ANNO LXIII - N. 3 LUGLIO - SETTEMBRE 2011 
RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 
PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO
COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Aldo Linguiti. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - 
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Getano Scoca. 
DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. 
COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria 
Vittoria Lumetti - Antonio Palatiello - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. 
CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - 
Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Maria Vittoria 
Lumetti - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - 
Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 
HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Carlo Bellesini, Alessandra 
Bruni, Giancarlo Caselli, Gesualdo d�Elia, Ruggiero Dipace, Fabrizio Fedeli, Wally Ferrante, 
Maurizio Fiorilli, Franco Giampietro, Diego Giordano, Federico Maria Giuliani, Maurizio 
Greco, Antonio Grumetto, Niccol� Guasconi, Alessandra Iorio, Damiano Marini, Francesco 
Meloncelli, Glauco Nori, Giampaolo Rossi, Rosa Rota, Francesco Spada, Barbara Tidore, 
Federica Varrone, Luca Ventrella, Francesco Vignoli, Paola Maria Zerman, Laura Zoppo. 
E-mail: 
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INDICE - SOMMARIO 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 
Maurizio Fiorilli, Il caso Kadi. La legittimazione dei giudici comunitari 
a sindacare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza . . . . . . . . . . . . . . . . 
Paola Maria Zerman, Europa: il sistema integrato di tutela dei diritti fondamentali 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giuseppe Albenzio, Caso Hirsi e altri contro Italia. L�intervento orale 
del Governo italiano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
1.- Le decisioni della Corte di giustizia dell�Unione europea 
Wally Ferrante, La Corte di giustizia salva le tariffe forensi massime 
(C. giustizia, Grande Sezione, sent. 29 marzo 2011, nella causa C- 
565/08, Commissione c. Italia). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . 
Luca Ventrella, Laura Zoppo, La cancellazione dell�iscrizione all�albo 
degli avvocati in caso di esercizio concomitante della professione forense 
e di un impiego come dipendente pubblico a tempo parziale (C. 
giustizia, Sez. V, sent. 2 dicembre 2010, nella causa C-225/09, Jakubowska). 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Francesco Meloncelli, Conoscibilit� e garanzia del contribuente (Cass. 
civ., Sez. V, sent. 16 marzo 2011 n. 6102; Cass. civ., Sez. V, sent. 16 marzo 
2011 n. 6114) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Alessandra Bruni, Niccol� Guasconi, Orientamenti giurisprudenziali in 
tema di efficacia delle sentenze ecclesiastiche: verso una maggior pervasivit� 
del controllo operato dal giudice italiano (Cass. civ., Sez. I, sent. 
20 gennaio 2011 n. 1343) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Federico Maria Giuliani, Elusione ed evasione, interposizione e simulazione, 
abuso del diritto tributario non armonizzato. Querelles antiche e 
nuove sulle orme di un reasoning del Supremo Collegio (Cass. civ., Sez. 
V, sent. 26 febbraio 2010 n. 4737) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Carlo Bellesini, La disciplina dell�onere della prova nel codice del processo 
amministrativo (Cons. St., Sez. IV, sent. 16 maggio 2011 n. 2955) 
Carlo Sica, Impugnabilit� dei provvedimenti adottati dal Commissario 
ad acta ed incidenza della normativa sopravvenuta sul giudicato (Cons. 
St., Sez. III, sent. 26 agosto 2011 n. 4816) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Damiano Marini, Legittimazione ed interesse di una P.A. all�iniziativa 
giurisdizionale (Cons. St., Sez. VI, sent. 13 giugno 2011 n. 3567). . . . . 
pag. 1 
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I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Diego Giordano, Rapporti tributari tra Stato e Regioni. Cessioni di beni 
da parte di un ente regione all�appaltatore come parte del corrispettivo 
di pagamento: imponibilit� della cessione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Barbara Tidore, Riduzione dell�importo - a seguito di pronuncia giurisdizionale 
- di sanzioni pecuniarie irrogate dall�Autorit� Garante della concorrenza 
e del mercato: modus procedendi nella restituzione . . . . . . . . . 
Giuseppe Albenzio, Prescrizione dell�obbligazione doganale sorta in presenza 
di reato ai sensi dell�art. 84 del T.U.L.D. e dell�articolo 221 del 
Reg. CEE n. 2913/1992 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Antonio Grumetto, Accordi di indennizzo stipulati ai sensi dell�art. 4 del 
DL 351/01 a seguito del venir meno del conferimento di beni ai Fondi 
immobiliari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Federica Varrone, Rimborso spese legali richiesto da dipendente assolto 
in sede penale in pendenza di giudizio risarcitorio ai fini civili ad istanza 
della costituita parte civile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Fabrizio Fedeli, Contributi alle imprese editoriali: 
� Art. 3, comma 3 lett. c) della L. 7 agosto 1990 n. 250 - Duplicit� di testate 
che presentatno la medesima iscrizione nel registro della stampa 
� Art. 3, comma 5, della L. 7 agosto 1990 n. 250 - Divieto di distribuzione 
degli utili e ristorni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Maurizio Greco, Onere delle spese legali a carico dell�Amministrazione 
nel caso di procedimento conclusosi con piena esclusione di responsabilit� 
del dipendente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giancarlo Caselli, Beni confiscati alla criminalit� organizzata. Problematiche 
inerenti a societ� e/o beni societari confiscati . . . . . . . . . . . . . . 
Gesualdo d�Elia, Disciplina delle spese processuali: rimborso spese generali 
previsto dall�art. 14 del D.M. 8 aprile 2004 n. 127 . . . . . . . . . . . . 
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 
Francesco Spada, Riflessioni sul part-time nel settore pubblico a seguito 
delle disposizioni del c.d. Collegato lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Alessandra Iorio, Le infrastrutture di comunicazione a banda larga e la 
disciplina degli aiuti di Stato: gli equilibri delicati della crescita. . . . . . 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Glauco Nori, Dopo la sentenza sul legittimo impedimento: la ricerca di 
un punto di equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Francesco Vignoli, Le problematiche connesse ai rapporti tra la transazione 
fiscale, il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione . 
Rosa Rota, Profili di diritto comunitario dell�ambiente. . . . . . . . . . . . . . 
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RECENSIONI 
Giampaolo Rossi, Potere amministrativo e interessi a soddisfazione necessaria. 
Crisi e nuove prospettive del diritto amministrativo, G. Giappichelli 
Editore - Torino, 2011. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
AAVV, La nuova disciplina dei rifiuti. Commento al D.LGS. 205/2010. 
Aggiornato al Testo Unico �Sistri�, a cura di F. Giampietro, IPSOA, 2011 
Ruggiero Dipace, La disapplicazione nel processo amministrativo, G. 
Giappichelli Editore - Torino, 2011 (Collana di Studi �Nuovi problemi di 
amministrazione pubblica� diretti da Franco Gaetano Scoca). Recensione 
di Maurizio Borgo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 341 
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CONTENZIOSO COMUNITARIO 
ED INTERNAZIONALE 
Il caso Kadi 
La legittimazione dei giudici comunitari a sindacare 
le risoluzioni del Consiglio di sicurezza 
Maurizio Fiorilli* 
Il ricorso avverso la sentenza resa dal Tribunale di Primo Grado dell�Unione 
Europea nella causa T-85/09 solleva numerosi punti di interesse (1). 
In primo luogo, la dottrina � concorde nel riconoscere che il filone di contenzioso 
sviluppatosi nei casi Kadi I e Kadi II (che ha prodotto ad oggi due sentenze 
del Tribunale di Primo Grado e una sentenza della Corte di Giustizia), 
rappresenta uno spartiacque nel modo di intendere i rapporti reciproci fra ordinamento 
comunitario e ordinamento internazionale. La causa in esame verte 
infatti sulla sindacabilit�, da parte di organi giurisdizionali comunitari, di regolamenti 
adottati dalla Comunit� che costituiscono mera implementazione 
di Risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a norma 
del Capitolo VII della Carta ONU. Se dovesse prevalere, in ossequio all�opinione 
del tribunale, la posizione della sindacabilit� piena, anche nel merito, 
delle decisioni del Consiglio di Sicurezza, verrebbe a essere confermata e autorevolmente 
condivisa la nozione c.d. dualistica dei rapporti fra Comunit� e 
ordinamento internazionale: la Comunit� e l�ordinamento internazionale finirebbero 
con l�essere considerati due ordinamenti separati e distinti, pressoch� 
impermeabili nei rispettivi rapporti reciproci. Questa impostazione, fra 
l�altro, confligge con il ruolo di attore internazionale virtuoso che l�Unione 
ha sempre propagandato, e che trova oggi autorevole riscontro anche nel trattato 
di Lisbona e nelle negoziazioni che l�hanno preceduto. 
(*) Vice Avvocato Generale dello Stato. 
(1) In allegato la memoria di intervento del Governo italiano.
2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Il ricorso tocca altri punti di particolare interesse giuridico: l�eventuale 
grado di sindacabilit� delle misure comunitarie di mera implementazione di 
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, lo standard of judicial review di volta 
in volta applicabile, la natura (amministrativa o penale) delle misure preventive 
di congelamento dei beni e, da ultimo il ruolo assunto, ai fini della tutela 
dei diritti del ricorrente, dell�istituzione di una procedura di revisione a livello 
di Consiglio di Sicurezza, che, oltre a costituire un mezzo di tutela delle ragioni 
del ricorrente, si configura anche come strumento di autotutela amministrativa, 
per la migliore garanzia degli interessi generali che il Consiglio di Sicurezza 
� chiamato a proteggere. 
******** 
Ct. 18924/2009 � Avv. Maurizio Fiorilli 
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
CORTE DI GIUSTIZIA DELL� UNIONE EUROPEA 
MEMORIA D�INTERVENTO 
Del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell�Agente designato 
per il presente giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l�Ambasciata d�Italia, 
rappresentato e difeso dall�Avvocatura Generale dello Stato, 
nelle cause riunite C-584/10 P, C-593/10 P e C-595/10 P 
Commissione dell�Unione europea, Consiglio dell�Unione europea, Regno Unito di 
Gran Bretagna e Irlanda del Nord, 
a sostegno degli appelli da questi presentati a norma dell�art. 56 dello Statuto della Corte di 
Giustizia dell�Unione europea avverso la decisione del Tribunale dell�Unione europea nella 
causa 
T-85/09 
Yassin Abdullah Kadi 
contro 
Commissione dell�Unione europea 
* * * * * * * * * * 
1. Con ordinanza della Corte di Giustizia dell�Unione europea in data 23 maggio 2011 
(Reg. 874982) la Repubblica italiana � stata autorizzata a intervenire nelle cause riunite 
in oggetto, a sostegno degli appelli presentati dalla Commissione dell�Unione europea, 
del Consiglio dell�Unione europea e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del 
Nord. La Repubblica italiana espone di seguito le ragioni del suo intervento e delle sue 
conclusioni a favore della legittimit� del Regolamento della Commissione. 
A) Struttura del presente intervento 
2. Il presente atto di intervento � strutturato in quattro parti fondamentali. Dopo una prima 
introduzione generale sui fatti della causa e sulle misure adottate dalla Comunit� internazionale 
per contrastare il fenomeno terroristico, saranno presi in esame tre motivi d�appello, 
che sostengono ed espandono quelli presentati con i ricorsi della Commissione europea e 
del Consiglio europeo (d�ora innanzi, la Commissione e il Consiglio, rispettivamente).
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 3 
3. La Repubblica italiana cercher� in prim�ordine di argomentare, secondo una posizione 
condivisa dal Consiglio, che la sentenza resa dalla Corte di Giustizia dell�Unione Europea 
(d�ora innanzi la Corte) nella causa C-402/05 P, nella misura in cui questa non prevede 
la insindacabilit� dei regolamenti comunitari di mera attuazione di Risoluzioni 
adottate dal Consiglio di Sicurezza a norma del Capitolo VII della Carta delle Nazioni 
Unite (d�ora innanzi, la Carta ONU), deve essere riconsiderata. La Repubblica italiana, 
allineandosi alla decisione del Tribunale di Primo Grado nella causa T-315/01, ritiene 
al contrario che tali regolamenti godano di un�immunit� giurisdizionale quasi assoluta. 
4. In via subordinata si sosterr�, in linea con le posizioni del Consiglio e della Commissione, 
che quand�anche la sentenza della Corte nella caus C-402/05 P sia corretta e non 
meriti di essere rimessa in discussione, essa sia stata comunque male interpretata e male 
applicata dal Tribunale di Primo Grado nella causa T-85/09. Difatti, un sindacato ispirato 
ai principi della completezza e del rigore, come richiesto dal Tribunale (1), determinerebbe 
la violazione da parte degli organi comunitari e, di riflesso, da parte degli Stati 
membri, degli obblighi su questi gravanti in base alle disposizioni internazionali di diritto 
pattizio e consuetudinario. Oltre che a essere inammissibile in punto di stretto diritto, 
tale rigoroso controllo risulterebbe inattuabile dal punto di vista pratico, in ragione della 
indisponibilit� del materiale informativo e probatorio su cui esso dovrebbe basarsi. 
5. Come ulteriore motivo d�appello, condiviso da tutti gli appellanti la Repubblica italiana, 
condividendo le osservazioni della Commissione e del Consiglio, dimostrer� come il 
Tribunale di Primo Grado non abbia tenuto debitamente conto delle garanzie procedimentali 
previste a favore del ricorrente in sede di Nazioni Unite, procedure queste che 
gli avrebbero consentito, qualora fossero state esperite, di ottenere una tutela quasi giurisdizionale 
delle sue posizioni. Alla luce della risoluzione 1904(2009), istitutiva di un 
Ombudsperson competente a conoscere delle doglianze dei sospetti terroristi interessati 
da misure di blacklisitng e costituente jus superveniens rispetto alla decisione della Corte 
nella sentenza C-402/05 P, anche tale pronunciamento meriterebbe di essere rivisto. 
B) Introduzione 
6. La lotta al terrorismo internazionale impegna la comunit� degli Stati ormai da decenni; 
il primo tentativo di combattere in maniera organica e condivisa il fenomeno terroristico 
risale a una data anche anteriore alla costituzione delle Nazioni Unite. Gi� nel 1937, infatti, 
la Societ� delle Nazioni licenziava il testo di una proposta di Convenzione per la 
prevenzione e la repressione del terrorismo, di fatto mai entrata in vigore per l�impossibilit� 
di superare alcuni punti di contrasto fra gli Stati membri. 
7. L�impegno della Comunit� internazionale nel contrastare il fenomeno terroristico non � 
dunque nuovo; pi� recente, e pi� carico di complessit� tecniche e politiche, � invece il 
ruolo assunto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nello sviluppare le linee 
strategiche e operative per il suo contenimento ed eventualmente per la sua soppressione. 
8. Il contenzioso in esame � testimonianza di tali complessit� e la sua importanza politica 
e giuridica si sviluppa su almeno tre piani: in primo luogo esso segna una tappa fondamentale 
nell�analisi della legittimit� dell�evoluzione dei poteri impiegati dal Consiglio 
(1) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafi 148-151.
4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
di Sicurezza nel contrasto del terrorismo internazionale (2). L�adozione di risoluzioni 
in materia di antiterrorismo dal carattere �quasi-legislativo�, di portata e applicazione 
generali, solleva delicati problemi di compatibilit� del ruolo di �legislatore universale� 
assunto talvolta dal Consiglio con le disposizioni della Carta delle Nazioni Unite che 
ne regolano il funzionamento, oltre a ravvivare l�aspirazione di numerosi Stati ad un 
processo di decision-making internazionale pi� partecipato e democratico (3). 
9. In secondo luogo, la causa in oggetto costituisce un punto fondamentale nell�evoluzione 
dei rapporti e delle interazioni fra Organizzazioni internazionali a carattere universale 
e a carattere regionale, e, in modo pi� specifico, fra l�ordinamento 
internazionale facente capo alla Nazioni Unite e l�ordinamento comunitario. Numerosi 
commentatori hanno a questo riguardo definito la sentenza resa nel caso Kadi come 
la pi� importante presa di posizione della Corte di Giustizia dell�Unione europea sui 
rapporti fra l�ordinamento internazionale e quello comunitario, sin dalla data della 
sua costituzione (4). 
10. Da ultimo, il contenzioso in esame rappresenta uno snodo fondamentale nel processo 
di contemperamento di valori cui la Comunit� internazionale attribuisce massimo rilievo, 
ma destinati a entrare in conflitto nell�implementazione di strategie di contrasto 
al terrorismo efficaci e mirate: da un lato il valore della sicurezza e della pace internazionali, 
unitamente all�emergente diritto a vivere liberi dalla paura che il fenomeno 
terroristico per definizione determina; dall�altro la necessit� di salvaguardare i diritti 
fondamentali della persona cos� come riconosciuti dal diritto internazionale generale 
e pattizio, evitandone pregiudizi ingiustificati o sproporzionati rispetto agli obiettivi 
da raggiungere (5). 
(2) Si veda sul punto DE WET, The Security Council as a Law Maker: The Adoption of (Quasi)- 
Judicial Decisions, in WOLFRUM E R�BEN, Developments of International Law in Treaty Making, Berlino, 
2005, 237 ss. 
(3) Per un approfondimento in materia si veda CRYER, An Introduction to International Criminal 
Law and Procedure, Cambridge, 2010, 366 ss. La dottrina appare in particolar modo divisa sulla legittimit� 
di interventi del Consiglio di Sicurezza aventi il carattere della generalit� ed astrattezza, destinati 
a imporre obblighi a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite e adottati senza la possibilit� che i destinatari 
di tali obblighi prendano parte al processo decisionale centralizzato da cui essi derivano. Si vedano 
in modo particolare ARANGIO-RUIZ, On the Security Council�s �Law-Making�, in Rivista di diritto internazionale, 
2000, 609 ss. e ROSAND, The Security Council as a �Global Legislator�: Ultra Vires or 
Ultra Innovative, in Fordham International Law Journal, 2004, 542 ss. 
(4) Si veda TRIDIMAS,TAKIS E GUTIERREZ-FONS, EU Law, International Law and Economic Sanctions 
Against Terrorism: The Judiciary in Distress?, in Fordham International Law Journal, 2008, 2. 
(5) La dottrina sul punto � copiosa. Si vedano, su tutti, BIANCHI, Assessing the Effectiveness of 
the UN Security Council's Anti-terrorism Measure: The Quest for Legitimacy and Cohesion, in European 
Journal of International Law, 2007, 881 ss. e CAMERON, UN Targeted Sanctions, Legal Safeguards and 
the European Convention on HumanRights�, in Nordic Journal of International Law, 2003, 159. Il punto 
risulta chiaro anche dalla lettera briefing indirizzata al Consiglio di Sicurezza dal primo Chairman dell� 
Antiterrorismo istituito dalla Risoluzione 1373(2001), secondo il quale �The Counter-Terrorism Committee 
is mandated to monitor the implementation of resolution 1373 (2001). Monitoring performance 
against other international conventions, including human rights law, is outside the scope of the Counter-
Terrorism Committee�s mandate. But we will remain aware of the interaction with human rights concerns, 
and we will keep ourselves briefed as appropriate. It is, of course, open to other organizations to 
study States� reports and take up their content in other forums�.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 5 
11. Alla luce di tali osservazioni sembra opportuno dar conto del quadro giuridico e fattuale 
nel quale il contenzioso in esame si inserisce, iniziando con una breve disamina 
delle principali risoluzioni del Consiglio di Sicurezza in materia di antiterrorismo. 
B.1 La Risoluzione 1267 (1999) e successive determinazioni del Consiglio di Sicurezza 
in materia di antiterrorismo 
12. Con la Risoluzione 1267 (1999) il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, deliberando 
all�unanimit� e in base al capitolo VII della Carta ONU, ha adottato una serie 
di misure non implicanti l�uso della forza atte a contrastare la minaccia alla pace e 
alla sicurezza internazionali posta dall�associazione terroristica Al � Qaeda e dal regime 
dei Talebani (6). Cos� facendo, il massimo organo politico delle Nazioni Unite 
ha dato l�avvio a una nuova fase nell�uso delle cos� dette �smart-sanctions�: tradizionalmente 
impiegate per esercitare pressioni su entit� statali (7), le misure non implicanti 
l�uso della forza, soprattutto quelle rilevanti dal punto di vista economico, hanno 
iniziato a gravare direttamente su individui e altri enti non statali (8). A questo riguardo, 
fra le disposizioni pi� rilevanti della Risoluzione 1267 consta in particolar 
modo ricordare quelle che impongono a tutti gli Stati membri di congelare gli assets 
finanziari riconducibili alle attivit� della succitata organizzazione terroristica, salvi i 
casi in cui il Consiglio di Sicurezza decida diversamente in ragione di considerazioni 
umanitarie (9) e altres� quelle che prevedono la costituzione di un �Comitato delle 
Sanzioni� o Comitato 1267 (d�ora innanzi: Comitato 1267), da inserire nella struttura 
organizzativa del Consiglio stesso e deputato, fra l�altro, alla individuazione dei beni 
di volta in volta assoggettabili alle misure di congelamento, al coordinamento fra gli 
(6) Tale possibilit� � riconosciuta al Consiglio di Sicurezza dal combinato disposto degli Artt. 39 
e 41 della Carta delle Nazioni Unite, a norma dei quali, rispettivamente: �Il Consiglio di Sicurezza accerta 
l'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa 
raccomandazione o decide quali misure debbano essere prese in conformit� agli articoli 41 e 42 per 
mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale� e �Il Consiglio di Sicurezza pu� decidere 
quali misure, non implicanti l'impiego della forza armata, debbano essere adottate per dare effetto alle 
sue decisioni, e pu� invitare i membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure. Queste possono comprendere 
un'interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, 
marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio ed altre, e la rottura delle relazioni diplomatiche �. 
(7) Si ricordino, per citare solo gli esempi pi� classici, il caso delle sanzioni imposte dal Consiglio 
di Sicurezza contro la Rhodesia del Sud, il Sud Africa e pi� di recente l�Iraq durante la prima guerra del 
Golfo. 
(8) Ci� ha comportato, fra l�altro, la necessit� di individuare una nuova base legale per la trasposizione 
di tali sanzioni nell�ordinamento comunitario. Mentre tradizionalmente alle sanzioni contro Stati 
veniva data applicazione tramite gli Artt. 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunit� europea, la previsione 
di sanzioni contro individui non necessariamente collegati ad uno Stato ha imposto il ricorso 
anche all�art. 308 del Trattato medesimo. 
(9) Si veda il paragrafo 4(b) della Risoluzione 1267(1999): �Freeze funds and other financial resources, 
including funds derived orgenerated from property owned or controlled directly or indirectly 
by the Taliban, or by any undertaking owned or controlled by the Taliban, as designated by the Committee 
established by paragraph 6 below, and ensure that neither they nor any other funds or financial 
resources so designated are made available, by their nationals or by any persons within their territory, 
to or for the benefit of the Taliban or any undertaking owned or controlled, directly or indirectly by the 
Taliban, except as may be authorized by the Committee on a case-by-case basis on the grounds of humanitarian 
need�.
6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Stati membri per l�implementazione delle misure di cui al paragrafo 4 della Risoluzione 
1267(1999) (10) e alla concessione di eventuali eccezioni per ragioni umanitarie. 
13. La Risoluzione 1267 (1999) recava altres� in allegato una black-list di persone fisiche 
e giuridiche associate al regime dei Talebani in Afghanistan, per le quali si richiedeva 
l�immediata adozione delle misure di cui al paragrafo 4 della risoluzione medesima. 
14. Con la Risoluzione 1269 (1999) il Consiglio, prendendo atto della perdurante minaccia 
costituita da alcune reti terroristiche di matrice islamica, ha ulteriormente incitato gli 
Stati a intensificare il regime di collaborazione reciproco, soprattutto per ci� che concerne 
lo scambio di informazioni rilevanti ai fini della prevenzione e repressione delle 
attivit� criminose in esame. 
15. La Risoluzione 1333 (2000), anch�essa adottata a norma del Capitolo VII della Carta 
ONU, richiamando gli obblighi imposti dalle precedenti Risoluzioni 1267 (1999) e 1269 
(1999), ha imposto al regime dei Talebani l�immediata cessazione di tutte le attivit� 
volte a consentire, tramite azioni od omissioni, l�impiego del territorio afghano per la 
preparazione e l�addestramento di terroristi e l�organizzazione o la pianificazione di attacchi 
terroristici. La risoluzione ha altres� posto un chiaro divieto, gravante su tutti gli 
Stati, di fornire al regime dei Talebani, in qualsiasi modo, armi, veicoli da guerra e pezzi 
di ricambio per i medesimi, nonch� assistenza tecnica o logistica per l�addestramento 
di personale militare collegato al regime di Kabul. Da ultimo, e per ci� che pi� rileva ai 
fini del presente contenzioso, la Risoluzione ha imposto a tutti gli stati l�immediato congelamento 
dei beni riconducibili alla persona di Osama bin Laden e suoi associati, siano 
essi o meno membri della rete terroristica Al � Qaeda. 
16. Con la stessa risoluzione il Consiglio ha chiesto al Comitato 1267 di mantenere una lista 
aggiornata di persone o enti direttamente o indirettamente collegati con la persona di 
Osama bin Laden (11). Alla luce delle direttive del Consiglio, il Comitato 1267 ha inserito 
il signor Kadi nella black-list de qua in data 17 Ottobre 2001. 
(10) Si veda paragrafo 4 Risoluzione 1267(1999): 4. Decides further that, in order to enforce paragraph 
2 above, all States shall: (a) Deny permission for any aircraft to take off from or land in their 
territory if it is owned, leased or operated by or on behalf of the Taliban as designated by the Committee 
established by paragraph 6 below, unless the particular flight has been approved in advance by the Committee 
on the grounds of humanitarian need, including religious obligation such as the performance of 
the Hajj; (b) Freeze funds and other financial resources, including funds derived or generated from property 
owned or controlled directly or indirectly by the Taliban, or by any undertaking owned or controlled 
by the Taliban, as designated by the Committee established by paragraph 6 below, and ensure that neither 
they nor any other funds or financial resources so designated are made available, bytheir nationals or 
by any persons within their territory, to or for the benefit of the Taliban or any undertaking owned or 
controlled, directly or indirectly, by the Taliban, except as may be authorized by the Committee on a 
case-by-case basis on the grounds of humanitarian need; 
(11) Il paragrafo 8(c) della Risoluzione 1333 (2001) contiene l�ordine di �[...] to freeze without 
delay funds and other financial assets of Usama bin Laden and individuals and entities associated with 
him as designated by the Committee, including those in the Al-Qaida organization, and including funds 
derived or generated from property owned or controlled directly or indirectly byUsama bin Laden and 
individuals and entities associated with him, and to ensurethat neither they nor any other funds or financial 
resources are made available, by their nationals or by any persons within their territory, directly 
or indirectly for the benefit of Usama bin Laden, his associates or any entities owned or controlled, directly 
or indirectly, by Usama bin Laden or individuals and entities associated with him including the
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 7 
17. Il 28 Settembre 2001, sulla scia degli attentati terroristici che hanno sconvolto gli Stati 
Uniti, il Consiglio di Sicurezza ha riaffermato il suo constante impegno nella lotta al 
terrorismo con la Risoluzione 1373 (2001). Sebbene presenti un linguaggio apparentemente 
simile a quello impiegato in altre occasioni dal Consiglio, la portata giuridica e 
politica della Risoluzione 1373 (2001) � molto maggiore rispetto a quella dei suoi antecedenti. 
Di fatti, se le Risoluzioni 1267 (1999) e 1333 (2000) erano volte a sanzionare 
specifiche manifestazioni del fenomeno terroristico (quello di matrice islamica) e le 
blacklist in esse contemplate erano limitate a gruppi relativamente ristretti di persone 
ed enti, la Risoluzione 1373 (2001) segna il passaggio a un approccio completamente 
diverso, e assai pi� ampio. Il testo della Risoluzione si riferisce in termini generici al 
�terrorismo� e agli �attacchi terroristici�, senza specificarne ulteriormente la matrice 
(12). Anche le disposizioni che prevedono misure volte al congelamento di beni riconducibili 
a organizzazioni terroristiche sono formulate in maniera ampia, generica e omnicomprensiva, 
determinando conseguenze di non poco momento anche per quel che 
concerne la fase di implementazione a livello comunitario (13). 
18. Come si indicher� appresso, difatti, in questo caso sono le istituzioni comunitarie, di 
concerto con gli Stati membri, a indicare in concreto i nomi dei soggetti da inserire nelle 
blacklist, mentre le elencazioni previste dalla risoluzione 1267 (1999) sono predisposte 
gi� a livello delle Nazioni Unite. Una significativa novit� introdotta dalla Risoluzione 
1373 (2001) � inoltre costituita dal Comitato Antiterrorismo (d�ora innanzi CAT), composto 
dai medesimi membri del Consiglio di Sicurezza e deputato a supervisionare la 
corretta implementazione da parte degli Stati della Risoluzione 1373 (2001) (14). 
19. Dopo la caduta del regime dei Talebani a seguito delle operazioni delle forze della Coalizione 
in Afghanistan, il Consiglio di Sicurezza � tornato a deliberare in materia di misure 
di contrasto al terrorismo internazionale. La Risoluzione 1390 (2002), ha reiterato 
l�obbligo di provvedere al congelamento dei beni di tutti gli �individui, gruppi, imprese 
ed entit�� collegate alla persona di Osama bin Laden (15). Sebbene dunque la portata 
Al-Qaida organization and requests the Committee to maintain an updated list, based on information 
provided by States and regional organizations, of the individuals and entities designated as being associated 
with Usama bin Laden, including those in the Al-Qaida organization�. 
(12) La Risoluzione si riferisce genericamente, al paragrafo 1, di a coloro che �commit or attempt 
to commit terrorist acts or participate in or facilitate the commission of terrorist acts�. 
(13) Si veda il paragrafo 1(c), che impone a tutti gli Stati di �Freeze without delay funds and other 
financial assets or economic resources of persons who commit, or attempt to commit, terrorist acts or 
participate in or facilitate the commission of terrorist acts; of entities owned or controlled directly or 
indirectly by such persons; and of persons and entities acting on behalf of, or at the direction of such 
persons and entities, including funds derived or generated from property owned or controlled directly 
or indirectly by such persons and associated persons and entities�. 
(14) Fra le altre disposizioni della Risoluzione vale la pena di ricordare quelle che impongono 
agli Stati di adottare una serie di misure nei loro ordinamenti interni per garantire che i terroristi siano 
consegnati alla giustizia, quelle che vietano la creazione di safe heavens per i terroristi e quelle volte ad 
incrementare la collaborazione fra gli Stati membri a tal fine. 
(15) Si veda il paragrafo 2(a) della Risoluzione 1390 (2002): [... ]all States shall take the following 
measures with respect to Usama bin Laden, members of the Al-Qaida organization and the Taliban and 
other individuals, groups, undertakings and entities associated with them, as referred to in the list created
8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
applicativa della Risoluzione 1390 (2002) sia pi� limitata rispetto agli ampi margini 
della Risoluzione 1373 (2001), cՏ comunque da registrare il venir meno di qualsiasi 
vincolo territoriale all� esecuzione delle disposizioni ivi contenute: esse colpiscono non 
solo i beni siti nel territorio Afghano, ma anche quelli localizzati all�estero. La pletora 
delle azioni del Consiglio di Sicurezza in materia di antiterrorismo � arricchita ulteriormente 
dalle Risoluzioni 1455 (2003), 1526 (2004), 1617 (2005), 1730 (2006), 1735 
(2006), 1822 (2008) e 1904 (2009), tutte volte a perfezionare il contenuto delle Risoluzioni 
1267 (1999) e 1373 (2001), secondo modalit� che si avr� cura di indicare di volta 
in volta nel corso di queste pagine. 
20. In conclusione, e dopo aver indicato la cornice operativa delle rilevanti risoluzioni del 
Consiglio di Sicurezza, sembra opportuno provvedere a un loro raggruppamento in base 
a due diverse categorie: da un lato le risoluzioni che contemplano blacklist gi� compilate 
a livello delle Nazioni Unite, e non lasciano dunque alcun tipo di discrezionalit� agli 
Stati membri in ordine alla identificazione dei soggetti da includere nell�elenco. Tale 
primo gruppo, nel quale figurano le Risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002) 
si caratterizza per l�essere costituito da decisioni vincolate che gli Stati membri devono 
limitarsi a recepire e implementare fedelmente, senza poter in alcun modo influire sul 
loro contenuto. Il secondo gruppo � costituito dalle Risoluzioni che non riguardano il 
fenomeno terroristico nella sua dimensione pi� ampia e generale, ma contemplano anche 
blacklist astratte, nel senso che lasciano ampia discrezionalit� agli Stati membri di individuare, 
con una procedura decentralizzata, coloro che di volta in volta essi desiderano 
inserirvi. Ne consegue che gli individui che ritengano di essere stati ingiustamente inseriti 
in una delle liste di cui alla Risoluzione 1373 (2001) (secondo gruppo) hanno 
senz�altro diritto a ricorrere avverso la decisione di blacklisting a livello domestico, o, 
laddove la lista sia compilata dalle istituzioni comunitarie, davanti agli organi preposti 
alla tutela giurisdizionale previsti dai Trattati costitutivi dell�Unione Europea. Di tutto 
ci� si avr� modo di dar conto nel corso di queste pagine. 
21. Il giudizio in esame si colloca entro la cornice procedurale prevista dal primo gruppo di 
risoluzioni, segnatamente quello facente capo alla Risoluzione 1267 (1999). Il Sig. Kadi 
figura difatti nella blacklist prevista da tale decisione del Consiglio, in quanto persona 
legata alla rete terroristica Al - Qaeda e al decaduto regime dei Talebani. Nelle pagine 
che seguono si prender� dunque in esame il gruppo di Risoluzioni riconducibili al modello 
della 1267 (1999), salvo richiamare le differenze con il secondo gruppo ove ci� 
appaia opportuno al fine del migliore inquadramento di alcune questioni. 
B.2 L�implementazione comunitaria delle Risoluzioni 1267 (1999) e 1373 (2001) e successive 
modifiche 
22. In ragione del diverso regime giuridico introdotto dalle Risoluzioni 1267 (1999) (primo 
pursuant to resolutions 1267 (1999) and 1333 (2000) to be updated regularly by the Committee established 
pursuant to resolution 1267 (1999) hereinafter referred to as �the Committee�; (a) Freeze without 
delay the funds and other financial assets or economic resources of these individuals, groups, undertakings 
and entities, including funds derived from property owned or controlled, directly or indirectly, by 
them or by persons acting on their behalf or at their direction, and ensure that neither these nor any 
other funds, financial assets or economic resources are made available, directlyor indirectly, for such 
persons� benefit, by their nationals or by any persons within their territory.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 9 
gruppo) e 1373 (2001) (secondo gruppo), anche la loro implementazione a livello comunitario 
� avvenuta con atti distinti. In entrambi i casi, ad ogni modo, la trasposizione 
delle rilevanti disposizioni ha trovato la sua base giuridica nell�Articolo 301 del Trattato 
che istituisce la Comunit� Europea (d�ora innanzi, Trattato Comunitario), ora corrispondente 
all�Articolo 215 del Trattato sul Funzionamento dell�Unione Europea (d�ora innanzi, 
TFEU) (16). La procedura seguita prevedeva dunque che il Consiglio europeo 
decidesse sull�adozione delle misure di congelamento dei beni in una posizione comune 
assunta nell�ambito di quello che prima del Trattato di Lisbona era definito il secondo 
pilastro dell�Unione, relativo alla politica estera e di sicurezza comune. In base al combinato 
disposto delle disposizioni di cui agli Articoli 60, 301 e 308 (17), la Risoluzione 
� stata implementata tramite un Regolamento comunitario e ha acquistato effetto negli 
ordinamenti degli Stati membri. 
23. Ci� premesso, la Risoluzione 1267 � stata implementata tramite una posizione comune 
del Consiglio europeo concernente misure restrittive nei confronti di Osama bin Laden, 
dei membri dell�Organizzazione Al-Qaida e dei Talebani e di altri individui, gruppi, imprese 
ed entit� ad essi associate (2002/402/PESC) in data 27 Maggio 2002. La posizione 
comune prevede, fra l�altro, all�articolo 3, il congelamento dei capitali e delle altre risorse 
finanziarie o economiche degli individui, gruppi, imprese legati alla rete terroristica 
di Al � Qaeda e assicura altres� che capitali e risorse finanziarie o economiche non siano 
resi disponibili, direttamente o indirettamente ai medesimi soggetti, vale a dire a quelli 
indicati nella lista stilata dal Comitato 1267 
24. La posizione comune � stata resa esecutiva nell�ordinamento comunitario per mezzo 
del Regolamento del Consiglio 881/2002 (18), che ha imposto specifiche misure restrittive 
nei confronti di determinate persone e entit� associate a Osama bin Laden, alla rete 
Al - Qaeda e ai Talebani. Il regolamento implementa fedelmente le disposizioni contenute 
nella Risoluzione 1267 (1999). In modo particolare, l�Articolo 2, ai commi 1 e 2, 
(16) Secondo la disposizione dell�Art. 301: Quando una posizione comune o un'azione comune 
adottata in virt� delle disposizioni del trattato sull'Unione europea relative alla politica estera e di sicurezza 
comune prevedano un�azione della Comunit� per interrompere o ridurre parzialmente o totalmente 
le relazioni economiche con uno o pi� paesi terzi, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata 
su proposta della Commissione, prende le misure urgenti necessarie. 
(17) Gli articoli 60 e 308 del Trattato Comunitario prevedono rispettivamente che: �Qualora, nei 
casi previsti all'articolo 301, sia ritenuta necessaria un'azione della Comunit�, il Consiglio, in conformit� 
della procedura di cui all'articolo 301, pu� adottare nei confronti dei paesi terzi interessati, le misure urgenti 
necessarie in materia di movimenti di capitali e di pagamenti. 2. Fatto salvo l'articolo 297 e fintantoch� 
il Consiglio non abbia adottato misure secondo quanto disposto dal paragrafo 1, uno Stato 
membro pu�, per gravi ragioni politiche e per motivi di urgenza, adottare misure unilaterali nei confronti 
di un paese terzo per quanto concerne i movimenti di capitali ei pagamenti. La Commissione e gli altri 
Stati membri sono informati di dette misure al pi� tardi alla data di entrata in vigore delle medesime. Il 
Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, pu� decidere che lo 
Stato membro interessato modifichi o revochi tali misure. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento 
europeo in merito ad ogni decisione presa dal Consiglio� e che: �Quando un'azione della Comunit� 
risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della 
Comunit�, senza che il presente trattato abbia previsto i poteri d'azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, 
deliberando all'unanimit� su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, 
prende le disposizioni del caso �. 
(18) Il regolamento � stato adottato in base agli Artt. 60, 301 e 308 del Trattato Comunitario. 
10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
ripropone la misura di congelamento dei beni, negli stessi termini previsti dalla decisione 
del Consiglio di Sicurezza (19). L�elencazione allegata al Regolamento del Consiglio 
(Allegato I, persone fisiche) riproduce alla lettera la lista compilata dal Comitato 1267 
e include la persona di Shaykh Yassin Abdullah Kadi, nato in Egitto, a Il Cairo, il 
23/02/1955 e titolare di passaporto saudita. 
25. Ai fini del presente contenzioso appare altres� opportuno focalizzare l�attenzione sulla 
disposizione di cui all�Art. 7 bis del Regolamento (20), operante una sorta di rinvio non 
recettizio alla Risoluzione 1267 (1999) e alla lista ad essa allegata. Secondo la norma, 
difatti, qualora il Comitato 1267 o il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite decidano 
di inserire per la prima volta nell�elenco una persona fisica o giuridica, un�entit�, un organismo 
o un gruppo, non appena ricevuta la motivazione dal Comitato 1267, la Commissione 
adotta senza indugio una decisione per l�adeguamento nei termini della lista 
allegata al regolamento comunitario. Parimenti, qualora le Nazioni Unite decidano di 
depennare dall�elenco una persona, un�entit�, un organismo o un gruppo o di modificare 
i dati identificativi di una persona, di un�entit� di un organismo o di un gruppo che figura 
nell�elenco, la Commissione deve provvedere a modificare opportunamente l�allegato 
I (21). Risulta pertanto chiaro sin da questa breve analisi che la Commissione non dispone 
di alcun potere discrezionale nella gestione delle blacklist previste dalla Risoluzione 
1267 (1999). Essa � semplice instrumentum per dare esecuzione alle 
determinazioni del Consiglio di Sicurezza o del Comitato 1267. Parimenti, il Regola- 
(19) L�articolo 2 prevede in particolare che: 1 Tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti 
a, o in possesso di, una persona fisica o giuridica, gruppo o entit� designato dal comitato per le sanzioni 
ed elencato nell'allegato I sono congelati. 2. � vietato mettere direttamente o indirettamente fondi a disposizione 
di una persona fisica o giuridica, di un gruppo o di un'entit� designati dal comitato per le 
sanzioni ed elencati nell'allegato I, o stanziarli a loro vantaggio. 3. � vietato mettere direttamente o indirettamente 
risorse economiche a disposizione di una persona fisica o giuridica, ad un gruppo o ad 
un'entit� designati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell'allegato I o destinarle a loro vantaggio, 
per impedire cos� facendo che la persona, il gruppo o l'entit� in questione possa ottenere fondi, beni o 
servizi. 
(20) Introdotto a seguito di modifica ad opera del Regolamento del Consiglio 1286/2009. 
(21) L�articolo 7 bis del Regolamento 881/2002, come modificato dal Regolamento del Consiglio 
1286/2009 prevede in particolare che Qualora il comitato per le sanzioni o il Consiglio di sicurezza delle 
Nazioni Unite decidano di inserire per la prima volta nell�elenco una persona fisica o giuridica, un�entit�, 
un organismo o un gruppo, non appena ricevuta la motivazione dal comitato per le sanzioni la Commissione 
adotta senza indugio una decisione per tale inserimento nell�allegato I. 2. Una volta adottata la 
decisione di cui al paragrafo 1, la Commissione trasmette senza indugio la motivazione fornita dal comitato 
per le sanzioni alla persona, all�entit�, all�organismo o al gruppo in questione, sia direttamente, 
se il suo indirizzo � noto, sia a seguito della pubblicazione di un avviso, fornendo la possibilit� di formulare 
osservazioni in merito. 3. La Commissione riesamina la decisione di cui al paragrafo 1 alla luce 
di eventuali osservazioni avanzate e secondo la procedura di cui all�articolo 7 ter, paragrafo 2. Le osservazioni 
sono trasmesse al comitato per le sanzioni. La Commissione comunica l�esito del proprio 
riesame alla persona, all�entit�, all�organismo o al gruppo in questione. L�esito del riesame � trasmesso 
altres� al comitato per le sanzioni. 4. Dietro ulteriore richiesta basata su nuove prove sostanziali di rimuovere 
una persona, un�entit�, un organismo o un gruppo dall�elenco dell�allegato I, la Commissione 
procede a un nuovo riesame conformemente al paragrafo 3 e secondo la procedura di cui all�articolo 7 
ter, paragrafo 2. 5. Qualora le Nazioni Unite decidano di depennare dall�elenco una persona, un�entit�, 
un organismo o un gruppo o di modificare i dati identificativi di una persona, di un�entit�, di un organismo 
o di un gruppo che figura nell�elenco, la Commissione modifica opportunamente l�allegato I.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 11 
mento 881/2002 del Consiglio, lungi dall�essere espressione di un�attivit� legislativa 
autonoma e indipendente del medesimo, si configura come semplice mezzo per la trasposizione 
nell�ordinamento comunitario di disposizioni adottate al di fuori di esso, segnatamente 
nell�ordinamento internazionale facente capo alle Nazioni Unite. 
26. Ben diverso � il regime che sovrintende all�implementazione della Risoluzione 1373 
(2001) (Secondo gruppo). Tale regime � definito in ambito comunitario �autonomo�, in 
ragione del fatto che esso non prevede la mera trasposizione di disposizioni assunte da 
organi esterni all�Unione, ma richiede al contrario un significativo contributo di questi 
ultimi nella precisazione del loro contenuto normativo. Questa fondamentale differenza, 
la cui portata per il caso in esame si avr� modo di analizzare in seguito, emerge chiaramente 
dal diverso tenore della posizione comune 2001/931/PESC e dal Regolamento 
del Consiglio che la rende esecutiva nel diritto comunitario, vale a dire il Regolamento 
2580/2001. In particolar modo, la decisione di inserire un soggetto in blacklist e sottoporlo 
alle misure di congelamento dei beni che essa comporta � assunta dalle competenti 
autorit� degli Stati membri, e, a norma dell�Articolo 7 del Regolamento �La Commissione 
� abilitata a modificare l'allegato in base alle informazioni fornite dagli Stati�. La 
Risoluzione si limita pertanto a fissare criteri e misure generali, la cui specificazione 
avviene a livello comunitario e nazionale. Tutto ci� risulta con estrema chiarezza dal 
pronunciamento del Tribunale di Primo grado nel caso OMPI. Secondo i giudici � [...] 
nell�ambito della risoluzione 1373 (2001), spetta agli Stati membri dell�Organizzazione 
delle Nazioni Unite (ONU) � e, nel caso di specie, alla Comunit�, attraverso cui gli Stati 
membri hanno deciso di agire � identificare concretamente quali siano le persone, i 
gruppi e le entit� i cui fondi devono essere congelati in applicazione di tale risoluzione, 
conformandosi alle norme del loro ordinamento giuridico� (22). 
B.3 Le sentenze Kadi I del Tribunale di Primo Grado (T-315/01) e della Corte di Giustizia 
(C-402/05 P) 
27. Il 17 Ottobre 2001 il Comitato 1267, in applicazione del paragrafo 8 (c) della Risoluzione 
del Consiglio di Sicurezza 1333 (2000) (23) ha iscritto il sig. Kadi nella blacklist 
ivi contemplata, poich� associato a Osama bin Laden, Al - Qaeda e/o al regime dei Talebabi 
per �participating in the financing, planning, facilitating, preparing or perpetrating 
of acts or activities by, in conjunction with, under the name of, on behalf or in 
support of�, �supplying, selling, or transferring arms and related material to�, �recruiting 
for� o �otherwise supporting acts or activities of Usama bin Laden, Al-Qaida 
and the Taliban�(24). 
28. Con ricorso presentato davanti al Tribunale dell�Unione europea in data 18/12/2001 e 
successive modifiche, il Sig. Kadi, ha chiesto l�annullamento, nella parte in cui esso riguardava 
il ricorrente, del Regolamento del Consiglio 27 maggio 2002, n. 881/2002 , 
attuativo di specifiche misure restrittive nei confronti di persone ed enti a vario titolo 
(22) Si veda Organisation des Modjahedines du peuple d'Iran (OMPI), causa T-228/02, 12 dicembre 
2006, paragrafo 102. 
(23) Si veda Risoluzione del Consiglio, paragrafo 8 (c), 1330 (2000). 
(24) Si veda il sito internet del Comitato 1267, alla pagina: http://www.un.org/sc/committees/
1267/NSQI02201E.shtml
12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
affiliati alla rete terroristica succitata. Il ricorrente lamentava la violazione, da parte di 
tale atto del Consiglio, del suo diritto al contraddittorio, del diritto a una tutela giurisdizionale 
effettiva e del rispetto del principio di proporzionalit� nella compressione del 
suo diritto di propriet�. 
29. Il Tribunale dell�Unione europea ha respinto il ricorso del Kadi (cause T-315/01 T- 
306/01), argomentando in base ai criteri generali di coordinamento fra l�ordinamento 
giuridico comunitario e quello internazionale, facente capo ai principi consacrati nella 
Carta delle Nazioni Unite (in special modo, Artt. 25 e 103). In base a siffatti criteri di 
coordinamento, il Tribunale ha riconosciuto che il Reg. (CE) n. 881/2002, in quanto meramente 
attuativo di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, 
adottata ai sensi del Capitolo VII della Carta ONU, non era suscettibile di sindacato di 
legittimit� da parte del giudice comunitario, godendo anzi di una �immunit� giurisdizionale�, 
salvo il caso dell�accertamento della violazione di norme dello jus cogens internazionale 
(25). 
30. La Corte di Giustizia dell�Unione europea, nelle cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P, 
ha rigettato le linee argomentative prospettate dal Tribunale, riconoscendo la sindacabilit� 
del Reg. (CE) n. 881/2002 e disponendone l�annullamento nella misura in cui esso riguardava 
il ricorrente, accogliendo pertanto le censure da questi prospettate in ordine alla 
violazione del suo diritto alla difesa e a una tutela giurisdizionale effettiva. L�argomentazione 
prospettata dalla Corte di Giustizia riconosce nell� Unione europea una comunit� 
di diritto, la cui legislazione, anche quella di mera implementazione di decisioni del Consiglio 
di Sicurezza, lungi dal godere di forme di immunit� dalla giurisdizione di cognizione, 
non pu� sottrarsi al controllo di compatibilit� con i principi giuridici che tale 
Comunit� informano. Secondo la Corte, infatti, non sarebbe possibile �in alcun caso consentire 
di mettere in discussione i principi che fanno parte dei fondamenti stessi dell�ordinamento 
giuridico comunitario, tra i quali quello della tutela dei diritti fondamentali, 
che include il controllo, ad opera del giudice comunitario, della legittimit� degli atti comunitari 
quanto alla loro conformit� a tali diritti fondamentali�(26). La Corte ha pertanto 
concluso, in contrasto con le precedenti determinazioni del Tribunale di Primo Grado, 
che �i giudici comunitari devono, in conformit� alle competenze di cui sono investiti in 
forza del Trattato CE, garantire un controllo, in linea di principio completo, della legittimit� 
di tutti gli atti comunitari con riferimento ai diritti fondamentali che costituiscono 
parte integrante dei principi generali del diritto comunitario, ivi inclusi gli atti comunitari 
che, come il regolamento controverso, mirano ad attuare risoluzioni adottate dal Consiglio 
di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite�(27). 
31. La Commissione, nel conformarsi alla sentenza resa dalla Corte di Giustizia nelle cause 
(25) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-315/01, 21 settembre 2005, paragrafo 225. Nelle 
parole dei giudici: Si deve dunque considerare che le controverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 
si sottraggono in via di principio al sindacato giurisdizionale del Tribunale e che quest�ultimo non ha il 
potere di rimettere in causa, seppur in via incidentale, la loro legittimit� alla luce del diritto comunitario. 
Al contrario, il Tribunale � tenuto, per quanto possibile, ad interpretare e applicare tale diritto in modo 
che sia compatibile con gli obblighi degli Stati membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite. 
(26) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 306. 
(27) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 326.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 13 
C-402/05 P e C-415/05 P, ha provveduto a dar conto al Sig. Kadi delle motivazioni per 
cui egli risultava iscritto nella lista di persone ed enti allegata al regolamento 881/2002 
e, assunte le osservazioni del ricorrente in merito a tali motivazioni, ha proceduto comunque 
all�adozione di un atto volto a ordinare la sua permanenza nell�elencazione 
poc�anzi riferita (Regolamento (CE) 28 novembre 2008, n. 1190/2008). A parere della 
Commissione, difatti, l�esposizione delle motivazioni, unitamente al riconoscimento al 
ricorrente del diritto di replica alla comunicazione di tali informazioni, costitutiva procedura 
adeguata per conformarsi alla decisione della Corte resa nei casi C-402/05 P e 
C-415/05 P. L�ulteriore richiesta del Sig. Kadi, di essere edotto delle prove specifiche e 
degli elementi probatori concreti in base alle quali la Commissione ha ordinato la permanenza 
del ricorrente nella blacklist, non ha trovato accoglimento. 
B.4 La sentenza Kadi II del Tribunale di Primo Grado (T-85/09) 
32. Il contenzioso in esame trova inquadramento nella cornice fattuale e giuridica sopra delineata. 
Con ricorso presentato davanti al Tribunale dell�Unione europea il 26/02/2009, 
il ricorrente ha chiesto l�annullamento del Regolamento (CE) 28 novembre 2008, n. 
1190/2008, adottato in adempimento della decisione C-415/05 P della Corte di Giustizia 
nel caso Kadi I e recante �centunesima modifica del regolamento (CE) n. 881/2002 [...]�. 
Il ricorrente ha presentato cinque distinti motivi a sostegno del suo ricorso (dei quali 
solamente due decisi dal Tribunale), preceduti da alcune considerazioni preliminari relative 
alla natura del controllo giurisdizionale da esercitare su atti dell�Unione attuativi 
di Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. 
33. Quanto al primo punto, il Tribunale, accedendo alle argomentazioni del ricorrente e richiamando 
la sentenza Kadi I della Corte in pi� passi, ha rilevato che, posta la legittimit� 
del sindacato sugli atti dell�Unione volti a trasporre nell�ordinamento comunitario il 
contenuto delle decisioni del Consiglio di Sicurezza, tale sindacato dovesse conformarsi 
ai criteri della �full and rigorous review�(28), vale a dire a un controllo non solo sulla 
correttezza formale della decisione, ma esteso all�adeguatezza e sufficienza del materiale 
probatorio valutato dal Consiglio di Sicurezza al momento dell�iscrizione della persona 
sospetta nella lista di cui all�allegato I del Reg. (CE) 881/2002. Secondo il Tribunale, in 
modo particolare, il controllo esercitato dal giudice comunitario sulle misure europee 
di congelamento di capitali pu� qualificarsi come effettivo solo qualora abbia ad oggetto, 
indirettamente, le valutazioni di merito effettuate dallo stesso Comitato 1267, nonch� 
gli elementi probatori a queste soggiacenti (29) . 
34. Applicando il suddetto standard di controllo giurisdizionale, il Tribunale ha riconosciuto 
fondati i motivi di ricorso prospettati dal Kadi, cominciando a dare contenuto e applicazione 
a contro-limiti derivanti dal diritto comunitario. In primo luogo, il diritto di difesa 
del ricorrente sarebbe stato illegittimamente compresso nella misura in cui questi, 
pur edotto genericamente delle motivazioni poste alla base della decisione di congelare 
i suoi beni, non � stato messo nelle condizioni di conoscere gli elementi di prova addotti 
a suo carico e, conseguentemente, di contestarne la valenza probatoria. A differenza di 
(28) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafi 148-151. 
(29) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09 , 30 settembre 2010, paragrafo 129.
14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
quanto deciso dalla Corte di Giustizia nel caso Kadi I (C-402/05), dunque, il Tribunale 
non ha censurato la totale inesistenza di qualsivoglia procedura di contraddittorio, ma 
solamente la sua insufficienza, poich� �i pochi elementi di informazione e le vaghe allegazioni 
contenute nella sintesi dei motivi appaiono manifestamente insufficienti a consentire 
al ricorrente di smentire efficacemente le accuse mossegli, in relazione alla sua 
presunta partecipazione ad attivit� terroristiche� (30). Dalla violazione al diritto di difesa 
del ricorrente il Tribunale ha dedotto altres� la violazione del diritto a una tutela giurisdizionale 
effettiva. 
35. Da ultimo, il Tribunale ha riconosciuto fondato il motivo di ricorso concernente la violazione 
del principio di proporzionalit� conseguente al congelamento dei beni del Kadi 
(31). Ci� in ragione del fatto che misure di portata generale e destinate a determinare 
un pregiudizio persistente ai diritti del ricorrente (i beni erano congelati da oltre dieci 
anni) risultavano adottate in dispregio ai principi del due process, segnatamente al diritto 
a una difesa piena ed effettiva. Riconoscendo la fondatezza di due dei cinque motivi 
presentati dal ricorrente, il Tribunale ha annullato il Regolamento 1190/2008, nella misura 
in cui esso lo riguardava. 
C) Primo motivo d�appello: insindacabilit� dei regolamenti comunitari di mera implementazione 
di Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 
C.1 La posizione del Tribunale e della Corte di Giustizia 
36. Con sentenza resa in data 21 settembre 2005 nel caso Kadi I (T-315/01), il Tribunale di 
Primo Grado dell'Unione europea ha affermato fra l�altro il principio secondo il quale 
le decisioni del Consiglio di Sicurezza,e , in particolar modo, le determinazioni assunte 
a norma del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, godono di una pressoch� assoluta 
immunit� dalla giurisdizione di cognizione degli organi comunitari. La linea argomentativa 
del Tribunale ha preso le mosse dal combinato disposto degli Articoli 103 
della Carta delle Nazioni Unite (32) e 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei 
Trattati (33). Tali norme, a opinione del Tribunale, impongono agli Stati membri dell'ONU 
la incondizionata implementazione delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, 
quale adempimento di un dovere positivo iscritto nel diritto internazionale conseguente 
alla loro prevalenza su qualsiasi altro atto normativo. Secondo il Tribunale, in particolare, 
�per quanto riguarda, in primo luogo, i rapporti tra la Carta delle Nazioni Unite e 
il diritto interno degli Stati membri dell�ONU, la regola della prevalenza discende dai 
principi del diritto internazionale consuetudinario. Ai termini dell�art. 27 della Convenzione 
di Vienna sul diritto dei trattati, adottata a Vienna il 23 maggio 1969, che codifica 
tali principi, una parte non pu� invocare le disposizioni del suo diritto interno per giu- 
(30) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafo 174. 
(31) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafo 193. 
(32) Si veda articolo 103 Carta delle Nazioni Unite, secondo il quale: �In caso di contrasto tra gli 
obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli obblighi da essi assunti 
in base a qualsiasi altro accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivanti dal presente Statuto�. 
(33) Si veda articolo 27 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei trattati, secondo il quale: 
�Una parte non pu� invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata esecuzione 
di un trattato. Questa regola non pregiudica quanto disposto dall'art. 46 �.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 15 
stificare la mancata esecuzione di un trattato. Per quanto riguarda, in secondo luogo, i 
rapporti tra la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale pattizio, tale regola di 
prevalenza � espressamente sancita dall�art. 103 della detta Carta, ai termini della quale, 
in caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con la presente 
Carta e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale, 
prevarranno gli obblighi derivanti dalla presente Carta. 
37. Conformemente all�art. 30 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, e contrariamente 
alle regole normalmente applicabili in caso di trattati successivi, essa si applica 
sia ai trattati anteriori sia ai trattati posteriori alla Carta delle Nazioni Unite. Secondo la 
Corte internazionale di giustizia, tutti gli accordi regionali, bilaterali e anche multilaterali, 
che le parti possono aver concluso, sono sempre subordinati alle disposizioni dell�art. 
103 della Carta delle Nazioni Unite (34). 
38. Il Tribunale ha ulteriormente richiamato le disposizioni di cui agli Articoli 297 (35) e 307 
(36) del Trattato che istituisce la Comunit� Europea per trarne la conclusione che le disposizioni 
del Trattato medesimo non incidono sugli obblighi internazionali che gli Stati 
membri avevano contratto prima di entrare a far parte della Comunit�. Secondo il Tribunale, 
pertanto, poich� l�esercizio del sindacato giurisdizionale su un atto meramente implementativo 
di una decisione del Consiglio di Sicurezza equivarrebbe ad una judicial 
review sulla risoluzione medesima, ҏ escluso il suo potere di rimettere in causa, seppur 
in via incidentale, la legittimit� (delle risoluzioni) alla luce del diritto comunitario� (37). 
39. Ci� che non � invece preclusa, ma al contrario auspicata, � un�interpretazione delle Risoluzioni 
in maniera conforme ai principi del diritto comunitario, in modo particolare 
quelli relativi alla tutela dei diritti umani. L�unica eccezione rilevata dal Tribunale concerne 
l�ipotesi di violazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle norme dello ius 
cogens internazionale (38). Questa impostazione d�altra parte corrisponde a una posi- 
(34) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-315/01, 21 settembre 2005, paragrafi 182-183. 
(35) Si veda articolo 297 del Trattato che istituisce la Comunit� Europea: �Gli Stati membri si 
consultano al fine di prendere di comune accordo le disposizioni necessarie ad evitare che il funzionamento 
del mercato comune abbia a risentire delle misure che uno Stato membro pu� essere indotto a 
prendere nell'eventualit� di gravi agitazioni interne che turbino l'ordine pubblico, in caso di guerra o di 
grave tensione internazionale che costituisca una minaccia di guerra ovvero per far fronte agli impegni 
da esso assunti ai fini del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale �. 
(36) Si veda articolo 307 del Trattato che istituisce la Comunit� Europea: �Le disposizioni del 
presente trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente 
al 1o gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o pi� 
Stati membri da una parte e uno o pi� Stati terzi dall'altra. Nella misura in cui tali convenzioni sono incompatibili 
col presente trattato, lo Stato o gli Stati membri interessati ricorrono a tutti i mezzi atti ad 
eliminare le incompatibilit� constatate. Ove occorra, gli Stati membri si forniranno reciproca assistenza 
per raggiungere tale scopo, assumendo eventualmente una comune linea di condotta. Nell'applicazione 
delle convenzioni di cui al primo comma, gli Stati membri tengono conto del fatto che i vantaggi consentiti 
nel presente trattato da ciascuno degli Stati membri costituiscono parte integrante dell'instaurazione 
della Comunit� e sono, per ci� stesso, indissolubilmente connessi alla creazione di istituzioni 
comuni, all'attribuzione di competenze a favore di queste ultime e alla concessione degli stessi vantaggi 
da parte di tutti gli altri Stati membri �. 
(37) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-315/01, 21 settembre 2005, paragrafo 285. 
(38) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-315/01, 21 settembre 2005, paragrafo 231.
16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
zione dottrinale ben nota, che considera addirittura nulla la Risoluzione del Consiglio 
di Sicurezza confliggente con le norme di jus cogens poste a garanzia delle disposizioni 
sui diritti umani (39). 
40. La Corte di Giustizia dell�Unione Europea ha adottato un approccio completamente diverso, 
traducendo in termini pratici una nozione dualistica dei rapporti fra l�ordinamento 
comunitario e quello internazionale. L�opinione sottesa a questa concezione � che l�ordinamento 
internazionale e l�ordinamento comunitario sono nei loro rapporti reciproci 
autonomi, separati e distinti (40). In modo particolare, la Corte ha ritenuto di dover �verificare 
se, come stabilito dal Tribunale, i principi che disciplinano il concatenarsi dei 
rapporti tra l�ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e l�ordinamento 
giuridico comunitario implichino che un controllo giurisdizionale della legittimit� 
interna del regolamento controverso sotto il profilo dei diritti fondamentali sia in 
linea di principio escluso, nonostante il fatto che [�] un tale controllo costituisca una 
garanzia costituzionale che fa parte dei fondamenti stessi della Comunit� (41). 
41. Nonostante la statuizione che �le istituzioni comunitarie devono rispettare il diritto internazionale 
nell�esercizio dei loro poteri� (42), la Corte ha notato che �una simile immunit� 
giurisdizionale di un atto comunitario, quale il regolamento controverso, come 
corollario del principio di prevalenza sul piano del diritto internazionale degli obblighi 
derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, in particolare di quelli relativi all�attuazione 
delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate in base al capitolo VII di tale Carta, 
non trova alcun fondamento nell�ambito del Trattato CE� (43). Pi� in generale, dunque, 
la Corte � pervenuta alla conclusione che le misure comunitarie di implementazione di 
Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non sono sottratte al sindacato di legittimit� degli 
organi giuridici comunitari, mentre sottratte a tale controllo sarebbero (solo e direttamente) 
le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. 
C.2 La posizione della Repubblica Italiana (sunto) 
42. La Repubblica italiana si associa alle considerazioni del Consiglio europeo nel dissentire 
rispetto alla determinazione della Corte di Giustizia sulla possibilit� di eseguire un sindacato 
di legittimit� su atti comunitari di mera implementazione di decisioni del Consiglio 
di Sicurezza. D�altra parte, perplessit� in ordine a tale conclusione sono state 
espresse dallo stesso Tribunale nella sentenza Kadi II (T-85/09). I giudici, nel richiamare 
le perplessit� di parte della dottrina sulla statuizione della Corte di Giustizia, hanno affermato 
che �tali critiche non sono del tutto prive di seriet�. Tuttavia, quanto alla loro 
pertinenza, il Tribunale ritiene che, in circostanze quali quelle della fattispecie, aventi 
ad oggetto un atto adottato dalla Commissione in sostituzione di un atto anteriore, annullato 
dalla Corte nell�ambito di un�impugnazione proposta avverso una sentenza del 
Tribunale che ha respinto il ricorso d�annullamento avverso l�atto medesimo, il principio 
(39) Si veda BIANCHI, Human Rights and the Magic of Jus Cogens, in European Journal of International 
Law, 2008, 501. 
(40) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 25. 
(41) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 290. 
(42) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 298. 
(43) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 298.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 17 
stesso dell�impugnazione e la struttura giurisdizionale gerarchica che ne rappresenta il 
corollario gli suggeriscono, in linea di principio, di non mettere esso stesso in discussione 
i punti di diritto risolti dalla decisione della Corte. Ci� vale a maggior ragione quando, 
come nella fattispecie, la Corte ha statuito in Grande Sezione ed ha manifestamente inteso 
pronunciare una sentenza di principio. Pertanto, se dovesse essere necessario fornire 
una risposta agli interrogativi sollevati dalle istituzioni, dagli Stati membri e dagli ambienti 
giuridici interessati, a seguito della sentenza Kadi della Corte, sarebbe opportuno 
che vi provvedesse la Corte stessa nell�ambito delle future cause di cui essa potrebbe 
essere investita (44). 
C.3 Lo status delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza nei confronti dei paesi membri. 
Limiti alla sindacabilit� domestica delle misure di implementazione delle Risoluzioni 
del Consiglio che impongono sanzioni. 
43. Come meglio si vedr� in seguito, il Consiglio di Sicurezza � l�organo delle Nazioni 
Unite al quale � stato attribuito in via principale il compito di tutelare la pace e la sicurezza 
internazionali. Le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate a norma del Capitolo 
VII della Carta delle Nazioni Unite per far fronte a tali minacce sono vincolanti 
per gli Stati membri dell�ONU, che a norma dell�articolo 25 della Carta devono darvi 
esecuzione nei termini da essa previsti. A norma dell�articolo 48, peraltro, i Membri 
delle Nazioni Unite si associano per prestarsi mutua assistenza nell�eseguire le misure 
deliberate dal Consiglio di Sicurezza. Lo Stato membro che si rifiuti, senza giustificato 
motivo, di dare seguito ad una Risoluzione del Consiglio compie pertanto un illecito 
implicante la responsabilit� internazionale dello Stato per violazione dell�art. 25. 
44. Sempre secondo la Carta ONU, peraltro, non costituisce giusto motivo la circostanza 
che la Risoluzione del Consiglio risulti incompatibile con altri obblighi internazionali 
dello Stato. Ai sensi dell�articolo 103, difatti, �in caso di contrasto tra gli obblighi contratti 
dai Membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli obblighi da essi assunti 
in base a qualsiasi altro accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivanti dal 
presente Statuto�. 
45. La violazione della norma richiamata risulta di tutta evidenza quando lo Stato membro 
sia chiamato a implementare una Risoluzione del Consiglio dal carattere vincolato, che 
non gli lascia margini di discrezionalit� in ordine al quomodo dell�implementazione. 
Come si � visto nelle pagine precedenti (paragrafo 20), rientrano in questa categoria le 
decisioni del Consiglio che identificano gi� in sede di Nazioni Unite blacklist di terroristi 
che gli Stati devono limitarsi a riprodurre nei loro ordinamenti interni, non avendo queste 
ultime efficacia self-executing. La Risoluzione 1267 (1999) rientra in questa categoria, 
poich� non lascia agli Stati margini di discrezionalit� in ordine alla identificazione dei 
sospetti terroristi da inserire nella lista. Parimenti, rientrano nel novero delle Risoluzioni 
del Consiglio a contenuto vincolato quei provvedimenti con i quali l�organo politico 
delle Nazioni Unite ordina a un paese di trasferire una persona a un tribunale internazionale. 
Non figurano fra le Risoluzioni a contenuto vincolato, al contrario, quelle riconducibili 
alla categoria della Risoluzione 1373 (2001), poich� lo Stato non si trova a 
(44) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafo 121.
18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
fronteggiare un�obbligazione formulata nei termini di un aut-aut, che esso pu� decidere 
di adempiere o di non adempiere, ma al contrario dispone di pi� ampi margini di discrezionalit�. 
Nella fattispecie della Risoluzione 1373, in modo particolare, gli Stati membri 
dispongono di ampi margini di scelta nello stilare le liste di persone sospette richieste 
dal Consiglio. 
46. Tradizionalmente, le corti dei paesi membri delle Nazioni Unite si sono astenute dall�esercitare 
un controllo di legalit� sugli atti di diritto interno con i quali veniva data 
esecuzione a Risoluzioni del Consiglio dal carattere vincolato (non cos�, invece, nel caso 
di Risoluzioni non vincolate, perch� le Corti possono comunque valutare l�esercizio 
della discrezionalit� da parte delle autorit� nazionali nel dare seguito alla Risoluzione). 
Ci� si spiega sia in ragione della consapevolezza che l�esercizio di un sindacato di legittimit� 
su un atto di mera implementazione di una decisione del Consiglio equivale 
all�esercizio di una review sulla decisione del Consiglio medesimo, operazione la cui 
legittimit� � espressamente esclusa dalla Corte di giustizia dell�Unione europea; sia in 
ragione del fatto che quand�anche il controllo di legittimit� sia eseguito e metta in evidenza 
l�illegittimit� della Risoluzione alla luce dei parametri di riferimento dello Stato 
del foro, la mancata esecuzione della decisione considerata illegittima determinerebbe 
comunque la responsabilit� internazionale dello Stato per violazione degli articoli 25 e, 
se del caso, 103 della Carta ONU. D�altra parte, neppure la Corte Internazionale di Giustizia 
ritiene di poter esercitare un controllo sulle Risoluzioni del Consiglio (45) ed � a 
maggior ragione poco plausibile che una corte nazionale possa ritenere di avere un tale 
potere (46). 
47.A tutt�oggi, tale approccio sembra essere il migliore. Nel caso Dubsky c. Irlanda la High 
Court si � rifiutata di esercitare alcuna forma di controllo giurisdizionale sugli atti di 
implementazione della Risoluzione 1368 (2001), affermando che �it is neither permissibile 
nor appropriate for this court to seek to even interpret a Security Council Resolution� 
(47). Parimenti significativo � il contenzioso sviluppatosi in Croazia a seguito 
delle numerose Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che hanno imposto al paese di 
collaborare con il Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella Ex - Jugoslavia, 
soprattutto per quel che concerne il trasferimento di persone sospette alla corte. 
48. Nel Bobetko Report la Corte Costituzionale croata si � dichiarata priva di giurisdizione 
per quel che concerne la verifica della compatibilit� di atti delle Nazioni Unite e dei 
suoi organi (e atti di loro mera implementazione) con le disposizioni della Costituzione 
Croata e le garanzie da essa previste sotto il profilo dei diritti umani (48). 
49. Ancora, e con specifico riguardo alla risoluzione 1267, nel caso Al-Qadi, il Consiglio 
di Stato turco si � dichiarato incompetente a pronunciarsi sulle legittimit� degli atti in- 
(45) Si veda Legal Consequences for States of the Continued Presence of South Africa in Nanibia 
notwithstanding Security Council Resolution 276, Advisory Opinion, 1970, in ICJ Rep, 89. 
(46) Per le informazioni riportate in queste pagine si veda TZANAKOUPOLOS, Domestic Court Reactions 
to UN Security Council Sanction, disponibile al sito http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_
id=1480184 
(47) Si veda Dubsky c. Irlanda, ILDC 45 485, 91. 
(48) Si veda ILDC 283, 3.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 19 
terni di mera implementazione della Risoluzione, in ragione degli articoli 24(1) (49), 
25 (50) e 48(2) della Carta delle Nazioni Unite (51). Da ultimo, nel caso Sayadi e Vinck 
la Corte di Primo Grado di Bruxelles ha dichiarato, seppur in via incidentale, di non 
avere giurisdizione per interferire con le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza (52). 
L�essersi dichiarata poi competente a conoscere del caso, a dire della Corte, derivava 
dal fatto che il provvedimento richiesto dal ricorrente (una misura di de-listing che il 
Belgio avrebbe dovuto richiedere al Consiglio di Sicurezza), non comportava in ogni 
caso un sindacato sulla legittimit� della Risoluzione medesima. 
50. Nella pratica giurisprudenziale, l�alternativa alla immunit� giurisdizionale piena degli 
atti di implementazione delle Risoluzioni vincolate del Consiglio di Sicurezza � quella 
di una review limitata al rispetto da parte del Consiglio delle disposizioni della Carta 
ONU e dello jus cogens internazionale. Questa posizione � stata fatta propria dal Tribunale 
di Primo grado nella causa Kadi (53) e seguita anche dal Tribunale federale svizzero 
nel caso Nada (54). Ad avviso della Repubblica italiana, gli approcci individuati nei paragrafi 
precedenti sono gli unici che consentono agli Stati membri di rispettare gli obblighi 
internazionali su di essi gravanti a norma dell�articolo 25 della Carta delle Nazioni 
Unite. 
51. Diverso invece il caso in cui la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza non presenti un 
carattere vincolato, ma ponga semplicemente un�obbligazione di Risultato in capo allo 
Stato membro. In questi casi il Consiglio delega in parte i suoi poteri di apprezzamento 
nel definire chi o che cosa possa costituire una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali. 
I margini di discrezionalit� impiegati dagli Stati membri nel dare attuazione 
alle Risoluzioni del Consiglio possono senz�altro essere oggetto di sindacato di legittimit� 
da parte delle corti nazionali, che non possono declinare la propria competenza in 
ordine alla verifica del rispetto, da parte delle misure di implementazione nazionale, del 
diritto interno e di quello internazionale. A livello domestico tale posizione � confermata 
dalla sentenza resa dalla Queen�s Bench Division della English High Court nel caso A, 
K, M ,Q, G. La Corte, nel riconoscere che �the obligation to apply the Resolutions necessarily 
involves consideration of how that can be achieved�, ha ritenuto che le modalit� 
impiegate dal governo britannico non fossero conformi agli standard di tutela previsti 
dal diritto del Regno Unito (55). 
52. In ambito comunitario tale posizione � giustamente confermata dal Tribunale di Primo 
(49) Si vedano articoli 24(1), 25, 48(2) della Carta delle Nazioni Unite: 24(1) Al fine di assicurare 
un�azione pronta ed efficace da parte delle Nazioni Unite, i Membri conferiscono al Consiglio di Sicurezza 
la responsabilit� principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, e riconoscono 
che il Consiglio di Sicurezza, nell�adempiere i suoi compiti inerenti a tale responsabilit�, agisce 
in loro nome. 
(50) Art. 25 I Membri delle Nazioni Unite convengono di accettare e di eseguire le decisioni del 
Consiglio di Sicurezza in conformit� alle disposizioni del presente Statuto. 
(51) Art. 48(2) Tali decisioni sono eseguite dai Membri delle Nazioni Unite direttamente o mediante 
la loro azione nelle organizzazioni internazionali competenti di cui siano Membri. 
(52) Si veda UN Doc S/2005/572, 48-49. 
(53) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-315/01, 21 settembre 2005, paragrafo 226. 
(54) Si veda Nada c. Seco, 2007 in ILDC 461. 
(55) Si veda A,K,M,Q,G, 2008, EWHC.
20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Grado nella causa OMPI. Secondo il Tribunale �se, da un lato, la risoluzione 1373 (2001) 
del Consiglio di sicurezza dispone in particolare, al suo n. 1, lett. c), che tutti gli Stati 
congelino senza indugio i fondi e gli altri strumenti finanziari o risorse economiche delle 
persone che commettono o tentano di commettere atti di terrorismo, li agevolano o vi 
partecipano, delle entit� riconducibili a tali persone, o da esse controllate, e delle persone 
ed entit� che agiscono in nome o dietro istruzioni di tali persone ed entit�, essa non determina 
individualmente quali persone, gruppi o entit� debbano formare oggetto di tali 
misure. Il Consiglio di sicurezza non ha neanche emanato norme giuridiche precise riguardanti 
il procedimento di congelamento dei fondi, n� le garanzie o i ricorsi giurisdizionali 
che assicurino alle persone ed alle entit� interessate da un procedimento siffatto 
un�effettiva possibilit� di contestare le misure adottate dagli Stati nei loro confronti. 
Pertanto, nell�ambito della risoluzione 1373 (2001), spetta agli Stati membri dell�Organizzazione 
delle Nazioni Unite (ONU) � e, nel caso di specie, alla Comunit�, attraverso 
cui gli Stati membri hanno deciso di agire � identificare concretamente quali siano le 
persone, i gruppi e le entit� i cui fondi devono essere congelati in applicazione di tale 
risoluzione, conformandosi alle norme del loro ordinamento giuridico� (56). 
53. Giustamente, dunque, il Tribunale si riserva di verificare che le misure adottate dagli 
organi comunitari, misure non gi� vincolate di mera implementazione, ma autonome e 
discrezionali quanto al quomodo, siano conformi alle disposizioni del diritto UE. 
54. Per le ragioni che appresso di indicheranno, la Repubblica italiana ritiene che anche la 
Corte di Giustizia dell�Unione europea avrebbe dovuto mostrare nei confronti del Regolamento 
di implementazione della decisione del Consiglio di Sicurezza il medesimo 
grado di deferenza dimostrato dalle corti nazionali di cui si � ora discusso. 
C.4 Lo Status delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza nell�ambito del diritto comunitario. 
L�attivit� di mera implementazione da parte delle Istituzioni comunitarie 
55. Chiarito lo status delle Risoluzioni vincolate del Consiglio nel diritto interno, bisogna 
passare a verificarne lo status e l�obbligatoriet� nel diritto comunitario. La Carta delle 
Nazioni Unite esclude che l�Unione Europea, in quanto organizzazione internazionale, 
possa entrare a far parte delle Nazioni Unite. A norma degli articoli 3 e 4 del Trattato 
istitutivo, difatti, solo gli Stati possono esserne membri (57). Sarebbe tuttavia semplicistico 
ritenere che le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e il diritto internazionale in 
termini pi� generali, non vincolino anche quest�ultima, in virt� di una interpretazione 
solo formalistica delle norme in esame. Tale posizione � d�altra parte oggi condivisa 
(56) Si veda Organisation des Modjahedines du peuple d�Iran, causa T-228/02, 12 dicembre 2006, 
paragrafo 101. 
(57) Si vedano articoli 3 e 4 della Carta ONU, a norma dei quali, rispettivamente, Articolo 3: 
Membri originari delle Nazioni Unite sono gli Stati che, avendo partecipato alla Conferenza delle Nazioni 
Unite per l�Organizzazione Internazionale a San Francisco, od avendo precedentemente firmato 
la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1� gennaio 1942, firmino il presente Statuto e lo ratifichino in 
conformit� all�articolo 110. Articolo 4 1. Possono diventare Membri delle Nazioni Unite tutti gli altri 
Stati amanti della pace che accettino gli obblighi del presente Statuto e che, a giudizio dell�Organizzazione, 
siano capaci di adempiere tali obblighi e disposti a farlo. 2. L�ammissione quale Membro delle 
Nazioni Unite di uno Stato che adempia a tali condizioni � effettuata con decisione dell�Assemblea Generale 
su proposta del Consiglio di Sicurezza.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 21 
dalla Corte di Giustizia dell�Aja, secondo la quale �international organisations are subjects 
of international law and as such are bound by any obligations incumbent upon 
them under general rules of international law, under their constitutions or under international 
agreements to which they are parties� (58). La Repubblica Italiana concorda 
con questa ricostruzione e condivide la statuizione del Tribunale di Primo Grado nella 
causa Yusuf, secondo la quale la Comunit� deve essere considerata vincolata agli obblighi 
derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, alla stessa stregua dei suoi Stati membri, 
in base allo stesso Trattato che la istituisce (59). 
56. Similmente, nel caso International Fruit Company, il Tribunale ha affermato che gli 
Stati membri, nell�attribuire determinate competenze alla Comunit�, hanno manifestato 
la loro volont� di assoggettarla agli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite 
(60). Pi� in generale, in tutti i casi in cui, in forza del Trattato CE, la Comunit� ha assunto 
competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri nell�ambito di applicazione 
della Carta delle Nazioni Unite, le disposizioni di questa hanno avuto per effetto quello 
di vincolare la Comunit� (Poulsen e Diva Navigation, Racke, Van Duyn e Burgoa) (61). 
Difatti, come si avr� modo di precisare in seguito, la Comunit� � tenuta al rispetto delle 
disposizioni della Carta ONU al fine di impedire che i suoi Stati membri incorrano, o 
rischino di incorrere, nella commissione di un illecito internazionale. 
57. In modo particolare, se � vero che l�Unione, anche a seguito del processo di espansione 
dei suoi poteri e alla aspirazione a divenire un attore internazionale credibile e rilevante, 
possiede ampi poteri discrezionali nella definizione del suo collocamento sul piano internazionale 
(si pensi al caso della Politica estera e di sicurezza comune), � altres� evidente 
che talvolta il suo operare si esplicita su un livello diverso, per cos� dire vincolato. 
� noto infatti che nell�entrate a far parte del sistema comunitario, gli Stati membri hanno 
devoluto parte della loro sovranit�, e con essa parte delle loro competenze, alla Comunit� 
medesima. Allo stesso tempo per�, la responsabilit� per il mancato adempimento di atti 
che gli Stati membri erano tenuti a compiere in base al diritto internazionale, e che non 
sono pi� in grado di compiere per aver trasferito la relativa competenza alla Comunit�, 
non � oggetto di devoluzione, ma continua ad essere posta in capo agli Stati membri 
(62). In questi casi � di tutta evidenza che la Comunit� sia tenuta ad agire, in modo tale 
da evitare che gli Stati membri possano incorrere nella commissione di un illecito internazionale 
derivante dal mancato adempimento di un obbligo internazionale su di essi 
gravante. Il che � reso ancor pi� evidente nella causa in esame laddove si consideri che 
il regolamento contestato � stato adottato in sede di Consiglio europeo, in base a una 
norma di chiusura dell�ordinamento (Art. 301) che richiede peraltro un voto all�unani- 
(58) Si veda Interpretation of the Agreement of March 25, 1951 between the WHO and Egypt, 
Advisory Opinion, in ICJ Rep, 1908, 89. 
(59) Si veda Yusuf, causa T-306/01, 21 settembre 2005, paragrafo 243. 
(60) Si veda International Fruit Company, cause riunite 21/72 e 24/72, 12 dicembre 1992, paragrafo 
11. 
(61) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-315/01, 21 settembre 2005, paragrafo 11. 
(62) Si veda MARIANI, The Implementation of UN Security Council Resolutions Imposing Economic 
Sanctions in the EU/EC Legal System: Interpillar Issues and Judicial Review, disponibile online 
alla pagina internet: http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1354568
22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
mit� di tutti gli Stati membri. Tale circostanza in qualche modo reitera e sottolinea la 
volont� di tutti gli Stati di agire tramite la Comunit�, fermo restando il loro impegno 
anche individuale in tal senso. 
58. Qual �, in ogni caso, il tipo di azione che la Comunit� deve intraprendere al fine di adempiere 
in via sussidiaria agli obblighi internazionali degli Stati membri? In ossequio al 
principio per cui nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet, il trasferimento alla 
Comunit� delle competenze dei paesi membri in certe aree non pu� aver attribuito alla 
Comunit� poteri pi� ampi di quanto gli Stati, nella loro dimensione individuale, ne avessero. 
Al contrario, la devoluzione della competenza � avvenuta assieme alla devoluzione 
dei limiti a tale competenza. In altre parole, quando la competenza dello Stato membro 
in una certa area era una competenza vincolata, il suo trasferimento dagli Stati membri 
alla Comunit� non ne ha determinato la mutazione in attivit� discrezionale o financo 
eventuale, con la conseguenza che l�obbligo di dare fedele esecuzione alle decisioni del 
Consiglio di Sicurezza si riverbera immutato sulla Comunit�. 
59. La causa in esame rientra nella casistica appena considerata: l�adozione del Regolamento 
comunitario di implementazione di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, sul cui 
contenuto le istituzioni comunitarie non hanno il potere di influire, si rende necessaria in 
ragione della devoluzione di determinati poteri dagli Stati membri alla Comunit�, secondo 
un modello di �sussidiariet� inversa�. Conviene affrontare il problema mettendo in evidenza 
prima la prospettiva del diritto dei singoli Stati e poi la prospettiva comunitaria. 
60. Nella prospettiva dei singoli Stati membri, come gi� indicato, l�articolo 25 della Carta 
delle Nazioni Unite prevede difatti che �i Membri delle Nazioni Unite convengono di 
accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformit� alle disposizioni 
del presente Statuto�. Parimenti, a norma dell�articolo 48 �L�azione necessaria 
per eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza per il mantenimento della pace e 
della sicurezza internazionale � intrapresa da tutti i Membri delle Nazioni Unite o da alcuni 
di essi secondo quanto stabilisca il Consiglio di Sicurezza�. Come si � avuto modo 
di indicare nel capitolo precedente, ci� vale a maggior ragione per le Risoluzioni del 
Consiglio di Sicurezza adottate a norma del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, 
quale � la Risoluzione 1267 (1999). In questi casi, come si � visto, l�attivit� di implementazione 
� doppiamente vincolata: sia nell�an, poich� gli Stati membri non potrebbero 
sottrarsi ai loro obblighi in base all�articolo 25 della Carta delle Nazioni Unite, sia nel 
quomodo, poich� una judicial review delle Risoluzioni medesime, salvo limitatissimi 
casi, � comunque esclusa nel caso in cui lo Stato voglia rispettare le proprie obbligazioni 
internazionali. 
61. D�altra parte, a livello comunitario, in ragione della competenza esclusiva riconosciuta 
alla Comunit� in determinati settori, competenza che gli Stati membri, originariamente 
titolari, hanno acconsentito a trasferire, l�implementazione di alcune Risoluzioni del 
Consiglio da parte degli Stati membri non solo pu�, ma deve avvenire tramite le procedure 
previste a livello comunitario. Ci� � vero in modo particolare nel caso di Risoluzioni 
del Consiglio di Sicurezza che, avendo ad oggetto provvedimenti di natura 
economica e finanziaria quali congelamento di beni e assets, sono destinate invariabilmente 
a incidere sul funzionamento della Politica commerciale comune dell�Unione e 
del mercato comune, con riferimento ai quali la Comunit� detiene una competenza esclu-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 23 
siva (63). Se cos� non fosse, se, vale a dire, l�implementazione delle Risoluzioni del 
Consiglio di Sicurezza fosse lasciata all�autonomia dei singoli Stati membri, si correrebbe 
il rischio di sistematiche violazioni delle norme che sovrintendono al funzionamento 
del mercato comune nonch� alla politica commerciale comune. In certi casi, vi 
sarebbe pertanto il rischio di incorrere nella violazione del primato del diritto comunitario 
su quello dei singoli stati membri. Come ha infatti ben indicato la Corte di Giustizia 
dell�Unione Europea nel caso Simmenthal, esiste un chiaro divieto di riconoscere una 
qualsiasi efficacia giuridica ad atti legislativi nazionali che invadano la sfera nella quale 
si esplica il potere legislativo della comunit�, o altrimenti incompatibili con il diritto 
comunitario (64). Questa circostanza rende necessario l�intervento della Comunit�, come 
sembra anche confermare l�articolo 48 secondo comma della Carta delle Nazioni Unite, 
secondo il quale le decisioni del Consiglio di Sicurezza sono eseguite dai Membri delle 
Nazioni Unite direttamente o mediante la loro azione nelle organizzazioni internazionali 
competenti di cui siano Membri. 
62. Ricapitolando, gli Stati membri sono vincolati al rispetto delle Risoluzioni del Consiglio 
di Sicurezza a norma degli Articoli 25 e 103; la prassi degli Stati che vogliono tener 
fede alle loro obbligazioni internazionali esclude o limita fortemente la review di atti di 
mera implementazione di Risoluzioni vincolate del Consiglio; la Comunit� � vincolata 
ai medesimi obblighi internazionali gravanti originariamente sugli Stati membri; la Comunit� 
non potrebbe agire in modo da determinare la responsabilit� internazionale dei 
suoi membri. Da ci� consegue che la Comunit� � tenuta alla fedele implementazione 
delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza a contenuto vincolato, come quella che contiene 
la blacklist applicata al Sig. Kadi. 
63.A ritenere diversamente, si finirebbe tra l�altro con il disconoscere la diversa rilevanza 
e il diverso regime giuridico cui sono riconducibili le disposizioni comunitarie che non 
implementano una decisione del Consiglio, ma che contribuiscono a darne contenuto, 
come � il caso delle misure comunitarie di recepimento della Risoluzione 1373 (2001). 
In questo caso la Comunit�, chiamata all�esercizio di una discrezionalit� politica nella 
adozione delle misure imposte dalla Risoluzione, non agisce quale mero agente degli 
Stati membri. L�atto comunitario di implementazione, in altri termini, non � mero veiculum 
di una determinazione gi� assunta ad altro livello, ma � atto comunitario autonomo, 
manifestazione di una volont� dell�Unione che gli organi giurisdizionali hanno 
a pieno titolo il diritto di sindacare, come ritenuto dal Tribunale di Primo Grado nel caso 
OMPI. � dunque legittimo ritenere che la diversit� fra i due regimi (vincolato e autonomo) 
si espliciti anche sotto il profilo del controllo giurisdizionale. Profilo che, a ben 
guardare, costituisce una delle diverse manifestazioni delle valutazioni compiute dal 
Consiglio di Sicurezza nell�affrontare una determinata minaccia. In altri termini, � lecito 
ritenere che quando il Consiglio di Sicurezza decide di adottare una Risoluzione a carattere 
vincolato, lo faccia anche in ragione della particolare pericolosit� della minaccia 
che vuole contrastare; negare la differenza fra i due regimi (autonomo e vincolato) sotto 
(63) La base legale per l�adozione dei provvedimenti in esame, vale a dire il combinato disposto 
degli articoli 60, 301 e 308, � gi� stata confermata e ritenuta valida nel caso Yusuf. 
(64) Si veda Simmenthal, causa 106/77, 9 marzo 1978.
24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
il profilo del controllo giurisdizionale significa in ultima analisi negare i margini di apprezzamento 
di cui il Consiglio di Sicurezza dispone nel suo agire a norma del Capitolo 
VII della Carta. 
C.5 Impossibilit� di distinguere, ai fini del sindacato di legittimit�, fra Risoluzione del 
Consiglio di Sicurezza e atto comunitario di mera implementazione. 
64. La Repubblica italiana, nel ribadire la propria posizione in ordine alla immunit� dalla 
giurisdizione degli atti di mera implementazione delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, 
desidera altres� focalizzare l�attenzione su un ulteriore punto, correttamente individuato 
dagli appellanti. La sentenza della Corte di Giustizia nel caso Kadi poggia 
sulla statuizione che le Risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza a norma del Capitolo 
VII della Carta delle Nazioni Unite non possono essere sottoposte a sindacato di 
legittimit�, in quanto tale attivit� costituirebbe un�illecita intrusione in una materia, la 
tutela della pace e della sicurezza internazionali, che, come gi� visto, rientra fra le competenze 
esclusive del Consiglio di Sicurezza. A parere della Corte, in modo particolare, 
la primazia della Risoluzione del Consiglio nell�ambito del diritto internazionale rimarrebbe 
inalterata. Al contrario, atti di implementazione di tali Risoluzioni sarebbero regolarmente 
sottoponibili a sindacato di legittimit�. 
65. Come pi� volte ricordato, in ogni caso, gli Stati membri non dispongono di alcun potere 
discrezionale nella fase di implementazione, con la conseguenza che il Regolamento 
comunitario riproduce pedissequamente il contenuto della Risoluzione medesima. Per 
dirlo con le parole di un autorevole autore, il Regolamento comunitario di implementazione 
della Risoluzione del Consiglio �had merely transposed the Security Council Resolutiotions 
into the Community legal order� (65). In questi casi, �any attempt to 
distinguish between the domestic implementing legislation and the UN Security Council 
Resolutions, and thus any attempt to claim that review of one is not necessarily also an 
inderect review of the other, is drawing an illusionary distinction� (66). Ancora, secondo 
altra parte della dottrina: �there is no doubt, indeed, that when a domestic court controls 
the legality of an act taken in implementation of a strict obligation imposed by the Security 
Council, it is infact also undertaking a review of the Council measure� (67). 
66. Risulta pertanto difficile conciliare questa considerazione di tipo sostanziale con la posizione 
formalistica assunta dalla Corte, secondo la quale �il controllo di legittimit� che 
deve essere garantito dal giudice comunitario deve avere ad oggetto l�atto comunitario 
volto ad attuare l�accordo internazionale in questione, e non quest�ultimo e, ancora, che 
per quanto riguarda, in particolare, un atto comunitario che, come il regolamento controverso, 
mira ad attuare una risoluzione del Consiglio di sicurezza adottata in base al 
capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, non spetta al giudice comunitario, nell�ambito 
della competenza esclusiva prevista dall�art. 220 CE, controllare la legittimit� di 
(65) Si veda: DEFEIS, Targeted Sanctions, Human Rights, and the Court of First Instance of the 
European Community, in Fordham Journal of International Law, 2007, 1457. 
(66) Si veda FINLAY, Between a Rock and a Hard Place: the Kadi Decision and Judicial Review of 
Security Council Resolutions, in Tulane Journal of International and Comparative Law, 2010, 478 ss. 
(67) Si veda TZANAKOUPOLOS, Domestic Court Reactions to UN Security Council Sanction, disponibile 
al sito http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1480184
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 25 
una tale risoluzione adottata dal citato organo internazionale, quand�anche tale controllo 
si limitasse all�esame della compatibilit� di tale risoluzione con lo ius cogens�(68) . 
Adottando l�approccio sostanziale sopra delineato, e considerando che la Corte nega la 
sindacabilit� di un atto internazionale in quanto tale, non si pu� non riconoscere la illegittimit� 
del sindacato su un atto di mera implementazione. 
D. Secondo motivo di appello: l�errore del Tribunale del richiedere uno standard di 
review �full and rigorous� 
67. In subordine al punto ora indicato, la Repubblica italiana condivide e desidera associarsi 
alle considerazioni della Commissione europea in ordine all'errore incorso dal Tribunale 
di primo grado nel ritenere che la Corte di Giustizia avesse gi� fissato nella causa Kadi 
I (C-402/05 P) lo standard di judicial review richiesto per i regolamenti comunitari e 
che tale standard debba essere improntato ai criteri di una review �full and rigorous�. 
In primo luogo, come si vedr�, la Corte di Giustizia non ha fornito indicazioni in ordine 
a tale standard. In secondo luogo, qualora effettivamente, come la Corte ha indicato, i 
regolamenti comunitari di implementazione non godano di immunit� dalla giurisdizione, 
lo standard del sindacato di giurisdizionalit� non pu� essere quello che il Tribunale di 
primo grado ritiene di aver individuato nelle statuizioni della Corte di Giustizia. Tale 
sentenza, qualora se ne condividano i postulati, deve essere infatti applicata in maniera 
tale da non determinare l'imposizione agli Stati membri di un comportamento che violi 
inevitabilmente il diritto internazionale. 
D.1 Il giudizio della Corte di Giustizia (C-402/05 P) in ordine alla portata e all'intensit� 
del controllo giurisdizionale 
68. Nella causa T-85/09, il Tribunale di Primo grado ha affermato che nello stabilire, a conclusione 
di un lungo ragionamento, che il controllo di legittimit� doveva essere in linea 
di principio completo, ed esercitarsi in conformit� alle competenze di cui i giudici comunitari 
sono investiti in forza del Trattato CE, e nel respingere esplicitamente, oltretutto, 
la tesi del Tribunale secondo cui l�atto in questione doveva beneficiare di un�immunit� 
giurisdizionale in quanto si limitava a dare attuazione a risoluzioni adottate dal Consiglio 
di Sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, la Corte ha fornito 
un�indicazione assolutamente chiara quanto alla portata e all�intensit� da attribuirsi normalmente 
a tale controllo. Nell'opinione del Tribunale, tali standard dovrebbero conformarsi 
alle regole di un controllo giurisdizionale �completo e rigoroso� (69). 
69. Inoltre, il Tribunale di Primo Grado ha tratto delle conclusioni in ordine all�ampiezza 
di tale sindacato di legittimit�, ritenendo che esso debba estendersi alla verifica della 
fondatezza dell�atto impugnato nonch� dei vizi di cui potrebbe risultare affetto. Il ragionamento 
del Tribunale di primo grado continua nel senso di estendere il controllo 
giurisdizionale del giudice comunitario non solo sulla fondatezza apparente dell�atto 
impugnato, ma anche sugli elementi probatori e di informazione su cui si basano le valutazioni 
svolte nell�atto stesso (70). 
(68) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 222. 
(69) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafo 177. 
(70) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafo 179.
26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
D.2 Il mancato pronunciamento della Corte di Giustizia sullo standard del controllo 
giurisdizionale 
70. La Repubblica Italiana si associa alle conclusioni della Commissione secondo le quali 
la Corte di Giustizia nel caso Kadi (C-402/05 P) non si � pronunciata sull�intensit� del 
controllo cui l�atto comunitario di implementazione debba essere eventualmente sottoposto. 
Il linguaggio utilizzato dalla Corte � infatti piuttosto sfumato e non consente di 
trarre le rigide conclusioni cui il Tribunale di Primo Grado � invece pervenuto. Ci� � 
particolarmente evidente nella versione inglese della sentenza. Secondo la Corte, �it is 
not a consequence of the principles governing the international legal order under the 
United Nations that any judicial review of the internal lawfulness of the contested regulation 
in the light of fundamental freedoms is excluded by virtue of the fact that that 
measure is intended to give effect to a resolution of the Security Council adopted under 
Chapter VII of the Charter of the United Nations� (71). 
71. Nel parlare di �any judicial review� la Corte dunque esclude che l�atto goda di un�immunit� 
assoluta dal controllo giurisdizionale, fermo restando che sotto alcuni profili 
l�atto potrebbe comunque essere sottratto al controllo dei giudici. A ci� si deve aggiungere 
che secondo la Corte di Giustizia, � l�esistenza nell�ambito di tale regime delle Nazioni 
Unite della procedura di riesame dinanzi al comitato per le sanzioni, anche tenendo 
conto delle recenti modifiche che vi sono state apportate, non pu� comportare un�immunit� 
giurisdizionale generalizzata nell�ambito dell�ordinamento giuridico interno della 
Comunit�� (72). Ancora una volta, l'impiego dell�aggettivo �generalizzata� non conduce 
alla conclusione che il controllo di legittimit� debba essere pieno e rigoroso, ma che 
possa, e debba, al contrario, tener conto della circostanza in cui tale controllo deve essere 
esercitato, fra cui anche il fatto che l'atto in questione � volto a implementare una Risoluzione 
vincolante del Consiglio di Sicurezza adottata a norma del Capitolo VII della 
Carta ONU. Il che sembra essere ulteriormente confermato dalla considerazione che, 
secondo la Corte, la mancanza di immunit� assoluta dalla giurisdizione dell�atto di implementazione 
si traduce nella possibilit� di effettuare un controllo non gi� sempre e 
comunque completo, ma completo solamente �in linea di principio� (73). 
72. Questo linguaggio sfumato richiede perlomeno uno studio approfondito delle circostanze 
fattuali nell�ambito delle quali il sindacato di legittimit� deve esplicitarsi. Studio che la 
Corte di Giustizia nel caso Kadi I (C-402/05 P) non ha compiuto e che dunque il Tribunale 
di Primo Grado non pu� aver fatto proprio. Come giustamente notato dalla Commissione 
nel suo atto d'appello, non avendo preso una posizione precisa sull'ampiezza e sulla portata 
del sindacato di legittimit�, la Corte di Giustizia non ha neppure individuato �the precise 
standards and procedural guarantees applicable to cases such as those of Mr Kadi� (74). 
73. In effetti, se deve trarsi qualche conclusione in merito allo standard del controllo giurisdizionale 
richiesto dalla Corte di Giustizia, risulta che questo non implica necessariamente 
la comunicazione delle evidenze fattuali in base alle quali una certa misura viene 
(71) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 5. 
(72) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 321. 
(73) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 326. 
(74) Si veda atto d�appello della commissione.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 27 
adottata nei confronti del ricorrente, ma solo le ragioni per cui tale misura � stata adottata. 
Stando al pronunciamento della Corte, infatti, �l�autorit� comunitaria in questione 
� tenuta a comunicare detti motivi alla persona o entit� interessata, per quanto possibile, 
al momento in cui tale inclusione � stata decisa, o, quantomeno, il pi� rapidamente possibile 
dopo tale decisione, in modo da consentire ai destinatari di esercitare, entro i termini, 
il loro diritto di ricorso� (75). 
74. L�osservanza di tale obbligo di comunicare detti motivi � infatti necessaria sia per consentire 
ai destinatari delle misure restrittive di difendere i loro diritti nelle migliori condizioni 
possibili e di decidere, con piena cognizione di causa, se sia utile per loro adire 
il giudice comunitario, sia per consentire pienamente a quest�ultimo di esercitare il controllo 
della legittimit� dell�atto comunitario di cui trattasi, cui � tenuto ai sensi del Trattato 
CE. La Corte di Giustizia ritiene dunque che la comunicazione dei motivi sia 
sufficiente per consentire �pienamente al giudice comunitario di esercitare il controllo 
di legittimit�� (76). 
75. Date le particolari circostanze dunque sembra che la Corte consideri soddisfacente ai 
fini della realizzazione di un controllo pieno anche solo la valutazione dei motivi, attestando 
lo standard della review a livelli diversi rispetto a quel rigore e quell'assolutezza 
cui il Tribunale di Primo Grado appare far riferimento. 
D.3 Conseguenze dell�applicazione dello standard di controllo giurisdizionale previsto 
dal Tribunale (T-85/09) 
76. D'altra parte, l'applicazione dello standard di controllo giurisdizionale richiesto dal Tribunale 
di Primo Grado non � sostenibile per vari ordini di ragioni. 
(a) Rischio di mancata distinzione rispetto al regime autonomo 
77. In primo luogo, il grado di intensit� del sindacato richiesto dal Tribunale nella causa (T- 
85/09) � quello tradizionalmente utilizzato dal Tribunale di Primo Grado per verificare 
la legittimit� di misure di implementazione adottate nell'ambito del regime sanzionatorio 
autonomo, di cui si � discusso in precedenza (paragrafo 20). Richiamando le considerazioni 
svolte in tale sede, sembra opportuno ricordare come laddove le misure adottate 
a norma del regime introdotto dalla Risoluzione 1267(1999) e 1370(2001) siano sottoposte 
al medesimo regime di controllo, si finirebbe per negare in modo indiretto la rilevanza 
della distinzione politica e giuridica fra le due categorie di sanzioni: l'una rimessa 
alle valutazioni esclusive del Consiglio di Sicurezza; l'altra integrabile da valutazioni 
politiche dei singoli Stati membri nell'ambito dell'Unione e dunque censurabili anche 
nel merito. 
(b) Il consiglio di Sicurezza verrebbe a essere esautorato del suo ruolo e l'Unione perderebbe 
la possibilit� di agire quale attore internazionale virtuoso, cosa alla quale 
� vincolata dai trattati 
78. In secondo luogo, nel richiedere lo standard di controllo giurisdizionale pieno e completo, 
volto a verificare e, se del caso, contestare, la valenza probatoria del materiale su 
(75) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 326. 
(76) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 329.
28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
cui il Consiglio di Sicurezza ha adottato la decisione di inserire una persona in una blacklist, 
le istituzioni comunitarie finiscono necessariamente per sostituire la loro valutazione 
a quella compiuta dal Consiglio di Sicurezza. Tale conclusione � per� insostenibile 
e confligge palesemente con la statuizione della Corte di Giustizia secondo la quale in 
ogni caso � preclusa agli organi comunitari la possibilit� di sostituire la propria valutazione 
a quella del Consiglio, che a norma dell'articolo 24 delle Nazioni Unite � organo 
deputato in via principale alla tutela della pace e della sicurezza internazionali. 
79. Come � stato correttamente indicato dalla Corte di Giustizia nel caso Kadi I (C-402/05 
P), infatti, la Comunit� � tenuta ad attribuire particolare importanza al fatto che, a norma 
dell�art. 24 della Carta delle Nazioni Unite, l�adozione da parte del Consiglio di Sicurezza 
di risoluzioni in base al capitolo VII di detta carta costituisce l�esercizio della responsabilit� 
principale di cui � investito tale organo internazionale per mantenere, su 
scala mondiale, la pace e la sicurezza, responsabilit� che, nell�ambito del citato capitolo 
VII, include il potere di determinare ci� che costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza 
internazionali, nonch� di assumere le misure necessarie per il mantenimento o 
il ristabilimento di queste ultime. L'opinione della Corte � tanto pi� condivisibile laddove 
si consideri che le determinazioni del Consiglio di Sicurezza si basano su un complesso 
sistema di intelligence ed expertise, articolato su pi� livelli, di cui nessun organo giurisdizionale 
comunitario potrebbe effettivamente disporre. 
80. Qualora gli organi giudiziari comunitari o nazionali sostituissero la loro valutazione a 
quella del Consiglio di Sicurezza, l'intero sistema centralizzato di risposta alle crisi internazionali 
verrebbe a crollare sotto i colpi di interpretazioni necessariamente diverse 
e scoordinate di �chi o che cosa possa costituire una minaccia alla pace e alla sicurezza 
internazionale�. 
D.5 Conseguenze dell�eventuale annullamento del Regolamento 
81. Il grado di controllo giurisdizionale che la Corte ha ritenuto opportuno nel caso Kadi risulta 
insostenibile anche per altre ragioni, in particolare modo per le conseguenze che 
esso determinerebbe in ordine al rispetto da parte degli Stati membri dei loro obblighi 
internazionali. In primo luogo, � chiaro che laddove una corte annulli una misura che 
d� attuazione a una risoluzione vincolante del Consiglio di Sicurezza, lo Stato che di 
fatto non provvede ad adeguarsi alla Risoluzione medesima viola i suoi obblighi a norma 
dell'articolo 25 della Carta delle Nazioni Unite. Ci� vale non solo nella prospettiva del 
diritto nazionale, ma anche in quella del diritto comunitario, poich�, come sottolineato 
nelle osservazioni precedenti, la Comunit� ha assunto in alcune materie gli obblighi internazionali 
che in precedenza gravavano in capo agli Stati. 
82. Che la decisione di una corte possa poi porre lo Stato (ovvero, la Comunit�, e, di riflesso, 
gli Stati membri) in una condizione di violazione dei suoi obblighi internazionali � confermato 
autorevolmente dall'articolo 4 del Commentario della International Law Commission 
sulla responsabilit� degli Stati per il compimento di illeciti internazionali. 
Secondo il report della Commissione, infatti, �the conduct of any State organ shall be 
considered an act of that State under international law, whether the organ exercises legislative, 
executive, judicial or any other functions, whatever position it holds in the organization 
of the State, and whatever its character as an organ of the central
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 29 
Government or of a territorial unit of the State� (77). 
83. In modo particolare, l'adozione di uno standard di review �full and rigorous�, esteso 
anche al merito della misura, e il conseguente potenziale annullamento del regolamento, 
pone gli Stati membri dell�Unione in una situazione che in termini economici si potrebbe 
definire di lose-lose, caratterizzata dal fatto che quale che sia la decisione in concreto 
assunta dallo Stato membro, esso si trover� comunque ad agire illegalmente, o sotto il 
profilo del diritto internazionale o sotto il profilo del diritto comunitario. Chiaramente 
infatti l�annullamento della misura di implementazione di una Risoluzione del Consiglio 
di Sicurezza pone obbligazioni contrastanti in capo agli Stati membri dell�Unione, determinando 
un problema di doppia fedelt�. Due scenari bene illustrano la situazione in 
esame. Si ipotizzi in primo luogo che gli organi giurisdizionali comunitari annullino il 
regolamento in esame. Per le ragioni esposte in precedenza questa circostanza determina 
la responsabilit� internazionale degli Stati membri. Si ipotizzi invece, in secondo luogo, 
che gli Stati membri, non volendo andare incontro a responsabilit� internazionale, provvedano 
autonomamente a dare attuazione alla misura di implementazione, facendo da 
soli ci� che non hanno potuto fare a livello comunitario. In questo caso, gli Stati assumerebbero 
un comportamento illecito dal punto di vista del diritto comunitario, arrogandosi 
il diritto di legiferare in materie di competenza esclusiva dell�Unione (come si 
� detto in precedenza l�attuazione di sanzioni individuali determina necessariamente un 
forte impatto sul funzionamento del mercato comune). 
84. Al limite, per evitare di qualificare il comportamento come illecito alla luce del diritto 
comunitario, e considerarlo, per cos� dire, scriminato, si potrebbe invocare la norma di 
cui all�art. 103 della Carta ONU, che attribuisce agli obblighi derivanti dalla Carta prevalenza 
su qualsiasi altro obbligo internazionale. La norma, vale a dire, consentirebbe 
allo Stato di scegliere, nel caso di conflitto di obbligazioni, quale adempiere. Questa 
linea di argomentazione � per� troppo formalistica. La violazione del principio della 
prevalenza del diritto comunitario su quello degli Stati membri, che necessariamente 
conseguirebbe laddove gli Stati provvedessero in maniera autonoma a legiferare su materie 
di esclusiva competenza comunitaria, non pu� essere messa alla stregua di qualsiasi 
altra violazione del diritto UE. Al contrario, la violazione del principio della prevalenza 
del diritto comunitario su quello nazionale, metterebbe in crisi gli stessi principi fondamentali 
sui quali l�Unione europea si regge, ed equivarrebbe in ultima analisi allo smantellamento 
dei suoi presupposti ideologici e giuridici. 
85. Dalle considerazioni sopra riportate risulta con chiarezza che l�adozione dello standard 
di review che il Tribunale di Primo Grado ha ritenuto di dover applicare, e il conseguente 
annullamento del regolamento contestato, forzano gli Stati in una posizione di antigiuridicit� 
inevitabile, quale che sia il comportamento che essi decidano di mettere in atto. 
Che in tale situazione �contra ius� i paesi membri siano poi stati forzati dalla sentenza 
di un Tribunale � quanto mai paradossale. Per tale ragione � necessario che la Corte di 
Giustizia provveda a sanare il vulnus alla legalit� internazionale arrecato dalla sentenza 
del Tribunale nella causa T-85/09 e a trarre gli Stati membri dell�Unione fuori dalla si- 
(77) Si veda UN Doc A/56/10 2001.
30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
tuazione di responsabilit� da illecito internazionale nella quale essi al momento versano. 
D.6 Ulteriori considerazioni sulla impraticabilit� di uno standard di review �full and 
rigorous� 
86. Oltre a quelle gi� svolte, anche altre considerazioni militano nel senso della impraticabilit� 
dello standard di sindacato di legittimit� richiesto dal Tribunale nella sentenza 
Kadi II. Affinch� le corti comunitarie possano effettuare un controllo completo quale 
quello postulato dal Tribunale, dovrebbero entrare in possesso di tutto il materiale probatorio 
e fattuale sulla base del quale il Consiglio di Sicurezza ha assunto le proprie determinazioni. 
Il materiale probatorio utilizzato in sede di Nazioni Unite, per�, � 
caratterizzato da profili di segretezza e delicatezza investigativa tali da sconsigliarne la 
divulgazione a organismi estranei a quelli deputati alla lotta al terrorismo internazionale. 
Questa � senz�altro la determinazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, 
organo politico nei confronti del quale un eventuale ordine di disclosure e di comunicazione 
delle informazioni per finalit� giudiziarie sarebbe assolutamente impensabile, oltre 
che probabilmente non consentito in punto di stretto diritto per ragioni di immunit� delle 
organizzazioni internazionali. Il controllo di legalit� sarebbe dunque impedito gi� in 
questa fase. 
87. D�altra parte, le informazioni che non sono nella disponibilit� degli organi giurisdizionali 
comunitari non sono neppure accessibili alle altre istituzioni. Pertanto, quand�anche, 
come il Tribunale di Primo Grado ha richiesto, fosse necessario rendere edotto il destinatario 
di un provvedimento di congelamento dei beni delle prove, e non solo delle ragioni 
per cui detto provvedimento � stato adottato, non sarebbe possibile adempiere tale 
obbligo in ragione della indisponibilit� del materiale probatorio che solo il Consiglio di 
Sicurezza possiede e che solo in sede di Consiglio di Sicurezza, attraverso le procedure 
descritte pi� avanti, sarebbe eventualmente possibile mettere in discussione. Tale circostanza 
determina uno stato di illegittimit� internazionale sostanzialmente perenne: nel 
caso in esame, ad esempio, il Sig. Kadi continua ed essere iscritto nella lista consolidata 
prevista dalla Risoluzione 1267. Le autorit� comunitarie, vistesi annullare il regolamento 
di implementazione per non aver fornito al ricorrente l�indicazione degli elementi probatori 
a suo carico, non sarebbero comunque nelle condizioni, anche se lo volessero, di 
ri-adottare il regolamento sanando il vizio individuato dai giudici, proprio perch� prive 
delle informazioni che dovrebbero fornire alla persona colpita dal provvedimento di 
balckisting. 
88. Ci� non significa ovviamente che le corti comunitarie debbano astenersi da qualsiasi 
tipo di controllo sugli atti di implementazione adottati in seno all�Unione; tale controllo, 
ad ogni modo, dovrebbe limitari espressamente al momento formale dell�implementazione, 
concentrandosi su elementi quali la base giuridica delle misure di implementazione, 
eventuali errori nella trasposizione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, 
ad esempio i casi di error in persona, nonch� qualsiasi altra questione nella quale siano 
attribuiti alle autorit� implementatrici dei margini discrezionali di apprezzamento delle 
determinazioni del Consiglio ONU. Laddove vizi di questo genere fossero riscontrati, 
contrariamente all�ipotesi valutata nel precedente paragrafo 87, essi potrebbero essere 
sanati dalle istituzioni comunitarie, poich� esse, avendo la piena disponibilit� e il pieno 
controllo delle procedure formali di implementazione, non avrebbero ostacoli a confor-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 31 
marsi alle determinazioni degli organi giurisdizionali, ad esempio ri-adottando in maniera 
corretta un regolamento annullato in ragione di un error in persona. 
D.7 La natura non penale e preventiva delle misure di asset freezing e l�impatto sullo 
standard della judicial review 
89. Anche la natura e la corretta qualificazione delle misure adottate a norma della Risoluzione 
1267 influiscono in maniera non irrilevante sul grado di controllo giurisdizionale 
cui tali provvedimenti debbono essere sottoposti. Non par dubbio infatti che in un�ottica 
di bilanciamento e contemperamento fra valori contrapposti (nel caso di specie, il diritto 
alla propriet� e quello alla sicurezza internazionale), la natura del bene giuridico protetto 
e del male giuridico minacciato siano determinanti fondamentali nella individuazione 
del punto di equlibrio. Il primo interrogativo da risolvere, pertanto, (interrogativo che 
anche il Tribunale di Primo Grado nella causa Kadi II si pone (78)), � se le misure di 
congelamento dei beni siano da intendersi come misure a carattere penale sanzionatorio 
e punitivo o se, al contrario, esse siano adottate a conclusione di un procedimento amministrativo 
(sebbene di alta amministrazione), configurandosi dunque come misure 
non penali e dal carattere meramente preventivo. In questo caso, in ragione della minore 
gravit� del male giuridico minacciato, anche le garanzie procedimentali potranno essere 
calibrate nel senso di una maggiore tutela del bene giuridico protetto, consentendo ad 
esempio delle compressioni del diritto al contradditorio non ammesse nel caso di procedimenti 
penali. 
90. La Repubblica italiana, associandosi alla posizione del Consiglio, della Commissione e 
del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, ritiene che le misure in oggetto 
siano misure non penali a carattere preventivo e cautelare. Numerosi elementi depongono 
a favore di tale conclusione. 
91. In primo luogo, la loro qualificazione in sede di Consiglio di Sicurezza � chiara. Come 
indicato in numerose risoluzioni (79), esse sono volte a prevenire il compimento di atti 
terroristici e a impedire in generale la possibilit� che l�organizzazione terroristica target 
possa realizzare gli obiettivi che si prefigge. Le rilevanti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 
non richiamano in alcun punto il carattere punitivo o sanzionatorio delle misure 
in esame, qualificandole piuttosto come provvedimenti di natura cautelare (80). Parimenti, 
il Comitato 1267 ha definito l�asset freezing come una �misura preventiva a carattere 
temporaneo� (81). 
92. Ancor pi� che alla qualificazione che di un certo provvedimento viene data in sede di 
Nazioni Unite, ad ogni modo, il giudice comunitario dovrebbe guardare alla esatta caratterizzazione 
delle misure di asset freezing alla luce del diritto dell'Unione europea. 
Di fatti, dall�inserimento della misura in un tipus piuttosto che in un altro, discendono 
conseguenze diverse sul grado di tutela giurisdizionale esperibile a livello comunitario 
(78) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa T-85/09, 30 settembre 2010, paragrafo 150. 
(79) Si veda in generale Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1822 (2008). 
(80) Si vedano in generale Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1822 (2008) e Risoluzione del 
Consiglio di Sicurezza 1267 (1999). 
(81) Si veda Comitato 1267 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Assets freeze: explanation 
of term 2.
