 
ai sensi del D.Lgs. 231/2001 si applica il combinato disposto degli artt. 
19 e 21 DPR 602/73 - in virt� del rinvio recettizio contenuto nell�art. 240 citato 
- con conseguente esigibilit� degli interessi sulle somme eventualmente rateizzate, 
altrettanto non pu� affermarsi con riferimento alle sanzioni antitrust, 
alle quali l�art. 240 non pu� essere direttamente applicabile. 
3.2. Sulla non estensibilit� in via analogica delle norme del T.U. spese di giustizia 
e della altre disposizioni speciali. 
Non sembra inoltre potersi affermare, come sembra prospettare codesta 
Autorit�, che la disciplina del T.U. sulle spese di giustizia sia comunque estensibile, 
sia pure in via analogica, alle sanzioni ex l. 689/1981 per effetto del 
presunto combinato disposto degli artt. 231, 234 e 240. 
Anzitutto, non sembra sia rinvenibile un �combinato disposto� delle tre 
norme appena menzionate, atteso che gli artt. 231 e 234 D.P.R. 115/2002 sono 
inseriti nel Titolo III, �Disposizioni particolari per spese processuali, spese
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 229 
di mantenimento e sanzioni pecuniarie processuali� e concernono, rispettivamente, 
la reiscrizione a ruolo dei crediti iscritti a ruolo e discaricati per inesigibilit� 
e l�attribuzione al concessionario della riscossione del potere di 
riscuotere le spese delle procedure esecutive relative a tutte le entrate iscritte 
a ruolo (5). 
L�art. 240 invece, come noto, prevede in virt� del rinvio agli artt. 19 e 21 
DPR 602/73, la rateizzabilit� delle sanzioni amministrative derivanti da reato 
e comminate agli enti ai sensi del D.Lgs. 231/2001. 
Le tre norme si riferiscono dunque a fattispecie tra loro diverse. 
Per quanto concerne la prospettata applicazione analogica delle norme 
del T.U. in materia di spese di giustizia, la l. 689/81 esclude la possibilit� di 
far ricorso al procedimento analogico. 
Invero, il sistema creato con la l. 689/81 � affine a quello penale, almeno 
per quanto riguarda i principi generali sanciti nella Sezione I, Capo I, e ripropone 
dunque, anche per le sanzioni amministrative pecuniarie, il principio di 
stretta legalit�, con il necessario corollario del divieto di analogia in malam 
partem (art. 1 commi 1 e 2 l. 689/81), come confermato dal costante orientamento 
della giurisprudenza secondo cui �con l�art. 1 della legge 689 del 1981 
il legislatore - prevedendo che nessuno pu� essere assoggettato a sanzione 
amministrativa se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima 
della commissione della violazione (comma 1) e che le leggi che prevedono 
sanzioni amministrative punitive si applicano soltanto per i casi e i tempi in 
esse considerati (comma 2) - ha inteso sancire l�applicabilit� alle sanzioni 
amministrative dei principi di legalit�, di irretroattivit� e di divieto di analogia� 
(Cassazione civile Sez. I, 28 dicembre 2004, n. 24053; fra le altre: Cassazione 
civile Sez. VI, 28 dicembre 2011, n. 29411; Cassazione civile Sez. I, 
27 giugno 2006, n. 14828; Cassazione civile Sez. I, 1 agosto 2003, n. 11732). 
Le argomentazioni sino ad ora esposte in relazione all'inammissibilit� 
dell'applicazione analogica dell�art. 240 del T.U. in materia di spese di giustizia 
a maggior ragione valgono in riferimento agli artt. 19 e 21 D.P.R. 602/73 (Disposizioni 
sulla riscossione delle imposte sul reddito) e 202 bis del Codice 
della Strada, i quali dettano discipline specifiche per ipotesi non assimilabili 
(5) Art. 231 D.P.R. 115/2002: 
�Reiscrizione a ruolo. 
In applicazione dell'art. 20, comma 6, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, con decreto dirigenziale 
del Ministero della giustizia, sono fissati i criteri eccezionali sulla base dei quali l'ufficio provvede 
alla reiscrizione degli articoli di ruolo discaricati ai sensi degli articoli 19 e 20, del decreto 
legislativo 13 aprile 1999, n. 112�. 
Art. 234 D.P.R. 115/2002: 
�Riscossione delle spese. 
Ai sensi dell'articolo 48, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, le spese 
delle procedure esecutive relative a tutte le entrate iscritte a ruolo sono riscosse dal concessionario nel 
processo in corso per la riscossione coattiva del credito principale�.
230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
alle sanzioni antitrust (6). 
Poich� dunque la loro applicazione alle sanzioni antitrust potrebbe trovare 
fondamento solo in un�operazione di estensione analogica, anche in questo 
caso dovrebbe essere esclusa tale possibilit�. 
4. L'applicabilit� del principio generale di cui all'art. 1282 c.c. al pagamento 
rateale della sanzione amministrativa ex art. 26 1. 689/81. 
Occorre infine stabilire se la debenza degli interessi sulle somme rateizzate 
possa trovare fondamento nell�art. 1282 cod. civ. (�i crediti liquidi ed esigibili 
di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la 
legge o il titolo stabiliscano diversamente�), inteso come principio generale 
applicabile a tutti i debiti pecuniari, ivi compresi quelli di cui si discute. 
Deve al riguardo evidenziarsi come la questione appaia dubbia, atteso 
che sussistono argomenti a sostegno tanto della tesi negativa quanto della tesi 
positiva. 
N� sembra risolutiva la - peraltro esigua - giurisprudenza pronunciatasi 
al riguardo: nella sentenza 18 dicembre 2003 n. 8345 il Consiglio di Stato ha 
affermato che �in mancanza di una specifica disciplina di settore, l�art. 1282 
c.c. � senz�altro applicabile anche alle sanzioni amministrative pecuniarie 
una volta sorta l'obbligazione ex lege di pagare una certa somma di denaro�. 
La pronuncia appena citata � stata per� resa in una controversia avente 
ad oggetto le sanzioni per ritardato pagamento degli oneri concessori ex art. 3 
L. 2 febbraio 1985 n. 47, e dunque il principio � stato in realt� affermato in 
tema di debenza degli interessi moratori, in relazione al quale la l. 47/1985 - 
che pure stabiliva delle maggiorazioni della sanzione in caso di ritardato pagamento 
- non conteneva una disciplina specifica. 
A ben vedere dunque, la norma applicata dal Consiglio di Stato non � 
stata l�art. 1282 del cod. civ., ma l�art. 1224 del cod. civ. 
La possibile risposta negativa al quesito se, pur in difetto di espressa previsione 
da parte dell�art. 26, siano dovuti interessi in caso di pagamento rateale 
in virt� dell�applicabilit� dell�art. 1282 cod. civ. anche ai crediti pecuniari derivanti 
da sanzioni amministrative, potrebbe trovare fondamento anzitutto nella 
considerazione che essendo il sistema della l. 689/1981 (come gi� argomentato 
nel par. 1 del presente parere), disegnato sulla falsariga di quello penale in 
virt� della previsione del principio di stretta legalit�, andrebbe mutuata dall�ordinamento 
penale la massima secondo la quale ubi lex voluit dixit, ubi noluit 
tacuit, con la conseguenza che il silenzio dell�art. 26 circa la debenza di 
interessi in caso di rateizzazione sarebbe da intendersi come un silenzio signi- 
(6) Ai sensi dell�art. 202 bis, comma 4, ultimo periodo �Sulle somme il cui pagamento � stato rateizzato 
si applicano gli interessi al tasso previsto dall'articolo 21, primo comma, del decreto del Presidente 
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 231 
ficativo, sintomo di una volont� negativa del legislatore. 
Ci� in quanto l�istituto della rateizzazione della sanzione di cui all�art. 
26 ha carattere eccezionale, perch� derogatorio del principio secondo il quale 
gli atti amministrativi (ivi compresi quelli a contenuto sanzionatorio) dal momento 
della loro emissione sono dotati di immediata esecutivit� ed esecutoriet�, 
mentre la previsione della rateizzabilit� costituisce una deroga a tale 
principio perch� finisce col differire la possibilit� di immediata ed integrale 
esecuzione coattiva del provvedimento, sicch�, trattandosi di norma di stretta 
interpretazione, l�aver omesso di prevedere la corresponsione di interessi dovrebbe 
essere considerato indice di una volont� normativa in tal senso piuttosto 
che di una lacuna. 
Potrebbe inoltre essere ritenuto che tale opzione interpretativa trovi conferma 
nel tenore del successivo art. 27 l. 689/81, il quale, giova ribadirlo, stabilisce 
che �Salvo quanto previsto nell�art. 26, in caso di ritardo nel 
pagamento la somma dovuta � maggiorata di un decimo per ogni semestre a 
decorrere da quello in cui la sanzione � divenuta esigibile e fino a quello in 
cui il ruolo � trasmesso all�esattore. La maggiorazione assorbe gli interessi 
eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti�. 
Potrebbe in altri termini ritenersi alquanto anomalo che il legislatore si 
sia preoccupato di disciplinare la debenza degli interessi in caso di maggiorazione 
della sanzione (prevedendone l�assorbimento in detta maggiorazione) e 
non lo abbia fatto per l�ipotesi di semplice rateizzazione disciplinata dall�art. 
26, pur esplicitamente richiamato nella clausola di salvezza contenuta nel predetto 
art. 27. 
Tali argomenti potrebbero tuttavia essere superati ove si muova dalla considerazione 
che poich� l�art. 1282 cod. civ. codifica un principio immanente 
nel sistema ed applicabile indistintamente a tutti i debiti pecuniari (che se certi, 
liquidi ed esigibili producono interessi di pieno diritto), ivi compresi quelli 
derivanti da sanzioni amministrative pecuniarie, non vi era necessit� di una 
espressa previsione dell�art. 26 in punto di debenza di interessi, previsione che 
ove vi fosse stata avrebbe costituito una �duplicazione� della norma gi� scritta 
nel citato art. 1282 cod. civ., sicch� a ben vedere il �silenzio� della norma sul 
punto non sarebbe affatto un �silenzio significativo�. 
In quest�ottica, la clausola di salvezza contenuta nel successivo art. 27, 
che disciplina gli interessi moratori, potrebbe essere interpretata nel senso che 
salva l�ipotesi in cui il �ritardo� nell�adempimento dipenda da un provvedimento 
che concede la dilazione dello stesso, alle altre ipotesi di ritardo �non 
autorizzato� si applica la disciplina della maggiorazione della sanzione. 
A ben vedere, dunque, la vera essenza del problema consiste non tanto 
nello stabilire se il silenzio dell�art. 26 sulla debenza degli interessi possa o 
meno essere colmato dal disposto dell�art. 1282 cod. civ., ma nello stabilire 
se sussistano i requisiti di applicabilit� dell�art. 1282, val a dire se il credito
232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
derivante dalla sanzione rateizzata sia certo, liquido ed esigibile. 
Il problema si pone in particolare con riferimento al requisito della esigibilit�. 
Secondo l'insegnamento della Cassazione, la prestazione � esigibile 
quando il creditore pu� chiedere il pagamento o perch� � scaduto il termine a 
favore del debitore, o perch� il pagamento pu� essere richiesto in qualsiasi 
momento. Anche il Consiglio di Stato, nel parere n. 74/97 citato da codesta 
Autorit�, conferma l'assunto precisando che �il credito si qualifica esigibile 
quando sia scaduto e quindi il creditore possa immediatamente agire in executivis 
per ottenerne l�adempimento�. 
Si tratta dunque di stabilire se il provvedimento che ammetta l�interessato 
alla rateizzazione - e dunque alla dilazione del pagamento - faccia o meno perdere 
al credito da sanzione amministrativa il suo carattere di credito originariamente 
esigibile. 
La soluzione al problema sembra dipendere, a ben vedere, dalla individuazione 
della ratio giustificatrice sottesa alla norma sulla rateizzazione, sicch� 
la risposta potrebbe essere diversa ove si muova da una lettura che 
potremmo definire di impronta �pubblicistica� o, viceversa, da una lettura che 
potremmo definire pi� prettamente �civilistica�. 
a) La lettura di impronta �pubblicistica� potrebbe far leva sulla considerazione 
che, poich� ai sensi dell�art. 26 l�amministrazione concede il beneficio 
del pagamento rateale qualora l�istante si trovi in condizioni economiche disagiate, 
la concessione del beneficio costituisce modalit� di esercizio del potere 
sanzionatorio che - pur fortemente vincolato quanto a presupposti dell�irrogazione 
della sanzione e quantificazione della stessa - pu� attraverso tale istituto 
discrezionalmente commisurare la �pena� alle �condizioni personali� del 
trasgressore, sulla falsariga di quanto gi� avviene, in sede di prima determinazione 
della sanzione, in applicazione dell�art. 11 l. 689/1981, a tenore del 
quale �Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata 
dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle 
sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravit� della violazione, 
all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze 
della violazione, nonch� alla personalit� dello stesso e alle sue condizioni 
economiche�. 
In altri termini, la legge consente di tener conto, in sede di irrogazione 
della sanzione, delle condizione economiche del trasgressore, sia commisurando 
ad esse l�entit� della sanzione (art. 11), sia commisurando ad esse il termine 
entro il quale la sanzione deve essere pagata, e scaduto il quale pu� essere 
riscossa (art. 26). 
In tal modo non solo vengono salvaguardate le esigenze dell�interessato, 
ma viene anche realizzato il principio di uguaglianza sostanziale, in considerazione 
della evidente maggiore afflittivit� del provvedimento sanzionatorio
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 233 
pecuniario nei confronti di chi versa in condizioni disagiate rispetto al soggetto 
abbiente. 
In caso di rateizzazione, la fonte legittimante il pagamento dilazionato 
potrebbe dunque essere qualificata come un provvedimento amministrativo 
autorizzatorio, con il quale l�Autorit� stabilisce delle nuove e diverse modalit� 
di pagamento, che vanno a modificare la disciplina del rapporto di riscossione: 
per effetto di tali modifiche, il diritto di riscuotere la somma risulta frazionato 
e si adegua alle scansioni cronologiche stabilite nel provvedimento. 
Tale impostazione potrebbe condurre, di conseguenza, all�affermazione 
che per effetto del provvedimento di accoglimento dell�istanza di rateizzazione, 
il credito derivante dalla sanzione, da credito all�origine immediatamente 
esigibile si trasforma in credito sottoposto ad una serie di termini 
(coincidenti con le scadenze delle singole rate), sicch� poich� gli importi delle 
rate diverrebbero esigibili solo alle (e non prima delle) relative scadenze, gli 
interessi su tale rateizzazione non potrebbero essere richiesti ai sensi dell�art. 
1282 cod. civ., perch� difetterebbe il requisito della esigibilit� della prestazione 
prima della scadenza delle singole rate. 
b) Pur nella consapevolezza della sostenibilit� della tesi appena enunciata, 
sembrerebbe tuttavia preferibile, ad avviso della Scrivente, la soluzione opposta, 
che muovendo da un�impostazione di stampo pi� prettamente �civilistico�, 
consente di pervenire all�affermazione che il credito da sanzione 
amministrativa ex l. 689/1981, pur in presenza di un provvedimento che ammetta 
l�interessato alla rateizzazione, non perda, per ci� solo, il requisito della 
esigibilit� del quale � ab origine dotato. 
Tale soluzione sembra infatti meglio rispondere all�esigenza di un equo 
contemperamento tra l�interesse del soggetto sanzionato che si trovi in condizioni 
economiche disagiate (soddisfatto dall�accoglimento della richiesta di 
rateizzazione) e l�interesse dell�amministrazione alla integrale riscossione 
della sanzione comminata. 
Invero, poich� gli interessi c.d. dilatori o di rateazione sono giustificati 
dall�esigenza di compensare il creditore per aver rinunciato al pagamento per 
la durata della dilazione e, correlativamente, dalla disponibilit� per il debitore 
di somme di denaro per la durata della dilazione stessa, ove il credito rateizzato 
non producesse interessi, la concessione della rateizzazione si tradurrebbe in 
una implicita rinuncia a parte di esso: a quella parte, cio�, di somme di denaro 
della quale l�amministrazione non ha immediatamente goduto a causa della 
dilazione e per la durata della stessa. 
In altri termini, potrebbe affermarsi che la norma che attribuisce all�amministrazione 
il potere di rateizzare la sanzione persegue l�esclusivo intento 
di concedere �pi� tempo� al sanzionato, senza per� che ci� si traduca anche 
in uno �sconto� della sanzione comminata.
234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Del resto, deve considerarsi che altrove nell�ordinamento - nelle specifiche 
normative di settore che contengono una regolamentazione delle sanzioni 
amministrative - si rinvengono norme analoghe sulla rateizzabilit� della sanzione, 
che disciplinano espressamente il regime degli interessi, non tanto al 
fine di stabilire la regola dell�an della loro debenza, bens� al fine di stabilire 
la regola del quantum (7). 
Quelle norme, in altre parole, contengono una previsione espressa in 
punto di interessi non perch� in assenza di tale previsione gli interessi non sarebbero 
dovuti, ma perch� in assenza di tale previsione - che fissa un tasso di 
interesse superiore a quello legale - gli interessi dovrebbero essere corrisposti 
nella misura del tasso legale. 
Da tale considerazione sembra potersi inferire che tali norme costituiscano 
la conferma della esistenza nel nostro ordinamento di un principio generale, 
immanente nel sistema, secondo il quale l�autorizzazione del creditore 
al pagamento rateale di un credito gi� ab origine esigibile - qualunque sia la 
natura del credito e dunque anche se si tratti di credito da sanzione amministrativa 
pecuniaria - implica l�insorgere di un�obbligazione accessoria a quella 
principale, consistente nell�obbligo di corrispondere i c.d. interessi di rateazione, 
nella misura del tasso legale, salvo che non sia diversamente stabilito. 
Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo che si � espresso in 
conformit� 
(7) Ci si riferisce ai gi� menzionati artt. 19 e 21 D.P.R. 602/73 (Disposizioni sulla riscossione 
delle imposte sul reddito), nonch� all�art. 202 bis comma 4, ultimo periodo del Codice della Strada, a 
tenore del quale �Sulle somme il cui pagamento � stato rateizzato si applicano gli interessi al tasso previsto 
dall'articolo 21, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 
602, e successive modificazioni�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
La Giornata della Trasparenza. Per un Freedom of 
Information Act (FOIA) anche in Italia (*) 
(Roma, 19 settembre 2012, sede della Fnsi) 
Intervento di GIUSEPPE FIENGO 
�La difficile via italiana� 
Il compito del mio intervento in questo convegno � un po� particolare: 
devo eliminare dal nostro ordinamento giuridico quella che, nella legislazione 
elettorale americana, si chiamava �la clausola del nonno�. 
Dopo la Guerra di secessione e l�abolizione della schiavit�, i democratici 
razzisti del Sud approvarono leggi che rendevano pi� difficili la registrazione 
nelle liste elettorali e la partecipazione alle elezioni, con il risultato che la maggioranza 
dei neri e di molti bianchi poveri se ne trov� praticamente esclusa. 
Gli ex stati confederati approvarono nuove costituzioni o emendamenti che di 
fatto privarono nuovamente del diritto di voto la maggioranza delle persone 
povere e di colore, grazie ad una combinazione di tasse da pagare per votare, 
di test di alfabetizzazione e di comprensione di testi scritti, di requisiti di residenza 
e/o registrazione all'anagrafe. La clausola del nonno, in particolare, 
non consentiva il rilascio del certificato elettorale a chi non dimostrava che il 
nonno del richiedente sapesse leggere e scrivere� 
Anche noi, in Italia, sul tema dell�accesso ai documenti pubblici, abbiamo 
(*) Obiettivo della Giornata promossa da Foia.it con il contributo del Sindacato dei giornalisti 
italiani � �una proposta operativa ed immedita in cui si chiede al Governo e al Parlamento di introdurre 
nella legislazione italiana il diritto alla trasparenza e all�accesso agli atti della pubblica amministrazione 
da parte di chiunque, indipendentemente dai motivi e dalle intenzioni per cui li richiede�. Questo 
lo scopo principale di Foia.it che annovera costituzionalisti, esperti della pubblica amministrazione, tecnici 
ministeriali, rappresentanti delle istituzioni giornalistiche e di gruppi e associazioni.
236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
un�elusione amministrativa di principi che sono pacifici in tutta Europa, che 
sarebbero anche presenti nella nostra legislazione, ma che la prassi amministrativa 
e la gente comune ignora. La regola normale � che gli atti pubblici 
sono pubblici - come dice la parola stessa - �liberamente e facilmente fruibili 
da tutti�. 
Quindi il mio compito di giurista � semplice, proprio perch� le leggi ci 
sono e si tratta solo di eliminare la �clausola del nonno�, che in Italia � rappresentata 
da tutti quegli ostacoli strutturali e funzionali, che il nostro mondo 
giuridico-amministrativo frappone tra i cittadini e i documenti pubblici. 
Bisogna conoscerlo bene il nostro mondo (io sono nell�amministrazione 
- ci sto da una vita) per capire dove mettere le mani, anche perch� questo benedetto 
diritto all�informazione dei cittadini � un qualcosa di molto delicato, 
proprio per come � strutturato: quando cerco qualcosa, devo prima di tutto sapere 
che esiste, e quindi se cerco un documento, devo averne la conoscenza, 
devo sapere se, come e quando � stato formato; se non so che esiste, voi capite 
bene, che non chiedo niente. Altro aspetto delicato, che potremmo chiamare 
funzionale, � che questa informazione deve essere tempestiva, mi deve arrivare 
presto, perch�, se mi arriva tardi, quando i giochi sono fatti, non ci faccio 
niente; diventa storia e cessa di essere partecipazione e democrazia. Quindi 
comprendete che mi trovo di fronte ad un qualcosa (il cosiddetto diritto all�informazione) 
che � estremamente fragile da utilizzare. 
Ed � per questo che ringrazio Palmieri e ne apprezzo la metodologia: 
�Non buttiamo le cose che abbiamo�, perch� tutti gli interventi intanto partono 
da punti fermi reali. 
Il testo delle modifiche legislative proposte: 
1. In attuazione della Convenzione sull�accesso ai documenti ufficiali, approvata il 18 giugno 2009 
dal Consiglio d�Europa, la Repubblica attribuisce a chiunque il diritto di avere accesso ai documenti 
amministrativi, senza riguardo ai motivi o alle intenzioni per cui li richiede. 
2. Sono conseguentemente modificate le seguenti disposizioni della legge 7 agosto 1990 n. 241 e 
successive modifiche ed integrazioni: 
all�art. 22 comma 1 lett. a) sono soppresse le parole �degli interessati�; 
all�art. 22, comma 1 � soppressa l�intera lett. b); 
all�art. 24 comma 1 sono soppresse le lettere b) e c); 
l�art. 24 comma 3 � soppresso; 
all�art. 24 comma 6 � soppressa la lettera b); 
all�art. 24 comma 6 lett. d) sono soppresse le parole �finanziario, industriale e commerciale�; 
l�art. 24 comma 7 � soppresso; 
l�art. 25 comma 2 � soppresso; 
all�art. 25 comma 1 � soppresso l�inciso �salve le disposizioni in materia di bollo nonch� i diritti 
di ricerca e di visura�. 
3. Le misure di pubblicit� e le condizioni di efficacia degli atti previste dal D.L. 22 agosto 2012 n. 
83 si estendono a tutti i documenti amministrativi comunque protocollati in entrata ed in uscita 
da un ufficio pubblico. 
Per una informazione pi� completa in www.articolo21.org/2012/09/il-foia-anche-in-italia-ecco-laproposta-
operativa/
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 237 
Ed un grosso omaggio devo fare al ministro Passera, anche se ho una 
certa ritrosia a fare omaggi ai politici. L�articolo 18 del nuovo decreto sviluppo 
stabilisce infatti che gli atti che danno un vantaggio ai privati, ai dipendenti 
pubblici ed alle imprese, per essere efficaci, devono essere pubblicati su Internet: 
si tratta indubbiamente di una grande rivoluzione culturale. Gliene devo 
dare atto, perch� sposare l�efficacia giuridica degli atti e quindi il controllo 
della Ragioneria Generale dello Stato, di tutte le Ragionerie territoriali, sulla 
circostanza che l�atto di concessione di un vantaggio, per essere materialmente 
pagato, per essere condotto a buon fine, deve in qualche misura essere ostensibile 
sui siti dell�amministrazione concedente, secondo me, � un grande atto 
di trasparenza e di coraggio. 
Quindi incominciamo col dire che l�iniziativa FOIA qualcosa l�ha ottenuta; 
abbiamo fatto un passo serio. 
Tenete presente, poi, che tutta questa materia non � poi tanto avulsa dal 
contesto economico, perch� una trasparenza vera, effettiva, la possibilit� per 
gli operatori di avere atti, carte e problemi immediatamente ostensibili, significa 
alcuni punti in pi� (o in meno) dei rating che formulano le societ� specializzate 
a valutare gli investimenti in Italia. La gente ragiona: devo andare 
ad investire in Italia, devo vedere le carte, capire perfettamente come stanno 
le cose, se ho bisogno di un intermediario, di un avvocato che mi fa il ricorso 
per l�accesso e cose di questo genere, sono costi in pi� da affrontare. Quindi 
- voglio dire - l�investimento in Italia migliora. Quindi stiamo parlando anche 
di economia, non soltanto di astratte libert�� 
Allora, stavo dicendo che volevo ringraziare Palmieri, perch� mi ha ricondotto, 
giustamente, alla regola che non si butta quello che comunque si ha. 
Giusto, sacrosanto! Ed io non voglio buttar via la meravigliosa giurisprudenza 
del Consiglio di Stato e dei TAR, che � riuscita a creare un diritto di accesso, 
sia pure tramite gli avvocati. Con tutti i difetti che ho segnalato, per� ha creato 
una giurisprudenza che esiste, che opera, che dice che cosa si pu� vedere, che 
cosa non si pu� vedere. Quindi - voglio dire - �nessuno butta niente�, ci mancherebbe 
altro! 
Per� alcune correzioni bisogna farle. Perch�? Perch� ormai stiamo in Europa 
e non � pi� possibile fermarsi. E allora cՏ un testo proposto, che vi spiego 
e vi leggo. Sono tre commi che possono cambiare molto. 
I commi sono le frasi delle leggi. Scusate, qui non tutti siete parlamentari, 
n� tutti siete giuristi, quindi devo spiegare che cosa sono i commi. 
La prima disposizione che si propone � un�affermazione generale che dice 
�In attuazione della convenzione sull�accesso dei documenti ufficiali, approvata 
nel 2009 dal Consiglio d�Europa, la Repubblica� - e con questo voglio 
dire quindi lo Stato, i Comuni, le Province, e qualsiasi soggetto pubblico - 
�attribuisce a chiunque il diritto di avere accesso ai documenti amministrativi, 
senza riguardo ai motivi e alle intenzioni per cui li richiede�. Anche la sem-
238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
plice curiosit� deve essere in qualche modo garantita. Questa � la regola europea� 
questo � il testo della dichiarazione del Consiglio d�Europa. Quindi 
questa, e non altra, deve diventare norma della Repubblica Italiana. 
Ma questa nuova norma deve necessariamente essere coordinata con 
quello che cՏ, ed in Italia cՏ la Legge n. 241 del 1990 che, nel regolare il 
procedimento amministrativo sancisce il diritto di accesso e di partecipazione 
dei privati. Occorre quindi, proprio per sfruttare il lungo lavorio della giurisprudenza 
su questa norma, introdurre lievi, ma significative, modificazioni a 
tale legge. 
E incomincia l�elenco degli emendamenti - i parlamentari presenti sanno 
bene come si fa -: Art. 22, comma 1, lett. a) b) e c). Piccoli aggiustamenti... 
Va qui richiamata, anche in questa occasione, la buona abitudine, mutuata dalle 
norme europee a partire dagli anni �90, di far precedere le disposizioni precettive 
di una legge dalle definizioni. Cosa utile in Europa, dove si tratta di 
unificare una pluralit� di diritti nazionali ma non del tutto coerente con la tradizione 
giuridica italiana: le definizioni, in un ordinamento codificato, le fanno 
i giudici, le fa la Cassazione molto meglio. Ma detto questo, va bene cos�� 
In una definizione cՏ scritto: �Il diritto di accesso � il diritto degli interessati�. 
Beh, no. Lo leviamo, � abrogato appunto il termine �interessati�. 
Seconda definizione recata dalla lettera b): �Per interessati s�intendono 
tutti i soggetti etc�. E che c�importa? Togliamo dal testo vigente la lettera b) 
dell�art. 22. Poi andiamo avanti, e leggiamo che il diritto d�accesso � escluso 
�per i procedimenti tributari� � Ma perch� deve essere escluso l�accesso per 
i procedimenti tributari? Se cՏ una cosa che � pubblica sono i soldi delle tasse, 
mie e dei miei concittadini; � una sorta di cassa comune. Il minimo che occorre 
� sapere chi ci mette il danaro e come viene speso� 
E andiamo ancora avanti. Dice la legge n. 241 del 90 che �nei procedimenti 
della pubblica amministrazione diretti alla emanazione di atti normativi, 
amministrativi generali e di pianificazione� sarebbe escluso l�accesso. 
Per le leggi, va bene: cՏ l�autonomia del Parlamento e degli interna corporis 
(?). Ma tra gli atti normativi ci sono anche i regolamenti, hanno un procedimento, 
che si articola secondo la legge: perch� a tali atti non si pu� 
accedere? Ma soprattutto ritengo fuori luogo l�esclusione degli atti amministrativi 
generali, di pianificazione o di programmazione. Proprio no, qui voglio 
vedere come il Comune fa un Piano Regolatore! Questa disposizione la possiamo 
abolire. 
E andiamo avanti nella proposta. Non vogliamo neppure il 3� comma dell�articolo 
24, quando dice: �Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate 
al controllo generalizzato dell�operato delle pubbliche amministrazioni�. 
La norma va abrogata. 
In tutto questo meccanismo di emendamenti mirati credo che si recuperano 
tutta la giurisprudenza e tutta la saggezza del Consiglio di Stato, che ap-
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 239 
plica queste disposizioni normalmente e lo si pu� fare con il nuovo testo da 
domani. Nelle aule, di giustizia, ma anche fuori da tali aule, negli uffici amministrativi: 
perch�, quando escono le sentenze del Consiglio di Stato poi le 
amministrazioni, anche se talvolta a malincuore, si adeguano. 
Anche qui, attenzione, tutto questo potere che sarebbe dell�amministrazione 
non lo vedo! Purtroppo, oramai, dopo che i dirigenti vengono nominati 
solo per un anno o due, sulla base di quello che decide il ministro, e se non 
vengono riconfermati magari perch� non fanno quello che dice il ministro se 
ne devono andare a casa� Quindi, voglio dire, attenzione! Noi abbiamo ucciso 
il Civil Service, la dirigenza amministrativa, un po� burocrate, ma anche 
autonoma che avevamo in Italia� Sul punto occorre prestare molta attenzione. 
Altre cose semplici: l'accesso pu� arrecare danno alla privacy: evidentemente, 
conserviamo la disposizione delle legge n. 241 del 90, ma eliminando 
tutto il riferimento del monetario e della politica valutaria: se esiste una materia 
sulla quale vogliamo sapere tutto, oramai � il monetario, lo spread, � tutte queste 
cose, perch� poi sono cose che entrano nella nostra tasca; perch� quando 
qualcuno vi dice che si alza lo spread mi ritrovo 200 euro in meno nella busta 
paga: vuol dire che cՏ un rapporto diretto tra me e la politica monetaria e la 
vorrei capire bene. Ne ho diritto perch� sono soldi miei, perch� � la mia vita, 
� il mio standard di vita, quindi sono questi gli elementi sui quali posso fare 
poi tutte le mie scelte, anche politiche� 
E poi l�ultima norma da abrogare: la richiesta di accesso ai documenti 
non deve essere motivata. Il controllo democratico delle comunit�, anche 
spinto fino alla semplice curiosit� dei cittadini (e dei giornalisti) va comunque 
tutelata. Questo � evidente. 
Come vedete, si propone un lavoro di semplice pulitura nel quale � stata 
eliminata anche quella norma che dispone che, per avere un documento, devo 
pagare l�imposta di bollo. Francamente - e qui ringrazio Valerio Onida, che 
mi ha segnalato l�anomalia prima dell�apertura del convegno - l�imposta per 
la stampa o la trasmissione di un documento che l�amministrazione gi� possiede 
in digitale, francamente, mi sembra obiettivamente una �piccola clausola 
del nonno�. 
Queste sono le modificazioni che si chiedono alla legge n. 241 del 1990 
e che si possono fare subito, inserendole in un ordinamento e in una prassi gi� 
consolidate da un�egregia giurisprudenza del giudice amministrativo. 
Un ultima notazione, che vuole essere il mio tributo al ministro Passera 
Passera e al suo Ufficio Legislativo. Mi riferisco a quelle condizioni dell�art. 
18 del decreto legge, che spero sia convertito, che collegano l�efficacia degli 
atti alla pubblicit� e alla trasparenza, anzi alla �pubblica fruizione su internet�. 
[ndr. la conversione in legge ci fu poco dopo la Giornata della trasparenza]. 
Ho una grande speranza, un grosso desiderio: che questa nuova disposi-
240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
zione di legge possa entrare nel sistema urbanistico, nel sistema della gestione 
del territorio. Perch� se non ho conoscenza dei fatti che incidono sul territorio, 
se non conosco gli atti, non riesco a capirci niente e come cittadino non so da 
che parte schierarmi. 
La regola della pubblicit� dovrebbe valere per tutti gli atti comunque protocollati 
dalla pubblica amministrazione. � chiaro, se sto lavorando a un atto, 
ho diritto a non farlo vedere finch� non � finito, ma quando � protocollato, 
esce da un ufficio pubblico, sia pure a livello interno, tra l�organo periferico e 
l�organo centrale, bene, quell�atto � un atto che vive, che esiste e tutti hanno 
diritto di vederlo, anche nella sua dinamica. Anche questo � principio molto 
semplice. 
Sono cose in conclusione che si possono fare, senza dire che per farle 
avremmo bisogno di una catarsi generale del Paese, di fare altre cose. Le proposte 
di oggi si possono realizzare con facilit� e celermente e spero che diventino 
parte del nostro ordinamento democratico, in analogia alle leggi di 
tutti i principali Stati europei. Non ho nient�altro da dire. Grazie.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 241 
IMU ed immobili a utilizzazione mista indistinta (l�esenzione 
proporzionale tra schema decretale e parere consiliare) 
(Nota a Cons. St., Sez. Consultiva per gli Atti Normativi, 27 settembre 2012, parere n. 
07658/2012) 
Federico Maria Giuliani* 
Sabrina Scalini** 
SOMMARIO: 1. La questione: a) introduzione. � 2. (Segue): b) la soluzione ministeriale e 
le ragioni del (parziale) dissenso consiliare. � 3. Considerazioni conclusive. 
1. La questione: a) introduzione. 
Il parere che si annota, emanato in data 27 settembre 2012 dalla Sezione 
Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato, � nato a seguito di richiesta 
del Ministro dell�Economia e delle Finanze � formulata ai sensi dell�art. 
17, comma 25, l. 15 maggio 1997, n. 127 (1), in relazione a uno schema 
di decreto ministeriale in materia tributaria. 
Ed invero, l�art. 91-bis, comma 3, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv., con 
modificazioni, in legge n. 27 del 24 marzo 2012, ha emendato l�art. 7, d.lgs. 
n. 504 del 30 dicembre 1992, contenente l�elenco degli immobili esenti dall�allora 
ICI. Tanto esso ha fatto inserendo, al comma 1, lett. i), di detto art. 7, 
l�inciso �con modalit� non commerciali�. 
OndՏ che la relativa esenzione oggi afferisce, testualmente, agli enti pubblici 
e privati, diversi dalle societ�, che risiedono nel territorio dello Stato, e 
non hanno, per oggetto esclusivo o prevalente, l�esercizio di attivit� commerciale; 
rectius afferisce agli immobili, che sono utilizzati da tali enti e da essi 
destinati esclusivamente allo svolgimento, con modalit� non commerciali, di 
attivit� assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative 
e sportive, nonch� alle attivit� di religione o di culto (2). 
Nel contempo, lo stesso art. 91-bis, d.l. n. 1/2012 (cos� come convertito 
con mod. in legge) affrontava in specie il delicato (e discusso) tema dei c.d. 
immobili a utilizzazione mista, quali ad esempio quelli impiegati in parte per 
pura attivit� di religione e culto, e in parte per attivit� di tipo commerciale. � il 
(*) Avvocato del libero Foro, Milano. 
(**) Avvocato del libero Foro, Bologna. 
(1) Trattasi dei pareri obbligatori, in fase endoprocedimentale necessaria, che il Governo e i singoli 
Ministri devono chiedere al Consiglio di Stato per l�emanazione di atti normativi. Cfr., sul punto, E. 
CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, XIII ed., Milano, 2011, p. 477 s. 
(2) La norma esentativa da ICI, di cui sopra nel testo, � applicabile anche all�imposta municipale 
propria (IMU), giusta quanto previsto dall�art. 9, comma 8, d.lgs. 16 marzo 2011, n. 23 (sul federalismo 
fiscale municipale), il quale espressamente richiama l�art. 7, comma 1, lettere da b) a f), nonch� h) ed 
i), d.lgs. n. 504/1992, istitutivo dell�ICI.
242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
caso, in ipotesi, di stabili destinati in parte qua ad ospitalit� alberghiera, all�interno 
dei quali per� vivono stabilmente persone aderenti ad ordini ecclesiastici. 
Orbene, per sciogliere il non facile nodo della esenzione soltanto parziale 
da IMU di codesti immobili, il legislatore ha contemplato due diversi casi, rispettivamente 
indicati ai commi 2 e 3 del citato art. 91-bis. La prima ipotesi � 
quella pi� semplice, che interviene allorquando i due impieghi sono frazionabili 
all�interno della medesima unit� immobiliare. Per queste situazioni, il capoverso 
dell�art. 91-bis prevede che la parte di unit� immobiliare, identificabile 
come adibita ad uso commerciale - s� come dotata di autonomia funzionale e 
reddituale permanente (rispetto alla porzione dedicata, per esempio, alla religione 
e/o al culto) -, sia sottratta all�esenzione da IMU. 
Diversamente, per i pi� ardui casi - c.d. �misti indistinti� -, in cui non � 
possibile operare il frazionamento autonomo degli immobili o di loro porzioni, 
in relazione agli usi commerciali e non, il comma 3 dell�art. 91-bis contempla 
l�applicazione di un criterio di proporzionalit�, da quantificarsi ed attestarsi, 
da parte del contribuente, in apposita dichiarazione. Ed � proprio sul punto di 
siffatta dichiarazione, che la legge prevede l�emanazione di un decreto ministeriale, 
ex art. 17, comma 3, l. n. 400/1988 (3), v�lto a stabilirne �le modalit� 
e le procedure� (c.vo aggiunto). Ma a ci� la norma stessa non si limita, in punto 
di delega, prevedendo che il decreto ministeriale debba contemplare altres� 
�gli elementi rilevanti ai fini della individuazione del rapporto proporzionale�. 
Ne � cos� scaturito lo schema di articolato decretale, su cui la Sezione 
Consultiva del Supremo Consesso ha espresso, al Ministero dell�Economia e 
delle Finanze, il parere (quanto meno in parte) negativo, sopra riportato. 
(3) Sono i decreti del singolo Ministro, aventi natura regolamentare, da adottare previo parere obbligatorio 
del Consiglio di Stato e previa comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri. Autorevole 
dottrina (G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, VII ed., Padova, 2010, p. 76 
s.) osserva che, stante la relativit� della riserva di legge in materia tributaria, i regolamenti dei singoli 
Ministri possono essere legittimamente impiegati nel sistema delle fonti; e ci� secondo la classificazione 
tipologica di cui ai commi 1 e 2 dell�art. 17, l. n. 400/1988 (esecutivi, attuativi o integrativi, delegati o 
di delegificazione, et alia). S�innesta, su tale assunto, la nota problematica, pi� ampiamente amministrativistica, 
sulla distinzione, alle volte finanche denegata, fra regolamenti esecutivi ed attuativi [su cui 
vedansi F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2009, p. 448; ID., Compendio di 
diritto amministrativo, II ed., Roma, 2010, p. 68; ID. � L. TARANTINO, Commento all�art.17, l. 23 agosto 
1988, n. 400, in Codice Amministrativo, Roma, 2009, p. 243 s.; cui adde E. CASETTA, op. cit., p. 389, a 
parer del quale la soluzione della disputa starebbe semplicemente nel lessico adottato dalla stessa 
<<400/1988>>, dacch� ivi, contemplandosi sia i regolamenti esecutivi, sia quelli integrativi ed attuativi, 
verrebbero meno le ragioni di perplessit� in ordine al sostantivo <<esecuzione>>, impiegato nella previgente 
disciplina: s� che, mentre i regolamenti esecutivi si limitano a specificare la legge, quelli attuativi 
ed integrativi ne sviluppano i principi, introducendo elementi di integrazione]. 
Con particolare riguardo ai regolamenti ministeriali (ed invero anche interministeriali), di cui al comma 
3 (e 4) dell�art. 17 della stessa <<400/1988>>, altro scrittore rileva che, per essi, a differenza di quanto 
accade per i regolamenti governativi di emanazione presidenziale (ex commi 1 e 2 del medesimo articolo), 
� sempre necessario che la potest� regolamentare sia conferita, in modo specifico ed espresso, 
dalla legge (L. COSSU, voce Regolamenti governativi e ministeriali, in AA.VV., Dizionario di diritto 
pubblico, dir. da S. Cassese, vol. V, Milano, 2006, p. 5035).
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 243 
2. (Segue): b) la soluzione ministeriale e le ragioni del (parziale) dissenso 
consiliare. 
Osserva la Sezione Consultiva che vi � una discrasia tra una parte dello 
schema decretale e la precisa sfera del potere regolamentare attuativo, attribuito 
dalla norma primaria alla fonte secondaria. 
Lo schema di decreto, infatti, si prodiga nell�indicazione dei requisiti, generali 
e settoriali, per la qualificazione di questa o quella attivit�, come svolta o 
meno con modalit� commerciali; laddove, di contro, l�art. 91-bis, comma 3, d.l. 
n. 1/2012 (come convertito in legge n. 27/2012) prevedeva un regolamento, che 
per un verso insistesse sulle modalit� e procedure dell�auto-dichiarazione di 
proporzionalit� (il quale aspetto, proprio in quanto meramente procedurale, diverge 
dai criteri d�individuazione della commercialit�), e per altro verso si concentrasse 
sugli �elementi rilevanti� ai fini della individuazione (non gi� della 
commercialit�, bens�) della �proporzionalit�� nell�utilizzo misto e indistinto. 
Quest�ultimo aspetto, per parte sua, non �, a ben vedere, di altrettanto lineare 
soluzione quanto il primo, poich� si potrebbe opinare che, onde fissare 
i criteri identificativi della proporzionalit� sia strumentalmente (ed eziologicamente) 
necessario focalizzare a priori ci� che costituisce modalit� commerciale 
e non. 
All�attento estensore del parere non sfugge questo angolo di problematicit�, 
atteso che egli sottolinea fra l�altro, in motivazione, se non il dato puramente 
quantitativo, per lo meno la �qualificazione piuttosto articolata>>, che 
l�art. 1, ed in specie gli artt. 3 e 4, dello schema decretale dedicano alle modalit� 
distintive tra attivit� commerciali e diverse. Ci� equivale a dire che, 
nell�esercizio del potere regolamentare specificamente attribuitogli dalla legge 
- per individuare gli elementi rilevanti ai fini del calcolo di proporzione, in 
autodichiarazione, degli immobili a destinazione mista indistinta -, il Ministro 
si sarebbe ampiamente dilungato su di un aspetto del tutto esterno al fulcro 
del potere delegato, cio� all�actio finium regundorum tra le attivit� commerciali 
e quelle non tali; cos� debordando, in guisa troppo articolata (e non gi� 
meramente marginale/strumentale) in un�area non coperta dall�attribuzione 
del potere regolamentare stesso. Un potere regolamentare, questo, su cui, non 
a caso nessun criterio espresso e specifico indicava la legge in ordine agli elementi 
discretivi da adottare, per distinguere le diverse tipologie di attivit� (4). 
(4) Sul potere regolamentare delegato ex lege nei regolamenti ministeriali, vedi supra, nota 3, ult. 
cpv. (Talune perplessit�, in passato, non sono mancate sulla figura stessa del regolamento delegato, 
atteso che la Costituzione contempla soltanto i decreti legislativi delegati e non gi�, appunto, gli omonimi 
regolamenti; ma ivi trattavasi dei c.d. regolamenti liberi, cio� capaci di regolare materie prima disciplinate 
dalla legge; per essi, per�, oggi la <<400/1988>> contempla, in specie, i regolamenti di delegificazione: 
cfr. F. NEGRO, voce Regolamenti, in AA.VV., Dizionario di diritto amministrativo, a cura di F. 
Caringella, vol. M-Re, Roma, 1991, p. 190). 
Quanto detto sopra, nel testo, emerge da due passi significativi dell�annotato parere, laddove scrive la
244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Da qui, in buona sostanza, la Sezione Consultiva trae le proprie conclusioni. 
Le restanti parti dello schema decretale non meritano obiezioni, poich� in 
esse trattasi delle procedure dell�autodichiarazione di proporzionalit�, nel caso 
degli immobili ad utilizzazione mista e indistinta. Lo stesso vale per il segmento 
decretale afferente agli elementi rilevanti, nella stessa situazione mista indistinta, 
ai fini del computo del predetto rapporto proporzionale. Ch� sono due aspetti, 
questi, sui quali � indubbia l�attribuzione ex lege del potere regolamentare. 
Quanto invece all�ampia parte censurata dell�articolato decretale - quella, 
cio�, sui criteri distintivi per qualificare le attivit� come svolte con modalit� 
commerciali o meno -, si suggerisce un intervento ad hoc del legislatore, ovvero 
l�intervento case by case dell�amministrazione finanziaria in via interpretativa/
applicativa, sulla scorta dei principi generali interni e di diritto UE, 
magari in forma di risposta a interpelli. 
Si rammenta, infine, la delicatezza della materia, atteso che - anche a seguito 
di circolare ministeriale sullo stesso tema emanata alcuni anni or sono 
(5) -, la Commissione UE ha avviato, il 12 ottobre 2010, una indagine sulla 
sussistenza di un aiuto di Stato, proprio sugli stessi profili che vengono in 
emersione nel parere di cui trattasi (6). 
3. Considerazioni conclusive. 
Il pronunciamento della Sezione Consultiva deve, ad avviso di chi scrive, 
Sezione Consultiva:<< (..) l�amministrazione ha compiuto alcune scelte applicative, che non solo esulano 
dall�oggetto del potere regolamentare attribuito, ma che sono state effettuate in assenza di criteri o altre 
indicazioni normative atte a specificare la natura non commerciale di una attivit�>>. E ancora, poco pi� 
avanti, leggesi nella parte motiva del parere: <<non � questa la sede per verificare la correttezza di ciascuno 
di tali criteri, ma la loro diversit� ed eterogeneit� rispetto alla questione dell�utilizzo misto conferma 
che si � in presenza di profili, che esulano dal potere regolamentare in concreto attribuito>>. 
(5) Min. Economia e Finanze, circ. 26 gennaio 2009, n. 2/DF, in www.finanze.gov.it/export/download/
altri2/circolare_n2DF.pdf 
(6) Come noto, le disposizioni legislative che contengono aiuti di Stato (tra cui le esenzioni e le 
agevolazioni tributarie) devono essere autorizzate dalla Commissione Europea. A tale scopo l�art. 108, 
par. 3, TFUE, prevede il c.d. obbligo di notifica in tempo utile alla Commissione - affinch� questa presenti 
osservazioni � dei progetti diretti ad istituire o modificare aiuti. Se la Commissione ritiene un progetto 
incompatibile con il mercato interno, inizia senza indugio la procedura di controllo; al che lo Stato 
membro non pu� dare esecuzione alla misura prima di una decisione finale. Sul tema vedasi, p.e., P. 
BORIA, Diritto tributario ed europeo, Milano, 2010, p. 219 ss., ove fra l�altro si distingue fra aiuto inammissibile 
e aiuto illegale. Quest�ultimo interviene allorch� la misura di sostegno non � stata previamente 
comunicata alla Commissione ai sensi del TFUE. Quanto, invece, all�aiuto inammissibile, ancorch� debitamente 
comunicato ex ante, il suo fulcro patologico � ivi indicato come potenziale ostruzione alla libert� 
di concorrenza sul mercato comune e, in particolare, quale produzione potenziale di effetti negativi 
rispetto alla operativit� sul mercato dei soggetti non beneficiari della misura stessa di sostegno. 
Nel caso di specie, di cui sopra nel testo, consta che la Commissione UE in data 12 ottobre 2010 abbia 
avviato l�indagine, in relazione agli aiuti concessi ad attivit� commerciali svolte da enti non commerciali 
ai fini ICI; se pure con la precisazione secondo cui, essendo quelle norme anteriori all�entrata dell�Italia 
nell�Unione, non si potr� ottenere restituzione delle somme, ma al pi� esigere modificazione delle norme 
interne dello Stato membro.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 245 
essere condiviso nella sua essenza. 
Una certa commistione lessicale sembrerebbe emergere, prima facie, nella 
parte motiva tra attuazione dello schema decretale rispetto all�art. 91-bis, 
comma 3, d.l. n. 1/2012 (come convertito in legge 27/2012), e d�altra parte il 
carattere non attuativo generale del decreto stesso, rispetto alla nuova disciplina 
di esenzione IMU per gli immobili degli enti non commerciali. Nondimeno, 
aderendo a quella ricostruzione che, proprio nella materia tributaria, 
compenetra la classificazione regolamentare del comma 1 dell�art. 17 della 
<<400/88>> con i decreti ministeriali di cui al comma 3 dello stesso articolo 
(7), si pu� invero ragionare in termini di un regolamento ministeriale attuativo, 
e perci� dotato di maggiori spazi di integrazione, rispetto a quanti ne avrebbe 
un regolamento meramente esecutivo, costretto entro i confini di specificazione 
del dettato della norma primaria (8). 
La ragione per cui, poi, l�estensore del parere fa riferimento alla <<attuazione>>, 
anzich� alla <<esecuzione>>, dell�anzidetto art. 91-bis, a rigor di logica 
� desumibile dal fatto che, proprio scavando intorno alla dicotomia 
classificatoria tra regolamenti esecutivi ed attuativi in generale - ex lett. a) e 
b) del comma 1, art. 17, legge 400/88) -, si � sovente scritto che soltanto i regolamenti 
attuativi presuppongono una normazione primaria pi� generica, rispetto 
a quella che presiede i regolamenti meramente esecutivi (9). S� ch�, 
vista la genericit� del dettato dell�art. 91-bis (d.l 1/12, conv. in l. 27/12), la 
Sezione pare avere optato per la qualificazione regolamentare attuativa (anzich� 
esecutiva), proprio in sintonia perspicua dottrina tributaria; salvo poi 
dover accertare che, trattandosi appunto di regolamento ministeriale (e non 
governativo-presidenziale), il comma 3 dell�art. 17 della <<400/88>> impone 
una delega espressa e specifica di fonte primaria, nonch� il rispetto di essa da 
parte del dicastero dell�economia e delle finanze (10). 
Donde la necessit� logico-giuridica di esprimere parere parzialmente negativo, 
per violazione dei limiti di delega, su quell�ampia parte dello schema 
decretale che afferiva ai criteri di individuazione delle modalit� d�utilizzo commerciale 
e non. 
Taluno, in ci�, potrebbe ravvisare una qualche contraddizione. Ma, ad avviso 
di chi scrive, trattasi di contrasto meramente apparente. Vi �, infatti, ampio 
spazio <<attuativo>> nella specie - e non meramente esecutivo -, quanto alle 
procedure della dichiarazione, nonch� in relazione alle modalit� di redazione/
presentazione di essa. E lo stesso vale per la individuazione di quegli 
elementi, che rilevano per il computo del rapporto di proporzionalit�, all�in- 
(7) V., supra, nota 3 all�inizio. 
(8) V., ancora supra, nota 3, ove si menziona E. CASETTA, op. cit. 
(9) Per tutti G. FALSITTA, op. cit., p. 77. 
(10) V. supra nota 3, ult. cpv.
246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
terno della destinazione mista indistinta, fra uso commerciale e non. Di contro, 
vi � soltanto un minimo spazio, di potere delegato regolamentare - essenzialmente 
strumentale alla individuazione degli elementi test� menzionati (in specie 
l�ultimo), per la creazione di parametri nuovi, in base ai quali distinguere 
la destinazione commerciale da quelle diverse (e qui, difatti, � intervenuto lo 
straripamento, rettamente divisato dal Consiglio). 
Se tutto ci� � vero, si impone per� una precisazione aggiuntiva. 
A parere di autorevole dottrina (11), la messa in relazione dell�art. 17, l. 
400/1988, con la riserva (se pure relativa) di legge nella materia tributaria (ex 
art. 23 Cost.), importa un sommovimento strutturale proprio in punto di regolamenti 
attuativi. Questi ultimi, cio�, non sarebbero tout court ammissibili, per 
tutta la parte della disciplina del tributo coperta da riserva; e ci� atteso che, in 
tale ambito, non sarebbe consentita una formulazione di norme primarie elencativa 
di meri principi. E siccome le esenzioni e le agevolazioni sono fatte ricadere, 
quanto meno da una parte dell�ermeneutica, nella sfera della riserva di 
legge (12), in questo angolo visuale l�annotato parere, nel momento stesso in 
cui sembra qualificare il decreto all�esame come attuativo, avrebbe potuto porsi 
in apicibus una questione teorico sistematica di costituzionalit� prima di - e 
forse piuttosto che - addentrarsi in distinzioni tra porzioni decretali incluse nel 
potere regolamentare delegato ex lege ovvero esterne ad esso. E ci�, naturalmente 
vale non per gli aspetti procedurali della dichiarazione di proporzionalit�; 
ma piuttosto per l�enunciazione di principio degli elementi, in base ai quali calcolare 
l�esenzione proporzionale in presenza di destinazione mista indistinta. 
In tale prospettiva, il potere regolamentare in parte qua, forse non sussisteva 
ab ovo, attesa in specie la vaghezza e comunque la non specificit� dei 
criteri dettati dalla norma primaria. Ed � proprio alla luce di questo aspetto 
critico - correlato all�art. 23 Cost., piuttosto che all�art. 17 l. n. 400/88 -, che 
potranno essere meditate anche le nuove iniziative legislative posteriori al parere, 
volte per esempio a introdurre, in un nuovo stile dell�art. 91-bis del d.l. 
n. 1/2012 (come convertito in legge), formule di delega inclusive della dicotomia 
tra utilizzo commerciale e non (sul cui carattere sufficientemente dettagliato 
metter� conto, in tale logica, interrogarsi). 
Di contro, percorrendo un sentiero ancora diverso, si potrebbe pensare, 
in ordine allo schema decretale criticato dal Consiglio di Stato, che si tratti di 
(11) F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, X ed., Torino, 2009, p. 22. 
(12) F. TESAURO, op. cit., p. 15. Contra S. LA ROSA, Eguaglianza tributaria ed esenzioni fiscali, 
Milano, 1968, p. 125 ss. (Per l�A., le esenzioni operano sempre a vantaggio del contribuente. Al che, 
per�, pu� ribattersi che le medesime, di riflesso, si risolvono in uno svantaggio per i contribuenti in esse 
non contemplati). 
Nel senso che le esenzioni ad agevolazioni tributarie debbano essere prescritte, in modo sufficientemente 
dettagliato, da norme di legge, vedi anche Corte Cost., 21-25 febbraio 2011 n. 60, in www.cortecostituzionale.
it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2011&numero=60.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 247 
parte tecnico-estimativa di determinazione della base imponibile, in ordine 
alla quale la giurisprudenza costituzionale ammette invero l�intervento delle 
fonti subordinate (13). Senonch�, nel caso dell�annotato parere, � al pi� in 
gioco, nello schema di decreto, la sfera tecnico-estimativa di una esenzione, 
piuttosto che di una base imponibile aprioristicamente assoggettata a tributo. 
Ne consegue che la problematica costituzionale, di cui si � detto, non pare liquidabile 
de plano nei termini test� ipotizzati (14). 
Per concludere, un�ultima riflessione � suggerita dal passo motivazionale 
in cui la Sezione Consultiva prospetta, quale soluzione alternativa a un intervento 
legislativo, il lasciare all�amministrazione finanziaria la disciplina applicativa 
dei casi concreti, in base ai principi generali ed eventualmente in interpello. 
Al riguardo, pi� che principi generali paiono venire, sul punto, in considerazione 
norme specifiche, quali l�art. 16, legge 20 maggio 1985, n. 222, che 
� richiamato testualmente dall�art. 7, comma 1, lett. i), d.lgs n n. 504 del 1992 
(ICI), a sua volta richiamato, per l�IMU dal decreto sul federalismo fiscale 
municipale (15). Se non che, anche da tali norme del 1985 sulle attivit� non 
commerciali in materia di ICI, non emerge alcun dato utile al fine del computo 
proporzionale di riparto, in presenza di una destinazione mista indistinta. E, 
d�altra parte, pensare che l�interpello ordinario, ex art. 11 Statuto del contri- 
(13) Corte Cost., 4 luglio 1961, n. 48, in /www.giurcost.org/decisioni; Id., 4 luglio 1963, n. 127, 
ivi; Id., 1 luglio 1969 n. 129, ivi. 
(14) Per un superamento, per�, della problematica costituzionale della riserva, allorquando � come 
nel caso di specie � vi � una norma delegante di rango primario, vedasi R. LUPI, Diritto Tributario. Parte 
generale, VII ed., Milano, 2000, p. 20, il cui argomentare sembra proprio allinearsi a quello della Sezione 
Consultiva, nel parere di cui sopra, allorquando il chiaro autore osserva che <<se la materia � coperta 
da riserva (sia pure relativa), � lecito per il legislatore delegare qualche potere al Governo, ma quest�ultimo 
non pu� prendersi tale potere da solo, magari per risolvere nel senso che gli � pi� gradito oscurit� 
interpretative della norma primaria>>. � bens� vero che, in tale passo, il Lupi tratta dei d.p.r. e non gi� 
dei d.m.; e pur tuttavia, concettualmente, la struttura ragionativa pare analoga al parere in commento, 
con la sola variante per cui il d.m. � come si � visto (supra, nota 3, ult. cpv.) � abbisogna sempre di una 
delega espressa nella norma primaria. 
Si noti per� che, nel momento stesso in cui si segue l�impostazione di questo scrittore, ci si trova poi a 
dover fronteggiare l�ulteriore suo assunto, giusta il quale i decreti del Ministro dell�Economia integrano, 
<< anche attraverso scelte di opportunit�, le previsioni legislative>> (op. ult. cit., p. 19, c.v. aggiunti). 
Il che, per certi versi, potrebbe rimettere in discussione l�asserita (dal CdS) illegittimit� dello schema 
decretale, nella sua ampia parte strumentalmente dedicata all�actio finium regundorum tra modalit� commerciali 
e non. 
Di contro, per�, sta l�assunto di integrazione ed attuazione squisitamente tecnica dei regolamenti ministeriali 
in materia tributaria, che in altro chiaro autore leggesi (A. FANTOZZI, Corso di diritto tributario, 
rist. agg., Torino, 2004, p. 5). Ci� riavvicina tosto a una condivisione dell�argomentare del CdS, atteso 
che una cosa � il sostenere che era opportuno fare una strumentale digressione sulla dicotomia tra modalit� 
commerciali e non; altra cosa �, invece, il sostenere che questa stessa dicotomia fosse mera integrazione 
di natura squisitamente tecnica. E, infatti, vedi lo stesso R. LUPI, nella versione successiva di 
Diritto tributario. Parte generale, VIII ed., Milano 2005, p. 31 s., dove l�autore s�incentra sul tecnicismo 
del regolamento ministeriale delegato, non pi� menzionando le scelte, lato sensu politiche, da parte del 
dicastero. 
(15) V., supra, nota 2.
248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
buente, possa rappresentare la panacea risolutrice nel caso degli immobili a 
destinazione mista indistinta - dove il problema del computo proporzionale, 
pi� che derivare da obiettive condizioni di incertezza nell�applicazione/interpretazione 
della legge risiede(va), se non altro all�epoca del parere a margine, 
nel vuoto pressoch� totale di normazione primaria -, appare quanto meno revocabile 
in dubbio. 
Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, parere 27 settembre 2012, 
n. 07658/2012 � Pres. Cossu, Rel. Chieppa � Ministero dell�Economia e delle Finanze. 
OGGETTO: 
Ministero dell'economia e delle finanze. 
Schema di decreto del Ministro dell�economia e delle finanze, recante regolamento avente ad 
oggetto la determinazione delle modalit� e delle procedure per stabilire il rapporto proporzionale 
tra le attivit� svolte con modalit� commerciali e le attivit� complessivamente svolte 
dagli enti non commerciali di cui all�art. 73, comma 1, lettera c), del TUIR, ai fini dell�applicazione 
dell�esenzione dall�imposta municipale propria di cui all�art. 7, comma 1, lettera i), 
del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504. 
LA SEZIONE 
Vista la relazione prot. n. 3-11473/ucl del 5 settembre 2012 con la quale il Ministero dell'economia 
e delle finanze ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull' affare consultivo in oggetto; 
Esaminati gli atti e udito il relatore Consigliere Roberto Chiappa. 
Riferisce l�Amministrazione che il presente regolamento � adottato in attuazione dell�art. 91- 
bis, comma 3, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 
marzo 2012, n. 27, che disciplina, a decorrere dal 1� gennaio 2013, l�applicazione dell�esenzione 
dall�imposta municipale propria (IMU) prevista dall�art. 7, comma 1, lett. i) del D. Lgs. 
30 dicembre 1992, n. 504, per gli immobili degli enti non commerciali di cui all�art. 73, 
comma 1, lettera c), del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR). 
Il citato comma 3 dell�articolo 91-bis, prevede che, qualora l�unit� immobiliare abbia una utilizzazione 
mista (commerciale e non commerciale) e non sia possibile procedere alla individuazione 
della frazione dell�unit� immobiliare nella quale si svolge l�attivit� non commerciale, 
l�esenzione dall�IMU, si applica in proporzione all�utilizzazione non commerciale quale risulta 
da apposita dichiarazione. 
Lo stesso comma 3 affida ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da emanare 
ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 17 agosto 1988, n. 400, la definizione delle 
modalit� e delle procedure relative alla predetta dichiarazione e degli elementi rilevanti ai fini 
dell'individuazione del rapporto proporzionale. 
In attuazione di tale disposizione legislativa, � stato predisposto lo schema di regolamento in 
esame, che si compone di sette articoli, relativi alle definizioni (art. 1), all�oggetto del regolamento 
(art. 2), ai requisiti, generali e di settore, per lo svolgimento con modalit� non commerciali 
delle varie attivit� (artt. 3 e 4), alla individuazione del sopra menzionato rapporto 
proporzionale e alla relativa dichiarazione (artt. 5 e 6) ed alle disposizioni finali (art. 7). 