32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
avverso il provvedimento contestato. Anche a livello di diritto dell�Unione europea, 
pertanto, il primo interrogativo da risolvere � se la misura in esame abbia o meno carattere 
penale. Questa distinzione � stata per la prima volta esplicitata dal Tribunale di 
Primo Grado nel caso El Morabit (82). In questo caso, il ricorrente aveva invocato il 
principio della presunzione di innocenza per contestare il suo inserimento in una blacklist, 
in ragione del fatto che la sentenza richiamata dagli organi comunitari quale base 
fattuale per l�inserimento nell�elencazione non era ancora definitiva. Il Tribunale, nel 
rigettare l�argomentazione del ricorrente, ha affermato che la presunzione di innocenza 
non impedisce l�adozione di una misura precauzionale a carattere preventivo, quale ad 
esempio il congelamento di beni, poich� queste non si configurano come sanzioni e 
pertanto non implicano una decisione sulla colpevolezza o non colpevolezza del soggetto 
affetto. L�applicazione di una misura di tal genere, ha continuato il Tribunale, 
non consegue all�accertamento della commissione di un reato, ma si configura semplicemente 
come l�esito di una procedura amministrativa la cui natura � quella della 
mera prevenzione, e che consente al Consiglio di combattere in maniera efficace il fenomeno 
terroristico (83). 
93. La Corte di Giustizia dell�Unione europea nel caso Kadi I ha espressamente assunto la 
medesima posizione, qualificando le misure di congelamento dei beni alla stregua di 
misure precauzionali e temporanee. Il che � ulteriormente confermato, sebbene in maniera 
implicita, nel corso del giudizio: nell�escludere la necessit� di sentire gli individui 
colpiti dal congelamento dei beni prima dell�adozione delle misure medesime, al fine 
di salvaguardarne il carattere della sorpresa, la Corte conferma la natura squisitamente 
preventiva degli atti in esame. 
94. N�, ad avviso della Repubblica italiana, pu� addursi quale discrimine fra misure amministrative 
e misure penali la loro durata temporale, come pure lascia intendere parte della 
dottrina, con considerazioni fatte proprie anche dalla difesa del Sig. Kadi (84). Se � 
vero che il fattore temporale incide senza dubbio sulla compressione dei diritti della 
persona colpita, non sembra comunque consentito elevare tale elemento a nozione caratterizzante 
di una misura penale dalle finalit� punitive. Invero, ad argomentare diversamente, 
si ricadrebbe necessariamente nell�arbitrio, in mancanza di punti di riferimento 
normativi certi: dopo quanto tempo una misura nata come preventiva si trasforma in punitiva? 
Qual � il limite temporale oltre il quale si determina la mutazione? N� vale a 
qualificare come punitiva, piuttosto che preventiva, una certa misura, l�elemento materiale 
in cui la sanzione si concretizza, come ad esempio la privazione della disponibilit� 
di beni del soggetto colpito. A ben guardare, negli ordinamenti interni degli Stati membri, 
cos� come nel diritto dell�Unione Europea, a una medesima fattispecie materiale potrebbero 
corrispondere provvedimenti diversi quanto alla finalit� e alla natura. Si prenda, 
primo fra tutti, il provvedimento di privazione della libert� di un individuo: ad esso po- 
(82) Si veda El Morabit, cause riunite T-37/07 e T-323/07, 2 settembre 2009, paragrafi 43-44. 
(83) Si veda El Morabit, cause riunite T-37/07 e T-323/07, 2 settembre 2009, paragrafi 43-44. Si 
veda anche VAN DE BROEK ET AL., Asset Freezing: Smart Sanction or Criminal Charge?, in Utrecht 
Journal of International and European Law, 2010, 18 ss. 
(84) Si veda, su tutti, BOTHE, Security Council�s Targeted Sanctions Against Presumed Terrorists: The 
need to comply with human rights standards, in Journal of International Criminal Justice, 2008, 541 ss.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 33 
trebbe essere sottesa tanto una finalit� preventiva e cautelare, volta ad impedire la reiterazione 
del reato, quanto un proposito punitivo, una volta che il fatto illecito sia stato 
nel concreto accertato. 
95. Alla luce di queste considerazioni, occorre trovare un altro criterio di distinzione, che 
pu� facilmente individuarsi nella ratio della misura, a prescindere dalle modalit� operative 
con le quali essa si concretizza, dal pregiudizio che essa arreca al diritto della persona 
colpita e dalla durata temporale di tale pregiudizio. Appare dunque chiaro che la 
misura di congelamento dei beni � preventiva e amministrativa, in quanto prescinde da 
un accertamento in sede penale di un qualsiasi reato e perch� perdura fintanto che perdura 
la minaccia che essa cerca di prevenire. Venuta meno l�una, anche l�altra perde efficacia 
e le procedure di revisione e delisting in seno al comitato 1267, indicate nelle 
pagine precedenti, dimostrano palesemente l�esistenza di un tale nesso. 
96. La natura amministrativa e non penale delle misure in esame � circostanza carica di conseguenze 
(85), come si � gi� visto. A ulteriore riprova, basti considerare che in numerosi 
ambiti del diritto comunitario, dalla qualificazione di un provvedimento come amministrativo 
o penale discendono conseguenze diverse. Ad esempio, mentre misure di carattere 
penale ricadono senza dubbio nell�ambito di applicazione dell�Art. 6(1) della 
Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo (86), norma interpretata in maniera estensiva 
dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e che riconosce in modo ampio il diritto a un 
equo processo, lo stesso non pu� dirsi per provvedimenti di carattere amministrativo. 
In questo caso la giurisprudenza sviluppata dalla Corte di Giustizia dell�Unione Europea, 
soprattutto nel caso Bollor�, si limita al riconoscimento del diritto a un �fair hearing�. 
Nel caso in cui ad essere adottate siano misure dal carattere amministrativo, quali indubbiamente 
sono le misure di congelamento dei beni di sospetti terroristi, tale diritto 
ad un �fair hearing�si sostanzia semplicemente nel diritto a essere sentiti dalla autorit� 
amministrativa che ha emanato l�atto (87). Al contrario, nel caso di misure penali, la 
Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha indicato la necessit� che la persona colpita sia 
sentita davanti a un organo giudiziario imparziale e indipendente, come puntualmente 
rilevato nel caso Hauschiltd (88). 
97. Inoltre, il requisito di un �public hearing�, richiesto dalla giurisprudenza della Corte Europea 
(85) Si veda per questa elencazione VAN DE BROEK ET AL., Asset Freezing: Smart Sanction or 
Criminal Charge?, in Utrecht Journal of International and European Law, 2010, 18 ss. 
(86) Si veda articolo 6(1) della Convenzione europea dei diritti dell�uomo: Ogni persona ha diritto 
a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale 
indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale decider� sia delle controversie sui suoi 
diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. La sentenza 
deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza pu� essere vietato alla stampa e 
al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza 
nazionale in una societ� democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione 
della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, 
quando in circostanze speciali la pubblicit� pu� pregiudicare gli interessi della giustizia. 
(87) Si veda Bollor�, cause riunite 109/02 T, T 118/02, T 122/02, T 125/02, T 126/02, T 128/02, 
T 129/02, T 132/02, 26 aprile 2007, paragrafo 143. 
(88) Si veda Hauschiltd, App. 10486/83, 24 maggio 1989. Sul punto anche MAHONEY, The Right to 
a Fair Trial in Criminal Matters Under Art. 6 ECHR, in Judicial Studies Institute Journal, 2004, 107 ss.
34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
dei Diritti dell'Uomo per quanto riguarda misure sanzionatorie dal carattere penale, non � 
contemplato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell�Unione Europea (89). 
98. Un�altra fondamentale differenza fra le misure di carattere amministrativo e misure di 
carattere penale � costituita dalle implicazioni che esse determinano sul principio della 
presunzione di innocenza. Tale caposaldo del diritto processuale penale � consacrato 
all�articolo 6(2) della Convenzione Europea dei Diritti dell� Uomo (90) e da esso la giurisprudenza 
della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo ha tratto numerosi corollari, relativi 
ai procedimenti che si concludono con l'adozione di una misura punitiva a carattere 
penale, quali ad esempio il principio per cui nessuno pu� essere costretto ad accusare 
se stesso e il diritto di rimanere in silenzio (91). La giurisprudenza comunitaria, al contrario, 
ha esplicitamente escluso che misure di carattere amministrativo possano avere 
un affetto avverso sul principio della presunzione di innocenza (92). 
99. Ancora, secondo la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, il diritto ad una tutela giurisdizionale 
effettiva contenuto all�articolo 6 della Convenzione implica il diritto a ottenere 
assistenza legale durante tutto il procedimento penale (93). Un pari diritto non � 
invece rinvenibile con riguardo alla procedura di comminazione di misure amministrative. 
Vero � che ora tale diritto � menzionato in via implicita nella Carta delle Libert� 
fondamentali dell�Unione Europea (94); � per� ancora incerto, secondo la dottrina, se 
tale previsione normativa sia oppure no applicabile a procedure che si concludono con 
l�adozione di provvedimenti amministrativi (95). 
100. Da ultimo, una differenza fondamentale fra misure dal carattere amministrativo e misure 
dal carattere penale attiene all�applicazione del principio del ne bis in idem, come identificato 
dall'Art. 4 del Settimo Protocollo alla Convenzione europea dei Diritti dell� 
Uomo (96). Se esso trova pacificamente applicazione nei procedimenti che si concludono 
con l�adozione di misure penali a carattere punitivo, lo stesso non pu� dirsi con 
(89) Si veda per questa elencazione VAN DE BROEK ET AL., Asset Freezing: Smart Sanction or 
Criminal Charge?, in Utrecht Journal of International and European Law, 2010, 18 ss. 
(90) Si veda articolo 6(2) della Convenzione Europea dei Diritti dell�Uomo: Ogni persona accusata 
di un reato � presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. 
(91) Si veda John Murray, App. 18731/91, 8 febbraio 1996. 
(92) Si veda VAN DE BROEK ET AL., Asset Freezing: Smart Sanction or Criminal Charge?, in 
Utrecht Journal of International and European Law, 2010, 18 ss. 
(93) Si veda Edwards, App. 13071/87, 16 dicembre 1999, paragrafi 33-34; Rowe and Davis, App. 
28901/95, 16 febbraio 2000, paragrafo 59. 
(94) Si veda articolo 48(2) della Carta dei Diritti Fondamentali dell�UE: Il rispetto dei diritti della 
difesa � garantito ad ogni imputato. 
(95) Si veda VAN DE BROEK ET AL., Asset Freezing: Smart Sanction or Criminal Charge?, in 
Utrecht Journal of International and European Law, 2010, 18 ss. 
(96) Si veda articolo 4 del VII protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell�Uomo: 
Nessuno pu� essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato 
per un reato per il quale � gi� stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente 
alla legge ed alla procedura penale di tale Stato. 2. Le disposizioni del paragrafo precedente non 
impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato 
interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente 
sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta. Non � autorizzata alcuna deroga al presente articolo 
ai sensi dell'articolo 15 della Convenzione.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 35 
riguardo a procedure amministrative. Anche in questo casi la Carta dei Diritti fondamentali 
contiene tale diritto e lo rende parte integrante del diritto comunitario (97); ma 
la prevalente dottrina ritiene che il campo di applicazione di tale disposizione sia limitato 
ai procedimenti penali (98). Quel che � certo � che ad oggi il principio non � applicato 
alle sanzioni amministrative n� esiste un corpus di giurisprudenza che possa dar conto 
di una inversione di tendenza. E non potrebbe essere altrimenti, in ragione dei numerosi 
problemi di coordinamento che la pi� attenta dottrina non ha mancato di mettere in evidenza: 
come dovrebbe essere applicato il principio del ne bis in idem, nei rapporti fra 
ordinamento comunitario e ordinamenti nazionali degli stati membri? Se una persona � 
colpita da una sentenza di condanna emessa dalla corte di un paese membro (il che, 
come si � visto, � condizione per l'applicazione del regime di sanzioni autonomo della 
UE) e di conseguenza subisce un provvedimento di congelamento dei beni a livello comunitario, 
pu� dirsi che il principio del ne bis in idem sia stato violato? La risposta � 
probabilmente negativa, in ragione del fatto che in altri settori del diritto comunitario, 
provvedimenti di natura amministrativa lesivi dei diritti della persona colpita, subiscono 
una qualche replicazione (99). Ci� avviene ad esempio in materia di competition policy, 
laddove sanzioni possono essere comminate sia a livello comunitario sia a livello nazionale, 
senza che ci� comporti la violazione del principio del ne bis in idem (100). 
101. Le considerazioni sin qui svolte dimostrano che il livello di tutela giurisdizionale e di garanzie 
procedurali collegato all�adozione di un determinato provvedimento lesivo dei diritti 
di un individuo varia in ragione della natura del provvedimento medesimo. Nella fattispecie, 
ad una tutela piena e assoluta, assistita da garanzie sostanziali e procedurali permeanti, 
applicata alle misure penali di carattere punitivo si contrappone una protezione meno 
estesa, che espressamente deroga ad alcuni principi fondamentali del processo penale, nel 
caso delle misure amministrative di carattere preventivo. La differenza dipende soprattutto 
dal carattere temporaneo della misura amministrativa, destinata ad essere sospesa o revocata 
ogniqualvolta vengano meno le ragioni della sua adozione. Non sembra dunque scorretto 
ritenere che, in ragione del diverso grado di tutela associato ai due provvedimenti, 
anche il diritto di difesa del ricorrente non debba avere la stessa ampiezza associata a misure 
punitive di carattere penale, ma possa legittimamente attestarsi a livelli minori. Nel 
caso di specie, la Repubblica italiana ritiene che l�indicazione delle motivazioni al soggetto 
ricorrente sia misura sufficiente a garantirne il diritto alla difesa avverso misure preventive 
e amministrative e che tale comunicazione realizzi pienamente il diritto della persona colpita, 
data la peculiare natura del provvedimento assunto nei suoi confronti. 
E. Terzo motivo di appello: mancata considerazione dei miglioramenti nelle procedure 
di delisting 
(97) Si veda articolo 50 della Carta dei Diritti Fondamentali: Nessuno pu� essere perseguito o 
condannato per un reato per il quale � gi� stato assolto o condannato nell�Unione a seguito di una sentenza 
penale definitiva conformemente alla legge. 
(98) Si veda ESER, Human Rights Guarantees for Criminal Law and Procedure in the EU Charter 
of Fundamental Rights, in Ritsumeikan Law Review, 2009, 185 ss. 
(99) Si veda VAN DE BROEK ET AL., Asset Freezing: Smart Sanction or Criminal Charge?, in 
Utrecht Journal of International and European Law, 2010, 18 ss. 
(100) Si veda Kyowa Hakko Kogy, caso T-223/00, 9 luglio 2003.
36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
E.1 La procedura di listing e delisting in origine prevista dalla Risoluzione 1267 (101) 
102. Congiuntamente ai punti precedentemente considerati, la Repubblica italiana rileva 
come le procedure per l�iscrizione, la cancellazione o la modifica di nominativi di sospetti 
terroristi ai sensi della Risoluzione 1267 (1999) abbiano subito nel tempo un 
processo di revisione ispirato ai principi della garanzia dei diritti del ricorrente, soprattutto 
nella prospettiva del suo diritto a una difesa piena ed effettiva. Tali considerazioni, 
gi� anticipate dalla Commissione europea nella sua memoria di difesa nella 
causa T-85/09, non sono state prese in considerazione dal Tribunale di Primo Grado. 
Anche alla luce delle ulteriori modifiche intervenute nel corso dell�anno 2010, che 
hanno costituito ius superveniens per la decisione della Corte in Kadi I (C-402/05 P), 
la Repubblica Italiana desidera associarsi alle considerazioni della Commissione e di 
aderirvi come segue. 
103. Conviene in primo luogo ricordare che destinatari delle misure di congelamento sono 
persone �associate� alla rete di Al-Qaeda e dei Talebani. Tale vincolo di associazione si 
sostanzia in diversi gradi di integrazione nell�organizzazione terroristica, segnatamente: 
(a) participating in the financing, planning, facilitating, preparing or perpetrating of 
acts or activities by, in conjunction with, under the name of, or in support of; (b) supplying, 
selling or transferring arms and related material to; (c) recruiting for; or (d) 
otherwise supporting acts or activities of Al-Qaida, Usama bin Laden or the Taliban, 
or any cell, affiliate, splinter group or derivative thereof (102). 
104. Ogni Stato pu� presentare il nome di una persona o di un gruppo ai fini del loro inserimento 
nella lista. Sino ad alcuni anni fa il Consiglio di Sicurezza si limitava a ratificare 
in via amministrativa la richiesta proveniente da altri Stati e ad attribuire alla relativa 
delibera valore universale con efficacia erga omnes. Alla persona inserita nella lista era 
preclusa la possibilit� di venire a conoscenza del fatto stesso di essere stata inclusa nella 
elencazione; gli era preclusa la possibilit� di essere messa a parte delle motivazioni del 
listing; n� il sospetto terrorista poteva ricorrere a mezzi di tutela effettivi per ottenere la 
cancellazione del proprio nome dalla blacklist: l�unica via percorribile consisteva nel 
convincere lo Stato che aveva proposto il nominativo della erroneit� della inclusione 
nella lista, fermo restando che il Consiglio di Sicurezza avrebbe avuto il potere discrezionale 
di decidere se accedere alla richiesta di delisting eventualmente proposta dallo 
Stato ovvero non darvi seguito. 
105. Rispetto a tale situazione, il quadro procedurale � oggi mutato significativamente, anche 
a seguito dell�appello dell�Assemblea Generale delle Nazioni Unite a �ensure that fair 
and clear procedures exist for placing individuals and entities on sanctions lists and removing 
them, as well as for granting humanitarian exceptions� (103) 
106. In primo luogo, prima del 2004, gli Stati membri delle Nazioni Unite potevano presentare 
richieste per l�iscrizione nella lista consolidata senza doversi attenere a linee guida 
(101) Per una dettagliata analisi delle procedure di listing e delisting e relative modifiche si veda 
il paper Blacklisted, prodotto dallo European Center for Constitutional and Human Rights. 
(102) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, paragrafo 2, 1617 (2005). 
(103) Si veda A/RES/60/1, 2005 World Summit Outcome Document [paragrafo 109]. Disponibile 
online, al sito internet: http://unpan1.un.org/intradoc/groups/public/documents/UN/ UNPAN021752.pdf
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 37 
o parametri di riferimento. Di norma gli Stati procedevano a una richiesta di iscrizione 
sulla base di semplici indicazioni di intelligence. L�unico tentativo di individuare criteri 
quantomeno generali cui gli Stati avrebbero dovuto attenersi prima di presentare una richiesta 
di listing era quello sviluppato in sede di Unione Europea dalla posizione comune 
2001/931/PESC, adottata per implementare la Risoluzione del Consiglio 1373 (2001). 
Secondo tale posizione, l�inserimento in una blacklist comunitaria poteva avvenire solamente 
�sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo da cui risulta che 
un�autorit� competente ha preso una decisione nei confronti delle persone, gruppi ed 
entit� interessati, si tratti dell�apertura di indagini o di azioni penali per un atto terroristico, 
il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale atto o la sua agevolazione, basate 
su prove o indizi seri e credibili, o si tratti di una condanna per tali fatti �. L�articolo 
4 della posizione comune prosegue affermando che �ai fini dell�applicazione del presente 
paragrafo, per �autorit� competente� s�intende un�autorit� giudiziaria o, se le autorit� 
giudiziarie non hanno competenza nel settore di cui al presente paragrafo, 
un�equivalente autorit� competente nel settore (104). 
107. Sebbene il requisito previsto dall�art. 4 della posizione comune , che sottrae la proposta 
di listing al mero arbitrio dello Stato interessato, non abbia un equivalente specifico a 
livello di Nazioni Unite, anche in questa sede sono stati fatti numerosi passi avanti per 
regolamentare il pi� possibile le procedure di proposta di iscrizione in blacklist. In modo 
particolare, con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1617 (2005) gli Stati membri 
sono chiamati a fornire al Comitato 1267 una elencazione delle prove (statement of case) 
sulle quali essi basano l�introduzione di un certo nominativo nella elencazione di cui 
alla Risoluzione 1267 (105); La Risoluzione 1735 (2006) ha chiarito il contenuto di tale 
statement of case, che deve consistere di (a) specific information supporting a determination 
that the individual or entity meets the criteria above; (b) the nature ofthe information 
and (c) supporting information or documents that can be provided; States should 
include details of any connection between the proposed designee and any currently listed 
individual or entit� (106). 
108. CՏ anche da rilevare come le guidelines del 9 dicembre 2008 del Comitato 1267 consigliano 
agli Stati che propongono l�inserimento di un nominativo nella lista consolidata 
di entrare in contatto in maniera preventiva con lo Stato di nazionalit� o di residenza 
della persona sospettata, al fine di acquisire ulteriori informazioni. 
109. Il Consiglio di conseguenza non si limita a ratificare in via amministrativa una decisione 
gi� assunta a livello statale, ma detiene il potere di valutare la sufficienza e la congruit� 
delle informazioni fornite e, se del caso, rifiutare l�inserimento della persona sospetta, 
contrariamente a quanto richiesto dallo Stato proponente. Ci� � confermato dal linguaggio 
della Risoluzione che parla di �proposta� di inserimento, e dal fatto che tale inserimento 
deve avvenire per consensus. Gli stati che ritengano non opportune le prove 
fornite dal proponente o che nutrano dubbi circa la loro valenza probatoria, potrebbero 
in questa fase bloccare la procedura di listing. A ci� si aggiunga che a partire dal 2008 
(104) Si veda Posizione Comune 2001/931/PESC, Articolo 4. 
(105) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, paragrafo 4, 1617 (2005). 
(106) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, paragrafo 5, 1735 (2006).
38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
il Comitato 1267 � tenuto redigere un breve resoconto delle ragioni del listing (narrative 
summary), provvedendo, ove possibile, a renderlo parzialmente accessibile al pubblico 
tramite pubblicazione sulla pagina web del Comitato medesimo. Estratti del narrative 
summary relativo al sig. Kadi figura regolarmente sulla pagina online del Comitato 1267 
(107). Inoltre, ancor prima di un effettivo provvedimento di listing, le Nazioni Unite 
dovrebbero rendere pubbliche alcune delle informazioni che costituiscono lo �statement 
of case� per l�iscrizione in una lista consolidata. 
110. Altro miglioramento nella garanzie procedurali riconosciute a chi venga iscritto in una 
delle liste consolidate � costituito dalla comunicazione del provvedimento di iscrizione 
alla persona interessata. In un primo momento il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni 
Unite si � limitato, con la Risoluzione 1526(2004) a esortare con forza gli Stati a �inform, 
to the extent possible, individuals and entities included in the Committee�s list of the 
measures imposed on them� (108). Successivamente il Consiglio di Sicurezza ha formalmente 
richiesto al Segretariato di dar comunicazione agli Stati, con cadenza trimestrale, 
delle iscrizioni in blacklist. 
111. Con la Risoluzione 1735 (2006) il Consiglio di Sicurezza ha altres� introdotto una pi� 
trasparente procedura di notifica delle iscrizioni in lista. Entro due settimane dall�inserimento 
di un nuovo nominativo, il Comitato 1267 � tenuto a darne comunicazione alla 
Missione permanente del paese di cui la persona iscritta � cittadino o di cui possiede la 
residenza (109). A partire dal 2008 la finestra temporale per la notifica � stata ridotta a 
una settimana (110). Una volta ricevuta la notifica, gli Stati destinatari delle informazioni 
devono darne comunicazione alle persone interessate in tempi brevi, secondo modalit� 
previste dal diritto interno di ciascun ordinamento (111). Vero � che alla persona inserita 
in blacklist viene negato il diritto essere sentita prima dell�adozione del provvedimento. 
112. Tale costrizione procedurale � tuttavia giustificata alla luce della necessit� di impedire che 
il sospetto terrorista possa porre in essere operazioni atte a vanificare il congelamento dei 
suoi beni (ad esempio, trasferendone nominalmente la propriet� a terzi). Anche la Corte di 
Giustizia dell�Unione Europea ha ritenuto che il diritto a essere sentiti prima dell�adozione 
di una misure in qualche modo lesiva nei confronti dell�interessato non � assoluto. Di fatti, 
�al fine di raggiungere l�obiettivo perseguito, misure siffatte devono, per loro stessa natura, 
poter beneficiare di un effetto sorpresa e, [�], applicarsi con effetto immediato � (112). 
113. Le garanzie procedurali dei soggetti inseriti nelle liste hanno registrato un ulteriore miglioramento 
a seguito della previsione di meccanismi di revisione periodica delle liste 
medesime in seno al Consiglio di Sicurezza e al Comitato 1267, con la conseguenza che 
l�inserimento in blacklist non � a tempo indeterminato, ma cessa ogniqualvolta, in occasione 
della revisione, venga accertato il venir meno dei motivi dell�inserimento. Per 
(107) Il resoconto delle ragioni del listing (narrative summary) relativo al Sig. Kadi � disponibile 
alla pagina web: http://www.un.org/sc/committees/1267/NSQI02201E.shtml 
(108) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1526 (2004), paragrafo 18. 
(109) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1735 (2006), paragrafo 10. 
(110) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1822 (2008), paragrafo 15. 
(111) Si veda Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1822 (2008), paragrafo 17. 
(112) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 340.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 39 
quel che concerne in particolar modo la lista prevista dalla Risoluzione 1267, la revisione 
� prevista con cadenza annuale. La revisione � condotta sulla base di uno scambio di 
informazioni fra il Comitato 1267, lo Stato che ha proposto l�inserimento della persona 
nella lista e gli Stati di cui la persona � cittadino o nel quale ha la residenza. Inoltre, nel 
2008, il Consiglio di Sicurezza ha chiesto formalmente al Comitato 1267 di procedere 
a una revisione generale della blacklist istituita con la Risoluzione 1267, da completare 
entro due anni. In adempimento di tale indicazione del Consiglio di Sicurezza, il Comitato 
1267 ha anche deciso di far circolare con cadenza fra gli Stati che propongono nomi 
da inserire nella lista e fra quelli di nazionalit� o residenza, un outline dei nomi di volta 
in volta figuranti nell�elencazione, chiedendo a questi Stati di fornire, entro tre mesi, 
un�indicazione aggiornata delle informazioni poste alla base della inclusione nella lista 
stessa. Anche le procedure di de-listing adottate dal Consiglio di Sicurezza garantiscono 
un maggior grado di protezione agli individui che rientrano in una delle liste. 
114. Difatti, seguendo la posizione delle Nazioni Unite �to ensuring that fair and clear procedures 
exist for placing individuals and entities on sanction lists and for removing 
them, as well as for granting humanitarian exceptions�(113), il consiglio di Sicurezza 
ha adottato una procedura di delisting nell'allegato alla Risoluzione 1730(2006). A norma 
della Risoluzione, esistono sostanzialmente due canali per esperir euna procedura di delisitng: 
o attraverso lo Stato di cittadinanza o residenza dell'individuo colpito dalla Risoluzione, 
ovvero attraverso l'accesso diretto a un organismo delle Nazioni Unite, il cos� 
detto Focal Point. Secondo la dottrina, l'istituzione di tale "focal point" costituisce un 
passo significativo nel miglioramento delle garanzie procedurali del sospettato. 
115. L'accesso al focal point per chiedere una misura di de-listing � consentito solo alle persone 
colpite da misure di congelamento dei beni che risultino iscritti in una delle blacklists 
delle Nazioni Unite. Coloro che cercano un provvedimento di delisting possono 
oggi inoltrare una richiesta direttamente davanti ai competenti organi delle Nazioni 
Unite, mentre in precedenza l'unica via era quella della protezione diplomatica che, in 
quanto diritto dello Stato, e non dell'individuo che ne chiedeva l'esercizio, era rimessa 
spesso a valutazioni discrezionali di carattere politico. In secondo luogo, la protezione 
diplomatica viene riservata ai cittadini di un determinato Stato. L'accesso diretto consente 
anche a coloro che risiedano, magari da anni, in uno Stato estero, usufruiscano 
della procedura di de-listing, senza dover convincere lo Stato di nazionalit�, con il quale 
potrebbero non avere pi� alcun legame, ad esperire tale procedura. 
116. La richiesta di de-listing deve essere presentata in forma scritta e il relativo formulario 
� reso disponibile sul sito web del comitato 1267. Nella petizione, che dunque consente 
alla persona colpita di portare le Nazioni Unite a conoscenza delle sue ragioni, devono 
essere indicate le ragioni per cui il soggetto ritiene di non rientrare pi� fra i criteri delineati 
dalle Risoluzioni del Consiglio che lo iscrivevano in lista. Tale esposizione delle 
ragioni deve essere supportata dall'indicazione di documenti probatori a sostegno. 
117. Una volta che il focal point riceve la richiesta di delisting, provvede a trasmetterla allo 
Stato che aveva chiesto l'iscrizione dell'individuo nella blacklist e allo Stato di naziona- 
(113) United Nations General Assembly Resolution 60/1, 2005 World Summit Outcome, paragrafo 109.
40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
lit� o residenza. Valutate le ragioni del ricorrente, tanto lo Stato che ha proposto il listing, 
quanto quello di residenza e quello di nazionalit�. La proposta di de-listing deve essere 
successivamente inoltrata al Chairperson del Comitato 1267 e, a questo punto, la proposta 
di cancellazione dalla lista viene inserita nell'agenda dei lavori del Comitato. Se 
il focal point non riceve entro tre mesi proposte di de-listing da parte dello Stato che ha 
proposto l'iscrizione o da quello di nazionalit� o residenza, provvede a darne comunicazione 
ai membri del Comitato 1267, i quali possono avanzare, sentiti gli Stati interessati, 
una proposta di de-listing. Laddove anche in questo caso non vengano presentate 
proposte di cancellazione dalla lista, la richiesta si considera respinta. 
118. Nonostante i significativi miglioramenti introdotti da questa procedura, la Corte di Giustizia 
dell'Unione Europea ha statuito che il meccanismo non � ancora tale da garantire 
una tutela giurisdizionale effettiva per quel che concerne la protezione dei diritti dei 
soggetti coinvolti (114). 
119. In generale, la Corte ha ritenuto insufficiente il meccanismo in esame per la mancanza 
di imparzialit� e indipendenza: sono gli Stati che decidono quali enti e individui iscrivere 
nella lista e sono i medesimi Stati a decidere se e con quale tempistica rimuovere tali 
soggetti dalla lista. Vero � che la decisione non � lasciata all'arbitrio dei membri del Comitato 
1267, poich� questi debbono in qualche modo motivare le posizioni assunte. Le 
perplessit� in ordine a una procedura dal carattere parziale e privo di indipendenza possono 
per� superarsi alla luce degli ulteriori sviluppi che hanno caratterizzato le procedure 
di revisione delle blacklist in sede di Consiglio di Sicurezza. La Risoluzione 1904(2009) 
ha introdotto la figura dell'Ombudsperson, un organo imparziale e indipendente che ha 
il compito di assistere il Comitato 1267 nella gestione delle richieste di de-listing. A 
norma della rilevante Risoluzione del Consiglio, la figura dell' Ombusdsperson � costituita 
da un individuo di alta moralit�, imparzialit�, integrit�, e di elevate competenze 
nel campo dei diritti umani, dell'antiterrorismo e dei vari regimi sanzionatori adottati 
dal Consiglio di Sicurezza. L'Ombudsperson � chiamato a svolgere la sua funzione in 
maniera imparziale e indipendente. 
120. Sebbene la decisione finale in ordine al de-listing continui a essere riservata al Comitato 
1267, l'Ombudsperson svolge un ruolo fondamentale nella raccolta delle prove e nella 
fase istruttoria preparatoria alla decisione del Comitato, con il quale l'Ombudsperson 
ha l'obbligo di confrontarsi. La Risoluzione 1904(2009) ha inoltre influito in maniera 
rilevante sull'accountabilty del Comitato 1267 con riguardo alle modalit� di gestione 
dei processi di de-listing. Viene infatti a essere formalizzata una tendenza che stava gi� 
affermandosi in seno al comitato, segnatamente l'impegno da parte degli Stati membri 
a indicare le ragioni per cui una certa richiesta di de-listing viene rifiutata. E' importante 
rilevare come, sebbene il focal point fosse gi� esistente al momento della pronuncia 
della sentenza del Tribunale di Primo Grado nel caso Kadi I, gli sviluppi procedurali 
costituiti dall'introduzione dell'Ombudsperson sono assolute novit� che non sono ancora 
state prese in considerazione dagli organi giurisdizionali comunitari. 
121. Nelle pagine che seguono la Repubblica italiana, aderendo ai motivi d'appello presentati 
(114) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 322.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 41 
dalla Commissione e dal Consiglio, cercher� di dimostrare come, alla luce della delicatezza 
della materia in esame, le procedure previste in sede di Nazioni Unite siano tali 
da consentire al ricorrente di difendere in maniera adeguata i suoi diritti. 
122. Con la sentenza resa nel caso Kadi I (115), la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha 
riconosciuto che il procedimento di review amministrativa delle blacklists in sede di Nazioni 
Unite non consentiva, data la sua parzialit� e il suo carattere politico, una tutela 
effettiva dei diritti dei potenziali ricorrenti e che pertanto il diritto a un equo processo 
garantito dal diritto comunitario era loro negato. Le circostanze prese in esame dalla 
Corte erano ovviamente quelle vigenti al momento della pronuncia e non potevano tener 
conto dei miglioramenti procedurali determinati soprattutto a seguito della Risoluzione 
1904(2009). L'istituzione della figura dell'Ombudsperson consente infatti al ricorrente 
di beneficiare di un vero e proprio sistema di administrative due process, improntato ai 
principi della trasparenza, dell'indipendenza e della imparzialit�, riconducibile a una figura 
istituzionale che � tenuta a non ricevere istruzioni da alcun governo. Il che evidentemente 
consente di superare molte delle critiche concernenti l'eccesiva politicizzazione 
del procedimento di review. 
123. Vero � che l'ufficio dell'Ombudsperson si configura come uno strumento di carattere 
amministrativo, non parificabile dal punto di vista strutturale e funzionale a un organo 
giudiziario vero e proprio. D'altra parte per� la sentenza della Corte di Giustizia nel caso 
Kadi non ha richiesto l'istituzione di un vero e proprio tribunale internazionale nell'ambito 
del sistema delle Nazioni Unite. Al contrario, la decisione della Corte sembra porre 
una sorta di obbligazione di risultato, richiedendo semplicemente un procedimento che 
offra "the guarantees of judicial protection" (116), senza indicare l'effettivo organo istituzionale 
deputato a porre in essere tali garanzie. 
124. Se con "guarantees of judicial protection" si intendono i requisiti classici caratteristici 
della funzione giudiziaria, segnatamente imparzialit� e indipendenza, � evidente che 
questi sono condivisi anche dall' Ufficio dell'Ombudsperson previsto dalla Risoluzione 
1904. D'altra parte, anche i due rapporti commissionati dalle Nazioni Unite, rispettivamente 
al Prof. Bardo Fassbender e al Watson Institute for International Studies della 
Brown University, consigliano non necessariamente l'istituzione in sede di Nazioni Unite 
di un vero e proprio tribunale internazionale, ma al contrario l'implementazione di una 
procedura amministrativa che ne condivida in qualche modo i caratteri (117). 
125. � chiaro inoltre che un meccanismo di revisione simile a quello dell'Ombudsperson � 
gi� impiegato nell'ambito di altre organizzazioni internazionali, come nel caso nella 
Banca Mondiale con il World Bank Inspection Panel. Il panel consente agli individui 
interessati di contestare progetti che la banca intende intraprendere sulla base della loro 
contrarit� alle policies della Banca e alle linee guida internazionali che essa � tenuta a 
seguire. I membri del panel sono indipendenti rispetto alla banca e hanno il potere di 
esprimere un giudizio sulle decisioni contestate della Banca medesima e di produrre dei 
(115) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-315/01, 3 settembre 2008, paragrafi 321-326. 
(116) Si veda Yassin Abdullah Kadi, causa C-402/05 P, 3 settembre 2008, paragrafo 322. 
(117) Disponibili alle pagine web http://untreaty.un.org/ola/media/info_from_lc/Fassbender_study.pdf 
e http://www.watsoninstitute.org/pub/Strengthening_Targeted_Sanctions.pdf 
42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
reports in merito, anche se questi non hanno effetti vincolanti. 
126. Di tale procedura � stato detto che �it provides some sort of hints as to [the] possibility 
of an independent [,] non-judicial review procedure. The essential point is that it constitutes 
a fruitful compromise. . . . It does not constitute an outside judicial review, it is 
administrative in nature. On the other hand, it provides a guarantee for an independent 
control of decisions and an effective remedy for those actors which are affected by the 
Bank's decisions. That independence and the ensuing impartiality provide a certain 
equivalence to a procedure of judicial review� (118). 
127. D'altra parte, non solo l'istituzione di un vero e proprio organo giudiziario competente 
a valutare le richieste di de-listing non � richiesto dalla Corte di Giustizia; ma esso non 
� neppure auspicabile in ragione del ruolo del Consiglio di Sicurezza nel combattere il 
terrorismo quale fenomeno pregiudizievole alla pace e alla sicurezza internazionale. 
Una procedura di tipo amministrativo come quella ora delineata consente al Consiglio 
di meglio calibrare le sue strategie di lotta al crimine internazionale e costituisce una 
sorta di autotutela amministrativa (sebbene caratterizzata da ben pi� elevati standards 
di indipendenza e iniziata su istanza di parte) posta non solo a garanzia del ricorrente, 
ma del Consiglio di Sicurezza medesimo. In altre parole, la procedura amministrativa 
in esame, oltre a configurare uno snodo essenziale del diritto alla difesa di chi ritenga 
di essere stato illegittimamente inserito in una delle liste consolidate per il congelamento 
dei beni, costituisce anche un momento fondamentale per il perfezionamento e la definizione 
delle strategie che il consiglio di Sicurezza ritiene di dover adottare nell'adempimento 
che la Carta delle Nazioni Unite ad esso attribuisce. 
128. Queste considerazioni conducono a ritenere che non solo la procedura amministrativa 
sia quella che meglio consente di conciliare l'interesse del ricorrente con quello della 
Comunit� delle nazioni al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, ma 
anche che, laddove si continuasse a voler ammettere un controllo giurisdizionale da 
parte degli organi comunitari, tale procedura amministrativa sarebbe comunque pregiudiziale 
a tale controllo, con la conseguenza che l�organo indebitamente investito di una 
doglianza dovrebbe dichiarare il difetto della propria giurisdizione. 
129. In primo luogo, dal punto di vista di una semplice logica implementativa, � chiaro che 
la Comunit� � tenuta a adeguare il contenuto del diritto comunitario alle eventuali modifiche 
delle liste consolidate, con la conseguenza che una modifica per via amministrativa 
della blacklist si riverbererebbe necessariamente anche sul contenuto degli 
strumenti europei di implementazione, senza necessit� di passare per una pronuncia di 
illegittimit� dei medesimi. 
130. Vero � che la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni, cui la proposta pregiudizialit� 
della procedura amministrativa si ispira, non � una regola generale del diritto internazionale 
e non potrebbe essere invocata in termini assoluti. Ma le specificit� del 
caso in esame impongono considerazioni diverse, che derogano alle regole generali. Difatti, 
la procedura amministrativa in esame � stata introdotta tramite una risoluzione del 
(118) Si veda BOTHE, Security Council's Targeted Sanctions Against Presumed Terrorists: The 
Need to Comply with Human Rights Standards, in Journal of International Criminal Justice, 2008, 541.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 43 
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottata a norma del Capitolo VII della Carta. 
Nel predisporla il Consiglio di Sicurezza ha adottato una misura che, seppur in maniera 
meno evidente rispetto all'iscrizione in una blacklist, condivide con essa la finalit� di 
tutelare la pace e la sicurezza internazionali. 
131. D'altra parte, che l'istituzione di un organo con funzioni giurisdizionali o quasi-giurisdizionali, 
come la figura dell'Ombudsperson possa costituire una misura non implicante 
l'uso della forza volta a contrastare una minaccia internazionale non sembra essere in 
discussione. Ci� risulta con chiarezza dalla statuizione della Camera d'appello del Tribunale 
Penale per i crimini commessi nella Ex-Jugoslavia nel caso Tadic, secondo il 
quale "Once the Security Council determines that a particular situation poses a threat 
to the peace or that there exists a breach of the peace or an act of aggression, it enjoys 
a wide margin of discretion in choosing the course of action". Secondo il Tribunale penale 
internazionale, dunque "establishment of the International Tribunal falls squarely 
within the powers of the Security Council under Article 41" (119). 
132. Poich� l'istituzione di un Tribunale internazionale rientra dunque fra le misure che il 
Consiglio di Sicurezza pu� adottare per la tutela della pace e della sicurezza internazionali, 
a maggior ragione dovrebbe rientrarvi una procedura amministrativa complementare 
a misure che pi� tipicamente rientrano fra quelle riconducibili al novero dell'articolo 
41, come le misure di congelamento dei beni. 
133. Se questo � lo status giuridico della procedura amministrativa in esame, e se il Consiglio 
di Sicurezza, agendo a norma del Capitolo VII, ha considerato tale misura necessaria, 
essa assume natura ed effetto vincolanti. Non pu� pi� essere aggirata o �bypassata�, ma 
si configura come fase necessaria e preliminare rispetto a qualsiasi altro strumento di 
redress che la persona sospetta desideri azionare per far valere le sue ragioni. Ragionare 
altrimenti, e consentire al ricorrente di adire direttamente gli organi giudiziari comunitari, 
significherebbe negare il carattere vincolante della Risoluzione del Consiglio e non 
tenere in considerazione il ruolo primario che esso ha nel definire le modalit� con le 
quali affrontare una certa minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali. 
F. Conclusioni 
134. Alla luce delle considerazioni svolte nelle pagine precedenti, la Repubblica italiana 
chiede alla Corte di Giustizia di annullare, nella sua interezza, la sentenza del Tribunale 
resa nel caso Kadi II (T-805/09) e rigettare di conseguenza la domanda di annullamento 
del Regolamento 1190/2008, nella misura in cui questo lo concerne 
Avv. Gabriella Palmieri Avv. Maurizio Fiorilli 
Agente del Governo Italiano Vice Avvocato Generale dello Stato 
(119) Prosecutor v. Dusko Tadic, a/k/a �Dule�, Interlocutory Appeal, IT-94-1-AR72, 2-10-1995, 29.
44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Europa: il sistema integrato di tutela dei diritti fondamentali 
Paola Maria Zerman* 
SOMMARIO: 1. - La complessit� del problema 2. - Il punto di partenza: il doppio binario individuato 
dall�art. 6 del Trattato di Lisbona 3. - La strada pi� percorsa. Il ricorso alla CEDU 
3.1. - La CEDU nel sistema delle fonti dopo l�entrata in vigore del Trattato di Lisbona 4. - La 
Carta dei diritti. a) L�ambito di applicazione della Carta. b) L�attuazione dei principi contenuti 
nella carta. La riserva di legge nazionale. Il principio di sussidiariet�. Quale sorte per le materie 
escluse? 5. - Il sistema integrato di tutela dei diritti fondamentali. 
1. La complessit� del problema 
Sebbene antichi come l�uomo, i diritti fondamentali della persona si delineano 
come la nuova frontiera con cui si confrontano giudici nazionali e comunitari 
in un contesto normativo particolarmente complesso. 
Lo sforzo ricostruttivo per delineare il sistema di protezione dei diritti fondamentali 
della persona si presenta all�interprete assai arduo per un duplice ordine 
di motivi. 
Il primo perch� coinvolge una pluralit� di fonti normative, a livello nazionale 
ed europeo, in cui i rapporti gerarchici hanno contorni non di rado incerti e mutevoli, 
anche in seguito all�entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Di questo disorientamento 
vi sono tracce nelle decisioni dei giudici nazionali, che procedono 
a tentoni nell�applicazione della CEDU e della Carta di Nizza e pi� per intuizione 
che per chiara consapevolezza dei limiti e dell�efficacia delle stesse (1). 
Il secondo motivo � rappresentato dalla particolare delicatezza delle materie 
coinvolte, che, per la vicinanza a temi eticamente sensibili, non di rado 
sono soggetti ad operazione ermeneutiche orientate se non addirittura manipolatorie. 
Si ricordi la vasta eco mediatica che ha riguardato vicende come quella 
dell�esposizione nelle aule scolastiche del crocifisso, recentemente risolta positivamente 
dalla Cedu (2), nonch� l�ammissibilit� nel nostro ordinamento del 
(*) Avvocato dello Stato. 
(1) Vedi su questo punto l�interessante disamina di LINDA D�ANCONA in www.europeanrighst.eu 
2010: �L�efficacia della Carta di Nizza nella giurisprudenza nazionale dopo Lisbona�, l�autrice rileva 
che: �E� utile tenere presente che, almeno in apparenza, la Carta di Nizza sembra essere stata utilizzata 
dai Giudici italiani senza il bench� minimo accenno ad una diversa efficacia o vigore, conseguito dalla 
Carta a seguito dell�approvazione del Trattato. Con estrema franchezza, sembra che i Giudici di primo 
grado non se ne siano accorti�. 
(2) Decisione della Grande Chambre del 18 marzo 2011 nel caso Lautsi c/Italia (ricorso n. 
30814/06). La Corte ha osservato tra l�altro che: �Le mot �respecter�, auquel renvoie l'article 2 du Protocole 
no 1, signifie plus que reconna�tre ou prendre en consid�ration; en sus d'un engagement plut�t 
n�gatif, ce verbe implique � la charge de l'Etat une certaine obligation positive (arr�t Campbell et Cosans 
pr�cit�, � 37). 
Cela �tant, les exigences de la notion de �respect�, que l'on retrouve aussi dans l'article 8 de la Con-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 45 
matrimonio omosessuale, escluso dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 
138 del 2010, e ancora al dibattito in corso sul divieto di fecondazione eterologa 
posto dalla legge 40 al prossimo esame della Corte Costituzionale (3). 
2. Il punto di partenza: il doppio binario di tutela individuato dall�art. 6 del 
Trattato di Lisbona 
Come � a tutti noto, il 1 dicembre 2009 � entrato in vigore il Trattato di 
Lisbona, che modifica il Trattato sull'Unione Europea e il Trattato che istituisce 
la Comunit� europea. 
Basilare, per la ricostruzione sistematica della tutela dei diritti fondamentali, 
� l�art. 6 del Trattato. Si riporta per completezza l�intero testo dell�articolo. 
1. �L�Unione riconosce i diritti, le libert� e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali 
dell�Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, 
che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non 
estendono in alcun modo le competenze dell�Unione definite nei trattati. I diritti, le libert� 
e i principi della Carta sono interpretati in conformit� delle disposizioni generali 
del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo 
in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di 
tali disposizioni. 
2. L�Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e 
delle libert� fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell�Unione definite 
nei trattati �. 
Inoltre, come ricordato dal terzo comma, i diritti fondamentali, garantiti 
dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� 
fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati 
membri, fanno parte del diritto dell�Unione in quanto principi generali. 
Dalla lettura del testo riportato emerge che il sistema dei diritti fondamentali 
� basato su un duplice binario di tutela: 
a) il primo, � rappresentato dalla Carta dei diritti fondamentali delvention 
varient beaucoup d'un cas � l'autre, vu la diversit� des pratiques suivies et des conditions existant 
dans les Etats contractants. Elle implique ainsi que lesdits Etats jouissent d'une large marge d'appr�ciation 
pour d�terminer, en fonction des besoins et ressources de la communaut� et des individus, les 
mesures � prendre afin d'assurer l'observation de la Convention. Dans le contexte de l'article 2 du Protocole 
no 1, cette notion signifie en particulier que cette disposition ne saurait s'interpr�ter comme permettant 
aux parents d'exiger de l'Etat qu'il organise un enseignement donn� (voir Bulski c. Pologne 
(d�c.), nos 46254/99 et 31888/02)� e ancora rileva l�autonomia degli Stati in relazione al valore da dare 
ai simboli religiosi �Selon la Cour, la d�cision de perp�tuer ou non une tradition rel�ve en principe de 
la marge d'appr�ciation de l'Etat d�fendeur. La Cour se doit d'ailleurs de prendre en compte le fait que 
l'Europe est caract�ris�e par une grande diversit� entre les Etats qui la composent, notamment sur le 
plan de l'�volution culturelle et historique. Elle souligne toutefois que l'�vocation d'une tradition ne saurait 
exon�rer un Etat contractant de son obligation de respecter les droits et libert�s consacr�s par la 
Convention et ses Protocoles�. 
(3) � fissata l�udienza alla Corte Costituzionale il 20 settembre 2011.
46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
l�Unione europea (c.d. Carta di Nizza). La novit�, e l�importanza, dell�art. 6 � 
costituita dal fatto che viene conferita alla Carta �lo stesso valore giuridico 
dei trattati�. 
b) Il secondo, � costituito dalla Convenzione europea per la salvaguardia 
dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali (CEDU), a cui l�UE aderisce. 
Occorre tenere presente che l�adesione della UE non � ancora avvenuta. 
La stessa � regolata dal protocollo 8 della Trattato di Lisbona, e seguir� la procedura 
descritta nell'art. 218 TFUE (4), che prevede, tra l'altro, la decisione 
all'unanimit� del Consiglio, l'approvazione del Parlamento europeo e l'approvazione 
di tutti gli Stati membri, ciascuno secondo le proprie regole costituzionali 
(5). 
Il duplice richiamo alla Carta di Nizza e alla CEDU, pu� determinare possibilit� 
di sovrapposizione, come esplicitamente riconosciuto dall�art. 52 
comma 3 della Carta, in base alla quale �se la stessa contiene diritti corrispondenti 
a quelli garantiti dalla CEDU � il significato e la portata degli stessi 
sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. Anche se �la presente 
disposizione non preclude che il diritto dell�Unione conceda una protezione 
pi� estesa� la possibilit� di sovrapposizione pu� riguardare anche l�attivit� 
delle due Corti, quella di Giustizia e quella di Strasburgo (6), quali garanti dei 
diritti fondamentali, preoccupazioni che a suo tempo avevano interrotto le pro- 
(4) Secondo il comma 8 dell�art. 218 TFUE: �Il Consiglio delibera all'unanimit� anche per l'accordo 
sull'adesione dell'Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e 
delle libert� fondamentali; la decisione sulla conclusione di tale accordo entra in vigore previa approvazione 
degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali�. 
(5) Art. 2 del Protocollo n. 8 del Trattato di Lisbona stabilisce che l�accordo di adesione dell�Unione 
alla CEDU: �deve garantire che l'adesione non incida n� sulle competenze dell'Unione n� 
sulle attribuzioni delle sue istituzioni. Deve inoltre garantire che nessuna disposizione dello stesso 
incida sulla situazione particolare degli Stati membri nei confronti della convenzione europea e, in 
particolare, riguardo ai suoi protocolli, alle misure prese dagli Stati membri in deroga alla convenzione 
europea ai sensi del suo articolo 15 e a riserve formulate dagli Stati membri nei confronti della convenzione 
europea ai sensi del suo articolo 57 �. 
(6) Preoccupazione effettivamente esistente visto la non chiara delimitazione delle competenze 
delle due Corti in ordine alla protezione dei diritti umani. La risoluzione del parlamento europeo del 
19 maggio 2010 cerca di dissipare l�intricata matassa con un� estesa dissertazione sul ruolo delle due 
Corti rappresentando comunque che: �23. L�adesione dell�UE alla CEDU fornir� uno strumento aggiuntivo 
per applicare i diritti umani, in particolare la possibilit� di presentare una denuncia dinanzi 
alla Corte europea dei diritti dell�uomo in relazione a un�azione o mancata azione dell�istituzione 
dell�UE o di uno Stato membro nel quadro dell�attuazione del diritto dell�Unione, rientrante nell�ambito 
di competenze della CEDU�. Al punto 1 sottolinea poi che �la relazione tra le due Corti europee 
non � gerarchica ma piuttosto di una relazione di specializzazione; la Corte di giustizia dell�Unione 
europea avr� cos� uno status analogo a quello che hanno attualmente le corti supreme degli Stati membri 
rispetto alla Corte europea dei diritti dell�uomo�.V. anche in tal senso la dichiarazione congiunta 
del Presidente della Corte europea dei diritti dell�uomo Jean Paul Costa e quello della Corte di Giustizia 
del 17 gennaio 2011, che focalizza l�attenzione sui futuri rapporti tra le due corti in vista dell�adesione 
dell�Unione europea alla Convenzione �Joint communication from Presidents Costa and 
Skouris�.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 47 
cedure di adesione, anche nel timore delle incertezze derivanti dalla sovrabbondanza 
di fonti di riferimento per la tutela dei diritti. L'eccesso di documenti 
e carte in tema di diritti potrebbe anche trasformarsi in un fattore non secondario 
di indebolimento della posizione del cittadino europeo (7). 
Il richiamo sia alla Carta che alla CEDU � da rinvenirsi nella diversit� 
della fonte di provenienza. La prima � emanazione dell�Unione europea, la seconda 
del Consiglio d�Europa, cui aderiscono, come � noto, molti paesi estranei 
all�Unione (8), la quale ultima aderir� a sua volta alla CEDU. Come 
autorevolmente rilevato (9), l�attuale situazione in cui il sistema della Convenzione 
�vincola tutti gli Stati ma non l�Unione stessa, � fonte di incertezze, 
difficolt� e carenze nell�applicazione della Convenzione�. Non � possibile, 
quindi introdurre un ricorso alla Corte Cedu direttamente contro l�Unione, dovendo 
lo stesso essere diretto contro uno o pi� Stati membri dell�Unione. La 
Corte CEDU ha sul punto ritenuto che l�adesione ad una organizzazione sopranazionale 
con cessione alla stessa di parti della competenza propria statale, 
non elimina il vincolo degli Stati rispetto alla Convenzione (10). 
3. La strada pi� percorsa. Il ricorso alla CEDU 
Un�ampia letteratura scientifica si � formata sul ruolo e l�incidenza della 
CEDU nel sistema della protezione dei diritti fondamentali, anche in seguito 
alla tendenza espansiva della Corte di Strasburgo, che non ha mancato di suscitare 
ampi dibattiti in relazione a note pronunce su temi eticamente sensibili. 
Tuttavia, a un anno e mezzo dall�entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sembra 
da condividere lo stupore di alcuni in ragione de �il prevalente e quasi 
esclusivo soffermarsi della giurisprudenza (e della dottrina al seguito) spesso 
in modo contorto, forzato, cervellotico, sul tema della disapplicazione di 
norme interne per contrasto con la CEDU� (11) dando poca attenzione alla 
immediata attribuzione del valore giuridico primario della Carta di Nizza. 
La CEDU rimane quindi il binario pi� percorso dai giudici per la tutela 
dei diritti umani, anche perch�, come si esaminer� in seguito, la Carta di Nizza, 
se pure pi� ampia sotto il profilo contenutistico, contiene limitazioni per 
quanto concerne l�ambito di applicazione soggettiva. Inoltre, le decisioni della 
Corte di Strasburgo, come da molti sottolineato, stanno assumendo un ruolo 
(7) Cos� CARTABIA MARTA, in �Il trattato di Lisbona� Giornale Dir. Amm., 2010, 3, 221. 
(8) Il Consiglio d�Europa conta oggi 47 membri. Dagli anni �90 ha ricevuto l�adesione di tutti 
gli stati europei tranne la Bielorussia che ancora non raggiunge le condizione minime di democrazia 
e rispetto dei diritti dell�uomo. 
(9) V. ZAGREBELSKI in www.europeanright.eu 2007. 
(10) Sentenze CEDU: Cantoni c. Francia del 15 novembre 1996 e Matthews c. Regno Unito 
del 18 febbraio 1999 citate in nota 2 di Zagrebelski cit. 
(11) Cos� V. SCIARABBA: �La tutela europea dei diritti fondamentali e il giudice italiano�. Relazione 
al �Il Workshop in Diritto internazionale dell�Unione� organizzato da Magistratura democratica 
e Medel, Venezia 8-9 aprile 2011.
48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
sempre pi� incisivo anche in relazione alla efficacia delle decisioni (12). 
3.1. La CEDU nel sistema delle fonti dopo l�entrata in vigore del Trattato di 
Lisbona 
Isolate sono rimaste le pronunce del Consiglio di Stato sez. IV n. 1220 
del 2010 e Tar Lazio sez. II bis n. 11984 del 2010, che hanno ritenuto direttamente 
applicabile la stessa convenzione in seguito all�entrata in vigore del 
trattato di Lisbona. 
In realt� la dottrina si � schierata unanime contro la �comunitarizzazione� 
della CEDU a seguito dell�entrata in vigore del Trattato di Lisbona (13), ritenendo 
che, non essendo ancora intervenuta l�adesione al Trattato, la CEDU 
ha valore come norma interposta che integra il parametro costituzionale di cui 
all�art. 117 Cost. non essendo possibile la diretta applicazione ai sensi dell�art. 
11 della Costituzione come ritenuto dalle due pronunce della giurisprudenza 
amministrativa. 
L�analisi della portata della CEDU, dopo l�entrata in vigore del trattato di 
Lisbona, � stata, infatti, oggetto di alcune pronunce della Corte Costituzionale, 
che ha delineato con fermezza i confini di applicazione della Convenzione, 
come anche da ultimo sottolineato da Corte cost., Sent., 7 aprile 2011, n. 113. 
�A partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, la giurisprudenza di questa Corte � 
costante nel ritenere che le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte 
europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare a esse interpretazione e 
(12) I limiti all�efficacia delle sentenze della Corte di Strasburgo sono posti dagli art. 41 e 46 
della CEDU; secondo quest�ultima norma le �Alte parti contraenti si impegnano a conformarsi alle 
sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti� e prevede ai commi successivi, 
una procedura rivolta all�ottemperanza da parte dello Stato condannato. L�art. 41 prevede che 
se vi � stata violazione della CEDU e il �diritto interno dell�Alta Parte contraente non permette se 
non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, 
un�equa soddisfazione alla parte lesa�. A. GIANSANTI in �Riflessioni in ordine all�efficacia delle sentenze 
della Corte Europea dei diritti umani e agli obblighi di riparazione a carico dello Stato soccombente 
con particolare riguardo al caso Sejdovic c. Italia � evidenzia le attuali tendenze della 
Corte europea ad ampliare l�ambito della propria competenza in materia di riparazione, e ad imporre 
agli Stati membri l�adozione di misure individuali e/o generali in luogo della prescritta �equa soddisfazione�. 
(13) A. CELOTTO: �Il Trattato di Lisbona ha reso la CEDU direttamente applicabile nell�ordinamento 
italiano? � in www.giustamm.it �se � vero che il Trattato consente l�adesione della UE alla 
CEDU, �non solo tale adesione deve ancora avvenire, secondo le procedure del protocollo n. 8 annesso 
al Trattato, ma soprattutto non comporter� l�equiparazione della CEDU al diritto comunitario, 
bens� semplicemente, una loro utilizzabilit� quali principi generali del diritto dell�Unione al pari 
delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Ad avviso di chi scrive, quindi, il Trattato 
di Lisbona nulla ha modificato circa la (non) diretta applicabilit� nell�ordinamento italiano della 
CEDU che resta, per l�Italia solamente un obbligo internazionale, con tutte le conseguenze in termini 
di interpretazione conforme e di prevalenza mediante questione di legittimit� costituzionale, secondo 
quanto gi� riconosciuto dalla Corte Costituzionale�. V. anche: L. D�ANGELO: �Comunitarizzazione� 
dei vincoli internazionali CEDU in virt� del Trattato di Lisbona? No senza una expressio causae in 
www.personaedanno.it. 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 49 
applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) - integrino, quali �norme interposte
�, il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella 
parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli 
�obblighi internazionali� (sentenze n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010; n. 
317 e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008; sulla perdurante validit� di tale ricostruzione 
anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, sentenza n. 
80 del 2011)�. 
La Corte indica quindi le tappe del percorso logico che il giudice nazionale 
deve percorrere in relazione alle modalit� di applicazione della CEDU: 
a) se si profili un eventuale contrasto fra una norma interna e una norma 
della CEDU, il giudice comune deve verificare anzitutto la praticabilit� di una 
interpretazione della prima in senso conforme alla Convenzione, avvalendosi 
di ogni strumento ermeneutico a sua disposizione; 
b) se tale verifica d� esito negativo - non potendo a ci� rimediare tramite 
la semplice non applicazione della norma interna contrastante - egli deve denunciare 
la rilevata incompatibilit�, proponendo questione di legittimit� costituzionale 
in riferimento al parametro di cui all�art. 117 Cost.; 
c) a sua volta, la Corte costituzionale, investita dello scrutinio, pur non 
potendo sindacare l'interpretazione della CEDU data dalla Corte europea, resta 
legittimata a verificare se la norma della Convenzione - la quale si colloca 
pur sempre a un livello sub-costituzionale - si ponga eventualmente in conflitto 
con altre norme della Costituzione; 
d) in caso affermativo, dovr� essere esclusa la idoneit� della norma convenzionale 
a integrare il parametro considerato. 
4. La Carta dei diritti 
In seguito all�entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Carta di Nizza 
ha acquistato la stessa forza giuridica dei trattati. 
Il Giudice nazionale, quindi, sar� tenuto a disapplicare le norme interne 
in contrasto con quanto stabilito dalla Carta. 
Tuttavia, l�operazione ermeneutica non � cos� semplice come pu� apparire 
da questa affermazione. La Carta, infatti, contiene precise indicazioni in ordine 
alla sua operativit� soggettiva che comporta un serio sforzo ricostruttivo, alla 
luce sia dei diritti gi� affermati dalla Convenzione che con i rapporti con la 
nostra Costituzione. 
Per quanto concerne il contenuto della Carta, la stessa risulta pi� articolata 
e pi� ampia rispetto alla CEDU (14). E� strutturata in sette capi che riguardano 
(14) Per la verit� la CEDU ha pi� articoli (59 rispetto ai 46 della Carta di Nizza), ma di minor 
numero sono quelli dedicati ai diritti. Infatti la prima parte della CEDU (art. 1-18) riguarda i diritti. 
Il titolo II riguarda l�istituzione e il funzionamento della Corte Europea dei diritti dell�uomo: art. 
19-51, mentre il titolo III � dedicato a disposizioni varie relative all�applicazione della CEDU.
50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
gli ambiti fondamentali di tutela della persona: il primo riguarda la dignit� 
umana, dal diritto alla vita alla proibizione della schiavit� e della tortura; il 
secondo la tutela della libert� umana, sia per quanto concerne la vita privata e 
familiare che la libert� di espressione, di impresa e propriet�; il terzo pilastro 
riguarda la previsione del principio di uguaglianza, che si articola nel divieto 
di discriminazione, nella previsione dei diritti dei bambini, degli anziani e dei 
disabili; il capo quarto concerne la solidariet� con quanto riguarda il diritto a 
condizioni di lavoro eque e giuste, alla protezione della famiglia sul piano giuridico, 
economico e sociale, alla sicurezza e assistenza sociale, alla protezione 
della salute e dell�ambiente. Il capo quinto, relativo alla cittadinanza, tutela il 
diritto ad una buona amministrazione, il diritto d�accesso ai documenti amministrativi, 
il diritto di voto. Il capo sesto, relativo alla giustizia, contiene importanti 
riconoscimenti dal diritto ad un ricorso effettivo e a un giudice 
imparziale, alla presunzione di innocenza, al principio di legalit� e proporzionalit� 
nelle pene. 
Infine, l�ultimo capo, che contiene disposizioni generali, regola l�ambito 
di applicazione della Carta. 
Su questo capo � necessario soffermarsi, per comprendere il meccanismo 
di operativit� della Carta. 
a) L�ambito di applicazione della Carta 
A mente dell�art. 51, le disposizioni della Carta �si applicano alle istituzioni 
e agli organi dell�Unione nel rispetto del principio di sussidiariet� come 
pure agli Stati membri esclusivamente nell�attuazione del diritto dell�Unione. 
Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono 
l�applicazione secondo le rispettive competenze. 
La presente Carta non introduce competenze nuove o compiti nuovi per 
la Comunit� e per l�Unione, n� modifica le competenze e i compiti definiti dai 
trattati�. 
La disposizione delimita con precisione i confini di applicazione della 
Carta: essi riguardano l�Unione e gli Stati membri esclusivamente nell�attuazione 
del diritto dell�Unione e nel rispetto del principio di sussidiariet�. 
La Carta non comporta l�attribuzione di competenze nuove per l�Unione, 
principio ribadito pi� volte, anche dall�art. 6 del Trattato di Lisbona, dal protocollo 
n. 8 relativo all�adesione della UE alla Carta, dal preambolo della stessa 
e dalle spiegazioni alla Carta stilate sotto la responsabilit� del Praesidium (sub 
art. 51). 
Circostanze che rendono difficoltoso all�interprete comprendere come 
riuscire in concreto a delimitare l�applicazione di un diritto entro determinate 
competenze; difficolt� che ha portato parte della dottrina a ritenere sostanzialmente 
inoperanti le norme sopra riportate relative alla competenza (15), dottrina 
per� contrastata da chi valorizza l�importanza del dato positivo, pi� volte
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 51 
ribadito dalle norme in esame, nonch� dall�effettiva ampiezza delle competenze 
attribuite all�Unione dai trattati, s� da coprire �quasi per intero l�ambito 
della vita collettiva nazionale� (16). 
Si ritiene preferibile un� interpretazione che rispetti il dettato normativo, 
anche per evitare arbitrari sconfinamenti in ambiti non previsti dalla volont� 
comunitaria (17). 
Al fine di una ricostruzione del sistema di funzionamento dei diritti previsti 
dalla Carta di Nizza, decisivo appare il comma 5 dello stesso articolo 51: 
�Le disposizioni della presente Carta che contengono dei principi possono essere attuate 
da atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell'Unione e da 
atti di Stati membri allorch� essi danno attuazione al diritto dell'Unione, nell'esercizio 
delle loro rispettive competenze. Esse possono essere invocate dinanzi a un giudice solo 
ai fini dell'interpretazione e del controllo di legalit� di detti atti �. 
Dal combinato disposto delle due norme emerge che la Carta contiene 
due tipologie di norme: 
a) i principi, che per loro caratteristica, devono necessariamente essere 
attuati mediante l�interpositio legislatoris; 
In questa categoria possono essere ricondotti una vasta gamma di diritti, 
quali quello di lavorare, o i diritti degli anziani �di condurre una vita dignitosa 
e indipendente� o ancora i diritti dei disabili e dei bambini. 
b) i diritti suscettibili di immediata applicazione, come ad es. il divieto 
di pratiche eugenetiche, della tortura, del lavoro forzato e della schiavit�, la 
libert� di religione, riunione e associazione, la libert� di espressione, il divieto 
del lavoro minorile ecc. 
In tali casi il giudice nazionale, previo discernimento circa l�immediata 
applicabilit� del diritto, ed eventuale rinvio alla Corte di Giustizia circa la corretta 
interpretazione, potr� procedere alla disapplicazione di norme nazionali 
in contrasto con gli stessi. 
(15) D� atto di tali orientamenti GIOVANNA PISTORIO, nel commento all�art. 51 in �La Carta dei 
diritti dell�Unione europea. Casi e materiali � Ed. Chimienti 2009, l�autrice conclude affermando che 
se si consolider� la tendenza della giurisprudenza comunitaria ad estendere i confini del campo di applicazione 
dei diritti fondamentali comunitari, ampliando ulteriormente i limiti dell�incorporation, 
sar� davvero impossibile riconoscere che le disposizioni dell�art. 51 della Carta abbiano ancora un 
valore.
(16) G. GUARINO �Ratificare Lisbona? � Firenze 2008, pag. 21. 
(17) Evidenzia V. ZAGREBELSKI in op.cit. �La Carta e la Convenzione dunque si incontrano sovrapponendosi 
in parte. La Carta riguarda le istituzioni e gli organi dell�Unione, nonch� gli Stati 
membri quando questi danno attuazione al diritto dell�Unione (art. 51 �1). Ci� significa che quando 
danno attuazione al diritto comunitario gli Stati membri sono vincolati sia dalla Carta che dalla Convenzione, 
il che impone la ricerca della maggior possibile coerenza dei due ordini normativi (compreso 
il profilo riguardante i rispettivi sistemi di tutela giurisdizionale, al fine di evitare contraddizioni ed 
incoerenze che metterebbero in crisi, in una materia delicatissima, la certezza del diritto e la credibilit� 
del sistema �. 
52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
b) L�attuazione dei principi contenuti nella Carta 
Come sopra evidenziato, l�attuazione dei principi previsti dalla Carta implica 
l�interpositio legislatoris al fine della loro concreta attuazione. 
Assai delicata � l�individuazione dei confini di operativit� del legislatore 
nazionale e di quello comunitario, considerato che, come evidenziato pi� volte, 
la Carta non sposta le competenze stabilite dai Trattati n� attribuisce nuove 
competenze alla UE. La Carta stessa si preoccupa di fornire alcuni precisi parametri, 
che servono a delimitare l�azione degli organi legislativi comunitari 
e nazionali, in ragione delle varie materie trattate. 
� La riserva di legge nazionale 
Alcuni principi contenuti nella Carta rinviano in modo esplicito per la 
loro attuazione alla legislazione dei singoli Stati. 
La ragione di questo deve individuarsi nella peculiarit� delle materie oggetto 
del rinvio e dalla consapevolezza della diversit� delle culture che determinano 
l�assetto di tutela di alcuni diritti. 
Come esplicitato nel preambolo della Carta, essa �riafferma, nel rispetto 
delle competenze e dei compiti dell'Unione e del principio di sussidiariet�, i 
diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali�. La Carta � consapevole 
di non andare ad incidere su un territorio privo di cultura del rispetto 
dei diritti, ma al contrario di far propri e recepire quei diritti elaborati da una 
bi-millenaria cultura umanistica. 
In particolare, la tradizione costituzionale italiana � particolarmente ricca 
in tema di riconoscimento dei diritti della persona, sia nella sua dimensione 
individuale, che familiare e sociale. 
In questo contesto, la Carta correttamente si preoccupa di rispettare �la 
diversit� delle culture e delle tradizioni dei popoli d'Europa, nonch� dell'identit� 
nazionale degli Stati membri�(preambolo), motivo per il quale l�attuazione 
di alcuni diritti, strettamente connessi a impostazioni di carattere etico, vengono 
lasciate all�attuazione esclusiva dei singoli Stati membri. 
Questo � il caso previsto dall�art. 9 relativo al matrimonio �Il diritto di 
sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi 
nazionali che ne disciplinano l'esercizio�. E cos� per quanto concerne la libert� 
di creare istituti di insegnamento (art. 14) e il diritto all�obiezione di coscienza 
(art. 10). 
La cogenza del principio di riserva di legge nazionale, � stata recentemente 
ricordata dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010 
(ripresa recentemente dalla ord. Corte cost., Ord., 5 gennaio 2011, n. 4) che - 
ritenendo non ammissibile nell�ordinamento italiano il matrimonio tra persone 
dello stesso sesso - ha affermato: 
�Non occorre, ai fini del presente giudizio, affrontare i problemi che l'entrata in vigore 
del Trattato pone nell'ambito dell'ordinamento dell'Unione e degli ordinamenti nazionali,
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 53 
specialmente con riguardo all'art. 51 della Carta, che ne disciplina l'ambito di applicazione.� 
�Ai fini della presente pronuncia si deve rilevare che l'art. 9 della Carta (come, del resto, 
l'art. 12 della CEDU), nell'affermare il diritto di sposarsi rinvia alle leggi nazionali che 
ne disciplinano l'esercizio. Si deve aggiungere che le spiegazioni relative alla Carta dei 
diritti fondamentali, elaborate sotto l'autorit� del praesidium della Convenzione che 
l'aveva redatta (e che, pur non avendo status di legge, rappresentano un indubbio strumento 
di interpretazione), con riferimento al detto art. 9 chiariscono (tra l'altro) che 
�L'articolo non vieta n� impone la concessione dello status matrimoniale a unioni tra 
persone dello stesso sesso�. Pertanto, a parte il riferimento esplicito agli uomini ed alle 
donne, � comunque decisivo il rilievo che anche la citata normativa non impone la piena 
equiparazione alle unioni omosessuali delle regole previste per le unioni matrimoniali 
tra uomo e donna. Ancora una volta, con il rinvio alle leggi nazionali, si ha la conferma 
che la materia � affidata alla discrezionalit� del Parlamento�. 
� Il principio di sussidiariet� 
Stati membri e UE, a mente dell�art. 51 primo comma, devono promuovere 
l�applicazione dei principi, nell�ambito delle rispettive competenze, secondo 
il principio di sussidiariet� (18). Tale principio costituisce il criterio 
fondamentale di delimitazione dell�agire della UE in relazione a quello degli 
Stati membri, secondo quanto stabilito dall�art. 3 bis del Trattato di Lisbona 
(che sostituisce l�art. 5 del TCE) quale principio che garantisce che �le decisioni 
siano prese il pi� possibile vicino ai cittadini dell�Unione� (premessa 
del protocollo): 
�Articolo 3bis 
1. La delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione. 
L'esercizio delle competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiariet� e proporzionalit�. 
2. In virt� del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle 
competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi 
da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene 
agli Stati membri. 
3. In virt� del principio di sussidiariet�, nei settori che non sono di sua competenza esclu- 
(18) Come � noto, il principio di sussidiariet� � stato recepito nell�art. 118 della Costituzione italiana 
e diversificato nella c.d. sussidiariet� verticale e in quella orizzontale (quarto comma), avendo riguardo, 
la prima, ai rapporti tra istituzioni e la seconda a quella Stato-cittadini. Il principio di sussidiariet� 
verticale � ispirato al criterio dell�azione amministrativa pi� vicina ai cittadini, cos� che l�art. 118 della 
Cost. proclama che �le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne 
l�esercizio unitario siano conferite a province, citt� metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi 
di sussidiariet�, differenziazione ed adeguatezza�. Il principio di sussidiariet� opera quindi, nell�ordinamento 
italiano, nell�ambito amministrativo, mentre le competenze legislative sono specificamente individuate 
dall�art. 117 della Costituzione con un criterio di rigida delimitazione delle materie attribuite 
a Regioni e Stato. P. M. ZERMAN �Lo Stato sussidiario� Rassegna avvocatura dello stato - 2006 / 3; V. 
anche: M. BARUCCO: �Il ruolo del principio di sussidiariet� nell�ordinamento europeo� in 
www.jus.unitn.it.
54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
siva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono 
essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, n� a livello centrale n� 
a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione 
in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. 
Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiariet� conformemente al protocollo 
sull'applicazione dei principi di sussidiariet� e di proporzionalit�. I parlamenti 
nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiariet� secondo la procedura prevista 
in detto protocollo�. 
Il principio di sussidiariet� pertanto trova applicazione allorch� : 
a) sia attribuita la competenza alla UE; 
b) tale competenza sia concorrente con quella degli Stati membri; 
c) e pertanto, al di fuori dei casi di competenza esclusiva della UE o di quella 
dei singoli Stati. 
Come ben si pu� leggere dal comma 3 dell�art. 3 bis il criterio di valutazione 
dei presupposti per l�azione sussidiaria della UE � piuttosto elastico (se 
non addirittura vago), laddove fa riferimento a criteri, quali quello della sufficienza 
e del migliore conseguimento degli obbiettivi, che lascia ampi margini 
di valutazione discrezionale. 
In realt�, come � a tutti noto, l�azione della UE sta diventando sempre 
pi� espansiva (da alcuni si parla anche di aggressivit�), sicch� il principio di 
sussidiariet� non di rado si tramuta in uno scrupolo facilmente superato con il 
richiamo ad una formula tralaticia nel preambolo dell�atto comunitario adottato. 
Il controllo sul rispetto del principio di sussidiariet� � affidato, in base al 
protocollo sull�applicazione del principio, ai Parlamenti nazionali (art. 4) a 
cui vengono trasmessi gli atti legislativi, nonch�, in base all�art. 8, alla Corte 
di Giustizia, la quale ҏ competente a pronunciarsi sui ricorsi per violazione, 
mediante un atto legislativo, del principio di sussidiariet�� secondo le modalit� 
previste dall�art. 230 del TFUE promossi da uno Stato membro. 
Diversi sono i principi, nella Carta, dove si fa riferimento ad una competenza 
concorrente sia della UE che ai singoli Stati, quali ad es. la libert� di 
impresa (art. 16) che � riconosciuta �conformemente al diritto comunitario e 
alle legislazioni e prassi nazionali�; cos� come il diritto dei lavoratori all�informazione 
(art. 27) e il diritto di negoziazione e di azioni collettive (art. 27) 
e �la tutela in caso di licenziamento ingiustificato�(art. 30). 
� Quale sorte per le materie escluse? 
Al di l� dei principi di attuazione dei singoli Stati o di competenza concorrente, 
si pongono quei principi che non sono riconducibili a materie attribuite 
alla UE n� riservati dalla Carta alla esclusiva legislazione nazionale. 
Ampio e vivace � il dibattito circa la sorte di tali principi (si pensi, tra gli 
altri, alla protezione della famiglia �sul piano giuridico, economico e sociale� 
(art. 33 comma 1); o ai diritti dei bambini �alla protezione e alle cure neces-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 55 
sarie per il loro benessere�). 
Se i destinatari della Carta sono innanzitutto �le istituzioni e gli organi e 
organismi dell�Unione e gli Stati membri esclusivamente nell�attuazione del 
diritto dell�Unione� dovr� la UE promuovere l�attuazione di tali principi nell�ambito 
delle sue comunque ampie competenze, sia con provvidenze economiche 
che sostengano progetti di promozione di tali diritti, che in ambito 
politico mediante l�adozione di atti di natura politica che diano, promuovano 
culturalmente la tutela di tali principi e l�azione dei singoli Stati membri in tal 
senso. Questi ultimi, dal canto loro, dovranno promuovere l�attuazione di tali 
principi con la duplice responsabilit� derivante dai vincoli comunitari e da 
quelli delle singole Costituzioni, che, come detto, gi� impegnano non poco il 
legislatore nazionale sulla via di tutela dei diritti della persona, spesso ancora 
in gran parte da percorrere (si pensi ad esempio quanto le norme di sostegno 
alla famiglia ai sensi degli art. 29 e seg. della Costituzione siano rimaste inattuate). 
5. Il sistema integrato di tutela dei diritti fondamentali 
Da quanto sopra esposto, si rende palese la complessit� del sistema di 
tutela dei diritti fondamentali derivante dalle fonti comunitarie e dal necessario 
coordinamento con quelle nazionali. 
Lo stato di oggettiva incertezza derivante dalla moltiplicazione delle fonti 
e degli organismi di garanzia (la Corte di Strasbugo, la Corte di Giustizia, la 
Corte Costituzionale), pone il giudice nazionale, chiamato a tutelare un diritto, 
di fronte alla faticosa individuazione della strada pi� corretta, se quella della 
CEDU, con i vincoli posti dalla Corte Costituzionale in ordine alle modalit� 
di risoluzione delle antinomie, o quello della diretta disapplicazione in applicazione 
della Carta di Nizza, con il conseguente sforzo ermeneutico circa la 
riconduzione del diritto contestato all�ambito di operativit� della Carta. 
Stato di incertezza peraltro incrementato dal continuo evolversi della normazione 
europea s� che gli interpreti si trovano ad operare in uno spazio �liquido� 
anche in ragione delle ricordate tendenze espansive delle Corti europee 
accompagnate dalla ricerca di una sempre maggiore efficacia generale delle 
pronunce. 
Questa situazione per� non pu� non far rilevare l�indubbia spinta positiva 
impressa dall�Europa per il superamento di ingiustizie endemiche del nostro 
Paese, in primis l�eccessiva durata dei processi (19) e la scarsa effettivit� della 
(19) Come � noto per rispondere alle continue condanne di violazione dei diritti umani, lo Stato 
italiano con la legge 21 marzo 2001 n. 89 (legge Pinto), ha fornito un rimedio interno che prevede il rilascio 
di un indennizzo per l�eccessiva durata del processo. �Esso � ancorato all'accertamento della 
violazione dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle 
libert� fondamentali, cio� di un evento "ex se" lesivo del diritto della persona alla definizione del suo
56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
tutela giurisdizionale (20), o ancora nell�ambito della tutela del diritto di propriet�, 
anche in relazione alla nota vicenda relativa all�occupazione acquisitiva 
da parte della p.a. (poi legittimata, dalla previsione dell� �occupazione sanante� 
di cui all� art. 43 D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 e dichiarata illegittima da Corte 
Costituzionale sent. 293/2010 per eccesso di delega). 
In tale incerta situazione, ben vengano i �paletti� posti dalla Corte costituzionale, 
che rilevando la impossibilit� del sindacato diffuso per contrasto 
alla CEDU, cos� come la delimitazione della competenza della Carta di Nizza, 
sta limitando il rischio di espandersi di interpretazioni soggettive se non anche 
arbitrarie e contraddittorie del contenuto dei diritti umani a seconda della sensibilit� 
del singolo giudice (21). 
Ecco che proprio su questo punto dovr� invece svilupparsi quell�auspicato 
�dialogo tra Corti� gi� inaugurato dalla Corte Costituzionale con la nota ordinanza 
n. 103 del 15 aprile 2008 (22) con la quale rinviava alla Corte di Giuprocedimento 
in una durata ragionevole�. Cass. sez. I 8712 del 2006. Ma la CEDU ritiene eccessiva 
anche la durata dei processi risarcitori ex lege Pinto �Lo Stato deve garantire l� effettiva soddisfazione 
delle pretese risarcitorie ex lege Pinto entro sei mesi dall�esecutivit� delle sentenze che riconoscono 
tali pretese sul piano interno. Lo Stato non pu� richiedere ai propri cittadini di ricorrere avverso le 
inefficienze della L. Pinto attraverso la legge Pinto stessa. Si raccomanda allo Stato italiano di intervenire 
per arginare quanto prima tale situazione, emendando ove necessario la legge Pinto ed istituendo 
un fondo ad hoc per il risarcimento dei danni da eccessiva durate del processo� (Sent. 21 dicembre 
2010 ricorso n. 45867/07). 
(20) L�emanazione del codice del processo amministrativo del 2010, �... recepisce organicamente 
e consapevolmente il diritto processuale europeo (della Unione Europea e della C.E.D.U.), ossia la c.d. 
�rete europea di garanzie�, in linea generale, attraverso l�esplicito richiamo contenuto nell�art. 1 (rubricato: 
�Effettivit��) alla tutela piena ed effettiva secondo i principi del diritto europeo ed, in particolare, 
ribadendo e perfezionando (anche per gli appalti �sotto soglia�) l�attuazione della Direttiva 2007/66/CE 
del Parlamento Europeo e del Consiglio dell�11 Dicembre 2007 ...� Il Codice del processo amministrativo 
- la gestione del processo: nuovi termini e adempimenti, E. D�ARPE, 2010 in www.giustizia-amministrativa.
it. 
(21) Come correttamente osservato da: ELISABETTA LAMARQUE in Corriere giur. 2010, 7, 955: Gli 
effetti delle sentenze della Corte di Strasburgo secondo la Corte Costituzionale italiana, i giudici nazionali 
hanno dato applicazione alla Carta senza troppo �sottilizzare� sul fatto che prima del 2009 la 
stessa non avesse ancora efficacia diretta, n� che la stessa si applica agli Stati membri esclusivamente 
nell�attuazione del diritto dell�unione, e che quindi al di fuori da questo ambito non � dotata di effetti 
diretti.
(22) Si legge tra l�altro nella motivazione dell�ordinanza: �che, al riguardo, va premesso che, ratificando 
i Trattati comunitari, l'Italia � entrata a far parte dell'ordinamento comunitario, e cio� di un ordinamento 
giuridico autonomo, integrato e coordinato con quello interno, ed ha contestualmente 
trasferito, in base all'art. 11 Cost., l'esercizio di poteri anche normativi (statali, regionali o delle Province 
autonome) nei settori definiti dai Trattati medesimi; 
che le norme dell'ordinamento comunitario vincolano in vario modo il legislatore interno, con il solo limite 
dell'intangibilit� dei princ�pi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e dei diritti inviolabili 
dell'uomo garantiti dalla Costituzione (ex multis, sentenze nn. 349, 348 e 284 del 2007; n. 170 del 1984); 
che, nei giudizi davanti ai giudici itaani, tale vincolo opera con diverse modalit�, a seconda che il giudizio 
penda davanti al giudice comune ovvero davanti alla Corte costituzionale a s�guito di ricorso proposto 
in via principale; 
che, nel caso di giudizio pendente davanti al giudice comune, a quest'ultimo � precluso di applicare le 
leggi nazionali (comprese le leggi regionali), ove le ritenga non compatibili con norme comunitarie
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 57 
stizia per la corretta interpretazione della normativa comunitaria. Sicuramente 
un passo importante per districarsi nell�ampio panorama normativo, anche in 
vista della adesione della UE alla CEDU. 
aventi efficacia diretta; 
che detto giudice, al fine dell'interpretazione delle pertinenti norme comunitarie, necessaria per l'accertamento 
della conformit� della norme interne con l'ordinamento comunitario, si avvale, all'occorrenza, 
del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia CE di cui all'art. 234 del Trattato CE; 
che nel caso, come quello di specie, in cui il giudizio pende davanti alla Corte costituzionale a s�guito 
di ricorso proposto in via principale dallo Stato e ha ad oggetto la legittimit� costituzionale di una norma 
regionale per incompatibilit� con le norme comunitarie, queste ultime �fungono da norme interposte 
atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformit� della normativa regionale all'art. 117, 
primo comma, Cost.� (sentenze n. 129 del 2006; n. 406 del 2005; n. 166 e n. 7 del 2004) o, pi� precisamente, 
rendono concretamente operativo il parametro costituito dall'art. 117, primo comma, Cost. (come 
chiarito, in generale, dalla sentenza n. 348 del 2007), con conseguente declaratoria di illegittimit� costituzionale 
della norma regionale giudicata incompatibile con tali norme comunitarie; 
che, in relazione alle leggi regionali, questi due diversi modi di operare delle norme comunitarie corrispondono 
alle diverse caratteristiche dei giudizi: davanti al giudice comune deve applicarsi la legge la 
cui conformit� all'ordinamento comunitario deve essere da lui preliminarmente valutata; davanti alla 
Corte costituzionale ad�ta in via principale, invece, la valutazione di detta conformit� si risolve, per il 
tramite dell'art. 117, primo comma, Cost., in un giudizio di legittimit� costituzionale, con la conseguenza 
che, in caso di riscontrata difformit�, la Corte non procede alla disapplicazione della legge, ma ne dichiara 
l'illegittimit� costituzionale con efficacia erga omnes; 
che, pertanto, l'assunzione della normativa comunitaria quale elemento integrante il parametro di costituzionalit� 
costituisce la precondizione necessaria per instaurare, in via di azione, il giudizio di legittimit� 
costituzionale della legge regionale che si assume essere in contrasto con l'ordinamento comunitario; 
che, dunque, la censura in esame � ammissibile, perch� le norme comunitarie sono state evocate nel 
presente giudizio di legittimit� costituzionale quale elemento integrante il parametro di costituzionalit� 
costituito dall'art. 117, primo comma, Cost.; 
che, quanto ai limiti entro cui il diritto comunitario pu� essere preso in considerazione come elemento 
integrativo del parametro costituzionale evocato nel presente giudizio, va osservato che, in forza del 
combinato disposto degli artt. 23, 27 e 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - secondo cui, nei giudizi in 
via principale, la Corte costituzionale dichiara quali sono le disposizioni legislative illegittime, nei limiti 
dei parametri costituzionali e dei motivi di censura indicati nel ricorso -, questa Corte pu� esaminare 
esclusivamente le violazioni denunciate dal ricorrente, riguardanti gli artt. 49, 81, �coordinato con gli 
art. 3, lett. g) e 10�, e 87 del Trattato CE ...�.
58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Caso Hirsi ed altri contro Italia 
L�intervento orale del Governo italiano 
Cour Europ�enne des Droits de l�Homme 
Grande Chambre � Audience 22 juin 2011 
Requ�te n. 27765/09 � Hirsi et autres contre l�Italie 
Plaidoirie du Gouvernement Italien 
1. Dans les affaires dans lesquelles l�Italie est impliqu�e, elle a agi dans le respect des principes 
guides dict�s par l�Union europ�enne en mati�re d�immigration et d�asile. 
Le Pacte europ�en sur l�immigration et l�asile, dans le texte n. 13440/08 du 24 septembre 
2008, �labor� par le Conseil de l�Union europ�enne, pr�voit entre autres: 
- Une limitation des flux migratoires car � l�Union europ�enne n�a toutefois pas les moyens 
d�accueillir dignement tous les migrants � et d�o� la n�cessit� d�une r�glementation; 
- La n�cessit� de � lutter contre l�immigration irr�guli�re, notamment en assurant le retour 
dans leur pays d�origine ou vers un pays de transit, des �trangers en situation irr�guli�re 
�; 
- Le renforcement de � l�efficacit� des contr�les aux fronti�res �; 
- La cr�ation d�� un partenariat global avec les pays d�origine et de transit �. 
Plus particuli�rement, le Conseil de l�Union, afin de lutter efficacement contre l�immigration 
clandestine, souligne l�importance d�un � renforcement de la coop�ration des Etats membres 
et de la Commission avec les pays d�origine et de transit � et d�une � politique de coop�ration 
polici�re et judiciaire �, afin � d�assurer lՎloignement des �trangers en situation irr�guli�re
�, et recommande aux Etats membres � le contr�le des fronti�res ext�rieures� dans un 
esprit de co-responsabilit�, pour le compte de l�ensemble des Etats membres �. 
Pour atteindre ces buts, le Conseil a d�cid� � d�inviter les Etats membres et la Commission � 
mobiliser tous les moyens disponibles pour assurer un contr�le plus efficace des fronti�res 
ext�rieures terrestres, maritimes et a�riennes � et � de donner � l�agence FRONTEX � les 
moyens d�exercer pleinement sa mission de coordination dans la ma�trise de la fronti�re ext�rieure 
de l�Union europ�enne �. 
Le Conseil r�affirme � nouveau la n�cessit� d�� approfondir la coop�ration avec les pays 
d�origine et de transit pour le renforcement du contr�le de la fronti�re ext�rieure et la lutte 
contre l�immigration irr�guli�re en accroissant l�aide de l�Union europ�enne pour la formation 
et lՎquipement de leurs personnels charg�s de la ma�trise des flux migratoires � et � de 
conclure au niveau communautaire ou � titre bilat�ral des accords avec les pays d�origine et 
de transit� en vue de dissuader ou combattre l�immigration clandestine �. 
Les m�mes principes et les m�mes objectifs ont �t� formul�s par le Parlement de l�Union europ�enne 
dans sa R�solution du 26 septembre 2007 n. 2006/2250 (cf. en particulier les paragraphes 
12, 23 et 24) et dans les � Lignes directrices Frontex � d�avril 2010 (en particulier 
partie II, ligne directrice 2.1). 
Pour r�aliser ces lignes politiques bien nettes et d�termin�es, la Commission europ�enne a
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 59 
ouvert des n�gociations avec la Libye pour la stipulation d�un accord de collaboration et l�Italie 
a souscrit avec la Libye � Bengasi le 30 ao�t 2008 le Trait� d�amiti�, partenariat et coop�ration, 
ratifi� et entr� en vigueur entre janvier et f�vrier 2009. 
2. Ce trait� proclame express�ment la n�cessit� pour chaque partie contractante de respecter 
les � normes du droit international reconnues universellement � (art. 1) et � les principes de 
la Charte des Nations Unies et la D�claration universelle des Droits de l�Homme � (art. 6). 
L�art. 19 du Trait� s�occupe de la Collaboration dans la lutte contre le terrorisme, la criminalit� 
organis�e, le trafic des stup�fiants, l�immigration clandestine, en pr�voyant, � l�alin�a 
3, une �troite collaboration entre les Etats signataires afin de d�finir des � initiatives, aussi 
bien bilat�rales que dans le cadre r�gional, pour pr�venir le ph�nom�ne de l�immigration 
clandestine dans les Pays d�origine des flux migratoires �. 
3. L�Etat italien a par cons�quent mis en oeuvre sa politique, pour combattre l�immigration 
clandestine, en respectant le cadre et les obligations d�finis par l�Union europ�enne et le Trait� 
bilat�ral avec la Libye. 
En particulier, l�Italie a, d�une part, r�alis� l�invitation de l�Union � stipuler des accords avec 
les pays frontaliers pour combattre l�immigration clandestine (et la Libye est certainement un 
pays frontalier avec l�Italie qui sՎtend dans la mer m�diterran�e comme fronti�re m�ridionale 
de l�Union et est sujette plus que n�importe quel autre pays aux flux migratoires via mer) et, 
d�autre part, a conclu un accord de coop�ration bilat�ral avec la Libye, parall�lement aux n�gociations 
en cours entre la Libye et la Commission europ�enne, comme cela a d�j� �t� pr�cis�. 
Dans le cadre du Trait� bilat�ral, l�Etat italien a rappel� les principes g�n�raux du droit international 
et de sauvegarde des Droits de l�Homme (articles 1 et 6 cit�s plus haut) tel que 
guide et engagement pour les signataires ; face � ce rappel expresse et solennel, les �ventuelles 
perplexit�s faisant suite � la non souscription de la part de la Libye de la Convention de Gen�ve 
sur les r�fugi�s de 1951 ont disparu (perplexit�s, par ailleurs, non justifi�es face � la 
souscription de l�homologue Convention de l�Union africaine � OUA � sur les r�fugi�s en 
Afrique). 
Il faut encore souligner quՈ lՎpoque de la stipulation du Trait� bilat�ral d�amiti�, les bureaux 
du Haut Commissariat des Nations-Unies pour les r�fugi�s et l�Organisation internationale 
pour les migrations �taient actifs � Tripoli. 
Les op�rations, qui ont �t� effectu�es en haute mer dans les mois qui ont suivi imm�diatement 
l�entr�e en vigueur du Trait�, doivent �tre �valu�es dans le cadre, d�crit ci-dessus, des obligations 
internationales prises par l�Italie tel qu�Etat membre de l�Union europ�enne et signataire 
du Trait� bilat�ral avec la Libye. 
4. Bien entendu, nous ne voulons pas invoquer l�exon�ration de la responsabilit� du seul fait 
d�avoir mis en oeuvre ces obligations internationales, mais nous voulons souligner, d�une part, 
que les Organismes repr�sentatifs de l�Union obligeait et oblige toujours d�affronter le probl�me 
de la lutte contre l�immigration clandestine par le biais d�accords bilat�raux avec les 
Pays frontaliers, dans l�int�r�t de tous les Etats membres, et d�autre part, que dans le Trait� 
avec la Libye l�Italie sՎtait pr�occup�e d�obliger ce pays au respect, entre autres, des principes 
de la Convention sur les Droits de l�Homme. Ainsi, elle pouvait de fa�on l�gitime compter
60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
sur le respect de ces principes � l�occasion des op�rations de lutte contre l�immigration clandestine 
qui se faisaient en ex�cution des obligations du Trait�. 
Cet engagement solennel, conjointement aux autres circonstances importantes d�crites ci-dessus 
(pr�sence � Tripoli des bureaux du Haut Commissariat des Nations Unies et de l�Organisation 
Internationale pour les migrations),justifiaient pleinement la conviction des Autorit�s 
italiennes sur la s�curit� que garantissait la Libye eu �gard au respect des droits des migrants 
d�barqu�s sur son territoire et, par cons�quent justifiaient la restitution � la Libye - comme 
lieu s�r � des personnes secourues en haute mer et ayant quitt� ce pays, en application de 
l�objectif �tabli dans l�art.19 du Trait� pour pr�venir l�immigration clandestine dans les pays 
d�origine des flux migratoires, avec l�accord quՈ cet endroit ces personnes auraient �t� trait�es 
dans le respect de leurs droits et auraient pu demander la reconnaissance du statut de r�fugi� 
(comme cela s�est en effet produit). 
En outre, dans le pays de d�part il aurait �t� plus facile d�individualiser et de capturer les affili�s 
� l�association criminelle qui avait organis� et men� le voyage de ces d�sesp�r�s. 
Il n�y avait aucune intention de priver les personnes secourues de leurs droits fondamentaux 
et de la possibilit� de demander et d�obtenir la protection internationale, mais seulement la 
mise en oeuvre de la politique europ�enne et italo-libyenne de promouvoir et valoriser la comp�tence 
du Pays d�origine ou de transit pour la mise en oeuvre des droits des migrants. 
Il ne s�agit d�aucune expulsion collective de personnes mais, tout au plus, d�un refus d�entr�e 
sur le territoire national � des personnes priv�es d�autorisation mais ayant la possibilit� de se 
munir d�une l�gitimation � l�immigration (gr�ce, en particulier, � la reconnaissance du statut 
de r�fugi�) dans le pays duquel ils �taient partis, comme il �tait possible � lՎpoque et comme 
cela a �t� possible pour les requ�rants qui ont obtenu la reconnaissance du statut de r�fugi� 
par le bureau du Haut Commissariat des Nations Unies actif � Tripoli. 
La situation difficile dans laquelle se trouve l�Italie, en tant qu�Etat de fronti�re de l�Union 
europ�enne, et les obligations de protection des fronti�res et de lutte contre l�immigration 
clandestine qui incombent � ses Autorit�s, face aux importants flux migratoires, est prise en 
consid�ration par l�Assembl�e Parlementaire du Conseil de l�Europe dans son rapport du 1er 
juin 2011 n. 12628 et est � la base du projet de recommandation formul� � lՎgard de la position 
de l�Union. 
Nous pouvons lire au point 16 de la partie C du Rapport qu� � il est dans l�int�r�t l�gitime des 
Etats de garantir leur int�grit� territoriale. Tout Etat a donc le droit souverain d�exercer le 
contr�le de ses fronti�res et de prendre les mesures jug�es n�cessaires pour pr�venir les entr�es 
ill�gales sur son territoire�. 
5. Apr�s la premi�re p�riode de mise en oeuvre du Trait� bilat�ral, les Autorit�s italiennes ont 
pris acte que l�Etat libyen avait ordonn� la fermeture du bureau du Haut Commissariat des 
Nations Unies � Tripoli et de cette fa�on avait rendu difficile la protection des droits fondamentaux 
des migrants sur son territoire (voir � ce propos le point 46 du rapport de l�Assembl�e 
Parlementaire cit� plus haut). 
Par cons�quent, les modalit�s de secours des migrants en haute mer ont �t� modifi�es et les 
personnes � bord des embarcations provenant de la Libye ont �t� accompagn�es sur le territoire 
italien dans le cas o� elles ont �t� secourues ou ont �t�, de toute fa�on, autoris�es � accoster 
sur les c�tes de lՔle de Lampedusa.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 61 
Tous les journaux rapportent presque quotidiennement des nouvelles concernant cette situation 
et nous pouvons d�sormais consid�rer que l�activit� des forces de l�ordre italien pour venir 
en aide aux migrants est reconnue. 
Aucune pratique administrative de repoussement en haute mer des migrants ne s�est jamais 
av�r�e, et de toute fa�on, actuellement et depuis longtemps aucun emp�chement de rejoindre 
le territoire italien n�est oppos� aux migrants provenant de la Libye et des autres Pays africains 
(en particulier, de la Tunisie, d�o� est n� le fameux flux migratoire). 
Pour ces raisons nous pouvons tranquillement affirmer que les personnes � qui le statut de r�fugi� 
politique a �t� reconnu par le Haut Commissariat des Nations Unies (y compris les requ�rants) 
peuvent entrer sur le territoire italien et exer�aient les droits qui leur sont reconnus 
par la Convention europ�enne sur les Droits de l�Homme et par les lois nationales, y compris 
le droit d�acc�s � une autorit� juridictionnelle. 
Giuseppe Albenzio 
Avocat de l�Etat 
Udienza 22 giugno 2011 dinanzi alla Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo 
nell�affaire Hirsi e altri C. ITALIE � Bozza di intervento orale 
1. Nelle vicende di cui � causa l�Italia ha agito nel rispetto dei principi guida dettati dall�Unione Europea 
in materia di immigrazione e asilo. 
Il Patto europeo sull�immigrazione e l�asilo, nel testo n. 13440/08 del 24 settembre 2008, elaborato dal 
Consiglio dell�Unione Europea, prevede, fra l�altro: 
- una limitazione dei flussi migratori perch� �l�Unione europea non dispone dei mezzi per accogliere 
degnamente tutti i migranti� e la conseguente necessit� di una loro regolamentazione; 
- la necessit� di �combattere l�immigrazione clandestina, in particolare assicurando il ritorno nel 
loro paese di origine o in un paese di transito degli stranieri in posizione irregolare�; 
- il rafforzamento dell�efficacia dei controlli alle frontiere; 
- la creazione di �un partenariato globale con i paesi di origine e di transito�. 
In particolare, il Consiglio dell�Unione, al fine di una efficace lotta all�immigrazione clandestina, sottolinea 
l�importanza di una �cooperazione degli Stati membri e della Commissione con i paesi di origine 
e di transito� anche per l�attivit� �di polizia e giudiziaria�, al fine di �assicurare l�allontanamento degli 
stranieri in posizione irregolare�, e raccomanda agli Stati membri �il controllo delle frontiere esterne� 
in uno spirito di corresponsabilit�, per conto dell�insieme degli Stati membri�.
62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Per assicurare il raggiungimento di questi scopi, il Consiglio conviene di �invitare gli Stati membri e la 
Commissione a mobilitare tutti i mezzi disponibili per assicurare un controllo pi� efficace alle frontiere 
esterne terrestri, marittime e aeree� e di �dotare l�agenzia FRONTEX� dei mezzi per esercitare pienamente 
la sua missione di coordinamento del controllo della frontiera esterna dell�Unione europea�. 
Ancora, il Consiglio ribadisce la necessit� di �approfondire la cooperazione con i paesi di origine e 
transito per rafforzare il controllo della frontiera esterna e combattere l�immigrazione clandestina aumentando 
l�aiuto dell�Unione europea per la formazione e l�equipaggiamento del personale incaricato 
del controllo dei flussi migratori� e stipulando �a livello comunitario o bilaterale accordi con i paesi 
di origine e di transito� per scoraggiare o combattere l�immigrazione clandestina�. 
Gli stessi principi e gli stessi obiettivi erano stati formulati dal Parlamento dell�Unione europea nella 
Risoluzione 26 settembre 2007 n. 2006/2250 (si vedano, in particolare, i paragrafi 12, 23, 24) e nella 
Direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008 (art. 2, comma 2, lett. A). 
In attuazione di queste linee politiche ben nette e determinate, la Commissione europea ha aperto trattative 
con la Libia per la stipulazione di un accordo di collaborazione e l�Italia ha sottoscritto con la 
Libia a Bengasi il 30 agosto 2008 il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione, ratificato ed entrato 
in vigore fra gennaio e febbraio 2009. 
2. Questo Trattato proclama espressamente la necessit� per entrambe le parti contraenti di rispettare le 
�norme del diritto internazionale universalmente riconosciute� (art. 1) e i �principi della Carta delle 
Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti dell�uomo� (art. 6). 
L�art. 19 del Trattato si occupa della Collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalit� organizzata, 
al traffico di stupefacenti, all�immigrazione clandestina, prevedendo, al comma 3, una stretta collaborazione 
fra gli Stati firmatari al fine di definire �iniziative, sia bilaterali sia in ambito regionale, 
per prevenire il fenomeno dell�immigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori�. 
3. Lo Stato italiano ha, quindi, attuato la sua politica di contrasto alla immigrazione clandestina nell�ambito 
e secondo gli obblighi definiti dall�Unione europea e dal Trattato bilaterale con la Libia. 
In particolare, da un lato, l�Italia ha attuato l�invito dell�Unione a stipulare accordi con i paesi di frontiera 
per il contrasto dell�immigrazione clandestina (e la Libia � certamente Stato di frontiera per un Paese, 
quale l�Italia, proteso nel mare Mediterraneo come confine meridionale dell�Unione e soggetto pi� di 
ogni altro Stato membro ai flussi migratori via mare) e, dall�altro, ha raggiunto un accordo di cooperazione 
bilaterale con la Libia, contestualmente alle trattative aperte, come gi� detto, anche dalla Commissione 
europea. 
Nell�ambito del Trattato bilaterale, lo Stato italiano si � preoccupato di richiamare i principi generali 
del diritto internazionale e della salvaguardia dei diritti dell�uomo (articoli 1 e 6 sopra citati) quale guida 
ed impegno per entrambi i firmatari; a fronte di tale espresso e solenne richiamo vengono meno le eventuali 
perplessit� conseguenti alla mancata sottoscrizione da parte della Libia della Convenzione di Ginevra 
sui rifugiati del 1951 (peraltro non giustificate a fronte della sottoscrizione dell�omologa 
Convenzione dell�Unione africana - OUA - sui rifugiati in Africa). 
Occorre, ancora, sottolineare che all�epoca della stipulazione del Trattato bilaterale di amicizia erano 
operanti in Tripoli uffici dell�Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e dell�Organizzazione 
internazionale per le migrazioni. 
Le operazioni effettuate in alto mare nei mesi immediatamente successivi alla entrata in vigore del Trattato 
vanno inquadrate e valutate nel descritto quadro di impegni internazionali assunti dall�Italia quale 
Stato membro dell�Unione europea e firmatario del Trattato bilaterale con la Libia. 
4. Non vogliamo, certo, invocare l�esonero da responsabilit� per il solo fatto di aver dato attuazione a 
quegli impegni internazionali ma vogliamo sottolineare che � da un lato � gli Organismi rappresentativi 
dell�Unione imponevano e impongono di affrontare il problema della lotta all�immigrazione clandestina 
anche mediante accordi bilaterali con i Paesi frontalieri, nell�interesse di tutti gli Stati membri, e che � 
dall�altro lato � nel Trattato con la Libia l�Italia si era preoccupata di vincolare quel Paese al rispetto, 
fra l�altro, dei principi della Convenzione sui diritti dell�uomo, cos� che poteva legittimamente fare affidamento 
sul rispetto di questi principi in occasione delle operazioni di lotta alla immigrazione clandestina 
che venivano poste in essere in esecuzione degli obblighi del Trattato. 
Questo solenne impegno, unitamente alle altre circostanze rilevanti sopra descritte (presenza in Tripoli 
di uffici dell�Alto Commissariato delle Nazioni Unite e dell�Organizzazione per le Migrazioni), ben 
giustificavano la convinzione delle Autorit� italiane sulla raggiunta sicurezza della Libia riguardo al ri-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 63 
spetto dei diritti dei migranti sbarcati sul suo territorio e, quindi, giustificavano la restituzione alla Libia 
� quale luogo sicuro � delle persone soccorse in alto mare e partite da quel Paese, in attuazione dell�obiettivo 
sancito nell�art. 19 del Trattato di prevenire l�immigrazione clandestina nei Paesi di origine 
dei flussi migratori, con l�intesa che l� sarebbero state trattate nel rispetto dei loro diritti ed avrebbero 
potuto richiedere il riconoscimento dello status di rifugiato (come in effetti avvenuto). 
Oltretutto, nel Paese di partenza sarebbe stato pi� agevole individuare e colpire gli affiliati all�associazione 
criminale che aveva organizzato e condotto il viaggio disperato. 
Nessun intento di privare le persone soccorse dei loro diritti fondamentali e della possibilit� di richiedere 
e ottenere la protezione internazionale, solo l�attuazione della politica europea e italo-libica di promuovere 
e valorizzare la competenza del Paese di origine o di transito per l�attuazione dei diritti dei migranti. 
Nessuna espulsione collettiva di persone ma, tutt�al pi�, un rifiuto di ingresso nel territorio nazionale a 
persone prive di titolo autorizzatorio con la possibilit� di munirsi di una legittimazione all�immigrazione 
(mediante, in particolare, il riconoscimento dello status di rifugiato) nel Paese dal quale erano partiti, 
come era possibile all�epoca e come � stato in effetti possibile per i ricorrenti che hanno ottenuto il riconoscimento 
dello status di rifugiato dall�Ufficio dell�Alto Commissario delle Nazioni Unite operante 
in Tripoli. 
La difficile situazione nella quale si trova l�Italia quale Stato di confine dell�Unione europea e gli obblighi 
di tutela delle frontiere e di lotta alla immigrazione clandestina che sulle sue Autorit� incombono 
a fronte di flussi migratori pesantissimi, � presa in considerazione dall�Assemblea parlamentare del Consiglio 
d�Europa nel suo Rapporto del 1� giugno 2011 n. 12628 e posta a base del progetto di raccomandazione 
formulato riguardo alla posizione dell�Unione. 
Possiamo leggere al punto 16 parte C del Rapporto che ҏ nell�interesse legittimo degli Stati garantire 
la loro integrit� territoriale. Tutti gli Stati hanno dunque il diritto sovrano di esercitare il controllo delle 
proprie frontiere e di prendere le misure giudicate necessarie per prevenire gli ingressi illegali sul proprio 
territorio�. 
5. Dopo il primo periodo di attuazione del Trattato bilaterale, le Autorit� italiane hanno preso atto che 
lo Stato libico aveva disposto la chiusura dell�ufficio dell�Alto Commissario delle Nazioni Unite in Tripoli 
e rendeva in tal modo difficile la tutela dei diritti fondamentali dei migranti sul suo territorio (si 
veda a questo proposito il punto 46 del Rapporto dell�Assemblea Parlamentare citato sopra). 
Sono state, quindi, cambiate le modalit� di soccorso dei migranti in mare e le persone a bordo delle imbarcazioni 
provenienti dalla Libia sono state accompagnate in territorio italiano qualora soccorse o, comunque, 
sono state fatte attraccare negli approdi dell�isola di Lampedusa. 
Tutti i giornali riportano quasi quotidianamente notizie in tal senso e possiamo considerare ormai di comune 
conoscenza l�attivit� che le forze dell�ordine italiane pongono in atto per aiutare i migranti. 
Nessuna prassi amministrativa di respingimenti in mare dei migranti si �, quindi, mai formata e, ad ogni 
modo, attualmente e da tempo nessun impedimento al raggiungimento del territorio italiano � opposto 
ai migranti provenienti dalla Libia e dagli altri Paesi africani (in particolare, dalla Tunisia, da cui si � 
sviluppato il notevole flusso migratorio a tutti noto). 
Per queste ragioni possiamo tranquillamente affermare che le persone cui � stato riconosciuto lo status 
di rifugiato politico dall�Alto Commissario delle Nazioni Unite (compresi gli odierni ricorrenti) ben 
possono entrare nel territorio dello Stato italiano e qui esercitare i diritti loro riconosciuti dalla Convenzione 
europea sui diritti dell�uomo e dalle leggi nazionali, ivi compreso il diritto ad un�istanza giurisdizionale. 
Giuseppe Albenzio 
Avvocato dello Stato
64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 
La Corte di giustizia salva le tariffe forensi massime 
(Nota a Corte di giustizia dell�Unione europea, Grande Sezione, sentenza 29 marzo 2011, 
causa C-565/08, Commissione / Italia) 
Wally Ferrante* 
Con sentenza del 29 marzo 2011, causa C-565/08, Commissione / Italia, 
la Corte di Giustizia dell�Unione europea � Grande sezione ha respinto il ricorso 
della Commissione volto a dimostrare l�incompatibilit� della legislazione 
italiana che impone agli avvocati di rispettare tariffe massime con gli 
articoli 43 e 49 del Trattato CE. 
In detta decisione, la Corte, pur disattendendo la tesi del Governo italiano 
secondo la quale nessuna norma di legge prevederebbe l�inderogabilit� delle 
tariffe forensi massime (a differenza di quanto gi� previsto per le tariffe minime), 
ha ricordato che una normativa di uno Stato membro non costituisce 
una restrizione alla libert� di stabilimento e alla libert� di prestazione dei servizi 
per il solo fatto che altri Stati membri applichino regole meno severe o 
economicamente pi� vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro 
territorio (punto 49). 
Ha inoltre precisato che l�esistenza di una restrizione ai sensi del Trattato 
CE non pu� essere desunta dalla mera circostanza che gli avvocati stabiliti in 
Stati membri diversi dalla Repubblica italiana devono, per il calcolo dei loro 
onorari per prestazioni fornite in Italia, abituarsi alle norme applicabili in tale 
Stato membro (punto 50), dovendosi ritenere che una tale restrizione esista 
solo se detti avvocati sono privati della possibilit� di penetrare nel mercato 
dello Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci 
(punto 51). 
Pertanto, pur affermando il carattere obbligatorio e vincolante delle tariffe 
massime, la Corte ha ritenuto che la Commissione non abbia dimostrato che 
la normativa italiana in questione sia tale da pregiudicare l�accesso, in condizioni 
di concorrenza, al mercato italiano dei servizi legali, osservando come 
tale normativa sia caratterizzata da una certa flessibilit� che sembra permettere 
un corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione fornita dagli avvocati 
(punto 53). 
La procedura di infrazione, instaurata inizialmente anche per contestare 
(*) Avvocato dello Stato.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 65 
la compatibilit� con gli articoli 43 e 49 del Trattato CE dei minimi tariffari, � 
proseguita solo in relazione ai massimi a seguito della abrogazione dei minimi 
tariffari inderogabili con il c.d. decreto Bersani (art. 2 del decreto legge 4 luglio 
2006 convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248). 
In relazione alle tariffe forense minime, va ricordato che la Corte di giustizia, 
con la sentenza del 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, 
Cipolla e Macrino, pur ritenendo che le stesse siano compatibili con le regole 
della concorrenza (articoli 10, 81 e 82 CE), ha affermato che una normativa 
che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi 
determinati da una tariffa forense, quale quella italiana, costituisce una 
restrizione della libera prestazione dei servizi ai sensi dell�art. 49 CE, spettando 
comunque al giudice nazionale verificare se tale normativa, alla luce 
delle sue concrete modalit� di applicazione, sia giustificata dagli obiettivi della 
tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia e se le 
restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi. 
Esistendo tale precedente, la difesa del Governo italiano si � incentrata, 
in via principale, sulla contestazione dell�inderogabilit� delle tariffe forensi 
massime e, solo in subordine, si � soffermata sulla giustificabilit� della misura, 
ove considerata restrittiva ai sensi degli articoli 43 e 49 CE, sulla base di imperativi 
motivi di interesse pubblico, quali l�accesso alla giustizia da parte di 
tutti i cittadini, la tutela dei destinatari dei servizi e la buona amministrazione 
della giustizia. 
Infatti, prima del decreto Bersani, l�inderogabilit� delle tariffe a pena di 
nullit� era prevista dall�ordinamento italiano esclusivamente per le tariffe minime 
ed in particolare dall�art. 24 della legge n. 794 del 1942 e dal decreto 
ministeriale sulle tariffe forensi n. 127 del 2004, diviso in tre Capitoli, rispettivamente 
per le prestazioni civili, penali e stragiudiziali e precisamente dall�art. 
4, comma 1 del Capitolo I, dall�art. 1, comma 5 del Capitolo II e dall�art. 
9 del Capitolo III. 
E� invece sempre stato possibile superare le tariffe massime, sia per volont� 
delle parti, che rimane il primo criterio di determinazione del compenso 
professionale ai sensi dell�art. 2233 del codice civile, sia da parte del giudice. 
La tariffa professionale costituisce quindi un criterio sussidiario, utilizzabile 
solo in mancanza di pattuizione tra le parti e finalizzata comunque ad 
orientare il giudice nella liquidazione del compenso. 
Anche l�art. 61, comma 2 del R.D. n. 1578 del 1933 prevede che l�onorario 
dell�avvocato, salvo patto speciale, � determinato sulla base delle tariffe 
e �pu� essere anche maggiore di quello liquidato a carico della parte condannata 
alle spese� in relazione �alla specialit� della controversia o al pregio 
o al risultato dell�opera prestata�, fermo restando il potere (preventivo o successivo) 
del Consiglio dell�ordine di verificare la congruit� del compenso richiesto. 

66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
La liquidazione del giudice non � quindi vincolante nei rapporti clienteavvocato, 
potendo le parti concordemente superare l�importo liquidato sulla 
base delle tariffe forensi. 
Il decreto Bersani ha altres� abrogato il divieto di pattuire compensi parametrati 
al raggiungimento degli obiettivi perseguiti ed � quindi incontestabile, 
anche sotto tale profilo, la possibilit� di superare i massimi tariffari con 
il c.d. patto di quota lite in cui il compenso, parametrato in percentuale sul risultato 
della lite, � determinato sulla base di un metodo di calcolo forfetario 
che prescinde del tutto dalle diverse voci della tariffa. 
Peraltro, il superamento del tetto massimo della tariffa era comunque gi� 
consentito in tutte le cause di particolare importanza, complessit� o difficolt� 
per le questioni giuridiche trattate, e quindi tutt�altro che in ipotesi limitate o 
eccezionali. 
Infatti, le parti possono stabilire, senza alcun necessario parere del Consiglio 
dell�ordine, l�aumento fino al doppio dei massimi di tariffa per la materia 
civile (art. 5, comma 2 del Capitolo I) e fino al quadruplo per la materia penale 
(art. 1, comma 2 del Capitolo II del D.M. 8 aprile 2004 n. 127). 
Il previo parere del Consiglio dell�ordine � invece richiesto, in caso di 
straordinaria importanza della controversia per la materia civile (art. 5, comma 
3 del Capitolo I) e stragiudiziale (art. 1, comma 3 del Capitolo III), per aumentare 
il compenso fino al quadruplo nonch�, in caso di manifesta sproporzione 
tra la prestazione professionale e l�onorario previsto dalla tariffa, per 
aumentare il compenso anche oltre tale limite (art. 4, comma 2 del Capitolo I, 
art. 1, comma 3 del Capitolo II e art. 9 del Capitolo III). Ricorrendo tali circostanze, 
dunque, il massimo tariffario pu� essere superato senza alcun limite. 
Esaminate tali argomentazioni, la Corte di giustizia non ha nemmeno affrontato 
la questione della giustificabilit� della misura, non ritenendone provata 
la natura restrittiva della libert� di stabilimento e di libera prestazione dei 
servizi. 
Infatti, sebbene la Corte abbia affermato il carattere vincolante delle tariffe 
massime, ha ritenuto che la loro applicazione non comportasse comunque 
una preclusione per i legali di altri Stati membri di penetrare nel mercato italiano 
in condizioni normali di concorrenza. 
Alla luce di tali principi andr� quindi valutata la compatibilit� con le 
norme dell�Unione dei minimi tariffari reintrodotti nel disegno di legge di riforma 
della professione forense gi� approvato da un ramo del Parlamento. 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 67 
Corte di giustizia (Grande Sezione) sentenza 29 marzo 2011 nella causa C-565/08 - Pres. 
A. Tizzano, Rel. U. L�hmus, Avv. gen. J. Maz�k - Commissione europea / Repubblica italiana. 
�Inadempimento di uno Stato � Artt. 43 CE e 49 CE � Avvocati � Obbligo di rispettare tariffe 
massime in materia di onorari � Ostacolo all�accesso al mercato � Insussistenza� 
(Omissis) 
1 Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunit� europee chiede alla Corte di constatare 
che, prevedendo disposizioni che impongono agli avvocati l�obbligo di rispettare 
tariffe massime, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti 
ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE. 
Contesto normativo nazionale 
2 La professione di avvocato � disciplinata in Italia dal regio decreto legge 27 novembre 
1933, n. 1578, ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore legale (GURI 
n. 281, del 5 dicembre 1933, pag. 5521), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 
gennaio 1934, n. 36 (GURI n. 24, del 30 gennaio 1934), come successivamente modificato 
(in prosieguo: il �regio decreto legge�). In base agli artt. 52.55 del regio decreto 
legge, il Consiglio nazionale forense (in prosieguo: il �CNF�) � istituito presso il Ministero 
della Giustizia ed � costituito da avvocati eletti dai loro colleghi, in numero di uno 
per ciascun distretto di Corte d�appello. 
3 L�art. 57 del regio decreto legge prevede che i criteri per la determinazione degli onorari 
e delle indennit� dovuti agli avvocati ed ai procuratori in materia tanto civile, penale 
quanto stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del CNF. Tali criteri 
devono essere successivamente approvati dal Ministro della Giustizia, sentito il parere 
del Comitato interministeriale dei prezzi e previa consultazione del Consiglio di Stato. 
4 Ai sensi dell�art. 58 del regio decreto legge, i criteri di cui all�art. 57 del medesimo decreto 
sono stabiliti con riferimento al valore delle controversie e al grado dell�autorit� 
giudiziaria adita, nonch�, per i giudizi penali, alla durata degli stessi. Per ogni atto o 
serie di atti devono essere fissati un limite massimo ed un limite minimo dell�importo 
degli onorari. In materia stragiudiziale occorre tenere conto dell�importanza dell�affare. 
5 L�art. 60 del regio decreto legge stabilisce che la liquidazione degli onorari � fatta dall�autorit� 
giudiziaria sulla base dei citati criteri, tenendo conto della gravit� e del numero 
delle questioni trattate. Tale liquidazione deve mantenersi entro i limiti massimi e minimi 
previamente fissati. Tuttavia, nei casi di straordinaria importanza, tenuto conto della 
specialit� delle controversie e qualora il valore intrinseco della prestazione lo giustifichi, 
il giudice pu� oltrepassare il limite massimo. Viceversa egli pu�, quando la causa risulta 
di facile trattazione, fissare onorari in misura inferiore al limite minimo. In entrambi i 
casi la decisione del giudice dev�essere motivata. 
6 Ai sensi dell�art. 61, n. 1, del regio decreto legge, gli onorari praticati dagli avvocati nei 
confronti dei propri clienti, in materia sia giudiziale che stragiudiziale, sono determinati, 
salvo patto speciale, in base ai criteri di cui all�art. 57, tenuto conto della gravit� e del 
numero delle questioni trattate. Conformemente al n. 2 del medesimo articolo, tali onorari 
possono essere maggiori di quelli liquidati a carico della parte condannata alle spese 
se la specialit� della controversia o il valore della prestazione lo giustificano.
68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
7 L�art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, sugli onorari di avvocato per prestazioni 
giudiziali in materia civile (GURI n. 172, del 23 luglio 1942), prevede che sono inderogabili 
gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati, a pena di nullit� di 
qualsiasi accordo derogatorio. 
8 L�art. 13 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, sulla libera prestazione di servizi da parte 
degli avvocati cittadini di altri Stati membri della Comunit� europea (GURI n. 42, del 
12 febbraio 1982, pag. 1030), che recepisce la direttiva del Consiglio 22 marzo 1977, 
77/249/CEE, intesa a facilitare l�esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da 
parte degli avvocati (GU L 78, pag. 17), estende l�obbligo di rispettare le tariffe professionali 
in vigore agli avvocati di altri Stati membri che svolgono in Italia attivit� giudiziali 
e stragiudiziali. 
9 I diritti e gli onorari degli avvocati sono stati successivamente disciplinati da pi� decreti 
ministeriali di cui gli ultimi tre sono il D.M. 24 novembre 1990, n. 392, il D.M. 5 ottobre 
1994, n. 585, e il D.M. 8 aprile 2004, n. 127. 
10 Conformemente alla deliberazione del CNF allegata al decreto ministeriale 8 aprile 
2004, n. 127 (GURI n. 115, del 18 maggio 2004; in prosieguo: la �deliberazione del 
CNF�), le tariffe applicabili agli onorari degli avvocati si suddividono in tre capitoli, 
vale a dire il capitolo I, relativo alle prestazioni giudiziali in materia tanto civile, amministrativa 
quanto fiscale, il capitolo II, concernente le prestazioni giudiziali in materia 
penale, e il capitolo III, riguardante le prestazioni stragiudiziali. 
11 Per il capitolo I, l�art. 4, n. 1, della deliberazione del CNF vieta qualsiasi deroga agli 
onorari e diritti stabiliti per le prestazioni degli avvocati. 
12 Per quanto riguarda il capitolo II, l�art. 1, nn. 1 e 2 di suddetta deliberazione dispone 
che, per la determinazione dell�onorario di cui alla tabella, deve tenersi conto della natura, 
complessit� e gravit� della causa, delle contestazioni e delle imputazioni, del numero 
e dell�importanza delle questioni trattate e della loro rilevanza patrimoniale, della 
durata del procedimento e del processo, del valore della prestazione effettuata, del numero 
di avvocati che hanno collaborato e condiviso la responsabilit� della difesa, dell�esito 
ottenuto, anche avuto riguardo alle conseguenze civili, nonch� delle condizioni 
finanziarie del cliente. Per le cause che richiedono un particolare impegno, per la complessit� 
dei fatti o per le questioni giuridiche trattate, gli onorari possono giungere fino 
al quadruplo dei massimi stabiliti. 
13 Per quanto concerne il capitolo III, l�art. 1, n. 3, della deliberazione del CNF sancisce 
che, nelle pratiche di particolare importanza, complessit� e difficolt�, il limite massimo 
degli onorari pu� essere aumentato fino al doppio e quello degli onorari per le pratiche 
di straordinaria importanza fino al quadruplo, previo parere del consiglio dell�ordine 
degli avvocati competente. L�art. 9 di tale deliberazione precisa che, nell�ipotesi di manifesta 
sproporzione, per particolari circostanze del caso, tra la prestazione e gli onorari 
previsti dalla tabella, su parere del consiglio dell�ordine degli avvocati competente, i 
massimi possono essere maggiorati anche oltre quanto previsto dall�art. l, n. 3, della deliberazione 
in parola e i minimi possono essere diminuiti. 
14 Il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (GURI n. 153, del 4 luglio 2006), convertito nella 
legge 4 agosto 2006, n. 248 (GURI n. 186, dell�11 agosto 2006; in prosieguo: il �decreto 
Bersani�) � intervenuto sulle disposizioni in materia di onorari d�avvocato. L�art. 2 del
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 
predetto decreto, intitolato �Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore 
dei servizi professionali�, ai suoi nn. 1 e 2, dispone quanto segue: 
�1. In conformit� al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libert� di 
circolazione delle persone e dei servizi, nonch� al fine di assicurare agli utenti un�effettiva 
facolt� di scelta nell�esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni 
offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le 
disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attivit� libero 
professionali e intellettuali: 
a) l�obbligatoriet� di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati 
al raggiungimento degli obiettivi perseguiti; 
(...) 
2. Sono fatte salve le disposizioni riguardanti (...) le eventuali tariffe massime prefissate 
in via generale a tutela degli utenti. Il giudice provvede alla liquidazione delle 
spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di 
gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale (...)�. 
15 A norma dell�art. 2233 del codice civile italiano, in generale, il compenso per un contratto 
di prestazione di servizi, se non � convenuto dalle parti e non pu� essere determinato 
secondo le tariffe o gli usi in vigore, � determinato dal giudice, sentito il parere 
dell�associazione professionale a cui il professionista appartiene. In ogni caso, la misura 
del compenso deve essere adeguata all�importanza dell�opera e al decoro della professione. 
Ogni patto concluso dagli avvocati o i praticanti abilitati con i loro clienti che 
stabilisca i compensi professionali � nullo se non � redatto in forma scritta. 
La fase precontenziosa 
16 Con lettera di diffida del 13 luglio 2005, la Commissione ha richiamato l�attenzione 
delle autorit� italiane su una possibile incompatibilit� di talune disposizioni nazionali, 
relative alle attivit� stragiudiziali degli avvocati, con l�art. 49 CE. Le autorit� italiane 
hanno risposto con lettera del 19 settembre 2005. 
17 In seguito, la Commissione ha completato due volte l�analisi effettuata nella lettera di 
diffida. In una prima lettera di diffida supplementare, datata 23 dicembre 2005, la Commissione 
ha considerato incompatibili con gli artt. 43 CE e 49 CE le disposizioni italiane 
che stabiliscono l�obbligo di rispettare tariffe imposte per le attivit� giudiziali e stragiudiziali 
degli avvocati. 
18 La Repubblica italiana ha risposto con lettere del 9 marzo, del 10 luglio nonch� del 17 
ottobre 2006, informando la Commissione della nuova normativa italiana applicabile 
in materia di onorari degli avvocati, ossia il decreto Bersani. 
19 Con una seconda lettera di diffida supplementare, datata 23 marzo 2007, la Commissione, 
tenendo conto di questa nuova normativa, ha integrato ulteriormente la sua posizione. 
La Repubblica italiana ha risposto con lettera datata 21 maggio 2007. 
20 Con lettera del 3 agosto 2007, la Commissione ha poi chiesto alle autorit� italiane informazioni 
in merito alle modalit� di rimborso delle spese sostenute dagli avvocati. La 
Repubblica italiana ha risposto con lettera del 28 settembre 2007. 
21 Non essendo rimasta soddisfatta da tale risposta, il 4 aprile 2008 la Commissione ha 
trasmesso un parere motivato alla Repubblica italiana, adducendo che le disposizioni 
nazionali che impongono l�obbligo per gli avvocati di rispettare tariffe massime sono
70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
incompatibili con gli artt. 43 CE e 49 CE. Tale obbligo risulterebbe, in particolare, dalle 
disposizioni di cui agli artt. 57 e 58 del regio decreto legge, dall�art. 24 della legge 13 
giugno 1942, n. 794, dall�art. 13 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, dalle pertinenti disposizioni 
dei decreti ministeriali 24 novembre 1990, n. 392, 5 ottobre 1994, n. 585, e 
8 aprile 2004, n. 127, nonch� dalle disposizioni del decreto Bersani (in prosieguo, complessivamente: 
le �disposizioni controverse�). Essa ha invitato tale Stato membro ad 
adottare, entro un termine di due mesi dal ricevimento di tale parere, le misure necessarie 
per adeguarvisi. La Repubblica italiana ha risposto con lettera del 9 ottobre 2008. 
22 Ritenendo che la Repubblica italiana non avesse rimediato all�infrazione addebitatale, 
la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso. 
Sul ricorso 
Argomenti delle parti 
23 Con il suo ricorso la Commissione addebita alla Repubblica italiana di aver previsto, 
in violazione degli artt. 43 CE e 49 CE, disposizioni che impongono agli avvocati l�obbligo 
di rispettare tariffe massime per la determinazione dei propri onorari. 
24 Ad avviso della Commissione, detto obbligo deriva dal decreto Bersani che, pur abrogando 
le tariffe fisse o minime applicabili agli onorari degli avvocati, ha esplicitamente 
mantenuto l�obbligo di rispettare tariffe massime in nome della protezione dei consumatori. 
Tale interpretazione sarebbe peraltro confermata dal CNF, dal consiglio dell�ordine 
degli avvocati di Torino nonch� dall�Autorit� Garante della Concorrenza e del 
Mercato nei rispettivi documenti ufficiali. 
25 Il fatto che questo stesso decreto abbia abolito il divieto di stabilire contrattualmente 
compensi dipendenti dal conseguimento degli obiettivi perseguiti, ossia il cosiddetto 
�patto del quota lite�, non pu� inficiare la conclusione che il rispetto di tali tariffe massime 
� ancora obbligatorio in tutti i casi in cui un siffatto patto non sia stato concluso. 
D�altronde, durante la fase precontenziosa, le autorit� italiane non avrebbero mai negato 
l�obbligatoriet� delle tariffe massime di cui trattasi. 
26 Del pari, la Commissione sottolinea che le eccezioni previste per le tariffe massime applicabili 
agli onorari degli avvocati non escludono, ma anzi confermano, che le tariffe 
massime degli onorari si applicano in via generale. 
27 La Commissione sostiene che le disposizioni controverse producono l�effetto di disincentivare 
gli avvocati stabiliti in altri Stati membri a stabilirsi in Italia o a prestarvi temporaneamente 
i propri servizi e, di conseguenza, configurano restrizioni alla libert� di 
stabilimento ai sensi dell�art. 43 CE nonch� alla libera prestazione dei servizi ai sensi 
dell�art. 49 CE. 
28 Infatti, essa considera che un tariffario massimo obbligatorio, che si applichi indipendentemente 
dalla qualit� della prestazione, dal lavoro necessario per effettuarla e dai 
costi sostenuti per attuarla, possa rendere il mercato italiano delle prestazioni legali non 
attraente per i professionisti stabiliti in altri Stati membri. 
29 A giudizio della Commissione, tali restrizioni derivano, in primo luogo, dall�obbligo 
imposto agli avvocati di calcolare i propri onorari in base ad un tariffario estremamente 
complesso che genera un costo aggiuntivo, in particolare per gli avvocati stabiliti fuori 
dell�Italia. Nel caso in cui questi avvocati avessero utilizzato fino ad allora un diverso
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 
sistema di calcolo dei loro onorari, essi sarebbero obbligati ad abbandonarlo per adeguarsi 
al sistema italiano. 
30 In secondo luogo, l�esistenza di tariffe massime applicabili agli onorari degli avvocati 
impedirebbe che i servizi degli avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica 
italiana siano correttamente remunerati dissuadendo taluni avvocati, i quali chiedono 
onorari pi� elevati di quelli stabiliti dalle disposizioni controverse, dal prestare temporaneamente 
i propri servizi in Italia, ovvero dallo stabilirsi in tale Stato membro. Infatti, 
secondo la Commissione, il margine di guadagno massimo � fissato indipendentemente 
dalla qualit� del servizio prestato, dall�esperienza dell�avvocato, dalla sua specializzazione, 
dal tempo da lui dedicato alla causa, dalla situazione economica del cliente, e, 
ancor pi�, dall�eventualit� che l�avvocato sia tenuto a spostarsi per lunghi tragitti. 
31 La Commissione considera, in terzo luogo, che il sistema di tariffazione italiano pregiudichi 
la libert� contrattuale dell�avvocato impedendogli di fare offerte ad hoc in determinate 
situazioni e/o a clienti particolari. Le disposizioni controverse potrebbero 
dunque comportare una perdita di competitivit� per gli avvocati stabiliti in altri Stati 
membri perch� esse privano gli stessi di efficaci tecniche di penetrazione nel mercato 
legale italiano. Di conseguenza, la Commissione ritiene che le disposizioni controverse 
costituiscano un ostacolo all�accesso al mercato italiano dei servizi legali per gli avvocati 
stabiliti in altri Stati membri. 
32 In via principale, la Repubblica italiana contesta non l�esistenza, nell�ordinamento giuridico 
italiano, di dette tariffe massime, bens� il carattere vincolante delle medesime, 
sostenendo che esistono numerose deroghe per superare tali limiti, o per volont� degli 
avvocati e dei loro clienti, o tramite l�intervento del giudice. 
33 Secondo tale Stato membro, il criterio principale che consente di fissare gli onorari 
degli avvocati risiede, a norma dell�art. 2233 del codice civile italiano, nel contratto 
concluso tra l�avvocato e il suo cliente, mentre il ricorso alle tariffe applicabili agli onorari 
degli avvocati costituisce soltanto un criterio sussidiario, utilizzabile in mancanza 
di compenso liberamente fissato dalle parti contrattuali nell�esercizio della loro autonomia 
contrattuale. 
34 Inoltre, gli onorari calcolati su base oraria sarebbero espressamente previsti al punto 10 
del capitolo III della deliberazione del CNF come metodo alternativo di calcolo degli 
onorari in materia stragiudiziale. 
35 Del pari, in seguito all�adozione del decreto Bersani, il divieto di concludere un accordo 
tra cliente ed avvocato, che preveda un compenso dipendente dall�esito della controversia, 
sarebbe stato definitivamente abolito dall�ordinamento giuridico italiano. 
36 Per quanto riguarda le deroghe alle tariffe massime applicabili agli onorari degli avvocati, 
la Repubblica italiana sottolinea che, in tutte le cause di particolare importanza, 
complessit� o difficolt� per le questioni giuridiche trattate, gli avvocati e i loro clienti 
possono convenire, senza che sia necessario alcun parere del consiglio dell�ordine degli 
avvocati competente, che gli onorari vengano aumentati fino al doppio dei massimi di 
tali tariffe o anche, in materia penale, fino al quadruplo di tali massimi. 
37 Il previo parere del consiglio dell�ordine degli avvocati competente sarebbe invece richiesto, 
in materia sia civile che stragiudiziale, nei casi di straordinaria importanza delle 
controversie, per aumentare il compenso fino al quadruplo dei massimi previsti nonch�,
72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
in caso di manifesta sproporzione tra la prestazione professionale e l�onorario previsto 
dalle tariffe applicabili a tali onorari, per aumentare del pari gli onorari di cui trattasi 
anche oltre tali massimi. 
38 In subordine, la Repubblica italiana sostiene che le disposizioni controverse non contengono 
alcuna misura restrittiva della libert� di stabilimento o della libera prestazione 
dei servizi e che gli addebiti della Commissione non sono fondati. 
39 Infatti, per quanto riguarda i costi aggiuntivi, l�esistenza di una duplice normativa, ossia 
quella dello Stato membro d�origine e quella dello Stato membro ospitante, non potrebbe, 
di per s�, costituire un motivo che consenta di sostenere che le disposizioni controverse 
sono restrittive poich� le norme professionali in vigore nello Stato membro 
ospitante sarebbero applicabili agli avvocati provenienti da altri Stati membri in forza 
delle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 77/249 e 
98/5/CE, volte a facilitare l�esercizio permanente della professione di avvocato in uno 
Stato membro diverso da quello in cui � stata acquistata la qualifica (GU L 77, pag. 36), 
indipendentemente dalle norme applicabili nello Stato membro d�origine. 
40 Per quanto attiene all�asserita riduzione dei margini di guadagno, le disposizioni controverse 
prevederebbero in modo dettagliato il rimborso integrale di tutte le spese di 
missione in base a documenti giustificativi e concederebbero inoltre un�indennit� di trasferta 
per le ore di lavoro perse durante quest�ultima. Tali spese si aggiungerebbero ai 
diritti, agli onorari e alle spese generali degli avvocati e sarebbero rimborsate, in applicazione 
del principio di non discriminazione, tanto agli avvocati stabiliti in Italia, che 
devono spostarsi sul territorio nazionale, quanto agli avvocati stabiliti in altri Stati membri 
che devono spostarsi in Italia. 
Giudizio della Corte 
41 In via preliminare, va constatato come dall�insieme delle disposizioni controverse 
emerga che le tariffe massime applicabili agli onorari degli avvocati costituiscono norme 
giuridicamente vincolanti in quanto sono previste da un testo di legge. 
42 Pur supponendo che gli avvocati e i loro clienti siano, in concreto, liberi di pattuire 
contrattualmente il compenso degli avvocati su base oraria o a seconda dell�esito della 
causa, come fatto valere dalla Repubblica italiana, resta nondimeno il fatto che le tariffe 
massime continuano ad essere obbligatorie nell�ipotesi in cui non esista un patto tra gli 
avvocati e i clienti. 
43 Peraltro, la Commissione ha giustamente considerato che l�esistenza di deroghe che 
consentano di superare, in presenza di determinate condizioni, i limiti massimi dell�importo 
degli onorari portandoli al doppio o al quadruplo o addirittura oltre, conferma che 
le tariffe massime degli onorari si applicano in via generale. 
44 Di conseguenza, non pu� essere accolto l�argomento della Repubblica italiana secondo 
cui, nel suo ordinamento giuridico, non esiste alcun obbligo per gli avvocati di osservare 
tariffe massime per la determinazione dei loro onorari. 
45 Per quanto riguarda, poi, l�esistenza di restrizioni alla libert� di stabilimento nonch� 
alla libera prestazione di servizi, di cui rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE, da una 
giurisprudenza costante emerge che siffatte restrizioni sono costituite da misure che vietano, 
ostacolano o scoraggiano l�esercizio di tali libert� (v., in tal senso, sentenze 15
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 
gennaio 2002, causa C.439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I.305, punto 22; 5 ottobre 
2004, causa C.442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I.8961, punto 11; 30 marzo 2006, 
causa C.451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, Racc. pag. I.2941, punto 31, 
e 4 dicembre 2008, causa C.330/07, Jobra, Racc. pag. I.9099, punto 19). 
46 In particolare, la nozione di restrizione comprende le misure adottate da uno Stato membro 
che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudichino l�accesso al mercato per 
gli operatori economici di altri Stati membri (v., in particolare, sentenze CaixaBank 
France, cit., punto 12, e 28 aprile 2009, causa C.518/06, Commissione/Italia, Racc. pag. 
I.3491, punto 64). 
47 Nella specie, � pacifico che le disposizioni controverse si applichino indistintamente a 
tutti gli avvocati che forniscono servizi sul territorio italiano. 
48 La Commissione ritiene, tuttavia, che tali disposizioni costituiscano una restrizione ai 
sensi degli articoli summenzionati, in quanto possono infliggere agli avvocati, stabiliti 
in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana e che forniscono servizi in quest�ultimo 
Stato, costi aggiuntivi generati dall�applicazione del sistema italiano degli onorari nonch� 
una riduzione dei margini di guadagno e dunque una perdita di competitivit�. 
49 A tal riguardo, giova ricordare anzitutto che una normativa di uno Stato membro non 
costituisce una restrizione ai sensi del Trattato CE per il solo fatto che altri Stati membri 
applichino regole meno severe o economicamente pi� vantaggiose ai prestatori di servizi 
simili stabiliti sul loro territorio (v. sentenza 28 aprile 2009, Commissione/Italia, cit., 
punto 63 e giurisprudenza ivi citata). 
50 L�esistenza di una restrizione ai sensi del Trattato non pu� dunque essere desunta dalla 
mera circostanza che gli avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana 
devono, per il calcolo dei loro onorari per prestazioni fornite in Italia, abituarsi 
alle norme applicabili in tale Stato membro. 
51 Per contro, una restrizione del genere esiste, segnatamente, se detti avvocati sono privati 
della possibilit� di penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di 
concorrenza normali ed efficaci (v., in tal senso, sentenza CaixaBank France, cit., punti 
13 e 14; 5 dicembre 2006, cause riunite C.94/04 e C.202/04, Cipolla e a., Racc. pag. 
I.11421, punto 59, nonch� 11 marzo 2010, causa C.384/08, Attanasio Group, non ancora 
pubblicata nella Raccolta, punto 45). 
52 Orbene, � giocoforza constatare che la Commissione non ha dimostrato che le disposizioni 
controverse abbiano un tale scopo o effetto. 
53 Infatti, essa non � riuscita a dimostrare che la normativa in discussione � concepita in 
modo da pregiudicare l�accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al 
mercato italiano dei servizi di cui trattasi. Va rilevato, al riguardo, che la normativa italiana 
sugli onorari � caratterizzata da una flessibilit� che sembra permettere un corretto 
compenso per qualsiasi tipo di prestazione fornita dagli avvocati. Cos�, � possibile aumentare 
gli onorari fino al doppio delle tariffe massime altrimenti applicabili, per cause 
di particolare importanza, complessit� o difficolt�, o fino al quadruplo di dette tariffe 
per quelle che rivestono una straordinaria importanza, o anche oltre in caso di sproporzione 
manifesta, alla luce delle circostanze nel caso di specie, tra le prestazioni dell�avvocato 
e le tariffe massime previste. In diverse situazioni, inoltre, � consentito agli 
avvocati concludere un accordo speciale con il loro cliente al fine di fissare l�importo
74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
degli onorari. 
54 Pertanto, non avendo dimostrato che le disposizioni controverse ostacolano l�accesso 
degli avvocati provenienti dagli altri Stati membri al mercato italiano di cui trattasi, l�argomentazione 
della Commissione, diretta alla constatazione dell�esistenza di una restrizione 
ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE, non pu� essere accolta. 
55 Ne consegue che il ricorso dev�essere respinto. 
Sulle spese 
56 A norma dell�art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente � condannata 
alle spese se ne � stata fatta domanda. Poich� la Repubblica italiana non ha 
chiesto la condanna della Commissione alle spese, si deve decidere che ciascuna parte 
sopporti le proprie spese. 
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce: 
1) Il ricorso � respinto. 
2) La Commissione europea e la Repubblica italiana sopportano le proprie 
spese.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 
La cancellazione dell�iscrizione all�albo degli avvocati in caso di 
esercizio concomitante della professione forense e di un impiego 
come dipendente pubblico a tempo parziale 
(Nota a Corte di giustizia, Quinta Sezione, sentenza 2 dicembre 2010 nella causa C-225/09, 
Jakubowska) 
Luca Ventrella*, Laura Zoppo** 
La questione pregiudiziale su cui si � pronunciata la Corte di giustizia 
nella sentenza in esame attiene all�interpretazione delle disposizioni del diritto 
dell�Unione europea relative all�esercizio della professione forense ed alla 
compatibilit� con esse della normativa italiana in tema di cancellazione obbligatoria 
dall�albo degli avvocati dei dipendenti pubblici part-time. 
Il relativo rinvio � stato disposto dal Giudice di pace di Cortona nell�ambito 
di una controversia instaurata per ottenere il risarcimento dei danni (quantificati 
in 200 �) derivanti dal danneggiamento di un�automobile. In tale 
giudizio l�attrice era infatti rappresentata da due avvocati, entrambi dipendenti 
pubblici a tempo parziale, i quali, nelle more del procedimento, hanno subito 
la cancellazione d�ufficio dall�albo professionale in virt� della legge 25 novembre 
2003, n. 339. 
Prima dell�entrata in vigore delle suddetta legge, l�art. 1, commi 56 e 56 
bis della legge 23 dicembre 1996, n. 662 consentiva ai pubblici dipendenti 
part-time di svolgere la professione forense. La nuova normativa ha invece 
sancito un divieto generale, equiparando i pubblici dipendenti a tempo parziale 
ai titolari di qualunque altro impiego o ufficio alle dipendenze di una Pubblica 
Amministrazione, per i quali era gi� escluso il contestuale esercizio della professione 
di avvocato, ai sensi dell�art. 3, comma 2, del regio decreto legge 27 
novembre 1933, n. 1578. Essa ha inoltre fissato un termine a favore di coloro 
che avevano beneficiato del regime previgente e risultavano pertanto iscritti 
all�albo degli avvocati, onde poter scegliere se conservare il rapporto d�impiego 
o alternativamente mantenere l�iscrizione all�albo. Infine, in caso di 
mancata opzione, essa attribuiva ai consigli degli ordini professionali il potere 
di provvedere d�ufficio alla cancellazione degli avvocati part-time. 
Il Giudice a quo ha sottoposto alla Corte di giustizia una serie di quesiti 
concernenti, in particolare, la compatibilit� di tale normativa con le regole 
dell�Unione europea in materia di concorrenza (1), nonch� con la disciplina 
dettata dalla direttiva n. 98/5, volta a facilitare l�esercizio permanente della 
(*) Avvocato dello Stato. 
(**) Dottore di ricerca in Diritto internazionale e dell�Unione europea, gi� praticante presso l�Avvocatura 
dello Stato. 
(1) E segnatamente con l�art. 81 del Trattato CE, oggi trasfuso, in seguito all�entrata in vigore del 
Trattato di Lisbona il 1� dicembre 2009, nell�art. 101 del Trattato sul funzionamento dell�Unione europea.
76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui � stata 
acquistata la qualifica. 
Sul primo punto la Corte, richiamando alcuni propri precedenti (2), ha 
affermato che sussiste la violazione della disciplina europea sulla libera concorrenza 
tutte le volte in cui uno Stato membro revochi alla propria normativa 
il suo carattere pubblico delegando ad operatori privati la responsabilit� di 
adottare decisioni di intervento in materia economica. Poich� per�, nel caso 
di specie, i consigli dell�ordine non hanno alcuna influenza sull�adozione d�ufficio 
dei provvedimenti di cancellazione, che � prescritta per legge, non vi �, 
secondo la Corte, alcuna delega a privati dell�esercizio di poteri pubblici. 
Quanto al secondo aspetto, i Giudici di Lussemburgo hanno innanzitutto 
precisato che l�obiettivo principale della direttiva n. 98/5 � rappresentato dall�armonizzazione 
completa dei requisiti preliminari per l�iscrizione nello Stato 
ospitante. Per contro, le specifiche regole professionali e deontologiche in vigore 
nei diversi Stati membri non sono state oggetto di alcuna armonizzazione 
e possono quindi divergere in maniera considerevole le une dalle altre. 
In particolare, l�art. 8 della citata direttiva riguarda una categoria specifica 
di tali regole professionali e deontologiche, vale a dire quelle che determinano 
in quale misura gli avvocati iscritti presso uno Stato membro possono esercitare 
la professione come lavoratori subordinati di altri avvocati, di associazioni 
o societ� di avvocati oppure di imprese pubbliche o private. La norma conferisce 
quindi a ciascuno Stato il potere di disciplinare ed eventualmente limitare 
l�esercizio di talune categorie di impieghi pubblici o privati da parte degli avvocati 
iscritti presso la competente autorit� nazionale. Una siffatta autonomia 
si giustifica, nell�opinione della Corte, con l�esigenza di lasciare gli Stati liberi 
di far ricorso agli strumenti di volta in volta ritenuti pi� idonei ad evitare conflitti 
d�interesse, a garanzia dell�indipendenza e della libert� di mandato dell�avvocato 
nell�esercizio della professione. 
In altri termini, l�art. 8, secondo l�interpretazione datane dalla Corte, autorizza 
lo Stato membro ospitante ad imporre agli avvocati ivi iscritti e che 
siano impiegati (vuoi a tempo pieno vuoi a tempo parziale) presso un altro avvocato, 
un�associazione o societ� di avvocati oppure un�impresa pubblica o 
privata, restrizioni all�esercizio concomitante della professione forense e di 
detto impiego, indipendentemente dal diverso regime eventualmente vigente 
nello Stato d�origine, allo scopo di garantire agli avvocati una posizione di 
piena indipendenza nei confronti dei pubblici poteri e di tutti gli altri operatori 
di cui non devono subire l�influenza. 
(2) V. Sentenza della Corte del 19 febbraio 2002 in causa C-35/99, Procedimento penale a carico 
di Manuele Arduino, con l�intervento di: Diego Dessi, Giovanni Bertolotto e Compagnia Assicuratrice 
RAS SpA, in Raccolta 2002, pag. I-1529, punto 35; sentenza della Corte del 5 dicembre 2006 in cause 
riunite C-94/04 e C-202/04, Federico Cipolla c. Rosaria Portolese in Fazari (C-94/04) e Stefano Macrino 
e Claudia Capoparte c. Roberto Meloni (C-202/04), in Raccolta 2006, pag. I-11421, punto 47.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 77 
Resta per� salvo il limite della proporzionalit� delle regole adottate rispetto 
allo specifico obiettivo della prevenzione dei conflitti d�interesse, nonch� 
quello dell�applicazione generalizzata delle regole medesime a tutti gli 
avvocati iscritti nello Stato, a prescindere dalla circostanza che abbiano ottenuto 
il titolo professionale nello Stato stesso o in un altro Stato membro, onde 
evitare che si producano forme di discriminazione alla rovescia. 
La decisione giunge quindi a conclusioni tutto sommato scontate, come 
si evince anche dalla circostanza che le osservazioni presentate dalla Commissione 
e dagli Stati membri intervenuti nel procedimento sono state in larga 
parte conformi ai principi poi affermati dalla Corte. 
La sola eccezione � rappresentata dal Governo portoghese, che ha utilizzato 
argomenti contrastanti, puntualmente smentiti nella motivazione della 
sentenza in commento. In particolare, esso muoveva dal presupposto che le 
norme nazionali sull�incompatibilit� tra esercizio della professione forense e 
titolarit� di impieghi pubblici non riguardassero la disciplina della professione 
forense ma piuttosto quella dell�impiego pubblico, mirando a garantire la fedelt� 
dei pubblici dipendenti alla loro missione pubblica. Conseguentemente, 
il Portogallo sosteneva che le esigenze sottostanti al divieto di esercizio della 
professione forense per i dipendenti pubblici part-time, essendo fondate esclusivamente 
sull�interesse dell�Italia a tutelare la propria funzione pubblica, non 
potessero essere opposte ad un avvocato proveniente da altro Stato membro e 
dipendente pubblico del proprio Stato di origine che intendesse esercitare la 
professione in Italia in regime di stabilimento. Come si � visto, per�, la Corte 
ha negato qualunque fondamento a simili argomentazioni basando le proprie 
conclusioni sull�esigenza di prevenire i conflitti d�interesse nell�esercizio della 
professione forense e di evitare ogni forma di discriminazione all�indietro. 
Pu� osservarsi, in conclusione, come nel caso in esame una vicenda di 
modesta portata abbia offerto alla Corte di giustizia l�occasione di affrontare 
una questione, se non particolarmente complessa dal punto di vista giuridico, 
comunque piuttosto delicata, come dimostrato anche dall�ordinanza interlocutoria 
n. 24689, depositata il 6 dicembre scorso, con la quale le Sezioni Unite 
della Corte di Cassazione hanno sollevato questione di legittimit� costituzionale 
degli artt. 1 e 2 della legge n. 339/2003 in riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 
41 della Costituzione (3). 
Orbene, se l�oggetto del procedimento svolto dinanzi alla Corte di giustizia 
dell�Unione europea non era costituito tanto dalla valutazione della di- 
(3) La Corte ha ritenuto �non manifestamente infondata la tesi dei ricorrenti secondo cui la nuova 
normativa dettata dalla legge del 2003 non avrebbe tenuto nel debito conto delle situazioni gi� in atto 
venutesi a creare in applicazione della precedente normativa sconvolgendo in tal modo preesistenti e 
consolidati equilibri�. Le Sezioni Unite hanno invece dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni 
concernenti l�asserita violazione del diritto dell�Unione europea.
78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
sciplina nazionale (comՏ noto, trattandosi di un rinvio pregiudiziale) quanto 
dall�interpretazione delle normativa comunitaria, un�eventuale pronuncia della 
Corte costituzionale comporterebbe invece un�approfondita disamina della disciplina 
stessa e della sua conformit� con i principi fondamentali dell�ordinamento 
(4). 
La sorte del divieto di contemporaneo esercizio della professione forense 
per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale resta quindi 
ancora incerta, nonostante la declaratoria di non incompatibilit� con il diritto 
dell�Unione europea contenuta nella sentenza in commento. 
Corte di giustizia (Quinta Sezione) sentenza 2 dicembre 2010 nella causa C-225/09 - Pres. 
E. Levits, Rel. M. Ile.i., Avv. gen. N. J��skinen - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta 
dal Giudice di pace di Cortona (Italia) - Edyta Joanna Jakubowska / Alessandro Maneggia. 
�Norme dell�Unione relative all�esercizio della professione di avvocato � Direttiva 98/5/CE 
� Art. 8 � Prevenzione dei conflitti d�interessi � Normativa nazionale che vieta l�esercizio 
concomitante della professione forense e di un impiego come dipendente pubblico a tempo 
parziale � Cancellazione dell�iscrizione all�albo degli Avvocati� 
(Omissis) 
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione degli artt. 3, n. 1, lett. 
g), CE, 4 CE, 10 CE, 81 CE e 98 CE, della direttiva del Consiglio 22 marzo 1977, 
77/249/CEE, intesa a facilitare l�esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da 
parte degli avvocati (GU L 78, pag. 17), della direttiva del Parlamento europeo e del 
Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l�esercizio permanente della professione 
di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui � stata acquistata la 
qualifica (GU L 77, pag. 36), nonch� dei principi generali della tutela del legittimo affidamento 
e del rispetto dei diritti quesiti. 
2 Detta domanda � stata presentata nell�ambito di una controversia tra la sig.ra Jakubowska 
e il sig. Maneggia in merito ad una domanda di risarcimento dei danni, controversia sfociata 
in un procedimento attualmente pendente dinanzi al Giudice di pace di Cortona, 
nelle more del quale, a carico degli avvocati che rappresentavano la sig.ra Jakubowska, 
� stata emessa una delibera di cancellazione dall�albo degli Avvocati di Perugia. 
(4) Peraltro gi� effettuata in passato dal Giudice delle leggi, che, con sentenza n. 390 del 2006, 
ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalit� sollevata dal tribunale di Cuneo. Tuttavia, 
come sottolinea la Cassazione, tale pronuncia non ha affrontato n� il problema della legittimit� della 
legge n. 339/2003 nella parte in cui estende i suoi effetti anche a coloro che erano gi� iscritti negli albi 
degli avvocati ed esercitavano la professione sulla base della disciplina preesistente al momento dell�entrata 
in vigore della nuova legge, n� il problema della legittimit� del divieto, sopravvenuto a carico 
di costoro, di continuare l�esercizio dell�attivit� professionale gi� legittimamente intrapresa. 
V. anche l�ordinanza n. 91, depositata il 27 marzo 2009, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato la 
manifesta inammissibilit� della questione di legittimit� costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 25 novembre 
2003, n. 339, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione, dal Tribunale 
ordinario di Napoli.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 
Contesto normativo 
Il diritto dell�Unione 
La direttiva 77/249 
3 L�art. 1, n. 1, primo comma, della direttiva 77/249 cos� recita: 
�La presente direttiva si applica, nei limiti e alle condizioni da essa previst[i], all�attivit� 
di avvocato esercitata a titolo di prestazione di servizi�. 
4 L�art. 6 della medesima direttiva prevede quanto segue: 
�Ogni Stato membro pu� escludere gli avvocati dipendenti, legati da un contratto di lavoro 
ad un ente pubblico o privato, dall�esercizio delle attivit� di rappresentanza e di 
difesa in giudizio di questo ente nella misura in cui gli avvocati stabiliti in detto Stato 
non siano autorizzati ad esercitare tali attivit��. 
5 Considerate le differenti versioni linguistiche di tale art. 6, e al fine di garantire che tutte 
queste versioni abbiano la stessa portata, i termini �ente pubblico o privato� che compaiono 
nella versione italiana di tale articolo devono essere intesi come riferiti alla nozione 
di �impresa pubblica o privata�. 
La direttiva 98/5 
6 L�art. 3 della direttiva 98/5 cos� prevede: 
�1. L�avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale 
ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l�autorit� competente 
di detto Stato membro. 
2. L�autorit� competente dello Stato membro ospitante procede all�iscrizione dell�avvocato 
su presentazione del documento attestante l�iscrizione di questi presso la corrispondente 
autorit� competente dello Stato membro di origine. (...) 
(...)�. 
7 L�art. 6, n. 1, della stessa direttiva cos� dispone: 
�Indipendentemente dalle regole professionali e deontologiche cui � soggetto nel proprio 
Stato membro di origine, l�avvocato che esercita con il proprio titolo professionale d�origine 
� soggetto alle stesse regole professionali e deontologiche cui sono soggetti gli avvocati 
che esercitano col corrispondente titolo professionale dello Stato membro 
ospitante per tutte le attivit� che esercita sul territorio di detto Stato�. 
8 L�art. 7, n. 1, di detta direttiva cos� prevede: 
�Se l�avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine non ottempera 
agli obblighi vigenti nello Stato membro ospitante si applicano le regole di procedura, 
le sanzioni e i mezzi di ricorso previsti nello Stato membro ospitante�. 
9 L�art. 8 della direttiva 98/5 cos� recita: 
�L�avvocato iscritto nello Stato membro ospitante con il titolo professionale di origine 
pu� esercitare la professione come lavoratore subordinato di un altro avvocato, di un�associazione 
o societ� di avvocati, di un ente pubblico o privato, qualora lo Stato membro 
ospitante lo consenta agli avvocati iscritti con il titolo professionale che esso rilascia�. 
10 Considerate le differenti versioni linguistiche di tale art. 8, e al fine di garantire che 
tutte queste versioni abbiano la stessa portata, i termini �ente pubblico o privato� che 
compaiono nella versione italiana di tale articolo devono essere intesi come riferiti alla 
nozione di �impresa pubblica o privata�.
80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
La normativa nazionale 
11 L�art. 3, secondo comma, del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull�ordinamento 
delle professioni di avvocato e di procuratore legale (Gazzetta ufficiale del 
Regno d�Italia n. 281 del 5 dicembre 1933), convertito, con modificazioni, dalla legge 
22 gennaio 1934, n. 36 (Gazzetta ufficiale del Regno d�Italia n. 24 del 30 gennaio 1934), 
cos� dispone: 
�[L�esercizio, in particolare, della professione di avvocato �] incompatibile con qualunque 
impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Province, 
dei Comuni (...) ed in generale di qualsiasi altra Amministrazione o istituzione pubblica 
soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle Province e dei Comuni�. 
12 La legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante misure di razionalizzazione della finanza 
pubblica (Supplemento ordinario alla GURI n. 303 del 28 dicembre 1996), come modificata 
dal decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, recante misure urgenti per il riequilibrio 
della finanza pubblica, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 
140 (GURI n. 123 del 29 maggio 1997, pag. 5; in prosieguo: la �legge n. 662/96�), prevede, 
al suo art. 1, commi 56 e 56 bis, quanto segue: 
�56. Le disposizioni (...) di legge e di regolamento che vietano l�iscrizione in albi professionali 
non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto 
di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di 
quella a tempo pieno. 
56 bis. Sono abrogate le disposizioni che vietano l�iscrizione ad albi e l�esercizio di 
attivit� professionali per i soggetti di cui al comma 56. Restano ferme le altre disposizioni 
in materia di requisiti per l�iscrizione ad albi professionali e per l�esercizio delle 
relative attivit�. Ai dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino attivit� 
professionale non possono essere conferiti incarichi professionali dalle amministrazioni 
pubbliche; gli stessi dipendenti non possono assumere il patrocinio in 
controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione�. 
13 La legge 25 novembre 2003, n. 339, recante norme in materia di incompatibilit� dell�esercizio 
della professione di avvocato (GURI n. 279 del 1� dicembre 2003, pag. 6; in 
prosieguo: la �legge n. 339/2003�), entrata in vigore il 2 dicembre 2003, al suo art. 1 
cos� dispone: 
�Le disposizioni di cui all�articolo 1, commi 56, 56 bis e 57, della legge [n. 662/96] non 
si applicano all�iscrizione agli albi degli avvocati, per i quali restano fermi i limiti e i 
divieti di cui al regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successive modificazioni�. 
14 L�art. 2 della stessa legge ha il seguente tenore: 
�1. I pubblici dipendenti che hanno ottenuto l�iscrizione all�albo degli avvocati successivamente 
alla data di entrata in vigore della legge [n. 662/96] e risultano ancora 
iscritti, possono optare per il mantenimento del rapporto d�impiego, dandone comunicazione 
al consiglio dell�ordine presso il quale risultano iscritti, entro trentasei mesi 
dalla data di entrata in vigore della presente legge. In mancanza di comunicazione entro 
il termine previsto, i consigli degli ordini degli avvocati provvedono alla cancellazione 
di ufficio dell�iscritto al proprio albo. 
2. Il pubblico dipendente, nell�ipotesi di cui al comma 1, ha diritto ad essere reintegrato 
nel rapporto di lavoro a tempo pieno.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 81 
3. Entro lo stesso termine di trentasei mesi di cui al comma l, il pubblico dipendente 
pu� optare per la cessazione del rapporto di impiego e conseguentemente mantenere 
l�iscrizione all�albo degli avvocati. 
4. Il dipendente pubblico part-time che ha esercitato l�opzione per la professione forense 
ai sensi della presente legge conserva per cinque anni il diritto alla riammissione 
in servizio a tempo pieno entro tre mesi dalla richiesta, purch� non in soprannumero, 
nella qualifica ricoperta al momento dell�opzione presso l�Amministrazione di appartenenza. 
In tal caso l�anzianit� resta sospesa per tutto il periodo di cessazione dal servizio 
e ricomincia a decorrere dalla data di riammissione�. 
Causa principale e questioni pregiudiziali 
15 La sig.ra Jakubowska ha convenuto il sig. Maneggia dinanzi al Giudice di pace di Cortona 
per il pagamento di una somma di EUR 200 a titolo di risarcimento dei danni, in 
ragione del fatto che quest�ultimo aveva accidentalmente danneggiato l�automobile di 
sua propriet�. 
16 Nell�ambito di tale controversia, la sig.ra Jakubowska si � fatta rappresentare dagli 
avv.ti. Mazzolai e Nardelli, iscritti all�albo degli Avvocati di Perugia. Questi ultimi, in 
quanto dipendenti pubblici con impiego a tempo parziale, rientravano nell�ambito di 
applicazione dell�art. 1, commi 56 e 56 bis, della legge n. 662/96. 
17 Dopo l�entrata in vigore della legge n. 339/2003 e la scadenza del termine prescritto 
dall�art. 2, n. 1, della stessa, il consiglio dell�Ordine degli Avvocati di Perugia, in pendenza 
del procedimento a quo dinanzi al giudice del rinvio, ha emesso due delibere che 
disponevano la cancellazione di detti avvocati da tale albo. 
18 La sig.ra Jakubowska ha presentato una memoria nella quale chiedeva che i suoi avvocati 
fossero autorizzati a continuare a rappresentarla, adducendo che la legge n. 339/2003 
� contraria al Trattato CE nonch� ai principi generali della tutela dell�affidamento legittimo 
e del rispetto dei diritti quesiti. 
19 In tale contesto, il Giudice di pace di Cortona ha deciso di sospendere il giudizio e di 
sottoporre alla Corte le questioni seguenti: 
�1) Se gli artt. 3, lett. g), [CE], 4 [CE], 10 [CE], 81 [CE] e 98 [CE] debbano essere interpretati 
in modo da ritenere che ostino ad una disciplina nazionale, quale quella 
risultante dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003], che reintroducono l�incompatibilit� 
all�esercizio della professione forense da parte dei dipendenti pubblici 
part.time e negano agli stessi, pur in possesso di un�abilitazione all�esercizio della 
professione di avvocato, l�esercizio della professione disponendone la cancellazione 
dall�albo degli avvocati con provvedimento del competente consiglio dell�ordine 
degli avvocati, salvo che il pubblico dipendente opti per la cessazione del 
rapporto di impiego. 
2) Se gli artt. 3, lett. g), [CE], 4 [CE], 10 [CE] e 98 [CE] debbano essere interpretati 
in modo da ritenere che ostino ad una disciplina nazionale, quale quella risultante 
dagli articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003] (...). 
3) Se l�art. 6 della direttiva [77/294] (...) debba essere interpretato in modo da ritenere 
che esso osti ad una disciplina nazionale quale quella risultante dagli articoli 1 e 
2 della legge [n. 339/2003] (...) laddove tale disciplina nazionale sia applicabile
82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
anche agli avvocati dipendenti che esercitano l�attivit� forense in via di libera prestazione 
dei servizi. 
4) Se l�art. 8 della direttiva [98/5] (...) debba essere interpretato in modo da ritenere 
che esso non si applichi all�avvocato dipendente pubblico part time. 
5) Se i principi generali di diritto [dell�Unione] della tutela del legittimo affidamento 
e dei diritti quesiti ostino ad una disciplina nazionale quale quella risultante dagli 
articoli 1 e 2 della legge [n. 339/2003], che introducono l�incompatibilit� all�esercizio 
della professione forense da parte dei dipendenti pubblici part-time e si applicano 
anche agli avvocati gi� iscritti negli albi degli avvocati alla data di entrata 
in vigore della medesima legge (...), prevedendo all�art. 2 solo un breve periodo 
di �moratoria� per l�opzione imposta fra impiego ed esercizio della professione 
forense�. 
20 In risposta ai quesiti scritti che sono stati posti dalla Corte ai rappresentanti ad litem 
della sig.ra Jakubowska, in applicazione dell�art. 54 bis del regolamento di procedura 
della Corte, l�avv. Nardelli ha prodotto, con lettera del 31 maggio 2010, un�attestazione 
del consiglio dell�Ordine degli Avvocati dalla quale risulta che egli resta formalmente 
iscritto all�albo di tale Ordine fino a che a quest�ultimo sia comunicata la data di notifica 
della delibera del Consiglio nazionale forense recante rigetto del ricorso dell�avv. Nardelli 
avverso la decisione di cancellazione che lo concerne. 
21 Con la stessa lettera, il sig. Nardelli ha informato la Corte che l�avv. Mazzolai aveva rinunciato 
alla procura conferitagli nella causa principale. Inoltre, ha fatto sapere che la 
sig.ra Jakubowska aveva conferito una procura ad litem all�avv. Frigessi di Rattalma al 
fine di rappresentarla all�udienza dinanzi alla Corte. 
Sulle questioni pregiudiziali 
Sulla ricevibilit� delle questioni pregiudiziali 
22 Preliminarmente, occorre rilevare che la circostanza che le questioni pregiudiziali non 
presentino alcun nesso con l�oggetto stesso dell�azione introdotta dalla sig.ra Jakubowska 
contro il sig. Maneggia non le rende irricevibili. Infatti, dette questioni mirano a 
consentire al giudice del rinvio di valutare la legittimit� di una normativa nazionale la 
cui applicazione ha suscitato un incidente processuale nella causa principale. Dato che 
detto incidente fa parte di tale causa, � consentito al giudice interrogare la Corte in merito 
all�interpretazione delle norme del diritto dell�Unione che, a suo avviso, sono pertinenti 
al riguardo. 
23 Senza rimettere in discussione la possibilit� di un siffatto rinvio pregiudiziale, taluni 
governi che hanno presentato osservazioni alla Corte, nonch� la Commissione europea, 
hanno nondimeno sollevato eccezioni d�irrecevibilit� con riferimento alle questioni sottoposte 
dal Giudice di pace di Cortona. 
24 I governi irlandese e austriaco sottolineano che tutti gli elementi della causa principale, 
relativi alla possibilit� che i procuratori ad litem della sig.ra Jakubowska esercitino la 
professione forense, sono circoscritti all�interno di un solo Stato membro. I problemi di 
diritto dell�Unione sollevati dal giudice del rinvio sarebbero, quindi, meramente ipotetici 
e la domanda di pronuncia pregiudiziale dovrebbe, per questo motivo, essere dichiarata 
irricevibile.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 83 
25 Secondo il governo ungherese, la normativa italiana menzionata dal giudice del rinvio, 
comunque, esorbita dall�ambito di applicazione delle disposizioni del diritto dell�Unione 
relative all�esercizio della professione forense, dato che detta normativa nazionale riguarda 
i dipendenti pubblici, mentre le direttive 77/249 e 98/5 concernono l�esercizio 
di tale professione da parte di avvocati indipendenti o che lavorano in qualit� di lavoratori 
subordinati di un altro avvocato, di un�associazione o di un�impresa. 
26 La Commissione, per parte sua, reputa che la terza questione debba essere considerata 
come ipotetica e quindi irricevibile, poich� tale questione concerne l�esercizio della professione 
forense a titolo di prestazione di servizi, mentre la normativa in questione nel 
procedimento principale riguarda lo stabilimento in qualit� d�avvocato. 
27 La Commissione esprime anche dubbi quanto alla ricevibilit� della quinta questione, 
alla luce del fatto che la normativa italiana con riferimento alla quale si domanda l�interpretazione 
di principi generali del diritto dell�Unione non � stata adottata al fine di 
dare esecuzione ad obblighi imposti alla Repubblica italiana da tale diritto. 
28 Alla luce di queste varie eccezioni d�irricevibilit�, va rammentato che le questioni pregiudiziali 
riguardanti il diritto dell�Unione beneficiano di una presunzione di pertinenza. 
Il rigetto di una domanda proposta da un giudice nazionale � possibile soltanto qualora 
appaia in modo manifesto che l�interpretazione del diritto dell�Unione richiesta non ha 
alcun rapporto con l�effettivit� o l�oggetto della causa principale, qualora la questione 
sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di 
diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (v. in 
tal senso, in particolare, sentenze 5 dicembre 2006, cause riunite C.94/04 e C.202/04, 
Cipolla e a., Racc. pag. I.11421, punto 25, nonch� 1� giugno 2010, cause riunite 
C.570/07 e C.571/07, Blanco P�rez e Chao G�mez, non ancora pubblicata nella Raccolta, 
punto 36). 
29 Orbene, quanto alla prima, alla seconda e alla quarta questione, non risulta in modo 
manifesto che l�interpretazione richiesta non abbia alcun rapporto con l�effettivit� o 
l�oggetto dell�incidente processuale intervenuto nell�ambito della causa principale o che 
la questione sollevata sia di tipo ipotetico. 
30 Da una parte, occorre ricordare che una legge che si estende a tutto il territorio di uno 
Stato membro pu�, eventualmente, pregiudicare il commercio tra Stati membri ai sensi 
dell�art. 81 CE (v., in tal senso, sentenze 19 febbraio 2002, causa C.35/99, Arduino, 
Racc. pag. I.1529, punto 33, nonch� Cipolla e a., cit., punto 45). Di conseguenza, la 
prima e la seconda questione, dirette a determinare se le norme del diritto dell�Unione 
in materia di concorrenza ostino ad una normativa nazionale quale la legge n. 339/2003, 
non sono manifestamente prive di pertinenza. 
31 Dall�altra parte, per quel che riguarda la quarta questione, occorre rilevare che, come � 
stato sostenuto all�udienza dal governo italiano e dalla Commissione, la norma sancita 
dall�art. 8 della direttiva 98/5 non ha solo lo scopo di accordare agli avvocati iscritti in 
uno Stato membro ospitante con il loro titolo professionale ottenuto in un altro Stato 
membro gli stessi diritti di cui godono gli avvocati iscritti in detto Stato membro ospitante 
con il titolo professionale ottenuto nello stesso. Invero, tale norma garantisce anche 
che questi ultimi non subiscano una discriminazione alla rovescia, il che potrebbe accadere 
se le norme loro imposte non venissero applicate anche agli avvocati iscritti in detto
84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Stato membro ospitante con un titolo professionale ottenuto in un altro Stato membro. 
32 Pertanto, il fatto che il procedimento di cancellazione dall�albo degli Avvocati di Perugia, 
che � alla base delle questioni pregiudiziali, riguardi avvocati che esercitano la professione 
di cui trattasi in Italia con il titolo professionale ottenuto in tale Stato membro non 
comporta assolutamente che la quarta questione sollevata sia ipotetica. Al contrario, 
l�interpretazione richiesta dell�art. 8 della direttiva 98/5 aiuter� il giudice del rinvio a 
determinare se la legge n. 339/2003 crei una discriminazione alla rovescia in contrasto 
con il diritto dell�Unione. 
33 La ricevibilit� della quarta questione pregiudiziale non �, del resto, inficiata dall�argomento 
del governo ungherese secondo cui la legge n. 339/2003, riguardando i dipendenti 
pubblici, non disciplina nessuna delle situazioni di cui all�art. 8 della direttiva 98/5, che 
concerne solo gli avvocati che lavorano in qualit� di lavoratori subordinati �di un altro 
avvocato, di un�associazione o societ� di avvocati, di [un�impresa pubblica o privata]�. 
34 Al riguardo occorre ricordare che la deroga richiamata dal governo ungherese � vale a 
dire l�inapplicabilit� del diritto dell�Unione ai dipendenti pubblici � vale unicamente 
per gli impieghi che comportino una partecipazione all�esercizio di pubblici poteri e che 
presuppongano, pertanto, l�esistenza di un particolare rapporto con lo Stato. Per contro, 
le norme del diritto dell�Unione in materia di libera circolazione restano applicabili ad 
impieghi che, pur dipendendo dallo Stato o da altri enti pubblici, non implicano tuttavia 
alcuna partecipazione a compiti spettanti alla pubblica amministrazione propriamente 
detta (v. in tal senso, in particolare, sentenze 30 settembre 2003, causa C.405/01, Colegio 
de Oficiales de la Marina Mercante Espa�ola, Racc. pag. I.10391, punti 39 e 40, nonch� 
10 dicembre 2009, causa C.345/08, Pe.la, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 
31). 
35 Quanto, pi� precisamente, alla nozione di impresa pubblica che figura all�art. 8 della 
direttiva 98/5, secondo giurisprudenza consolidata, allorch� un ente integrato nell�amministrazione 
pubblica esercita attivit� che presentano un carattere economico e non 
rientrano nell�esercizio di prerogative dei pubblici poteri, esso dev�essere considerato 
come una siffatta impresa (v., in tal senso, sentenze 27 ottobre 1993, causa C.69/91, 
Decoster, Racc. pag. I.5335, punto 15; 14 settembre 2000, causa C.343/98, Collino e 
Chiappero, Racc. pag. I.6659, punto 33, nonch� 26 marzo 2009, causa C.113/07 P, 
SELEX Sistemi Integrati/Commissione, Racc. pag. I.2207, punto 82). 
36 Da ci� consegue che l�ambito di applicazione della legge n. 339/2003 � la quale, letta 
in combinato disposto con il regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, cui fa rinvio, 
riguarda gli avvocati iscritti all�albo di uno degli ordini degli Avvocati della Repubblica 
italiana che hanno anche un rapporto d�impiego presso una pubblica 
amministrazione o un�istituzione pubblica soggetta a tutela o a vigilanza della Repubblica 
italiana o di un suo ente territoriale � coincide con quello dell�art. 8 della direttiva 
98/5 per quanto concerne gli avvocati impiegati da un ente che, bench� soggetto a vigilanza 
dello Stato italiano o di uno dei suoi enti locali, costituisca un��[impresa pubblica]
�. 
37 Alla luce dell�insieme delle considerazioni che precedono, la domanda di pronuncia 
pregiudiziale dev�essere considerata ricevibile per quanto concerne la prima, la seconda 
e la quarta questione sollevate.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 85 
38 Quanto, per contro, alla terza questione, relativa alla direttiva 77/249 e, quindi, all�esercizio 
della professione di avvocato a titolo di libera prestazione di servizi, si deve necessariamente 
constatare che una risposta della Corte a tale questione non potrebbe 
essere utile al giudice del rinvio. Infatti, l�incidente sollevato dinanzi a tale giudice riguarda 
la questione se la cancellazione di avvocati dall�albo in applicazione della legge 
n. 339/2003 sia compatibile con il diritto dell�Unione. Come la Commissione ha giustamente 
fatto osservare, nel presente contesto viene in considerazione lo stabilimento 
in qualit� d�avvocato e, quindi, la materia disciplinata dalla direttiva 98/5, e non l�esercizio 
della professione forense a titolo di libera prestazione di servizi. 
39 Pertanto, la domanda di pronuncia pregiudiziale dev�essere dichiarata irricevibile per 
quanto concerne la terza questione sollevata. 
40 Con riguardo, infine, alla quinta questione, dalla decisione di rinvio risulta che, con 
tale questione, il Giudice di pace di Cortona invita la Corte ad esaminare, basandosi 
sulla sua giurisprudenza relativa ai principi della tutela del legittimo affidamento e della 
certezza del diritto, la modifica in senso sfavorevole risultante, per coloro che vogliono 
esercitare contemporaneamente la professione forense e un impiego a tempo parziale 
presso un ente pubblico, dalla legge n. 339/2003, la quale ha posto fine al regime a loro 
pi� favorevole, introdotto dalla legge n. 662/96. 
41 Orbene, senza che occorra statuire in merito all�argomento d�irricevibilit� formulato 
dalla Commissione con riguardo a tale questione, basti constatare che, comunque, la 
Corte non pu� utilmente rispondervi, in mancanza degli elementi necessari per farlo. 
42 Quanto al principio della certezza del diritto, per giurisprudenza consolidata una normativa 
che comporta conseguenze svantaggiose per i singoli dev�essere chiara e precisa, 
e la sua applicazione dev�essere prevedibile per gli amministrati (sentenza 14 settembre 
2010, causa C.550/07 P, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione, non 
ancora pubblicata nella Raccolta, punto 100 e giurisprudenza ivi citata). Ebbene, n� la 
decisione di rinvio n� le osservazioni presentate consentono alla Corte di stabilire sotto 
quale profilo o per quale ragione la chiarezza o la prevedibilit� della legge n. 339/2003 
sarebbero messe in discussione. 
43 Tutt�al pi�, il giudice del rinvio ha chiarito la questione relativa a tale principio spiegando 
che la legge n. 339/2003 produce effetti retroattivi, effetti cui osterebbe il principio della 
certezza del diritto. La pretesa retroattivit� della legge n. 339/2003 �, tuttavia, manifestamente 
contraddetta dalla constatazione, anch�essa contenuta nella decisione di rinvio, 
che l�entrata in vigore di tale legge non pregiudica il diritto di esercizio concomitante 
conferito, fino a tale entrata in vigore, dalla legge n. 662/96, considerato peraltro che la 
legge n. 339/2003 instaura un periodo transitorio di tre anni al fine di evitare che il cambiamento 
da essa introdotto sia immediato. 
44 Relativamente al principio della tutela del legittimo affidamento, per giurisprudenza 
costante gli amministrati non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione 
di una situazione esistente che pu� essere modificata nell�ambito del potere discrezionale 
delle autorit� nazionali (sentenza 10 settembre 2009, causa C.201/08, 
Plantanol, Racc. pag. I.8343, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). Alla luce di questa 
giurisprudenza consolidata, una questione pregiudiziale quale la quinta questione sollevata 
nell�ambito del presente procedimento non pu� essere utilmente esaminata dalla
86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Corte, in mancanza di una minima descrizione degli elementi dedotti nella causa principale 
per dimostrare che l�adozione della normativa ivi discussa configura un�ipotesi 
diversa da quella in cui il legislatore semplicemente modifichi, per l�avvenire, la normativa 
esistente. 
45 Nel caso di specie, il giudice del rinvio si � essenzialmente limitato a spiegare che la 
legge n. 339/2003 modifica in modo particolarmente sostanziale e, per taluni, sorprendente 
il regime precedentemente in vigore in forza della legge n. 662/96. Ebbene, si 
deve constatare che il solo fatto che il legislatore abbia adottato una nuova legge e che 
quest�ultima sia considerevolmente diversa da quella anteriormente in vigore non offre 
alla Corte una base sufficiente per procedere ad un prudente apprezzamento della quinta 
questione. 
46 Alla luce di quanto precede, la domanda di pronuncia pregiudiziale � irricevibile anche 
per quanto concerne la quinta questione sollevata. 
Nel merito 
Sulla prima e sulla seconda questione 
47 Con la sua prima e la sua seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, il 
giudice del rinvio domanda, in sostanza, se gli artt. 3, n. 1, lett. g), CE, 4 CE, 10 CE, 81 
CE e 98 CE ostino ad una normativa nazionale, quale quella risultante dagli artt. 1 e 2 
della legge n. 339/2003, che nega ai dipendenti pubblici impiegati in una relazione di 
lavoro a tempo parziale, pur in possesso di un�abilitazione all�esercizio della professione 
forense, l�esercizio di tale professione, disponendone la cancellazione dall�albo degli 
Avvocati. 
48 Se � pur vero che, di per s�, l�art. 81 CE riguarda esclusivamente il comportamento 
delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri, 
nondimeno tale articolo, letto in combinato disposto con l�art. 10 CE, fa obbligo 
agli Stati membri di non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura 
legislativa o regolamentare, che possano rendere praticamente inefficaci le regole di 
concorrenza applicabili alle imprese (citate sentenze Arduino, punto 34, nonch� Cipolla 
e a., punto 46). 
49 La Corte ha, in particolare, dichiarato che si � in presenza di una violazione degli artt. 
10 CE e 81 CE qualora uno Stato membro imponga o agevoli la conclusione di accordi 
in contrasto con l�art. 81 CE, o rafforzi gli effetti di tali accordi, oppure revochi alla propria 
normativa il suo carattere pubblico delegando ad operatori privati la responsabilit� 
di adottare decisioni di intervento in materia economica (citate sentenze Arduino, punto 
35, nonch� Cipolla e a., punto 47). 
50 Orbene, il fatto che uno Stato membro prescriva agli organi di un�associazione professionale 
quali i consigli dell�Ordine degli Avvocati dei differenti fori di procedere d�ufficio 
alla cancellazione dell�iscrizione all�albo degli Avvocati dei membri di tale 
professione che siano anche dipendenti pubblici a tempo parziale e che non abbiano optato, 
entro un termine fisso, vuoi per il mantenimento dell�iscrizione a detto albo, vuoi 
per il mantenimento della relazione di lavoro con l�ente pubblico presso il quale sono 
impiegati, non � idoneo a dimostrare che tale Stato membro abbia revocato alla propria 
normativa il suo carattere pubblico. Infatti, i consigli dell�Ordine non hanno alcuna in-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 87 
fluenza per quel che riguarda l�adozione d�ufficio, prescritta per legge, delle decisioni 
di cancellazione. 
51 Per motivi analoghi, non si pu� ritenere che una normativa nazionale come quella in 
questione nella causa principale imponga o agevoli accordi in contrasto con l�art. 81 
CE. 
52 Tali considerazioni non sono affatto inficiate n� dall�art. 3, n. 1, lett. g), CE, che prevede 
l�azione dell�Unione europea per quanto concerne un regime che assicuri che la concorrenza 
non sia falsata nel mercato interno, n� dagli artt. 4 CE e 98 CE, che mirano all�instaurazione 
di una politica economica nel rispetto del principio di un�economia di 
mercato aperta e in libera concorrenza. 
53 Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la prima e la seconda questione sollevate 
nel senso che gli artt. 3, n. 1, lett. g), CE, 4 CE, 10 CE, 81 CE e 98 CE non ostano ad 
una normativa nazionale che neghi ai dipendenti pubblici impiegati in una relazione di 
lavoro a tempo parziale l�esercizio della professione di avvocato, anche qualora siano 
in possesso dell�apposita abilitazione, disponendone la cancellazione dall�albo degli Avvocati. 
Sulla quarta questione 
54 Come esposto nella decisione di rinvio, con la sua quarta questione, il Giudice di pace 
di Cortona domanda, in sostanza, se la possibilit� lasciata dall�art. 8 della direttiva 98/5 
allo Stato membro ospitante di disciplinare e, quindi, se del caso, di limitare l�esercizio 
di talune categorie di impieghi da parte degli avvocati iscritti in tale Stato valga anche 
nei confronti degli avvocati che desiderino esercitare uno di tali impieghi solo a tempo 
parziale. 
55 Al fine di risolvere tale questione, giova rammentare anzitutto che, con l�adozione della 
direttiva 98/5, il legislatore dell�Unione ha inteso, in particolare, porre fine alle disparit� 
tra le norme nazionali relative ai requisiti d�iscrizione come avvocato (sentenza 19 settembre 
2006, causa C.506/04, Wilson, Racc. pag. I.8613, punto 64). 
56 La Corte ha gi� precisato che, in considerazione di tale obiettivo della direttiva 98/5, 
occorre ritenere che essa proceda ad un�armonizzazione completa dei requisiti preliminari 
per l�iscrizione presso l�autorit� competente dello Stato membro ospitante, requisiti 
essenzialmente limitati alla presentazione a tale autorit� di un documento attestante 
l�iscrizione presso l�autorit� competente dello Stato membro di origine (v., in tal senso, 
sentenza Wilson, cit., punti 65.67). 
57 Tuttavia, come risulta inequivocabilmente dall�art. 6 della direttiva 98/5, l�iscrizione in 
uno Stato membro ospitante di avvocati che esercitano con un titolo ottenuto in uno 
Stato membro diverso assoggetta tali avvocati all�applicazione delle regole professionali 
e deontologiche in vigore nello Stato membro ospitante. Ebbene, tali regole, contrariamente 
a quelle relative ai requisiti preliminari per l�iscrizione, non sono state oggetto di 
un�armonizzazione e possono quindi divergere considerevolmente da quelle in vigore 
nello Stato membro d�origine. Del resto, come conferma l�art. 7, n. 1, della stessa direttiva, 
l�inosservanza di dette regole pu� portare alla cancellazione dell�iscrizione nello 
Stato membro ospitante. 
58 Occorre constatare che l�art. 8 della direttiva 98/5 riguarda una categoria specifica delle
88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
regole professionali e deontologiche richiamate dall�art. 6 della stessa direttiva, vale a 
dire quelle che determinano in quale misura gli avvocati iscritti possono �esercitare la 
professione come lavoratore subordinato di un altro avvocato, di un�associazione o societ� 
di avvocati, di [un�impresa pubblica o privata]�. 
59 In considerazione degli ampi termini scelti dal legislatore dell�Unione, si deve ritenere 
che detto art. 8 ricomprenda tutte le regole che lo Stato membro ospitante ha introdotto 
al fine di prevenire i conflitti d�interesse che potrebbero, secondo le sue valutazioni, risultare 
da una situazione nella quale un avvocato sia, da una parte, iscritto all�albo degli 
Avvocati e, dall�altra, impiegato presso un altro avvocato, un�associazione o societ� di 
avvocati, un�impresa pubblica o privata. 
60 Il divieto imposto dalla legge n. 339/2003 agli avvocati iscritti in Italia di essere impiegati, 
anche solo a tempo parziale, di un ente pubblico rientra nelle regole di cui all�art. 
8 della direttiva 98/5, almeno nei limiti in cui detto divieto concerne l�esercizio concomitante 
della professione forense e di un impiego presso un�impresa pubblica. 
61 Del resto, il fatto che la normativa cos� introdotta dalla Repubblica italiana possa essere 
considerata restrittiva non � di per s� censurabile. La mancanza di conflitto d�interessi 
�, infatti, indispensabile all�esercizio della professione forense ed implica, in particolare, 
che gli avvocati si trovino in una situazione di indipendenza nei confronti dei pubblici 
poteri e degli altri operatori di cui non devono subire l�influenza (v., in tal senso, sentenza 
19 febbraio 2002, causa C.309/99, Wouters e a., Racc. pag. I.1577, punti 100.102). Occorre, 
certo, che le regole stabilite al riguardo non vadano al di l� di quello che � necessario 
per conseguire l�obiettivo di prevenzione dei conflitti di interesse. La 
proporzionalit� di un divieto come quello imposto dalla legge n. 339/2003 non deve, 
tuttavia, essere esaminata nell�ambito della presente questione, che non riguarda tale 
aspetto. 
62 Infine, come gi� constatato nell�ambito dell�esame della ricevibilit� di tale questione, 
occorre sottolineare che l�art. 8 della direttiva 98/5 implica che le norme dello Stato 
membro ospitante si applichino a tutti gli avvocati iscritti in tale Stato membro, a prescindere 
dal fatto che essi esercitino con il titolo professionale ottenuto nello stesso Stato 
o con quello ottenuto in un altro Stato membro. 
63 Con riserva di verifica da effettuare al riguardo da parte dei giudici italiani, non risulta 
che la legge n. 339/2003 si applichi esclusivamente agli avvocati di origine italiana e 
produca in tal modo una discriminazione alla rovescia. Certamente, gli avvocati presi 
in considerazione da detta legge sono quelli interessati ad esercitare un impiego presso 
enti soggetti a tutela o a vigilanza della Repubblica italiana o dei suoi enti locali. Tuttavia, 
almeno nei limiti in cui si tratta di impieghi presso imprese pubbliche, gli avvocati 
iscritti all�albo di uno degli ordini degli Avvocati della Repubblica italiana e sui quali 
incide quindi il divieto di esercizio concomitante di un tale impiego possono essere non 
solo cittadini italiani, bens� anche cittadini di altri Stati membri. 
64 Alla luce dell�insieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la quarta 
questione sollevata dichiarando che l�art. 8 della direttiva 98/5 dev�essere interpretato 
nel senso che lo Stato membro ospitante pu� imporre agli avvocati ivi iscritti e che siano 
impiegati � vuoi a tempo pieno vuoi a tempo parziale � presso un altro avvocato, un�associazione 
o societ� di avvocati oppure un�impresa pubblica o privata, restrizioni al-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 89 
l�esercizio concomitante della professione forense e di detto impiego, semprech� tali 
restrizioni non eccedano quanto necessario per conseguire l�obiettivo di prevenzione 
dei conflitti di interesse e si applichino a tutti gli avvocati iscritti in detto Stato membro. 
Sulle spese 
65 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un 
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. 
Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono 
dar luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara: 
1) Gli artt. 3, n. 1, lett. g), CE, 4 CE, 10 CE, 81 CE e 98 CE non ostano ad una 
normativa nazionale che neghi ai dipendenti pubblici impiegati in una relazione 
di lavoro a tempo parziale l�esercizio della professione di avvocato, 
anche qualora siano in possesso dell�apposita abilitazione, disponendo la loro 
cancellazione dall�albo degli Avvocati. 
2) L�art. 8 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 
1998, 98/5/CE, volta a facilitare l�esercizio permanente della professione di 
avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui � stata acquistata la 
qualifica, dev�essere interpretato nel senso che lo Stato membro ospitante pu� 
imporre agli avvocati ivi iscritti che siano impiegati � vuoi a tempo pieno vuoi 
a tempo parziale � presso un altro avvocato, un�associazione o societ� di avvocati 
oppure un�impresa pubblica o privata, restrizioni all�esercizio concomitante 
della professione forense e di detto impiego, semprech� tali restrizioni 
non eccedano quanto necessario per conseguire l�obiettivo di prevenzione dei 
conflitti di interesse e si applichino a tutti gli avvocati iscritti in detto Stato 
membro. 
C O N T E N Z I O S O 
N A Z I O N A L E 
Conoscibilit� e garanzia del contribuente 
(Nota a Cass. civ., Sez. V, sentenze nn. 6102 e 6114 del 16 marzo 2011) 
Francesco Meloncelli* 
SOMMARIO: 1. Due sentenze della Corte di cassazione per due diversi orientamenti culturali 
o in contrasto tra loro? - 2. Il regime della conoscenza in sede di notificazione - 3. La 
conoscenza secondo la natura dell�uomo - 3.1. Premessa - 3.2. La conoscenza in s� - 3.3. La 
conoscenza secondo natura - 4. La conoscenza giuridica - 5. La valutazione delle tesi principali 
della Corte di cassazione in tema di conoscenza effettiva e di conoscibilit� - 5.1. L�effetto 
della notificazione degli atti amministrativi d�imposizione tributaria: la conoscibilit� e 
non la conoscenza effettiva - 5.2. La graduazione della conoscibilit� - 6. La questione del 
procedimento di notificazione al contribuente non temporaneamente irreperibile. 
I. Cassazione civ., Sez. V, sentenza 16 marzo 2011, n. 6102. 
Contribuente irreperibile - notificazione dell�avviso di accertamento con procedimento 
ex art. 60.1.e) DPR 29 settembre 1973, n. 600 - riduzione in deroga al procedimento ex 
art. 140 cpc - ritualit�. 
La notificazione dell'avviso di accertamento al contribuente ex art. 60.1.e) DPR 29 settembre 
1973, n. 600, � ritualmente effettuata, se nel comune nel quale deve eseguirsi 
non v'� abitazione, ufficio o azienda del contribuente, mediante l'affissione dell'avviso 
del deposito prescritto dall�art. 140 cpc nell'albo comunale, senza necessit� di spedizione 
mediante raccomandata, e la notificazione stessa si ha per eseguita nell'ottavo giorno 
successivo a quello di affissione. 
II. Cassazione civ., Sez. V, sentenza 16 marzo 2011, n. 6114. 
Contribuente con domicilio eletto nel comune di domicilio fiscale - notificazione degli 
atti amministrativi d�imposizione tributaria nel domicilio eletto - obbligo per l�ufficio 
tributario. 
Contribuente con domicilio eletto nel comune di domicilio fiscale - notificazione degli 
atti amministrativi d�imposizione tributaria nel domicilio fiscale - invalidit�. 
In caso di elezione di domicilio dal parte del contribuente, nel comune di domicilio fi- 
(*) Avvocato dello Stato.
92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
scale, ai fini della notificazione degli atti e degli avvisi che lo riguardano, ai sensi dell�art. 
60.1.d) DPR 29 settembre 1973, n. 600, la notificazione al domicilio eletto �, per 
l'amministrazione fiscale, obbligatoria, mentre � invalida la notificazione dell'atto impositivo 
eseguita in luogo diverso dal domicilio eletto ai sensi dell�art. 140 cpc. 
1. Due sentenze della Corte di cassazione per due diversi orientamenti culturali 
o in contrasto tra loro? 
Le sentenze della Corte di cassazione 16 marzo 2011, n. 6102 e 6114, 
sono accomunate dal fatto che, pur affrontando questioni diverse, decidono 
entrambe sulla conoscenza posseduta dal contribuente. Lette una di seguito 
all�altra, come mi � capitato di fare per la contemporaneit� della loro pubblicazione, 
mi sono di primo acchitto apparse fondate su visioni culturali contrapposte, 
perch�, mentre la prima si limita a ribadire un consolidato 
orientamento giurisprudenziale, tendenzialmente restrittivo, in tema di notificazione 
degli atti amministrativi d�imposizione tributaria al contribuente irreperibile, 
la seconda intraprende, a proposito della rilevanza dell�elezione di 
domicilio, e della sua prevalenza sul domicilio fiscale, un filone interpretativo, 
per la notificazione dei medesimi atti, favorevole al contribuente. 
A prima vista sembra che manchi il presupposto perch� le due sentenze 
si pongano in contrasto tra di loro, dal momento che le questioni affrontate 
sono diverse, ma � netta l�impressione che sotto la superficie della copiosa 
produzione giurisprudenziale di legittimit� in materia tributaria sia avvenuto 
un movimento significativo, che potrebbe manifestarsi, in futuro, in forti evoluzioni. 
Se, poi, esse realizzino anche un contrasto, potr� emergere solo dall�approfondimento 
delle varie questioni che si effettui in occasione del loro 
esame congiunto. 
La prima pronuncia affronta la questione della perfezione della notificazione 
di atti impositivi e la risolve ricorrendo al principio di diritto, consolidato 
nella giurisprudenza di legittimit�, secondo cui << la notificazione dell'avviso 
di accertamento al contribuente DPR 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 60, 
comma 1, lett. e), il quale deroga, in materia, all�art. 140 c.p.c., � ritualmente 
effettuata quando nel comune nel quale deve eseguirsi non v'� abitazione, ufficio 
o azienda del contribuente, mediante l'affissione dell'avviso del deposito 
prescritto dal citato art. 140 nell'albo comunale, senza necessit� di spedizione 
mediante raccomandata, e la notificazione stessa si ha per eseguita nell'ottavo 
giorno successivo a quello di affissione, senza, peraltro, che ci� dia adito a 
dubbi di legittimit� costituzionale>>. 
La seconda sentenza affronta, invece, una questione nuova, consistente 
nel chiedere se esista alternativit� tra il domicilio fiscale del contribuente e il 
domicilio da lui eletto nello stesso Comune al fine della notificazione di un 
atto d�imposizione tributaria o se l�ufficio tributario sia vincolato a tener conto 
solo del secondo e ad indirizzare la sua notificazione al domicilio elettivo, ricorrendo, 
poi, in caso di irreperibilit�, alla notificazione ex art. 140 cpc. Tale
CONTENZIOSO NAZIONALE 93 
questione viene risolta nel senso che si deve escludere l�alternativit� e, quindi, 
a contrario, si deve affermare l�obbligo, per l�amministrazione tributaria, di 
notificare l�atto d�imposizione presso il domicilio eletto, con conseguente invalidit� 
della notificazione eseguita presso il domicilio fiscale o, comunque, 
in un luogo diverso dal domicilio eletto. Testualmente la Corte si esprime cos�: 
<<in caso di elezione di domicilio da parte del contribuente, nel comune di 
domicilio fiscale, ai fini della notificazione degli atti e degli avvisi che lo riguardano, 
ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. d), la notificazione 
al domicilio eletto �, per l'amministrazione fiscale, obbligatoria; 
pertanto � invalida la notificazione dell'atto impositivo eseguita in luogo diverso 
dal domicilio eletto ai sensi dell�art. 140 c.p.c.>>. 
Le soluzioni adottate dalle due sentenze, pur relative a questioni diverse, 
sembrano ispirate all�individuazione, da parte della Corte, di un fondamento 
normativo, in materia di notificazione degli atti amministrativi d�imposizione 
tributaria, che, nel primo caso, privilegia l�interesse dell�amministrazione tributaria 
e, nel secondo caso, privilegia l�interesse del contribuente. Infatti, la 
sentenza n. 6102 ritiene che, in deroga alla normativa generale, la notificazione 
degli atti impositivi si perfezioni con la realizzazione di un�operazione procedimentale 
in meno rispetto al procedimento ordinario di notificazione agli irreperibili 
e, quindi, facilita il compito dell�amministrazione; la sentenza n. 
6114, invece, ancora una volta in deroga alla normativa generale, ma in applicazione 
analogica della normativa speciale sull�elezione di domicilio effettuata 
in un contratto, esclude qualsiasi alternativit� tra domicilio eletto e domicilio 
fiscale e privilegia cos� l�interesse del contribuente. 
Le due soluzioni sembrano evidenziare una divaricazione di fondo tra 
orientamenti normativi, che s�ispirano a visioni divergenti dei rapporti tra contribuente 
e amministrazione tributaria. Lo scopo di questo commento, per�, � 
quello di sostenere che, in realt�, le norme desunte dalla giurisprudenza di legittimit� 
- tradizionalmente o no - dalle lettere c), d) ed e) dell�art. 60 del DPR 
29 settembre 1973, n. 600, sono ispirate tutte allo stesso fondamento normativo 
di particolare tutela del contribuente, pur sempre nell�ambito di un equilibrato 
bilanciamento coll�interesse erariale. 
2. Il regime della conoscenza in sede di notificazione 
Se tanto pu� bastare, per il momento, per segnalare la funzione disvelatrice 
dei fondamenti normativi che � svolta dalla giurisprudenza, un�altra serie 
di considerazioni � sollecitata dalla seconda delle pronunce segnalate (la n. 
6114), il cui esame potrebbe indurre a rivedere anche la posizione assunta dalla 
Corte nella prima sentenza (la n. 6102). Si tratta del bagaglio concettuale in 
tema di conoscenza utilizzato nel � 4 della sentenza n. 6114. In essa si afferma 
che <<la funzione propria della notificazione - di dirigerne l'oggetto verso il 
destinatario e di metterglielo a disposizione in modo da provocarne la presa
94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
di conoscenza - �, stante l'effetto che ne discende in rapporto all'atto contenente 
una pretesa impositiva, amplificata nel segno della maggiore garanzia di conoscenza 
effettiva. Tanto � da affermare in ragione del principio generale dettato 
dall'art. 6 dello statuto del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212), a tenore 
del quale l'amministrazione finanziaria deve, in linea generale, assicurare l'effettiva 
conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati>>. Stabilito, 
poi, che si � vincolati a fornire, delle norme, un�interpretazione 
adeguatrice alla L. 27 luglio 2000, n. 212, (Statuto del contribuente), si afferma, 
con specifico riguardo al suo art. 6, primo comma, primo periodo, per 
il quale << L'amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza 
da parte del contribuente degli atti a lui destinati>>, che <<� vero che, 
con la locuzione "effettiva conoscenza", il legislatore non ha inteso garantire 
al contribuente l'assoluta certezza della conoscenza, avendo la disciplina della 
notificazione da sempre legato a essa la conoscibilit� legale, cos� come palesato, 
nello specifico, dalla previsione di chiusura del citato art. 6, comma 1, 
secondo cui "restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari". 
E tuttavia resta inteso che ... la corretta esegesi dell'art. 6, comma 1 
resta nel senso che esso intende assicurare l'effettiva conoscenza di tutti gli 
atti destinati al contribuente, ancorch� restino ferme le disposizioni in materia 
di notifica. / Tale voluta solennit� equivale a dire che lo statuto ha inteso affermare 
che a tutti gli atti dell'amministrazione destinati al contribuente (finanche, 
quindi, a quelli notificati) deve essere garantito un grado di 
conoscibilit� il pi� elevato possibile. / Ampia traccia di simile lettura si rinviene, 
d'altronde, nella sentenza con cui la Corte costituzionale ha dichiarato 
illegittimo il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, u.c., nella parte in cui 
prevedeva che le variazioni e le modificazioni dell'indirizzo del contribuente, 
non risultanti dalla dichiarazione annuale, avessero effetto, ai fini delle notificazioni, 
dal sessantesimo giorno successivo a quello della avvenuta variazione 
anagrafica, il cui essenziale periodo motivante � nel riconoscimento che 
"un limite inderogabile alla discrezionalit� del legislatore nella disciplina delle 
notificazioni � rappresentato dall'esigenza di garantire al notificatario l'effettiva 
possibilit� di una tempestiva conoscenza dell'atto notificato e, quindi, l'esercizio 
del suo diritto di difesa (cos� C. cost. 2003/360) >>. La Corte fa, poi, riferimento 
ad un possibile parallelismo con l�art. 141 cpc, affermando che, 
<<[e]ssendo alla notifica dei mentovati atti o avvisi correlato l'avvio della fase 
dinamica, preordinata all'attuazione del rapporto obbligatorio d'imposta, � in 
questo senso agevole cogliere la similitudine con la ratio che sottende l'obbligatoriet� 
della notifica ex art. 141 c.p.c, comma 2, di garantire la conoscenza 
effettiva del contraente con riguardo alle pretese inerenti alle obbligazioni nascenti 
dal contratto>>. 
Il ragionamento seguito dalla Corte e la conclusione cui essa � giunta meritano 
pieno consenso. Tuttavia, nella sentenza n. 6114 si rinvengono numerose
CONTENZIOSO NAZIONALE 95 
espressioni che sollevano pi� d�un problema e meritano una qualche considerazione. 
Da parte del legislatore, anzitutto, si parla di �assicurazione dell�effettiva 
conoscenza� degli atti amministrativi d'imposizione tributaria (art. 6.1.1 
L. 27 luglio 2000, n. 212); il giudice di legittimit�, poi, pur dopo aver preso le 
distanze dal significato letterale della disposizione legislativa, parla, probabilmente 
per un mero lapsus, di �garanzia della conoscenza effettiva del contraente 
come ratio sottesa all�obbligatoriet� della notifica ex art. 141.2 cpc�; 
e ancora, non senza qualche dose di equivocit�, di �amplificazione della maggiore 
garanzia di conoscenza effettiva della funzione propria della notificazione�; 
s�impiegano, quindi, le espressioni di �conoscibilit� legale�, di 
�conoscibilit� effettiva� e di �grado della conoscibilit��, per attribuire, infine, 
all�espressione legislativa �conoscenza effettiva� il significato di �grado di 
conoscibilit� il pi� elevato possibile�. In sostanza, se, da un lato, la Corte argomenta 
bene e conclude altrettanto bene sulla specifica questione sottoposta 
al suo esame, dall�altro, la scelta delle parole per confezionare la motivazione 
della sentenza pu� lasciare qualche dubbio intorno agli istituti giuridici della 
conoscenza. In particolare, l�esigenza di chiarire le ragioni per le quali la conoscenza 
effettiva dev�essere tenuta ben distinta dalla conoscibilit� e la necessit� 
di approfondire la gradualit� della conoscibilit� inducono ad una 
preliminare rivisitazione teorica degli istituti di conoscenza variamente richiamati 
dalla Corte. 
3. La conoscenza secondo la natura dell�uomo 
3.1. Premessa 
E� necessario, a tal fine, aver chiaro che cosa s�intenda, in natura, per conoscenza, 
quali specie se ne possano dare e quali ne siano le caratteristiche. Il 
quadro che si tenter� di delineare, peraltro, non prescinde affatto dall�esperienza 
giuridica e, in particolare, dall�esperienza normativa, cos� da descrivere 
la conoscenza pregiuridica, non come quel fenomeno delicatissimo e complesso 
che studiosi di altre scienze (filosofia, epistemologia, biologia, neurologia, 
psicologia, pedagogia ed altre ancora) rendono oggetto delle loro 
autonome indagini, ma per quei soli aspetti che le norme giuridiche ritengono 
rilevanti per la regolazione dei rapporti sociali. 
In questa sede non possiamo che dare per noti i profili della conoscenza 
naturale che, diffusamente richiamati dalle pi� diverse norme giuridiche, sono 
assunti come giuridicamente rilevanti dall�ordinamento giuridico italiano (1), 
(1) Perci�, mi sia consentito il rinvio, senza pretesa di esaustivit�, a quegli studi che, nella dottrina 
giuridica italiana, hanno fornito un contributo durevole in tema di conoscenza: CARNELUTTI, Francesco 
Teoria giuridica della circolazione [1933].[Napoli], Edizioni scientifiche italiane, 1981, passim; CARNELUTTI, 
Francesco La prova civile. Roma, Ateneo, 1947, 2. ed., 63-65; PUGLIATTI, Salvatore, La trascrizione. 
Vol. I - Tomo I. La pubblicita' in generale. Milano, Giuffr�, 1957, passim; FALZEA, Angelo, 
Accertamento: I. Accertamento: a) Teoria generale, in Enciclopedia del diritto I, 1958, 205 ss.; PU-
96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
ma non possiamo esimerci dall�osservare preliminarmente che, in genere, i 
produttori di norme, cos� come del resto ha fatto il giudice di legittimit� nella 
sentenza n. 6114, dispongono in tema di conoscenza, senza definire e senza 
spiegare, ma dando per presupposto che siano sufficienti le parole impiegate 
perch� la loro volont� sia sufficientemente chiara ai destinatari, che debbono 
conseguentemente darvi attuazione. 
Tutto ci� premesso, cerchiamo di evidenziare, avendo riguardo ai temi 
affrontati nella sentenza, quel che il legislatore presuppone, fornendo un quadro 
dei fenomeni naturali ai quali egli si riferisce quando si occupa di conoscenza. 
3.2. La conoscenza in s� 
Anzitutto, si desume dall�osservazione della realt� che la conoscenza � 
un fenomeno mentale consistente nella rappresentazione, nell'intelletto di un 
soggetto, di un oggetto, di un qualsiasi oggetto: la conoscenza � la relazione 
mentale che collega un soggetto con un oggetto. 
La seconda constatazione pacifica � che la relazione mentale soggettooggetto 
� il risultato eventuale di un�attivit� infungibile del soggetto volta ad 
acquisire la conoscenza dell�oggetto: la conoscenza come rappresentazione 
mentale � il risultato positivo, ma eventuale, di un�attivit� cognitiva del soggetto, 
la quale � infungibile, perch� essa pu� esser svolta solo dal soggetto conoscente. 
La conoscenza come attivit� evidenzia, poi, che il soggetto si attiva e impegna 
delle energie per passare, attraverso un procedimento che possiamo 
chiamare cognitivo, da uno stato iniziale di mancanza di conoscenza, o di ignoranza 
(stato di conoscenza negativa), o di una data specie di conoscenza di un 
dato oggetto (conoscenza positiva di tipo A), alla condizione finale di conoscenza 
dell�oggetto positiva o di conoscenza diversa (conoscenza di tipo B) 
rispetto a quella iniziale. 
Ancora: a fronte dell�ignoranza di un oggetto, che � sempre la mancanza 
totale di conoscenza, non si pone un solo stato di conoscenza, che, per esser 
contrapposto all�ignoranza, � altrettanto totale (conoscenza piena e vera), ma 
si pongono tanti possibili stati cognitivi di livello intermedio e variamente graduati 
(per quantit� e per qualit�). 
Quanto all�attivit� cognitiva, l�osservazione della realt� ci segnala che 
GLIATTI, Salvatore Conoscenza, in Enciclopedia del diritto IX, 1961, 45 ss.; FALZEA, Angelo Fatto di 
conoscenza [1978], in Angelo FALZEA Voci di teoria generale del diritto, Milano, Giuffr�, 1978, 531 
ss.; MELONCELLI, Achille, Pubblicit�: e) Diritto pubblico, in Enciclopedia del diritto XXXVII, 1988, 
1027. Inoltre, soltanto al fine di fornire una bibliografia recondita sull�intimo collegamento tra gli studi 
giuridici sulla conoscenza e le indagini al riguardo svolte dalle scienze naturali, sociali e umanistiche, 
mi sia permesso di rimandare anche al mio volume: MELONCELLI, Francesco, La conoscenza dello stato 
d'insolvenza nella revocatoria fallimentare. Milano, Giuffr�, 2002, passim.
CONTENZIOSO NAZIONALE 97 
alla conoscenza di alcunch� un soggetto perviene percorrendo due strade: o 
per via autonoma, cio� da solo, con le sue sole forze, o indirettamente, attraverso 
l�acquisizione della conoscenza da un altro soggetto. La conoscenza autonoma 
� di due specie, a seconda dello strumento acquisitivo impiegato: se 
il soggetto si avvale solo della sua mente, la sua conoscenza � noetica, o per 
idee, mentre la sua conoscenza � empirica, se egli si serve della sua percezione 
sensoriale e della conseguente elaborazione intellettiva. La conoscenza derivata 
�, invece, quella che il soggetto acquisisce per la trasmissione che gliene 
faccia un altro soggetto che la possedeva prima di lui: colui che trasmette ad 
altri la propria conoscenza non se ne priva, ma associa i destinatari della trasmissione 
nella sua precedente conoscenza, cosicch�, dopo la trasmissione, la 
conoscenza diventa comune al trasmittente e ai destinatari. 
Una volta che la conoscenza sia stata acquisita, direttamente (autonomamente) 
o indirettamente (derivativamente), essa risiede nella mente del soggetto 
e costituisce un suo patrimonio esclusivo, ignoto agli altri, fino a quando 
egli non la manifesti e non la renda disponibile anche a qualcun altro soggetto 
specificamente determinato o, indeterminatamente, agli altri membri della societ�. 
La messa a disposizione di altri della conoscenza di un soggetto viene 
attuata o attraverso un suo comportamento indirizzato ad altri, cio� con la trasmissione 
ad altri della sua conoscenza, o con un suo comportamento attivo 
ridotto, che consiste nella mera realizzazione di una situazione di accessibilit� 
di altri alla sua conoscenza, che devono, perci�, attivarsi per realizzare l�accesso 
alla fonte della conoscenza. 
Per la trasmissione della conoscenza o per la sua accessibilit�, � necessario 
che la rappresentazione intellettiva, interna alla mente del soggetto conoscente, 
sia ulteriormente rappresentata a fini comunicativi, ossia che essa 
venga convertita in una una forma idonea alla comunicazione con altri. Se 
l�oggetto della conoscenza � uno stato materiale, ossia una cosa o uno stato di 
determinate cose o un comportamento materiale umano (operazione), naturalisticamente 
parlando potrebbe bastare qualunque comportamento idoneo a 
sollecitare istantaneamente, anche senza possibilit� di ripetizione, gli organi 
di senso altrui, come, per esempio, la produzione di un suono musicale. Senz�altro, 
tuttavia, la forma di maggior rilievo per il diritto che � idonea e sufficiente 
alla comunicazione di quei fenomeni materiali � la documentazione, 
cio� la loro rappresentazione in un documento, che � la cosa materialmente 
idonea a rappresentare durevolmente una situazione. Se, invece, l�oggetto della 
conoscenza � uno stato immateriale (idea, pensiero, sentimento), esso si presta 
ad essere rappresentato quasi esclusivamente attraverso una formulazione semantica 
del soggetto conoscente, cio� attraverso una dichiarazione; in questo 
caso la conoscenza dev�essere dapprima codificata e la sua formulazione dev�essere, 
poi, trasmessa o in forma instabile (comunicazione orale) o in forma 
stabile, tramite la sua documentazione, ossia la sua rappresentazione in un do-
98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
cumento (naturale - marmo, per esempio -, o artificiale, come frutto di una 
tecnologia (carta, fotografia, documento informatico o altro)). Per instaurare 
un parallelismo con l�esemplificazione gi� accennata, si pensi ancora una volta 
al fenomeno musicale, la cui conoscibilit�, anzich� essere fornita mediante la 
produzione del suono da parte del soggetto che vuole associarne altri nella conoscenza, 
sia da lui perseguita mediante la notazione redatta su uno spartito. 
Si evidenzia cos� agevolmente come, a seconda della rappresentazione dell�oggetto 
da conoscersi, possano ottenersi conoscenze diverse, qualitativamente 
e quantitativamente. 
Infine, affinch� la conoscenza del soggetto conoscente sia intellettivamente 
rappresentata anche nella mente di un altro soggetto, non � sufficiente 
che il primo la renda disponibile per il secondo mediante la trasmissione o 
l�accesso, ma � sempre necessario che l�altro s�impegni nell�adozione di un 
comportamento, a volte anche faticoso, di acquisizione della conoscenza altrui. 
Al termine di tale processo cognitivo la conoscenza diverr�, come ad altro fine 
sՏ appena detto, comune ad entrambi i soggetti, perch� la conoscenza acquisita 
indirettamente da un soggetto circola, non attraverso lo scambio con altri, 
come se fosse un prodotto ad uso individuale alternativo, ma attraverso l�associazione 
di altri nella conoscenza del soggetto originario: la derivazione 
della conoscenza da un soggetto non estingue la conoscenza originaria dell�altro 
soggetto, ma allarga il numero dei soggetti conoscenti. 
3.3. La conoscenza secondo natura 
Se, ora, per approfondire quell�osservazione della realt�, poc�anzi effettuata, 
relativa all�attivit� di conoscenza e al suo risultato, si utilizza il criterio 
di distinzione statica/dinamica, si pu� cogliere l�ulteriore intrinseca complessit� 
dialettica del fenomeno cognitivo. Infatti, in ogni fenomeno di conoscenza 
si rilevano due fasi statiche ed una fase dinamica, perch� sempre il soggetto 
conoscente muove da una condizione iniziale statica di (relativa) ignoranza, 
per giungere, attraverso un�attivit� di conoscenza (fase dinamica) ad un�altra 
condizione statica, questa volta finale, di conoscenza (tendenzialmente) diversa 
da quella iniziale. L�insieme delle due fasi statiche, iniziale e finale, e della 
fase dinamica centrale, pu� esser chiamato ciclo di conoscenza. 
Le due fasi statiche si distinguono, non solo per la loro diversa posizione, 
ma anche in base al criterio di contrapposizione tra potenzialit� ed effettivit�: 
la fase iniziale del ciclo cognitivo � quella della (relativa) ignoranza e dell�eventuale 
conoscibilit� (conoscenza potenziale), nel senso che, quale che sia 
lo stato in cui versa la mente del soggetto conoscente in un dato momento, 
egli pu� trovarsi, oppure no, anche in una condizione a partire dalla quale pu� 
iniziare una fase dinamica di un ciclo cognitivo; la fase finale, altrettanto statica, 
del ciclo cognitivo � quella del conosciuto, cio� del risultato della fase 
dinamica, e consiste nella conoscenza effettiva prodotta da quel ciclo cogni-
CONTENZIOSO NAZIONALE 99 
tivo, la quale pu� sia coincidere ancora con quella iniziale sia essere diversa 
e costituire una nuova situazione statica iniziale per un�eventuale ulteriore fase 
dinamica di un nuovo ciclo cognitivo. 
Quanto alla conoscibilit� quale elemento della situazione statica iniziale, 
valgono le seguenti considerazioni. In natura si d� una sorta di conoscibilit� 
oggettiva, che tuttavia � priva di rilevanza giuridica. Se si fa credito all�uomo 
di una capacit� cognitiva ad incremento potenzialmente illimitato, qualsiasi 
oggetto potrebbe essere da lui conosciuto e la sfera della conoscibilit� coinciderebbe 
con tutto ci� che gli � attualmente ignoto, cio� con l�infinito, a meno 
di quell�epsilon, tendente a zero, che gli �, o che gli fosse, riuscito finora di 
conoscere. Non � questa la conoscibilit� rilevante per il diritto, per il quale, 
invece, conta solo ci� che un singolo soggetto dell�ordinamento, vincolato a 
conoscere effettivamente, � in condizione di conoscere. Trascurando qui il profilo 
del vincolo, un soggetto pu�, in natura, conoscere un oggetto quando si 
realizzano le seguenti condizioni: che l�oggetto esista, che il soggetto sia dotato 
di un�idonea capacit� di conoscerlo, che si dia al soggetto la possibilit� di accedere 
all�oggetto, cosicch� egli possa rappresentarselo intellettivamente. La 
conoscibilit� �, dunque, una condizione statica del soggetto: � una condizione 
soggettiva, perch� indica la posizione del soggetto rispetto all�oggetto; essa � 
anche, per�, una condizione oggettiva, nel senso che qualsiasi soggetto che 
versasse in essa potrebbe conoscere l�oggetto accessibile. In sostanza, la conoscibilit� 
� una condizione statica oggettiva relativamente soggettiva. 
Quella parte della fase statica iniziale che � la conoscibilit� ha, dunque, 
una struttura interna articolata in tre elementi. Tra di essi una peculiare attenzione 
merita la capacit� cognitiva, la quale � un dato e, in quanto dato, un elemento 
naturale. Si consideri, peraltro, che la capacit� cognitiva � un elemento 
variabile in natura, non solo nel senso che non tutti i soggetti ne sono parimenti 
dotati, ma soprattutto nel senso che, volendo, ogni soggetto pu� affinare e potenziare 
la propria. Ora, se, come si verifica, le norme giuridiche sottopongono 
alcuni soggetti al vincolo di potenziare e di affinare la loro capacit� cognitiva, 
allora, in natura, all�interno di quell�elemento della fase statica della conoscenza 
che � la capacit� cognitiva, � possibile che si avvii un processo 
dinamico attraverso il quale il soggetto vincolato si attiva per incrementare e 
migliorare la sua capacit� cognitiva. In questo senso, nella conoscibilit� pu� 
rinvenirsi anche un profilo dinamico. Resta, per�, fermo, che rispetto ad un 
dato oggetto, specificamente individuato, la conoscibilit�, che � complessivamente 
una componente della situazione statica, non basta per modificare lo 
stato cognitivo del soggetto, pur essendo necessaria per l�inizio fruttuoso della 
fase dinamica della conoscenza. 
La fase centrale del ciclo, cio� la fase dinamica dell�attivit� di conoscenza 
posta tra le due fasi statiche iniziale e finale, ha, a sua volta, una struttura interna, 
la quale � costituita da due specie di fenomeni: la percezione, che �
100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
l�esplicazione e l�attuazione della percepibilit� insita nella conoscibilit�, e il 
comportamento cognitivo, cio� l�esercizio della capacit� cognitiva, altrettanto 
presente nello stato di conoscibilit�. Il primo elemento � quello del contatto 
tra conoscente ed oggetto da conoscere: a seconda della specie di conoscenza 
realizzabile, conoscenza noetica o conoscenza empirica, il contatto si stabilisce 
o con le idee del soggetto conoscente cui egli stesso pone mente o con l�oggetto 
di un rapporto di percepibilit� fisica relativo al soggetto di riferimento, 
anche creato da parte di altri. Il soggetto che aspiri alla conoscenza deve, poi, 
erogare delle energie per attivare la sua capacit� naturale di conoscere e sforzarsi 
di adottare tutti i comportamenti necessari per ottenere una rappresentazione 
intellettiva dell�oggetto. 
Infine, quanto alla situazione statica finale del ciclo, l�esplicazione della 
capacit� di conoscere e lo svolgimento dell�attivit� cognitiva conduce ad uno 
stato di conoscenza effettiva, quale che essa sia. Infatti, siccome ogni processo 
cognitivo conduce dallo stato iniziale di una conoscenza data ad una situazione 
statica finale di conoscenza diversa, si possono ottenere gradi diversi di conoscenza 
dell�oggetto, che potr�, in natura, considerarsi piena e vera (quantit� e 
qualit� della conoscenza) dopo la realizzazione anche di un solo percorso procedimentale, 
ma che potrebbe richiedere la reiterazione di pi� processi cognitivi, 
secondo una rappresentazione a spirale del processo cognitivo, in base 
alla quale il risultato ottenuto di volta in volta costituisce il punto di partenza 
per un ulteriore e pi� proficuo percorso intellettivo. Quando la conoscenza finale 
si possa considerare piena e vera � problema da risolvere secondo un criterio 
di relativit�, la cui soluzione dipende dall�oggetto della conoscenza e 
dallo scopo che si propone il soggetto conoscente. 
4. La conoscenza giuridica 
La descrizione dei fenomeni naturali di conoscenza che si � tentato di effettuare 
�, qui ed ora, sufficiente per passare all�analisi della conoscenza giuridica. 
L�attribuzione di rilevanza giuridica alla conoscenza naturale si verifica 
solo quando la conoscenza � considerata dalla normazione idonea a soddisfare 
un bisogno di qualche soggetto. A tal fine la conoscenza, o qualcuno dei profili 
naturali della conoscenza che si sono descritti, dev�essere assunta dalla norma 
giuridica come elemento della propria struttura per modellare, in relazione ad 
esso, un rapporto tra due soggetti, utilizzando la tecnica delle situazioni giuridiche 
soggettive, attive e passive: dalla regolamentazione normativa dei rapporti 
giuridici si desume quali siano i soggetti che possono vantare una pretesa 
e i soggetti che sono sottoposti ad un vincolo di conoscere, o di far conoscere, 
alcunch� nei confronti di altri. I dati strutturali del rapporto giuridico di conoscenza 
emergono cos� chiaramente: l�oggetto della conoscenza, in ordine al 
quale si danno soggetti che vantano la pretesa o sono vincolati ad un compor-
CONTENZIOSO NAZIONALE 101 
tamento cognitivo. 
Se la pretesa di conoscere si pu� presentare sotto le due specie del diritto 
soggettivo e dell�interesse legittimo, che non danno luogo, almeno ai fini dell�oggetto 
di questa nota, a particolari questioni, il vincolo di conoscere presenta 
maggiori tratti problematici. 
Il vincolo di conoscere �, anzitutto, una specie di vincolo che si presta ad 
essere ulteriormente specificato solo in tre delle quattro possibili specie del 
generale vincolo giuridico: nel dovere, nell�obbligo, nell�onere, ma non nella 
soggezione. Infatti, per sua natura, l�acquisizione della conoscenza consiste 
in un�attivit�, in un comportamento dinamico volto a rappresentare, nella (memoria 
�documentale� della) mente di un soggetto, un oggetto che era ignoto 
prima della sua azione cognitiva. Il comportamento cognitivo �, dunque, incompatibile 
con l�inerzia tipica della soggezione. L�esclusione della soggezione 
dalle specie di situazione giuridica passiva proprie del vincolo giuridico 
� una conseguenza dell�ineliminabile, per la natura delle cose, infungibilit� 
del comportamento cognitivo e del carattere associativo della circolazione 
della conoscenza. 
Il soggetto � vincolato a conoscere un dato oggetto, dunque, in quanto sia 
collocato da una norma giuridica in una delle altre tre specie di vincolo: il dovere 
di conoscere o l�obbligo di conoscere o l�onere di conoscere. Quel che 
interessa la nostra tematica � rilevare che, indipendentemente dalla natura del 
vincolo giuridico, il regime giuridico del comportamento del soggetto vincolato 
a conoscere si compone dei seguenti elementi: 
1) anzitutto, deve figurare nell�ordinamento giuridico una norma giuridica 
che strutturi, secondo generalit� ed astrattezza, un rapporto giuridico in 
modo tale che un soggetto sia sottoposto, nei confronti di un altro soggetto, 
al vincolo di conoscere alcunch�; 
2) in secondo luogo, deve esistere nella realt� di specie ultima l�oggetto 
della conoscenza astrattamente prefigurato dalla norma; in mancanza 
dell�oggetto il soggetto titolare della pretesa corrispondente al vincolo 
non pu� ritenere che il soggetto vincolato debba attivarsi; 
3) in terzo luogo, il soggetto deve esser dotato, o deve fornirsi, di capacit� 
cognitiva adeguata al rapporto giuridico del quale � parte; 
4) in quarto luogo, il soggetto deve trovarsi, o deve esser collocato, o deve 
porsi, nella situazione di poter percepire (condizione di percepibilit� fisica); 
5) inoltre, il soggetto conoscente deve adottare un comportamento cognitivo 
idoneo ad acquisire la conoscenza oggetto del vincolo; 
6) infine, il soggetto conoscente deve adottare un comportamento conforme 
alla legge in coerenza con la conoscenza vincolativamente acquisita. 
Come si vede, la normazione aggiunge molto di suo ai dati naturali della 
conoscenza. In particolare, per�, interessa qui mettere in risalto che lo snodo
102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
principale del passaggio dalla realt� extragiuridica alla realt� giuridica � costituito 
dalla conoscibilit�, che, composta comՏ dall�oggetto, dalla capacit� 
cognitiva e dalla percepibilit�, occupa ben tre delle sei posizioni nell�elenco 
degli elementi del regime del comportamento cognitivo. Perch� sia adempiuto 
il vincolo �, dunque, molto rilevante, fino ad essere determinante, che il soggetto 
vincolato �possa� conoscere. Non sempre basta, ma in molti casi � sufficiente. 
In generale, poi, al fine della prova liberatoria da responsabilit� per inosservanza 
del vincolo di conoscere, � necessario che i soggetti del rapporto cognitivo, 
provino, secondo le regole che disciplinano la distribuzione dell�onere 
della prova per lo specifico rapporto di cui i soggetti del vincolo e della pretesa 
di conoscere sono parti, l�esistenza o l�inesistenza di ciascuno degli elementi 
in cui si articola la struttura del vincolo. 
Questo � il quadro teorico generale del regime della conoscenza, che � 
necessario, ma anche sufficiente, per valutare la fondatezza delle due principali 
tesi della sentenza n. 6114: la prima � quella secondo la quale la notificazione 
degli atti amministrativi d�imposizione tributaria non svolge, tra le altre funzioni, 
quella di garantire che il notificatario acquisisca l�effettiva conoscenza, 
ma quella di garantire il grado pi� elevato possibile di conoscibilit�; la seconda 
� quella secondo la quale la conoscibilit� � graduabile. 
5. La valutazione delle tesi principali della Corte di cassazione in tema di conoscenza 
effettiva e di conoscibilit� 
5.1. L�effetto della notificazione degli atti amministrativi d�imposizione tributaria: 
la conoscibilit� e non la conoscenza effettiva 
La Corte, dando esattamente per scontato che sia impossibile assicurare 
la conoscenza effettiva di chicchessia, interpreta la formulazione letterale 
dell�art. 6, comma 1, primo periodo, della L. 27 luglio 2000, n. 212, nel senso 
di attribuirgli, sulla base del vincolo, per il giudice, d�interpretazione adeguatrice 
alla normativa di principio contenuta nello Statuto del contribuente, il significato 
massimo possibile consentito dalla natura delle cose e dalla natura 
dell�istituto giuridico della notificazione, cio� quello di scegliere tra le varie 
forme possibili di notificazione, estraibili dalla normativa in tema di notificazione 
degli atti amministrativi d�imposizione tributaria, quella che pone il contribuente 
nella condizione di massima conoscibilit� possibile. 
Quel che la Corte non ha detto, dandolo per implicitamente noto, comՏ 
normale che avvenga in una pronuncia giurisprudenziale, attiene a due ordini 
di ragioni. 
La prima risiede nella natura delle cose ed � generale. La descrizione che 
sՏ operata nel � 3 dei fenomeni naturali della conoscenza e l�articolazione 
del ciclo cognitivo in due fasi statiche, iniziale e finale, e in una fase dinamica 
intermedia, mostra la netta distanza che separa la conoscibilit� dalla cono-
CONTENZIOSO NAZIONALE 103 
scenza effettiva e la loro diversit� strutturale, anche sotto il profilo del contenuto: 
mentre la conoscibilit� rientra nella fase statica iniziale ed � strutturata 
nei tre elementi dell�oggetto, della capacit� cognitiva e dell�accessibilit� del 
soggetto all�oggetto (percepibilit�), la conoscenza effettiva � la rappresentazione 
dell�oggetto nella mente del soggetto, che abbia tratto origine, infungibilmente, 
dalla fase dinamica del ciclo cognitivo e dalle sue due sottofasi della 
percezione e del comportamento cognitivo. La Corte, definendo �solenne� 
l�enunciazione contenuta nell�art. 6, comma 1, primo periodo, dello Statuto 
del contribuente, secondo cui l�ufficio tributario deve assicurare l�effettiva conoscenza 
dell�atto amministrativo d�imposizione tributaria, mette in luce 
come, in realt�, se si stesse alla lettera della disposizione, si richiederebbe all�amministrazione 
finanziaria una missione impossibile, perch� l�acquisizione 
della conoscenza di alcunch� non pu� mai avvenire se il soggetto conoscente, 
pur partendo da una situazione di conoscibilit�, non completasse personalmente 
il ciclo cognitivo, in quanto nessuno pu� sostituirsi a lui nella percezione 
e nel comportamento cognitivo. Ne deriva che non esiste una sola tecnica 
giuridica di trasmissione della conoscenza - la comunicazione, la notificazione, 
la pubblicazione (orale, a stampa, per deposito, informatica), la pubblicit� per 
registri, la presenza allo svolgimento di una data attivit�, l�accesso (a documenti 
o a luoghi) - che riesca ad assicurare, di per s�, al trasmittente e al destinatario 
della trasmissione che quest�ultimo raggiunga uno stato pi� 
significativo della mera possibilit� di conoscere l�oggetto trasmesso. 
La seconda ragione per la quale la notificazione degli atti amministrativi 
d�imposizione tributaria non assicura la loro effettiva conoscenza da parte del 
contribuente consegue, pi� specificamente, dalla natura giuridica della notificazione, 
che � idonea a fornire la certezza legale della sola conoscibilit�. Secondo 
la definizione comunemente accolta, infatti, la notificazione � una 
complessa operazione di conoscenza, attraverso la quale un soggetto (il notificante) 
- per il tramite di un terzo (notificatore: ufficiale giudiziario, anche in 
eventuale combinazione coll�ufficiale postale, messo dell�ufficio, avvocato) 
o, sia pure eccezionalmente, in via diretta - trasferisce nella sfera di disponibilit� 
materiale e, quindi, della percepibilit�, di un altro soggetto (notificatario) 
un documento rappresentativo di una situazione, semantica e/o no, creandosi 
a favore del notificatario, con la forza della certezza legale, una situazione 
giuridica oggettiva di conoscibilit� e confezionandosi a favore del notificante 
la prova del trasferimento, comprese le sue modalit� soggettive (consegnatario) 
e oggettive (di luogo e di tempo), del documento al notificatario. Non 
basta, quindi, un comportamento trasmissivo di conoscenza piuttosto complicato, 
qual � la notificazione, ad assicurare la conoscenza effettiva del destinatario 
della trasmissione: la notificazione, ponendo in essere una parte della 
prima fase del ciclo cognitivo, riesce soltanto a porre il notificatario nella situazione 
di conoscibilit�, cio� lo stato a partire dal quale solo il notificatario
104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
pu�, se lo vuole, completare il ciclo cognitivo e passare dal suo stato iniziale 
di ignoranza dell�oggetto notificato alla sua conoscenza positiva. Le caratteristiche 
specifiche della notificazione non riguardano, perci�, l�effetto cognitivo, 
che � uguale a quello di tutti gli altri istituti di pubblicit� ed � costituito 
dalla creazione della conoscibilit�, ma consistono nell�attribuzione della forza 
di certezza legale alla realizzazione di tale situazione e nella confezione della 
prova della conoscibilit� realizzata. 