Considerato:
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 249 
1. Lo schema di regolamento d� attuazione all�articolo 91-bis, comma 3, del D.L. 24 gennaio 
2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, che disciplina, a 
decorrere dal 1� gennaio 2013, l�applicazione dell�esenzione dall�imposta municipale propria 
(IMU) per gli enti non commerciali. 
L�ambito di applicazione dell�esenzione � fissato direttamente dal legislatore e riguarda, sotto 
il profilo soggettivo, gli enti pubblici e privati, diversi dalle societ�, residenti nel territorio 
dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attivit� commerciali 
e, sotto il profilo oggettivo, gli immobili utilizzati da tali soggetti, destinati esclusivamente 
allo svolgimento con modalit� non commerciali di attivit� assistenziali, previdenziali, sanitarie, 
didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonch� delle attivit� di religione o di culto. 
Con il citato art. 91-bis del d.l. n. 1/2012 � stato inserito, nell�art. 7 del d. lgs. n. 504/1992, 
l�inciso �con modalit� non commerciali� al fine di delimitare l�ambito di applicazione dell�esenzione 
con riguardo all�utilizzo dell�immobile e sono state disciplinate, ai commi 2 e 3, 
due diverse ipotesi di utilizzazione mista. 
Quando � possibile individuare gli immobili o le porzioni di immobili adibiti esclusivamente 
a attivit� di natura non commerciale, l�esenzione si applica solo alla frazione di unit� in cui 
tale attivit� si svolge (art. 91-bis, comma 2). 
Quando, invece, tale individuazione non risulta possibile, l'esenzione si applica in proporzione 
all'utilizzazione non commerciale dell'immobile quale risulta da apposita dichiarazione (art. 
91-bis, comma 3). 
L�oggetto dello schema di regolamento in esame � limitato a tale ultima ipotesi e, in particolare, 
alla definizione delle modalit� e delle procedure relative alla predetta dichiarazione e 
degli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale. 
Trattandosi di un decreto ministeriale da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della 
legge 17 agosto 1988, n. 400, il potere regolamentare deve essere espressamente conferito 
dalla legge e, di conseguenza, il contenuto del regolamento deve essere limitato a quanto demandato 
a tale fonte dal comma 3 dell�art. 91-bis del d.l. n. 1/2012. 
Non � demandato al Ministero di dare generale attuazione alla nuova disciplina dell�esenzione 
IMU per gli immobili degli enti non commerciali. 
Sulla base di tali considerazioni deve essere rilevato che parte dello schema in esame � diretta 
a definire i requisiti, generali e di settore, per qualificare le diverse attivit� come svolte con 
modalit� non commerciali. 
Tale aspetto esula dalla definizione degli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto 
proporzionale in caso di utilizzazione dell�immobile mista �c.d. indistinta� e mira a delimitare, 
o comunque a dare una interpretazione, in ordine al carattere non commerciale di 
determinate attivit�. 
Peraltro, si tratta di una qualificazione piuttosto articolata, contenuta in parte nelle definizioni 
dell�articolo 1 e soprattutto nei requisiti fissati in via generale dall�art. 3 e per i singoli settori 
dall�art. 4. 
Con quest�ultima disposizione l�amministrazione ha compiuto alcune scelte applicative, che 
non solo esulano dall�oggetto del potere regolamentare attribuito, ma che sono state effettuate 
in assenza di criteri o altre indicazioni normative atte a specificare la natura non commerciale 
di una attivit�. 
Basti fare riferimento al criterio dell�accreditamento o convenzionamento con lo Stato per le 
attivit� assistenziali e sanitarie o ai diversi criteri stabiliti per la compatibilit� del versamento 
di rette con la natura non commerciale dell�attivit�.
250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
In alcuni casi � utilizzato il criterio della gratuit� o del carattere simbolico della retta (attivit� 
culturali, ricreative e sportive); in altri il criterio dell�importo non superiore alla met� di quello 
medio previsto per le stesse attivit� svolte nello stesso ambito territoriale con modalit� commerciali 
(attivit� ricettiva e in parte assistenziali e sanitarie); in altri ancora il criterio della 
non copertura integrale del costo effettivo del servizio (attivit� didattiche). 
Non � questa la sede per verificare la correttezza di ciascuno di tali criteri, ma la loro diversit� 
e eterogeneit� rispetto alla questione dell�utilizzo misto conferma che si � in presenza di profili, 
che esulano dal potere regolamentare in concreto attribuito. 
Tali profili potranno essere oggetto di un diverso tipo di intervento normativo o essere lasciati 
all�attuazione in sede amministrativa sulla base dei principi generali dell�ordinamento interno 
e di quello dell�Unione europea in tema di attivit� non commerciali (sia in termini generali 
attraverso circolari, sia con riferimento a fattispecie specifiche mediante altri strumenti, quali 
ad esempio le risposte all�interpello del contribuente). 
Va, peraltro, ricordato che proprio sulla analoga questione dell�esenzione dall�ICI la Commissione 
europea ha avviato in data 12 ottobre 2010 una indagine al fine della valutazione 
della sussistenza di un aiuto di Stato, avente ad oggetto anche la circolare del Ministero delle 
finanze n. 2/DF del 26 gennaio 2009, che in parte trattava aspetti oggetto del presente schema. 
Ci� impone estrema prudenza nell�individuare lo strumento idoneo a fare chiarezza sulla qualificazione 
di una attivit� come non commerciale e tale strumento non appare poter essere il 
presente regolamento per le ragioni anzidette (quanto meno per le parti contenute in alcune 
definizioni e negli articoli 3, 4 e 7, comma 1). 
2. Con riferimento alle ulteriori parti del regolamento non vi sono osservazioni da formulare, 
avendo l�amministrazione correttamente definito le modalit� e le procedure relative alla dichiarazione 
richiesta in caso di utilizzazione mista �indistinta� e gli elementi rilevanti ai fini 
dell'individuazione del rapporto proporzionale (superficie, numero dei soggetti nei confronti 
dei quali vengono svolte le attivit� con modalit� commerciali ovvero non commerciali, periodi 
temporali). 
P.Q.M. 
Nelle considerazioni che precedono � il parere.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 251 
Il governo delle risorse idriche 
tra competenze statali e territoriali 
Loredana Martinez* 
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. L'evoluzione normativa in materia di acqua: dalla tutela 
degli usi alla tutela della risorsa - 3. L�incidenza del diritto comunitario sulla disciplina interna 
- 4. L�irrilevanza dell�assetto federalista disegnato dalla riforma del titolo V della Costituzione 
in punto di riparto di competenze amministrative - 4.1. Premessa - 4.2. Le 
competenze amministrative statali in materia di tutela del suolo - 4.3. Le competenze in materia 
di tutela delle acque - 4.4. Le competenze in materia di Servizio idrico integrato - 5. I 
problemi legati all�esternalizzazione del Servizio idrico integrato: le funzioni di regolazione, 
di vigilanza, di controllo e di garanzia - 6. Le competenze delle Regioni e degli Enti locali - 
7. Il problema del coordinamento delle funzioni - 8. Conclusioni. 
1. Premessa. 
L'argomento di questo convegno richiama subito alla mente gli attuali 
temi che ruotano intorno al Servizio idrico integrato e, soprattutto, quello che 
riguarda le forme di gestione e di affidamento di questo peculiare servizio pubblico 
che, secondo quanto statuito dal comma 2 dell�art. 141 del Testo unico 
dell�ambiente (D.lgs. 165/2001) � �costituito dall'insieme dei servizi pubblici 
di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e 
di depurazione delle acque reflue (�). Le presenti disposizioni si applicano 
anche agli usi industriali delle acque gestite nell'ambito del servizio idrico 
integrato�. 
Si tratta di un ambito di notevole importanza a cui, tuttavia, si affiancano, 
ulteriori importanti questioni che nel corso del tempo hanno impegnato il legislatore 
nella produzione di un fascio di norme piuttosto ricco ed articolato. 
Le molteplici disposizioni che si sono susseguite durante gli oltre centocinquanta 
anni di legislazione sull�acqua compongono, infatti, un quadro normativo 
assai complesso, che non ha ancora ricevuto una completa 
razionalizzazione nemmeno a seguito dell�entrata in vigore del Codice dell�ambiente, 
dove ora la materia delle risorse idriche risulta disciplinata per 
quel che riguarda i profili attinenti alla tutela dell�ambiente. 
A tale fonte normativa si affiancano, peraltro, una serie di norme molto 
pi� datate, tra cui, il Testo unico sull�acqua, varato nel lontano 1933, ed una 
(*) Docente a contratto dell�insegnamento di �Diritto amministrativo� presso il Dipartimento di 
Scienze economiche ed aziendali dell�Universit� degli Studi di Sassari. 
Il presente lavoro � di prossima pubblicazione in MARINA GIGANTE (a cura di), L'acqua e la sua 
gestione. Un approccio multidisciplinare. Atti del convegno, Sassari 20-21 maggio 2011, Jovene, 
2012.
252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
serie di altre disposizioni che congiuntamente vanno a comporre una base normativa 
i cui confini abbracciano tutti quegli ambiti dove questo bene assume 
rilievo, tantՏ che si rinvengono norme sulle acque dolci, salate, stanziali, 
aperte, piovane, superficiali, sotterrane, minerali, termali, potabili, balneari 
ed, ancora, sull�acqua intesa come corpo idrico e, cio�, nella sua dimensione 
di fiume, di lago e di mare. 
Per ciascuna delle richiamate categorie si riscontrano, inoltre, disposizioni 
relative alle modalit� d�uso, agli standard qualitativi e quantitativi, alle modalit� 
di sfruttamento economico (1) nonch� alle possibili forme di gestione. 
La presenza di un cos� ricco e variegato quadro normativo e l�asistematicit� 
dello stesso, si riflette peraltro sulla possibilit� di ricostruire in modo 
semplice e lineare l�assetto delle competenze amministrative disegnato dal legislatore 
nel campo delle risorse idriche, anche in considerazione del fatto che 
la normativa pi� datata � stata elaborata sulla base di regole e di principi che, 
sotto questo profilo, risultano profondamente innovati a seguito della riforma 
del Titolo V della Costituzione entrata in vigore nel 2001. 
A seguito della detta revisione costituzionale, anticipata nelle sue linee 
fondamentali da due importanti interventi normativi varati dal legislatore ordinario 
precedentemente (2)(3), il criterio principale su cui si fonda il sistema 
di distribuzione delle competenze amministrative � rappresentato, infatti, dal 
principio di sussidiariet� verticale che, a differenza di quello previgente, sulla 
base del quale le funzioni legislative �doppiavano� quelle amministrative, impone 
al legislatore ordinario di allocare le funzioni in capo ai Comuni, salvo 
eccezioni determinate da esigenze di amministrazione unitaria di taluni profili 
amministrativi. 
La logica di distribuzione delle competenze amministrative, peraltro � 
stata investita anche da un altro fenomeno contrassegnato dal proliferare di 
organismi autonomi di nuova istituzione, quali sono le agenzie, le autorit� indipendenti, 
o, ancora, le societ� in mano pubbliche o quelle a capitale misto 
pubblico-privato, in capo ai quali vengono spostate alcune importanti funzioni 
amministrative. 
Il sistema di allocazione delle funzioni amministrative ha subito, peraltro, 
l�influenza del diritto comunitario, ancorch� in via indiretta, in tutti quegli ambiti 
che interferiscono con la sfera delle libert� economiche riconosciute al 
cittadino comunitario dal Trattato dell�Unione europea. 
Nel campo delle risorse idriche ci� � facilmente rilevabile in quanto, la 
(1) Al riguardo, si veda M.A. SANDULLI, G.B. CONTE, Le grandi derivazioni a scopo idroelettrico: 
una risorsa strategica in problemi di competenza legislativa e tutela comunitaria del diritto di stabilimento 
e della concorrenza, in www.aregon.es. 
(2) Il riferimento � alla L. 59/1997 e al D.lgs. 112/1998. 
(3) Il principio di sussidiariet� si ritrova in varie disposizioni introdotte dalle cosidette riforme 
Bassanini. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 253 
rilevanza ambientale ed economica di questo bene ha spinto buona parte delle 
competenze legislative verso la sede statale, con conseguente erosione della 
sfera di competenze regionale, in ragione del fatto che la materia ambientale 
e quella della concorrenza risultano attribuite alla competenza legislativa 
esclusiva dello Stato, con l�uteriore conseguente effetto, come si dir�, di trascinamento 
delle relative competenze amministrative. 
La valorizzazione dell�acqua come bene ambientale ha comportato anche 
l�espansione di funzioni scarsamente valorizzate nella disciplina pi� datata, 
quali quelle di ordine programmatorio, pianificatorio, regolatorio, gestorio e 
di controllo a cui continuano comunque ad affiancarsi quelle autorizzatorie e 
concessorie collegate al carattere demaniale di questo bene (4). 
La permeabilit� del nostro ordinamento giuridico alle fonti normative extrastatuali 
ha determinato, peraltro, anche un rinnovato equilibrio nel rapporto 
tra pubblica amministrazione e cittadino da cui � scaturito anche un diverso 
equilibrio del rapporto autorit�-libert� il cui effetto � stato quello della progressiva 
deflazione degli strumenti autoritativi a favore di quelli consensuali, 
quali sono, ad esempio, gli accordi amministrativi disciplinati dall�art. 11 della 
L. 241/90 (5), anche se in materia di acqua tali strumenti possono trovare 
(4) Sui beni demaniali e la relativa disciplina si vedano: A. M. SANDULLI, Beni Pubblici, in Enc. 
dir., V, Milano, 1959, pp. 280 e ss.; COLOMBINI G., Demanio e patrimonio dello Stato e degli enti pubblici, 
Dig. disc. pubbl., V, Torino, 1990, pp. 1 e ss.; MAZZAROLLI L., PERICU G., ROMANO A., ROVERSIMONACO 
F.A., SCOCA F.G., Diritto Amministrativo, Bologna, 2001, pp. 1114 e ss.; VIGNOCCHI G., GHETTI G., 
Corso di diritto pubblico, Milano, Giuffr�, 1999, pp. 707 e ss.; ARCIDIACONO L., CARULLO A., RIZZA G., 
Istituzioni di diritto pubblico, Bologna, 2005, pp. 508 e ss.; DI LORENZO A., I beni demaniali dei Comuni 
e delle Province, I.C.A., 1952; AVANZI S., Il nuovo demanio, Padova, 2000; AAVV., Beni demaniali e 
patrimoniali dello Stato, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1956; CUDIA C., Le modificazioni del 
regime proprietario dei beni pubblici tra atti e fatti della Pubblica Amministrazione: orientamenti giurisprudenziali 
e sistema, in Foro Amm. TAR, 2003, fasc. 12, pp. 3666 e ss.; VITALE S., Responsabilit� 
della P.A. per la custodia di beni demaniali e concorso di colpa del danneggiamento, in Giust. Civ., 
1996, 6, 1711. Sul demanio idrico, in particolare, si vedano: PERNIGOTTI U., Acque Pubbliche � Parte 
Generale (voce), in Enc. dir., I, Milano, 1958, pp. 400 e ss.; PALAZZOLO S., Acque Pubbliche (voce), in 
Enc. Dir., Aggiornamento, IV, Milano, 2000, pp. 34 e ss.; CERULLI IRELLI V., Acque pubbliche (voce), 
in Enc. giur., Roma, Treccani, 1988, pp. 10 e ss.; BOLDON ZANETTI G., La tutela ambientale delle aree 
di pertinenza dei corpi idrici e il divieto di sdemanializzazione, in Riv. giur. ambiente, 2005, 5, 819; 
BROCCA M., Il vincolo paesaggistico relativo ai �fiumi, torrenti e corsi d�acqua� ex art. 146, comma 1, 
lett. c), D.Lgs. 490/1999: alcune problematiche, in Riv. Giur. ambiente, 2002, 3-4; CIVITARESEMATTEUCCI 
S., La salvaguardia del regime fluviale tra pianificazione di bacino, poteri cautelari e prescrizioni idrauliche, 
in Riv. giur. ambiente, 1996, 5, 715; URBANI P., La pianificazione per la tutela dell�ambiente, delle 
acque e per la difesa del suolo, in Riv. Giur. ambiente, 2001, 2, 199. 
(5) Ci� � avvenuto attraverso un duplice passaggio: in una prima fase, avviata con la legge generale 
sul procedimento amministrativo del 1990, la �svolta� si � avuta con l�introduzione non tanto di una 
serie di regole d�azione relative all�esercizio dei poteri pubblici nei riguardi dei cittadini, quanto piuttosto 
del principio �di fondo� per cui l�amministrazione, nel perseguimento dell�interesse pubblico, � sempre 
tenuta a considerare e a valutare tutti gli interessi coinvolti, al fine di garantire la scelta della migliore 
soluzione possibile comportante il minore sacrificio delle situazioni giuridiche dei soggetti interessati. 
In una seconda fase, culminata nelle riforme del procedimento amministrativo del 2005 e del 2009, si � 
assistito alla valorizzazione del momento partecipativo dei cittadini nell�attuazione del potere pubblico:
254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
scarsa applicazione sia per la natura demaniale di questo bene sia per il fatto 
che i profili gestori sono assoggettati ai tradizionali procedimenti amministrativi 
discrezionali. 
Alla luce della breve premessa di cui sopra, con il presente contributo si 
cercher�, quindi, di ricostruire le linee evolutive dell�assetto delle competenze 
in materia di acqua tenendo conto del mutato quadro normativo costituzionale 
e dell�interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale in riferimento agli interventi 
normativi varati dal legislatore ordinario in materia di risorse idriche. 
Si prenderanno, pertanto, le mosse dall�evoluzione storica di tale normativa 
per giungere a soffermarsi sul tema pi� �caldo� di questo momento storico 
rappresentato dalle questioni che ruotano intorno alla gestione del servizio 
idrico integrato. 
2. L'evoluzione normativa in materia di acqua: dalla tutela degli usi alla tutela 
della risorsa. 
Uno dei primi problemi afferenti alla materia dell'acqua � quello di riuscire 
a circoscrivere l'ambito normativo, sia per l�estensione dello stesso, sia perch� 
le relative norme spesso risultano sparse in corpi normativi dedicati ad ambiti 
che nulla hanno a che vedere con la materia dell�acqua, come nel caso delle 
norme dettate in materia dal Testo unico delle leggi sanitarie del 1934 (infra). 
Al fine di tratteggiare una sintesi che consenta di evidenziare le linee direttrici 
su cui si � sviluppata la relativa disciplina risulta, quindi, necessario 
procedere attraverso l�individuazione di cinque fasi normative, ognuna delle 
quali, come si vedr�, risulta essere espressione degli interessi pubblici che progressivamente 
sono emersi in riferimento a questo campo. 
La prima di queste, affonda le proprie radici negli ultimi scorci del XIX 
secolo, quando l'acqua era ancora un bene disponibile in quantit� sufficiente 
per soddisfare i fabbisogni primari (consumo umano, agricoltura, navigazione), 
tanto che i suoi usi erano sostanzialmente liberi e le preoccupazioni 
del legislatore si incentravano soprattutto sui problemi di regimazione delle 
acque e sulla corretta manutenzione delle relative pertinenze. Le prime leggi 
si limitavano, infatti, a dettare norme sulla costruzione delle infrastrutture idriche 
e sulla tutela degli alvei e delle sponde. 
Del tutto estranei a questa disciplina erano invece i profili inerenti alla 
tutela quantitativa e qualitativa di questa risorsa giacch� in quel periodo l'acqua 
era ancora �chiara� ed abbondante, anche se in realt� gi� nel 1904 erano state 
in tale prospettiva si colloca la scelta �ideologica� in favore degli strumenti privatistici e consensuali, 
ormai preferiti rispetto a quello tradizionale del provvedimento autoritativo per il perseguimento delle 
finalit� pubbliche (artt. 1 e 11 della legge n. 241 del 1990, come modificati dalla legge n. 15 del 2005). 
La posizione degli amministrati pare, infatti, rivestire sempre meno quella di soggetti passivi delle scelte 
dell�amministrazione in quanto il privato ormai tende a divenire co-protagonista e partecipe di esse, fin 
dal momento della selezione degli interessi pubblici da perseguire e della modalit� con cui realizzarli.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 255 
dettate le prime norme volte a tutelare, quantomeno, i corpi idrici (6). 
A questa prima fase, � seguita una seconda stagione normativa in cui si 
colloca l�ancora vigente Testo Unico sulle acque e gli impianti elettrici, varato 
con il R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, dove trovano disciplina gli usi �speciali� 
di questo bene demaniale, cos� definiti perch� non sottraggono il bene 
alla sua normale destinazione, e i relativi procedimenti amministrativi a cui 
sono assoggettati tali usi e, specificamente, la licenza per svolgere l�attivit� 
di fluitazione e di pesca e la concessione per lo svolgimento dell�attivit� di 
navigazione delle acque interne e per gli usi �eccezionali�, quest�ultimi ricollegati 
alla derivazione delle acque a fini industriali, irrigui o di forza motrice. 
Questa materia oggi risulta arricchita dalla disciplina dettata dal Codice 
dei contratti in materia di Concessioni di beni pubblici che, secondo la giurisprudenza 
amministrativa pi� recente, prevede una procedura che applica a 
queste fattispecie gli stessi principi degli appalti pubblici e delle concessioni 
di servizio, ritenendo necessario per l�ente pubblico dare corso ad una procedura 
competitiva per la scelta del concessionario (7). 
Risale a questo periodo anche il Testo Unico sulle leggi sanitarie del 1934 
(8) che, differenza delle altre disposizioni sino a quel momento varate, per la 
prima volta detta norme sui parametri di qualit� dell'acqua destinata all'uso 
umano (9). Questa norma rappresenta, quindi, la prima disposizione volta a 
tutelare il bene acque sotto il profilo ambientale, anche se sar� necessario attendere 
diversi anni prima di poter leggere ulteriori norme di tale natura. 
Infatti, solo a cavallo degli anni 60-70 del secolo scorso esplode il problema 
dell�inquinamento delle acque superficiali e delle falde acquifere e, quindi, solo 
in questo momento emerge la sensibilit� ambientale nei confronti di tale bene. 
La disciplina che verr� varata in questo arco temporale, spinta dallo squilibrio 
che si iniziava a registrare tra la domanda e l�offerta di acque idonee ai 
diversi usi, contrassegna l�inizio di una nuova stagione normativa caratterizzata 
dal radicale cambiamento della politica sull'acqua. 
In questa terza fase normativa si colloca, infatti, la L. 319/76 (10), nota 
(6) La disciplina sulla tutela dei corpi idrici � contenuta precipuamente nel R.D. n. 523/1904 
�Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie�, la cui 
lunga vigenza � stata �intaccata� da piccoli �ritocchi� normativi. 
(7) Si veda, Corte giustizia, Ce, 13 ottobre 2005, C-458/03, Parking Brixen; Corte giustizia, Ce, 
7 dicembre 2000, C-324/98; Corte cost., 20 maggio 2010, n. 180; Cons. St., sez. V, 31 maggio 2011, n. 
3250; Cons. St., sez. V, 7 aprile 2011, n. 2151; Cons. St., sez. V, 21 novembre 2006, n. 6796; sez. IV, 17 
gennaio 2002, n. 253, tutte in www.dejure.it. 
(8) Il riferimento � al r.d. 27 luglio 1934 n. 1265. 
(9) La disciplina in materia di qualit� delle acque destinate ad uso umano oggi � contenuta nel 
Decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31 con il quale � stata data attuazione alla Direttiva comunitaria 
98/83/CE. 
(10) La legge Merli, recante "Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento" � stata abrogata 
dall'art. 63, comma 1, del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e dall' articolo 175, comma 1, lettera b) del
256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
anche come legge Merli, attraverso la quale si inizia a pensare all'acqua come 
bene ambientale da gestire secondo processi volti a promuovere un uso razionale 
e sostenibile delle risorse idriche. 
L�obiettivo era, soprattutto, quello di disciplinare gli scarichi degli insediamenti 
produttivi in quanto gi� da allora rappresentavano la principale causa 
del forte stato di inquinamento del territorio. 
Questo momento storico � anche quello in cui iniziano a svilupparsi i 
primi strumenti pianificatori e programmatori in tema di risorse idriche ed, infatti, 
viene introdotto il Piano di attuazione per una regolazione dei corsi d�acqua 
naturali, il Piano Regolatore Generale degli Acquedotti nonch� il Piano 
Regionale di Risanamento delle Acque (P.R.R.A.). 
Negli anni 80 si colloca, invece, la quarta fase, contrassegnata dal fatto 
che si inizia a riconoscere l�importanza delle dinamiche che intercorrono fra 
gli ambienti terrestri e quelli acquatici e, quindi, si rileva la necessit� di introdurre 
forme di gestione unitaria estese su scala territoriale. 
Emerge, infatti, la chiara e urgente necessit� di affrontare congiuntamente 
tutte le questioni relative alla difesa del suolo e all�uso ottimale delle risorse 
idriche, non solo con interventi singoli, ma soprattutto attraverso forme di pianificazione 
capaci di integrare le esigenze di tutela e di sviluppo. 
Per la prima volta, si attuano anche interventi normativi volti a valorizzare 
forme di interazione tra i diversi soggetti pubblici e in quest�ottica si superano 
gli interventi pianificatori limitati ai singoli confini territoriali dei diversi enti, 
prevedendo strumenti pianificatori ispirati ai criteri geomorfologici e ambientali 
del territorio. 
In questa direzione, la l. n. 183/89 ha complessivamente riorganizzato le 
competenze statali e quelle locali in materia di difesa del suolo ed ha istituito, 
per la prima volta, le Autorit� di bacino attribuendogli le funzioni di tutela 
dell�intero bacino idrografico e, precisamente, compiti di difesa del suolo, di 
risanamento delle acque e di gestione del patrimonio idrico. 
Nella stessa direzione, ma con maggiore attenzione per gli aspetti relativi 
ai profili gestori dell�acqua potabile, si � posta la legge n. 36/94, con la quale 
� stato avviato in Italia un profondo processo di modernizzazione e di riorganizzazione 
del settore idrico, reso scarsamente efficiente dall�allora estrema 
frammentazione degli operatori, circostanza che certamente non consentiva 
l�affermarsi di una gestione di tipo industriale e, sotto il profilo del servizio 
D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. La legge Merli � la prima legge importante in materia di tutela dell'ambiente, 
riguarda le acque e proprio a partire da essa la giurisprudenza e la dottrina hanno iniziato a 
mettere i primi mattoni di quella branca specialistica che pu� essere definita �diritto ambientale�. Il legislatore 
stabiliva un'unica disciplina degli scarichi con un'applicazione rigida e uniforme di valori limite 
degli inquinanti, senza tener in alcun conto il tipo e l'uso del corpo recettore destinatario. Inoltre non 
definiva espressamente i requisiti degli scarichi stessi, che sono stati identificati a seguito della elaborazione 
dottrinale e giurisprudenziale.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 257 
all�utenza, non garantiva omogeneit� degli standard qualitativi del servizio. 
Per fare fronte a questa situazione, la legge assegnava alle autorit� regionali e 
locali la funzione di riorganizzare i servizi di acquedotto da realizzarsi per 
Ambiti Territoriali Ottimali (A.T.O.), ovvero per ambiti che dovevano superare 
quelli del singolo Comune, come, in linea generale, sino ad allora accadeva. 
La Legge n. 36/1994 ha dettato anche numerose norme e importanti principi 
di carattere squisitamente ambientale ed, infatti, ha statuito che "tutte le 
acque superficiali e sotterranee, ancorch� non estratte dal sottosuolo, sono 
pubbliche" (11). 
L'ultima stagione giuridica risulta, invece, contrassegnata dalla forte preoccupazione 
di conciliare le esigenze dello sviluppo economico e sociale con 
la preservazione degli equilibri ecologici della risorsa idrica. 
Questo, del resto. � il momento in cui avanza anche la disciplina comunitaria 
che trova recepimento, inizialmente, attraverso l�adozione del Decreto 
legislativo n. 152/99, oggi non pi� vigente, ma pietra miliare della futura evoluzione 
normativa che � sfociata nel Codice dell�ambiente (D.lgs. n. 
152/2006), con il quale sono state abrogate una serie di norme, tra cui il richiamato 
D.lgs. 152/99, ed � stato operato un certo riordino di quelle norme 
volte a disciplinare l�acqua sotto il profilo della tutela ambientale. 
Il richiamato Codice, nel Parte Terza che, non a caso, � intitolata �Norme 
in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque 
dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche�, ha il pregio, infatti, di 
aver accorpato molte previgenti leggi, innovandone in alcuni casi i contenuti. 
Innanzitutto, il legislatore del 2006 ha ribadito la natura di bene demaniale 
di tutte le acque, superficiali e sotterranee, ancorch� non estratte dal suolo, 
nonch� delle infrastrutture necessarie per la sua gestione (acquedotti, fognature 
ed infrastrutture varie - art. 143). 
Altro importante principio contenuto in questa legge � quello di solidariet�, 
gi� peraltro presente nella Legge Galli, che ora trova declinazione nell'affermato 
principio di tutela dei diritti delle generazioni future a fruire di un 
integro patrimonio ambientale (12). 
Nondimeno, si rinvengono specifici principi in tema di gestione del Servizio 
idrico integrato, quali l'efficienza, l'efficacia e l'economicit�, nonch� 
(11) Tale norma, inoltre, subordina la puntuale utilizzazione della risorsa a criteri di solidariet� e 
di salvaguardia del bene ambientale e d� particolare rilevanza alle aspettative delle generazioni future 
circa la possibilit� di fruire di un integro patrimonio idrico. In buona sostanza, per la prima volta le 
norme in materia di risorse idriche valorizzano gli aspetti relativi ad un uso sostenibile rispetto agli equilibri 
ambientali. Non solo, si inizia a pensare all'acqua come risorsa scarsa da preservare attraverso l'adozione 
di misure organiche relative al ciclo dell�acqua (negli aspetti interconnessi del prelievo, dell'uso 
e della restituzione) e, in tale direzione, si dettano una serie di regole e di principi che prevedano l'affidamento 
della gestione del servizio ad un operatore unico ed indipendente. 
(12) Si veda a riguardo MATTEOLI, Art. 144, in Commentario breve al Codice dell'ambiente (a 
cura di) Costanzo-Pellizer, Padova, 2012, 382.
258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
principi riguardanti le modalit� di affidamento del servizio stesso il cui principio 
base � rappresentato dall�affidamento del servizio attraverso gara nel rispetto 
del principio di derivazione comunitaria dettato a tutela della libert� di 
concorrenza (infra) (13). 
Il quadro si completa poi con altri importanti principi, tra cui quello della 
tutela dei livelli essenziali delle prestazioni e quello secondo cui la tariffa relativa 
ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua deve essere determinata 
sulla base del livello di inquinamento prodotto. 
Altri principi sono posti a presidio della tutela dei corpi idrici, ovvero di 
quei volumi di acqua che vanno a formare i fiumi, i laghi, o che risultano contenuti 
in falde acquifere o in strutture artificialmente create dall'uomo (art. 54). 
L'art. 145 detta, infatti, il principio dell'equilibrio idrico, consistente nella necessit� 
di garantire il deflusso minimo necessario alla vita degli alvei nonch� degli 
equilibri degli ecosistemi organizzati, e l'art. 146 il principio del risparmio idrico. 
I detti principi, peraltro, si affiancano a molti altri principi generali applicabili 
a tutta la materia ambientale, tra i quali devono essere menzionati 
quelli di precauzione, di prevenzione e dello sviluppo sostenibile. 
3. L�incidenza del diritto comunitario sulla disciplina interna. 
Il processo normativo di cui ora sono stati richiamati i principali snodi 
evolutivi rappresenta il frutto non solo della sensibilit� del legislatore interno 
per i problemi dell�acqua, ma anche il precipitato dei principi comunitari dettati 
in materia ambientale dalle diverse Direttive che si sono susseguite sin dal 
finire degli anni '70. 
Le fonti comunitarie si compongono, infatti, di un certo numero di direttive 
aventi ad oggetto la tutela dall'inquinamento (14), la determinazione dei 
criteri di qualit� (15) rispetto ai diversi usi (16), nonch� la gestione integrata 
delle risorse idriche. 
A tale ultimo riguardo, la Direttiva quadro 2000/60/CE (17), adottata dal 
(13) Profilo, quest'ultimo, che pi� di altri ha impegnato la dottrina e la giurisprudenza in quest'ultimo 
periodo per l'intricata evoluzione normativa che si � susseguita in riferimento alle note questioni 
sorte circa le possibili forme di gestione e di modalit� di affidamento di questo servizio pubblico a rilevanza 
economica. Questione su cui, comunque, ci soffermer� di seguito. 
(14) Cfr. Direttiva 76/464/CEE del Consiglio, del 4 maggio 1976, concernente l'inquinamento 
provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell'ambiente idrico della Comunit�. 
(15) Tra queste si richiama la Direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (91/271/CEE) e 
la Direttiva 91/676/CEE (direttiva nitrati), che congiuntamente combinano la definizione degli obiettivi 
di qualit� ambientale con la fissazione di valori limite d�emissione, confermano il nuovo approccio al 
problema dell'inquinamento delle acque. 
(16) Direttiva 80/778/CEE del Consiglio, 15 luglio 1980, sulla qualit� delle acque destinate al 
consumo umano, in G.U.C.E. 30 agosto 1980, n. L 229; Direttiva 76/160/CEE del Consiglio, dell�8 dicembre 
1975, concernente la qualit� delle acque di balneazione, in G.U.C.E. L 31 del 5 febbraio 1976; 
Direttiva 79/923/CEE del Consiglio, del 30 ottobre 1979, relativa ai requisiti di qualit� delle acque destinate 
alla molluschicoltura, in G.U.C.E. L 281 del 10 novembre 1979.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 259 
Parlamento europeo e del Consiglio dell�Unione europea il 23 ottobre 2000 
occupa un ruolo di primaria importanza poich� ha dettato una serie di principi 
volti a realizzare un�equilibrata integrazione dei profili ambientali con quelli 
economici e sociali (18) introducendo a tal fine un fitto reticolo di principi, 
tutti orientati a mantenere o a raggiungere la sostenibilit� ambientale dell'intero 
territorio comunitario. 
Uno dei punti pi� rilevati riguarda l�analisi degli aspetti di natura economica 
a cui ciascun Stato � tenuto ad attuare in riferimento agli usi della risorsa 
idrica, e a tale riguardo, negli articoli 5 e 9 viene espressamente richiesto ai 
singoli Stati Membri di conformare la propria politica tenendo conto del principio 
del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali, da 
calcolarsi sulla scorta del principio �chi inquina paga� (19). 
La direttiva, tra l�altro, precisa che l�acqua � una risorsa naturale ed un 
bene comune da difendere e non un bene commerciale �L'acqua non � un prodotto 
commerciale al pari degli altri, bens� un patrimonio che va protetto, difeso 
e trattato come tale� (20). 
Secondo questa Direttiva, quindi, la gestione dell�acqua deve essere improntata 
al tendenziale pareggio di bilancio, cos� come recita il 38� �Considerando� 
della Direttiva in argomento, secondo cui �il principio del recupero 
dei costi [...] dovrebbe essere preso in considerazione sulla base del principio 
�chi inquina paga�. A tal fine, sar� necessaria un'analisi economica dei servizi 
idrici, basata sulle previsioni a lungo termine della domanda e dell'offerta 
nel distretto idrografico� (21). 
(17) La Direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, istituisce 
un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, pubblicata in G.U.C.E. n. L 327 del 22 
dicembre 2000, in www.eur-lex.europa.eu. 
(18) CORDINI GIOVANNI, La tutela dell�ambiente idrico in Italia e nell�Unione europea, in Rivista 
giuridica dell�ambiente, fasc. 5, 2005, Giuffr� editore, Milano, pp. 716-717. URBANI PAOLO, Il recepimento 
della direttiva comunitaria sulle acque (2000/60): profili istituzionali di un nuovo governo delle 
acque, in Rivista giuridica dell�ambiente, fasc. 2, 2004, Giuffr� editore, Milano, p. 210. 
(19) Si veda a tale riguardo, il punto 11 dei �Considerando� della Direttiva in argomento, il quale 
recita �Come stabilito dall'articolo 174 del trattato, la politica ambientale della Comunit� deve contribuire 
a perseguire gli obiettivi della salvaguardia, tutela e miglioramento della qualit� dell'ambiente, 
dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, che dev'essere fondata sui principi della 
precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati 
all'ambiente, nonch� sul principio "chi inquina paga"�. 
(20) Si veda il primo considerando della Direttiva 2000/60/CE. 
(21) Secondo quanto stabilito dall'Allegato III alla Direttiva 60/2000 �L'analisi economica riporta 
informazioni sufficienti e adeguatamente dettagliate (tenuto conto dei costi connessi alla raccolta dei 
dati pertinenti) al fine di: 
a) effettuare i pertinenti calcoli necessari per prendere in considerazione il principio del recupero dei 
costi dei servizi idrici, di cui all'articolo 9, tenuto conto delle previsioni a lungo termine riguardo all'offerta 
e alla domanda di acqua nel distretto idrografico in questione e, se necessario: stime del volume, 
dei prezzi e dei costi connessi ai servizi idrici, stime dell'investimento corrispondente, con le relative 
previsioni;
260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Altro importante principio contenuto nella predetta Direttiva � quello secondo 
cui la �La fornitura idrica � un servizio d'interesse generale, come indicato 
nella comunicazione della Commissione �I servizi di interesse generale 
in Europa��. 
Le azioni contenute nella norma sono, quindi, complessivamente ed univocamente 
finalizzate alla protezione delle acque ed al suo uso sostenibile al 
fine di proteggere l'ambiente ed assicurare la fornitura di acqua potabile alla 
popolazione (22). 
Orbene, i principi richiamati, come si vedr�, influiscono pesantemente 
sull�assetto delle competenze amministrative disegnate dal legislatore italiano 
nel campo delle risorse idriche. 
4. L�irrilevanza dell�assetto federalista disegnato dalla riforma del titolo V 
della Costituzione in punto di riparto di competenze amministrative. 
4.1. Premessa. 
Il breve excursus storico ha consentito di evidenziare come l'evoluzione 
della normativa in materia di acqua sia stata contrassegnata dall'emergere di 
norme volte a disciplinare questo bene sotto il profilo degli usi �particolari� 
ed �eccezionali�, oltre che di norme volte a tutelarne l�intrinseca qualit� di 
bene naturale, come attesta la disciplina, interna e comunitaria, pi� recente. 
La legislazione pi� datata, come visto, era maggiormente incentrata sulla 
regolamentazione di questo bene quale bene demaniale, orientamento che si � 
rafforzato con l�ampliamento di tale qualificazione a tutte le categorie di acqua 
e/o di corpi idrici. 
In questa direzione, gi� si poneva l'art. 1 del Testo Unico sulle acque (R.D. 
n. 1175/1933), dove si legge che �tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, 
anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate e incrementate, le 
quali considerate sia isolatamente per la loro portata o per l�ampiezza del rispettivo 
bacino imbrifero, sia al sistema idrografico al quale appartengono 
abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse�. 
b) formarsi un'opinione circa la combinazione delle misure pi� redditizie, relativamente agli utilizzi 
idrici, da includere nel programma di misure di cui all'articolo 11 in base ad una stima dei potenziali 
costi di dette misure. 
(22) Il 2�Considerando della Direttiva 60/2000 recita �Una buona qualit� delle acque contribuir� 
ad assicurare la fornitura di acqua potabile alla popolazione. Il 37 Considerando recita � Gli Stati membri 
dovrebbero designare le acque usate per la produzione di acqua potabile, garantendo il rispetto della direttiva 
80/778/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1980, relativa alla qualit� delle acque destinate al consumo 
umano�. L'art. 7, recita che �Gli Stati membri individuano: tutti i corpi idrici utilizzati per 
l'estrazione di acque destinate al consumo umano che forniscono in media oltre 10 m3 al giorno o servono 
pi� di 50 persone, e, i corpi idrici destinati a tale uso futuro [...] Gli Stati membri provvedono alla 
necessaria protezione dei corpi idrici individuati al fine di impedire il peggioramento della loro qualit� 
per ridurre il livello della depurazione necessaria alla produzione di acqua potabile. Gli Stati membri 
possono definire zone di salvaguardia per tali corpi idrici�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 261 
In modo analogo, l�art. 822 del Codice civile del 1942, il quale, a sua 
volta, statuisce che �Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico� 
i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi 
in materia� e, pi� di recente, la legge Galli (23) ed, ancora, il Codice dell'ambiente 
(24) secondo cui sono pubbliche �tutte le acque superficiali e sotterranee, 
anche non estratte dal sottosuolo [...]�. 
A tale orientamento normativo, sulla spinta del diritto comunitario, si sono 
accompagnate una serie di norme afferenti al campo della tutela dell�ambiente, 
con inevitabili riflessi anche sul versante delle competenze amministrative. 
Tale circostanza ha comportato l�inevitabile attrazione di questa materia 
verso lo Stato, quale livello istituzionale a cui � attribuita la competenza legislativa 
esclusiva in materia di tutela dell�ambiente, ai sensi dell�art. 117, lett. 
s) della Costituzione. 
Ne � conseguita, altres�, l�attrazione verso il medesimo livello delle relative 
competenze amministrative, nonostante l'art. 118 Cost. statuisca che tali 
funzioni devono essere attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne l�esercizio 
unitario, siano conferite a Province, Citt� Metropolitane, Regioni e Stato, 
sulla base dei principi di sussidiariet�, differenziazione ed adeguatezza. 
Peraltro, il principio di sussidiariet� era gi� stato reso �operativo� dalla 
legge n. 59/97 (25) e dal D.lgs. 112/98 (26) in forza di questi provvedimenti 
era stata attuata infatti una corposa e generalizzata devoluzione di competenze 
amministrative dallo Stato alle Regioni e agli enti locali, tra cui anche molte 
competenze amministrative in materia di acqua. 
La riforma del Titolo V della Costituzione si � infatti innestata in un tessuto 
normativo che gi� aveva anticipato il favor per l'assegnazione delle funzioni 
amministrative in capo agli enti pi� vicini all'ambito territoriale 
cristallizzando l'assetto federalista gi� tratteggiato dal D.lgs. 112/98 ed enfatizzando 
il ruolo dei Comuni attribuendo agli stessi la generalit� delle funzioni 
amministrative ex art. 118 Cost. 
Questo nuovo quadro normativo, fondato sul principio di sussidiariet� 
verticale, avrebbe dovuto militare verso la generale attribuzione in capo ai Comuni 
delle competenze amministrative anche in materia di acqua. 
In realt�, invece, al pari di ci� che si � verificato in tutti quei campi attraversati 
dalle cos� dette materie �trasversali�, anche in materia di acqua si � assistito 
all�irrobustimento delle funzioni amministrative statali per l�attrazione 
delle stesse verso il livello istituzionale destinatario delle funzioni legislative 
(23) Si veda l'art. 1 della legge n. 36 del 1994. 
(24) Si veda l'art. 144, comma 1, del D.Lgs. n. 152 del 2006. 
(25) Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per 
la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa. 
(26) Tale legge � rubricata "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle 
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della l. 15 marzo 1997, n. 59".
262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
in materia di tutela dell�ambiente e della concorrenza. 
Infatti, questo � stato il destino di tutte quelle funzioni amministrative ricollegate 
alle dette materie �trasversali� giacch� l�art. 118 Cost. non ha operato 
alcuna allocazione diretta di tali funzioni amministrative, ma ha solo introdotto 
il principio regolatore della detta distribuzione. 
La giurisprudenza costituzionale, tra l�altro, ha ritenuto ammissibile l'attrazione 
delle funzioni in argomento in capo allo Stato ogniqualvolta si rilevino 
esigenze unitarie di esercizio delle funzioni amministrative. 
In una importante sentenza della Suprema Corte si legge, infatti, che �la 
valutazione della necessit� del conferimento di una funzione amministrativa 
ad un livello territoriale superiore rispetto a quello comunale deve essere necessariamente 
effettuata dall'organo legislativo corrispondente almeno al livello 
territoriale interessato e non certo da un organo legislativo operante ad 
un livello territoriale inferiore� (27). 
La Corte Costituzionale ha, quindi, avvallato le scelte del legislatore ordinario 
interpretando il principio di sussidiariet� come principio mobile che 
giustifica l'attrazione delle competenze, legislative ed amministrative, verso 
il livello pi� alto. 
Si pu� quindi ben condividere quanto messo in luce da certa dottrina circa 
il fatto che �in qualche modo � stato �resuscitato� un parallelismo tra funzione 
legislativa e funzione amministrativa� (28). 
4.2. Le competenze amministrative statali in materia di tutela del suolo. 
La prospettazione delineata trova piena conferma proprio nel Codice dell'Ambiente 
e a riprova di ci� � sufficiente scorrere il testo normativo per rendersi 
conto del forte accentramento statale di quasi tutte le competenze 
amministrative in esso delineate. 
A tale proposito, prendendo le mosse dalla parte dedicata alle �Norme in 
materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione� (29), dove � contenuta 
(27) Si vedano le sentenze Corte Cost. n. 303/2003 e n. 6/2004. 
(28) Si veda P. CARETTI, G. TARLI BARBERI, Diritto regionale, Torino, 2009. 
(29) Si veda al riguardo la Sezione prima della parte Terza del Codice dell'ambiente recante 
�Norme in materia del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall'inquinamento e di 
gestione delle risorse idriche. Questa sezione � composta da una serie di disposizioni poste a salvaguardia 
del suolo sotto quei profili che interagiscono con il sistema idrogeologico e che si riconnettono a quei 
fenomeni non percepibili dal punto di vista fisico perch� inerenti gli equilibri idrogeologici, il rischio 
idraulico e l'ottimizzazione degli usi della risorsa. Si tratta di interventi volti alla conservazione e recupero 
del suolo, alla difesa e sistemazione dei corsi d'acqua, alla moderazione delle piene, alla disciplina 
delle attivit� estrattive nei corsi d'acqua, nei laghi, nelle lagune e nel mare, al fine di prevenire il dissesto 
del territorio, alla difesa e consolidamento dei versanti e degli abitati contro frane, valanghe e altri fenomeni 
di dissesto, al contenimento dei fenomeni di subsidenza dei suoli e di risalita delle acque marine 
lungo i fiumi e nelle falde idriche, alla protezione delle coste e degli abitati dall'invasione e dall'erosione 
delle acque marine, alla razionale utilizzazione delle risorse idriche superficiali e profonde, allo svolgimento 
funzionale dei servizi di polizia idraulica e di navigazione interna, nonch� della gestione dei re-
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 263 
la disciplina volta a difendere il territorio dagli effetti dannosi dell�acqua sotto 
il profilo idrogeologico e idraulico (30), si rileva chiaramente l�assoluta preferenza 
del livello statale. 
Infatti, tutte le funzioni di natura conoscitiva (art. 56), di pianificazione, 
di programmazione e di attuazione dei necessari interventi operativi (art. 58) 
(31), risultano ancorati alle competenze legislative statali, nonostante il contrario 
principio di sussidiariet� e il formale abbandono del richiamato principio 
del parallelismo tra funzioni legislative e quelle amministrative (32). 
In realt�, ci� non � immediatamente percepibile dalla lettura di una delle 
prime norme dedicate al sistema di competenze amministrative, ovvero l'art. 
53, dove si legge che �Alla realizzazione delle attivit� previste al comma 1 
concorrono, secondo le rispettive competenze, lo Stato, le regioni a statuto 
speciale ed ordinario, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, 
i comuni e le comunit� montane e i consorzi di bonifica e di irrigazione�. 
Questa, infatti, � una norma generica in cui si richiama esclusivamente il 
criterio direttivo indicato nella legge delega n. 308/2004 (33), con la quale � 
lativi impianti, manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti nel settore e conservazione 
dei beni; alla regolamentazione dei territori interessati dai predetti interventi ai fini della loro 
tutela ambientale, al riordino del vincolo idrogeologico. Le funzioni amministrative contemplate in tale 
ambito sono molteplici e spaziano da quelle di tipo conoscitivo (art. 56) a quelle di pianificazione, di 
programmazione e di attuazione dei necessari interventi operativi (art. 58) e, come si vedr�, riguardano 
settori tra loro anche molto diversi, ci� sull'evidente presupposto della sussistenza di una stretta connessione 
tra il crearsi di situazioni a rischio idrogeologico e il modo in cui il territorio viene utilizzato 
per i vari scopi, tra cui quelli connessi all'edilizia, agli usi agricoli, alla forestazione ed allo sfruttamento 
del patrimonio faunistico ed idrico. 
(30) Le norme in essa contenute si riferiscono, infatti, alla conservazione e recupero del suolo, 
alla difesa e sistemazione dei corsi d'acqua, alla moderazione delle piene, alla disciplina delle attivit� 
estrattive nei corsi d'acqua, nei laghi, nelle lagune e nel mare, al fine di prevenire il dissesto del territorio, 
alla difesa e consolidamento dei versanti e degli abitati contro frane, valanghe e altri fenomeni di dissesto, 
al contenimento dei fenomeni di subsidenza dei suoli e di risalita delle acque marine lungo i fiumi e 
nelle falde idriche, alla protezione delle coste e degli abitati dall'invasione e dall'erosione delle acque 
marine, alla razionale utilizzazione delle risorse idriche superficiali e profonde, allo svolgimento funzionale 
dei servizi di polizia idraulica e di navigazione interna, nonch� della gestione dei relativi impianti, 
manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti nel settore e conservazione dei beni; 
alla regolamentazione dei territori interessati dai predetti interventi ai fini della loro tutela ambientale, 
al riordino del vincolo idrogeologico. In relazione al concetto di ambiente allargato anche a quei profili 
non immediatamente percepibili, quale pu� essere l'equilibrio ecologico, si veda M. CECCHETTI, La disciplina 
giuridica della tutela ambientale come �diritto dell'ambiente�, in www. Federalismi.it, 30; B. 
CARAVITA, Diritto dell'ambiente, Bologna, 2005, 22 ss. 
(31) La molteplicit� delle funzioni si ricollega al fatto che l�acqua � un bene che dal punto di vista 
ambientale interagisce ed interferisce con il suolo su cui scorre e tale stretta connessione ha spinto il legislatore 
a dettare norme volte ad evitare le potenziali situazioni di rischio idrogeologico dovute al non 
corretto uso e sfruttamento del territorio (attivit� edilizia, attivit� agricola, di forestazione e di sfruttamento 
del patrimonio faunistico ed idrico). 
(32) In tal senso si veda la gi� citata sentenza della Corte Costituzionale n. 4 /2004 in cui si �delinea 
un modello nel quale � la funzione amministrativa a �trascinare� quella legislativa�. Tale considerazione 
� tratta da P. CARETTI, G. TARLI BARBERI, Diritto regionale, Torino, 2009. 
(33) Precisamente nell�art. 1, comma 8,
264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
stato conferito al Governo il potere di redigere, tra l'altro, anche lo schema del 
Testo unico di cui si discorre. 
Il detto art. 53 nulla dice in riferimento alle specifiche funzioni attribuite a 
ciascun soggetto pubblico ed � proprio tale silenzio, tuttavia, che rappresenta, 
congiuntamente all'assenza di enumerazione delle competenze attribuite ai diversi 
enti territoriali, come si vedr�, uno dei punti di debolezza di questa riforma 
in punto di riparto di competenze e ci� anche se alcune funzioni amministrative 
risultano ben dettagliate nei successivi articoli 55, 57, 58, 59, 60, 61, 62 e 63. 
Analogo discorso pu� essere fatto in riferimento alle funzioni di tipo conoscitivo, 
inerenti quei compiti di raccolta e di elaborazione dei dati relativi 
alle condizioni generali dell'ambiente. 
In questo caso, non solo si rileva il mantenimento di questa funzione in 
capo allo Stato, ma si rilevano anche gli effetti di quel fenomeno di destrutturazione 
del potere pubblico a cui si � gi� fatto cenno poich� in questo caso al 
Ministero dell�Ambiente e del Mare (di seguito indicato anche solo come Ministero 
dell'Ambiente) (34) si affianca uno di quei tanti organismi operanti in 
materia di risorse idriche, rappresentato in questo caso dall' ISPRA (35). 
La primazia statale in materia di acqua spicca ancora con maggiore enfasi 
nel campo dei poteri pianificatori e programmatori dove si rileva il ruolo primario 
di alcuni organi statali e, precisamente, della Presidenza del Consiglio 
dei Ministri, del Comitato dei Ministri per gli interventi nel settore della difesa 
e del suolo (36) e del Ministero dell'Ambiente. 
In particolare, a quest�ultimo sono assegnate "tutte le funzioni ed i compiti 
spettanti allo Stato" nel settore della difesa del suolo, di cui fanno parte tutte 
quelle attivit� di carattere generale (37) che si estrinsecano nel controllo delle 
funzioni svolte dagli altri soggetti (38), a cui si aggiungono anche quelle di 
(34) Con particolare riferimento alla difesa del suolo dalle frane, dagli alluvioni e da altri fenomeni 
di dissesto idrogeologico. 
(35) L'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale � stato istituito dalla L. 
133/2008 (di conversione, con modificazioni, del D.L. 112/2008). L'ISPRA svolge le funzioni dell'ex 
APAT, ex ICRAM, ex INFS. 
(36) L'art. 57, commi 3 e 4, d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, nella parte in cui attribuisce al Comitato 
dei ministri "funzioni di alta vigilanza" (comma 3) e nella parte in cui concreta tali funzioni prevedendo 
la verifica della "coerenza nella fase di approvazione" degli atti di pianificazione (comma 4) � stato 
impugnato per presunta illegittimit� costituzionale da diverse Regioni. Il Giudice delle leggi, al riguardo 
ha stutuito che, �per principio generale, la competenza in tema di funzioni di vigilanza coincide con 
quella relativa all'attivit� oggetto di vigilanza, le disposizioni censurate non contengono alcun riferimento 
che possa indurre a ritenere che i compiti di vigilanza da essi attribuiti al Comitato dei ministri 
riguardino anche attivit� rientranti nelle attribuzioni delle regioni e deve quindi ritenersi che quei compiti 
di vigilanza abbiano ad oggetto esclusivamente attivit� di competenza statale�. Cfr. Corte Cost., 
23 luglio 2009, n. 232. 
(37) I piani di bacino, sentita la Conferenza Stato-Regioni. 
(38) In particolare al Ministero dell'ambiente sono attribuite funzioni di programmazione, finanziamento 
e controllo per quanto concerne la tutela e l'utilizzazione delle acque e la tutela dell'ambiente 
per quanto concerne i rischi derivanti dissesti idrogeologici (frane, alluvioni, ecc.); compiti di coordi-
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 265 
tipo conoscitivo (39). 
Il predetto Ministero svolge una copiosa attivit� propositiva che sfocia nell'elaborazione 
di importanti atti da sottoporre all'approvazione della Presidenza 
del Consiglio dei Ministri aventi ad oggetto, tra l'altro (40), i Piani di Bacino 
(41) che, come � noto, costituiscono lo strumento principale per l'attuazione 
delle politiche in materia di difesa del suolo e di lotta alla desertificazione (42). 
Anche al predetto Comitato dei Ministri vengono attribuite importanti 
competenze che si declinano nel potere di adottare atti di indirizzo e di coordinamento 
delle politiche settoriali connesse con gli obiettivi e i contenuti 
della pianificazione di Bacino. 
A sua volta, la Presidenza del Consiglio dei Ministri riveste un ruolo centrale 
in quanto approva tutti gli atti adottati dai richiamati Ministero e Comitato 
dei Ministri ed, inoltre, � deputato a fissare le politiche ambientali di dettaglio e 
namento ed indirizzo delle Autorit� di bacino; identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del 
territorio per quanto concerne la determinazione dei valori naturali ed ambientali, la difesa del suolo e 
l'impatto delle infrastrutture sul territorio; la determinazione dei criteri, dei metodi dei criteri e degli 
standard di raccolta ed elaborazione che deve osservare l'Ispra, ovvero valutazione degli effetti conseguenti 
all'esecuzione dei Piani, Programmi e progetti su scala nazionale. 
(39) Queste attivit� conoscitive di fatto si estrinsecano nel pregnante controllo dell'organo esecutivo 
delle funzioni svolte da altri soggetti che, per parte della dottrina, si giustifica sotto il profilo 
della legittimit� costituzionale, con la mancanza di un'autonoma capacit� di previsione, ovvero con la 
rilevanza nazionale degli interessi in gioco. 
(40) Tra i diversi compiti si richiamano quelli aventi ad oggetto le deliberazioni relative alla verifica 
ed al controllo dei piani di bacino e dei programmi nazionali di intervento; le deliberazioni con 
cui vengono definiti i metodi e i criteri per lo svolgimento delle attivit� conoscitive, di pianificazione, 
di programmazione e di attuazione; gli atti volti a provvedere in via sostitutiva in caso di inerzia dei 
soggetti preposti alla tutela del suolo; in via residuale, ogni altro atto di indirizzo e di coordinamento. 
(41) Il piano di bacino distrettuale (art. 65) � un "piano territoriale di settore" e "strumento conoscitivo, 
normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e 
le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e alla corretta 
utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato" 
e la procedura per la sua emanazione � la seguente: la Conferenza istituzionale permanente (organo 
dell' Autorit� di bacino composto da rappresentanti del Governo e delle regioni il cui territorio � compreso 
nel distretto idrografico di cui si tratta) stabilisce indirizzi, metodi e criteri; l' Autorit� di bacino 
redige il piano di bacino; la Conferenza istituzionale permanente lo adotta ed infine esso � approvato 
con d.P.C.m. Il piano di gestione (art. 117) � "articolazione interna del Piano di bacino distrettuale" e 
"piano stralcio del Piano di bacino" medesimo e la procedura per la sua emanazione � la stessa del 
piano di bacino. Esso, dunque, si pone sullo stesso piano giuridico del piano di bacino, concerne lo 
stesso ambito territoriale e si distingue dal piano di bacino perch� ha ad oggetto esclusivamente la 
tutela delle acque (e non anche del suolo). Il piano di tutela delle acque (art. 121), invece, non � qualificato 
come piano stralcio della pianificazione di bacino, ma � definito come "specifico piano di settore" 
e concerne il singolo bacino idrografico. La procedura per la sua emanazione � la seguente: l' 
Autorit� di bacino definisce gli obiettivi su scala di distretto; la Regione adotta il piano; questo � trasmesso 
al Ministero dell'ambiente ed all'Autorit� di bacino per le verifiche di competenza; le regioni 
approvano il piano. 
(42) A queste funzioni si aggiungono anche quelle relative alla predisposizione dello schema di 
programma triennale nazionale di interventi da realizzare nel Bacino idrografico, alla ripartizione degli 
stanziamenti tra le amministrazioni statali e regionali nonch� ai poteri di vigilanza, ancorch� limitati 
all'area di competenza statale, cos� come ha precisato la Corte Costituzionale.
266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
a determinare le principali attivit� di programmazione e di pianificazione (43). 
Si tratta di poteri particolarmente incisivi in quanto volti ad approvare atti che 
sono in grado di vincolare tutti i successivi interventi delle altre amministrazioni. 
Lo Stato, peraltro, esercita ampi e pregnanti poteri amministrativi anche 
attraverso i diversi Enti che operano in materia di acqua, tra i quali le Autorit� 
di Bacino (44), a cui sono attribuite rilevanti funzioni di pianificazione territoriale 
esercitate attraverso l�adozione del Piano di bacino e i sottopiani in cui 
questo si articola, ovvero, il Piano di gestione delle acque (45) ed il Piano di 
assetto idrogeologico; in questi provvedimenti sono contenute le diverse 
norme riguardanti l'assetto idraulico (46), l'assetto idrogeologico (47), la gestione 
delle risorse idriche presenti nel bacino, la gestione delle aree di demanio 
idrico e la vigilanza per la tutela del demanio idrico. 
(43) Secondo quanto dispone l'art. 57 del Codice dell'ambiente il Presidente del Consiglio dei Ministri 
previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, approva con proprio decreto: 
a) su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: 
1) le deliberazioni concernenti i metodi ed i criteri, anche tecnici, per lo svolgimento delle attivit� di cui 
agli articoli 55 e 56, nonch� per la verifica ed il controllo dei piani di bacino e dei programmi di intervento; 
2) i piani di bacino, sentita la Conferenza Stato-Regioni; 
3) gli atti volti a provvedere in via sostitutiva, previa diffida, in caso di persistente inattivit� dei soggetti 
ai quali sono demandate le funzioni previste dalla presente sezione; 
4) ogni altro atto di indirizzo e coordinamento nel settore disciplinato dalla presente sezione; 
b) su proposta del Comitato dei Ministri di cui al comma 2, il programma nazionale di intervento. 
(44) L'autorit� di bacino � un ente pubblico non economico composto da rappresentati del Ministero 
dell'ambiente e della tutela del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, delle attivit� produttive, 
delle politiche agricole e forestali, della funzione pubblica, dei beni e attivit� culturali oltre che da i Presidenti 
delle Regioni o delle Provincie autonome il cui territorio � interessato dal distretto idrografico. 
Preme segnalare a tale riguardo che all'autorit� di bacino nazionale istituita con la L. 183/1989 sarebbero 
dovute subentrare le autorit� di bacino distrettuali previste dall'art. 63 del Codice dell'Ambiente. Per 
contro, le attribuzioni dell'Autorit� di bacino nazionale sono state prorogate sino all'istituzione delle autorit� 
di bacino distrettuale prima con il D.lgs n. 153/2006 e per ultimo con la legge 13/2009. 
(45) Il Piano di gestione, definito dall'art. 117 come �articolazione interna del Piano di bacino distrettuale
� e �piano stralcio del Piano di bacino� medesimo viene emanato con la stessa procedura e 
dalle stesse autorit� gi� viste a proposito del piano di bacino. Esso, dunque, si pone sullo stesso piano 
giuridico del piano di bacino, concerne lo stesso ambito territoriale e si distingue dal piano di bacino 
perch� ha ad oggetto esclusivamente la tutela delle acque (e non anche del suolo). Questo Piano rappresenta 
lo strumento operativo attraverso il quale si devono pianificare, attuare e monitorare le misure per 
la protezione, il risanamento e il miglioramento dei corpi idrici superficiali e sotterranei e agevolare un 
utilizzo sostenibile delle risorse idriche. . 
(46) Gestione dei corsi d�acqua naturali; programmazione, progettazione ed esecuzione di interventi 
di assetto idraulico e mitigazione del rischio idraulico; indagini, rilevazioni, monitoraggio fisico 
dei corpi idrici; progettazione, realizzazione e manutenzione di opere idrauliche; organizzazione delle 
funzioni di polizia e sorveglianza idraulica per il presidio del territorio e dei tronchi di vigilanza; servizio 
di piena e pronto intervento idraulico; attivit� istruttoria finalizzata al rilascio di autorizzazioni, pareri 
idraulici e concessioni demaniali. 
(47) Progettazione e realizzazione di interventi di consolidamento abitati e versanti, di indagini 
geognostiche, di pronti interventi e di somma urgenza; Monitoraggio dei movimenti franosi, sopralluoghi 
ed istruttorie segnalazioni dissesti; Autorizzazione invasi con sbarramento; Attivit� inerenti le perimetrazioni 
degli abitati da consolidare, la pianificazione territoriale, le discariche, le attivit� estrattive e 
l�aggiornamento dell�inventario del dissesto.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 267 
Il ruolo di spicco di questa Autorit� si comprende meglio se si pone mente 
al fatto che il Piano di bacino (48) costituisce lo strumento conoscitivo, precettivo 
e programmatorio di tutte le possibili opere di modifica attuabili nell�ambito 
di ciascun Bacino idrografico. 
Al quadro di funzioni delineate si aggiungono peraltro ulteriori competenze 
in materia di risorse idriche riconosciute ad altri Ministeri, tra cui il Ministero 
delle politiche agricole e forestali (MIPAF) (49) e il Ministero della 
salute (relativamente ai controlli previsti dal �Testo Unico sulle leggi sanitarie� 
n. 1265 del 1934). 
4.3. Le competenze in materia di tutela delle acque. 
Anche l'ambito della tutela delle acque e dei corpi idrici � praticamente 
affidato alla totale cura degli apparati amministrativi statali in quanto anche 
questo settore � ascrivibile alla materia tutela dell�ambiente, al pari del precedente. 
L�art. 75 del Codice dell�ambiente ricalca, infatti, lo schema del richiamato 
art. 53 (50) nonch� l�impostazione delle norme che a questo articolo si 
susseguono, dove, ancora una volta, spicca il ruolo del Ministero dell'ambiente 
quale destinatario di molteplici compiti (51) tra i quali la fissazione di valori 
limite, la determinazione dei criteri su cui fondare verifiche, accertamenti, ge- 
(48) Si tratta di un piano territoriale con valenza precettiva considerato che dal momento della 
sua adozione e nelle more della sua approvazione scattano le misure di salvaguardia a cui devono attenersi 
tutte le eventuali modifiche dei Piani territoriali di livello inferiore, compresi i Piani urbanistici 
comunali. Si veda al riguardo Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2011, n. 3780 pronunciata in riferimento 
alla Legge n. 183/19 �Ai sensi dell'art. 17, l. 18 maggio 1989 n. 183 il piano di bacino ha valore di piano 
territoriale di settore ed � lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale 
sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e 
alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione delle acque sulla base delle caratteristiche fisiche 
ed ambientali del territorio interessato; di conseguenza per loro natura le norme del piano di bacino e 
quelle connesse alla tutela dell'assetto idrogeologico del territorio hanno propria complessiva ed autonoma 
rilevanza ai fini della pianificazione del territorio (ad esempio per l'identificazione della fascia di 
rispetto di tutti i corsi d'acqua), della quale costituiscono un prius logico e funzionale�. 
(49) Elabora e coordina le linee politiche agricole forestali agro-alimentari e per la pesca a livello 
nazionale, europeo e internazionale. In particolare, il MIPAF tramite la direzione generale per le politiche 
strutturali e lo sviluppo rurale svolge compiti di disciplina generale e coordinamento nazionale in materia 
di grandi reti infrastrutturali di irrigazioni dichiarate di rilevanza nazionale ed ha inoltre compiti in materia 
di interventi straordinari nel Mezzogiorno. Inoltre, gli istituti di ricerca e sperimentazione del Ministero 
hanno competenze tecnico-scientifiche nel settore delle risorse idriche. 
(50) Questa norma dispone che �a) lo Stato esercita le competenze ad esso spettanti per la tutela 
dell'ambiente e dell'ecosistema attraverso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del 
mare, fatte salve le competenze in materia igienico-sanitaria spettanti al Ministro della salute; b) le regioni 
e gli enti locali esercitano le funzioni e i compiti ad essi spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente 
determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali�. 
(51) Si registra, invece, uno scarso potere di tipo pianificatorio anche se, come si vedr�, all'organo 
amministrativo statale � riconosciuto un potere consuntivo vincolante esercitato sul Piano di tutela delle 
acque, infatti, bench� venga adottato ed approvato dalle Regioni la sua approvazione risulta subordinata 
all'ottenimento del parere vincolante ed obbligatorio dell'Autorit� di Bacino, ex art. 121 del Codice dell�ambiente. 

268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
stioni (52) a cui si aggiunge, peraltro, anche un certo potere autorizzatorio (53). 
4.4. Le competenze in materia di Servizio idrico integrato. 
Un discorso a parte merita la gestione delle risorse idriche, dove rilevano 
diverse questioni, tra le quali spiccano quelle concernenti le forme di gestione 
e le relative modalit� di affidamento di questo peculiare servizio pubblico. 
La questione � assai complessa, tuttavia, in questa sede occorre quanto- 
(52) I relativi interventi hanno ad oggetto la fissazione dei valori limite di emissione delle sostanze 
e degli agenti inquinanti, la definizione degli obiettivi minimi di qualit� dei corpi idrici superficiali e 
sotterranei e individuazione delle misure volte alla prevenzione e riduzione dell�inquinamento e al risanamento 
degli stessi, il rilevamento dello stato dei corpi idrici, dei livelli di inquinamento e individuazione 
delle infrastrutture per attivit� di disinquinamento; la definizione e l�implementazione delle azioni 
di contrasto all�inquinamento delle acque superficiali anche al fine di individuare e promuovere le migliori 
tecnologie disponibili; la definizione di criteri generali e di metodologie volte al campionamento, 
alla misurazione, all�analisi, al controllo delle acque, del relativo biota e dei sedimenti; la determinazione 
dei criteri metodologici generali per la formazione e l�aggiornamento dei catasti degli scarichi e degli 
elenchi delle acque e delle sostanze pericolose; la fissazione di criteri di indirizzo e coordinamento per 
il monitoraggio della qualit� dei corpi idrici; individuazione di criteri e indirizzi per la gestione delle 
aree di pertinenza dei corpi idrici; la definizione delle modalit� tecniche generali, delle condizioni e dei 
limiti di utilizzo di prodotti, di sostanze e dei materiali pericolosi, nonch� l�aggiornamento dell�elenco 
delle sostanze nocive che non possono essere scaricate nei corpi idrici; l�elaborazione di norme tecniche 
generali per la regolamentazione del riutilizzo delle acque reflue, delle attivit� di smaltimento di liquami 
e fanghi, la determinazione dei criteri metodologici per l�acquisizione e la elaborazione di dati conoscitivi 
e per la predisposizione e l�attuazione dei piani di risanamento delle acque da parte delle regioni; l�elaborazione 
delle informazioni sulla qualit� delle acque destinate all�uso umano; l�organizzazione dei dati 
conoscitivi relativi allo scarico delle sostanze pericolose; la definizione di criteri e indirizzi per la gestione 
degli invasi artificiali ai fini della salvaguardia della qualit� dell�acqua invasata e della tutela del 
corpo ricettore; l�individuazione e aggiornamento dei criteri di identificazione delle aree che necessitano 
di specifiche misure di prevenzione dall�inquinamento e di risanamento, con particolare riferimento alla 
laguna di Venezia e al suo bacino scolante, alle aree sensibili, zone vulnerabili e aree di salvaguardia, 
nonch� definizione di indicazioni e misure per la predisposizione dei relativi programmi d�azione da 
parte delle regioni. L�esercizio delle funzioni in materia di programmazione, a scala di bacino, delle 
azioni per il ripristino e la tutela dei corpi idrici superficiali e sotterranei e per la razionale utilizzazione 
delle risorse idriche; il censimento e monitoraggio delle risorse idriche, nonch� individuazione di linee 
direttive sulla gestione del demanio idrico; la definizione dei criteri generali in materia di derivazioni di 
acqua, nonch� svolgimento delle attivit� di competenza relative ai trasferimenti d�acqua che interessino 
il territorio di pi� regioni e pi� distretti idrografici e delle attivit� connesse al rilascio di concessioni di 
grandi derivazioni per i vari usi di competenza statale, derivazioni da fiumi internazionali e sovra canoni 
da bacini imbriferi montani; l�elaborazione delle linee di programmazione degli usi plurimi delle risorse 
idriche e delle linee guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino; Individuazione di metodi 
e regole per la determinazione del minimo deflusso vitale; l�elaborazione delle linee guida per l�individuazione 
delle aree a rischio di crisi idrica; la definizione dei criteri ed indirizzi per la gestione dei 
servizi di approvvigionamento, captazione ed accumulo delle acque per gli usi produttivi; l�elaborazione 
delle direttive per il censimento delle risorse idriche e per la disciplina dell�economia idrica; la definizione 
ed aggiornamento dei criteri e dei metodi per il conseguimento del risparmio idrico attraverso il 
mantenimento e il recupero delle capacit� d�invaso e il riutilizzo delle acque reflue; il monitoraggio dei 
documenti di pianificazione in materia di tutela delle acque e di gestione integrata delle risorse idriche 
e verifica della congruenza con gli esistenti strumenti di pianificazione. 
(53) Il riferimento � alle autorizzazioni in materia di immersioni e scarichi in mare, nonch� in 
materia di movimentazione dei fondali marini.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 269 
meno soffermarsi sui tratti essenziali del dibattito che si � sviluppato intorno 
al Servizio idrico integrato prendendo le mosse dall'evoluzione della disciplina 
normativa (54). 
Al riguardo, deve essere richiamato l'art. 150 (55) del d.lgs. n. 152 del 
2006 dove, previa graduazione tra i modelli di gestione previsti nell'art. 113 
del Testo Unico delle leggi sull�ordinamento degli enti locali (d.lgs. 18 agosto 
2000, n. 267), si afferma la preferenza per l�affidamento del servizio in concessione 
a societ� di capitali. 
La richiamata norma del Testo unico degli enti locali, riferita ai modelli 
di gestione dei servizi pubblici �di rilevanza economica�, tra i quali � compreso 
il servizio idrico, originariamente contemplava la possibilit� per le amministrazioni 
locali di scegliere tra diverse forme di gestione e, pi� precisamente, 
tra la gestione in economia, la concessione a terzi e l'affidamento diretto ad 
azienda speciale o a societ� per azioni a prevalente capitale pubblico. 
Tuttavia, sin dal 2001, la gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza 
economica inizi� ad essere guidata da logiche imprenditoriali tanto che, come 
si vedr�, il legislatore nel 2008 giunse ad imporne l'esternalizzazione, salvo 
alcune eccezioni. 
Questo percorso prese avvio con quelle norme (56) che imposero agli 
Enti locali di trasformare le aziende speciali in societ� di capitale e a scorporare 
la gestione del servizio da quella delle reti e le infrastrutture, a cui hanno 
fatto seguito una serie di norme via via sempre pi� orientate ad imporre l�esternalizzazione 
del servizio. 
Infatti, il d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 
2003, n. 326, modificava nuovamente il richiamato art. 113 del Testo 
Unico, contraendo i modelli gestori a sole tre tipologie (57). 
Ancora, in riferimento a tutti i servizi pubblici a rilevanza economica, a 
(54) Sull�evoluzione della disciplina dei servizi idrici integrati, si veda J. BERCELLI, Servizi idrici, 
in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, VI 5513 ss; A. MASSARUTO, Privati 
dell�acqua? Tra bene comune e mercato, Bologna, 2011, 50 ss; P. RUBINO, I Servizi idrici: una riforma 
incompiuta, in L�eccezione e la regola, Tariffe, contratti e infrastrutture, a cura di Biancardi, Bologna, 
2009, 485 ss. 
(55) Il comma 3 dell'art. 150 prevede che �La gestione pu� essere altres� affidata a societ� partecipate 
esclusivamente e direttamente da comuni o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, 
qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche, secondo la previsione del comma 5, 
lettera c), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o a societ� solo parzialmente 
partecipate da tali enti, secondo la previsione del comma 5, lettera b), dell'articolo 113 del decreto legislativo 
18 agosto 2000, n. 267, purch� il socio privato sia stato scelto, prima dell'affidamento, con gara 
da espletarsi con le modalit� di cui al comma 2�. 
(56) Si veda al riguardo, l�art. 35, cc. 8 e 9, legge 28 dicembre 2001, n. 448. 
(57) Concessione a societ� di capitali scelta attraverso procedura concorsuale (lett. a); societ� 
mista pubblica-privata, con scelta del socio privato attraverso gara (lett. b); societ� in house - societ� a 
totale capitale pubblico, che nella sua ragione sociale abbia lo svolgimento prevalente delle sue attivit� 
a favore degli enti pubblici soci.
270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
breve distanza di tempo, intervenne l'art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112 
(58), che impose agli enti locali la scelta tra due soli modelli gestori: la concessione 
a imprese individuate con procedura concorsuale, oppure l�affidamento 
a societ� miste, previo svolgimento della gara per la scelta del socio 
privato. L'in house providing divenne, invece, una soluzione recessiva. 
Tuttavia, in riferimento al SII, il legislatore aveva lasciato aperta la via 
della gestione diretta da attuarsi attraverso l�apparato organizzativo dello stesso 
soggetto pubblico, secondo quanto previsto nel Regolamento di attuazione 
dell'art. 23 bis (59). 
Tuttavia, � innegabile che con l'art. 23 bis si era introdotta la �regola� generale 
dell�affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica in 
favore di imprenditori privati, con evidenti ricadute negative sul potere degli 
enti locali di scegliere liberamente le forme di gestione ritenute pi� idonee. 
Ne � conseguita una lunga serie di ricorsi proposti da diverse Regioni davanti 
alla Corte Costituzionale aventi ad oggetto proprio la dichiarazione di 
incostituzionalit� dell�art. 23 bis per violazione del riparto di competenza legislativa 
in quanto si riteneva che la detta norma disciplinasse profili normativi 
che secondo il riparto di competenza legislativa delineato dall'art. 117 Cost., 
cos� come rimodulato a seguito della gi� richiamata riforma del titolo V, sarebbero 
dovuti appartenere alla competenza legislativa residuale delle regioni: 
la materia dei servizi pubblici non risulta, infatti, contenuta nell'elenco di materie 
spettanti alla competenza esclusiva statale e non rientra nemmeno in 
quello relativo alla potest� residuale delle regioni. 
Tuttavia, la Suprema Corte, con la sentenza n. 325/10 ne ha dichiarato la 
piena legittimit� costituzionale di questa norma riconoscendo al legislatore 
statale la possibilit� di vietare �di regola� la gestione diretta dei servizi pubblici 
a rilevanza economica in nome del principio di tutela della concorrenza. 
Il Giudice delle Leggi ha considerato, infatti, pro concorrenza anche quelle 
norme poste a presidio della concorrenza per il mercato, ovvero quelle misure 
(58) Questo articolo � stato convertito nella legge di conversione 6 agosto 2008, n. 113, poi modificato 
dall�art. 15 d.l. 25 settembre 2009, n. 135, convertito con modificazioni nella legge 20 novembre 
2009, n. 166. 
(59) L'art. 4 del D.P.R. ammetteva l'affidamento in deroga alle modalit� ordinarie previa dimostrazione 
della sussistenza di situazioni eccezionali che non consentivano un efficace ed utile ricorso al 
mercato, peraltro da motivare in base ad un'analisi di mercato che in materia di SII risultava alleggerita 
dal pi� snello regime probatorio. Ad esempio non era richiesta l'indagine di mercato e non era richiesta 
la dimostrazione di una prova negativa circa la non sussistenza di condizioni di mercato che consentivano 
la �liberalizzazione�, e poi perch� fornisce i criteri su cui fondare la dimostrazione delle condizioni di 
efficienza che stanno alla base della richiesta di deroga inoltrata dall'Ente pubblico. L'ente avrebbe dovuto 
comunque dimostrare che la gestione in house non era distorsiva della concorrenza e che non era 
svantaggiosa per i cittadini rispetto a modalit� alternative di gestione. In un certo qual modo, il legislatore 
limita quindi anche la discrezionalit� dell'Autorit� garante che autorizza la deroga, circoscrivendo l'ambito 
di verifica alla sussistenza di alcuni parametri fissati dallo stesso legislatore, in particolare: Al riguardo, 
si veda, M. A. SANDULLI, Il Servizio idrico integrato, in www.federalismi.it.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 271 
indirette volte a porre le premesse per l'applicazione di quell'altra serie di regole 
relative all'affidamento mediante gara (concorrenza nel mercato) (60). 
L'acceso dibattito (61) che si � sviluppato intorno all'art. 23 bis ha portato 
all'indizione di un referendum popolare che ha determinato l'abrogazione del 
detto articolo (62) oltre che del comma 2, dell�art. 150 del Codice dell'ambiente, 
nella parte in cui individua la competenza dell'Autorit� d'ambito per 
l'affidamento e l'aggiudicazione (63), nonch� dell'art. 154. 
Il legislatore, tenendo conto dell'esito referendario ha novellato la disciplina 
in materia di servizi pubblici locali dettando, con l�art. 4 del d.l. n. 138 
del 2011 (conv. dalla l. n. 148 del 2011) modificato dall�art. 9 dalla l. n. 183 
del 2011 e dall�art. 25 del d.l. n. 1 del 2012, successivamente convertito in 
legge n. 27/2012, una disciplina di carattere generale che ha sostanzialmente 
riproposto i contenuti dell'abrogato art. 23-bis e, soprattutto, dal d.p.r. n. 
168/2010 (Regolamento attuativo), facendo cos� �rivivere� norme che erano 
state abrogate con il predetto referendum anche se il servizio idrico integrato 
era stato escluso (fatte salve alcune disposizioni che qui non rilevano) dall�ambito 
di applicazione della �nuova� disciplina dei SPL recata dalla predetta 
disciplina. Tuttavia, a seguito di ulteriori impugnazione da parte di diverse 
Regioni anche delle predette norme, la Corte costituzionale con sentenza n. 
199/2012 ha dichiarato l�illegittimit� costituzionale della richiamata disciplina 
in quanto ha riscontrato la sostanziale reiterazione della disciplina abrogata 
con il referendum del 12 e 13 giugno 2011, e ci� a prescindere dal fatto che la 
predetta disciplina avesse escluso il servizio idrico integrato. 
Ad ogni buon conto, bisogna tenere conto che questo servizio � ancora 
costruito dalla normativa statale come un servizio pubblico a rilevanza economica, 
considerata la vigenza del 1� comma dell�art. 154 del Codice dell�Ambiente 
ove � ancora stabilito che �La tariffa costituisce il corrispettivo 
del servizio idrico integrato� e che �tutte le quote della tariffa � hanno natura 
di corrispettivo�. 
(60) Si veda al riguardo, M. A. SANDULLI, Il paternariato pubblico privato istituzionalizzato nell'evoluzione 
normativa, in www.federalismi.it. 
(61) Al riguardo si sono sviluppati due diversi orientamenti caratterizzati non solo dal diverso atteggiarsi 
dello Stato rispetto all'intervento diretto nel campo della produzione di beni e servizi, ma anche 
dal diverso rapporto tra amministrazione e amministrati sotteso ai due differenti profili ricostruttivi, 
giacch� al binomio amministrazione-cittadino, tipico delle gestioni in mano pubblica, si sostituisce 
quello imprenditore-utente delle gestioni affidate alla sfera del privato. 
(62) La disciplina generale dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica, contenuta nell�art. 
23-bis del d.l. n. 112 del 2008 (conv. dalla l. n. 133/2008) modif. dall�art. 15 del d.l. n. 135 del 
2009 (conv. dalla l. n. 166/2009), � stata abrogata (con il d.p.r. n. 113/2011) a seguito del referendum 
popolare svoltosi il 12 e 13 giugno 2011. In via derivata, risulta, altres�, abrogato il d.p.r. n. 168 del 
2010, che costituiva il regolamento di attuazione del citato art. 23-bis. 
(63) A norma dell'articolo 12, comma 1, lettera b), del D.P.R. 7 settembre 2010, n. 168, il presente 
comma deve intendersi abrogato, ad eccezione della parte in cui individua la competenza dell'Autorit� 
d'ambito per l'affidamento e l'aggiudicazione.
272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Si tratta, infatti, di un servizio che, cos� come prescrive la disciplina comunitaria, 
deve comunque assicurare la copertura dei costi di gestione e degli 
investimenti necessari all�ammodernamento delle reti al fine della conservazione 
della risorsa idrica e, quindi, i relativi affidamenti devono rispettare 
quantomeno le norme generali in materia di affidamenti statuite a livello comunitario. 
Anche se occorre osservare che la prescrizione comunitaria non deve essere 
declinata nell�obbligo di esternalizzare il servizio e, tantomeno, nell�obbligo di 
conseguire profitti dalla gestione del servizio (65): del resto, tutte le amministrazioni 
pubbliche devono tendere al pareggio di bilancio e non per questo pu� 
affermarsi che si tratta di soggetti che svolgono attivit� a rilevanza economica. 
Infatti, non sussistano ostacoli alla gestione totalmente pubblica di questo 
servizio n� a livello nazionale n� a livello comunitario (66) e ci� sia in forza 
del Codice dell'Ambiente che della vigente disciplina comunitaria (67). 
A tale riguardo, preme, infatti, osservare che le fonti comunitarie non esigono 
n� promuovono la concorrenza per il mercato e neppure dettano norme 
intese a promuovere tale rinuncia (68). 
Il diritto comunitario non limita cio� la possibilit� per l'ente pubblico di 
svolgere attivit� economiche per mezzo di un'organizzazione propria, pertanto, 
il generalizzato divieto per l'ente locale di fornire i servizi pubblici economici 
per mezzo dell'organizzazione propria �, solo ed esclusivamente, il prodotto 
di una scelta del legislatore nazionale, una scelta di carattere politico dettata 
dallo sfavore per l'ente locale come operatore economico. 
Questa interpretazione trova, peraltro, supporto anche nella giurisprudenza 
della Corte di Giustizia pronunciata in tema di �in house providing� 
con la quale si chiarisce che il principio di concorrenza deve essere osservato 
esclusivamente quando un servizio deve essere esternalizzato (69). 
Ad ogni modo, il dibattito sulle forme di gestione del Servizio idrico integrato 
non si � ancora sopito ed ancora oggi vede divisi coloro che tendono 
(65) Cfr., F. TRIMARCHI BANFI, La gestione dei servizi pubblici locali e la tutela della concorrenza, 
in www.astrid-online.it. 
(66) F. TRIMARCHI BANFI, La gestione dei servizi pubblici locali e la tutela della concorrenza, cit. 
(67) Infatti, bisogna tenere conto che questo servizio � ancora costruito dalla normativa statale 
come un servizio pubblico a rilevanza economica considerata la vigenza del 1� comma dell�art. 154 del 
Codice dell�Ambiente ove � ancora stabilito che �La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico 
integrato� e che �tutte le quote della tariffa � hanno natura di corrispettivo�. 
Si tratta, infatti, di un servizio che, ancora oggi, deve assicurare la copertura dei costi di gestione e degli 
investimenti necessari all�ammodernamento delle reti al fine della conservazione della risorsa idrica. 
(68) Si veda al riguardo F. TRIMARCHI BANFI, La gestione dei servizi pubblici locali e la tutela 
della concorrenza, cit., secondo cui l'apertura del mercato degli appalti o delle concessioni, infatti, � 
prescritta dal diritto comunitario quando l'amministrazione intende avvalersi dell'opera di terzi, ma non 
c'� alcun mercato che debba essere aperto se l'amministrazione si avvale dei mezzi propri. 
Questo principio, quindi, non esige che si crei un mercato del contratto, a scapito della libert� dell'ente 
pubblico di rendersi produttore del servizio.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 273 
a valorizzare la gestione pubblica dell'acqua (70), ritenendo che solo in questo 
modo potr� garantirsi il diritto fondamentale all'acqua, rispetto a quelli che ritengono 
necessaria l'esternalizzazione della gestione al fine di raggiungere una 
maggiore efficienza prodotta dalla concorrenza. 
Orbene, la breve illustrazione delle fibrillanti questioni che ruotano intorno 
al tema della gestione e dell'affidamento del servizio idrico, consente 
ora di soffermarsi sul quadro delle competenze amministrative, cos� come risulta 
delineato nella vigente disciplina. 
A tale riguardo, come gi� in parte si � messo in luce, anche in questo 
campo si registra lo stesso fenomeno che si � registrato in riferimento agli ambiti 
di cui ai punti precedenti e cio� l�attrazione verso lo Stato di quelle funzioni 
tradizionalmente spettanti agli enti locali. 
In punto di competenze amministrative l'art. 142 del Codice dell'ambiente 
riecheggia lo schema delineato nei richiamati artt. 61 e 75 del Codice; in esso 
si legge, infatti, che " � il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 
e del mare esercita le funzioni e i compiti spettanti allo Stato nelle materie disciplinate 
dalla presente sezione. Le regioni esercitano le funzioni e i compiti 
ad esse spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate 
(69) Una conferma in tal senso si rinviene nella sentenza della Corte di Giustizia nel caso C- 
231/07, punti 39-40 e 53 che, in riferimento all'art. 113, comma 5, relativo all'affidamento diretto della 
gestione dei servizi pubblici a societ� cd in house, ha affermato la legittimit� di questa disposizione. 
Ed ancora nella decisione, sempre della Corte di giustizia del 9 giugno 2009 relativa alla causa C-480/06 
che ha ammesso che �un�autorit� pubblica pu� adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti 
mediante propri strumenti senza essere obbligata a far ricorso ad entit� esterne non appartenenti 
ai propri servizi e che pu� farlo altres� in collaborazione con altre autorit� pubbliche anche 
considerato che il diritto comunitario non impone in alcun modo alle autorit� pubbliche di ricorrere ad 
una particolare forma giuridica per assicurare in comune le loro funzioni di servizio pubblico�. 
(70) Circa la qualificazione del diritto all'acqua come diritto fondamentale preme precisare che 
l'acqua non compare nel catalogo dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti dalla nostra carta 
costituzionale; che tale diritto non risulta enucleato in nessuna carta costituzionale europea e nemmeno 
nella pi� recente Carta dei diritti fondamentali europei, varata a Nizza e ora codificata nel Trattato di 
Lisbona; che la Corte Costituzionale qualifica l'acqua come diritto strumentale ad altri diritti. Nella sentenza 
n. 259 del 2006 l'acqua viene definita come risorsa da salvaguardare a tutela di altri diritti fondamentali 
come �la tutela del patrimonio ambientale�. Anche se bisogna sottolineare che certa dottrina, 
nel silenzio della Costituzione ricostruisce il diritto all'acqua facendo riferimento a quelle norme costituzionali, 
cos� dette a �fattispecie aperta�, tra cui l�art. 2 sui diritti inviolabili dell�uomo; l�art. 3 sulla 
dignit� sociale; l�art. 9 sulla tutela del paesaggio; l�art. 33 sulla tutela della salute come fondamentale 
diritto dell�individuo e interesse della collettivit�; (Frosini, Luciani, Staiano). A tale riguardo, occorre 
sottolineare che, proprio in riferimento al SII, il Consiglio di Stato con una sentenza non pi� recentissima, 
la n. 5501/09, ha affermato che l'utente-consumatore � legittimato ad agire anche nei confronti della 
pubblica amministrazione per vedere tutelato il proprio diritto fondamentale all'erogazione di servizi 
pubblici secondo determinati standard e qualit�. Ad ogni buon conto, se in Italia e nelle altre carte costituzionali 
europee non trova esplicito riconoscimento il diritto all'acqua come diritto fondamentale, al 
contrario tale diritto fondamentale � esplicitamente riconosciuto in alcune costituzioni dell'America Latina: 
Bolivia, Equador, Guatemala, Panama, Messico. Forse la ragione di questa scelta trova le sue 
ragioni nel fatto che la natura �fondamentale� di un diritto obbliga ad apprestare garanzie di effettivit� 
e di giustiziabilit�.
274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
e nel rispetto delle attribuzioni statali di cui al comma 1, ed in particolare 
provvedono a disciplinare il governo del rispettivo territorio. Gli enti locali, 
attraverso l'Autorit� d'ambito di cui all'articolo 148, comma 1, svolgono le 
funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma 
di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all'utenza, di affidamento 
della gestione e relativo controllo, secondo le disposizioni della parte 
terza del presente decreto�. 
Ma anche in questo caso i principi generali qui richiamati trovano riscontro 
nelle norme seguenti. 
A tale proposito � sufficiente richiamare l'art. 148 del Codice dove si attribuiva 
alle Autorit� d'ambito le competenze spettanti agli enti locali in materia 
di SII. 
In realt�, le Autorit� d'Ambito sono state soppresse (71), ma il richiamo 
a questi organismi � comunque utile per ricevere conferma del disegno centralista 
tratteggiato dal legislatore del Codice. Infatti, tali organismi erano strutture 
dotate di personalit� giuridica, costituite in ciascun ambito territoriale 
ottimale, alla quale gli enti locali dovevano partecipare obbligatoriamente (72) 
ed alle quali era stato trasferito l'esercizio delle competenze spettanti agli Enti 
locali in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione 
delle infrastrutture idriche di cui all'articolo 143, comma 1. A questi enti 
era demandata, tra l'altro, l'organizzazione, l'affidamento e il controllo della 
gestione del servizio idrico integrato nonch� l'esercizio delle funzioni di regolazione 
generale e di controllo. 
La ratio dell'art. 148 era, infatti, quella di rendere unitaria la gestione del 
SII, nell'ottica di garantire una maggiore efficienza (73). 
A seguito della soppressione delle dette Autorit� le relative funzioni sono 
transitate sul livello regionale e ci�, pur non comportando l�automatica riespansione 
dei poteri degli enti locali in materia di SII, potrebbe, tuttavia, riaprire 
la via ad una possibile, ancorch� ipotetica, riedizione dei poteri locali nel 
campo dei SII. 
In realt�, la novella normativa nulla dice circa i possibili soggetti a cui le 
Regioni potranno attribuire queste funzioni, ma ci� non esclude possibili soluzioni 
volte a valorizzare il livello territoriale anche attraverso forme di collaborazione 
tra enti locali e ci� a prescindere dal fatto che il detto servizio 
risulti tutt�ora ascritto nell�ambito dei servizi pubblici a rilevanza economica. 
Ad ogni buon conto, molte Regioni non hanno ancora provveduto al tra- 
(71) Le autorit� d'Ambito sono state soppresse dall'articolo 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 
2009, n. 191, come modificato dall'articolo 1, comma 1-quinquies, del D.L. 25 gennaio 2010, n. 2. 
(72) Con esclusione dei comuni con meno di 1000 abitanti ai sensi dell�art. 148, comma 5 del 
Codice dell�ambiente. 
(73) Si veda al riguardo Corte cost. n. 246/09.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 275 
sferimento delle funzioni e quelle che hanno provveduto, come nel caso della 
Regione Lombardia, le hanno attribuite alle Province, con esclusione dell'Ambito 
territoriale relativo alla citt� di Milano, per il quale tali funzioni sono attribuite 
allo stesso Comune di Milano (74). 
La soluzione di trasferire alle Province tali funzioni solleva qualche perplessit� 
innanzitutto per il progetto politico volto ad abolire il livello provinciale 
o comunque a rimodularlo secondo logiche territoriali che potrebbero 
non corrispondere a quelle sottese alla determinazione degli ambiti territoriali 
ottimali per la gestione delle risorse idriche, ferma restando la possibilit� di 
creare forme associative tra enti disciplinate da accordi sottoscritti ai sensi 
dell�art. 15 della l. 241/90. 
La giurisprudenza costituzionale non pare, infatti, escludere la possibilit� 
per le Regioni di spostare sugli Enti locali le funzioni amministrative ad esse 
attribuite con legge statale, salvo sempre il rispetto delle esigenze di gestione 
unitaria (75). 
5. I problemi legati all�esternalizzazione del Servizio idrico integrato: le funzioni 
di regolazione, di vigilanza, di controllo e di garanzia. 
Il progressivo processo di privatizzazione che ha interessato il settore dei 
SII ha fatto emergere un altro problema, che � quello afferente ai problemi di 
regolazione, di controllo e di vigilanza di un servizio pubblico essenziale, 
quale � quello in questione, sempre pi� destinato ad occupare nuovi spazi nel 
libero mercato. 
La riconosciuta rilevanza economica di questo servizio e il correlato favour 
per la sua esternalizzazione pongono infatti il problema di creare le condizioni 
di mercato per consentire il passaggio di questo servizio dal monopolio 
pubblico al mercato concorrenziale. 
Le funzioni di regolatore del mercato dei Servizi idrici integrati, nella originaria 
stesura del Codice dell'ambiente erano attribuiti ad un soggetto, ormai 
soppresso, rappresentato dal Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse 
idriche. A questo organo, che era stato istituito presso il Ministero dell�ambiente 
� succeduta la "Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse 
idriche�, istituita dalla Legge n. 77 del 24 giugno 2009 con le medesime funzioni 
del soppresso Comitato (76). 
(74) Si veda la legge regionale n. 26/2003 cos� come modificata a seguito della Legge nazionale 
che ha previsto la soppressione delle Ato. 
(75) Si veda al riguardo, P. CARETTI - G. TARLI BARBERI, cit., 231. In giurisprudenza Corte Cost. 
nn. 259/2004; 214/2005. 
(76) In realt�, il ruolo della Commissione, nonostante l�ampliamento delle funzioni rispetto a 
quelle assegnate al Comitato per la vigilanza sull�uso delle risorse idriche, rimase incentrato in quello 
di valutazione dei Piani d�ambito. A tale proposito si veda, M. ATELLI, La qualit� del servizio idrico integrato 
e la sua misurabilit�: il ruolo del Co.n.vi.Ri, in L�acqua, 2011, 2, 9 ss.
276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Anche questa Commissione � stata soppressa e ad essa � succeduta 
l'Agenzia per la regolazione e la vigilanza (77). Tale Organismo, tuttavia, non 
� mai entrata in funzione, ed a pochi mesi dalla sua istituzione le relative funzioni 
sono state trasferite alla Autorit� per l'energia ed il gas (78). 
Le predette funzioni ora, quindi, verranno esercitate da una Autorit� caratterizzata 
da forte indipendenza, sia sotto il profilo funzionale che sotto 
quello organizzativo, giacch� opera in piena autonomia e con indipendenza di 
giudizio nel quadro degli indirizzi di politica generale formulati dal Governo 
e dal Parlamento (79). 
L'Autorit�, tra l�altro, � autonoma anche finanziariamente, infatti, per 
legge le risorse per il suo funzionamento non provengono dal bilancio dello 
Stato ma da un contributo sui ricavi degli operatori regolati. 
Al fine di conoscere il completo fascio di funzioni che verranno attribuite 
all�Autorit�, occorrer� comunque attendere i Decreti attuativi che la Presidenza 
dei Ministri avrebbe dovuto emanare entro 90 giorni dall'entrata in vigore del 
predetto D.L. 201/2011. In realt�, al momento � stata emanata dal Consiglio 
dei Ministri solo una bozza Decreto da cui gi� emerge che le funzioni ad essa 
attribuite rispecchiano in gran parte quelle che l'art. 11, comma 14, del D.L. 
70/2011 aveva attribuito alla soppressa Agenzia (80). Si tratta di quelle fun- 
(77) L'Agenzia � stata istituita con il D.L. 13 maggio 2011, n. 70 il cui ruolo si caratterizzava per 
i forti poteri di regolamentazione e di vigilanza che, almeno sulla carta, gli erano stati attribuiti, tra cui 
la regolazione dei criteri tariffari - fino ad allora di competenza del ministero dell'Ambiente -, il potere 
di determinare gli standard di qualit� nell'erogazione dei servizi agli utenti nonch� il potere di stabilire 
l'indennizzo dovuto nei casi di violazione degli standard qualitativi definiti. 
Questi poteri, naturalmente, avevano arricchito il quadro dei poteri gi� esercitati dal soppresso ente, tra 
cui, la predisposizione del metodo tariffario, il potere prescrittivo e conformativo relativo ai piani d'ambito, 
il potere di predisporre le convenzioni tipo per l'affidamento del servizio, il potere di dettare direttive 
circa le regole di trasparenza da osservare nella elaborazione del quadro contabile, il potere di definire 
i livelli minimi di qualit� dei servizi, il potere di controllo delle modalit� di erogazione dei servizi e 
tutela e garanzia dei diritti degli utenti. 
In dottrina si veda. G. NAPOLITANO, L�agenzia per l�acqua, in Gior. Dir. Amm., 10, 2011, 1077 ss. 
(78) Il detto trasferimento � contemplato nell'ambito degli interventi di riduzione dei costi di funzionamento 
delle Autorit� indipendenti previsti dal decreto 6 dicembre 2011, n. 201, il c.d. �Decreto Monti�. 
(79) L'indipendenza e l'autonomia sono garantite, peraltro, anche dalle modalit� di nomina dei 
propri componenti, complessivamente cinque, nominati con decreto del Presidente della Repubblica 
con una procedura che prevede il parere vincolante, a maggioranza dei 2/3 dei membri delle Commissioni 
parlamentari competenti sui nomi proposti dal Ministro dello Sviluppo economico e approvati dal 
Consiglio dei ministri. Questa procedura garantisce un altissimo quorum di gradimento parlamentare, 
di fatto bipartisan. 
(80) L'Agenzia svolge, con indipendenza di valutazione e di giudizio, le seguenti funzioni: a) definisce 
i livelli minimi di qualit� del servizio, sentite le regioni, i gestori e le associazioni dei consumatori, 
e vigila sulle modalit� della sua erogazione, esercitando, allo scopo, poteri di acquisizione di documenti, 
accesso e ispezione, comminando, in caso di inosservanza, in tutto o in parte, dei propri provvedimenti, 
sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo ad euro 50.000 e non superiori nel massimo 
a euro 10.000.000 e, in caso di reiterazione delle violazioni, qualora ci� non comprometta la fruibilit� 
del servizio da parte degli utenti, proponendo al soggetto affidante la sospensione o la decadenza della 
concessione; determina altres� obblighi di indennizzo automatico in favore degli utenti in caso di viola-
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 277 
zioni attinenti alla predisposizione del metodo tariffario, alla predisposizione 
di convenzioni tipo regolanti i rapporti con i soggetti gestori e alla redazione 
delle direttive contenenti indicazioni volte a rendere trasparenti le gestioni. 
A tale compiti si affiancano, altres�, quelli di controllo, tra cui la verifica 
dell�adeguatezza degli investimenti programmati nei Piani d�ambito, la valutazione 
dei costi delle singole prestazioni, le modalit� di erogazione dei servizi e 
la verifica della sussistenza dell�equilibrio economico finanziario delle gestioni. 
L�autorit� � anche investita di compiti di garanzia nei confronti dei soggetti 
fruitori del servizio ed in tale direzione pu� adottare linee guida contenenti misure 
idonee ad assicurare la parit� di trattamento dei consumatori, la garanzia di 
continuit� della prestazione dei servizi, la qualit� e l�efficacia delle prestazioni, 
le azioni di risarcimento danni in caso di lesione degli interessi degli utenti. 
In tale direzione, sono previsti pregnanti poteri di regolazione, di controllo, 
di vigilanza e sanzionatori, peraltro, esercitati dall�Autorit� con gli stesi poteri ad 
essa conferiti dalla legge istitutiva della stessa, ovvero dalla legge n. 481/1995. 
Dalla lettura del predetto schema pu� quindi gi� rilevarsi l�incisivit� dei 
zione dei medesimi provvedimenti; b) predispone una o pi� convenzioni tipo di cui all'articolo 151 del 
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; c) definisce, tenuto conto della necessit� di recuperare i costi 
ambientali anche secondo il principio "chi inquina paga", le componenti di costo per la determinazione 
della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua; d) predispone il metodo tariffario 
per la determinazione, con riguardo a ciascuna delle quote in cui tale corrispettivo si articola, 
della tariffa del servizio idrico integrato, sulla base della valutazione dei costi e dei benefici dell'utilizzo 
delle risorse idriche e tenendo conto, in conformit� ai principi sanciti dalla normativa comunitaria, sia 
del costo finanziario della fornitura del servizio che dei relativi costi ambientali e delle risorse, affinch�' 
sia pienamente realizzato il principio del recupero dei costi ed il principio "chi inquina paga", e con 
esclusione di ogni onere derivante dal funzionamento dell'Agenzia; fissa, altres�, le relative modalit� di 
revisione periodica, vigilando sull'applicazione delle tariffe, e, nel caso di inutile decorso dei termini 
previsti dalla legge per l'adozione degli atti di definizione della tariffa da parte delle autorit� al riguardo 
competenti, come individuate dalla legislazione regionale in conformit� a linee guida approvate con decreto 
del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare previa intesa con la Conferenza 
unificata, provvede nell'esercizio del potere sostitutivo, su istanza delle amministrazioni o delle parti 
interessate, entro sessanta giorni, previa diffida all'autorit� competente ad adempiere entro il termine di 
venti giorni; e) approva le tariffe predisposte dalle autorit� competenti; f) verifica la corretta redazione 
del piano d'ambito, esprimendo osservazioni, rilievi e impartendo, a pena d'inefficacia, prescrizioni sugli 
elementi tecnici ed economici e sulla necessit� di modificare le clausole contrattuali e gli atti che regolano 
il rapporto tra le Autorit� d'ambito territoriale ottimale e i gestori del servizio idrico integrato; g) 
emana direttive per la trasparenza della contabilit� delle gestioni e valuta i costi delle singole prestazioni, 
definendo indici di valutazione anche su base comparativa della efficienza e della economicit� delle gestioni 
a fronte dei servizi resi; h) esprime pareri in materia di servizio idrico integrato su richiesta del 
Governo, delle regioni, degli enti locali, delle Autorit� d'ambito, dei gestori e delle associazioni dei consumatori, 
tutela i diritti degli utenti anche valutando reclami, istanze e segnalazioni in ordine al rispetto 
dei livelli qualitativi e tariffari da parte dei soggetti esercenti il servizio, nei confronti dei quali pu� intervenire 
con i provvedimenti di cui alla lettera a); i) pu� formulare proposte di revisione della disciplina 
vigente, segnalandone altres� i casi di grave inosservanza e di non corretta applicazione; l) predispone 
annualmente una relazione sull'attivit� svolta, con particolare riferimento allo stato e alle condizioni di 
erogazione dei servizi idrici e all'andamento delle entrate in applicazione dei meccanismi di autofinanziamento, 
che � trasmessa al Parlamento e al Governo entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello 
cui si riferisce.
278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
poteri esercitati dall�Autorit� nei confronti dei soggetti coinvolti nell�ambito 
della gestione della risorsa idrica, sia alla luce di quelli contenuti nello schema 
di Decreto, sia in considerazione dei recenti arresti giurisprudenziali che gi� 
avevano riconosciuto ampi poteri conformativi al soppresso soggetto regolatore. 
A tale proposito, una recentissima sentenza del Consiglio di Stato (81) 
ha dichiarato, infatti, legittimo un provvedimento adottato dall'allora operante 
Conviri con cui si imponeva ad un'Autorit� d'ambito territoriale ottimale 
(AA.TT.OO.) il recupero di somme indebitamente corrisposte al gestore del 
servizio idrico integrato per servizi accessori (82). 
Ed, ancora, un'altra sentenza dello stesso Giudice amministrativo (83), 
ha riconosciuto la competenza del soggetto regolatore a dettare le tariffe anche 
nei confronti di quelle gestioni estranee al sistema del SII, che sino ad ora applicavano 
il regime tariffario stabilito con delibera del CIPE (84). 
Non resta ora che attendere gli effetti delle azioni che verranno intraprese 
dall�Autorit� in questione. 
(81) Si veda al riguardo, Consiglio di Stato, sez. VI, 27 ottobre 2011, n. 5788, secondo cui � Non 
essendo le autorit� d'ambito qualificabili come organismi esponenziali delle autonomie locali, (...) ma 
essendo gli stessi muniti di personalit� giuridica distinta dagli enti locali compresi nel relativo territorio 
e titolari di autonomi rapporti giuridici senza l'intermediazione degli enti locali che ne fanno parte, 
l'incidenza degli atti del CO.VI.R.I., posti in essere nell'esercizio dei poteri di controllo e di vigilanza 
sull'operato delle Autorit� d'ambito, sul correlativo assetto regolatorio e tariffario non integra alcuna 
lesione n� delle autonomie locali collegate al principio rappresentativo n� delle competenze assegnate 
agli enti territoriali locali. (�) l'espressa previsione normativa della facolt� del CO.VI.R.I. di impartire 
prescrizioni "sulla necessit� di modificare le clausole contrattuali e gli atti che regolano il rapporto tra 
le Autorit� d'ambito e i gestori in particolare quando ci� sia richiesto dalle ragionevoli esigenze degli 
utenti", vale a legittimare appieno, sotto un profilo di legalit�/tipicit�/nominativit� dei provvedimenti 
amministrativi, il contenuto dispositivo della gravata delibera, contenente l'ordine, rivolto all'A.A.T.O. 
n. 3 Medio Valdarno, di recuperare la somma in via transattiva riconosciuta a Publiacqua s.p.a..(�). 
Tale prescrizione comporta per necessit� logico-giuridica la revisione del piano nella parte in cui prevedeva 
l'aumento della tariffa in misura rispondente al correlativo importo, senza che vi si possa scorgere 
un'illegittima e non consentita ingerenza dell'autorit� di controllo/vigilanza nella predisposizione 
del piano d'ambito�. 
(82) Il Giudice di secondo grado, prendendo le mosse da quella previsione normativa che riconosceva 
al Conviri il potere di esercitare la vigilanza anche sulle clausole contrattuali che regolano i rapporti 
fra affidatario del servizio e gestore ha ritenuto ingiustificabile l�attribuzione a favore del gestore di un 
importo che poi sarebbe stato recuperato attraverso le tariffe da applicare all'utenza, poich� detto vantaggio 
patrimoniale rappresentava un margine di guadagno eccedente il corrispettivo del servizio, cos� 
come doveva essere determinato secondo il con il c.d. metodo normalizzato. 
(83) Al riguardo, si veda, Tar Lazio con sentenza sez. I 14 febbraio 2012 n. 1437. 
(84) Tra le tante novit� introdotte dal c.d. �Decreto Sviluppo�, ossia il D.L. 13 maggio 2011 n. 70 
Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 13 
maggio 2011, n. 110), ve ne � una passata in secondo piano ma di notevole importanza per il settore 
idrico. L�articolo 10 infatti, che ricordiamo dovrebbe contenere disposizioni riguardanti i servizi ai cittadini, 
dopo aver istituito l�Agenzia nazionale per i servizi idrici (commi dall�11 al 27), stabilisce al 
comma 28 la cessazione del regime transitorio (nelle more dell�applicazione del Metodo Normalizzato 
previsto nel Decreto 1 agosto 1996) per la determinazione delle tariffe idriche con specifiche deliberazioni 
CIPE.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 279 
6. Le competenze delle Regioni e degli Enti locali. 
La disamina svolta ha posto in luce come moltissime funzioni risultano 
attribuite allo Stato, ma ci� non significa che le Regioni e gli Enti locali risultino 
privi di funzioni in materia delle risorse idriche. 
Alle Regioni sono demandati alcuni compiti di natura conoscitiva anche 
se limitatamente all�obbligo di rilevare e di aggiornare i dati relativi ai bacini 
idrografici, alle condizioni e ai tipi di corpi idrici, ai punti di prelievo delle 
acque superficiali e sotterranee nonch� allo stato qualitativo e quantitativo 
delle acque superficiali e sotterranee esistenti all�interno di ciascun Bacino 
idrografico al fine di trasmetterli al Ministero dell�ambiente. 
Alle Regioni sono riconosciute, peraltro, esigue funzioni anche in materia 
di pianificazione e di programmazione, con eccezione di quello inerente l'adozione 
del Piano di tutela delle acque (85) (art. 121) e di perimetrazione delle 
aree a rischio idrogeologico (86). 
A tali compiti si affiancano, tuttavia, quelli esercitati in via diretta o su 
delega statale, tra cui quelli inerenti la progettazione, la realizzazione e la gestione 
delle pi� importanti opere idrauliche nonch� quello di adozione del 
Piano regionale di gestione, del Piano stralcio per la tutela del rischio idrogeologico 
(87), del Piano Regionale per l'adeguamento delle infrastrutture (88) 
e del Piano di gestione da rischio alluvioni ed, ancora, in materia di tutela 
quantitativa e qualitativa della risorsa idrica, del Piano di tutela acque (art. 
121 Codice ambiente) oltre che del Piano gestione acque (89). A tali compiti 
(85) Tale strumento programmatorio contiene una serie di elementi, tra i quali, i risultati dell�attivit� 
conoscitiva, l�individuazione degli obiettivi di qualit� dell�acqua, l�elenco dei corpi idrici a specifica 
destinazione o comunque richiedenti una tutela particolare, le misure di tutela, l�indicazione delle 
cadenze temporali degli interventi e delle priorit�, gli interventi di bonifica. Ed ancora, con questo provvedimento 
le Regioni esercitano funzioni conoscitive, attuative e collaborative relative alla navigazione 
interna e alla realizzazione di dighe e sbarramenti non superiori ad una certa dimensione. 
(86) L'apposizione del vincolo idrogeologico si giustifica laddove si rende necessario salvaguardare 
da una utilizzazione inappropriata una certa porzione di territorio con il rischio di perdita di stabilit� 
dei terreni o di compromissione del regime delle acque, pertanto determinate utilizzazioni dei suoli vengono 
assoggettate ad autorizzazioni e prescrizioni ai sensi del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267. A questa 
funzione si aggiunge il fascio di competenze conoscitive, attuative e collaborative riconosciute nell'ambito 
dei distretti idrografici nonch� le competenze in materia di navigazione interna, di dighe e di sbarramenti 
di altezza non superiore ai 15 metri e con capacit� di invaso non superiore ai 1.000.000 di metri 
cubi nonch� i poteri di polizia idraulica per la parte di propria competenza. 
(87) Ai sensi dell'art. 68 del Codice dell'ambiente i Piani stralcio �contengano in particolare l'individuazione 
delle aree a rischio idrogeologico, la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di 
salvaguardia e la determinazione delle misure medesime oltre che individuare le infrastrutture e i manufatti 
che determinano il rischio idrogeologico�. 
(88) Il riferimento � al Piano previsto dal comma 6 dell'art. 86 del Codice dell'ambiente. 
(89) Il Piano di Gestione, previsto dalla Direttiva quadro sulle Acque (Direttiva 2000/60/CE) rappresenta 
lo strumento operativo attraverso il quale si devono pianificare, attuare e monitorare le misure 
per la protezione, il risanamento e il miglioramento dei corpi idrici superficiali e sotterranei e agevolare 
un utilizzo sostenibile delle risorse idriche.
280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
si aggiungono, altres� importanti funzioni di amministrazione attiva (90). 
Se, invece, si sposta l'attenzione verso gli Enti locali si vedr� come anche 
a questi soggetti risultino attribuite diverse competenze, di cui, tuttavia, risulta 
difficile procedere ad una loro elencazione, poich� molte di esse sono determinate 
ed attribuite dalle Regioni nell'ambito delle competenze del sistema 
delle autonomie locali e, pertanto, risultano variabili da Regione a Regione. 
A tale proposito si pu�, comunque, dire che i compiti dei Comuni risultano 
limitati alle piccole opere idrauliche volte alla mitigazione del rischio 
idraulico. 
Alle Province sono, invece, attribuiti diversi compiti relativi alla tutela 
qualitativa della risorsa (91), alla tutela del suolo, in riferimento alla regimazione 
delle acque (92) e all�uso e sfruttamento delle risorse idriche (93). 
7. Il problema del coordinamento delle funzioni. 
L'aver richiamato le pi� significative tappe del processo evolutivo in materia 
di acqua nonch� le diverse funzioni amministrative su cui si articola il 
governo delle risorse idriche ha consentito di mettere in luce l'incessante affiorare 
di sempre nuovi interessi pubblici a cui il legislatore ha cercato di dare 
risposta con la complicata legislazione di cui gi� si � detto, ma soprattutto ha 
consentito di mettere in luce l'evoluzione della geografia dei poteri amministrativi 
che si rilevano in questo ambito normativo. 
Allo stesso modo ha consentito di evidenziare la centralit� del ruolo statale 
nella materia delle risorse idriche per l'interferenza di questa materia su 
materie di tipo trasversale, quali appunto sono l'ambiente e la concorrenza. 
Alla luce del riscontrato spiccato centralismo statale l�ulteriore problema 
(90) Quali sono quelli di polizia idraulica, concessioni di estrazione di materiale litoide dai corsi 
d'acqua; le concessioni di spiagge lacuali, superfici e pertinenze dei laghi, le concessioni di pertinenze 
idrauliche e di aree fluviali; esercitano la funzione di polizia delle acque; gestiscono il demanio idrico, 
nominano i regolatori per il riparto delle disponibilit� idriche. 
(91) Si tratta di autorizzazioni allo scarico nei corpi idrici superficiali delle acque reflue domestiche, 
industriali, urbane e di prima pioggia e relativi controlli (D.Lgs.152/2006 - Parte Terza art. 124 c. 
7); Autorizzazioni agli scarichi di acque reflue domestiche sul suolo e negli strati superficiali del sottosuolo 
provenienti da agglomerati con numero di A. E. pari o superiore a 50 e relativi controlli (D. 
Lgs.152/2006 - Parte Terza art. 124 c. 7); Autorizzazioni allo scarico nella stessa falda delle acque di 
infiltrazione di miniere o cave o delle acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile 
(D.Lgs.152/2006 Parte Terza art. 104 c.2). 
(92) Si tratta di autorizzazioni e pareri ai fini idraulici all�esecuzione di opere idrauliche (R.D. 
523/1904 capo VII art. 93-101); Autorizzazioni e pareri all�esecuzione di opere interessanti manufatti 
di bonifica e loro pertinenze (R.D. 368/1904 titolo VI); Realizzazione, gestione e manutenzione di opere, 
impianti ed attivit� inerenti alla difesa del suolo. 
(93) Si tratta di autorizzazioni alla ricerca di acque sotterranee ad uso diverso dal domestico (R.D. 
1775/1933 artt. 94 e 95); Riconoscimento del diritto ad utilizzare e derivare acque sotterranee per una 
portata inferiore o uguale a 20 l/s (R.D. 1775/1933 art. 2 lett. C); Concessioni di derivazione di acqua 
pubblica (R.D. 1775/1933 art. 7 - DPR 238/99 art.1 c. 4 -); Licenze di attingimento di acqua pubblica a 
mezzo pompe mobili e semimobili da acque superficiali (R.D. 1775/1933 art 56).
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 281 
che si pone � quello di come garantire le prerogative delle Regioni e degli Enti 
locali in materia di risorse idriche, considerato che in questo campo il ruolo 
di questi soggetti pu� trovare garanzia solo attraverso forme di cooperazione 
tra i diversi livelli istituzionali che, sia sul piano legislativo che su quello amministrativo, 
fanno leva sul principio di �leale collaborazione�. 
Pertanto, se da un lato � possibile che, in presenza di esigenze di unitariet�, 
possa operare la c.d. �chiamata in sussidiariet��, dall'altro � necessario 
che il livello statale osservi il detto principio di �leale cooperazione�. 
Tuttavia, proprio l'assenza di enumerazione delle competenze attribuite 
ai diversi enti sin da subito ha fatto intendere ci� che poi si � verificato, ovvero 
il fiorire di numerosi contenziosi aventi ad oggetto il ritaglio delle varie competenze 
amministrative tra i diversi livelli di governo per la violazione del 
detto principio. 
Ci� � accaduto in riferimento al riparto delle funzioni pianificatorie e programmatorie, 
dove poco spazio � stato riconosciuto alle Regioni anche laddove 
formalmente risultino titolari del detto potere. 
Ad esempio, le Regioni hanno competenza ad approvare il Piano di Tutela 
delle acque, tuttavia il procedimento di adozione � subordinato al parere vincolante 
dell�Autorit� di Bacino. 
Ora, se si guarda alla compagine organizzativa di questo Organismo � facile 
rilevare come i suoi componenti risultino di prevalente derivazione ministeriale 
(94). Questa circostanza impedisce, evidentemente, la piena emersione 
delle istanze regionali e in definitiva decreta l'assoggettamento anche di questo 
Piano al potere statale. 
Il ruolo pianificatorio delle Regioni risulta sfumato non solo in riferimento 
al Piano di tutela delle acque, ma anche sotto altri e diversi aspetti e 
ci� emerge chiaramente se si confronta l'assetto dei poteri disegnato dal Codice 
dell�ambiente rispetto a quello che era stato disegnato dal d.lgs. 112/98. 
L�art. 52 del d.lgs. n. 112 del 1998 prevedeva, infatti, che l'identificazione 
delle linee fondamentali dell'assetto del territorio con riferimento alla difesa 
(94) Gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle Autorit� di bacino vengono adottati 
in sede di Conferenza istituzionale permanente presieduta e convocata, anche su proposta delle 
amministrazioni partecipanti, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare su richiesta 
del Segretario generale, che vi partecipa senza diritto di voto. Alla Conferenza istituzionale 
permanente partecipano i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture 
e dei trasporti, delle attivit� produttive, delle politiche agricole e forestali, per la funzione 
pubblica, per i beni e le attivit� culturali o i Sottosegretari dai medesimi delegati, nonch� i Presidenti 
delle regioni e delle province autonome il cui territorio � interessato dal distretto idrografico o gli Assessori 
dai medesimi delegati, oltre al delegato del Dipartimento della protezione civile. Alle conferenze 
istituzionali permanenti del distretto idrografico della Sardegna e del distretto idrografico della 
Sicilia partecipano, oltre ai Presidenti delle rispettive regioni, altri due rappresentanti per ciascuna 
delle predette regioni, nominati dai Presidenti regionali. La conferenza istituzionale permanente delibera 
a maggioranza. Gli atti di pianificazione tengono conto delle risorse finanziarie previste a legislazione 
vigente.
282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
del suolo, pur rientrando tra i compiti di rilievo nazionale, dovesse avvenire 
�attraverso intese nella Conferenza unificata� (95). 
Per contro, l'art. 57 del Codice dell'ambiente prevede che nel settore della 
difesa del suolo e della lotta alla desertificazione, tali atti sono approvati dal 
Presidente del Consiglio dei Ministri e i principi in esso contenuti sono definiti 
sentita la Conferenza Stato-Regioni (96). 
In sintesi, � stata prevista una forma di confronto pi� debole determinata 
dalla estromissione della Conferenza Stato-Citta da tale tipo di confronto interistituzionale. 
Tra l�altro, il Giudice delle leggi, a seguito dell'impugnazione del richiamato 
art. 57, ha ritenuto che il parere espresso dalla Conferenza Stato-Regioni 
sui principi degli atti di indirizzo e coordinamento fosse sufficiente ad assicurare 
il coinvolgimento delle Regioni. 
Ancora, il d.lgs. n. 112 del 1998, aveva operato il generale trasferimento 
alle Regioni di tutte quelle funzioni relative �alla progettazione, realizzazione 
e gestione delle opere idrauliche di qualsiasi natura� (art. 89, comma 1, lettera 
a), �ai compiti di polizia idraulica e di pronto intervento� (art. 89, comma 1, 
lettera c) e �alla polizia delle acque� (art. 89, comma 1, lettera g). 
Una generalizzata devoluzione che non ha trovato poi riscontro nell'art. 
61, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 dove si stabilisce che le Regioni �per 
(95) La Conferenza Unificata � stata istituita dal d. lgs. 28 agosto 1997, n. 281, che ne ha definito 
anche la composizione, i compiti e le modalit� organizzative ed operative (articoli 8 e 9 del decreto 
legislativo 28 agosto 1997, n. 281). La Conferenza Unificata, sede congiunta della Conferenza 
Stato-Regioni e della Conferenza Stato-Citt� ed autonomie locali, opera al fine di: favorire la cooperazione 
tra l'attivit� dello Stato e il sistema delle autonomie; esaminare le materie e i compiti di comune 
interesse. � competente in tutti casi in cui Regioni, Province, Comuni e Comunit� montane, 
ovvero la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-Citt� ed autonomie locali sono chiamate 
ad esprimersi su un medesimo oggetto (art. 9, comma 2, del d.lgs. 281/1997). Questa risulta dalla 
unione della Conferenza Stato Regioni e dalla Conferenza Stato Citt� e costituisce, quindi, la principale 
sede di rappresentanza unitaria delle regioni e degli enti locali presso il centro. Le competenze 
della conferenza unificata sono di tipo analogo a quelle delle due conferenze che ne sono parte. Essa 
promuove e sancisce intese ed accordi; esprime pareri; designa rappresentanti negli organismi competenti 
in materie di interesse comune alle regioni, alle province, ai comuni e alle comunit� montane. 
La conferenza unificata, poi, interviene nel procedimento di adozione di importanti scelte politiche 
dello Stato. Per esempio, essa deve dare il suo parere sui pi� importanti atti di programmazione economica 
e finanziaria; deve essere consultata dal governo sulle linee generali delle politiche del personale 
pubblico locale e regionale. 
(96) La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome 
di Trento e Bolzano opera nell�ambito della comunit� nazionale per favorire la cooperazione tra l�attivit� 
dello Stato e quella delle Regioni e le Province Autonome, costituendo la "sede privilegiata" 
della negoziazione politica tra le Amministrazioni centrali e il sistema delle autonomie regionali. 
La conferenza Stato-Regioni: � la sede dove il Governo acquisisce l�avviso delle Regioni sui pi� importanti 
atti amministrativi e normativi di interesse regionale; persegue l�obiettivo di realizzare la 
leale collaborazione tra Amministrazioni centrale e regionali; si riunisce in una apposita sessione comunitaria 
per la trattazione di tutti gli aspetti della politica comunitaria che sono anche di interesse 
regionale e provinciale.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 283 
la parte di propria competenza, dispongono la redazione e provvedono all'approvazione 
e all'esecuzione dei progetti, degli interventi e delle opere da realizzare 
nei distretti idrografici, istituendo, ove occorra, gestioni comuni� 
(lettera d), e �provvedono, per la parte di propria competenza, all'organizzazione 
e al funzionamento del servizio di polizia idraulica ed a quelli per la gestione 
e la manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei 
beni� (lettera e). 
La Corte Costituzionale, che si � pronunciata su questa norma sempre a 
seguito di diversi ricorsi proposti dalle Regioni, ha precisato che la disposizione 
in discorso non produce alcun effetto lesivo sulle attribuzioni regionali. 
Nello stesso senso la Suprema Corte si � pronunciata in punto di funzioni 
conoscitive. 
Infatti, a seguito dell'impugnazione dell'art. 55, comma 2, del d.lgs. n. 
152 del 2006, con cui si deduceva la violazione del principio di leale collaborazione 
per il previsto accentramento in un soggetto statale del potere di 
scelta circa la costituzione e gestione di un unico sistema informativo nonch� 
l'obbligo del raccordo dei sistemi informativi regionali, senza coinvolgimento 
delle Regioni, il Giudice delle leggi, con sentenza Corte Cost. n. 