5.2. La graduazione della conoscibilit� 
Resta da esaminare la seconda tesi della Corte di cassazione, secondo la 
quale la conoscibilit� potrebbe essere graduata, in modo tale che, quando la 
legge vincoli l�ufficio tributario ad assicurare la �conoscenza effettiva�, da 
parte del contribuente, dell'atto amministrativo di imposizione tributaria, il destinatario 
del vincolo deve adottare l�operazione di conoscenza (la notificazione, 
nel caso in esame) del livello massimo di conoscibilit�: secondo le 
disposizioni normative di specie (art. 60 DPR 29 settembre 1973, n. 600) ci� 
si realizza con il vincolo a notificare nel luogo del domicilio eletto, con esclusione 
della notifica all�irreperibile nel domicilio fiscale ai sensi dell�art. 140 
cpc. 
Per la piena valutazione della posizione cos� assunta dalla Corte possono 
giovare alcune considerazioni generali sulla graduazione della conoscibilit�. 
Anzitutto, si deve prender atto di questa realt� giuridica: a prestarsi alla 
graduazione non � la conoscibilit� come fenomeno di genere prodotto da un 
istituto di pubblicit�, ma solo la conoscibilit� che � prodotta dalle varie specie 
di ciascun istituto di pubblicit�: dato un istituto di pubblicit� (comunicazione, 
notificazione, pubblicazione, pubblicit� per registri, presenza, accesso), esso 
produce una data forma di conoscibilit�, che � diversa da quella di tutte le 
altre, rispetto alle quali, tuttavia, non � possibile redigere una graduazione. Invece, 
sono le varie specie in cui pu� manifestarsi ciascun istituto pubblicitario 
che producono delle forme di conoscibilit� che possono essere tra loro graduate. 
La tesi pu� essere dimostrata considerando che la natura di ciascuno degli 
istituti di pubblicit�, cio� la loro struttura e la loro funzione, comporta la produzione 
di tante corrispondenti forme di conoscibilit�, ognuna delle quali presenta 
una forza diversa, che dipende dal carattere attivo (comunicazione, 
notificazione) o passivo (pubblicazione, pubblicit� per registri, presenza, accesso) 
dell�istituto, dalla determinatezza (comunicazione, notificazione, presenza, 
accesso)/indeterminatezza (pubblicazione, pubblicit� per registri, 
presenza, accesso) dei soggetti destinatari, dalla tecnica della prova dell�uso 
dell�istituto e dalla partecipazione al procedimento di pubblici ufficiali con 
compiti di certificazione (notificazione ordinaria, pubblicit� per registri). Se, 
poi, si raffrontano le conoscibilit� prodotte da ciascuno degli istituti di pub-
CONTENZIOSO NAZIONALE 105 
blicit�, si pu� anche convenire sulla constatazione che la notificazione - che � 
l�istituto di pubblicit� di riferimento nella sentenza n. 6114 - realizzi un grado 
di conoscibilit� molto elevato, perch� ha carattere attivo, in quanto � il notificante 
che si rivolge al notificatario, che � un soggetto determinato, e si avvale, 
salvo ipotesi minoritarie, dell�intermediazione di un pubblico ufficiale (notificatore), 
che procura al notificante la prova della ricezione da parte del notificatario, 
cui la legge attribuisce la forza della certezza legale; invero, se la 
forza di un istituto si misura in base agli effetti giuridici che si producono, 
quella della notificazione, pur con la riduzione ai soggetti particolari e determinati 
cui � destinata, � una forza ben robusta. Tuttavia, pare fuori luogo tentare 
di stabilire una graduatoria tra le conoscibilit� realizzabili dai vari istituti 
di pubblicit� e, in particolare, per la prospettiva che qui interessa, tra il grado 
di conoscibilit� della notificazione e quello degli altri istituti pubblicitari. Basti 
considerare, per limitarci in questa sede ad un solo confronto, che un pubblico 
registro, pur operando con carattere di passivit�, perch� � il soggetto conoscente 
che deve attivarsi per realizzare il contatto con esso, � dotato di generalit�, 
che costituisce un aspetto di forza di grandissimo rilievo; ed � dotato, 
oltre che di efficacia di certezza legale, di stabilit�, perch� � tendenzialmente 
permanente nel tempo, cosicch� la sua forza ne viene, sotto questo profilo, sicuramente 
incrementata. Tanto pu� bastare per concludere che � vano tentare 
di stabilire delle graduazioni tra le conoscibilit� prodotte da ciascuno degli 
istituti pubblicitari considerati come genere. 
Invece, sempre sul piano generale, se si tiene conto della struttura della 
conoscibilit� che sՏ poc�anzi illustrata, s�intravvede la possibilit� che essa, 
all�interno di un medesimo istituto pubblicitario, venga graduata discrezionalmente 
dal legislatore - ossia con la libert� di scelta che gli deriva dalla titolarit� 
del potere d�indirizzo politico, ma con il limite della ragionevolezza -, attraverso 
la modellazione di ciascuno degli elementi di cui la conoscibilit� si compone: 
dell�oggetto, della sua percepibilit� da parte del soggetto e della capacit� 
cognitiva del soggetto conoscente (2). 
Basandosi sulla struttura e sulla funzione delle specie in cui si manifesta 
ciascun istituto di pubblicit�, si riscontrano, invero, varie possibilit� di graduazione. 
Limitandoci qui, ancora una volta, alla notificazione, � agevole convenire, 
ad esempio, sul fatto che, nel processo tributario, la notificazione per 
ufficiale giudiziario e quella mediata da una diversa figura di notificatore producono 
effetti di conoscibilit� diversi, sia con riguardo alla conformit� tra la 
dichiarazione incorporata nel documento originario e quella incorporata nel 
(2) Non mancano nella pi� recente giurisprudenza della Corte sentenze che, in particolare, si soffermano 
acutamente sulla modellazione della capacit� cognitiva, cos� da graduare, in relazione ad essa,
anche la conoscibilit�. Ci si riferisce a Corte di cassazione 21 gennaio 2011, n. 1364, e 12 maggio 2011, 
n. 10417.
106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
documento consegnato al notificatario, sia con riguardo, in sede di appello, 
all�obbligo per l�ufficiale giudiziario e all�onere per il contribuente, notificante 
senza l�intermediazione dell�ufficiale giudiziario, di comunicare alla Commissione 
tributaria provinciale, autrice della sentenza appellata, la proposizione 
dell�impugnazione. Analogamente, la scelta delle modalit� per la 
consegna del documento al notificatario pu� differenziare il grado della conoscibilit�: 
per le notificazioni degli atti d�impugnazione si deve indicare il difensore 
e non la parte, per assicurare il massimo grado di tempestivit� della 
conoscibilit�, al fine di consentire la valutazione tecnica della prosecuzione 
del giudizio che la controparte ha scelto (3). Con specifico riguardo al nostro 
tema, poi, si pu� osservare che anche le modalit� spaziali della consegna influiscono 
sul grado della conoscibilit�, perch�, come ha ben deciso la Corte, 
graduando i criteri di scelta del luogo della notificazione degli atti amministrativi 
d�imposizione tributaria, pu� realizzarsi un diverso grado probabilistico 
di percepibilit� dell�atto notificato: se il contribuente ha eletto domicilio 
in un luogo diverso da quello del domicilio fiscale, ma pur sempre nell�ambito 
del Comune di domicilio fiscale - limite posto dalla normativa tributaria in favore 
dell�amministrazione fiscale - la notificazione nel primo realizza una situazione 
giuridica oggettiva di conoscibilit� di grado pi� elevato della 
notificazione che fosse effettuata nel secondo. Conseguentemente, il vincolo, 
per l�ufficio tributario, a scegliere come luogo della notificazione il domicilio 
eletto ad esclusione del domicilio fiscale, discende dal principio, malamente 
formulato dal legislatore, dell�(impossibile) assicurazione della conoscenza 
effettiva del contribuente. Lo stesso principio, tuttavia, non dovrebbe far dimenticare 
che, ammesso che lo scopo fissato dal legislatore sia quello di perseguire 
la maggior probabilit� di conoscenza effettiva del contribuente (che 
vale realizzazione della conoscibilit� di grado pi� elevato possibile), alla notifica 
presso il domicilio eletto dovrebbe preferirsi la notifica, ovunque essa 
avvenga, ivi incluso il domicilio fiscale, nelle mani proprie del contribuente, 
come del resto risulta scontato, se si tiene conto dei dati naturalistici del fenomeno 
cognitivo descritto e se si considera la normativa speciale contenuta 
nell�art. 60 DPR 29 settembre 1973, n. 600, ove al primo comma si rinvia all�art. 
137, commi 2 e 4, cpc e all�art. 138 cpc e ove alla lett. c) del primo 
comma si fa <<salvo il caso di consegna dell'atto o dell'avviso in mani proprie>>. 
(3) Anche la previsione della notifica di un�impugnazione al difensore costituito, piuttosto che 
direttamente alla parte, pu� essere vista come un�ipotesi di graduazione della conoscibilit� in dipendenza 
della graduazione della capacit� cognitiva. Infatti, solo il difensore � dotato di quella capacit� cognitiva 
tecnica adeguata a conoscere il contenuto di un�impugnazione e ad adottare, quindi, i conseguenti atti 
di difesa.
CONTENZIOSO NAZIONALE 107 
6. La questione del procedimento di notificazione al contribuente non temporaneamente 
irreperibile 
Ci si potrebbe domandare, a questo punto, tornando a riesaminare la 
prima sentenza (la n. 6102), se lo stesso ragionamento non possa, o addirittura 
non debba, per assicurare uniformit� alla giurisprudenza della Corte in materia, 
valere per la diversa ipotesi di notificazione sulla quale il giudice di legittimit� 
si � pronunciato in conformit� al proprio precedente consolidato orientamento. 
Infatti, la mutilazione del procedimento di notificazione ai contribuenti (durevolmente) 
irreperibili, rispetto a quanto previsto dall�art. 140 cpc richiamato 
nell�art. 60, comma 1, lett. e) del DPR 29 settembre 1973, n. 600, potrebbe 
essere ora, dopo la sentenza n. 6114, considerata in contrasto col principio tendenziale 
previsto nell�art. 6, comma 1, primo periodo, dello Statuto del contribuente. 
Potrebbe sostenersi, infatti, che, se l�art. 60, comma 1, nelle lett. c) e lett. 
d), dev�essere letto congiuntamente all�art. 6, comma 1, primo periodo, dello 
Statuto del contribuente, sulla scia tracciata dalla sentenza della Corte n. 6114, 
allora anche l�art. 60, comma 1, lett. e), sugli adempimenti da compiersi in 
caso di notifica all�irreperibile, dovrebbe essere letto alla luce del principio 
tendenziale contenuto nella predetta disposizione dello Statuto, con la conseguenza 
che la posizione assunta nella sentenza n. 6102 della Corte non potrebbe 
pi� essere considerata tanto pacifica. La rimeditazione, eventualmente 
anche sotto l�aspetto della compatibilit� costituzionale, potrebbe ancorarsi alla 
suggestiva argomentazione per cui il regime della notificazione dell�atto impositivo 
tributario dovrebbe - per coerenza subsistematica interna - sempre 
ispirarsi al principio del maggiore grado di conoscibilit� in capo al contribuente 
(4). In effetti, una volta che la legge abbia richiamato un procedimento 
(4) Peraltro, la Corte di cassazione, nella sentenza del 3 aprile 2006, n.7773, sՏ gi� espressa per 
la manifesta infondatezza della questione di legittimit� costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 
3 e 24 Cost., dell'art. 60, primo comma, lett. e), del DPR 29 settembre 1973, n. 600: <<occorre ancora 
distinguere tra notificazioni che potrebbero intervenire al di fuori e al di l� di ogni precedente rapporto 
o relazione col destinatario e notificazioni che intervengono invece nell'ambito di un rapporto gi� esistente 
e sono perci�, in qualche misura, "prevedibili". In relazione al primo tipo di notificazioni, in qualche 
modo "inattese", deve essere, con maggior rigore se possibile, privilegiata la ricerca di modalit� che 
implichino una pi� alta garanzia di conoscibilit� da parte del destinatario, ma soprattutto, in tale tipo di 
notificazioni, per cos� dire "primarie", non pu� (ovviamente) essere posto alcun onere, tantomeno implicito, 
a carico del notificatario. Con riguardo, invece, alle notificazioni che intervengono nell'ambito 
di un preesistente rapporto, � possibile sia una maggiore tolleranza nei confronti di forme di notificazione 
che diano minori garanzie di conoscenza effettiva, sia, ovviamente, una pi� articolata disciplina della 
notificazione medesima che eventualmente contempli anche, esplicitamente o implicitamente, oneri a 
carico del notificatario ... La notificazione di avvisi di accertamento al contribuente appartiene certamente 
al secondo tipo, in quanto interviene in un preesistente rapporto tra contribuente e fisco, rapporto 
che presuppone dichiarazioni del contribuente o atti posti in essere da quest'ultimo e idonei a mettere in 
moto il meccanismo impositivo, e "colloca" per legge il predetto contribuente in un domicilio fiscale. 
Nell'ambito di questo rapporto, pertanto, la notificazione non � imprevedibile e con riguardo ad essa, a
108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
di notificazione che, in generale, prevede la spedizione della raccomandata, 
non potrebbe disconoscersi che la spedizione della raccomandata consentirebbe, 
anche in ambito tributario, di effettuare un ulteriore tentativo di entrare 
realmente in contatto col destinatario della notifica per il tramite dell�ufficiale 
postale, rafforzando cos� la garanzia del contribuente. 
La tesi non sembra, anzitutto, condivisibile in base al criterio di risoluzione 
dell�apparente antinomia normativa dato dalla prevalenza della norma 
speciale, ancorch� anteriore (art. 60, comma 1, lett. e, del DPR 29 settembre 
1973, n. 600), sulle norme generali successive (art. 140 cpc - modificato dall�art. 
174, comma 4, del DLgs 30 giugno 2003, n. 196 - e art. 6, comma 1, 
primo periodo, L. 27 luglio 2000, n. 212), senza che possa farsi valere il criterio 
gerarchico, posto che, per costante giurisprudenza, le disposizioni dello 
Statuto del contribuente non hanno valenza rafforzata, se non sono espressione 
di un principio di diretta derivazione costituzionale, ma valgono quale indirizzo 
interpretativo della restante normativa di pari livello primario, che pu� 
sempre ragionevolmente derogarvi. 
Si ritiene, inoltre, che l�interpretazione evolutiva prospettata non sia ragionevolmente 
sostenibile a causa della concreta fattispecie che � disciplinata 
nella lett. e) dell�art. 60 DPR 29 settembre 1973, n. 600. Infatti, come si rammenta, 
da ultimo, nella sentenza della Corte di cassazione 16 maggio 2011, n. 
10763, <<la notificazione dell'avviso di accertamento tributario deve essere 
effettuata secondo il rito previsto dall'art. 140 c.p.c. quando, come nella specie, 
siano conosciuti la residenza e l'indirizzo del destinatario, ma non si sia potuto 
eseguire la consegna perch� questi (o altro possibile consegnatario) non � stato 
rinvenuto in detto indirizzo, da dove tuttavia non risulta trasferito. Pertanto - 
non essendo in discussione che il luogo della notifica fosse quello di effettiva 
residenza della destinataria, n� risultando che quest'ultima abbia allegato e 
provato di non essere pi� (o non essere mai stata) residente in quel luogo -, 
una volta riscontrato che in tale luogo non era stata rinvenuta nessuna delle 
persone alle quali, a norma dell'art. 139 c.p.c., poteva essere consegnato l'atto 
da notificare, il notificatore poteva e doveva procedere alla notifica ai sensi 
dell'art. 140 c.p.c.>>. Insomma, il procedimento di notificazione completo 
carico del contribuente che non abbia abitazione, ufficio o azienda nel comune dove deve essere eseguita 
la notificazione, � posto l'onere di eleggere domicilio nel luogo del proprio domicilio fiscale, (se vuole 
evitare una notifica ai sensi dell'art. 140 c.p.c. con affissione presso il Comune) e in ogni caso di comunicare 
le variazioni dell'indirizzo. Pertanto, in relazione alla proposta questione di legittimit� 
costituzionale del citato art. 60, deve concludersi che la norma in questione appare conformata alla specificit� 
del complessivo rapporto impositivo, nonch� strumentale alle esigenze funzionali ed operative 
dell'Amministrazione, rispondenti all'interesse generale e non al fine di un ingiustificato privilegio per 
il fisco, laddove, peraltro, la notificazione mediante affissione pu� essere evitata agevolmente con l'assolvimento 
di un onere certamente non cos� gravoso da incidere sulle garanzie del contribuente (sul 
punto vedi, sia pure con riferimento alla prospettazione di diversa questione di costituzionalit�, Cass. n. 
12834 del 1995 e n. 9922 del 2003)>>.
CONTENZIOSO NAZIONALE 109 
previsto dall�art. 140 cpc si applica agli atti d�imposizione tributaria se il contribuente 
� soltanto temporaneamente irreperibile. In ipotesi d�irreperibilit� 
non temporanea, l�art. 60, comma 1, lett. f), DPR 29 settembre 1973, n. 600, 
prescrive che alla notifica degli atti tributari non si applichi l�art. 143 cpc, cio� 
il regime della notificazione a destinatario di residenza, dimora o domicilio 
sconosciuti, a cui � sostituito, invece, l�art. 60, comma 1, lett. e) dello stesso 
DPR. Le ragioni sembrano due. 
In primo luogo, per la legge tributaria il domicilio del contribuente non 
pu� darsi per sconosciuto, se non a posteriori, cio� dopo l�effettivo riscontro 
scaturente dal tentativo di notifica. Infatti, per il comma 1 del predetto art. 58, 
<<Agli effetti dell'applicazione delle imposte sui redditi ogni soggetto si intende 
domiciliato in un comune dello Stato, giusta le disposizioni seguenti>>, 
cio� una serie di norme contenenti presunzioni legali assolute, le quali dal fatto 
noto di un certo collegamento del soggetto passivo d�imposizione con un luogo 
dello Stato traggono il fatto ignoto che ivi sia collocato il suo domicilio, rilevante 
per l�applicazione delle imposte sui redditi, incluse le fasi dell�accertamento 
e della riscossione. Si tratta di una finzione giuridica che, per un verso, 
� pro fisco, per l�effetto dell�agevolazione indotta dall�individuazione ex lege 
del luogo di notifica (v. art. 60, comma 1, lett. c DPR 29 settembre 1973, n. 
600), e che, tuttavia, non sembra porsi in contrasto col principio garantistico 
per il contribuente, dato che, per altro verso, anche al contribuente � reso noto 
in anticipo il luogo che per legge l�amministrazione dovr� considerare come 
luogo di notifica, con conseguente possibilit� per lui di predisporsi all�eventuale 
ricezione di atti d�imposizione tributaria proprio in quel luogo. Inoltre, 
nel descritto regime del domicilio fiscale � lasciato uno spazio all�esplicazione 
del principio del maggior grado di conoscibilit� del contribuente. Invero, al 
quarto comma del citato art. 58, � data rilevanza alla comunicazione del contribuente 
all�Erario (<< In tutti gli atti, contratti, denunzie e dichiarazioni che 
vengono presentati agli uffici finanziari deve essere indicato il comune di domicilio 
fiscale delle parti, con la precisazione dell'indirizzo >>) e, al quinto 
comma del medesimo art. 58, � prevista l�efficacia immediata della variazione 
dell�indirizzo comunicata dal contribuente, per effetto dell�intervento della 
Corte costituzionale, come non ha mancato di ricordare anche la Corte di cassazione 
nella sentenza n. 6114. 
In secondo luogo, dalla presunzione legale di domicilio fiscale discende 
un vero e proprio onere per il contribuente di tener conto che l�amministrazione 
fiscale potrebbe notificarvi gli atti d�imposizione tributaria, sicch�, se 
egli non vi viene reperito per causa non temporanea, non potendosi applicare 
l�art. 143 cpc, perch� esso ha per presupposto l�ignoranza incolpevole del domicilio 
del destinatario, l�art. 60, comma 1, lett. e), DPR 29 settembre 1973, 
n. 600, richiama il procedimento dell�art. 140 cpc, che � stato strutturato per 
l�ipotesi in cui si conosca in anticipo, prima della notifica, quale sia il luogo
110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
ove � reperibile il destinatario. S�introduce, per�, un triplice correttivo che assimila 
il procedimento a quello previsto nell�art. 143 cpc: l�affissione dell�avviso 
di deposito, all�albo del comune anzich� alla porta dell�abitazione o 
dell�ufficio o dell�azienda, la mancanza di necessit� di dare notizia del deposito 
con raccomandata e, infine, la decorrenza pi� breve (otto giorni anzich� venti) 
per il perfezionamento della notifica dall�affissione dell�avviso. Cos�, al contribuente 
che risulti durevolmente irreperibile nel domicilio fiscale, o in quello 
eletto, si applica soltanto quella fase procedimentale ex art. 140 cpc che non 
sia resa inutile dall�accertata - e inaspettata - natura durevole dell�irreperibilit�, 
cio�, l�affissione dell�avviso. 
Si pu�, allora, sostenere che non sussiste contrasto all�interno della giurisprudenza 
della Corte, la quale non avrebbe fatto altro che evidenziare un 
calibrato bilanciamento degli interessi in gioco, previsto dal legislatore e attuato 
nei limiti della sua discrezionalit�. 
Il differente bilanciamento risponderebbe anche al criterio della ragionevolezza. 
Infatti, la disposizione normativa in tema di notifica a soggetto durevolmente 
irreperibile, che � derogatoria rispetto al sistema generale 
processualcivilistico (art. 140 cpc), che pur vi � richiamato, non si pone realmente 
in contrasto, all�interno del subsistema tributario, col principio della 
maggiore conoscibilit� possibile da parte del contribuente. L�apparente favore 
per il Fisco, rispetto al regime ordinario ex art. 140 cpc, � giustificato dal 
fatto che il contribuente destinatario dell�atto impositivo risulta irreperibile - 
non temporaneamente - nel luogo che ex ante, cio� anteriormente all�effettuazione 
del procedimento di notifica, assicuri il massimo grado possibile di conoscibilit� 
in funzione del luogo, cio� nel domicilio eletto, qualora dal 
contribuente sia esercitata la facolt� di elezione di domicilio, o nel domicilio 
fiscale, ove, al contrario, la facolt� non sia stata esercitata. Se, in quei luoghi, 
il contribuente risulti durevolmente irreperibile (ad esempio, perch� trasferitosi 
in luogo sconosciuto), in ragione dell�interesse pubblico erariale all�effettiva 
riscossione dei tributi � giustificabile un procedimento di notifica accelerato 
e semplificato, ma pur sempre pi� complesso di quello previsto dall�art. 143 
cpc (obbligatoriet� dell�avviso di deposito), in conformit� tendenziale al principio 
previsto nell�art. 6, comma 1, primo periodo, dello Statuto del contribuente. 
Il diverso trattamento del contribuente temporaneamente irreperibile, per 
il quale la notifica si perfeziona col decorso del termine di dieci giorni dalla 
spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento, rispetto al contribuente 
non temporaneamente irreperibile, per il quale la notifica si perfeziona 
soltanto una volta decorso il termine di otto giorni dall�affissione dell�avviso 
all�albo comunale, senza invio di raccomandata, � commisurato proporzionalmente 
alla diversa realt� fattuale delle due ipotesi, tenuto conto che � contrastante 
col principio di buon andamento dell�amministrazione la reiterazione
CONTENZIOSO NAZIONALE 111 
del tentativo di contatto mediante spedizione di raccomandata nel luogo del 
domicilio fiscale, ove il contribuente non si � fatto trovare, e cos�, a maggior 
ragione, nel domicilio eletto, cio� nel luogo dove egli stesso ha scelto liberamente 
di fissare la sua reperibilit�. 
Cassazione civile, Sez. V, sentenza 16 marzo 2011, n. 6102 (Pres. M. Adamo, Rel. ed est. 
R. Polichetti, P.M. E.A. Sepe (difforme)). 
(Omissis) 
Svolgimento del processo - Motivi della decisione 
(...) con i due motivi formulati, con i quali denunciano rispettivamente "violazione dell�art. 
140 c.p.c. e art. 48 disp. att." e "falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 in combinato 
disposto ex art. 137 c.p.c.", nonch� vizio di motivazione, i ricorrenti assumono che, ai 
sensi del citato art. 140, per il perfezionamento della notificazione occorre che siano adempiute 
tutte e tre le formalit� previste dalla norma (deposito dell'atto nella casa comunale, affissione 
dell'avviso del deposito e spedizione della raccomandata); (... ) il ricorso (...) � manifestamente 
infondato e va, pertanto, rigettato; (...) infatti, premesso che il vizio di motivazione non pu� 
costituire oggetto di ricorso per cassazione quando riguarda l'applicazione di principi giuridici 
(da ult., Cass., sez. un., n. 21712 del 2004), secondo la costante giurisprudenza di questa Corte 
- dalla quale il Collegio non ha motivo di discostarsi -, la notificazione dell'avviso di accertamento 
al contribuente D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 60, comma 1, lett. e), il quale 
deroga, in materia, all�art. 140 c.p.c., � ritualmente effettuata quando nel comune nel quale 
deve eseguirsi non v'� abitazione, ufficio o azienda del contribuente, mediante l'affissione 
dell'avviso del deposito prescritto dal citato art. 140 nell'albo comunale, senza necessit� di 
spedizione mediante raccomandata, e la notificazione stessa si ha per eseguita nell'ottavo 
giorno successivo a quello di affissione, senza, peraltro, che ci� dia adito a dubbi di legittimit� 
costituzionale (cfr. Cass. nn. 8363 del 1993, 7120 e 9922 del 2003, 7773 del 2006). 
P.Q.M. 
La Corte rigetta il ricorso; nulla spese. 
Cassazione civile, Sez. V, sentenza 16 marzo 2011, n. 6114 (Pres. M. D�Alonzo, Rel. ed est. 
F. Terrusi, P.M. P.P.M. Ciccolo (conforme)). 
(Omissis) 
Svolgimento del processo 
La S. impugn�, con ricorso 9.10.2002, una cartella di pagamento per interessi su maggiore 
Irpef relativa all'anno 1994, emessa dalla banca Monte dei Paschi di Siena quale concessionaria 
del servizio riscossione tributi per la provincia di Roma. Ne chiese l'annullamento sul 
rilievo di non aver mai ricevuto il propedeutico avviso di accertamento. 
Al ricorso resistette l'agenzia delle entrate di Roma, che alleg�, invece, che l'avviso era stato 
regolarmente notificato. 
La commissione tributaria provinciale accolse l'impugnazione. La sentenza - gravata da appello 
- fu riformata in sede regionale. Il giudice di appello osserv� che vi era stata elezione di 
domicilio della contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. d), ma 
ritenne che ci� non avesse inciso sulla ritualit� della notificazione dell'avviso di accertamento
112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
cos� come in concreto eseguita, presso il domicilio fiscale, ai sensi dell�art. 140 c.p.c. Sostenne 
che, in difetto di disposizioni sanzionatorie per il caso di eseguita noti-fica in luogo diverso 
da quello eletto, dovevano dirsi applicabili le regole contenute nell�art. 141 c.p.c. in tema di 
notificazione presso il domiciliatario. Dal criterio generale che vuole tale forma di notificazione 
solo facoltativa, e come tale alternativa alle correnti modalit� di cui agli artt. 138 e seg. 
c.p.c., era da ricavarsi la ritualit� della notifica, non eseguita, nella specie, presso il domicilio 
eletto, sebbene ai sensi dell�art. 140 c.p.c. al domicilio fiscale della contribuente. 
(...) Ricorre per cassazione la S. (...)
Motivi della decisione 
(...) 3. - In ordine al primo motivo va osservato che la commissione regionale ha dato atto 
dell'avvenuta elezione di domicilio del contribuente secondo la previsione di cui al D.P.R. n. 
600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. d), presso lo studio di un commercialista posto nel comune 
del domicilio fiscale. Ha poi motivato la ritenuta validit� della notifica dell'avviso di accertamento, 
di contro eseguita ai sensi dell�art. 140 c.p.c. nel domicilio anagrafico fiscale di 
cui all'art. 58 del medesimo d.p.r., sul rilievo della facoltativit� (e quindi dell'alternativit�) 
della forma di notificazione presso il domiciliatario rispetto ai modi ordinari stabiliti dagli 
artt. 138 e seg. in tal senso ha tratto argomento dall�art. 141 c.p.c., comma 1, la cui applicabilit� 
per la notifica degli atti tributari ha osservato non essere esclusa dal D.P.R. n. 600 del 1973, 
art. 60, lett. f). Difatti l�art. 141 c.p.c. considera obbligatoria la prevista forma di notificazione 
presso il domiciliatario solo quando l'elezione di domicilio risulti inserita in un contratto 
(comma 2). 
Viceversa la ricorrente sostiene che, una volta che il contribuente abbia esercitato la facolt� 
di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. d), e il domicilio eletto si trovi nell'ambito del 
medesimo comune di domicilio fiscale, la notificazione degli atti impositivi dovrebbe necessariamente 
essere eseguita dall'amministrazione finanziaria presso il domicilio eletto, rimanendo 
la possibilit� di notifica ex art. 140 c.p.c relegata al solo caso in cui le relative condizioni 
si realizzino con riguardo a questo. 
A giudizio della Corte questa proposizione, con le precisazioni che seguono, va condivisa. 
4. - Necessaria premessa del discorso � che, in ambito tributario, la funzione propria della notificazione 
- di dirigerne l'oggetto verso il destinatario e di metterglielo a disposizione in modo 
da provocarne la presa di conoscenza - �, stante l'effetto che ne discende in rapporto all'atto 
contenente una pretesa impositiva, amplificata nel segno della maggiore garanzia di conoscenza 
effettiva. Tanto � da affermare in ragione del principio generale dettato dall'art. 6 dello 
statuto del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212), a tenore del quale l'amministrazione finanziaria 
deve, in linea generale, assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente 
degli atti a lui destinati. 
Siffatto principio partecipa dei canoni di collaborazione, cooperazione e buona fede in cui 
trova esplicitazione l'intera logica sottesa allo statuto, cui, in sede di interpretazione [adeguatrice 
allo statuto del contribuente], il giudice deve fare riferimento al fine di risolvere eventuali 
dubbi ermeneutici nel senso pi� consono ai principi dallo stesso espressi (cfr. Cass. 
2005/9407), e in forza del quale l'amministrazione deve comportarsi sempre con lealt� e chiarezza, 
(guidando e) facilitando l'adempimento dei doveri da parte dei privati. Alla luce della 
delineata premessa, questa Corte ha gi� del resto affermato che, prima che il contribuente 
abbia conoscenza degli atti che incidono sulla sua posizione debitoria o creditoria nei confronti 
del fisco, gli atti stessi non possono produrre effetti (cfr. Cass. 2001/4760 e soprattutto, con 
riguardo alla sanatoria dei possibili vizi della notificazione e ai suoi effetti, Cass. sez. un.
CONTENZIOSO NAZIONALE 113 
2004/19854). Ora, � vero che, con la locuzione "effettiva conoscenza", il legislatore non ha 
inteso garantire al contribuente l'assoluta certezza della conoscenza, avendo la disciplina della 
notificazione da sempre legato a essa la conoscibilit� legale, cos� come palesato, nello specifico, 
dalla previsione di chiusura del citato art. 6, comma 1, secondo cui "restano ferme le disposizioni 
in materia di notifica degli atti tributari". E tuttavia resta inteso che - come 
esattamente osservato in dottrina - non coglierebbe il significato della previsione concludere 
che essa, facendo salve le disposizioni sulla notificazione, si riferisce esclusivamente agli atti 
per i quali il legislatore non prevede il procedimento notificatorio sebbene una mera comunicazione, 
in sostanza, la corretta esegesi dell'art. 6, comma 1 resta nel senso che esso intende 
assicurare l'effettiva conoscenza di tutti gli atti destinati al contribuente, ancorch� restino 
ferme le disposizioni in materia di notifica. 
Tale voluta solennit� equivale a dire che lo statuto ha inteso affermare che a tutti gli atti dell'amministrazione 
destinati al contribuente (finanche, quindi, a quelli notificati) deve essere 
garantito un grado di conoscibilit� il pi� elevato possibile. 
Ampia traccia di simile lettura si rinviene, d'altronde, nella sentenza con cui la Corte costituzionale 
ha dichiarato illegittimo il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, u.c., nella parte 
in cui prevedeva che le variazioni e le modificazioni dell'indirizzo del contribuente, non risultanti 
dalla dichiarazione annuale, avessero effetto, ai fini delle notificazioni, dal sessantesimo 
giorno successivo a quello della avvenuta variazione anagrafica, il cui essenziale periodo 
motivante � nel riconoscimento che "un limite inderogabile alla discrezionalit� del legislatore 
nella disciplina delle notificazioni � rappresentato dall'esigenza di garantire al notificatario 
l'effettiva possibilit� di una tempestiva conoscenza dell'atto notificato e, quindi, l'esercizio 
del suo diritto di difesa (cos� C. cost. 2003/360). 
5. - Alla luce dei superiori principi � da ritenere che, laddove vi sia stata, da parte del contribuente, 
una valida elezione di domicilio, nel comune di domicilio fiscale, stante la precipua 
funzione della elezione detta in rapporto alla ricezione degli atti tributari, non residua, per 
l'amministrazione, altra possibilit� in sede di notificazione all'indirizzo del dichiarante. 
Dall'inciso di apertura del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, si desume, invero, che la struttura 
portante della notificazione degli atti tributari � s� retta dalle norme stabilite dagli artt. 137 e 
seg. c.p.c., ma cos� come nello specifico integrate e modificate dai successivi incisi, e quindi 
anche merc� la prevista facolt� del contribuente di eleggere domicilio presso una persona o 
un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale in vista della "notificazione degli atti o 
degli avvisi che lo riguardano". 
N� a diversa conclusione si giunge volendosi mantenere il parallelismo con l�art. 141 c.p.c. 
Essendo alla notifica dei mentovati atti o avvisi correlato l'avvio della fase dinamica, preordinata 
all'attuazione del rapporto obbligatorio d'imposta, � in questo senso agevole cogliere 
la similitudine con la ratio che sottende l'obbligatoriet� della notifica ex art. 141 c.p.c., comma 
2, di garantire la conoscenza effettiva del contraente con riguardo alle pretese inerenti alle 
obbligazioni nascenti dal contratto. Nel senso che detta ratio non differisce da quella che caratterizza 
la comunicazione di elezione di domicilio in materia fiscale, da parte del contribuente 
che intenda ivi ricevere la notificazione degli atti o degli avvisi in cui si esprime la 
pretesa tributaria a seguito dell'asserito verificarsi della fattispecie prevista dalla norma impositiva. 
Mentre, diversamente opinando, della previsione speciale D.P.R. n. 600 del 1973, 
ex art. 60, comma 1, lett. d), andrebbe ritenuta la sostanziale inutilit�, ove all'amministrazione 
fosse poi consentito di non tenere in alcun conto il fatto, dal contribuente debitamente comunicato, 
dell'avvenuta elezione di un ben determinato luogo di ricezione degli atti e/o degli av-
114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
visi, pur sempre compreso nel comune di domicilio fiscale. 
6. - Nel caso di specie, va dunque ritenuta, in accoglimento del primo motivo, la nullit� della 
notificazione dell'atto impositivo presupposto, siccome eseguita, ex art. 140 c.p.c., in luogo 
diverso dal domicilio eletto agli specifici fini, giacch� la procedura di notifica, di cui al ridetto 
art. 140, adottata per l'avviso di accertamento, � stata utilizzata senza che ne ricorressero le 
condizioni. La nullit� della notifica dell'atto impositivo comporta l'invalidit� derivata degli 
atti conseguenti, e cio�, per quanto qui rileva, della cartella esattoriale. Invero per ormai consolidata 
giurisprudenza (cfr. sez. un. 2007/6412) l'invalidit� dell'atto impositivo pu� essere 
dedotta, sia come vizio proprio di tale atto, sia come vizio del procedimento, dal quale deriva 
l'invalidit� degli atti successivi, nell'ambito dell'impugnazione di questi ultimi (v. anche Cass. 
2009/20098). 
La Corte deve, quindi, enunciare il seguente principio di diritto: 
"in caso di elezione di domicilio da parte del contribuente, nel comune di domicilio fiscale, 
ai fini della notificazione degli atti e degli avvisi che lo riguardano, ai sensi del D.P.R. n. 600 
del 1973, art. 60, comma 1, lett. d), la notificazione al domicilio eletto �, per l'amministrazione 
fiscale, obbligatoria; pertanto � invalida la notificazione dell'atto impositivo eseguita in luogo 
diverso dal domicilio eletto ai sensi dell�art. 140 c.p.c�. 
L'accoglimento del primo motivo del ricorso assorbe il secondo e comporta la cassazione 
della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell'esercizio 
del potere di decisione nel merito di cui all�art. 384 c.p.c., comma 1, accoglie altres� 
il ricorso originariamente proposto dalla S. avverso la cartella di pagamento. 
La mancanza di precedenti giurisprudenziali sullo specifico profilo di diritto sopra esaminato 
giustifica la compensazione integrale delle spese processuali. 
P.Q.M. 
La Corte accoglie il primo motivo; dichiara assorbito il secondo. 
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso avverso la cartella. 
Compensa le spese.
CONTENZIOSO NAZIONALE 115 
Orientamenti giurisprudenziali in tema di efficiacia delle 
sentenze ecclesiastiche: verso una maggior pervasivit� del 
controllo operato dal giudice italiano 
(Nota a Cassazione civ., Sez. I , sentenza 20 gennaio 2011 n. 1343) 
Alessandra Bruni* 
Niccol� Guasconi** 
SOMMARIO: 1. Il rilievo del matrimonio come rapporto tra disciplina civilistica e canonistica 
- 2. I rapporti tra Stato e Chiesa in tema di delibabilit� delle sentenze ecclesiastiche: 
da controllo meramente formale ad un vaglio anche di sostanza - 3. Il controllo sostanziale 
nell'evoluzione della giurisprudenza della Cassazione: la giurisdizione italiana e il divenire 
del limite di ordine pubblico - 4. Conclusioni. 
1. Il rilievo del matrimonio come rapporto tra disciplina civilistica e canonistica
Con la sentenza 20 gennaio 2011, n. 1343, la Corte di Cassazione torna 
ad occuparsi della clausola di ordine pubblico come limite alla delibabilit� 
delle sentenze ecclesiastiche di nullit� matrimoniale, con una pronuncia di 
particolare rilievo, la quale sembra poter essere foriera di sviluppi impensabili 
solo fino a qualche anno fa. 
Il giudizio prende le mosse dalla decisione di un marito di adire la giurisdizione 
ecclesiastica per sentir dichiarare la nullit� del proprio matrimonio 
in ragione della decisione della moglie, asseritamente anteriore alla contrazione 
del matrimonio, di non avere figli. La statuizione in commento definisce 
la controversia con l'accoglimento del ricorso presentato dalla moglie avverso 
la sentenza con cui la Corte di Appello di Venezia, in sede di giudizio di rinvio, 
aveva dichiarato l'esecutivit� della sentenza ecclesiastica di nullit� matrimoniale. 
Il quesito di diritto su cui la Suprema Corte � stata chiamata a pronunciarsi 
era formulato nei termini che seguono: �Se possa essere riconosciuta 
nello Stato italiano la sentenza ecclesiastica che dichiara la nullit� del matrimonio, 
quando i coniugi abbiano convissuto come tali per oltre un anno, 
nella fattispecie per vent'anni, e se detta sentenza produca effetti contrari all'ordine 
pubblico, per contrasto con gli artt. 123 c.c. e 29 Cost.� 
La questione investe apertamente la vexata quaestio della rilevanza della 
convivenza coniugale ai fini della delibabilit� e comporta un considerevole 
scostamento dalla pronuncia a Sezioni Unite del 1988, n. 4700, che era giunta 
a riconoscere la configurabilit� della delibazione della sentenza ecclesiastica 
di nullit� matrimoniale anche quando la relativa azione fosse stata proposta 
(*) Avvocato dello Stato. 
(**) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato.
116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
dopo che tra le parti si era protratta la convivenza successivamente alla celebrazione 
del matrimonio invalido. Il revirement si basa sulla considerazione 
che nell'ordine pubblico italiano il matrimonio � rapporto ha un'incidenza rilevante 
e meritevole di tutela in virt� dei principi emergenti dalla Costituzione 
e dalla disciplina codicistica dopo la riforma del 1975 (il riferimento � in particolare 
agli artt. 120 cpv., 121 comma 3 e 123 cpv. c.c.). Pertanto, una volta 
che il rapporto matrimoniale prosegue nel tempo, � contrario ai principi di "ordine 
pubblico" rimetterlo in discussione adducendo riserve mentali, o vizi del 
consenso, verificatisi nel momento delle nozze. 
In conclusione, � reputato principio di ordine pubblico la tutela del rapporto 
coniugale dopo la celebrazione, radicato sulla condivisa convivenza dei 
coniugi, i quali pur potendo impugnare la nullit� del matrimonio secondo le 
norme del codice civile, preferiscono mantenere e continuare il loro rapporto 
matrimoniale, nato con la celebrazione non impugnata e convalidato dalla volont� 
di proseguire la vita matrimoniale, che, nel caso di specie, si era protratta 
per oltre venti anni. 
Del resto, seguendo il medesimo principio, la disciplina codicistica della 
simulazione matrimoniale riconosce efficacia invalidante soltanto alla simulazione 
totale intesa come esclusione (bilaterale) di ogni comunione materiale 
e spirituale tra i coniugi. Le parti, dunque, decadono dall'azione nel caso in 
cui, malgrado la iniziale volont� contraria, la comunione tra loro si sia realizzata 
nei fatti con la convivenza come coniugi. 
La ratio sottesa alla previsione � sempre la salvaguardia del matrimonio 
come rapporto e, conseguentemente, della certezza dello status coniugale: non 
cos� nel diritto canonico in cui, in ragione della centralit� assunta dalla purezza 
del consenso, la nullit� del matrimonio (per simulazione anche unilaterale) 
pu� essere sempre fatta valere, anche dopo molti anni di convivenza ed in presenza 
di stabile comunione di vita. 
In altri termini, mentre nel diritto canonico, in considerazione del carattere 
essenzialmente sacramentale del matrimonio, � attribuita precipua rilevanza 
ad un consenso cristallino d'ambo le parti, la disciplina civilistica assume come 
principio inderogabile la tutela della buona fede e dell�affidamento del coniuge 
incolpevole nei casi in cui il coniuge autore della riserva non avesse esternato 
all�altro la sua intenzione. 
Risulta quindi evidente che la pronuncia qui in commento � destinata ad 
incidere su due binari, tra loro sempre pi� strettamente connessi: i rapporti tra 
Stato e Chiesa nell'ambito delle rispettive giurisdizioni e la considerazione del 
rapporto matrimoniale che si sta progressivamente affermando nella giurisprudenza 
italiana.
CONTENZIOSO NAZIONALE 117 
2. I rapporti tra Stato e Chiesa in tema di delibabilit� delle sentenze ecclesiastiche: 
da controllo meramente formale ad un vaglio anche di sostanza 
La qualificazione dell�ordinamento italiano in materia religiosa � desumibile 
dalle norme costituzionali e parte dal presupposto che nel nostro sistema 
le relazioni ecclesiastiche si sono volute conciliare con la tradizione di rispetto 
della libert� religiosa, quale maturata dalla esperienza separatista, con un sistema 
articolato, improntato al contrattualismo, e che prevede attualmente i 
Patti Lateranensi, che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, e le Intese, 
che disciplinano i rapporti con i culti non cattolici. La conciliazione tra 
contrattualismo e libert� religiosa ha portato a qualificare il nostro Stato come 
laico.
L�art. 8 della Costituzione, affermando che �tutte le confessioni sono 
egualmente libere di fronte alla legge�, esclude cos� che lo Stato sia in qualche 
modo portato a favorire l�espansionismo di una confessione rispetto ad un'altra. 
La libert� religiosa viene dunque intesa sia come tutela dalla discriminazione 
per motivi religiosi che come libert� di non professare alcuna religione. 
La Corte costituzionale con la pronuncia n. 203 del 1989, definisce la laicit� 
come di uno dei principi supremi dell�ordinamento costituzionale, e l'orientamento 
in parola � ribadito anche dalla sentenza del 1990 n. 259. Il principio 
di laicit� non si traduce in indifferenza, ma implica garanzia dello Stato per la 
salvaguardia della libert� di religione nell'ambito di un regime di pluralismo 
confessionale e culturale. Il Protocollo addizionale alla legge 25 marzo 1985, 
n. 121, di ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la 
Santa Sede esordisce, in riferimento all'art. 1, prescrivendo che �Si considera 
non pi� in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, 
della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano�, con 
chiara allusione all'art. 1 del Trattato del 1929 che stabiliva: �L'Italia riconosce 
e riafferma il principio consacrato nell'art. 1 dello Statuto del Regno del 4 
marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana � la sola religione 
dello Stato�. La scelta confessionale dello Statuto albertino, ribadita 
nel Trattato lateranense del 1929, viene cos� anche formalmente abbandonata 
nel Protocollo addizionale all'Accordo del 1985, riaffermandosi anche in un 
rapporto bilaterale la qualit� di Stato laico della Repubblica italiana. 
Ci� premesso, � evidente che ordinamento canonico ed ordinamento statuale 
sono due ambiti che possono rimanere reciprocamente impermeabili, ma 
che, in virt� del procedimento di delibazione - riconoscimento - delle sentenze 
canoniche di nullit� matrimoniale, si incontrano con importanti conseguenze 
in sede civilistica. Il codice civile, infatti, prevede e regola la patologia del 
matrimonio anche al di fuori dei percorsi pi� noti di separazione e divorzio 
(si vedano in proposto gli articoli dall�84 all�88 c.c. e dal 119 al 123 c.c.) e le 
conseguenze pratiche di un vincolo annullato o accertato come nullo avranno 
valore comunque, che a pronunciarsi sia stato un tribunale statale oppure ec-
118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
clesiastico (purch�, in quest'ultimo caso, sia seguita la delibazione). Resta da 
precisare, tuttavia, che nel rapporto tra lo Stato Italiano e la Chiesa, a differenza 
che tra lo Stato Italiano ed altri Stati stranieri, la reciprocit� � univoca. 
Invero lo Stato riconosce le sentenze ecclesiastiche di nullit� del matrimonio 
trascritto, ma la Chiesa non riconosce le sentenze di nullit� di tale negozio 
pronunciate dal giudice statale. Nell�ordinamento canonico, infatti, vige ancora 
il principio affermato dal Concilio di Trento del XVI sec., secondo il quale, 
data la natura sacramentale del matrimonio tra battezzati, la nullit� di detto 
vincolo � pronunciabile solo dal giudice ecclesiastico. 
Alla luce del rapporto tra i due ordinamenti, ben si comprende come lo 
stesso abbia avuto significative ricadute sul meccanismo di delibazione. Il procedimento, 
finalizzato a recepire le sentenze ecclesiastiche di nullit� matrimoniale 
nell'ordinamento italiano, risale al Concordato lateranense del 1929 
(l. 27 maggio 1929, n. 810), nel cui alveo � stata per la prima volta riconosciuta 
la validit� ai fini civili (previa trascrizione) del matrimonio canonico. All'epoca, 
i tribunali ecclesiastici avevano competenza esclusiva in materia di 
nullit� matrimoniale e le Corti d'Appello, in sede di delibazione, procedevano 
ad un controllo meramente formale. Nel 1984 seguiva, poi, la revisione del 
Concordato con l'Accordo di Villa Madama (l. 25 marzo 1985, n. 121) in virt� 
del quale veniva previsto, tra l'altro, un esame non pi� meramente formale ma 
sostanziale da parte del giudice italiano, analogo a quello che all'epoca era 
previsto per la delibazione delle sentenze straniere. Tale disciplina, peraltro, 
non � stata alterata dalla legge n. 218 del 31 maggio 1995, secondo cui la necessit� 
del giudizio di delibazione per le sentenze straniere veniva superata 
dal principio del riconoscimento automatico. Questo meccanismo, infatti, veniva 
considerato non applicabile per le sentenze ecclesiastiche, il cui iter di 
recepimento nell'ordinamento italiano era stato previsto da una fonte atipica, 
munita di copertura costituzionale, e, come tale, di rango superiore rispetto ad 
una legge ordinaria. 
E' dunque con la revisione concordataria del 1984 che si iniziano a porre 
le basi per un controllo sostanziale e pi� pervasivo da parte del giudice della 
delibazione. Tuttavia, lo sviluppo in parola non potrebbe essere colto appieno 
nelle sue motivazioni e future evoluzioni senza considerare il ruolo essenziale 
giocato dalla Consulta, che gi� nel 1982 aveva affermato due principi cardine 
in materia, ritenendo che la sentenza ecclesiastica di nullit� matrimoniale pu� 
esser dichiarata esecutiva dalla Corte di Appello solo se: (a) garantisca il diritto 
alla difesa e (b) non contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico 
italiano (Corte cost., sent. 2 febbraio 1982, n. 18). Nella sentenza additiva 
emerge chiaramente la rilevanza costituzionale dei principi ivi affermati, i 
quali il giudice italiano, nell'ordinario giudizio di delibazione ex art. 797 c.p.c., 
� tenuto a soddisfare prima di dare ingresso nell'ordinamento a sentenze 
emesse da organi giurisdizionali ad esso estranei. In altri termini, sulle Corti
CONTENZIOSO NAZIONALE 119 
d'Appello incombe l'onere di controllare che nel procedimento ecclesiastico 
siano stati rispettati gli elementi essenziali del diritto di agire e resistere in difesa 
dei propri diritti, e garantita la tutela dell'ordine pubblico italiano, onde 
impedire l'attuazione nell'ordinamento delle disposizioni contenute nella sentenza 
medesima che siano ad esso contrarie. Entrambe le esigenze si ricollegano 
a principi ascrivibili nel novero dei principi supremi dell'ordinamento 
costituzionale e pertanto ad essi non possono opporre resistenza le norme denunciate, 
pur assistite da copertura costituzionale, nella parte in cui si pongono 
in contrasto con i principi medesimi (illegittimit� costituzionale parziale dell'art. 
1 della l. 810/1929, nella parte in cui d� esecuzione all'art. 34, del Concordato, 
comma sesto, dell'11 febbraio 1929, e dell'art. 17, comma 2, della l. 
27 maggio 1929, n. 847, nella parte in cui tali norme non prevedono che alla 
Corte d'appello, all'atto di rendere esecutiva la sentenza ecclesiastica dichiarativa 
della nullit� di matrimonio canonico trascritto agli effetti civili, spetta 
accertare che nel procedimento innanzi ai tribunali ecclesiastici sia stato assicurato 
alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio a difesa dei propri diritti, 
e che la sentenza medesima non contenga disposizioni contrarie all'ordine 
pubblico italiano). Del resto, il diritto alla tutela giurisdizionale sancito dall'art. 
24 Cost., oltre ad essere qualificabile come diritto inviolabile dell'uomo, � da 
ascrivere, nel suo nucleo pi� ristretto ed essenziale, fra i princ�pi supremi dell'ordinamento 
italiano, perch� � connesso con lo stesso principio di democrazia 
assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio 
rispettosi dei principi costituzionali. Allo stesso modo l'inderogabile tutela dell'ordine 
pubblico, e cio� delle regole fondamentali poste dalla Costituzione e 
dalle leggi a base degli istituti giuridici in cui si articola l'ordinamento positivo 
nel suo perenne adeguarsi all'evoluzione della societ�, � imposta soprattutto a 
presidio della sovranit� dello Stato, quale affermata nel comma secondo dell'art. 
1, e ribadita nel comma primo dell'art. 7 Cost. 
3. Il controllo sostanziale nell'evoluzione della giurisprudenza della Cassazione: 
la giurisdizione italiana e il divenire del limite di ordine pubblico 
La strada aperta nei termini poc'anzi riferiti dalle sentenze della Corte costituzionale 
� stata nell'ultimo trentennio ampiamente esplorata dalla Cassazione 
nel tentativo di estendere l'incidenza del giudizio di delibabilit�, fino a 
giungere a configurazioni del rapporto coniugale anche profondamente diverse 
da quelle fatte proprie dal diritto canonico. 
Ripercorrendo l'evoluzione storica della giurisprudenza di legittimit� in 
materia, possono individuarsi tre periodi di particolare interesse. 
Un primo periodo, che va dall'entrata in vigore della Costituzione fino 
agli accordi di villa Madama del 1984, caratterizzato dalle profonde ed incisive 
modifiche del contesto sociale, culturale, economico, mette in luce l'applicazione 
dei principi costituzionali e la ferma volont� di limitare gli effetti dei
120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Patti Lateranensi di fronte alla nuova legislazione (diritto di famiglia e divorzio), 
mantenendo in vita gli obblighi e i rapporti verso i soggetti pi� deboli 
della famiglia, nonostante l'annullamento del matrimonio religioso. 
Un secondo periodo, che va dall'entrata in vigore del nuovo Concordato 
alla fine del secolo scorso, caratterizzato da un clima politico profondamente 
modificato. Di fronte al nuovo testo, dai pi� ritenuto volutamente ambiguo, si 
evidenziano ripensamenti e perplessit�, tra chi considera ormai perduta la riserva 
di giurisdizione a favore del matrimonio canonico e chi si adopera a favore 
di una ritrovata riserva di giurisdizione. 
Il terzo � quello attuale, nel quale, lentamente, emerge una giurisprudenza 
della Cassazione costituzionalmente orientata che, in forza della clausola dell'ordine 
pubblico, rivaluta il rapporto matrimoniale. In quest'ultimo ambito si 
colloca a pieno titolo la sentenza 1343/2011, che rappresenta l'approdo di un 
percorso lento ma inesorabile. 
Dall�esame dell�iter giurisprudenziale riferibile alla tripartizione temporale 
sopra richiamata emergono alcune pronunce significative, incidenti su 
aspetti specifici e nel complesso volte ad ampliare i confini del giudizio di delibazione. 
Di estremo interesse � la pronuncia delle Sezioni Unite, n. 1824 del 1993 
in tema di giurisdizione. 
Nella fattispecie, la ricorrente adiva il giudice di legittimit� al fine di ottenere 
la dichiarazione della sussistenza della riserva di giurisdizione in capo 
ai tribunali ecclesiastici in materia di annullamento matrimoniale; pi� precisamente 
la questione prospettata dalla ricorrente si sostanziava nello stabilire �se, 
nell'Accordo di revisione del Concordato lateranense stipulato il 18 febbraio 
1984, sia stata conservata la riserva di giurisdizione esclusiva dei tribunali 
ecclesiastici nelle cause di nullit� del matrimonio contratto da cittadini italiani 
secondo il rito canonico�. 
La Corte, dopo un confronto tra vecchia e nuova normativa con riferimento 
all�accordo di revisione del 1984, specifica che quest'ultimo parte da 
volont� contrattuali differenti rispetto a quelle che hanno caratterizzato il Concordato 
del 1929. Mentre nell'accordo previgente l'automatismo della delibazione 
era riconnesso all'esclusivit� della giurisdizione ecclesiastica in materia 
di nullit� matrimoniale, nel nuovo testo si � espressamente tenuto conto "del 
processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi 
decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa del Concilio Vaticano II", 
"avendo presenti, da parte della Repubblica italiana, i principi sanciti dalla 
sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio 
ecumenico Vaticano II circa la libert� religiosa e i rapporti fra la Chiesa e la 
comunit� politica, nonch� la nuova codificazione del diritto canonico"; e si � 
affermato, in armonia con l'art. 7 Cost., che Stato e Chiesa sono, ciascuno nel 
proprio ordine, indipendenti e sovrani (art. 1). E' vero che lo Stato riconosce
CONTENZIOSO NAZIONALE 121 
alla Chiesa l'esercizio della giurisdizione in materia ecclesiastica (art. 2 n. 1) e 
attribuisce effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico 
(art. 8 n. 2), ma nell'Accordo del 1984 non si rinviene una disposizione 
che sancisca il carattere esclusivo della giurisdizione ecclesiastica in materia 
matrimoniale, qual era contenuta nell'art. 34 del Concordato del 1929. 
Sul piano di assoluta parit� delle rispettive sfere di sovranit� assunto dalle 
Parti, l'Accordo di revisione non contiene alcuna disposizione dalla quale la 
giurisdizione in materia matrimoniale appaia come una prerogativa dell'ordinamento 
canonico (s� che la Chiesa debba consentire la giurisdizione statale 
in tema di separazione personale) e non come espressione di sovranit� riconosciuta 
concorrentemente a entrambi gli ordinamenti. N� in esso vi � alcun accenno 
alla sacramentalit� del matrimonio ed alla volont� dello Stato di 
uniformarsi alla tradizione cattolica, s� che il matrimonio canonico non viene 
pi� recepito come tale, nella sua sacramentalit�, e quello civile assume dignit� 
non inferiore a quello disciplinato dal diritto canonico. In questa nuova logica 
risulta chiaro il significato da attribuire all'art. 13 dell'Accordo, nella parte in 
cui stabilisce che �le disposizioni del Concordato (del 1929), non riprodotte 
nel nuovo testo, sono abrogate�, facendosi salvo soltanto quanto previsto dall'art. 
7, n. 6, non riguardante la materia matrimoniale. La norma vuol dire che 
il massimo del sacrificio dalle proprie prerogative, consentito da ciascuna Parte, 
� quello che risulta espressamente dall'Accordo, oltre al quale non � possibile 
ammetterne altri. Pertanto, poich� l'art. 8 n. 2 dell'Accordo di revisione riproduce, 
sia pure con rilevanti modificazioni, le disposizioni dell'art. 34 relative 
alla delibazione, ma non anche quella contenente la riserva di giurisdizione ai 
tribunali ecclesiastici delle cause concernenti la nullit� del matrimonio, quest'ultima 
disposizione � rimasta abrogata ai sensi dell'art. 13. 
Con il venir meno della riserva, anche i poteri del giudice italiano in sede 
di delibazione sono profondamente mutati, nel senso che come l'automatismo 
sancito dal Concordato del 1929, pur se man mano attenuato nella giurisprudenza, 
si raccordava al carattere esclusivo della giurisdizione ecclesiastica, cos� 
la nuova disciplina della delibazione, com'� ora impostata quale cerniera tra le 
due giurisdizioni e raccordo tra due concorrenti competenze, depone nel senso 
della negazione del carattere esclusivo della giurisdizione ecclesiastica nelle 
cause di nullit� del matrimonio. 
Venuta meno la riserva di giurisdizione in materia ecclesiastica la delibazione 
non � pi� automatica e la barriera al riconoscimento � legata alla incompatibilit� 
assoluta con l�ordinamento interno, sostanziatosi nel concetto di 
ordine pubblico, assoluto e relativo. 
In questo senso si deve richiamare la pronuncia delle Sezioni Unite n. 
19809 del 2008, che ha ritenuto non delibabili le sentenze ecclesiastiche di nullit� 
matrimoniale contraddistinte da incompatibilit� assoluta con l'ordine pubblico 
italiano, ritenendo viceversa possibile la delibazione in caso di
122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
incompatibilit� relativa. Pi� nel dettaglio, l'incompatibilit� con l'ordine pubblico 
interno delle sentenze di altri ordinamenti � "assoluta" allorch� i fatti a 
base della disciplina applicata nella pronuncia di cui � chiesta la esecutivit� e 
nelle statuizioni di questa, anche in rapporto alla causa petendi della domanda 
accolta, non sono in alcun modo assimilabili a quelli che in astratto potrebbero 
avere rilievo o effetti analoghi in Italia. L'incompatibilit� con l'ordine pubblico 
interno va qualificata invece "relativa", quando le statuizioni della sentenza ecclesiastica, 
eventualmente con la integrazione o il concorso di fatti emergenti 
dal riesame di essa ad opera del giudice della delibazione, pure se si tratti di 
circostanze ritenute irrilevanti per la decisione canonica, possano fare individuare 
una fattispecie almeno assimilabile a quelle interne con effetti simili. 
Solo le incompatibilit� assolute impediscono l'esecutivit� in Italia della sentenza 
ecclesiastica, potendosi, invece, superare quelle relative in ragione del 
peculiare rilievo che lo Stato italiano si � impegnato a riconoscere a tali pronunce. 
Non si tratta quindi di mere differenze di disciplina tra i due ordinamenti, 
ma del rilievo cogente della formazione e manifestazione del consenso per il 
nostro ordine pubblico interno, i cui vizi possono risultare solo da circostanze 
esterne e oggettive, potendo riconoscersi la efficacia in Italia della sentenza attuativa 
dell'ordinamento canonico, sempre che abbia deliberato in base a circostanze 
oggettive, e non solo per aver dato attuazione a valori che, per il 
sistema interno, sono metagiuridici, rispettabili e significativi per il foro interno 
e la coscienza personale, ma non assumibili come rilevanti per l'ordine pubblico 
italiano. 
Il caso concreto esaminato dalla Suprema Corte aveva ad oggetto una nascosta 
infedelt� prematrimoniale di uno dei coniugi, e se la stessa potesse incidere 
come errore sulla qualit� della persona ai fini di estendersi fino alla 
validit� del consenso prestato dall�altro coniuge. 
La decisione interessa, anche perch� evidenzia la differenza relativamente 
ai vizi del consenso tra diritto civile e diritto canonico. 
La disciplina civilistica dei vizi del consenso attinenti alla materia matrimoniale, 
troppo spesso ritenuta secondaria rispetto a quella canonistica, � pi� 
restrittiva. Nell'ordinamento italiano, infatti, la gamma dei vizi del consenso, 
per quanto ampliata dalla riforma del 1975, non comprende ogni possibile vizio 
della volont�, restandone esclusi la riserva mentale, il dolo e l'errore nei casi 
diversi da quelli espressamente previsti. Con particolare riferimento all'errore, 
la disciplina vigente contempla, accanto all'errore sull'identit�, l'errore, determinante 
e essenziale, su qualit� dell'altro coniuge, che integri una delle ipotesi 
elencate dall'art. 122, comma 3, c.c. In altre parole, l'errore si risolve in un vizio 
invalidante solo ove esso realizzi una situazione capace di inibire il rapporto 
coniugale, di modo che il vizio del matrimonio-atto si traduca in un vizio del 
matrimonio-rapporto, divenuto, in tal modo, inidoneo a perseguire i suoi fini. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 123 
4. Conclusioni 
Dal percorso giurisprudenziale sopra richiamato risulta evidente il continuum 
tra la sentenza 19809/2008 e la 1343/2011 nell'attribuire rilievo al matrimonio-
rapporto come limite di ordine pubblico in grado di rendere non 
delibabili sentenze ecclesiastiche di nullit�, i cui effetti ex tunc rischiano di 
incidere negativamente sulla certezza dello status coniugale, soprattutto 
quando vengano pronunciate dopo diversi anni di convivenza. In altre parole, 
la volont� di protrarre la convivenza quando si sarebbe potuto chiedere lo scioglimento 
ab origine del vincolo sana, ai fini civilistici, l'eventuale vizio del 
matrimonio-atto. Ne risulta una diversa configurazione del rapporto coniugale 
sotto l'aspetto civilistico e canonistico, espressione in una certa misura dell'indipendenza 
di due ordinamenti posti, anche in questa materia, in posizione 
paritaria, ciascuno dei quali tutela i valori che avverte come principi supremi 
e fondativi. 
Sotto un profilo puramente statistico, pu� essere utile evidenziare che 
sono molto rare le richieste di annullamento quando sia intercorso un lungo 
periodo di convivenza tra le parti, pertanto il clamore destato dalla pronuncia 
tra gli operatori del settore forse pu� essere ridimensionato. 
Da ultimo, pare opportuno porre in luce che la sentenza qui in commento 
costituisce altres� espressione della rilevanza del divenire dei principi di ordine 
pubblico in materia familiare nell'interpretazione giurisprudenziale. In questo 
senso i giudici civili si sono fatti portatori della evoluzione storico-sociale dei 
costumi, delle istanze della collettivit� e degli istituti giuridici. A ben vedere, 
infatti, dietro le ultime pronunce analizzate si pu� forse scorgere una tendenza 
giurisprudenziale a valorizzare il matrimonio come rapporto, sempre pi� considerato, 
come si � visto, il vero fulcro della relazione coniugale, nel protrarsi 
di una convivenza stabile. 
Tuttavia, le risultanze sinora individuate non appaiono ancora come un 
approdo definitivo, se si considera che la convivenza assume rilievo anche 
nelle unioni di coppia diverse dal matrimonio e probabilmente la Corte si � 
fatta portatrice anche della evoluzione sociale e politica sul punto. In questo 
senso appare quanto mai opportuno il richiamo alla recentissima sentenza n. 
12278/2011, con cui la Suprema Corte ha equiparato la famiglia tradizionale 
alle unioni di fatto ai fini del risarcimento del danno, attribuendo a queste ultime 
la rilevanza sociale di sodalizio familiare strutturato al pari di quella legittima 
e quindi degna anch'essa di tutela giuridica. Quel che pu� azzardarsi 
al riguardo � una possibile futura saldatura, almeno parziale, degli indirizzi 
giurisprudenziali richiamati alla luce della considerazione che, se la convivenza 
rileva anche nelle c.d. famiglie di fatto, a maggior ragione non pu� non 
riconoscersi un valore pregnante alla stessa nel matrimonio per come costituzionalmente 
previsto.
124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Cassazione, Sez. I civ., sentenza 20 gennaio 2011 n. 1343 - Rel. Pres. P. Vittoria, P.M. P. 
Abbritti (conforme). 
(Omissis) 
Svolgimento del processo 
1. - V.G.M., con citazione 26 novembre 2002, conveniva in giudizio davanti alla corte d'appello 
di Venezia R.M. L.. 
Esponeva d'avere contratto con lei matrimonio concordatario il (...). 
Il matrimonio era stato dichiarato nullo dal Tribunale ecclesiastico regionale ligure con sentenza 
25 novembre 1994, confermata dal Tribunale ecclesiastico della Rota Romana e dichiarata 
esecutiva dal Supremo tribunale della Segnatura apostolica con Decreto del 29 marzo 
2001. 
L'attore chiedeva quindi che fosse dichiarata l'efficacia agli effetti civili della pronuncia di 
nullit� del matrimonio. 
R.M.L. si opponeva alla domanda e tra l'altro deduceva che la pronuncia di nullit� era in contrasto 
con l'ordine pubblico italiano, perch� mancava la prova che il suo rifiuto di avere figli 
fosse anteriore al matrimonio. 
2. - La corte d'appello di Venezia, con sentenza 15 ottobre 2002, rigettava la domanda. 
Considerava che dagli atti del processo ecclesiastico non risultava che la R. avesse manifestato 
al marito, prima del matrimonio, la volont� di non avere figli e neppure che una tale intenzione 
fosse riconoscibile: conseguentemente la decisione del tribunale ecclesiastico doveva essere 
ritenuta in contrasto con l'ordine pubblico. 
3. - Su ricorso di V.G.M. proposto per due motivi, questa Corte, con sentenza 28 gennaio 
2005, ne accoglieva il secondo, dichiarava assorbito il primo, cassava e rinviava alla corte di 
appello di Venezia. 
4. - La Corte, in quella circostanza, ha osservato che la corte d'appello di Venezia aveva ritenuto 
che il limite dell'ordine pubblico impedisce la dichiarazione di esecutivit� della sentenza 
ecclesiastica, qualora l'intentio contraria ad uno dei bona matrimonii, riferibile ad uno solo 
degli sposi, non sia stata conosciuta e conoscibile da parte dell'altro, anche se - come nella 
specie era accaduto - la relativa domanda sia stata proposta dal coniuge ignaro. 
Cassando la sentenza ha enunciato il seguente principio di diritto: - "La dichiarazione di esecutivit� 
nell'ordinamento italiano della sentenza ecclesiastica che dichiara la nullit� del matrimonio 
concordatario, a causa dell'esclusione da parte di uno dei coniugi di uno dei bona 
matrimonii, trova ostacolo nell'ordine pubblico, qualora detta esclusione sia rimasta nella 
sfera psichica del suo autore e non sia stata manifestata, ovvero conosciuta o conoscibile dall'altro 
coniuge, in quanto si pone in contrasto con l'inderogabile principio della tutela della 
buona fede e dell'affidamento incolpevole, il quale � tuttavia ricollegato ad un valore individuale 
che appartiene alla sfera di disponibilit� del soggetto ed � preordinato a tutelare questo 
valore contro gli ingiusti attacchi esterni. 
Pertanto, al suo titolare va riconosciuto il diritto di scegliere la non conservazione del rapporto 
viziato per fatto dell'altra parte e, conseguentemente non sussiste ostacolo alla delibazione 
della sentenza nel caso in cui il coniuge che ignorava, o non poteva conoscere, il vizio del 
consenso dell'altro coniuge chieda la dichiarazione di esecutivit� della sentenza ecclesiastica 
da parte della Corte d'appello". 
5. - Il giudizio � stato riassunto da V.G.M. e davanti alla corte d'appello in sede di rinvio R.M. 
L. si � costituita ed ha riproposto le proprie precedenti difese.
CONTENZIOSO NAZIONALE 125 
Il giudice di rinvio - dopo aver constatato che il caso oggetto della domanda era appunto 
quello descritto nel principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione - soffermandosi 
sulle difese svolte dalla R. - ha osservato - secondo quanto viene riferito nella sentenza di rinvio 
- che costei aveva insistito su altra questione, ostativa al riconoscimento della sentenza 
ecclesiastica, gi� dedotta nel precedente grado di merito, concernente la problematica relativa 
all'applicabilit� del limite posto dall'art. 123 c.c.. 
La R. - cos� riferisce la corte d'appello di Venezia - sosteneva che, stante la convivenza ventennale 
tra i coniugi dopo la celebrazione del matrimonio, alla stregua della citata norma del 
codice civile - espressione di un principio di ordine pubblico sarebbe stata inibita la dichiarazione 
di simulazione del matrimonio (certamente equivalente al caso che era in esame), con 
la conseguenza che la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullit� del matrimonio per 
esclusione dei "bona matrimonii" non avrebbe potuto essere riconosciuta nel nostro ordinamento. 
Al riguardo - giudicando la questione non fondata - la corte d'appello ha rilevato che la giurisprudenza 
di questa Corte era molto chiara nel senso di ritenere che il principio di cui all'art. 
123 c.c., e di conseguenza il suo presupposto in fatto, cio� la convivenza, non costituiscono 
espressione di principi e regole fondamentali all'istituto del matrimonio. 
6. - Della sentenza 11 giungo 2007 della corte d'appello di Venezia pronunziata in sede di rinvio, 
a lei notificata il 3 ottobre 2007, R.M.L. ha chiesto la cassazione con ricorso, la cui notifica, 
chiesta il 3 dicembre 2007 - successivo a giorno festivo - � stata eseguita il 6 dicembre 
2007. 
V.G.M. ha resistito con controricorso. 
Motivi della decisione 
1. - Il ricorso contiene un motivo. 
La cassazione vi � chiesta per il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto 
(art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. 25 marzo 1985, n. 121, art. 8; L. 31 maggio 1995, n. 
219, art. 64, lett. g); art. 123 c.c., e art. 29 Cost.). 
E' concluso dal seguente quesito di diritto: - "Se possa essere riconosciuta nello Stato italiano 
la sentenza ecclesiastica che dichiara la nullit� del matrimonio, quando i coniugi abbiano convissuto 
come tali per oltre un anno, nella fattispecie per vent'anni, e se detta sentenza produca 
effetti contrari all'ordine pubblico, per contrasto con l'art. 123 c.c., e art. 29 Cost.". 
2. - La parte ha ripercorso l'itinerario della giurisprudenza di legittimit� osservando, che sino 
alla sentenza 4701 del 1988 delle sezioni unite, la Corte s� era in prevalenza orientata nel 
senso di riconoscere la contrariet� all'ordine pubblico della sentenza del tribunale ecclesiastico 
che non avesse tenuto in conto la disposizione dell'art. 123 c.c., comma 2, e ci� perch� l'effettiva 
instaurazione del rapporto matrimoniale con la pienezza della convivenza morale e 
materiale dei coniugi avrebbe precluso ogni possibilit� di far valere vizi simulatori dell'atto 
matrimoniale - come sentenze orientate in questo senso ha indicato la 192 del 1988, le 5358 
e 5354 del 1987. 
Dopo aver affermato che - come risultava dalla citazione in riassunzione - il matrimonio era 
stato contratto nel (...) e la separazione era stata omologata nel (...), la parte ha concluso dicendo 
di reputare che "vanificare una convivenza ventennale con perdita per la ricorrente dei 
diritti derivati dal matrimonio dichiarato nullo (in caso di passaggio in giudicato della sentenza 
ora impugnata) sia in contrasto, oltre che con l'ordine pubblico, con il dettato costituzionale, 
che all'art. 29 assicura l'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi".
126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Dal canto suo il resistente ha ribattuto richiamandosi a quanto statuito, in senso contrario, 
nella sentenza 4700 del 1988 delle sezioni unite e poi in una successiva decisione, indicata 
nella sentenza 10143 del 2002. 
3. - Il motivo � fondato. 
La rivisitazione della precedente giurisprudenza della Corte, compiuta in questa materia dalle 
sezioni unite con la sentenza 18 luglio 2008 n. 19809, ha consentito di mettere in rilievo che 
"L'ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia un palese "favor" per la validit� del matrimonio 
quale fonte del rapporto familiare incidente sulla persona e oggetto di rilievo e tutela 
costituzionali, con la conseguenza che i motivi per i quali esso si contrae, che, in quanto attinenti 
alla coscienza, sono rilevanti per l'ordinamento canonico, non hanno di regola significato 
per l'annullamento in sede civile". 
Nella medesima decisione si � osservato come nella sentenza 6 marzo 2003 n. 3339 fosse 
stato dato implicito rilievo anche al matrimonio - rapporto, che nell'ordine pubblico italiano 
ha una incidenza rilevante, per i principi emergenti dalla Costituzione e dalla riforma del 
diritto di famiglia, ed impedisce di annullare il matrimonio dopo che � iniziata la convivenza 
e spesso se questa � durata per un certo tempo (come si desume dall'art. 120 cpv c.c., art. 121 
c.c., comma 3, e art. 123 cpv. c.c.). 
Si � quindi osservato che "Non appare condivisibile, alla luce della distinzione enunciata tra 
cause di incompatibilit� assoluta e relativa delle sentenze di altri ordinamenti con l'ordine 
pubblico interno, qualificare come relative quelle delle pronunce di annullamento canonico 
intervenute dopo molti anni di convivenza e di coabitazione dei coniugi, ritenendo l'impedimento 
a chiedere l'annullamento di cui sopra mera condizione di azionabilit� da considerare 
esterna e irrilevante come ostacolo d'ordine pubblico alla delibazione". 
La considerazione di fondo che sorregge tale scelta � in ci�, che, riferita a date situazioni invalidanti 
dell'atto matrimonio, la successiva prolungata convivenza � considerata espressiva 
di una volont� di accettazione del rapporto che ne � seguito e con questa volont� � incompatibile 
il successivo esercizio della facolt� di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta 
dalla legge. 
La Corte condivide questa impostazione. 
Ritiene dunque che la sentenza impugnata presenti il vizio denunziato nel motivo, per avere 
considerato in linea di principio non ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di 
nullit� del matrimonio, pronunciata a motivo del rifiuto della procreazione, sottaciuto da un 
coniuge all'altro, la loro particolarmente prolungata convivenza oltre il matrimonio. 
4. - Il ricorso � accolto e la sentenza � cassata. 
5. - La Corte ritiene che - dedotto e non contestato che la convivenza si � protratta per quasi 
un ventennio - non siano necessari ulteriori accertamenti per addivenire sulla domanda ad una 
pronunzia di merito, che rientra dunque, secondo l'art. 384 c.p.c., nei suoi poteri. 
La conclusione � che la domanda deve essere rigettata. 
6. - Le spese dell'intero giudizio debbono essere interamente compensate: il processo ha conosciuto 
alterne vicende e nel suo corso gli orientamenti della giurisprudenza si sono venuti 
modificando. 
P.Q.M. 
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e pronunciando nel merito rigetta la 
domanda; compensa le spese dell'intero giudizio.
CONTENZIOSO NAZIONALE 127 
Elusione ed evasione, interposizione e simulazione, abuso del 
diritto tributario non armonizzato. Querelles antiche e nuove 
sulle orme di un reasoning del Supremo Collegio 
(Nota a Cassazione, Sez. V Civile, sentenza 26 febbraio 2010, n. 4737) 
Federico Maria Giuliani, LL.M.* 
SOMMARIO: 1. Il caso concreto e la questione all�esame della Sezione Tributaria. - 2. Le 
soluzioni del Supremo Collegio. - 3. Considerazioni a margine. - 4. Spunti giurisprudenziali 
e dottrinali. 
1. Il caso concreto e la questione all�esame della Sezione Tributaria 
L�agenzia delle Entrate di Avellino accerta un (cospicuo) maggior reddito 
IRPEF a carico di una persona fisica residente in Italia, sportivo professionista, 
relativamente al periodo d�imposta 1993. 
L�accertamento, afferente il reddito di lavoro dipendente del contribuente, 
si basa su di un p.v.c. redatto dai militari della Guardia di Finanza, nel quale 
� evidenziato che una limited liability company avente sede in Dublino aveva 
stipulato, con altra societ� irlandese, un contratto per l�acquisizione di diritti 
di sfruttamento dell�immagine di atleti ingaggiati da societ� sportive appartenenti 
a una medesima holding. A mezzo di tali contratti - osserva l�ente accertatore 
- l�atleta � individuato in codice con le ultime due lettere del nome e 
del cognome, cos� da garantirgli all�estero una considerevole integrazione 
dell�ingaggio per le prestazioni sportive da lui rese, risiedendo in Italia, alla 
societ� sportiva italiana. 
Impugnato l�accertamento, il contribuente soccombe sia in prime cure sia 
nel giudizio d�appello. 
Al che propone ricorso per cassazione. 
In tale sede si discute, anzitutto (primo motivo), di violazione e/o falsa 
applicazione dell�art. 37, comma 3, d.p.r. n. 600 del 1973, nonch� di un asserito 
vizio motivazionale, sul punto stesso, della sentenza della commissione tributaria 
regionale della Campania. 
Tralasciando il secondo motivo di ricorso, aggiungiamo che, con il terzo 
e il quarto motivo, si lamenta ancora un vizio motivazionale in tema di prova 
della percezione dei compensi accertati da parte del ricorrente. 
Quanto al primo motivo, ad avviso del contribuente mancherebbe la prova 
della simulazione soggettiva contemplata dal 3� comma dell�art. 37 del d.p.r. 
n. 600/1973, poich� si sarebbe nell�accertamento - e di riflesso nella sentenza 
impugnata - provato al pi� l�oggetto delle pattuizioni simulatorie ma non il 
soggetto cui il reddito effettivo dovrebbe essere attribuito. Ci� in quanto - os- 
(*) Libero Foro di Milano. Cassazionista.
128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
serva il ricorrente - l�Agenzia sostanzialmente attribuisce al ricorrente soltanto 
la �consapevolezza� della triangolazione simulatoria (interponente-interposto/
beneficiario apparente-beneficiario effettivo), e non gi� la sua effettiva partecipazione 
ad essa. 
Strettamente legati a questo assunto difensivo, sono poi il terzo e il quarto 
motivo di ricorso, che la Sezione Tributaria della Corte tratta congiuntamente, 
al paragrafo 2.4 della motivazione su riportata. In buona sostanza, ivi la parte 
sostiene che nella sentenza d�appello manchi una degna motivazione sulla 
questione se i compensi de quibus siano stati effettivamente percepiti dallo 
sportivo professionista residente in Italia - e non siano invece, per esempio, 
rimasti nel patrimonio della societ� irlandese. 
Al di sotto - in un certo senso - di questi motivi di ricorso, si pongono rilevanti 
questioni di diritto tributario, antiche e attualissime al contempo, in 
materia di elusione e di evasione, nonch� di abuso e di simulazione. 
E infatti, per sciogliere i nodi sollevati dai quesiti postigli, il Giudice di 
Legittimit� deve chiedersi: 
a) qual � l�esatta portata dell�art. 37, comma 3�, d.p.r. n 660/1973? La simulazione 
in esso contemplata � solamente quella soggettiva - quale emerge 
dalla lettera della norma - oppure � anche quella oggettiva, attinente al contratto 
piuttosto che non ai soggetti? 
b) e qual � il rapporto fra il 3� comma dell�art. 37, test� menzionato, e 
l�art. 37-bis dello stesso d.p.r. n. 600 del 1973? Detto altrimenti, la norma antielusiva 
per antonomasia, cio� l�art. 37-bis, interviene in applicazione l� dove, 
in presenza di simulazione oggettiva, non soccorre l�art. 37, comma 3�? 
c) e siccome l�art. 37-bis appena ricordato fu introdotto con legge del 
1997, quid iuris per l�epoca antecedente in tema di simulazione (oggettiva), 
come nel caso di specie che risale al 1993? 
d) come si pone, rispetto a tutto ci�, l�ampia elaborazione della Suprema 
Corte in punto di abuso del diritto tributario? 
e) infine, sul piano strettamente probatorio, come si prova efficacemente, 
in accertamento, la simulazione in una fattispecie quale quella in esame? 
2. Le soluzioni del Supremo Collegio 
Osserva la Sezione Tributaria di piazza Cavour che, nel caso concreto di 
cui trattasi, sussistono e si compenetrano - in collegamento - ambedue le forme 
di simulazione: (i) quella soggettiva perch� la societ� irlandese interposta, facente 
capo allo sportivo professionista, percepisce al fine somme di denaro 
dalla societ� sportiva italiana, le quali au fond - cio� al di l� del velo societario 
estero, soggettivamente interposto - sono erogate allo sportivo stesso, il quale 
� residente in Italia ai fini delle imposte sui redditi; (ii) quella oggettiva, perch� 
(parte de) il contratto di lavoro subordinato, intercorrente tra la societ� sportiva 
italiana e l�atleta, � e(s)tero-vestito da contratto a titolo oneroso per lo sfrut-
CONTENZIOSO NAZIONALE 129 
tamento della immagine dello sportivo stesso. 
Per quel che concerne in particolare la simulazione oggettiva, i Giudici 
della Quinta Sezione bene precisano che, contrariamente a quanto allega parte 
ricorrente, va condiviso l�orientamento dottrinale e giurisprudenziale, secondo 
cui essa pu� ben essere accertata e contestata nell�ambito della verifica tributaria 
sulla imposizione reddituale. 
Quanto all�argomento (sempre del ricorrente), giusta il quale la sentenza 
d�appello si sarebbe limitata ad asserire una �consapevolezza�, in capo all�atleta 
professionista, dell�accordo trilatero simulatorio (v. par. prec.), la Corte 
respinge una tale tesi, formalistica e debole, precisando che si � anche acclarato 
e affermato, nella sentenza impugnata, che la societ� sportiva e l�atleta avevano 
pattuito di deviare, per cos� dire, parte del compenso sulla societ� estera 
facente capo allo stesso sportivo, a titolo di apparente corrispettivo per lo sfruttamento 
dei diritti della di lui immagine. 
Si � posta, poi, la questione dell�epoca della entrata in vigore dell�art. 37- 
bis del decreto sull�accertamento, il quale articolo notoriamente risale al 1997, 
laddove invece le contestazioni dell�Agenzia delle Entrate allo sportivo professionista, 
nel caso di specie, riguardano l�anno 1993. 
Su questo punto, che concerne la norma antielusiva �generale� in materia 
reddituale, il Collegio ritiene che la questione sia meritevole di esame, e che 
sia altres� superabile a mezzo della teorica dell�abuso del diritto in materia tributaria, 
quale si � sviluppato negli ultimi anni nella giurisprudenza dello stesso 
Supremo Collegio. In particolare, i Giudici della Quinta Sezione affermano 
che, anche con riferimento ai tributi �non armonizzati� nell�ambito UE - e 
dunque in materia d�imposizione reddituale come nel caso di specie, e non in 
materia d�imposta sul valore aggiunto -, vale e si applica la teoria dell�abuso 
quale �principio generale antielusivo�, secondo il quale non sono opponibili 
all�amministrazione finanziaria i negozi stipulati �in difetto di ragioni economicamente 
apprezzabili che giustifichino l�operazione� e aventi il solo fine di 
conseguire un beneficio fiscale a mezzo dell�uso distorto di strumenti giuridici. 
Un siffatto principio, nei tributi non armonizzati in ambito UE qual � la nostra 
IRPEF, discende - rammenta il Supremo Collegio - dai principi costituzionali 
della capacit� contributiva e della progressivit� delle aliquote, di cui all�art. 
53 della Carta fondamentale. 
S� che la questione del tempo di entrata in vigore dell�art. 37-bis del decreto 
sull�accertamento si dilegua. E infatti la Sezione Tributaria, riprendendo 
da ultimo le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2008, n. 30055 e 
Cass., Sez. Un., 26 giugno 2009, n. 15029), afferma che � irrilevante che il 
periodo d�imposta accertato, nel caso di specie, sia il 1993 laddove la norma 
antielusiva in materia reddituale � del 1997, poich� la teoria dell�abuso si fonda 
- come test� detto - sull�art. 53 della Carta fondamentale, e dunque retroagisce 
rispetto all�ingresso dell�art. 37-bis nell�ordinamento.
130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Residua, infine, la tesi difensiva secondo cui non vi sarebbe stata data 
degna motivazione sull�avvenuta percezione, da parte dell�atleta, delle somme 
estero-vestite. Al riguardo il Supremo Collegio si pronuncia nel senso della 
fondatezza del motivo di ricorso, ravvisando in effetti, nella impugnata sentenza, 
una motivazione contraddittoria e/o insufficiente. 
3. Considerazioni a margine 
Come anticipato, i temi e la fattispecie concreta all�esame del Collegio 
nella causa in rassegna sono �antichi e nuovi�. 
Antichi, poich� le e(s)tero-vestizioni di compensi agli atleti professionisti 
residenti in Italia costituiscono dati operazionali che subito rimandano a casi 
ben noti della nostra giurisprudenza tributaria, quali in primis l�affaire di Diego 
Armando Maradona, il quale pure aveva fatto �deviare�, in combutta con la 
societ� calcistica partenopea, parte dei suoi corrispettivi di lavoro nelle casse 
intermedie di una societ� di Vaduz facente capo al campione, la quale formalmente 
gli erogava quella stessa parte di compensi a titolo di corrispettivo per 
lo sfruttamento della immagine. Constano storicamente, al riguardo, una cristallina 
pronuncia dell�allora Commissione Tributaria di 1� grado di Napoli, 
favorevole al fisco, e successivamente la sentenza d�appello della Commissione 
Tributaria di 2� grado, la quale � stata meno apprezzata di quella di prime 
cure, da parte della dottrina che si occup� subito di quel processo (FALSITTA). 
Nuovi sono per�, al contempo, i temi e la fattispecie concreta qui all�esame 
della Corte - si diceva -, perch� nel frattempo si � sviluppata, nella giurisprudenza 
del Supremo Collegio (anche) nella materia tributaria, la teorica dell�abuso 
del diritto, la quale in ambito fiscale � poggiata essenzialmente su due 
basi, a seconda dei tributi che vengono in considerazione; e infatti, se per quel 
che riguarda i tributi armonizzati a livello europeo - e dunque l�I.V.A. in particolare 
- il fondamento � reperito nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, 
per quel che concerne invece i tributi non armonizzati, la giurisprudenza tende 
a fare discendere la teoria dell�abuso tributario dall�art. 53 della Carta fondamentale. 
Antica e nuova, al contempo, � poi la questione se, all�interno dei poteri 
della pubblica amministrazione in materia d�imposte sui redditi, rientri anche 
quello di fare valere, in sede accertativa, la simulazione posta in essere dal 
contribuente. 
Questa questione � antica, poich� da sempre si afferma che, fra i �terzi� 
di cui all�art. 1415 cpv. c.c., rientra anche - e soprattutto, qualcuno ha precisato 
- l�amministrazione finanziaria; nuova � d�altronde la medesima questione 
perch�, se l�antico assunto test� formulato prospettava l�azione di simulazione 
esercitata dal fisco dinnanzi all�A.G.O., la dottrina pi� recente, dopo averne 
messo in luce le carenze strutturali e funzionali, ha piuttosto invocato l�applicazione 
delle norme del codice civile sulla simulazione (in particolare il pre-
CONTENZIOSO NAZIONALE 131 
detto art. 1415), anche nel diverso contesto del plesso dei public powers contemplati 
dal d.p.r. n. 600 del 1973. Sicch�, in quest�ultima prospettiva, si tende 
a dimostrare - e per l�effetto ad affermare - che anche concretamente, in sede 
di accertamento reddituale - oltre che astrattamente in azione civile -, l�Agenzia 
delle Entrate pu� contestare e dimostrare la sussistenza della simulazione secondo 
i parametri di cui agli artt. 1414 ss. c.c., trasposti all�interno del procedimento 
accertativo. 
Ci� premesso, andiamo a vedere come la Corte ha risolto queste problematiche 
con riferimento al caso in rassegna. 
Anzitutto affermano i Giudici della Sezione Tributaria, senza circonlocuzioni 
dubitative di sorta, che merita respingimento l�eccezione del privato 
ricorrente, secondo cui la simulazione oggettiva - a differenza di quella soggettiva 
di cui all�art. 3� comma dell�art. 37, d.p.r. n. 600/1973 - non potrebbe 
ex lege rientrare nell�ambito dei poteri accertativi spettanti all�Agenzia delle 
Entrate. L�assunto in diritto � motivato mediante il richiamo a un paio di precedenti 
dello stesso Supremo Collegio (Cass., 26 ottobre 2005, n. 28816; 
Cass., 10 giugno 2005, n. 12353). 
Si tratta di un�affermazione di notevole momento, poich� essa - molto lucidamente 
ad avviso di chi scrive - oltrepassa e accantona, in modo netto e assoluto, 
quella lettura angusta dell�artt. 37, comma 3�, la quale, arrestandosi al 
dato meramente letterale della disposizione - e concependo la medesima come 
attributiva di una sorta di potere ad hoc (stra-ordinario, per certi versi) dato 
agli enti accertatori -, perviene appunto al riduttivo esito ermeneutico, secondo 
cui solamente l�interposizione fittizia di persona, e dunque la simulazione soggettiva, 
rientra non soltanto nella sfera di applicazione della norma stessa, ma 
altres� - e questo � quanto nel caso di specie il ricorrente ha allegato in Cassazione 
- nella sfera dei poteri degli enti accertatori. Si tratta di argomenti che, 
secondo una parte degli interpreti (il FALSITTA in primis, e pi� modestamente 
chi scrive) non pu� essere affatto accolta, dacch� angusta e cieca e per certi 
versi superficiale: si pu� ben dire infatti che, anzitutto, sol che si osservi con 
attenzione la moderna dottrina civilistica in tema di simulazione (GENTILI), ci 
si avvede del fatto che, quasi sempre, alla interposizione fittizia si accompagna 
- e si compenetra - una simulazione oggettiva della tipologia contrattuale; non 
solo, ma l�art. 47, comma 3� - a ben vedere -, nel contesto e nel complesso dei 
poteri accertativi attribuiti all�amministrazione finanziaria ex d.p.r. n. 
600/1973, non costituisce una disposizione eccezionale o innovativa, ma semplicemente 
esemplificativa e chiarificatrice di un pouvoir public che gi� c�era, 
e che certamente non pu� non estendersi a tutte le forme di simulazione. 
Ecco allora che in questa prospettiva si deve salutare con apprezzamento 
anche quell�altro passo della sentenza in rassegna, dove si prende esplicita cognizione 
del fatto che - come ricorre in prassi -, nel caso della esterovestizione 
di compensi spettanti ad atleti professionisti residenti in Italia, accanto alla in-
132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
terposizione di societ� estere in Paesi a bassa fiscalit�, costituite ad hoc, vi � 
anche il travestimento di un contratto di lavoro dipendente, per prestazioni 
sportive, in contratto per lo sfruttamento dell�immagine dell�atleta. 
Detto questo, meno si comprende la soluzione che il S.C. adotta con riferimento 
alla ulteriore questione in diritto, sollevata dall�argomento del ricorrente, 
giusta il quale l�art. 37-bis del decreto sull�accertamento � del 1997 
e invece l�anno d�imposta, cui si riferisce la verifica tributaria nel caso di specie, 
� il 1993. Su questo aspetto, stanti le premesse adottate dai Giudici della 
Quinta Sezione, ci si attenderebbe che la Corte stessa, molto semplicemente, 
rimandi un siffatto argomento al mittente, sulla base del fatto che esso � assolutamente 
irrilevante nel caso di specie proprio alla luce delle premesse poste. 
Ed invero, l�art. 37-bis, a differenza dell�art. 37, terzo comma, disciplina 
e considera il fenomeno della elusione e non gi� della evasione, posto che � 
evidente che il ricorso alla simulazione, soggettiva e oggettiva o entrambe assieme 
collegate, sempre a una violazione diretta della norma tributaria d� 
luogo, e non pone - diversamente - in essere un negozio o un collegamento 
negoziale apparentemente legittimo anche sul versante fiscale, sebbene v�lto 
precisamente ad aggirare le norme imperative tributarie e a conseguire, mediante 
un uso distorto dei negozi, solo un risparmio tributario. 
E pertanto gi� il considerare e l�applicare, nel caso della e(s)terovestizione 
simulatoria di compensi, l�art. 37-bis porta � ad avviso di che scrive � fuori 
strada. 
In un caso come quello all�esame del S.C., dove vi � - come la stessa 
Corte perspicuamente rileva - una simulazione soggettiva ed oggettiva nel 
contempo, le norme da prendere in considerazione e applicare sono piuttosto, 
come si � detto, l�art. 37, comma 3�, in una con le altre disposizioni del decreto 
sull�accertamento nonch� insieme agli artt. 1414 ss. del codice civile. 
Diversamente argomentando, si finisce con il trattare una fattispecie concreta 
di evidente evasione alla stregua di una condotta meramente elusiva da 
parte del contribuente, con un inquadramento che, fra l�altro, distoglie anche 
dai possibili risvolti penali della condotta posta in essere in danno erariale. 
S� che, a ben vedere, il fatto che l�art. 37-bis sia entrato in vigore solamente 
nel 1997 - l� dove l�anno d�imposta accertato nel caso di specie era il 
1993 - non significa proprio nulla sul piano dei poteri dell�Agenzia, i quali 
appieno sussistevano gi� nel 1993, per sventare � in accertamento � una evasione 
simulatoria ai danni del fisco. 
Ergo anche il richiamo all�abuso del diritto diventa forviante. 
Stupisce cos� il fatto che a esso abbia finito con il fare richiamo la Suprema 
Corte, poich� proprio sulla base delle premesse lucidamente poste alla 
base del ragionamento - scilicet la simulazione complessa, accertabile dall�Agenzia 
sulla scorta dei suoi �ordinari� poteri - , si sarebbe dovuti pervenire 
direttamente alla reiezione del ricorso del contribuente, sul punto, senza biso-
CONTENZIOSO NAZIONALE 133 
gno alcuno di fare ricorso alla teorica dell�abuso del diritto - la quale, per sua 
stessa natura, concerne situazioni e comportamenti tutt�affatto diversi: cio� 
comportamenti negoziali apparentemente leciti e validi, nonch� del tutto efficaci, 
sia sul piano sia civilistico sia sul versante tributario, e invece al fondo 
viziati da quella mala fede verso il fisco, che si reperisce nell�esclusivo intento 
di non esborsare imposte - tanto da dover essere disapplicati i negozi stessi, e 
dunque resi inefficaci nei confronti del fisco. 
N� si dica che si tratta di una distinzione puramente teoretica, poich� a 
ben vedere i corollari sono di notevole momento. Oltre ai possibili aspetti penali 
correlati alla sola evasione di cui si � detto, va aggiunto che, di converso, 
solamente in tema di elusione si pone il delicato dibattito sulla concreta linea 
di confine tra legittimo risparmio d�imposta e abuso elusivo. 
S� che i riferimenti di questa pronuncia all�abuso e all�art. 37-bis del d.p.r. 
n. 600/73 non convincono chi scrive, anche perch� la teorica dell�abuso � tutta 
incentrata, in materia d�imposizione reddituale, sul sostanziale ampliamento 
della sfera di applicazione dello stesso art. 37-bis al di l� dei casi concreti ivi 
contemplati; sicch� se non vi era - come non vi era - nel caso all�esame alcun 
bisogno d�invocare l�art. 37-bis, allo stesso modo e per lo stesso motivo non 
vi era ragione per addentrarsi nel campo dell�abuso. 
E per la verit�, una volta inquadrato limpidamente il problema in termini 
di simulazione evasiva (soggettiva e oggettiva al contempo), anche l�esame, 
da parte della Corte, dell�ultima questione - quella cio� relativa alla effettiva 
percezione o meno delle somme da parte del contribuente - lascia, a una prima 
lettura, piuttosto perplessi. Viene cio� da pensare che tale questione avrebbe 
dovuto essere affrontata diversamente: posto, cio�, che in ipotesi sussisteva 
una simulazione fra l�altro soggettiva - e posto dunque che la societ� dublinese, 
facente capo all�atleta professionista, era ivi il soggetto interposto e oltrepassabile 
-, ne conseguiva che la societ� estera medesima si sostanziava in una 
sorta di mero �velo di Maja�, ai fini reddituali, tra la societ� sportiva italiana, 
datrice di lavoro, e lo sportivo residente in Italia, lavoratore dipendente della 
societ� sportiva. Per conseguenza il fatto che la somma fosse stata percepita 
dalla societ� dublinese, facente capo alla persona fisica contribuente, equivaleva 
al fatto dell�impossessamento di quel danaro da parte del contribuente 
stesso. 
Nondimeno, se si legge con attenzione la sentenza in rassegna, ci si avvede 
che il motivo in parola non � proposto al Collegio della difesa del contribuente, 
bens� dell�Avvocatura dello Stato per conto dell�Agenzia delle 
Entrate. Esso investe la insufficiente motivazione, al riguardo, della sentenza 
d�appello. S� che la Corte di Legittimit�, cassando con rinvio sul punto la pronuncia 
di seconde cure, riapre la questione della percezione o meno in termini 
probatori e motivazionali, indicando al giudice del rinvio i criteri - correttamente 
individuati come anche presuntivi - cui attenersi.
134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Di ci� preso atto, non sembrano movibili, alla sentenza che si annota, le 
stesse critiche che furono mosse, da parte della dottrina, alla decisione di secondo 
grado del caso Maradona, laddove essa, ribaltando la perspicua pronuncia 
di primo grado, fin� con l�annullare l�accertamento poich� in esso 
sarebbe mancata la prova della percezione del danaro, transitato per la societ� 
di Vaduz, da parte del calciatore. 
Epper� in conclusione la pronuncia in rassegna dev�essere particolarmente 
apprezzata nei passaggi sui poteri dell�Amministrazione v�lti ad accertare 
ogni forma di simulazione ai fini reddituali. Va altres� condivisa, e salutata 
con favore, laddove essa, posta di fronte a un caso di e(s)terovestizione di 
compensi, ravvisa una compenetrazione indissolubile tra simulazione soggettiva 
e oggettiva. Non pu� essere, di contro, condivisa a nostro avviso, sul piano 
strettamente motivazionale (pur nella condivisione del dispositivo), laddove 
essa invoca, in un caso evasivo-simulatorio, la teorica dell�abuso del diritto 
tributario. 
4. Spunti giurisprudenziali e dottrinali 
� Comm. Trib. 1� grado Napoli, 25 ottobre 1993, n. 3230; 
� Comm. Trib. 2 grado Napoli, 29 giugno 1994, n. 126; 
� Cass., 26 ottobre 2005, n. 28816; 
� Cass., 10 giugno 2005, n. 12353; 
� Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2008, n. 30055; 
� Cass., Sez. Un., 26 giugno 2009, n. 15029; 
� F. M. GIULIANI, La simulazione dal diritto civile all�imposizione sui redditi, Cedam, Padova, 
2009 (con ampi riff. a margine). 
Corte di cassazione, Sez. Tributaria, sentenza 26 febbraio 2010, n. 4737 - Pres. Miani, 
Rel. Campanile. D.N.F. (avv. Magnani) c. Agenzia entrate (avv. gen. Stato). 
(Omissis) 
FATTO 
1.1 La Commissione tributaria regionale della Campania, con la decisione indicata in epigrafe, 
ha rigettato l'appello proposto da D.N.F., nei confronti dell'Agenzia delle Entrate di Avellino, 
avverso la sentenza di primo grado con cui era stato respinto il proprio ricorso avverso l'avviso 
di accertamento con il quale il reddito da lavoro dipendente ai fini IRPEF relativo all'anno 
1993 era stato elevato da L. 3.251.387.000 a L. 3.714.137.000. 
1.2. Detto avviso si fondava su un processo verbale di constatazione redatto il 27 novembre 
1998 dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano, nel quale era stato 
evidenziato che la societ� S.M.G. Ltd, con sede in Dublino, aveva stipulato con la S.I.I. Ldt 
un contratto per l'acquisizione dei diritti di sfruttamento dell'immagine passiva di atleti ingaggiati 
da societ� svolgenti attivit� sportiva in diverse discipline appartenenti alla medesima 
holding, aventi la funzione di garantire agli atleti - individuati da un codice costituito dalle 
ultime due lettere del nome e del cognome - una cospicua integrazione dell'ingaggio per le 
prestazioni sportive effettuate.
CONTENZIOSO NAZIONALE 135 
1.3 La Commissione tributaria regionale, premesso che la prova dell'interposizione fittizia di 
regola viene raggiunta per presunzioni, osservava che gi� la contrattazione dei diritti di sfruttamento 
del nome e dell'immagine con una societ� estera, "collocata in un paradiso fiscale", 
costituiva il primo indizio, grave e preciso, dell'interposizione, potendosi agevolmente dedurre 
che si fosse "inteso ostacolare gli accertamenti dell'Amministrazione finanziaria", e che, pertanto, 
si fosse "voluto nascondere la reale destinazione delle somme indicate fittiziamente 
come cessione dei menzionati diritti di sfruttamento". Richiamata la valenza, sul piano probatorio, 
delle risultanze inerenti agli accertamenti effettuati dai revisori della A.A. & CO., si 
rilevava che ulteriori elementi probatori erano costituiti: a) dall'assenza di prove circa l'effettivo 
sfruttamento dell'immagine del D.N.; b) dall'indicazione del medesimo - secondo un sistema 
utilizzato anche per altri atleti - con il nome in codice (...), formato con le sillabe finali 
del nome e del cognome; c) dalla dislocazione delle societ� cessionarie, costituite in coincidenza 
con l'acquisizione dei menzionati diritti di sfruttamento dell'immagine, in "paradisi fiscali"; 
d) dalla loro appartenenza, infine, al medesimo gruppo (...) cui era inserita la societ� 
sportiva (...) che aveva ingaggiato il D.N.. 
1.4. Avverso detta decisione il D.N. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, 
illustrati con memoria. 
1.5. Si sono costituiti con controricorso l'Agenzia delle Entrate e il Ministero dell'Economia 
e delle Finanze, concludendo per il rigetto del ricorso. 
DIRITTO 
2.1 Va preliminarmente dichiarata l'inammissibilit�, per difetto di legittimazione, del ricorso 
proposto nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze, che non � stato parte del 
giudizio d'appello, instaurato nei confronti della sola Agenzia delle entrate, nella sua articolazione 
periferica, dopo la data del 1 gennaio 2001, con implicita estromissione, dell'ufficio 
periferico del Ministero (Cass., Sez. Un., n. 3166 del 2006). Ricorrono giusti motivi (rilievo 
ufficioso dell'inammissibilit�, proposizione del ricorso in epoca anteriore alla richiamata pronuncia 
delle SS.UU. di questa Corte) per la compensazione, in parte qua - delle spese processuali. 
2.2. a - Passando all'esame del ricorso proposto nei confronti dall'Agenzia delle Entrate, va 
osservato che il primo motivo, con il quale si deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, 
violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, nonch� vizio di motivazione, � infondato. 
In particolare, con la censura inerente alla violazione della norma contenuta nel D.P.R. 
n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, il ricorrente osserva in sostanza che il richiamo a tale disposizione 
non sarebbe consentito in merito alla "prova della simulazione del contratto stipulato 
fra SII e SMG, prova che riguarda l'oggetto delle pattuizioni e non i soggetti tra cui essi 
effettivamente intercorsero". Si aggiunge che, poich� il soggetto interponente, nella decisione 
impugnata, sarebbe indicato nella SII, mentre di tale interposizione il D.N. sarebbe soltanto 
"consapevole", non sarebbe applicabile a costui la norma in questione, che consente l'imputazione 
del reddito al solo soggetto interponente. Sotto tale profilo sarebbe riscontrabile anche 
un vizio motivazionale, relativamente alle modalit�, non ben esplicitate, con cui il compenso 
sarebbe pervenuto al calciatore. 
2.2.b. La motivazione della decisione impugnata, quanto meno per quanto attiene alla descrizione 
dei rapporti negoziali attraverso i quali si sarebbe verificata l'evasione d'imposta (ed a 
prescindere da quanto si dir�, in prosieguo, circa gli aspetti di natura probatoria), rinvia, a ben 
vedere, a un complesso meccanismo che si giova di due distinte forme di simulazione, fra 
loro collegate ma non coincidenti: da un lato, l'interposizione soggettiva, nel senso che una
136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
parte dei compensi al calciatore sarebbero stati versati a una societ� cessionaria dei diritti di 
sfruttamento del nome e dell'immagine del predetto; dall'altro, una vera e propria simulazione 
oggettiva, nel senso che la cessione di detti diritti non sarebbe stata in realt� voluta (nell'ambito 
di un contratto che non avrebbe mai avuto una concreta attuazione), ma sarebbe stata utilizzata 
come schermo per giustificare i passaggi di danaro relativi al pagamento di una parte del compenso 
dovuto all'atleta. Non pu�, invero, dubitarsi, del riferimento, nella decisione impugnata, 
al meccanismo test� descritto, cos� come, per altro, posto alla base dell'accertamento in esame: 
�Il M., societ� sportiva del Gruppo (...), ingaggia come calciatore il D.N. e pattuisce un certo 
compenso per le di lui prestazioni, del quale una parte appare ufficialmente e una parte viene 
simulata come sfruttamento d'immagine mediante la stipulazione di contratti fittizi tra le altre 
societ� del Gruppo (...)". Appare, pertanto, evidente, come la simulazione della cessione dei 
diritti di sfruttamento dell'immagine, cos� come le forme di pagamento attuate mediante soggetti 
interposti, costituiscano tante facce del poliedrico meccanismo sopra descritto, nel quale 
il D.N. non assume di certo la veste di "terzo", ancorch� consapevole, essendo chiaramente 
indicato, non solo come beneficiario, ma anche come uno dei principali artefici del meccanismo 
stesso, mediante il testuale riferimento - sopra richiamato - all'accordo intervenuto fra 
lui e la societ� sportiva M. circa la ripartizione del compenso pattuita in una parte "ufficiale" 
ed in un'altra (quella oggetto dell'avviso di accertamento impugnato) da versarsi mediante il 
ricorso alle attivit� di altre societ� del gruppo. Appare quindi evidente come sia del tutto riduttiva 
l'analisi di un singolo frammento del citato meccanismo per rinvenire la giustificazione, 
sul piano normativo, della tesi sostenuta dall'Agenzia delle Entrate. Di certo, ove si 
consideri che la Commissione tributaria regionale era investita, tramite il primo motivo di appello 
(riportato nella parte narrativa della decisione impugnata), della questione inerente esorbitanza 
dai poteri della commissione tributaria di primo grado di sindacare (in quanto - si 
sosteneva - riservata al giudice ordinario) la simulazione oggettiva, appare comprensibile che 
i giudici di secondo grado si siano a lungo profusi sulla figura della simulazione, analizzandone 
i vari aspetti e richiamando, quanto a quella soggettiva, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 
37, comma 3. Va rilevato, per completezza di esposizione, che la tesi secondo cui l'accertamento 
della simulazione relativa oggettiva sarebbe precluso nel procedimento tributario non 
trova riscontro n� nella migliore dottrina, n� nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., 
26 ottobre 2005, n. 28816; Cass., 10 giugno 2005, n. 12353). 
2.2.c. Tanto premesso, occorre precisare che la tesi secondo cui la norma pi� volte richiamata 
sarebbe stata erroneamente applicata perch� il D.N. non sarebbe indicato come "interponente", 
bens� come mero soggetto "consapevole dell'accordo triangolare nel quale la societ� estera 
sarebbe il soggetto interposto, mentre la societ� S.I.I. il soggetto interponente", si fonda su 
un brano della sentenza impugnata contenente una breve esposizione della tesi sostenuta dall'Amministrazione 
finanziaria, in cui, se la definizione dell'interposizione � - forse in maniera 
poco felice - relegata al solo aspetto della delegazione di pagamento dissimulata, essendo 
cio�, riferita a una limitata frazione del meccanismo complessivamente posto in essere, tuttavia 
la sostanza del fenomeno, per quanto qui maggiormente interessa, � sostanzialmente colta 
dalla Commissione tributaria regionale con l'affermazione secondo cui il contratto collegato 
in esame avrebbe avuto ben altre finalit�, nel senso che "le relative somme fittiziamente pattuite 
per il suddetto sfruttamento costituirebbero una ben mascherata integrazione del pagamento 
dello stipendio di calciatore pagato al D.N.F." (altrove, con riferimento all'indicazione 
in codice del nome dell'atleta, ci si riferisce espressamente al "mascheramento del contratto 
dissimulato, cio� di quello vero di pattuizione di un extra-ingaggio").
CONTENZIOSO NAZIONALE 137 
2.2.d. Non potendo, quindi, dubitarsi che la Commissione tributaria regionale abbia correttamente 
colto, e posto alla base della sua decisione, la sostanza del fenomeno come sopra descritto, 
inquadrandolo altres�, con l'esplicito riferimento al calciatore come "effettivo 
possessore per interposta persona" del reddito, nella previsione della disposizione contenuta 
nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, la qualificazione giuridica della fattispecie deve 
essere operata con il riferimento alla legittimit� dell'accertamento in quanto inerente a un 
meccanismo, come quello descritto, artificiosamente posto in essere allo scopo di ottenere indebiti 
vantaggi di natura fiscale. Giova, in proposito, richiamare l'orientamento che, movendo 
da ben precise pronunce comunitarie, ha evidenziato come, anche prima dell'entrata in vigore 
del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, fosse presente nel nostro ordinamento il divieto 
dell'abuso del diritto per conseguire indebiti vantaggi sul piano fiscale (Cass., 21 Ottobre 
2005, n. 20398; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20816; Cass., 14 novembre 2005, n. 22932; Cass., 
29 settembre 2006, n. 21221; Cass., 17 ottobre 2008, n. 25374). Di recente le Sezioni Unite 
di queste Corte hanno affermato che il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio 
generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti 
mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di 
strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di 
ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa 
di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati 
(nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacit� contributiva e di progressivit� 
dell'imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi 
nell'imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bens� nel 
disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione 
di norme fiscali. Esso comporta l'inopponibilit� del negozio all'Amministrazione finanziaria, 
per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far 
discendere dall'operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione 
da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento 
dell'operazione" (Cass., 23 dicembre 2008, n. 30055; successivamente richiamata da 
Cass., Sez. Un., 26 giugno 2009, n. 15029). Tanto premesso, appare evidente come il complesso 
delle attivit� sopra evidenziate, fra loro coordinate e finalizzate - secondo la tesi recepita 
nella decisione impugnata - all'occultamento di parte del compenso corrisposto al ricorrente, 
non possa considerarsi opponibile all'Amministrazione finanziaria, che legittimamente pu� 
far valere la reale situazione sottesa alla situazione apparente, allo scopo di affermare la fondatezza 
della pretesa fiscale. 
2.3 - Deve considerasi infondato anche il secondo motivo di ricorso, con il quale, in merito 
alla utilizzazione di dati emergenti dalle relazioni della societ� di revisione, o da dichiarazioni 
di singoli relatori, ha denunciato la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2729 c.c., in relazione 
all'art. 360 c.p.c., n. 3. In proposito vale bene richiamare una recente pronuncia di 
questa Corte (Cass., 12 marzo 2009, n. 5926 ), condivisa dal Collegio, nella cui parte motiva, 
premessa una ricostruzione dei compiti e delle responsabilit� delineate dal quadro normativo, 
si � affermato che l'istituto della revisione del bilancio delle societ� commerciali si caratterizza 
per alcuni profili particolarmente forti del suo regime, quali sono quelli del controllo pubblicistico 
(iscrizione all'Albo e vigilanza della Consob) e della responsabilit� civile e penale del 
revisore, che, se pur non consentono di affermare che la relazione di revisione garantisce la 
verit� del bilancio, vincolano a riconoscere, a pena dell'inutilit� dell'istituto, che essa costituisce 
una pronuncia qualificata sulla verit� della contabilit� e del bilancio. Da tanto si � con-
138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
divisibilmente desunto che "ogni volta che la relazione di revisione venga messa a disposizione 
dell'ufficio tributario e del giudice tributario, le autorit� devono tenerla in conto, non di presunzione 
iuris tantum della veridicit� delle scritture, perche manca una norma legislativa che 
le attribuisca tale forza, ma di documento incorporante enunciati sui quali sia l'ufficio tributario 
sia il giudice tributario si devono pronunciare e che possono essere privati della loro forza dimostrativa 
dei fatti attestati solo mediante la prova contraria a carico dell'ufficio. Tale prova 
non pu� essere fornita attraverso la rilevazione di semplici indizi di non veridicit� relativamente 
alle motivazioni addotte nella relazione di revisione, ma attraverso la produzione di 
documenti che siano idonei a dimostrare che nel giudizio di revisione il revisore � incorso in 
errore o ha realizzato un inadempimento. Tra i documenti che sono in grado di esprimere tale 
forza di confutazione della relazione di revisione possono annoverarsi, senza che esauriscano 
la categoria: a) quelli che dimostrino il carattere omissivo del comportamento del revisore, b) 
quelli che, pur tributariamente rilevanti, non siano stati oggetto di valutazione da parte del revisore, 
perch� non se ne prevedeva l'inserimento nelle procedure di revisione; c) quelli che 
sono stati occultati, perch� idonei a provare comportamenti dolosi". 
2.4 - Tanto premesso, deve rilevarsi la fondatezza del terzo e del quarto motivo di ricorso, 
che possono essere congiuntamente trattati, in quanto attinenti a vizi della motivazione relativamente 
alla prova della percezione dei compensi da parte del D.N.. La questione attiene, 
principalmente, all'assenza di specifici riferimenti, nella motivazione della sentenza scrutinata, 
al tema fondamentale, proposto con l'appello, "della prova della percezione delle somme da 
parte del ricorrente". Sul punto la decisione impugnata appare carente sotto il profilo motivazionale 
(come affermato da questa Corte, in relazione ad analoga fattispecie, con la decisione 
n. 13660/2009), per non aver ben evidenziato � anche mediante il ricorso a presunzioni - come 
il ricorrente fosse con certezza identificabile nella sigla (...) utilizzata nelle fatturazioni (il cui 
utilizzo, contrariamente a quanto si afferma nel ricorso, � in ogni caso significativo di attivit� 
non ostensibile, epper� fraudolenta; per non aver affrontato il tema dei rapporti fra lo stesso 
e la societ� interposta, in relazione ai movimenti di danaro ai quali si fa riferimento sia nel ricorso 
(precisandosi tuttavia che il D.N. non sarebbe incluso fra i beneficiari diretti dell'erogazione 
di somme provenienti dalle societ� estere) sia nel controricorso, nonch� alle relazioni 
- anche sotto il profilo diacronico - fra l'attivit� svolta dalle societ� coinvolte nell'affare della 
cessione dei diritti di sfruttamento dell'immagine e il contratto intercorso fra il ricorrente e la 
societ� sportiva. Un altro aspetto, che appare contraddittorio, consiste nell'aver la decisione 
impugnata evidenziato i rapporti fra le societ� del gruppo, anche in relazione alla decurtazione 
dei costi, senza collocare in tale quadro la posizione del D.N.. 
2,5. La pronuncia impugnata, pertanto, va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, 
anche per le spese, ad altra sezione della Commissione Tributaria regionale della Campania, 
che proceder� a nuovo esame - anche sulla base dei principi di diritto enunciati - della fattispecie 
concreta. 
P.Q.M. 
La Corte di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero 
dell'Economia e delle Finanze e compensa le relative spese. Pronunciando sul ricorso proposto 
dall'Agenzia delle Entrate, accoglie il terzo e il quarto motivo, e rigetta i rimanenti. Cassa la 
sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione 
della CTR della Campania.
CONTENZIOSO NAZIONALE 139 
La disciplina dell�onere della prova 
nel codice del processo amministrativo 
(Nota a Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16 maggio 2011 n. 2955 ) 
Carlo Bellesini* 
Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato ha affrontato la questione 
dell�onere della prova nei giudizi amministrativi dopo l�entrata in vigore 
del Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, con il quale � stato introdotto il 
nuovo codice del processo amministrativo. 
Un�impresa aveva proposto ricorso al Tar del Lazio per la condanna del 
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti al risarcimento dei danni subiti a 
causa dell�illegittima esclusione dall�Albo Nazionale dei Costruttori Edili 
(ANCE), e della conseguente impossibilit� di esercitare la propria attivit� nel 
settore dei lavori pubblici. Il giudice di prime cure, pur riconoscendo l�illegittimit� 
dell�esclusione dell�impresa dall�ANCE, ha respinto il ricorso in quanto 
il ricorrente non ha comunque fornito alcun elemento di prova del danno patito 
e non ha ottemperato all�onere della prova a lui spettante, ai sensi dell�art. 64 
del codice del processo amministrativo. 