323/2009, ha affermato che la norma in questione appartiene ad un ambito 
materiale riservato alla competenza esclusiva statale, ai sensi dell�art. 117, 
secondo comma, lettera r), Cost. recante �Coordinamento informativo statistico 
e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale�. 
Pertanto, anche in questo caso si conclude ritenendo che la norma in 
questione non � lesiva delle prerogative regionali perch� statuisce esclusivamente 
un obbligo di coordinamento meramente informativo di per s� non 
idoneo a ledere sfere di autonomia costituzionalmente garantite (sentenza n. 
376 del 2003). 
Analoga situazione si registra in materia di Servizio Idrico Integrato giacch� 
il principio di tutela della concorrenza ha giustificato persino l'attrazione 
verso il livello statale delle scelte relative alle forme di gestione di questo particolare 
servizio pubblico. 
In questo senso, si pone, infatti la giurisprudenza della Corte Costituzionale 
pronunciata in riferimento all'art. 23 bis che, con la sentenza n. 325/10, � 
stato dichiarato legittimo in quanto di natura concorrenziale. 
Le argomentazioni su cui si fondano i ricorsi proposti presso il Giudice 
Costituzionale, come visto, hanno ad oggetto la riserva legislativa operata 
dallo Stato a proprio favore e a discapito di quella regionale. 
L'impianto centralista disegnato dal legislatore trova tuttavia qualche temperamento 
nello stesso sistema legislativo e in qualche paletto che di recente 
ha posto la Corte costituzionale. 
La centralizzazione statale risulta infatti bilanciata dalla previsione di 
strumenti di raccordo, quale la Conferenza Stato-Regioni, il cui ruolo consun-
284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
tivo consente alle Regioni di esprimere pareri in vari ambiti (97). Tale strumento 
procedimentale � stato, infatti, fortemente valorizzato da alcune pronunce 
della Corte Costituzionale con una serie di sentenze, tra cui la gi� 
segnalata sentenza n. 232/09. Questa decisione, che come visto, � stata pronunciata 
a seguito di molteplici ricorsi promossi da varie Regioni italiane volti 
a contestare i pregnanti poteri di pianificazione, programmazione e fissazione 
delle varie politiche da parte del governo e dei vari Ministeri coinvolti, afferma, 
infatti, che i poteri decisionali del centro sono soggetti al rispetto di 
principi di �legalit� procedurale�. 
In questa direzione si pongono anche altri dictum della Suprema Corte, 
ad esempio laddove ha ritenuto fondate le censure mosse contro la previsione 
dell'art. 57, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006, che attribuisce al 
Presidente del Consiglio dei Ministri l'approvazione del programma nazionale 
di intervento senza prevedere alcun coinvolgimento delle Regioni. Ebbene, in 
questo caso, tale norma � stata ritenuta in contrasto con il principio di leale 
collaborazione e con il D.lgs. n. 112 del 1998, che al riguardo prevedeva varie 
modalit� di coinvolgimento delle Regioni (98). 
La Corte ha ritenuto che il programma nazionale di intervento � un atto 
che, per l'ampiezza del proprio contenuto, � suscettibile di produrre significativi 
effetti indiretti anche nella materia del governo del territorio e che, quindi, 
� necessario il coinvolgimento delle Regioni nelle forme del parere, cos� come 
� previsto dall'art. 88, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998. 
Allo stesso modo, la lett a) del comma 3 dell'art. 58 � stato ritenuto in 
contrasto con gli artt. 117 e 118 e con il principio di leale collaborazione laddove 
la norma attribuisce al Ministro dell'ambiente funzioni di programmazione, 
finanziamento e controllo degli interventi in materia di difesa del suolo 
senza alcun coinvolgimento delle Regioni. 
Anche in questo caso, la Corte afferma che bench� gli interventi in tema 
di difesa del suolo appartengano a pieno titolo alla materia della tutela dell'ambiente, 
le generali funzioni di programmazione e finanziamento che l'art. 
58, comma 3, lettera a), assegna al Ministro dell'ambiente, sono tali da produrre 
effetti significativi sull'esercizio delle attribuzioni regionali in materia 
di governo del territorio. 
In altre parole, secondo la Corte, il legislatore statale nell�esercizio delle sue 
competenze esclusive collegate alla materia tutela dell�ambiente pu� prevedere 
certamente una centralizzazione, ma ci� esclude che gli enti di livello sotto or- 
(97) Secondo quanto dispone l'art. 59 del T. U. la Conferenza Stato-Regioni formula pareri, proposte 
ed osservazioni, anche ai fini dell'esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 
57, in ordine alle attivit� ed alle finalit� di cui alla presente sezione, ed ogni qualvolta ne � 
richiesta dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. 
(98) Si vedano gli artt. 86, comma 3, e 89, commi 1, lettera h) del detto Decreto legislativo n. 112/98. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 285 
dinato, in particolare le Regioni, possano essere esclusi dal processo decisionale. 
Lo spiccato centralismo che caratterizza questo ambito ha comunque superato 
il vaglio della Corte Costituzionale (99), considerata l�inclinazione del 
Supremo Consesso a giustificare l'attrazione verso lo Stato di un ampio fascio 
di poteri sulla scorta dell'esigenza di tutela unitaria sull�intero territorio. 
8. Conclusioni. 
L�analisi svolta ha consentito di mettere in luce alcuni punti critici della 
disciplina vigente in materia di acqua, rappresentati dalla forte presenza statale 
in tutti gli ambiti in cui l�acqua rileva, dalla spiccata frammentazione delle 
funzioni tra i diversi livelli di governo e dal relativo problema di coordinamento 
delle funzioni. 
Tuttavia, se l�emerso centralismo si giustifica ogniqualvolta le norme abbiano 
come obiettivo la tutela dell�ambiente, esso non pare giustificarsi in riferimento 
a quelle norme che tendono a far transitare verso il livello statale 
ambiti materiali tradizionalmente affidati al livello locale, come nel caso del 
Servizio Idrico Integrato, anche perch� le prerogative regionali e locali sostanzialmente 
si �giocano� sull�assetto delle competenze amministrative. 
Ad ogni buon conto, la pi� recente politica legislativa pare evidenziare 
una virata verso una maggiore valorizzazione del livello locale, quantomeno 
in riferimento alla gestione del SII, considerato l�attuato trasferimento in capo 
alle Regioni delle relative funzioni. 
Un altro passaggio di non poco momento � rappresentato dall�avvenuto 
trasferimento delle funzioni regolatorie e di vigilanza ad un soggetto estraneo 
alla compagine governativa. 
Lo Stato si spoglia, infatti, anche di questa importante e delicata funzione 
attribuendola all'Autorit� per l'energia e il gas, ad un soggetto, quindi, indipendente 
dai poteri statali e che, per di pi�, �sa fare il suo mestiere�, considerata 
l�alta specializzazione che pu� vantare in campo regolatorio, di vigilanza 
e di tutela dell'utente. 
Le particolari competenze di questa Autorit� e la sua ormai rodata capacit� 
di interloquire con le diverse realt� locali non potr� infatti che fornire un 
apporto essenziale ed imprescindibile nel processo di privatizzazione di questo 
settore in riferimento al quale � necessario accompagnare il passaggio dal monopolio 
pubblico, che ancora oggi si registra in questo settore, al mercato della 
concorrenza (100) garantendo al contempo sia la posizione dei nuovi ingressi 
nel mercato sia la tutela dei consumatori. 
In riferimento al processo di liberalizzazione del mercato, a prescindere 
(99) Si veda, Corte Cost. n. 232/2009. 
(100) Si veda al riguardo G.CANITANO, F. MONTAGNINO, P. PERUZZI, L'assetto dei gestori e la concorrenza 
nel servizio idrico integrato, in www.Dec.unich.it, Working paper, n. 2, 2008 .
286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
dalle diverse ideologie che sorreggono le diverse prospettive sottese al dibattito 
ancora in corso circa la privatizzazione di questo settore, preme sottolineare 
quanto affermato da certa dottrina, e cio� che l'efficienza gestionale di questo 
settore non si ottiene cambiando �la forma giuridica del gestore se poi tutto 
resta come prima� (101). Del resto � sufficiente scorrere i dati pubblicati dal 
Conviri per rendersi conto che ci sono eccellenti gestioni pubbliche e pessime 
gestioni private. 
Sembra, comunque, che i recentissimi interventi normativi consentano di 
intravedere l�avvio di una politica sull'acqua costruita intorno a capisaldi che 
risultano imprescindibili in qualsivoglia processo di privatizzazione, quale � 
anche quello dell'attribuzione delle funzioni regolatorie ad un'Autorit� indipendente 
(102). 
Pare infatti intravedersi il tramonto di scelte normative che si limitavano 
alla semplice allocazione delle funzioni verso il livello centrale ed anzi, al 
contrario, appare una certa tendenza a spogliare il centro di alcuni poteri in 
materia di acqua: alla soppressione del Conviri si affianca, infatti, anche la 
soppressione delle Ato e l'attribuzione alle Regioni delle relative competenze. 
Da ultimo, si vuole sottolineare come i problemi dell�acqua non ruotano 
solo intorno alle opzioni gestionali del Servizio idrico integrato, ma anche a 
tutte le questioni collegate alla sua tutela qualitativa e quantitativa. 
Non dovrebbe, infatti, sfuggire l�enorme incidenza degli usi agricoli e di 
quelli industriali in termini di consumi della risorsa e di effetti inquinanti, sui 
quali paradossalmente non pare soffermarsi l'attenzione degli �addetti ai lavori�. 
Una buona politica sulle risorse idriche non pu�, infatti, prescindere dall�interazione 
di strategie volte a risolvere i problemi dell�acqua a tutto tondo 
al fine di porre rimedio ai severi problemi di inquinamento, ai gravi problemi 
di approvvigionamento di acqua potabile e ai disastri ambientali dovuti all�assenza 
di pianificazione o all�incapacit� di far osservare le norme contenute 
negli stessi strumenti pianificatori. 
In altre parole, il descritto coacervo di norme �fa acqua da tutta le parti� e 
di ci� non pu� che essere responsabile l�apparato statale e, comunque, tutti gli 
enti e soggetti ad esso correlati, considerato che il potere di governo in quest�ambito 
materiale � allocato nella quasi sua totalit� in capo all�apparato statale. 
Non pu�, peraltro, sfuggire la necessit� di rimettere mano alla descritta 
articolazione delle competenze amministrative giacch� l'illustrato accentramento 
non ha dato i frutti sperati, n� in termini di efficienza amministrativa, 
(101) A. MASSARUTO, Privati dell'acqua? Tra bene comune e mercato, Bologna 2011. 
(102) Sui problemi regolatori, si veda, L. DANESI, M. PASSARELLI, P. PETRUZZI, Quale livello di 
regolazione per i servizi idrici? Uno schema di analisi sulla distribuzione verticale ed orizzontale delle 
funzioni di regolazione, in Mercato, concorrenza, regole, 2008, 389 ss.; G. NAPOLITANO, Per un�autorit� 
indipendente di regolazione dei servizi idrici, Roma. Fiderutility, 2010.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 287 
n� in termini di risultato, anche alla luce degli obiettivi contenuti nella disciplina 
comunitaria e in quella interna. 
In conclusione, deve comunque mettersi in luce che pare intravedersi l�avvio 
di una nuova strategia politica, quantomeno in riferimento alla gestione 
del Servizio idrico integrato anche se ci� non sar� sufficiente per uscire dalla 
situazione di impasse in cui verte l�ambito delle risorse idriche se, al contempo, 
non si proceder� al contestuale riassetto della governance delle risorse idriche 
al fine di ridefinire i ruoli di ciascun attore del sistema e di ridurre e/o eliminare 
la frammentazione e la sovrapposizione delle competenze che, come visto, ancora 
oggi non risultano ben ripartite tra i diversi livelli istituzionali. 
Del resto, questa esortazione si rinviene anche nel pi� volte citato schema 
di Decreto della Presidenza del Consiglio relativo alle funzioni di regolazione 
del servizio idrico integrato trasferite all'Autorit� per l'energia elettrica e il 
gas. Non rimane, dunque, che attendere le nuove elaborazioni normative per 
verificare se e in che misura tale monito verr� accolto dal legislatore statale.
288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Liberalizzazioni, ambiente ed energia 
Serena Oggianu* 
SOMMARIO: 1. Premessa � 2. La liberalizzazione del settore energetico � 3. Il servizio 
energetico quale servizio di interesse economico generale � 4.1. L�energia e l�ambiente: profili 
sostanziali � 4.2. L�energia e l�ambiente: profili processuali � 5. Il riparto di competenza tra 
Stato, Regioni ed enti locali nel settore dell�energia � 6. Conclusioni. 
1. Premessa. 
L�importanza delle tematiche energetiche nell�ambito del diritto comunitario 
pu� trarsi gi� dal rilievo che proprio all�origine della prima Comunit� 
europea, la Comunit� europea del carbone e dell�acciaio (CECA) (1), si � posta 
l�esigenza di �mettere l�intera produzione del carbone e dell�acciaio sotto una 
comune Alta Autorit� nel quadro di un�organizzazione alla quale possono aderire 
gli altri paesi europei�, secondo la nota dichiarazione resa da Robert Schuman, 
ministro degli esteri francese, il 9 maggio 1950. 
Nondimeno � solo con le modifiche recentemente apportate con il Trattato 
di Lisbona che l�energia � divenuta oggetto di uno specifico titolo (XXI), che 
si compone del solo art. 194 TFUE (Energia), in luogo delle misure previste 
nelle precedenti versioni del Trattato della Comunit� europea (2). 
Lo stretto legame tra energia ed ambiente � poi confermato nelle disposi- 
(*) Ricercatrice di diritto amministrativo, Universit� di Roma Tor Vergata, Facolt� di giurisprudenza. 
Assistente di studio, Giudice costituzionale dott. Aldo Carosi. 
Il presente scritto � la relazione tenuta dall�Autrice al Convegno su �Liberalizzare o regolamentare: 
il diritto amministrativo di fronte alla crisi�, Copanello, 29-30 giugno 2012 - in corso di 
pubblicazione nei relativi atti. 
(1) Il Trattato Ceca, firmato a Parigi il 18 aprile 1951 ed entrato in vigore il 25 luglio 1952 tra i 
sei Paesi firmatari (Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo) � stato lo strumento 
mediante il quale si � cercato di eliminare la forte conflittualit� tra Francia e Germania, dovuta allo sfruttamento 
dei giacimenti di carbone ed acciaio delle regioni della Saar e della Ruhr. 
(2) Nella sua versione originaria il Trattato istitutivo della Comunit� economica europea del 1957 
non conteneva alcun riferimento al settore energetico, che del resto era disciplinato dagli altri due trattati, 
quello sulla Ceca e quello sull�Euratom. Solo con le modifiche apportate dal Trattato di Maastricht del 
1992 all�art. 3 del trattato della Comunit� europea (che proprio a partire da Maastricht perde l�attributo 
di economica) viene previsto che per il perseguimento dei propri obiettivi la Comunit� adotti misure in 
materia di energia e si fa riferimento nella contigua e strumentale materia dello sviluppo delle reti transeuropee 
(art. 129 d TCE) . Con il Trattato di Amsterdam significativamente, ferma la disciplina ora richiamata, 
si opera un intervento additivo sotto il profilo procedurale. In particolare, in materia di 
ambiente all�art. 175 TCE si � prevista l�adozione all�unanimit� delle �misure aventi una sensibile incidenza 
sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell'approvvigionamento 
energetico del medesimo�, disposizione poi ripresa nell�attuale art. 192, par. 2 TFUE. 
Per un approfondimento del graduale percorso che ha condotto alla formazione del �diritto europeo dell�energia� 
M. MARLETTA, Energia. Integrazione europea e cooperazione internazionale, Torino, Giappichelli, 
2011, spec. pp. 55 ss.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 289 
zioni dedicate a quest�ultimo, in specie dall�art. 192, par. 2, rientrante nel titolo 
XX (Ambiente), ai sensi del quale in deroga alla procedura decisionale ordinaria, 
il Consiglio, deliberando all'unanimit� secondo una procedura legislativa 
speciale e previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico 
e sociale e del Comitato delle regioni, adotta misure aventi una sensibile 
incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla 
struttura generale dell'approvvigionamento energetico del medesimo (lett. c). 
Sul punto occorre notare, da un lato, che la scelta di una procedura pi� 
gravosa (unanimit�) rispetto all�ordinaria di cui all�art. 294 TFUE si pone 
come una condizione di salvaguardia delle scelte energetiche adottate da ciascuno 
Stato ed � dunque indice della volont� dell�Unione di limitare ad ipotesi 
pienamente condivise con gli Stati membri l�ingerenza per ragioni ambientali 
sulle scelte politiche nazionali in questo settore; dall�altro, che tale previsione 
va ben oltre l�integrazione delle esigenze connesse con le tematiche ambientali 
che l�Unione � chiamata ad operare nella definizione e nell'attuazione delle 
sue politiche e azioni, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo 
sostenibile, secondo la previsione di cui all�art. 11 TFUE. Del resto 
anche la contiguit� topografica tra i due titoli (XX, Ambiente e XXI Energia) 
esprime la stretta correlazione tra le due politiche. 
Per altro verso, nell�arco di tempo che va dall�istituzione delle Comunit� 
europee alla loro piena sostituzione da parte dell�Unione europea quale unico 
soggetto politico e giuridico (3), le esigenze proprie dell�energia e dell�ambiente 
si sono dovute misurare con i processi di liberalizzazione, che si fon- 
(3) Si noti che proprio questa coesistenza dell�elemento della politicit� con quello della giuridicit�, 
che connota l�Unione europea che si � affermata progressivamente con le modifiche apportate nel corso 
del tempo ai trattati istitutivi ed in modo pi� netto con il Trattato di Lisbona, ha determinato, sia pure su 
base volontaria, l�erosione della sovranit� degli Stati membri e ha consentito un�ingerenza variamente 
modulata in ragione delle materie ovvero delle singole questioni sul loro indirizzo politico. Il tema � 
vastissimo e nell�economia del presente contributo pu� solamente essere accennato. 
La dottrina, gi� a partire dal periodo liberale e in epoca fascista, ha approfondito il concetto di indirizzo 
politico, individuandone i caratteri distintivi nella libert� teleologica e nella atipicit� ed interrogandosi 
sulla sua distinguibilit� dai tre poteri dello Stato, legislativo, giurisdizionale ed esecutivo. Secondo una 
prima tesi, l�indirizzo politico doveva essere configurato come una mera innominata �attivit�� ed in tal 
senso V. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dell�indirizzo politico, in Studi Urbinati, 1939, 55 ss. Secondo 
altri si tratterebbe di un�autonoma funzione, con il conseguente problema di individuare poi l�organo 
che ne sarebbe titolare. Cos� C. MORTATI, L�ordinamento del governo nel nuovo diritto pubblico, 
Roma, 1931. La necessit� di affrontare funditus il concetto di indirizzo politico si � posta nuovamente 
a seguito dell�adozione della Costituzione repubblicana, in considerazione dell�autonomia e dell�immediata 
efficacia delle norme costituzionali, anche di quelle programmatiche. Per tutti V. CRISAFULLI, La 
Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952, 68 ss.; M. DOGLIANI, Interpretazione della 
Costituzione, Milano, 1982, 39 ss. Attualmente il tema dell�indirizzo politico, strettamente correlato alla 
sovranit� degli Stati nazionali, impone una nuova riflessione proprio in ragione dell�incidenza del�integrazione 
europea. Per le coordinate su tale profilo G. TESAURO, Sovranit� degli Stati e integrazione comunitaria, 
in Dir., un. Eu., 2006, 235. 
Per un approfondimento della funzione di indirizzo politico nell�ambito del diritto amministrativo per 
tutti E. PICOZZA, L�attivit� di indirizzo della pubblica amministrazione, Padova, Cedam, 1988.
290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
dano sul generale obiettivo contenuto gi� nell�originario Trattato di Roma, 
agli articoli sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato (4), di abolire progressivamente, 
nella prospettiva del mercato unico europeo, i monopoli e gli oligopoli 
di servizi pubblici, che si reggevano a livello nazionale sulla concessione di 
diritti speciali ed esclusivi. 
Pur essendo incerto il confine tra le due categorie di diritti (5), normalmente 
si � inteso per �diritto di esclusiva�, il diritto di svolgere al di fuori della concorrenza 
un�attivit� economica di tipo integrato (ad es. produzione, vettoriamento, 
trasporto, trasmissione, distribuzione e vendita dell�energia elettrica o 
del gas), anche se in pi� rari casi il diritto esclusivo � stato esteso ad attivit� tra 
loro conglomerate e non integrate (ad es. sistema I.R.I. S.p.a.) e viceversa in 
altri casi limitati a segmenti di attivit�. Per diritto speciale si intende comunemente 
un diritto di utilizzare le formule della dichiarazione di interesse, nonch� 
procedimenti ablatori, non necessariamente espropriativi, quanto al settore energetico, 
quali l�imposizione di servit� di elettrodotto, oleodotto, gasdotto, etc. 
Il mercato comune europeo dell�energia si � realizzato mediante la liberalizzazione 
dei singoli segmenti, caratterizzata per la gradualit� del relativo 
processo ed improntata al carattere ambivalente dell�energia quale res e quale 
opera (6), soprattutto in ragione di obiettivi come la sicurezza e la continuit� 
dell'approvvigionamento, capaci di fondare per il relativo bene una deroga alla 
libert� fondamentale di circolazione delle merci (Parte terza, Politiche della 
Comunit�, titolo I) e parimenti una connotazione di specialit� rispetto al principio 
di libera circolazione dei servizi, in base alla disciplina contenuta negli 
artt. 16 (7) e 86 (8) TCE (ora rispettivamente art. 14 e art. 106 TFUE (9)). 
(4) Il riferimento � alla Parte terza (Politica della Comunit�) del Trattato che istituisce una Comunit� 
economica europea, Capo I (Regole di concorrenza), sezione prima (regole applicabili alle imprese) 
specialmente art. 90 �gli Stati membri non emanano n� mantengono, nei confronti delle imprese 
pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme 
del presente trattato�, nonch� sezione terza (Aiuti concessi dagli Stati), artt. 92-94 TCee. 
(5) Anche la definizione contenuta nel codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006) all�art. 
207, comma 2, adottata in recepimento degli artt. 2 e 8 dir. n. 2004/17 e degli artt. 1 e 2, d.lgs. n. 158/1995 
e ai sensi della quale �Sono diritti speciali o esclusivi i diritti costituiti per legge, regolamento o in virt� 
di una concessione o altro provvedimento amministrativo avente l'effetto di riservare a uno o pi� soggetti 
l'esercizio di una attivit� di cui agli articoli da 208 a 213 [vale a dire le attivit� nei settori c.d. speciali, 
tra i quali proprio l�energetico] e di incidere sostanzialmente sulla capacit� di altri soggetti di esercitare 
tale attivit�� non sembra offrire indicazioni che chiariscano la distinzione tra le due categorie, poich� le 
tratta unitariamente definendone i profili attinenti alla fonte (costituzione per atto pubblico legislativo 
ovvero provvedimentale) e all�effetto (riserva di attivit� con l�esclusione o la limitazione della capacit� 
di altri soggetti). 
(6) Per un approfondimento di questa distinzione, che peraltro non sembra predicabile per gli altri 
servizi a rete (trasporti, telecomunicazioni), F. VETR�, Il servizio pubblico a rete. L'esempio paradigmatico 
dell'energia elettrica, Torino, Giappichelli, 2005. 
(7) Ai sensi dell�art. 16 Tce �in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico 
generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonch� del loro ruolo nella promozione della coe-
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 291 
2. La liberalizzazione del settore energetico. 
L'introduzione della concorrenza nel settore energetico, in ragione della 
competenza concorrente della Comunit� europea (ora Unione europea), si � 
realizzata attraverso lo strumento della direttiva in due tempi: dapprima il diritto 
comunitario � intervenuto per la realizzazione di un mercato dei prezzi e 
di un mercato delle reti; successivamente � stata adottata una disciplina organica 
dell'organizzazione e del funzionamento di un mercato comune. 
Quanto alle prime iniziative comunitarie di liberalizzazione occorre ricordare 
la direttiva 90/377/CEE del Consiglio del 29 giugno 1990 sulla trasparenza 
dei prezzi dell'energia elettrica e del gas, recepita nel nostro 
ordinamento con il d.m. 26 giugno 1992. Con questo primo intervento � stato 
fissato l'obiettivo della maggiore omogeneit� dei mercati degli Stati membri 
sotto il profilo delle tariffe e delle condizioni di vendita del prodotto energia. 
Le disposizioni della direttiva citata, pi� volte modificate, sono state infine rifuse 
nella direttiva 2008/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 
22 ottobre 2008, concernente una procedura comunitaria sulla trasparenza dei 
prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica. 
Hanno invece la finalit� di realizzare l'apertura del mercato, rendendo 
pi� agevole l'accesso alle reti, la direttiva 90/547/CEE del Consiglio del 29 
ottobre 1990 per l'energia elettrica e la direttiva 91/296/CEE del Consiglio del 
31 maggio 1991 per il gas, recepite rispettivamente con il d.m. 26 giugno 1992 
e con il d.m. 18 giugno 1994. 
Realizzano un primo intervento di carattere generale, in quanto non circoscritto 
a singoli segmenti ma diretto a disciplinare l'intero settore energetico, 
la direttiva 96/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 dicembre 
1996 per l'energia elettrica e la direttiva 98/30/CE del Parlamento europeo e 
del Consiglio del 22 giugno 1998 per il gas, recepite con il d.lgs. 16 marzo 
sione sociale e territoriale, la Comunit� e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito 
del campo di applicazione del presente trattato, provvedono affinch� tali servizi funzionino in base a 
principi e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti�. 
(8) L�art. 86 Tce disponeva: �1. Gli Stati membri non emanano n� mantengono, nei confronti delle 
imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria 
alle norme del presente trattato, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 12 e da 81 a 89 inclusi. 
2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di 
monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, 
nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di 
fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in 
misura contraria agli interessi della Comunit�. 3. La Commissione vigila sull'applicazione delle disposizioni 
del presente articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni�. 
(9) Rispetto alla previgente formulazione occorre rilevare che all�attuale art. 14 TFUE � stato aggiunto 
un periodo finale, il quale dispone che �Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante 
regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono tali principi e fissano tali condizioni, 
fatta salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finanziare 
tali servizi�. � stato invece riproposto senza modifiche n� integrazione il precedente art. 86 TCE.
292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
1999, n. 79 e con il d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164. Con questi interventi si 
giunge ad un'apertura parziale del mercato energetico, poich� la liberalizzazione 
delle forniture era disposta solo per i c.d. clienti idonei, quelli cio� i cui 
consumi superavano la soglia indicata, mentre gli altri (i c.d. clienti vincolati) 
rimanevano soggetti alla disciplina nazionale. Peraltro la concorrenza poteva 
realizzarsi con forme e modalit� molto differenti tra i diversi ordinamenti (10) 
in ragione della possibilit� di scelta rimessa agli Stati membri nel quadro dei 
principi generali (11), sia pure nella prospettiva di un futuro progressivo avanzamento 
del processo di liberalizzazione. 
L'ulteriore tappa � stata raggiunta con le direttive 2003/54/CE e 
2003/55/CE, entrambe del Parlamento europeo e del Consiglio adottate in data 
26 giugno 2003, rispettivamente sul mercato interno dell'energia elettrica e 
del gas. Con queste direttive, poi abrogate rispettivamente dalle direttive 
2009/72/Ce e 2009/73/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, entrambe 
del 13 luglio 2009, da un lato, si supera la ristretta prospettiva della liberalizzazione 
mediante l'accesso alla rete da parte del terzo (12) per giungere ad una 
disciplina generale delle attivit� che compongono il servizio energetico; dall'altro, 
si esprime la necessit� di approntare strumenti di tutela dei diritti del 
consumatore mediante la previsione della trasparenza delle condizioni contrattuali, 
di strumenti di risoluzione delle controversie e della possibilit� di 
operare il cambio del fornitore. Le direttive da ultimo citate (2009/72/Ce e 
2009/73/Ce) e quella sulla trasparenza dei prezzi (2008/92/CE) sono state re- 
(10) Per un'analisi delle dinamiche legislative degli Stati membri in ordine al recepimento della 
normativa comunitaria in materia di produzione, trasporto e distribuzione dell'energia, anche con riferimento 
alle tematiche ambientali, oltre che all'esigenze del mercato V. PEPE (a cura di), Diritto comparato 
dell'energia. Esperienze europee, Napoli, ESI, 2008 pp. 17 ss. 
(11) Sul punto N. AICARDI, Energia, in M. P. CHITI e G. GRECO (diretto da), Trattato di diritto amministrativo 
europeo, Tomo II, II ed., Milano, Giuffr�, 2007, pp. 1007 ss. e spec. p. 1030-1031, il quale 
richiama l'alternativa prevista dalle direttive citate, quanto alla realizzazione di nuovi impianti tra l'autorizzazione, 
strumento che assicura una libera iniziativa degli operatori, e la gara d'appalta, che pone 
dei vincoli quantitavi. Ancor pi� significativo � il divario in ordine alla scelta rimessa agli Stati quanto 
all'organizzazione dell'accesso alla rete nel caso dell'energia elettrica. Rileva, infatti l'A., che accanto al 
sistema di accesso dei terzi alla rete in senso stretto (sistema c.d. del common carrier o del third party 
access � TPA), era previsto il ricorso al sistema opposto del cd. acquirente unico, con attribuzione ad 
un unico soggetto della responsabilit� dell'acquisto e della vendita di energia elettrica. Nel caso del gas, 
invece, la direttiva indicava il solo sistema del TPA. 
(12) Proprio alle politiche comunitarie sulla liberalizzazione dei servizi a rete ha consentito l�emersione 
del concetto giuridico di rete, �per sua natura complesso che riunisce la pluralit� di componenti 
strutturali e tecnologiche e la pluralit� di autonomie interessate al suo percorso sul territorio alla sua 
unitariet� progettuale e funzionale e all�unicit� dell�ente responsabile per la sua gestione complessiva. 
(�) la disciplina delle liberalizzazioni ha dovuto garantire un generalizzato diritto di accesso e la neutralit� 
della rete di trasporto e distribuzione al fine di aprire alla concorrenza il mercato dei servizi pubblici. 
La rete pertanto deve essere terza e imparziale rispetto ai servizi erogati ed agli operatori che la 
utilizzano poich� deve rendere fruibile il godimento di un monopolio naturale a mezzo del servizio pubblico�. 
Cos� G. DE VERGOTTINI, Il governo delle reti tra Unione europea, Stato e Regioni, in Annuario 
di dir. en., 2012, pp. 17 ss.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 293 
cepite nel nostro ordinamento con il d.lgs. 1 giugno 2011, n. 93 e hanno completato 
il processo di liberalizzazione del settore energetico (13). 
Si noti peraltro che nel settore dell�energia alimentata da fonti rinnovabili 
o assimilate (14), l�Italia stranamente ha anticipato il processo di liberalizzazione 
europea con le leggi 9 gennaio 1991, n. 9 e n. 10. La prima contiene la 
disciplina relativa al funzionamento degli impianti di produzione e alla promozione 
delle fonti rinnovabili; la seconda pone la normativa concernente 
l'utilizzo di queste ultime e del risparmio energetico. 
Difatti, � con la direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio 
del 27 settembre 2001 sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da 
fonti rinnovabili (15), attuata con il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, con la direttiva 
del Parlamento europeo e del Consiglio 2003/30/CE dell'8 maggio 2003 
relativa ai biocarburanti e con la direttiva 2004/8/CE del Parlamento europeo e 
del Consiglio dell'11 febbraio 2004 sulla promozione della cogenerazione, che 
la Comunit� fissa gli obiettivi di incremento di tali forme alternative di produzione 
di energia ed individua gli strumenti che ne consentono lo sviluppo mediante 
misure di sostegno e l'obbligo degli Stati di garantire l'accesso alle relative 
reti di trasmissione e distribuzione. Le direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE sono 
state peraltro abrogate dalla direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del 
Consiglio del 23 aprile 2009, recepita con il d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28. 
Ci� che rileva, ai fini del discorso che va si va svolgendo, � che tali fonti 
energetiche rinnovabili hanno una vocazione (� proprio il caso di dire) naturale 
alla salvaguardia dell'ambiente, oltre che al conseguimento di interessi prettamente 
economici, quali la riduzione della dipendenza energetica da fornitori 
esteri, l'aumento della sicurezza dell'approvvigionamento, l'incremento della 
competitivit� delle industrie europee. La centralit� ed anzi la priorit� che lo 
sviluppo di energia prodotta da fonti rinnovabili ha assunto nell'ambito dell'azione 
svolta dalle istituzioni comunitarie ha trovato chiara espressione, da 
un lato, nelle stesse direttive, laddove sono previsti, sia pure nel rispetto degli 
artt. 87 e 88 TCE sugli aiuti di Stato, regimi di sostegno diretto ed indiretto 
(art. 3 dir. fonti rinn. e art. 7, par. 1 dir. cogen.), nonch� nella giurisprudenza 
della Corte di giustizia, che ha mostrato di ritenere recessivo l'imperativo dell'apertura 
al mercato a fronte di normative nazionali dirette a favorire lo svi- 
(13) Per un approfondimento della disciplina contenuta agli artt. 15 (Programma di adempimenti 
e responsabile della conformit�) e 16 (sviluppo della rete e poteri decisionali in sede di investimento) 
del d.lgs. n. 93/2011 A. POLICE, Il programma di adempimento ed il piano decennale di sviluppo della 
rete, in ann. Dir. en., 2012, pp. 91 ss. 
(14) Sul tema M. RAGAZZO, Le politiche sull'energia e le fonti rinnovabili, Torino, Giappichelli, 
2011; A. MACCHIATI, G. ROSSI (a cura di), La sfida dell'energia pulita. Ambiente, clima e energie rinnovabili: 
problemi economici e giuridici, Bologna, Il Mulino, 2009. 
(15) Le fonti energetiche rinnovabili sono ai sensi dell'art. 2 della direttiva le fonti energetiche 
rinnovabili non fossili: fonti eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, da biomassa, 
da gas di discarica e da gas residuati dai processi di depurazione e biogas. 
294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
luppo dello sfruttamento di fonti non convenzionali (16). 
Appare da ultimo opportuno precisare che la liberalizzazione, attuata prevalentemente 
mediante direttive (17) (ma nel settore del trasporto anche mediante 
regolamenti), si distingue sia dall�apertura globale di un intero settore di 
attivit� alle regole del mercato, come � avvenuto per gli appalti pubblici; sia dalle 
procedure di privatizzazione che sono strutturalmente legate alla trasformazione 
di enti pubblici in societ� di capitali o alla privatizzazione di beni pubblici, ma 
non necessariamente alla liberalizzazione (18). Tuttavia sul punto appare interessante 
sottolineare, da un lato, che la normativa europea delinea un processo 
di liberalizzazione del settore energetico senza imporre agli Stati membri obblighi 
n� offrire indicazioni circa l'assetto proprietario degli operatori; dall'altro, 
(16) CGCE sent. 13 marzo 2001, in causa C-379/98, caso PreussenElektra, nella quale i giudici 
comunitari hanno affermato che: �una normativa di uno Stato membro che, da un lato, obbliga le imprese 
private di fornitura di energia elettrica ad acquistare l'energia elettrica prodotta nella loro zona di fornitura 
da fonti di energia rinnovabili, a prezzi minimi superiori al valore economico reale di tale tipo di energia 
elettrica e, dall'altro, ripartisce l'onere finanziario derivante da tale obbligo tra dette imprese di fornitura 
di energia elettrica e i gestori privati delle reti di energia elettrica situati a monte, non costituisce un aiuto 
statale ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato�. Per un approfondimento, A. COLAVECCHIO, Misure nazionali 
incentivanti la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili all'esame della Corte di giustizia: 
note minime in margine alla sentenza PreussenElektra, in rass. giur. en. el., 2001, pp. 838 ss.; A. GRATANI, 
Quando le misure nazionali che impongono l�acquisto di energia elettrica da fonti rinnovabili possono 
rappresentare aiuti statali all�ambiente o restrizione alle importazioni vietate dal diritto comunitario, 
in Riv. Giur. Amb., 2001, 2, p. 609 ss.; L. RUBINI, Brevi note a margine del caso PresseunElektra, ovvero 
come �prendere seriamente� le norme sugli aiuti di Stato e la tutela dell�ambiente nel diritto comunitario, 
in Riv. Dir. com. e sc. intern., 2001, 3, pp. 473 ss. Successivamente la CGCE con la sent. 4 dicembre 
2003, in causa C-448/01, caso EVN e Wienstrom, ha ammesso che �La normativa comunitaria in materia 
di appalti pubblici non osta a che un'amministrazione aggiudicatrice adotti, nell'ambito della valutazione 
dell'offerta economicamente pi� vantaggiosa per assegnare un appalto di fornitura di elettricit�, un criterio 
d'aggiudicazione che impone la fornitura di elettricit� ottenuta da fonti di energia rinnovabili, collegato 
ad un coefficiente del 45%, essendo al riguardo priva di pertinenza la circostanza che il detto criterio 
non consente necessariamente di pervenire all'obiettivo perseguito�. In argomento, G. GARZIA, Bandi di 
gara per appalti pubblici e ammissibilit� delle clausole c.d. �ecologiche�, in Foro amm.-CdS, 2003, 
pp. 3515 ss.; B. POGACE, I criteri ambientali negli appalti pubblici: dalle prime pronunce della Corte di 
giustizia alla nuova direttiva, 2004718, in urb. app., 2004, 12, pp. 1385 ss. 
(17) Prima delle direttive citate nel testo la Comunit� economica europea aveva manifestato il proprio 
interesse al riavvicinamento delle discipline nazionali del settore energetico mediante raccomandazioni, 
aventi ad oggetto, al pari delle prime direttive in materia, il il sistema tariffario. Il riferimento � alla 
raccomandazione 81/924/CEE del Consiglio del 27 ottobre 1981 per l'energia elettrica, alla raccomandazione 
83/230/CEE del Consiglio del 21 aprile 1983 per il gas e alla raccomandazione 88/349/CEE del 
Consiglio del 9 giugno 1988 sullo sviluppo dello sfruttamento delle energie rinnovabili. Tali atti, sebbene 
non vincolanti per gli Stati membri, hanno avuto l'importante ruolo di iniziare a sensibilizzare gli stessi 
sull'esigenza di realizzare un mercato comune in un settore strategico per le economie nazionali. 
(18) Sul punto N. IRTI, Privatizzazione dell'Enel e luoghi dell'interesse pubblico, in rass. giur. en. 
el., 1995, pp. 289 ss. il quale precisa l'indipendenza concettuale tra liberalizzazione e privatizzazione, 
che devono essere tenute distinte: �la liberalizzazione riguarda l'offerta sul mercato, cio� la possibilit� 
che una merce o un servizio siano prodotti da una pluralit� di imprese, e surrogabili l'uno con l'altro per 
scelta del consumatore. La privatizzazione riguarda la composizione del capitale di una data societ�, 
operi essa in regime di monopolio o in concorrenza con le altre imprese� (p. 290). Accanto ad entrambe 
peraltro si pone il problema di �ricostruire le tecniche di tutela dell'interesse pubblico� (p. 292).
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 295 
che laddove per varie ragioni l'apertura al mercato si � realizzata anche mediante 
la privatizzazione delle imprese di Stato � emersa in misura maggiore la necessit� 
dell'assunzione da parte dei pubblici poteri di un ruolo di regolazione (19). 
Nondimeno si pu� sostenere che alcune forme di privatizzazione possono 
rappresentare una delle misure, sia pure in s� non sufficienti, per realizzare un 
processo di liberalizzazione. In tale prospettiva, infatti, si pone la trasformazione 
dell'Enel da ente pubblico operante in regime di riserva (a seguito della 
nazionalizzazione operata dalla l. 1962) (20) in societ� per azioni concessionaria 
dello Stato ad opera dell�art. 15 del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito 
con l. 8 agosto 1992, n. 359, quale ad es. la cessione di capacit� generazionale 
imposta ad Enel S.p.a. mediante un piano per il trasferimento degli impianti a 
societ� appositamente costituite, ai sensi dell�art. 8 del d. lgs. 16 marzo 1999, 
n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato 
interno dell'energia elettrica, c.d. Decreto Bersani) (21). Del resto, occorre 
ripetere che la privatizzazione delle imprese operanti nel settore energetico 
(19) Per un approfondimento F. RANALLI, S. TESTARMATA, Il settore elettrico italiano: processi di 
liberalizzazione del mercato e di privatizzazione delle imprese, in R. MELE e R. MUSSARI (a cura di), 
L'innovazione della governance e delle strategie nei settori delle public utilities, Bologna, Il Mulino, 
2009, pp. 101 ss. e spec. p. 107, ove si rileva che �le motivazioni alla base del processo di privatizzazione 
delle imprese pubbliche sono riassumibili nella ricerca di livelli di efficacia e di efficienza nella fornitura 
del servizio pi� elevati, nell'esigenza di risanamento dei bilanci statali, nonch� nel convincimento di 
una parte ideologica, quella conservatrice, che le privatizzazioni siano uno strumento di democratizzazione, 
grazie all'apertura del capitale azionario ad un pubblico diffuso e alla riduzione del potere delle 
organizzazioni sindacali, le quali, non potendo pi� sperare in ambigui sussidi incrociati alle imprese 
pubbliche, devono adattarsi alle regole di mercato�. 
(20) Sulla nazionalizzazione dell'energia elettrica, G. LANDI, Energia elettrica (nazionalizzazione), 
in enc. dir., vol. XIV, Milano, Giuffr�, 1965, pp. 899 ss.; C. LAVAGNA, Il trasferimento all'Enel delle imprese 
elettriche, in riv. trim. dir. pubbl., 1965, pp. 593 ss. 
(21) In tal modo � stato consentito l�ingresso di nuovi operatori nel settore economico liberalizzato 
dell�energia elettrica. In particolare questo risultato � stato realizzato mediante la creazione di tre societ� 
elettriche, denominate GenCo i.e. generation company, a ciascuna delle quali � stato trasferito un determinato 
numero di centrali elettriche prima di propriet� dell'ENEL per una potenza complessiva di almeno 
15.000 MW. Le tre societ� erano: GenCo 1 - Eurogen con una potenza totale degli impianti pari 
a 7.008 MW; GenCo 2 - Elettrogen con una potenza totale degli impianti pari a 5.438 MW; GenCo 3 - 
Interpower con una potenza totale degli impianti pari a 2.611 MW. A partire dal 2000 queste societ� 
sono state messe in vendita con conseguente riduzione della capacit� di generazione dell'operatore fino 
a quel momento dominante e la creazione e l�ingresso di operatori concorrenti. 
In argomento, L. R. PERFETTI, Principio di legalit� e politica economica. Sui limiti posti alle imprese 
pubbliche nel settore dell�energia, Foro amm.-Cons. St., 2002, 6, pp. 1561 ss., il quale esprime perplessit� 
sulle ricadute che le affermazioni contenute nella sent. Cons. St., sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2922, 
possono avere in termini generali sul rispetto del principio di legalit� da parte dell�intervento dello Stato 
nell�ambito della politica energetica nazionale. La pronuncia citata, che chiude la controversia promossa 
dal � Consorzio Italpower�, che raggruppava alcune tra le principali imprese pubbliche partecipate dagli 
enti locali (nella specie ACEA di Roma, AEM di Milano, AEM di Torino), per la lesione derivante dall'esclusione 
dalla gara per la dismissione delle centrali elettriche dell'Enel, ha peraltro il pregio di aver 
affermando a chiare lettere che liberalizzazione e privatizzazione sono due concetti distinti - l�uno riferito 
all�attivit� di mercato, l�altro alla struttura organizzativa e finanziaria dei soggetti che vi operano - sebbene 
tra loro sussistano interferenze reciproche. 
296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
non costituisce, secondo le direttive adottate in materia, un obbligo per gli 
Stati membri, stante il principio di neutralit� quanto alla titolarit� (pubblica o 
privata), ritenendo prevalente il profilo della mission. Di conseguenza si tratta 
di una trasformazione rimessa ai singoli Stati (22). 
In generale, come rilevato dalla dottrina (23), l�intervento del diritto europeo 
non � consistito solamente nella eliminazione degli ostacoli nazionali alla 
libera circolazione dei beni e dei servizi, ma proprio con riferimento al settore 
energetico l�Unione europea ha adottato sia una disciplina costitutiva del mercato 
comune dell�energia elettrica e del gas, sia norme che devono essere osservate 
dalle autorit� nazionali di regolazione. Realizza questo risultato armonizzando 
gli ordinamenti nazionali mediante principi comuni, conformandone la struttura 
organizzativa e l�azione, ma lasciando al contempo ampi margini di discrezionalit� 
in considerazione delle specificit� dei singoli Stati membri. 
3. Il servizio energetico quale servizio di interesse economico generale. 
Come noto le attivit� che si inquadrano nel settore dell�energia elettrica 
e del gas costituiscono, secondo la nomenclatura comunitaria - presente nel 
Trattato della Comunit� europea (24) e ulteriormente definita nel contenuto 
ad opera di un libro verde e di una successiva comunicazione della Commissione 
(25), nonch� della giurisprudenza della Corte di Giustizia (26) - un esem- 
(22) Quanto alla capacit� di tale profilo di creare asimmetrie nella liberalizzazione dei mercati, F. 
MUNARI, Il contesto comunitario e il ruolo degli organi europei, in E. BRUTI LIBERATI, F. DONATI (a cura 
di), Il nuovo diritto dell'energia tra regolazione e concorrenza, Torino, Giappichelli, 2007, pp.15 ss. e 
spec. p. 21. nonch� in generale F. CINTIOLI, La tutela della neutralit� dei gestori delle reti e l'accesso 
nei settori dell'energia elettrica e del gas, ivi, pp. 141 ss. 
(23) Per questo rilievo G. DELLACANANEA, L�organizzazione comune dei regolatori per l�energia 
elettrica e il gas, in Riv. Ital. Dir. pubbl. com., 2004, 6, pp. 1385 ss., il quale conclude che �l'Unione 
non segue il modello di tipo monista, ma quello di tipo policentrico. Esso presenta svariati vantaggi: 
preserva l'autonomia degli Stati, cio� degli enti fondatori; permette la sperimentazione di figure organizzative 
e tecniche di regolazione; consente la concorrenza tra i regolatori�. 
(24) Il riferimento � all�art. 16 TCE, ora confluito nell�art. 14 TFUE, ai sensi del quale �Fatti salvi 
l'articolo 4 del trattato sull'Unione europea e gli articoli 93, 106 e 107 del presente trattato, in considerazione 
dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, 
nonch� del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati 
membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono 
affinch� tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, 
che consentano loro di assolvere i propri compiti. Il Parlamento europeo e il Consiglio, 
deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono tali principi 
e fissano tali condizioni, fatta salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, 
fare eseguire e finanziare tali servizi�. 
(25) Il riferimento � al Libro verde sui servizi di interesse generale della Commissione europea, 
adottato in data 21 maggio 2003 (COM (2003) 270 def.). In ordine alla distinzione tra servizi di natura 
economica e servizi che ne sono privi, indicazioni sono state offerte nella Comunicazione della Commissione 
al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato 
delle regioni che accompagna la comunicazione "Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo" - I 
servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali di interesse generale: un nuovo impegno europeo� 
del 20 novembre 2007 (COM (2007) 725 def. ) si ribadisce che �a tale interrogativo non pu� essere data
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 297 
pio significativo di servizio di interesse economico generale (27). Orbene, 
nella terminologia utilizzata dalla normativa di alcuni Stati membri, il servizio 
di interesse generale dovrebbe corrispondere ai c.d. servizi pubblici essenziali 
(come ad es. quelli cui si riferisce l�art. 43 Cost. a proposito dei monopoli naturali, 
dei servizi pubblici essenziali e proprio delle fonti di energia), ma la 
corrispondenza non � perfetta, specie per quanto riguarda l�esperienza del nostro 
ordinamento. Difatti nella dimensione nazionale il servizio pubblico, sebbene 
distinto dalla funzione pubblica (28) - in considerazione della sua natura 
una risposta a priori; � infatti necessaria un'analisi caso per caso, poich� si tratta spesso di realt� specifiche 
che variano considerevolmente da uno Stato membro all'altro, e addirittura da un'autorit� locale all'altra; 
le modalit� di fornitura sono in costante evoluzione in risposta all'evolversi della situazione economica, 
sociale e istituzionale, ad esempio variazioni delle esigenze dei consumatori, novit� tecnologiche, ammodernamento 
delle pubbliche amministrazioni e il trasferimento delle competenze al livello locale�. 
(26) Ex plurimis, Corte di giustizia Ce, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001, ove in tema di 
in house i giudici comunitari affermano che �al fine di determinare se tale bisogno sia privo di carattere 
industriale o commerciale, spetta al giudice nazionale valutare le circostanze nelle quali tale societ� � 
stata costituita e le condizioni in cui essa esercita la propria attivit�, tra cui, in particolare, l'assenza di 
uno scopo principalmente lucrativo, la mancata assunzione dei rischi connessi a tale attivit� nonch� 
l'eventuale finanziamento pubblico dell'attivit� in esame�. Questa pronuncia della Corte di giustizia � 
richiamata anche dalla sentenza della Corte costituzionale del 27 luglio 2004, n. 272, che ha dichiarato 
l�illegittimit� costituzionale dell�art. 113 bis t.u. enti locali. 
(27) Sui servizi di interesse generale G.C. SALERNO, Servizi di interesse generale e sussidiariet� 
orizzontale tra ordinamento costituzionale e ordinamento dell�Unione europea, Torino, Giappichelli, 
2010; L. CERASO, I servizi di interesse economico generale e la concorrenza �limitata�, Napoli, Jovene, 
2010, spec. pp. 39 ss.; J.V. LOUIS, S. RODRIGUES (a cura di), Les services d'int�r�t �conomique g�n�ral 
et l'Union europ�enne, Bruylant, Bruxelles, 2006; ID. (a cura di), I servizi pubblici a rete, Raffaello Cortina 
editore, Milano, 2000; G. NAPOLITANO, Regole e mercato nei servizi pubblici, Bologna, Il Mulino, 
2005; A. MASSERA (a cura di), Il diritto amministrativo dei servizi pubblici fra ordinamento nazionale 
e ordinamento comunitario, Pisa, 2004; E. SCOTTI, Il servizio pubblico: tra tradizione nazionale e prospettive 
europee, Padova, Cedam, 2003, spec. p. 185; R. VILLATA, L. BERTINOZZI, Servizi di interesse 
economico generale, in M.P. CHITI, G. GRECO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, 
Milano, Giuffr�, 2007, parte speciale, tomo IV, II ed., pp. 1791 ss.; V. CERULLI IRELLI, Impresa pubblica, 
fini sociali, servizi d�interesse generale, in Riv. ital. dir. pubbl. com., 2006, pp. 747 ss.; G.F. CARTEI, I 
servizi di interesse economico generale tra riflusso dogmatico e regole del mercato, in Riv. ital. dir. 
pubbl. com., 2005, pp. 1119 ss.; A. POLICE, W. GIULIETTI, Servizi pubblici, servizi sociali e mercato: un 
difficile equilibrio, in serv. pubbl. app., 2004, pp. 831 ss. 
(28) Chiarisce la distinzione tra pubblica funzione e servizio pubblico, G. MIELE, Pubblica funzione 
e servizio pubblico, in Arch. Giur., 1933, XXVI, p. 172 ss., il quale giunge alla conclusione che, 
in assenza di sufficienti appigli nella legislazione positiva, tale distinzione pu� essere tracciata sotto un 
duplice punto di vista a seconda che si considerino le organizzazioni ovvero le attivit�: nel primo caso 
le funzioni rappresentano �organizzazioni pubblicistiche destinate, in via principale o esclusiva, all'esercizio 
di un potere giuridico proprio dell'ente pubblico�; dal secondo punto di vista ҏ funzione pubblica 
l'attivit� degl'individui stretti allo Stato, originariamente o successivamente, da un particolare rapporto 
pubblicistico, che emanano atti giuridici o compiono fatti giuridici o collaborano all'emanazione o al 
compimento di entrambi in virt� di un potere giuridico pubblicistico. Si reputano invece incaricati di un 
pubblico servizio gl'individui, adetti ad organizzazioni regolate secondo principi di diritto pubblico, che 
sulla base di uno speciale rapporto pubblicistico con lo Stato, esplicano ogni altro genere di attivit� di 
natura pubblicistica�. Se, infine, funzione e servizio coesistono in capo allo stesso soggetto, ove ricorra 
il rapporto di mezzo a scopo tra il secondo e la prima, l'individuo deve ritenersi investito di una pubblica 
funzione (p. 202).
298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
industriale o commerciale e comunque della sua organizzazione, gestione ed 
erogazione secondo moduli non autoritativi - ripeteva il carattere della pubblicit� 
proprio del soggetto che ne era titolare. Di qui il concetto di servizio 
pubblico in senso soggettivo: l'assunzione mediante legge da parte di un soggetto 
pubblico, sia pure variamente strutturato (ente pubblico economico, 
azienda municipalizzata, impresa pubblica), del compito di erogare la relativa 
prestazione, in altre parole, non era un atto meramente ricognitivo, bens� costitutivo 
della natura giuridica pubblica del servizio (29). 
Per converso, proprio al fine di comprendere appieno la problematica ambientale 
(infra), occorre ricordare che essendo la Cee originariamente ispirata 
ad un�economia libera di mercato non conosceva proprio la nozione di servizio 
pubblico come nozione distinta ed in un certo senso opposta a quella di servizio 
privato. Quindi anche all�energia si applicava la nozione generale di servizio 
di cui all�art. 50 Tce (ora art. 57 TFUE), dovendo quindi intendersi come 
prestazione economica nel settore dell�industria e del commercio fornita normalmente 
dietro retribuzione. Inoltre dalla giurisprudenza della Corte di giustizia 
e dagli atti di diritto derivato si ricava che da subito l'ordinamento 
comunitario ha accolto un'accezione oggettiva del servizio pubblico, da intendersi 
come attivit� resa nell'interesse della collettivit�, dando preminenza alla 
mission perseguita anzich� alla natura giuridica del soggetto erogatore (30). 
Le progressive esigenze di riavvicinamento e di armonizzazione delle legislazioni 
nazionali (cui il Trattato ha dedicato apposite disposizioni, quali 
quelle di cui all�art. 93 TCE) hanno portato la Cee (nel frattempo divenuta Ce) 
ad una presa di coscienza delle necessit� non solo economiche, ma anche di 
coesione economico-sociale, di cui si � tenuto conto nella formulazione anche 
giurisprudenziale del concetto di servizio di interesse economico generale 
(supra), particolarmente nel settore dei trasporti, delle telecomunicazioni e 
proprio in quello dell�energia. 
Tale tensione tra le ragioni del mercato e quelle sociali, che progressivamente 
hanno trovato espressione in seno al Trattato, specialmente dopo le modifiche 
apportate da Maastricht, emerge chiaramente dalla formulazione 
dell'art. 86 TCE (ora art. 106 TFUE), in specie al par. 2, ai sensi del quale �le 
imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o 
aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e 
in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali 
norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica 
(29) In tal senso F. VETR�, Il servizio pubblico a rete. L'esempio paradigmatico dell'energia elettrica, 
Torino, Giappichelli, 2005, p. 18 
(30) Per un approfondimento sul punto mediante una ricostruzione sistematica degli orientamenti 
della Corte di giustizia e degli atti delle istituzioni comunitarie, E. PICOZZA, Diritto amministrativo e 
diritto comunitario, II ed., Torino, 2004, pp. 286 ss.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 299 
missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso 
in misura contraria agli interessi dell'Unione�. 
In questa prospettiva si pongono allora gli obblighi di servizio pubblico, 
che sono stati concepiti come un aggravamento del normale contenuto di un 
servizio economico privato, al fine di assicurare il rispetto di esigenze di natura 
sociale non adeguatamente tutelate dalle sole regole della concorrenza, come 
dimostra il regolamento sui trasporti (31). 
Nel settore dell'energia elettrica la direttiva n. 2003/54 prevede espressamente 
che �nel pieno rispetto delle pertinenti disposizioni del trattato, in particolare 
dell'art. 86, gli Stati membri possono, nell'interesse economico 
generale, imporre alle imprese che operano nel settore dell'energia elettrica 
obblighi relativi al servizio pubblico concernenti la sicurezza, compresa la sicurezza 
dell'approvvigionamento, la regolarit�, la qualit� e il prezzo delle forniture, 
nonch� la tutela ambientale, compresa l'efficienza energetica e la 
protezione del clima� (art. 3, par. 2). La disposizione testualmente citata, cui 
fa il paio quella contenuta nella direttiva 2003/55/CE (art. 3, par. 2) per il settore 
del gas naturale - peraltro entrambe confluite nell�art. 3, par. 2 della direttiva 
2009/72/Ce e della direttiva 2009/73/Ce - evidenzia la consapevolezza 
da parte del diritto europeo che l'apertura del settore energetico al mercato non 
pu� realizzarsi mediante la collocazione delle relative attivit� a regime di mercato, 
ma richiede che la liberalizzazione avvenga nel rispetto di una pluralit� 
di esigenze di natura non economica, tra le quali in particolare quelle ambientali. 
Al contempo, in un rapporto di reciproco bilanciamento, gli obblighi di 
servizio pubblico devono essere rispettosi di alcuni principi al fine di non pregiudicare 
nella sostanza la realizzazione della concorrenza nel relativo segmento 
(32). A tale proposito si richiede che siano improntati ai criteri 
(31) Il riferimento � al Reg. n. 1191/1969 del 26 giugno 1969, come modificato dal Reg. 1893/1991 
del 20 giugno 1991 del Consiglio, relativo all�azione degli Stati membri in materia di obblighi inerenti 
alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile. Sul 
punto E. PICOZZA, Diritto amministrativo e diritto comunitario, op. ult. cit., il quale rileva che l�art. 14 
del citato Regolamento comunitario, nel disciplinare il contratto di servizio pubblico, prevede un rapporto 
sinallagmatico tra le parti e all�ente pubblico spetta non pi� un potere autoritativo, che si esprime con il 
provvedimento di concessione e con il disciplinare accessivo, secondo lo schema dei contratti ad oggetto 
pubblico (sui quali M.S. GIANNINi, Diritto amministrativo, Milano), bens� una potest� di conformazione 
del negozio giuridico mediante l�introduzione, nell�assetto degli interessi, di obblighi di servizio pubblico, 
posti a carico del gestore per soddisfare gli interessi generali cui il servizio stesso � preordinato. 
(32) La Corte costituzionale ha peraltro chiarito che la nozione nazionale di concorrenza, riflettendo 
quella operante in ambito comunitario, include in s� sia interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio 
perduto, sia interventi mirati a ridurre gli squilibri attraverso la creazione delle condizioni per la instaurazione 
di assetti concorrenziali (sent. Corte cost. n. 14/3004; n. 29/2006 e n. 272/2004). Pi� precisamente 
secondo i giudici costituzionali occorre distinguere, nell�ambito della nozione comunitaria di concorrenza, 
a) misure antistrust, che coincidono con �le misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto 
gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei 
mercati e ne disciplinano le modalit� di controllo, eventualmente anche di sanzione� (sentenza n. 430 del 
2007); b) concorrenza �nel� mercato: realizzata da quelle disposizioni legislative �di promozione, che mi-
300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
dell'obbiettivit�, della non discriminazione, della proporzionalit� e che non 
comportino un eccessivo aggravamento delle condizioni in cui opera l'impresa 
che ne � onerata. Inoltre appare opportuno sottolineare come l'imposizione di 
tali vincoli pubblicistici non ha carattere transitorio, proprio perch� non � funzionale 
alla piena realizzazione dell'apertura del mercato, ma ha un connotato 
di stabilit�, ben potendo parimenti variare nel contenuto a fronte dell'evoluzione 
tecnologica del settore (33). 
Da ultimo, contigua ma non coincidente con la nozione di servizio pubblico 
� quella di servizio universale (34), che corrisponde a quella attivit� (che pu� 
comprendere l�intera area di un determinato servizio di interesse economico generale 
ovvero solo un suo segmento), che a prescindere se sia ammessa a concorrenza, 
deve essere prestata a particolari e inderogabili condizioni, quali 
l�universalit�, la facilit� di accesso non solo in senso materiale ma anche per ci� 
che attiene alle tariffe, l�economicit�, la tutela delle fasce sociali pi� deboli, etc. 
Questa esigenza si � tradotta laddove non sia possibile assicurare il servizio universale 
o comunque esso sia oggetto del c.d. contratto di servizio nel collegamento 
della nozione con i cc.dd. obblighi di servizio pubblico. Tuttavia le due 
nozioni, anche se collegate, non sono affatto sovrapponibili. Sebbene l�obbligo 
di servizio sia noto originariamente nella normativa comunitaria sui trasporti 
per assicurare il servizio universale, ha progressivamente compreso ulteriori servizi, 
che hanno attinenza con il benessere delle popolazioni locali, indipendentemente 
se le stesse siano consumatori-utenti della relativa prestazione. 
Tali sono appunto gli obblighi di servizio connessi alla tutela ambientale, 
dei beni culturali e del paesaggio (35), del governo del territorio, etc. L�obbligo 
di servizio in tal caso non si riflette solo, come avviene nell�originario obbligo 
di servizio, sul contenuto del contratto di servizio (nel senso che gli obblighi, 
di per s� condizioni accidentali del contratto inerenti alla salvaguardia degli 
utenti vengono parificati a condizioni essenziali del contratto stesso). Difatti 
rano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura, eliminando barriere all'entrata, riducendo o eliminando 
vincoli al libero esplicarsi della capacit� imprenditoriale e della competizione tra imprese� (citata 
sentenza n. 430 del 2007); c) concorrenza �per� il mercato: a questo concetto afferiscono le disposizioni 
legislative che perseguono il fine di assicurare procedure concorsuali di garanzia mediante la strutturazione 
di tali procedure in modo da assicurare �la pi� ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici� 
(sentenza n. 401 del 2007). Proprio con riferimento ai cc.dd. servizi a rete, tra i quali rientrano i servizi del 
settore energetico, la Corte costituzionale ha rilevato la sussistenza di �concomitanti esigenze di assicurare 
la cosiddetta concorrenza �nel� mercato attraverso la liberalizzazione dei mercati stessi, che si realizza, 
tra l�altro, mediante l�eliminazione di diritti speciali o esclusivi concessi alle imprese (vedi considerando 
n. 3 della direttiva 31 marzo 2004, n. 2004/17/CE)� (sent. n. 401 del 2007). 
(33) Cos� F. VETR�, Il servizio pubblico a rete, op. cit., p. 286, il quale rileva che gli obblighi di 
servizio pubblico impongono vincoli pubblicistici, che concretano un nuovo modo di essere dell'intervento 
pubblico nel settore, ma non hanno carattere transitorio, poich� non sono finalizzati a realizzare 
il �traghettamento� al mercato. 
(34) In argomento, M. CLARICH, Servizio pubblico e servizio universale: evoluzione normativa e 
profili ricostruttivi, in rass. giur. en. el., 1998, pp. 41 ss.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 301 
in tali casi gli obblighi di servizio costituiscono un potenziale limite alla legittimazione 
all�esercizio di quelle attivit� e condizionano, non necessariamente 
in senso negativo, il titolo al quale � sottoposto l�esercizio dell�attivit� stessa. 
4.1. L�energia e l�ambiente: profili sostanziali. 
Come autorevolmente rilevato, il punto di snodo del rapporto tra energia 
ed ambiente � costituito dal territorio, sul quale insistono le infrastrutture necessarie 
per la produzione del bene e l'erogazione del relativo servizio e possono 
prodursi le conseguenze dannose derivanti dall'esercizio degli impianti (36). 
Sotto questo profilo, l'equilibrio tra gli obiettivi del settore energetico, fisiologicamente 
orientati alla produzione industriale e allo sviluppo economico 
e le ragioni dell'ambiente, prioritariamente indirizzate alla protezione del relativo 
bene e alla salvaguardia delle condizioni di vita (37) si realizza mediante 
la previsione di prescrizioni di natura strutturale e statica, da un lato, e funzionale 
e dinamica, dall'altro, entrambe conformanti e/o condizionanti le infrastrutture 
di settore. Peraltro si noti che si tratta di strumenti giuridici che 
consentono di dare autonoma consistenza ad interessi estrinseci rispetto a 
quelli propri del settore e che vengono previsti anche per le infrastrutture necessarie 
all'erogazione di altri servizi a rete, quali le telecomunicazioni ed il 
trasporto, ugualmente incidenti sulla dimensione ambientale e sanitaria. 
Le prime consistono in una serie di vincoli relativi alla definizione delle 
caratteristiche tecniche di sicurezza degli impianti e della rete per la protezione 
sanitaria dei lavoratori e nella indicazione della distanza dell'infrastruttura da 
zone abitative a tutela della salute della popolazione mediante la definizione 
delle c.d. �fasce di rispetto�; si pensi a titolo esemplificativo a quanto previsto 
per gli elettrodotti o per le fonti di energia elettrica che producono inquinamento 
luminoso o acustico (38). 
(35) Sul bilanciamento quale modalit� di risoluzione del conflitto tra paesaggio e attivit� produttive, 
con particolare riferimento all�energia eolica indicata come paradigmatica di tale contrasto, nonch� 
occasione per un ripensamento dei concetti di ambiente e paesaggio e del ruolo primario del risultato 
nell�ambito della legittimit� dell�azione amministrativa F. DE LEONARDIS, Criteri di bilanciamento tra 
paesaggio e energia eolica, in Dir. amm., 2005, 4, pp. 889 ss., il quale indica tre criteri di bilanciamento: 
l�illegittimit� dei divieti assoluti, la concretezza della motivazione e la localizzazione di risultato. 
(36) Il riferimento � a M. S. GIANNINI, Riflessioni su energia ed ambiente, op. cit. 
(37) Per l'approfondimento di questo rilievo P. DELL'ANNO, Funzioni e competenze nella vicenda 
energetico-ambientale e loro coordinamento, in Rass. giur. en. el., 1987, p. 599. 
(38) La normativa di riferimento � costituita dalla l. 22 febbraio 2001, n. 36, Legge quadro sulla 
protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, dal d.P.C.M. 8 luglio 2003, 
Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualit� per la protezione 
della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati 
dagli elettrodotti e dal d.P.C.M. 8 luglio 2003, Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione 
e degli obiettivi di qualit� per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici 
ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz, nonch� dalla legislazione 
regionale di settore.
302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Le prescrizioni di natura funzionale e dinamica invece consistono nel 
sottoporre la possibilit� di realizzare un impianto di produzione di energia 
convenzionale o rinnovabile a determinati procedimenti dichiarativi e/o autorizzatori, 
nell'ambito dei quali si realizzano la ponderazione ed il bilanciamento 
con le finalit� della tutela ambientale. 
I principali procedimenti dichiarativi coincidono con le c.d. valutazioni 
ambientali (39): la valutazione ambientale strategica (VAS), la valutazione di 
impatto ambientale (VIA) e la valutazione di incidenza (VI). 
La valutazione ambientale strategica si deve compiere su tutti i piani territoriali 
e programmi di interventi pubblici e privati, specialmente se aventi 
valore strategico (40). Si tratta di un istituto introdotto con la Direttiva 
2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001, che 
� stata recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e 
ss.mm.ii. L�art. 5 del decreto citato definisce la Vas come �il processo che 
comprende (�) lo svolgimento di una verifica di assoggettabilit�, l'elaborazione 
del rapporto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione 
del piano o del programma, del rapporto e degli esiti delle consultazioni, 
l'espressione di un parere motivato, l'informazione sulla decisione ed il monitoraggio�. 
La Vas ha la finalit� di �garantire un elevato livello di protezione 
dell'ambiente e contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali all'atto 
dell'elaborazione, dell'adozione e approvazione di detti piani e programmi assicurando 
che siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo 
sostenibile� (art. 4, co. 4 lett. a d.lgs. n. 152 del 2006). 
La valutazione di impatto ambientale (41), invece, riguarda singole categorie 
di opere pubbliche, tra cui in particolare proprio le centrali elettriche, 
sia quelle alimentate da fonti energetiche tradizionali, sia quelle da fonti rinnovabili. 
L�art. 5 del d.lgs. n. 152 del 2006 definisce la Via �procedimento 
mediante il quale vengono preventivamente individuati gli effetti sull'ambiente 
di un progetto (�) ai fini dell'individuazione delle soluzioni pi� idonee� al 
(39) L'espressione � di F. FRACCHIA, I procedimenti amministrativi in materia ambientale, in A. 
CROSETTI, R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI RASON (a cura di), Diritto dell'ambiente, Roma - Bari, 
Laterza, 2008, pp. 213 ss. e spec. pp. 401 ss. 
(40) Sulla distinzione tra Vas e Via relativamente all�oggetto della valutazione Cons. stato, IV 
sez., 19 novembre 2010, n. 9113: �ai sensi dell'art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 152/2006, la 
procedura di V.A.S. ("valutazione ambientale strategica") � espressamente riservata alla valutazione ambientale 
di piani e programmi, restando conseguentemente escluse le varianti riguardanti la realizzazione 
di singoli progetti, per i quali il legislatore abbia predisposto il diverso strumento del procedimento di 
V.I.A. ("valutazione di impatto ambientale")�. 
(41) M. S. GIANNINI, Riflessioni su energia e ambiente, in rass. giur dell'en. el., IV, 1987, n. 3 ed 
ora in Scritti, vol. VIII, Milano, Giuffr�, 2006, pp 751 e spec. p. 756, chiarisce che dal punto di vista giuridico 
la valutazione di impatto ambientale non � un istituto, ma � un momento del procedimento amministrativo, 
che si inserisce nella fase istruttoria. Rileva peraltro che �sotto l'etichetta d'impatto ambientale, 
sta uscendo fuori un'altra nozione, che � quella di risultato sociale di effettuazione di un'opera, nella specie, 
per quanto qui interessa, di opera per la produzione di energia, ma in genere di qualsiasi opera pubblica�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 303 
perseguimento della finalit�, comune alla Vas, di �assicurare che l'attivit� antropica 
sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, e quindi 
nel rispetto della capacit� rigenerativa degli ecosistemi e delle risorse, della 
salvaguardia della biodiversit� e di un'equa distribuzione dei vantaggi connessi 
all'attivit� economica�. Per mezzo della Vas e della Via si affronta la determinazione 
della �valutazione preventiva integrata degli impatti ambientali nello 
svolgimento delle attivit� normative e amministrative, di informazione ambientale, 
di pianificazione e programmazione� (art. 4, co. 3 d.lgs. n. 152 del 
2006). In particolare, mediante la Via si persegue l�obiettivo �di proteggere la 
salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla qualit� della vita, 
provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacit� di riproduzione 
dell'ecosistema in quanto risorsa essenziale per la vita� (art. 4, co. 4, 
lett. b d.lgs. n. 152 del 2006). 
Quanto alla competenza, il riparto � stato delineato, ancor prima della riforma 
del titolo V Cost., dal d.lgs. n. 112/1998 (c.d. decreto Bassanini). L�art. 
35 di quest'ultimo prevede che agli adempimenti relativi alla valutazione di 
impatto ambientale (VIA) dei progetti di ricerca e di coltivazione di minerali 
solidi e risorse geotermiche sulla terraferma (art. 34 d.lgs. n. 112/1998) provvedono 
le regioni, sentiti i comuni interessati, secondo le norme dei rispettivi 
ordinamenti, a decorrere dall'entrata in vigore delle leggi regionali in materia; 
queste disposizioni non si applicano ai progetti di ricerca e di coltivazione di 
idrocarburi in mare. 
Quanto all'ambito oggettivo di applicazione di questi procedimenti di recente 
la direttiva 2011/92/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 
dicembre 2011 concernente la valutazione dell�impatto ambientale di determinati 
progetti pubblici e privati, nel codificare le modificazioni che nel tempo 
hanno interessato la precedente direttiva 85/337/CEE del Consiglio, ha distinto 
i progetti che sono sottoposti a valutazione di impatto ambientale (Allegato I) 
e quelli per i quali spetta agli Stati membri determinare se debba procedersi a 
tale valutazione (Allegato II) secondo due modalit�, anche cumulabili: esame 
caso per caso ovvero fissazione di soglie e criteri (art. 4 dir. 2011/92/CEE)(42). 
(42) Tra i progetti per i quali la direttiva prevede che gli stati membri procedano a via, ai nostri fini 
assumono rilevanza tra quelli indicati all�allegato I: a) Centrali termiche e altri impianti di combustione 
con potenza termica pari o maggiore di 300 MW; b) centrali nucleari e altri reattori nucleari, compreso 
lo smantellamento e lo smontaggio di tali centrali e reattori ( 1 ) (esclusi gli impianti di ricerca per la produzione 
e la lavorazione delle materie fissili e fertili, la cui potenza massima non supera 1 kW di durata 
permanente termica). Tra i progetti la cui assoggettabilit� a Via � rimessa alla decisione degli Stati membri 
per l�industria energetica sono indicati: a) Impianti industriali per la produzione di energia elettrica, vapore 
e acqua calda (progetti non compresi nell�allegato I); b) Impianti industriali per il trasporto di gas, vapore 
e acqua calda; trasporto di energia elettrica mediante linee aeree (progetti non compresi nell�allegato I); 
c) Stoccaggio in superficie di gas naturale; d) Stoccaggio di gas combustibile in serbatoi sotterranei; e) 
Stoccaggio in superficie di combustibili fossili; f) Agglomerazione industriale di carbon fossile e lignite; 
g) Impianti per il trattamento e lo stoccaggio di residui radioattivi (se non compresi nell�allegato I); h)
304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
In tal modo viene rimesso agli Stati membri, nel rispetto peraltro dei presupposti 
di fatto costituiti dalla tipologia di progetti indicati nell�Allegato II, il 
c.d. screening ambientale al fine di stabilire se sia opportuno procedere o meno 
a valutazione di impatto ambientale. Quindi, secondo le prospettazioni classiche 
in tema di discrezionalit�, lo stesso diritto europeo riconosce che gli interessi 
pubblici ambientali, paesaggistici e dei beni culturali, possono rendere 
recessivo l�interesse pubblico primario di carattere industriale alla produzione 
di energia elettrica e di gas naturale, dei quali l�Italia � peraltro Paese largamente 
importatore (43). 
La c.d. valutazione d�incidenza riguarda invece pi� propriamente gli aspetti 
di protezione della natura nel suo complesso e quindi gli habitat naturali e i siti 
di interesse naturalistico disciplinati a livello comunitario dalla direttiva 
92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, nonch� la protezione dell�avifauna 
realizzata a partire dalla direttiva 79/409CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, 
pi� volte modificata e ora rifusa nella direttiva 2009/147/CE del 30 novembre 
2009. La prima � stata implementata nel nostro ordinamento con il d.P.R. 8 settembre 
1997, n. 357, la seconda con la l. 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la 
protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio). 
In pratica tutti i siti che possono far parte della Rete Natura 2000, siano 
essi Siti di interesse comunitario (SIC), Zone speciali di conservazione (ZSC) 
o Zone di protezione speciale (ZPS), debbono essere oggetto di un apposito 
studio di valutazione di incidenza, che viene realizzato nell�ambito del procedimento 
di vas o normalmente di via, secondo quanto puntualmente disposto 
dal Codice dell�ambiente (d.lgs. n. 152/2006) (44). 
Il secondo passaggio dell�incidenza degli obblighi di servizio pubblico 
sull�esercizio delle attivit� energetiche si attua nel procedimento autorizzatorio 
alla costruzione ed esercizio degli impianti ovvero alla costruzione e all�esercizio 
degli elettrodotti e gasdotti. 
Come noto, a ci� si provvede per ragioni di semplificazione amministrativa, 
con la autorizzazione integrata ambientale (AIA), nella quale � incorporato 
il c.d. sub procedimento di VIA, che in realt� � un vero e proprio 
Impianti per la produzione di energia idroelettrica; i) Impianti di produzione di energia mediante lo sfruttamento 
del vento (centrali eoliche). IT 28.1.2012 Gazzetta ufficiale dell�Unione europea L 26/11; j) Impianti 
per la cattura di flussi di CO 2 provenienti da impianti che non rientrano nell�allegato I della presente 
direttiva ai fini dello stoccaggio geologico a norma della direttiva 2009/31/CE. 
(43) Sull�attivit� di importazione ed in particolare sul fondamento normativo e sul sindacato giurisdizionale 
del potere di regolazione dell�Autorit� per l�energia elettrica e il gas, a commento della sent. 
Tar Lombardia Milano, sez. II, 23 novembre 2000, n. 3635 e ord. Cons. St., sez. VI, 1 dicembre 2000, 
n. 6206, M. RAMAJOLI, Sistema d�asta, concorrenza e regolazione dell�importazione di energia elettrica, 
in Giorn. Dir. Amm., 2001, 3, pp. 380 ss. 
(44) Il Decreto del Ministero dell�ambiente del 25 marzo 2004 riporta l�elenco dei siti di importanza 
comunitaria in Italia ai sensi della direttiva 92/43/CEE. Il decreto del Ministero dell�ambiente 25 marzo 
2005 adotta l�elenco delle zone a protezione speciale, classificate ai sensi della direttiva 79/409/CEE.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 305 
procedimento autonomo dichiarativo. 
Ai sensi dell�art. 4, comma 4, lett. c) del d.lgs. n. 152 del 2006 l�autorizzazione 
integrata ambientale ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate 
dell'inquinamento proveniente dalle attivit� di cui all'allegato VIII (45) 
e prevede misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell'aria, 
nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire 
un livello elevato di protezione dell'ambiente salve le disposizioni sulla 
valutazione di impatto ambientale. 
Da ultimo occorre rilevare che l�incidenza degli obblighi di servizio pubblico 
collegati all�ambiente � tanto pi� forte quanto il territorio interessato 
dalla localizzazione dell�impianto sia gi� oggetto della tutela ambientale rafforzata 
attraverso i vincoli previsti dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice 
dei beni culturali e del paesaggio), dalla legge statale 6 dicembre 1991, n. 394 
(Legge quadro sulle aree naturali protette) o dalle leggi regionali a protezione 
della natura o dalla normativa ecologica di settore, quali le aree a rischio di 
incidenti rilevanti, le aree soggette a bonifica dei siti contaminati, le aree di 
dissesto idrogeologico o di rischio sismico di I grado, le zone di rispetto per 
altri impianti, per cimiteri o altri servizi pubblici. 
In buona parte quelli ora descritti costituiscono gli strumenti di tutela ambientale 
in relazione all�impatto degli impianti di produzione dell�energia elettrica 
e/o degli impianti di gas naturale. 
Tuttavia la tutela ambientale nella gerarchia degli interessi pubblici non 
� equiparata a qualsivoglia interesse pubblico, sia dal punto di vista del diritto 
comunitario che dello stesso diritto nazionale. 
In particolare per il diritto comunitario l�ambiente � una supermateria potenzialmente 
rientrante nella competenza primaria dell�Unione europea, con 
la conseguenza che in via generale non pu� trovare applicazione il principio 
di sussidiariet� comunitaria nella sua proiezione verticale. Inoltre i principi di 
tutela ambientale devono essere adeguatamente valutati e bilanciati nell�elaborazione 
ed attuazione delle altre politiche comunitarie. Tuttavia un limite 
alla possibilit� di perseguire la tutela ambientale � dato dal c.d. sviluppo sostenibile 
(46), per cui il principio stesso non deve tradursi in un blocco indiscriminato 
dello sviluppo delle attivit� economiche. Inoltre il fatto che le 
attivit� connesse al ciclo dell�energia vengano comunque positivamente valutate 
nei procedimenti di Vas, Via e Sic. O addirittura positivamente valutate 
(45) Quanto al settore alle attivit� energetiche il riferimento � a: 1.1 Impianti di combustione con 
potenza termica di combustione di oltre 50 MW; 1.2. Raffinerie di petrolio e di gas; 1.3. Cokerie; 1.4. 
Impianti di gassificazione e liquefazione del carbone; 1.4-bis Terminali di rigassificazione e altri impianti 
localizzati in mare su piattaforme off-shore. 
(46) Con specifico riferimento al settore energetico, ove in maniera pi� pregnante il perseguimento 
di obiettivi di sviluppo economico e sociale devono costantemente rapportarsi alle esigenze di tutela 
ambientale, S. K�HTZ, Energia e sviluppo sostenibile. Politiche e tecnologie, Rubettino, 2005.
306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
dall�AIA non le esonera dalle eventuali sanzioni se risultino inquinanti a posteriori, 
compresa la chiusura, e le sottopone alla rigorosa osservanza di tutti 
i principi previsti dagli artt. 174 ss. in materia di tutela ambientale. 
4.2. L�energia e l�ambiente: profili processuali. 
Il rispetto dei limiti imposti dall�obbligo di servizio pubblico a tutela 
dell�ambiente ed in generale l�osservanza di tutti i tipi di vincoli e prescrizioni, 
nonch� standard ambientali, paesaggistici, naturalistici e culturali viene anche 
assicurato in sede giurisdizionale mediante l�esperimento delle diverse azioni, 
tra le quali si ricordano: 
a) quelle a protezione degli interessi ambientali, collettivi e diffusi, da 
parte delle associazioni ambientaliste ufficialmente individuate con decreto 
del Ministro dell'ambiente sulla base delle finalit� programmatiche e dell'ordinamento 
interno democratico previsti dallo statuto, nonch� della continuit� 
dell'azione e della sua rilevanza esterna, ai sensi dell�art. 13 della l. 8 luglio 
1986, n. 349. Come noto, tali associazioni possono intervenire nei giudizi per 
danno ambientale e sono legittimate a ricorrere in sede amministrativa avverso 
l�illegittimo esercizio ovvero le illegittime omissioni del potere amministrativo, 
quando pregiudichino l�ambiente (art. 18, comma 5, l. n. 349 del 1986). 
Si noti che sul punto la legislazione nazionale ha realizzato una fuga in 
avanti rispetto alla normativa comunitaria, che ha tardato a riconoscere la medesima 
legittimazione alle associazioni ambientaliste nel relativo ambito sovranazionale. 
Difatti solamente in tempi recenti, rispettivamente con il 
Regolamento Ce n. 1367/2006 del 6 settembre 2006 e con la decisione Ce n. 
50/2008 della Commissione del 13 dicembre 2007, in attuazione della Convenzione 
di Aarhus (47), � stata introdotta la possibilit� di chiedere alle istituzioni 
europee il riesame interno degli atti amministrativi in materia ambientale 
adottati dagli organi comunitari ed � stata riconosciuta la legittimazione attiva 
delle associazioni ambientaliste all�esercizio della tutela giurisdizionale. Gi� 
prima con la direttiva 2003/4/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 
28 gennaio 2003 relativa all�accesso del pubblico all�informazione ambientale 
e la direttiva 2003/35/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 maggio 
2003, che prevede la partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni 
piani e programmi in materia ambientale, la Comunit� europea ha dato attuazione 
agli obiettivi fissati in occasione della citata Convenzione. 
(47) La Convenzione di Aarhus della Commissione economica per l�Europa delle Nazioni Unite 
(UNECE) � stata firmata nell�omonima cittadina danese il 25 giugno 1998, in attuazione del Decimo 
principio della Dichiarazione sull�ambiente e lo sviluppo approvata dalla Conferenza delle Nazioni 
Unite nel 1992 a Rio de Janeiro, relativo alla realizzazione dell�obiettivo della pi� ampia partecipazione 
della collettivit� civile nelle questioni ambientali in termini di conoscenza e di incidenza sulle decisioni 
adottate dai pubblici poteri. La Comunit� ha approvato la convenzione di Aarhus il 17 febbraio 2005 
con la dec. 2005/370/CE del Consiglio del 17 febbraio 2005.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 307 
Con il Reg. n. 1367/2006 si � inteso disciplinare i tre pilastri della convenzione 
di Aarhus, vale a dire accesso alle informazioni, partecipazione del 
pubblico ai processi decisionali e accesso alla giustizia in materia ambientale, 
in un unico atto normativo e stabilire disposizioni comuni per quanto riguarda 
gli obiettivi e le definizioni. La dec. n. 2008/50 ha dato attuazione alle disposizioni 
del Regolamento citato relative al riesame interno di atti e omissioni 
di natura amministrativa in materia ambientale. 
Si noti che rispetto alla disciplina nazionale, nel diritto comunitario ai 
sensi dell�art. 12 (48) del Reg. n. 1367/2006 la sussistenza della legittimazione 
delle associazioni ambientaliste � condizionata al previo esperimento dei rimedi 
disposti in via amministrativa, con soluzione che ripete quella in origine 
prevista nel nostro ordinamento quanto ai rapporti tra tutela amministrativa e 
tutela giurisdizionale. Sotto questo profilo, dunque, sembra che la soluzione 
offerta dal diritto interno assicuri una forma di tutela pi� diretta, in quanto non 
mediata dalla necessit� per le associazioni ambientaliste di adire prima l�istituzione 
che ha adottato l�atto o che ha commesso l�omissione (49). 
Sono potenzialmente oggetto di tali impugnative, per quanto riguarda il 
settore dell�energia, non solo i procedimenti ed i provvedimenti che ne legittimano 
l�esercizio (tra i quali soprattutto l�AIA), ovvero che ne valutano positivamente 
l�inserzione in un programma territoriale o di sviluppo di opere 
pubbliche (Vas) ovvero valutano positivamente la fattibilit� di una singola 
opera pubblica (Via), ma altres� tutti i piani territoriali e persino quelli ambientali 
con specifico valore di piano territoriale (quali i piani territoriali di 
coordinamento provinciale, i piani territoriali paesistici, i piani dei parchi e 
delle altre aree protette, etc...). Quindi anche un piano regolatore che abbia recepito 
la localizzazione di una centrale elettrica non � esente dal rischio di essere 
impugnato, qualora la procedura non sia perfettamente legittima. 
(48) Articolo 12 Ricorsi dinanzi alla Corte di giustizia �1. L�organizzazione non governativa che 
ha formulato la richiesta di riesame interno ai sensi dell�articolo 10 pu� proporre ricorso dinanzi alla 
Corte di giustizia a norma delle pertinenti disposizioni del trattato. 2. Qualora l�istituzione o l�organo 
comunitario ometta di agire a norma dell�articolo 10, paragrafo 2 o paragrafo 3, l�organizzazione non 
governativa ha il diritto di proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia a norma delle pertinenti disposizioni 
del trattato�. In argomento, A.TANZI, E. FASOLI, L. IAPICHINO (a cura di), La Convenzione di 
Aarhus e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, Padova, Cedam, 2011. 
(49) Per inciso si noti invece che discorso diametralmente opposto deve svolgersi quanto al diritto 
di accesso alle informazioni ambientali riconosciuto in materia ambientale a chiunque, cittadino a associazione, 
senza necessit� di dimostrare la titolarit� di uno specifico interesse e esercitabile mediante una 
richiesta generica dal d.lgs. 9 agosto 2005, n. 195 proprio in attuazione della normativa comunitaria 
contenuta nella direttiva 2003/4/CE e diversamente da quanto previsto in generale dalla l. 7 agosto 1990, 
n. 241 sul procedimento amministrativo al Capo V, agli artt. 22 ss. e dal Decreto del Presidente della 
Repubblica 12 aprile 2006, n. 184, ove si riconosce il diritto di accesso solo a chi sia portatore di un interesse 
diretto, concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata 
al documento al quale � chiesto l'accesso. Per un approfondimento di questa tematica A. ANGELETTI (a 
cura di), Partecipazione, accesso e giustizia nel diritto ambientale, Napoli, ed. scient. Ital., 2011; G. 
RECCHIA (a cura di), Informazione ambientale e diritto di accesso, Padova, Cedam, 2007.
308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
b) Il secondo tipo di azione � la c.d. class action amministrativa di cui al 
d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 (50), mediante la quale il giudice amministrativo 
pu� comandare l�obbligatoria adozione di atti amministrativi generali, di 
atti di individuazione di standard, di piani attuativi, etc�, che concorrono nel 
loro insieme o singolarmente a formare il pacchetto dei c.d. obblighi di servizio 
pubblico in materia ambientale. 
A tal fine i presupposti dell�azione e la legittimazione ad agire sono indicati 
all�art. 1, ai sensi del quale �Al fine di ripristinare il corretto svolgimento 
della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente 
rilevanti ed omogenei per una pluralit� di utenti e consumatori 
possono agire in giudizio, con le modalit� stabilite nel presente decreto, nei 
confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, 
se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla 
violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali 
obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente 
entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, 
dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla 
violazione di standards qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari 
di servizi pubblici, dalle autorit� preposte alla regolazione ed al controllo del 
settore e, per le pubbliche amministrazioni definiti dalle stesse in conformit� 
alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 
27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione 
per la valutazione, la trasparenza e l'integrit� delle amministrazioni 
pubbliche di cui all'articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze 
temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150� (co. 1). Il 
ricorso pu� essere proposto anche da associazioni o comitati a tutela degli interessi 
dei propri associati, appartenenti alla pluralit� di utenti e consumatori, 
che possono esperire la class action (co. 4). 
Nondimeno non si tratta di una tutela che ripeta quella gi� approntata 
dall�ordinamento con la disciplina del novero delle azioni devolute al giudice 
(50) Tra i pi� recenti contributi in materia di class action nell�amministrazione di risultato G. SORICELLI, 
Contributo allo studio della class action nel sistema amministrativo italiano, Milano, Giuffr�, 
2012; F. MANGANARO, L�azione di classe in un�amministrazione che cambia, in www.giustamm.it, 2010; 
F. CINTIOLI, Note sulla c.d. class action amministrativa, in www.giustamm.it, 2010; F. MARTINES, 
L�azione di classe del d.lgs. 198/2009: un�opportunit� per la pubblica amministrazione?, in www. giustam.
it, 2010; M.T.P. CAPUTI JAMBRENGHI, Buona amministrazione tra garanzie interne e prospettive 
comunitarie (a proposito di �class action all�italiana�), in www.giustamm.it, 2010; C.E. GALLO, La 
class action nei confronti della pubblica amministrazione, in Urb. App., 2010, pp. 50 1 ss.; D. SICLARI, 
Decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198, Attuazione dell�articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 
15, in materia di ricorso per l�efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, 
in E. PICOZZA (a cura di), Codice del processo amministrativo. D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, commento 
articolo per articolo, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 329 ss.; ID., Profili di diritto processuale amministrativo: 
class actions e tutela degli interessi collettivi e diffusi� in Trattato di diritto dell�ambiente � 
diretto da P. DELL�ANNO e E. PICOZZA, Cedam, Padova, 2012, pp. 403 ss. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 309 
amministrativo nell�ambito della propria giurisdizione. Difatti, da un lato, l�art. 
1 citato precisa che il ricorso non consente di ottenere il risarcimento del danno 
cagionato dagli atti e dai comportamenti avverso i quali pu� essere proposto; 
a tal fine, restano fermi i rimedi ordinari. Dall�altro tale istituto appare pienamente 
incardinato nell�ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, 
che � indicata come esclusiva; inoltre questioni di competenza sono rilevabili 
anche d'ufficio. 
Si tratta dunque di una forma di tutela complementare rispetto a quella ordinaria 
in via generale affidata al giudice amministrativo e che, con specifico 
riferimento alla protezione di interessi che emergono in materia ambientale riconosciuti 
giuridicamente rilevanti dall�ordinamento, sia quando facciano capo 
a singoli che quando sino adespoti ovvero collettivi, bilancia la limitazione prevista 
nel Codice dell�ambiente in ordine alla risarcibilit� del danno ambientale 
(51). Il riferimento � alla disciplina contenuta nella Parte sesta del d.lgs. n. 152 
del 2006. Inoltre, occorre sottolineare che la class action nei confronti della 
pubblica amministrazione supera le dimensioni del singolo caso concreto in cui 
viene esperita, poich� non ha una prospettiva risarcitoria, ma ha l�attitudine a 
produrre effetti riflessi sul complessivo andamento dell�amministrazione, 
avendo la dichiarata finalit� di ripristinare il corretto svolgimento della funzione 
ovvero la corretta erogazione del servizio. Per dirla in termini di analisi economica 
del diritto, si tratta di esternalit� positive che hanno una valenza ancora 
maggiore a tutela dell�ambiente, in ragione della natura di bene immateriale e 
dei caratteri di appartenza, partecipazione e solidariet� di quest�ultimo (52). 
5. Il riparto di competenza tra Stato, Regioni ed enti locali nel settore dell�energia 
con particolare riferimento alla giurisprudenza della Corte costituzionale. 
� noto che ai sensi dell�art. 117, terzo comma Cost. sussiste la competenza 
concorrente di Stato e Regioni in materia di �produzione, trasporto e distribuzione 
nazionale di energia�, il cui contenuto � stato chiarito dalla Corte 
costituzionale (53). Allo Stato spetta dunque l'adozione della disciplina di prin- 
(51) Per un approfondimento di questo rilievo D. SICLARI, Profili di diritto processuale amministrativo: 
class action e tutela degli interessi collettivi e diffusi, in E. PICOZZA (a cura di), Trattato di 
diritto dell�ambiente, Padova, Cedam, 2012, pp. 403 ss. e spec. P. 425. 
(52) Per un approfondimento di questi concetti, PICOZZA, Diritto dell'economia: disciplina pubblica, 
Padova, 2004, nonch� pi� recentemente ID., Introduzione al diritto amministrativo, Padova, 2007, 
il quale rileva come rispetto ai beni immateriali si inverta la relazione, che si fonda sul concetto di appartenenza: 
non � l'ambiente che appartiene all'uomo, ma viceversa l'uomo che appartiene all'ambiente. 
Inoltre, ciascun essere umano � chiamato a partecipare alla tutela e alla protezione dell'ambiente, in un 
vincolo di solidariet� con gli altri consociati. 
(53) Nella sent. 14 ottobre 2005, n. 383 ha chiarito che la formula �produzione, trasporto e distribuzione 
nazionale di energia�, di cui all'art. 117, co. 3 Cost. �deve ritenersi corrispondere alla nozione 
di �settore energetico� di cui alla legge n. 239 del 2004, cos� come alla nozione di �politica energetica 
nazionale� utilizzata dal legislatore statale nell'art. 29 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (...), che era esplicitamente 
comprensiva di �qualunque fonte di energia�.
310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
cipio e alle Regioni la definizione della normativa di dettaglio. 
Anche in tali ipotesi il c.d. federalismo costituzionale � stato anticipato dal 
c.d. federalismo amministrativo, stante il trasferimento di significative funzioni 
amministrative alle Regioni in questa materia operato dal d.lgs. 31 marzo 1998, 
n. 112 (Titolo I, Capo V) in attuazione della l. delega 15 marzo 1997, n. 59. 
Tuttavia l'apparente linearit� del riparto (54) � presto smentita ove si tenga 
conto dell'elaborazione offerta dalla Corte costituzionale, che in pi� occasioni 
ha rilevato la ricorrenza di preminenti interessi di carattere unitario, che possono 
comportare una particolare articolazione del rapporto tra normativa di 
principio e disciplina di dettaglio (55), relativamente al profilo degli obblighi 
comunitari e alle esigenze sottese all'approntamento delle infrastrutture. 
La realizzazione degli obiettivi posti dalle direttive comunitarie pu� comportare 
esigenze di unitariet� del procedimento sull'intero territorio nazionale; 
parimenti per ci� che concerne la progettazione e la realizzazione di impianti 
di produzione e di distribuzione di energia � stata rilevata la necessit� di rispettare 
le regole tecniche fissate a livello nazionale (56). 
Peraltro, come i profili della liberalizzazione e della tutela ambientale sopra 
trattati suggeriscono, la materia dell'energia si pone al punto di passaggio di altre 
competenze statali esclusive per ci� che concerne la tutela della concorrenza 
(57), dei livelli essenziali delle prestazioni e soprattutto l'ambiente (58). 
In particolare con riferimento a quest'ultimo occorre ricordare come dapprima 
la Corte costituzionale abbia affermato che l�ambiente non fosse una materia 
in senso stretto, bens� una materia valore, che investe e si intreccia 
inestricabilmente con altri interessi e competenze. In questa prospettiva spettava 
allo Stato per lo pi� definire standards minimi di tutela, che potevano essere im- 
(54) Peraltro gi� all�indomani della riforma del titolo V della Costituzione sono state espresse delle 
perplessit� in ordine alla collocazione dell�energia tra le materie di competenza concorrente. Sul punto S. 
CASSESE, L�energia elettrica nella legge costituzionale n. 3/2001, in Rass. giur. en. elettr., 2002, 498 ss. 
(55) In generale sul tema G. SCIACCA, Sussidiariet� istituzionale e poteri statali di unificazione normativa, 
Napoli, 2009; W. NOCITO, Dinamiche del regionalismo italiano ed esigenze unitarie, Milano, 2011. 
(56) In tal senso, richiamando la sentenza della Corte cost. 25 luglio 2005, n. 336 pronunciata nel 
diverso settore a rete delle telecomunicazioni, nonch� le sent. 6 e 7 del 2004, F. DONATI, Il riparto delle 
competenze tra Stato e Regioni in materia di energia, in Il nuovo diritto dell'energia tra regolazione e 
concorrenza, op. cit., pp. 35 ss. e spec. p. 38. Nello stesso senso la successiva sent. 17 marzo 2006, n. 103. 
(57) Per i limiti derivanti alla competenza concorrente delle regioni in materia energetica dall'esercizio 
di competenza legislativa esclusiva statale in materia di concorrenza ai sensi dell'art. 117, co. 
2, lett. e), sent. corte cost. 18 gennaio 2008, n. 1. 
(58) Molto chiaro nell�indicare nella coesistenza di una molteplicit� di interessi afferenti a diverse 
materie le ragioni del difficile riparto delle competenze in termini di esclusivit� dell�intervento e al contempo 
della preferibile percorribilit� di soluzioni procedimentali nel settore energetico G. COMPORTI, 
Energia e ambiente, in G. ROSSI, Diritto dell�ambiente, Milano 2011, p. 276, il quale rileva che �il carattere 
diffuso ed intersettoriale degli interessi relativi alle questioni ambientali ed energetiche ha, in 
definitiva, impedito l�attuazione del pur perseguito disegno di attribuzione delle materie a distinte organizzazioni 
compatte a carattere istituzionale e territoriale e ha svelato l�assorbente rilievo svolto dal procedimento 
quale sede di raccordo, coordinamento e valutazione integrata�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 311 
plementati da parte delle Regioni per la cura di interessi funzionalmente collegati 
a quelli ambientali (59). Questa soluzione si impone, secondo la citata giurisprudenza 
costituzionale, quando in una fattispecie in cui si verifichi l�intreccio 
di materie (e conseguentemente di competenze), non sia possibile trovare una 
soluzione mediante l�applicazione del c.d. principio di prevalenza, con la conseguenza 
che legge statale e legge regionale si trovano in concorrenza; nel caso 
opposto, se prevale la competenza esclusiva statale la stessa sar� piena e come 
tale comprensiva della potest� regolamentare. Successivamente la materia dell'ambiente 
� stata intesa in senso oggettivo, precisando che sul medesimo bene 
giuridico unitariamente inteso (ambiente) insistono la tutela (o conservazione) 
di competenza esclusiva dello Stato e la fruizione (in particolare il governo del 
territorio), di competenza concorrente regionale (60). Le Regioni possono prevedere 
misure di tutela ulteriori e/o maggiori rispetto agli standards unitari cos� 
definiti per disciplinare il diverso oggetto delle loro competenze (61). 
Inoltre, con moto ascensionale, le funzioni amministrative ripartite all'art. 
118 Cost. secondo il principio di sussidiariet� verticale possono essere esercitate 
dallo Stato quanto ricorrano interessi di carattere unitario. Di conseguenza 
tale spostamento delle funzioni amministrative attrae a s� la relativa competenza 
legislativa, che altrimenti spetterebbe alle Regioni (anche in materia concorrente 
quale l'energia), non essendo ipotizzabile che tali funzioni siano 
esercitate dallo Stato secondo discipline differenziate dettate dalle Regioni 
(62). Tuttavia la chiamata in sussidiariet� non solo deve essere, sotto il profilo 
(59) V. sentt. Corte cost. 26 luglio 2002, n. 407; 20 dicembre 2002, n. 536; 4 luglio 2003, n. 226; 
7 ottobre 2003, n. 307; 22 luglio 2004, n. 259; 29 dicembre 2004, n. 429; 16 giugno 2005, n. 232 e 25 
luglio 2005, n. 336; 28 giugno 2006, n. 246; 1 dicembre 2006, n. 398. 
Per una ricostruzione dell'evoluzione normativa e un'interessante rassegna degli arresti della giurisprudenza 
costituzionale in materia di ambiente G. CORDINI, Principi costituzionali in materia di ambiente 
e giurisprudenza della Corte costituzionale italiana, in riv. giur. amb., 2009, pp. 611 ss. 
(60) Questo orientamento della Corte costituzionale, che ha sostituito al concetto atecnico di intreccio 
di materie e competenze quello giuridico di concorso di materie, si � avuto a partire dalle sentenze 
7 novembre 2007, n. 367 e 14 novembre 2007, n. 378. Per un approfondimento P. MADDALENA, La giurisprudenza 
della Corte costituzionale in materia di tutela e fruizione dell'ambiente e le novit� sul concetto 
di �materia�, sul concorso di pi� competenze sullo stesso oggetto e sul concorso di materie, in 
riv. giur. amb., 2010, pp. 685 ss., nonch� pi� recentemente ID., L'interpretazione dell'art. 117 e dell'art. 
118 della Costituzione secondo la recente giurisprudenza costituzionale in tema di tutela e fruizione 
dell'ambiente, in riv. giur. amb., 2011, pp. 735 ss. 
(61) In tal senso 23 gennaio 2009, n. 12; 6 febbraio 2009, n. 30; 5 marzo 2009, n. 61; sent. 15 
aprile 2008, n. 102; 18 giugno 2008, n. 214. 
(62) Particolarmente interessante � quanto affermato in argomento dalla Corte costituzionale con 
la sent. 17 giugno 2010, n. 215: �In considerazione del fatto che si verte in materia di produzione, trasmissione 
e distribuzione dell�energia, non pu� in astratto contestarsi che l�individuazione e la realizzazione 
dei relativi interventi possa essere compiuta a livello centrale, ai sensi dell�art. 118 della 
Costituzione. In concreto, per�, quando un simile spostamento di competenze � motivato con l�urgenza 
che si ritiene necessaria nell�esecuzione delle opere, esso dev�essere confortato da valide e convincenti 
argomentazioni. Ora, � agevole osservare che, trattandosi di iniziative di rilievo strategico, ogni motivo 
d�urgenza dovrebbe comportare l�assunzione diretta, da parte dello Stato, della realizzazione delle opere
312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
contenutistico, proporzionata, non affetta da irragionevolezza alla stregua di 
uno scrutinio stretto di costituzionalit�, ma anche, dal punto di vista procedurale, 
oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata (intesa forte), 
il cui mancato raggiungimento costituisce un ostacolo insuperabile alla conclusione 
del procedimento (intesa in senso forte) (63). 
Tuttavia sul punto occorre richiamare le modifiche recentemente introdotte 
all'istituto della Conferenza di servizio, di cui agli artt. 14 ss. l. 7 agosto 
1990, n. 241, ad opera del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. con l. 30 luglio 
2010, n. 122, e specialmente all�art. 14 quater, che ha previsto uno strumento 
politico per il mancato raggiungimento dell'accordo in tale sede. Ci� comporta 
che, se opera la chiamata in sussidiariet�, la formazione di una legge statale 
che incida in dettaglio nella materia stessa e non si limiti alla mera indicazione 
dei principi generali, deve essere oggetto di una previa intesa con le regioni 
di volta in volta interessate e se l�intesa non si realizza, essa pu� essere superata 
con la procedura di alta amministrazione e cio� con la decisione politica 
del Presidente del Consiglio dei ministri. Ne consegue un indebolimento della 
dimensione consensuale e collaborativa dello strumento dell�intesa. 
Per quanto poi riguarda le Regioni a statuto speciale, se prima della riforma 
del titolo V della Cost. poteva riconoscersi la loro differenziazione quanto alla 
titolarit� di competenze in materia energetica potenzialmente in senso pi� 
ampio rispetto a quelle spettanti alle Regioni a statuto ordinario e talora corrispondente 
a quella ora definita all'art. 117, co. 3 Cost. (es. la Sardegna (64)), la 
medesime. Invece la disposizione impugnata stabilisce che gli interventi da essa previsti debbano essere 
realizzati con capitale interamente o prevalentemente privato, che per sua natura � aleatorio, sia quanto 
all�an che al quantum. Si aggiunga che la previsione, secondo cui la realizzazione degli interventi � affidata 
ai privati, rende l�intervento legislativo statale anche sproporzionato. Se, infatti, le presunte ragioni 
dell�urgenza non sono tali da rendere certo che sia lo stesso Stato, per esigenze di esercizio unitario, a 
doversi occupare dell�esecuzione immediata delle opere, non cՏ motivo di sottrarre alle Regioni la competenza 
nella realizzazione degli interventi. I canoni di pertinenza e proporzionalit� richiesti dalla giurisprudenza 
costituzionale al fine di riconoscere la legittimit� di previsioni legislative che attraggano in 
capo allo Stato funzioni di competenza delle Regioni non sono stati, quindi, rispettati�. Tale orientamento, 
che ammette la chiamata in sussidiariet� da parte dello Stato non solo per ci� che concerne l�individuazione, 
ma anche la realizzazione degli interventi in materia di energia � stato poi confermato 
dalla sent. 12 maggio 2011, n. 165. 
(63) In tal senso la pronuncia 1 ottobre 2003 n. 303, i cui principi sono stati sviluppati, quanto al 
settore energetico, a partire dalla successiva sent. 13 gennaio 2004, n. 6, in Giur. cost., 2004, pp. 205 
ss., con commento di F. BILANCIA, La riforma del titolo V della Costituzione e la �perdurante assenza 
di una trasformazione delle istituzioni parlamentari�, ivi, pp. 137 ss.; F. DE LEONARDIS, La Consulta 
tra interesse nazionale ed energia, ivi, pp. 145 ss.; E. PESARESI, Nel regionalismo a tendenza duale, il 
difficile equilibrio tra unit� ed autonomia, ivi, pp. 153 ss., nonch� sent. 2005, n. 383. 
(64) L'art. 4 dello Statuto sardo riconosceva alla Regione una competenza legislativa concorrente 
in materia di �produzione e distribuzione di energia elettrica�. Sul punto D. FLORENZANO, op. cit., p. 
133, il quale rileva che la prospettiva della normativa statutaria delle regioni ad autonomia speciale appariva 
limitata e indebolita da un approccio non organico al tema e da una visione del tutto parziale 
degli interessi sottesi al settore energetico, imperniata su una rilevante cifra �patrimoniale� e/o ad una 
mera aspirazione �conservativa� delle risorse locali.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 313 
giurisprudenza costituzionale successiva sembra diretta nel senso di una sostanziale 
omologazione dei due tipi di autonomia regionale (65). 
Per quanto invece concerne il ruolo delle autonomie locali in materia 
energetica, la Regione deve coinvolgere adeguatamente i comuni, le province 
e gli altri enti pubblici locali a dimensione territorialmente definita (Comunit� 
montane, Consorzi di bonifica e consorzi industriali, Autorit� di bacino, etc...) 
nei procedimenti di valutazione e di autorizzazione, nonch� nella formazione 
delle leggi regionali. 
Tuttavia una significativa differenza sull�importanza del ruolo della Regione, 
da un lato, e del comune e della Provincia, dall�altro, � confermata da 
una cospicua giurisprudenza della Corte costituzionale, che a tale proposito 
ha coniato la distinzione tra intesa forte ed intesa debole, nel senso che il ruolo 
del comune � ridotto a mera consultazione e non di partecipazione alla decisione, 
come invece � riconosciuto alla Regione (66). 
In secondo luogo mentre la procedura di intesa tra Stato e Regioni � delimitata 
nelle sue linee generali nella l. 5 giugno 2003, n. 131 di adeguamento 
dell�ordinamento alla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (c.d. riforma del titolo 
V), il ruolo specifico di coinvolgimento dei singoli Comuni e Province varia 
a livello statale nelle singole leggi e cos� anche a livello regionale. 
Dal punto di vista della tutela processuale contro leggi statali e regionali 
illegittime, Stato e Regioni dispongono del giudizio di legittimit� costituzionale 
in via principale (art. 127 Cost.) (67) e del conflitto di attribuzioni (art. 
(65) In argomento, D. FLORENZANO, La disciplina delle attivit� elettriche nelle regioni ad autonomia 
speciale, in D. FLORENZANO, S. MANICA (a cura di), Il governo dell'energia tra Stato e Regioni, Un. studi 
di Trento, 2009, pp. 127 ss. e spec. p. 149, ove si ricorda quanto affermato nella sent. Corte cost. 383 del 
2005 (in senso conforme a quanto affermato per il Friuli Venezia Giulia nella sent. n. 8 del 2004): �le 
competenze statutarie in materia di energia sono sicuramente meno ampie rispetto a quelle riconosciute 
in tale materia alle Regioni dall'art. 117, terzo comma, Cost. Non vi sono dubbi, pertanto, che la Provincia 
di Trento possa, sulla base dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, rivendicare una propria competenza 
legislativa concorrente nella materia della �produzione, trasporto e distruzione nazionale dell'energia� 
identica a quella delle Regioni ad autonomia ordinaria (cfr. sentenza n. 8 del 2004), e quindi anche una 
potest� amministrativa pi� ampia � in quanto fondata sui principi dell'art. 118 Cost. � rispetto a quella ad 
essa spettante sulla sola base del d.P.r. 235 del 1977, quale integrato dal d.lgs. 11 novembre 1999, n. 463�. 
(66) In specie la Corte cost. ha ritenuto rispettato il principio di leale collaborazione mediante il 
raggiungimento di un�intesa debole, in quanto consistente nel mero coinvolgimento procedimentale 
degli enti locali, affinch� siano messi in grado di interloquire e di evitare la sostituzione attraverso l�autonomo 
adempimento (ex plurimis sentt. 2 marzo 2004, nn. 69-72). 
(67) Un caso recente e particolarmente interessante in cui lo Stato ha impugnato una legge regionale 
in materia di energia � stato risolto dalla Corte costituzionale con la sent. 11 novembre 2011, n. 
308, in Giornale Dir. Amm., 2012, 1, 80. In particolare � stata dichiarata l�illegittimit� costituzionale di 
una legge della Regione Molise, le cui disposizioni prevedevano, �un divieto arbitrario, generalizzato e 
indiscriminato di localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili�. Il legislatore 
regionale ha individuato le suddette aree senza una adeguata e preventiva istruttoria che tenesse conto 
dei diversi interessi coinvolti, cos� come prevista dalle linee guida previste dall�art. 12 del d.lgs. n. 387 
del 2003, vietando l'installazione di ogni tipo di impianto alimentato da fonte di energia alternativa, indipendentemente 
dalla sua tipologia o potenza. In particolare, la Corte, gi� con la sentenza n. 168 del
314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
134 Cost.), anche se per quest�ultimo l�annullamento di eventuali atti generali 
� limitato alla Regione interessata. 
Per quanto riguarda i Comuni e le Province, che non sono poteri dello 
Stato, la tutela giurisdizionale si pu� realizzare in sede di giudizio incidentale 
di legittimit� costituzionale nell�ambito di un giudizio civile, penale o amministrativo 
ovvero mediante impugnazione diretta del provvedimento amministrativo 
favorevole al settore energetico, ma lesivo delle prescrizioni e dei 
vincoli di tutela ambientale ovvero degli obblighi di servizio pubblico, che 
avrebbero dovuto condizionare il rilascio del provvedimento autorizzatorio (68). 
Infatti, se il Comune non ha competenza di amministrazione attiva in materia 
energetica e ambientale e quindi non esercita il rapporto di rappresentanza 
politica, tuttavia ha in base al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. T.U. enti locali) 
il c.d. rapporto di esponenzialit� con la propria popolazione, che lo legittima 
ad agire in giudizio contro gli effetti dannosi dell�impianto energetico anche se 
localizzato fuori dal proprio territorio o da quello dei comuni confinanti (69). 
2010 ha affermato che non � consentito �alle Regioni di provvedere autonomamente alla individuazione 
di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa� 
e ci� in quanto l'adozione delle linee guida nazionali, � informata al principio di leale collaborazione tra 
Stato e Regioni. Per un commento, L. MARTINA, La localizzazione degli impianti da fonti di energia 
rinnovabile, in Giorn. Dir. Amm., 2012, 6, pp. 637 ss. 
Per una sintetica ma efficace rassegna delle recenti pronunce con le quali la Corte costituzionale ha dichiarato 
l�illegittimit� costituzionale di leggi regionali, che hanno posto condizioni pi� restrittive rispetto 
alla legislazione statale per la localizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili 
S. AMOROSINO, Impianti di energia rinnovabile e tutela dell'ambiente e del paesaggio, in riv. giur. amb., 
2011, 6, pp. 753 ss. 
(68) Si ricordi per completezza che l'art. 311 Cod. amb. riserva allo Stato, in persona del Ministro 
dell'ambiente, la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale conseguente alla lesione 
dell'interesse collettivo avente ad oggetto il bene ambiente. Alle Regioni, alle province e agli enti locali 
anche associati, nonch� alle persone fisiche e giuridiche e alle organizzazioni non governative, che promuovono 
la protezione dell'ambiente ai sensi dell'art. 13 della l. 8 luglio 1986, n. 349 spetta il pi� limitato 
potere di denuncia al fine di sollecitare l'intervento dello Stato. Peraltro i soggetti diversi dallo Stato, 
singoli ovvero associati, compresi gli enti pubblici territoriali e le regioni, possono invece agire in forza 
dell'art. 2043 c.c. per il risarcimento di qualsiasi altro danno patrimoniale, a condizione che provino la 
lesione di un diritto particolare, diverso dall'interesse pubblico collettivo e generale. Cos� da ultimo 
Cass., sez. III pen., 12 gennaio 2012, n. 633, conforme a Cass., sez. III pen., 21 ottobre 2010, n. 41015; 
Cass., sez. IV pen., 11 marzo 2011, n. 9923. 
Per un approfondimento D.DI CARLO, Profili di diritto processuale civile, in P. DELL'ANNO, E. PICOZZA 
(diretto da), Trattato di diritto ambientale, vol. I, Principi generali, Padova, Cedam, 2012, pp. 432 ss. 
(69) Per il riconoscimento della legittimazione e dell'interesse ad agire dell'ente locale in materia 
ambientale, in quanto titolare di un interesse collettivo, Tar Lazio, 1990, n. 1064: �il comune, quale ente 
territoriale esponenziale di una determinata collettivit� di cittadini della quale cura gli interessi a promuovere 
lo sviluppo, � pienamente legittimato ad impugnare dinnanzi al giudice amministrativo i provvedimenti 
ritenuti lesivi dell'ambiente�. In senso conforme, successivamente Cons. St., sez. IV, 6 ottobre 
2001, n. 5296: �al comune va riconosciuta la legittimazione ad impugnare il provvedimento di approvazione 
di una discarica, sia per la qualit� di ente esponenziale degli interessi dei residenti che potrebbero 
subire danni dalla scelta compiuta dall'autorit� competente nell'individuazione delle aree per l'attivazione 
dell'impianto di discarica, sia per la qualit� di titolare del potere di pianificazione urbanistica su cui certamente 
incide la collocazione dell'impianto medesimo�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 315 
La Provincia, invece, ha anche un rapporto di rappresentanza politica, in 
quanto titolare di numerose funzioni direttamente o indirettamente attinenti 
all�energia, quali l�autorizzazione agli elettrodotti, agli impianti di produzione 
di energia da rifiuti e la tutela delle c.d. aree vaste in numerosi settori (70). Di 
conseguenza anche essa �, ancora di pi� del comune, legittimata ad impugnare 
i provvedimenti amministrativi in materia energetica lesivi degli interessi ambientali 
di cui sopra (71). 
Infine, secondo la giurisprudenza (72), detta legittimazione va riconosciuta 
anche ad enti territoriali intermedi, istituzionalmente rappresentativi 
delle comunit� locali (quali ad es. le comunit� montane), qualora le autorizzazioni 
e i procedimenti dichiarativi in materia energetica ledano i citati interessi 
ambientali, spesso collegati alla tutela delle attivit� agro-silvo-pastorali. 
6. Conclusioni. 
Il quadro normativo tratteggiato pone in evidenza le tappe fondamentali 
della liberalizzazione del settore energetico e gli strumenti di raccordo con le 
ragioni dell�ambiente offerti dall�ordinamento europeo e da quello nazionale. 
Per valutare l�assetto di interessi che ne deriva sembra necessario appuntare 
l�attenzione su due profili, peraltro tra loro strettamente connessi. 
Sotto un profilo sostanziale, il servizio energetico, riguardato sia come 
bene che come attivit�, non pu� essere appiattito sullo schema di una qualunque 
altra utilit� ampiamente intesa, che venga offerta sul mercato. In altre parole 
non pu� essere lasciato alle sole leggi della domanda e dell�offerta, perch� 
la sua presenza deve essere assicurata alla collettivit� dai pubblici poteri a determinate 
condizioni qualitative e quantitative. La liberalizzazione allora pu� 
(70) Ai sensi dell�art. 31, co. 2 del d.lgs. n.112 del 1998 �sono attribuite in particolare alle province, 
nell'ambito delle linee di indirizzo e di coordinamento previste dai piani energetici regionali, le 
seguenti funzioni: a) la redazione e l'adozione dei programmi di intervento per la promozione delle fonti 
rinnovabili e del risparmio energetico; b) l'autorizzazione alla installazione ed all'esercizio degli impianti 
di produzione di energia; c) il controllo sul rendimento energetico degli impianti termici�. 
(71) Recentemente con riferimento alla Provincia, nella sent. Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 2 
febbraio 2010, n. 521, si � ha affermato che non pu� essere fondatamente messa in discussione la legittimazione 
da parte di questo ente locale ad impugnare provvedimenti che recano pregiudizio all'ambiente 
per opere che vengono realizzate all'interno del territorio di competenza. A tale proposito si rileva che 
�sarebbe d'altronde alquanto irragionevole riconoscere legislativamente all'ente territoriale la possibilit� 
di agire in giudizio (in via successiva) per il risarcimento del danno ambientale (come fa l'art. 18, co. 3, 
l. 349/86) e negargli invece la possibilit� di agire (in via preventiva) per impedirgli la produzione di 
quello stesso danno. Sarebbe altrettanto irragionevole riconoscere la titolarit� di un interesse collettivo 
ad associazioni ambientaliste, il cui collegamento con il territorio interessato dall'abuso � talora costituito 
soltanto dal fine statutario, e non individuarlo nell'ente istituzionalmente esponenziale della comunit� 
di riferimento�. 
(72) Gi� a partire dalla nota sent. Tar Campania, sez. Salerno, 13 marzo 1987, n. 117, in Trib. 
amm. reg., 1987, 2043 ss., il giudice amministrativo ha riconosciuto che sussiste la legittimazione di 
una comunit� montana, che comprenda nel suo territorio anche comuni costieri, ad impugnare un permesso 
di ricerca di idrocarburi in mare, nei limiti delle precipue attribuzioni e competenze.
316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
certamente realizzare una rimodulazione degli interventi delle istituzioni nazionali 
e comunitarie, ma la riduzione della sfera pubblica (73) non pu� giungere 
alla configurazione del servizio energetico come un�attivit� libera. 
Ne consegue, sotto un profilo procedurale, la necessit� (si potrebbe dire 
ontologica) di regolamentare la realizzazione delle infrastrutture e la loro localizzazione, 
nonch� tutte le attivit� connesse al servizio energetico. 
Liberalizzazione e regolamentazione non sono dunque concetti antitetici, 
ma piuttosto complementari, in quanto precipitati di un medesimo principio 
generale, che � quello di sussidiariet� (74). Proprio quest�ultima infatti trova 
la propria realizzazione sia nella sua dimensione orizzontale, nel momento in 
cui si tratti di definire l�an dell�intervento dei pubblici poteri rispetto all�iniziativa 
rimessa ai privati, cos� come nel settore energetico � avvenuto nel richiamato 
processo di liberalizzazione; sia nella sua proiezione verticale 
quando occorra individuare il quis ed il quomodo del ruolo spettante ai soggetti 
istituzionali europei e nazionali mediante la regolamentazione di questo segmento 
di mercato. Proprio in tale ambito dovranno trovare adeguata espressione 
esigenze ulteriori rispetto a quelle strettamente economiche afferenti 
all�energia, quali innanzitutto quelle connesse alla tutela dell�ambiente. 
Sembra, dunque, essere questa la chiave di volta per affrontare le problematiche 
di un settore quale quello energetico, il cui corretto funzionamento si 
pone quale condizione imprescindibile per lo svolgimento della quasi totalit� 
delle attivit� umane, economiche ma non solo. 
(73) Il tema � particolarmente complesso e per un suo approfondimento si rinvia a M. MAZZAMUTO, 
La riduzione della sfera pubblica, Torino, Giappichelli, 2000, nonch� in termini critici verso la 
prospettata riduzione e nel senso di una tendenziale riespansione dell�intervento dei soggetti pubblici 
M. DUGATO, La riduzione della sfera pubblica?, in dir. amm., 2002, pp. 169 ss. e spec. p. 179, il quale 
rileva che �il sorgere di nuovi interessi imputati alla collettivit� ha determinato l�espansione dell�attivit� 
pubblica diretta alla loro protezione. A volte ci� ha addirittura indotto la creazione di nuovi enti esponenziali 
dei nuovi interessi ed ha determinato un aumento del pubblico come �soggetto� �. 
(74) Il principio di sussidiariet� � oggetto di una letteratura vastissima. Ex plurimis L. FRANZESE, 
Percorsi della sussidiariet�, Padova, Cedam, 2010; ID., Ordine economico ed ordinamento giuridico: 
la sussidiariet� delle istituzioni, II. Ed., Padova, Cedam, 2005; P. DURET, Sussidiariet� ed auto amministrazione 
dei privati, Padova, Cedam, 2004; D. D�ALESSANDRO, Sussidiariet�, solidariet� e azione 
amministrativa, Milano, Giuffr�, 2004; A. POGGI, Le autonomie funzionali tra sussidiariet� verticale e 
sussidiariet� orizzontale, Milano, Giuffr�, 2001; P. VIPIANA, Il principio di sussidiariet� �verticale�. Attuazione 
e prospettive, Milano, Giuffr�, 2002; P. DE CARLI, Sussidiariet� e governo economico, Milano, 
Giuffr�, 2002. 
Per un approfondimento del principio di sussidiariet� nella prospettiva storica del concetto di solidariet� 
e pi� ampiamente della questione sociale M.C. BLAIS, La solidariet�. Storia di un�idea, Milano, Giuffr�, 
2012.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 317 
Il �Rapporto sulla corruzione nella pubblica amministrazione�: 
analisi del fenomeno e delle proposte 
Francesco Spada* 
1. Premessa. 
Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione 
23 dicembre 2011, � stata istituita la Commissione per lo studio e 
l�elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione 
nella pubblica amministrazione, che ha di recente presentato il �Rapporto 
finale sulla corruzione nella pubblica amministrazione�. 
Il Rapporto si articola in due parti: la prima contenente un�analisi di carattere 
generale e la seconda un�indagine di tipo settoriale. 
Dall�analisi svolta emerge, nel complesso, l�esigenza di una politica integrata 
che contempli, oltre al rafforzamento dei rimedi di carattere repressivo, 
l�introduzione di strumenti di prevenzione che incidano sia sulle occasioni 
della corruzione che sui fattori che ne favoriscono la diffusione. 
L�analisi svolta accoglie una nozione ampia di �corruzione�, non limitata 
alla fattispecie penale, ma estesa anche ad episodi che si risolvono nel risvolto 
in negativo dell�integrit� pubblica. 
Il Rapporto evidenzia una metamorfosi quantitativa e qualitativa del fenomeno: 
sotto il primo profilo, in particolare, si riscontra un ridimensionamento 
della corruzione �denunciata e sanzionata�, a fronte di un aumento della 
corruzione �praticata�. 
Proprio la diffusione del fenomeno impone l�adozione di una politica di 
tipo coordinato ed integrato, con l�adozione di misure di carattere extrapenale, 
destinate ad operare sul versante prevalentemente amministrativo con funzione 
di prevenzione. 
D�altra parte, l�implementazione di una politica siffatta � resa necessaria 
anche in considerazione dei costi (diretti ed indiretti) implicati dal fenomeno 
corruttivo, individuabili nell�alterazione della libera concorrenza e nello sviluppo 
della concentrazione della ricchezza in capo a coloro che accettano e 
beneficiano del mercato della corruzione a scapito di coloro che invece si rifiutano 
di beneficiarne. 
Tanto premesso, si esaminer� qui di seguito il contenuto del Rapporto, 
suddividendo la trattazione in due parti: la prima riguarder� i dati del fenomeno 
(*) Dirigente di II fascia del Ministero dell�Economia e delle Finanze. Ha svolto la pratica forense 
presso l�Avvocatura Generale dello Stato. 
Il presente contributo riflette le opinioni dell�Autore e non impegna in alcun modo l�Amministrazione 
di appartenenza.
318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
corruttivo, in termini di dimensioni e di costi; la seconda concerner� le misure 
proposte. 
2. I dati del fenomeno. 
I dati del fenomeno corruttivo esaminati nel Rapporto - in termini di dimensioni 
- sono di due tipi: dati giudiziari e dati relativi alla percezione del 
fenomeno. 
Per quanto concerne i dati giudiziari, i delitti di concussione e di corruzione 
consumati sono passati, secondo il Rapporto, dai 311 del 2009 ai 223 
del 2010: si �, quindi, registrata una loro riduzione nella misura di 88 casi. 