La sentenza di primo grado � stata confermata dal giudice d�appello, il 
quale ha, inoltre, affermato che: �anche dopo l�entrata in vigore del nuovo codice 
approvato con D.L.vo 2 luglio 2010, n. 104 (cfr. art. 64, comma 3, cod. 
proc. amm.), il sistema probatorio � fondamentalmente retto dal principio dispositivo 
con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice�. 
Tale affermazione non � del tutto condivisibile. In particolare, a parer di 
chi scrive, il temperamento del principio dispositivo con il metodo acquisitivo 
� concetto che va rimeditato ai sensi dell�attuale contesto normativo e giurisprudenziale. 
Tuttavia, prima di approfondire tale critica alla sentenza in commento, � 
necessario ricostruire la disciplina e la ratio dell�onere della prova nel processo 
amministrativo alla luce del suddetto principio dispositivo con metodo acquisitivo. 
In primis, giova rilevare che il suddetto principio � stato introdotto dal 
Prof. Feliciano Benvenuti nel suo scritto �L�istruzione probatoria nel processo 
amministrativo� (1) alla met� degli anni Novanta, prima, dunque, dell�entrata 
in vigore della legge sul procedimento amministrativo (Legge n. 241/90) e del 
novello codice del processo amministrativo (D.lgs. n. 104/2010). 
A riguardo, la norma di riferimento era, naturalmente, l�art. 2697 del co- 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
Il prof. Guido Corso - Universit� degli Studi di Roma 3 - � stato relatore della tesi discussa dal 
dott. Bellesini �L�onere della prova nel processo amministrativo�. 
(1) Vd. BENVENUTI, F., L�istruzione nel processo amministrativo, Padova, 1953, ora in Id., Scritti 
giuridici, Milano, 2006, I, 1 ss.
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dice civile, il quale pone a carico di chi vanta un diritto in giudizio, l�onere di 
fornire la prova dei fatti che ne costituiscono il fondamento. Tale regola va poi 
affiancata all�art. 115 del codice di procedura civile secondo cui, salvi i casi 
previsti dalla legge, il giudice non pu� porre a fondamento della sua decisione 
fatti che non siano allegati e provati dalle parti: il giudice deve decidere, dunque, 
�iuxta alligata et probata partium�. In altre parole, le parti hanno il potere 
di iniziativa nel raccogliere gli elementi di prova circa i fatti su cui il giudice � 
chiamato a decidere (2). 
Il principio dispositivo � inteso ad assicurare il rispetto dei principi fondamentali 
della difesa e del contraddittorio, al fine d�impedire che una parte 
possa subire una decisione basata su fatti ad essa sconosciuti ed in relazione ai 
quali non si sia potuta difendere (cfr. Cass. Civ. sez. II, n. 1165/1983 e Cass. 
Civ., sez. II, n. 12980/2002). 
Riassumendo, l�istruzione del caso � nella disponibilit� esclusiva delle parti, 
senza possibilit� per il giudice di ampliare ex officio il thema probandum (3). 
Ebbene, nel pensiero di Benvenuti, il principio dispositivo vale anche per 
l�istruttoria nel giudizio amministrativo, con alcune varianti, rectius attenuazioni, 
rispetto al giudizio civile. 
In particolare, secondo il principio dispositivo con metodo acquisitivo, al 
ricorrente spetta l�onere di fornire un principio di prova, ossia una mera allegazione, 
e non prova, dei fatti a sostegno della sua pretesa: mentre al giudice 
sono forniti poteri probatori, anche officiosi, idonei a completare l�istruzione 
del caso. Quest�assetto � frutto della disparit� che contraddistingue il rapporto 
tra le parti in giudizio: ricorrente e Pubblica Amministrazione. Tale disuguaglianza 
� conseguenza delle difficolt� che il ricorrente incontra nel reperire il 
materiale probatorio idoneo a sostenere il ricorso. Infatti, la Pubblica Amministrazione 
ha la disponibilit� esclusiva degli atti e dei documenti che hanno portato 
all�emissione dell�atto impugnato e sulla base dei quali pu�, dunque, 
sostenersi la sua illegittimit� (4). 
Il temperamento del principio dispositivo con il metodo acquisitivo � concetto 
che andava gi� rivisto alla luce della Legge 7 agosto 1990, n. 241, sul 
procedimento amministrativo. 
A riguardo, il c.d. metodo �acquisitivo� aveva un senso in un regime nel 
quale al privato non veniva garantito l�accesso alla documentazione amministrativa. 
Il discorso � oggi diverso dopo l�introduzione del diritto di accesso ai 
documenti amministrativi (5). 
(2) Sul punto si veda LA CHINA, S., Esibizione delle prove nel processo civile, Milano, Giuffr�, 
1960. 
(3) Per un approfondimento sul tema si rinvia a FABIANI, E., I poteri istruttori del giudice civile, 
Ed. scientifiche italiane, 2008. 
(4) A riguardo si vd. DE LISE, P., L�istruzione nel processo amministrativo - Testo della relazione 
al Convegno su Feliciano Benvenuti e il diritto amministrativo nel nuovo secolo, svoltosi al Consiglio 
di Stato il 23 aprile 2008 in www.giustizia-amministrativa.it. 
(5) Per un approfondimento si rinvia a G. CORSO, La prova (diritto amministrativo), in Enciclopedia 
giuridica Treccani, 1999, e SAITTA, F., Il sistema probatorio del processo amministrativo dopo la
CONTENZIOSO NAZIONALE 141 
Modificata la norma sul segreto d�ufficio, al principio di segretezza viene 
sostituito un opposto principio di pubblicit� e trasparenza dell�azione amministrativa 
(artt. 1 e 28 L. n. 241/90). Pertanto, gli artt. 22 e ss. della suddetta legge 
prevedono, per il privato cittadino e per soggetti portatori di interessi pubblici 
o diffusi, il diritto di accedere alla documentazione amministrativa: legittimati 
sono coloro che vantano un interesse concreto, diretto e attuale all�accesso, che, 
in sostanza, corrisponde a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al 
documento: ci� per impedire un controllo generalizzato sull�attivit� della P.A (6). 
Inoltre, l�effettivit� del �diritto di accesso� � assicurata dal rito speciale in 
materia di accesso ai documenti amministrativi previsto dall�art. 116 del codice 
del processo amministrativo. In particolare, nell�ipotesi che la P.A. opponga un 
rifiuto alla domanda di accesso, allegando una delle ragioni che lo giustificano 
(segreto di Stato, sicurezza, ordine pubblico, ecc. ai sensi dell�art. 24 L. n. 
241/90) o mantenga semplicemente il silenzio, l�interessato pu� rivolgersi al 
Tribunale amministrativo regionale che decider� sulla richiesta di accesso in 
un termine, di norma, non superiore a trenta giorni. 
Pertanto, venuta meno quella impossibilit� - o somma difficolt� - per il 
privato di procurarsi la disponibilit� del materiale probatorio, anche nel processo 
amministrativo deve trovare piena applicazione la regola dell�onere della 
prova, senza deroghe o attenuazioni di sorta, secondo gli schemi tipici del processo 
civile (7). 
Tutto ci� trova conferma nella recente riforma del processo amministrativo: 
l�art. 64 del nuovo codice del processo amministrativo, al I e II co., riproduce 
fedelmente la disciplina espressa dai succitati artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. 
(8). Il �nuovo codice� ha, quindi, definitivamente sancito l�operativit� del principio 
dispositivo nella disciplina dell�onere della prova nel processo amministrativo. 
Ora, questa tesi ha recentemente trovato riscontro anche nella giurisprudenza. 
In particolare, il T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, con la sentenza n. 
26440 del 1 dicembre 2010, sulla base delle medesime argomentazioni suesposte, 
ha affermato che, dopo l�entrata in vigore della legge 241 del 1990 e del 
nuovo codice del processo amministrativo, non � pi� consentita l�applicazione 
del principio dispositivo con metodo acquisitivo; pertanto, prosegue il T.A.R.: 
legge n. 241 del 1990: spunti ricostruttivi in Dir. proc. amm., I, 1996, pag. 1 e ss. e RAGGI, R., Diritto 
alla prova e diritto al documento dopo la legge n. 241 del 1990: due categorie distinte ed autonomia in 
Dir. proc. amm., I, 1996. pagg. 136 e ss. 
(6) Vd. CORSO, G., Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2008. 
(7) Ci si riferisce, in particolare allo studio di G. VIRGA, Attivit� istruttoria primaria e processo 
amministrativo, Milano, 1991. 
(8) Per completezza, l�articolo 64 del Dlgs n. 104/2010, rubricato �Disponibilit�, onere e valutazione 
della prova�, dispone al I co. �Spetta alle parti l'onere di fornire gli elementi di prova che siano 
nella loro disponibilit� riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni�. Al 
II co. dispone: �Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione 
le prove proposte dalle parti nonch� i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite�. 
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�il giudice non deve supplire con propri poteri istruttori ad incombenti cui la 
parte pu� diligentemente provvedere; l�istruttoria ufficiosa subentra dunque 
quando il giudice ritenga di attivare i suoi poteri d�ufficio al (superiore) fine 
di decidere, solo dopo per� che le parti abbiano delineato (provato) il tema del 
contendere�. 
Tuttavia, per parte della dottrina (9), anche dopo la riforma del procedimento 
amministrativo, continuerebbe a sussistere una disparit� tra privato e 
pubblica amministrazione nel disporre del materiale probatorio: tale tesi poggia 
sull�assunto che nel termine sessagesimale di decadenza dell�azione di annullamento 
non si potrebbe ragionevolmente pretendere che chi intende impugnare 
un provvedimento, oltre a dover redigere il ricorso, debba anche doversi munire 
di tutte le prove necessarie ad istruire la causa, visto che la maggior parte degli 
atti e documenti oggetto di tale prove sono nella esclusiva disponibilit� della 
Pubblica Amministrazione resistente; quest�ultima, infatti, avrebbe trenta giorni 
di tempo per evadere le richieste di accesso, secondo la disciplina del �silenzio-
dissenso�: e nei confronti dei dinieghi e dei silenzi in tema di accesso quello 
ex art. 116 del codice del processo amministrativo sarebbe s� un rito accelerato, 
ma, ci� nonostante, non potrebbe concludersi in tempo utile per fornire il materiale 
probatorio necessario al ricorrente. 
La vigenza di un onere della prova non attenuato sarebbe affermabile solo 
in ordine a controversie afferenti alla giurisdizione esclusiva, che possono essere 
promosse entro l�ordinario termine di prescrizione delle azioni a difesa dei 
diritti soggettivi, e nei giudizi risarcitori, dove i fatti posti a fondamento della 
pretesa risarcitoria sono sempre nella disponibilit� del ricorrente. 
Dunque, conclude tale tesi, nei giudizi di legittimit� del provvedimento 
amministrativo, l�affermazione di un�uguaglianza formale tra cittadino e amministrazione 
in ordine al materiale probatorio servirebbe solo a celare una persistente 
diseguaglianza sostanziale. 
Tale tesi non � condivisibile perch� poggia su una premessa errata. 
Nel processo di impugnazione del provvedimento amministrativo un onere 
della prova in senso tecnico non cՏ, salvo, in parte, in alcuni casi di eccesso di 
potere (10). 
(9) V. in particolare, L. BERTONAZZI, L�istruttoria nel processo amministrativo di legittimit�: norme 
e principi, Milano, 2005, 640 e ss. e F. SAITTA, Il sistema probatorio del processo amministrativo dopo 
la legge 241/90: spunti ricostruttivi, in Dir. Proc. Amm., 1996, 1 ss. 
(10) Alcune manifestazioni dell�eccesso di potere richiedono un esame che trascende l�atto impugnato 
(nei casi di contraddittoriet� rispetto a precedenti provvedimenti; violazione di prassi amministrativa; 
disparit� di trattamento; travisamento dei fatti), altre richiedono che si ripercorra l�iter 
dell�istruttoria procedimentale (si vedano i casi di omessa considerazione di circostanze di fatto segnalate 
dalla parte interessata, insufficiente istruttoria ecc.). Ebbene, entrambi i casi necessitano di un�indagine 
su fatti esterni all�atto. Giova rilevare che il fatto da provare riguarda sempre il potere sul quale viene 
sollecitato il sindacato di legittimit�. Per ragioni di chiarezza si dovrebbe dire che, in tali casi, sul ricorrente 
non grava un onere della prova, ma un mero onere di allegazione: tale allegazione si esaurisce in 
quella che il codice del processo amministrativo qualifica come: �esposizione sommaria dei fatti e dei 
motivi specifici su cui si fonda il ricorso� (art. 40, I co., lett. c ), per un approfondimento si rinvia a 
CORSO, G., Prova (processo amministrativo), in Enc. Giur. Treccani, 1999.
CONTENZIOSO NAZIONALE 143 
Nell�azione di annullamento per violazione di legge e incompetenza, infatti, 
la cognizione del fatto � cognizione estrinseca e formale dei vizi dell�atto 
come emergono dal tenore testuale del provvedimento stesso. Pertanto, il ricorrente 
si limita a dedurre la violazione di regole di azione da parte della pubblica 
amministrazione: non venendo in rilievo una quaestio facti non vi � prova 
e non sorge, quindi, un problema di onere della prova (11). 
In altre parole chi agisce deve asserire a pena di inammissibilit� del ricorso 
che il potere amministrativo, dall�esercizio del quale ha subito un pregiudizio, 
� stato esercitato in modo illegittimo; denunciando l�illegittimit�, dunque, il ricorrente 
nega l�esistenza di uno dei presupposti di legittimit� dell�esercizio di 
tale potere (es. inesistenza del parere dal quale il provvedimento doveva essere 
preceduto ecc.). Sicch�, al giudice baster� un confronto tra fattispecie concreta 
e fattispecie normativa per accertare l�esistenza, o meno, del presupposto di legittimit� 
del provvedimento impugnato. 
Dunque, la struttura del giudizio di legittimit� risulta evidentemente in 
contrasto con la struttura del giudizio sul fatto: quest�ultimo, infatti, consiste 
nella verifica che un fatto sia accaduto, o meno. Sindacare la legittimit� di un 
provvedimento amministrativo significa, invece, porre in essere un giudizio di 
valore. 
Come si desume dall�art. 64 del novello codice del processo amministrativo, 
l�onere della prova sorge solamente in relazione ai �fatti� posti a fondamento 
delle domande e delle eccezioni. 
Pertanto, la prova non � concettualmente conciliabile con la struttura del 
giudizio di legittimit� del provvedimento amministrativo (12). 
Sconfessata la tesi favorevole all�applicazione del metodo acquisitivo, 
nulla osta all�applicabilit� piena del principio dispositivo nell�istruttoria nel 
processo amministrativo, laddove - ripetesi - venendo in rilievo una quaestio 
facti, sorge un problema di prova: e ci� accade nei giudizi afferenti alla giurisdizione 
esclusiva, almeno nei casi in cui si faccia questione di diritti soggettivi, 
e nei giudizi per il risarcimento dei danni derivanti dall�illegittimo esercizio 
dell�attivit� amministrativa (13). 
In particolare, nell�azione risarcitoria, il ricorrente fa valere in giudizio 
una pretesa risarcitoria, la quale, in quanto pretesa giuridica, deve fondarsi su 
un �fatto� e su �una regola�, dalla applicazione della quale si vuole trarre una 
(11) Il sindacato di legittimit� del giudice amministrativo si svolge confrontando la fattispecie 
concreta portata alla sua cognizione, e che si incentra nell�atto amministrativo, con le norme giuridiche 
che ne disciplinano la produzione le quali dettano regole formali e prevedono il contenuto del provvedimento, 
sul punto cfr. SANDULLI M. A., Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, 
Napoli, 1963, pag. 36., FOLLIERI, E., Il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalit� pura 
o amministrativa - Le figure sintomatiche sono norme giuridiche, non sintomi, in Dir. proc. Amm. 2008. 
(12) Si rinvia a M. TARUFFO, La prova dei fatti giuridici: nozioni generali, Milano, Giuffr�, 1992. 
(13) Come sostenuto da CORSO, G., Prova (processo amministrativo), in Enc. Giur. Treccani, 
1999, DI MODUGNO, La nuova giurisdizione esclusiva e la prova nel processo amministrativo: prime 
riflessioni sulla recente riforma in Dir. proc. amm, 2000 e DE GIORGI CEZZI, G., La ricostruzione del 
fatto nel processo amministrativo, Jovene, Napoli, 2003.
144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
conclusione: per esemplificare, in caso di responsabilit� contrattuale ai sensi 
dell�art. 1218 c.c. (norma), dall�inadempimento della prestazione (fatto) deriva 
la responsabilit� del debitore al risarcimento dei danni sofferti dal creditore 
(pretesa giuridica). 
Il suddetto schema trova pieno riscontro nel citato art. 64 del codice del 
processo amministrativo, il quale, ricalcando la disciplina di cui all�art. 2697 
c.c., prevede l�onere del ricorrente di fornire gli elementi di prova, che siano 
nella loro disponibilit�, riguardanti i �fatti� posti a fondamento delle domande 
e delle eccezioni. 
In tali giudizi grava sul ricorrente un onere della prova pieno, senza attenuazioni, 
in ossequio al principio dispositivo. 
A riguardo, seguendo un orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione 
- espresso nella Sent. n. 13533 del 30 ottobre 2001 (14) - il principio dispositivo 
subisce attenuazioni, o ampliamenti, in base a quanto la parte sia 
vicina, o meno, al materiale probatorio. Secondo il suddetto teorema giurisprudenziale, 
ispirato al cd. principio di �vicinanza alla prova�, l'onere della prova 
viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilit� per l'uno o per 
l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere 
di azione. 
Dunque, nei giudizi risarcitori promossi contro la P.A., l'onere della prova 
sia del fatto illecito, che del danno, � in toto a carico di chi chiede il risarcimento, 
trattandosi di elementi che sono nella disponibilit� della parte e in relazione 
ai quali non si giustifica un potere di soccorso o, peggio, di supplenza 
da parte del giudice (cfr. Cons. Stato Sez.VI, 8 giugno 2010, n. 3641, Societ� 
Edile Immobiliare Rio di Albertini e C. S.A.S. c. Ministero per i Beni e le Attivit� 
Culturali e altri). 
Non a caso, il codice del processo amministrativo, al II co. dell�art. 64, ricalcando 
il dettato dell�art. 115 c.p.c., prevede che il giudice ponga a fondamento 
della decisione solo i fatti provati dalle parti e quelli non 
specificatamente contestati (15). 
Peraltro, l�art. 2 del suddetto codice stabilisce che nel processo amministrativo 
si attuino i principi di parit� delle parti, del contraddittorio e del giusto 
processo previsto dall�art. 111, primo comma, della Costituzione: tutti principi 
di rango costituzionale, il cui rispetto postula l�applicazione del principio dispositivo 
nell�istruttoria processuale. D�altro canto, indebite intrusioni del giudice 
nell�istruttoria procedimentale porterebbero ad una lesione del principio 
della parit� delle parti, del contraddittorio e della terziet� del giudice. Giova ripeterlo, 
il principio dispositivo regola l�istruttoria nel processo, civile o amministrativo 
che sia, al fine d�impedire che una parte possa subire una decisione 
basata su fatti ad essa sconosciuti ed in relazione ai quali non si sia potuta di- 
(14) Cfr. Cassazione, SS.UU., Sent. n. 13533 del 30 ottobre 2001, in Foro It., IX, 983. 
(15) Si veda sul punto CARINGELLA F., Codice del nuovo processo amministrativo: commento articolo 
per articolo al D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 e a tutte le altre leggi della giustizia amministrativa, 
Dike, Roma, 2010.
CONTENZIOSO NAZIONALE 145 
fendere (cfr. Cass. Civ. sez. II, n. 1165/1983 e Cass. Civ., sez. II, n. 12980/2002). 
Concludendo, una lettura plausibile delle norme del nuovo codice del processo 
amministrativo in materia di onere della prova, alla luce del diritto di accesso 
ai documenti amministrativi previsto dalla Legge n. 241/90, sembra nel 
senso che l�onere del principio di prova e il metodo acquisitivo non trovino pi� 
ragioni che ne giustifichino l�applicazione; laddove, invece, nel processo amministrativo 
sorga in capo al ricorrente un onere di prova, questo deve essere 
fondamentalmente retto dal principio dispositivo, stante l�evidente parit� delle 
parti nel disporre del materiale probatorio e in ossequio, quindi, ai principi costituzionali 
del giusto processo. 
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16 maggio 2011 n. 2955 - Pres. G. Giaccardi, Est. F. 
Rocco - F.G. (avv.ti F. Camerini e A. Rossi) c. Ministero infrastrutture e trasporti (n.c.). 
(Omissis) 
FATTO e DIRITTO 
1. La vicenda che ha condotto all�instaurazione del presente giudizio scaturisce dall�ormai 
ben risalente esito dell�istanza presentata in data 9 maggio 1984, con la quale l�Impresa (...) 
aveva chiesto, dopo un periodo di cancellazione, la reiscrizione all�Albo Nazionale dei Costruttori 
(ANC), nel quale era stata iscritta dal 1966, per le categorie 1, 2, 6, 9/a, 10/a, 10/b, 
10/c, 11 e 13/a, per un importo complessivo pari a lire 20.250.000.000. 
Con deliberazione del 14 marzo 1985 il Comitato Centrale dell�Albo Nazionale Costruttori 
ha peraltro escluso l�Impresa (...) dall�iscrizione per sei delle predette categorie, consentendola 
soltanto per le restanti tre categorie e per importi bassissimi. 
L�Impresa (...) ha contestato tale provvedimento, proponendo ricorso al T.A.R. per il Lazio. 
In pendenza di tale giudizio, il Comitato Nazionale Costruttori ANC, con deliberazione assunta 
in data 22 aprile 1986 ha confermato il contenuto della precedente deliberazione del 14 marzo 
1985 e, di conseguenza, l�Impresa � stata quindi costretta a proporre un secondo ricorso innanzi 
al medesimo giudice. 
I due ricorsi sono stati riuniti e accolti con sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sez. III, 11 febbraio 
1988 n. 196, con la quale sono state annullate le due predette deliberazioni per carenza di valutazione 
e di motivazione. 
Peraltro, riferisce la medesima parte ricorrente che il Comitato Centrale ANC non ha dato seguito 
a tale statuizione, costringendo pertanto l�Impresa a proporre ricorso per ottemperanza. 
Anche tale ricorso � stato accolto con sentenza del TAR Lazio, sez. III, 22 settembre 1988 n. 
1093, con la quale il giudice ha dichiarato l�obbligo del Comitato Centrale di esternare le motivazioni 
concernenti la decisione della domanda di reiscrizione all�ANC. 
Nel corso del giudizio per ottemperanza la ricorrente ha preso conoscenza della deliberazione 
del Comitato Centrale ANC del 27 aprile 1988, sostanzialmente confermativa della precedente 
e, quindi, l�Impresa (...) proponeva un nuovo ricorso ordinario ed un nuovo ricorso per ottemperanza. 
Questi ultimi due ricorsi sono stati decisi con sentenze del TAR Lazio, sez. III, 15 luglio 1989 
n. 1306 e 1307; pi� esattamente, con la prima di esse � stata annullata la deliberazione impugnata 
per omesso adeguamento di tre categorie ai nuovi maggiori importi di classifica stabiliti
146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
con L. 15 novembre 1986 n. 768, nel mentre con la seconda � stato nominato un Commissario 
ad acta. 
(...) ha quindi proposto un nuovo ricorso per l�ottemperanza relativa alle sei categorie relativamente 
alle quali non conosceva ancora i motivi per cui il Comitato Centrale ANC aveva 
disatteso le proprie domande. 
Il Comitato Centrale ANC ha emesso la deliberazione in data 14 novembre 1989, sostanzialmente 
confermativa di tutte le precedenti. 
Nel frattempo, tuttavia, il Ministero dei Lavori Pubblici ed il Comitato Centrale ANC avevano 
proposto appello avverso la predetta sentenza n. 1306 del 1989, nel mentre nel relativo giudizio 
l�Impresa (...) ha proposto appello incidentale. 
Anche tale giudizio si � concluso favorevolmente per l�Impresa (...) mediante decisione n. 
747 dd. 30 aprile 1999, resa da questa stessa Sezione. 
Avverso la deliberazione del 14 novembre 1989 l�Impresa (...) ha proposto un ulteriore ricorso, 
conclusosi con sentenza del TAR per il Lazio, sez. III, 6 febbraio 2002 n. 832, con la quale 
l�impugnativa � stata accolta e la deliberazione predetta annullata. 
Tale sentenza, non impugnata, � passata in giudicato. 
1.2. Ci� posto, con ulteriore ricorso proposto innanzi al T.A.R. per il Lazio l�Impresa (...) ha 
proposto nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti una domanda di risarcimento 
danni, evidenziando che il giudice amministrativo ha riconosciuto la fondatezza della 
propria pretesa all�iscrizione all�ANC per le 9 categorie richieste originariamente e per l�importo 
complessivo di 18 miliardi di lire, contro le tre categorie riconosciute per sole lire 2,1 
miliardi di lire. 
In sostanza, la ricorrente, valutando il fatto di non aver potuto esercitare la propria attivit� nel 
campo di lavori pubblici per un lungo periodo di tempo, e ci� a causa dell�illegittimit� dell�attivit� 
provvedimentale dell�Amministrazione, ha chiesto di essere risarcita per equivalente. 
Ad avviso della ricorrente, le voci di danno da considerare consisterebbero: 
1) nella mancata partecipazione dell�Impresa agli appalti pubblici per quasi venti anni e, 
quindi, nel relativo mancato lucro; 
2) nel danno all�immagine subito dall�Impresa, con ricaduta anche sui rapporti con i terzi. 
1.2. Con sentenza n. 8218 dd. 1 settembre 2004 la Sezione III del T.A.R. per il Lazio ha respinto 
il ricorso. 
2. Con l�appello in epigrafe l�Impresa (...) chiede pertanto la riforma di tale ultima sentenza, 
insistendo per l�accoglimento delle proprie domande risarcitorie. 
3. Non si � costituito in giudizio il pur intimato Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 
4. Alla pubblica udienza dell�8 febbraio 2011 la causa � stata trattenuta per la decisione. 
5. Tutto ci� doverosamente premesso, va evidenziato che il giudice di primo grado ha respinto 
il ricorso innanzi a lui proposto in quanto il ricorrente, sebbene abbia puntualmente ricostruito 
la propria vicenda processuale e gli esiti favorevoli della stessa, non ha comunque fornito 
alcun elemento di prova al fine di dimostrare il danno patito o, comunque, non ha prodotto 
spunti di valutazione neanche per un�eventuale consulenza tecnica d�ufficio al fine della valutazione 
del danno subito. 
In buona sostanza, quindi, ad avviso del T.A.R. il ricorrente non ha ottemperato all�onere della 
prova contemplato dall�art. 2697 c.c., il cui principio vige anche nel processo amministrativo, 
laddove i poteri istruttori del giudice amministrativo possono essere infatti esercitati soltanto 
in ragione dell'incompletezza dell'istruttoria, ma non anche in totale mancanza di essa; le indagini 
istruttorie, infatti, possono essere disposte d�ufficio dal giudice solo ove la parte abbia
CONTENZIOSO NAZIONALE 147 
offerto almeno un serio principio di prova idoneo a suffragare la pretesa azionata. 
Anche questo giudice concorda in linea di principio con la tesi espressa dal T.A.R. 
Invero, nel processo amministrativo, anche dopo l�entrata in vigore del nuovo codice approvato 
con D.L.vo 2 luglio 2010 n. 104 (cfr. art. 64, comma 3, cod. proc. amm.), il sistema probatorio 
� fondamentalmente retto dal principio dispositivo con metodo acquisitivo degli 
elementi di prova da parte del giudice, il quale comporta l�onere per il ricorrente di presentare 
almeno un indizio di prova perch� il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori (cfr., ex 
multis, Cons. Stato, sez. V, 7 ottobre 2009, n. 6118): e ci�, per l�appunto, � contemplato dal 
�sistema� proprio in quanto il ricorrente, di per s�, non ha la disponibilit� delle prove, essendo 
queste nell�esclusivo possesso dell�amministrazione ed essendo quindi sufficiente che egli 
fornisca un principio di prova. 
Viceversa, la disciplina contenuta nell�art. 2697 cod. civ. (corrispondente, ora, all�art. 64, 
comma 1, cod. proc. amm.) secondo la quale spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare 
i fatti, deve trovare integrale applicazione anche nel processo amministrativo ogniqualvolta 
non ricorra tale disuguaglianza di posizioni tra Pubblica Amministrazione e privato, come - 
per l�appunto - nel caso di specie, laddove si verte esclusivamente sulla spettanza, o meno, di 
un risarcimento del danno: con la conseguenza che, a pena di un�inammissibile inversione 
del regime dell�onere della prova, non � consentito al giudice amministrativo di sostituirsi 
alla parte onerata quando quest�ultima si trovi nell�impossibilit� di provare il fatto posto a 
base della sua azione (cfr., al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato , Sez. V, 10 novembre 2010 
n. 8006). 
A ragione, quindi, il giudice di primo grado ha rilevato che il ricorrente avrebbe potuto � e 
dovuto � fornire elementi di valutazione circa il danno patito, producendo, ad esempio, atti e 
documenti relativi al fatturato dell�impresa e a ai suoi bilanci (nel periodo in cui era iscritta 
all�ANC per tutte le categorie indicata e nel periodo successivo all�adozione dei provvedimenti 
annullati), alle gare bandite nel periodo, ecc.. 
La parte ricorrente, invece, pur essendosi riservata all�inizio del giudizio di provare e quantificare 
la misura del danno (cfr. pag. 7 del ricorso), ha prodotto gli atti relativi ai vari procedimenti giudiziali 
da essa promossi, limitandosi a sollecitare la nomina di un consulente tecnico d�ufficio 
per quantificare i danni patiti (cfr. la memoria prodotta in primo grado dd. 24 giugno 2004). 
In buona sostanza, quindi, la ricorrente non ha dimostrato di aver subito una perdita economica 
in conseguenza dell�adozione degli atti annullati nei ricorsi da essa precedentemente proposti; 
n� pu� essere accordata la richiesta consulenza tecnica d�ufficio al fine di quantificare i danni 
da essa asseritamente patiti, posto che tale incombente assolve alla funzione di fornire all�attivit� 
valutativa del giudice l�apporto di cognizioni tecniche da lui non possedute, ma non � 
per certo deputata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base 
delle proprie richieste: fatti che, come detto innanzi, devono essere dimostrati dalla medesima 
parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c. 
In sede di appello la parte ricorrente, all�evidenza ben conscia di tali carenze, ha rimarcato - 
tra l�altro - che il danno risulterebbe comprovato in re ipsa dalla stessa circostanza che essa, 
proprio per effetto della sostanziale esclusione dall�ANC da essa per lungo tempo subita, ha 
potuto accedere al solo mercato privato degli appalti di lavori, notoriamente meno remunerativo 
per le imprese rispetto a quelli pubblici, e che il danno da essa subito (da intendersi quindi 
come differenziale tra quanto da essa effettivamente ricavato nel tempo dall�attivit� nel settore 
privato con quanto solo presuntivamente ricavabile nell�ipotesi in cui fosse proseguito l�accesso 
alle commesse pubbliche) dovrebbe essere valutato equitativamente da questo giudice
148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
a� sensi dell�art. 1226 c.c., ovvero mediante una stima ex post delle chances di aggiudicazione 
non concretatesi per la propria impresa. 
Tale valutazione equitativa, tuttavia, pu� soccorrere soltanto, come precisa la stessa disciplina 
codicistica, qualora �il danno non pu� essere provato nel suo preciso ammontare�: e, per l�appunto, 
il mancato deposito agli atti di causa dei bilanci societari comunque impedisce ex se 
di fondare qualsivoglia valutazione anche in ordine alle risorse finanziarie e di personale che 
la ricorrente avrebbe potuto adibire per la propria attivit� in ambito pubblico; n� risulta logicamente 
possibile accedere alla prospettazione della medesima ricorrente, formulata sempre 
in sede di appello, secondo la quale il danno sarebbe ricavabile mediante l�applicazione in 
via del tutto apodittica di percentuali sui valori delle categorie per le quali essa non � stata 
ammessa all�iscrizione all�ANC. 
6. Peraltro, a parziale riforma della sentenza impugnata, pu� comunque essere accolta la domanda 
risarcitoria limitatamente al c.d. �danno curriculare�. 
Il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico, anche a prescindere dal lucro che l�impresa ne 
ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante, costituisce infatti fonte per l�impresa 
di un vantaggio non patrimoniale ma - comunque - economicamente valutabile, poich� 
di per s� accresce la capacit� di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori 
e futuri appalti. 
In tale ottica deve pertanto ritenersi risarcibile il danno anzidetto, il quale segnatamente consiste 
nel pregiudizio subito dall�impresa in dipendenza del mancato arricchimento del proprio 
�curriculum� professionale, ossia per la circostanza di non poter indicare in esso l�avvenuta 
esecuzione dell�appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dell�Amministrazione 
(cos�, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 09 giugno 2008 n. 2751). 
Tale ben particolare pregiudizio, a prescindere dalla carenza di prove offerte dalla ricorrente 
in ordine alle perdite economiche da essa subite, fuoriesce - altres� - dagli ambiti meramente 
probabilistici della valutazione delle chances e si pone in termini obiettivi per il fatto stesso 
dell�intervenuta esclusione della ricorrente dal mercato �pubblico�, ed � pertanto intrinsecamente 
e necessariamente valutabile da questo giudice in termini equitativi a� sensi dell�art. 
1226 c.c. 
Il Collegio, in tal senso, reputa pertanto congruo stimare la perdita di professionalit� dell�Impresa 
(...) conseguente alla sua forzata esclusione dal mercato pubblico in � 10.000,00.- (diecimila/
00), da riconoscersi a carico del Ministero intimato. 
In considerazione della parziale soccombenza della societ� ricorrente e della particolarit� 
dell�ultima questione trattata, le spese e gli onorari del giudizio, complessivamente definiti 
nella misura di � 5.000,00.- (cinquemila/00) oltre ad I.V.A. e C.P.A., sono compensati nella 
misura del 50%, e sono pertanto posti a carico del Ministero intimato e liquidati a favore della 
ricorrente nella misura di � 2500,00.- (duemilacinquecento/00) oltre ad I.V.A. e C.P.A. 
A carico del Ministero intimato va pure posto il contributo unificato di cui all�art. 9 e ss. del 
D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) 
definitivamente pronunciando sull�appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti 
di cui in motivazione e, per l�effetto, condanna il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture 
a corrispondere alla ricorrente la somma di � 10.000.- (diecimila/00) a titolo di danno curriculare 
(...).
CONTENZIOSO NAZIONALE 149 
Impugnabilit� dei provvedimenti adottati dal Commissario ad acta 
Incidenza della normativa sopravvenuta sul giudicato 
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza del 26 agosto 2011 n. 4816) 
1. Gli atti adottati dal Commissario ad acta in sede di ottemperanza del giudicato sono 
impugnabili con ordinario ricorso giurisdizionale solo allorquando il giudicato abbia 
lasciato margini di discrezionalit� all�amministrazione, cosicch� l�attivit� svolta dal 
Commissario possa considerarsi espressione di un potere amministrativo, come tale 
sindacabile in sede d�impugnazione ordinaria. 
2. Le sopravvenienze di fatto o di diritto verificatesi anteriormente alla notificazione della 
sentenza costituente giudicato rappresentano ostacolo o limite alla sua esecuzione, mentre 
sono irrilevanti le sopravvenienze successive a detta notificazione perch�, in tal caso, 
trova piena applicazione la regola secondo cui la durata del processo non deve andare 
in danno della parte vittoriosa, la quale ha diritto all�esecuzione del giudicato in base 
allo stato di fatto e di diritto vigente al momento della ridetta notificazione (*) 
Consiglio di Stato, Sez. Terza, sentenza del 26 agosto 2011 n. 4816 - Pres. G. P. Cirillo, 
Cons. Est. L. Balucani - Min. interno (avv. gen. Stato) c. Commissario ad acta e M.R.S. ed 
altri (avv. M. Spagna). 
(Omissis) 
FATTO 
Con istanza in data 23 luglio 1991 la sig.a S. M. R., unitamente alle figlie, chiedeva la speciale 
elargizione a favore delle vittime del terrorismo e della criminalit� organizzata (ex art.1 L.20 
ottobre 1990, n.302) in relazione al decesso del coniuge B. M., avvenuto a seguito di un conflitto 
a fuoco nel quale era rimasto ucciso anche un esponente di un clan camorristico del Casertano. 
La predetta elargizione veniva negata non essendo stata rilevata con certezza la assoluta estraneit� 
del B. �ad ambienti e rapporti delinquenziali�. 
Dopo che il TAR Campania, sezione terza, con sentenza n.3358 del 1998 aveva respinto il ricorso 
proposto dalla sig.a S. avverso il provvedimento di diniego, il Consiglio di Stato, Sez. 
VI, ha pronunciato le seguenti decisioni: 
- con decisione 6 giugno 2008, n. 2715 ha accolto l�appello avverso la sentenza del TAR annullando 
l�atto di diniego; 
- con decisione 26 giugno 2009, n. 4414 ha accolto il ricorso in ottemperanza ordinando alla 
Amministrazione di dare esecuzione al giudicato e nominando come Commissario �ad acta� 
il Prefetto della provincia di Caserta; 
- con decisione 3 agosto 2010, n. 5146 ha dichiarato elusivo il provvedimento adottato in data 
11 dicembre 2009 dal Commissario �ad acta� (che aveva ribadito la non accoglibilit� della 
domanda di elargizione), assegnando al Commissario il termine di sessanta giorni per l�adozione 
dei provvedimenti satisfattivi del giudicato. 
A questo punto il Commissario �ad acta� con provvedimento 7 ottobre 2010 ha concesso il 
(*) Massime dell�avv. Stato che si � occupato della trattazione della causa, avv. CARLO SICA.
150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
beneficio. 
Avverso detto provvedimento � insorto il Ministero dell�Interno con ricorso proposto dinanzi 
al TAR Lazio denunciando la violazione dell�art. 2 quiquies D.L. n.151 del 2008 (come modificato 
prima dall�art. 1 L. di conversione n. 186 del 2008 e successivamente dall�art. 2, 
comma 21, L n. 94 del 2009) che vieta la concessione dei benefici di legge ai �superstiti delle 
vittime della criminalit� organizzata, che siano parenti o affini entro il 4� grado di soggetti 
nei cui confronti risulti in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all�art. 51, 
comma 3bis C.P.P.� E ci� in quanto due fratelli del deceduto B., quindi parenti entro il 4� 
grado dei superstiti, risultavano gravati da precedenti penali. 
Il TAR adito con sentenza 31 gennaio 2011, n. 842 ha dichiarato inammissibile il ricorso 
avendo ritenuto che competente a conoscere della controversia sia il Consiglio di Stato, stante 
che il provvedimento emesso dal Commissario �ad acta� ha carattere del tutto vincolato rispetto 
allo �iussus iudicis�; conseguentemente ha escluso la fondatezza della questione di giurisdizione, 
e cos� pure della questione di competenza territoriale sollevata dalla parte resistente. 
Avverso la sentenza del TAR il Ministero dell�Interno ha interposto appello sostenendo la 
competenza del TAR a conoscere della controversia: ci� in quanto la norma ostativa alla concessione 
della speciale elargizione richiesta non ha costituito oggetto di giudicato, e pertanto 
il provvedimento del Commissario, in quanto adottato in violazione di una norma sopravvenuta, 
� impugnabile in via ordinaria dinanzi al Giudice Amministrativo. 
Si � costituita in giudizio la sig.a S., unitamente alle figlie, contestando i motivi dell�atto di 
appello, del quale ha chiesto il rigetto. 
Alla pubblica udienza del 24 giugno 2011 la causa � stata trattenuta in decisione. 
DIRITTO 
L�appello � infondato. 
Secondo un orientamento consolidato nella giurisprudenza amministrativa gli atti adottati dal 
Commissario �ad acta� in sede di ottemperanza del giudicato sono impugnabili con l�ordinario 
ricorso giurisdizionale solo allorquando il giudicato abbia lasciato margini di discrezionalit� 
all�Amministrazione, s� che l�attivit� svolta dal Commissario possa considerarsi espressione 
di un potere amministrativo, come tale sindacabile in sede di impugnazione ordinaria. Al contrario, 
laddove non sussista alcun margine di discrezionalit� nel compito affidato al Commissario, 
allora competente a conoscere della esatta esecuzione del giudicato � soltanto il giudice 
della ottemperanza. 
Nella fattispecie in esame, dal momento che la decisione del Consiglio di Stato di cui era stata 
chiesta l�esecuzione obbligava il Commissario �ad acta� ad adottare i provvedimenti realmente 
satisfattivi del giudicato, vale a dire la concessione della speciale elargizione prevista dall�art. 
34 L. n. 222/2007, senza riservare alcuna discrezionalit� al riguardo, � indubbia la competenza 
di questo Consiglio a conoscere della controversia azionata con il ricorso del Ministero avverso 
il provvedimento del Commissario in data 7 ottobre 2010 che ha concesso il beneficio 
in questione. 
E� dunque corretta la statuizione sulla competenza contenuta nella sentenza di primo grado. 
Ritenuta la competenza del giudice dell�ottemperanza, si pu� passare all�esame del motivo di 
gravame prospettato dal Ministero con l�anzidetto ricorso, vale a dire la asserita violazione, 
da parte del Commissario, della sopravvenuta disposizione di cui all�art. 2 quinquies D.L. 2 
ottobre 2008, n. 151 (conv. con modificazioni in L. 28 novembre 2008, n. 186), come modificato 
dall�art. 2, comma 21 L. 15 luglio 2009, n.94, che - come esposto in punto di fatto - ha
CONTENZIOSO NAZIONALE 151 
vietato la concessione dei benefici in favore della vittime della criminalit� organizzata ai �superstiti 
�che siano parenti o affini entro il 4� grado di soggetti nei cui confronti risulti in 
corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all�art. 51, comma 3bis C.P.P.�. 
Il motivo � infondato. 
Se � vero infatti che l�esecuzione del giudicato pu� trovare ostacolo e/o limite nelle sopravvenienze 
di fatto e di diritto verificatesi anteriormente alla notificazione della sentenza, restano 
invece irrilevanti le sopravvenienze successive alla notificazione medesima, perch� in tal caso 
si deve dare piena espansione alla regola secondo cui la durata del processo non deve andare 
in danno della parte vittoriosa, la quale ha diritto alla esecuzione del giudicato in base allo 
stato di fatto e di diritto vigente al momento. In tal senso � il consolidato indirizzo di questo 
Consiglio (cfr. tra le altre: Cons. St. VI, 22 ottobre 2002, n.5816; 3 novembre 2010, n.7761; 
17 giugno 2010, n.3851). 
Ci� posto, poich� nel caso in questione la disposizione normativa ritenuta ostativa alla concessione 
del beneficio ex lege n. 302/1990 � stata introdotta con l�art. 2,comma 21, della legge 
15 luglio 2009, n. 94, che � posteriore alla stessa decisione del Consiglio di Stato con la quale 
veniva nominato il Commissario �ad acta� (dec. 13 luglio 2009, n. 4414), ne consegue che la 
normativa sopravvenuta non pu� incidere sul giudicato e dunque non pu� impedire la concessione 
della speciale elargizione in favore della parte appellata. 
Per quanto precede l�appello del Ministero deve essere respinto 
Sussistono giusti motivi per compensare le spese processuali del presente grado di giudizio 
tra le parti in causa. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando 
sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. 
Spese compensate.
152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Legittimazione ed interesse di una P.A. all�iniziativa giurisdizionale 
(Nota a Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza del 13 giugno 2011 n. 3567) 
Damiano Marini* 
SOMMARIO: 1. Il caso di specie - 2. Il dictum del Consiglio di Stato - 3. L�atto presupposto 
e l�atto preparatorio - 4. La categoria dell� invalidit� derivata nelle due forme �ad effetti caducanti� 
e �ad effetti vizianti� - 5. La portata generale della sentenza - 6. Una differente soluzione 
interpretativa. 
1. Il caso di specie 
La sentenza del Consiglio di Stato n. 3567 del 13 giugno 2011 risulta di 
notevole interesse non solo e non tanto per la pronuncia nel merito della controversia 
(1), quanto piuttosto per la statuizione in rito con cui viene riconosciuta 
all�Autorit� di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture 
(2) la legittimazione, nonch� l�interesse, ad impugnare le sentenze aventi ad 
oggetto i provvedimenti di segnalazione delle stazioni appaltanti. 
Con simili provvedimenti quest�ultime comunicano all�AVCP le avvenute 
esclusioni di operatori economici dalle gare di appalto da esse indette al fine 
dell�iscrizione di simili circostanze nel Casellario Informatico. 
Per una migliore comprensione della portata della sentenza in esame risulta 
necessario rappresentare la peculiarit� del caso di specie all�attenzione del Supremo 
Consesso della giustizia amministrativa. 
La vertenza, infatti, ha avuto inizio con il ricorso promosso, da un�impresa 
partecipante ad una procedura aperta per l�affidamento di un contratto pubblico 
di lavoro, avverso il provvedimento con cui la stazione appaltante aveva proceduto 
all�esclusione della stessa dalla gara, a causa del riscontrato difetto di 
uno dei requisiti generale prescritti dall�art. 38 D.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 
(Codice degli appalti pubblici) (3). Con lo stesso ricorso venivano altres� impugnati 
i provvedimenti, sempre della stazione appaltante, con cui quest�ultima 
(*) Dottore in giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l� Avvocatura dello Stato. 
(1) Il Consiglio di Stato ha infatti censurato l�interpretazione avallata dal TAR secondo la quale 
la triplice sanzione (esclusione dalla gara, escussione della cauzione provvisoria e segnalazione all�AVCP) 
va applicata solamente in caso di riscontro della mancanza dei requisiti di ordine speciale ex 
art. 48 D.lgs. 163/2006, ribadendo, invece, come la stessa vada irrogata anche in caso di difetto dei requisiti 
di ordine generale ex art. 38 D.lgs. 163/2006. Nello steso senso, Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 
2004 n. 5792; Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2007 n. 554; Cons. St., sez. VI, 4 agosto 2009, n. 4905. 
(2) D�ora in poi AVCP. 
(3) Nella specie, la stazione appaltante, dopo aver aggiudicato provvisoriamente la gara alla ditta 
ricorrente, nel controllare il possesso da parte di quest�ultima dei requisiti di ordine generale necessari 
per la partecipazione alle procedure di affidamento di commesse pubbliche aveva riscontrato, a carico 
del legale rappresentante della societ�, una condanna definitiva per omicidio colposo relativa ad un sinistro 
occorso ad un apprendista impiegato nell�azienda. La societ� veniva cos�, conseguentemente, 
esclusa per difetto del requisito prescritto dalla lettera c) dell�art. 38 D.lgs. 163/2006.
CONTENZIOSO NAZIONALE 153 
segnalava all�AVCP l�avvenuta esclusione, al fine dell�iscrizione della stessa 
nel Casellario Informatico, nonch� escuteva la cauzione provvisoria. 
Il T.a.r. Piemonte (4) accoglie solo parzialmente il ricorso confermando il 
provvedimento di esclusione dalla gara di appalto, ma annullando i relativi 
provvedimenti di segnalazione all�AVCP e di escussione della cauzione provvisoria. 
L�AVCP ha quindi impugnato la sentenza di prime cure limitatamente alla 
parte relativa all�annullamento del provvedimento di segnalazione, del resto 
l�unico capo della sentenza verso cui nutriva interesse, in quanto a seguito dell�annullamento 
della segnalazione era stata disposta la cancellazione della relativa 
iscrizione nel Casellario Informatico. 
Fin dai primi scritti difensivi, per�, la societ� appellata eccepisce l�inammissibilit� 
dell�appello per carenza di legittimazione e difetto di interesse da 
parte dell�AVCP, in quanto trattasi d�impugnazione di una sentenza avente ad 
oggetto un provvedimento di altra autorit�, o meglio della stazione appaltante. 
Il Consiglio di Stato sembra essere dello stesso avviso quando in sede di 
ordinanza cautelare, che respinge l�istanza di sospensione della sentenza impugnata, 
rileva come �� in via preliminare, appare da dubitarsi della legittimazione 
all�appello dell�Autorit� con riferimento ad una determinazione 
annullata, e ad una conseguente soccombenza, riferibili alla stazione appaltante� 
(5). 
2. Il dictum del Consiglio di Stato 
Evidenti le conseguenze che una simile statuizione, se confermata in sentenza, 
avrebbe prodotto nella sfera di interessi dell�Autorit� di vigilanza; infatti, 
in tal modo non sarebbe possibile per l�AVCP difendere processualmente la legittimit� 
delle segnalazioni provenienti dalle stazioni appaltanti che risultano 
necessarie per la corretta e aggiornata tenuta del Casellario Informatico. Necessarie 
poich� le iscrizioni nel Casellario Informatico dipendono dalle previe 
segnalazioni dei fatti da iscrivere; come del resto dimostrato anche nel caso di 
specie dove a seguito dell�annullamento del provvedimento di segnalazione da 
parte del giudice territoriale, e per ottemperare alla sentenza, la stessa Autorit� 
ha provveduto alla cancellazione dell�inscrizione. 
Inizialmente, il Consiglio di Stato, in sede di giudizio cautelare, non sembrava 
condividere un simile avviso in quanto probabilmente riteneva non necessario 
un intervento processuale dell�AVCP, poich� trattandosi di un atto di 
altra amministrazione sarebbe quest�ultima ad essere titolare del potere - dovere 
di difendere la legittimit� dei propri atti. 
L�inesattezza di una simile considerazione, per�, viene in rilievo nei casi, 
(4) Con la sentenza n. 957/2010. 
(5) Ordinanza cautelare n. 3762 del 30 luglio 2010.
154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
come quello di specie in cui il giudice di prime cure provvede ad annullare 
non l�esclusione dalla gara, ma solamente la relativa segnalazione; in queste 
circostanze le sentenze passano in giudicato a causa della mancata impugnazione 
delle stazioni appaltanti che hanno un preciso interesse alla sola legittimit� 
del provvedimento di esclusione. 
A tal punto il Supremo Consesso si trovava ad un bivio essendo solamente 
due le strade da poter percorrere: attribuire l�esclusivo interesse alla legittimazione 
dei provvedimenti di segnalazione alle sole stazioni appaltanti (va ricordato, 
per�, che le segnalazioni vengono effettuate al solo fine della 
successiva iscrizione, e che quest�ultime dipendono dalle prime), oppure attribuire 
il predetto interesse anche all�AVCP. Se a sostegno della prima opzione 
soccorre il dato formale costituito dalla titolarit� del provvedimento della segnalazione 
in capo alle stazioni appaltanti, di contro vi � il rilievo per cui le 
stazioni appaltanti sono spesso disinteressate ad impugnare le sentenze dei 
giudici amministrativi regionali tutte le volte che si vedono confermato il loro 
provvedimento di esclusione, indipendentemente da un contestuale annullamento 
dell�atto relativo alla segnalazione. Rilevanti, allora, sarebbero le conseguenze 
di una simile scelta: in ottemperanza alle sentenze di annullamento 
delle segnalazioni debbono essere cancellate le relative iscrizioni, la cui legittimit�, 
tuttavia, non potrebbe essere tutelata in giudizio. Si creerebbe, cos�, un 
vuoto di tutela per il Casellario Informatico, nonch� per la stessa AVCP, accettabile 
solamente disconoscendo l� importanza dell�istituto de quo all�interno 
del nostro ordinamento; una scelta, quest�ultima, implicante una responsabilit� 
che il Consiglio di Stato non si � voluto assumere. 
Come evidenziato nelle argomentazioni dell�Avvocatura di Stato, disconoscere 
l�importanza del Casellario Informatico non � impresa facile. Quest�ultimo 
� stato istituito presso l�Osservatorio costituito all�interno dell�AVCP, 
che � un organismo indipendente creato per vigilare sui contratti pubblici affinch� 
sia garantito il rispetto dei principi di correttezza e trasparenza nelle 
procedure di scelta del contraente, di economica ed efficiente esecuzione dei 
contratti, e delle regole della concorrenza nelle singole procedure di gara espletate. 
Tra i poteri di vigilanza attribuiti all�Autorit� vi � appunto la tenuta del 
Casellario Informatico che assolve la funzione di informare le stazioni appaltanti 
di circostanze negative riguardanti gli operatori economici partecipanti 
a pubbliche gare che influiscono sui requisiti generali e tecnici che gli aggiudicatari 
di commesse pubbliche devono possedere (6). Si tratta quindi di uno 
strumento che contribuisce a consentire la scelta del miglior contraente, nonch� 
l�efficiente esecuzione dei contratti pubblici. 
(6) Infatti, le stazioni appaltanti una volta effettuata l�aggiudicazione provvisoria provvedono al 
controllo circa il possesso dei requisiti prescritti dal Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. 163/2006); 
per la verifica ricorrono anche al Casellario Informatico.
CONTENZIOSO NAZIONALE 155 
Inoltre, si trattava di considerare le cause genetiche di un simile eventuale 
vulnus di tutela, che certamente non potevano ravvisarsi nella mancanza di 
strumenti diretti a tal fine visto che il rimedio dell�appello � un istituto portante 
del nostro sistema processual-amministrativo. La causa, allora, andava cercata 
altrove e, precisamente, nella ricostruzione degli interessi sottesi ai provvedimenti 
di segnalazione. 
Non restava quindi che percorrere la seconda, strada riconoscendo gli interessi 
propri dell�AVCP ed affermando la sua legittimazione ad impugnare le 
sentenze riguardanti i provvedimenti di segnalazione delle stazioni appaltanti. 
Infatti, si legge nella sentenza, �il Collegio ritiene che l'Autorit� per la 
vigilanza sui contratti pubblici sia legittimata a proporre appello avverso la 
sentenza del T.a.r. che abbia annullato la segnalazione della stazione appaltante 
circa i provvedimenti di esclusione di un'impresa da una gara pubblica. 
Tale segnalazione, invero, pur provenendo da una diversa Amministrazione 
(il soggetto che bandisce la gara) �, comunque, un atto strumentale e necessario 
per l'esercizio, da parte dell'Autorit� di vigilanza, di una sua specifica 
competenza provvedimentale, quella, appunto, di procedere alla relativa iscrizione 
nel Casellario informatico. Tra la segnalazione della stazione appaltante 
e la successiva iscrizione nel Casellario ad opera dell'Autorit� vi �, certamente, 
un rapporto di presupposizione, con la conseguenza che l'annullamento 
del provvedimento presupposto (l'atto di segnalazione) va ad incidere inevitabilmente 
sulla validit� del provvedimento presupponente (l'iscrizione). Il 
nesso di presupposizione che avvince questi due provvedimenti radica in capo 
all'Autorit� di vigilanza una posizione differenziata e giuridicamente rilevante, 
togliendo ogni dubbio in ordine all'esistenza di una sua legittimazione processuale 
che le consente di difendere in giudizio, anche mediante la proposizione 
di un autonomo appello, il provvedimento di segnalazione adottato dalla 
stazione appaltante�. 
In merito alla legittimazione all�impugnazione � stata cos� ritenuta irrilevante 
la circostanza che l�atto annullato provenga da altra Amministrazione 
mentre � stata prediletta l�analisi degli interessi sostanziali lesi dalla sentenza 
da impugnare. Del resto si trattava di applicare i principi generali in tema di 
interesse ad impugnare. 
In dottrina � stato sostenuto come �� il soggetto che agisce contro il giudizio 
non pu� essere che quegli che a subito, a cui carico sia stata posta la 
normativa, ossia il soccombente, che � l�unico che abbia un interesse tutelato 
a reagire, a muovere contro il giudizio, per eliminare o almeno modificare la 
normativa che ne � scaturita� (7). 
Per riconoscere la lesivit� della sentenza impugnata rispetto agli interessi 
dell�AVCP il Supremo Giudice amministrativo riconduce i provvedimenti di 
(7) TOMEI, �Legittimazione ad agire� in Enciclopedia del diritto, XXIV, Milano, 1980, 90-91.
156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
segnalazione alla categoria degli atti presupposti riconoscendo come �� tra 
la segnalazione della stazione appaltante e la successiva iscrizione nel Casellario 
ad opera dell'Autorit� vi �, certamente, un rapporto di presupposizione, 
con la conseguenza che l'annullamento del provvedimento presupposto 
(l'atto di segnalazione) va ad incidere inevitabilmente sulla validit� del provvedimento 
presupponente (l'iscrizione). Il nesso di presupposizione che avvince 
questi due provvedimenti radica in capo all'Autorit� di vigilanza una 
posizione differenziata e giuridicamente rilevante, togliendo ogni dubbio in 
ordine all'esistenza di una sua legittimazione processuale che le consente di 
difendere in giudizio, anche mediante la proposizione di un autonomo appello, 
il provvedimento di segnalazione adottato dalla stazione appaltante�. 
3. L�atto presupposto e l�atto preparatorio 
La categoria dell�atto presupposto � da tempo molto utilizzata in giurisprudenza 
per individuare quegli atti amministrativi che seppur non configurabili 
come atti conclusivi di un procedimento si distinguono dai meri atti 
preparatori. Infatti, il procedimento amministrativo non � altro che una sequenza 
di atti e operazioni, collegati tra loro, diretta alla produzione di un 
provvedimento finale produttivo di effetti giuridici. 
La giurisprudenza amministrativa si � dimostrata nel tempo sempre pi� 
sensibile alla possibilit� che non sia solamente il provvedimento finale a ledere 
eventualmente gli interessi privati, che invece possono risultare compromessi 
anche da provvedimenti intermedi del procedimento. Al fine di individuare 
quali tra gli atti intermedi possano avere una propria e immediata capacit� lesiva, 
ancor prima che si sia manifestata la capacit� lesiva del provvedimento 
finale, si � distinto, all�interno della categoria degli atti intermedi, tra atti presupposti 
e atti preparatori. 
Il primo che ha approfondito il tema in questione � stato Sandulli, secondo 
il quale gli atti preparatori sono quegli atti endoprocedimentali che inseriti all�interno 
del procedimento non hanno al di fuori di questo un�autonoma valenza 
sul piano del diritto in quanto incapaci di produrre autonomi effetti 
giuridici diversi da quelli propri del provvedimento finale. Gli atti presupposti, 
invece, sarebbero quegli atti esoprocedimentali che godono di un�autonomia 
rispetto al procedimento cui accedono, poich� oltre a condizionare il provvedimento 
finale sono funzionalmente diretti all�emanazione di distinti effetti 
giuridici (8). 
Quindi, da quegli atti meramente preparatori preordinati all�emanazione 
di un atto successivo, senza la cui esistenza non hanno ragione d�essere, si 
sono distinti gli atti definiti invece presupposti caratterizzati da una propria 
(8) SANDULLI, �Il procedimento amministrativo�, Milano, 1940, 54-56, la cui prospettiva � stata 
definita �funzionale�.
CONTENZIOSO NAZIONALE 157 
anima e funzionalmente autonomi rispetto all�atto successivo (atto presupponente) 
(9). In altri termini, mentre l�atto preparatorio risulta legato alla serie 
di atti successivi da un rapporto meramente strumentale, esclusivamente funzionale 
all�emanazione di un atto conclusivo, per cui di regola ad un atto preparatorio 
segue sempre un atto conclusivo (del procedimento), l�atto 
presupposto esplica una propria funzione e pu� estrinsecare la sua validit� sia 
autonomamente che in dipendenza dell�atto conclusivo (10). 
Ne discende che l�atto preparatorio non � in grado di ledere gli interessi 
privati colpiti dall�agire dell�Amministrazione poich� produce solamente effetti 
parziali e prodromici ai fini dell�effetto finale prodotto esclusivamente 
dall�atto conclusivo, l�unico effettivamente lesivo (11). L�atto presupposto, invece, 
ha una propria capacit� lesiva autonoma in grado di colpire immediatamente 
gli interessi di un soggetto, mentre l�atto ad esso successivo fa 
�semplicemente� sorgere e perfezionare tale stretto rapporto (12). 
Per inquadrare un atto amministrativo in una delle due categorie appena 
accennate, la giurisprudenza utilizza la prospettiva funzionale, analizzando 
proprio l�autonoma capacit� lesiva dell�atto, che difetta negli atti preparatori, 
mentre sussiste in quelli presupposti (13). 
Per tale ordine di motivi, viene riconosciuto solamente a quest�ultimi la 
possibilit� di essere immediatamente impugnabili da chi ritenga di aver subito 
da essi una lesione, senza attendere l�emanazione dell�atto conclusivo; l�atto 
preparatorio invece non pu� essere impugnato se non unitamente con l�atto 
conclusivo. 
A contrario � facilmente deducibile che se un provvedimento amministra- 
(9) Cfr. LUBRANO, �Atto amministrativo presupposto: spunti di una teorica�, Roma, 1992, 50 ss., 
che ha distinto la funzionalit� generica caratterizzante gli atti preparatori, dalla funzionalit� specifica 
propria degli atti presupposti. 
(10) Infatti, se l�atto successivo per qualsiasi motivo non viene ad esistenza, l�atto strumentale 
non ha pi� ragione d�esistere. Se, invece, l�atto presupponente non viene emesso, l�atto presupposto non 
per questo perde la sua autonomia e validit� in quanto nasce come atto gi� da s� indipendente; � l�atto 
presupponente che trova la sua giustificazione ed origine in quello precedente e che gode quindi di una 
posizione meno autonoma. 
(11) Vedi VIRGA, �Diritto amministrativo, Atti e ricorsi�, Milano, 1987, II, 315-316. Cfr. Cons. 
Stato, V, 11 gennaio 2011, n. 80 e Cons. Stato, VI, 20 ottobre 2010, n. 7586 che qualificano il provvedimento 
di aggiudicazione provvisoria come atto endoprocedimentale (rectius, preparatorio). 
(12) Esempi di atti presupposti sono i bandi di gara per l�affidamento di contratti di appalto di 
servizi, nonch� i bandi di concorso a pubblici impieghi nel caso in cui le disposizioni in essi contenute 
non permettano la partecipazione alla gara o al concorso; vedi, rispettivamente, Cfr. Cons., St. V, 8 
marzo 2011, n. 1463 e Cons., St. VI, 24 gennaio 2011, n. 456. Inoltre atto presupposto � anche il provvedimento 
di approvazione e autorizzazione del progetto esecutivo di un�opera pubblica in una procedura 
d�occupazione d�urgenza (Cons. St., IV, 10 giugno 2010, n. 3684). 
(13) Si � quindi escluso l�utilizzo della solo prospettiva �strutturale�, dominante in passato, che 
distingue gli atti preparatori da quelli presupposti in base al rilievo che solamente i primi sono necessariamente 
collocati al�interno del procedimento, mentre i secondi si trovano in una posizione autonoma 
anche se facenti parte di esso.
158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
tivo intermedio viene considerato dalla giurisprudenza autonomamente impugnabile, 
significa che quest�ultimo � stato qualificato come atto presupposto 
(14). 
Nel caso di specie il Consiglio di Stato allora non ha fatto altro che conformarsi 
all�orientamento generale che permette l�autonoma impugnazione del 
provvedimento di segnalazione (15); come del resto aveva fatto il ricorrente 
che ha provveduto all�impugnazione della sola segnalazione (16). 
4. La categoria dell� invalidit� derivata nelle due forme �ad effetti caducanti� 
e �ad effetti vizianti� 
Se a prima vista la qualificazione della segnalazione come atto presupposto 
sembra irrilevante ai fini di un�indagine circa la legittimazione processuale 
dell�AVCP, un simile giudizio muta se si valuta il regime giuridico proprio di 
tale categoria di atti, e, in particolare, le conseguenze che l�annullamento di un 
atto presupposto produce sul relativo atto presupponente, in tal caso il provvedimento 
dell�AVCP di iscrizione nel Casellario Informatico. 
Viene quindi in rilievo il fenomeno dell�invalidit� derivata relativo all�influenza 
dell�atto presupposto sulla validit� dell�atto conseguente. Si tratta di 
quel fenomeno, utilizzando le parole di Sandulli �che consiste nel fatto che un 
certo atto resti a sua volta invalidato dall�invalidit� di un atto precedente, il 
quale si poneva nei suoi confronti come presupposto� (17); in altri termini 
�l�invalidit� derivata � l�invalidit� di un atto, di per s� valido, la quale consegue 
dal fatto che esso trova il suo fondamento in un atto invalido� (18). 
L�istituto dell�invalidit� derivata riguarda sia gli atti preparatori che gli atti 
presupposti ma si atteggia in maniera diversa rispetto a tali due categorie di 
atti. 
Gli atti preparatori, come chiarito sopra, non hanno rilevanza esterna e non 
sono immediatamente lesivi per cui un loro eventuale vizio si trasmette automaticamente 
sul primo atto lesivo successivo di rilevanza esterna (19). 
In merito agli atti presupposti, invece, essendo questi autonomamente funzionali, 
direttamente lesivi e quindi immediatamente impugnabili, un loro vizio 
non pu� ripercuotersi sugli atti successivi perch� delle due l�una: o viene impugnato 
nei termini, e quindi se viziato annullato, oppure non viene tempesti- 
(14) CORSO, �Atto amministrativo presupposto e ricorso giurisdizionale�, Padova, 1990, 66-67. 
(15) Vedi Cons. St., VI, 20 luglio 2009, nn. 4504, 4505, 4506. 
(16) Oltre al provvedimento di esclusione e di incameramento della cauzione provvisoria, aspetti 
non rilevanti ai fini del presente contributo. Nel senso di qualificare il provvedimento di segnalazione 
come atto presupposto della successiva iscrizione nel Casellario Informatico vedi anche Cons. St., VI, 
23 marzo 2010, n. 1691. 
(17) SANDULLI, op. cit., 332. 
(18) CAMMEO, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1914, III, 1321. 
(19) Vedi VIRGA, �Diritto amministrativo�, Milano, 1987, II, 84.
CONTENZIOSO NAZIONALE 159 
vamente impugnato con la conseguenza che se viziato viene �sanato� (20). 
Allora, nel caso degli atti presupposti l�invalidit� derivata degli atti presupponenti 
non sar� conseguenza della trasmissione del vizio da parte dell�atto 
precedente, quanto, piuttosto, dell�annullamento di quest�ultimo (21). 
In sintesi, in caso di atti preparatori si avr� l�invalidit� derivata dell�atto 
successivo per trasmissione del vizio da parte dell�atto precedente (quindi, vizio 
non solo dell�atto preparatorio, ma anche proprio dell�atto finale); nel caso di 
atti presupposti, invece, l�invalidit� derivata dell�atto presupponente sar� causa 
dell�annullamento dell�atto presupposto. 
L�istituto dell�invalidit� derivata, inoltre, si distingue nelle due sottospecie 
dell��invalidit� caducante� e dell��invalidit� viziante�. 
L�invalidit� ad effetti caducanti si verifica quando l�annullamento dell�atto 
presupposto provoca il travolgimento automatico degli atti da esso dipendenti 
a prescindere dalla loro autonoma impugnazione giurisdizionale; l�invalidit� 
viziante invece ammette come, dall�annullamento dell�atto presupposto, derivi 
un vizio nell�atto presupponente che per� deve essere appositamente impugnato 
per ottenere un suo annullamento (22). 
Ai fini dell�individuazione degli atti presupponenti che vengono immediatamente 
travolti dall�annullamento degli atti presupposti va analizzato il legame 
tra i secondi ed i primi, o meglio il loro nesso di presupposizione. Infatti, 
l�annullamento dell�atto presupposto travolge automaticamente solo quegli atti 
successivi legati al primo da un nesso di consequenzialit� immediata, diretta e 
necessaria nel senso che l�atto successivo si pone come inevitabile conseguenza 
di quello precedente (23). 
Un cos� stretto nesso di presupposizione � stato ravvisato nella circostanza 
che l�atto precedente risulta l�unico presupposto nell�atto conseguente, ovvero 
nella maggiore vincolativit� dell�atto presupposto nei confronti nell�atto pre- 
(20) Non � perfettamente corretto parlare di effetto sanante quanto piuttosto effetto stabilizzante 
dell�efficacia dell�atto. Riprova che l�invalidit� dell�atto non viene meno con il decorso dei termini di 
impugnazione � la possibilit� da parte della P.A. di ricorrere all�annullamento in via di autotutela. Resta 
salva, comunque, l�impugnazione dell�atto presupponente per vizi suoi propri, non derivategli dall�atto 
presupposto. 
(21) L�atto presupponente sar� quindi invalido perch� emesso in difetto dell�atto presupposto. 
Cos� GRECO, �La trasmissione dell�antigiuridicit� (dell�atto amministrativo illegittimo)�, in Dir. Proc. 
Amm., n. 2/2007, 327-330. 
(22) La ratio degli effetti caducanti dell�invalidit� derivata va ravvisata nell�esigenza di giustizia 
e nel rispetto dei diritti del cittadino e della tutelabilit� delle sua posizione giuridiche. L�istituto de quo, 
infatti, offre una garanzia al ricorrente evitando di pregiudicare la tutela delle sue situazioni giuridiche 
solo per il fatto che al momento dell�impugnazione di un atto non si � poi provveduto, per un qualsiasi 
motivo, ad impugnare l�atto ad esso conseguente. Vedi Cons. Stato, Ad. Pl., n. 4 del 1970 tra le prime 
sentenze ad occuparsi del tema in esame. 
(23) Cons. St., V, 25 agosto 2011, n. 4805; Cons. St., V, 25 novembre 2010, n. 8243; Cons. St., I, 
30 aprile 2010, n. 1969; Cons. St., VI, 23 ottobre 2007, n. 5559. Cfr. DETTORI, Il rapporto di presupposizione 
nel diritto amministrativo, Napoli, 2006, 122, il quale distingue tra funzionalit� debole e forte 
per affermare l�operativit� degli effetti caducanti solo nel secondo caso.
160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
supponente (24). 
Orbene, applicando tali rilievi giurisprudenziali non vi � dubbio che tra 
il provvedimento di segnalazione e la successiva iscrizione nel Casellario Informatico 
vi sia un nesso di presupposizione particolarmente intenso, o meglio, 
particolarmente intimo in quanto il primo costituisce presupposto unico del 
secondo. Del resto, il Supremo Giudice Amministrativo quando ha definito il 
provvedimento di segnalazione come �atto strumentale e necessario� rispetto 
al provvedimento di iscrizione nel Casellario Informatico non ha fatto altro 
che riscontrare il nesso particolarmente �intimo� tra i due provvedimenti. 
Il Consiglio di Stato, allora, ha preso in considerazione questo stretto legame 
tra i due provvedimenti di esclusione e di segnalazione per evidenziare 
la lesione che l�AVCP subisce per effetto di una sentenza di annullamento del 
secondo (25). 
Infatti, a seguito di una simile sentenza vengono colpiti da invalidit� derivata 
ad effetti caducanti i relativi provvedimenti di iscrizione dell�Autorit� 
di vigilanza che vede cos� leso non solo il proprio potere di iscrizione, ma, pi� 
in generale, il proprio potere - dovere di corretta tenuta dello stesso Casellario. 
Sono queste le considerazioni che hanno permesso al Supremo Consesso di 
rilevare come �� dall'annullamento giurisdizionale del provvedimento di segnalazione 
deriva, infatti, un ostacolo giuridico all'esercizio del potere di iscrizione 
nel Casellario informatico. E l'Autorit�, che di tale potere di iscrizione 
� titolare, ha senz'altro un interesse giuridicamente rilevante alla rimozione 
di quell'ostacolo, al fine di poter curare l'interesse pubblico, particolare e concreto, 
in vista del quale la legge le attribuisce il potere di iscrizione�. 
5. La portata generale della sentenza 
A tal punto risulta necessario rappresentare le conseguenze che discendono 
da tale pronuncia. 
In primo luogo, va evidenziato che riconoscere la lesivit� di un�eventuale 
pronuncia di annullamento di un provvedimento di segnalazione nella sfera 
d�interessi dell�AVCP, significa attribuire necessariamente a quest�ultima la 
qualit� di controinteressato nei giudizi riguardanti tali atti amministrativi. 
Del resto, gi� il Consiglio di Stato, nella gi� citata sentenza Ad. Pl. n. 4 
del 1970, aveva evidenziato come nel caso dell�annullamento degli atti presupposti 
si pone un problema di integrazione del contraddittorio nei confronti 
dei soggetti i cui interessi sostanziali, direttamente toccati dai soli provvedi- 
(24) Tra le altre Cons. St., V, 7 febbraio 2000, n. 672. 
(25) �� � evidente che l'annullamento giurisdizionale della segnalazione della stazione appaltante 
incide sul potere dell'Autorit� appellante, impedendone ab origine l'esercizio. Annullando la segnalazione 
di un provvedimento di esclusione legittimamente adottato, il T.a.r., infatti, accerta, ex ante, 
che non vi sono i presupposti per l'esercizio del potere di iscrizione da parte dell'Autorit� per la vigilanza 
sui contratti pubblici, la quale, quindi, � il soggetto maggiormente inciso da tale decisione�.
CONTENZIOSO NAZIONALE 161 
menti consequenziali, �potrebbero essere coinvolti, sia pure sotto il profilo 
dell�illegittimit� derivata (di tali comportamenti), dall�eventuale annullamento 
dell�atto presupposto� (26). 
Peraltro, non sembrano esserci dubbi circa la qualificazione di controinteressata 
all�AVCP, se per controinteressato va inteso colui che dal provvedimento 
impugnato ha tratto un vantaggio e che quindi ha interesse a partecipare 
al giudizio al fine di conservarlo (27). Nel caso dell�Autorit� di vigilanza, inoltre, 
sussiste tanto l�elemento sostanziale, quanto l�elemento formale richiesti 
dalla giurisprudenza per la qualit� di controinteressato: elemento sostanziale 
dato dalla titolarit� di un interesse qualificato alla conservazione dell�atto impugnato, 
ed elemento formale, consistente nell�indicazione nominativa del 
soggetto nel provvedimento impugnato, ovvero nell�agevole individuazione 
aliunde (28). 
Infatti, va rilevato, come gi� chiarito sopra, che l�interesse dell�AVCP alla 
conservazione del provvedimento di segnalazione sorge in quanto da quest�ultimo 
dipende la possibilit� di esercizio del proprio potere di vigilanza, nonch� 
la stessa corretta tenuta del Casellario Informatico. Nessun dubbio, infine, 
sulla presenza del requisito formale dato che il provvedimento di segnalazione 
� espressamente inviato all�Autorit� che quindi risulta nominativamente indicata 
nello stesso. 
In secondo luogo, va evidenziata la portata generale del principio appena 
affermato dal Consiglio di Stato, il quale andr� applicato in tutti i casi in cui 
si discuta giudizialmente della legittimit� di atti amministrativi presupposti. 
In altri termini tutte le volte in cui un provvedimento amministrativo adottato 
da un qualsiasi soggetto pubblico influisce sulla sfera d�interessi di altre 
Amministrazioni, quest�ultime sono legittimate ad intraprendere le pi� opportune 
iniziative giurisdizionali. 
� evidente come in simili casi assuma rilievo centrale la circostanza che 
l�Amministrazione, diversa da quella che ha adottato il provvedimento contestato, 
abbia rispetto ad esso un interesse �personale e concreto�. 
Infatti, il Supremo Consesso ha chiarito come i soggetti pubblici non possono 
difendere la legittimit� di qualsiasi atto amministrativo semplicemente 
sulla base della loro qualit� di Pubblica Amministrazione, come se fossero titolari 
di un astratto interesse generale alla legalit� dell�agire pubblico, bens� 
possono agire alla tutela di quegli interessi pubblici particolari e concreti che 
sono chiamati a perseguire, ed in vista dei quali l�ordinamento gli attribuisce il 
(26) Cfr. Tar Lazio, Roma, III, 10 luglio 2002, n. 6257; Cons. St., VI, 30 ottobre 2001, n. 5677, 
in cui � stato sottolineato come tale necessit� non sia venuta meno con l�introduzione nel processo amministrativo 
del rimedio dell�opposizione di terzo, che ha, piuttosto, dimostrato la necessit� di meccanismi 
preventivi di partecipazione che evitino conflitti risolvibili solamente con l�opposizione di terzo. 
(27) GAROFOLI, FERRARI, �Manuale di diritto amministrativo�, Nel diritto Editore, 2010, 1851. 
(28) Vedi tra le altre Cons. St., VI, 3 agosto 2010, n. 5145.
162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
potere amministrativo. 
Nel caso di specie, infatti, � stata affermata la legittimazione dell�AVCP 
poich� � stato riconosciuto come il provvedimento di segnalazione incida sul 
�� potere amministrativo specificamente attribuito all'Autorit� di vigilanza 
per la cura di un interesse pubblico particolare e concreto: quello di assicurare, 
tramite l'aggiornamento del Casellario informatico, la conoscibilit� delle notizie 
che possono incidere sulla corretta conduzione delle procedure di affidamento 
dei contrati pubblici �. 
In altre parole, quindi, �� l'Amministrazione, quando ritiene che quegli 
interessi pubblici particolari siano ostacolati o compromessi, pu� senz'altro 
intraprendere le opportune iniziative giurisdizionali ritenute opportune o necessarie 
alla loro difesa. Pu� ad esempio costituirsi in giudizio per difendere 
la legittimit� di atti che essa stesso ha adottato (ed � questa l'ipotesi normale, 
in cui � in contestazione proprio il provvedimento emanato al fine di soddisfare 
l'interesse pubblico); ma pu� anche intraprendere iniziative giurisdizionali per 
difendere la legittimit� di provvedimenti adottati da altri soggetti pubblici, nei 
casi in cui l'annullamento di tali provvedimenti possa avere l'effetto di impedire 
l'esercizio del potere di cui � titolare. In entrambi i casi, la legittimazione e 
l'interesse all'iniziativa giurisdizionale derivano dalla necessit� di curare, 
anche nel processo, l'interesse pubblico particolare alla cui cura quella Pubblica 
Amministrazione � preposta�. 
Una simile statuizione risulta essere una presa atto della complessa struttura 
e natura del procedimento amministrativo; quest�ultimo non � pi� lo strumento 
con cui la singola Amministrazione provvede al raggiungimento e alla 
cura degli esclusivi e particolari interessi pubblici di cui risulta titolare. L�attivit� 
amministrativa � ormai molto pi� complessa del passato ed � spesso opera 
della sinergia di soggetti pubblici e privati; di tale complessit� ne sono espressione 
i vari istituti della partecipazione, degli accordi di programma, delle intese. 
Sempre pi� spesso un pubblico interesse non pu� che essere soddisfatto 
attraverso il necessario coordinamento di diversi soggetti pubblici, le cui attivit�, 
da esplicarsi secondo il principio di leale collaborazione, risultano strumentali, 
collegate e funzionali al raggiungimento di quell�unico interesse. 
Ne deriva che ai fini dell�individuazione del soggetto/i legittimato/i alla 
tutela dei singoli provvedimenti amministrativi non pu� essere sufficiente il 
criterio di titolarit� formale del potere di adozione degli stessi poich�, sempre 
pi� di frequente, quest�ultimi sono strumentali, funzionali al perseguimento di 
un interesse pubblico per il perseguimento del quale l�ordinamento ha disposto 
una pluralit� di soggetti pubblici. Quindi, non va valutata soltanto la titolarit� 
del potere di adozione del provvedimento, ma soprattutto quanto piuttosto la 
titolarit� dell�interesse che lo stesso persegue. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 163 
6. Una differente soluzione interpretativa 
Si � appena visto come nella sentenza in esame si sia evitato il vulnus di 
tutela per l�AVCP, e conseguentemente per la stessa tenuta del Casellario Informatico, 
riconoscendo alla stessa la legittimazione ad impugnare (nonch� la 
legittimazione ad intraprendere le opportune iniziative giurisdizionali) i provvedimenti 
di segnalazione delle stazioni appaltanti. Riconoscimento reso possibile 
dalla ricostruzione del nesso di presupposizione tra il provvedimento di 
segnalazione e il successivo provvedimento di iscrizione. 
Centrale per la pronuncia in favore dell�AVCP � stato, quindi, il rilievo 
dell�invalidit� derivata ad effetti caducanti con cui vengono travolti gli atti di 
iscrizione nel Casellario Informatico a seguito dell�annullamento degli atti di 
segnalazione da parte delle stazioni appaltanti. 
Il medesimo risultato poteva essere raggiunto percorrendo un�altra strada, 
nel senso di negare il carattere di atto presupposto ai provvedimenti di segnalazione. 
In questo senso si � orientata una pronuncia del T.a.r. Toscana in cui il giudice 
amministrativo locale ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo, 
quanto all�impugnazione del provvedimento di segnalazione, dopo aver disconosciuto 
l�autonoma lesivit� di quest�ultimo (29). 
Nella motivazione si legge che �� la segnalazione non ha di per s� valore 
lesivo, poich� il periodo di interdizione dalla partecipazione alle gare per l'affidamento 
di contratti pubblici inizia con l'iscrizione nel Casellario. E' quindi 
tale ultimo atto che comporta l'origine di una situazione lesiva per l'interessato. 
La segnalazione avvia il procedimento per l'iscrizione del fatto, ma l'Autorit� 
dispone poi di un potere valutativo sulla sua rilevanza ai fini dell'iscrizione e 
la sussistenza del medesimo e deve pertanto esaminare eventuali elementi a discarico, 
che l'interessato ha diritto di presentare�. 
In tal modo, il provvedimento di segnalazione � stato qualificato come atto 
preparatorio e non presupposto in quanto sarebbe strettamente funzionale all�adozione 
dell�atto finale dell�iscrizione, l�unico effettivamente lesivo degli 
interessi privati. Del resto, utilizzando i risultati prodotti dall�elaborazione dottrinale 
circa la distinzione tra atti preparatori e atti presupposti, sorgono dei 
dubbi circa la qualifica di atto presupposto al provvedimento di segnalazione; 
quest�ultimo non sembra avere una propria ragione di esistere indipendente dal 
successivo atto di iscrizione, che anzi risulta a questo strettamente funzionale. 
Se per una ragione qualsiasi l�iscrizione nel Casellario non dovesse verificarsi 
la segnalazione non produrrebbe nessun effetto giuridico se non quello, esau- 
(29) Si tratta della sentenza del T.a.r. Toscana, Firenze, n. 1264 del 20 luglio 2011, quasi contemporanea 
a quella del Consiglio di Stato sopra commentata. Anche in questa controversia il ricorrente 
escluso da una gara di appalto aveva impugnato il provvedimento di esclusione, quello di segnalazione 
dell�accaduto all�AVCP, nonch� il provvedimento di escussione della garanzia. 
164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
rito, di aver avviato il procedimento dinnanzi all�Autorit� di Vigilanza. 
Il procedimento dinnanzi all�AVCP, infatti, non pu� pi� essere qualificato 
come meramente consequenziale rispetto alla segnalazione delle stazioni appaltanti, 
come se l� Autorit� una volta ricevuta l�informazione della circostanza 
da iscrivere provvedesse sic et sempliciter all�annotazione della stessa nel Casellario. 
Come chiarito anche dallo stesso Consiglio di Stato l�AVCP �� procede 
alla puntuale e completa annotazione dei contenuti nel casellario 
informatico, �salvo il caso che consti l�inesistenza in punto di fatto dei presupposti 
o comunque l�inconferenza della notizia comunicata dalla stazione 
appaltante� (30). 
L�Autorit� di Vigilanza, quindi, dopo aver ricevuto un provvedimento di 
segnalazione, compie un� autonoma valutazione in merito alla legittimazione e 
all�inconferenza di una eventuale iscrizione della circostanza segnalata. 
Inoltre, al fine di garantire un contraddittorio con gli operatori economici 
esclusi con le determinazioni n. 1/2008 e 1/2010 l� Autorit� di Vigilanza si � 
dotata di regole speciali in ordine alla partecipazione procedimentale degli interessati 
(31). 
Se dunque, come sembra, l�atto di segnalazione non configura un atto presupposto, 
bens� preparatorio, in quanto non immediatamente lesivo, allora, il 
privato che si ritenga leso dall�iscrizione nel Casellario Informatico avr� l�onere 
di impugnare il provvedimento dell�AVCP congiuntamente a quello di segnalazione 
delle stazioni appaltanti se non vorr� una statuizione del tipo �� tali 
considerazioni rendono pertanto priva di interesse la decisione del ricorso in 
ordine all'impugnazione della segnalazione all'Autorit�, �� (32). 
Del resto, riconosciuta la qualit� di atto meramente preparatorio al provvedimento 
di segnalazione un suo eventuale annullamento determinerebbe un� 
invalidit� solamente viziante del successivo atto di iscrizione per cui un�eventuale 
pronuncia d�annullamento del primo non farebbe conseguire alcuna utilit� 
(30) Tra le prime vedi Cons. Stato, sez. VI, 4 agosto 2009, nn. 4906, 4905 e 4907, richiamate da 
Cons. Stato, sez. VI, 5 luglio 2010, n. 4243. 
(31) In particolare la determinazione n. 1/2010 nell�allegato ha chiarito che �� una volta acquisita 
la segnalazione, idoneamente integrata con gli allegati richiesti, l'Autorit� dispone l'avvio del procedimento, 
dandone comunicazione ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale � destinato a 
produrre effetti diretti e alla Stazione Appaltante. 
Nella comunicazione di avvio del procedimento saranno almeno indicati: 
� l'oggetto del procedimento; 
� il termine per l'invio di eventuali memorie e documentazione allegata, nonch� per eventuali controdeduzioni; 
� l'ufficio presso cui � possibile avere accesso agli atti del procedimento; 
� il responsabile del procedimento; 
� il termine di conclusione del procedimento; 
� l'indicazione di un referente, con i relativi contatti, per eventuali richieste di chiarimenti o comunicazioni 
successive�. 
(32) Cos� sempre T.a.r. Toscana, Firenze, n. 1264 del 20 luglio 2011.
CONTENZIOSO NAZIONALE 165 
al ricorrente che abbia impugnato solo quest�ultimo: da qui l�inammissibilit� 
del ricorso. 
Anche a seguito di questa interpretazione risultano tutelati gli interessi 
dell�AVCP, la quale nel giudizio cos� instaurato potr� difendere la legittimit� 
dell�iscrizione nonch� del provvedimento di segnalazione. E soprattutto, non 
potranno pi� verificarsi casi simili a quello avvenuto nella controversia oggetto 
della sentenza in esame perch� eventualmente il giudice amministrativo provveder� 
ad annullare, per invalidit� derivata, il provvedimento di iscrizione nel 
Casellario Informatico; nessun dubbio, a questo punto, circa la legittimazione 
ad impugnare la sentenza del giudice amministrativo territoriale. 
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 13 giugno 2011 n. 3567 - Pres. f.f. De Nictolis, 
Est. Giovagnoli - Autorit� vigilanza contratti pubblici servizi e forniture (avv. St. Caselli) c. 
Gruppo Simet srl (avv.ti Carozzo e Pafundi). 
(Omissis) 
FATTO e DIRITTO 
1. Viene in decisione l�appello proposto dall�Autorit� per la vigilanza sui contratti pubblici 
per ottenere la riforma della sentenza, di estremi indicati in epigrafe, nella parte in cui ha annullato 
il provvedimento con cui Iride Servizi s.p.a. (stazione appaltante), dopo aver revocato 
l�aggiudicazione provvisoria della gara d�appalto per il servizio di manutenzione impianti di 
sollevamento del Comune di Torino, gi� disposta a favore di Simet, aveva inviato all�Autorit� 
di vigilanza una segnalazione a carico di quest�ultima al fine della successiva iscrizione nel 
Casellario informatico. 
Oggetto del presente giudizio � dunque la decisione del T.a.r. limitatamente alla parte in cui 
ha annullato la segnalazione operata da Iride Servizi s.p.a. all�Autorit� di vigilanza. 
Da tale segnalazione era seguita, nelle more del giudizio di primo grado, un�annotazione sul 
Casellario informatico degli operatori economici, successivamente cancellata dall�Autorit� 
in esito alla sentenza del T.a.r. Piemonte, oggi appellata. 
2. Si � costituita in giudizio la societ� Simet, eccependo, in via pregiudiziale, l�inammissibilit� 
dell�appello, per difetto di legittimazione e difetto di interesse, e deducendone, comunque, 
l�infondatezza nel merito. 
3. L�appello merita accoglimento. 
4. Devono preliminarmente respingersi le eccezioni di inammissibilit� dell�appello (per difetto 
di legittimazione e interesse) sollevate dalla societ� resistente. 
Il Collegio ritiene che l�Autorit� per la vigilanza sui contratti pubblici sia legittimata a proporre 
appello avverso la sentenza del T.a.r. che abbia annullato la segnalazione della stazione appaltante 
circa i provvedimenti di esclusione di un�impresa da una gara pubblica. 
Tale segnalazione, invero, pur provenendo da una diversa Amministrazione (il soggetto che 
bandisce la gara) �, comunque, un atto strumentale e necessario per l�esercizio, da parte dell�Autorit� 
di vigilanza, di una sua specifica competenza provvedimentale, quella, appunto, di 
procedere alla relativa iscrizione nel Casellario informatico. 
4.1. Tra la segnalazione della stazione appaltante e la successiva iscrizione nel Casellario ad 
opera dell�Autorit� vi �, certamente, un rapporto di presupposizione, con la conseguenza che
166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
l�annullamento del provvedimento presupposto (l�atto di segnalazione) va ad incidere inevitabilmente 
sulla validit� del provvedimento presupponente (l�iscrizione). 
Il nesso di presupposizione che avvince questi due provvedimenti radica in capo all�Autorit� 
di vigilanza una posizione differenziata e giuridicamente rilevante, togliendo ogni dubbio in 
ordine all�esistenza di una sua legittimazione processuale che le consente di difendere in giudizio, 
anche mediante la proposizione di un autonomo appello, il provvedimento di segnalazione 
adottato dalla stazione appaltante. 
Dall�annullamento giurisdizionale del provvedimento di segnalazione deriva, infatti, un ostacolo 
giuridico all�esercizio del potere di iscrizione nel Casellario informatico. E l�Autorit�, 
che di tale potere di iscrizione � titolare, ha senz�altro un interesse giuridicamente rilevante 
alla rimozione di quell�ostacolo, al fine di poter curare l�interesse pubblico, particolare e concreto, 
in vista del quale la legge le attribuisce il potere di iscrizione. 
4.2. N� si pu� obiettare che in questo modo il processo amministrativo diventi uno strumento 
a tutela di un astratto interesse alla legittimit� dell�azione amministrativa. 
Nel caso di specie, infatti, l�Autorit� di vigilanza non agisce a tutela di un astratto interesse 
pubblico. Al contrario, essa si fa portatrice di un interesse che certamente � pubblico, ma che, 
a livello processuale, si traduce in un interesse �personale� e �concreto�. 
Si tratta, infatti, dell�interesse al corretto esercizio del potere amministrativo specificamente 
attribuito all�Autorit� di vigilanza per la cura di un interesse pubblico particolare e concreto: 
quello di assicurare, tramite l�aggiornamento del Casellario informatico, la conoscibilit� delle 
notizie che possono incidere corretta conduzione delle procedure di affidamento dei contrati 
pubblici. 
4.3. Sotto questo profilo, � evidente la differenza che esiste tra la legittimazione e l�interesse 
del privato ricorrente e quella del soggetto pubblico titolare del potere. Mentre il primo, eccettuate 
le ipotesi tassative di azione popolare, pu� agire in giudizio solo a tutela di interessi 
�privati�, la Pubblica Amministrazione agisce, anche in tramite gli strumenti processuali, a 
tutela di interessi pubblici, che non sono per� astratti interessi alla legalit�, ma quegli interessi 
pubblici particolari e concreti che essa, di volta in volta, � chiamata a perseguire, ed in vista 
dei quali l�ordinamento le attribuisce il potere amministrativo. 
Ne discende che l�Amministrazione, quando ritiene che quegli interessi pubblici particolari 
siano ostacolati o compromessi, pu� senz�altro intraprendere le opportune iniziative giurisdizionali 
ritenute opportune o necessarie alla loro difesa. Pu� ad esempio costituirsi in giudizio 
per difendere la legittimit� di atti che essa stessa ha adottato (ed � questa l�ipotesi normale, in 
cui � in contestazione proprio il provvedimento emanato al fine di soddisfare l�interesse pubblico); 
ma pu� anche intraprendere iniziative giurisdizionali per difendere la legittimit� di 
provvedimenti adottati da altri soggetti pubblici, nei casi in cui l�annullamento di tali provvedimenti 
possa avere l�effetto di impedire l�esercizio del potere di cui � titolare. In entrambi 
i casi, la legittimazione e l�interesse all�iniziativa giurisdizionale derivano dalla necessit� di 
curare, anche nel processo, l�interesse pubblico particolare alla cui cura quella Pubblica Amministrazione 
� preposta. 
4.4. Nel caso di specie � evidente che l�annullamento giurisdizionale della segnalazione della 
stazione appaltante incide sul potere dell�Autorit� appellante, impedendone ab origine l�esercizio. 
Annullando la segnalazione di un provvedimento di esclusione legittimamente adottato, 
il T.a.r., infatti, accerta, ex ante, che non vi sono i presupposti per l�esercizio del potere di 
iscrizione da parte dell�Autorit� per la vigilanza sui contratti pubblici, la quale, quindi, � il 
soggetto maggiormente inciso da tale decisione. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 167 
4.5. L�appello, in definitiva, deve ritenersi ammissibile. 
5. Nel merito l�appello � fondato. 
Nel caso di specie, la stazione appaltante (Iride s.p.a.) ha escluso dalla gara la Gruppo Simet 
s.r.l. per la mancata dichiarazione � da parte dell�impresa concorrente � di una sentenza definitiva 
di condanna riguardante il legale rappresentante dell�impresa. 
5.1. Il T.a.r. ha annullato la segnalazione richiamando l�orientamento giurisprudenziale secondo 
cui �l�irrogazione della triplice sanzione (esclusione dalla gara, escussione della cauzione 
provvisoria, segnalazione all�Autorit� di vigilanza) si riferisce alle sole irregolarit� 
accertate, con riferimento ai requisiti di ordine speciale di cui all�art. 48 del d.lgs. n. 
163/2006, e non anche a quelle relative ai requisiti di ordine generale ex art. 38, essendo 
queste ultime sanzionabili solo con l�esclusione dalla gara�. 
5.2. Tale indirizzo giurisprudenziale non merita, tuttavia, condivisione. 
Come pi� volte riconosciuto da questo Consiglio di Stato, la segnalazione all'Autorit� va fatta 
non solo nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a 
campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale, trattandosi 
di esclusione idonea a segnalare una circostanza di estrema rilevanza per la corretta conduzione 
delle procedure di affidamento dei lavori pubblici (Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2004 n. 
5792; Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2007 n. 554; Cons. St., sez. VI, 4 agosto2009, n. 4905). 
5.3. Non rileva, peraltro, che con riferimento alla condanna non dichiarata sia stato successivamente 
ottenuto, da parte del legale rappresentante di Simet (signor ...), il provvedimento di 
riabilitazione, con ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Torino 7 luglio 2010, n. 885. 
L�ordinanza di riabilitazione �, infatti, successiva sia all�adozione del provvedimento di esclusione, 
sia alla contestata segnalazione, e non pu� pertanto essere presa in considerazione per 
negare la legittimit� dell�operato della stazione appaltante. 
E� al contrario incontestabile che nel caso di specie la societ� odierna resistente abbia omesso 
di dichiarare, pur in presenza di una lex specialis che richiedeva ai partecipanti di menzionare 
tutte le condanne riportate (ivi comprese quelle assistite dalla non menzione nel certificato 
del casellario giudiziario), una condanna penale a carico del legale rappresentante, condanna, 
peraltro, di non trascurabile gravit� (trattandosi di condanna per omicidio colposo, aggravato 
dalla violazione di norme volte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro). 
Il successivo provvedimento di riabilitazione non incide, quindi, n� sulla legittimit� dell�esclusione 
(ormai peraltro coperta dal giudicato), n� sulla legittimit� della successiva segnalazione 
all�Autorit� di vigilanza. 
6. Alla luce delle considerazioni che precedono, l�appello va, dunque, accolto e, per l�effetto, 
in parziale riforma della sentenza impugnata, deve respingersi il ricorso di primo grado, nella 
parte in cui ha chiesto l�annullamento dell�atto di segnalazione all�Autorit� per la vigilanza 
sui lavori pubblici del provvedimento di esclusione della societ� Gruppo Simet s.n.c. 
La complessit� e la parziale novit� delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle 
spese del doppio grado di giudizio. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando 
sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l�effetto, in parziale riforma della 
sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado. 
Spese del doppio grado compensate. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2011. 
P A R E R I D E L 
C O M I TAT O C O N S U LT I V O 
Rapporti tributari tra Stato e Regioni. Cessioni di beni da parte di un ente 
regione all�appaltatore come parte del corrispettivo di pagamento: imponibilit� 
della cessione* 
(...) Nella fattispecie che occupa, la Regione Molise ha stipulato un contratto 
di appalto con l'impresa ..., avente ad oggetto l'esecuzione di lavori urgenti 
di manutenzione idraulica del fiume Trigno. 
Ai sensi dell'art. 2 del contratto in parola, parte del corrispettivo, per euro 
347.490,00, � stato compensato mediante cessione di materiale litoide. La restante 
parte, per euro 9.935,00, � stata compensata mediante pagamento. 
Oggetto della consultazione � se, nel caso di specie, la cessione del materiale 
litoide debba essere assoggettata a Iva. 
La soluzione da darsi alla fattispecie concreta che occupa � la seguente. 
Premesso l'ovvio rilievo che � fuori discussione la natura pubblica dell'ente 
Regione Molise, � appena da rammentare che la normativa sull'IVA distingue 
tra enti pubblici che abbiano per oggetto esclusivo o principale 
l'esercizio di attivit� commerciali od agricole (art. 4, secondo comma, del 
d.P.R. n. 633 del 1972) ed enti pubblici che non abbiano tale oggetto esclusivo 
o principale (art. 4, quarto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972). 
Come parimenti ben noto, nel primo caso, le cessioni di beni e le prestazioni 
di servizi si considerano effettuate in ogni caso nell'esercizio di imprese 
(con conseguente ascrizione dell'ente tra i soggetti passivi dell'IVA); nel secondo 
caso, si considerano effettuate nell'esercizio di impresa (con conseguente 
ascrizione dell'ente tra i soggetti passivi dell'iva limitatamente a tale 
aspetto funzionale) solo le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte (occasionalmente) 
nell'esercizio di attivit� commerciali o agricole. 
A sua volta, l'art. 4 quarto comma, considera imponibili a fini IVA "le 
(*) Parere del 16 maggio 2011 prot. 163648, AL 48321/10, avv. DIEGO GIORDANO.
170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell'esercizio di attivit� commerciali 
o agricole" nonch� "le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai 
soci, associati e partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di 
contributi supplementari ... ad esclusione di quelle effettuate in conformit� 
alle finalit� istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, 
religiose, ecc.". 
Logica conseguenza di tale assetto � che l'assoggettabilit� ad Iva della 
cessione del materiale, da parte della Regione, deve risultare da un'attivit�, 
ancorch� occasionale, ma "organizzata in forma di impresa", posta in essere 
dall'Ente. 
Giova adesso rammentare che la giurisprudenza della Suprema Corte, in 
relazione all'art. 4 del DPR 633 del 1972, ha definito l'esercizio di impresa 
come esercizio abituale, ancorch� non esclusivo di attivit� commerciali o agricole, 
nel generale contesto dei principi dettati dagli artt. 2135 e 2195 c.c., attivit� 
dunque continuative e stabili, e pertanto non ravvisabili rispetto ad atti 
isolati di produzione o commercio (Cass. 1987/84; 12007/93; 2021/96; 
3406/96; 10430/2001; da ultimo, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13999 del 22 settembre 
2003, secondo la quale "In tema di IVA, ai sensi dell'art. 4 del d.P.R. 
26 ottobre 1972, n. 633, sono imponibili solo le cessioni di beni e le prestazioni 
di servizi fatte nell'esercizio di attivit� commerciali o agricole, e, nell'ambito 
delle attivit� commerciali, rientrano solo quelle, ancorch� occasionali, che 
siano svolte in forma di impresa, i cui requisiti, la professionalit� e l'abitualit�, 
esigono il carattere continuativo e stabile dell'attivit� imprenditoriale, ai sensi 
degli artt. 2135 e 2195 cod. civ., non ravvisabili in riferimento ad atti isolati 
di produzione e commercio, quali vengano ritenuti secondo l'incensurabile 
accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito; in applicazione di tale 
principio, la Corte ha mandato immune da censure l'accertamento compiuto 
dalle Commissioni tributarie che avevano ritenuto occasionale e non assoggettabile 
ad IVA, e dunque non resa nell'esercizio di una attivit� imprenditoriale, 
la cessione di materiali di cava da parte di un Comune ad una impresa, 
che procedeva alla realizzazione di una vasca di depurazione commissionata 
dallo stesso Comune"). 
La sentenza da ultimo citata (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13999 del 22 settembre 
2003) apre la via alla necessit� dell'accertamento in concreto dell'attivit� 
espletata dalla Regione nel caso che occupa (giova qui osservare che, in 
ordine alla necessit� di un�indagine concreta, peraltro rimessa, in caso di giudizio, 
alla insindacabile valutazione del giudice di merito, la giurisprudenza 
della Suprema Corte � assolutamente costante). 
Almeno per quanto � in atti, non risulta che la cessione del materiale litoide 
sia oggetto di attivit� continuativa da parte della Regione Molise, venendo 
in rilievo piuttosto, nella specie, il mero pagamento di un corrispettivo 
all'appaltatore nell'ambito di un isolato contratto di appalto.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 171 
Dunque, sembra potersi sostenere che, nella fattispecie concreta che occupa, 
si sia in presenza di una attivit� isolata e che la cessione non sia quindi 
soggetta a Iva. 
Viceversa, deve osservarsi che � soggetto a Iva l'intero compenso 
(357.425,00 euro) spettante all'appaltatore (previsto, cio�, dall'articolo 2 del 
contratto). 
Vero � infatti che, come detto, la cessione del materiale costituisce un 
vero e proprio pagamento del corrispettivo. 
Nella figura contrattuale in esame, invero, il materiale in questione viene 
in rilievo solo come modalit� di quantificazione di parte del corrispettivo da 
corrispondersi dalla committente all'appaltatore a fronte delle prestazioni rese 
da quest'ultimo, il cui importo totale �, tra l'altro, espresso in euro, cos� come 
� espresso in euro il valore del materiale litoide stesso. 
Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo che si � espresso in 
conformit�. 
Riduzione dell�importo - a seguito di pronuncia giurisdizionale - di sanzioni 
pecuniarie irrogate dall�Autorit� Garante della concorrenza e del mercato: 
modus procedendi nella restituzione* 
Con la richiesta di parere che si riscontra codesta Amministrazione richiama 
la disposizione di cui all�art. 9 del DL 207/08 conv. in L. 14/09, secondo 
cui �Il termine per il pagamento delle sanzioni amministrative 
pecuniarie previste dai decreti legislativi 2 agosto 2007, n. 145, e 2 agosto 
2007, n. 146, irrogate nell'anno 2008 dall'Autorit� garante della concorrenza 
e del mercato, � prorogato di trenta giorni. Gli importi da pagare per le suddette 
sanzioni, anche irrogate negli anni successivi, sono versati fino all'importo 
di 50.000 euro per ciascuna sanzione, sul conto di tesoreria intestato 
all'Autorit�, da destinare a spese di carattere non continuativo e non obbligatorio; 
la parte di sanzione eccedente il predetto importo � versata al bilancio 
dello Stato per le destinazioni previste dalla legislazione vigente. L'importo 
di 50.000 euro pu� essere ridotto o incrementato ogni sei mesi con decreto 
del Presidente del Consiglio dei Ministri, avente natura non regolamentare, 
in relazione a specifiche esigenze dell'Autorit��. 
La situazione specifica prospettata � quella in cui, a seguito di impugnazione 
in sede giurisdizionale del provvedimento dell�Autorit� con cui � stata 
irrogata la sanzione, il TAR, in accoglimento totale o parziale delle censure 
mosse dal ricorrente, ridetermina in senso riduttivo l�importo a carico del sog- 
(*) Parere del 16 maggio 2011 prot. 163604, AL 15475/11, avv. BARBARA TIDORE.
172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
getto sanzionato. 
Rappresenta al riguardo codesta Amministrazione che in tali casi, secondo 
una consolidata prassi dell�Autorit�, la restituzione degli importi avviene tenendo 
conto del limite quantitativo previsto dal citato art. 9 per quanto attiene 
all�incameramento. 
Pi� precisamente, qualora l�importo (ridotto) risultante dalla sentenza ecceda 
la somma di euro 50.000, la quota parte da restituire viene posta a carico 
del bilancio dello Stato, mentre l�Autorit� restituisce la quota di propria competenza 
solo se la somma finale sia inferiore a euro 50.000 e fino a concorrenza 
di tale ammontare. 
Viene pertanto richiesta una valutazione della correttezza di tale modus 
procedendi, sul presupposto che la fase della restituzione non trova disciplina 
in puntuali disposizioni di legge. 
In proposito si osserva che, per una ricostruzione possibilmente completa 
della disciplina rilevante, la disposizione menzionata nella nota in riferimento 
non sembra potersi leggere disgiuntamente da quella contenuta nell�art. 148 
della L. 388/00 (�Utilizzo delle somme derivanti da sanzioni amministrative 
irrogate �dall'Autorit� garante della concorrenza e del mercato�), a mente 
della quale �1. Le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative irrogate dall'Autorit� 
garante della concorrenza e del mercato sono destinate ad iniziative 
a vantaggio dei consumatori. 2. Le entrate di cui al comma 1 sono riassegnate 
con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica 
ad un apposito fondo iscritto nello stato di previsione del Ministero 
dell'industria, del commercio e dell'artigianato per essere destinate alle iniziative 
di cui al medesimo comma 1, individuate di volta in volta con decreto 
del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sentite le competenti 
Commissioni parlamentari�. 
Si ha,dunque, un sistema in cui, all�interno della categoria generale delle 
sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall�Autorit� nell�esercizio delle 
sue competenze istituzionali, per le sole sanzioni previste dalla normativa in 
tema di tutela dei consumatori (ovvero comminate in applicazione del Dlgs. 
206/205 e dei DL modificativi nn. 145 e 146 del 2007), il Legislatore ha inteso 
riservare all�Autorit� una quota dell�ammontare complessivamente dovuto dal 
soggetto sanzionato. 
Per le rimanenti sanzioni, afferenti l�ambito delle condotte anticoncorrenziali, 
resta ferma la destinazione al bilancio dello Stato. 
Ai fini del parere richiesto appare decisivo notare che la delimitazione 
normativa � stata operata mediante una cifra ben precisa, ci� che rende estremamente 
difficile individuare, per una ipotetica, differente modalit� di restituzione, 
delle soluzioni alternative a quella sinora praticata. 
Va inoltre rilevato che l�applicazione rigorosa del limite quantitativo, 
quale emergente dall�orientamento descritto nella nota che si riscontra, pu�
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 173 
ritenersi logicamente consequenziale alla previsione di cui all�art. 9 cit., consentendo 
di salvaguardarne la ratio di garantire una ripartizione degli introiti 
derivanti dalle sanzioni in base a criteri oggettivi e agevolmente verificabili. 
Per quanto precede, non si ravvisano valide ragioni giuridiche per porre 
in discussione l�attuale modalit� di restituzione delle sanzioni in conseguenza 
di pronunce giurisdizionali. 
Il presente parere � stato esaminato dal Comitato Consultivo dell�Avvocatura 
dello Stato che si � espresso in conformit�. 
Prescrizione dell�obbligazione doganale sorta in presenza di reato ai sensi 
dell�art. 84 del T.U.L.D. e dell�articolo 221 del Reg. CEE n. 2913/1992* 
Con la nota emarginata codesta Agenzia chiede chiarimenti, articolati in 
diversi punti, sul tema della prescrizione dell�azione dello Stato per la riscossione 
dei diritti doganali. 
1. In particolare l�Amministrazione istante, con il primo quesito, sollecita 
il parere della scrivente Avvocatura Generale in ordine alla conformit� con il 
diritto dell�Unione della norma nazionale in forza della quale, qualora il mancato 
pagamento dei diritti doganali abbia causa da un reato, il termine di prescrizione 
decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel 
procedimento penale, sono divenuti irrevocabili. 
Infatti, dalla lettura della disposizione interna vigente in materia, contenuta 
nell�art. 84, comma 1 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (in seguito 
TULD) - come modificato a norma dell�art. 29, comma 1� della L. 29 dicembre 
1990, n. 428 (legge comunitaria per il 1990) - si evince che l�azione dello 
Stato per la riscossione dei diritti doganali si prescrive nel termine di tre anni 
dalla data in cui i diritti sono divenuti esigibili. Mentre il successivo comma 
3, in via di eccezione rispetto alla regola generale test� menzionata, prevede 
che: �Qualora il mancato pagamento, totale o parziale, dei diritti abbia causa 
da un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la 
sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili�. 
1.1 La normativa interna test� menzionata � in perfetta sintonia con quella 
comunitaria, in particolare con l�art. 221 del Reg. CEE 2913 del 92, come modificato 
dal regolamento CE del Parlamento Europeo e del Consiglio 16 novembre 
2000, n. 2700 (in seguito CDC), il quale stabilisce al paragrafo 3, in 
ordine alla notifica al debitore dell�importo recato dall�obbligazione doganale 
da riscuotere, che �la comunicazione al debitore non pu� pi� essere effettuata 
tre anni dopo la data in cui � sorta l'obbligazione doganale. Detto termine � 
(*) Parere del 19 maggio 2011 prot. 168798, AL 42463/10, avv. GIUSEPPE ALBENZIO.
174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
sospeso a partire dal momento in cui � presentato un ricorso a norma dell'articolo 
243 e per la durata del relativo procedimento�. 
Il successivo paragrafo 4 prevede per� che �qualora l'obbligazione doganale 
sorga a seguito di un atto che era nel momento in cui � stato commesso 
perseguibile penalmente, la comunicazione al debitore pu� essere effettuata, 
alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti, dopo la scadenza del termine 
(triennale, n.d.r.) di cui al paragrafo 3�, ove � appena il caso di specificare 
che con l�espressione �disposizioni vigenti�, ai sensi dell�art. 4, n. 23 del 
C.D.C., devono intendersi �le disposizioni comunitarie o le disposizioni nazionali�. 
Con tale norma (art. 221, par. 4 CDC) il legislatore comunitario ha voluto 
introdurre una causa sospensiva e/o interruttiva della prescrizione del diritto 
alla riscossione dei tributi doganali idonea a differire, in presenza di un procedimento 
penale, l�inizio della decorrenza del termine di prescrizione, in applicazione 
del consolidato principio generale actio nondum nata non 
prescribitur (ribadito dall�art. 2935 codice civile italiano), a cui � stata data 
operativit� nel settore doganale con le norme in esame. 
Con l�art. 84 T.U.L.D. il Legislatore nazionale ha dunque introdotto una 
identica causa di interruzione della prescrizione del diritto alla riscossione dei 
tributi doganali, altres� idonea a differire, in presenza di un atto avente rilevanza 
penale, l�inizio della decorrenza di un nuovo termine prescrizionale; 
tale differimento � evidentemente subordinato alla identificazione del presupposto 
fattuale dell�obbligazione doganale con una fattispecie astratta di reato. 
L�applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 221 del C.D.C. e 84, 
terzo comma, del T.U.L.D. prescinde dal seguito giudiziale avuto dalla denuncia 
del fatto-reato, sia ai fini dell�individuazione degli imputati e della formulazione 
delle imputazioni sia ai fini dell�accertamento delle loro responsabilit� 
penali (vedasi sentenza della Corte di Giustizia C-273/90 del 7 novembre 1991 
Meico-Fell). 
La deroga temporale disposta dalle norme in esame risponde a chiare esigenze 
di giustizia e parit� di trattamento, atteso che altrimenti gli Uffici Doganali 
verrebbero posti in una situazione di disparit� rispetto agli altri creditori 
ed agli operatori del settore (che non risponderebbero delle loro azioni contrarie 
alle leggi e, anzi, conserverebbero i vantaggi conseguiti indebitamente) 
e di impossibilit� di perseguire i propri fini istituzionali. Nell�ambito del procedimento 
di natura amministrativa le autorit� doganali sono altres� competenti 
a constatare nell�interesse dell�Unione e dello Stato membro l�esistenza di un 
fatto-reato, soprattutto in vicende ove il presupposto dell�imposta non viene 
percepito normalmente dall�Amministrazione finanziaria al momento dell�importazione, 
dato che il comportamento del soggetto obbligato � diretto ad occultarlo, 
cos� che l�amministrazione non � in grado di attivarsi per la 
liquidazione e la riscossione del credito tributario. 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 175 
1.2 Parimenti � importante rilevare che, nella dinamica del diritto vivente, 
sull�interpretazione del menzionato plesso normativo possono distinguersi gli 
orientamenti giurisprudenziali originati rispettivamente dalle pronunzie rese 
della Corte di Giustizia e dalla Corte di Cassazione che da ultimo trovano composizione, 
in un rapporto da genus a species, nella recente sentenza della Corte 
di giustizia C-75/09 del 17 giugno 2010. 
Infatti, muovendo dalla ricognizione letterale-sistematica delle menzionate 
disposizioni, il Giudice Europeo, pur osservando che l�art. 221, n. 4, del 
codice doganale non prevede di per s� alcun termine di interruzione o di sospensione 
della prescrizione applicabile (a differenza di quanto disposto dal 
par. n. 3 del medesimo articolo e soprattutto dall�art. 84, comma 3 TULD), rileva 
di seguito con autorevole e vincolante interpretazione che �limitandosi 
al riferimento alle �condizioni previste dalle disposizioni vigenti�, l�art. 221, 
n. 4, del codice doganale opera un rinvio al diritto nazionale per il regime 
della prescrizione dell�obbligazione doganale, qualora tale obbligazione 
sorga a seguito di un atto che era, nel momento in cui � stato commesso, perseguibile 
penalmente� (Corte di Giustizia sentenza C-75/09 del 17 giugno 
2010, punti 33 e 34). 
�Di conseguenza, non prevedendo il diritto dell�Unione regole comuni in 
materia, spetta ad ogni Stato membro determinare il regime della prescrizione 
delle obbligazioni doganali che � stato possibile accertare a causa di un fatto 
passibile di reato (v., per analogia, sentenze 16 ottobre 2003, causa C.91/02, 
Hannl-Hofstetter, Racc. pag. I.12077, punti 18.20, e Molenbergnatie, cit., 
punto 53)� (Corte di Giustizia sentenza C-75/09 del 17 giugno 2010, punto 35). 
A lume delle considerazioni che precedono, conclude la Corte con chiarissimo 
dispositivo che �L�art. 221, nn. 3 e 4, del regolamento (CEE) del Consiglio 
12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario, 
come modificato dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 
16 novembre 2000, n. 2700, deve essere interpretato nel senso che non 
osta ad una normativa nazionale in base alla quale, laddove il mancato pagamento 
dei diritti tragga origine da un reato, il termine di prescrizione dell�obbligazione 
doganale inizia a decorrere dalla data in cui il decreto o la 
sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili� 
(Corte di Giustizia sentenza C-75/09 del 17 giugno 2010, dispositivo). 
1.3 Spetta, pertanto, al Legislatore Nazionale conformarsi alle fonti sopraordinate 
di derivazione comunitaria e darne attuazione nello Stato membro 
secondo i principi di effettivit� ed equivalenza in coerenza ai canoni ermeneutici 
delineati dalla Corte di Giustizia nel suo ruolo di interprete del diritto 
dell�Unione. 
E�, invece, compito della Corte di Cassazione in funzione nomofilattica 
statuire in ordine al significato e all�uniforme applicazione delle fonti del diritto 
di origine interna, in armonia con i principi comunitari.
176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Nella prospettazione ermeneutica sostenuta dalla Suprema Corte la notitia 
criminis (da intendersi quale primo atto esterno prefigurante il rapporto genetico 
tra fatto reato e presupposto d�imposta), che di per s� determina e giustifica 
il differimento del termine, deve intervenire nel corso dell�originario 
termine triennale di prescrizione dell�azione di recupero dei diritti evasi e non 
dopo la sua scadenza, poich�, diversamente argomentando, il termine di revisione 
dei dazi sarebbe privo di riferimento temporale e dilatabile all�infinito 
con grave pregiudizio del principio generale indefettibile della certezza del 
diritto (vedasi Cass. 19193/06, motivazione). 
1.4 In conclusione, la disciplina contenuta del CDC, facendo espresso 
rinvio al diritto nazionale per ogni questione che attiene alla prescrizione delle 
obbligazioni doganali che sorgono da un atto perseguibile penalmente - indipendentemente 
dall�apertura del procedimento penale e dal suo esito, essendo 
all�uopo sufficiente, a giudizio dell�Autorit� competente alla riscossione, la 
astratta configurabilit� come reato del fatto o dell�atto dal quale trae origine 
l�obbligazione - non � ostativa alla disciplina interna recata dal TULD e, ai 
sensi del combinato disposto dell�art. 221, par. 4 CDC e dell�art. 84, comma 
3, TULD il termine di prescrizione non pu� decorrere fino alla chiusura del 
procedimento penale aperto in seguito alla notizia di reato, semprech� quest�ultima 
intervenga nell�originario termine prescrizionale di tre anni. 