Anche con riferimento ai soggetti denunciati per i delitti di concussione 
e di corruzione il Rapporto ne rileva una diminuzione, essendosi passati dalle 
1821 persone denunciate nel 2009 alle 1226 nel 2010. 
Il numero di condanne per reati di corruzione �, infine, passato da un massimo 
di oltre 1700 nel 1996 a 239 nel 2006, ossia quasi un settimo rispetto a 
10 anni prima. 
Dai dati fin qui esaminati emerge l�accennato riferimento al ridimensionamento 
della corruzione �denunciata e sanzionata�. 
I dati relativi alla percezione del fenomeno - dai quali emerge, al contrario, 
l�accennato incremento della corruzione �praticata� - sono stati misurati 
nel Rapporto attraverso l�elaborazione di alcuni indici. 
Il Corruption Perception Index (CPI) di Transparency International misura 
la corruzione percepita: l�Italia si � attestata a 3.9 contro il 6.9 della media 
OCSE, su una scala da 1 a 10, in cui 10 individua l�assenza di corruzione, 
classificandosi al 69� posto (a pari merito con il Ghana e la Macedonia). 
Il Global Corruption Barometer di Transparency International misura la 
percezione del fenomeno corruttivo da parte dei cittadini con riferimento a 
specifiche istituzioni: in Italia, per il biennio 2010/2011, il primato spetta alla 
corruzione politica, seguita da quella del settore privato e della pubblica amministrazione. 
L�Excess Perceived Corruption Index (EPCI) misura quanto un Paese si 
discosta dai valori di corruzione attesi: l�Italia si classifica al penultimo posto 
nella classifica dei Paesi considerati da Transparency International ed � superata 
soltanto dalla Grecia. 
Infine, il Rating of control of corruption (RCC), elaborato dalla Banca 
Mondiale e che va da 0 a 100 (dove 100 indica l�assenza di corruzione), colloca 
l�Italia agli ultimi posti in Europa, essendo passata dal valore 82 nel 2000 
al valore 59 nel 2009. 
Fin qui i dati, in termini di dimensioni del fenomeno; il Rapporto esamina, 
poi, ulteriori dati, in termini di costi diretti, indiretti e sistemici. 
La Corte dei Conti ha stimato i costi diretti del fenomeno corruttivo in 
diversi miliardi di euro, circa 60 ogni anno.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 319 
I costi indiretti sono quelli di meno agevole quantificazione connessi a: 
� ritardi nella definizione delle pratiche amministrative; 
� cattivo funzionamento degli apparati pubblici; 
� inadeguatezza delle opere pubbliche, dei servizi pubblici e delle forniture 
pubbliche; 
� non oculata allocazione delle scarse e limitate risorse pubbliche; 
� perdita di competitivit� del Paese. 
I costi di tipo sistemico non sono misurabili in termini economici e riguardano 
i valori fondamentali per la tenuta dell�assetto democratico: 
� eguaglianza; 
� trasparenza dei meccanismi decisionali; 
� fiducia nelle Istituzioni; 
� funzionamento delle Istituzioni e legittimazione democratica delle 
stesse; 
� fiducia dei cittadini nella legalit� e nell�imparzialit� dell�azione degli 
apparati pubblici. 
Gli effetti della corruzione sulla crescita, infine, sono distinti nel Rapporto 
a seconda che si esamini il breve periodo ed il lungo periodo. 
Nel breve periodo, infatti, la corruzione pu� essere funzionale ad assicurare 
il superamento di sacche di inefficienza dell�apparato pubblico e la sopravvivenza 
di meccanismi e sistemi di impresa tecnologicamente non 
avanzati. 
Nel lungo periodo, invece, si stabilisce una relazione inversamente proporzionale 
tra diffusione della corruzione e crescita economica. 
La corruzione frena, infatti, il progresso tecnologico delle imprese, incentivate 
ad investire nel mercato della tangente anzich� in quello dell�innovazione 
e della ricerca. 
Secondo un recente studio della Banca Mondiale ripreso nel Rapporto: 
� le imprese costrette a fronteggiare una pubblica amministrazione corrotta 
crescono, in media, quasi del 25% di meno di imprese che non fronteggiano 
detto problema; 
� le piccole e medie imprese e quelle pi� giovani sono le imprese pi� 
fortemente colpite dal fenomeno corruttivo. 
Infine, risulta che ogni punto di discesa nella classifica della percezione 
della corruzione redatta da Transparency International provoca la perdita del 
sedici per cento degli investimenti dall�estero. 
3. Le misure proposte. 
Un primo gruppo di misure proposte nel Rapporto riguarda i piani di organizzazione 
in funzione di prevenzione del rischio corruzione ed, in particolare: 
� adozione di piani organizzativi in funzione di prevenzione della cor-
320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
ruzione da parte delle singole amministrazioni ispirati a modelli di risk management; 
� elaborazione di un sistema organico di prevenzione della corruzione 
affidato ad un�Autorit� indipendente che formuli linee guida per le singole 
amministrazioni e ne controlli l�attuazione; 
� indicazione, da parte della legge, dei contenuti minimi dei piani organizzativi 
che le singole amministrazioni dovranno adottare. 
In particolare, con riferimento ai contenuti minimi dei piani organizzativi, 
il Rapporto prevede: 
� individuazione, all�interno delle amministrazioni, di chi provvede all�elaborazione 
della mappatura dei rischi e all�individuazione delle soluzioni 
organizzative con finalit� di prevenzione, con il coinvolgimento dell�organo 
di indirizzo politico; 
� rotazione degli incarichi nelle fasi procedimentali pi� a rischio; 
� monitoraggio dei legami tra l�amministrazione ed i soggetti che alla 
stessa si rapportano; 
� obblighi di informazione per il dirigente deputato a vigilare sul funzionamento 
del piano. 
Per gli enti locali e gli uffici periferici delle amministrazioni dello Stato, 
il Rapporto prevede, inoltre, la valorizzazione della rete dei Prefetti per: 
� il supporto tecnico ed informativo agli enti locali; 
� il collegamento tra enti locali ed Autorit� indipendente nazionale; 
� la vigilanza sull�attuazione della legge e delle linee guida contenute 
nei piani. 
Infine, per i Comuni e per le Province, il Rapporto prevede: 
� attribuzione al Segretario del ruolo di responsabile della prevenzione 
della corruzione; 
� modificazione della vigente disciplina dello status del Segretario, al 
fine di rivisitarne il tasso di fiduciariet� che ne caratterizza la nomina e di ridefinirne 
i compiti ed i doveri di comportamento. 
Un secondo gruppo di misure proposte riguarda le regole di integrit�. 
In particolare, il Rapporto prevede: 
� non conferibilit� di incarichi dirigenziali per coloro che, per un certo 
periodo di tempo, anteriormente al conferimento abbiano svolto incarichi o 
rivestito cariche in imprese sottoposte a regolazione, controllo o contribuzione 
economica da parte dell�amministrazione; abbiano fatto parte di organi di indirizzo 
politico; abbiano rivestito incarichi pubblici elettivi; abbiano rivestito 
cariche in partiti politici; 
� parziale rivisitazione della disciplina delle incandidabilit� e delle ineleggibilit�, 
attraverso l�introduzione di un divieto di ricoprire cariche elettive 
e di governo a seguito di sentenze di condanna per alcune fattispecie di reato.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 321 
Con riferimento ai codici di condotta, il Rapporto prevede: 
� rafforzamento del codice di comportamento dei dipendenti pubblici, 
chiarendone la natura di fonte che individua doveri di comportamento giuridicamente 
rilevanti, sanzionabili disciplinarmente; 
� revisione del quadro dei doveri dei dipendenti, mediante l�espressa 
previsione di doveri che assicurano l�indipendenza personale del dipendente 
e l�esercizio imparziale delle funzioni affidate; 
� adozione di codici di comportamento anche per il personale politico. 
Infine, con riguardo alla responsabilit� disciplinare, il Rapporto prevede:
� regolamentazione specifica, attraverso fonte di rango legislativo, del 
sistema della responsabilit� disciplinare; 
� integrazione delle ipotesi di licenziamento disciplinare, relativamente 
ai responsabili di reati contro la pubblica amministrazione; 
� definizione puntuale dei caratteri di indipendenza degli organismi chiamati 
ad irrogare sanzioni disciplinari; 
� previsione di adeguati meccanismi di trasparenza di indici relativi alla 
funzionalit� delle procedure disciplinari e di informazioni analitiche relative 
alle violazioni riscontrate, ai singoli procedimenti avviati, allo stato di questi 
ultimi ed al loro esito, nel rispetto della normativa sulla tutela della privacy. 
Un terzo gruppo di misure proposte riguarda il tema della trasparenza. 
In particolare, il Rapporto prevede l�innalzamento del livello di trasparenza 
attraverso l�obbligo di pubblicazione di: 
� dati relativi ai titolari di incarichi politici di livello statale, regionale e 
locale riguardanti la situazione patrimoniale complessiva del titolare al momento 
dell�assunzione della carica; la titolarit� di imprese; le partecipazioni 
azionarie proprie, del coniuge e dei congiunti fino al secondo grado di parentela; 
i compensi cui d� diritto l�assunzione della carica in questione; 
� dati reddituali e patrimoniali di alcune categorie di dipendenti pubblici, 
a partire da quelli con funzioni dirigenziali. 
Con riferimento alla trasparenza e alla procedimentalizzazione dell�attivit� 
di rappresentanza di interessi (c.d. lobbying), il Rapporto prevede: 
� definizione, a monte, delle nozioni di �rappresentante di interessi particolari�, 
�portatore di interessi particolari�, �decisore pubblico�, �processi 
decisionali pubblici�, �attivit� di rappresentanza di interessi�; 
� istituzione del Registro pubblico dei rappresentati di interessi particolari, 
prevedendo che lo stesso sia tenuto da un�Autorit� terza ed imparziale; 
� definizione degli obblighi e delle responsabilit� gravanti sui soggetti 
che svolgono attivit� di rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici; 
� previsione di forme di analitica relazione - imposte anche ai decisori 
pubblici - delle attivit� di rappresentazione di interessi svolte;
322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
� elaborazione di un codice di condotta dei lobbisti; 
� introduzione di un regime di incompatibilit� per arginare il fenomeno 
del c.d. pantouflage: restrizioni allo svolgimento di attivit� di lobbying da parte 
dei pubblici ufficiali per il periodo immediatamente successivo alla cessazione 
dell�incarico, con particolare riferimento a coloro che hanno ricoperto incarichi 
pubblici negli uffici di staff. 
In relazione al whistleblowing, il Rapporto prevede: 
� introduzione, in analogia con altri Paesi, di un sistema premiale che 
incentivi le segnalazioni dell�illecito, basato sulla corresponsione di una 
somma di denaro parametrata in termini percentuali a quella oggetto di recupero 
a seguito della sentenza di condanna della Corte dei Conti per danno all�erario 
e danno all�immagine; 
� chiara definizione dell�ambito delle informative protette e delle persone 
tutelate; 
� elaborazione di procedure per facilitare la segnalazione di atti sospetti 
di corruzione, incoraggiando l�uso di protettivi canali di denuncia facilmente 
accessibili; 
� meccanismi di protezione efficaci (es. individuazione di un organismo 
specifico con il potere di ricevere e di esaminare le denunce di ritorsione e/o 
di indagini improprie). 
Con riferimento alla formazione e alla promozione della cultura della 
legalit�, il Rapporto prevede: 
� promozione della cultura della legalit� nei confronti del personale pubblico 
da parte delle istituzioni pubbliche di formazione dei dipendenti; 
� promozione della cultura della legalit� nei confronti della societ�, favorendo 
percorsi formativi mirati, anche su indirizzo dei Ministri dell�istruzione 
e dell�universit� e della pubblica amministrazione e con il 
coinvolgimento delle istituzioni della societ� civile. 
Infine, in relazione ai codici di autoregolamentazione delle imprese, il 
Rapporto prevede: 
� valorizzazione degli strumenti di autoregolamentazione di cui le associazioni 
imprenditoriali hanno dimostrato di sapersi dotare nel contrastare il 
fenomeno mafioso; 
� estensione, a chi non denuncia episodi di corruzione, delle misure 
espulsive e sospensive che Confindustria ha gi� adottato nei confronti di chi 
non denuncia di aver subito un�estorsione o altro delitto che, direttamente o 
indirettamente, abbiano limitato l�attivit� economica a vantaggio di imprese 
o persone riconducibili ad organizzazioni criminali. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
�Il sistema delle impugnazioni nel processo amministrativo� 
(Convegno in Roma, Palazzo Altieri, 19 novembre 2012) 
Relazione di Ignazio Francesco Caramazza* 
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. La crisi di trasformazione della giustizia amministrativa nel passaggio 
di millennio - 3. Il sistema delle impugnazioni nel codice - 4. Conclusioni. 
1. Il bel volume di Mario Sanino la cui presentazione avviene in occasione 
di questo convegno contiene nel suo incipit un richiamo all�insegnamento di 
Mario Nigro. 
Sanino ha fatto tesoro di quell�insegnamento (uno dei cui motivi ricorrenti 
era l�esortazione all�approfondimento della storia della giustizia amministrativa, 
essenziale per comprenderne appieno l�essenza) tanto vero che il primo 
corposo capitolo del suo volume � dedicato proprio a quella storia, a partire 
addirittura dall�Editto di Saint Germain. 
Non intendo certo risalire tanto addietro nel tempo e mi limiter� all�entrata 
in vigore della Carta repubblicana del 1947 che costituzionalizz� il sistema 
di giustizia esistente con tutte le sue ben note originalit� e 
contraddizioni. Basti pensare a quella che vede contrapporre, da un lato, la 
qualificazione dell�interesse legittimo come posizione soggettiva sostanziale 
(art. 24) e, dall�altro, la qualificazione del giudizio amministrativo come giudizio 
sull�atto e quindi come giudizio cassatorio, inidoneo a garantire il riconoscimento 
di un bene della vita (art. 113). Unico elemento innovativo portato 
dalla Costituzione repubblicana consiste nell�introduzione del principio del 
doppio grado, con la previsione (art. 125) della istituzione a livello regionale 
di organi di giustizia amministrativa di primo grado. Previsione cui doveva 
(*) Avvocato Generale dello Stato, cessato dalla carica il 30 settembre 2012.
324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
dare attuazione la legge 6 dicembre 1971 n. 1034, istitutiva dei Tribunali amministrativi 
regionali, che, comՏ noto, non contiene alcuna rivoluzionaria innovazione 
normativa ed appare anzi, in larga misura, rispettosa delle formule 
tradizionali. 
Si � molto dibattuto sul �se� e sul �come� con la normativa in esame il 
principio del doppio grado nel giudizio amministrativo sia stato costituzionalizzato. 
La lettura dell�art. 109 del Codice, che prevede che il terzo interessato 
all�opposizione in pendenza di appello non possa proporre opposizione ma 
debba intervenire in tale giudizio sembrerebbe far propendere - a meno di declaratoria 
di incostituzionalit� della norma - per la tesi che il principio non � 
stato costituzionalizzato o quanto meno che non lo � stato in via �totalizzante�. 
Lo stesso dicasi per il caso previsto dall�art. 104 del Codice sui motivi aggiunti 
in appello, che devolvono questioni non esaminate dal Tribunale amministrativo 
al giudizio del Consiglio di Stato, il quale decider�, quindi, in unico grado. 
Analoghe considerazioni, possono svolgersi con riguardo all�art. 101 che prevede 
la riproposizione al giudice di appello delle domande ed eccezioni dichiarate 
assorbite o non esaminate in primo grado, con conseguente 
attribuzione al Consiglio di Stato della natura di unico giudice di merito rispetto 
ad esse (1). 
Sembra, per�, opportuno accantonare il problema e preme, invece, rilevare 
la singolare scelta operata dal legislatore con la costituzione di un doppio grado 
di giudizio mediante la tecnica di un �innesto dal basso�: cio� mediante la creazione 
di organi di primo grado sottordinati ad un giudice - il Consiglio di Stato 
- fino allora giusdicente in unico grado e trasformato in giudice di appello. 
Altra singolarit� � quella della assoluta esiguit� delle norme processuali 
dettate per regolare il doppio grado di giudizio (artt. 28, 29, 34 e 35 L. 
1034/71), s� che tutto il sistema delle impugnazioni nella giustizia amministrativa 
appariva regolato da diverse disposizioni distinte nel tempo, derivanti da 
pi� fonti non coordinate e largamente incomplete. Oltre a quella ora citata occorre 
ricordare infatti le norme contenute in eterogenei testi normativi: Regolamento 
di procedura del Consiglio di Stato, (R.D. 17 agosto 1907 n. 642 artt. 
81 e 86), T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato (R.D. 26 giugno 1924 n. 1034 
art. 46), codice di procedura civile (artt. 395 e 396) Costituzione (art. 111): 
norme volte a regolare, rispettivamente, revocazione e ricorso per cassazione. 
Tale esiguit�, sempre esistita, di norme procedurali volte a regolare il processo 
amministrativo, non a caso venne avvertita - nonostante la sostanziale 
invarianza del diritto amministrativo sostanziale - con la introduzione nel sistema 
di giustizia dell�appello, che pacificamente � considerato il pi� importante 
mezzo di impugnazione, attese le sue caratteristiche sindacatorie sia di 
merito che di rito della pronuncia di primo grado e che postula, quindi, pi� ar- 
(1) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Giuffr�, Milano 2011, 303.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 325 
ticolate previsioni procedurali rispetto al giudizio in unico grado. 
E sempre non a caso, nel 1983, Mario Nigro, nel suo articolo �� ancora 
attuale una giustizia amministrativa?� (2) definiva la struttura del processo 
amministrativo come �rozza, invecchiata, asfittica� ed invocava l�emanazione 
di un vero codice processuale amministrativo. 
Come sappiamo, dovevano trascorrere quasi trenta anni prima che l�invocazione 
fosse accolta. Tuttavia il nostro giudice amministrativo riusc� a colmare 
insufficienze e lacune, forte della propria solidissima esperienza pretoria, 
ed agevolato anche dal fatto che l�evoluzione della giustizia amministrativa 
fu assai lenta fino quasi al passaggio di millennio, s� che le pur fragili strutture 
processuali (rectius: procedurali) si rivelarono sufficienti a gestire un diritto 
sostanziale evoluto, si, rispetto a quello delle origini, ma che non aveva sub�to 
quel radicale mutamento - una vera e propria crisi di trasformazione - che doveva 
verificarsi a cavallo del passaggio di millennio e che avrebbe reso improcrastinabile 
l�emanazione di un codice del processo amministrativo in 
presenza di una gamma completa di azioni esperibili (3) e della disponibilit� 
da parte del giudice amministrativo di un accresciuto e sostanzialmente completo 
strumentario decisorio, istruttorio e cautelare. 
2. Crisi di trasformazione, si � detto, e non riforma perch� una riforma 
postula un disegno unitario e coerente mentre, nella specie, si � assistito al 
confuso - anche se spesso sinergico - accavallarsi di iniziative assunte dai vari 
poteri dello Stato. 
A dare il via fu il legislatore delegante della legge 15 marzo 1997, n. 59, 
che indic� fra i principi e criteri direttivi la �estensione della giurisdizione del 
giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali 
consequenziali, ivi compreso quello relativo al risarcimento del danno� in alcune 
materie, cos� superando un tab� pi� che secolare. 
Segu� il legislatore delegato, con il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 che, 
nell�attuare la delega, devolvette alla giurisdizione esclusiva anche le tre nuove 
materie dei servizi pubblici, dell�urbanistica e dell�edilizia. Intervennero poi 
le Sezioni Unite della Cassazione con la celeberrima sentenza 22 luglio 1999, 
n. 500, che infranse il dogma della irrisarcibilit� degli interessi legittimi, il 
Consiglio di Stato, con la pronuncia 30 marzo 2000, n. 1 dell�Adunanza Plenaria 
ed ancora, in dissonanza, le Sezioni Unite della Cassazione con le sentenze 
n. 71 e 72 del 30 marzo 2000. 
Fu poi la volta della Corte costituzionale, che, con la sentenza 17 luglio 
2000, n. 292, sanzion� un eccesso di delega nel decreto delegato n. 80/1998. 
(2) In Foro it. 1983, V, 249. 
(3) A. POLICE, Relazione presentata al Seminario sul libro III del progetto del Codice, tenutosi a 
Tor Vergata il 30 aprile 2010.
326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Il Parlamento, infine, con la legge 21 luglio 2000, n. 205, sostituendo, con 
modifiche, gli artt. 33, 34 e 35 del decreto delegato, elimin� ogni questione di 
eccesso di delega, ed estese la tutela risarcitoria a tutte le aree nelle quali il 
giudice amministrativo esercita giurisdizione. 
Il risultato di questa convulsa stagione fu la fulminea accelerazione ed il 
compimento di tre tendenze evolutive che si erano andate lentissimamente e 
timidamente dipanando nell�arco di tre quarti di secolo, e precisamente: 
a) la trasformazione del criterio di discrimine fra le due giurisdizioni da 
quello della situazione tutelata a quello della materia; 
b) l�attribuzione al giudice amministrativo della tutela risarcitoria oltre a 
quella cassatoria in materia di giurisdizione esclusiva; 
c) la estensione della tutela risarcitoria ai pregiudizi derivanti dalla lesione 
degli interessi legittimi. 
In relazione alla terza linea di tendenza sar� sufficiente un accenno alla 
lenta ma inesorabile espansione, nell�arco del secolo scorso (e non solo certo 
in Italia), dell�istituto della responsabilit� civile, specialmente nella sua dimensione 
aquiliana (4). 
Per limitarci al nostro Paese basti ricordare, in sede di puro diritto civile, 
l�estensione dell�istituto, dapprima limitato alle lesioni dei soli diritti assoluti, 
ai diritti di credito, alle chances, alle aspettative e, in definitiva, a qualunque 
attentato all�integrit� del patrimonio. In sede di diritto amministrativo si rammenti 
la - peraltro modesta - evoluzione compiutasi in materia di reviviscenza 
dei diritti degradati a seguito di caducazione dell�atto degradatorio, di illegittima 
ricompressione di diritti espansi in virt� di procedimento poi annullato, 
di interessi legittimi dichiarati eccezionalmente risarcibili in ossequio ad obblighi 
europei (art. 13 L. 19 febbraio 1992 n. 142), di interessi legittimi dichiarati 
risarcibili in leggi dall�efficacia sospesa e poi abrogate, in decreti legge 
non convertiti dopo varie reiterazioni o in leggi recanti elaborazioni di principi 
e criteri direttivi mai attuati dalla normativa secondaria (5). 
Inutile sottolineare come, rispetto a tali timide linee di tendenza lentissimamente 
evolute nell�arco di svariati decenni, il loro brusco e veloce completamento, 
suggellato dal crisma legislativo, sia stato avvertito come una violenta 
soluzione di continuit�. Tanto pi� violenta, poi, in quanto accompagnata da 
una innovazione non preannunciata da alcuna sia pur timida avvisaglia, e cio� 
l�attribuzione alla competenza del giudice amministrativo della tutela risarcitoria 
degli interessi legittimi. Le novit� erano tante e tali da far dubitare pi� di 
un giudicante della loro conformit� a Costituzione, con conseguente devolu- 
(4) A. DE VITA, Al crocevia degli itinerari dei diritti europei, in Politica del diritto, 2000, 537. 
(5) Per una compiuta rassegna di tutte le ipotesi di cui sopra, vedasi E. FOLLIERI, Lo stato dell�arte 
della tutela risarcitoria degli interessi legittimi, in Atti del XLIII Convegno di studi di Scienza dell�Amministrazione, 
Giuffr�, Milano, 1998, 55 e ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 327 
zione alla Corte della questione di legittimit� costituzionale dell�art. 7 della 
legge 205/2000 sotto svariati profili. 
La Corte ha risposto alle attese con la famosa sentenza 204/2004 (seguita 
da altre che si sono messe nel solco da quella tracciato: vedasi segnatamente 
la sentenza 259/2009). Seguirono minori interventi normativi. 
Come � noto, la Corte Costituzionale richiam� il legislatore al rispetto 
dell�art. 103 della Costituzione, che consente di affidare al giudice amministrativo 
la cognizione dei diritti soggettivi solo nelle materie che formano oggetto 
della giurisdizione generale di legittimit� e quindi con esclusione delle 
materie in cui non esistano interessi legittimi e dei meri comportamenti, che 
non costituiscono espressione - neanche mediata - di poteri autoritativi ed al 
suo insegnamento si adeguarono giurisprudenza e legislazione successive. 
Giova a tal punto considerare che prima di tale sentenza, i rivolgimenti di 
fine millennio della giustizia amministrativa e quelli successivi erano stati salutati 
dai commentatori in vario modo. Il tema dominante e largamente prevalente 
era, comunque, quello di un requiem per l�interesse legittimo, destinato a 
dissolversi nel diritto soggettivo con la perdita della funzione di discrimine delle 
giurisdizioni, ormai assolta dal criterio delle materie o dei �blocchi di materie�. 
L�anomalo sistema �dualistico� italiano (in cui cio� il contenzioso della 
pubblica Amministrazione � conosciuto da due distinti giudici, a seconda della 
situazione soggettiva dedotta in giudizio) - si diceva - ha finalmente perso la 
sua anomalia e si avvia a diventare monistico, come accade in tutti gli altri 
Stati d�Europa, nei quali uno solo � il giudice della pubblica Amministrazione: 
quello ordinario (ed unico) nei paesi a sistema di common law e quello amministrativo 
nei paesi a sistema di civil law. 
L�evoluzione della giustizia amministrativa italiana sembrava incamminata 
lungo una via di omogeneizzazione soprattutto indotta, in realt�, dal diritto 
dell�unione Europea che non conosce gli interessi legittimi e con il quale appare 
soprattutto incompatibile la loro irrisarcibilit�, tradizionalmente sancita 
nel nostro ordinamento. 
Non a caso una delle prime e pi� sostanziose soluzioni di continuit� legislativa 
nel principio di irrisarcibilit� fu indotta da una direttiva europea (citata 
legge 19 febbraio l992 n. 142 art. 13). 
La via prescelta dal legislatore del 1997-2000 per realizzare tale risultato 
di omogeneizzazione fu quella di accentuare al massimo una tendenza gi� manifestatasi 
in maniera sempre meno timida in tutto il secondo cinquantennio 
del secolo trascorso, cio� l�espansione dell�area della giurisdizione esclusiva, 
sulla base di una ritenuta insussistenza di limiti costituzionali posti in materia 
al legislatore. 
Come si � visto, la Corte Costituzionale � andata in diverso avviso ed ha 
delimitato con chiarezza quali siano, in proposito, i limiti del potere discrezionale 
del legislatore. Limiti, peraltro, tanto poco costrittivi - soprattutto se
328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
si considera quanto spazio lasci all�interprete una locuzione quale �materia 
nella quale la pubblica Amministrazione esercita un potere autoritativo� - da 
consentire al legislatore ordinario di affidare, in sede di giurisdizione esclusiva, 
al giudice amministrativo italiano tutta l�area di competenza che il sistema 
francese affida al suo giudice amministrativo. 
Anche nel diritto francese, infatti, quando l�Amministrazione �n�use pas 
les pr�rogatives de puissance publique et se met en civil�, cio� agisce iure privatorum, 
la giurisdizione � del giudice ordinario. Lo stesso dicasi per i comportamenti, 
qualificabili come �voie de fait�, cio� i comportamenti senza potere. 
Sar� appena il caso di aggiungere che, naturalmente, le diverse giurisprudenze 
nazionali potranno divergere nel qualificare quali attivit� siano da considerarsi 
iure gestionis e quali comportamenti siano da qualificare �senza 
potere�. D�altronde, anche a livello italiano, come � noto, non vi � stata concordia 
sul punto, fra Cassazione e Consiglio di Stato. 
L�importante � che tutta l�area astrattamente disegnata dal nostro �legislatore 
negativo� come costituzionalmente sottratta alla giurisdizione amministrativa 
corrisponda concettualmente a quella pure sottratta ad essa nel pi� 
classico e tradizionale modello di giustizia amministrativa monistica continentale: 
quello francese. 
Il paragone diventa ancora pi� calzante ove si pensi all�acquisto da parte 
del giudice amministrativo italiano della tutela risarcitoria in materia cos� di 
diritti come di interessi. Il che realizza un totalizzante contenzioso �di piena 
giurisdizione�. 
In realt� la sostanziale anomalia italiana nel quadro europeo della giustizia 
amministrativa non era tanto quella, formalmente pi� evidente, del discrimine 
delle giurisdizioni basato sulla dicotomia diritto-interesse legittimo quanto 
quella sostanziale del doppio tab� della irrisarcibilit� dell�interesse legittimo 
e della negazione della tutela risarcitoria in sede di giustizia amministrativa, 
con conseguenti dinieghi di giustizia o, nella migliore delle ipotesi, necessit� 
di defatiganti ricorsi successivi ai due ordini giurisdizionali. 
Il secondo tab� fu infranto dal legislatore delegante del 1997. Il primo dalla 
Cassazione del 1999. Il legislatore del 2000 si limit� - se si passa la colloquiale 
espressione - a fare �due pi� due�. Se il giudice amministrativo somministra 
anche tutela risarcitoria o se la lesione dell�interesse legittimo pu� causare danno 
risarcibile, ebbene al giudice amministrativo spetter� la relativa pronuncia. 
Finalmente, dopo quasi un secolo e mezzo di travagliato percorso, il sistema 
italiano di giustizia amministrativa si � avviato a diventare monista 
(anche se di un monismo diverso da quello originariamente voluto). 
La cosa pi� singolare - ma questo conferma che il paradosso � l�essenza 
della storia della nostra giustizia amministrativa - � che per giungere a questo 
risultato, che d� alla giurisdizione amministrativa italiana una pienezza di poteri 
comparabile a quella delle omologhe giurisdizioni continentali, la Corte Costi-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 329 
tuzionale ha fatto leva sulla costituzionalizzazione dell�interesse legittimo. 
Cio� su di un istituto nato come �arma di guerra�(6) brandita dall�Esecutivo 
per difendere i propri privilegi dalle insidie del controllo giurisdizionale. 
Gli anni successivi hanno poi visto Consiglio di Stato e Cassazione cimentarsi 
- spesso in contrasto fra loro - sulla esegesi del nuovo assetto della 
giustizia amministrativa. 
Il codice in esame si inserisce, quindi, - anche alla luce delle finalit� e 
dei criteri direttivi indicati nella delega di cui all�art. 44 della legge 18 giugno 
2009, n. 69 - come il momento di razionalizzazione e di chiusura di quel lungo 
e tormentato processo evolutivo durato oltre un secolo e che ha subito, come 
si � visto, una vistosa accelerazione alla fine del suo lungo percorso. 
Il risultato � un sistema di giustizia amministrativa completo che fornisce 
al giudice amministrativo un istrumentario probatorio cautelare e decisorio 
perfettamente comparabile a quello del giudice civile, con piena equiordinazione 
delle parti in causa. 
3. Alle impugnazioni � dedicato il libro III del Codice, un libro snello, 
articolato in cinque titoli ed appena ventuno articoli, semplici e lineari, autorevolmente 
qualificato come il meglio scritto, il meno criticato dalla dottrina 
(7) ed il meno modificato in sede di intereventi correttivi dalla Commissione 
e dal Governo. 
La delega specifica di cui all�art. 44 della L. 69/2009 muoveva da un criterio 
di unitariet� del sistema delle impugnazioni, e molto opportunamente il primo 
titolo del libro concerne le impugnazioni in generale il che costituisce una novit� 
assoluta nella storia della normazione sul processo amministrativo (8). 
Gli appena nove articoli che lo compongono vanno integrati con le disposizioni 
generali del libro I, segnatamente con gli articoli 38 e 39, intitolati 
al rinvio interno ed al rinvio esterno e che segnano una decisa inversione di 
tendenza rispetto al passato. 
Il primo stabilisce, infatti, che le disposizioni che regolano il processo di 
primo grado si applicano anche al processo di impugnazione, se non espressamente 
derogate. 
Al contrario, alla stregua della previgente normativa, nei giudizi dinanzi 
ai tribunali amministrativi regionali si osservavano le norme di procedura applicabili 
dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato (art. 19 L. 
(6) M. NIGRO, Ma cosՏ questo interesse legittimo? Interrogatori vecchi e nuovi spunti di riflessione, 
in Foro it., 1982, V, 470. 
(7) A. POLITI, Interventi al Seminario sul libro III del codice, tenutosi all�Universit� di Tor Vergata 
il 30 novembre 2010. 
(8) M. LIPARI, in Il processo amministrativo comunitario a cura di A. QUARANTA e V. LOPILATO, 
Giuffr�, Milano, 2011, 685.
330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
1034/71), applicabili, ovviamente, anche in sede di giudizi d�appello (art. 29 
l. 1034/71). 
Il secondo (art. 39 del codice), stabilisce che, per quanto non espressamente 
disciplinato, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, 
in quanto compatibili o espressione di principi generali, cos� attribuendo al 
codice di procedura civile il valore di legge processuale generale. 
Nel sistema previgente, per contro, il vuoto normativo in proposito veniva 
(non di frequente) colmato dalla giurisprudenza con il ricorso ai principi generali 
del processo civile solo quando la ratio dell�istituto in esame fosse comune 
alle due discipline processuali, attesa la specificit� del processo 
amministrativo (9). 
Passando all�esame delle norme contenute nel libro III preciso che per 
evidenti ragioni di brevit�, non essendo certo questa la sede per una disamina 
analitica, mi limiter� a brevi cenni su alcune delle novit� pi� importanti e significative 
contenute nei cinque titoli del libro. 
Nel titolo I sulle impugnazioni in generale vorrei ricordare due innovazioni 
eterogenee in quanto relative l�una ai principi fondanti del diritto processuale, 
l�altra a concreti problemi di quotidianit� del processo. 
La prima � costituita dall�art. 99 che potenzia la funzione nomofilattica 
dell�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in quanto, in linea con quanto 
previsto per la Corte di cassazione dall�art. 374 c.p.c., attribuisce alle decisioni 
dell�Adunanza carattere vincolante per i successivi giudizi (10). 
Con riguardo a detta norma deve, poi, osservarsi che con il D.Lgs. 14 settembre 
2012 n. 160, art. 1, comma 1, lett. o) al primo comma � stato aggiunto 
il periodo �L�Adunanza plenaria, qualora ne ravvisi l�opportunit�, pu� restituire 
gli atti alla sezione�. 
Questa previsione non era stata proposta dalla commissione speciale del 
Consiglio di Stato e la relazione governativa tace in ordine alla sua ratio. 
Come � stato autorevolmente notato la disposizione additiva lascia perplessi 
in quanto sembra conferire all�Adunanza Plenaria un potere discrezionale 
poco o punto congruente con la funzione giurisdizionale (11). 
La seconda innovazione riguarda, pi� prosaicamente, il tema delle notifiche, 
risolvendo il problema (assai frequente nella pratica e non sempre dovuto 
a sfortunata causalit�) del trasferimento del procuratore domiciliatario 
del soccombente nell�imminenza della scadenza del termine per l�impugnazione 
con il conferimento, alla parte soccombente, di adeguato rimedio. 
(9) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Giuffr�, Milano, 2011, 6 e ss. 
(10) M. SANINO, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Giappichelli, Torino, 2012, 113 
ed ampia dottrina ivi citata. 
(11) R. DE NICTOLIS, Il secondo correttivo del Codice del Processo amministrativo, in Federalismi.
it n. 20/12.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 331 
Il secondo comma dell�art. 93 prevede, infatti, che �Qualora la notificazione 
(dell�impugnazione) abbia avuto esito negativo perch� il domiciliatario 
si � trasferito senza notificare una formale comunicazione alle altre parti, la 
parte che intende proporre l�impugnazione pu� presentare al presidente del 
tribunale amministrativo regionale o al presidente del Consiglio di Stato, secondo 
il giudice adito con l�impugnazione, un�istanza, corredata dall�attestazione 
dell�omessa notificazione, per la fissazione di un termine perentorio per 
il completamento della notificazione o per la rinnovazione dell�impugnazione�. 
Per quanto riguarda i titoli successivi, intestati all�appello, alla revocazione, 
all�opposizione di terzo ed al ricorso per cassazione, mi limiter� ad annotare, 
quanto all�appello, oltre alle osservazioni gi� formulate in proposito, 
che il codice ha recepito, in linea con la delega, tutti gli orientamenti giurisprudenziali 
consolidati o maggioritari, introducendo nel processo amministrativo 
la novit� della riserva di appello (che va per� necessariamente notificata). 
Sulla revocazione - a parte la sostanziale identit� di disciplina con l�istituto 
processual-civilistico (12) - sembra potersi osservare che la novit� rilevante 
concerne i rapporti fra revocazione ed appello. La previgente normativa 
(art. 28 L. 1034/71) conferiva alla parte, di fronte alla sentenza di primo grado, 
la facolt� di optare per il ricorso in revocazione dinanzi al TAR o per l�appello 
al Consiglio di Stato. La nuova normativa prevede, invece, che contro la sentenza 
dei tribunali amministrativi regionali la revocazione � ammessa soltanto 
se i motivi non possono essere dedotti con l�appello. 
Quanto all�opposizione di terzo, giover� ricordare come l�opposizione 
ordinaria fosse stata introdotta nell�ordinamento non gi� dal legislatore, ma 
dalla Corte Costituzionale, che, con sentenza 17 maggio 1995 n. 177 dichiar� 
incostituzionali l�art. 36 della L. 1034/71 nella parte in cui non prevedeva l�opposizione 
di terzo ordinaria fra i mezzi di impugnazione della sentenza del 
Consiglio di Stato e l�art. 28 della stessa legge nella parte in cui non prevedeva 
l�opposizione di terzo ordinaria fra i mezzi di impugnazione della sentenza 
del tribunale amministrativo regionale divenuta giudicato. 
Le incertezze insorte nella giurisprudenza amministrativa ai fini della individuazione 
del giudice competente a decidere l�opposizione proposta contro 
la sentenza di primo grado e l�orientamento di individuarlo nel giudice di appello 
(13) sono state superate dall�art. 109 del codice, che individua il giudice 
competente a conoscere dell�opposizione nel giudice che ha pronunciato la 
sentenza impugnata, a meno che contro la stessa non venga proposto appello, 
nel qual caso il terzo opponente deve intervenire nel relativo giudizio. 
Novit� introdotta dal codice nel processo amministrativo �, poi, l�opposizione 
revocatoria. 
(12) A. QUARANTA - V. LOPILATO, op. cit. 
(13) Cons. Stato, V, 28 maggio 1997 n. 582; Ad. Plen. 11 gennaio 2007 n. 2.
332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Quanto, infine, al ricorso per cassazione (previsto, ovviamente, per i soli 
motivi inerenti alla giurisdizione), l�art. 111, modificato due volte in sede di 
correttivi al fine di garantire pienezza di contraddittorio, effettivit� della tutela 
cautelare e piena collaborazione fra le due giurisdizioni che giudicano il ricorso 
l�una nel merito e l�altra nella cautela, molto opportunamente - in pendenza 
del ricorso per cassazione - disciplina pi� dettagliatamente la fase 
cautelare del giudizio di sospensione della sentenza del Consiglio di Stato, 
giudizio che, come � ovvio, si svolge dinanzi al Consiglio di Stato stesso. 
La seconda correzione, in particolare, precisa che l�ordinanza (di accoglimento 
o di rigetto dell�istanza di sospensiva) sia trasmessa alla cancelleria 
della Corte di cassazione (14). 
4. Conclusivamente, pu� affermarsi che la codificazione, di cui il libro 
delle impugnazioni costituisce parte essenziale, oltre a rispondere, sul piano 
formale, ad esigenze di unificazione, chiarificazione e coordinamento, persegue 
l�obiettivo sostanziale di riconoscere al giudice amministrativo, sulla 
scorta dell�evoluzione normativa e della giurisprudenza di legittimit� e costituzionale 
uno strumentario di poteri istruttori, cautelari e decisori comparabile 
con quello di cui � dotato il giudice civile. 
Pu� dirsi, quindi, che l�emanazione del Codice del processo amministrativo, 
costituisce una svolta epocale e, come ha affermato il Presidente de Lise 
nel suo discorso di insediamento alla Presidenza del Consiglio di Stato, rappresenta 
una �pietra miliare� che conferisce alla disciplina del processo amministrativo 
la stessa dignit� formale degli altri rami dell�ordinamento 
processuale. Non a caso Mario Sanino, nella parte conclusiva del suo bel volume 
che oggi viene presentato, ha sottolineato un significativo valore simbolico 
del Codice, che rappresenta, per la disciplina del giudizio amministrativo 
- dopo oltre centoventi anni - una evoluzione da regola di procedura a regola 
di diritto processuale. 
(14) R. DE NICTOLIS, op. cit.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 333 
Translatio iudicii tra giurisdizioni 
e sorte dei provvedimenti cautelari 
Emanuele Manzo* 
SOMMARIO: 1. Premessa. � 2. Declinatoria di giurisdizione, translatio iudicii e misure 
cautelari: l�evoluzione interpretativa. � 3. L�introduzione dell�art. 11 del D.Lgs. 2 luglio 2010, 
n. 104: problematiche conseguenti. � 4. Processo cautelare civile e processo cautelare amministrativo: 
l�incidenza della questione di giurisdizione. � 5. Segue: la proposizione della 
domanda cautelare, la strumentalit� delle misure cautelari e la tutela cautelare ante causam. 
� 6. La portata dell�art. 11, comma 7, del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. � 7. Spunti problematici 
conclusivi. 
1. Premessa. 
Come � noto, l�art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69, sulla scia delle 
storiche pronunce del 2007 della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale 
(1), ha normativizzato l�istituto della translatio iudicii tra giudice ordinario 
e giudice speciale (e viceversa). 
Altrettanto note sono le molteplici problematiche che l�istituto, per come 
congegnato dal legislatore del 2009, ha sollevato: gli interrogativi e i nodi che 
l�interprete � chiamato a sciogliere sono infatti innumerevoli, tanto che si � da 
pi� parti evidenziata l�inadeguatezza dell�attuale testo normativo (2). 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
(1) Ci si riferisce, ovviamente, a Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2007, n. 4190 e Corte Cost., 12 
marzo 2007, n. 77, pubblicate in Foro it., 2007, I, 1009, con nota di R. ORIANI, � possibile la �translatio 
iudicii�nei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale: divergenze e consonanze tra Corte di Cassazione 
e Corte Costituzionale; in Riv. dir. proc., 2007, 1577 ss., con nota di M. ACONE, Giurisdizione 
e translatio iudicii... aspettando Godot; in Guida al dir., 2007, 13, 89 ss., con note di G. FINOCCHIARO, 
Necessario l�intervento del legislatore per chiarire le modalit� di riassunzione e M. CLARICH, Un istituto 
operativo anche in caso di errore; in Riv. giurisp. trib., 2007, 557 ss., con nota di C. GLENDI, �Translatio 
iudicii� tra diverse giurisdizioni: problemi pratici e prospettive �in apicibus�; in www. judicium.it, con 
nota di C. DELLE DONNE, La Cassazione, la Consulta ed il principio di conservazione degli effetti della 
domanda proposta a giudice privo di potestas iudicandi. La parola passa ora al legislatore; in La giurisdizione 
nell�esperienza giurisdizionale contemporanea, Milano, 2008, 183 ss., a cura di R. MARTINO, 
con nota di A. PANZAROLA, �Translatio iudicii� e dichiarazione di difetto di giurisdizione. 
(2) L�intervento legislativo, sebbene relativamente recente, ha suscitato l�interesse di numerosi 
Autori. Tra i molteplici commenti si segnalano: C. ASPRELLA, La translatio iudicii, Milano, 2010, 160 
ss.; F. AULETTA, Decisione delle questioni di giurisdizione, in Dir. e giur., 2009, 400 ss.; G. BALENA, La 
nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della l. 18 giugno 2009, n. 69), in 
Giusto proc. civ., 2009, 749 ss.; M. BOVE, Giurisdizione e competenza nella recente riforma del processo 
civile, in Riv. dir. proc., 2009, 1295 ss.; F. CIPRIANI, La translatio tra giurisdizioni italiane, in Foro it., 
2009, V, 249 ss.; C. CONSOLO, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi a 
prima lettura, in Corriere giur., 2009, 877; ID., La translatio iudicii tra giurisdizioni nel nuovo art. 59 
della legge di riforma del processo civile, in Riv. dir. proc., 2009, 1267 ss.; G. GIOIA, in Codice di procedura 
civile commentato. La riforma del 2009, diretto da C. CONSOLO, Milano, 2009, sub art. 59, 471
334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Alla intrinseca contraddittoriet� della disciplina posta dal citato art. 59, 
devono essere poi aggiunte le difficolt� di coordinamento di siffatta normativa 
a carattere �generale� (3) con quella, per cos� dire �settoriale�, introdotta dal 
pi� recente art. 11 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (cd. codice del processo 
amministrativo) (4). 
Con le brevi considerazioni che seguono ci si intende soffermare soltanto 
su uno dei profili controversi e dibattuti: quello degli effetti della declinatoria 
di giurisdizione, e della conseguente possibilit� di translatio iudicii, sulle misure 
cautelari previamente concesse. 
2. Declinatoria di giurisdizione, translatio iudicii e misure cautelari: l�evoluzione 
intrepretativa. 
La questione, ovviamente, non � del tutto nuova, in quanto il problema 
della sorte del provvedimento cautelare a seguito della dichiarazione di difetto 
di giurisdizione si poneva ancor prima che venisse introdotto il meccanismo 
della translatio iudicii tra giurisdizioni. 
A dire il vero, la suesposta problematica � stata di regola affrontata in termini 
pi� generali, ossia con riferimento all�attitudine della sentenza di rigetto 
in rito a costituire causa di immediata caducazione del provvedimento cautelare 
(5). Questione che si poneva, e si pone ancora oggi, se solo si consideri 
che le pronunce di rigetto in rito non appaiono immediatamente riconducibili 
n� alla previsione di cui al comma 1 dell�art. 669 novies c.p.c., che ricollega 
l�inefficacia del provvedimento cautelare all�estinzione del giudizio di merito, 
n� a quella di cui al comma 3 del medesimo articolo, a mente del quale il provvedimento 
cautelare perde efficacia se con sentenza, anche non passata in giudicato, 
venga dichiarato �inesistente� il diritto a cautela del quale era stato 
concesso. 
ss.; A. GIUSSANI, Le novit� in materia di scelta del giudice nella l. n. 69 del 2009, in Riv. trim. dir. proc. 
civ., 2010, 1191 ss.; S. MENCHINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, in G. BALENA, R. CAPONI, 
A. CHIZZINI, S. MENCHINI, La riforma della giustizia civile, Torino, 2009, 252 ss.; G. MONTELEONE, Difetto 
di giurisdizione e prosecuzione del processo: una confusa pagina di anomalie processuali, in Riv. 
dir. proc., 2010, 271 ss.; A. PROTO PISANI, La riforma del processo civile, in Foro it., 2009, V, 226 ss.; 
E.F. RICCI, La nuova disciplina della declinatoria di giurisdizione tra intuizioni felici e confusione di 
idee, in Riv. dir. proc., 2009, 1537 ss.; G.F. RICCI, La riforma del processo civile, Torino, 2009, 3 ss.; G. 
TRISORIO LIUZZI, Commento all�art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in Nuove leggi civ. comm., 
2010, 1217 ss; P. VITTORIA, Lo statuto della questione di giurisdizione davanti al giudice ordinario e la 
disciplina della translatio iudicii nella l. n. 69 del 2009, in Giust. civ., 2010, 105 ss. 
(3) La portata generale dell�art. 59 della legge n. 69/2009 � confermata dal fatto che tale norma 
non � stata inserita nel codice di procedura civile, bens� collocata in una legge speciale. 
(4) Secondo G. COSTANTINO, Note a prima lettura sul codice del processo amministrativo. Appio 
Claudio e l�apprendista stregone, in Foro it., 2010, V, 240, �l�introduzione, nell�art. 11, di una disciplina 
specifica per i giudici amministrativi diversifica, senza obiettive ragioni, gli effetti della declinatoria di 
giurisdizione nei processi innanzi a questi ultimi e pone inevitabili problemi di coordinamento�. 
(5) Cfr. C. PUNZI, Il Processo civile. Sistema e problematiche, III, Torino, 2010, 54-55.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 335 
Ebbene, al riguardo, la giurisprudenza (6) la dottrina prevalenti (7) - nonostante 
alcune distinzioni (8) e fatto salvo, probabilmente, il caso delle misure 
cautelari a cosiddetta �strumentalit� attenuata� (9) - hanno ritenuto che anche 
la sentenza di rigetto in rito, mediante una interpretazione analogica del citato 
art. 669 novies c.p.c., costituisse causa di caducazione automatica del provvedimento 
cautelare. Con l�unica eccezione, prospettata da una parte della dottrina 
(10), di quelle pronunce in rito che, pur definendo il giudizio davanti al 
giudice adito, ne consentono comunque la continuazione davanti ad altro giudice. 
Si tratta, in particolare, dei casi di rimessione della causa ad altro giudice 
in seguito a dichiarazione di incompetenza del giudice adito (11), ovvero in 
presenza di cause di connessione o di continenza. 
Ci� detto, venendo alla questione della carenza di giurisdizione, nel contesto 
anteriore alle pronunce del 2007, alla luce del dogma della incomunica- 
(6) Cfr. Cass., 16 settembre 1993, n. 9556, in Dir. e giur., 1993, 541 ss.; Trib. Roma, 19 febbraio 
1997, in Giur. merito, 1998, I, 236 ss, con nota di P. PECUSSI; Trib. Brescia, 16 maggio 1995, in Foro it., 
I, 2995 ss.; Trib. Trani, 4 luglio 2000, in Giur. merito, 2001, I, 989 ss. 
(7) A. ATTARDI, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 252; A. CARRATTA, Inefficacia 
del sequestro pronunciato ante causam da giudice incompetente ed ambito di applicazione dell�art. 
669 novies c.p.c., nota critica a Trib. Milano, 15 giugno 1998, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, II, 
474 ss.; G. FRUS, Commento all�art. 669 novies, in Le riforme del processo civile, a cura di S. CHIARLONI, 
Bologna, 1992, 714 ss.; G. OLIVIERI, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile, in Riv. dir. 
proc., 1991, 716 ss.; A. PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli 1991, 350; A. SALETTI, 
Appunti sulla nuova disciplina delle misure cautelari, in Riv. dir. proc., 1991, 381 nota 62; F. 
TOMMASEO, Commentario ai provvedimenti urgenti per il processo civile, in Corr. giur., 1991, 102 ss. 
Nello stesso senso era orientata la prevalente dottrina ancor prima che venisse introdotto l�art. 669 novies 
(ad opera delle legge n. 353 del 1990): v. al riguardo V. ANDRIOLI, Commento al c.p.c., IV, Napoli, 1964, 
195; S. SATTA, Commentario del c.p.c., IV, 1, Milano, 1968, 186. 
(8) Cfr. Cass., 21 agosto 2007, n. 17778, secondo cui �Il provvedimento cautelare (nella specie 
un sequestro conservativo) non perde efficacia nel caso in cui il successivo giudizio di merito sia definito 
da una sentenza che dichiari nullo il ricorso, essendo prevista la caducazione del provvedimento nelle 
sole ipotesi tassative di cui all'art. 669 "novies" cod. proc. civ.�; nello stesso senso Trib. Messina, 7 dicembre 
1995, in Giur. it., 1996, I, 2, 556 ss. con nota di G. NICOTINA. 
(9) Sulle misure cautelari a strumentalit� �attenuata� v. infra, 16 ss. 
(10) P. LUISO, Diritto Processuale civile2, IV, Milano, 1999, 178; L. MONTESANO-G. ARIETA, Il 
nuovo processo civile, Torino, 1991, 141; S. RECCHIONI, Il processo cautelare uniforme, Torino, 2005, 
652; G. VERDE, Appunti sul procedimento cautelare, in Foro it., 1992, V, 432 ss. In giurisprudenza cfr., 
Cass., 20 agosto 1998, n. 8247, secondo cui �l�incompetenza del giudice originariamente adito non comporta 
l�inefficacia del sequestro autorizzato dal giudice competente, essendo applicabile il generale principio 
di cui all�art. 50 cod. proc. civ. che vuole conservati gli effetti processuali e sostanziali connessi 
alla domanda, pur se proposta dinanzi a giudice incompetente, sulla base della cosiddetta translatio iudicii�. 
Contra A. CARRATTA, Inefficacia del sequestro pronunciato ante causam cit., per il quale la possibilit� 
di riassumere il giudizio dinanzi al giudice ritenuto competente non comporta che la presenza 
del vizio di competenza �non sia idonea ad interrompere il nesso di strumentalit� tra la misura cautelare 
e gli effetti della pronuncia di merito, e questo proprio per la ragione che uno dei presupposti per il concretizzarsi 
di quel nesso di strumentalit� � dato dalla coincidenza (tendenziale) fra giudice cautelare e 
giudice competente a conoscere del merito�. 
(11) Sugli effetti della translatio iudicii in seguito a dichiarazione di incompetenza cfr. in generale 
G. BONGIORNO, Il regolamento di competenza, Milano, 1970, 45 ss.
336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
bilit� tra giurisdizioni, risultava piuttosto agevole affermare che la dichiarazione 
di difetto di giurisdizione dovesse comportare ex se la caducazione della 
misura cautelare. La stessa Corte di Cassazione, del resto, aveva espressamente 
preso posizione in favore della �caducazione, quale necessario effetto della 
pronunciata declinatoria di giurisdizione del giudice amministrativo, delle ordinanze 
cautelari emesse nel corso dello stesso giudizio� (12). 
Questa tesi, evidentemente, non poteva non essere sottoposta ad un attento 
e meditato ripensamento in seguito ai fondamentali interventi giurisprudenziali 
del 2007, sopra richiamati. 
Ed in effetti, alla luce del riconoscimento del principio della salvezza 
degli effetti sostanziali e processuali della domanda erroneamente proposta 
dinanzi a giudice carente di giurisdizione, si � altres� paventata la possibilit� 
di riconoscere ultrattivit� al provvedimento cautelare concesso dal giudice 
successivamente dichiaratosi sfornito di giurisdizione (13). 
In altri termini, � progressivamente maturata l�idea che il provvedimento 
cautelare gi� concesso, stante la riconosciuta permeabilit� tra le giurisdizioni, 
in forza dell�ormai ammessa possibilit� di traslare il giudizio dinanzi ad altro 
plesso giurisdizionale, non possa pi� venir meno per il solo fatto che sia intervenuta 
una declinatoria di giurisdizione. Difatti, non essendo la decisione 
che neghi la giurisdizione idonea a caducare tout court l�attivit� precedentemente 
svolta, ne dovrebbe ragionevolmente conseguire anche la �salvezza� 
delle misure cautelari gi� emanate. Ci� che conta, al fine di garantire la predetta 
�salvezza�, � che sia evitata l�estinzione del processo mediante la sua 
tempestiva trasmigrazione dinanzi all�organo giurisdizionale indicato come 
munito di potestas iudicandi (14). 
Spostando per un momento l�attenzione sul versante della giurisprudenza 
amministrativa, si deve tuttavia notare che essa, nonostante il revirement giurisprudenziale 
del 2007, aveva manifestato un atteggiamento pi� cauto e probabilmente 
incline ad una conservazione del tradizionale orientamento. I 
giudici amministrativi, infatti, hanno continuato a ribadire che, sebbene in 
forza della translatio iudicii non sono pregiudicati gli effetti sostanziali e processuali 
della domanda proposta dinanzi a giudice carente di giurisdizione, 
resta comunque ferma �la naturale e automatica cessazione degli effetti del 
decreto cautelare presidenziale eventualmente concesso inaudita altera parte 
in questa procedura� (15). 
L�affermazione del giudice amministrativo, sebbene testualmente riferita 
(12) Cass., Sez. Un., 29 settembre 2003, n. 14489. 
(13) Per una completa analisi del problema dell�efficacia dei provvedimenti cautelari emessi da 
giudice incompetente e sfornito di giurisdizione si rinvia a P. VITTORIA, Translatio iudicii e giurisdizione 
cautelare, in Giusto proc. civ., 2009, 447 ss. 
(14) In verit�, come si dir� successivamente, la mancata tempestiva riassunzione del processo non 
potrebbe nemmeno reputarsi idonea a caducare la misure cautelari cd. anticipatorie (v. infra, 16 ss.).
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 337 
al decreto cautelare, sembra potenzialmente idonea ad assumere valenza generale: 
da essa potrebbe infatti inferirsi un principio in forza del quale qualsivoglia 
misura cautelare, in seguito alla declaratoria di difetto di giurisdizione, 
debba essere naturaliter caducata (16). 
Al riguardo, sembra sufficiente anticipare, per il momento, che - per le 
ragioni che verranno successivamente esaminate - il pi� cauto atteggiamento 
manifestato dalla giurisprudenza amministrativa trova, con ogni probabilit�, 
una sua razionale giustificazione tutta interna a quello che � il sistema processuale 
amministrativo. 
Ovviamente, la problematica della sorte dei provvedimenti cautelari a seguito 
della sopravvenuta declinatoria di giurisdizione si � riproposta all�attenzione 
degli interpreti nel momento in cui il legislatore, in ossequio 
all�autorevole esortazione della Corte Costituzionale (17), ha introdotto e disciplinato 
il meccanismo della translatio iudicii tra giurisdizioni. 
(15) Cfr. Tar Campania-Napoli, 2 febbraio 2009, n. 555; Tar Campania-Napoli, 2 marzo 2009, n. 
1194; Tar Campania-Napoli, 4 giugno 2009, n. 3067. 
(16) Invero, non ci si pu� esimere dall�evidenziare che, nel processo amministrativo, ai sensi del 
previgente art. 21, comma 9, della legge n. 1034 del 1971, il decreto cautelare presidenziale era efficace 
sino alla pronuncia del collegio e che, come precisa l�attuale art. 56, comma 4, c.p.a., il decreto perde 
efficacia se il collegio, nella successiva camera di consiglio, non provvede sulla domanda cautelare. Ne 
deriva, pertanto, che l�efficacia del decreto presidenziale, almeno nel processo amministrativo, � inevitabilmente 
e necessariamente limitata alla data della successiva camera di consiglio, a prescindere dal 
fatto che il collegio, in quella sede, abbia o meno provveduto sulla domanda cautelare. 
Ebbene, se cos� �, ne deriva che la statuzione del giudice amministrativo, contenuta nelle pronunce richiamate 
nella precedente nota, circa �la naturale e automatica cessazione degli effetti del decreto cautelare 
presidenziale�, si rivela in primo luogo superflua, atteso che, come detto, � lo stesso legislatore 
che contempla espressamente, e senza alcuna eccezione, siffatta caducazione. Ma soprattutto, si tratta 
di statuizione che - per come inserita nel corpo della motivazione - sembra idonea a far sorgere il dubbio 
che essa sia in realt� preordinata a precisare - limitandola - la portata del principio della salvezza degli 
effetti della domanda proposta dinanzi a giudice carente di giurisdizione. Infatti, in tutte le pronunce 
del Tar Campania prima richiamate si afferma che �la recente pronuncia della Corte costituzionale 12 
marzo 2007, n. 77 ha chiarito che, in sede di translatio iudicii, non sono pregiudicati gli effetti sostanziali 
e processuali della domanda proposta dinanzi al giudice carente di giurisdizione� ma che ciononostante, 
ossia quasi a voler limitare la portata di tale innovativo principio, resta comunque ferma �la naturale e 
automatica cessazione degli effetti del decreto cautelare presidenziale eventualmente concesso inaudita 
altera parte in questa procedura�. 
In sostanza, la conclusione cui giunge il giudice amministrativo non sembra tanto fondata sulle intrinseche 
ed oggettive peculiarit� del decreto cautelare (destinato inevitabilmente a venir meno), quanto sul 
principio per cui la declinatoria di giurisdizione, se � vero che fa salvi gli effetti sostanziali e processuali 
della domanda, non pu� tuttavia reputarsi idonea a far salve anche le misure cautelari gi� concesse. Pertanto, 
cos� ragionando, non sembrerebbe affatto azzardato voler individuare in tali pronunce i sintomi 
di un diverso modo di atteggiarsi, da parte della giurisprudenza amministrativa, alla problematica che 
qui ci occupa. 
(17) Si legge nella sentenza Corte Cost., 12 marzo 2007, n. 77 che �La disciplina legislativa che, 
con l�urgenza richiesta dall�esigenza di colmare una lacuna dell�ordinamento processuale, verr� emanata, 
sar� vincolata solo nel senso che essa dovr� dare attuazione al principio della conservazione degli effetti, 
sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione nel giudizio 
ritualmente riattivato - a seguito di declinatoria di giurisdizione - davanti al giudice che ne � munito�.
338 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
In verit�, l�art. 59 della legge n. 69 del 2009 (18) ha del tutto ignorato la 
problematica che qui interessa: nessuna disposizione regola infatti il fenomeno 
della sorte dei provvedimenti cautelari emanati dal giudice che abbia poi declinato 
la giurisdizione. 
Nonostante ci�, nel silenzio del legislatore, gran parte della dottrina processualcivilistica 
ha avuto buon gioco a ribadire l�idea gi� maturata dopo le 
pronunce del 2007. Vale a dire: la declinatoria di giurisdizione non pu� comportare 
la caducazione automatica della misura cautelare previamente concessa, 
dal momento che la valida e tempestiva riassunzione del processo 
dinanzi al giudice �giurisdizionalmente competente� � di per s� idonea a far 
salva l�attivit� processuale svolta dinanzi al primo giudice (19). 
Ne deriva che alla pronuncia in rito che dichiari il difetto di giurisdizione 
pu� riconoscersi, secondo una efficace espressione, �una attenuata idoneit� 
definitoria del processo� (20), dal momento che essa, pur valendo a chiudere 
il giudizio dinanzi al giudice adito, non comporta una sua definizione in senso 
proprio, lasciando comunque aperta la possibilit� di una sua continuazione davanti 
ad un diverso giudice. Pertanto, l�attivit� giurisdizionale - compresa 
quella cautelare - svolta dinanzi al primo giudice, poi dichiaratosi privo di giurisdizione, 
potr� essere conservata qualora il medesimo processo prosegua dinanzi 
al giudice fornito di giurisdizione. 
(18) L�art. 59 della legge n. 69 del 2009 dispone che �1. Il giudice che, in materia civile, amministrativa, 
contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altres�, 
se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla 
giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione � vincolante per ogni giudice e per le 
parti anche in altro processo. 
2. Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 
1, la domanda � riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a 
tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto 
se il giudice di cui � stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall'instaurazione del primo 
giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Ai fini del presente comma la domanda 
si ripropone con le modalit� e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito 
in relazione al rito applicabile. 
3. Se sulla questione di giurisdizione non si sono gi� pronunciate, nel processo, le sezioni unite della Corte 
di cassazione, il giudice davanti al quale la causa � riassunta pu� sollevare d'ufficio, con ordinanza, tale 
questione davanti alle medesime sezioni unite della Corte di cassazione, fino alla prima udienza fissata 
per la trattazione del merito. Restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione. 