Occorre, pertanto, risolvere la prima questione sottoposta a questa Avvocatura 
rilevando che la lettura data dalla Suprema Corte non si pone in contrasto 
ne� con la norma di cui all�art. 221, commi 3 e 4, CDC ne� con 
l�interpretazione data dalla Corte di Giustizia e formatasi in relazione alle medesime 
disposizioni. 
In tal senso correttamente argomenta l�Agenzia istante. 
Per completezza di trattazione si aggiunge che il legislatore comunitario, 
percorrendo la stessa ratio individuata dal giudice nazionale, al fine di uniformare 
il comportamento di tutte le Amministrazioni doganali comunitarie 
in tale contesto, nel nuovo codice doganale comunitario di cui al Reg. CE n. 
450/2008 � che avr� applicazione dal 24 giugno 2013 � ha stabilito all�articolo 
68, comma 2, che, quando l�obbligazione doganale sorge in seguito ad un atto 
che nel momento in cui � stato commesso era perseguibile penalmente, il termine 
triennale di cui al paragrafo 1, viene portato a dieci anni, senza la disciplina 
dell�interruzione del vecchio codice. 
2. La seconda questione di diritto che viene sottoposta al giudizio della 
Scrivente concerne, invece, l�operativit� della sospensione del decorso del termine 
di prescrizione, previsto dai cennati art. 84, comma 3, TULD e art. 221, 
comma 4, CDC. 
Segnatamente, nel caso in cui il mancato pagamento dei diritti doganali 
abbia avuto causa da un atto perseguibile penalmente, si chiede a questa Av-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 177 
vocatura, se il presupposto di fatto a partire dal quale il termine di prescrizione 
del diritto a riscuotere i tributi doganali comincia a decorrere possa coincidere 
con la emissione di un decreto di archiviazione ex art. 409 c.p.p.. 
Difatti, come gi� argomentato, �le disposizioni vigenti�, richiamate 
espressamente dalla citata disciplina comunitaria, sul punto espressamente dispongono 
che �Qualora il mancato pagamento, totale o parziale, dei diritti 
abbia causa da un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui 
il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti 
irrevocabili�. 
2.1 Ai sensi dell�art. 648 cpp., comma 1� �sono irrevocabili le sentenze 
pronunciate in giudizio contro le quali non � ammessa impugnazione diversa 
dalla revisione�, ove per �irrevocabilit�� si intende che il provvedimento pronunziato 
dal giudice � divenuto immodificabile per effetto dell�esperimento 
di tutti i mezzi di impugnazione azionabili contro di esso, ovvero del decorso 
infruttuoso dei termini per la proposizione degli stessi. 
Analogo effetto consegue, a mente del successivo comma del medesimo 
articolo, alla inammissibilit� del gravame ma, in tal caso, la irrevocabilit� si 
determina dalla data in cui � divenuta irrevocabile l�ordinanza dichiarativa di 
tale esito. 
Il concetto di irrevocabilit� indica, quindi, l�esaurimento della situazione 
giuridica processuale e si traduce nella individuazione obbligatoria della legge 
in relazione alla �res in Judicium deducta�. 
Pertanto, per dare soluzione al quesito proposto occorre soffermarsi, ancora, 
sulla lettera e sulla ratio delle disposizioni normative (cio� quelle nazionali, 
siccome richiamate da quelle comunitarie) regolanti la materia ed i loro 
risvolti applicativi. 
Come gi� detto con gli art. 84 T.U.L.D. e 221 CDC i Legislatori nazionale 
e comunitario hanno inteso introdurre una causa con valenza sospensiva e interruttiva 
della prescrizione del diritto alla riscossione dei tributi doganali, altres� 
idonea a differire, in presenza di un atto avente rilevanza penale, l�inizio 
della decorrenza di un nuovo termine prescrizionale. 
Tale differimento � espressamente subordinato dal dettato normativo alla 
identificazione del presupposto fattuale dell�obbligazione doganale con una 
fattispecie astratta di reato. Quindi l�applicazione dell�art. 84, terzo comma 
del T.U.L.D. (similmente a quanto previsto per l�applicazione delle disposizioni 
di cui agli art. 221 Reg. 2913/1992) prescinde dalla individuazione delle 
varie fasi del procedimento di accertamento e riscossione e soprattutto dal seguito 
giudiziale avuto dalla denuncia del fatto-reato e dall�esito del procedimento 
penale derivante dall�accertamento del fatto-reato impeditivo dell�esatta 
riscossione. Ci� trova conferma nell�interpretazione dell�art. 221, par. 4 CDC, 
resa dalla Corte di Giustizia della Comunit� Europea con la fondamentale sentenza 
C-273-90 del 7 novembre 1991 (causa �Meico-Fell�) la quale, sul punto,
178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
ha statuito che �l�espressione atto passibile di un�azione giudiziaria repressiva 
riguarda esclusivamente gli atti che nell�ordinamento giuridico dello Stato 
membro, le cui competenti autorit� procedono al recupero, sono qualificati 
infrazioni ai sensi del diritto penale nazionale�. 
2.2 Del resto, la ratio legis � proprio quella di consentire all�Amministrazione 
di accertare i diritti doganali e di richiederne il pagamento ai soggetti 
passivi in un tempo complessivamente ragionevole e prefissato, suscettibile 
di sospensione o interruzione in relazione a determinate circostanze che impediscono 
l�attivit� accertativa e di recupero, come disposto dal comma terzo 
dell�art. 84 e dall�art. 221, par. 3: limitare l�operativit� delle cause di sospensione/
interruzione ai casi in cui il processo penale si concluda con una sentenza, 
comporta la violazione dello scopo sotteso a quelle stesse norme. 
Quanto appena argomentato risulta integralmente recepito da coerenti 
pronunzie della Suprema Corte di Cassazione che, in sede di interpretazione 
dell�art. 84 TULD, stabilisce: �Ricorre l�ipotesi dell��atto passibile di 
un�azione giudiziaria � ogni qual volta l�atto, obiettivamente considerato, integri 
una fattispecie prevista come reato dal diritto penale nazionale � senza 
che si debba accertare se per lo stesso sia iniziata o possa essere iniziata 
azione penale, essendo condizione necessaria, ma anche sufficiente, la qualificabilit� 
dell�atto stesso come reato� (sentenza 19 novembre 1997, e analogamente 
sentenze n. 11499; 20 agosto 1997, n. 7751; 9 gennaio 1998, n. 124 
e 14 gennaio 1998, n. 260); 
Ancora, sulla scorta dei principi appena enunciati: �Il corso del termine 
di prescrizione di cui all�art. 84 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43 (originariamente 
quinquennale, poi triennale, ai sensi dell�art. 29 della l. 29 dicembre 1990, n. 
428), nel caso l�obbligazione doganale origini da un fatto o un atto perseguibile 
penalmente, ai sensi dell�art. 3 reg. Cee del Consiglio n. 1697 del 24 
luglio 1979, dell�art. 221, comma 3, reg. Cee del Consiglio n. 2913 del 12 ottobre 
1992 (come modificato dal reg. CEE del Consiglio n. 2700 del 18 settembre 
2000), e dell�art. 84, comma 3, d.p.r. 43/73, � impedito dalla mera 
configurazione dell�ipotesi delittuosa nel rapporto-denunzia della dogana 
all�autorit� giudiziaria, ancorch� definita con l�archiviazione� (Cass. 
19195/06; Cass. 24336/09). 
2.3 In conclusione, anche in riferimento all�art. 84, terzo comma, del 
T.U.L.D. deve trovare applicazione il principio, ormai indiscusso, secondo cui 
qualora la formulazione letterale di una norma non corrisponda in pieno al 
modo in cui la norma stessa si inserisce nel sistema, fra le interpretazioni possibili, 
deve essere data preferenza - secondo i canoni di ermeneutica giuridica 
- a quella che non sia in contrasto con norme e principi di livello costituzionale. 
A nulla vale che il testo dell�art. 84, terzo comma, T.U.L.D. non faccia esplicito 
riferimento anche al provvedimento di archiviazione. 
Alla luce di un�interpretazione sistematica e sicuramente pi� razionale
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 179 
da dare alla norma, non vi possono essere dubbi nel sostenere che la deroga 
temporale di cui allo stesso art. 84, terzo comma, trovi applicazione anche in 
riferimento all�archiviazione del processo penale, atteso che altrimenti, come 
gi� detto, gli Uffici Doganali verrebbero costretti ad una vera e propria impossibilit� 
operativa. 
2.4 Resta, infine, da esaminare la collegata questione concernente la definizione 
della natura giuridica del differimento del termine per la riscossione 
dei diritti doganali sorti in presenza di un atto avente rilevanza penale. 
Rileva, infatti, l�Amministrazione istante che la Suprema Corte in alcune 
pronunzie, in particolare nella recente sentenza n. 11181/10 (nella quale si richiama 
peraltro l�analoga sentenza n. 19193/06), seppure in un obiter dictum, 
avrebbe ricondotto detto effetto all�istituto della proroga del termine prescrizionale. 
Orbene, nonostante l�analisi del dato letterale non deponga per siffatta ricostruzione 
(dispone, infatti, l�art. 84, comma 3� che: �il termine di prescrizione 
decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel 
procedimento penale, sono divenuti irrevocabili�) e la regola generale di cui 
all�art. 2935 c.c. sopra richiamata confermi la correttezza della detta disposizione, 
il contrario orientamento della Cassazione non consente di suggerire 
una ricostruzione ermeneutica diversa dall�istituto della interruzione della prescrizione 
di cui agli art. 2943-2945 c.c. 
Pertanto, in base all�orientamento giurisprudenziale della Cassazione, 
come gi� sopra detto, il termine triennale di prescrizione comincia a decorrere 
dal momento in cui i fatti si sono verificati e, se interrotto dall�inoltro della notitia 
criminis prima del decorso del triennio, ricomincia a decorrere dalla definizione 
di quella notitia secondo la disciplina dell�art. 84 TULD e 221 CDC. 
3. La terza questione sottoposta al parere della scrivente Avvocatura concerne 
l�estensibilit� della disciplina della prescrizione dell�azione di riscossione 
dei diritti doganali, di cui all�art. 84, 3� comma TULD, al recupero delle 
sanzioni amministrative tributarie comminate ai trasgressori in conseguenza 
di fatti costituenti tanto illecito penale quanto illecito amministrativo. 
Sul tema � intervenuta di recente pronunzia della Suprema Corte, sez. V, 
n. 10823/10, richiamata dall�Amministrazione istante, che stabilisce che il citato 
articolo �in quanto norma speciale per l�imposizione delle operazioni 
transfrontaliere, troverebbe applicazione a tutte le fattispecie debitorie ad essa 
collegate�, venute ad esistenza per effetto della stessa operazione. 
3.1 Tuttavia, a fronte della menzionata posizione, occorre tenere anche 
conto di altre pronunce della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui �ai 
fini dell�illecito amministrativo rileva solo che il fatto descritto dall�art� citato 
sia stato commesso, quale che sia la qualificazione giuridica ad esso attribuita� 
(Cass. Sez. II, n. 1081 del 18 gennaio 2007 e sez. I n. 3124 del 16
180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
febbraio 2005), mentre non assume alcun rilievo la circostanza che la stessa 
condotta possa eventualmente integrare in via alternativa e/o concorrente un 
illecito penale. 
Ancora pi� significativa per quel che rileva in questa sede - come gi� argomentato 
da questa Avvocatura (cfr. parere Cs.11517/08, istante S.A.I.S.A.) 
� � la sentenza della Suprema Corte che, seppure chiamata a decidere della 
corretta applicazione dell�art. 2947 c.c. (prescrizione del diritto al risarcimento 
del danno, a norma della quale se il fatto � considerato dalla legge come reato 
e per il reato � stabilita una prescrizione pi� lunga questa si applica anche all�azione 
civile) ha espresso il principio di diritto secondo cui quando �lo stesso 
fatto illecito sia preso in considerazione sia da una disposizione che contempla 
una sanzione amministrativa, sia da una disposizione penale trova luogo� in 
particolare il principio di specialit�, in base al quale deve farsi applicazione 
della norma speciale in base alla quale l�illecito amministrativo resta assoggettato 
al termine prescrizionale suo proprio, ossia a quello quinquennale 
(decorrente dal giorno in cui � stata commessa la violazione), e non a quello 
stabilito nell�art. 2947 c.c., dettato in materia di prescrizione del diritto al risarcimento 
del danno allorch� il fatto costituisce reato� ( Cass., sez. I, n. 23979 
del 24 dicembre 2004). 
Si osserva, inoltre, che la stessa giurisprudenza di legittimit�, applicando 
analogicamente gli artt. 2943 e 2945 c.c. in tema di interruzione della prescrizione, 
ovvero motivando in ragione della effettiva possibilit� di esercizio del 
diritto ai sensi della regola generale di cui all�art. 2935 c.c., ha sempre limitato 
l�effetto interruttivo della prescrizione dell�illecito punito con sanzione amministrativa 
a seguito dell�avvio, e durante la pendenza, di un processo penale 
alle sole ipotesi di successiva depenalizzazione di fatti gi� sanzionati penalmente 
(vedasi Cass. sez. I, n. 18168 del 16.8.2006; sez. I, n. 19529 del 19 dicembre 
2003) ed a quelle di connessione con un reato previste dall�art. 24, 
u.c., l. n. 689/81. Per vero in tali casi, in cui il giudice penale ha anche la cognizione 
dell�infrazione amministrativa, la Suprema Corte ha statuito che, qualora 
il procedimento penale si sia definito per estinzione del reato, da tale 
momento inizia a decorrere un nuovo termine prescrizionale per l�esercizio 
del diritto a riscuotere la somma stabilita a titolo di sanzione amministrativa 
con Cass. sez. I, n. 14830 del 27 giugno 2006; sez. IV 5 aprile 2000 (cfr. parere 
Cs 11517/08, istante S.A.I.S.A.). 
Si condividono, pertanto, le perplessit� manifestate da codesta Agenzia 
in ordine all�estensibilit� del principio sancito da Cass. 10823/10 alle sanzioni 
regolate dal d.lgs. 472/97 e si ritiene di poter affermare che qualora si configuri 
in capo all�Amministrazione istante la necessit� di recuperare le somme dovute 
dal contribuente a diverso titolo, sar� opportuno fare riferimento, ai fini della 
maturazione della prescrizione della corrispondente azione di riscossione, all�operativit� 
dei diversi termini prescritti nelle differenti norme speciali che
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 181 
regolano le singole fattispecie in riferimento alle quali sono sorte le obbligazioni 
per il cui adempimento si agisce, finch� l�orientamento giurisprudenziale 
di cui alla citata sentenza 10823/10 non si consolidi. 
Sulla base dell�affermata autonomia ontologica delle diverse ipotesi di 
recupero originate dalla medesima condotta illecita e dei suoi riflessi in ordine 
alla riscossione dei contributi evasi, la collegata questione della eventuale decorrenza 
dalla conclusione del giudizio penale di un nuovo termine prescrizionale 
di durata pari all�originario termine - in considerazione della 
circostanza che la pendenza di una vertenza di natura penale non pu� essere 
considerata ai fini del recupero dell�azione amministrativa nemmeno quale 
causa interruttiva del termine - si ritiene assorbita. 
Sul presente parere � stato sentito il Comitato Consultivo di questa Avvocatura 
che si � espresso in conformit� nella riunione del 18 maggio 2010. 
Accordi di indennizzo stipulati ai sensi dell'art. 4 del DL 351/01 a seguito 
del venir meno del conferimento di beni ai Fondi immobiliari* 
Con la nota che si riscontra codesta Amministrazione ha chiesto il parere 
della Scrivente in merito alle richieste di indennizzo avanzate dalla Investire 
Immobiliare spa in qualit� di SGR del Fondo denominato Fondo Immobili 
Pubblici e da BNL/BNL Paribas in qualit� di SGR del Fondo denominato �Patrimonio 
Uno�. 
Rappresenta codesta Amministrazione che le richieste di indennizzo si 
fondano sulla circostanza che alcuni beni conferiti o trasferiti ai suddetti fondi 
risultano in tutto o in parte di propriet� di altri soggetti pubblici, diversi da 
quelli previsti dall�art. 4 (1) del DL. 351/01 convertito in legge dall'articolo 1 
della Legge 410/01. 
Con le predette societ� codesta Amministrazione ha stipulato 2 distinti 
accordi di indennizzo (Allegati 8 e 9 alla richiesta di parere) con i quali vengono 
disciplinati gli obblighi assunti dal Ministero dell'economia e delle Finanze 
nei confronti dei Fondi Immobiliari a garanzia dell'operazione di 
conferimento o di trasferimento di immobili pubblici ai suddetti fondi prevista 
(*) Parere del 9 giugno 2011 prot. 193078, AL 44601/10, avv. ANTONIO GRUMETTO. 
(1) 4. Conferimento di beni immobili a fondi comuni di investimento immobiliare. 
1. Il Ministro dell'economia e delle finanze � autorizzato a promuovere la costituzione di uno o pi� fondi 
comuni di investimento immobiliare, conferendo o trasferendo beni immobili a uso diverso da quello 
residenziale dello Stato, dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e degli enti pubblici non 
territoriali, individuati con uno o pi� decreti del Ministro dell'economia e delle finanze da pubblicare 
nella Gazzetta Ufficiale. I decreti disciplinano altres� le procedure per l'individuazione o l'eventuale costituzione 
della societ� di gestione, per il suo funzionamento e per il collocamento delle quote del fondo 
e i criteri di attribuzione dei proventi derivanti dalla vendita delle quote.
182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
dal predetto Decreto-Legge. 
Nella richiesta di parere non si contesta che le ragioni poste a base delle 
richieste di indennizzo rientrino in uno degli eventi indennizzabili previsti dai 
citati accordi. 
Pertanto la Scrivente intende prescindere da questo particolare aspetto 
nella formulazione del presente parere. 
Codesta Amministrazione chiede, viceversa, di sapere: 
1) da quale momento produca effetti l'annullamento del trasferimento del 
bene immobile; 
2) se l'importo complessivo da liquidare ai fondi debba essere pari al valore 
di apporto, comprensivo delle spese sostenute e degli interessi sul debito 
contratto detratti i canone di locazione corrisposti ovvero semplicemente al 
valore di apporto comprensivo delle spese. 
Osserva la Scrivente quanto segue. 
Quanto al primo quesito, dal punto b) della premessa dell�Accordo di indennizzo 
con FIP si desume che il trasferimento o l'apporto del compendio 
immobiliare al Fondo � avvenuto dalla data di efficacia del Decreto Operazione 
(v. all. 8); mentre dal punto b) dell�Accordo di indennizzo con �Patrimonio 
Uno� si desume che tale trasferimento � avvenuto con effetto dalla data 
di efficacia indicata nel Decreto di Apporto, nel Decreto di Trasferimento o 
nell'Atto di trasferimento (v. all. 9). 
Pertanto l'annullamento del trasferimento o dell'apporto al Fondo del bene 
immobile, risultato di propriet� di terzi, non potr� che avere effetto dalla medesima 
data di efficacia di tale trasferimento o di tale apporto per come specificamente 
individuata per ciascuna singola operazione di costituzione del 
fondo e di trasferimento del compendio immobiliare; vale a dire dalla data di 
efficacia delle Decreto Operazione, per quanto riguarda l'Accordo con FIP e 
dalla data indicata nel Decreto di Apporto, nel Decreto di Trasferimento o nell'Atto 
di trasferimento, per quanto riguarda l'Accordo con �Patrimonio Uno�. 
Quanto al 2� quesito, ritiene la Scrivente che l'obbligo di garanzia gravante 
su codesta Amministrazione comprenda tutti pregiudizi economici sopportati 
dal soggetto indennizzato a seguito dell'evento indennizzabile, sempre 
che tali eventi siano conseguenza immediata e diretta. 
Tale conclusione �, in primo luogo, confermata dalla formulazione del 
testo dell'articolo 3 dell'Accordo di indennizzo stipulato con FIP, nonch� dall'analoga 
formulazione dell'articolo 2 dell'Accordo di indennizzo stipulato con 
�Patrimonio Uno�. 
Entrambe tali clausole prevedono infatti l'obbligo per codesta Amministrazione 
di "risarcire, manlevare e tenere indenne ciascuna Parte Indennizzata 
(...) rispetto a qualsivoglia danno, perdita, spesa, costo, onere, 
obbligazioni o minusvalenza dalla medesima patita e derivante da o connessa 
a� eventi indennizzabili.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 183 
La soluzione proposta riceve, in secondo luogo, conferma anche da 
quanto previsto, in altra parte di ciascun Accordo, a proposito della cessione 
di immobili a titolo di indennizzo. 
Disciplinando la possibilit� per codesta Amministrazione di indennizzare 
l'altra parte anche mediante la cessione o la sostituzione di immobili non ancora 
ceduti al Fondo, entrambi gli accordi di indennizzo prevedono (rispettivamente 
all'articolo 6 lett. J dell�Accordo con FIP � nella versione aggiornata 
con l�Accordo di modifica del 2005 - e all'allegato 3, art. 5 lett. F dell�Accordo 
con �Patrimonio Uno�) che nel caso in cui la sostituzione ovvero la cessione 
in pagamento ristorando per intero le passivit�, determinino comunque l'inadempienza 
del fondo agli obblighi nei confronti dei finanziatori, il Ministero 
sar� in ogni caso tenuto a corrispondere per cassa la parte di passivit� che, a 
richiesta del fondo come certificato dalla banca agente del finanziamento, sia 
necessaria ad assicurare l'adempimento di cui sopra. 
In tale ipotesi, costituente una forma di risarcimento in forma specifica 
del danno derivante dall'evento indennizzabile, l'indennizzo viene esteso fino 
a comprendere tutte le conseguenze immediate e dirette derivanti dal verificarsi 
di tale evento e non � limitato soltanto al valore del bene immobile apportato 
o trasferito al Fondo. 
Dalla analogia con la predetta ipotesi, interpretata in relazione all'ampia 
formulazione dell'obbligazione di garanzia assunta da codesto Ministero e di 
cui sopra si � fatto cenno, deriva, a parere della Scrivente, che quando l'indennizzo 
venga corrisposto non mediante cessione o sostituzione del bene immobile 
ma mediante restituzione del valore di apporto o di trasferimento dei beni, 
la garanzia comprende tutti i danni derivanti dall'inefficacia del decreto di apporto 
o di trasferimento, ivi comprese le spese sostenute e gli interessi sul debito 
contratto, sempre che tali spese e tali interessi sul debito contratto siano 
state sostenute e pagati in conseguenza immediata e diretta del trasferimento 
del bene immobile dichiarato inefficace a seguito dell'intervenuto annullamento. 
(...) 
Sulla questione � stato sentito il Comitato consultivo dell�Avvocatura Generale 
dello Stato, il quale si � espresso in conformit�.
184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Rimborso spese legali richiesto da dipendente assolto in sede penale in pendenza 
di giudizio risarcitorio ai fini civili ad istanza della costituita parte civile*
Con sentenza del 26 febbraio 2004, il Tribunale di (...) ha ritenuto [il dott. 
...] colpevole, quale Direttore della Casa di Reclusione di (...), del delitto di 
cui agli artt. 41 e 590, commi 1 e 2 c.p. commesso, con violazione delle norme 
per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del detenuto lavorante 
[il sig. ...], e lo ha condannato, alla pena di � 200,00 di multa ed al risarcimento 
del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in 
separato giudizio. 
Su appello proposto dall�imputato, la Corte di Appello di (...), in riforma 
della decisione di primo grado, ha assolto il dott. (...) da ogni addebito perch� 
il fatto non costituisce reato ed ha revocato, di conseguenza, le statuizioni civili. 
La pronunzia assolutoria della Corte di Appello di (...) � divenuta irrevocabile 
ai soli fini penali per mancata impugnativa del P.M., ma � stata annullata 
ai diversi fini civili dalla Corte Suprema di Cassazione. 
In particolare, a seguito del ricorso per Cassazione proposto dal sig. (...), 
costituito parte civile, i giudici di legittimit� hanno ritenuto responsabile il 
dott. (...), seppure ai soli fini civilistici del risarcimento danni non essendo 
possibile la riforma della statuizione ai fini penali per mancata impugnativa. 
Il dott. (...), sulla base della sentenza di assoluzione della Corte di Appello 
di (...), ha chiesto il rimborso delle spese legali ai sensi dell�art. 18 D.L. 67/97. 
Codesta Avvocatura ha fornito parere negativo sul presupposto dell�avvenuto 
accertamento della responsabilit� ad opera della Corte Suprema di Cassazione, 
anche se solo ai fini civilistici del risarcimento del danno. 
Considerato che il dipendente ha presentato osservazioni al parere reso, 
con la nota che si riscontra codesta Avvocatura ha investito questo Generale 
Ufficio. 
Ci� posto, si osserva quanto segue. 
E� noto che l'art. 18 del D.L. 25 marzo 1997, n. 67 (convertito con L. 23 
maggio 1997, n. 135), in ordine al rimborso delle spese legali da parte della 
Pubblica Amministrazione stabilisce che �le spese legali relative a giudizi per 
responsabilit� civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti 
di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con 
l'espletamento del servizio o con assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi 
con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilit�, sono 
rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui 
dall' Avvocatura dello Stato ...�. 
(*) Parere del 10 giugno 2011 prot. 194802, AL 1142/11, avv. FEDERICA VARRONE.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 185 
La suindicata disposizione subordina, dunque, il rimborso alla ricorrenza 
di puntuali condizioni, normativamente previste, quali: 
a) l'esistenza di una connessione dei fatti e degli atti oggetto del giudizio 
con l'espletamento del servizio e l'assolvimento degli obblighi istituzionali; 
b) che il giudizio di responsabilit� si sia concluso con sentenza od altro 
provvedimento che abbia escluso la responsabilit� del dipendente; 
c) una valutazione di congruit� da effettuarsi da parte dell' Avvocatura 
dello Stato. 
Sulla base del suindicato quadro normativo si condivide senz�altro l�avviso 
di codesta Avvocatura circa l�insussistenza del diritto al rimborso evidenziandosi 
quanto segue. 
Nel caso di specie, da ritenersi del tutto peculiare, la condotta del dipendente 
� stata oggetto di vaglio giurisdizionale nell�ambito del medesimo procedimento 
sotto il profilo civile e penale. Pi� specificatamente, la costituzione 
di parte civile del detenuto ha determinato che la condotta del dott. (...) � stata 
esaminata nel processo penale ai fini sia penali che civili. La statuizione di 
condanna della Suprema Corte, seppure ai soli fini civili per mancata impugnativa 
della Procura, comporta, pertanto, l�inconfigurabilit� dei presupposti 
per il diritto al rimborso delle spese del processo penale in quanto, nell�ambito 
del medesimo procedimento, � stata definitivamente acclarata la responsabilit� 
del dipendente con riferimento proprio a quella specifica condotta. 
Il presente parere � stato esaminato dal Comitato Consultivo dell�Avvocatura 
dello Stato che si � espresso in conformit�. 
Contributi alle imprese editoriali* 
� Art. 3, comma 3 lett. c), della L. 7 agosto 1990 n. 250 � Duplicit� di testate 
che presentano la medesima iscrizione nel registro della stampa. 
Si riscontra la nota indicata a margine con la quale codesto Dipartimento 
ha domandato alla Scrivente un parere circa l�ammissione ai contribuiti di cui 
all�art. 3 comma 3 della L. n. 250/1990 richiesti per l�anno 2009 dalla Cooperativa 
(...) per la testata �E.W.P.�. 
In particolare, espone codesto Dipartimento che �negli anni 1988 e 1989 
(cio� nei due anni presi a riferimento dalla citata disposizione per la maturazione 
dei requisiti per accedere ai contributi) nonch� per gli anni successivi 
l�impresa ha editato la testata �A.B.�, registrata al tribunale di (...) al n. (...) 
del 1985, mentre per l�anno 2009 ha editato la testata E.W.P., che presenta la 
medesima registrazione presso il Tribunale�, rilevando che �il raffronto delle 
(*) Pareri del 6 giugno 2011 prot. 188220 e del 16 giugno 2011 prot. 201667, AL 
13501/11 e AL 13500/11, avv. FABRIZIO FEDELI.
186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
copie delle pubblicazioni trasmesse dall�impresa, prima e dopo il cambio della 
denominazione della testata, ha reso evidente che, di fatto, l�impresa ha editato 
due periodici completamente diversi nella forma e nei contenuti, diversit� che 
si riflette quindi - ragionevolmente - anche sul tipo di pubblico al quale i due 
periodici sono rivolti �. 
La Commissione tecnica consultiva ha ritenuto, quindi, opportuno chiedere 
a questa Avvocatura un parere in ordine alla legittimit� della corresponsione 
dei contributi richiesti, per l�anno 2009, dalla citata impresa editrice, 
allo scopo di approfondire �se, ai fini della corretta applicazione della fattispecie 
di legge, possa essere considerato dirimente il dato formale costituito 
dall�identit� della registrazione delle due pubblicazioni presso il Tribunale, 
ovvero se il radicale mutamento apportato dall�impresa alla forma, alla veste 
grafica ed ai contenuti della pubblicazione, contestualmente al mutamento 
del nome della testata, costituisca una soluzione di continuit� giuridicamente 
rilevante nell�identit� della pubblicazione, tale quindi da incidere sul possesso 
dei requisiti richiesti dall�art. 3, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 250 
per l�erogazione del contributo ivi disciplinato�. 
Ci� premesso, la Scrivente osserva che i contributi di cui all�art. 3 comma 
3 della L. n. 250/1990, sono concessi alle imprese editrici di periodici �indipendentemente 
dal numero delle testate�, a differenza di quelli di cui al comma 
2 del medesimo articolo che sono concessi �limitatamente ad una sola testata�. 
Pertanto, non sembra che la lett. c) del comma 3 richieda, quale requisito 
per la concessione dei contributi, l�identit� (formale, data dal numero di iscrizione 
nel registro della stampa, o �sostanziale�, desunta dalle caratteristiche e 
dai contenuti) della testata nei due anni precedenti l�entrata in vigore della L. 
n. 250/1990 e nell�anno della richiesta di contributo, in quanto le provvidenze 
previste dal comma 3 sono concesse in funzione dell�impresa editrice e non 
della singola testata, ferma restando la necessit� del numero di pubblicazioni 
annuali richiesto dall�art. 3 comma 3 lett. c). 
Alla stregua delle precedenti considerazioni non si ravvisano motivi ostativi 
alla concessione del contributo richiesto per l�anno 2009 dalla Cooperativa (...). 
Sulla questione oggetto del presente parere � stato sentito l�avviso del 
Comitato Consultivo che si � espresso in conformit�. 
� Art. 3, comma 5, della L. 7 agosto 1990 n. 250 � Divieto di distribuzione 
degli utili e ristorni. 
Si riscontra la nota indicata a margine con la quale codesto Dipartimento 
ha domandato alla Scrivente se �il divieto di distribuzione degli utili, previsto 
espressamente dalla normativa sull�editoria, comporti � per spiegare compiutamente 
la sua efficacia � anche il divieto di distribuzione dei ristorni� e
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 187 
se �pertanto entrambi i divieti debbano essere inseriti nello statuto della societ�, 
ovvero � il che � equivalente � � debba essere rimossa dallo statuto la 
previsione dei ristorni e la sua disciplina�. 
In linea ulteriore codesto Dipartimento ha chiesto di conoscere se, �in assenza 
della previsione statutaria in ordine al divieto di attribuzione dei ristorni, 
(e purch� sia presente, nello statuto, il divieto di distribuzione degli 
utili) possa considerarsi giuridicamente rilevante la mancata distribuzione di 
fatto dei ristorni medesimi, certificata con dichiarazione sostitutiva dell�atto 
di notoriet� dal rappresentante legale dell�impresa editrice�. 
In proposito, la Scrivente osserva che, come riconosciuto dalla giurisprudenza 
della Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, 8 settembre 1999, n. 9513), i cosiddetti 
"ristorni" vadano tenuti distinti dagli utili in senso proprio, in quanto, 
mentre gli utili costituiscono remunerazione del capitale e sono perci� distribuiti 
in proporzione al capitale conferito da ciascun socio, i "ristorni" costituiscono 
uno degli strumenti tecnici per attribuire ai soci il vantaggio 
mutualistico (risparmio di spesa o maggiore retribuzione) derivante dai rapporti 
di scambio intrattenuti con la cooperativa, traducendosi in un rimborso 
ai soci di parte del prezzo pagato per i beni o servizi acquistati dalla cooperativa 
(nel caso delle cooperative di consumo), ovvero in integrazione della retribuzione 
corrisposta dalla cooperativa per le prestazioni del socio (nelle 
cooperative di produzione e lavoro), con la conseguenza che, stante tale diversit�, 
alle somme da distribuire eventualmente ai soci a titolo di ristorno non 
sono, di regola, applicabili le limitazioni poste dalla legge alla distribuzione 
degli utili. 
Ad avviso della Scrivente, tuttavia, la cooperativa editoriale soddisfa i 
requisiti richiesti dalla legge per la concessione del contributo, in presenza di 
una clausola statutaria che consenta la distribuzione dei ristorni, solo a condizione 
che, attraverso i ristorni, non avvenga la restituzione del contributo 
stesso, in tutto o in parte (requisito verificabile in base al bilancio certificato 
dalla societ� di revisione che le imprese editoriali sono tenute a presentare, 
art. 3 comma 2 lett. g] L. n. 250/1990), sorgendo altrimenti, a carico della societ�, 
l�obbligo di restituzione previsto dall�art. 3 comma 6 della L. n. 
250/1990. 
In conclusione i ristorni � i quali, tecnicamente, non coincidono con gli 
utili � non impediscono, di per s�, il contribuito statale in esame, ma occorre 
che alla loro formazione non abbiano concorso in alcun modo quei contributi, 
circostanza che pu� essere certificata formalmente dalla societ� di revisione, 
perch� i medesimi non possono mai essere attribuiti ai soci. 
Sulla questione oggetto del presente parere � stato sentito l�avviso del 
Comitato Consultivo che si � espresso in conformit�.
188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Onere delle spese legali a carico dell�Amministrazione nel caso di procedimento 
conclusosi con piena esclusione di responsabilit� del dipendente* 
Con la nota che si riscontra n. 151644 del 19 maggio 2010 codesto Comando 
Generale rappresenta che alcuni militari della Guardia di Finanza sono 
stati convenuti - unitamente all�Amministrazione - avanti al Tribunale Civile 
di Lecce in relazione ad un�attivit� di servizio tesa a contrastare il fenomeno 
del contrabbando. 
In particolare i medesimi erano accusati dai parenti (madre e sorella) di 
aver cagionato la morte di un giovane - attinto da alcuni colpi di arma da fuoco, 
giovane - che non si era fermato all�ALT dei militari e che si sospettava trasportasse 
appunto merce di contrabbando. 
Il giudizio di primo grado (cfr. sent. Trib. Lecce n. 474/2000) si concludeva 
con la reiezione della domanda attrice e con la condanna di quest�ultima 
parte al rimborso delle spese di giudizio a favore dei militari che si erano costituiti 
a mezzo di un loro difensore, per un importo di allora lire 4.500.000 
ciascuno. 
La sentenza di secondo grado (cfr. C.te Appello Lecce n.150/2002) confermava 
la decisione di primo grado e liquidava a favore dei militari le spese 
di difesa in complessivi euro 4.168,59. 
Il giudizio si concludeva in sede di legittimit� (cfr sent. n. 15374/06 III 
sez. Civ. Cassazione) in linea con le precedenti decisioni dei giudici di merito 
reiettive della domanda, e con la liquidazione a carico dei ricorrenti in favore 
dei militari per un importo complessivo di euro 3.600,00. 
I singoli militari interessati hanno cos� chiesto il rimborso delle spese legali 
ciascuno per l�importo di euro 6.434,74. 
L�Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, con nota n. 40399 del 2 
luglio 2009, ha ritenuto di non poter dare corso all�esame del quantum non 
rientrando la fattispecie nel novero dell�art. 18 D.L. 67/1997. 
Rilevava l�Avvocatura che i militari potevano esercitare la loro pretesa 
creditoria nei confronti delle controparti soccombenti, che del resto erano state 
condannate in tutti i gradi di giudizio alla rifusione delle spese; altrimenti verificandosi 
un�ipotesi di indebito arricchimento in capo ai militari che verrebbero 
a percepire due volte la stessa somma dallo Stato e dalle controparti. 
Al riguardo paventate difficolt� in ordine al recupero delle spese stesse 
non potevano avere alcun rilievo; poich� la previsione beneficiante dell�art. 
18, cit. non prevedeva un�ipotesi di surrogazione legale da parte dell�Amministrazione 
ex art. 1203 c.c.. 
Codesto Comando, che ai sensi dell�art. 10 bis L.241/1990 aveva partecipato 
agli interessati il contenuto del sopra citato parere, rappresenta di aver 
(*) Parere del 16 giugno 2011 prot. 201622, AL 22904/10, avv. MAURIZIO GRECO.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 189 
ricevuto le loro osservazioni da cui si evince l�impossibilit� di ogni azione 
esecutiva nei confronti delle parti attrici � debitrici � in quanto soggetti �impossidenti�
di tanto che erano state ammesse al gratuito patrocinio (cfr. pag. 2 
rigo 4 sent. cit. n.474 Trib. Lecce). 
Ancora, era impossibile svolgere ogni procedura esecutiva in ragione appunto 
dell�accertata impossidenza. 
L�Amministrazione, che ha trasmesso all�Avvocatura Distrettuale di 
Lecce le note dei militari senza ottenerne risposta, chiede alla Scrivente di conoscere 
se possa esser dato favorevole corso alle istanze dei militari medesimi; 
ovvero se debbano comunque essere preventivamente esperite azioni esecutive 
e solo in caso di infruttuosit� delle medesime - cos� essendo escluso ogni indebito 
arricchimento dei militari - dar luogo al rimborso. 
In questo caso chiede di conoscere se le spese per l�esperimento di dette 
procedure possano poi essere oggetto di rimborso. 
Rileva la Scrivente, sulla base degli elementi rappresentati, che le osservazioni 
dei militari possano trovare favorevole considerazione. 
Nella fattispecie si tratta sicuramente di un giudizio aperto a loro carico 
che li vedeva convenuti, del resto unitamente all�Amministrazione, per fatti 
strettamente connessi al servizio. 
Ci� � tanto vero che, appunto anche l�Amministrazione medesima � stata 
convenuta nell�ambito dei sopra citati giudizi. 
A questo proposito si osserva come non possa aver influenza alcuna il 
fatto che i militari non si siano avvalsi della facolt� prevista dall�art. 44 R.D. 
1611/33; - nominando un avvocato di loro fiducia stante il principio di cui all�art. 
24 Cost.ne avente rango assolutamente primario. 
Ancora il mero dato della condanna delle parti attrici (poi appellanti e ricorrenti 
in Cassazione) alla rifusione delle spese a favore dei militari, deve essere 
valutata in considerazione della documentata impossibilit� oggettiva del 
recupero delle spese liquidate, non potendo detto dato essere di ostacolo al 
rimborso. 
Il tenore sotteso all�art. 18 cit. � finalizzato, e comunque consiste, nel tenere 
indenne il dipendente nei cui confronti sia aperto un procedimento conclusosi 
con piena esclusione di responsabilit� sollevandolo cos� da ogni onere 
economico connesso all�attivit� difensiva. 
L�assoluta incapienza dei soggetti condannati, con l�impossibilit� cos� dei 
medesimi a rifondere le spese ai militari, in sostanza - non pu� esporre i dipendenti 
stessi a sopportare in siffatta situazione l�onere economico di difesa, 
apparendo ragionevole, proprio per la ratio sottesa alla normativa beneficiante, 
che detto onere sia comunque ristorato, ricorrendone le condizioni, dall�Amministrazione 
in nome e per conto della quale i medesimi hanno comunque 
agito in connessione con i fini Istituzionali. 
La Scrivente ritiene pertanto che codesta Amministrazione, che nel prov-
190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
vedimento far� espressa menzione dell�impossibilit� oggettiva del recupero, e 
della dichiarazione al riguardo rilasciata dai militari medesimi e dei connessi 
oggettivi documentati accertamenti circa l�incapienza delle parti debitrici, possa 
procedere a liquidare le somme richieste non dovendosi pronunciare la Scrivente 
sulla congruit� delle stesse in quanto esse sono state direttamente riconosciute 
e liquidate dagli Organi Giurisdizionali deputati, fermo restando che 
lo Stato si giover� di quel credito nei confronti del soccombente. 
Sul parere si � espresso in conformit� il Comitato Consultivo. 
Beni confiscati alla criminalit� organizzata. Problematiche inerenti a societ� 
e/o beni societari confiscati* 
L�Agenzia del Demanio ha formulato alla Scrivente un�articolata richiesta 
di parere in ordine a svariate questioni concernenti gli effetti giuridici di provvedimenti 
di confisca ex lege 575/1965, coinvolgenti talora quote di societ� di 
cui i prevenuti sono soci, talora singoli beni del relativo patrimonio sociale. 
In particolare, � stato chiesto di sapere: 
a) quale sia la ricaduta di confische di quote societarie sulla propriet� di beni 
facenti parte del patrimonio sociale; 
b) le attivit� praticabili in caso di confisca di beni intestati ad una societ�; 
c) l�estensione della responsabilit� dello Stato, che confischi quote di societ� 
di persone ovvero l�interezza delle quote di una societ� di capitali, per debiti 
sociali; 
d) la sorte dei debiti che le societ� confiscate dallo Stato hanno iscritto in bilancio 
tra le poste passive, eventualmente anche nei confronti dei soci prevenuti; 
e) la sorte dei diritti reali di garanzia insistenti su beni confiscati, e segnatamente 
delle ipoteche; 
f) l�efficacia, nei confronti dello Stato, di una clausola sociale � contenuta 
nello statuto o nell�atto costitutivo � che disponga diritti di prelazione degli 
altri soci in caso di vendita di partecipazioni azionarie; 
g) le possibili modalit� di liquidazione di societ� inattive in conseguenza di 
provvedimenti di confisca; 
h) la sorte dei debiti tributari delle societ� integralmente confiscate dallo 
Stato; 
i) la sussistenza o meno del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato relativamente 
alle societ� confiscate. 
In relazione alle tematiche sopra rassegnate, si svolgono le seguenti con- 
(*) Parere del 22 giugno 2011 prot. 208177/96/88, AL 48555/06, avv. GIANCARLO CASELLI.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 191 
siderazioni, che si estendono � per sopravvenuta competenza � all�Agenzia Nazionale 
per l�amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati 
alla criminalit� organizzata. 
*** 
1. Con riguardo alla tematica sub a) (ricaduta di confische di quote societarie 
sulla propriet� di beni facenti parte del patrimonio sociale), occorre svolgere 
alcune considerazioni preliminari a riguardo della netta distinzione 
concettuale, nel diritto civile, tra capitale sociale e patrimonio sociale: mentre 
il �capitale� di una societ� costituisce l�insieme dei conferimenti di beni e servizi 
effettuati (per l�appunto in conto capitale) dai soci per la costituzione ed il 
mantenimento della societ� (arg. ex articolo 2247 cod. civ.), il �patrimonio� sociale 
configura invece l�insieme dei beni e diritti appartenenti - a vario titolo - 
alla societ�, in quanto soggetto distinto ed autonomo dai soci che ne fanno parte. 
Giova a tal riguardo richiamare il tradizionale, e tutt�ora attuale, insegnamento 
giurisprudenziale secondo cui �i concetti giuridici di capitale sociale e 
di patrimonio sociale, pur presentando qualche elemento di correlazione, particolarmente 
accentuato nel momento della costituzione della societ�, sono diversi 
ed inconfondibili. Il capitale sociale traduce in cifra precisa (suscettibile 
di norma di variazione nella sua entit� giuridica e contabile solo a seguito di 
modifica nelle forme legali dell�atto che lo abbia determinato) l�ammontare 
complessivo degli apporti dei soci all�atto della sua costituzione. Il patrimonio 
sociale invece � formato dal complesso dei diritti ed obblighi, dai rapporti giuridici 
attivi e passivi che, nel corso della gestione, vengano man mano ad accentrarsi 
nella societ� ed � pertanto soggetto alle fluttuazioni e trasformazioni 
determinate dalle esigenze e dagli effetti della realt� economica, e � visto in 
un particolare momento � identifica il complesso dei beni dei quali, nel momento 
medesimo, la societ� � titolare� (Cass. Civ., I, 25 marzo 1965, n. 488). 
Da tanto consegue il diverso trattamento contabile dei due concetti, per 
cui �il fatto che il capitale sociale, non diversamente dalle riserve e da tutte le 
altre poste che concorrono a formare il patrimonio netto della societ�, debba 
essere iscritto al passivo del bilancio (art. 2424 c.c.) non vale a farlo considerare 
alla stregua di una posta debitoria, il cui annullamento o la cui riduzione 
comporti un vantaggio patrimoniale della societ�, giacch� quelle poste non 
costituiscono passivit�, ma identificano l�eccedenza delle attivit� rispetto alle 
vere e proprie passivit� - rappresentando, quindi, il �valore netto� del patrimonio 
di cui la societ� pu� disporre - e la loro iscrizione nella colonna del 
passivo risponde unicamente alla finalit� contabile di far coincidere il totale 
del passivo con quello dell�attivo� (Cass. Civ., I, 8 novembre 2005, n. 21641). 
1.1. Sulla base di quanto sopra, � dunque agevole inferire che la confisca 
di quote di un capitale sociale non avr� effetti giuridici immediati sui singoli 
beni che compongono il patrimonio della societ� medesima: � stato infatti da 
tempo chiarito che �la cessione delle azioni o delle quote di una societ� di ca-
192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
pitali non pu� configurarsi quale trasferimento a titolo oneroso dei beni che 
ne costituiscono il patrimonio� (Cass. Civ., I, 23 luglio 1998, n. 7209), ancorch� 
limitatamente al riconoscimento del diritto di prelazione riconosciuto per 
la vendita di immobili urbani. 
Dipoi, con riferimento a vertenza relativa all�alienazione di quote di societ� 
di persone, Cass. Civ., III, 14 luglio 2004, n. 13075, ha pi� di recente affermato 
che �la cessione della quota sociale non attribuisce al socio 
subentrato la propriet� di una porzione dei beni della societ�, ma gli attribuisce 
una quota del relativo patrimonio, comprensivo delle passivit�, dei crediti, 
dei rischi, della esposizione per le obbligazioni gi� contratte, nonch� dei 
poteri di indirizzo e gestione dei programmi societari con le relative aspettative 
(�)�. 
Mette poi conto rammentare quanto affermato, in termini generali, da 
Cass. Civ., I, 28 febbraio 1998, n. 2252, ossia che �con la stipula del contratto 
di societ� si determina, anche nelle societ� di persone, un effetto di scambio 
tra patrimonio dei soci e patrimonio sociale, con il trasferimento, per un verso, 
della titolarit� dei beni - anche immobili - conferiti, dal patrimonio dei conferenti 
a quello della societ�, �soggetto di diritto� diverso e terzo rispetto ai 
soci; e con il parallelo ingresso, nel patrimonio del socio, dei diritti (mobiliari) 
riferibili alla titolarit� della quota sociale �. 
1.2. In relazione a quanto sopra, appare dunque assolutamente corretta 
l�affermazione (pure a suo tempo fatta propria dall�Avvocatura Distrettuale 
dello Stato di Brescia con il parere prot. n. 7753 del 7 giugno 2002) per cui la 
confisca di azioni o di quote societarie non comporta automaticamente l�acquisizione 
allo Stato del patrimonio aziendale, e dei singoli beni che di esso 
facciano parte. 
Correlativamente, appaiono discutibili i provvedimenti di confisca di 
quote sociali appartenenti a prevenuti e che, a causa di un�errata valutazione 
del giudice penale o di un�errata interpretazione in sede di esecuzione, finiscano 
col colpire beni immobili di effettiva propriet� della societ� (in quanto 
facenti parte a tutti gli effetti del patrimonio sociale), con relativa trascrizione 
nei registri immobiliari degli effetti della confisca stessa: proprio in ragione 
della evidenziata separazione tra capitale e patrimonio sociale, i beni patrimoniali 
della societ� non sono infatti di propriet� del soggetto prevenuto, e pertanto 
la confisca di (sole) quote societarie appartenenti ad un prevenuto non 
si estende automaticamente ai beni societari (1). 
(1) In tal senso (con riguardo alla misura di prevenzione del sequestro, ma con argomentazioni 
estendibili anche alla confisca) si � espressa anche Cass. Civ., III, 27 aprile 2007, n. 10095, allorch� � 
nel dirimere un contrasto tra l�amministratore giudiziale di quote societarie sequestrate e la curatela fallimentare 
della societ� di capitali di cui le anzidette quote erano parte � ha precisato che �il sequestro 
di prevenzione aveva avuto per oggetto non il complesso dei beni costituiti in azienda, ma soltanto le 
quote di una societ� di capitali poi dichiarata fallita�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 193 
A tale ultima ipotesi sembra riconducibile il concreto caso affrontato dal 
Tribunale di Palermo e portato all�attenzione della Scrivente: pur non disponendosi 
del provvedimento a quo, alla descritta conclusione sembra infatti 
portare la premessa del decreto n. 90/02 del Giudice dell�Esecuzione Penale 
palermitano, il quale ha dato atto che la confisca ha attinto, �oltre che beni 
personali� riconducibili al soggetto prevenuto, anche �tutte le quote della societ� 
e dei beni delle societ��, ed inoltre che �la confisca dei beni delle societ�, 
e la conseguente acquisizione all�Erario, � stata disposta come conseguenza 
della confisca dell�intero capitale sociale, che comporta il trasferimento all�Erario 
delle quote rappresentative del patrimonio della societ�, nel quale 
patrimonio rientrano i beni medesimi�. In tale ipotesi, risulta essere stata opportunamente 
formulata la richiesta al Giudice della Prevenzione Penale di 
fornire una sorta di interpretazione �autentica� del provvedimento di confisca, 
onde impedire la fuoriuscita del bene dal patrimonio sociale, specie quando 
ne possa derivare un danno � in termini di perdita o riduzione del patrimonio 
della societ� � all�Erario che abbia acquisito tramite confisca quote della societ� 
stessa. 
Al contempo, tuttavia, occorre evidenziare che non paiono altrettanto condivisibili 
le considerazioni svolte dal Tribunale Penale di Palermo, il quale 
giunge al (giusto) risultato di mantenere al patrimonio della societ� il bene gi� 
oggetto di confisca, attraverso l�erronea affermazione secondo cui il vincolo 
che colpisce il bene della societ� determina il trasferimento all�Erario delle 
quote sociali rappresentative del bene stesso: tale argomentare denota invero 
una indebita sovrapposizione dei concetti (distinti ed autonomi, per quanto 
sopra detto) di capitale sociale da un lato e di patrimonio sociale dall�altro. 
1.3. Ontologicamente distinta da quella dianzi descritta, appare poi la fattispecie 
della confisca (soltanto) di singoli beni societari, indipendentemente 
dalla confisca di quote di partecipazione di privati alla societ� (questione sub 
lett. b), percorribile allorch� detti beni (si tratta ovviamente di beni per lo pi� 
immobili) siano fittiziamente intestati alla societ�, ma in realt� nella effettiva 
ed esclusiva disponibilit� del prevenuto: ci� che legittima invero l�applicazione 
dell�articolo 2-ter della Legge n. 575/1965. 
In questo caso, ed in termini del tutto speculari rispetto alla conclusione 
rassegnata al precedente punto 1.2, risulta senz�altro da condividere il parere 
n. 19379 reso dall�Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo in data 22 
settembre 1995, che ha sottolineato come l�Erario, non avendo acquisito alcuna 
partecipazione azionaria nella societ� per effetto della confisca dei suddetti 
beni, non ha titolo a promuovere la procedura di liquidazione della societ� 
medesima. 
Gli aspetti problematici che tale fattispecie impinge riguardano (cos� 
come rappresentato dall�Agenzia del Demanio) la sorte di detti beni successivamente 
alla confisca.
194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
In effetti, nel presupposto che l�immobile attinto dalla confisca sia da 
considerarsi solo in apparenza appartenente alla societ� che ne sia formale intestataria, 
laddove il reale proprietario deve invece essere considerato il socio
prevenuto, appare inevitabile l�applicazione dell�articolo 2-undecies, comma 
2, lett. a) e b), della Legge n. 575/1965, e quindi il mantenimento del bene al
patrimonio dello Stato per finalit� di giustizia, di ordine pubblico e di protezione 
civile, o acquisizione al patrimonio del comune interessato per finalit�
istituzionali o sociali. 
D�altra parte, atteso che in casi del genere il bene fittiziamente intestato 
alla societ� non viene di fatto utilizzato dalla stessa, esso non dovrebbe essere
considerato come bene aziendale, dotato cio� di attitudine all�esercizio dell�impresa: 
risulta quindi inipotizzabile imprimere allo stesso ogni destinazione
diversa dal mantenimento �al patrimonio dello Stato per salvo che si debba 
procedere alla vendita degli stessi finalizzata al risarcimento delle vittime dei 
reati di tipo mafioso �, ovvero dal trasferimento �al patrimonio del comune 
dove l�immobile � sito, ovvero al patrimonio della provincia o della regione� 
previsti dal citato articolo 2-undecies, comma 2, lettere a) e b), della Legge n. 
575/1965. 
Appare al contempo fuorviante ipotizzare uno stralcio dal bilancio sociale 
di tale bene, con conseguente perdita di esercizio e diminuzione del patrimonio
netto della societ�, del quale in realt� il bene non ha mai fatto parte. D�altronde,
� stato pertinentemente segnalato che in casi del genere le societ� formalmente
proprietarie dei beni in questione sono per lo pi� societ� �di comodo�, realizzate 
proprio al fine di consentire una intestazione fittizia di beni e senza reale
vocazione imprenditoriale, sicch� non sembra che la loro liquidazione o il loro
fallimento presenti particolari controindicazioni (2).
*** 
2. Tanto premesso in termini del tutto generali, occorre dipoi affrontare 
ricostruttivamente la questione degli effetti giuridici di un provvedimento di 
confisca (ex lege n. 575/1965, appunto) di azioni societarie, o pi� in genere di 
quote di un capitale sociale, con specifico riguardo alla responsabilit� civile
dello Stato confiscante per i debiti sociali: la soluzione da darsi a tale quesito
(2) Cfr. la recente Cass. Pen., VI, 23 aprile 2009, n. 17229, la quale, con riguardo alla ipotesi di 
un istituto bancario �infiltrato� da un soggetto prevenuto siccome reputato appartenere ad una consorteria 
mafiosa, ha qualificato �l�impresa in questione come mafiosa, in quanto pur essendo funzionale all�esercizio 
di un�attivit� imprenditoriale di per s� lecita quanto all�oggetto, ha rivelato una natura illecita 
perch� caratterizzata da matrice criminale in ordine ai modi di gestione e, inoltre, perch� si � dimostrata 
la sua strumentalit� alla consumazione di condotte delittuose, tra cui in particolare il riciclaggio di denaro. 
E�, quindi, con riferimento all�impresa c.d. mafiosa che si giustifica la confisca dei dividendi e 
del prezzo di vendita delle quote azionarie, in quanto si ritiene che l�impresa abbia avuto la possibilit� 
di espandersi e di produrre reddito proprio grazie all�uso distorto che � stato fatto dei beni aziendali, 
uso distorto che � attestato pure dalle accertate falsificazioni di bilancio e che ha consentito di piegare 
la politica imprenditoriale della banca agli interessi mafiosi�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 195 
consentir� successivamente di fornire risposta compiuta a svariati dei problemi 
applicativi sollevati. 
Mette tuttavia conto sin d�ora precisare che la descritta questione preliminare 
� di notevolissima difficolt� dogmatica, in quanto essa non risulta affrontata 
ex professo dalla normativa di settore, neppure a seguito delle 
innovazioni recentissimamente apportate dalla Legge n. 94/2009, dalla Legge 
n. 191/2009 (Legge Finanziaria per il 2010), nonch� dal D.L. n. 4/2010 (convertito, 
con modificazioni, con Legge n. 50/2010); e pi� in genere sconta la 
difficolt� di coordinare l�anzidetta normativa - connotata da ispirazione squisitamente 
repressiva, ed evidentemente volta alla tutela dell�ordine pubblico, 
con conseguente caratterizzazione dello Stato come ente tutelare di quel bene 
giuridico, e titolare di conseguenti penetranti poteri - con principi e regole derivanti 
dal diritto commerciale in genere, e dal diritto societario in particolare: 
ambito in cui, invece, l�ente pubblico dovrebbe tendenzialmente partecipare, 
salvo eccezioni, �ad armi pari� con i privati. 
Sicch�, di nuovo in termini tutt�affatto generali, la vicenda a base della 
questione in esame potrebbe essere riguardata alternativamente con piglio 
strettamente civilistico, ovvero privilegiando un taglio di natura pubblicistica. 
*** 
3. Nel primo caso (impostazione civilistica), occorrerebbe partire dalla 
premessa per cui la confisca di azioni societarie, o pi� in genere di quote del 
capitale sociale, comporti il trasferimento della loro propriet� in capo allo 
Stato, e consequenzialmente l�acquisizione dello status di socio in capo allo 
Stato, di regola in completa sostituzione dell�ex socio �prevenuto�, con integrale 
applicazione delle relative norme. 
In altri termini, secondo questa impostazione, lo Stato � una volta acquisita 
la propriet� di quote sociali a seguito della definitivit� del provvedimento 
di confisca � diventerebbe un socio della societ�, alla pari degli altri soci �privati�, 
ove ve ne siano, assumendo gli ordinari poteri, diritti e doveri del socio, 
senza che la qualit� pubblica rivestita, salvo espressa deroga ad opera di legge 
speciale, possa attribuirgli peculiari poteri o facolt�: tanto si desumerebbe 
dall�articolo 2449 cod. civ. (articolo 2458 prima della riforma del 2003-2004), 
il quale esprime - in negativo - il principio di ordine generale dell�applicabilit� 
anche agli enti pubblici azionisti delle norme di diritto comune stabilite dal 
codice in materia di societ� per azioni. 
Ci� comporterebbe una serie di conseguenze piuttosto significative in ordine 
alle problematiche sottoposte, con riguardo - segnatamente - alla responsabilit� 
civile nei confronti dei creditori sociali, allorch� le regole ordinarie 
prevedano la responsabilit� �illimitata� dei soci. 
3.1. E� ad esempio il caso in cui lo Stato, a seguito di confisca di quote 
societarie, entri a far parte della compagine di una societ� di persone, per la 
quale vige il principio della responsabilit� illimitata dei soci per le obbligazioni
196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
sociali, anche precedenti al suo ingresso nella societ�: cfr. articolo 2269 cod. 
civ., secondo cui �chi entra a far parte di una societ� gi� costituita risponde 
con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualit� 
di socio�. 
La tematica trae origine dalla concreta fattispecie di confisca delle quote 
del socio accomandatario in una s.a.s. dipoi fallita; ponendosi per l�effetto il 
problema se si applichi, nei riguardi dello Stato, il regime della responsabilit� 
illimitata del socio accomandatario di cui all�articolo 2313 cod. civ., nonch� 
le ulteriori conseguenze derivanti dall�intervenuto fallimento della societ�. 
Occorre preliminarmente escludere, ai sensi dell�articolo 1 della L.F., l�assoggettabilit� 
del socio erariale al fallimento, anche ove ci� debba conseguire 
dal fallimento della societ� ex articolo 147 L.F.. Ma, ove si ritenga di accedere 
alla cennata visione �civilistica� pura e semplice del fenomeno, si renderebbe 
inevitabilmente applicabile il disposto dell�articolo 2313 cod. civ. anche al 
socio accomandatario Stato, e la sua conseguente responsabilit� illimitata per 
le obbligazioni sociali (anche anteriori alla confisca, in base al ripetuto articolo 
2269 cod. civ.), con tutte le caratteristiche sue proprie di responsabilit� personale 
e diretta, mitigata dall�obbligo del creditore di escutere preventivamente 
il patrimonio sociale (articoli 2304 e 2318 cod. civ.). 
Analogamente a dirsi in relazione alle obbligazioni sorte nel periodo in 
cui - a seguito di confisca di un compendio societario, anche di capitali - il 
socio unico Stato abbia detenuto tutte le quote sociali, con conseguente possibilit� 
che l�Erario sia chiamato a rispondere (illimitatamente) con il proprio 
(autonomo) patrimonio delle obbligazioni sociali in quel periodo sorte (3). 
3.2. I descritti effetti di responsabilit� (eventualmente illimitata) dello 
Stato � socio si replicherebbero, nella prospettata impostazione, anche in relazione 
ai debiti iscritti nei bilanci delle societ� confiscate a titolo di versamenti 
(3) Anche se, con specifico riguardo alla ipotesi sottoposta all�attenzione della Scrivente, la responsabilit� 
illimitata del socio unico nelle societ� di capitali si configura solo in presenza di alcune 
condizioni: dispongono infatti i rinnovati articoli 2462 (per le ss.r.l.) e 2325 (per le ss.p.a.) cod. civ. che, 
in caso di insolvenza della societ�, l�unico socio risponde illimitatamente (e quindi anche col suo patrimonio) 
quando i conferimenti non sono stati interamente liberati, oppure fin quando non sia stata effettuata 
nel registro delle imprese la prescritta pubblicit� dell�unicit� del socio. Il socio unico quindi - a 
differenza del previgente regime, il quale delineava la responsabilit� illimitata del socio unico in qualsiasi 
caso - risponde oltre i limiti del patrimonio sociale solo al ricorrere di rigorosi presupposti e limiti. Per 
quel che qui pi� interessa, occorre evidenziare che la responsabilit� in parola: 
- configura un�ipotesi di responsabilit� solidale della societ� e dell�unico socio nei confronti dei creditori 
sociali; 
- non si estende oltre le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui l�intera partecipazione � appartenuta 
ad una sola persona: quindi, con specifico riguardo alla peculiare fattispecie all�esame, non si estende 
ai debiti che la societ� divenuta unipersonale abbia contratto anteriormente alla confisca; 
- ricorre �in caso di insolvenza della societ��, prospettandosi cos� una sorta di necessario beneficium 
excussionis in favore dell�unico socio, con onere quindi, per i creditori, di preventiva escussione della 
societ� debitrice.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 197 
in conto finanziamento dei soci prevenuti ed attinti dalla confisca delle quote 
societarie: tali debiti costituiscono invero - sotto il profilo contabile - poste 
passive del bilancio societario (da iscrivere presumibilmente sub voce D-3) 
del passivo ex articolo 2424 cod. civ.), e - sotto il profilo civilistico - dei crediti 
personali vantati dagli ex soci nei confronti della societ� �confiscata� (4). 
Ci� che renderebbe dunque non infondati i timori, espressi dall�Agenzia 
del Demanio nella richiesta di consultazione, di dover onorare tali debiti con 
danaro pubblico, per di pi� nei confronti di soggetti di ritenuta appartenenza 
mafiosa. 
*** 
4. E� dunque alla luce delle considerazioni fin qui svolte che la tematica 
qui all�esame � si ripete: gli effetti di un provvedimento di confisca ex lege n. 
575/1965 coinvolgente quote societarie (relative a societ� di persone e/o di 
capitali) sulla responsabilit� civile dello Stato confiscante riguardo preesistenti 
debiti societari � pu� invece essere riguardata sotto un diverso taglio (impostazione 
pubblicistica), in modo da valorizzare la specifica funzione (di tutela 
dell�ordine pubblico e di prevenzione e contrasto di fenomeni criminali ad altissimo 
impatto sociale) dello strumento all�esame. 
Entro tale ottica, occorre in effetti rimarcare la specificit� della natura e 
della funzione della confisca prevista e disciplinata dalla Legge n. 575/1965 
(segnatamente dall�articolo 2-ter), la quale � al di l� dell�incardinamento sistemico 
tra le misure di �prevenzione� patrimoniale � appare piuttosto volta 
a sottrarre in modo definitivo ai patrimoni in vario modo ascrivibili alla mafia 
(concetto quest�ultimo da intendersi in senso ampio: cfr. la rinnovata formulazione 
�estensiva� dell�articolo 1 della Legge n. 575/1965) beni di consistente 
valore, acquisiti con i metodi illeciti delle indicate consorterie criminali, o comunque 
strumentali alla commissione di ulteriori reati e pi� in genere al loro 
prosperare. 
Si tratta dunque di uno strumento volto a contrastare i fenomeni criminali 
mafiosi non gi� sotto il versante strettamente penalistico (e quindi in un�ottica 
di repressione temporalmente successiva alla commissione di reati), bens� 
maggiormente sotto il profilo economico, e quindi idoneo a contrastare l�accumulo 
di consistenti patrimoni mafiosi, sovente necessari per lo svolgimento 
e l�implementamento delle �reti� criminose, attraverso il loro coattivo depauperamento. 
In altre parole, le confische di che trattasi servono ad impoverire econo- 
(4) Detti crediti, con riguardo alla posizione patrimoniale del prevenuto, costituiscono beni distinti 
rispetto alla partecipazione societaria, autonomamente sequestrabili e confiscabili (cfr. primo comma 
dell�articolo 2-quater, e comma 1, lett. c), dell�articolo 2-undecies della Legge n. 575/1965): non potrebbe 
dedursene la automatica estensione a seguito della confisca della partecipazione medesima, ove 
non espressamente indicati nel provvedimento di confisca, n�, conseguentemente, l�automatica caducazione 
o cancellazione a seguito della confisca stessa.
198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
micamente e finanziariamente le mafie (che risultano, nei tempi pi� recenti, 
aver assunto connotati quasi �industriali� nella gestione ed organizzazioni di 
traffici criminosi in svariati settori di importante rilievo economico: il contrabbando, 
la droga, gli appalti, la gestione dei rifiuti, ecc.), e quindi a combatterle 
attraverso meccanismi indirizzati a tranciare alla radice le loro fonti 
di sostentamento. Ci� che emerge con chiarezza dall�oggetto della confisca di 
prevenzione, che pu� riguardare (cfr. articolo 2-ter, terzo comma, della Legge 
n. 575/1965) �beni sequestrati di cui la persona, nei cui confronti � instaurato 
il procedimento, non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche 
per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilit� 
a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito (�), 
o alla propria attivit� economica, nonch� dei beni che risultino essere frutto 
di attivit� illecite o ne costituiscano il reimpiego�. 
In ultima analisi, scopo finale di tale strumento risulta essere la sottrazione 
in via definitiva, ai circuiti criminali di che trattasi, di cospicui compendi economici 
dotati di valore economico effettivo, e con attitudine al finanziamento 
del fenomeno mafioso. 
4.1. Le superiori precisazioni in ordine alla effettiva funzione della confisca 
ex lege n. 575/1965, quasi pi� di politica anticriminale che non penalistica 
in senso stretto, giustificano il vivace dibattito � dottrinale e giurisprudenziale 
� sulla sua natura giuridica. 
In effetti, per un verso si � tradizionalmente inteso ravvisare nello strumento 
qui in analisi uno strumento a (mera) funzione preventiva, valorizzando 
il suo inserimento sistematico e processuale tra le misure di prevenzione antimafia 
(5), anche esaltando lo scopo di neutralizzazione della pericolosit� insita 
nel permanere della ricchezza nelle mani di chi pu� utilizzarla per 
perpetuare l�attivit� delinquenziale (6). Ma al contempo, altri commentatori 
vi hanno ravvisato una funzione di �controllo reale di ambiti economici non 
legittimati� (7), fino addirittura a configurarla in termini pi� propriamente punitivi 
e sanzionatori (8). 
Ma soprattutto la giurisprudenza ha dato voce ad una articolata rimeditazione 
sulla funzione e sulla natura giuridica della confisca di che trattasi. 
In effetti, la Corte Costituzionale ha da tempo precisato (sentenza 8 ottobre 
1996, n. 335) che �la confisca, pur inserendosi in un procedimento di prevenzione, 
presenta caratteri che vanno al di l� di quelli propri del sequestro, 
�misura� definita da questa Corte (sent. n. 465 del 1993) �di ordine caute- 
(5) Per un quadro ricostruttivo degli orientamenti dottrinali tradizionali, cfr. GUERRINI � MAZZA, 
Le misure di prevenzione. Profili sostanziali e processuali, Padova, 1996, 163 ss.. 
(6) FIANDACA, Misure di prevenzione, in Dig. Penale, Torino, 1994, 123. 
(7) FORNARI, Criminalit� del profitto e tecniche sanzionatorie, Padova, 1997, 69 ss.. 
(8) GALLO, Misure di prevenzione, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1990, 15; MANGIONE, Le misure 
di prevenzione patrimoniali tra dogmatica e politica criminale, Padova, 2001, 144 ss., 386 ss..
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 199 
lare�, inerente alla pericolosit� di un soggetto e destinata a venir meno cessando, 
con la pericolosit�, le ragioni della cautela (si veda l�art. 2-ter, quarto 
comma, della legge n. 575 del 1965) [e] comporta conseguenze ablatorie definitive 
(art. 2-nonies della legge n. 575 del 1965) e si distacca perci� dalla 
contingente premessa che giustifica tanto il sequestro quanto tutte le altre misure 
di carattere preventivo, valide �allo stato�, cio� subordinatamente al permanere 
- oltre che degli altri presupposti - della pericolosit� del soggetto �; 
dipoi concludendo nel suggestivo senso per cui �la ratio della confisca comprende 
ma eccede quella delle misure di prevenzione consistendo nel sottrarre 
definitivamente il bene al �circuito economico� di origine, per inserirlo in 
altro, esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo�. 
Ed ancora, Cass. Pen., sez. unite, 17 luglio 1996, n. 18, ha ricostruttivamente 
rimarcato come l�istituto presenti un �effettivo contenuto normativo (...) 
di carattere sicuramente �ablatorio��, ricollegato � tra l�altro � alla ��ratio� 
posta a base delle specifiche disposizioni in materia, dirette, come si ritiene 
in modo pressoch� concorde, ad eliminare dal circuito economico beni provenienti 
da attivit� che, a seguito degli accertamenti disposti, devono ritenersi 
ricollegate alla ritenuta appartenenza del soggetto ad un�associazione di tipo 
mafioso�. Sicch�, pur escludendo per un verso �il carattere sanzionatorio di 
natura penale e, parimenti, quello di un provvedimento di �prevenzione�� 
della confisca ex lege n. 575/1965, essa �non pu� essere ricondotta che nell�ambito 
di quel �tertium genus� costituito da una sanzione amministrativa, 
equiparabile (quanto al contenuto ed agli effetti) alla misura di sicurezza prevista 
dall�art. 240 cpv. c.p.: applicata, per scelta non sindacabile del legislatore, 
nell�ambito dell'autonomo procedimento di prevenzione previsto e 
disciplinato dalla legge n. 575 del 1965 e successive modificazioni�. Indirizzo, 
questo or ora descritto, dipoi confermato dalla Suprema Corte con svariati pronunciamenti: 
cfr. Cass. Pen., V, 29 aprile 2010, n. 16580: id., I, 28 agosto 2007, 
n. 33479; id., sez. unite, 8 gennaio 2007, n. 57; id., I, 22 luglio 2005, n. 27433; 
id., II, 31 gennaio 2005, n. 19914; id., V, 14 gennaio 2005 n. 6160 (9). 
(9) In effetti, non sono mancati argomentati pronunciamenti in senso radicalmente difforme: 
Cass. Pen., I, 9 marzo 2005, n. 13413, ha all�opposto affermato che �la normativa dettata per la misura 
di prevenzione patrimoniale ex art. 2-ter della l. n. 575 del 1965 si differenzia nettamente dalla confisca 
prevista dall�art. 240 c.p. e da altre disposizioni speciali�, rimarcando come, con �riguardo alla confisca 
come misura di sicurezza, la legge processuale penale modella una procedura esecutiva, che, salvo tassative 
eccezioni, si conclude, anche per gli immobili, con la vendita delle cose confiscate (artt. 86 disp. 
att. c.p.p., 13 reg. esec. c.p.p. e 152 D.P.R. 30.5.2002, n. 115)�, mentre �totalmente difforme risulta la 
speciale normativa della l. n. 575 del 1965 (�) in materia di confisca quale misura di prevenzione patrimoniale�, 
in base alla quale � quantomeno nella versione all�epoca vigente � �emerge univocamente 
che gli immobili confiscati a norma della legislazione antimafia sono inalienabili, con l�unica eccezione 
della vendita finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso, e acquisiscono, per effetto 
della confisca, una impronta rigidamente pubblicistica, che tipicizza la condizione giuridica e la destinazione 
dei beni, non potendo essere distolti da quella normativamente stabilita (�finalit� di giustizia, 
di ordine pubblico e di protezione civile� ovvero �finalit� istituzionali o sociali� in caso di trasferimento
200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Sempre di recente, Cass. Pen., sez. unite, 2 luglio 2008, n. 26654, nello 
svolgere un�analisi �trasversale� di svariate tipologie di confisca presenti 
nell�ordinamento a partire da quella prevista ex D. Lgs. n. 231/2001, ha ravvisato 
(anche) nella confisca ex lege 575/1965 �una natura ambigua, sospesa 
tra funzione specialpreventiva e vero e proprio intento punitivo�, precisando 
al contempo � ma in termini generali � che �con il termine �confisca�, in sostanza, 
al di l� del mero aspetto nominalistico, si identificano misure ablative 
di natura diversa, a seconda del contesto normativo in cui lo stesso termine 
viene utilizzato. D�altra parte, la stessa Corte Costituzionale, sin dagli anni 
sessanta (cfr. sentenze 25/5/1961 n. 29 e 4/6/1964 n. 46), avvertiva che �la 
confisca pu� presentarsi, nelle leggi che la prevedono, con varia natura giuridica
� e che �il suo contenuto ... � sempre la ... privazione di beni economici, 
ma questa pu� essere disposta per diversi motivi e indirizzata a varie finalit�, 
s� da assumere, volta per volta, natura e funzione di pena o di misura di sicurezza 
ovvero anche di misura giuridica civile e amministrativa�, con l'effetto 
che viene in rilievo �non una astratta e generica figura di confisca, ma, in 
concreto, la confisca cos� come risulta da una determinata legge��, cos� introducendo 
il concetto di �polimorfismo� della confisca (al riguardo, cfr. anche 
Cass. Pen., II, 6 giugno 2008, n. 22903). 
4.2. In relazione al descritto e polimorfo atteggiarsi delle peculiarit� funzionali 
della confisca, � dunque pacifico che, seppur non espressamente menzionate 
nel corpo della Legge n. 575/1965, le partecipazioni societarie sono 
state considerate assoggettabili alla indicata misura (10). 
In effetti, la menzionata Legge ha tradizionalmente fatto riferimento alle 
�aziende�, ai �beni aziendali� o ai �beni costituiti in azienda� (cfr. ad esempio 
le versioni antecedenti alle modifiche introdotte a partire dal 2009 dell�articolo 
degli immobili nel patrimonio dei comuni)�, con il necessario riconoscimento �che a seguito dell�insorgenza 
del vincolo di destinazione a finalit� pubbliche, il regime giuridico dei beni confiscati a norma 
della l. n. 575 del 1965 � assimilabile a quello dei beni demaniali o a quello dei beni compresi nel patrimonio 
indisponibile�. 
Ma � qui il caso di rimarcare come tale impostazione (ribadita anche da successivi arresti: cfr. Cass. 
Pen., I, 6 febbraio 2007, n. 8015; id., 13 novembre 2008, n. 43715; id., 14 gennaio 2009, n. 2501) non 
sia oggi pi� attuale, atteso che le interpolazioni normative del 2009 e del 2010 alla Legge n. 575/1965, 
hanno introdotto la possibilit� di pervenire alla vendita dei beni immobili di cui non sia possibile effettuare 
la destinazione o il trasferimento per finalit� di pubblico interesse: cfr. commi 2-bis, 2-ter e 2- 
quater dell�articolo 2-undecies della stessa Legge n. 575/1965. 
(10) In effetti, mentre � da sempre stata pacifica la confiscabilit� di azioni o quote di societ� di 
capitali, pi� controversa � dapprima apparsa la medesima questione con riguardo alle societ� di persone, 
nelle quali � in effetti � le quote sociali costituiscono il titolo della partecipazione diretta dei soci all�esercizio 
dell�impresa collettiva, strettamente connotata dall�intuitus personae che deve necessariamente 
intercorrere tra i soci: cfr. GIALANELLA, Genesi dell�amministrazione giudiziaria dei beni: oggetto 
di esecuzione del sequestro, in �Le misure di prevenzione patrimoniali. Teoria e prassi applicativa (Atti 
del Convegno di Bari, 14-16 febbraio 1997)�, 207; MANGIONE, Le misure di prevenzione patrimoniali 
tra dogmatica e politica criminale, cit., 313 ss.. 
Ma oggi la prassi giurisprudenziale sembra aver superato la prospettata limitazione.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 201 
2-sexies, comma 3, dell�articolo 2-decies, comma 1, e dell�articolo 2-undecies, 
comma 3), mentre solo di recente sono stati introdotti espliciti riferimenti alla 
confisca di �societ�� (cfr. articolo 2-sexies, commi 14 e 15, come modificato 
con il menzionato D.L. n. 4/2010). 
Ma � d�altra parte altrettanto pacifico che la stessa Legge n. 575/1965 ha 
considerato le compagini societarie come uno degli strumenti dei quali gli associati 
alle consorterie mafiose possono avvalersi onde gestire in maniera occulta 
i propri patrimoni illeciti: ed infatti l�articolo 2-bis, comma 3, prevede 
espressamente che le indagini strumentali all�applicazione di misure di prevenzione 
coinvolgano anche �persone fisiche o giuridiche, societ�, consorzi 
od associazioni, del cui patrimonio i soggetti (�) risultano poter disporre in 
tutto o in parte, direttamente o indirettamente�; e l�articolo 10, comma 3, 
estende i divieti di acquisizione di appalti, concessioni, licenze, finanziamenti 
pubblici, disposti nei riguardi di prevenuti persone fisiche, anche �nei confronti 
di imprese, associazioni, societ� e consorzi di cui la persona sottoposta a misura 
di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e 
indirizzi�. 
Ecco dunque che, essendo la confisca ex lege n. 575/1965 per sua natura 
indirizzata alla definitiva ablazione di beni e risorse economico-finanziarie 
dai circuiti mafiosi, nei termini pi� sopra precisati, sarebbe contraddittorio 
prevedere che essa produca i segnalati effetti giuridici di stampo propriamente 
civilistico, merc� i quali i prevenuti spossessati (rectius: espropriati) potrebbero 
comunque legittimamente neutralizzarne gli effetti economici di pi� spiccata 
deterrenza. 
In termini ancor pi� generali, non pare davvero ammissibile che la confisca 
di quote societarie possa comportare, in capo all�Erario confiscante, obblighi 
e responsabilit� civili, magari ad estensione illimitata come per le 
eventualit� pi� sopra richiamate, che lo espongano - in buona sostanza - al ripianamento 
dei debiti delle societ� confiscate nei confronti di terzi (cfr. l�ipotesi 
di cui al precedente punto 3.1), ovvero addirittura a dover corrispondere 
agli stessi prevenuti confiscati, che risultino creditori delle societ� confiscate 
nell�eventualit� descritta al precedente punto 3.2, il valore dei conferimenti in 
precedenza effettuati alle societ� medesime. In questi casi si configurerebbe, 
con ogni evidenza, un considerevole svuotamento dell�efficacia del meccanismo 
ablatorio qui all�esame, e comporterebbe tra l�altro la necessit� di una valutazione 
di �convenienza� economica di ciascuna confisca da parte degli 
organi statali a ci� deputati (legata ad un non agevole accertamento di insussistenza 
di poste debitorie in capo alle societ� collegate ai prevenuti, e di cui 
lo Stato potrebbe doversi far carico), che pare davvero estranea alla evidenziata 
funzione repressiva dello strumento. 
Entro tale ottica, si ritiene dunque di dover escludere � con specifico riguardo 
alla confisca di quote di societ� commerciali di persone � la concreta
202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
operativit� del cennato articolo 2269 cod. civ. (11). 
E� stato invero segnalato dalla pi� autorevole dottrina che la ratio di tale 
previsione risiede nella circostanza che il socio, facendo ingresso in una compagine 
sociale gi� esistente, approva l�operato della precedente gestione, accettando 
lo stato di rischio in cui si trova l�impresa (12). Ed anche la 
giurisprudenza di legittimit� che si � occupata, anche solo incidentalmente di 
siffatta previsione, ha rimarcato come �nelle societ� personali non [sia] configurabile 
un acquisto di quote sociali che sia sufficiente, di per s�, a far insorgere 
la responsabilit� dell�acquirente per le obbligazioni sociali (�), 
occorrendo invece che si realizzi l�effettivo inserimento nell�organismo sociale 
mediante il patto di cui sopra si � detto, che comporta l�assunzione della qualit� 
di socio, con i connessi diritti ed obblighi verso la societ�, gli altri soci e 
i terzi� (Cass. Civ., I, 28 marzo 1990, n. 2539). 
Sicch�, in effetti, non sembra proprio che ricorra, nel caso di confisca di 
quote di societ� commerciali di persone, il presupposto connotante l�operativit� 
dell�articolo 2269 cod. civ. (13), ossia la volontaria assunzione del ruolo 
di socio da parte dello Stato confiscante, con l�assunzione di tutti i connessi 
rischi imprenditoriali, atteso che l�adozione del provvedimento di confisca 
non presuppone davvero l�intenzione o la volont� dello Stato di entrare a far 
parte di una compagine commerciale, ed � comunque per sua natura insuscettibile 
� come dianzi rilevato � di valutazioni di convenienza commerciale, ulteriori 
rispetto all�assorbente esigenza repressiva che le � propria. 
4.3. Sotto diverso e concorrente riguardo, appare pertinente anche valutare 
la natura dell�acquisizione in propriet� allo Stato di beni confiscati, e segnatamente 
se tale acquisto sia da considerare a titolo originario ovvero 
derivativo. 
Con il parere di Comitato Consultivo prot. n. 127581 in data 15 novembre 
2003, si era gi� dato conto della non univocit� delle soluzioni date a tale questione 
dalla giurisprudenza di legittimit�, sia civile che penale: contrasto che, 
in effetti, permane tutt�oggi, ma di cui merita dare aggiornato conto. 
4.3.1. In sede civile, la diversit� di vedute appare riconducibile a quanto 
a suo tempo affermato dapprima da Cass. Civ., I, 3 luglio 1997, n. 5988 in materia 
di crediti confiscati ex lege n. 575/1965 (che ha affermato trattarsi �di 
acquisto a titolo derivativo, inquadrabile nello schema di una cessione del 
credito per factum principis�, tale �proprio in quanto esso non prescinde dal 
rapporto gi� esistente fra quel bene e il precedente titolare, ma anzi un tale 
(11) Il quale, si rammenta, prevede che �chi entra a far parte di una societ� gi� costituita risponde 
con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualit� di socio�. 
(12) FERRARA - CORSI, Gli imprenditori e le societ�, Milano, 2001, 300. 
(13) La previsione dell�articolo 2269 cod. civ., si applica sia alle ss.a.s., sia alle ss.n.c. in virt� del 
richiamo operato dall�articolo 2293 cod. civ.: cfr. Cass. Civ., III, 20 aprile 2010, n. 9326.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 203 
rapporto presuppone ed � volto a far venir meno, per ragioni di prevenzione 
e/o di politica criminale, con l'attuare il trasferimento del diritto dal privato 
(condannato o indiziato di appartenenza ad associazioni mafiose) allo Stato�), 
e dipoi da Cass. Civ., I, 5 marzo 1999, n. 1868, la quale (per vero in relazione 
a confisca prefettizia) ha invece fatto riferimento ad un �titolo originario di 
acquisto, a favore della P.A., del bene che entra cos� a far parte del patrimonio 
dello Stato�. 
Pi� di recente, Cass. Civ., I, 7 febbraio 2007, n. 2718, questa volta con 
specifico riferimento a confisca ex lege n. 575/1965, ha precisato che, �in tema 
di revocatoria fallimentare, � opponibile alla massa dei creditori l�acquisizione 
al patrimonio dello Stato a titolo originario, per effetto della sopravvenuta 
confisca del bene disposta in un procedimento di prevenzione antimafia, 
ove il sequestro di prevenzione, che necessariamente precede la confisca, sia 
stato trascritto in data anteriore alla dichiarazione di fallimento�, e ci� in 
quanto �gli effetti della confisca retroagiscono al momento del sequestro, secondo 
la ratio dell�art. 2906 cod. civ., che estende al creditore sequestrante 
la tutela riservata al creditore pignorante�. 
A sostegno della tesi derivativa dell�acquisto, viene poi tradizionalmente 
richiamata ulteriore giurisprudenza civile di legittimit�, formatasi a partire da 
Cass. Civ., 12 novembre 1999, n. 12535: ma si badi che n� tale arresto, n� i 
successivi che ad essa fanno tralaticio riferimento, hanno affrontato ex professo 
la quaestio juris di che qui trattasi, limitandosi ad affrontare la tematica dei 
rapporti tra confisca e diritti reali di garanzia preesistenti (su cui cfr., amplius, 
il successivo punto 5 del presente parere) (14). 
4.3.2. Pi� ampio ed articolato il dibattito in sede di Cassazione Penale. 
In aggiunta al risalente diastema intercorso tra la tesi dell�acquisto derivativo, 
o comunque traslativo (Cass. Pen., sez. unite, 28 aprile � 8 giugno 
1999, n. 9; Cass. Pen., IV, 26 novembre 1996, n. 2885; Cass. Pen., I, 21 gennaio 
1992, non numerata (15)), e quella dell�acquisto a titolo originario (Cass. 
Pen., II, 4 dicembre 1998 � 16 gennaio 1999, n. 7211; Cass. Pen., I, 3 � 22 
aprile 1998, n. 1947; Cass. Pen., sez. unite, 28 gennaio 1998, n. 2; Cass. Pen., 
VI, 3 aprile � 24 agosto 1995, n. 1265; Cass. Pen., 7 dicembre 1983 (16)), si 
registrano svariate sopravvenienze giurisprudenziali, per lo pi� specificamente 
(14) Alla menzionata giurisprudenza del 1999 fanno ad es. riferimento Cass. Civ., III, 29 ottobre 
2003, n. 16227, nonch� Cass. Civ., III, 16 gennaio 2007, n. 845. Solo Cass. Civ., III, 5 ottobre 2010, n. 
20664, ha recentissimamente confermato la impugnata pronuncia di merito anche nella parte in cui 
aveva affermato la natura derivativa dell�acquisto statale per confisca ai sensi dell�articolo 2-ter della 
Legge n. 575/1965. 
(15) Ma si badi che solo l�arresto del 1992 si � occupato di confisca ex lege n. 575/1965, gli altri 
due riguardando confisca per usura ex articolo 644 cod. pen., ovvero di confisca obbligatoria ex articolo 
240 cod. pen.. 
(16) Quest�ultima tuttavia con riguardo a confisca di cose di interesse storico, artistico o archeologico.

204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
afferenti proprio la confisca di cui alla Legge n. 575/1965: 
- a sostegno della prima impostazione (acquisto a titolo derivativo), Cass. 
Pen., V, 19 novembre � 15 dicembre 2003, n. 47887, ha ritenuto che �in 
tema di misure di prevenzione, l�applicazione della confisca (�) determina 
la successione a titolo particolare dello Stato nella titolarit� del 
bene� (analogamente, anche Cass. Pen., I, 9 marzo � 12 aprile 2005, n. 
13413); 
- nella seconda direzione (dell�acquisto a titolo originario), si sono invece 
espresse Cass. Pen., sez. unite, 19 dicembre 2006 � 8 gennaio 2007, n. 
57, che ha parlato di �irreversibile risultato ablatorio, conseguente alla 
definitivit� della confisca produttiva del trasferimento a titolo originario 
del bene sequestrato nel patrimonio dello Stato�, nonch� Cass. Pen., V, 
20 gennaio � 29 aprile 2010, n. 16580, secondo cui �la confisca disposta 
nei procedimenti di prevenzione, va ricondotta nell�ambito del tertium 
genus costituito da una sanzione amministrativa equiparabile, quanto a 
contenuto ed effetti, alla misura di sicurezza prevista dall�art. 240, comma 
secondo, cod. pen., di modo che il loro trasferimento a titolo originario 
al patrimonio dello Stato � irreversibile�. 
4.3.3. La questione non pare davvero di poco momento ai fini che qui 
occupano, atteso che la differenza tra le prospettate impostazioni dogmatiche 
della questione attiene proprio alla estensione del diritto proprietario che perviene 
allo Stato confiscante: sicch�, ove si tratti di acquisto a titolo originario, 
siccome pervenuto senza alcuna dipendenza rispetto al diritto del precedente 
titolare (ossia del prevenuto), esso dovr� considerarsi libero da pesi e da diritti 
di terzi che non siano strettamente inerenti alla res (obbligazioni o oneri reali); 
laddove invece l�acquisto a titolo derivativo si collega inscindibilmente alla 
misura del diritto trasferito, con la medesima ampiezza e le medesime limitazioni 
(17). 
La evidenziata peculiare natura e funzione della confisca ex lege n. 
575/1965, in uno con la straordinariet� dei suoi presupposti applicativi, indurrebbe 
in effetti ad ascriverla tra i meccanismi acquisitivi della propriet� del 
primo genere, in modo da garantire che l�acquisizione in capo allo Stato dei 
beni confiscati avvenga senza precostituiti limiti, e senza che l�Erario possa 
risultare indirettamente gravato di oneri incompatibili con la funzione lato 
sensu sanzionatoria del meccanismo di che vertesi. 
Ci� che risulterebbe anche congruente con la frequente assimilazione 
(vuoi strutturale, vuoi funzionale) di tale tipologia di confisca con quella, generale, 
di cui all�articolo 240 cod. pen., emergente in modo prepotente dalla 
giurisprudenza di legittimit� penale dianzi richiamata (segnatamente da Cass. 
(17) Cfr. al riguardo GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2003, 235.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 205 
Pen., sez. unite, 17 luglio 1996, n. 18, e successiva). 
*** 
5. Ferme le suesposte considerazioni ricostruttive, non pu� tuttavia prescindersi 
dal considerare come siano stati affrontati, in sede di legittimit�, i 
problemi di coordinamento con i diritti che terzi soggetti possano vantare, a 
vario titolo, sui compendi confiscati, segnatamente nei confronti delle societ� 
oggetto di (totale o parziale) ablazione. 
Come sopra ricordato, infatti, e con riguardo alla confisca di quote societarie, 
si pone inevitabilmente il problema di verificare l�estensione dei concorrenti 
diritti degli (eventuali) altri soci delle societ� di persone (di cui � stata 
disposta la confisca solo di quote parziali), nonch� dei terzi che vantino diritti 
reali o creditori nei confronti della societ� confiscata, e delle reciproche interconnessioni. 
Problema che, riguardato in termini pi� generali, si declina anche 
in relazione alla confisca di beni diversi dalle quote societarie. 
5.1. Una questione che � stata specificamente sottoposta all�attenzione 
della Scrivente concerne ad esempio la sorte dei diritti reali di garanzia (in 
specie le ipoteche) che i terzi vantino su beni immobili confiscati (tematica 
sub e) della premessa). 
La problematica, ben nota a questa Avvocatura per essere fonte di un cospicuo 
contenzioso tuttora in atto, � stata pi� volte affrontata anche in sede di 
Comitato Consultivo. Si segnala in proposito il parere reso dalla Scrivente in 
data 15 novembre 2003 con nota prot. n. 127581, il quale, sintetizzando per 
punti le risposte alle questioni sollevate, ha affermato: 
�a) che i diritti ipotecari dei terzi sui beni confiscati non vengono pregiudicati 
quando non emerga in sede penale la certezza di una situazione di 
non estraneit� al reato del terzo o di mala fede o di colpevole affidamento 
nell�acquisto del credito ipotecario; 
b) che tali diritti non consentono comunque al terzo di agire in executivis 
sul bene confiscato, potendosi altrimenti compromettere la finalit� perseguita 
dall�art. 2 undecies, comma 2, legge 575/1965, introdotto dalla legge 
109/1996; 
c) che ove il bene confiscato venga venduto il creditore ipotecario (la cui 
estraneit� al reato sia stata accertata) ha diritto di ottenere la soddisfazione 
del suo credito fino a concorrenza del ricavato e col rispetto dell�ordine delle 
prelazioni; 
d) che, ove invece al bene confiscato sia data una destinazione pubblica 
conforme alle previsioni dell�art. 2 undecies, comma 2, legge 575/1965, introdotto 
dalla legge 109/1996, il creditore ipotecario potr� ottenere dallo Stato 
(divenuto titolare del bene a seguito della confisca) soddisfazione in danaro 
del proprio credito entro i limiti di valore del bene confiscato quale emergente 
dalla stima fattane o in sede di acquisizione da parte dello Stato o, in caso di 
contestazione, con il ricorso a rimedi di tipo giurisdizionale volti a determi-
206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
nare la misura del credito satisfattibile sul valore equivalente al bene confiscato�. 
5.2. Giova precisare che il richiamato parere trovava all�epoca conforto 
nella nota sentenza Cass. Civ., I, 12 novembre 1999, n. 12535, secondo cui 
�il provvedimento di confisca, pronunciato ai sensi dell�art. 2 ter l. 31 maggio 
1965 n. 575 e succ. mod. nei confronti dell�indiziato di appartenenza ad associazione 
mafiosa, non pu� pregiudicare i diritti reali di garanzia, costituiti 
sui beni confiscati in epoca anteriore al procedimento di prevenzione a favore 
di terzi estranei ai fatti che hanno dato luogo a detto provvedimento; costoro, 
per�, potranno far valere le loro pretese soltanto davanti al giudice dell�esecuzione 
penale nelle forme e secondo le modalit� previste dagli art. 665 seg. 
c.p.p., norme che attribuiscono al giudice dell�esecuzione competenza a decidere 
in ordine alla confisca e, pertanto, sui diritti che i terzi rimasti estranei 
al procedimento penale possono vantare sul bene confiscato�; precipuamente, 
la richiamata pronuncia di legittimit� aveva motivato affermando che �l�esigenza 
di non vanificare l�intervento sanzionatorio dello Stato induce a dubitare 
e quindi ad escludere che l�accertamento della legittimit� del diritto di 
sequela vantato dal terzo creditore privilegiato possa consistere nel mero 
controllo della data di iscrizione della formalit� ipotecaria e nell'astratta verifica 
dell'esistenza di un credito, peraltro agevolmente documentabile nell'ipotesi 
di illecito accordo. L�accertamento del diritto del terzo impone 
un�indagine pi� estesa ed approfondita che, per intuibili ragioni, pu� essere 
svolta solo dal giudice penale, con garanzia del contraddittorio, in sede di 
procedimento di esecuzione�. 
Tuttavia, in epoca successiva al ridetto parere, Cass. Civ., III, 29 ottobre 
2003, n. 16227 avrebbe rivisto il proprio precedente orientamento, stabilendo 
che, in base alla tassativit� delle cause di estinzione dell�ipoteca dettate dall�articolo 
2878 cod. civ., i diritti reali di garanzia costituiti anteriormente all�insorgere 
del procedimento di prevenzione sono comunque destinati a 
prevalere sulla confisca, indipendentemente � quindi � dall�accertamento in 
sede di incidente di esecuzione penale della buona o mala fede del titolare 
del diritto stesso. 
Tale pronunciamento appare tuttavia in netto contrasto con la finalit� 
dell�intera normativa in tema di confische, pi� sopra richiamata in termini ricostruttivi, 
e che - come visto - persegue il primario obiettivo di sottrarre i 
beni confiscati (e massimamente gli immobili) dal circuito mafioso. Consta 
d�altronde che essa sia stata ripetutamente sconfessata dalla successiva giurisprudenza 
della Cassazione Penale, la quale ha avuto modo di ribadire la 
necessit� per i creditori ipotecari, onde far prevalere il proprio antecedente 
diritto reale di garanzia sulla successiva misura di prevenzione, di dimostrare 
- in sede di incidente di esecuzione penale - l�assenza di collegamento del 
proprio diritto con l�attivit� illecita del prevenuto, e comunque un atteggia-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 207 
mento di �buona fede� circa la provenienza lato sensu illecita dei beni de quibus: 
ci� nella evidente ottica di evitare che, attraverso �creditori� compiacenti, 
i soggetti coinvolti nei circuiti mafiosi possano precostituirsi mezzi 
giuridici attraverso cui �blindare� i propri possedimenti immobiliari: ci�, tra 
l�altro, in correlazione con quanto espressamente previsto all�articolo 2-ter, 
quinto comma, della Legge n. 575/1965 (18). 
A tal riguardo, Cass. Pen., I, 5 dicembre 2007, n. 45572, ha ritenuto che 
�il terzo titolare di diritto reale di garanzia su bene confiscato pu� far accertare, 
mediante incidente di esecuzione dinanzi al competente giudice penale 
(o della prevenzione, se si tratta di confisca ex art. 2-ter della L. n. 575 
del 1965), l�esistenza delle condizioni di permanente validit� del diritto, costituite 
dall�anteriorit� della trascrizione del relativo titolo rispetto al provvedimento 
ablatorio e da una situazione soggettiva di buona fede, intesa come 
affidamento incolpevole, con onere della prova a carico dell�interessato�; in 
termini analoghi, cfr. anche Cass. Pen., I, 26 febbraio 2007, n. 8015. 
A propria volta, Cass. Pen., I, 22 maggio 2007, n. 19761, ha affermato 
quanto segue: �Spetta al giudice dell�esecuzione l�accertamento degli esatti 
confini del provvedimento di confisca dei beni immobili effettuato ai sensi 
dell�art. 2 ter l. n. 575 del 31 maggio 1965, ed in particolare la determinazione 
dell�eventuale esistenza di iura in re aliena, non pregiudicati dalla devoluzione 
dei beni allo stato, mentre spetta al terzo l�onere della prova sia in 
relazione alla titolarit� di tali diritti sia in relazione alla mancanza di qualsiasi 
collegamento del proprio diritto con l�attivit� illecita del proposto; in 
particolare, il terzo dovr� dimostrare il proprio affidamento incolpevole, ingenerato 
da una situazione di apparenza che renda scusabile l�ignoranza o 
il difetto di diligenza, non essendo sufficiente la mera anteriorit� della trascrizione 
nei registri immobiliari; una volta provata la posizione di terziet� 
e l�opponibilit� del diritto di garanzia o di credito, il terzo, pur deprivato 
della facolt� di procedere ad esecuzione forzata per soddisfarsi sul ricavato, 
pu� farlo valere soltanto davanti al giudice civile con i residui mezzi di tutela 
offerti dalla legge�. In termini del tutto analoghi, si erano espresse anche 
(18) �Se risulta che i beni sequestrati appartengono a terzi, questi sono chiamati dal tribunale, 
con decreto motivato, ad intervenire nel procedimento e possono, anche con l'assistenza di un difensore, 
nel termine stabilito dal tribunale, svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni e chiedere l'acquisizione 
di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca. Per i beni immobili sequestrati in 
quota indivisa, o gravati da diritti reali di godimento o di garanzia, i titolari dei diritti stessi possono 
intervenire nel procedimento con le medesime modalit� al fine dell'accertamento di tali diritti, nonch� 
della loro buona fede e dell'inconsapevole affidamento nella loro acquisizione. Con la decisione di confisca, 
il tribunale pu�, con il consenso dell'amministrazione interessata, determinare la somma spettante 
per la liberazione degli immobili dai gravami ai soggetti per i quali siano state accertate le predette 
condizioni. Si applicano le disposizioni per gli indennizzi relativi alle espropriazioni per pubblica utilit�. 
Le disposizioni di cui al terzo e quarto periodo trovano applicazione nei limiti delle risorse disponibili 
per tale finalit� a legislazione vigente�.
208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Cass. Pen., I, 12 aprile 2005, n. 13413, nonch� Cass. Pen., I, 31 marzo 2005, 
n. 12317, la quale ha pure precisato che �poich� il regime giuridico dei beni 
confiscati a norma della l. n. 575/1965 � assimilabile a quello dei beni demaniali 
o a quello dei beni compresi nel patrimonio indisponibile, deve escludersi 
che i beni confiscati ad indiziati di mafia possano essere oggetto di 
espropriazione forzata immobiliare, che ne modifichi la destinazione, ancorch� 
tale procedura sia stata promossa da un terzo in buona fede titolare di 
credito assistito da garanzia ipotecaria iscritta prima della trascrizione della 
confisca; con la conseguenza che, una volta accertata mediante incidente di 
esecuzione penale la posizione di terziet� e l�opponibilit� dell�ipoteca, il creditore 
garantito, pur privato della facolt� di procedere direttamente ad esecuzione 
forzata per soddisfarsi sul ricavato, pu� far valere il proprio credito 
soltanto innanzi al giudice civile, con i residui mezzi di tutela offerti dalla 
legge�. 
Per parte sua, Cass. Pen., V, 19 novembre - 15 dicembre 2003, n. 47887, 
aveva gi� chiosato che �l�applicazione della confisca (�) non comporta 
l�estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sul bene confiscato a favore 
dei terzi, i quali possono far valere in sede esecutiva i propri diritti reali o di 
garanzia, qualora si tratti di terzi in buona fede che abbiano trascritto il proprio 
titolo anteriormente al sequestro a fini di prevenzione, eseguito ai sensi 
dell�art. 2 l. n. 575 del 1965�. 
Di recente, poi, Cass. Pen., I, 22 aprile 2008, n. 16743, ha financo esteso 
gli indicati presupposti di tutela (anteriorit� dell�iscrizione del titolo o dell�acquisto 
del diritto rispetto al provvedimento ablatorio di prevenzione, e la 
buona fede /affidamento incolpevole in capo al terzo) anche alla fattispecie 
relativa al soggetto che si sia reso cessionario di un credito ipotecario sull�immobile 
confiscato. 
Appare il caso di evidenziare che analoga impostazione, valorizzativa 
del profilo della buona fede del terzo pretesamente leso da un provvedimento 
di confisca, da dimostrare avanti il giudice penale mediante incidente di esecuzione, 
� stata di recente utilizzata dalla giurisprudenza penale della Suprema 
Corte anche in relazione all�ipotesi del venditore di un�azienda ceduta 
al proposto mediante una vendita a rate con patto di riservato dominio (Cass. 
Pen., I, 27 febbraio 2008, n. 8775), con la precisazione che l�accertamento 
nella sede penale della buona fede pu� escludere l�estinzione del diritto (in 
questo caso di credito) del terzo, con la possibilit� di far valere davanti al 
giudice civile le proprie pretese nei confronti dello Stato, subentrato al proposto, 
per il mancato pagamento integrale del prezzo. 
5.3. Da ultimo, non si possono non svolgere ulteriori considerazioni in 
ordine a quanto di recente affermato da Cass. Civ., III, 16 gennaio 2007, n. 
845, sovente richiamata a sostegno della tesi della prevalenza dei diritti di 
garanzia su beni confiscati (e quindi in termini pretesamente adesivi rispetto
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 209 
alla sentenza n. 16227/2003 della medesima Terza Sezione Civile), atteso che 
la massima ufficiale recita come segue: �Il provvedimento di confisca pronunciato 
ai sensi dell�art. 2 ter l. n. 575 del 1965 nei confronti di un indiziato 
di appartenenza a consorteria mafiosa, camorristica o similare, non pu� pregiudicare 
i diritti reali di garanzia costituiti sui beni oggetto del provvedimento 
ablativo, in epoca anteriore all�instaurazione del procedimento di 
prevenzione, in favore di terzi estranei ai fatti che abbiano dato luogo al procedimento 
medesimo, senza che possa farsi distinzione in punto di competenza 
del giudice adito, tra giudice penale e giudice civile; e ci� perche tale 
diritto reale limitato si estingue per le sole cause indicate dall�art. 2878 c.c.; 
la medesima tutela davanti al giudice civile, a maggiore ragione, va riconosciuta 
all�aggiudicatario - acquirente di un bene in sede di procedura esecutiva 
forzata immobiliare, la cui posizione, altrimenti sarebbe, senza fondato 
motivo, irrimediabilmente compromessa�. 
Occorre al riguardo precisare che la vicenda processuale definita con la 
cennata sentenza di legittimit� del 2007 traeva origine da un ordinario giudizio 
di cognizione promosso dall�Amministrazione Finanziaria nei confronti 
degli acquirenti aggiudicatari (all�esito di procedura esecutiva immobiliare) 
di un bene confiscato, e volto a vedere affermata la propriet� dello Stato sul 
bene stesso. 
Il Tribunale aveva in prima battuta accolto la domanda e dichiarato la 
prevalenza della propriet� dello Stato sui beni confiscati. La Corte d�Appello, 
poi, adita dagli aggiudicatari soccombenti, aveva rigettato l�impugnazione, 
osservando in primo luogo che doveva essere esclusa la loro buona fede, tenuto 
conto che il sequestro e la successiva confisca erano stati trascritti ben 
prima della vendita all�asta, sicch� detti vincoli gravanti sul bene dovevano 
ritenersi conosciuti; ribadendo il principio �secondo cui il provvedimento di 
confisca pronunciato ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 ter e 
successive modifiche non pregiudica i diritti reali di garanzia costituiti sui 
beni confiscati in epoca anteriore al procedimento di prevenzione a favore 
di terzi estranei ai fatti che hanno dato luogo a detto provvedimento�, con la 
precisazione, tuttavia, che �il creditore procedente deve trasferire il suo diritto 
nella esecuzione penale e che il passaggio della propriet� allo Stato � 
salvaguardato anche in caso di precedenti diritti reali di garanzia anteriormente 
trascritti�, e che quindi la competenza a decidere spettasse al giudice 
penale nelle necessarie forme dell�incidente di esecuzione. 
La Corte di Cassazione ha bens� accolto parte del successivo ricorso di 
legittimit� dei privati, ma ci� ha fatto con talune significative precisazioni, 
che colorano in termini del tutto diversi il pronunciamento in questione. In 
effetti, dopo aver espressamente rimarcato che �i provvedimenti di sequestro 
e di confisca - quali misure repressive e sanzionatorie di carattere patrimoniale 
- sono finalizzati ad impedire che gli indiziati di appartenenza ad asso-
210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
ciazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni criminali di 
procurarsi, mediante prestiti bancari e con il sistema di precostituirsi una 
schiera di creditori di comodo muniti di titoli con data certa, denaro di provenienza 
lecita, sottraendo poi alla confisca i beni vincolati a garanzia di 
terzi creditori�, la Suprema Corte ha bens� osservato che detta �esigenza � 
con i relativi provvedimenti - non pu�, tuttavia, pregiudicare i diritti dei terzi 
estranei ai fatti che hanno dato luogo ai procedimenti di sequestro e confisca�: 
ma tale petizione di principio - peraltro resa con riferimento alla posizione 
non dei creditori procedenti (in una esecuzione su di un bene 
confiscato) ma dei terzi aggiudicatari - � tuttavia precisata, nel suo reale significato, 
dal successivo richiamo alla �giurisprudenza penale della Corte 
di Cassazione� che �si � occupata del problema rilevando che i terzi titolari 
di diritti reali di garanzia su beni immobili sottoposti a confisca ai sensi della 
Legge Antimafia 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 ter, ove non siano potuti intervenire 
nel procedimento di prevenzione, possono far accertare, in sede di 
esecuzione, l�esistenza delle condizioni di permanente validit� di detti diritti, 
costituite essenzialmente dall'anteriorit� della trascrizione dei relativi titoli 
rispetto al provvedimento di sequestro cui ha fatto seguito la confisca e da 
una situazione soggettiva di buona fede, intesa come affidamento incolpevole, 
da desumersi sulla base di elementi di cui spetta agli interessati fornire la 
dimostrazione, fermo restando che, una volta effettuato il suddetto accertamento, 
rimane comunque esclusa la possibilit� che i beni confiscati possano 
essere oggetto di espropriazione forzata immobiliare, atteso il loro avvenuto 
assoggettamento, in conseguenza della confisca, ad un regime assimilabile 
a quello dei beni facenti parte del demanio o del patrimonio indisponibile 
dello Stato, per cui il credito garantito di cui i terzi di buona fede sono portatori 
potr� essere fatto valere soltanto dinanzi al giudice civile con i residui 
mezzi di tutela offerti dalla legge�. 
Il principio sopra riportato circa il fatto che la confisca non pregiudicherebbe 
�i diritti dei terzi estranei ai fatti che hanno dato luogo ai procedimenti 
di sequestro e confisca�, deve dunque intendersi nel senso che i terzi possono 
effettivamente dirsi �estranei� solo se dimostrino la propria buona fede. La 
Corte di Cassazione dunque, a ben vedere, si � limitata ad affermare che la 
tutela �accordata al creditore ipotecario a maggiore ragione deve essere riconosciuta 
all�aggiudicatario - acquirente di un bene in sede di procedura 
esecutiva immobiliare, la cui posizione, altrimenti, sarebbe, senza fondato 
motivo, irrimediabilmente compromessa�: tale tutela opera tuttavia nei riferiti 
termini, e quindi nella necessaria sussistenza della buona fede del terzo, da 
accertarsi nei modi e nelle forme evidenziati dalla giurisprudenza penale, del 
resto espressamente richiamata. 
5.4. Alla luce di quanto sopra, non possono che confermarsi (in relazione 
allo specifico argomento relativo ai diritti reali di garanzia preesistenti alla
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 211 
confisca di beni immobili) le conclusioni rese nel menzionato parere prot. n. 
127581 del 15 novembre 2003 di questa Avvocatura Generale. 
*** 
6. D�altronde, l�analisi della giurisprudenza di legittimit� che si � occupata 
dell�argomento ora esposto consente di valorizzare un criterio generale 
di giudizio che pu� presiedere alla soluzione delle questioni problematiche 
afferenti il trattamento dei diritti dei terzi a fronte di confische di quote societarie, 
totali o parziali che esse siano. 
In effetti, i problemi pi� sopra evidenziati in casi del genere, ossia la 
estensione dei diritti e degli obblighi dei soci �superstiti� delle societ� di persone 
di cui sia stata disposta la confisca solo di alcune quote, nonch� dei terzi 
che vantino diritti creditori nei confronti della societ� confiscata, pu� essere 
apprezzata, anche nei riguardi dello Stato confiscante, utilizzando il canone 
della �buona fede�; sicch� le conclusioni cui si � pervenuti nell�ambito del 
precedente punto 4 del presente parere possono trovare un correttivo proprio 
in quel principio. 
In altri termini, e per tornare alla questione relativa ai crediti vantati nei 
confronti di societ� anche solo in parte confiscate ex lege n. 575/1965, la questione 
della tutela dei diritti creditori di terzi su quote societarie confiscate 
pu� essere soddisfacentemente risolta, ammettendo la tutela solo dei terzi che 
dimostrino di versare in �buona fede�, nei termini dianzi evidenziati. 
Tale limitata tutela, i cui presupposti andrebbero verificati in sede di incidente 
probatorio nell�ambito del procedimento di prevenzione, consentirebbe 
per un verso di escludere in radice la permanenza dei crediti vantati 
dallo stesso prevenuto, e di escludere altres� quelli di soggetti che, in varia 
guisa e misura, siano a quello riconducibili, anche solo per mera consapevolezza 
del suo peculiare status di possibile intraneus ad associazioni criminose.
6.1. Con specifico riguardo all�ipotesi in cui sia stata disposta la confisca 
in capo allo Stato di quote sociali minoritarie, qualora l�atto costitutivo o lo 
statuto societario attribuisca a ciascun altro socio un diritto di prelazione in 
caso di cessione delle quote per atto tra vivi, il dubbio avanzato � se lo Stato 
confiscante possa ritenersi svincolato da siffatte previsioni statutarie e se, 
conseguentemente, possa procedersi alla vendita a terzi della quota stessa 
(cfr. questione sub lett. f) della premessa: confisca di quote sociali minoritarie 
e clausole statutarie di prelazione in caso di vendita di partecipazioni sociali). 
Al riguardo, occorre preliminarmente precisare che l�ipotesi prospettata 
non rientra nello spettro previsionale dell�articolo 2-undecies, comma 3, della 
Legge n. 575/1965 (che disciplina la destinazione da imprimere ai �beni� 
aziendali), bens� in quello del comma 1, lettera b), dello stesso articolo 2-undecies, 
dovendosi le quote societarie considerarsi alla stregua di beni mobili 
(cfr. Cass. Civ. II, 30 gennaio 1997, n. 934, secondo cui �le quote sociali,
212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
anche nelle societ� di persone, costituiscono beni nel senso dell�art. 810 c.c. 
in quanto suscettibili di formare oggetto di diritti e vanno ascritte residualmente 
alla categoria dei beni mobili a norma del successivo art. 812 comma 
ultimo, atteso che alla quota fanno capo (insieme con i relativi doveri) tutti 
i diritti nei quali si compendia lo status di socio, non riducibili a mere posizioni 
creditorie�). 
Ci� comporta che la vendita delle quote confiscate, anche in favore di 
altro socio della compagine, titolare del richiamato diritto di prelazione, non 
viola di per s� le prescrizioni della Legge n. 575/1965, prevedendo tale legge 
che i beni mobili � nella normalit� dei casi � siano venduti e le somme ricavate 
versate all�Erario. 
Fermo quanto sopra, occorre dipoi segnalare che, con riferimento alle 
clausole contenute negli atti costitutivi o negli statuti societari che fissano diritti 
di prelazione dei soci in caso di vendita di quote societarie, la giurisprudenza 
ha da tempo chiarito (cfr. Cass. Civ., I, 19 agosto 1996, n. 7614; id., 
29 agosto 1998, n. 8645) che siffatte clausole - in ragione del loro inserimento 
nei documenti fondativi della compagine societaria - assumono valore generale 
ed efficacia �reale�, sicch� i suoi effetti sarebbero in genere opponibili 
anche al terzo acquirente, appunto perch� si tratta di una regola del gruppo 
organizzato alla quale non potrebbe non sottostare chiunque entri a far parte 
di quel gruppo. 
Non pu� tuttavia escludersi che, con specifico riguardo alla ipotesi qui 
all�esame di confisca ex lege n. 575/1965, la previsione statutaria di diritti di 
prelazione delle quote sociali possa rispondere a precisi interessi del socio 
prevenuto, magari indirizzati a garantire il mantenimento della compagine 
societaria nell�ambito di una cerchia di soggetti (familiari o non) in vario 
modo contigui all�ambiente delinquenziale proprio del prevenuto medesimo. 
Sembra alla Scrivente che tale circostanza possa, per un verso, comportare 
una naturale difficolt� a rinvenire soggetti, autenticamente �terzi� rispetto 
al prevenuto ed alla sua cerchia di conoscenze, che siano disponibili all�acquisto 
di quote societarie minoritarie un tempo a quegli appartenute. Tuttavia, 
ove ci� sia in concreto possibile, la giurisprudenza richiamata al precedente 
punto 5 del presente parere potrebbe legittimare l�effettuazione della relativa 
vendita anche senza il rispetto del diritto di prelazione: come dianzi segnalato, 
essa assoggetta il mantenimento di diritti preesistenti alla confisca al requisito 
della buona fede del titolare, intesa come affidamento incolpevole, circa l�intendimento 
lato sensu illecito dell�operazione. Si � pure rimarcato che tale 
principio appare suscettibile di essere esteso, oltre che ai diritti immobiliari 
di garanzia, anche ad altri diritti soggettivi di credito (cfr. la richiamata Cass. 
Pen., I, 27 febbraio 2008, n. 8775), sicch� appare legittimo declinarlo anche 
con riferimento al preesistente diritto di prelazione di quote societarie di pertinenza 
del socio.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 213 
In adesione alla impostazione pi� sopra prospettata, diventer� dunque 
onere del socio eventualmente pretermesso dalla vendita a terzi della quota 
minoritaria, in sede di contestazione giudiziale di quella vendita, dimostrare 
la sua effettiva buona fede rispetto alla partecipazione societaria del prevenuto, 
e pi� in genere alla attivit� illecita di quest�ultimo. 
*** 
7. Altra questione problematica sottoposta all�attenzione della Scrivente 
riguarda le modalit� di liquidazione di societ� che, a seguito di provvedimenti 
di confisca ex lege n. 575/1965, diventino sostanzialmente inattive (questione 
sub lett. g) della premessa). 
Appare al riguardo potersi dichiarare che la confisca non pu�, di regola 
e di per s�, impedire la dichiarazione di fallimento di un�impresa, sicch�, sussistendo 
lo stato di insolvenza, anche una societ� che sia stata (totalmente o 
parzialmente) confiscata deve necessariamente ritenersi soggetta a fallimento. 
Il principio della fallibilit� di societ� commerciali di cui lo Stato sia 
socio, risulta costantemente affermato dalla giurisprudenza: basti al riguardo 
richiamare il principio fissato da Cass. Civ., I, 10 gennaio 1979, n. 158, secondo 
cui �una societ� per azioni, concessionaria dello stato per la costruzione 
e l�esercizio di un�autostrada, non perde la propria qualit� di soggetto 
privato - e, quindi, ove ne sussistano i presupposti, di imprenditore commerciale, 
sottoposto al regime privatistico ordinario e cosi suscettibile di essere 
sottoposto ad amministrazione controllata (art. 187 legge fallimentare) - per 
il fatto che ad essa partecipino enti pubblici come soci azionisti (�)�. 
Sicch� - ferma restando la suesposta conclusione dei limiti di responsabilit� 
civile dello Stato per i debiti di societ� confiscate - il percorso che conduca 
l�Amministrazione Statale alla dismissione di societ� inattive o in 
difficolt� finanziarie potr� alternativamente consistere nell�attivazione di una 
procedura fallimentare, ovvero ponendo le societ� in liquidazione volontaria. 
7.1. Nell�ambito di questa seconda soluzione, � stato ipotizzato il ricorso 
alla gestione fuori bilancio prevista dalla Legge n. 1041/1971. 
Anche a prescindere dalla circostanza che l�utilizzazione di siffatto strumento 
dovrebbe essere � per chiara previsione della stessa Legge n. 
1041/1971 � espressamente autorizzata da legge speciale, tale possibilit� appare 
comunque non praticabile o comunque inopportuna, comportando (come 
del resto evidenziato anche dall�Agenzia del Demanio) il trasferimento in 
capo allo Stato di tutti i rapporti economici pendenti. Ci� comporterebbe che 
l�Erario, magari in termini eccezionali rispetto all�esposto principio di limitazione 
di responsabilit�, potrebbe essere chiamato a ripianare con danaro 
pubblico i debiti delle societ� confiscate alla criminalit� organizzata: e risultando 
queste, nella maggior parte dei casi, fittizie e pertanto senza alcun valore 
economico e commerciale, � evidente come la gestione fuori bilancio
214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
comporti un elevato rischio di cospicue perdite economiche per l�Amministrazione 
Statale. 
Per tali considerazioni il vantaggio ipotizzato, che sembrerebbe comunque 
ridursi alla maggiore velocit� delle operazioni di chiusura della societ� 
tramite le ridette �gestioni fuori bilancio�, appare alquanto recessivo in un�ottica 
di comparazione con il rischio ora cennato. Naturalmente, anche tale valutazione 
ha valenza generale, e non esclude la possibilit� � in ben identificati 
casi da ponderare caso per caso in relazione alle specifiche circostanze di 
fatto � che il ricorso alla gestione fuori bilancio si presenti invece conveniente 
per gli interessi erariali. 
*** 
8. Quanto alla sorte dei debiti tributari delle societ� integralmente confiscate 
dallo Stato (questione sub lett. h) della premessa), giova prendere le 
mosse dai ripetuti pareri resi a vari livelli dall�Agenzia delle Entrate, ed in 
specie il parere prot. n. 123885 del 2 luglio 2002 espresso dalla Direzione 
Centrale Normativa e Contenzioso, secondo cui le societ� di capitali confiscate 
�conservano fino alla loro estinzione un�autonoma soggettivit� tributaria, 
in modo che, per i rapporti tributari che ad esse fanno capo, non si 
pu� dire realizzata la confusione�: principio che, in linea generale, appare 
senz�altro da condividere, sia in virt� della permanente alterit� giuridica tra 
le societ� e l�unico socio di cui esse possano eventualmente essere costituite 
(cc.dd. societ� unipersonali), sia perch� di confusione ex articolo 1253 cod. 
civ. potrebbe correttamente parlarsi allorch� l�ente che venga in vario modo 
�assorbito� dallo Stato scompaia quale pregresso soggetto giuridico (come, 
ad es., nel caso degli enti pubblici soppressi le cui passivit� siano ex lege assunte 
da appositi uffici statali di liquidazione: cfr. per un caso la recente Cass. 
Civ., V, 12 marzo 2008, n. 6550). 
Giova tuttavia evidenziare che, per il caso di confische ex lege n. 
575/1965, viene oggi prevista un�espressa eccezione da parte del comma 15 
del rinnovato (a seguito del gi� menzionato D.L. n. 4/2010) articolo 2-sexies, 
il quale dispone come segue: �Nelle ipotesi di confisca dei beni, aziende o 
societ� sequestrati, i crediti erariali si estinguono per confusione ai sensi 
dell'articolo 1253 del codice civile�. 
Tale previsione, che sembra attagliare astrattamente a qualsiasi tipo di 
credito erariale, quale che ne sia la natura e l�origine, certamente trova applicazione 
anche con riguardo ai crediti tributari di spettanza dell�Amministrazione 
Statale. 
*** 
9. Da ultimo, quanto al tema della rappresentanza processuale delle societ� 
confiscate ed alla possibilit� del ricorso al patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato (questione sub lett. i) della premessa), bisogna preliminarmente 
richiamare quanto gi� affermato dalla Scrivente con parere n. 110067 del 12
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 215 
agosto 2004, avallato dal Comitato Consultivo. In quel pronunciamento, si 
era sostenuto (in sintesi) quanto segue: 
9.1. il subingresso dello Stato nella effettiva titolarit� dei beni confiscati 
si verifica solo con l�acquisita esecutivit� ed inoppugnabilit� del provvedimento 
di confisca: prima di tale momento, pertanto, e segnatamente nel lasso 
temporale intercedente tra l�adozione del provvedimento di sequestro preventivo 
e l�intervenuta definitivit� del provvedimento di confisca, non vi sono 
i presupposti necessari acch� l�amministratore dei beni (solo) sequestrati sia 
ammesso ad avvalersi del regime di patrocinio legale organico ed esclusivo 
(articolo 1 del R.D. n. 1611/1933) assicurato dall�Avvocatura dello Stato alle 
Amministrazioni statali; 
9.2. all�opposto, una volta che il provvedimento che dispone la confisca 
sia divenuto definitivo, l�Avvocatura dello Stato sar� tenuta ad accordare a 
detti amministratori l�assistenza legale necessaria, essendo venuto ad esistenza 
il criterio di collegamento giustificativo del suo intervento (cio� a dire 
il definitivo passaggio della propriet� dei beni in favore dello Stato). 
Le descritte conclusioni vanno oggi aggiornate alla luce di quanto disposto 
dalla novella legislativa rappresentata dal D.L. n. 4/2010 (convertito, 
con modificazioni, con Legge n. 50/2010), il quale � come ben noto � ha istituito 
l�Agenzia Nazionale per l�amministrazione e la destinazione dei beni 
sequestrati e confiscati alla criminalit� organizzata, dotandola tra l�altro della 
competenza a provvedere alla �amministrazione e destinazione dei beni confiscati 
in esito del procedimento di prevenzione di cui alla citata legge 31 maggio 
1965, n. 575, e successive modificazioni� (articolo 1, comma 3, lett. d). 
Segnatamente, l�articolo 2-sexies, comma 7, della Legge n. 575/1965 
prevede oggi che �dopo il decreto di confisca di primo grado, l�amministrazione 
dei beni � conferita all�Agenzia, la quale pu� avvalersi di uno o pi� 
coadiutori�, con incarico che �pu� essere conferito all�amministratore giudiziario 
designato dal tribunale�: la novella normativa ha dunque espressamente 
previsto che con il decreto di confisca l�amministrazione dei beni sia 
automaticamente assegnata all�Agenzia Nazionale (e non pi� ad un amministratore), 
e che essa possa avvalersi come �coadiutore� dell�amministratore 
previamente nominato per la fase del sequestro. 
Al contempo � previsto che l�Agenzia Nazionale, ai sensi dell�articolo 
8 del D.L. n. 4/2010, goda della rappresentanza processuale dell�Avvocatura 
dello Stato secondo il regime dell�articolo 1 del R.D. n. 1611/1933: essa pertanto 
si avvarr� di tale rappresentanza, con tutte le conseguenze ad essa connesse, 
qualora diretta amministratrice di beni sequestrati, e comunque in 
quanto ex lege deputata all�amministrazione dei beni confiscati ai sensi della 
Legge n. 575/1965. 
*** 
10. In estrema sintesi, si possono dunque rassegnare nei seguenti termini
216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
le risposte ai quesiti sottoposti: 
a) la confisca ex lege n. 575/1965 di azioni o di quote societarie non comporta 
automaticamente l�acquisizione allo Stato del patrimonio aziendale, 
e/o dei singoli beni che di esso facciano parte, che non sono infatti 
di propriet� del soggetto prevenuto; 
b) � specularmente ammissibile la confisca ex lege n. 575/1965 di beni societari 
a prescindere dalla confisca delle relative quote, allorch� sia comprovato 
che detti beni sono solo fittiziamente intestati alla societ�, ma 
in realt� nella effettiva ed esclusiva disponibilit� del prevenuto; 
c) quanto alla responsabilit� dello Stato confiscante nei confronti di creditori 
di societ� commerciali, occorre distinguere: 
c.1.) nel caso di societ� di persone, non � da ritenersi operante il meccanismo 
di cui all�articolo 2269 cod. civ., a mente del quale �chi entra a 
far parte di una societ� gi� costituita risponde con gli altri soci per le 
obbligazioni sociali anteriori all�acquisto della qualit� di socio�, per difetto 
di ratio legis nella fattispecie: lo Stato confiscante potr� essere chiamato 
a rispondere dei crediti antecedenti la confisca solo in favore dei 
creditori che dimostrino di versare in �buona fede� e �legittimo affidamento�, 
in sede di incidente di esecuzione penale; 
c.2.) nel caso di societ� di capitali di cui lo Stato confiscante risulti unico 
socio, la relativa responsabilit� illimitata, in base agli articoli 2325 e 
2462 cod. civ., non si estende oltre le obbligazioni sociali sorte nel periodo 
in cui l�intera partecipazione � appartenuta allo Stato medesimo; 
d) in continuit� con la conclusione di cui alla precedente lett. c.1), lo Stato 
confiscante potr� essere chiamato a rispondere dei debiti sociali iscritti 
in bilancio tra le poste passive nei limiti della comprovata �buona fede� 
del relativo titolare, e non saranno riconoscibili quelli vantati dal prevenuto 
espropriato, ancorch� iscritti in bilancio; 
e) per quanto riguarda i diritti ipotecari preesistenti alla confisca di beni 
immobili, anche alla luce della pi� recente giurisprudenza di legittimit�, 
si conferma quanto gi� ritenuto con parere in data 15 novembre 2003 
con nota prot. n. 127581 del Comitato Consultivo di questa Avvocatura 
Generale, ossia che essi non vengono pregiudicati quando non emerga 
in sede penale la certezza di una situazione di non estraneit� al reato del 
terzo o di mala fede o di colpevole affidamento nell�acquisto del credito 
ipotecario; 
f) in caso di confisca di quote sociali ed in presenza di clausole statutarie 
di prelazione per la vendita di partecipazioni sociali, la vendita di dette 
quote societarie a terzi potrebbe essere contestata dai soci pretermessi 
qualora essi dimostrino di versare in �buona fede� e �legittimo affidamento�, 
in sede di incidente di esecuzione penale; 
g) ove le societ� oggetto di confisca di quote diventino inattive o in diffi-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 217 
colt� finanziarie, esse potranno essere legittimamente assoggettate a procedura 
fallimentare ovvero a liquidazione volontaria, secondo le valutazioni 
del caso; 
h) in virt� dell�articolo 2-sexies, comma 15, della Legge n. 575/1965 (per 
come rinnovato dal D.L. n. 4/2010), i crediti tributari riferibili alle quote 
societarie confiscate dallo Stato si estinguono per confusione; 
i) ai sensi dell�articolo 8 del D.L. n. 4/2010, l�Agenzia Nazionale per l�amministrazione 
e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalit� 
organizzata, si avvale della rappresentanza processuale 
dell�Avvocatura dello Stato secondo il regime dell�articolo 1 del R.D. n. 
1611/1933, qualora essa sia diretta amministratrice di beni sequestrati, 
e comunque in quanto ex lege deputata all�amministrazione dei beni confiscati 
ai sensi della Legge n. 575/1965. 
*** 
Le suesposte questioni sono state esaminate dal Comitato Consultivo che 
si � espresso in conformit� nella seduta del 14 giugno 2011. 
Disciplina delle spese processuali: rimborso spese generali previsto dall�art. 
14 del D.M. 8 aprile 2004 n. 127* 
Le Avvocature Distrettuali dello Stato in indirizzo chiedono di conoscere 
l�orientamento di questa Avvocatura Generale in merito alla disciplina delle 
spese processuali con particolare riguardo al rimborso delle spese generali previsto 
dall�art. 14 del D.M. 8 aprile 2004, n. 127. Quest�ultima disposizione 
prevede che: �All'avvocato e al praticante autorizzato al patrocinio � dovuto 
un rimborso forfetario delle spese generali in ragione del 12,5% sull'importo 
degli onorari e dei diritti ripetibile dal soccombente�. 
Si chiede in particolare di chiarire se a fronte di sentenza di condanna alle 
spese che nulla disponga in merito a tali spese generali, l�Amministrazione 
soccombente sia tenuta a corrispondere l�importo del 12.5% quale maggior 
somma rispetto al quantum liquidato del giudice. Si chiede altres� se tale sentenza 
possa costituire valido titolo esecutivo per la riscossione di tale maggior 
somma. 
Il quesito presenta profili di particolare complessit� anche in ragione del 
susseguirsi di diversi, e talvolta contrastanti, orientamenti giurisprudenziali 
sul punto, come ben evidenziato da codeste stesse Avvocature. 
Per questo motivo risulta congeniale al miglior inquadramento della fattispecie 
distinguere due diversi profili. Un primo profilo attiene al rapporto 
(*) Parere del 21 settembre 2011 prott. 291637/53, AL 30485/2011, Avv. GESUALDO D�ELIA.
218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
tra chiesto e pronunciato e all�applicazione del principio della domanda; un 
secondo profilo riguarda invece pi� propriamente le modalit� di liquidazione 
e riscossione in via esecutiva delle spese generali. 
Occorre pertanto prendere le mosse proprio dall�applicazione del principio 
della domanda con riferimento alla richiesta di rimborso delle spese generali 
di cui all�art. 14 del D.M. n. 127/2004 (norma che riproduce quasi 
fedelmente quella contenuta nell�art. 15 della tariffa di cui al D.M. 5 ottobre 
1994, n. 585). 
Sul punto si rileva un consolidato orientamento giurisprudenziale fondato 
sul �principio della spettanza automatica, senza bisogno di apposita richiesta, 
del rimborso forfetario delle spese generali� (cos� ex plurimis Cass. n. 
24081/2010 alla cui elencazione dei precedenti giurisprudenziali si rinvia). 
Di modo che, come ben precisato nella medesima sentenza della Corte 
di Cassazione, �la pronuncia sui diritti, sugli onorari e sugli esborsi di causa 
non presuppone affatto, affinch� il giudice possa (ed anzi, debba) adottarla, 
una domanda di parte (la quale, pure se proposta, � irrilevante ai fini del valore 
della causa: arg. ex artt. 10 e 31 cod. proc. civ.), ma ha il suo titolo esclusivamente 
nel contenuto della decisione sul merito della controversia, in 
applicazione del principio della soccombenza (Cass., Sez. 1, 27 agosto 2003, 
n. 12542; Corte Cost., sentenza n. 232 del 2004); cos�, allo stesso modo, la liquidazione 
in via automatica del rimborso forfetario - voce di credito che 
spetta in base alla tariffa professionale degli avvocati e la cui misura � ex lege 
determinata, in misura percentuale, sull'importo degli onorari e dei diritti ripetibile 
dal soccombente - trova fondamento nel principio posto dall'art. 91 
cod. proc. civ.�. 
In sintesi, per giurisprudenza consolidata, il giudice, all�esito del processo, 
� tenuto a decidere ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c. in merito alle spese 
di lite e, anche qualora manchi una specifica domanda di parte sul punto, liquida 
col dispositivo anche le spese generali ex art. 14 del D.M. n. 127/2004. 
Chiarito dunque che l�obbligo del giudice di pronunciarsi in merito alle 
spese di lite pu� essere ritenuto estensibile anche al rimborso forfettario per 
spese generali (anche in assenza di una specifica domanda sul punto), dovrebbe 
derivare da ci�, come logico corollario, che solo la sentenza costituisce 
titolo giuridico (ed esecutivo) idoneo all�imputazione del pagamento dell�importo 
del 12,5% in capo alla parte soccombente nel processo. Ci� in quanto la 
quantificazione delle spese di lite, nonch� l�imputazione a quelle previste 
dall�art. 91 c.p.c. ovvero a quelle forfettarie ex art. 14 della Tariffa � affidata 
alla sentenza, con la quale il giudice � tenuto a provvedere in merito alla specifica 
delle spese del giudizio, comprese quelle generali ex art. 14 citato, con 
decisione discrezionale ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c.. 
Tutto ci� considerato sembrerebbe naturale concludere che la parte soccombente 
� tenuta alla corresponsione del solo importo liquidato in sentenza
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 219 
senza possibilit� di aggiungere ex post, in sede di esecuzione, una ulteriore 
percentuale per le spese generali di cui, invece, il giudice tiene (melius deve 
tenere) conto in sede di liquidazione delle spese. 
Questa impostazione trova conferma in alcune recenti pronunce della 
Corte di Cassazione. 
In Cass. n. 4209/2010 la Corte accoglie il ricorso promosso avverso una 
sentenza di secondo grado che aveva limitato la condanna alle spese alla liquidazione 
di soli diritti e onorari, senza contemplare quindi le spese generali 
ex art. 14 del D.M. n. 127/2004. Infatti la Corte, premesso che �il rimborso 
c.d. forfetario delle spese generali costituisce una componente delle spese giudiziali, 
la cui misura � determinata per legge, che spetta automaticamente al 
professionista, anche in assenza di allegazione specifica e di domanda, dovendosi, 
quest'ultima, ritenere implicita nella domanda di condanna al pagamento 
degli onorari giudiziali�, accoglie il ricorso senza rinvio e integra la 
sentenza impugnata dell�importo spettante per le spese generali; con ci� dimostrando 
di ritenere che, affinch� possa sorgere la pretesa al pagamento delle 
spese generali, non � indispensabile una espressa domanda, ma che, al contrario, 
� necessario un esplicito dictum della sentenza. 
Affermazione coerente con quella contenuta in altra recente decisione 
della S.C., secondo cui �La mancata statuizione sulle spese del giudizio ritualmente 
richieste integra una vera e propria omissione di carattere concettuale 
e sostanziale e costituisce un vizio di omessa pronuncia della sentenza 
da farsi valere con i mezzi di impugnazione� (Cass. II, 14 febbraio 2011 n. 
3632); laddove l�espressione �spese ritualmente richieste� deve ritenersi riferibile 
sia a quelle propriamente giudiziali sia a quelle forfettarie. 
Occorre segnalare, per�, che, con la recente sentenza della Corte di Cassazione 
(Cass. II n. 8512/2011), questo principio sembra trovare parziale smentita. 
La sentenza citata, infatti, conferma che il �rimborso spetta alla parte in 
favore della quale siano state liquidate le spese di giudizio in via automatica 
ed anche in assenza di una sua espressa menzione in sentenza, che, se effettuata, 
riveste comunque efficacia soltanto dichiarativa�, ed afferma anche che 
�l�omessa menzione di esso (ndr. il rimborso) da parte della sentenza non si 
traduce, pertanto, in vizio di violazione di legge o in una omessa pronuncia, 
dal momento che la parte pu� conseguirne comunque il rimborso delle "spese 
generali" in sede di esecuzione della decisione�. Deve quindi prendersi atto 
del fatto che la S.C. ha ritenuto di superare le incertezze emerse nei precedenti 
orientamenti, giungendo, in un certo senso, ad equiparare (quanto meno nel 
trattamento) il rimborso di cui all�art. 14 ad altri importi (IVA, C.A.P.) che 
non fanno parte dei compensi spettanti per lo svolgimento dell�attivit� forense 
ma bens� trovano la loro fonte in un rapporto che, sebbene connesso, � caratterizzato 
da una diversa natura (rispettivamente fiscale e previdenziale) ed intercorre 
tra soggetti diversi.
220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Cos� inquadrata la questione dal punto di vista teorico, e preso atto che il 
pi� recente orientamento della Corte di Cassazione sembra propendere per la 
debenza delle spese forfettarie anche in assenza di esplicita pronuncia, vanno 
svolte alcune considerazioni di carattere pratico. 
La segnalata oscillazione giurisprudenziale (espressione di interpretazioni 
opposte, ma entrambe sostenute da argomentazioni non irragionevoli) rende 
possibile che, di fronte al rifiuto dell�Amministrazione di pagare il rimborso 
forfettario ed in seguito ad iniziative impugnatorie od esecutive delle controparti, 
i giudici assumano l�orientamento sfavorevole, con la conseguente condanna 
dell�Amministrazione al pagamento di detto rimborso e con l�aggravio 
delle spese giudiziali. Ci� a prescindere dalla necessit� per l�Amministrazione 
di promuovere un numero potenzialmente assai elevato di giudizi di opposizione 
per somme il pi� delle volte esigue se non addirittura trascurabili. 
Pertanto, se nella generalit� dei casi la resistenza su questo punto appare 
di fatto sconsigliabile, in quanto esporrebbe l�Amministrazione al rischio di 
dover pagare somme anche maggiori, si pu� ipotizzare di sollevare la questione 
nel caso di una condanna alle spese di entit� particolarmente elevata, 
tanto che anche l�ammontare del rimborso, calcolato in percentuale, sia in cifra 
assoluta molto rilevante. In questa ipotesi si potrebbe promuovere un giudizio 
che giunga � auspicabilmente � a una definitiva presa di posizione delle Sezioni 
Unite. 
Le considerazioni che precedono inducono, pertanto, a ritenere che, nei 
casi in cui le sentenze di condanna al pagamento di spese giudiziali nulla dicono 
in merito alle spese forfettarie, ma le controparti ne avanzino la pretesa, 
sia pi� opportuno accedere alla richiesta, con la riserva di sollevare il problema 
in ipotesi di ammontare particolarmente elevato. 
Il presente parere � stato esaminato nella seduta del 15 settembre 2011 
dal Comitato Consultivo dell�Avvocatura dello Stato, che si � espresso in conformit�.

L E G I S L A Z I O N E 
E D AT T U A L I TA� 
Riflessioni sul part time nel settore pubblico a seguito delle 
disposizioni del c.d. Collegato lavoro 
Francesco Spada* 
Il presente contributo intende svolgere alcune considerazioni sull�istituto 
del part time nel settore pubblico, recentemente inciso dalle disposizioni contenute 
nel c.d. Collegato lavoro, esaminando i primi critici orientamenti giurisprudenziali 
affermatisi in materia. 
Prima di entrare nel merito della questione appare, per�, opportuno ricostruire 
il quadro normativo in materia di part time nel settore pubblico, distinguendo 
tre diverse fasi: l�originaria formulazione della disciplina prevista dalla 
legge 23 dicembre 1996, n. 662; le modifiche apportate dal decreto legge 25 
giugno 2008, n. 112; le ulteriori innovazioni introdotte dal c.d. Collegato lavoro 
(legge 4 novembre 2010, n. 183). 
L�articolo 1 comma 58 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (1), nella 
prima versione in vigore, cos� disponeva: 
�La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale 
avviene automaticamente entro sessanta giorni dalla domanda, nella 
quale � indicata l'eventuale attivit� di lavoro subordinato o autonomo che il 
dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto termine, nega 
la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attivit� lavorativa di lavoro 
autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica at- 
(*) Dirigente di II fascia del Ministero dell�Economia e delle Finanze. Ha svolto la pratica forense 
presso l�Avvocatura Generale dello Stato. 
Il presente contributo riflette le opinioni dell�autore e non impegna in alcun modo l�Amministrazione 
di appartenenza. 
(1) Sul tema, in generale, D�ANTONA, Part time e secondo lavoro dei dipendenti pubblici (commento 
alla legge n. 662/1996), in Opere: Scritti sul pubblico impiego e sulla pubblica amministrazione, 
Milano, 2000.
222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
tivit� di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione 
comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta 
dal dipendente, grave pregiudizio alla funzionalit� dell'amministrazione stessa, 
pu� con provvedimento motivato differire la trasformazione del rapporto di lavoro 
a tempo parziale per un periodo non superiore a sei mesi. La trasformazione 
non pu� essere comunque concessa qualora l'attivit� lavorativa di lavoro 
subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica. Il dipendente 
� tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all'amministrazione nella 
quale presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attivit� 
lavorativa. Fatte salve le esclusioni di cui al comma 57, per il restante personale 
che esercita competenze istituzionali in materia di giustizia, di difesa e di 
sicurezza dello Stato, di ordine e di sicurezza pubblica, con esclusione del personale 
di polizia municipale e provinciale, le modalit� di costituzione dei rapporti 
di lavoro a tempo parziale ed i contingenti massimi del personale che pu� 
accedervi sono stabiliti con decreto del Ministro competente, di concerto con 
il Ministro per la funzione pubblica e con il Ministro del tesoro�. 
L�originaria formulazione della disposizione contemplava un diritto (2) 
alla trasformazione del contratto di lavoro a tempo pieno in part time, esercitabile 
sulla base di una mera istanza del lavoratore, a fronte della quale le esigenze 
dell�amministrazione risultavano completamente cedevoli. 
D�altra parte, l�articolo 6 comma 4 del decreto legge 28 marzo 1997, n. 
79, convertito dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, attribuiva al lavoratore in 
part time un diritto opposto a quello esaminato, ossia il diritto di ottenere il ritorno 
al tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione del rapporto, 
anche in soprannumero rispetto alla dotazione organica (3). 
L�unico limite all�automatica trasformazione del full time in part time desumibile 
dal citato articolo 1 comma 58 della legge n. 662/1996 era costituito 
dalla sussistenza di un conflitto di interessi tra l�attivit� di lavoro autonomo o 
subordinato che il dipendente intendeva svolgere e la specifica attivit� di servizio 
effettivamente svolta (4). 
(2) In questo senso, Consiglio di Stato, 7 novembre 2000, n. 8732 e TAR Lazio, 26 ottobre 1998, 
n. 1711, per i quali �Dal tenore dell'art. 1 commi 57 e 58 della legge n. 662/1996, concernenti la trasformazione 
del rapporto di lavoro da tempo pieno a part time, pu� desumersi non gi� la potest� dell'amministrazione 
di concessione o diniego in via discrezionale della detta trasformazione, bens� la 
facolt� in via generale del dipendente di richiedere la trasformazione stessa�. 
(3) Sul punto, la circolare n. 6/1997 del Dipartimento della funzione pubblica prevedeva che �il 
rientro � un vero e proprio diritto, esercitabile anche quando il posto in organico non � immediatamente 
disponibile�. 
(4) Sul punto, la circolare n. 6/1997 del Dipartimento della funzione pubblica prevedeva che �il 
passaggio al tempo parziale pu� essere richiesto per svolgere una seconda attivit�, subordinata o autonoma. 
In questo caso, la prestazione oraria non deve essere superiore alla met� di quella a tempo 
pieno. Occorre inoltre accertare se le attivit� esercitabili interferiscono con quella ordinaria e se concretizzano 
occasioni di conflitto di interessi. Queste ultime devono essere valutate non solo all�atto della 
richiesta della trasformazione del rapporto, ma anche in seguito�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 223 
L�articolo 22 comma 20 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 prevedeva 
un limite ulteriore, di tipo quantitativo, stabilendo che il contingente di personale 
da destinare al part time non potesse superare il 25% della dotazione organica 
per ciascuna qualifica funzionale. 
Successivamente, il decreto legge n. 79/1997 e la relativa legge di conversione 
hanno aggiunto il comma 58-ter al citato articolo 1 della legge n. 
662/1996, prevedendo che il limite percentuale della dotazione organica complessiva 
di personale a tempo pieno di ciascuna qualifica funzionale prevista 
dall'articolo 22 comma 20 della legge n. 724/1994 potesse essere arrotondato 
per eccesso, al fine di arrivare comunque all�unit�. 
Fermi restando gli esaminati limiti, l�articolo 1 comma 58 della legge n. 
662/1996 prevedeva inoltre un potere di differimento della trasformazione del 
rapporto, esercitabile dall�amministrazione in presenza di grave pregiudizio 
alla funzionalit� del servizio, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa 
ricoperta dal dipendente, per un periodo di tempo non superiore a sei 
mesi.
Dal quadro descritto emerge chiaramente che, nella prima fase di applicazione 
della disciplina, la trasformazione del contratto di lavoro full time in part 
time avveniva automaticamente e le esigenze dell�amministrazione non ricevevano 
alcuna tutela, prevalendo in ogni caso l�attenzione legislativa per le volont� 
del dipendente (5). 
Un problema diverso riguardava il regime orario del part time in ipotesi 
di mancanza di un accordo delle parti in materia: fermo restando il diritto alla 
trasformazione del full time in part time, si trattava di stabilire se dovesse avere 
prevalenza la volont� del dipendente in merito alla collocazione dell�orario del 
part time ovvero quella dell�amministrazione. 
Al riguardo, la circolare n. 8/1997 del Dipartimento della funzione pubblica 
� intervenuta sul tema e, sulla base del presupposto della �necessit� di 
contemperare il diritto alla trasformazione del rapporto con la funzionalit� del 
servizio�, ha ritenuto che la soluzione pi� congrua fosse quella della �individuazione 
consensuale dell�articolazione della prestazione lavorativa, secondo 
criteri che contemperino l�effettivo esercizio del diritto con la salvaguardia 
delle esigenze funzionali dell�amministrazione�. 
Successivamente, il decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 e la relativa 
legge di conversione hanno, tra l�altro, radicalmente modificato l�articolo 1 
comma 58 della legge n. 662/1996, che oggi cos� dispone: 
(5) Il part time nel pubblico impiego � comunemente utilizzato come forma flessibile di lavoro, 
per ragioni personali e familiari di conciliazione fra tempo di lavoro e tempo di vita, quindi per esigenze 
di vita temporanee piuttosto che per scelte professionali stabili. E� innegabile che il part time rappresenta, 
in particolare per le lavoratrici, un efficace strumento di conciliazione lavoro-famiglia che � difficile da 
attuare nel nostro Paese. 
224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
�La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale 
pu� essere concessa dall'amministrazione entro sessanta giorni dalla 
domanda, nella quale � indicata l'eventuale attivit� di lavoro subordinato o 
autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto 
termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attivit� 
lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi 
con la specifica attivit� di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in 
cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa 
ricoperta dal dipendente, pregiudizio alla funzionalit� dell'amministrazione 
stessa. La trasformazione non pu� essere comunque concessa 
qualora l'attivit� lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con 
un'amministrazione pubblica. Il dipendente � tenuto, inoltre, a comunicare, 
entro quindici giorni, all'amministrazione nella quale presta servizio, l'eventuale 
successivo inizio o la variazione dell'attivit� lavorativa. Fatte salve le 
esclusioni di cui al comma 57, per il restante personale che esercita competenze 
istituzionali in materia di giustizia, di difesa e di sicurezza dello Stato, 
di ordine e di sicurezza pubblica, con esclusione del personale di polizia municipale 
e provinciale, le modalit� di costituzione dei rapporti di lavoro a 
tempo parziale ed i contingenti massimi del personale che pu� accedervi sono 
stabiliti con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per 
la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il Ministro dell'economia 
e delle finanze�. 
Di conseguenza, per effetto delle innovazioni apportate nel 2008 (6), la 
trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non � 
pi� automatica, ma subordinata alla valutazione discrezionale dell�amministrazione 
ed il dipendente non � pi� titolare di un diritto, ma di un mero interesse 
alla trasformazione (7): il legislatore ha, quindi, avvicinato la disciplina 
del lavoro pubblico a quella del lavoro privato, attribuendo al datore di lavoro 
pubblico una discrezionalit� assai simile a quella del datore di lavoro privato 
in relazione alle proprie esigenze organizzative. 
In altre parole, con l�entrata in vigore del decreto legge n. 112/2008, la 
trasformazione del rapporto richiede il consenso dell�amministrazione, con la 
conseguenza che l�accordo tra le parti riguarda non soltanto l�articolazione 
dell�orario ridotto (come avveniva in passato sulla base delle indicazioni contenute 
nella circolare n. 8/1997 del Dipartimento della funzione pubblica), ma 
soprattutto l�an ed il quantum della riduzione (8). 
(6) In generale, sulla evoluzione della disciplina del part time nel settore pubblico nel corso di 
pi� di un ventennio, compreso tra il decreto legge n. 726/1984 che lo ha introdotto per la prima volta ed 
il decreto legge n. 112/2008, BROLLO, Il tramonto del diritto al part time nei rapporti di lavoro alle dipendenze 
delle pubbliche amministrazioni, in Il lavoro nella P.A., 2008, 499 e ss. 
(7) Al dipendente, infatti, non � pi� attribuito un diritto soggettivo pieno alla trasformazione del 
rapporto, ma soltanto una legittima aspettativa, condizionata ad una valutazione datoriale discrezionale.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 225 
Inoltre, � stata soppressa la facolt� di differire per un periodo non superiore 
a sei mesi la trasformazione del rapporto di lavoro nel caso di grave pregiudizio 
alla funzionalit� dell�amministrazione ed � stata contestualmente 
introdotta la previsione del rigetto dell�istanza del dipendente nell�ipotesi in 
cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa 
ricoperta dal dipendente, pregiudizio (non pi� necessariamente 
grave) alla funzionalit� dell'amministrazione. 
Il legislatore ha previsto, quindi, il necessario contemperamento tra le 
scelte del singolo lavoratore e le esigenze dell�amministrazione, con la conseguenza 
che quest�ultima pu� negare, con atto concretamente motivato in relazione 
ai parametri indicati dalla disposizione, la trasformazione nell�ipotesi 
di pregiudizio alle proprie esigenze organizzative, ferma restando la gi� esistente 
titolarit� dello stesso potere nell�ipotesi di sussistenza di conflitto di interessi. 
Infine, il legislatore del 2008 ha modificato anche il comma 59 del medesimo 
articolo 1 della legge n. 662/1996 relativo alla destinazione dei risparmi 
derivanti dalle trasformazioni, prevedendo che �una quota pari al 70 
per cento dei predetti risparmi � destinata, secondo le modalit� ed i criteri 
stabiliti dalla contrattazione integrativa, ad incentivare la mobilit� del personale 
esclusivamente per le amministrazioni che dimostrino di aver provveduto 
ad attivare piani di mobilit� e di riallocazione mediante trasferimento di 
personale da una sede all'altra dell'amministrazione stessa�. 
Rispetto al quadro normativo fin qui descritto, da ultimo l�articolo 16 
della legge 4 novembre 2010, n. 183 (9) ha introdotto un�innovazione di carattere 
transitorio e ha previsto che: 
�In sede di prima applicazione delle disposizioni introdotte dall�articolo 
73 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le amministrazioni pubbliche di cui all�articolo 
1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive 
modificazioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della 
presente legge, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, possono 
sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione 
del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale gi� adottati 
(8) Sul punto, la recente circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica osserva che 
�la valutazione dell�istanza del dipendente si basa su tre elementi: la capienza dei posti fissati dalla 
contrattazione collettiva in riferimento alle posizioni della dotazione organica; l�oggetto dell�attivit� 
che il dipendente intende svolgere a seguito della trasformazione del rapporto; l�impatto organizzativo 
della trasformazione�. 
(9) Sul punto, la recente circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica osserva che 
�sia l�intervento normativo del 2008 che quello del 2010 sono motivati da stringenti vincoli finanziari, 
che difficilmente consentono di soddisfare il fabbisogno professionale attraverso le ordinarie procedure 
di reclutamento e che, pertanto, impongono una valutazione sul miglior utilizzo delle risorse interne 
all�amministrazione�.
226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
prima della data di entrata in vigore del citato decreto legge n. 112 del 2008, 
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008�. 
Tale disposizione conferisce al datore di lavoro pubblico un potere di riesame 
(10), circoscritto temporalmente, sui provvedimenti di concessione della 
trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale adottati 
prima del 25 giugno 2008, data di entrata in vigore del decreto legge n. 112. 
In altre parole, il c.d. Collegato lavoro ha attribuito alla dirigenza pubblica 
il potere di rivalutare, con atti di gestione del rapporto di lavoro pubblico privatizzato 
(11), i part time derivanti da atti di trasformazione adottati prima del 
25 giugno 2008, ossia sotto la vigenza della disposizione che riconosceva in 
capo al dipendente un diritto alla trasformazione del full time, in ogni caso 
prevalente rispetto alle esigenze organizzative dell�amministrazione. 
La ratio della disposizione �, evidentemente, quella di adeguare i part 
time trasformati automaticamente per effetto dell�originaria previsione della 
legge n. 662/1996 ed ancora esistenti al nuovo assetto di interessi delineato 
dal legislatore attraverso l�attribuzione alla dirigenza pubblica del potere di 
riesame dell�atto di trasformazione del full time e di sua conseguente eventuale 
revoca e/o modifica. 
Il c.d. Collegato lavoro, inoltre, ha individuato espressamente due limiti 
di esercizio del potere di riesame, che deve essere realizzato �entro centottanta 
giorni� dalla entrata in vigore della legge e che deve avvenire �nel rispetto 
dei principi di correttezza e buona fede� (12). 
E� evidente che la norma non attribuisce un potere di riesame generalizzato, 
riguardante cio� tutti i part time derivanti da trasformazione automatica, 
ma consente di intervenire su singoli atti attraverso una nuova valutazione ed 
un nuovo atto di gestione del rapporto di lavoro di natura privatistica. 
All�esito del riesame dei singoli provvedimenti di concessione, nel silenzio 
della norma, l�amministrazione pu� determinare la revoca del part time 
ed il conseguente ritorno del dipendente al rapporto di lavoro a tempo pieno, 
ovvero la permanenza nel regime di part time, eventualmente modificandone 
(10) Sul punto, la recente circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica definisce 
�eccezionale� la scelta normativa di �prevedere un potere di revisione unilaterale del rapporto di lavoro 
da parte delle amministrazioni, in deroga alle regola generale di determinazione consensuale delle condizioni 
contrattuali�. 
(11) Sul punto, per la circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica �la gravosit� 
del potere accordato dalla legge richiede certamente una particolare attenzione nel momento del suo 
esercizio. In base alla norma, il mutamento delle condizioni del rapporto di lavoro avviene a seguito 
dell�adozione e della comunicazione di un atto unilaterale da parte dell�amministrazione, non essendo 
necessario il consenso del dipendente ai fini del perfezionamento di un nuovo contratto�. 
(12) Sul punto, la recente circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica prevede 
che �ci� comporta un contraddittorio con l�interessato (�). L�amministrazione, prima di operare la 
trasformazione del rapporto, deve tener conto non solo della situazione in origine alla base della trasformazione, 
ma anche della situazione che nel frattempo si � consolidata in capo al lavoratore�. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 227 
la quantificazione o la distribuzione temporale (13). 
In applicazione della disciplina appena esaminata, il Ministero della Giustizia 
ha adottato, in data 24 novembre 2010, una circolare che, sul presupposto 
che i principi di correttezza e buona fede impongono di considerare che l�atto 
di revoca del part time incide su posizioni sostanziali acquisite e su eventuali 
ulteriori impegni assunti dal lavoratore in part time, stabilisce che l�atto di revoca 
deve essere puntualmente motivato dal dirigente responsabile con riferimento 
sia al profilo professionale dei lavoratori interessati sia alla specifica 
posizione rivestita da ciascun dipendente in servizio a tempo parziale (14). 
I primi contrasti giurisprudenziali sull�applicazione dell�articolo 16 del 
c.d. Collegato lavoro hanno riguardato proprio alcuni dipendenti di uffici periferici 
del Ministero della Giustizia ai quali, in applicazione della citata circolare 
ministeriale del 24 novembre 2010, � stato ricostituito il rapporto di 
lavoro a tempo pieno con determine direttoriali. 
In particolare, meritano di essere esaminati e confrontati tra loro due diversi 
casi: nel primo, si tratta di due ordinanze di segno opposto pronunciate 
dal Tribunale di Firenze; nel secondo, invece, di un�ordinanza del Tribunale 
di Trento con cui, per la prima volta, il Giudice del lavoro si � pronunciato a 
favore di un dipendente pubblico che si � visto revocare il part time in applicazione 
del c.d. Collegato lavoro. 
Nel primo caso, il Giudice del lavoro, ha dapprima accolto la domanda 
della ricorrente con ordinanza del 31 gennaio 2011, ordinando al Ministero 
della Giustizia di sospendere gli effetti dell�atto di ricostituzione del rapporto 
di lavoro a tempo pieno, sulla base del presupposto che �la motivazione utilizzata 
non sembra consentire una valutazione del pregiudizio specifico che 
l�ufficio verrebbe a subire in conseguenza della prosecuzione da parte della 
ricorrente del rapporto in part time. Ci� in quanto la circolare richiamata richiede 
una motivazione dettagliata, cio� contestualizzata alle esigenze proprie 
del datore di lavoro in relazione alla posizione del lavoratore all�interno dell�ufficio, 
non potendosi supplire con l�utilizzazione di formule generiche, che 
non diano effettiva contezza della reale situazione dell�ufficio interessato�. 
Il Giudice adotta un�impostazione tipicamente formalistica ed afferma 
che �il tipo di motivazione utilizzata (�gravi difficolt� organizzative ai servizi 
di cancelleria che impongono una pi� completa prestazione lavorativa�) , 
(13) Sul punto, per la recente circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica �la 
valutazione dell�amministrazione potrebbe riguardare non solo l�opportunit� di mantenere il rapporto 
a tempo parziale, ma anche le modalit� della collocazione temporale della prestazione, che potrebbe 
risultare pi� conveniente modificare per non pregiudicare il funzionamento dell�amministrazione�. 
(14) Sul punto, in generale, la recente circolare n. 9/2011 del Dipartimento della funzione pubblica 
osserva che �si raccomanda, anche per limitare il rischio di pronunce giudiziali sfavorevoli all�amministrazione, 
di adottare una motivazione puntuale, evitando l�uso di clausole generali o formule generiche 
che non sono utili allo scopo�.
228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
identica anche per il personale di altri uffici, non � sufficiente a dare atto dell�istruttoria 
compiuta con riferimento al caso di specie, tale da potersi dire 
soddisfatti i criteri di correttezza e buona fede richiesti dalla norma di legge�. 
Per il Giudice, quindi, il Ministero della Giustizia avrebbe violato i criteri 
di correttezza e buona fede, in quanto la generica motivazione dell�atto di revoca 
del part time risulterebbe lesiva della circolare del 24 novembre 2010. 
Avverso tale ordinanza il Ministero della Giustizia ha proposto reclamo, 
che � stato accolto dal Tribunale di Firenze - sezione lavoro con ordinanza del 
7 marzo 2011 �per insussistenza sia del fumus boni iuris che del periculum in 
mora�. 
In particolare, il Tribunale osserva che �l�art. 16 della legge n. 183/2010 
ha testualmente previsto per le amministrazioni non un particolare obbligo di 
motivazione formale degli eventuali provvedimenti di revoca dei part time gi� 
concessi, ma l�obbligo di osservare, nell�esercizio del potere loro conferito, i 
principi di correttezza e buona fede. Pertanto, in assenza di un obbligo di motivazione 
espressa di fonte legislativa, la genericit� e/o l�incompletezza della 
motivazione del provvedimento di revoca dell�orario part time non rendono 
di per s� la condotta datoriale contraria ai principi di correttezza e buona 
fede, essendo a ci� necessario che, in esito all�accertamento giudiziale, risulti 
che nel caso concreto effettivamente non sussistevano ragioni di interesse pubblico 
idonee a giustificare l�adozione del provvedimento di cui si tratta�. 
Il Tribunale, ribaltando l�impostazione formalistica del precedente giudizio, 
afferma infine che ҏ il difetto di motivazione in senso sostanziale (inesistenza 
in concreto dei motivi cui la norma subordina la revoca) e non 
formale (omessa o insufficiente motivazione del provvedimento) a concretare 
l�inosservanza dei principi di correttezza e buona fede, in ragione della conseguente 
illogicit�, vessatoriet�, arbitrariet� della revoca�. 
Sotto un profilo diverso, merita di essere segnalata la recente articolata 
ordinanza del 4 maggio 2011 del Tribunale di Trento che, in un caso simile a 
quello ora esaminato e in accoglimento del ricorso presentato da una dipendente 
del Ministero della Giustizia avverso il provvedimento di trasformazione 
del part time in rapporto a tempo pieno ex art. 16 del c.d. Collegato lavoro, lo 
ha annullato, confermando il decreto inaudita altera parte del 30 marzo 2011. 
Il Tribunale di Trento non ritiene il comportamento del Ministero della 
Giustizia contrario ai principi di correttezza e buona fede, in quanto �sia la 
motivazione richiamata per relationem nel provvedimento ministeriale, come 
pure quella ulteriormente esposta dal Ministero nel corso del presente procedimento 
appaiono congrue, puntuali e sufficientemente specifiche, poich� 
viene data adeguata ragione delle esigenze di servizio che hanno indotto la 
pubblica amministrazione alla trasformazione del rapporto di lavoro, alla 
luce delle mansioni svolte e della qualifica ricoperta dalla ricorrente�. 
Piuttosto il Tribunale si interroga sulla �conformit� alla normativa euro-
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 229 
pea dell�articolo 16 della legge n. 183/2010, nella parte in cui esso attribuisce 
alla pubblica amministrazione il potere di trasformare il rapporto di lavoro 
part time in rapporto di lavoro a tempo pieno, alla sola condizione del rispetto 
dei principi di correttezza e buona fede, a prescindere dal consenso del lavoratore 
e quindi anche contro la sua volont��. 
Al quesito cos� formulato il Tribunale risponde nel senso che l�articolo 
16 del c.d. Collegato lavoro si pone in insanabile contrasto con la direttiva 15 
dicembre 1997, n. 97/81/CE: si tratta, infatti, di �un caso di efficacia diretta 
di una direttiva, in quanto la direttiva 15 dicembre 1997, n. 97/81/CE impone 
un obbligo di non fare, prevedendo obblighi sufficientemente precisi ed incondizionati 
e pu� essere qualificata come self executing (�). Si tratta di efficacia 
verticale della direttiva e, secondo la costante giurisprudenza della Corte di 
Giustizia, in tutti i casi in cui disposizioni di una direttiva appaiono incondizionanti 
e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere nei confronti 
dello Stato, tanto se questo non ha trasposto tempestivamente la direttiva nel 
diritto nazionale, quanto se esso l�ha trasposta in modo adeguato�. 
In particolare, per il Tribunale di Trento, l�art. 16 citato �discrimina il lavoratore 
part time, che, a differenza del lavoratore a tempo pieno, rimane soggetto 
al potere del datore di lavoro pubblico di modificare unilateralmente la 
durata della prestazione di lavoro� e viola quella parte della direttiva che �impone 
la presenza del consenso del lavoratore in caso di trasformazione del 
rapporto�, con la conseguenza che esso deve essere disapplicato in quanto 
contrastante con l�ordinamento comunitario. 
In conclusione, quella da ultimo esaminata rappresenta senza dubbio una 
decisione interessante che, disapplicando la disciplina interna contenuta nel 
c.d. Collegato lavoro e dando applicazione immediata alla direttiva n. 
97/81/CE, rappresenta una dura condanna per il legislatore italiano e si pone 
come apripista per i numerosi casi di lavoratori pubblici (15) cui � stato revocato, 
senza il consenso del diretto interessato, il regime di part time in base ad 
una disposizione di assai dubbia compatibilit� con l�ordinamento comunitario. 
(15) I dipendenti pubblici titolari di part time sono circa 170.000, secondo i dati ISTAT riferiti al 
quarto trimestre 2010. 
230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Le infrastrutture di comunicazione a banda larga e la 
disciplina degli aiuti di Stato: gli equilibri delicati della crescita 
Alessandra Iorio* 
SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. L� infrastruttura a banda larga: architrave della crescita 
europea - 3. I principi guida dell�investimento pubblico: il criterio dell�investitore privato e 
l�esigenza di colmare il divario digitale: 3.1. L�intervento pubblico nelle aree aperte alla concorrenza; 
3.2. L�intervento pubblico come rimedio al divario digitale - 4. Un caso concreto 
di innovazione e trasformazione nella Provincia autonoma di Trento - 5. Il finanziamento 
pubblico delle reti informatiche a banda larga e la disciplina degli aiuti di Stato: alcune considerazioni. 
1. Introduzione 
Le infrastrutture a banda larga costituiscono progetti centrali per la crescita 
delle economie europee, in cui l�innovazione tecnologica necessariamente 
richiede di essere supportata da infrastrutture in grado di veicolare un 
servizio di telecomunicazione omogeneo e qualitativamente elevato su tutto 
il territorio nazionale. In relazione a tali infrastrutture si identificano situazioni 
di insufficienza dell�investimento privato, in considerazione dei bisogni 
della collettivit� e del ruolo di impulso � se non vero e proprio fondamento 
� della crescita economica basata sulla societ� dell�informazione (1). 
In Italia, in base a recenti rilevazioni, la penetrazione della connessione 
a banda larga � inferiore alla media europea, cos� come le famiglie che hanno 
concreto accesso ai servizi di connessione (2). Allo stesso tempo, anche la 
domanda di servizi internet-based (come evidenzia la frequenza di utilizzo 
giornaliero e settimanale di internet, servizi di e-banking, TV e radio via internet) 
da parte della popolazione mostra una bassa propensione. Ci� rappresenta 
indubbiamente un fattore di resistenza verso forme di investimento 
privato, riducendo l�interesse economico verso lo sviluppo e l�istallazione di 
(*) Gi� praticante forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
Il presente lavoro della dott.ssa Iorio rappresenta un estratto dello studio �Public-Private Partnership: 
il caso delle reti di comunicazione di nuova generazione�, presentato nell�ambito del 
corso di dottorato di ricerca in �Diritto ed Economia� presso la LUISS Guido Carli. 
(1) Invero, come sar� illustrato infra, i potenziali benefici della diffusione delle reti a banda larga, 
nonch� i potenziali effetti negativi dell�esclusione di alcune fasce della popolazione dall�accesso a tale 
infrastruttura, assumono rilevanza nel senso di suggerire una loro qualifica come bene pubblico (sul 
punto, cfr. PICOT, WERNICK, The Role of Government in Broadband Access, in Telecommunications Policy, 
2007, 31, pag. 660-674). 
(2) Si tratta del 19%, a fronte del 22.9% (media europea). Per quanto riguarda le famiglie, appena il 
47% avrebbe accesso ad una connessione a banda larga (contro il 60% europeo). Vedi, EUROPEAN COMMISION, 
Europe's Digital Competitiveness Report, 2009, vol. 2, COM(2009) 390, disponibile alla pagina 
http://ec.europa.eu/information_society/eeurope/i2010/docs/annual_report/2009/sec_2009_1104.pdf
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 231 
nuove reti (3). 
Il presente articolo si propone di svolgere alcune riflessioni sul tema 
della realizzazione delle infrastrutture di comunicazione a banda larga per la 
fornitura di servizi di accesso internet alla popolazione europea e sulle applicabili 
regole derivanti dalla disciplina europea degli aiuti di Stato. 
Nel seguito, dopo alcune brevi considerazioni sull�orientamento europeo 
e nazionale di sostegno e stimolo alla progressiva innovazione nella fornitura 
di servizi di connettivit� a banda larga a cittadini e imprese (par. 2), si descriveranno 
i principi normativi rilevanti, propri delle regole europee in tema di 
aiuti di Stato, come sviluppati nell�ambito della prassi decisionale della Commissione 
europea (par. 3). Quindi, dopo aver brevemente dato atto del progetto 
della Provincia di Trento di dotarsi di un�infrastruttura di comunicazione 
di nuova generazione (par. 4), si svolgeranno alcune considerazioni finali 
sugli sviluppi applicativi del quadro normativo europeo (par. 5). 
2. L� infrastruttura a banda larga: architrave della crescita europea 
Come noto, il termine banda larga definisce un insieme di tecnologie 
che consentono di offrire all�utente collegamenti di velocit� notevolmente 
superiore rispetto quelli concessi dalla normale rete telefonica, che per definizione 
fornisce servizi a �banda stretta� (4). Accanto a tale espressione � 
oggi diffusa quella di Next Generation Network (�NGN �) che individua 
strutture e funzionalit� di rete di tipo innovativo (5). In particolare, la rete 
(3) Recenti stime fornite da Telecom Italia mostrano che gli investimenti richiesti per portare il 
rimanente 65% della popolazione on-line si aggirerebbe intorno ai 6,5 miliardi di euro. Inoltre, il costo 
relativo all�introduzione della fibra ottica (che come si vedr� rappresenta l�architettura portante delle 
reti di nuova generazione, vedi infra, par. 3.2) per raggiungere almeno l�80% della popolazione sarebbe 
pari a 15 miliardi di euro (vedi AgCom, �Indagine conoscitiva sull'assetto e le prospettive delle nuove 
reti del sistema delle comunicazioni elettroniche�, settembre 2008, Roma, disponibile alla pagina 
http://www.comunicazioni.it/binary/min_comunicazioni/comunicati_stampa/Audizione_del_10_settembre.
pdf.) 
(4) Secondo un approccio non tecnico, ma prestazionale, la banda larga pu� essere definita come 
�l�insieme di reti e servizi che consentono l�interattivit� a velocit� confortevole per l�utente�. Pur non 
esistendo una definizione formale, la banda larga fa riferimento all�insieme delle piattaforme composto 
da fibra ottica, xDSL, wireless - Wi-Fi, HiperLan, Wi-Max, ecc. -, satellite, fino all�UMTS ed al HSDPA, 
recentemente richiamati dall�AGCOM come tecnologie a banda larga. Cfr. �Linee Guida per i Piani 
Territoriali per la Banda Larga�, approvate dalla Commissione Permanente per l�Innovazione Tecnologica 
negli Enti Locali e nelle Regioni e dalla Conferenza Unificata il 20 settembre 2007. L�OCSE, invece, 
all�interno dei suoi studi e delle sue analisi, utilizza la definizione del CSTB Statunitense 
(Computer Science and Telecommunication Board), secondo cui �Un accesso locale pu� essere definito 
a banda larga se la performance del collegamento non � un fattore limitante all�utilizzo delle applicazioni 
tecnologiche correnti da parte degli utenti finali�. 
(5) In accordo con l�ITU-T, una Next Generation Network � cos� definita: �A Next Generation 
Network (NGN) is a packet-based network able to provide Telecommunication Services and able to 
make use of multiple broadband, QoS-enabled transport technologies and in which service-related functions 
are independent from underlying transport-related technologies. It enables unfettered access for 
users to networks and to competing service providers and/or services of their choice. It supports gene-
232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
NGN si caratterizza per l�utilizzo universale del protocollo IP, qualunque sia 
il tipo di informazione da trasmettere (6). L�utilizzo di tale protocollo costituisce 
la premessa per cui la rete fissa, mobile e broadcast tenderanno ad un 
processo di integrazione progressivo, fino alla completa convergenza (7). 
Dal punto di vista delle imprese operanti nel settore, i sistemi di nuova 
generazione favoriscono gli operatori che potranno offrire su un�unica infrastruttura 
una pluralit� di servizi distinti con predefiniti livelli di qualit�. Inoltre, 
l�utilizzo delle nuove reti determina inevitabilmente una riduzione dei relativi 
costi di gestione, nonch� un miglioramento dei processi di innovazione di prodotto 
e una riduzione dei rischi legati all�incertezza della domanda. La convergenza, 
poi, di molteplici servizi su un�unica piattaforma pu� incentivare la 
formulazione di offerte commerciali congiunte (triple play, comprensive di 
servizi di telefonia, Internet veloce e IP-TV, e quadruple play, che ai precedenti 
servizi aggiungono la telefonia mobile), per le quali si registra una crescente 
manifestazione di interesse da parte degli utenti (8). 
L�introduzione della connettivit� a banda larga stimola il descritto scenario 
evolutivo e sostiene il progresso della societ� dell�informazione. In tale 
prospettiva, l�accesso veloce a internet � la precondizione perch� possa manifestarsi 
il �ruolo cruciale che la rete svolger� nella ripresa economica, in 
quanto piattaforma di sostegno all�innovazione in tutti i settori economici, 
ralized mobility which will allow consistent and ubiquitous provision of services to users� (cfr. le raccomandazioni 
Y.2001 �General overview of NGN� - 12/2004 e Y.2011 �General principles and general 
reference model for Next Generation Networks� - 10/2004). 
(6) Nello specifico, nell�acronimo NGN tendono a concentrarsi diversi aspetti di carattere tecnologico 
e architetturale ed in particolare: a) convergenza fisso-mobile e trasparenza della rete per qualunque 
tipo di servizio (voce, video, dati ecc.); b) impiego universale dell�architettura di trasporto con 
commutazione a �pacchetti� � e tecniche di QoS (Quality of Service) per la priorit� delle informazioni 
in tempo reale � ed uso generalizzato del protocollo IP per tutti i tipi di informazioni trasmesse; c) indipendenza 
del livello di servizio dallo strato fisico della rete; d) intelligenza di rete opportunamente 
distribuita con particolare attenzione alla sicurezza; e) notevole valore aggiunto dei servizi offerti dalla 
stessa rete (con un�estensiva virtualizzazione in rete di risorse informatiche quali backup, sicurezza, 
identificazione, ecc.); f) adozione di bande sempre pi� larghe per la richiesta di servizi video (anche 
HDTV) e per altri servizi innovativi. 
(7) Le reti broadcast sono dotate di un unico �canale� di comunicazione che � condiviso da tutti 
gli elaboratori. Brevi messaggi (spesso chiamati pacchetti) inviati da un elaboratore sono ricevuti da 
tutti gli altri elaboratori. Un indirizzo all'interno del pacchetto specifica il destinatario. Quando un elaboratore 
riceve un pacchetto, esamina l'indirizzo di destinazione; se questo coincide col proprio indirizzo 
il pacchetto viene elaborato, altrimenti viene ignorato. Le reti broadcast, in genere, consentono anche 
di inviare un pacchetto a tutti gli altri elaboratori, usando un opportuno indirizzo (broadcasting). In tal 
caso tutti prendono in considerazione il pacchetto. 
(8) L�evolversi di questo nuovo fenomeno pone necessariamente significative pressioni sulle modalit� 
di accesso alla rete, che si ritiene debbano essere supportate da un�adeguata capacit� di banda. Infatti, 
attualmente, si adopera un�infrastruttura differente per ogni tipo di servizio offerto; al contrario 
con le NGN un�unica rete di trasporto � idonea a coinvolgere tutte le tipologie di servizio. Il servizio diventer�, 
cos�, indipendente dalla rete senza pi� differenze tra reti fisse e mobili e senza soluzione di continuit� 
infrastrutturale.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 233 
esattamente come avvenne a suo tempo con l�energia elettrica e i trasporti�(
9). 
Sul piano strettamente economico, il fenomeno di �digitalizzazione� favorisce 
l�ampliamento dei mercati nelle loro dimensioni e la velocizzazione 
dei loro meccanismi di funzionamento. Per i singoli utenti la disponibilit� di 
servizi a banda larga � un presupposto fondamentale per moltiplicare lo scambio 
e la circolazione delle informazioni, per favorire i processi di apprendimento 
e di relazione, per accrescere, dunque, la predisposizione di tecnologie, 
di servizi innovativi e il livello di informatizzazione personale (10). 
Con particolare riferimento alle regioni a basso tasso di crescita, la Commissione 
europea considera favorevolmente l�investimento in infrastrutture di 
banda larga, come motore del loro sviluppo economico. A fronte dell�assenza 
di un�offerta di tali servizi da parte del mercato, � peraltro auspicabile l�intervento 
statale nella realizzazione dell�infrastruttura, mediante l�erogazione di 
misure di sussidio alla realizzazione di un��infrastruttura a banda larga universale 
(...) aperta a tutti gli altri fornitori, [che] ponga rimedio a un fallimento 
del mercato e garantisca la connessione a tutti gli utenti della regione 
interessata � (11). 
Certo, i progetti di realizzazione di infrastrutture NGN sono impegnativi 
e di lungo periodo: le pi� recenti rilevazioni dello stadio di sviluppo europeo 
delle reti di nuova generazione prevedono un investimento di circa 300 miliardi 
di euro su un arco temporale di almeno 15 anni (12). Tale processo si 
(9) Cfr. Comunicazione della Commissione europea, La banda larga in Europa: investire nella 
crescita indotta dalla tecnologia digitale, COME(2010)472, Bruxelles, 20 settembre 2010. Al riguardo, 
e con particolare riferimento al settore delle comunicazioni, l�AgCom ha sottolineato come lo stesso ҏ 
abbastanza maturo e, in una fase di recessione, i livelli occupazionali non possono che scendere. Lo 
sviluppo della banda larga pu�, dunque, contribuire a creare nuovi posti di lavoro� (�Il Sole 24 Ore� 
del 10 marzo 2010, Banda larga al via in giugno). 
(10) Anche in relazione alla pubblica amministrazione, i cambiamenti prodotti dai fenomeni di 
digitalizzazione e di connettivit� a rete hanno modificato in modo irreversibile i processi interni e l�organizzazione 
della sua struttura. Tanto a livello centrale, quanto periferico, la banda larga pu� consentire 
una migliore realizzazione nella gestione dei compiti propri della pubblica amministrazione, tramite 
l�utilizzo e la diffusione di nuovi sistemi informativi finalizzati a rendere pi� efficiente e semplice il 
rapporto e l�interazione dei cittadini con le strutture pubbliche di riferimento. Inoltre, attraverso l�uso 
di infrastrutture avanzate di comunicazione, sar� possibile innestare procedure telematiche garantite da 
sicurezza e tracciabilit� idonee a valorizzare ancor di pi� l�opportunit� di informatizzare e standardizzare 
le relazioni tra le amministrazioni. 
(11) Cfr. la Comunicazione della Commissione, Orientamenti comunitari relativi all�applicazione 
delle norme in materia di aiuti di stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga, in GUUE 
C235/7 del 30 settembre 2009, par. 22. Cfr. anche la decisione della Commissione europea n. 381/2004 
del 16 novembre 2004 (France-Projet de resau de Telecommunication haut debit des Pyrenees) e n. 
382/2004 del 3 maggio 2005, (France-Mise en place d�une infrstructure haut-debit sur le territoire de 
la r�gion Limousin). 
(12) Si veda l�analisi condotta dalla societ� Mc Kinsey, richiamata dalla Commissione europea 
nel MEMO/08/572, �Broadband: Commission consults on regulatory strategy to promote high-speed 
Next Generation Access networks in Europe�.
234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
articoler� in primo luogo, mediante l�introduzione di una rete di trasporto a 
lunga distanza (core Network), e, successivamente, di una rete di accesso a livello 
locale (access Networks). Quest�ultimo rappresenta l�aspetto maggiormente 
critico, comportando la realizzazione di infrastrutture per la posa dei 
cavi che, capillarmente diffuse su tutto il territorio nazionale, richiedono investimenti 
elevati e tempi di realizzazione lunghi. 
� in tale scenario che sorge, quindi, la necessit� di effettuare investimenti 
mirati, nonch� ragionati, che sappiano sfruttare le capacit� realizzative e le risorse 
degli operatori pubblici e privati. Al contempo, appare altres� necessario 
che gli interventi dello Stato a sostegno non producano effetti negativi sul livello 
degli investimenti privati, scoraggiandoli e portando ad un�allocazione 
non efficiente delle risorse (13). 
Proprio il raggiungimento di tale equilibrio richiede una delicata interazione 
tra le normative regolamentari e i principi di diritto della concorrenza applicabili 
alle forme di finanziamento pubblico degli investimenti in reti a banda 
larga. 
3. I principi guida dell�investimento pubblico: il criterio dell�investitore privato 
e l�esigenza di colmare il divario digitale 
3.1. L�intervento pubblico nelle aree aperte alla concorrenza 
Sulla base dell�impulso comunitario (14) - e nell�attesa di una definizione 
compiuta delle regole in materia di sviluppo e accesso delle reti NGN in Italia 
(15) -, si � assistito nella seconda met� del 2010 ad alcune iniziative di ispirazione 
governativa che hanno condotto i principali operatori di telecomunica- 
(13) Ci si riferisce alla possibilit� che l�intervento pubblico, lungi dal costituire un fattore di stimolo 
alla realizzazione di reti di nuova generazione, possa tradursi in un ostacolo al loro sviluppo, nella 
misura in cui l�intervento statale eserciti un effetto distorsivo sugli incentivi privati a investire nella rete 
NGN.
(14) A livello europeo, il quadro di riferimento contenente i principi regolamentari � in via di progressiva 
definizione. La Commissione ha infatti adottato una serie di misure finalizzate a favorire l'introduzione 
e l'adozione della banda larga veloce e ultraveloce che hanno trovato un momento di 
auspicabile sintesi nella pubblicazione della raccomandazione del 20 settembre 2010, riguardante l'accesso 
regolato alle reti di NGA (Raccomandazione della Commissione del 20 settembre 2010 relativa 
all�accesso regolamentato alle reti di accesso di nuova generazione (NGA) (2010/572/UE), in GUUE 
n. L 251 del 25 settembre 2010 pag. 35). 
(15) A livello nazionale, il processo di definizione delle regole che sono deputate ad accompagnare 
la transizione verso la rete NGN � tuttora in corso. Al riguardo assumono rilevanza le linee guida del 
�Comitato NGN Italia� (organo consultivo del Consiglio dell�AgCom previsto dalla citata legge n. 69 
del 2009 e istituito con la delibera AgCom n. 731/09/CONS) e lo schema di delibera recante la �[c]onsultazione 
pubblica in materia di regolamentazione dei servizi di accesso alle reti di nuova generazione�, 
attualmente all�esame della Commissione europea (il documento per la consultazione � stato pubblicato 
in data 19 gennaio 2011, con Delibera 1/11/CONS. A seguito della consultazione del mercato, l�Autorit� 
ha pubblicato uno schema di regolamento, inviato alla Commissione europea e sottoposto ad una nuova 
consultazione con delibera n. 301/11/CONS �Integrazione della consultazione pubblica in materia di 
regolamentazione dei servizi di accesso alle reti di nuova generazione� del 23 maggio 2011).
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 235 
zioni italiani a siglare un memorandum of understanding (�MOU�) relativo alla 
costituzione di una societ� mista denominata �Italia digitale�, a partecipazione 
pubblico-privata, per la realizzazione di una infrastruttura NGN (16). Inoltre, 
a livello pi� propriamente locale, appaiono sviluppi meritevoli di approfondimento 
quelli che hanno interessato la provincia autonoma di Trento, in cui, iniziative 
fondate sulla cooperazione tra pubblico e privato hanno consentito la 
progettazione e attuazione di investimenti in una rete NGN (vedi, infra, par. 4). 
In tale prospettiva, la via maestra da percorrere appare quella di un approccio 
di sistema che si poggi su un complesso di relazioni tra i vari attori locali 
(enti, imprese di comunicazione e cittadini) al fine di introdurre prodotti 
ad alto valore aggiunto nel mercato locale, valorizzando le competenze delle 
persone e crei nuove abilit� nel governo e nell�uso delle tecnologie ICT. 
In seguito ad un periodo caratterizzato dall�elaborazione di incentivi di 
stimolo alla domanda di servizi di connessione a banda larga da parte dell�utente 
(17) e, specialmente, in seguito al prevalente indirizzo affermatosi in 
sede comunitaria, nonch� in altri paesi europei (18), gradualmente si sono imposte 
politiche di sostegno all�offerta di servizi e infrastrutture NGN, che mirano 
ad una crescita del livello complessivo di infrastrutturazione del Paese. 
Si afferma, in particolare, la consapevolezza che la complessit� delle implicazioni 
sottese allo sviluppo della banda larga ed ultra larga richieda un inevitabile 
piano di azione unitario da adottare a livello nazionale attraverso 
l�impiego delle capacit� e delle potenzialit� proprie degli investitori privati unitamente 
agli investimenti pubblici. 
Non a caso, la Commissione europea, che pi� volte ha sottolineato la necessit� 
della banda larga per lo sviluppo delle economie nazionali e locali degli 
Stati membri, a partire dal 2003, ha esaltato l�importanza degli investimenti 
pubblici e degli accordi con soggetti privati, selezionati mediante procedure 
competitive, aperte e trasparenti (19). 
(16) Ci si riferisce all�accordo siglato tra il Ministero dello sviluppo economico ed i principali 
operatori di telecomunicazioni che istituisce una forma di cooperazione pubblico-privata per la realizzazione 
delle infrastrutture necessarie allo sviluppo delle reti NGN. L�accordo � stato annunciato al pubblico 
in data 10 novembre 2010 (cfr. �Ngn, gli operatori si uniscono. Una societ� per la nuova rete�, La 
Repubblica, 10 novembre 2010). Il testo firmato dalle parti � disponibile alla pagina internet: www.governo.
it/GovernoInforma/Dossier/banda_ultralarga/MOU_20101110.pdf 
(17) Ci si riferisce, in particolare, alle politiche di sviluppo della banda larga secondo la tecnologia 
x-DSL avvenuti nel periodo 2003-2005 e consistenti nell�utilizzo di contributi statali e altre forme di 
incentivazione indiretta. Cfr. al riguardo NICITA, op. cit., pag. 23. 
(18) Si veda, ad esempio, quanto avvenuto in Scozia con il progetto �Broadband for Scotland�, 
in Inghilterra, con i progetti �Digital Challenge� e �Corridor Manchester� e in Galles, con �Digital Region�. 
In tali esperienze, la creazione di una infrastruttura a banda larga si fonda su un accordo tra l�ente 
locale di riferimento e un operatore privato. Per una loro descrizione dettagliata, cfr. NICITA, op. cit., 
pag. 64-65. 
(19) Per un elenco delle decisioni in tema di misure statali di sostegno a progetti di costruzione 
di reti a banda larga, vedi NICOLAIDES, KLEIS, The case of Public Funding of Infrastructure and broad-
236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
In particolare, la Commissione ritiene che i modelli di PPP costituiscano 
�strumenti effettivi per realizzare progetti di infrastrutture, fornire servizi pubblici 
e innovare pi� liberamente nel contesto degli sforzi di risanamento imposti 
dalla recente crisi finanziaria e economica� (20). 
Con particolare riferimento ai progetti di realizzazione di infrastrutture a 
banda larga, la Commissione mostra di valorizzare l�elemento tipico delle PPP 
costituito dalla scelta del socio privato mediante una procedura di gara, aperta, 
trasparente e non discriminatoria (21) . 
Negli orientamenti pubblicati in tema di applicazione delle norme in materia 
di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido delle reti a larga banda 
(gli �Orientamenti�), la Commissione muove dal riconoscimento dell�importanza 
strategica della banda larga, senza trascurare l�esigenza di garantire che 
gli aiuti di Stato non vadano a sostituire l�iniziativa privata (22). 
Al riguardo, gli Orientamenti procedono ad indirizzare le iniziative di 
PPP secondo specifici principi attuativi. In particolare, �sebbene la Commissione 
veda con estremo favore l'intervento pubblico a sostegno dello sviluppo 
della banda larga nelle aree rurali e scarsamente servite, la sua posizione � 
invece pi� critica per quanto riguarda misure di aiuto a beneficio di zone in 
cui � gi� presente un�infrastruttura a banda larga ed in cui vigono condizioni 
band networks, in ESTAL 4/207, pag. 632 e ss.; v. anche le decisioni riportate alla pagina web della 
Commissione europea specificamente dedicata: http://ec.europa.eu/competition/sectors/telecommunications/
broadband_decisions.pdf. Nella maggior parte dei casi, le misure oggetto d�esame sono state ritenute 
istitutive di aiuti compatibili con il mercato comune ai sensi e per gli effetti dell�art. 107(3)(c) 
TFUE (aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attivit� o di talune regioni economiche senza 
alterare le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse), ovvero coperti dalla deroga 
stabilita dall�art. 106(2) TFUE (nel caso di aiuti conferiti, subordinatamente al rispetto di certe condizioni, 
ad imprese incaricate della gestione di un servizio d�interesse economico generale): v. Comunicazione 
della Commissione 30 settembre 2009 sugli orientamenti comunitari relativi all�applicazione 
delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido delle reti a larga banda, (GUUE 
C 235/9), secondo cui, �come dimostra la prassi decisionale della Commissione in materia di aiuti di 
Stato nel settore della banda larga, l�intervento pubblico a sostegno di progetti di banda larga implica 
spesso la presenza di aiuti di Stato ai sensi dell�articolo 87, paragrafo 1, del trattato CE� (divenuto art. 
107(1) TFUE). In due casi, tuttavia, la Commissione � giunta a diverse conclusioni: nel caso Appingedam 
(dec. 16 dicembre 2005, Aiuto di Stato N 59/2005 � Paesi Bassi), la misura � stata vietata in quanto 
qualificata come aiuto di Stato incompatibile, mentre nel citato caso Citynet Amsterdam � stato escluso 
che l�intervento oggetto d�esame comportasse elementi di aiuto. 
(20) Cfr. la Comunicazione della Commissione europea, �Mobilising private and public investment 
for recovery and long-term structural change: developing Public Private Partnerships� 
COM(2009)615, Bruxelles 19 novembre 2009, para. 1. 
(21) In particolare, la procedura di gara ҏ un metodo per minimizzare il vantaggio potenzialmente 
insito negli aiuti di Stato e per ridurre, al tempo stesso, la natura selettiva della misura dal momento 
che la scelta del beneficiario non � predeterminata� (Comunicazione della Commissione, Orientamenti 
comunitari relativi all�applicazione delle norme in materia di aiuti di stato in relazione allo sviluppo 
rapido di reti a banda larga, in GUUE C235/7 del 30 settembre 2009, par. 51) 
(22) Cfr. la Comunicazione della Commissione, Orientamenti comunitari relativi all�applicazione 
delle norme in materia di aiuti di stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga, in GUUE 
C235/7 del 30 settembre 2009, par. 22.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 237 
di concorrenza� (23). Quindi, muovendo dalla premessa per cui, nella larga 
maggioranza dei casi, le misure statali in tali aree comportano aiuti di Stato, 
la Commissione procede ad illustrare i casi in cui ci� non avviene, riportandosi 
essenzialmente alla prassi decisionale sviluppatasi nell�applicazione del criterio 
dell�investitore privato in economia di mercato (cd. �market economy investor 
principle�; �MEIP�) e dell�art. 106(2) TFUE (24). 
Secondo tale impostazione, il criterio guida per escludere la presenza di 
aiuti di stato nell�ipotesi di costituzione di una societ� mista con una partecipazione 
statale � valutare se �i capitali [siano] messi a disposizione di un�impresa, 
direttamente o indirettamente, da parte dello Stato, in circostanze che 
corrispondono alle normali condizioni del mercato� (25). 
Tale posizione assume invero significato in relazione alla previsione di 
instaurare forme di PPP per la realizzazione di progetti infrastrutturali in zone 
caratterizzate da un divario digitale e che presentano un�assenza di prospettive 
di ritorno economico (26). 
La Commissione mostra di ritenere soddisfatto il criterio dell�investitore 
privato - e di ammettere, quindi, la possibilit� per un�impresa a composizione 
mista (con uno o pi� partner privati) di avvalersi della partecipazione statale 
- qualora siano presenti determinate condizioni. Queste ultime devono essere 
tali da indicare, in maniera precisa e univoca, che l�apporto di capitale pubblico 
in un�impresa abbia luogo in circostanze che sarebbero accettabili per un operatore 
razionale e avveduto in economia di mercato. Ci� comporta, peraltro, 
che le motivazioni dello Stato o dell�ente pubblico che effettua l�investimento 
devono essere essenzialmente commerciali ed estranee a qualsiasi obiettivo 
di politica industriale, economica o sociale (27). 
(23) Orientamenti, cit. par. 9. 
(24) La Commissione afferma, con riferimento al MEIP e alla decisione Citynet, che �la conformit� 
di un investimento pubblico con le condizioni di mercato va dimostrata in modo accurato ed esaustivo, 
in virt� di una partecipazione significativa di investitori privati oppure dell�esistenza di un solido 
piano d�attivit� che mostri un utile adeguato sul capitale investito. Quando investitori privati partecipano 
a un progetto, la conditio sine qua non � che questi si assumeranno il rischio commerciale connesso 
all�investimento alle stesse condizioni e negli stessi termini dell�investitore pubblico� (Orientamenti, 
par. 19). La decisione Citynet (n. C 53/2006 del 11 dicembre 2007) riguardava la decisione del comune 
di Amsterdam di investire nello strato passivo della rete insieme a due investitori privati e a cinque societ� 
di edilizia popolare. L�infrastruttura passiva era di propriet� di un soggetto giuridico separato preposto 
alla gestione, il quale era controllato per un terzo dal comune di Amsterdam, per un terzo da due 
investitori privati (�ING Real Estate� e �Reggefiber�) e per la rimanente quota azionaria dalle societ� 
di edilizia popolare. 
(25) Orientamenti, par. 18. 
(26) In una delle prime decisioni di incompatibilit�, la Commissione mostra di non ritenere applicabile 
il criterio dell�investitore di mercato nel caso in cui l�intervento statale si giustifica in ragione 
delle scarse o ridotte prospettive di remunerazione dell�investimento. Cfr. la decisione del 19 luglio 
2006, nel caso C 35/2005, �Broadband development in Appingedam�. 
(27) Ne discende che la struttura e le prospettive future della societ� nella quale si effettua l�investimento 
devono esser tali da far prevedere entro un lasso di tempo ragionevole una redditivit� che
238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Ripercorrendo la prassi decisionale in materia di MEIP, va escluso che 
l�intervento delle autorit� pubbliche nel capitale di un�impresa, sotto qualsiasi 
forma, abbia natura di aiuto di Stato, ai sensi e per gli effetti dell�art. 107 TFUE, 
se risulta che, in circostanze analoghe, un investitore privato di dimensioni paragonabili 
a quelle degli enti che gestiscono il settore pubblico avrebbe effettuato 
conferimenti di capitali di simile entit�, tenuto conto in particolare delle 
informazioni disponibili e degli sviluppi prevedibili alla data dei detti conferimenti. 
In altre parole, per stabilire se lo Stato abbia adottato o no il comportamento 
di un investitore avveduto in un�economia di mercato, occorre porsi nel 
contesto dell�epoca in cui sono state adottate le misure di sostegno finanziario, 
al fine di valutare la razionalit� economica del comportamento dello Stato, e 
astenersi da qualsiasi valutazione fondata su una situazione successiva (28). 
Secondo la giurisprudenza, si � invece in presenza di un aiuto di Stato qualora 
l�intervento in questione � anche se, in ipotesi, �destinato ad investimenti 
produttivi� (29) � prescinda da qualsiasi prospettiva di redditivit�, anche a lungo 
termine, e pertanto un ipotetico investitore privato non lo avrebbe avviato (30). 
La Corte ha anche chiarito che il comportamento dell�ipotetico investitore 
privato, al quale dev�essere raffrontato l�intervento dell�investitore pubblico, 
non � necessariamente quello del comune investitore che colloca capitali in 
funzione della loro capacit� di produrre reddito a termine pi� o meno breve, 
potendo esso corrispondere anche a quello di una holding privata o di un gruppo 
imprenditoriale privato che persegue una politica strutturale, globale o settoriale, 
guidata da prospettive di redditivit� a pi� lungo termine (31). 
potr� essere considerata normale se paragonata ad un�analoga impresa interamente privata. L�ipotetico 
investitore privato operante nelle normali condizioni di una economia di mercato fornir� di norma capitale 
di rischio se il valore attuale netto dei flussi di cassa attesi dall�investimento progettato (�Si tratta 
dei flussi di cassa futuri scontati in base al costo marginale dei prestiti o al costo del capitale per l�impresa�: 
Orientamenti aviazione, nota 28), che spetteranno all�investitore in forma di dividendi e/o di incrementi 
di capitale, debitamente corretti per tener conto del rischio, � �superiore al costo del nuovo 
apporto�. 
(28) Sentenza della Corte 16 maggio 2002, Francia/Commissione (�Stardust Marine�), causa C- 
482/99, Racc. pag. I-4397, punti 68, 70 e 71. La Corte ha concluso che la Commissione aveva fatto 
un�erronea applicazione del MEIP in quanto la decisione controversa, annullata, non recava alcuna indicazione 
relativa al carattere avveduto o meno delle misure di finanziamento in esame nel contesto dell�epoca, 
sulla base degli elementi disponibili in ciascuno degli anni rilevanti, che tenesse conto, in 
particolare, della situazione finanziaria della Stardust, della sua posizione sul mercato in quanto societ� 
in fase di avvio, nonch� delle prospettive di evoluzione di tale mercato. 
(29) Sent. 3 ottobre 1991, Italia/Commissione (�Aluminia e Comsal�), causa C-261/89, Racc. 
pag. I-4437, punto 9. 
(30) Come nel caso di un conferimento di capitale pubblico a favore di imprese fortemente indebitate 
(in misura ben superiore al fatturato) e che avevano subito perdite continue e rilevanti durante il 
periodo immediatamente precedente [sent. Italia/Commissione (�Aluminia e Comsal�), cit., punti 10- 
14]); ovvero nel caso di un conferimento di capitale pubblico destinato soltanto, in assenza di una piano 
di ristrutturazione dell�impresa beneficiaria in perdita, ad azzerare i suoi debiti per assicurarne la sopravvivenza 
[sent. 21 marzo 1991, Italia/Commissione (�Alfa Romeo�), causa C-305/89, Racc. pag. I- 
1603, punto 22].
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 239 
Per quanto riguarda pi� specificamente l�ipotesi della costituzione di una 
nuova impresa con la partecipazione di uno o pi� partner privati, la Commissione 
esclude la sussistenza di un aiuto qualora constati che risultano soddisfatte 
le condizioni seguenti: i) l�investimento degli operatori privati ha un rilevanza 
economica effettiva; ii) l�investimento � effettuato da tutte le parti contemporaneamente; 
iii) le condizioni dell�investimento sono identiche per tutti gli azionisti; 
iv) non sussistono altri rapporti tra lo Stato, gli investitori privati e il 
beneficiario al di fuori dell�investimento in questione, tali da far dubitare che 
la semplice parit� delle condizioni di investimento sia sufficiente ad assicurare 
il rispetto del MEIP, e v) il piano aziendale della societ� di nuova costituzione 
appare solido e tale da rendere credibile un rapporto vantaggioso tra i rischi 
inerenti all�investimento e il prevedibile ritorno dello stesso (32). 
Soffermandosi ulteriormente su tali requisiti, merita rilevare che il riferimento 
alla rilevanza economica effettiva della partecipazione privata all'investimento 
complessivo e all�analogia delle condizioni alle quali l�investimento 
privato e quello pubblico devono essere effettuati - sub i) e iii) -, dev�essere valutata 
in termini sia assoluti sia relativi. Ne consegue che l�investimento privato 
deve rappresentare una porzione significativa dell�investimento totale e, allo 
stesso tempo, costituire un apporto rilevante in relazione alla potenza finanziaria 
del singolo investitore. La condizione risulta indubbiamente soddisfatta nel 
caso in cui l�investimento sia sostenuto equamente dalle parti pubblica e privata 
(50-50%), ma un simile rapporto non costituisce un requisito indispensabile 
per escludere che il MEIP sia rispettato. La Commissione si � infatti pi� volte 
pronunciata nel senso della conformit� al MEIP di acquisizioni da parte di privati 
di partecipazioni al capitale minoritarie (33), nella misura in cui gli altri 
criteri risultavano soddisfatti. 
Nell�ambito della costituzione di una societ� a partecipazione pubblicoprivata, 
attiva nello sviluppo delle infrastrutture necessarie alla realizzazione 
di nuove reti di accesso, si pu� quindi prevedere che il conferimento da parte 
del partner tecnologico delle proprie infrastrutture di accesso (cavidotti e fibra) 
(31) Sent. 14 settembre 1994, Spagna/Commissione, causa C-42/93, Racc. pag. I-1475, punti 12-14. 
(32) Ex multis, decisione C 53/06 (ex N 262/05) �Paesi Bassi (Citynet Amsterdam)�, par. 89; nonch� 
le decisioni EC/2006/621, �on the State aid implemented by France for France T�l�com� (GU L 
257, 20 settembre 2006, pp. 11-67) e la Comunicazione della Commissione 93/C 307/03 sull�applicazione 
degli articoli 92 e 93 del Trattato CEE alle imprese pubbliche nel settore industriale (GU C 307, 
13 novembre 1993, p. 3, par. 2). Sul punto, vedi anche NORBERT GA�L, LAMBROS PAPADIAS and ALEXANDER 
RIEDL, Citynet Amsterdam: an application of the Market Economy Investor Principle in the 
electronic communications sector, in Competition Policy Newsletter, 2008/1. 
(33) Cfr. le decisioni della Commissione del 17 agosto 2000, N 233/2000 �Italia (Terme di Castrocaro 
S.p.A.)�, in cui la partecipazione privata all�investimento era pari al 36%; e del 13 marzo 2000, 
N 132/99 �Italia (Parco Navi S.p.A.)�, in cui l�intervento in questione prevedeva l�acquisto da parte del 
privato di una partecipazione di minoranza del 42%. V. anche �Citynet Amsterdam�, cit., in cui l�apporto 
degli investitori privati era pari al 33%, mentre il resto dell�investimento proveniva direttamente o indirettamente 
da risorse pubbliche. 
240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
o del loro diritto di utilizzo possa essere qualificato, nel quadro dell�investimento 
complessivo, un apporto di significativa rilevanza economica sia in termini 
assoluti che in termini relativi, pur non dovendosi necessariamente 
giungere ad un valore pari al 50% del valore totale. Inoltre, le quote di partecipazione 
nella societ� veicolo dovranno riflettere le percentuali del contributo 
delle parti nell�investimento; analoga ripartizione dovr� essere rispettata anche 
nelle previsioni relative alla divisione degli utili o all�attribuzione dei diritti 
di voto e altri diritti sociali. 
Con riferimento alla condizione sub ii) relativa alla simultaneit� degli investimenti 
pubblico e privato, essa pu� dirsi soddisfatta anche in presenza di 
pre-investimenti a carico della sola parte pubblica, purch� siano di entit� limitata 
e sia prevista una ripartizione successiva di tali oneri tra tutti gli investitori 
coinvolti. Nella specie, il rispetto del MEIP non sarebbe dunque escluso 
nel caso in cui, ad esempio, in via preliminare, l�ente pubblico proceda ad effettuare 
studi di fattibilit� in vista della costituzione della societ� e della costruzione 
della rete, a fronte di un successivo rimborso della parte privata 
(proporzionale alla propria quota nell�investimento) delle spese di pianificazione 
eventualmente sostenute. 
Da ultimo, la Commissione mostra di attribuire grande rilevanza, nella 
valutazione del rispetto del MEIP nei casi di costituzione di una nuova societ� 
mista, alla solidit� del suo business plan (sub v) supra). A tal fine, il documento 
di pianificazione dovr� essere predisposto in maniera accurata, giustificando 
fondatamente le credibili probabilit� di un ritorno dell�investimento nel lungo 
termine per l�ente investitore, s� da giustificare l�investimento anche per un 
ipotetico operatore di mercato che agisca sulla base di mere considerazioni 
commerciali (34). 
A tale proposito, l�eventuale previsione dell�uscita dell�ente pubblico dall�azionariato 
della societ� mista, a una data predeterminata ex ante, costituirebbe 
oggetto di scrutinio rigoroso. Tempi e modalit� di tale uscita dovrebbero 
comunque essere tali da consentire all�investitore pubblico un adeguato profitto 
a fronte dell�ingente investimento realizzato, fermo restando che anche la vendita 
della partecipazione della PAT dovr� aver luogo a condizioni di mercato (35). 
(34) E� pertanto verosimile che, in caso di notifica, la Commissione procederebbe ad analizzare in 
dettaglio gli indicatori finanziari, il tasso di penetrazione, i prezzi praticabili per lo sfruttamento dell�infrastruttura, 
i costi dell�investimento nonch� il valore residuo della rete (cfr. la decisione �Citynet Amsterdami�, 
sup. cit.). 
(35) Cfr., ad esempio, la decisione 14 ottobre 2004, N 342/2004 �Italia (Sviluppo Italia S.p.A./Valle 
del Leo S.p.A.)�, concernente la sottoscrizione di un prestito obbligazionario convertibile e l�acquisizione 
di una partecipazione di minoranza (20%, con un investimento di � 1.500.000) da parte di Sviluppo Italia 
nella societ� Valle del Leo; per l�intervento di Sviluppo Italia era prevista una durata limitata (2005-2010), 
con la previsione di un meccanismo di garanzia (mandato a vendere o pegno) per assicurare il riacquisto 
della partecipazione detenuta da Sviluppo Italia da parte degli azionisti privati di maggioranza (�La par-
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 241 
3.2. L�intervento pubblico come rimedio al divario digitale 
La Commissione ha, poi, avuto modo di precisare come, a determinate 
condizioni, gli aiuti di Stato possano rappresentare strumenti efficaci per realizzare 
obiettivi di interesse economico generale. In particolare, con il sostegno 
statale � possibile adottare misure correttive finalizzate a correggere i fallimenti 
del mercato, a migliorare il funzionamento dei mercati, nonch� a rafforzare la 
competitivit�. 
In particolare, un intervento pubblico finalizzato allo sviluppo e al rafforzamento 
della banda larga ed ultra larga potrebbe favorire la riduzione del �divario 
digitale� tra le diverse aree, andando a incidere sulla situazione di 
sottosviluppo presente in talune zone marginali di un territorio. 
Ci�, peraltro, si inserisce nel contesto delle politiche comunitarie relative 
ai fondi strutturali. Ai fini del perseguimento di una comune politica di digitalizzazione 
delle aree territoriali arretrate, � previsto lo stanziamento di specifici 
fondi europei e nazionali (36). 
Tra questi, degno di rilievo � lo stanziamento di fondi nazionali mediante 
il Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS), previsto dalla legge n. 433 del 21 dicembre 
2001, finalizzati alla realizzazione di interventi nelle aree sottoutilizzate (37). 
Tali disponibilit� dovranno essere veicolate attraverso una politica regionale 
nazionale che assicuri da un lato, l�equa ripartizione dei fondi in maniera 
proporzionale alle necessit� delle varie aree, dall�altro, un adeguato impulso 
all�attuazione degli interventi strutturali mediante l�inserimento degli stessi in 
programmazione e la compartecipazione con fondi privati. 
A tal fine un ruolo particolarmente incisivo dovrebbe essere ricoperto 
tecipazione sar� temporanea. � previsto un sistema di way-out che consiste nell�esercizio di una put option 
da parte di Sviluppo Italia e nella concessione di una call option ai soci di maggioranza, assoggettate 
alle condizioni descritte di seguito. [La put option] � esercitabile da parte di Sviluppo Italia dal 1� gennaio 
2010 al 31 dicembre dello stesso anno, mediante il riacquisto della partecipazione da parte dei soci di 
maggioranza, ad un valore parametrato al patrimonio netto certificato alla fine del quinto anno di permanenza 
di Sviluppo Italia nel capitale di Valle del Leo. Il valore di riacquisto sar� compreso tra un 
floor, pari al valore di esborso maggiorato di interessi calcolati all�Euribor 6 mesi + 2%, ed un cap, pari 
al valore di esborso maggiorato di interessi calcolati all�Euribor 6 mesi + 5,5% (attualmente il 7,7% 
circa). Le autorit� italiane hanno garantito che il floor non sar� mai inferiore al tasso di riferimento UE 
(attualmente il 4,43% per il 2004). Questi tassi risultano coerenti con il tasso di rendimento interno (IRR) 
previsto, corrispondente a circa il 5,3% annuo. [La call option] � esercitabile da parte dei soci di maggioranza 
dal 1� gennaio 2009 al 31 dicembre dello stesso anno, ad un prezzo pari al valore di esborso 
di Sviluppo Italia maggiorato dell�Euribor 6 mesi + 5,5 punti percentuali�). 
(36) Cfr. l�art. 1, par. 2, del Regolamento CE 473/2009/CE, che definisce le modalit� di impiego 
dei fondi sul sostegno allo sviluppo rurale, nell�ambito del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale 
(�FEASR�). Vedi, al riguardo, anche la Commissione europea, Agenda digitale: le ricadute pratiche delle 
misure adottate dalla Commissione per diffondere la banda larga veloce e ultraveloce in Europa, comunicato 
stampa, MEMO/10/426, Bruxelles, 20 settembre 2010. 
(37) Attuato con delibera CIPE n. 121/2001 del 21 dicembre 2001, con cui vengono definiti i piani 
di investimenti ripartiti in base agli operatori coinvolti, successivamente rimodulati con delibera CIPE n. 
17/2003, del 9 maggio 2003.
242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
dagli accordi di programma quadro come strumenti attuativi delle Intese istituzionali 
di programma. 
Nell�ambito del proprio accordo di programma, le Regioni potranno indicare 
gli interventi da attuare e le risorse finanziarie occorrenti con la specifica 
previsione delle risorse reperite da fondi privati mediante gli strumenti di partenariato 
pubblico-privato. 
Sar�, poi, compito degli enti locali territoriali bandire gli avvisi e le gare 
per la ricerca di partner privati. Al riguardo, � opportuno evidenziare che per 
evitare un�eccessiva parcellizzazione delle reti locali sarebbe consigliabile 
creare degli ambiti territoriali di riferimento per consociare � mediante protocolli 
d�intesa � pi� enti facenti parte del medesimo ambito territoriale. 
La Commissione, peraltro, ha provveduto alla valutazione circa la compatibilit� 
dei progetti pubblici con i principi normativi, prestando maggiormente 
attenzione all�area territoriale su cui insistono i progetti medesimi. 
In particolare, la Commissione ha distinto tra vari tipi di aree potenzialmente 
interessate in funzione del livello di connessione a banda larga gi� disponibile, 
individuando aree in cui operano almeno due fornitori di servizi di 
rete a banda larga, ossia le c.d. aree nere, dove l�intervento statale non appare 
necessario; aree in cui mancano del tutto le infrastrutture a banda larga e non 
si prevede verranno sviluppate nel medio termine, dette anche aree bianche, 
dove l�intervento pubblico rappresenta uno strumento in grado di promuovere 
la coesione economica e sociale territoriale e di correggere i fallimenti del 
mercato (38); ed, infine, le aree grigie caratterizzate dalla presenza di un unico 
operatore di rete a banda larga, per le quali la Commissione precisa che � necessaria 
una approfondita analisi volta ad accertare se l�aiuto sia necessario a 
causa di un fallimento del mercato o di altre circostanze particolari prevedendo, 
quindi, un�attenta valutazione della compatibilit� (39). 
(38) Si tratta di aree momentaneamente sprovviste di reti NGA nelle quali � improbabile che nel 
futuro prossimo (successivi 3 anni) operatori privati provvederanno a crearle. In queste aree i servizi a 
banda larga possono essere: i) assenti, ii) erogati da un solo fornitore, iii) erogati da una pluralit� di fornitori. 
In queste aree per essere legittimo un aiuto deve rispettare le seguenti due condizioni: (a) i servizi 
a banda larga esistenti non siano in grado di soddisfare pienamente la domanda di utenti residenziali e 
commerciali dell�area; (b) tale obiettivo non possa essere raggiunto tramite regolazione ex-ante (Orientamenti, 
par. 43). 
(39) Cfr. gli Orientamenti, parr. 41-46, che riprendono una modulazione dell�intervento pubblico 
basata su cluster geografici gi� invalsa nella prassi della Commissione (cfr. PAPADIAS, RIEDL e WESTERHOF, 
Public funding for broadband networks, in Competition Policy Newsletter, 3/2006, pag. 13). Nella 
specie, gli investimenti in banda larga si inseriscono nello spirito della strategia di Lisbona sulla promozione 
della crescita europea: �L�importanza strategica della banda larga consiste nella sua capacit� 
di accelerare il contributo di queste tecnologie alla crescita e all�innovazione in tutti i comparti economici 
nonch� alla coesione sociale e regionale.[�] Il piano di ripresa intende, in particolare, dare impulso 
agli investimenti europei in determinati settori strategici, tra cui quello della banda larga, in 
modo da sostenere l�economia nel breve termine e creare, nel lungo termine, le infrastrutture essenziali 
per una crescita economica sostenibile�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 243 
La suddivisione del territorio in aree caratterizzate da un diverso grado 
di copertura infrastrutturale e da diversa accessibilit� all�offerta di servizi a 
banda larga e larghissima, necessariamente, per�, richiede l�attuazione di una 
specifica analisi di compatibilit� di eventuali forme di cooperazione pubblicoprivato 
al fine di consentire anche un�adeguata pianificazione degli investimenti. 
Infatti, le norme comunitarie in materia di aiuti di Stato riconoscono la 
possibilit� di forme di collaborazione tra operatori pubblici e privati proprio 
al fine di contribuire allo sviluppo economico delle aree interessate ed alla 
coesione sociale, senza, per�, alterare le regole tipiche di un mercato competitivo. 
Tuttavia, tale eventualit� � circondata da cautele procedurali e dalla necessit� 
di un�analisi sostanziale approfondita, al fine di fugare il rischio, presente 
in special modo nelle cd. aree grigie, di spiazzamento e distorsione della 
concorrenza. In particolar modo, la Commissione mostra di prestare particolare 
attenzione ai seguenti elementi: 
- la mappatura dettagliata della copertura delle reti esistenti; 
- l�aggiudicazione mediante una gara di appalto a procedura aperta, in presenza 
della quale i partecipanti ricevono un trattamento equo e non discriminatorio; 
- l�adozione di un adeguato criterio di selezione delle offerte, quale quello 
dell�offerta economicamente pi� vantaggiosa, in modo da limitare in sede 
di competizione per il mercato il livello del sussidio verso il basso; 
- l�orientamento del progetto secondo il principio di neutralit� tecnologica, 
senza penalizzare alcuna delle possibili infrastrutture attraverso le quali 
i servizi a banda larga possono essere offerti e lasciando la relativa scelta 
alle imprese partecipanti (40); 
- imporre restrizioni all�utilizzo dell�infrastruttura, sub specie di (i) obblighi 
di concedere accesso alla infrastruttura sovvenzionata ai terzi richiedenti, 
a condizioni eque e non discriminatorie (41) e (ii) controllo dei 
prezzi all�ingrosso praticati dal gestore dell�infrastruttura nei confronti 
degli operatori terzi richiedenti l�accesso (42); 
(40) Naturalmente, qualora esigenze oggettive, connesse alla concreta natura del servizio richiedono 
l�adozione di una particolare tecnologia, quest�ultima assumer� il ruolo di tecnologia necessaria 
per conseguire gli obiettivi del progetto (vedi, ad esempio, il caso N222/2006, Italia � Piano di azione 
per il superamento del digital divide in Sardegna, par. 45). Allo stesso modo, qualora siano presenti infrastrutture 
esistenti, pu� essere opportuno prevedere che le offerte si basino su queste ultime, al fine di 
evitare una duplicazione delle stesse. 
(41) Si tratta di un �elemento essenziale�, per la valutazione della compatibilit� del progetto: il 
carattere aperto della rete evita effetti di foreclosure, stimolando una concorrenza basata sui servizi 
offerti al consumatore finale. La Commissione mostra di ritenere adeguato un regime di accesso di 
durata pari ad almeno sette anni (cfr. Orientamenti, par. 51, lett. f). 
(42) Ci� dovrebbe avvenire in base ad un meccanismo di parametrazione rispetto ai prezzi medi
244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
- previsione di meccanismi di rimborso in corso di esecuzione, per eliminare 
la presenza di eventuali sovra compensazioni, che possono costituire illegittimi 
aiuti di Stato. 
Cos� inquadrate, le iniziative di PPP possono apportare concreti benefici 
in termini di rischio, di costi, nonch� di stabilit� del progetto a lungo tempo, 
minimizzando l�impatto anti-concorrenziale collegato alla presenza dell�investitore 
pubblico. In tal modo, sembra che il ricorso a forme di cooperazione 
tra pubblico e privato consentirebbe di predisporre infrastrutture di rete nei 
casi in cui i costi particolarmente ingenti non potrebbero essere sostenuti dal 
solo operatore privato. 
Si potrebbe addirittura considerare indispensabile, poi, l�intervento pubblico 
alla presenza di un fallimento del mercato, in quanto necessario sia nella 
promozione che nello stimolo dei progetti, sia nel coordinamento degli stessi, 
considerato che in tali ipotesi � inevitabile la sussistenza di uno scarso interesse 
dei privati ad intervenire. 
Inoltre, la distribuzione delle competenze tra i partner pubblico-privato, 
consentirebbe al soggetto pubblico di realizzare un�opera e di offrire un servizio 
pubblico o di pubblica utilit� attraverso lo sfruttamento delle capacit� di 
gestione e delle efficienze proprie del settore privato, nonch� attraverso la razionalizzazione 
della spesa pubblica. 
4. Un caso concreto di innovazione e trasformazione nella Provincia autonoma 
di Trento 
La Commissione Europea nella Comunicazione �Una strategia per una 
crescita intelligente, sostenibile e inclusiva�, intende promuovere la conoscenza 
e l'innovazione come strumenti per lo sviluppo dell�intera collettivit� 
ed, a tal fine, si � posta come obiettivo prioritario la diffusione delle nuove 
tecnologie finalizzate ad una pi� ampia diffusione dell'informazione e della 
comunicazione nei vari paesi europei. 
In linea con l�orientamento comunitario � il progetto predisposto ed in 
parte attuato dalla Provincia autonoma di Trento, che s�inserisce nel pi� ampio 
e complesso �Programma di sviluppo provinciale per la XIV legislatura� e 
diretto a stimolare lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi ITC (43). 
L�intento della provincia di Trento � quello di realizzare una rete di comunicazione 
elettronica attraverso la diffusione della banda larga ed ultralarga 
praticati in altre aree comparabili o su quelli praticati dalla autorit� di regolazione. Si tratta di una importante 
garanzia diretta a limitare fenomeni di comportamenti anticoncorrenziali basati sui prezzi, quali 
predatoriet� e compressione dei margini. 
(43) Il Programma, disponibile alla pagina internet della Provincia (http://www.giunta.provincia.tn.it/binary/
pat_giunta_09/XIV_legislatura/PSP_per_la_XIV_legislatura.1269607442.pdf), si propone di �promuovere 
uno sviluppo locale duraturo e sostenibile� elaborando �in un quadro organico e coerente, 
strategie e azioni innovative di natura strutturale�. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 245 
da porre a servizio delle amministrazioni provinciali, delle amministrazione 
pubbliche locali, dell'azienda sanitaria, dell'universit� degli studi, degli istituti 
di ricerca locali, nonch� delle imprese e del cittadino. 
Il dipartimento ICT della Provincia autonoma di Trento ha ribadito che 
�l�obiettivo � quello di trasformare il Trentino nel territorio dell�innovazione 
e permettere a tutti i cittadini ed alle imprese di trarne i benefici� (44). 
Il progetto, che prevede l�attuazione di tre fasi, si caratterizza per il coinvolgimento 
dell�intervento privato, in particolare, di Telecom Italia che ha utilizzato 
il Trentino come area di sperimentazione della diffusione della fibra 
ottica a vantaggio dei singoli utenti, facendosi carico dell�investimento. 
Inoltre, tale intervento si � ritenuto possibile perch� in questa provincia 
esiste gi� un anello in fibra di circa 50 kilometri, che raggiunge 40 utenze pubbliche 
ed alcune imprese di notevole dimensioni (45). 
Le fasi in cui si articoler� prevedono, in primo luogo, un intervento rapido 
per ridurre il digital divide di prima generazione, consentendo alla gran parte 
della popolazione un collegamento ad internet con velocit� fino a 2 Mbps in 
modalit� wireless su frequenza non licenziate (46) . 
Quindi, entro il 2012, il programma prevede l� obiettivo di fornire al 100% 
della popolazione un accesso alla rete in grado di sostenere un collegamento 
con velocit� almeno di 20 Mbps. 
Infine, si dispone il passaggio ad una rete di accesso di nuova generazione, 
mediante la predisposizione di collegamenti in fibra ottica fino a casa 
dell�utente, dandosi come ulteriore obiettivo quello di rendere disponibile al 
100% della popolazione e delle imprese del proprio territorio una rete a banda 
ultra-larga in fibra ottica entro il 2018 in esecuzione di quanto gi� previsto 
dagli artt. 19 e 19.1 della L.P. 15 dicembre 2004 n. 10. 
L�ambizioso progetto, che necessita inevitabilmente un piano di investimento 
pluriennale, ha indotto la Provincia ad operare uno studio di pre-fattibilit� 
al fine di individuare le opere di infrastruttura da realizzare ed i casi in 
cui sia possibile il riutilizzo delle infrastrutture preesistenti ed utilizzate per 
altri sotto-servizi (illuminazione pubblica, reti elettriche ...). 
Sulla base di detto studio, � emerso che la provincia di Trento si compone 
di aree a profittabilit� medio-bassa e di aree sicuramente a bassa profittabilit� 
(a fallimento di mercato) per cui, considerato l�interesse all�avvio del processo 
di digitalizzazione e l�interesse a ridurre i costi ed i tempi di sviluppo della 
(44) Fonte: �Trento punta su Internet in tutte le case�, Corriere delle Comunicazioni, 5 novembre 
2010. 
(45) Tale anello sar� oggetto di ulteriore sviluppo. Nel 2011 si prevede, infatti, il completamento 
di una dorsale di circa 770 kilometri. Fonte: �Trento punta su Internet in tutte le case�, Corriere delle 
Comunicazioni, 5 novembre 2010. 
(46) Fonte: �Trento guarda avanti: la banda ultra.larga arriver� in tutte le case�, Finanza e Mercati, 
5 novembre 2010.
246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
rete NGA, l�unica soluzione effettivamente adottabile � riconducibile a forme 
di co-investimento, soprattutto, per le aree c.d. a media profittabilit�. 
Pertanto, la Provincia ha promosso la costituzione di una societ� a capitale 
misto pubblico-privato; nello specifico, la �NewCo� assumer� la forma di 
�S.r.l. uni personale� e, successivamente, sar� aperta alla partecipazione di 
altri operatori. 
Nelle aree identificate come a bassa profittabilit�, ovvero quelle soggette 
a divario digitale, nelle quali manca un reale interesse all�investimento da parte 
dell�operatore privato, la Provincia ha costituito la societ� Trentino Network, 
gi� impegnata nella realizzazione delle infrastrutture di rete. 
La �NewCo� sar� a partecipazione maggioritaria della Provincia o comunque 
sottoposta ad influenza dominante della Provincia, almeno nella fase 
di infrastrutturazione, al fine di garantire il rispetto della prerogativa dell�intervento 
pubblico nel raggiungimento degli obiettivi prefissati (sia in termine 
di copertura del territorio sia delle tempistiche di realizzazione) e di massimizzare 
la capacit� di raccolta sul mercato delle risorse tecnico-economiche 
necessarie alla realizzazione del progetto. 
Atteso che la costituzione della �Newco� tra Telecom Italia e Provincia 
autonoma di Trento consentirebbe a Telecom di partecipare a un investimento 
che essa non avrebbe effettuato da sola e di essere coinvolta nella creazione 
della prima rete a larghissima banda in Italia, la misura � stata notificata alla 
Commissione, la quale ha autorizzato l�intervento, ritenendolo compatibile 
con le norme in materia di aiuti di Stato (47). 
Di interesse �, inoltre, il parere espresso dall�AgCom nell�ambito del suddetto 
procedimento di autorizzazione dell�intervento. 
Come previsto dagli Orientamenti, infatti, una delle condizioni di realizzabilit� 
di investimenti infrastrutturali mediante il finanziamento pubblico � 
rappresentata dalla definizione delle regole che disciplinino l�accesso alla rete 
in via di realizzazione, �chiedendo alle autorit� nazionali di regolamentazione 
di approvare o stabilire le condizioni di accesso in forza della normativa comunitaria 
applicabile�. Ci�, in particolare, consentir� agli Stati membri di 
�garantire l�applicazione di condizioni di accesso uniformi o almeno molto 
simili su tutti i mercati della banda larga individuati dalla competente autorit� 
nazionale di regolamentazione� (48). 
L�AgCom, nel proprio parere, ha cos� proceduto a definire le condizioni 
di accesso alla rete dell�operatore beneficiario. Si tratta, allo stato, di una re- 
(47) Cfr. la decisione della Commissione del 16 novembre 2010, N305/2010 �Riduzione del divario 
digitale in Trentino�. 
(48) Cfr. gli Orientamenti, cit., par. 79. Ci� � richiesto, si ricorda, per gli interventi che riguardino 
le aree cd. grigie, in cui esiste, sebbene in misura ridotta, un livello di investimento privato nella fornitura 
di accessi a banda larga (vedi supra par. 3).
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 247 
golamentazione limitata al caso di specie e, condizionata alla definizione del 
quadro generale di disciplina dell�accesso alle reti NGN. In particolare, l�infrastruttura 
realizzata � conformemente a quanto previsto dagli Orientamenti 
e dalla Raccomandazione NGN � dovr� essere accessibile anche agli operatori 
non aggiudicatari, mediante il diritto di utilizzo delle condotte e delle altre infrastrutture 
civili, al fine di accedere ai segmenti attivi e passivi della rete. A 
ci� si aggiunga, in linea con la Delibera AgCom n. 731/09/CONS, la previsione 
necessaria di forme di accesso bitstream alla rete (49). 
5. Il finanziamento pubblico delle reti informatiche a banda larga e la disciplina 
degli aiuti di Stato: alcune considerazioni 
Come osservato, la tematica della realizzazione delle infrastrutture NGN, 
si pone sullo sfondo della disciplina della concorrenza e, in particolare, di 
quella relativa alle regole applicabili agli aiuti di Stato, presentando, inoltre, 
profili di sovrapposizione con la disciplina relativa all�esecuzione e agli appalti 
di opere pubbliche (50). 
Al riguardo, occorre precisare come, in linea di principio, il finanziamento 
pubblico di �infrastrutture generali� non costituisce una misura di sovvenzione 
statale, proibita ai sensi degli art. 107(1) TFUE. Si tratta, infatti, di una 
misura che non conferisce un vantaggio specifico e diretto ad un particolare 
operatore (51); ci� vale, nello specifico, nel caso in cui si tratti di una infra- 
(49) Cfr. Allegato B alla delibera n. 1/11/CONS dell�11 gennaio 2011, par. 2.5. 
(50) Si tratta della legislazione adottata a livello comunitario (e recepita a livello nazionale nel 
Codice dei Contratti Pubblici) per disciplinare l�acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni 
e che si fonda sulle regole relative alla libera circolazione dei servizi e alla libert� di stabilimento. 
Nello specifico, i testi chiave sono rappresentati dalla direttive CE 2004/18 e 2004/17. Cfr., 
al riguardo, GAROFOLI, SANDULLI, Il nuovo diritto degli appalti pubblici nella direttiva 2004/18/CE e 
nella legge comunitaria 62/05, Milano 2005. 
(51) Ci sono numerose sentenze delle Corti europee che hanno fatto luce sul significato di vantaggio 
economico nell�ambito dell�art. 107(1) TFUE. Gli interventi dello stato attraverso sussidi o misure 
equivalenti creano un vantaggio economico quando le imprese ricevono benefici gratuiti che non riceverebbero 
altrimenti in base alle normali condizioni di mercato (cfr. le sentenze SFEI, C-39//94 e Linde, 
T-98/00). I benefici cruciali in questo contesto sono quelli che procurano sgravi fiscali dai costi che normalmente 
dovrebbero derivare dalle imprese stesse. Questi costi sono �inerenti� alle loro attivit� economiche 
(sentenza GEMO, C-126/01) ed escludono le sovvenzioni ma includono le spese scaturite 
dalla conformit� con le leggi, disposizioni ed obbligazioni contrattuali (v. la decisione della Commissione 
N2004/125 sullo sviluppo dei finanziamenti a Berlino). Lo sgravo di costi �anormali� causato dallo 
stato stesso non � una sovvenzione statale. Come spiegato dal CFI nel caso Combus (T-157/01), �l�Articolo 
87(1) proibisce meramente i vantaggi economici per alcune imprese ed il concetto di sovvenzione 
riguarda solo le misure che alleggeriscono il peso normalmente ipotizzato sul budget di un�impresa e 
che sono considerate come vantaggi economici che l�impresa ricevente non avrebbe ottenuto a condizioni 
di mercato normali�. Lo Stato, in particolare, pu� ridurre il normale costo delle imprese non solo 
con sussidi immediati o sovvenzioni che compensano in tutto o in parte questi costi, ma anche non ricevendo 
interamente ci� che le imprese gli devono. Lo Stato potrebbe anche conferire un vantaggio 
economico non solo riducendo il normale costo delle imprese, ma permettendo anche loro di coprire 
quei costi con un ricavo che supera la tariffa o la percentuale che sarebbe stata possibile alle condizioni
248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
struttura �aperta a tutti i potenziali utilizzatori su base di parit� e non discriminazione� 
(52). 
Situazione differente � quella del finanziamento pubblico di �infrastrutture 
specifiche per l�utente�, giacch� normalmente conferiscono un vantaggio 
economico e competitivo ad alcune imprese e sono considerate una forma di 
aiuto di Stato (53). Comunque, nella pratica, non � cos� facile distinguere tra 
infrastrutture generali e infrastrutture specifiche per l�utente, specialmente 
quando la prima � �inserita� nella seconda (54). 
Inoltre, le infrastrutture sono sempre pi� costruite nella forma di societ� 
pubblico-private e mediante accordi attraverso cui lo Stato mantiene la propriet� 
dell�infrastruttura assegnando la gestione alle imprese. � pertanto rilevante 
individuare entro quali limiti, tali modalit� di finanziamento sono 
soggette alle regole sugli aiuti di Stato. 
L�approccio della Commissione, quale si � affermato progressivamente 
nell�analisi di progetti statali di sovvenzione alla realizzazione di infrastrutture 
a banda larga, mostra che l�istituzione comunitaria non considera le reti di comunicazioni 
in questione quali infrastrutture di utilizzo generale e procede ad 
un�attenta e approfondita valutazione della misura (55). In tal senso, la Commissione 
ritiene che le reti di comunicazione a banda larga rappresentano 
un�infrastruttura user-specific che il mercato � capace di offrire e che mirano 
di mercato (vedi il caso C-64-98 che riguarda i contrati tra lo Stato italiano e l�Istituto Poligrafico e 
Zecca dello Stato che forniva una remunerazione superiore alle normali tariffe del mercato). Il reddito 
non � solo accresciuto artificialmente quando i sussidi pubblici aumentano la domanda del prodotto di 
una particolare impresa (vedi la Decisione della Commissione 2005/351 �Spain - Intermed Aerea�). In 
altre parole, ci sono due possibilit� con cui lo Stato permette alle imprese di evitare la disciplina imposta 
dal mercato. Lo Stato, infatti, o riduce i loro costi o ne aumenta i ricavi, andando oltre a ci� che sarebbe 
possibile alle condizioni del libero mercato. Nel secondo caso, lo Stato pu� assegnare un vantaggio economico 
quando vende beni o servizi a prezzi maggiori del loro valore reale, quale dato dal mercato, o 
ad un volume che non riflette i suoi reali bisogni, cosicch� aumenta artificialmente la domanda di un 
prodotto (sentenza �BAI v Commissione�, T-14/96; e �P&Q v Commissione�, T-116-01). 
(52) Cfr. la decisione della Commissione europea N478/2004 del 7 giugno 2006, Ireland � State 
guarantee for capital borrowings. Sul tema, vedi anche ANESTIS, MAVROGHENIS, PSARAKI, Public funding 
of broadband services, in The European Antitrust Review, 2007, pag. 44 e ss.; KOENIG, KIEFER, Public 
funding of infrastructure projects, in ESTAL 4/2005, pag. 416 e ss.; PAPADIAS, RIEDL, cit.; TRIAS e KOENIG, 
A new sound approach to EC State Aid Control of Airport Infrastructure Funding, in ESTAL 3/2009, 
pag. 300 e ss. 
(53) Cfr. le decisioni della Commissione 2005/170 �Propylene Pipeline from Rotterdam to the 
Ruhr� e N2007/385 �Ethilene Pipeline in Bavaria�. 
(54) Il riferimento � a quelle situazioni in cui l�infrastruttura � utilizzata tanto per finalit� pubbliche, 
quanto private. �, ad esempio, il caso di alcuni servizi all�interno delle aree aeroportuali (in particolare 
quelli relativi alla sicurezza del trafico aereo, controlli di polizia e dogana). Il principio guida, in 
tali situazioni, � quello per cui il finanziamento di infrastrutture che perseguono una missione pubblica, 
non partecipando ad una attivit� economica, non costituisce un aiuto di Stato. Cfr., al riguardo, la sentenze 
nei casi �Enirisorse� (C 237/04) e �Areoports de Paris� (T-128/98). 
(55) Si vedano ad esempio le decisioni N201/2006 �Broadband in underserved territory in greece� 
del 4 luglio 2006; N284/2005 �Regional broadband programme: Metropolitan Area Networks (MAN)� 
del 8 marzo 2006 e C 35/2005 �Broadband development in Appingedam� del 19 luglio 2006.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 249 
a favorire un particolare tipo di operatori economici (56). 
Nel concreto apprezzamento del carattere di aiuto della misura, uno dei 
principali criteri che la Commissione impiega nell�analisi di una misura di 
aiuto che si sostanzia nella partecipazione pubblica ad un progetto di investimento 
realizzato tramite un modello di PPP � rappresentata, come visto supra, 
dal principio dell�investitore privato (�MEIP �). In base a tale principio, lo 
Stato si comporta come un investitore privato � e pertanto non assegna all�impresa 
alcun vantaggio illegittimo � nel caso in cui persegua col proprio investimento 
unicamente uno scopo di profitto, ignorando altre considerazioni di 
carattere politico-sociale. Ci� comporta, infatti, che l�impresa che riceve il finanziamento 
non ottiene alcuna risorsa che non avrebbe potuto reperire altrimenti 
sul mercato. Tale impostazione consente di valorizzare non tanto 
l�intervento pubblico di per s�, ma nello specifico se, per il tramite dell�intervento, 
l�impresa ha ottenuto un risparmio di costi che non avrebbe potuto ottenere 
a normali condizioni di mercato (57). 
(56) Nel caso MAN, cit. sup., ribattendo l�argomento dell�Irlanda che si fondava sulla natura generale 
della infrastruttura, la Commissione osserva che �this would be the case of an infrastructure 
which is needed to provide a service that is considered as falling within the responsibility of the State 
towards the general public and is limited to meeting the requirements of that service. Moreover it should 
be a facility that is unlikely to be provided by the market because not economically viable and the way 
it is operated should not selectively favour any specific undertaking� (il caso si riferiva a una misura finalizzata 
a sostenere una infrastruttura carrier-neutral su larga scala (fibre ottiche circolari) per permettere 
la fornitura di tubazioni, fibre scure, collocation space e servizi di comunicazione elettronica ad 
alta velocit� ai gestori in Irlanda dove una tale infrastruttura libera, neutrale e a larga scala non era disponibile. 
La misura intendeva facilitare la fornitura dei servizi a banda larga al dettaglio e la concorrenza 
e, quindi, contribuire ad una serie di obiettivi politici e strategici per l�Irlanda, sostenendo il suo sviluppo 
economico, sociale e rurale). Nello stesso senso, v. la decisione N213/2003 �United Kingdom � Project 
ATLAS� del 20 luglio 2004. 
(57) La Commissione ha definito nella sua Comunicazione agli Stati membri del 17 settembre 
1984, concernente la partecipazione delle autorit� pubbliche nei capitali delle imprese (la �Comunicazione�; 
GUCE 9/1984), gli orientamenti generali in materia, secondo i quali non possono essere considerati 
aiuti di Stato i capitali messi a disposizione di un�impresa, direttamente o indirettamente, da parte 
dello Stato in circostanze che corrispondono alle normali condizioni di un�economia di mercato. Come 
la Commissione ha avuto modo di chiarire, essa non � tenuta, per poter accettare alla stregua di una normale 
operazione commerciale un programma d�investimento finanziato dai pubblici poteri, a provare 
che esso sar� redditizio al di l� di ogni ragionevole dubbio. La Commissione non pu� sostituirsi al giudizio 
ex ante dell�investitore, ma deve stabilire con ragionevole certezza che il programma finanziato 
dallo Stato sarebbe accettabile per un investitore che opera in un�economia di mercato (Applicazione 
degli articoli 92 e 93 del trattato CE e dell�articolo 61 dell�accordo SEE agli aiuti di Stato nel settore 
dell�aviazione (GU 1994, C 350; gli �Orientamenti aviazione�), par. 26. La parte IV degli Orientamenti 
aviazione, intitolata �IV. Comportamento dello Stato nella sua duplice veste di imprenditore e di erogatore 
di aiuti di Stato all�impresa di sua propriet��, � di carattere generale ed applicabile, mutatis mutandis, 
anche a settori produttivi diversi da quello del trasporto aereo. Peraltro, come � stato chiarito nel caso 
Alitalia, la valutazione da parte della Commissione della questione se un investimento soddisfi oppure 
no il criterio dell�investitore privato che opera in un�economia di mercato implica una valutazione economica 
complessa, analogamente a quanto avviene quando essa esamina la compatibilit� di una misura 
di aiuto con il mercato comune. Poich� in tali casi la Commissione gode di un ampio potere discrezionale, 
il sindacato giurisdizionale delle sue decisioni, pur essendo in linea di principio completo per
250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
In altre parole, il meccanismo del confronto competitivo assicura che, pur 
essendo destinataria di un intervento pubblico, l�impresa in questione non riceve 
un vantaggio rispetto alle altre dirette concorrenti. A queste condizioni 
si assicura che prevale l�azienda pi� efficiente perch� ha i costi minori o addebita 
i costi minori (58). 
Il fattore decisivo, dunque, non � se un�azienda ottiene un ricavo maggiore 
grazie alle misure statali, ma se lo stesso ricavo o gli stessi costi sarebbero 
ottenibili a condizioni di mercato. Fino a quando cՏ concorrenza tra 
aziende per lo stesso progetto, allora la risposta deve essere affermativa. 
Tale principio appare essere trasponibile al caso dei contratti pubblici assegnati 
ad operatori privati a seguito di una procedura concorsuale aperta. 
La prassi decisionale mostra di considerare l�espletamento di una procedura 
di gara aperta e non discriminatoria come elemento determinante al fine 
di ridurre (se non eliminare) il carattere di vantaggio della misura statale. Ci� 
sul presupposto per cui l�impresa aggiudicataria non otterrebbe, comunque, 
un beneficio che non � disponibile alle normali condizioni di mercato (59). 
In tal senso, i giudici comunitari hanno affermato che �la necessit�, per 
uno Stato membro, di dimostrare che un tale acquisto rappresenta una normale 
operazione commerciale si impone ancor pi� quando la scelta della controparte 
contrattuale non � stata preceduta da una gara d'appalto aperta che 
sia stata sufficientemente pubblicizzata, dato che l'esistenza di una simile gara 
d'appalto vale normalmente ad escludere che tale Stato membro intenda concedere 
un vantaggio all�impresa con cui stipula un contratto� (60). 
quanto riguarda la questione se un provvedimento rientri nel campo di applicazione dell�art. 107(1) 
TFUE, si limita a verificare il rispetto delle regole riguardanti la procedura e la motivazione, l�esattezza 
materiale dei fatti accolti per compiere la scelta contestata, l�assenza di errori manifesti nella valutazione 
di tali fatti e l�assenza di sviamento di potere. In particolare, non spetta alla Corte sostituire la sua valutazione 
economica a quella della Commissione (cfr. la sentenza 12 dicembre 2000, Alitalia/Commissione, 
causa T-296/97, Racc. pag. II-3871, punto 105). 
(58) In tal senso, cfr. NICOLAIDES, KLEIS, op. cit., pag. 621. 
(59) Cfr., sul punto, la decisione della Commissione N649/2001, �Freight Facilities Grant (UK)�, 
in cui si rileva che �if such an infrastructure manager is chosen by an open and non-discriminatory procedure, 
the State support granted to it for construction and maintenance of transport infrastructure represents 
the market price to achieve the desired result, financing is also not considered to all under 
Article 87(1) EC Treaty�. Nello stesso senso, decisione N390/2000, �Belgium � Spoorlijn Lanaken � 
Maastricht� e N264/2002, �United Kingdom � London Undergorund Public Private Partnership�. 
(60) Sentenza della Corte Generale del 5 agosto 2003, P&O European Ferries c. Commissione, 
case T-116/01, Racc. 2003, pag. 2957, punti 117-118 dove, esaminando se un vantaggio � stato conferito 
all�impresa, la Corte nota come la stessa non � stata scelta sulla base di una gara �non � stata preceduta 
da una gara d'appalto aperta che sia stata sufficientemente pubblicizzata�. Ci� in quanto, �la necessit�, 
per uno Stato membro, di dimostrare che l'acquisto di beni o servizi da esso effettuato rappresenta una 
normale operazione commerciale si impone ancor pi� quando, come nel caso di specie, la scelta dell'operatore 
non � stata preceduta da una gara d'appalto aperta che sia stata sufficientemente pubblicizzata. 
Infatti, secondo la prassi consolidata della Commissione, l�esistenza di una simile gara d'appalto 
prima di un acquisto da parte di uno Stato membro vale normalmente ad escludere che tale Stato membro
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 251 
Peraltro, tale impostazione sembra ricevere alcune precisazioni applicative 
in tema di procedure di gara per l�aggiudicazione di progetti di realizzazione 
di infrastrutture di banda larga. 
Infatti, con specifico riferimento alla realizzazione di progetti a banda 
larga, la Commissione sembra sostenere che esista un �vantaggio residuale� 
(61), rappresentato dalla possibilit� che, nonostante la procedura di gara per 
la scelta del partner privato, persista un carattere di aiuto del progetto nella 
misura in cui questa si traduce in un vantaggio per gli operatori, utilizzatori 
finali dell�infrastruttura (62). 
Nella specie, la Commissione mostra di valorizzare l�aspetto della possibilit� 
di ingresso nel mercato che viene concessa all�aggiudicatario, a differenza 
degli altri partecipanti, posizione che di per s� procura un vantaggio 
competitivo non replicabile dai propri concorrenti. Tale vantaggio si concretizzerebbe 
nella possibilit� di utilizzare l�infrastruttura pubblica e di operare 
nel mercato dell�accesso all�ingrosso secondo condizioni non altrimenti disponibili 
sul mercato (63). 
Tale approccio appare, da un lato, concentrarsi sull�esplicito vantaggio 
di first mover che l�aggiudicatario mostra di ottenere a seguito della gara, con 
speciale riguardo alla possibile costituzione o rafforzamento di una posizione 
di notevole indipendenza e forza sul mercato dell�accesso all�ingrosso all�infrastruttura. 
Dall�altro, non pregiudica tuttavia un�analisi complessiva delle 
misura, che tenga conto anche degli obblighi regolamentari che potrebbero 
accompagnarsi al bando di gara e che possono essere idonei a fugare quel vanintenda 
concedere un vantaggio a un'impresa determinata [v., segnatamente, la comunicazione della 
Commissione sulla disciplina comunitaria per gli aiuti di stato alla ricerca e sviluppo (GU 1996, C 45, 
pag. 5), punto 2.5 e, in tal senso, gli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato ai trasporti 
marittimi (GU 1997, C 205, pag. 5), capitolo 9] �. 
(61) Cfr. NICOLAIDES, KLEIS, op. cit., pag. 631, secondo cui tale impostazione confonde tuttavia 
due aspetti tra loro, ossia l�impatto dell�intervento statale e l�eventuale vantaggio selettivo dell�investimento 
in questione. 
(62) Ci� � stato manifestato, ad esempio, nel caso �ATLAS�, cit. sup. in cui la Commissione, dopo 
aver rilevato che lo svolgimento della gara avrebbe �would rule out any unnecessary advantage to the 
Asset Manager [l�impresa privata cui sarebbe spettato il compito di gestire l�infrastruttura]�, individua 
tuttavia la presenza di un �economic advantage for the telecom operators and the service providers, 
which can, at least partially, translate into an economic advantage for the enterprises in the business 
parks that are the ultimate customers of the broadband services�. Nello stesso senso, la decisione nel 
caso �MAN�, cit. sup., riscontra che l�aggiudicatario del progetto di investimento avrebbe nondimeno 
ottenuto un vantaggio consistente nella possibilit� di �establish its business based on the government 
funded MAN infrastructure and enter the market for wholesale services on conditions not otherwise 
available on the market�. 
(63) In tale direzione si muove l�analisi della Commissione anche con riferimento ad altri progetti 
di reti di banda larga notificati. Cfr., inter alia, le decisioni N 131/2005 del 22 febbraio 2006 �United 
Kingdom � Fibre speed broadband project Wales�; N 583/2004 del 6 aprile 2005 �Spain � Banda ancha 
en zonas rurales y aisladas�; N 267/2005 del 5 ottobre 2005 �United Kingdom � Rural Broadband Access 
Project�; N 307/2004 del 16 novembre 2004 �United Kingdom � Broadband in Scotland remote 
and rural areas�; N 263/2005 del 20 ottobre 2005 �Austria � Breitband K�rnten�.
252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
taggio marginale che deriva all�operatore aggiudicatario. In altre parole, la 
Commissione sembra voler affermare una specialit� delle misure inerenti lo 
sviluppo delle infrastrutture a banda larga, coinvolgendo questioni delicate a 
carattere politico-economico da non rendere possibile un�applicazione delle 
norme generali. 
Sul solco di tale impostazione � che come visto riconduce le misure statali 
nell�ambito degli aiuti di Stato per poter procedere alla successiva analisi di 
compatibilit� ai sensi dell�art. 107(3) TFUE � si pongono i criteri dettati dagli 
Orientamenti, supra illustrati (64), che confermano la volont� di disegnare 
una precisa cornice di valutazione degli investimenti pubblici nella banda 
larga.
Come si � visto, nel quadro di analisi disposto dalla Commissione, lo 
svolgimento di una procedura di gara di tipo aperto e non discriminatorio si 
interseca con le tematiche regolatorie, dovendosi prevedere, gi� in sede di 
gara, le opportune norme di funzionamento dell�infrastruttura e divengono 
elementi indispensabili che qualsiasi progetto di investimento in tale settore 
deve tenere in considerazione (65). 
Concludendo, le riflessioni sopra svolte pongono in evidenza come la 
realizzazione di infrastrutture NGN rappresenti invero una tematica regolatoria 
estremamente complessa e in corso di progressiva definizione. La tematica si 
contraddistingue per la necessit� di un approccio di indagine integrato, che 
coinvolga non solo aspetti regolamentari e tecnici, ma, specialmente, considerazioni 
di tipo sociale e politico. Su questo sfondo, le interazioni tra i soggetti 
istituzionali e privati si svolgono secondo modelli fluidi, i quali, se da un 
lato si conformano alle prescrizioni in materia di concorrenza, dall�altro non 
sono interamente assorbite in queste ultime. Rileva, al riguardo, la peculiarit� 
propria delle problematiche legate allo sviluppo di infrastrutture di banda larga, 
sintesi del livello sovranazionale degli interessi coinvolti e, al contempo, del 
ruolo primario e indispensabile che gli enti locali sono chiamati a svolgere, 
secondo i principi di sussidiariet�, di efficienza e di neutralit� dell�intervento 
pubblico. 
(64) Vedi supra par. 3. 
(65) Cfr., da ultimo, il progetto svedese di realizzazione del piano di sviluppo NGN, il quale pur 
qualificandosi come aiuto (�The notified aid measure allows a selected number of undertakings to be 
relieved, by means of State resources, of a part of their costs regarding the financing of the deployment 
of a broadband network in Sweden which they would normally have to bear themselves. Moreover, the 
third party providers of broadband services and business end users located in the coverage area might 
also benefit indirectly from the measure at stake. Consequently, the support from the state strengthens 
the position of a selected number of beneficiaries in relation to their competitors in the Community and 
therefore has the potential of distorting competition�) ottiene una positiva valutazione, eseguita in base 
alle indicazione degli Orientamenti (Decisione della Commissione N. 30/2010 �State aid to broadband 
within the framework of the rural development program�).
C O N T R I B U T I 
D I D O T T R I N A 
Dopo la sentenza sul legittimo impedimento: 
la ricerca di un punto di equilibrio
di Glauco Nori* 
1 - Con la sentenza della Corte costituzionale n. 23/2011, che ha dichiarato 
parzialmente illegittima la legge n. 51/2010, si pu� considerare conclusa 
la vicenda in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello 
Stato, iniziata con la legge n. 140/2003 (art. 1, comma 2), dichiarata illegittima 
con la sentenza n. 24/2004. 
In quest�ultima la Corte non aveva preso in esame se, per la natura della 
materia, fosse necessaria una legge costituzionale, questione tra quelle dichiarate 
assorbite. 
E� ormai un principio, applicato anche dalla Corte costituzionale, che il 
giudice non � tenuto a seguire l�ordine logico delle questioni o quello proposto 
dalle parti. Esigenze di economia processuale possono indurre ad affrontare 
per prima la questione di soluzione pi� rapida, che esaurisce il giudizio. 
Il silenzio della sentenza su di una questione assorbita non poteva significare 
che la Corte avesse escluso implicitamente la necessit� di una legge costituzionale 
in quanto questione logicamente preliminare. 
La Corte era chiamata a giudicare su una legge ordinaria. Una volta accertato 
che violava l�art. 3 Cost., diventava inutile ogni indagine ulteriore. 
Se avesse affrontato la questione ed avesse ritenuto necessaria la legge 
(*) Avvocato dello Stato, Presidente emerito del Comitato scientifico di questa Rassegna. 
Articolo gi� pubblicato su Forum di Quaderni Costituzionali - Giurisprudenza - Corte Costituzionale 
anno 2011: http://www.forumcostituzionale.it/site/content/view/177/46/ 
In tema V. anche Rass., 2011, Vol. I, 89 ss., MICHELE DIPACE �Sull�istituto processuale del legittimo 
impedimento. Brevi note�.
254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
costituzionale, si sarebbe dovuta porre anche un�altra domanda: se la violazione 
o, meglio, la deroga dell�art. 3, in quanto principio fondamentale della 
Costituzione, fosse consentita ad una legge costituzionale, che, secondo quanto 
la Corte ha rilevato pi� di una volta, non pu� essere in contrasto con principi 
di quella natura. 
L�esame avrebbe potuto avere solo la funzione di un avvertimento al legislatore, 
sia costituzionale che ordinario. 
Al silenzio, pertanto, non si poteva dare significato positivo. 
Raggruppate le sospensioni gi� previste per il processo penale dalla legislazione 
ordinaria, la Corte ha rilevato che non costituivano un numero chiuso 
e che il legislatore avrebbe potuto stabilirne altre per esigenze extraprocessuali, 
salvo ad identificarne i presupposti e le finalit�. 
Il bene tutelato dalla legge contestata, secondo la Corte, andava visto �nell�assicurazione 
del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono 
a quelle cariche�. 
Questa conclusione comportava qualche difficolt� di coordinamento con 
la premessa che �la situazione cui si riconnette la sospensione disposta dalla 
norma censurata � costituita dalla coincidenza delle condizioni di imputato e 
di titolare di una delle cinque pi� alte cariche dello Stato�. 
Gli interessi apprezzabili erano due: il sereno esercizio delle funzioni ed 
il diritto di difesa, la cui tutela contemporanea la legge intendeva assicurare. 
N� era scontato che la prevalenza fosse della funzione di governo una 
volta che del diritto di difesa la tutela era attuata spostando nel tempo le condizioni 
che ne richiedevano l�esercizio. 
Piuttosto che stabilire la prevalenza tra di essi, che non risultava indispensabile 
per come le questioni erano state proposte, sarebbe stato forse utile verificare 
se, essendo entrambi gli interessi costituzionalmente garantiti, ci fosse 
un mezzo diverso per tutelarli adeguatamente nello stesso tempo. 
Premesso che la normativa censurata creava un regime differenziato riguardo 
all�esercizio della giurisdizione, la Corte � passata ad esaminare se �il 
rilievo che l�ordinamento attribuisce ai valori rispetto ai quali la connotazione 
di diversit� pu� venire in considerazione� comportasse la violazione dell�art. 
3 Cost. 
La violazione dell�art. 3 � stata vista nel trattamento differenziato �sotto 
il profilo della parit� riguardo ai principi fondamentali della giurisdizione� dei 
Presidenti delle Camere, del Consiglio dei ministri e della Corte costituzionale 
�rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti�. 
Dalla sentenza non si poteva dedurre che l�art. 3 non sarebbe stato violato 
se lo stesso trattamento fosse esteso ai membri delle Camere ed i componenti 
del Consiglio dei ministri (i giudici della Corte costituzionale possono essere 
trascurati per quanto osservato dalla Corte in proposito). 
Sempre per economia processuale la Corte avrebbe potuto limitarsi al-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 255 
l�esame della posizione dei membri delle Camere e del Consiglio dei ministri 
perch� da sola sufficiente a considerare violato l�art. 3 Cost. Le questioni ulteriori, 
in quanto assorbite, non si potevano ritenere risolte. 
2 - Con la legge n. 124/2008, secondo certe fonti, si sarebbe tornati a disciplinare 
la materia attenendosi ai principi desumibili dalla sentenza appena 
esaminata. 
Le questioni di legittimit� costituzionale, che sono insorte, forse anche 
per questo sono state pi� complesse e pi� elaborata � stata la motivazione della 
sentenza n. 263/2009. La motivazione suscita qualche perplessit� su di un 
punto, che, peraltro, non ha inciso sulla decisione. 
E� stato dichiarato violato anche l�art. 138 Cost., che, come noto, disciplina 
il procedimento legislativo costituzionale. 
Pu�, pertanto, essere violato se nella formazione di una legge costituzionale 
non se ne rispetta il procedimento, ma non se si � adottata una legge ordinaria, 
invece che costituzionale. 
L�art. 138 non dice quando � necessaria la legge costituzionale, ma come 
vada fatta se si ritiene necessaria. 
Se la legge costituzionale sia necessaria o non, si ricava solo dalla materia 
interessata in quanto disciplinata da una norma o da un principio costituzionale 
sostantivo. 
Anche la Corte sembrerebbe d�accordo quando ha classificato �di carattere 
generico e formale� la contestazione sollevata, rilevando che il Tribunale 
remittente aveva prospettato �una questione specifica e di carattere sostanziale�. 
Stando alle conclusioni tratte dalla Corte in ogni caso in cui una norma 
di legge fosse dichiarata costituzionalmente illegittima sarebbe violato anche 
l�art. 138 Cost., che verrebbe ad essere una norma quasi a violazione necessaria.
La questione, come la stessa Corte ha rilevato, � di ordine formale, ma le 
formalit� in materia costituzionale non sembrano trascurabili anche se, nel 
singolo caso, non hanno condizionato la sentenza. 
3 - Una premessa va fatta per evitare gli equivoci, che potrebbero essere 
provocati da alcuni incisi della motivazione della sentenza. 
La distinzione tra reati funzionali ed extrafunzionali e tra reati commessi 
prima o dopo l�assunzione della carica, o addirittura prima della entrata in vigore 
della legge, non poteva avere rilievo. 
La legge ha preso in considerazione non la natura delle contestazioni, ma 
la pendenza di un procedimento che di per se stessa, qualunque sia l�imputazione, 
richiede che l�imputato si dedichi alla sua difesa. 
Agli interessati non si attribuiva un trattamento differenziato circa la re-
256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
sponsabilit� penale, che non era alleggerita sotto alcun profilo, e circa il giudice, 
che rimaneva sempre quello competente secondo la normativa ordinaria. 
Poich� tra funzioni di governo ed esigenze di difesa poteva sorgere incompatibilit� 
la legge predisponeva un mezzo processuale perch� nessuno dei 
due restasse pregiudicato. Solo la durata del procedimento subiva un pregiudizio 
attraverso un allungamento, pregiudizio da mettere eventualmente a raffronto 
con la necessit� di tutelare due interessi, entrambi garantiti dalla 
Costituzione, quando fossero entrati in conflillo perch� il titolare di una delle 
cariche protette era contemporaneamente imputato. 
La stessa Corte in pi� di un�occasione ha ritenuto che sia compito del legislatore 
ordinario rendere effettiva la tutela giurisdizionale di un interesse, 
protetto costituzionalmente, quando sia esposta a rischi per fatti contingenti. 
L�argomento di partenza della motivazione � che il beneficio dato dalla 
legge va riportato tra le prerogative, che debbono avere copertura costituzionale.
Secondo la Corte le prerogative �presentano la duplice caratteristica di 
essere dirette a garantire l�esercizio delle funzioni di organi costituzionali e di 
derogare al regime giurisdizionale comune. Si tratta, dunque, di istituti che 
configurano particolari status protettivi dei componenti degli organi; istituti 
che, sono, al tempo stesso, fisiologici al funzionamento dello Stato e derogatori 
rispetto al principio di uguaglianza tra i cittadini�. Possono essere sostanziali 
(insindacabilit�, immunit� sostanziali, inviolabilit�) o immunit� meramente 
processuali (quali fori speciali, condizioni di procedibilit� o altro meccanismo 
processuale di favore), e possono riguardare sia gli atti propri delle funzioni 
che quelli estranei. 
Che potesse essere portata a rango di prerogativa la sola sospensione del 
procedimento che, senza nessun altro beneficio sostanziale o processuale, si 
sarebbe comunque svolto davanti al giudice competente e seguendo il procedimento 
secondo il codice di procedura penale, era stato posto in dubbio. 
La Corte ha risposto classificando come immunit� ogni �altro meccanismo 
processuale di favore�, senza indicazioni circa la sua portata e circa l�entit� 
della deroga all�ordine costituzionale. 
Qualche precisazione ulteriore sarebbe stata utile per evitare che potesse 
essere considerata prerogativa anche la disciplina differenziata dei luoghi in 
cui i titolari delle pi� alte cariche dello Stato possono essere ascoltati (art. 205 
c.p.p.), che non � stata ritenuta tale dalla sentenza n. 24/2004, in quanto incidente 
su �un aspetto secondario dell�esercizio della giurisdizione�. 
La Corte ha sostenuto il suo giudizio anche con alcuni richiami normativi. 
L�art. 68 Cost. prevede prerogative sia sostanziali che processuali, ma 
con effetti sostanziali rilevanti. Ugualmente effetti solo sostanziali, nella forma 
dell�irresponsabilit�, produce l�art. 90 in favore del Presidente della Repubblica 
e sostanziali sono anche quelli previsti nell�art. 96 per il Presidente del
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 257 
Consiglio dei ministri e per i ministri. 
Benefici sostanziali si trovano esaminati nelle sentenze richiamate. Essi 
creerebbero quello che la Corte ha definito come status per i destinatari. 
E� bene richiamare l�attenzione sul fatto che le deroghe sono riferite alla 
giurisdizione in generale, non riferite ad una categoria distinta di soggetti. 
Tutti questi benefici hanno un tratto comune. In misura diversa sottraggono 
l�interessato alla giurisdizione, escludendone la responsabilit� penale o 
impedendo che il procedimento sia intrapreso. 
La legge n. 124/2008, lasciando impregiudicata la responsabilit� penale, 
attraverso la sospensione produceva solo una maggiore durata del processo. 
La natura esclusivamente processuale della norma non � stata considerata 
rilevante. �Questa complessiva architettura istituzionale, ispirata ai principi 
della divisione dei poteri e del loro equilibrio, esige che la disciplina delle prerogative 
contenuta nel testo della Costituzione debba essere intesa come uno 
specifico sistema normativo, frutto di un particolare bilanciamento e assetto 
di interessi costituzionali; sistema che non � consentito al legislatore ordinario 
alterare n� in peius n� in melius�. 
In questa descrizione del sistema, peraltro, non si trova la risposta al perch� 
ogni �altro meccanismo processuale di favore� fosse prerogativa. 
L�esercizio delle funzioni di governo e la difesa in giudizio sono entrambi 
garantiti dalla Costituzione senza condizioni. Se l�Autorit� di governo si fosse 
trovata sottoposta ad un procedimento penale, la legge intendeva rendere possibile 
la tutela di entrambi. Come gi� si � ricordato, evitare che un interesse, 
garantito costituzionalmente, corra il rischio di essere pregiudicato in situazioni 
contingenti � compito che pu� svolgere il legislatore ordinario. 
La questione sembra superata dalla Corte attraverso la premessa che 
l�obiettivo della norma era la tutela delle sole funzioni di governo, che, pertanto, 
ha ritenuto non pi� comparabili con l�altro interesse. 
Il legislatore avrebbe potuto fare una scelta diversa? Anche questa domanda 
era stata posta alla Corte. 
La sospensione del giudizio consente il pieno esercizio del diritto di difesa, 
ritardando la funzione giurisdizionale, con pregiudizio solo alla durata 
del processo. Non sarebbe stato, invece, possibile, senza danni ben maggiori, 
sospendere le funzioni di governo. 
La Corte l�ha ritenuta superata probabilmente per la stessa ragione, vale 
a dire perch� l�interesse da tenere in considerazione era soltanto uno. 
La sentenza risulta innovativa, anche se parzialmente, perch� ha portato 
tra le prerogative tradizionali, soggette a disciplina esclusivamente costituzionale, 
ogni �meccanismo processuale di favore�, consistente in �deroghe alle 
formalit� ordinarie�, qualunque ne sia l�incidenza sul principio di uguaglianza. 
4 - Una volta che la legge impugnata era stata ritenuta illegittima per ra-
258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
gione di materia, la motivazione si sarebbe potuta arrestare. La Corte questa 
volta non ha voluto lasciare questioni assorbite ed ha esaminato anche quella, 
sollevata dai giudici remittenti, della violazione del principio di uguaglianza. 
La Corte ha ritenuto irragionevole la disciplina di favore predisposta dalla 
legge sotto profili diversi. 
Non sembra decisiva l�osservazione che la sospensione era applicabile ai 
processi instaurati �per imputazioni relative a tutti gli ipotizzabili reati, in qualunque 
epoca commessi e, in particolare, ai reati extrafunzionali, cio� estranei 
alle attivit� inerenti alla carica�. La natura dei reati avrebbe potuto avere rilievo 
per le immunit� di ordine sostanziale. Il diritto di difesa va, invece, garantito 
in ogni procedimento, qualunque sia il reato ed il tempo della sua commissione 
perch� � la contemporaneit� del processo che provocava il rischio, al quale la 
legge aveva voluto rimediare. 
Per individuarne la ratio la Corte ha richiamato, insieme alla sua sentenza 
precedente, la relazione al disegno di legge. Sennonch� - la Corte lo ha rilevato 
pi� di una volta - la ratio di una legge va vista non necessariamente nell�obiettivo 
indicato dall�organo proponente, ma nella funzione che svolge e negli interessi 
tutelati. 
E� questa, peraltro, una osservazione solo di principio perch� non � su 
quella affermazione che si fonda la sentenza. 
L�art. 3 Cost., secondo la Corte, sarebbe stato violato una prima volta 
concedendo il beneficio solo ai Presidenti delle Camere e del Governo e non 
a tutti i componenti. Per il Governo, in particolare, la Corte ha rilevato che 
compete �alle Camere e al Governo, e non ai loro Presidenti, la funzione legislativa 
(art. 70 Cost.) e la funzione di indirizzo politico ed amministrativo 
(art. 95 Cost.)�. 
Quest�ultimo richiamo non risulta chiaro perch� il primo comma dell�art. 
95 attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di mantenere 
l�unit� di indirizzo politico ed amministrativo, ma prima ancora quello di dirigere 
la politica generale del Governo, della quale � dichiarato responsabile. 
La Corte non ha nemmeno preso in considerazioni le funzioni, attribuite 
dall�ordinamento dell�Unione europea, che oggi il Presidente del Consiglio � 
chiamato a svolgere a titolo individuale, in particolare in seno al Consiglio 
Europeo. 
La sentenza in proposito ha ribadito il principio tradizionale che il Presidente 
del Consiglio � primus inter pares. 
Questa prima argomentazione non significa che per la Corte, se lo stesso 
trattamento fosse stato esteso a tutti i componenti degli organi collegiali interessati, 
l�art. 3 non sarebbe stato ugualmente violato. 
La violazione dell�art. 3 era stata gi� riscontrata �in una evidente disparit� 
di trattamento delle alte cariche rispetto a tutti gli altri cittadini che, pure, svolgono 
attivit� che la Costituzione considera parimenti impegnative e doverose,
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 259 
come quelle connesse a cariche o funzioni pubbliche (art. 54 Cost.) o, ancora 
pi� generalmente, quelle che il cittadino ha il dovere di svolgere, al fine di 
concorrere al progresso materiale e spirituale della societ� (art. 4, secondo 
comma, Cost.)�. 
Il Presidente del Consiglio, anche se primus inter pares, svolge, dunque, 
funzioni da ritenere �parimenti impegnative�, almeno a questo proposito, come 
quelle di tutti i titolari di altre cariche pubbliche o dei singoli cittadini. 
L�argomento, non a caso posto all�inizio della seconda parte della motivazione, 
ha forse avuto per la Corte la funzione di premessa di ordine generale, 
sulla quale inserire poi gli argomenti successivi, costituenti la vera motivazione 
della sentenza. 
5 - Secondo la sentenza n. 23/2011 ҏ rilevante, ai fini delle verifica della 
legittimit� costituzionale della disciplina censurata, stabilire se quest�ultima, 
a prescindere dal suo carattere temporaneo, rappresenti una deroga al regime 
processuale comune, che � in particolare quello previsto dall�art. 420-ter cod. 
proc. pen. violando il principio della uguale sottoposizione dei cittadini alla 
giurisdizione e ponendosi, quindi, in contrasto con gli art. 3 e 138 Cost. La 
disciplina oggetto di censura sar� dunque da ritenersi illegittima, ma se, e nella 
misura in cui, alteri i tratti essenziali del regime processuale comune�. 
Da mettere a raffronto non erano, dunque, la posizione del Presidente del 
Consiglio dei ministri ed i singoli ministri (la legge aveva esteso anche a questi 
gli stessi benefici) e nemmeno i soggetti investiti da funzioni pubbliche, ma 
ogni persona fisica (nella sentenza sono chiamati cittadini, ma � evidente che 
il termine � stato adottato per comodit� espositiva perch� alla cittadinanza non 
� dato alcun rilievo). 
La Corte ha ritenuto illegittimo il comma 3 della legge n. 51/2010 perch� 
gli accertamenti che consentiva �non esauriscono lo spettro dei poteri di valutazione 
dell�impedimento, che sono esercitati dal giudice in base alla disciplina 
generale di cui all�art. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen. Secondo tale 
disciplina, infatti, spetta al giudice, ai fini del rinvio dell�udienza, valutare in 
concreto non solo la sussistenza in fatto dell�impedimento, ma anche il carattere 
assoluto e attuale dello stesso... La mancanza di tale elemento, pertanto, 
attribuisce all�art. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010 un carattere derogatorio 
rispello al diritto comune. Per i motivi gi� chiariti, ci� si traduce in un 
vizio di costituzionalit� di tale disposizione, che deve essere pertanto dichiarata 
illegittima nella parte in cui non prevede siffatto potere di valutazione in concreto 
dell�impedimento�. 
La Corte, richiamando la norma generale dell�art. 420-ter, ha ritenuto che 
la posizione del Presidente del Consiglio andasse messa a raffronto con quella 
di ogni persona fisica e non soltanto con quella dei ministri o dei componenti 
del Parlamento, cos� estendendo la sfera dell�indagine sull�uguaglianza, resa
260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
necessaria dalla nuova legge. 
Non vi si pu� vedere una incoerenza con la sentenza precedente che, valutando 
la sola disuguaglianza tra ministri e il Presidente del Consiglio, aveva 
visto la violazione dell�art. 3 gi� nella esclusione dei primi dal beneficio in 
contestazione. 
E� stata lasciata, peraltro, irrisolta una questione, che suscitava anche la 
sentenza precedente. 
La Corte ha ribadito che era coinvolto il principio della divisione dei poteri, 
che �non � violato dalla previsione del potere del giudice di valutare in 
concreto l�impedimento, ma, eventualmente, soltanto dal suo cattivo esercizio, 
che deve rispondere al canone della collaborazione�. 
Questa enunciazione finale si raccorda con quella di poco precedente, secondo 
la quale �quando il giudice valuta in concreto, in base alle ordinarie regole 
del processo, l�impedimento consistente nell�esercizio delle funzioni 
governative, si mantiene entro i confini della funzione giurisdizionale e non 
esercita un sindacato di merito sull�attivit� del potere esecutivo, n�, pi� in generale, 
invade la sfera di competenza di altro potere dello Stato�. 
Nella sentenza n. 262/2009 era stato gi� rilevato che la normativa in materia 
di prerogative � rivolta a realizzare �un delicato ed essenziale equilibrio 
tra i diversi poteri dello Stato, potendo incidere sulla funzione politica dei diversi 
organi�. 
Nel rimettere l�attuazione di questo equilibrio, ai sensi dell�art. 420-ter, 
ad uno dei poteri interessati ed in particolare all�organo procedente, sarebbe 
stato utile chiarire come questa soluzione si accordasse con la divisione dei 
poteri. 
Giudicando del comma 4 dell�art. 1 della legge, si � ritenuta insufficiente 
l�attestazione generica della Presidenza del Consiglio dei ministri �dal momento 
che l�attestazione risulta affidata ad una struttura organizzativa di cui 
si avvale, in ragione della propria carica, lo stesso soggetto che deduce l�impedimento 
in questione�. 
Ci si sarebbe dovuto domandare, di conseguenza, se la fissazione del 
punto di equilibrio tra i due poteri potesse essere rimessa alla decisione di uno 
di essi, e proprio dell�organo procedente. Non era in contestazione se la giurisdizione 
fosse stata esercitata correttamente, questione per la quale sarebbe 
stata esauriente la motivazione gi� riportata, ma se alla funzione giurisdizionale 
potesse essere affidato il compito di individuare i suoi limiti nei confronti 
di un altro potere. 
In pratica, quanto era precluso alla legge ordinaria, veniva demandato ad 
una ordinanza del giudice procedente. 
Secondo la Corte, trattandosi di rapporti tra poteri, entrambi debbono attenersi 
al canone della leale collaborazione. Se una circostanza dedotta per il 
rinvio non fosse riconosciuta utile dal giudice penale, le eventuali contesta-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 261 
zioni sulla violazione della leale collaborazione dovrebbero, pertanto, essere 
risolte della Corte costituzionale attraverso un ricorso per conflillo di attribuzioni. 
Ma sarebbe sempre su iniziativa del Governo e per impugnare un provvedimento 
giurisdizionale. 
Il mezzo sarebbe stato lo stesso se fosse stata impugnabile l�attestazione 
della Presidenza del Consiglio, questa volta su iniziativa dell�organo giurisdizionale. 
Nella sentenza non � spiegato perch� sia stata scelta la prima delle soluzioni, 
con la quale si � data una posizione prevalente ad uno dei due poteri in 
conflitto. 
Se la scelta fosse stata motivata, la Corte probabilmente si sarebbe dovuta 
domandare se fosse costituzionalmente legittima l�applicazione dell�art. 420- 
ter, c.p.p. nel caso esaminato, legittimit� che la sentenza ha dato per scontata, 
ma che poteva non risultare del tutto chiara. 
�... quando il giudice valuta in concreto, in base alle ordinarie regole del 
processo, l�impedimento consistente nell�esercizio di funzioni governative, si 
mantiene entro i confini della funzione giurisdizionale e non esercita un sindacato 
di merito sull�attivit� del potere esecutivo, n�, pi� in generale, invade 
la sfera di competenza di altro potere dello Stato�. 
Mantenersi all�interno della funzione giurisdizionale significa, secondo 
la Corte, applicare le ordinarie regole del processo. Se la funzione giurisdizionale 
sia stata esercitata secondo le sue regole interne, presuppone che si 
sia accertato che si era mantenuta nell�area assegnata dalla Costituzione. 
Secondo i principi ogni giudice giudica, oltre che della sua competenza, 
anche della sua giurisdizione, ma nei confronti di altri giudici, quindi all�interno 
della stessa funzione. Non � scontato che possa giudicare anche dell�estensione 
del suo potere giurisdizionale quando il contrasto � con un altro 
potere di uguale rilievo costituzionale. 
Nella prospettiva della sentenza il ricorso per conflitto di attribuzione 
potr� essere proposto solo dopo una decisione dell�autorit� giurisdizionale. Si 
sarebbe potuto arrivare allo stesso risultato salvaguardando la posizione di parit� 
delle parti. 
Se alla Corte si dovesse rivolgere direttamente il giudice procedente, che 
escludesse la ricorrenza di un impedimento valido in quello prospettato dal 
Governo, entrambi i poteri manifesterebbero la loro visione diversa su di un 
piano di parit� senza l�esercizio preventivo del proprio potere con effetti nei 
confronti dell�altro. 
Il conflitto, alle condizioni indicate dalla Corte, determina anche un allungamento 
dei tempi per la soluzione delle contestazioni, allungamento che 
la stessa Corte, con la sentenza n. 262/2009, ha tenuto presente nel giudicare 
della legittimit� costituzionale della legge n. 124/2008.
262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Le problematiche connesse ai rapporti tra la transazione fiscale 
il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione 
Francesco Vignoli* 
Nel commentare l�introduzione nel nostro ordinamento della transazione 
fiscale, in dottrina, � stato rilevato che �il dato di fondo, certamente positivo, 
� costituito dalla netta collocazione della transazione fiscale nel sistema della 
legge fallimentare, il che consente di arginare l�invadente particolarismo tributario�(
1). In giurisprudenza, � stato enunciato che il nuovo istituto previsto 
dall�art. 182 ter L.F. non trova ostacoli di rango disciplinare superiore giacch� 
�il principio d�intangibilit� del debito fiscale� non ha rilievo costituzionale 
ed � sancito dalla legge ordinaria (art. 409 R.D. n. 827/24) solo per la fase impositiva 
ma non per quella della riscossione del credito� (2). 
A fronte di cos� nette prese di posizione, � indispensabile cercare di individuare 
il punto di (difficile) equilibrio fra le procedure concorsuali e il credito 
tributario, in particolare operando un bilanciamento fra i tempi delle prime e 
la cronologia del recupero del secondo, come disciplinata dalla normativa fiscale.
Vi � motivo di ritenere che, contrariamente a quanto enunciato in premessa, 
non possa prescindersi dall�art. 53 Cost. La norma, come ancora recentemente 
interpretata dai giudici di legittimit�, �dispone che tutti sono tenuti 
a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacit� contributiva. 
L'obbligo di concorrere alle spese pubbliche � dettato dalla fondamentale esigenza 
di reperire i mezzi necessari per consentire allo Stato ed agli altri enti 
pubblici di poter assolvere i loro compiti istituzionali. Tale esigenza fondamentale 
richiede che detti enti possano fare affidamento in tempi brevi su una 
consistente entit� di risorse finanziarie� la cui riscossione quindi deve essere 
certa� (3). Nella fattispecie, la Suprema Corte ha riconosciuto il privilegio ai 
crediti Irap �anche per il periodo antecedente alla intervenuta modifica dell�art. 
2752 c.c., dovendosi ritenere la previsione di detto privilegio implicitamente 
inclusa in detta norma in base ad una consentita interpretazione estensiva della 
stessa�. 
(*) Avvocato dello Stato in Milano. 
Sintesi della relazione tenuta dall�Autore all�incontro seminariale per magistrati organizzato dal 
Consiglio Superiore della magistratura - Ufficio dei referenti per la formazione decentrata del 
distretto di Milano, tenutosi in Milano il 19 maggio 2011. 
(1) DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale secondo il Tribunale di Milano: dal particolarismo 
tributario alla collocazione endoconcorsuale, in Il Fallimento, 2008, 346. 
(2) App. Genova, 19 dicembre 2009 (R.G.V.G. n. 1032/09). 
(3) Cass. civ. sez. I, 1 marzo 2010, n. 4861.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 263 
La sentenza sopra richiamata ribadisce il principio costituzionale della 
indisponibilit� dell�obbligazione tributaria (4) ponendo l�interprete di fronte 
a uno sforzo esegetico teso a verificare la compatibilit� costituzionale dell�inserimento 
nel corpus della disciplina fallimentare dell�art. 182 ter. 
La norma consente al debitore intenzionato a proporre una domanda di 
ammissione al concordato preventivo di integrare il piano concordatario, che 
sar� sottoposto all�approvazione dei creditori, con la formulazione di una proposta 
nei confronti dell�erario per il pagamento anche parziale dei tributi amministrati 
dalle agenzie fiscali. Sono esclusi dalla falcidia i �tributi costituenti 
risorse proprie dell�Unione europea�, e, con l�inserimento di una specificazione 
dettata da un contrasto esegetico circa la natura comunitaria, l�Iva, nonch�, 
con l�interpolazione operata dal d.l. n. 78 del 2010, le �ritenute operate e 
non versate�. 
Per interpretare la nuova legge fallimentare in coerenza, principalmente, 
con i principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 97 ed altres� in sintonia con 
gli istituti tradizionali del diritto civile e tributario e, per quanto possibile, con 
l�art. 49 del R.D. n. 827 del 1924, �Regolamento per l'amministrazione del 
patrimonio e per la contabilit� generale dello Stato� in forza del quale �nei 
contratti non si pu� convenire esenzione da qualsiasi specie di imposte o tasse 
vigenti all'epoca della loro stipulazione�, giova innanzitutto soffermarsi sulla 
capacit� negoziale della P.A. 
Occorre verificare se l�Amministrazione ha una capacit� a stipulare contratti 
e, in caso affermativo, se la transazione fiscale costituisce una ipotesi 
normativa riconducibile al modello previsto dall�art. 1965 c.c. 
Con l�introduzione dell�art. 1, c. 1 bis della legge n. 241 del 1990 sono 
state definitivamente superate le teorie riconducibili al nec ultra vires affermandosi, 
in via generale, con un riferimento normativo di portata universale, 
la capacit� di diritto privato della P.A., ossia la possibilit� per la stessa di adottare 
lo strumento negoziale, ove non agisca autoritativamente. Tutto ci� fermo 
restando che la parte pubblica agisce in un quadro di speciale capacit� negoziale 
che si caratterizza, come recentemente enunciato dal Consiglio di Stato 
(5), per la eterodeterminazione dei fini, predeterminati dalla fonte normativa, 
a differenza della autodeterminazione dei fini che contraddistingue la capacit� 
negoziale dei privati. 
Ammessa, dunque, la possibilit� di adottare lo strumento negoziale, l�indagine 
si sposta sulla natura della transazione fiscale. Pi� specificamente, ci 
si interroga se la predetta costituisca una sorta di corollario al modello previsto 
dal codice civile. 
La risposta � negativa. Si assiste a un utilizzo atecnico del termine tran- 
(4) Cass. civ. Sez. V, 25 gennaio 2008, n. 1605. 
(5) Cons. St., 9 dicembre 2010, n. 8685.
264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
sazione. Difetta, fra i requisiti previsti dal modello codicistico, la res dubia, 
considerato che formano oggetto di transazione anche crediti tributari ormai 
definitivi. Si versa in una ipotesi di indisponibilit� del diritto, come sopra specificato. 
Suscita controversia la presenza, nella transazione, della reciprocit� 
delle concessioni. Vi � chi individua, a fronte di una falcidia del credito tributario, 
un vantaggio in termini di speditezza dell�azione amministrativa, in ossequio 
al modello, sempre pi� affermato fra gli interpreti, della cosiddetta 
amministrazione di risultato, in cui si privilegia il risultato finale costituito in 
un incasso modesto ma certo, a fronte di una aspettativa di credito destinata 
ad andare delusa. Si sostiene, di contro, che accettare una ipotesi siffatta significherebbe 
inquadrare la transazione fiscale in una sorta di negozio solutorio, 
come tale incompatibile con la ratio dell�istituto che � stato introdotto per 
rilanciare l�economia e l�attivit� dell�impresa. 
Sul punto, � stato sostenuto che la ragione ispiratrice della riforma del 
concordato e della introduzione della transazione fiscale non � costituita dall�esigenza 
di rendere pi� celeri i tempi della liquidazione della societ� giacch� 
la novella consente un alleggerimento del carico fiscale per consentire la continuazione 
dell�attivit� di impresa. 
Come emerge nella relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 5 del 2006, 
l�obiettivo della riforma � quello di �ispirarsi ad una prospettiva di recupero 
delle capacit� produttive dell�impresa, nelle quali non � pi� individuabile un 
esclusivo interesse dell�imprenditore, secondo la ristretta concezione del legislatore 
del 1942, ma confluiscono interessi economici o sociali pi� ampi, 
che privilegiano il ricorso alla via del risanamento e del superamento della 
crisi aziendale�. 
D�altra parte, diversamente opinando, non si comprenderebbe per quale 
ragione la transazione fiscale non sia stata prevista anche per la procedura fallimentare. 
La ragione della scelta � probabilmente da rinvenire nel fatto che il 
fallito versa in una crisi irreversibile. Pertanto, difettava la ragione di introdurre 
uno strumento di deflazione del debito fiscale per un soggetto destinato a 
scomparire dalla scena imprenditoriale. 
A dispetto dei desiderata del legislatore, il concordato preventivo ha assunto, 
nella maggior parte dei casi, una funzione solutoria, volta a soddisfare 
celermente i creditori evitando una defatigante procedura fallimentare. Si tratta 
di una soluzione conveniente per l�impresa privata che chiude, per i creditori 
che vengono (pi� o meno) soddisfatti sollecitamente, ma non necessariamente 
per l�erario e certamente non per la continuit� aziendale. 
Proprio la continuit� aziendale � stata uno dei fattori in grado di orientare 
le scelte di amministrazione attiva in sede di proposta di transazione fiscale. 
Dal 2006 (ma di fatto dal 2008, anno in cui sono prevenute le prime istanze) 
al maggio del 2011, in Lombardia, le proposte di transazione fiscale ammontano 
a n. 160: 112 nell�ambito di procedure di concordato preventivo; 48 per
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 265 
accordi di ristrutturazione. Le proposte accolte sono state 15, di cui 5 in seno 
ad accordi di ristrutturazione; le proposte rigettate: 29, di cui 4 per accordi di 
ristrutturazione. Le restanti proposte sono state avanzate da soggetti successivamente 
dichiarati falliti (la maggior parte: n. 73) o sono in fase di decisione. 
A contrasto della declinazione solutoria dell�istituto, � stato invocato il 
decreto 4 agosto 2009 emesso dal Ministero del lavoro di concerto con il Ministero 
dell�economia e delle finanze. Ai sensi dell�art. 4 del predetto decreto 
�gli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie possono accedere 
alla proposta di accordo nel rispetto dei seguenti parametri valutativi: 
e) essenzialit� dell�accordo ai fini della continuit� dell�attivit� dell�impresa e 
di ogni possibile salvaguardia dei livelli occupazionali�. 
La norma, per�, ha rango secondario e sembra non potere incidere sul 
tessuto normativo, di rango primario, della disciplina novellata del r.d. n. 267 
del 1942. In altri termini, se la ratio ispiratrice del concordato preventivo � 
quella di consentire una ripresa della attivit� imprenditoriale in crisi, in assenza 
di disposizioni normative primarie inequivoche, non � agevole dimostrare de 
iure condito, se non richiamandosi a principi generali, l�illegittimit� della 
prassi che si va consolidando e che individua nel concordato un strumento anticipato 
di risoluzione delle controversie, consentendo la distribuzione di ogni 
posta attiva ai creditori e la cessazione della attivit� dell�impresa. 
Se il concordato preventivo non � una procedura liquidatoria ma di risanamento, 
si profila un contrasto, se cos� pu� dirsi, fra la mens legislatoris e la 
disciplina di diritto positivo che porta a privilegiare, alla luce della giurisprudenza 
che va consolidandosi, una opzione pragmatica nella quale lo sforzo da 
perseguire per il creditore erariale dissenziente, nell�ottica di una �amministrazione 
di risultato�, � quello di valutare, in sede di disamina della proposta 
concordataria, il maggiore favore per le entrate dello Stato della procedura fallimentare 
rispetto al concordato. Si tratta di verificare con una valutazione 
prognostica, che tenga conto anche della maggiore speditezza della procedura 
concordataria, se la via fallimentare possa garantire maggiormente la collettivit�. 
Proprio per assicurare quanto sopra, nell�ambito della procedura concordataria 
la transazione fiscale sembra rimanere un momento ineludibile, salvo 
che il proponente non si impegni al pagamento integrale delle imposte. 
La transazione fiscale trova sicuramente pi� adeguata collocazione in 
sede di accordi di ristrutturazione, ove la stipulazione � rimessa alle volont� 
delle parti contraenti. Il modello negoziale mal si adatta a una procedura concorsuale 
quale � quella del concordato preventivo. 
Secondo un indirizzo che pare preferibile (6), la transazione � parte inte- 
(6) Cfr. Trib. Monza, 10 aprile 2010 (R.G. conc. n. 4/09).
266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
grante e indefettibile della proposta di concordato. 
La transazione fiscale ha natura negoziale e, come tale, si perfeziona solo 
con l�accordo reciproco delle parti. Dunque, la sua conclusione � eventuale 
perch� rimessa alla volont� dei contraenti. Il predetto istituto, per�, costituisce 
altres� un momento subprocedimentale ineludibile della disciplina concordataria, 
di cui condivide gli effetti e le sorti nelle sue varie fasi fisiologiche (esecuzione) 
e patologiche (risoluzione ed annullamento). 
L�incipit dell�art 182 ter, nel riportare che �il debitore pu� proporre il pagamento 
parziale o dilazionato�, non indica una mera facolt�, ma la possibilit� 
di ottenere una falcidia del debito, diversamente non ammessa, solo con lo 
strumento della transazione fiscale. D�altra parte lo stesso art. 160 L.F. � redatto 
analogamente alla disposizione sopra richiamata prevedendo che il debitore 
�pu�� proporre ai creditori un concordato preventivo. Non sembra 
risolutivo, dunque, l�argomento letterale. Di contro, appare decisiva la specifica 
previsione di una peculiare disciplina che, se resa facoltativa, comporterebbe 
la rinuncia a uno strumento indispensabile non solo per la indicazione, 
da parte del fisco, del credito erariale, ma altres� per un confronto fra la societ� 
proponente e l�erario. 
Si sostiene che la facoltativit� del concordato si giustificherebbe per la 
sua disciplina diretta a chiedere, e ottenere, un quid pluris rispetto alla ammissione 
alla procedura concordataria. Il vantaggio della transazione fiscale 
consisterebbe nel consolidamento del debito fiscale, con sostanziale cristallizzazione 
della quantificazione del medesimo, e nella cessazione della materia 
del contendere. 
La tesi non persuade in quanto pare scontrarsi con la realt� quotidiana. 
Di solito la societ� in concordato preventivo cessa la propria attivit�. Il recupero 
di ogni ulteriore credito, non soddisfatto in sede concorsuale, risulta di 
fatto precluso perch� a carico di un ente, che ormai � divenuto una scatola 
vuota, al quale poco interessa l�esito di un contenzioso tributario che non dispiegher� 
alcun effetto sostanziale nella sua sfera patrimoniale ormai incapiente. 
La transazione fiscale costituisce, dunque, una fase subprocedimentale 
volta a quantificare con certezza e stabilit� il credito tributario, in funzione 
della consapevole votazione dell�erario rispetto ai termini della proposta concordataria. 
La determinazione dell�Amministrazione deve essere espressa in sede di 
adunanza dei creditori e quest�ultima deve ritenersi soggetta alle regole per la 
formazione della maggioranza in ordine all�approvazione o meno della proposta. 
La transazione fiscale ha cos� una natura dipendente rispetto al piano 
concordatario proposto dall�imprenditore con conseguente soggezione del voto 
espresso dall�Amministrazione alle regole dell�approvazione a maggioranza. 
Tale soluzione d� origine a qualche perplessit� in ragione dell�invocato
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 267 
principio costituzionale di indisponibilit� del credito tributario, ma � ormai 
consolidata nella giurisprudenza di merito. 
Resta fermo che, pur subendo la falcidia sotto il profilo della riscossione, 
salvo per i casi espressamente previsti dall�art. 182 ter c.p.c., l�Amministrazione 
erariale non ha alcuna disponibilit� sull�an e sul quantum dell�accertamento 
del credito erariale. 
La parte pubblica determina unilateralmente il credito (7). Il debitore proponente 
ha diritto di svolgere le proprie contestazioni sulla esistenza e quantificazione 
del debito erariale di fronte al giudice tributario. Per l�effetto, la 
contestazione sul debito tributario sfugge al sindacato del giudice fallimentare, 
che non pu� che registrare il credito dell�Amministrazione finanziaria e il suo 
ammontare. 
Non convince pertanto la pronuncia del Tribunale di Milano che, pur accogliendo 
le conclusioni della difesa erariale non omologando il concordato, 
e pur manifestando l�intento di mettere un punto fermo a fronte di una pi� 
volte operata quantificazione del credito fiscale da parte dell�Agenzia delle 
Entrate, ritenne �di dover considerare - allo stato e in via prudenziale - esistenti 
crediti fiscali in una misura pari ad almeno la met� della quantificazione da 
ultimo comunicata dall�Agenzia�(8). 
Rimane il problema di fondo, a cui si accennava sin dall�origine del presente 
contributo, legato alla conciliazione dei tempi del recupero tributario 
che risultano ben pi� dilatati rispetto a quelli della disciplina della novellata 
legge fallimentare. Al riguardo, assume particolare rilevanza la natura del termine 
di trenta giorni ex art. 182 ter, c. II, L.F., previsto per la trasmissione 
della certificazione del debito. 
E� stato sostenuto che, nell�ambito della sistematica del codice fallimentare 
come novellato, il termine debba essere inteso a pena di decadenza. Di 
contro si rileva che non vi � ragione di discostarsi da quanto disposto dall�art. 
152 c.p.c. La norma, avente una portata generale, dispone che sono perentori 
solo i termini indicati espressamente come tali. 
E� stato altres� osservato che l�indicazione, o la rideterminazione, del credito 
tributario intervenuta prima dell�adunanza dei creditori non lede il diritto 
al contraddittorio con le altre parti. Per converso, si � ritenuto che non sia precluso 
all�Amministrazione indicare il proprio credito anche in sede di opposizione 
all�omologazione. 
Premesso che la determinazione del credito tributario non � nella dispo- 
(7) �La discrezionalit� vera e propria, ammesso e non concesso che ci sia, non riguarda mai, lo 
ribadiamo, la esistenza e l�ammontare del debito. Pu� toccare vari aspetti e momenti dell�agire amministrativo 
volto all�attuazione del prelievo ma in nessun caso e in nessun modo la esistenza e la misura 
del debito�, FALSITTA, Funzione vincolata di riscosisone dell�imposta e intransigibilit� del tributo, in 
Riv. dir. trib., 2007,1070. 
(8) Trib. Milano, 30 dicembre 2009, n. 15628.
268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
nibilit� delle parti, si rileva che l�art. 182 ter, c. II, L.F. si limita a prevedere 
una certificazione che � meramente parziale e che non preclude un suo riesame 
successivo. La norma infatti concerne, per l�Agenzia, i soli atti di accertamento 
gi� operati ancorch� non definitivi, escludendo dunque tutte quelle altre attivit� 
di accertamento che sono disciplinate dalle leggi tributarie e che comportano 
un termine ben pi� lato in ragione della complessit� delle procedure di verifica 
(cfr. l�art. 43 del d.p.r. n. 600 del 1973 in forza del quale �gli avvisi di accertamento 
devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre 
del quarto anno successivo a quello in cui � stata presentata la dichiarazione�). 
Vi � motivo di ritenere che un corretto bilanciamento fra termini della 
procedura fallimentare e disciplina degli accertamenti tributari possa portare 
a prendere in considerazione, in sede di omologazione, il credito come indicato 
dal fisco anche oltre gli stretti termini dell�art. 182 ter. 
Giova altres� evidenziare come l�art. 180, IV c., L.F. consenta al Tribunale 
di verificare la convenienza del piano, ove contestata dal creditore dissenziente. 
Nel caso in esame, la quantificazione del credito, cos� come indicata 
successivamente dall�Amministrazione, pu� portare a ritenere che l�alternativa 
fallimentare al concordato sia pi� proficua per il fisco. 
Proprio tale valutazione induce a esaminare un altro aspetto che, con sempre 
maggiore frequenza, caratterizza la proposta concordataria e la rende maggiormente 
conveniente rispetto al fallimento. Si fa riferimento all�ingresso nel 
piano concordatario del contributo economico di terzi. Questi ultimi, tutt�altro 
che disinteressati alle sorti della societ� che chiede l�omologazione del concordato, 
possono rivestire una posizione non neutra nei confronti del creditore 
erariale. 
Si ponga il caso che i soci illimitatamente responsabili di una compagine 
inseriscano nel compendio oggetto di concordato i loro beni personali. Si consideri, 
per ipotesi, che i singoli soci siano personalmente esposti nei confronti 
del fisco, perfino in misura maggiore rispetto alla societ� di cui si chiede il 
concordato. 
I debiti personali dei soci illimitatamente responsabili non subiscono l�effetto 
estintivo connesso al concordato e l�Agenzia delle Entrate conserva il 
potere di agire per l�intero. Tale conclusione, per�, � frustrata dal concordato 
perch� se quest�ultimo si fonda sulla liquidazione integrale dei beni personali 
degli accomandatari, si verifica l�inevitabile, e inaccettabile, conseguenza che 
i soci illimitatamente responsabili si spogliano dei propri beni, li destinano 
all�attivo concorsuale e li distraggono dal creditore erariale. Insomma, i soci 
sono divenuti nullatenenti e ogni azione nei loro confronti sarebbe vana. 
Spetta, dunque, al giudice, nell�ambito delle, pi� ristrette rispetto al passato, 
prerogative riconosciute dalla novella, effettuare una valutazione di convenienza 
del concordato che, per l�Agenzia, pu� non essere sussistente perch� 
dal concordato deriva un sostanziale, e sostanzioso, sacrificio economico della
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 269 
parte pubblica che perde ogni garanzia per il pagamento dovuto dai soci per i 
loro debiti personali. 
Da quanto sopra, e per quanto siano possibili delle conclusioni nell�ambito 
di una materia cos� fortemente in divenire e in assenza di consolidati pronunciamenti, 
si pu� affermare che, seppure �una distruzione di risorse 
pubbliche, di natura fiscale� sembrerebbe essere consentita soltanto �per aiutare 
l�imprenditore a non scomparire�(9), si assiste, nella prassi giurisprudenziale, 
a un approccio pragmatico, particolarmente incline a favorire una 
soluzione concordata fra i creditori. 
Spetta al creditore erariale operare una valutazione in concreto tesa a verificare 
la convenienza del concordato rispetto al fallimento, in ossequio al 
principio di buona amministrazione. Nell�ambito di tale valutazione, si pu� 
accettare o subire la falcidia del credito in sede di riscossione, ma l�Amministrazione 
finanziaria non pu� rinunciare alle proprie ineludibili prerogative in 
tema di accertamento del credito erariale. Al riguardo, in carenza di un coordinamento 
fra disciplina tributaria e concorsuale, l�interprete dovr� s� tener 
conto della ragionevole durata del giudizio, ma nel rispetto del principio di 
effettivit�. Ossia in ossequio alla realizzazione del bene della vita, nella fattispecie 
il recupero dei crediti fiscali, cui � sottesa la richiesta di intervento del 
giudice, in particolare in sede di opposizione all�omologazione. 
In un contesto cos� delineato, si pu� ben affermare che le esigenze di speditezza 
della procedura e una rigorosa applicazione del principio del contraddittorio 
fra le parti non possano obliterare la peculiarit� del credito tributario 
e la sua pi� difficile individuazione rispetto a un credito ordinario, con conseguente 
maggiore tolleranza sui tempi della procedura concorsuale, caratterizzata 
spesso dalla presenza di pi� fasi costituite da una liquidazione del 
contribuente e una riliquidazione dell�ufficio, attraverso il controllo formale 
della dichiarazione e il possibile intervento correttivo in termini sostanziali se 
quello che � stato dichiarato non � conforme alla realt�. 
(9) FALSITTA, op. ult. cit., 1069.
270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Profili di diritto comunitario dell�ambiente 
Rosa Rota* 
SOMMARIO: I. IL PROFILO STORICO: 1.1 Cenni sulle fasi di sviluppo. Evoluzione della tutela: dai 
poteri c.d. impliciti ai programmi di azione ambientale - 1.2 Dall�Atto Unico Europeo al Trattato 
di Amsterdam - 1.3 L�ambiente nella Carta di Nizza, nella Costituzione per l�Europa e 
nel Trattato di Lisbona. II. OBIETTIVI E PRINCIPI DEL DIRITTO AMBIENTALE EUROPEO: 2.1 Gli obiettivi 
della politica ambientale nel Trattato sul Funzionamento dell�Unione Europea - 2.2 I 
principi - 2.2.1 Principi procedurali di tutela ambientale: Sussidiariet� e Proporzionalit� - 
2.2.2 Principi sostanziali: Integrazione e sviluppo sostenibile, Precauzione, Prevenzione, Correzione 
dei danni alla fonte,�Chi inquina paga�. III. L�AMBIENTE NEL SISTEMA COMUNITARIO 
DELLE LIBERT� ECONOMICHE: 3.1 La tutela ambientale come deroga speciale alla libert� di concorrenza 
- 3.2 La giurisprudenza comunitaria sui limiti alle deroghe: principio di integrazione 
e principio di proporzionalit� nel bilanciamento degli interessi - 3.3 Segue: Effetti del principio 
di integrazione nella giurisprudenza costituzionale italiana. Bilanciamento di interessi 
e competenza legislativa esclusiva dello Stato - 3.4 Il principio di effettivit� per la tutela ambientale. 
IV. I PRINCIPALI SETTORI E STRUMENTI DI INTERVENTO DELLA POLITICA COMUNITARIA: 4.1. 
Il settore ecologico. La disciplina contro l�inquinamento atmosferico, climatico, idrico, acustico, 
dei rifiuti - 4.2 Il settore paesaggistico-territoriale e delle aree protette - 4.3 Gli strumenti 
procedimentali: VIA, VAS AIA. - 4.4 La responsabilit� per danno ambientale - 4.5 
L�accesso all�informazione ambientale. 
I. IL PROFILO STORICO 
1.1 Cenni sulle fasi di sviluppo. Evoluzione della tutela: dai poteri c.d. impliciti 
ai programmi di azione ambientale 
Nell�ordinamento comunitario la tutela dell�ambiente � oggetto di specifica 
disciplina e costituisce �materia� propria nell�ambito delle diverse materie 
del diritto europeo. La politica ambientale � infatti uno dei principali settori 
in cui si estrinseca l�azione dell�Unione Europea, ed il perseguimento dell�obiettivo 
dello sviluppo sostenibile nella determinazione e nella realizzazione 
di tutte le altre politiche ed azioni comunitarie rappresenta ormai un obiettivo 
imprescindibile per le Istituzioni europee (1). E� questo l�esito di un lungo e 
graduale processo evolutivo. Nella versione originaria del Trattato istitutivo 
della CEE, infatti, non si faceva menzione dell�ambiente, essendo gli scopi 
costitutivi della Comunit� inizialmente soltanto di natura economica. In quella 
versione di Trattato, la Comunit� economica europea non era pertanto titolare 
(*) Professore aggregato di Diritto dell�ambiente presso l�Universit� degli Studi di Roma �Tor 
Vergata�. 
Il contributo � in corso di pubblicazione nel Trattato di diritto dell�ambiente, a cura di EUGENIO 
PICOZZA e PAOLO DELL�ANNO, ed. Cedam. 
(1) Cfr. M. MONTINI, Unione Europea e ambiente, in S.NESPOR - A. L.DE CESARIS, Codice dell�ambiente, 
Giuffr� 2009.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 271 
di competenze proprie in materia ambientale. 
E� solo con la fine degli anni Sessanta e l�inizio degli anni Settanta del 
secolo scorso, allorch� cominciarono ad emergere i problemi ambientali, che 
si pose la questione del fondamento sostanziale, del titolo formale e degli strumenti 
utilizzabili per l�azione politica e gli interventi normativi di protezione 
ambientale della Comunit�. �Il fondamento sostanziale fu rinvenuto nell�art. 
2 del Trattato che nella versione originaria stabiliva per la Comunit� il compito 
di promuovere �uno sviluppo armonioso delle attivit� economiche ed 
un�espansione continua ed equilibrata�. Il titolo formale per l�esercizio di competenze 
in materia ambientale fu invece rinvenuto nelle disposizioni di cui 
agli artt. 100 e 235 della versione originaria del Trattato (successivamente artt. 
95 e 308 del testo, attualmente artt. 114 e 352 del Trattato), relativi il primo al 
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri ed il secondo ai c.d. poteri 
impliciti della Comunit�. In base a tali previsioni e sulla scorta di un�interpretazione 
evolutiva dell�art. 2 del Trattato, volta a scorgere in tale norma i primi 
segni del concetto di sviluppo sostenibile, furono adottati programmi e misure 
di protezione ambientale di armonizzazione delle normative nazionali aventi 
incidenza sul funzionamento del mercato comune� (2). L�intervento armonizzatore 
degli organi comunitari era dunque rivolto ad eliminare eventuali discriminazioni 
derivanti dal riscontro di difformit�, tra i vari Stati membri, nella 
protezione di determinati valori ambientali. 
In dottrina lo sviluppo della politica ambientale (3) � stato analizzato attraverso 
diverse fasi temporali. 
Secondo la ricostruzione operata da Jans, la prima fase copre il periodo 
che va dall�entrata in vigore dell�originario Trattato istitutivo della CEE (1958) 
fino al 1972. In tale periodo, pur in assenza di una piena consapevolezza della 
questione ambientale e di una vera e propria politica ad essa dedicata, furono 
adottate alcune prime direttive, quali la direttiva n. 67/584 concernente la classificazione, 
l�imballaggio e l�etichettatura delle sostanze pericolose, la direttiva 
n. 70/157 sull�inquinamento acustico e la n. 70/220 relativa alle emissioni in- 
(2) Cfr. M. RENNA, Ambiente e territorio nell�ordinamento europeo, in Riv. It. Dir. Pubbl. Comun., 
2009, p. 651 e ss. Cfr. anche AA.VV., La tutela dell�ambiente, a cura di R. FERRARA, vol. XIII del Trattato 
di diritto privato dell�Unione Europea, Giappichelli, 2006; G. COCCO - A. MARZANATI - R. PUPILELLA, 
Ambiente, il sistema organizzativo ed i principi fondamentali, in Trattato di diritto amministrativo 
europeo, Parte speciale, diretto da M. P. CHITI e G.GRECO, Giuffr�, 2007; A. CROSETTI - R. FERRARA - 
F. FRACCHIA - N. OLIVETTI RASON, Diritto dell�ambiente, La Terza, 2008. 
(3) Per lo sviluppo delle diverse fasi cfr. J. H. JANS European Environmental Law, Groningen, 
2000; L. KRAMER, Manuale di diritto comunitario per l�ambiente, Milano, 2002. Una ricostruzione delle 
fasi storiche � anche in G. CATALDI, voce Ambiente (tutela dell�) Diritto della Comunit� europea, in Enc. 
Giur. Treccani, Roma, 2001. In generale sulla politica comunitaria: L. KRAMER , EC Environmental Law, 
London, Sweet& Maxwell, 2006; M. ONIDA (ed.), Europe and the Environment. Legal Iusses in Honoe 
of Ludowig Kramer, Groningen, 2004; E. LOUKA, Conflicting Integration - The environmental law of the 
european union, London, 2005. Per una attenta bibliografia si rinvia a M. MONTINI, cit. p. 48 e ss.
272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
quinanti provocate dagli autoveicoli. 
L�anno 1972 apre la seconda fase che giunge fino al 1987. Essa segna un 
momento di notevole rilevanza per la fondazione dei primi embrioni di una 
politica ambientale. E� in questa seconda fase infatti che si possono scorgere 
i primi segnali di attenzione da parte delle Istituzioni comunitarie verso le tematiche 
ambientali (4). Sulla spinta dei risultati del primo grande vertice mondiale 
svoltosi a Stoccolma nel 1972, le Istituzioni comunitarie furono incaricate 
di redigere il primo documento programmatico per la protezione ambientale 
adottato nel 1973 (Primo Programma di azione in materia ambientale). Da 
quel momento diversi Programmi di azione in materia ambientale sono stati 
adottati anticipando e consolidando lo sviluppo via via crescente di una vera 
e propria politica nel settore ambientale. Essi, infatti, oltre a costituire momento 
di discussione ed approfondimento delle tematiche ambientali hanno 
anche fornito le basi per anticipare il contenuto dei singoli atti normativi successivamente 
approvati, nel Corso di vigenza del Programma stesso (5). 
I primi due programmi di azione ambientale (1973-1977 e 1977-1981) 
stabilirono la centralit� dell�interesse ambientale in relazione a qualunque tipo 
di programma o decisione, anche di natura economica adottata dalla CEE; stabilirono 
il principio di prevenzione dell�inquinamento come criterio da preferire 
ad interventi successivi di recupero e ripristino nonch� il principio 
dell�imputazione delle spese per la prevenzione e l�eliminazione dell�inquinamento 
a carico del responsabile (�chi inquina paga�). Si ascrivono a tale periodo 
le prime direttive comunitarie sulla protezione ambientale: la direttiva 
n. 75/442 sui rifiuti, la direttiva n. 75/716 sul tenore di zolfo nei combustibili, 
la direttiva n. 76/464 sulle sostanze pericolose nelle acque, la direttiva n. 
78/319 sui rifiuti tossici e nocivi, la direttiva n. 79/409 sulla conservazione 
degli uccelli selvatici, la direttiva n. 80/778 sulle acque destinate al consumo 
umano e la direttiva n. 80/779 sulla qualit� dell�aria. 
Il Terzo programma di azione (1982-1986) getta le basi per la costruzione 
di una vera e propria politica ambientale prevedendo, insieme alle tradizionali 
misure sul controllo e contenimento degli inquinanti, una politica di prevenzione 
dei danni all�ambiente. Ricadono in tale periodo la direttiva n. 82/501 
sui rischi di incidenti rilevanti, la direttiva n. 84/360 sulle emissioni in atmosfera 
degli impianti industriali, la direttiva n. 85/210 sul tenore di piombo nella 
(4) Nel Vertice di Stoccolma del 1972 fu dichiarato che �la crescita economica non � fine a se 
stessa� ma dovrebbe tradursi in un miglioramento della vita e del benessere generale� In conformit� 
con i tratti fondamentali della cultura europea, attenzione particolare dovr� essere data ai valori intangibili 
ed alla protezione dell�ambiente�. Cfr. L. KRAMER, Manuale di diritto comunitario per l�ambiente, 2002. 
(5) Cfr. A. CAPRIA, Unione Europea ed ambiente, in S.NESPOR - A. L.DE CESARIS (a cura di), Codice 
dell�ambiente, Giuffr�, 1999; A. GRATANI, Uno sguardo ai principali profili evolutivi della tutela 
ambientale comunitaria, in Quaderni delle RGA Speciale 20 anni, 2006, p. 51; N.DE SADELEER, Environmental 
principles from political slogans to legal rules, Cambridge, 2005.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 273 
benzina, la direttiva n. 85/337 sulla valutazione di impatto ambientale. In questa 
seconda fase, in assenza di una specifica base giuridica per azioni a tutela 
dell�ambiente l�adozione della normativa sopra citata fu basata, come detto, 
essenzialmente sugli artt. 100 e 235 del Trattato. 
1.2 Dall�Atto Unico Europeo al Trattato di Amsterdam 
Dal 1987 al 1993 si sviluppa la terza fase della politica ambientale. E� 
l�Atto Unico europeo ad introdurre per la prima volta nel Trattato una espressa 
competenza della Comunit� in materia ambientale introducendo il Titolo VII 
dedicato espressamente alla tutela ambientale (art. 130 R, 130 S, 130 T). Tale 
Titolo, successivamente modificato con il Trattato di Maastricht nel 1992, poi 
con il Trattato di Amsterdam nel 1997 ed infine con il Trattato di Lisbona nel 
2007, costituisce ancora oggi il pilastro sostanziale della politica ambientale. 
Particolare attenzione in materia di ambiente � stata inoltre manifestata 
fin dal 1980 dalla stessa Corte di giustizia, la quale ha indicato la tutela dell�ambiente 
quale scopo essenziale della Comunit� (v. sentt. CGCE 18 marzo 
1980, in cause 91/1979 e 92/1979; 7 febbraio 1985, in causa 240/1983; 20 
febbraio 1988, in causa 302/1986). Tuttavia non si trattava ancora di una vera 
e propria politica, bens� di una pi� limitata azione volta ad affermare i principi 
di salvaguardia, protezione e miglioramento dell�ambiente, nonch� di protezione 
della salute umana e dell�uso razionale delle risorse naturali. Nel quarto 
Programma di azione (1987-1992) si prospetta poi l�esigenza di integrare la 
politica ambientale con le altre politiche comunitarie. 
Ma � con il Trattato di Maastricht (nel periodo dal 1992 al 1999) che l�ambiente 
diviene oggetto di una vera e propria politica comunitaria (v. Preambolo, 
artt. 2, 3, Titolo XVI). Da questo momento non solo muta la denominazione 
stessa della Comunit� da Comunit� economica europea in Comunit� europea 
ma viene istituita l�Unione Europea intesa come una nuova organizzazione 
che si aggiunge alla CE, al fine di fornire uno strumento pi� flessibile per il 
miglioramento ed il consolidamento del processo di unificazione europea (6). 
La politica ambientale diventa cos� scopo ed obiettivo della Comunit� Europea: 
promozione di uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attivit� economiche 
nell�insieme della Comunit�, una crescita sostenibile, non inflazionistica 
e che rispetti l�ambiente (art. 2). Con tale Trattato si introduce anche il principio 
di precauzione tra i principi guida della politica ambientale comunitaria, mentre 
il principio di sussidiariet� viene trasferito dagli articoli relativi alla tutela 
ambientale alle norme introduttive del Trattato, divenendo quindi un principio 
generale nell�ordinamento giuridico comunitario. In questo stesso periodo fu 
adottato anche il Quinto Programma di azione (1993-2000 �Verso la sostenibilit��) 
sostanzialmente improntato alla ricerca di modalit� di intervento fina- 
(6) Cfr. M. MONTINI, cit. p. 51, cui si rinvia per l�ampia bibliografia.
274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
lizzate al contemperamento delle esigenze dello sviluppo economico con 
quelle legate alla tutela ambientale. 
Con tale programma emerge una diversa impostazione. Ora infatti l�approccio 
� di tipo orizzontale: si considerano infatti tutte le possibili cause di 
inquinamento e si cerca di favorire un intervento attivo di tutti i possibili attori. 
Da un lato si incentivano strumenti trasversali e non pi� solo settoriali di tutela, 
in considerazione di una visione unitaria delle problematiche ambientali, viste 
nella loro interrelazione, dall�altro si incentiva anche la partecipazione di imprese 
e cittadini attraverso l�adozione di strumenti che vadano al di l� dello 
schema tradizionale e che mirino ad un cambiamento di comportamenti non 
solo imprenditoriali ma anche sociali (7). Nel 1998 la decisione n. 2179/98/CE 
prosegue tale opera di cambiamento del diritto comunitario dell�ambiente promuovendo 
l�integrazione delle tematiche ambientali nelle politiche comunitarie. 
E di ci� si terr� conto nel successivo Trattato di Amsterdam. 
La quinta fase inizia infatti con l�entrata in vigore di tale Trattato (1999) 
e prosegue fino ai nostri giorni. Pur non avendo, il Trattato di Amsterdam, apportato 
sostanziali modifiche, con esso si � consolidata la rilevanza comunitaria 
della politica ambientale. In particolare il principio di integrazione � stato 
elevato al rango di principio generale dell�ordinamento comunitario; principio 
che ha assunto poi importanza via via crescente come si evince anche dal Sesto 
programma di azione ambientale (Decisione n. 1600/2002 del Parlamento Europeo 
e del Consiglio del 22 luglio 2002) che definisce le Linee guida dell�azione 
della Comunit� per i successivi dieci anni, ma anche dal pi� recente 
Trattato di Lisbona. Obiettivo finale rimane quello del perseguimento dello 
sviluppo sostenibile. In relazione a tale obiettivo �l�applicazione del principio 
di integrazione, considerato criterio guida, pone la politica ambientale in una 
necessaria pi� ampia prospettiva, consentendo l�elaborazione di una normativa 
genuinamente efficace e mirando al raggiungimento dello sviluppo sostenibile 
attraverso una strategia omnicomprensiva volta ad integrare le tematiche ed 
esigenze ambientali con quelle di natura sociale ed economica�(8). Con riguardo 
a tale programma la Commissione europea � chiamata ad elaborare 
strategie tematiche su sette settori: inquinamento dell�aria, prevenzione e riciclaggio 
dei rifiuti, protezione e conservazione dell�ecosistema marino, protezione 
e conservazione del suolo, uso sostenibile di pesticidi, uso sostenibile 
delle risorse naturali, ambiente urbano. L�elaborazione di tali tematiche � 
svolta in un�ottica di integrazione con gli obiettivi e tematiche individuate 
nella strategia di Lisbona ed in quella per lo sviluppo sostenibile, in una pro- 
(7) Cfr. N. LUGARESI, Diritto dell�ambiente, Cedam, 2008. 
(8) Cos� M. Montini, cit., p. 52. Cfr. anche R. GARABELLO, Le novit� del Trattato di Amsterdam 
in materia di politica ambientale comunitaria, in Riv. Giur. Amb., 1999, p. 151; N. DHONDT, Integratione 
of Environmental Protection into other EC Policies Legal Theory and Practice, Groningen, 2003.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 275 
spettiva volta a promuovere sia l�ecoinnovazione che la crescita economica e 
del mercato del lavoro. 
1.3 L�ambiente nella Carta di Nizza, nella Costituzione per l�Europa e nel 
Trattato di Lisbona 
Nel 2000 i profili ambientali entrano a far parte della Carta dei diritti fondamentali 
dell�Unione Europea, la quale riconoscendo il valore della tutela 
ambientale, rimarca l�esigenza di un elevato livello di protezione e di un miglioramento 
della qualit� dell�ambiente ma anche la necessaria integrazione 
della politica ambientale nelle altre politiche comunitarie, attraverso il principio 
dello sviluppo sostenibile considerato parametro di riferimento (art. 37: 
�Un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualit� 
devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente 
al principio dello sviluppo sostenibile�). 
Tale previsione va letta in un�ottica d�insieme che tenga cio� conto della 
circostanza che, trattandosi di Carta dei diritti, gli interessi ambientali devono 
essere mediati con altri diritti ed interessi individuali, di carattere economico, 
quali la libert� di impresa (art. 16) ed il diritto di propriet� privata (art. 17), 
intesi non diversamente da quanto previsto ai livelli nazionali, quali posizioni 
di vantaggio non assolute o incondizionate (9). 
La Carta inizialmente non aveva valore vincolante, essendo solo un documento 
politico, ma essa � stata successivamente integrata sia nel Trattato 
costituzionale firmato a Roma il 29 ottobre del 2004 (10) sia nel Trattato di 
Lisbona del 2007 (11), di cui si dir�. 
Con riguardo al primo (il Trattato che adotta una Costituzione per l�Europa), 
pur essendosi interrotto il processo costituzionale europeo (12), l�incorporazione 
in esso della Carta dei diritti fondamentali va registrato in 
generale come un elemento di significativa portata, anche se non si � mancato 
di sottolineare la delusione per il mancato atteso riconoscimento di un vero e 
proprio diritto soggettivo all�ambiente in capo ai cittadini europei (13). 
(9) Cfr. N. LUGARESI, cit., p. 49. 
(10) Cfr. A. LUCARELLI, Commento art. 37, in R. BIFULCO, M. CARTABIA, A. CELOTTO (a cura di), 
L�Europa dei diritti, Il Mulino, 2001; L. FERRARI BRAVO, Carta dei diritti fondamentali UE, Milano, 
2001; A. MANZELLA, Dopo Nizza: La Carta dei diritti fondamentali e Costituzione dell�Unione europea, 
Giuffr�, 2002. 
(11) Cfr. M. ALBERTON - M. MONTINI, Le novit� introdotte dal Trattato di Lisbona per la tutela 
dell�ambiente, in Riv. giur. Amb., 2008, p. 505. 
(12) Sulle disposizioni costituzionali in tema di politica ambientale, cfr. P. BEYER, The Draft Constitution 
for Europe and the Environment, in ELR, 2004, p. 218 ss.; J. ZILLER, La place du droit materiel 
dans le project de constitution: Pourquoi une troisieme partie?, EUI Working Paper 2004/15. 
(13) In tema cfr. A. VITTORINO, La Charte des droits foundamentaux de l�Unione europ�enne, in 
Rev du Droit et de l�Union eur., 2001; G. GAIA, L�incorporazione della Carta dei diritti fondamentali 
nella Costituzione per l�Europa, in I diritti dell�uomo � Cronache e battaglie, 2004; S. RODOT�, La
276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
E� per� solo con l�integrazione del Testo della Carta nel Trattato di Lisbona 
del 2007 che essa assurge al rango di diritto primario dell�Unione Europea. 
(Articolo 6 TUE) 1. L'Unione riconosce i diritti, le libert� e i principi 
sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 
2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico 
dei trattati. 
Tale Trattato, entrato in vigore nel 2009, ha apportato modifiche volte al 
buon funzionamento di un�Europa ormai notevolmente allargata. Il Trattato 
che istituisce l�Unione Europea ed il Trattato che istituisce la Comunit� Europea 
sono stati rispettivamente sostituiti dal Trattato sull�Unione Europea 
(TUE) e dal Trattato sul funzionamento dell�Unione Europea (TFUE). 
In particolare ai sensi dell�art. 3, par. 3 TUE l�Unione si adopera per lo 
sviluppo sostenibile dell�Europa, basato su un elevato livello di tutela e di miglioramento 
della qualit� dell�ambiente. La centralit� delle tematiche ambientali 
si rileva anche in sede di azione esterna dell�Unione; infatti l�art. 21, par. 
2, lett. f TFUE, dispone che l'Unione definisce e attua politiche comuni e 
azioni e opera per assicurare un elevato livello di cooperazione in tutti i settori 
delle relazioni internazionali al fine di �contribuire all'elaborazione di misure 
internazionali volte a preservare e migliorare la qualit� dell'ambiente e la gestione 
sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di assicurare lo sviluppo 
sostenibile�. 
Sebbene, quindi, il riferimento allo sviluppo sostenibile fosse gi� presente 
nelle fonti di diritto primario precedenti, si configura nel nuovo Trattato un 
rafforzamento di tale principio ed un�estensione della sua portata, non pi� limitata 
principalmente al mercato e alle attivit� economiche, ma omnicomprensiva, 
nel senso di uno sviluppo sostenibile economico, sociale ed 
ambientale e di linea guida nella definizione della politica sia interna che 
esterna dell�Unione (14). 
Il Trattato di Lisbona ridefinisce i settori in cui l�Unione ha competenza 
esclusiva o concorrente (artt. 4 e 5 TUE). Anche a seguito di questa revisione, 
l�ambiente rimane una delle politiche in cui l�Unione condivide il potere legislativo 
con gli Stati membri ed esercita la sua azione in conformit� con i principi 
di attribuzione, di sussidiariet� e di proporzionalit�. 
In materia di ambiente all�Unione � attribuita una competenza concorrente 
con quella degli Stati membri (art. 4, par. 2, lett. e TFUE) ed inoltre, a 
conferma della natura trasversale delle questioni inerenti all�ambiente rispetto 
Carta come atto politico e documento giuridico, in A. MANZELLA, P. MELOGRANI, E. PACIOTTI, S. RODOT�, 
Riscrivere i diritti in Europa, Il Mulino, 2001. Esprime delusione per il mancato riconoscimento 
di un vero e proprio diritto soggettivo all�ambiente in capo ai cittadini europei, atteso con la Carta, M. 
RENNA, cit., p. 660. 
(14) In tali termini M. ALBERTON - M. MONTINI, cit., p. 507.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 277 
alle altre aree di intervento comunitario, � posta all�art. 11 TFUE una clausola 
generale, in forza della quale �le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente 
devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e 
azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo 
sostenibile�. 
Si � osservato che tale diversa formulazione della norma, la quale non 
reca pi� lo specifico riferimento alle politiche ed alle azioni di cui al vecchio 
art. 3 del Trattato CE, come ambito di applicazione del principio di integrazione 
della politica ambientale, potrebbe comportare un potenziale significativo 
allargamento dello scopo del principio stesso, non pi� vincolato verso 
specifiche e predeterminate politiche o azioni, ma anche, al contrario, diluirne 
la portata in assenza di uno specifico collegamento con un elenco ben identificato 
di politiche ed azioni (15). 
Le norme del Trattato dedicate specificatamente alla politica ambientale 
sono inserite nel titolo XX del Trattato FUE, che si compone degli artt. 191, 
192 e 193, i quali sostituiscono rispettivamente gli artt. 174, 175 e 176 del 
TCE. Di questi si tratter� pi� diffusamente nel paragrafo successivo ma sin da 
ora pu� rilevarsi che la politica della Comunit� contribuisce a perseguire i seguenti 
obiettivi: 
- salvaguardia, tutela e miglioramento della qualit� dell'ambiente, 
- protezione della salute umana, 
- utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, 
- promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi 
dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere 
i cambiamenti climatici (art. 191, par. 1 TFUE). 
Pi� in generale, la politica dell'Unione in materia ambientale mira a un 
elevato livello di tutela, tenendo conto della diversit� delle situazioni nelle 
varie regioni dell'Unione. Essa � fondata sui principi della precauzione e dell'azione 
preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, 
dei danni causati all'ambiente, nonch� sul principio "chi inquina paga". In tale 
contesto, le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione 
dell'ambiente comportano, nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia 
che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non 
economica, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo dell'Unione 
(art. 191, par. 2). 
Nel predisporre la politica in materia ambientale l'Unione tiene conto: 
- dei dati scientifici e tecnici disponibili, 
- delle condizioni dell'ambiente nelle varie regioni dell'Unione, 
- dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall'azione o dall'assenza 
di azione, 
(15) Ancora M. ALBERTON - M. MONTINI, cit., p. 514.
278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
- dello sviluppo socioeconomico dell'Unione nel suo insieme e dello sviluppo 
equilibrato delle sue singole regioni (art. 191, par. 3 TFUE). 
Sotto il profilo internazionale, da un lato si prevede che, nell'ambito delle 
rispettive competenze, l'Unione e gli Stati membri collaborano con i paesi terzi 
e con le competenti organizzazioni internazionali e le modalit� della cooperazione 
dell'Unione possono formare oggetto di accordi tra questa ed i terzi interessati; 
dall�altro si precisa che l�intervento dell�Unione sul piano 
internazionale non pregiudica la competenza degli Stati membri a negoziare 
nelle sedi internazionali e a concludere accordi internazionali (art. 191, par. 4 
TFUE). 
Quanto alla procedura legislativa, l�art. 192 (ex art. 175 TCE) prevede 
che il Parlamento europeo e il Consiglio deliberano secondo la procedura ordinaria 
previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato 
delle regioni (art. 192, par. 1). Tuttavia il Trattato indica alcune iniziative, in 
ordine alle quali il Consiglio deve deliberare all�unanimit� secondo una procedura 
legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo, del 
Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni. Tale procedura si 
applica per l�adozione di: 
a) disposizioni aventi principalmente natura fiscale; 
b) misure aventi incidenza: 
- sull'assetto territoriale, 
- sulla gestione quantitativa delle risorse idriche o aventi rapporto diretto 
o indiretto con la disponibilit� delle stesse, 
- sulla destinazione dei suoli, ad eccezione della gestione dei residui; 
c) misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro 
tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell'approvvigionamento 
energetico del medesimo (art. 192, par. 2 TFUE). 
Inoltre, il Parlamento europeo ed il Consiglio, deliberando secondo la 
procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico 
e sociale e del Comitato delle Regioni, adottano programmi generali d'azione 
che fissano gli obiettivi prioritari da raggiungere, cui seguono le necessarie 
misure di attuazione (art. 192, par. 3 TFUE). Il carico economico per il finanziamento 
e l�esecuzione della politica in materia ambientale grava in prima 
battuta sugli Stati membri, fatte salve talune misure adottate dall�Unione (art. 
192, par. 4); tuttavia il Trattato introduce un temperamento, poich� prevede 
che, fatto salvo il principio "chi inquina paga", qualora una misura (..) implichi 
costi ritenuti sproporzionati per le pubbliche autorit� di uno Stato membro, 
tale misura prevede disposizioni appropriate in forma di deroghe temporanee 
e/o sostegno finanziario del Fondo di coesione (art. 192, par. 5 TFUE). 
Infine, l�art. 193 pone una clausola di salvaguardia, a chiusura del sistema, 
prevedendo che �i provvedimenti di protezione adottati in virt� dell'articolo 
192 non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere prov-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 279 
vedimenti per una protezione ancora maggiore. Tali provvedimenti devono 
essere compatibili con i trattati. Essi sono notificati alla Commissione� (16). 
II. OBIETTIVI E PRINCIPI DEL DIRITTO AMBIENTALE EUROPEO 
2.1 Gli obiettivi della politica ambientale nel Trattato sul Funzionamento 
dell�Unione Europea 
Anche dopo le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, nella versione 
attualmente vigente restano confermati gli obiettivi di uno sviluppo economico 
coerenti con la salvaguardia delle risorse ambientali. 
L�art. 3 c. 3 (ex art. 2 del TUE) dell�attuale TUE, tra gli obiettivi generali 
che l�UE si prefigge, indica il riferimento ad uno �sviluppo sostenibile dell�Europa, 
basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilit� dei 
prezzi, su un�economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira 
alla piena occupazione ed al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela 
e di miglioramento della qualit� dell�ambiente�. Tale obiettivo, gi� contenuto 
negli articoli 2 del Trattato UE e CE e 6 del Trattato CE, viene qui ora ribadito 
in una prospettiva globale (art. 3 c. 5 TUE: �sviluppo sostenibile della Terra� 
e art. 21 c. 2 lett.f: �azione esterna dell�UE�), laddove si enuncia che l�Unione 
definisce e attua politiche comuni e azioni ed opera per assicurare un elevato 
livello di cooperazione in tutti i settori delle relazioni internazionali al fine di 
�contribuire all�elaborazione di misure internazionali � volte a preservare e 
migliorare la qualit� dell�ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali 
mondiali, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile�. 
Appare cos� evidente che, pur essendo il riferimento allo sviluppo sostenibile 
gi� presente nelle fonti di diritto primario precedenti, nel nuovo Trattato 
esso ne esce rafforzato, con estensione della sua portata non pi� limitata al 
mercato ed alle attivit� economiche. Ne emerge, secondo quanto prima detto, 
una visione omnicomprensiva del principio che include anche gli aspetti sociali 
ed ambientali. 
L�articolo 191 del TFUE (ex articolo 174 del TCE) al comma 1 recita: 
1. La politica dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire 
i seguenti obiettivi: 
- salvaguardia, tutela e miglioramento della qualit� dell'ambiente, 
- protezione della salute umana, 
- utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, 
- promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i 
(16) Con riguardo a tale normativa, per un analitico commento delle disposizioni relative alla 
competenza esterna in materia ambientale, nonch� alla competenza normativa (ex artt. 174 par. 2 e 176) 
ed esecutiva cfr. O. PORCHIA, Tutela dell�ambiente e competenze dell�Unione Europea, in Riv. It. Dir. 
Pubb., Comun., 2006, specie p. 41 e ss.
280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere 
i cambiamenti climatici. 
Il primo tra gli obiettivi indicati, nella sua formulazione, appare quanto 
mai vago ed ampio (17), potendo in esso rientrare sia misure generali per la 
salvaguardia ambientale sia misure specifiche di prevenzione da inquinamento. 
Il fine della protezione della salute umana d� conto invece della stretta correlazione 
tra le misure volte alla tutela della qualit� dell�ambiente e quelle per 
la tutela della salute. Nel nostro ordinamento del resto, proprio la previsione 
costituzionale (art. 32) della tutela della salute unitamente alla tutela del paesaggio 
(art. 9) ha fornito le basi per la costruzione di una tutela ambientale. 
Il terzo obiettivo della politica comunitaria consiste nell�utilizzazione accorta 
e razionale delle risorse naturali. Al proposito occorre ricordare che anche 
il concetto di �risorse naturali�, al pari del concetto stesso di �ambiente�, non 
� stato definito n� nel Trattato n� nella legislazione comunitaria secondaria. 
Si � quindi fatto riferimento al diritto internazionale dell�ambiente, laddove 
(Principio 2 Dichiarazione di Stoccolma 1972) le risorse naturali includono 
�aria, acqua, terra, flora, fauna e gli esempi particolarmente rappresentativi di 
ecosistemi naturali �. In dottrina, poi, le risorse naturali sono state definite 
come l�insieme di tutte le risorse che si trovano nell�ambiente: �flora, fauna, 
legno, minerali, acqua, olio, gas naturale e sostanze chimiche� (18). E si � correttamente 
evidenziato che una definizione pi� dettagliata dell�ampio e vago 
concetto di �utilizzazione delle risorse naturali� pu� ricavarsi dalle competenze 
che deriverebbero da questa disposizione del Trattato per le Istituzioni comunitarie 
(19). L�utilizzazione delle risorse naturali comprenderebbe quindi le 
attivit� di conservazione della natura, protezione del suolo, gestione dei rifiuti, 
pianificazione urbana, zone costiere, protezione della montagna, gestione delle 
acque, politica agricola, risparmio energetico e protezione civile�. La previsione 
dell�art. 192 del TFUE (ex art. 175 del TCE) sembra confermare tale assunto. 
Infatti, tra le misure che il Consiglio adotta (comma 2 del citato articolo) 
vi sono quelle aventi incidenza: �sull�assetto territoriale, sulla gestione quantitativa 
delle risorse idriche o aventi rapporto diretto o indiretto con la disponibilit� 
delle stesse, sulla destinazione dei suoli, ad eccezione della gestione 
dei residui�, ma anche quelle aventi incidenza sulla scelta di uno Stato membro 
tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell�approvvigionamento 
energetico del medesimo�. 
Ove si consideri che dopo il Trattato di Lisbona l�attuale TFUE contiene 
un apposito Titolo dedicato alla politica energetica (Titolo XXI art. 194) e nel 
contempo attribuisce rilevanza fondamentale anche alla lotta al cambiamento 
(17) Cfr. L. KRAMER, cit., p. 72. 
(18) Cfr. J. JANS, cit., p. 28. 
(19) Per la dottrina in tema cfr. M. MONTINI, cit., p. 60.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 281 
climatico, ancor pi� evidente appare come il riferimento all�obiettivo dell�utilizzazione 
accorta e razionale delle risorse naturali, conferisca alla Istituzioni 
comunitarie il potere di indirizzare la normativa ambientale verso fini di tutela 
delle risorse naturali, sviluppo sostenibile e risparmio energetico in un�ottica 
di integrazione tra le politiche ambientali e quelle energetiche, anche alla luce 
dei pi� recenti tentativi internazionali (Cancun 2010) volti all�attuazione del 
Protocollo di Kyoto (20). 
Il quarto obiettivo della politica ambientale comunitaria (�promozione sul 
piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a 
livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici 
�) ha indotto ad interrogarsi circa la possibilit� che tale riferimento risolvesse 
tutti i problemi relativi alla competenza esterna della Comunit� 
europea nel settore della tutela internazionale dell�ambiente. Ed infatti nonostante 
l�adozione di numerosi strumenti di protezione ambientale al di fuori del 
territorio comunitario, permanevano questioni di natura �costituzionale� in merito 
all�ampiezza delle competenze esterne della Comunit�. Ora, per�, la specifica 
previsione della lotta ai cambiamenti climatici inserita espressamente, 
come detto, dopo il Trattato di Lisbona cristallizza l�importanza e la priorit� 
accordata dall�Unione a tale aspetto, giustificandone azioni ed impegni. 
2.2. I principi 
2.2.1 I principi procedurali di tutela ambientale: sussidiariet� e proporzionalit� 
I principi del diritto comunitario ambientale (21), consacrati nei Trattati 
ed ora anche nella Carta dei diritti fondamentali di Nizza, si possono distinguere 
in principi procedurali, atti ad indicare le regole di azione, il modus procedendi 
appunto, in materia ambientale, e in principi di carattere sostanziale, 
i quali forniscono il contenuto sostanziale dei principi introdotti espressamente 
per il settore ambientale (principi propriamente ambientali). 
Con riguardo al primo tipo va innanzitutto menzionato il principio di sussidiariet� 
(22), originatosi proprio nel settore ambientale e poi esteso a principio 
cardine della Comunit�, ora Unione, e degli Stati membri. 
(20) Cfr. S. NESPOR, La conferenza di Cancun sul cambiamento climatico, in Greenlex.it, Editoriale, 
2010. 
(21) Cfr. M. RENNA, cit. p. 667 e ss.; P. SANDS, Principles of International Environmental, Cambridge, 
2003, p. 732; G. CORDINI, Ambiente (Tutela dell�) nel Diritto delle Comunit� Europee, Aggiornamento 
voce Ambiente, in Dig. Disc. pubbl., Appendice VII, 1991, p. 665; B. CARAVITA, Diritto 
dell�ambiente, Il Mulino, 2005; P. DELL�ANNO, Principi del diritto ambientale europeo e nazionale, 
Giuffr�, 2004. 
(22) Cfr. W. P. J. WILS, Subsidiarity and EC Environmental Policy:taking People�s Concerns seriously, 
in Journal of Environmental law, 1994, p. 85; K. LENAERTS, The Principle of subsidiarity and 
the environment in the European U: keeping the balance of federalism, in Fordham international law 
journal, 1994, p. 846.
282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Tale principio � stato considerato un principio polivalente che, tuttavia, 
nell�ordinamento europeo vale essenzialmente quale principio inerente l�esercizio 
delle competenze normative comunitarie. Sotto tale profilo esso � stato 
adottato inizialmente per la materia ambientale, ma poi esteso a tutti i settori 
di competenza non esclusiva della Comunit�, nei quali, ai sensi del vigente 
art. 5 del TUE (ex art. 5 del TCE) �l�Unione interviene soltanto se ed in quanto 
gli obiettivi dell�azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente 
dagli Stati membri, n� a livello centrale n� a livello regionale e locale, 
ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell�azione in questione, essere 
conseguiti meglio a livello di Unione�. 
In ambito comunitario dunque il principio � concepito per operare sul 
piano normativo, in senso ascendente, ed � strettamente connesso al principio 
di effettivit�. 
E� noto invece che nell�ordinamento italiano, laddove esso rileva sul piano 
dell�allocazione ed esercizio delle funzioni amministrative (sia in una dimensione 
verticale, nel rapporto tra i diversi livelli di governo territoriale, sia in 
una dimensione orizzontale, nel rapporto tra pubblici poteri e autonomia individuale 
e sociale dei cittadini) � stato concepito per operare soprattutto in senso 
discendente. Sia che si applichi all�esercizio di competenze normative, sia che 
riguardi il riparto di funzioni amministrative, resta un principio per sua natura 
elastico ed ambivalente (23). 
A ben guardare, prima ancora che essere considerato un principio procedurale, 
al pari del principio di attribuzione, esso si ascrive tra i principi generali 
del diritto comunitario. L�attuale art. 5 del TUE prevede infatti, come criteri 
(23) Sul principio di sussidiariet� nel nostro ordinamento cfr. G. STROZZI, Il principio di sussidiariet� 
nel futuro dell�integrazione europea: un�incognita e molte aspettative, in Rivista italiana di diritto 
pubblico comparato n. 1/1993; F. CASAVOLA, Dal federalismo alla sussidiariet�: le ragioni di un 
principio, Foro italiano n. 4/1996; J. LUTHER, Il principio di sussidiariet�: un �principio speranza� per 
l�ordinamento europeo?, in Foro Italiano n. 4/1996; A. RINELLA, Il principio di sussidiariet�: definizioni, 
comparazioni e modello d�analisi, in Sussidiariet� e ordinamenti costituzionali. Esperienze a confronto, 
a cura di A. RINELLA, LEOPOLDO COEN, ROBERTO SCARMIGLIA, Padova, Cedam, 1999; A. D�ATENA, Costituzione 
e principio di sussidiariet�, in Quaderni Costituzionali n. 1 2001; dello stesso A., La sussidiariet� 
tra valori e regole in Diritto e giurisprudenza agraria e dell�ambiente n. 2/2004 e Modelli 
federali e sussidiariet� nel riparto di competenze tra Unione europea e Stati membri, in Diritto dell�Unione 
Europea n. 1/2005; L. AZZERA, Il sistema delle competenze, in Il Foro italiano n. 1 2005; F. 
CARINCI, Il principio di sussidiariet� verticale nel sistema delle fonti, in ADL 2006 n. 6; O. CHESSA, La 
sussidiariet� (verticale) come �precetto di ottimizzazione� e come criterio ordinatore, in Diritto pubblico 
comparato ed europeo n. 4/2002; L. GIANNITI, I Parlamenti nazionali garanti del principio di sussidiariet�, 
in Quaderni Costituzionali n. 1, 2003; F. IPPOLITO, Sussidiariet� e armonizzazione: il caso British 
American Tabacco, in Il diritto dell�unione europea n. 3/2004; I.MASSA PINTO, Il principio di sussidiariet� 
nel Progetto di Trattato che istituisce una costituzione per l�Europa, in Diritto pubblico comparato 
europeo n. 3/2003; C. PANZERA, Il doppio volto della sussidiariet�, n. 4/2003; F. PETRANGELI, Sussidiariet� 
e Parlamenti nazionali: i rischi di confusione istituzionale, in Quaderni Costituzionali n. 1/2003; 
C. PINELLI, Il disegno delle istituzioni politiche, in Il Foro italiano n. 1/2005; S. STAIANO, La sussidiariet� 
orizzontale: profili teorici in Federalismi.it del 9 marzo 2006.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 283 
generali di riferimento per l�esercizio dell�azione legislativa da parte delle istituzioni 
comunitarie, il principio di attribuzione, il principio di sussidiariet� ed 
il principio di proporzionalit�. 
�In virt� del principio di attribuzione, l�Unione agisce esclusivamente 
nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati 
per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita 
all�Unione nei trattati appartiene agli Stati membri� (art. 5 del TUE). 
Tale principio caratterizza l�ordinamento giuridico comunitario, il quale non 
� un ordinamento originario ma deriva dagli ordinamenti degli Stati membri 
che, mediante il Trattato, trasferiscono parte delle loro competenze alla Comunit�. 
Ne consegue che le Istituzioni comunitarie possono agire solo nei limiti 
delle competenze che sono state loro conferite dal Trattato stesso (24). 
Tornando al principio di sussidiariet�, si � detto che esso costituisce principio 
generale di diritto comunitario ed � di estrema rilevanza per il diritto ambientale. 
Fu infatti inserito per la prima volta nel Trattato CE con le modifiche 
apportate dall�Atto Unico europeo del 1987 al testo dell�art.130 R (poi art. 
174), ora art. 191), con esclusivo riferimento alla politica ambientale comunitaria. 
Nel 1993, con il Trattato di Maastricht, il riferimento al principio di sussidiariet� 
venne eliminato dall�art. 130 R e trasferito nel nuovo art. 3B del 
Trattato (poi art. 5), divenendo cos� principio generale; come tale esso guida 
l�azione normativa delle istituzioni comunitarie in tutti i settori in cui l�Unione 
� titolare di competenza concorrente con quelle degli Stati membri. 
In dottrina si � ritenuto che tale principio si atteggi come criterio da utilizzare 
per effettuare una corretta ripartizione delle competenze tra le Istituzioni 
comunitarie e quelle degli Stati membri tutte le volte in cui vi sia un 
dubbio sull�opportunit� di disciplinare una certa materia a livello comunitario 
o a livello nazionale. Ammessa la natura giuridica del principio, assoggettabile 
al sindacato del giudice comunitario, la rarit� dei casi in cui la Corte ha 
riconosciuto la violazione del principio ha dato luogo ad un acceso dibattito 
sull�effettivit� del controllo giurisdizionale ex post (25). Al fine di consentirne 
una corretta applicazione � stato allegato al Trattato di Amsterdam un Protocollo 
(26) contenente una serie di criteri atti a stabilire il livello pi� appropriato 
di intervento. Riguardo a tali criteri particolare rilievo � stato dato in 
(24) G. TESAURO, Diritto Comunitario, IV ed., Cedam, 2005; G. GAJA, Introduzione al diritto comunitario, 
Laterza, 2005; M. MONTINI, cit., p. 68. 
(25) Anche se inserito nel Trattato, e perci� dotato di efficacia giuridica, soprattutto nei primi anni 
di applicazione del principio si � contestata la sua natura giuridica riconoscendo unicamente la natura 
politica. Sulla questione cfr. P. FOIS, Il diritto ambientale nell�ordinamento dell�Unione europea, in G. 
CORDINI, P. FOIS, S. MARCHISIO, Diritto ambientale. Profili internazionali europei e comparati, Giappichelli, 
2005, p. 51. 
(26) Tale Protocollo � stato oggetto di profonde modifiche da parte del Trattato di Lisbona, in merito 
alle quali si rinvia a M. ALBERTON E M. MONTINI, Le novit� introdotte dal Trattato di Lisbona, cit. 
specie p. 508 e ss. 
284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
dottrina (27) all�ipotesi in cui l�intervento comunitario si giustifica allorch� 
l�assenza di azione a tale livello, congiuntamente all�azione di alcuni Stati 
membri, potrebbe determinare in un certo settore un�alterazione delle condizioni 
di funzionamento del mercato unico, attraverso limitazioni alla libera 
circolazione delle merci o distorsioni della concorrenza. L�intervento comunitario 
� stato ritenuto preferibile in virt� del principio di sussidiariet� quando 
l�azione comunitaria sia in grado di produrre economia o benefici di scala rispetto 
ad azioni nazionali dei singoli Stati membri. Il riferimento alla possibilit� 
di raggiungere �meglio� gli obiettivi dell�azione prevista � stato infatti 
interpretato nel senso di �pi� efficace�, �meno costoso�, pi� efficiente, ma a 
anche �pi� vicino al cittadino�, �pi� democratico�. Inoltre, muovendo da 
un�analisi della pronuncia della Corte di Giustizia (caso C-84/94 Regno Unito 
c. Consiglio e C-233/94 Germania c. Parlamento Europeo e Consiglio) si � 
anche sottolineata la scarsa propensione ad annullare un atto del Consiglio 
sulla base della mancata applicazione del principio di sussidiariet� (28). 
Il canone dell�adeguatezza o di efficacia, implicato nel principio di sussidiariet�, 
sarebbe testualmente rinvenibile nell�art. 5 del Trattato UE, laddove 
si fa riferimento alla possibilit� di �realizzare gli obiettivi dell�azione prevista 
in misura sufficiente�. Unitamente a detto canone va considerato anche il principio 
di differenziazione, come corollario del canone di adeguatezza. Tale principio 
� affermato nell�attuale art. 191 par. 2 del Trattato, ove si dispone che 
�la politica comunitaria in materia di ambiente mira ad un elevato livello di 
tutela tenendo conto della diversit� delle situazioni nelle varie regioni dell�Unione�, 
ma anche al par. 3 del medesimo articolo, nella parte in cui si fa riferimento 
alla necessit� di tener conto �delle condizioni dell�ambiente nelle 
varie regioni dell�Unione�. 
L�esercizio delle competenze, oltre che sul principio di sussidiariet�, � 
fondato sul principio di proporzionalit�, anch�esso principio generale del diritto 
comunitario. In virt� di detto principio �il contenuto e la forma dell�azione 
dell�unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi 
dei Trattati�. Tale principio, ampiamente applicato dalla giurisprudenza comunitaria 
(29), non � specifico del diritto ambientale pur rivestendo in tale 
settore notevole rilevanza. L�art. 191 del trattato al par. 3 dispone infatti che 
(27) Ancora M. MONTINI, cit. p. 70 e H. SEVENSTER, The Environmental Guarantee after Amsterdam: 
Does the emperor have new clothes, in YEEL, 2000, p. 291. 
(28) Cfr. anche Corte di Giustizia, 9 ottobre 2001, causa C-377/98, Paesi Bassi c. Parlamento e 
Consiglio. 
(29) Sull�applicazione del principio di proporzionalit� in materia ambientale, cfr. ex multis, Corte di 
Giustizia CE, 20 settembre 1988, C-302/86, Corte di Giustizia CE, 13 aprile 1994, C-131/93, Corte di Giustizia 
CE, 3 dicembre 1998, C-67/97, Corte di Giustizia CE 13 dicembre 2001, C-324/99, Corte di Giustizia 
CE, 10 novembre 2005, C-432/03 e Corte di Giustizia CE, 20 settembre 2007, C-297/05. Una rassegna di 
giurisprudenza comunitaria e internazionale sul tema � in F. DE LEONARDIS, La disciplina dell�ambiente 
tra Unione europea e WTO, in Dir. Amm., 2004, p. 513. In tema, inoltre, M. RENNA, cit., p. 682.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 285 
nel predisporre la sua politica in materia ambientale l�Unione tiene conto pure 
dei �vantaggi ed oneri che possono derivare dall�azione o assenza di azione�. 
L�applicazione del principio implica che l�adozione di misure a tutela ambientale 
non siano eccessivamente o ingiustificatamente restrittive o discriminatorie 
delle libert� economiche, tali da alterare la concorrenza. 
La Corte di Giustizia comunitaria, sin dagli anni Ottanta, ha precisato i 
termini di operativit� di detto principio, censurando ad esempio divieti o restrizioni 
all�importazione di determinati prodotti, introdotti dagli Stati membri 
per scopi di tutela ambientale. Anche in relazione al tema degli aiuti di Stato 
destinati a promuovere la tutela ambientale (30), la Corte ha precisato entro 
quali limiti, in applicazione del principio di proporzionalit�, possono essere 
ammesse deroghe al generale divieto di aiuti: esse devono essere tali da comportare 
vantaggi per la protezione ambientale proporzionati agli effetti negativi 
che le stesse possono provocare sulla concorrenza. 
Nel gi� citato Protocollo del 1997 sono stati poi indicati i criteri per l�applicazione 
anche di tale principio, come quello di preferire l�adozione di misure 
che lasciano pi� spazio alle autorit� nazionali per la loro azione 
amministrativa, o ancora di preferire strumenti non vincolanti, come raccomandazioni 
o codici di condotta. Qualora sia comunque necessario adottare 
un atto vincolante, la direttiva dovrebbe essere preferita al regolamento e le 
direttive quadro dovrebbero essere preferite rispetto a quelle dettagliate. 
Dal combinato disposto dei principi di sussidiariet� e proporzionalit�, 
letti anche secondo i criteri del Protocollo di Amsterdam, si � rilevata una progressiva 
riduzione del margine di manovra per l�azione comunitaria in materia 
ambientale a vantaggio delle competenze degli Stati membri. Sarebbe questa 
una delle pi� recenti tendenze evolutive del diritto ambientale comunitario 
che, secondo taluni autori, potrebbe anche influenzare negativamente il futuro 
della politica ambientale comunitaria (31). Secondo altri, invece (32), la complessit� 
ed il carattere tecnicoscientifico del diritto ambientale giustificherebbero 
(o meglio imporrebbero) la competenza ai livelli di governo superiore 
quali livelli pi� adeguati ad esercitare le relative funzioni sia normative che 
amministrative. Nel nostro ordinamento, con riguardo alla competenza legislativa, 
si ascrive a tale tendenza il pi� recente orientamento della Corte Costituzionale, 
come si dir�. 
(30) In tema di aiuti di Stato per la tutela ambientale, cfr. Corte di Giustizia CE, 13 marzo 2001, 
C-379/98 (PreussenElektra), Corte di Giustizia CE 24 luglio 2003, C-280/00 (Altmark), Corte di Giustizia 
CE 8 maggio 2008, C-49/05 (Ferriere Nord). 
(31) Cfr. M. MONTINI, cit., p. 71. 
(32) Cfr. M. RENNA, cit. p. 670 e p. 682. In tema cfr. anche M. MAZZAMUTO, Diritto dell�ambiente 
e sistema comunitario delle libert� economiche, in Riv. It. Dir. Pubbl., Comun., 2009, p. 1571 e ss.
286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
2.2.2 I principi sostanziali: Integrazione e sviluppo sostenibile, Precauzione, 
Prevenzione, correzione dei danni alla fonte, �Chi inquina paga� 
Tra i principi fondamentali posti nel Trattato vi � il principio di integrazione, 
che pu� considerarsi principio generale del diritto comunitario. L�art. 
11 del TFUE (ex art. 6 del TCE) stabilisce: �le esigenze connesse con la tutela 
dell�ambiente devono essere integrate nella definizione e nell�attuazione delle 
politiche e azioni dell�Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere 
lo sviluppo sostenibile�. 
Da tale disposizione, cos� come modificata soprattutto dopo il Trattato di 
Amsterdam e di Lisbona, appare subito evidente la stretta connessione con il 
principio dello sviluppo sostenibile (33) e nel contempo la natura trasversale 
della politica ambientale. La tutela ambientale diventa infatti parte integrante 
del processo di sviluppo in tutti i suoi aspetti. Scopo di tale previsione � dunque 
di assicurare che le esigenze ambientali costituiscano elemento imprescindibile 
nella definizione ed attuazione di tutte le altre politiche comunitarie. La modifica 
apportata a detto principio dopo il Trattato di Lisbona, relativamente al 
contesto di riferimento per la sua applicazione, reca in s� proprio tale significato. 
L�eliminazione dello specifico riferimento alle politiche ed alle azioni di 
cui al vecchio art. 3 del Trattato CE (oggi abrogato) sembra infatti sottendere 
un�estensione della sua portata con l�esclusione di vincoli verso specifiche e 
predeterminate politiche ed azioni. 
In tali principi (integrazione e sviluppo sostenibile) trovano fondamento 
tutte quelle disposizioni volte a tutelare direttamente o indirettamente l�ambiente 
all�interno di normative riguardanti tutti gli ambiti delle attivit� economiche 
e di uso o trasformazione del territorio (energia, agricoltura, 
telecomunicazioni, trasporti, etc.) Anche le discipline di carattere trasversale, 
quali quelle della procedura di VIA e della VAS, costituiscono attuazione di 
tali principi considerati congiuntamente, i quali si rinvengono anche nelle pi� 
recenti disposizioni sugli appalti c.d. verdi (direttiva 2004/18CE e 
2004/17CE). 
Nel nostro ordinamento, lo stretto collegamento tra i due menzionati principi 
� stato ribadito, ai fini della loro stessa operativit