4. L'inosservanza dei termini fissati ai sensi del presente articolo per la riassunzione o per la prosecuzione 
del giudizio comporta l'estinzione del processo, che � dichiarata anche d'ufficio alla prima udienza, e 
impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda. 
5. In ogni caso di riproposizione della domanda davanti al giudice di cui al comma 1, le prove raccolte 
nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova�. 
(19) C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile2, II, Profili generali, Torino, 2012, 65; 
S. MENCHINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., 261; A. GIUSSANI, Le novit� in materia di 
scelta del giudice nella l. n. 69 del 2009, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 1203. 
(20) Cfr. E. MERLIN, I limiti temporali di efficacia, la revoca e la modifica, in Il nuovo processo 
cautelare, a cura di G. TARZIA, Padova, 1993, 321.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 339 
Non vՏ dubbio che il quadro brevemente delineato appaia pienamente 
coerente con l�innovata concezione della giurisdizione, la cui carenza, al pari 
di quanto gi� paventato per la competenza, non si rivela pi� idonea a sancire 
la definitiva chiusura in rito del processo. Del resto, se con riguardo alla declinatoria 
di competenza, come gi� detto, era diffusa l�idea che il provvedimento 
cautelare emanato dovesse comunque conservare la sua efficacia (21), 
analoga soluzione potrebbe oggi ragionevolmente imporsi anche con riferimento 
alla declinatoria di giurisdizione (22). 
Ci� posto, sembra tuttavia doveroso precisare che, anche a voler ritenere, 
come sembra opportuno, che le misure cautelari emanate dal giudice poi dichiaratosi 
sfornito di giurisdizione debbano comunque restare in vita, tali misure, 
una volta che sia stata effettuata la trasmigrazione del giudizio, �possono 
essere modificate, anche profondamente, dal giudice innanzi a cui la causa 
verr� riassunta qualora diverse siano le regole dettate in proposito dalle norme 
disciplinanti la tipologia di misure cautelari nella sua giurisdizione� (23). In 
sostanza, si dovr� pur sempre verificare se, trasmigrato il giudizio, sia necessario 
rimodulare le misure cautelari concesse, al fine di adeguarle alle tutele 
di merito che possono essere concesse dal giudice ad quem e al fine di renderle 
compatibili con le regole processuali vigenti dinanzi a quell�organo giurisdizionale. 
Ci� significa che la misura cautelare potr� essere revocata se non contemplata 
affatto dalle norme che regolano il giudizio ad quem (24); oppure 
potr� essere modificata se la posizione soggettiva, per la quale era stata concessa 
cautela nel giudizio a quo, sia tutelata da un�altra tipologia di provvedimento 
nel giudizio ad quem (25). 
Fatta questa doverosa precisazione, l�evidente pregio della suesposta ricostruzione 
sta nel fatto che essa si rivela idonea a garantire la continuit� - ed 
(21) V. Autori sub nota 10; Cfr. E. MERLIN, Le cause della sopravvenuta inefficacia del provvedimento, 
in Il processo cautelare4, a cura di G. Tarzia e A. SALETTi, Padova, 2011, 459. 
(22) Tale rilievo � operato da G. IMPAGNATIELLO, Le novit� in tema di giurisdizione e competenza, 
� 7 della relazione svolta all�incontro di studio �La nuova riforma del processo civile�, tenutosi il 2 e 3 
ottobre 2009 nell�Universit� di Foggia, e reperibile in www.judicium.it, il quale effettua anche un parallelo 
con il processo penale, laddove la sopravvivenza del provvedimento cautelare alla declinatoria di 
competenza � espressamente prevista dall�art. 27 c.p.p., a norma del quale �le misure cautelari disposte 
dal giudice che, contestualmente o successivamente, si dichiara incompetente per qualsiasi causa cessano 
di avere effetto se, entro venti giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti, il giudice competente 
non provvede a norma degli artt. 292, 317 e 321�. 
(23) C. CONSOLO, La translatio iudicii, cit., 1272; in modo analogo anche C. GLENDI, La circolarit� 
dell�azione tra le diverse giurisdizioni nell�ordinamento nazionale, in Proc. trib., 2009, 2655 ss.; B. 
RAGANELLI, L�evoluzione della giurisprudenza e il recente intervento del legislatore in tema di translatio 
iudicii, in Dir. proc. amm., 2010, 789 ss. 
(24) Nel processo tributario, ad esempio, l�unica misura cautelare applicabile � la sospensione dell�esecuzione 
dell�atto impositivo impugnato, ai sensi dell�art. 47 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. 
(25) Sulla revoca e modifica dei provvedimenti cautelari cfr. in generale G. BASILICO, La revoca 
dei provvedimenti civili contenziosi, Padova, 2001, 241 ss.
340 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
in definitiva l�effettivit� - della tutela cautelare (26), evitando che, nel passaggio 
da una giurisdizione all�altra, possano prodursi pericolosi vuoti di tutela. 
Si evita, cio�, che la parte che nel giudizio a quo aveva beneficiato della concessione 
di un provvedimento cautelare possa poi, a causa della sopravvenuta 
declinatoria di giurisdizione, rimanere temporaneamente sprovvista di cautela, 
con il conseguente rischio di veder vanificata l�utilit� della futura decisione 
di merito. 
3. L�introduzione dell�art. 11 del D.Lgs. 2 luglio 2012, n. 104: problematiche 
conseguenti. 
Siffatta ricostruzione subisce, tuttavia, un importante e, per certi versi inaspettato, 
�sconvolgimento� in seguito all�approvazione del D.Lgs. 2 luglio 2010, 
n. 104, meglio noto come codice del processo amministrativo (in seguito c.p.a.). 
Il legislatore ha infatti introdotto, all�art. 11 c.p.a. (27), una disciplina 
specifica in materia di translatio iudicii, che in pi� punti si discosta dal gi� 
esistente art. 59 della legge n. 69 del 2009 e che ha posto, come si � gi� anticipato, 
inevitabili problemi di coordinamento. 
Ebbene, rispetto al tema che qui ci occupa, � dato registrare, in evidente 
controtendenza rispetto all�intervento legislativo del 2009, una precisa presa 
di posizione del legislatore che, al comma 7 dello stesso articolo, ha stabilito 
che �Le misure cautelari perdono la loro efficacia trenta giorni dopo la pubblicazione 
del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice 
che le ha emanate. Le parti possono riproporre le domande cautelari al 
(26) Cfr. M. MUSCARDINI, Giurisdizione e competenza, in Il processo cautelare4, a cura di G. TARZIA 
e A. SALETTI, Padova, 2011, 363. 
(27) Ai sensi dell�art. 11 c.p.a.: �1. Il giudice amministrativo, quando declina la propria giurisdizione, 
indica, se esistente, il giudice nazionale che ne � fornito. 
2. Quando la giurisdizione � declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o 
viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali 
e sostanziali della domanda se il processo � riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che 
declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato. 
3. Quando il giudizio � tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, quest�ultimo, 
alla prima udienza, pu� sollevare anche d�ufficio il conflitto di giurisdizione. 
4. Se in una controversia introdotta davanti ad altro giudice le Sezioni Unite della Corte di cassazione, 
investite della questione di giurisdizione, attribuiscono quest�ultima al giudice amministrativo, ferme 
restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali 
della domanda, se il giudizio � riproposto dalla parte che vi ha interesse nel termine di tre mesi dalla 
pubblicazione della decisione delle Sezioni Unite. 
5. Nei giudizi riproposti, il giudice, con riguardo alle preclusioni e decadenze intervenute, pu� concedere 
la rimessione in termini per errore scusabile ove ne ricorrano i presupposti. 
6. Nel giudizio riproposto davanti al giudice amministrativo, le prove raccolte nel processo davanti al 
giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova. 
7. Le misure cautelari perdono la loro efficacia trenta giorni dopo la pubblicazione del provvedimento 
che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice che le ha emanate. Le parti possono riproporre le domande 
cautelari al giudice munito di giurisdizione�.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 341 
giudice munito di giurisdizione� (28). 
In sostanza, viene sancito un principio di efficacia temporanea e limitata 
della misura cautelare concessa dal giudice che si sia poi dichiarato sfornito 
di potere giurisdizionale. 
Una soluzione, quest�ultima, che � stata definita di �compromesso� e che, 
si � detto, potrebbe rappresentare un ragionevole punto di equilibrio (29). In 
questa ottica, il legislatore del processo amministrativo avrebbe contemperato 
due esigenze: da un lato, quella di evitare la caducazione automatica della misura 
cautelare, con conseguente superamento di eventuali tesi - potenzialmente 
ricavabili da quelle pronunce dei giudici amministrativi di cui si � prima dato 
conto (30) - favorevoli a siffatta caducazione nonostante la riconosciuta possibilit� 
di translatio; dall�altro, quella di evitare una ultrattivit� temporalmente 
indefinita della misura cautelare concessa dal giudice a quo, preservandone l�efficacia 
per un breve periodo di trenta giorni, ma facendo comunque salva la facolt� 
di riproporre le istanze cautelari dinanzi al giudice munito di giurisdizione. 
L�art. 11, comma 7, c.p.a. consente quindi di affermare che, quanto meno 
con riferimento alle misure cautelari concesse dal giudice amministrativo, 
esclusa una loro immediata inefficacia a seguito di declinatoria di giurisdizione, 
deve invece essere riconosciuta una loro limitata ultrattivit�. Tale ultrattivit�, 
ed � questo l�aspetto essenziale, non � peraltro garantita a condizione 
che il giudizio sia stato riassunto o la domanda tempestivamente riproposta 
dinanzi al legittimo organo giurisdizionale, nel rispetto cio� del termine di tre 
mesi dal passaggio in giudicato della declinatoria di giurisdizione. Essa � infatti 
temporalmente limitata al pi� breve periodo di trenta giorni dalla pubblicazione 
della declinatoria di giurisdizione: sussiste, in sostanza, uno 
sfasamento temporale tra il termine finale di efficacia temporanea delle misure 
cautelari e quello entro il quale effettuare la trasmigrazione processuale (31). 
La ratio sottesa al settimo comma dell�art. 11 c.p.a., individuabile, come 
detto, nella volont� di limitare nel tempo l�efficacia della misura cautelare 
concessa da un giudice che non sarebbe stato legittimato a concederla - in 
(28) Secondo C. CONSOLO, Translatio iudicii e compiti del regolamento di giurisdizione, con 
esame anche dell�incidenza scoordinata del nuovo �codice della giustizia amministrativa�, in Corr. 
giur., 2010, 769, �Poich� la translatio importa la prosecuzione del medesimo procedimento, una previsione 
esplicita in punto di efficacia delle misure cautelari disposte nella sua �prima tranche�, dopo la 
chiusura in mero rito, era invero necessaria, pena una gravissima incertezza, e tutti i problemi ad essa 
connessi con un moto pendolare fra immediato venir meno e proroga sine die salva revoca o modifica 
ex art. 669 decies c.p.c.�. 
(29) M. SICA, in Codice del nuovo processo amministrativo, a cura di F. CARINGELLA e M. PROTTO, 
Roma, 2010, sub art. 11, 245. Anche secondo G. BATTAGLIA, Riparto di giurisdizione e translatio iudicii, in 
Riv. dir. proc., 2012, 101, �la scelta del legislatore pare collocarsi a met� tra l�opzione della perdita di 
efficacia dei provvedimenti cautelari e l�opzione della conservazione dell�efficacia dei provvedimenti stessi�. 
(30) V. supra pag. 4 (in particolare sub note 13 e 14). 
(31) F. TALLARO, in Codice del processo amministrativo, a cura di R. GAROFOLI, 2010, sub art. 11, 160.
342 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
quanto privo di potere giurisdizionale - non costituisce, in verit�, un unicum 
all�interno del sistema processuale amministrativo. 
Una norma del tutto analoga � infatti prevista in materia di translatio a seguito 
di dichiarazione di incompetenza, dal momento che l�art. 15 c.p.a., ai 
commi 7 e 8, stabilisce che �I provvedimenti cautelari pronunciati dal giudice 
dichiarato incompetente perdono efficacia alla scadenza del termine di trenta 
giorni dalla data di pubblicazione dell�ordinanza che regola la competenza� e 
�La domanda cautelare pu� essere riproposta al giudice dichiarato competente�. 
Ed ancora, in tema di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, 
con riferimento all�ipotesi della sua trasposizione in sede giurisdizionale, � 
previsto che �Le pronunce sull�istanza cautelare rese in sede straordinaria perdono 
efficacia alla scadenza del sessantesimo giorno successivo alla data di 
deposito dell�atto di costituzione in giudizio previsto dal comma 1. Il ricorrente 
pu� comunque riproporre l�istanza cautelare al tribunale amministrativo regionale� 
(art. 48, comma 2, c.p.a.). 
In sostanza, il minimo comune denominatore delle citate disposizioni sta 
nella volont� di garantire la continuit� della tutela cautelare soltanto per un limitato 
arco temporale, tendenzialmente breve, facendo ovviamente salva la riproponibilit� 
dell�istanza cautelare dinanzi al legittimo organo giurisdizionale. 
Come era ovvio che fosse, l�introduzione dell�art. 11, comma 7, c.p.a. 
non poteva non mettere in crisi le certezze cui era pervenuta la dottrina processualcivilistica 
che aveva affrontato il tema dei rapporti tra giurisdizione e 
tutela cautelare (32). 
La norma de qua ha infatti disorientato la dottrina del processo civile, facendo 
sorgere il seguente interrogativo: il principio della caducazione del provvedimento 
cautelare, dopo che sia decorso il termine di trenta giorni, codificato 
all�art. 11, comma 7, c.p.a., deve reputarsi applicabile a qualsivoglia ipotesi 
di translatio iudicii o, al contrario, deve trovare applicazione limitata alle sole 
misure cautelari concesse dal giudice amministrativo, poi dichiaratosi sfornito 
di giurisdizione? 
A tale interrogativo potrebbe essere offerta una risposta immediata, destinata 
per� a rivelarsi semplicistica ed approssimativa, limitandosi cio� a notare 
che, attesa la collocazione sistematica della norma de qua - inserita in un 
codice �settoriale� e non in una testo normativo di portata generale, quale � 
invece l�art. 59 della legge n. 69 del 2009 - se ne dovrebbe allora dedurre, per 
ci� solo, una sua applicazione circoscritta al processo amministrativo. 
Un siffatto modo di ragionare non sarebbe tuttavia esente da critiche, dal 
momento che, ogni qualvolta viene in considerazione una norma che disciplini 
(32) Nota infatti S. MENCHINI, Eccezione di giurisdizione, regolamento preventivo e translatio: il 
codice di rito e il nuovo codice della giustizia amministrativa, in Giur. it., 2011, 227, che il legislatore 
del processo amministrativo � andato di diverso avviso rispetto alla dottrina.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 343 
la trasmigrazione del processo da un organo giurisdizionale ad un altro, ci si 
trova inevitabilmente dinanzi a norme che regolano fattispecie che riguardano 
pi� giudici, e che, pi� in particolare, disciplinano il regime di atti che, emanati 
da un giudice, devono essere poi presi in considerazione nel giudizio trasmigrato 
dinanzi al diverso giudice. In altri termini, non sembra che alla collocazione 
sistematica della norma possa attribuirsi rilievo dirimente ai fini della 
risoluzione della problematica che qui si � posta. 
Altrettanto errata sarebbe un�interpretazione che volesse fondarsi esclusivamente 
sul dato letterale dell�art. 11 c.p.a. Secondo una certa ricostruzione, 
la tecnica di redazione dei vari commi che compongono l�art. 11 c.p.a. non 
sarebbe uniforme: in particolare, mentre i commi 1, 2, 3, 4, 6 dell�art. 11 c.p.a. 
sarebbero dettati con specifico riferimento al processo amministrativo - riproducendo, 
senza elementi di novit�, le previsioni gi� contenute nell�art. 59 della 
legge n. 69 del 2009 - i commi 5 e 7 avrebbero una portata generica, riferendosi 
al �giudice� senza alcuna specificazione, e sarebbero quindi suscettibili di applicazione 
generalizzata (33). In verit�, anche il tenore letterale dell�art. 11 
c.p.a., isolatamente considerato, non sembra di per s� idoneo a fornire una risposta 
appagante all�interrogativo sollevato. 
4. Processo cautelare civile e processo cautealre amministrativo: l�incidenza 
della questione di giurisdizione. 
A ben vedere, per dissipare ogni dubbio circa il reale campo d�applicazione 
del comma 7 dell�art. 11 c.p.a., l�unica strada che si rivela percorribile 
� quella che muova da un raffronto, ovviamente circoscritto alla questione che 
qui si � posta, tra il sistema di tutela cautelare predisposto nel codice di procedura 
civile e quello congegnato dal legislatore del processo amministrativo 
(34). Soltanto una siffatta indagine consentir� infatti di chiarire se la norma 
de qua debba reputarsi applicabile anche alle misure cautelari concesse dal 
giudice ordinario che si dichiari sfornito di giurisdizione (35) - potendosi 
quindi ad essa attribuire portata generalizzante - o se, al contrario, si tratti di 
(33) M. SICA, op.cit., 220 ss., il quale tuttavia precisa che sia il comma quinto che il comma 
settimo dell�art. 11 sarebbero, altres�, �espressione di principi generali e quindi, in quanto tali, applicabili 
in ogni processo, salve espresse e contrarie disposizioni di legge�. 
(34) Sul processo cautelare amministrativo v. ampiamente A. PANZAROLA, in Il codice del processo 
amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, a cura di B. SASSANI 
e R. VILLATA, Torino, 2012, 813 ss.; M.V. LUMETTI, Processo amministrativo e tutela cautelare, 
Padova, 2012. 
(35) Lo stesso dicasi per i giudizi contabili: � opportuno precisare che le regole contenute nel codice 
di procedura civile si applicano anche ai giudizi dinanzi alla Corte dei Conti, in forza del rinvio 
contenuto nell�art. 26 del regolamento di procedura (R.D. 13 agosto 1933, n. 1038). Nel processo tributario, 
invece, considerato che l�unica misura cautelare prevista � la sospensione dell�atto impositivo impugnato 
(art. 47 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) la complessiva problematica assume, 
probabilmente, una portata meno rilevante.
344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
norma che trova una coerente giustificazione esclusivamente nell�alveo del 
processo amministrativo. 
Al fine di compiere tale indagine, sembra preliminarmente opportuno verificare 
quale sia, in ambedue i sistemi processuali, l�incidenza che esplica la 
questione di giurisdizione sull�esercizio del potere cautelare. 
Nel sistema processuale civile � certamente possibile, almeno in determinati 
casi, che un giudice, sebbene privo di potere giurisdizionale, possa legittimamente 
emanare misure cautelari. 
Ci si vuole innanzitutto riferire agli artt. 669 ter e quater c.p.c. (nonch� 
all�art. 10 della legge n. 218/1995 e all�art. 31 del Reg. CE n. 44/2001 (36)) 
che consentono espressamente al giudice italiano del luogo in cui deve essere 
eseguito il provvedimento cautelare di emanare tale provvedimento anche ove 
competente nel merito sia il giudice straniero. Orbene, essendo espressamente 
contemplata la circostanza che un giudice non munito di giurisdizione - in 
un�ipotesi in cui, tra l�altro, ancora non opera la translatio iudicii - possa concedere 
misure cautelari, si � detto che a fortiori tale possibilit� deve essere 
ammessa laddove la translatio sia possibile - ossia qualora si tratti di difetto 
di giurisdizione nei confronti di altro giudice italiano (37). 
Anche a non voler attribuire rilievo determinante alla fattispecie, probabilmente 
eccezionale, sopra considerata, deve comunque tenersi presente che, 
ai sensi dell�art. 669 quater, comma 2, c.p.c. il giudice a quo potrebbe concedere 
misure cautelari dopo la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, 
anche laddove, ritenendo evidentemente fondato il dubbio circa la sussistenza 
della propria giurisdizione, abbia sospeso il processo ex art. 367 c.p.c. 
Da tali previsioni normative parte della dottrina ha ricavato il principio 
secondo cui i limiti imposti dalle diverse giurisdizioni non dovrebbero ostacolare 
l�esercizio della tutela cautelare (38). Soluzione che trova oggi ulteriore 
giustificazione alla luce della riconosciuta possibilit� di trasmigrazione del 
giudizio dinanzi al giudice munito di giurisdizione, diretta proprio ad impedire 
che l�errore nella scelta del giudice possa vanificare l�effettivit� della tutela 
giurisdizionale (39). 
(36) Per un�attenta disamina dell�art. 31 del Reg. 44/2001 cfr. F. SALERNO, Giurisdizione ed efficacia 
della decisione straniera nel regolamento (CE) n. 44/2001, Padova, 2006, 281 ss. 
(37) G. IMPAGNATIELLO, op. cit., � 7; M. MUSCARDINI, op. cit., 330. 
(38) M. MUSCARDINI, op. cit., 358. 
(39) P. VITTORIA, op. cit., 465; R. BARBIERI, Translatio iudicii e caducazione dei provvedimenti 
cautelari nel nuovo codice del processo amministrativo, in Riv. dir. proc., 2011, 1458. 
(39) Una parte della dottrina ha evidenziato che ci�, tuttavia, non significa postulare l�assoluta irrilevanza 
del difetto di giurisdizione sull�efficacia delle misure cautelari. Sembrerebbe infatti indubitabile, 
si � detto, che il provvedimento cautelare concesso da giudice poi dichiaratosi privo di giurisdizione, 
possa essere reclamato o revocato prima che sia stato confermato dal giudice ad quem, e che, una volta 
che sia stato accertato e dichiarato il difetto di giurisdizione, non potr� che derivarne, quale ovvia conseguenza, 
la sua caducazione. (cfr. Codice di procedura civile commentato, a cura di C. CONSOLO, 2010,
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 345 
Spostando a questo punto l�attenzione alla corrispondente disciplina del 
processo amministrativo, si notano subito alcune differenze di non scarso rilievo. 
Il vecchio art. 30, comma 2, della legge n. 1034 del 1971 (cd. legge Tar) 
(40), abrogato in seguito all�entrata in vigore del codice del processo amministrativo, 
consentiva al giudice, a fronte della proposizione del regolamento 
preventivo di giurisdizione, di concedere ugualmente la tutela cautelare richiesta. 
In sostanza, tale norma ricalcava la simmetrica disciplina prevista nel codice 
di procedura civile. 
Al contrario, il nuovo art. 10, comma 2, c.p.a., nel disciplinare l�istituto 
del regolamento di giurisdizione, ha optato per una soluzione radicalmente diversa. 
Tale norma, infatti, prevede che �nel giudizio sospeso possono essere 
chieste misure cautelari, ma il giudice non pu� disporle se non ritiene sussistente 
la propria giurisdizione�. 
Tale previsione ha quindi introdotto un obbligo, per il giudice cui sia stata 
richiesta l�emanazione di una misura cautelare, di previa valutazione circa la 
sussistenza della propria giurisdizione. Non sembra azzardato affermare che in 
questo modo si sia resa estremamente improbabile la concessione di misure 
cautelari nel corso di un processo amministrativo che sia stato sospeso in seguito 
alla proposizione di un regolamento di giurisdizione. � di tutta evidenza, 
infatti, che se il giudice ritiene di dover sospendere il processo di merito, non 
reputando cio� infondata la contestazione della sua giurisdizione, difficilmente 
potr� poi convincersi del contrario nel momento in cui � investito dell�istanza 
cautelare. In concreto, l�effetto che la norma presumibilmente produrr� sar� 
quello di rendere sporadica la concessione di misure cautelari ogni qualvolta il 
giudice, per aver ritenuto l�istanza di regolamento di giurisdizione non manifestamente 
inammissibile o la contestazione della giurisdizione non manifestamente 
infondata, abbia di conseguenza disposto la sospensione del processo. 
Tralasciando in questa sede i dubbi, paventati dai primi commentatori 
(41), circa la ragionevolezza e la legittimit� costituzionale della norma de qua, 
non pu� negarsi che la stessa appaia comunque espressiva di una precisa vo- 
2335; R. BARBIERI, Translatio iudicii e caducazione dei provvedimenti cautelari nel nuovo codice del 
processo amministrativo, in Riv. dir. proc., 2011, 1458). 
Al riguardo, si � anche notato che problema di non facile soluzione � se il giudice del reclamo o della 
revoca debba decidere in base al proprio convincimento sulla sussistenza della giurisdizione, ovvero 
semplicemente prendere atto della dichiarazione di difetto di giurisdizione gi� emessa. In particolare, ci 
si deve chiedere se la declinatoria di giurisdizione possa valere di per s� quale mutamento delle circostanze 
sopravvenute, tale da giustificare l�accoglimento del reclamo e, in mancanza, la modifica o revoca 
del provvedimento cautelare da domandare al giudice ad quem (cfr. Codice di procedura civile commentato, 
a cura di C. CONSOLO, 2010, 2335). 
(40) L�art. 30, comma 2, della legge n. 1034/1971 cos� disponeva: �Nei giudizi innanzi ai tribunali 
amministrativi � ammessa domanda di regolamento preventivo di giurisdizione a norma dell'articolo 41 
del codice di procedura civile. La proposizione di tale istanza non preclude l'esame della domanda di 
sospensione del provvedimento impugnato�. 
(41) M. SICA, op. cit., sub art. 10, 192; R. BARBIERI, op.cit., 1468.
346 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
luntas legis: evitare che, nel processo amministrativo, la misura cautelare sia 
emanata da un giudice che nutra dubbi sulla sua giurisdizione e, per l�effetto, 
limitare la concessione di provvedimenti cautelari alla previa positiva verifica 
circa la sussistenza del potere giurisdizionale. 
Se cos� �, sembra allora possibile trarre una prima conclusione: se � vero 
che nel processo civile non � escluso che un giudice privo di giurisdizione 
possa ugualmente concedere una misura cautelare, � altrettanto vero che siffatta 
possibilit� deve essere negata nel processo amministrativo. In altri termini, 
se nel processo civile l�urgenza del provvedere prevale sulla valutazione 
relativa alla sussistenza della giurisdizione, nel processo amministrativo vale 
il contrario: in tanto sar� concessa cautela all�interesse o al diritto da tutelare, 
in quanto il giudice adito abbia preliminarmente ritenuto di essere fornito di 
potestas iudicandi. 
A questo punto, stante l�incidenza che, nel processo cautelare amministrativo, 
� attribuita alla questione di giurisdizione, possono probabilmente gi� 
comprendersi le ragioni per le quali il legislatore, con il comma 7 dell�art. 11 
c.p.a., abbia voluto regolare espressamente la problematica della sorte dei 
provvedimenti cautelari. Si � infatti inteso salvaguardare, sia pure per un limitato 
periodo di tempo, l�efficacia della misura cautelare disposta da un giudice 
carente di giurisdizione. Difatti, in assenza di quest�ultima previsione, 
non sarebbe stato azzardato ipotizzare che i giudici amministrativi, nel declinare 
la giurisdizione, avrebbero insistito nel disporre anche la caducazione 
delle misure cautelari concesse (42). 
5. (segue) La proposizione della domanda cautelare, la strumentalit� delle 
misure cautelari e la tutela cautelare ante causam. 
Utili indicazioni, ai fini che qui interessano, possono ricavarsi anche da 
una breve disamina delle modalit� con le quali, in entrambi i sistemi processuali, 
si propone l�istanza cautelare. 
Nel processo civile, l�art. 669 bis c.p.c. si limita a prevedere che �la domanda 
si propone con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente�. 
Nel processo amministrativo, invece, il ricorrente che voglia accedere alla 
tutela cautelare � tenuto non soltanto a proporre la domanda cautelare �con il 
ricorso di merito o con distinto ricorso notificato alle altre parti� (art. 55, comma 
3, c.p.a.), ma deve soprattutto tener presente che, ai sensi dell�art. 55, comma 
4, c.p.a., dettato in tema di misure cautelari collegiali, la domanda cautelare � 
improcedibile �finch� non � presentata l�istanza di fissazione dell�udienza per 
il merito�. Analogamente, l�art. 56 c.p.a. sanziona con l�improcedibilit� la do- 
(42) Ed in effetti si � gi� detto che la giurisprudenza amministrativa, nonostante l�avvento della 
translatio iudicii, sembrava orientata a negare ultrattivit� alla misura cautelare concessa da giudice privo 
di giurisdizione.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 347 
manda volta ad ottenere una misura monocratica provvisoria �finch� non � presentata 
l�istanza di fissazione d�udienza per il merito�. 
Con tali disposizioni il legislatore (43), risolvendo un contrasto giurisprudenziale 
sorto in relazione alla questione se l�omessa proposizione dell�istanza 
di fissazione dell�udienza di discussione, impedendo l�esame del ricorso nel 
merito, precludesse o no anche l�esame dell�istanza cautelare, ha chiaramente 
optato per la tesi pi� rigorosa. 
L�onere di presentazione dell�istanza di fissazione dell�udienza per il merito, 
previsto addirittura a pena di procedibilit� della domanda cautelare, sembra 
infatti evidenziare una certa sfiducia, da parte del legislatore del processo 
amministrativo, nei confronti di una definizione interinale e provvisoria degli 
interessi. Al contrario, sembra evincersi una correlativa predilezione per una 
rapida definizione nel merito della controversia (44). Partecipi di questa ratio 
sono anche quelle norme contenute nel codice del processo amministrativo 
che consentono di definire la domanda cautelare attraverso una celere fissazione 
dell�udienza di merito. Siffatta possibilit�, per le sole misure collegiali 
� subordinata alla verifica che essa non vanifichi le esigenze di tutela del ricorrente 
(art. 55, comma 10, c.p.a.), mentre costituisce la regola rispetto ai riti 
abbreviati comuni (art. 119, comma 3, c.p.a.). Sarebbe come a dire: laddove 
possibile, � sempre meglio una decisione immediata nel merito, pretermettendo 
del tutto un�autonoma fase cautelare. 
La differenza tra i due sistemi processuali risulta ancora pi� evidente - e 
decisiva ai fini che qui interessano - se ci si sofferma sul regime di strumentalit� 
delle misure cautelari. 
Nel processo civile, il nesso di strumentalit� strutturale delle misure cautelari 
� previsto, in via generale, dall�art. 699 novies, comma 1, secondo cui 
�se il procedimento di merito non � iniziato nel termine perentorio di cui all�art. 
669 octies ovvero se successivamente al suo inizio si estingue, il provvedimento 
cautelare perde la sua efficacia�. Dalla suddetta norma si evince 
che, nel processo civile, la misura cautelare a strumentalit� �classica� o �forte� 
perde la sua efficacia qualora la parte non inizi, entro un dato termine, il processo 
di merito o qualora questo, pur instaurato, dovesse successivamente 
estinguersi (ad esempio nell�ipotesi di mancata tempestiva riassunzione del 
giudizio dinanzi al giudice ad quem). 
Tale regola, peraltro, come � noto, non si applica alle misure cautelari anticipatorie 
a cosiddetta �strumentalit� attenuata�. Nel processo civile, infatti, 
(43) Che sul punto, del resto, ha attuato pienamente la delega, dal momento che l�art. 44, 2� 
comma, sub lett. f) n. 1 della legge n. 69 del 2009, attribuendo al Governo il compito di riordinare la tutela 
cautelare, gli ha imposto di prevedere che �la domanda di tutela interinale non pu� essere trattata 
fino a quando il ricorrente non presenta istanza di fissazione di udienza per la trattazione del merito�. 
(44) Il rilievo � operato da R. BARBIERI, op. cit., 1466.
348 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
le parti possono, ai sensi dell�art. 669 octies, commi 6 e 7, c.p.c., mantenere 
gli effetti dei provvedimenti d�urgenza emessi ai sensi dell�art. 700 c.p.c. e 
degli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza 
di merito (previsti dal codice civile o da leggi speciali) rinunciando ad iniziare 
la causa (nel caso di tutela ante causam) o rinunciando alla sua definizione in 
merito per estinzione. In sostanza, il provvedimento cautelare anticipatorio si 
rivela potenzialmente autosufficiente: ci� significa che, nel processo civile, la 
cd. �strumentalit� strutturale� della misura cautelare anticipatoria si presta ad 
essere superata o comunque attenuata (45). 
Ebbene, alla luce del peculiare regime delle misure cautelari anticipatorie, 
la dottrina processualcivilistica si � posta il problema della sorte di dette misure 
nelle ipotesi in cui la causa di merito si concluda con una decisione in rito. 
Se, infatti, come si � detto all�inizio del presente scritto (46), rispetto alle 
misure cautelari a strumentalit� �classica� la dottrina tradizionale tende ad interpretare 
estensivamente l�art. 669 novies, comma 3, c.p.c., ritenendo che alla 
decisione che dichiari �inesistente� il diritto a cautela del quale la misura sia 
stata concessa possano essere assimilate anche le decisioni definitive di rito 
- ma non pi�, ormai, come detto, la pronuncia che neghi la giurisdizione, almeno 
in caso di translatio iudicii, al pari di quanto gi� previsto per la dichiarazione 
di incompetenza - rispetto alle misure a strumentalit� attenuata, si 
tende invece ad operare un distinguo. 
Secondo la tesi prevalente assumerebbe infatti rilievo dirimente il tipo di 
vizio che abbia impedito la decisione nel merito. In sostanza, ove si tratti di 
vizio attinente specificamente alla causa di merito, la decisione in rito non sarebbe 
idonea a caducare la misura anticipatoria (� il caso, ad esempio, della 
nullit� della citazione); al contrario, ove si tratti di impedimento o vizio processuale 
riferibile anche alla misura cautelare, quest�ultima, sia pure anticipatoria, 
sarebbe destinata a venir meno (47). 
Pertanto, considerando la questione di giurisdizione, se � vero che la carenza 
di quest�ultima, nel sistema ante translatio iudicii, era certamente riconducibile 
alla seconda categoria di vizi, e pertanto considerata idonea a caducare 
(45) Sulla misure cautelari anticipatorie v. ampiamente A. CARRATTA, Profili sistematici della tutela 
anticipatoria, Torino, 1997; L. QUERZOLA, La tutela anticipatoria fra procedimento cautelare e giudizio 
di merito, Bologna, 2006. 
(46) V. supra, 2 ss. 
(47) B. SASSANI - R. TISCINI, La riforma dei procedimenti in materia di diritto societario, in Giust. 
civ., 2003, II, 63 ss.; G. BALENA (M. BOVE), Le riforme pi� recenti del processo civile, Bari, 2005, 348 ss.; 
R. CAPONI, in AA.VV. Le modifiche al codice di procedura civile previste dalla l. n. 80 del 2005, in Foro 
it., 2005, V, 137; M. COMASTRI, in AA.VV., Commentario alle riforme del processo civile, a cura di A. BRIGUGLIO 
e B. CAPPONI, Padova, 2007, I, 196; E. DALMOTTO, in AA.VV., Le recenti riforme del processo civile-
Commentario, diretto da S. Chiarloni, Bologna, 2007, II, 1270; M.F. GHIRGA, Le nuove norme sui 
procedimenti cautelari, in Riv. dir. proc., 2005, 795; F.P. LUISO - B. SASSANI, La riforma del processo civile, 
Milano, 2006, 223; S. MENCHINI, in AA.VV., Il processo civile di riforma in riforma, Milano, 2006, I, 77.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 349 
tali misure, nell�attuale sistema la soluzione prospettabile � nel senso della loro 
sopravvivenza, almeno in caso di translatio iudicii. Anche per tali misure vale 
infatti il principio secondo cui la valida e tempestiva riassunzione del processo 
dinanzi al giudice �giurisdizionalmente competente� deve reputarsi di per s� 
idonea a far salva l�attivit� processuale svolta dinanzi al primo giudice. 
Ci si potrebbe, tuttavia, spingere oltre. Infatti, secondo altro indirizzo interpretativo, 
la misura cautelare anticipatoria sarebbe sempre insensibile alla 
decisione in rito del giudizio di merito e continuerebbe in ogni caso a sopravvivere. 
Tale conclusione, si � detto, sarebbe non solo maggiormente rispettosa 
della lettera dell�art. 669 novies, comma 3 - che, in effetti, subordina espressamente 
l�inefficacia di ogni misura cautelare alla sola decisione di merito che 
dichiari inesistente il diritto - ma anche in sintonia con il sistema, nel quale 
spesso si risolvono i vizi processuali in cause di estinzione del processo, ossia 
proprio in una situazione che, per espressa previsione di legge, non comporta 
inefficacia della misura cautelare a strumentalit� attenuata (48). 
Orbene, accogliendo quest�ultima interpretazione potrebbe allora ipotizzarsi, 
per quanto qui interessa, che nemmeno la mancata tempestiva trasmigrazione 
del processo, dinanzi al giudice indicato come �giurisdizionalmente 
competente�, possa di per s� travolgere siffatte misure. In altri termini, dal 
momento che tali misure si rivelano potenzialmente idonee a regolare in maniera 
stabile gli interessi per i quali � chiesta tutela, non sembrerebbe azzardato 
ipotizzare che, negata la giurisdizione e non effettuata la riassunzione in termini, 
la consequenziale estinzione del processo non potrebbe determinare la 
caducazione della misura anticipatoria gi� concessa. 
Quest�ultimo indirizzo interpretativo si rivela senza alcun dubbio incompatibile 
con la norma posta dall�art. 11, comma 7, c.p.a. In effetti, seguendo 
questa strada, risulterebbe irragionevole, su un piano logico ancor prima che 
giuridico, che in caso di declinatoria di giurisdizione venisse riconosciuta alle 
misure cautelari anticipatorie una ultrattivit� temporalmente limitata, atteso 
che, cos� ragionando, tali misure non perderebbero efficacia nemmeno nel caso 
in cui il processo di merito dovesse estinguersi per non essere stato tempestivamente 
riassunto. 
Ad ogni modo, se anche non ci si volesse spingere sino al punto di rico- 
(48) D. BORGHESI, Tutela cautelare e strumentalit� attenuata: profili sistematici e ricadute pratiche, 
in Sulla riforma del processo civile � Atti dell�incontro di studio Ravenna 19 maggio 2006, Bologna, 2007, 
89 ss.; S. DEMATTEIS, La riforma del processo cautelare, Milano, 2006, 145; A. SALETTI, Le misure cautelari 
a strumentalit� attenuata, in Il processo cautelare4, a cura di G. TARZIA e A. SALETTI, Padova, 2011, 
316 ss.; Secondo S. RECCHIONI, op. cit., 654 ss., la sopravvivenza delle misure anticipatorie alle sentenze 
processuali comporta una �mutazione genetica� di tali provvedimenti i quali, nati per definizione provvisori 
e modificabili, diverrebbero stabili e irrevocabili (salvo il mutamento di circostanze). In sostanza, il provvedimento 
cautelare si trasformerebbe in una anomala misura �decisoria�, abnorme rispetto alla sua genesi, 
con conseguente proponibilit� del rimedio del ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost.
350 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
noscere che le misure cautelari a strumentalit� attenuata continuino a conservare 
efficacia, nonostante la mancata tempestiva riassunzione del processo, 
ci� che rileva, ai fini del nostro discorso, � che simili problematiche non possono 
affatto porsi nel processo cautelare amministrativo. In quest�ultimo non 
si hanno, infatti, misure cautelari a strumentalit� attenuata: anzi, per quanto 
sopra detto, con il nuovo codice sembra essersi addirittura rafforzato il nesso 
di strumentalit� strutturale tra provvedimento cautelare e decisione di merito. 
In definitiva, sembra scorgersi per l�interprete l�impossibilit� di ricondurre 
ad unit� i due sistemi di tutela cautelare e, di conseguenza, l�impossibilit� 
di attribuire al comma 7 dell�art. 11 c.p.a. portata generale. 
Quanto appena detto sembra confermato, una volta di pi�, dalla disciplina 
della tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo, della quale � 
opportuno fornire brevi cenni. 
Come � noto, una delle principali novit� del codice del processo amministrativo 
sta nell�aver consentito la concessione della tutela cautelare anche 
ante causam, ossia prima dell�instaurazione del processo di merito. Siffatta 
possibilit� non era invece contemplata in passato, ed era emersa soltanto settorialmente 
nell�art. 245 del Codice dei contratti pubblici (49). 
Tuttavia, l�idea di fondo che emerge nel codice del processo amministrativo 
resta quella per cui la tutela cautelare, sebbene ante causam, sia comunque 
intimamente legata al giudizio di merito, nel senso che non si d� tutela cautelare 
a prescindere dal processo dichiarativo in funzione del quale essa � concessa, 
secondo una evidente logica di strettissima strumentalit� (50). Non a 
caso, l�art. 61, comma 5, c.p.a. stabilisce che il provvedimento di accoglimento 
di una istanza cautelare formulata ante causam perda efficacia se entro 15 
giorni dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda 
cautelare ed esso non sia depositato nei successivi 5 giorni, corredato dall�istanza 
di fissazione dell�udienza. Pertanto, il legislatore ha espressamente 
ancorato la tutela cautelare ante causam alla fissazione di un termine perentorio 
per introdurre la causa di merito, con la conseguenza che la tutela cautelare 
ante causam nel processo amministrativo � solo quella a strumentalit� 
�classica�: il provvedimento, cio�, perde effetto se non viene immediatamente 
instaurato il processo dichiarativo al servizio del quale esso � concesso (51). 
(49) Sulla tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo e sulle problematiche che si 
ponevano nel sistema previgente cfr. G. RUFFINI, La tutela cautelare ante causam del giudice amministrativo 
tra l�art. 700 c.p.c. e l�art. 3 della legge n. 205/2000, in AA. VV., Le nuove frontiere del giudice amministrativo 
tra tutela cautelare ante causam e confini della giurisdizione esclusiva, Milano, 2005, 113 ss. 
(50) Secondo M. BOVE, La tutela cautelare nel processo amministrativo, in www.judicum.it, alla 
luce della disciplina della tutela cautelare ante causam prevista nel c.p.a., se ne dovrebbe anche ricavare, 
sia pure in assenza di un�esplicita previsione normativa, che il provvedimento cautelare comunque concesso 
perda effetto pure qualora il processo di merito dovesse estinguersi. 
(51) In tal senso M. BOVE, op. cit.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 351 
In aggiunta, sempre con riferimento alla tutela cautelare ante causam, si 
prevede che il provvedimento cautelare concesso ante causam possa in ogni 
caso avere effetti per soli 60 giorni, alla scadenza dei quali, se non � stato confermato 
con ordinanza emanata in corso di causa, perde effetto (art. 61, comma 
5, c.p.a.) Ancora una volta ci si imbatte, quindi, in una disposizione che rende 
inefficace una misura cautelare per il solo fatto che sia decorso un termine e 
senza che il beneficiario di tale misura possa fare alcunch� per evitare la predetta 
caducazione (52). 
6. La portata dell�art. 11, comma 7, del D.Lgs. 2 luglio 2012, n. 104. 
Giunti a questo punto, si pu� probabilmente tentare di rispondere all�interrogativo 
da cui si � partiti. 
Sembrerebbe infatti possibile affermare che soltanto nell�ambito del processo 
amministrativo possa trovare la sua ragion d�essere il comma 7 dell�art. 
11 c.p.a. L�ultrattivit� limitata della misura cautelare concessa dal giudice che 
abbia poi declinato la giurisdizione � soluzione eccezionale che, per quanto 
sopra detto, si inserisce e trova coerente giustificazione esclusivamente nel 
contesto del processo cautelare amministrativo, il quale manifesta la tendenza 
a restringere la durata della regolazione interinale del rapporto affidata alla 
misura cautelare. Al contempo, essa sembra rivelarsi incompatibile con le tipiche 
caratteristiche del processo cautelare civile. 
Del resto, che il principio generale debba essere quello per cui la misura 
cautelare deve restare in vita sino a quando sia consentita la trasmigrazione del 
processo, sembra confermato anche dal pi� volte richiamato comma 3 dell�art. 
669 novies c.p.c., a mente del quale il provvedimento cautelare perde efficacia 
se con sentenza, anche non passata in giudicato, venga dichiarato inesistente il 
diritto a cautela del quale era stato concesso. Tale norma, in un contesto processuale, 
come quello attuale, in cui � espressamente ammessa la translatio iudicii 
tra giurisdizioni, potrebbe essere sottoposta ad una interpretazione, per 
cos� dire, evolutiva. Ed infatti, dal momento che una pronuncia di difetto di 
giurisdizione, ove sia possibile la translatio iudicii, non contiene per definizione 
alcuna statuizione circa la spettanza del bene della vita, ne consegue che 
essa non pu� mai reputarsi idonea a caducare tout court la misura cautelare 
concessa dal giudice a quo: la declaratoria di inesistenza del diritto, idonea a 
rendere inefficace la misura cautelare ex art. 669 novies, comma 3, c.p.c., � soltanto 
quella che provenga dal giudice munito di potere giurisdizionale. 
Detto altrimenti, considerato che ormai le diverse giurisdizioni non costituiscono 
pi� mondi separati ed incomunicabili, la stessa strumentalit� delle 
misure cautelari deve essere colta con riferimento alla decisione di merito che 
(52) In verit�, come nota M. BOVE, op. cit., �non si vede perch� l�interessato dovrebbe perdere i 
vantaggi della tutela cautelare magari per situazioni che non dipendono da lui�.
352 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
verr� pronunciata dal giudice che risulter� munito di potestas iudicandi, ossia 
dall�unico giudice titolare del potere di dichiarare esistente o inesistente il diritto. 
Ne deriva che, almeno sino a quando non siano ancora scaduti i termini 
per attuare la trasmigrazione del processo dinanzi all�organo giurisdizionale 
deputato a statuire nel merito, la misura cautelare deve necessariamente restare 
in piedi, con l�unica eccezione, normativamente prevista, per le misure cautelari 
concesse dal giudice amministrativo, per la quali vige appunto un eccezionale 
regime di ultrattivit� limitata. 
In definitiva, tirando le fila di tutto quanto detto, se, come sembra, l�operativit� 
dell�art. 11, comma 7, c.p.a. deve essere circoscritta alle sole misure cautelari 
concesse dal giudice amministrativo, le soluzioni prospettate dalla dottrina 
processualcivilistica nell�immediatezza dell�introduzione del meccanismo della 
translatio iudicii tra giurisdizioni possono, ancora oggi, essere tenute ferme. Ne 
consegue che, dichiarato il difetto di giurisdizione, le misure cautelari previamente 
concesse da qualsivoglia giudice - ad eccezione di quelle emanate dal 
giudice amministrativo - saranno �salvate� alla sola condizione che il processo 
sia stato tempestivamente trasferito dinanzi al giudice munito di giurisdizione. 
7. Spunti problematici conclusivi. 
Circoscritta, nei termini appena esposti, la portata della norma de qua, 
non ci si pu� esimere dal notare che essa, con ogni probabilit�, sar� comunque 
destinata a far sorgere rilevanti problemi applicativi. 
In primo luogo, sembra lecito dubitare della congruit� del termine di trenta 
giorni (53), soprattutto se si considera che esso decorre dalla pubblicazione del 
provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione. In effetti, potrebbe accadere 
che la parte non abbia avuto tempestiva conoscenza di tale circostanza. 
Oppure, considerati i fisiologici ritardi nelle comunicazioni e notificazioni da 
parte delle cancellerie, assai di rado la parte interessata potr� venire a conoscenza 
della pubblicazione il giorno stesso in cui questa � stata effettuata (54). 
Per tali ragioni si � da pi� parti ritenuto che sarebbe stato di gran lunga preferibile 
far decorrere il dies a quo dalla comunicazione della declinatoria (55). 
Del resto, il termine di trenta giorni non pu� non rivelarsi angusto se solo 
si consideri che entro il suddetto termine la parte interessata non dovr� limitarsi 
a chiedere la misura cautelare al secondo giudice, ma soprattutto dovr� ottenere 
detta misura. Ci� significa che, di fatto, il termine di trenta giorni costituisce 
anche il termine finale entro il quale il giudice ad quem dovr� 
provvedere sull�istanza cautelare riproposta. Ne consegue che, al fine di ga- 
(53) C. CONSOLO, Translatio iudicii e compiti del regolamento di giurisdizione, cit., 769. 
(54) M. SICA, op. cit., sub art. 11, 248; S. MENCHINI, Eccezione di giurisdizione, cit., 227; R. BARBIERI, 
op. cit., 1469. 
(55) M. SICA, op. cit., sub art. 11, 248; R. BARBIERI, op. cit., 1470.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 353 
rantire la continuit� della tutela cautelare, sar� necessario che la decisione del 
giudice ad quem intervenga sempre prima della scadenza del termine di ultrattivit� 
dell�efficacia della misura cautelare. 
Resta da fare un�ultima considerazione. Se � vero che il processo cautelare 
amministrativo sembra mostrare una sua coerenza interna, e se � vero che 
norme come quella di cui all�art. 11, comma 7, c.p.a. possono essere ragionevolmente 
giustificate soltanto se si considera il contesto processuale nel quale 
sono destinate ad operare, non sfugge all�interprete la possibilit� di ipotizzare, 
a monte, un pi� generale problema di legittimit� costituzionale di una previsione 
normativa cos� congegnata. 
Ed in effetti, in dottrina si � paventato il rischio che la stessa sanzione 
dell�inefficacia della misura cautelare, per il solo ed inevitabile fatto che sia 
decorso un termine, e senza che il beneficiario di detta misura possa fare alcunch� 
per evitare la predetta inefficacia, possa essere in contrasto con il principio 
di effettivit� della tutela giurisdizionale (56). In sostanza, il fatto che 
l�ultrattivit� della misura cautelare sia temporalmente limitata potrebbe far 
sorgere dubbi di legittimit� costituzionale, anche e soprattutto se si considera 
una recente pronuncia della Corte Costituzionale (57). 
Il Giudice delle Leggi, sia pure con riferimento ad una peculiare fattispecie 
(58), ha chiarito che qualora l�inefficacia di un provvedimento cautelare 
costituisca �un effetto legale che consegue al mero decorso del tempo, prescindendo 
da ogni verifica sulla persistenza (o magari l�aggravamento) delle 
circostanze che avevano condotto al provvedimento�, si produrrebbe un evidente 
vulnus alla effettivit� della tutela giurisdizionale e, quindi, al fondamentale 
diritto di difesa garantito dall�art. 24, secondo comma, Cost. �in ogni stato 
e grado del procedimento�. 
Ebbene, non vՏ dubbio che, qualora volesse ricavarsi da tale pronuncia 
un principio generale (59), in forza del quale la misura cautelare, nel nostro or- 
(56) R. BARBIERI, op. cit., 1471. 
(57) Corte Cost., 23 luglio 2010, n. 281, che ha dichiarato l�illegittimit� costituzionale dell�art. 1, 
comma, 3 del d.l., 8 aprile 2008, n. 59 (Disposizioni urgenti per l�attuazione di obblighi comunitari e 
l�esecuzione di sentenze della Corte di Giustizia delle comunit� europee), convertito, con modificazioni 
dalla l., 6 giugno 2008, n. 101. 
(58) La questione esaminata dalla Corte Costituzionale concerneva la legittimit� costituzionale 
di una sospensione �a tempo� della efficacia esecutiva di una cartella di pagamento. 
(59) Invero, siffatta possibilit� non appare azzardata atteso che la stessa Corte Costituzionale, 
nella pronuncia richiamata, sembrerebbe spingersi oltre le peculiarit� del caso sottoposto al suo giudizio 
e voler quasi trarre un principio generale. Si legge, infatti, nella motivazione della sentenza n. 281 del 
2010 che: �La detta sospensione, come le altre misure cautelari a contenuto anticipatorio o conservativo, 
ha funzione strumentale all�effettivit� della stessa tutela giurisdizionale, sicch� il vulnus prodotto dalla 
sua efficacia contenuta nei ristretti termini sopra indicati incide inevitabilmente sulla detta effettivit� e, 
quindi, sul diritto fondamentale garantito dall�art. 24, secondo comma, Cost. �in ogni stato e grado del 
procedimento�. Infatti, se � fuor di dubbio che il legislatore gode di ampia discrezionalit� nella conformazione 
degli istituti processuali (giurisprudenza costante di questa Corte), � pur vero che il diritto di
354 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
dinamento, non pu� perdere efficacia per il solo ed inevitabile fatto del decorso 
di un termine, ossia senza che vi sia stata alcuna negligenza da parte del soggetto 
a cui favore la misura sia stata concessa ovvero senza che sia stato attribuito al 
giudice il potere di valutare la sussistenza e la permanenza dei presupposti di 
concedibilit� della stessa misura, dovrebbe probabilmente mettersi in discussione 
la stessa legittimit� costituzionale dell�art. 11, comma 7, c.p.a. 
Anzi, a ben vedere, seguendo questa strada e spingendosi oltre, risulterebbero 
non conformi a Costituzione tutte quelle norme contenute nel codice 
del processo amministrativo che postulano l�inefficacia della misura cautelare 
esclusivamente a fronte della mera decorrenza di un termine. Ci si vuole cio� 
riferire a quei casi in cui l�inefficacia della misura cautelare � prevista non 
come sanzione per il mancato compimento, da parte del beneficiario della 
stessa, di una certa attivit� processuale da effettuarsi entro un dato termine, 
bens� quale automatica ed inevitabile conseguenza derivante tout court dalla 
scadenza di un termine di efficacia aprioristicamente fissato dal legislatore (� 
questo, ad esempio, il caso - oltre che dell�art. 11, comma 7, c.p.a. - anche 
dell�art. 61, comma 5, c.p.a. in materia di tutela cautelare ante causam). 
Il tema, cui si � appena accennato, involge inevitabilmente questioni di 
carattere pi� generale circa la funzione e l�essenza stessa della tutela cautelare 
ed esula, pertanto, dagli obiettivi del presente scritto. In attesa che la giurisprudenza 
si misuri con tali problematiche, resta comunque l�auspicio che la 
stessa non esiti a riconoscere, nel trasferimento del processo da un plesso giurisdizionale 
ad un altro - e con la sola eccezione prevista ex lege per le misure 
cautelari concesse dal giudice amministrativo - la piena continuit� della tutela 
cautelare accordata. 
difesa, al pari di ogni altro diritto garantito dalla Costituzione, deve essere regolato dalla legge ordinaria 
in modo da assicurarne il carattere effettivo. Pertanto, qualora per l�esercizio di esso, anche e tanto pi� 
sotto il profilo della tutela cautelare, siano stabiliti termini cos� ristretti da non realizzare tale risultato, 
il precetto costituzionale � violato�.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 355 
Gli accordi in materia ambientale
Serena Oggianu* 
SOMMARIO: 1. Gli accordi in materia ambientale nel diritto europeo. � 1.1. La Comunicazione 
della Commissione del 1996. � 1.2. La Comunicazione della Commissione del 2002. 
� 2. Gli accordi in materia ambientale nel diritto nazionale. � 2.1. Gli accordi ambientali: 
struttura e funzione. � 2.2. Gli accordi ambientali nell�ambito dei procedimenti dichiarativi 
ed autorizzatori. � 2.3. Gli accordi ambientali nei singoli settori. 
1. Gli accordi in materia ambientale nel diritto europeo. 
1.1. La Comunicazione della Commissione del 1996. 
A partire dalla redazione del Quinto programma d�azione a favore dell�ambiente 
del 1992 (COM(92)23 del 4 aprile 1992, punto 31) (1) la Comunit� 
europea (ora Unione europea) ha espresso il proprio favor verso gli accordi 
ambientali nella prospettiva di un rafforzamento della tutela dell�ambiente e 
della integrazione della normativa di settore con gli strumenti che realizzano il 
mercato comune (2). In particolare con la Comunicazione della Commissione 
al Consiglio e al Parlamento sugli accordi in materia di ambiente (Com (96)561 
del 27 novembre 1996), fondata sul principio della condivisione delle responsabilit� 
(shared responsibility), questi atti consensuali, definiti come accordi 
tra l�industria e le amministrazioni pubbliche per il perseguimento di obiettivi 
ambientali, vengono considerati altres� come strumenti di attuazione della politica 
ambientale comunitaria ed al contempo come fattori che favoriscono la 
deregolamentazione e la riduzione delle interferenze burocratiche, consentendo 
un intervento pi� efficace dell�industria gi� in un momento antecedente all�adozione 
di una legislazione puntuale. Conseguentemente in questa prospettiva gli 
operatori economici sono chiamati ad assumere un ruolo proattivo nella tutela 
ambientale e non vengono pi� considerati solamente come fonte di danno. 
(*) Ricercatrice di diritto amministrativo, Universit� di Roma Tor Vergata, Facolt� di giurisprudenza. 
Assistente di studio, Giudice costituzionale dott. Aldo Carosi. 
Il presente scritto � in corso di pubblicazione anche nel �Trattato di diritto dell�ambiente� diretto 
da P. DELL�ANNO e E. PICOZZA, II, Padova Cedam. 
(1) Il Quinto programma d�azione suggerisce una linea di collaborazione con l�industria, rilevando 
che �le misure ambientali prese in precedenza in questo settore erano di natura prescrittiva e seguivano 
l�approccio �non si deve�. La nuova strategia si basa invece su un approccio del tipo �agiamo insieme� 
e rispecchia la nuova consapevolezza del mondo industriale e produttivo che l�industria non costituisce 
solo una parte importante del problema ambientale, ma che � anche parte della sua soluzione. La nuova 
strategia presuppone in particolare un rafforzamento del dialogo con il settore industriale e l�incoraggiamento 
a concludere accordi su base volontaria o ad adottare altre forme di autoregolamentazione�. 
(2) Si � parlato a proposito di �sussidiariet� normativa�, sulla quale N. LUGARESI, Diritto dell�ambiente, 
III ed., Padova, Cedam, 2008, p. 144.
356 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Le finalit� che la Comunicazione si propone sono: sviluppare gli orientamenti 
di un�applicazione efficace degli accordi; definire le condizioni di applicazione 
degli accordi ai fini dell�attuazione di alcune disposizioni delle 
direttive comunitarie; verificare le modalit� di attuazione degli accordi ambientali 
a livello comunitario. 
Perch� questi strumenti consensuali siano efficaci � necessario, a giudizio 
della Commissione, che fissino obiettivi quantificati, abbiano un approccio 
per fasi con obiettivi intermedi, siano pubblicati e siano oggetto di monitoraggio 
e di relazioni sui risultati. Inoltre vengono indicate talune condizioni 
che favoriscono il successo degli accordi: ai negoziati devono partecipare un 
numero limitato di soggetti; occorre che siano fissati obiettivi, che coprano in 
modo sufficientemente ampio il settore a cui si riferiscono; le autorit� pubbliche 
devono chiarire la loro posizione per ci� che concerne le finalit� perseguite; 
� necessario che si realizzi la sensibilizzazione dell�opinione pubblica 
e che si tenga conto del comportamento dei consumatori. 
Dal punto di vista del contenuto, gli accordi ambientali devono indicare 
esattamente chi sono le parti e deve essere specificato il tema sul quale le stesse 
esprimono il loro consenso; gli obiettivi devono tradursi in puntuali obblighi 
e per maggiore chiarezza l�atto deve contenere la definizione dei termini principali; 
deve essere specificata la durata del vincolo e deve essere possibile apportarvi 
delle modifiche, che consentano di tenere conto del progresso tecnico 
o delle mutate condizioni di mercato; dovrebbe essere prevista la possibilit� 
per i terzi di aderirvi (per evitare il fenomeno dei c.d. free rider), nonch� la 
facolt� di cessazione unilaterale in caso di mancato adempimento dell�accordo. 
Pi� in generale deve essere definito il regime di diritto pubblico ovvero di diritto 
privato, cui soggiace l�atto per stabilire le leggi applicabili, il tipo di responsabilit� 
e la giurisdizione competente in materia. 
La Commissione, inoltre, si preoccupa di ribadire che sebbene gli obiettivi 
ambientali possono, ai sensi dell�art. 85 TCE (ora art. 105 TFUE), fondare 
delle restrizioni alla concorrenza, le stesse verranno valutate secondo il principio 
di proporzionalit�, esclusa in ogni caso la possibilit� che creino ostacoli 
al buon funzionamento del mercato unico. In maniera analoga si prevede che 
le ragioni ambientali possano consentire deroghe al generale divieto di aiuti 
di Stato nei casi in cui ci� sia possibile secondo gli orientamenti offerti dalla 
stessa Commissione (3). 
Da ultimo nella Comunicazione si conferma che in materia di accordi 
ambientali � essenziale garantire il rispetto delle norme dell�Organizzazione 
mondiale del commercio (OMC) in materia di libera circolazione delle merci 
e di ostacoli tecnici agli scambi. 
(3) Il riferimento � alla Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell�ambiente pubblicata 
in GU C n. 72 del 10 marzo 1994.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 357 
Con la Raccomandazione del 9 dicembre 1996 la Commissione ha fornito 
orientamenti per l�uso di accordi tra le autorit� pubbliche e i settori economici 
interessati. In particolare vengono definiti i requisiti ed il contenuto necessario 
di tali atti, che dovrebbero: assumere la forma di un contratto, il cui rispetto 
sia garantito dal diritto civile o da quello pubblico; specificare le finalit� perseguite, 
nonch� quantificare ed indicare obiettivi intermedi con le relative scadenze; 
essere pubblicati nella Gazzetta ufficiale o sottoforma di documento 
ufficiale ugualmente accessibile al pubblico; prevedere il controllo dei risultati 
conseguiti, periodiche relazioni alle autorit� competenti ed un�adeguata informazione 
del pubblico; essere aperti a tutti i partner che intendono conformarsi 
alle condizioni dell�accordo. A tali prescrizioni si affianca un contenuto eventuale, 
la cui inserzione nell�assetto negoziale � rimessa alla scelta delle parti, 
ove lo ritengano opportuno. In particolare a tale proposito gli accordi dovrebbero: 
prevedere un comitato o un organismo indipendente che presieda alla 
raccolta, alla valutazione o alla verifica dei risultati conseguiti; prescrivere 
alle imprese e ai partecipanti di rendere disponibili ai terzi le informazioni 
sulla loro attuazione secondo le condizioni dell�accesso all�informazione in 
materia ambientale, dettate nella dir. 90/313/Cee del Consiglio del 7 giugno 
1990; prevedere sanzioni dissuasive quali sanzioni pecuniarie amministrative, 
penalit� convenzionali o il ritiro delle autorizzazioni in caso di inadempimento. 
Inoltre la Commissione chiarisce che quando gli accordi sono utilizzati come 
strumenti di attuazione delle direttive comunitarie, dovrebbero esserle notificati 
assieme a tutte le informazioni pertinenti e contemporaneamente alle altre 
misure nazionali adottate per attuare la direttiva, in modo da consentire una 
verifica della loro efficacia in quanto mezzo di recepimento. 
Proprio quest�ultimo profilo � posto in evidenza nella successiva risoluzione 
del Consiglio del 7 ottobre 1997 sugli accordi in materia ambientale. In 
questo documento, infatti, pi� volte si esorta la Commissione a precisare entro 
quali limiti e nel rispetto di quali condizioni e modalit� lo strumento convenzionale 
pu� assicurare un adeguato recepimento degli obblighi imposti agli 
Stati membri mediante direttive. 
Da parte sua il Comitato economico e sociale con un parere del 27 febbraio 
1997 (97/C 287/01) ha indicato una serie di criticit� in materia di accordi ambientali 
alla luce di quanto affermato nella Comunicazione della Commissione. 
Innanzitutto si rileva che nella prassi degli Stati membri tali atti convenzionali 
non sono stati strumenti di deregolamentazione, quanto piuttosto di 
applicazione della disciplina ambientale; inoltre occorre tenere conto anche 
dell�importanza di accordi e dichiarazioni non vincolanti per legge (c.d. �codici 
di comportamento�), importanti nella prassi ed utili per l�elaborazione di 
una misura legislativa o di un provvedimento amministrativo di attuazione. 
Inoltre il Comitato precisa che la migliore premessa per la riuscita di un 
accordo ambientale durevole � data dalla presenza di vantaggi e quindi di diritti
358 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
e di doveri ripartiti tra le parti in modo equilibrato. Peraltro in una dimensione 
pi� ampia, gli accordi devono essere inseriti nella politica comunitaria in materia 
di ambiente, in particolare osservandone gli obiettivi: elevato livello di tutela; 
precauzione e azione preventiva; principio chi inquina paga. Difatti le finalit� e 
i valori limite dell�intervento comunitario non possono essere oggetto di accordi 
ambientali, poich� la politica ambientale � un compito pubblico e gli strumenti 
consensuali non possono n� devono condurre ad una sua �privatizzazione�. 
Quanto al contenuto degli accordi non pu� mai consistere nella rinuncia 
da parte dell�autorit� contraente all�adozione di un atto legislativo. Sotto il 
profilo della legittimazione, il Comitato rileva che bench� i negoziati a livello 
settoriale possano essere condotti dalle associazioni, successivamente tali accordi 
richiedono anche l�assenso di ogni singola impresa. 
Quanto alla dimensione degli accordi ambientali, nel parere si rileva che 
la Commissione non ha preso in considerazione il livello comunitario. In particolare 
il Comitato, pur condividendo questa impostazione, afferma che �accordi 
globali� su �problemi globali� potranno essere conclusi con associazioni 
europee con il coinvolgimento delle istituzioni comunitarie a cui spetta l�attivit� 
legislativa. In tali ipotesi verranno assunti impegni volontari ovvero potranno 
essere realizzati risultati di trattative prodromici alla preparazione di 
una misura legislativa o a convenzioni di diritto internazionale. 
1.2. La Comunicazione della Commissione del 2002. 
Il 5 giugno 2002 la Commissione europea ha adottato il piano d�azione 
�Semplificare e migliorare la regolamentazione� (COM(2002) 278 def.), nel 
quale ha sottolineato la possibilit� di un corretto utilizzo di misure alternative 
alla legislazione senza che si verifichino interferenze con quanto previsto nel 
trattato e con le prerogative proprie del legislatore. In particolare si � previsto 
il ricorso alla coregolamentazione, alla autoregolamentazione, agli accordi volontari 
settoriali, al metodo aperto di coordinamento, agli interventi finanziari, 
alle campagne di informazione. 
In questo contesto si inserisce la Comunicazione della Commissione al 
Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato 
delle regioni del 17 luglio 2002 (COM(2002) 412 def.), con la quale si 
supera l�approccio circoscritto a livello nazionale della precedente Comunicazione 
per riguardare gli accordi ambientali prioritariamente a livello comunitario. 
In tal modo si � cercato di affrontare e risolvere le criticit� gi� rilevate 
dalle altre istituzioni comunitarie. 
Sulla base dell�espresso riconoscimento che l�ambiente costituisce un settore 
strategico caratterizzato da un�esperienza recente nel campo dell�autoregolamentazione 
e degli accordi volontari settoriali con questo atto del 2002 la 
Commissione mira a concretizzare l�obiettivo, stabilito nell�ambito del sesto 
programma d�azione per l�ambiente (COM(2001) 31 def. del 24 gennaio
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 359 
2001), di realizzare miglioramenti ambientali in modo pi� efficace e rapido. 
Difatti riconosce che gli accordi ambientali possono produrre importanti benefici 
qualitativi quali lo sviluppo del consenso sociale, un pi� ampio scambio 
di informazioni, la sensibilizzazione delle imprese ed il miglioramento dell�ecogestione 
ambientale. 
Innanzitutto si riconosce che gli accordi ambientali possono avere differenti 
origini. Infatti pu� trattarsi di decisioni spontanee prese dalle parti (spesso 
associazioni di categoria) nei pi� diversi ambiti di intervento e senza che la 
Commissione abbia proposto provvedimenti legislativi, n� abbia intenzione 
di legiferare; in tal caso quest�ultima incoraggia le parti interessate ad adottare 
una strategia di anticipazione nell�elaborazione di detti accordi. In secondo 
luogo la loro stipulazione pu� scaturire dall�intenzione espressa dalla Commissione 
di intervenire normativamente in un determinato settore. Infine possono 
essere avviati dalla Commissione stessa. 
Inoltre nella Comunicazione, dal punto di vista definitorio, si precisa che 
agli accordi ambientali sul piano comunitario sono accordi in cui i soggetti interessati 
si impegnano ad ottenere una riduzione dei livelli di inquinamento 
(4), come sanciti dal diritto ambientale, ovvero obiettivi di carattere ambientale 
di cui all�art. 174 TCE (ora art. 191 TFUE). Per altro verso questi accordi devono 
essere tenuti distinti da quelli sottoscritti dagli Stati membri come misura 
attuativa nazionale di una direttiva comunitaria. 
La Commissione non partecipa alla negoziazione di questi atti negoziali, 
che nondimeno possono essere riconosciuti dalla stessa grazie ad uno scambio 
di lettere, una sua raccomandazione, anche accompagnata dalla decisione del 
Parlamento europeo e del Consiglio riguardante il controllo ovvero ancora 
nell�ambito della coregolamentazione stabilita dai legislatori comunitari. Proprio 
con la Comunicazione del 2002 la Commissione chiarisce la distinzione 
tra gli accordi ambientali come pratiche di autoregolamentazione, in quanto 
non hanno nessun effetto vincolante a livello comunitario, ovvero come strumenti 
di coregolamentazione. 
Nel primo caso sono generalmente le parti interessate a prendere spontaneamente 
l�iniziativa per regolare ed organizzare la loro attivit� al fine di raggiungere 
gli obiettivi definiti nel Trattato. La Commissione pu� ritenere 
preferibile non fare proposte legislative, ma limitarsi a stimolare o incoraggiare 
questi atti di autoregolamentazione mediante raccomandazioni ovvero rico- 
(4) In particolare la Commissione ricorda che successivamente alla Comunicazione del 1996 sono 
stati gi� stipulati taluni accordi comunitari in materia ambientale tra le associazioni di produttori di automobili 
europea, giapponese e coreana sulla riduzione delle emissioni di CO2 prodotte dalle autovetture. 
Tali accordi hanno trovato peraltro riconoscimento in alcune raccomandazioni della Commissione 
(1999/125/CE, 2000/303/CE e 2000/304/CE) e sono stati integrati dalla decisione del Parlamento europeo 
e del Consiglio (n. 1753/2000/CE del 22 giugno 2000), che istituisce un sistema di controllo della 
media delle emissioni specifiche di CO2 prodotte dalle autovetture nuove.
360 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
noscerli mediante uno scambio di lettere, senza che questo implichi la rinuncia 
al proprio potere di iniziativa. 
Gli accordi ambientali possono essere conclusi in maniera pi� formale e 
vincolante nel contesto della regolamentazione, consentendo cos� alle parti interessate 
di attuare un atto legislativo comunitario specifico. Nell�ambito della 
c.d. coregolamentazione il legislatore stabilisce gli aspetti essenziali dell�atto: 
gli obiettivi da perseguire, modalit� e tempi di attuazione, metodi di controllo 
aventi ad oggetto l�applicazione dell�atto e le eventuali sanzioni necessarie 
per garantire la certezza del diritto dell�atto stesso. Generalmente la Commissione 
prende l�iniziativa ovvero risponde ad un�azione volontaria da parte del 
settore industriale. Nell�ambito del sistema della coregolamentazione, che coniuga 
i vantaggi degli atti consensuali alle garanzie legali dell�approccio legislativo, 
la Commissione assume dunque un ruolo centrale. Inoltre, 
quest�ultima, ove gli accordi non producano i risultati previsti, pu� sempre 
presentare una proposta legislativa tradizionale. 
Sia nell�ambito dell�autoregolamentazione che della coregolamentazione 
i criteri di valutazione degli accordi ambientali, che devono essere osservati 
sono: efficacia rispetto ai costi di amministrazione, rappresentativit� delle parti 
interessate, obiettivi quantificati e scaglionati, coinvolgimento della societ� 
civile, attivit� di controllo e di notifica, sostenibilit�, compatibilit� degli incentivi. 
Differenti sono invece gli obblighi procedurali: nel caso della autoregoalmentazione 
dovranno essere osservati soprattutto gli obblighi di 
trasparenza e di pubblicit� da parte della Commissione, che debba decidere 
se procedere al riconoscimento dell�accordo ambientale e verificare il conseguimento 
degli obiettivi, anche al fine di esercitare il proprio diritto di iniziativa 
e proporre eventualmente il provvedimento vincolante; nelle ipotesi di 
coregolamentazione dovr� procedersi inoltre, nella fase preparatoria, alla consultazione 
delle parti interessate e dovranno essere integrati nell�atto giuridico 
stesso alcuni elementi chiave, come l�obiettivo ambientale, i requisiti in materia 
di controllo, nonch� un meccanismo di follow up nel caso di esito negativo 
dell�accordo ambientale. Anche in quest�ultimo caso rimane fermo il 
diritto di iniziativa della Commissione, potendo questa proporre un atto legislativo 
vincolante se l�accordo non raggiunge i risultati previsti. 
Da ultimo nella Comunicazione del 2002 la Commissione si preoccupa 
di riaffermare esplicitamente che gli accordi ambientali, non previsti da nessuna 
disposizione del trattato, devono osservare l�insieme delle norme poste 
da questo relativamente al mercato interno della concorrenza, ivi compresi gli 
orientamenti riguardanti gli aiuti di Stato a favore dell�ambiente, nonch� gli 
impegni internazionali della Comunit� anche in materia commerciale (5). 
Si noti che rispetto alla precedente Comunicazione in via generale la prospettiva 
assunta dalla Commissione � complementare a quanto gi� precedentemente 
affermato. Difatti mentre nella prima occasione l�attenzione � stata
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 361 
posta sui profili strutturali e contenutistici, soprattutto nella dimensione degli 
Stati membri, nell�ultimo intervento si � inteso chiarire ulteriormente la funzioni 
svolta dagli accordi in materia ambientale e specialmente il loro ruolo 
di integrazione rispetto all�ordinaria funzione legislativa nell�ambito dell�ordinamento 
comunitario. 
2. Gli accordi in materia ambientale nel diritto nazionale. 
2.1. Gli accordi ambientali: struttura e funzione. 
L�attenzione crescente manifestata in ambito comunitario nei confronti 
degli accordi (6) come strumenti capaci di integrare ed implementare gli obiettivi 
della politica ambientale ha comportato in ambito nazionale l�adozione di 
una normativa di settore imperniata sulla semplificazione, sulla flessibilit� e 
sulla maggiore cooperazione tra soggetti pubblici ed industria. Se infatti, in 
via generale, con la l. n. 59 del 1997 e il d.lgs. n. 112 del 1998 trova applicazione 
il principio di sussidiariet� verticale nel riparto di competenze amministrative 
tra Stato e Regioni ed enti locali, inizia altres� ad imporsi la necessit� 
di un ripensamento del rapporto tra istituzioni e collettivit� civile nella prospettiva 
di un ridimensionamento della sfera pubblica, in applicazione del principio 
di sussidiariet� orizzontale. Sotto questo profilo proprio la materia 
ambientale si presta pi� di altre a realizzare forme di partenariato pubblicoprivato 
mediante lo strumento dell�accordo volontario a fronte delle sollecitazioni 
provenienti dal diritto comunitario. 
Sono difatti immediatamente successivi alla Comunicazione della Commissione 
del 1996 il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (c.d. Decreto Ronchi), che 
all�art. 4 prevede che nell�ambito del riciclaggio dei rifiuti le autorit� competenti 
debbano promuovere la stipulazione di accordi con i soggetti economici interessati; 
nonch� il d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 (Testo unico delle acque), che 
disciplina all�art. 28 l�uso degli strumenti volontari per la riduzione dell�inqui- 
(5) La Commissione nella Comunicazione del 2002 richiama la necessit� di rispettare gli impegni 
assunti dalla Comunit� con la firma della Convenzione di Arhus del 25 giugno 1998 sull�accesso all�informazione, 
sulla partecipazione all�attivit� decisoria e sull�accesso alla giustizia in materia ambientale, 
nonch� di verificare la piena conformit� di ogni accordo ambientale con le regole dell�Organizzazione 
mondiale del commercio. 
(6) In generale sull�istituto G. GRECO, Accordi amministrativi: tra provvedimento e contratto, Torino, 
Giappichelli, 2003; R. MOREA, Gli accordi amministrativi tra �norme di diritto privato� e principi 
italo-comunitari, Napoli, Esi, 2008; S. PENSABENE LIONTI, Gli accordi con la pubblica amministrazione 
nell�esperienza del diritto vivente, Torino, Giappichelli, 2007; P. GRAUSO, Gli accordi della pubblica 
amministrazione con i privati, Milano, Giuffr�, 2007; R. PROIETTI, Partecipazione e accordi nel procedimento 
amministrativo: aspetti sostanziali, problemi applicativi, tutela e prospettive di riforma, Milano, 
Giuffr�, 2004; V. MENGOLI, Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni, Milano, 
Giuffr�, 2003; F. TIGANO, Gli accordi procedimentali, Torino, Giappichelli, 2002; C. MAVIGLIA, Accordi 
con l�amministrazione pubblica e disciplina del rapporto, Milano, Giuffr�, 2002; R. DAMONTE, Atti, accordi 
e convenzioni nella giustizia amministrativa, Padova, Cedam, 2002; G. MANFREDI, Accordi e 
azione amministrativa, Torino, Giappichelli, 2001.
362 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
namento idrico e del consumo di acqua. La normativa contenuta in queste fonti 
� ora confluita nel Codice dell�ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006) all�interno del 
quale l�accordo continua a manifestare una significativa duttilit� di forme e di 
contenuti in linea con le pregresse esperienze comunitarie e nazionali. 
Per queste ragioni gli accordi in materia ambientale si caratterizzano per 
un accentuato polimorfismo, tanto che, nonostante il loro carattere pubblicistico 
e intrinsecamente autoritativo (7), talora sono riconducibili a modelli ben 
definiti nella legislazione nazionale, talaltra presentano elementi di apprezzabile 
atipicit�. 
Quanto agli istituti che in via generale rientrano nel novero degli accordi 
stipulati dalla pubblica amministrazione, occorre certamente richiamare la disciplina 
dettata all�art. 11 della l. n. 241 del 1990, che prevede i c.d. accordi 
tra pubblica amministrazione e privati integrativi o sostitutivi di provvedimento, 
nonch� il successivo art. 15, che regola gli accordi tra pubbliche amministrazioni. 
Costituisce un�ipotesi specifica all�interno di quest�ultima 
categoria quella dettata all�art. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, che ha ad oggetto 
i c.d. accordi di programma. Per altro verso gli interventi che coinvolgono una 
molteplicit� di soggetti pubblici e privati implicano decisioni istituzionali e 
risorse finanziarie a carico delle amministrazioni statali, regionali e delle province 
autonome, nonch� degli enti locali e possono essere regolati sulla base 
degli accordi definiti all�art. 2, comma 203 della l. 23 dicembre 1996, n. 662: 
programmazione negoziata, intesa istituzionale di programma, accordo di programma 
quadro, patto territoriale, contratto di programma, contratto di area. 
Dal punto di vista strutturale tali atti consensuali hanno una dimensione 
prevalentemente verticale, dal momento che nella maggior parte dei casi si 
prevede che possano essere stipulati tra soggetti pubblici e soggetti privati. 
Questi ultimi vi possono partecipare come singoli, ma anche in forma associata. 
Raramente la normativa dispone che l�accordo sia stipulato solo tra soggetti 
pubblici, in una proiezione per cos� dire orizzontale. Tale elemento 
soggettivo si riflette sulla delimitazione dell�oggetto dell�accordo ambientale. 
Difatti la partecipazione dei privati introduce nell�assetto realizzato mediante 
lo strumento convenzionale interessi ulteriori a quello pubblico, per lo pi� di 
natura economica. Ne consegue che questi accordi sono riconducibili alla figura 
generale del partenariato pubblico privato di tipo contrattuale, poich� 
consentono di integrare gli obiettivi di tutela propri della politica ambientale 
con le strategie e i sistemi di gestione delle imprese. Tali moduli operativi ot- 
(7) Si veda in tal senso quanto affermato dalla stessa Corte costituzionale nella celeberrima sent. 
5 luglio 2004, n. 204: �La materia dei pubblici servizi pu� essere oggetto di giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo 
ovvero, attesa la facolt�, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione 
del potere autoritativo, se si vale di tale facolt� (la quale, tuttavia, presuppone l�esistenza del potere autoritativo: 
art. 11 della legge n. 241 del 1990)� (cons. dir., pnt. 3.4.2.).
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 363 
tengono una significativa preferenza rispetto alla istituzione di soggetti terzi 
a partecipazione mista, soprattutto poich� le esigenze ambientali mutano rapidamente 
nel tempo e nello spazio. 
Si tratta di strumenti in larga parte volontari e dunque facoltativi, sebbene 
- come si avr� modo di segnalare infra - non manchino ipotesi in cui il legislatore 
nazionale ne ha previsto l�obbligatoriet�, in termini di previo esperimento 
del tentativo di concludere l�accordo, quale presupposto giuridico per 
l�esercizio dell�attivit� autoritativa da parte della pubblica amministrazione; 
ovvero predisponendo delle misure per il superamento del mancato incontro 
del consenso delle parti. 
Dal punto di vista funzionale, deve rilevarsi che gli accordi talora sono 
meramente procedimentali e hanno la finalit� di semplificare la procedura, talatra 
vengono utilizzati quali strumenti di governo, pianificazione e programma. 
Inoltre, ove previsto da puntuali disposizioni di legge, possono 
assumere una funzione derogatoria rispetto alla normativa che sarebbe altrimenti 
applicabile, con il contro limite del necessario rispetto della disciplina 
comunitaria. Proprio quest�ultima possibilit� conferisce ad alcuni accordi ambientali 
un forte connotato di atipicit� rispetto ai modelli indicati nelle leggi 
generali sopra richiamate. 
Da ultimo occorre rilevare che la funzione di tutela ambientale che � connaturata 
a tutti gli accordi tra soggetti pubblici e soggetti privati in questa materia 
comporta che la definizione dell�assetto di interessi e la sua realizzazione 
sia oggetto di interesse da parte della collettivit�. Di conseguenza la procedura 
di formazione e l�attivit� di esecuzione di quanto pattuito devono svolgersi 
con la massima trasparenza al fine di un�adeguata informazione degli stakeholders 
e del pubblico in generale. In alcuni casi l�accordo diviene addirittura 
lo strumento per mezzo del quale viene disciplinata l�attivit� di raccolta, elaborazione 
e diffusione dei dati in materia ambientale. 
2.2. Gli accordi ambientali nell�ambito dei procedimenti dichiarativi ed autorizzatori. 
Il modello degli accordi ambientali � previsto dalle norme procedurali 
generali relative ai procedimenti di valutazione ambientale strategica (VAS), 
valutazione di impatto ambientale (VIA) e autorizzazione integrata ambientale 
(AIA), di cui alla Parte seconda del Codice dell�ambiente. 
In particolare occorre richiamare la disciplina dettata dall�art. 9 del d.lgs. 
n. 152 del 2006, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall�art. 1, 
comma 3 del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 e dall�art. 2 comma 7 del d.lgs. 29 
giugno 2010, n. 128. Rispetto alla sua originaria formulazione, l�attuale art. 
9, al comma 1, prevede una piena integrazione tra la disciplina dettata in materia 
di procedimento amministrativo e di accesso ai documenti amministrativi 
dalla l. 7 agosto 1990, n. 241 ss.mm.ii. e le procedure di verifica e autorizza-
364 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
zione disciplinate dal Codice dell�ambiente, sia pure nei limiti della clausola 
di compatibilit�. 
Tale previsione avrebbe potuto, in s� considerata, essere sufficiente per 
consentire l�applicazione di tutti gli istituti regolati nella l. n. 241 del 1990 ai 
procedimenti dichiarativi ed autorizzatori di cui alla parte II del d.lgs. n. 152 
del 2006. Nondimeno il legislatore ha inteso porre espressamente delle disposizioni 
quanto alla conferenza di servizi ed agli accordi, rispettivamente ai 
commi 2 e 3 dell�art. 9. Mentre l�esperibilit� della conferenza di servizi istruttoria 
ivi prevista non sembra aggiungere nulla di significativo a quanto gi� si 
sarebbe potuto ricavare dalla previsione generale di cui al comma 1, ad una diversa 
conclusione sembra doversi giungere proprio con riferimento agli accordi. 
In particolare, ai fini del discorso che si va svolgendo, l�art. 9, comma 3 del 
d.lgs. n. 152 del 2006 per un verso conferma la piena inserzione dell�istituto 
nell�ambito delle procedure ivi disciplinate, anche sotto il profilo temporale 
(�nel rispetto dei tempi minimi definiti per la consultazione del pubblico�), 
dall�altro aggiunge elementi strutturali e funzionali ulteriori rispetto al modello 
degli accordi fra privati e pubbliche amministrazioni di cui all�art. 11 della l. 
n. 241 del 1990 e fra pubbliche amministrazioni di cui al successivo art. 15. 
Difatti rispetto all�art. 11 il fine perseguito con lo strumento convenzionale 
non � quello di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento, 
n� di sostituirsi a questo, bens� quello di �disciplinare lo svolgimento delle attivit� 
di interesse comune ai fini della semplificazione e della maggiore efficacia 
dei procedimenti�. 
Per altro verso gli accordi previsti all�art. 9, comma 3, del d.lgs. n. 152 
del 2006 non sembrano corrispondere pienamente neppure al modello di cui 
all�art. 15 della l. n. 241/1990, nonostante la coincidenza dell�oggetto consistente 
nella disciplina dello svolgimento delle attivit� di interesse comune. In 
particolare, sotto il profilo strutturale, possono essere conclusi non solamente 
tra soggetti pubblici, ma anche tra pubbliche amministrazioni ed il soggetto 
proponente, che ai sensi del precedente art. 5 pu� anche essere il �privato che 
elabora il piano, programma o progetto soggetto alle disposizioni del presente 
codice� (comma 1, let. r). Quanto alla funzione dell�istituto, invece, in luogo 
della sola semplificazione cui si ispira la disciplina dettata dall�art. 15 della l. 
n. 241 del 1990, l�art. 9, comma 3 del d.lgs. n. 152 del 2006 indica anche il 
fine della �maggiore efficacia dei procedimenti�, secondo la prospettiva propria 
della c.d. �amministrazione di risultato�. Ci� in linea con quanto sopra 
rilevato circa gli orientamenti delle istituzioni comunitarie, in specie della 
Commissione, in ordine allo strumento degli accordi ambientali. 
Da ultimo, proprio il profilo dei soggetti che possono concludere gli accordi 
previsti dall�art. 9, comma 3 del d.lgs. n. 152 del 2006 non consente di 
riportare la disciplina ivi contenuta nell�alveo degli accordi di programma di 
cui all�art. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, che possono essere stipulati solamente
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 365 
dai rappresentanti degli enti territoriali, almeno stante il tenore letterale della 
disposizione (8). Tuttavia sul punto � da rilevare come numerose disposizioni 
contenute nelle norme di settore del Codice dell�ambiente (infra), pur richiamando 
espressamente la figura dell�accordo di programma di cui all�art. 34 
del d.lgs. n. 267 del 2000, al contempo prevedono la partecipazione a tale atto 
negoziale da parte di soggetti privati. 
Sebbene il modello di accordi delineato dal Codice dell�ambiente nell�art. 
9 non sia pienamente riconducibile a quello delineato nella legge sul procedimento 
amministrativo, agli artt. 11 e 15 e nel testo unico degli enti locali all�art. 
34, per le diversit� strutturali e funzionali ora rilevate, sembrerebbe possibile 
indicare un elemento comune, quantomeno a quelli conclusi tra pubbliche amministrazioni. 
Si tratta della loro configurabilit� in termini di accordi quadro, 
assimilabili alla categoria civilistica dei contratti normativi, in quanto sono 
destinati a disciplinare in astratto con riguardo ad ipotesi future le modalit� di 
svolgimento di determinate fasi procedimentali a fini di semplificazione e di 
efficacia (9). 
Rispetto alla disciplina posta dall�art. 9, comma 3 del d.lgs. n. 152 del 
2006 appare come meramente ripetitiva quella posta in materia di valutazione 
di impatto ambientale (VIA) al successivo art. 25, comma 4, come risultante 
dalla sostituzione operata dall�art. 1, comma 3 del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 
4. Difatti, non sembra aggiungere ulteriori indicazioni ai fini della ricostruzione 
dogmatica del modello la previsione secondo cui �l�autorit� competente 
pu� concludere con le altre amministrazioni interessate accordi per disciplinare 
lo svolgimento delle attivit� di interesse comune ai fini della semplificazione 
delle procedure�. 
Al contrario riveste interesse la disposizione dettata all�art. 29 quater del 
Codice dell�ambiente, che disciplina la procedura per il rilascio dell�autorizzazione 
integrata ambientale (AIA) per la realizzazione di impianti industriali. 
In particolare il comma 15 dispone che �in considerazione del particolare e 
rilevante impatto ambientale, della complessit� e del preminente interesse nazionale 
dell�impianto, nel rispetto delle disposizioni del presente decreto, possono 
essere conclusi, d�intesa tra lo Stato, le regioni, le province e i comuni 
(8) In dottrina peraltro non sono mancati Autori che hanno invece ritenuto fin da subito percorribile 
la soluzione interpretativa che ammette la partecipazione dei privati agli accordi tra pubbliche amministrazione 
ed in specie agli accordi di programma di cui all�art. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, nonostante 
il tenore letterale delle disposizioni citate. In tal senso, A. CONTIERI, La programmazione negoziata. La 
consensualit� per lo sviluppo. I principi, Napoli, 2000, pp. 130 ss.; P.L. PORTALURI, Le funzioni urbanistiche 
�necessarie� dei soggetti privati: aspetti di diritto interno e comunitario, in riv. Ital. Dir. pubbl. 
com., 1999, pp. 343 ss.; F. PUGLIESE, Risorse finanziarie consensualit� ed accordi nella pianificazione 
urbanistica, in Dir. amm., 1999, pp. 17 ss.; A. PREDIERI, Gli accordi di programma, in quad. reg., 1991, 
pp. 959 ss. 
(9) In tal senso R. GRECO, sub art. 9, in R. GRECO (a cura di), Codice dell�ambiente annotato con 
dottrina, giurisprudenza e formule, II ed., Roma, Nel diritto, 2011, p. 70.
366 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
territorialmente competenti e i gestori, specifici accordi, al fine di garantire, 
in conformit� con gli interessi fondamentali della collettivit�, l�armonizzazione 
tra lo sviluppo del sistema produttivo nazionale, le politiche del territorio e le 
strategie aziendali. In tali casi l�autorit� competente, fatto comunque salvo 
quanto previsto al comma 12, assicura il necessario coordinamento tra l�attuazione 
dell�accordo e la procedura del rilascio dell�autorizzazione integrata 
ambientale. Nei casi disciplinati dal presente comma i termini di cui al comma 
10 sono raddoppiati�. 
Tale disciplina, a fronte dell�obbligatoriet� della convocazione della conferenza 
di servizi ai fini del rilascio dell�autorizzazione integrata ambientale 
prevista al precedente comma 5, si caratterizza innanzitutto per la facoltativit� 
della scelta di utilizzare lo strumento convenzionale dell�accordo. Peraltro, 
quest�ultimo sembra differire profondamente, cos� come configurato al comma 
15, da quello risultante dalla previsione generale contenuta nell�art. 9, comma 
3 del d.lgs. n. 152 del 2006. 
Difatti non appare prioritaria la finalit� di semplificazione, pur essendo 
ovviamente questa un risultato in s� connaturato all�utilizzo obbligatorio dell�istituto 
della conferenza di servizi, quanto piuttosto il bilanciamento, che � 
appunto l�oggetto dell�accordo, tra le istanze facenti capo alla collettivit� (di 
qui il riferimento agli interessi fondamentali della stessa) e le finalit� di natura 
prettamente economica (sviluppo del sistema produttivo nazionale, politiche 
del territorio e strategie ambientali). In altre parole potrebbe dirsi che mentre 
gli accordi di cui all�art. 9, comma 3 hanno una funzione di semplificazione 
procedurale, quelli ai quali fa riferimento l�art. 29 quater realizzano il risultato 
di una ponderazione consensuale (oltre che contestuale) degli eterogenei interessi, 
che emergono in sede di rilascio dell�autorizzazione integrata ambientale. 
Che del resto il risultato perseguito non sia e non possa essere in tal caso 
la semplificazione � confermato dall�ultimo periodo dell�art. 29 quater, 
comma 15 ove si prevede il raddoppio dei termini di cui al comma 10, entro i 
quali l�autorit� competente deve esprimere le proprie determinazioni sulla domanda 
di questo provvedimento autorizzatorio. 
La natura di accordo sostanziale ed il suo carattere facoltativo, infine, 
suggeriscono l�inquadramento dell�istituto tra quelli in senso lato deflattivi 
del contenzioso, poich� in tale sede � dato al gestore rappresentare i propri interessi 
e far valere le proprie ragioni, in modo presumibilmente pi� compiuto 
di quanto potrebbero realizzare le amministrazioni coinvolte a fronte dell�esercizio 
dei soli diritti di partecipazione al procedimento. Sotto tale profilo non 
sembra, infatti, essere sufficiente la previsione dell�obbligatoriet� della conferenza 
di servizi, stante la disciplina dettata agli artt. 14 ss. della l. n. 241 del 
1990, ove non � prevista espressamente la partecipazione dei privati (10). 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 367 
2.3.Gli accordi ambientali nei singoli settori. 
Lo strumento dell�accordo � previsto e disciplinato anche in norme settoriali 
del Codice dell�ambiente. In particolare occorre innanzitutto richiamare 
la disposizione contenuta nell�art. 70, comma 4, ove in materia di difesa del 
suolo e lotta alla desertificazione (Parte terza, Sezione I) si prevede che gli 
accordi di programma di cui all�art. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000 costituiscano 
lo strumento attuativo dei programmi triennali di intervento, che a loro volta 
attuano i piani di bacino. Stante l�espresso riferimento al modello consensuale 
contenuto nel citato articolo del testo unico degli enti locali, non si pongono 
particolari problemi di inquadramento dogmatico. � solo il caso di rilevare 
che l�accordo di programma, cos� come chiaramente affermato nell�art. 70, 
comma 4 del Codice dell�ambiente, consente un�attuazione in forma integrata 
e coordinata dei programmi da parte degli enti territoriali competenti senza 
necessit� di procedere alla costituzione di soggetti terzi, in forme associative 
variamente articolate. Inoltre ai sensi del citato art. 34 gli accordi di programma 
possono comportare variazioni degli strumenti urbanistici e in base a 
quanto disposto dall�art. 12, co. 1 lett. b) del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 
(Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilit�) possono altres� 
valere quale dichiarazione di pubblica utilit�. 
Si fa espressamente riferimento a tale istituto consensuale anche nell�art. 
75 del d.lgs. n. 152 del 2006 in materia di tutela delle acque dall�inquinamento 
(Parte terza, Sezione II) (11). In particolare, al comma 9 gli accordi di programma 
con le competenti autorit� sono indicati come strumento ulteriore del 
quale possono avvalersi i consorzi di bonifica e di irrigazione per concorrere 
alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle 
acque anche al fine di una loro utilizzazione irrigua, della rinaturalizzazione 
dei corsi d�acqua e della fitodepurazione. In tal modo si pu� realizzare una tutela 
concertata delle risorse idriche da parte dei consorzi di bonifica, delle autorit� 
di bacino, delle province e delle regioni interessate. 
La partecipazione di soggetti privati alla stipulazione di accordi e contratti 
di programma � prevista in materia di tutela dei corpi idrici e disciplina degli 
(10) D� conto dei vari tentavi della dottrina per fondare sulle previsioni della l. n. 241 del 1990, 
ed in particolare su quella in tema di partecipazione procedimentale, la possibilit� per i privati di essere 
parti della conferenza di servizi S. CIVITARESE MATTEUCCI, Conferenza di servizi (dir. amm.), in Enc. 
Dir., Annali, II, t. 2, Milano, Giuffr�, 2008, pp. 271 ss. e spec. pp. 289-290. Sull�istituto in generale D. 
D�ORSOGNA, Conferenza di servizi e amministrazione della complessit�, Torino, Giappichelli, 2002. 
(11) Si veda quanto rilevato supra, quanto al dato che proprio la tutela delle acque dall�inquinamento 
ha costituito materia nella quale hanno trovato previsione gli accordi ambientali gi� a partire dal 
d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, recante disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento 
della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 
91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da 
fonti agricole.
368 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
scarichi (Parte terza, sezione II, titolo III) all�art. 101, comma 10 del d.lgs. n. 
152 del 2006. Quest�ultimo dispone infatti che le autorit� competenti possono 
promuovere e stipulare tali atti consensuali con �soggetti economici interessati 
al fine di favorire il ripristino idrico, il riutilizzo delle acque di scarico e il recupero 
come materia prima dei fanghi di depurazione, con la possibilit� di ricorrere 
a strumenti economici, di stabilire agevolazioni in materia di 
adempimenti amministrativi e di fissare, per le sostanze ritenute utili, limiti 
agli scarichi in deroga alla disciplina generale, nel rispetto comunque delle 
norme comunitarie e delle misure necessarie al conseguimento degli obiettivi 
di qualit��. Tale previsione sembra derogare in modo significativo al modello 
dell�accordo di programma di cui all�art. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000 e non 
solo per ragioni procedimentali afferenti all�ambito di applicazione soggettivo 
dell�istituto. Per meglio dire, da un lato, � proprio la partecipazione dei soggetti 
privati a questo a conferire all�oggetto dell�accordo di programma un�accentuata 
connotazione economica che non si rinviene nella formulazione del citato 
articolo 34; dall�altro, ed � probabilmente questo il profilo pi� significativo, 
con il solo limite del rispetto della normativa comunitaria e degli obiettivi di 
qualit� ambientale, l�accordo di programma stipulato con i privati viene addirittura 
configurato come strumento per derogare alla disciplina generale, sia 
pure limitatamente alla fissazione dei limiti agli scarichi. 
Gli accordi di programma sono inoltre previsti nell�ambito degli strumenti 
di tutela (Parte terza, sezione II, titolo IV) all�art. 120, che disciplina il rilevamento 
dello stato di qualit� dei corpi idrici. In particolare al comma 3 � previsto 
che al fine di evitare sovrapposizioni e di garantire il flusso delle 
informazioni raccolte e la loro compatibilit� con il sistema informativo nazionale 
dell�ambiente (SINA), le Regioni possono promuovere, nell�esercizio 
delle rispettive competenze, accordi di programma con l�Agenzia per la protezione 
dell�ambiente e per i servizi tecnici (APAT), le Agenzie regionali per 
la protezione dell�ambiente, le Province, le Autorit� d�ambito, i consorzi di 
bonifica e di irrigazione e gli altri enti pubblici interessati. In tal modo lo strumento 
negoziale, sia pure configurato come facoltativo, favorisce la creazione 
di un sistema informativo in seno alla elaborazione ed attuazione di programmi 
per la conoscenza e la verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque 
superficiali e sotterranee all�interno di ciascun bacino idrogeografico (comma 
1). � per questa ragione per la quale nei programmi devono altres� essere definite 
le modalit� di standardizzazione dei dati e di interscambio delle informazioni 
(comma 3, ult. per.). Tale disciplina si inserisce peraltro nell�ambito 
della funzione programmatoria e di pianificazione, nonch� di consultazione 
pubblica delineata agli artt. 117-123 del Codice dell�ambiente, rispetto alla 
quale l�attivit� conoscitiva appare prodromica e strumentale. 
Sempre nel settore delle risorse idriche ed al fine di pianificarne l�utilizzo, 
l�art. 158 del d.lgs. n. 152 del 2006 prevede che laddove il fabbisogno comporti
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 369 
o possa comportare il trasferimento di acqua tra regioni diverse e ci� travalichi 
i comprensori di riferimento dei distretti idrogeografici, le Autorit� di bacino, 
sentite le Regioni interessate, promuovono accordi di programma tra le regioni 
stesse, nel rispetto delle finalit� di tutela e di uso di questa risorsa. Rispetto 
alle ipotesi finora passate in rassegna, la previsione richiamata presenta la peculiarit� 
di configurare lo strumento convenzionale come obbligatorio, secondo 
quanto suggerito dall�utilizzo del tempo indicativo (�promuovono�) da 
parte del legislatore. La ragione va individuata nel rilievo che trattandosi di 
un�attivit� che coinvolge pi� enti territoriali il suo svolgimento non pu� prescindere 
dalla definizione consensuale delle modalit� di realizzazione degli 
interventi. In altre parole l�accordo di programma in tale ipotesi � configurato 
non come uno strumento alternativo, bens� come quello che consente il rispetto 
delle sfere di competenze degli enti coinvolti. 
Sotto questo profilo appare invece pi� elastica la disciplina dettata in materia 
di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati (Parte quarta) (12). 
Difatti l�art. 177 al comma 5 dispone che per conseguire le finalit� e gli obiettivi 
propri di questo settore lo Stato, le regioni, le province autonome e gli enti 
locali esercitano i poteri e le funzioni di rispettiva competenza nel rispetto 
della disciplina dettata nel Codice dell�ambiente, adottando ogni idonea azione 
ed avvalendosi, ove opportuno, mediante accordi, contratti di programma o 
protocolli d�intesa anche sperimentali, di soggetti pubblici e privati. In tale 
previsione lo strumento convenzionale non � limitato nella sua concreta configurazione 
al modello di cui all�art. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, poich� viene 
lasciata alle istituzioni la scelta tra diversi atti consensuali in un ordine decrescente 
di vincolativit�, che giunge fino alla possibilit� di stipulare protocolli 
di intesa anche sperimentali. Inoltre mediante lo stesso accordo di programma 
pu� essere realizzato un coinvolgimento di soggetti privati e una regolamentazione 
concordata con gli stessi delle attivit� di gestione dei rifiuti. Peraltro 
si tratta di una previsione che viene ripresa e specificata nel successivo art. 
180, comma 1, lett. C), ove tra le iniziative per la promozione in via prioritaria 
della prevenzione e della riduzione della produzione e della nocivit� dei rifiuti 
� indicata la promozione di accordi e contratti di programma o protocolli di 
intesa anche sperimentali; nonch� nell�art. 180 bis nell�ambito delle iniziative 
dirette a favorire il riutilizzo dei prodotti e la preparazione per il riutilizzo dei 
rifiuti. Tra le funzioni spettanti al Consorzio nazionale imballaggi (CONAI) 
di prevede la promozione di accordi di programma da concludersi anche in 
questo caso con operatori economici privati per favorire il reciclaggio ed il re- 
(12) Si noti, che il ricorso allo strumento dell�accordo ambientale tra soggetti pubblici e privati, 
come gi� rilevato supra nel testo, � stato gi� largamente previsto per il settore della gestione dei rifiuti 
nel d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti 
pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.
370 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
cupero dei rifiuti di imballaggio ai sensi dell�art. 224, comma 2, lett. d). Inoltre 
il CONAI, ai sensi del comma 5, pu� stipulare un accordo di programma quadro 
su base nazionale con l'Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI), 
con l'Unione delle province italiane (UPI) o con le Autorit� d'ambito al fine 
di garantire l'attuazione del principio di corresponsabilit� gestionale tra produttori, 
utilizzatori e pubbliche amministrazioni. In particolare, tale accordo 
stabilisce: l'entit� dei maggiori oneri per la raccolta differenziata dei rifiuti di 
imballaggio, da versare alle competenti pubbliche amministrazioni, determinati 
secondo criteri di efficienza, efficacia, economicit� e trasparenza di gestione 
del servizio medesimo; gli obblighi e le sanzioni posti a carico delle 
parti contraenti; le modalit� di raccolta dei rifiuti da imballaggio in relazione 
alle esigenze delle attivit� di riciclaggio e di recupero. L�importanza di tale 
strumento convenzionale � confermata dal successivo comma 12, ove si prevedono 
nel caso in cui non si proceda alla stipula misure per favorire il raggiungimento 
dell�intesa e, nelle ipotesi in cui questa risulti non possibile, 
strumenti per il superamento della mancata conclusione delle convenzioni. 
Hanno invece una finalit� derogatoria del principio generale secondo il 
quale � vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da 
quelle nelle quali gli stessi sono stati prodotti, gli accordi regionali o internazionali 
di cui all�art. 182, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006. A tali strumenti 
convenzionali, non ulteriormente qualificati e descritti dalla disposizione citata, 
si pu� ricorrere qualora gli aspetti territoriali e l�opportunit� tecnico economica 
di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano. 
La medesima finalit� derogatoria hanno gli accordi di programma previsti 
all�art. 205, recante misure per incrementare la raccolta differenziata. Pi� precisamente 
ai sensi del comma 1 bis, nel caso in cui, dal punto di vista tecnico, 
ambientale ed economico, non sia realizzabile il raggiungimento degli obiettivi 
ivi fissati il comune pu� richiedere al Ministro dell�ambiente una deroga al rispetto 
degli obblighi relativi alla raccolta differenziata. Tuttavia in questo caso 
la disposizione pone dei vincoli contenutistici stringenti all�assetto di interessi 
che pu� essere convenuto nell�accordo di programma. Difatti, se � vero che il 
Ministro pu� autorizzare la deroga previa stipula di un accordo di programma 
con la regione e gli enti locali interessati, lo strumento convenzionale deve 
stabilire: le modalit� mediante le quali il comune richiedente intende conseguire 
gli obiettivi di riutilizzo e reciclaggio di rifiuti (art. 181, comma 1); la 
destinazione a recupero di energia della quota di rifiuti indifferenziati che residua 
dalla raccolta differenziata e dei rifiuti derivanti da impianti di trattamento 
dei rifiuti indifferenziati, qualora non destinati al recupero di materia; 
la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani da destinare al reciclo, 
che il comune richiedente si obbliga ad effettuare. Inoltre, ai sensi del successivo 
comma 1 ter, l�accordo di programma pu� stabilire obblighi, nel quadro 
normativo vigente, per il perseguimento delle finalit� stabilite in ordine alla
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 371 
gestione dei rifiuti, nonch� stabilire le modalit� di accertamento dell�adempimento 
degli obblighi assunti e la disciplina dell�eventuale inadempimento. 
Agli accordi di programma ivi previsti si riconosce infine un effetto conformativo 
dei piani regionali, con una sorta di inversione dell�ordine degli atti di 
pianificazione e programmazione (comma 1 ter, ult. per.). 
Peraltro il settore dei rifiuti si pone come un campo elettivo per l�utilizzo 
delle modalit� consensuali di perseguimento e cura dell�interesse pubblico alla 
tutela dell�ambiente. Difatti, proprio all�art. 206 viene adottata una disciplina 
di carattere generale (dunque non riferita ai singoli interventi di gestione, bonifica, 
raccolta e reciclaggio di rifiuti) di accordi e contratti di programma al 
fine di perseguire la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure, 
con particolare riferimenti alle piccole imprese. Sono legittimati alla stipulazione 
di questi atti consensuali il Ministro dell�ambiente, le altre autorit� competenti 
con gli enti pubblici, le imprese di settore, gli altri soggetti pubblici e 
privati e le associazioni di categoria. Diversamente dai precedenti accordi, rileva 
nel caso in esame la previsione che vi partecipino anche persone giuridiche 
titolari di interessi collettivi, quali le associazioni ambientali. 
L�art. 206 precisa altres� il contenuto di queste convenzioni, che hanno 
ad oggetto: a) l'attuazione di specifici piani di settore di riduzione, recupero e 
ottimizzazione dei flussi di rifiuti; b) la sperimentazione, la promozione, l'attuazione 
e lo sviluppo di processi produttivi e distributivi e di tecnologie pulite 
idonei a prevenire o ridurre la produzione dei rifiuti e la loro pericolosit� e ad 
ottimizzarne il recupero; c) lo sviluppo di innovazioni nei sistemi produttivi 
per favorire metodi di produzione di beni con impiego di materiali meno inquinanti 
e comunque riciclabili; d) le modifiche del ciclo produttivo e la riprogettazione 
di componenti, macchine e strumenti di controllo; e) la 
sperimentazione, la promozione e la produzione di beni progettati, confezionati 
e messi in commercio in modo da ridurre la quantit� e la pericolosit� dei 
rifiuti e i rischi di inquinamento; f) la sperimentazione, la promozione e l'attuazione 
di attivit� di riutilizzo, riciclaggio e recupero di rifiuti; g) l'adozione 
di tecniche per il reimpiego ed il riciclaggio dei rifiuti nell'impianto di produzione; 
h) lo sviluppo di tecniche appropriate e di sistemi di controllo per l'eliminazione 
dei rifiuti e delle sostanze pericolose contenute nei rifiuti; i) 
l'impiego da parte dei soggetti economici e dei soggetti pubblici dei materiali 
recuperati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani; l) l'impiego di sistemi 
di controllo del recupero e della riduzione di rifiuti. 
Ai sensi del successivo comma 2 gli accordi e contratti di programma 
possono essere stipulati tra i medesimi soggetti per promuovere e favorire l'utilizzo 
dei sistemi di certificazione ambientale di cui al regolamento (Cee) n. 
761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 marzo 2001; per attuare 
programmi di ritiro dei beni di consumo al termine del loro ciclo di utilit� 
ai fini del riutilizzo, del riciclaggio e del recupero.
372 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
Tali strumenti possono senza dubbio realizzare delle semplificazioni amministrative, 
ma non � data agli stessi la possibilit� di derogare alla normativa 
comunitaria (comma 3). La copertura degli oneri derivanti dalla stipula di questi 
accordi e contratti � realizzata mediante risorse individuate con decreto del 
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con 
i Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, sulla base 
di apposite disposizioni legislative di finanziamento. Inoltre sempre con questo 
decreto sono fissate le modalit� di stipula dei medesimi (comma 4). 
L�art. 206, infine, al comma 5 realizza un importante raccordo tra la normativa 
nazionale e quella comunitaria in materia di accordi ambientali. Infatti, 
si prevede che ai sensi della comunicazione 2002/412 del 17 luglio 2002 della 
Commissione delle Comunit� europee sia possibile concludere accordi ambientali 
che la Commissione pu� utilizzare nell'ambito della autoregolamentazione, 
intesa come incoraggiamento o riconoscimento dei medesimi accordi, 
oppure della coregolamentazione, intesa come proposizione al legislatore di 
utilizzare gli accordi, quando opportuno. 
Fa il paio con la disciplina ora brevemente descritta quella contenuta all�art. 
246 con riferimento alla bonifica di siti contaminati (Parte quarta, titolo 
V) (13). In particolare si prevede che i soggetti obbligati e quelli altrimenti 
interessati agli interventi in questo settore hanno diritto di definire modalit� e 
tempi di esecuzione degli stessi mediante appositi accordi di programma da 
stipularsi con le amministrazioni competenti (comma 1). Nel caso in cui vi 
siano soggetti che intendano o siano tenuti a provvedere alla contestuale bonifica 
di una pluralit� di siti che interessano il territorio di pi� regioni, i tempi 
e le modalit� di intervento possono essere definiti con appositi accordi di programma 
che devono essere conclusi con le regioni interessate (comma 2). Se 
i siti hanno una rilevanza nazionale gli stessi soggetti possono concludere per 
le medesime finalit� accordi di programma con il Ministro dell'ambiente e 
della tutela del territorio di concerto con i Ministri della salute e delle attivit� 
(13) Si noti che l�art. 246 del Codice dell�ambiente delimita in materia di bonifica dei siti inquinati 
un ambito di applicazione pi� ampio degli accordi di programma rispetto alla previsione contenuta nell�art. 
18, comma 2 della legge 31 luglio 2002, n. 172 (Disposizioni in materia ambientale), che circoscrive 
l�utilizzo di tale strumento ai siti di interesse nazionale e con riferimento al solo progetto 
definitivo: �Per realizzare il programma di interventi di cui al comma 1, il Ministro dell'ambiente e della 
tutela del territorio stipula, con i Ministri dell'interno delegato per il coordinamento della protezione civile, 
delle attivit� produttive e delle infrastrutture e dei trasporti, con i presidenti delle giunte regionali, 
delle province e con i sindaci dei comuni territorialmente competenti, uno o pi� accordi di programma 
per l'approvazione del progetto definitivo di bonifica e di ripristino ambientale. Gli accordi di programma 
comprendono il piano di caratterizzazione dell'area e l'approvazione delle eventuali misure di messa in 
sicurezza di emergenza, gli interventi di bonifica o di messa in sicurezza definitiva e l'approvazione del 
progetto di valorizzazione dell'area bonificata, che include il piano di sviluppo urbanistico dell'area e il 
piano economico e finanziario dell'investimento, secondo le procedure previste dall'articolo 34 del testo 
unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267�.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 373 
produttive, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni (comma 3). Quanto ai soggetti 
legittimati � interessante notare che la previsione vi ricomprende anche 
il responsabile dell�inquinamento. Ma vi � di pi�. Si riconosce che a fronte di 
una sua richiesta la concertazione costituisca per l�amministrazione competente 
una soluzione obbligata. Difatti, la disposizione prevede un �diritto� di 
avvalersi dello strumento convenzionale, a fronte del quale si configura un 
obbligo di procedere in modo concertativo. Peraltro, trattandosi di un limite 
al potere dell�amministrazione di agire in via autoritativa, l�art. 246 del Codice 
dell�ambiente si premura di delimitare temporalmente l�obbligatoriet� dell�accordo 
di programma, calibrando i termini ivi previsti sulla dimensione dell�interesse 
(regionale, pluriregionale ovvero nazionale) che viene in evidenza 
nel caso concreto. 
Da ultimo l�accordo di programma � indicato quale strumento per l�elaborazione 
e l�approvazione di siti di preminente interesse pubblico per la riconversione 
industriale con aree demaniali e acque di falda contaminate, ai 
sensi dell�art. 252 bis del Codice dell�ambiente. Alla stipulazione possono addivenire 
i soggetti interessati, i Ministri per lo sviluppo economico, dell�ambiente 
e il Presidente della Regione territorialmente competente, sentiti il 
Presidente della Provincia ed i Sindaci dei Comuni interessati (comma 1). 
Anche in questo caso si prevede la partecipazione dei soggetti responsabili 
della contaminazione, in mancanza della quale l�amministrazione riacquista 
il potere di agire d�ufficio, fermo il diritto di rivalsa. La stessa previsione si 
applica anche nel caso in cui il soggetto responsabile non adempia alle obbligazioni 
assunte con lo strumento convenzionale (comma 9). 
Gli accordi di programma assicurano il coordinamento delle azioni per 
determinarne i tempi, le modalit�, il finanziamento ed ogni altro connesso e 
funzionale adempimento per l'attuazione dei programmi di riconversione industriale 
e disciplinano in particolare ai sensi del comma 3: a) gli obiettivi di 
reindustrializzazione e di sviluppo economico produttivo e il piano economico 
finanziario degli investimenti da parte di ciascuno dei proprietari delle aree 
comprese nel sito contaminato al fine di conseguire detti obiettivi; b) il coordinamento 
delle risultanze delle caratterizzazioni eseguite e di quelle che si intendono 
svolgere; c) gli obiettivi degli interventi di bonifica e riparazione, i 
relativi obblighi dei responsabili della contaminazione e del proprietario del 
sito, l'eventuale costituzione di consorzi pubblici o a partecipazione mista per 
l'attuazione di tali obblighi nonch� le iniziative e le azioni che le pubbliche 
amministrazioni si impegnano ad assumere ed a finanziare; d) la quantificazione 
degli effetti temporanei in termini di perdita di risorse e servizi causati 
dall'inquinamento delle acque; e) le azioni idonee a compensare le perdite temporanee 
di risorse e servizi, sulla base dell'Allegato II della direttiva 
2004/35/CE; a tal fine sono preferite le misure di miglioramento della sostenibilit� 
ambientale degli impianti esistenti, sotto il profilo del miglioramento
374 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 
tecnologico produttivo e dell'implementazione dell'efficacia dei sistemi di depurazione 
e abbattimento delle emissioni; f) la prestazione di idonee garanzie 
finanziarie da parte dei privati per assicurare l'adempimento degli impegni assunti; 
g) l'eventuale finanziamento di attivit� di ricerca e di sperimentazione 
di tecniche e metodologie finalizzate al trattamento delle matrici ambientali 
contaminate e all'abbattimento delle concentrazioni di contaminazione, nonch� 
ai sistemi di misurazione e analisi delle sostanze contaminanti e di monitoraggio 
della qualit� ecologica del sito; h) le modalit� di monitoraggio per il controllo 
dell'adempimento degli impegni assunti e della realizzazione dei progetti. 
La stipula dell'accordo di programma costituisce riconoscimento dell'interesse 
pubblico generale alla realizzazione degli impianti, delle opere e di 
ogni altro intervento connesso e funzionale agli obiettivi di risanamento e di 
sviluppo economico e produttivo (comma 4). 
In considerazione delle finalit� di tutela e ripristino ambientale perseguite, 
l'attuazione da parte dei privati degli impegni assunti con l'accordo di programma 
costituisce anche attuazione degli obblighi di cui alla direttiva 
2004/35/CE e delle relative disposizioni di attuazione di cui alla parte VI del 
d.lgs. n. 152 del 2006 (comma 7). 
RECENSIONI 
MAURIZIO BORGO - MARCO MORELLI (*), L�acquisizione e l�utilizzo 
di immobili da parte della P.A. Espropriazione per pubblica utilit� 
e strumenti alternativi. 
(Giuffr� Editore, 2012, pp. XIV, 394) 
Prefazione di Michele Dipace (*) 
Ancora un libro che parla di espropriazione per pubblica utilit�! 
Con questa esclamazione ho accolto l'invito, gentilmente rivoltomi dagli Autori, di scrivere 
la prefazione del presente volume. 
Mi sono, allora, chiesto quale fosse l'utilit� di una nuova opera scientifica sull�argomento 
e l�ho rinvenuta nella seguente considerazione: l�espropriazione per pubblica utilit� � certamente 
una delle figure giuridiche pi� affascinanti, tormentate e complesse del diritto amministrativo, 
la cui peculiarit� consiste nel trovarsi, per cos� dire, al confine tra diritto pubblico 
e privato, come testimoniato dal fatto che delle relative vicende giurisdizionali conoscono sia 
il giudice ordinario che il giudice amministrativo. 
Ben venga, pertanto, un'Opera che ha il pregio di coniugare la rigorosa trattazione scientifica 
degli argomenti con l'esame della casistica oggetto delle numerose pronunce giurisprudenziali 
intervenute nei quasi dieci anni di vigenza del Testo Unico Espropri (d.P.R. 8 giugno 
2001, n. 327); un arco temporale, quest'ultimo, che consente agli Autori di trarre, per cos� 
dire, qualche somma in ordine ai risultati dell'intento di razionalizzazione e coordinamento 
delle diverse disposizioni legislative e regolamentari esistenti, che ha ispirato il predetto T.U.. 
Peraltro, � merito degli Autori avere cercato di guardare al di l� dell'espropriazione dedicando 
una parte dell'Opera all'analisi delle modalit� di acquisizione di immobili da parte 
delle pubbliche amministrazioni alternative al tradizionale istituto ablatorio. 
Il capitolo primo dell�Opera tratta degli aspetti generali dell'espropriazione come delineati 
dal d.P.R, 8 giugno 2001 n. 327. 
(*) Maurizio Borgo, avvocato dello Stato. 
Marco Morelli, avvocato del Foro di Roma. 
Michele Dipace, Avvocato Generale dello Stato.
376 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 
Vengono, pertanto, esaminati l'oggetto e l'ambito di applicazione del T.U., i soggetti e 
l'oggetto della procedura espropriativa, l'ufficio espropri e la possibilit� di istituzione di uffici 
tra enti consorziati; per finire, gli Autori si soffermano sul tema della responsabilit� del delegante 
e del delegato in materia di esproprio. 
Nel capitolo secondo, gli Autori, dopo avere fotografato le quattro fasi del procedimento 
espropriativo: vincolo, dichiarazione di pubblica utilit�, indennit�, decreto o cessione volontaria, 
esaminano specificamente la fase preliminare alla procedura espropriativa ovvero la 
sottoposizione del bene al vincolo. 
Dopo una ricognizione delle note distinzioni fra vincoli derivanti da piani urbanistici e 
vincoli discendenti da atti diversi nonch� tra vincoli conformativi e vincoli espropriativi, il 
capitolo si occupa delle tematiche legate alla zonizzazione e localizzazione delle opere ai fini 
espropriativi, della partecipazione degli interessati alla procedura di apposizione del vincolo 
e, per finire, del delicatissimo problema della reiterazione dei vincoli espropriativi. 
Il capitolo terzo � dedicato alla dichiarazione di pubblica utilit� ovvero a quella che la 
Corte Costituzionale ebbe a definire la pietra angolare della procedura espropriativa. 
Vengono esaminati gli istituti dell'accesso ai fondi e del piano particellare; particolare 
attenzione � dedicata alla individuazione degli atti che comportano la dichiarazione di pubblica 
utilit� anche alla luce delle novit� introdotte dal d.l. 24 gennaio 2012, alla vexata quaestio 
dei termini e del loro superamento nonch� al procedimento che porta alla d.p.u. ed alla partecipazione 
degli interessati. 
II capitolo quarto � dedicato all'esame della fase conclusiva della procedura espropriativa, 
sia nella forma ordinaria del decreto di esproprio ovvero della cessione volontaria che in 
quella accelerata di cui all'art. 22. Una particolare disamina � doverosamente riservata alla 
procedura di occupazione di urgenza foriera, in passato, del ben noto fenomeno patologico 
della c.d. "accessione invertita". 
II capitolo quinto si occupa dell'indennit� di esproprio sotto ogni profilo procedimentale 
e sostanziale. Particolare attenzione viene dedicata alle recenti sentenze della Corte Costituzionale 
nn. 181/2011 e 338/2011 in tema di valore agricolo medio e dichiarazione ICI. Non 
viene trascurata la trattazione di profili c.d. secondari quali quello delle indennit� aggiuntive, 
del regime fiscale dell'indennit� di espropio, dell'indennit� di asservimento e di quell�indennit� 
per reiterazione di vincoli espropriativi. 
II capitolo sesto � dedicato agli aspetti patologici dell'espropriazione ovvero alle occupazioni 
illegittime. Dopo un excursus storico sulle origini della c.d. occupazione acquisitiva 
e sulla distinzione tra la stessa e l�ipotesi pi� grave della c.d. �occupazione usurpativa�, alla 
luce degli interventi della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 
gli Autori si soffermano sulla soluzione iniziale data al problema dal d.P.R. n. 327/2001 ovvero 
sull�art. 43 fino ad arrivare alla declaratoria di illegittimit� costituzionale della norma ad opera 
della sentenza 10 ottobre 2010 n. 293 della Consulta, senza trascurare la disamina delle problematiche 
derivate dall'intervento caducatorio della Consulta. 
Il capitolo settimo � interamente dedicato all�art.42-bis del T.U. introdotto dal d.l. 6 luglio 
2011 n. 98, ed alle pronunce giurisprudenziali che hanno affrontato le prime concrete applicazioni 
della disposizione. 
Il capitolo ottavo, di chiusura dell'Opera, come pi� sopra anticipato, guarda al di l�, o 
per meglio dire oltre l'esproprio; esso � dedicato alle forme di acquisizione, per cos� dire alternative 
rispetto all'espropriazione: nel capitolo vengono esaminati istituti quali quello dell'usucapione 
della PA. della dicatio ad patriam nonch� le modalit� di acquisizione di strade e piazze.
RECENSIONI 377 
Il libro, pertanto, si � palesato, alla lettura, del tutto necessario perch� contiene una approfondita 
analisi dottrinale e giurisprudenziale dell'istituto della espropriazione per p.u. analizzando 
tutte le problematiche dell'istituto stesso, ed � soprattutto un utile strumento per gli 
operatori del diritto e per coloro che, in ogni caso, si trovano ad essere interessati al procedimento 
espropriativo. 
VITO TUFARIELLO, La responsabilit� civile. Il danno da immissioni. 
(Collana:Il diritto italiano nella giurisprudenza. A cura di PAOLO CENDON) 
(Utet Giuridica, 2012, pp. XXIV, 856) 
La legislazione in campo ambientale, nell�ultimo trentennio, ha subito una netta evoluzione 
frutto soprattutto di grosso impulso da parte del legislatore comunitario, a cui non sempre 
ha fatto seguito la medesima applicazione da parte del legislatore nazionale. 
A volte le due fonti normative, la comunitaria e nazionale, nel loro articolato sovrapporsi, 
hanno causato grosse problematiche, in relazione al diritto da applicare alle singole questioni, 
ed in pi� occasioni per dirimere le controversie si � dovuti ricorrere alle pronunzie dell�interprete 
comunitario, sempre puntuale nel fornire gli indirizzi interpretativi richiesti. 
La legislazione ambientale, nel suo evolversi, si � dovuta frammentare in pi� impatti. 
Ci� ha dato luogo alla creazione di norme di settore che, purtroppo, non denotano i caratteri 
della stabilit�, posto che spesso e frequentemente subiscono stravolgimenti che creano imbarazzo 
e confusione negli operatori chiamati a svolgere giornalmente la propria opera. 
L�opera �il danno da immissioni�, nella sua variegata articolazione, vuole fornire uno 
strumento utile per costoro e consentire agli operatori e professionisti del settore di avere ben 
chiare sia la normativa vigente ed applicabile al caso di specie sia l�interpretazione della medesima 
in base alla risoluzione dei casi pratici fin qui susseguitisi. 
Per ogni singolo impatto ambientale delineato si � cercato di evidenziare i profili di 
danno che possono scaturire, al fine di costituire la base di eventuali azioni poste in essere 
nei confronti di coloro che incorrono in violazioni normative causando evidenti danni oggettivi 
e soggettivi. 
Non si nasconde che la lettura del testo risulter� non molto facile, soprattutto per coloro 
che intenderanno cimentarsi non avendo, alle spalle, una profonda e qualificata conoscenza 
della materia qui trattata. Sono certo, per�, che una lettura pi� attenta e dedicata, unita alla 
scorrevolezza del testo, consentir� di superare tali difficolt� iniziali. 
L�Autore
Finito di stampare nel mese di gennaio 2013 
Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. 
Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma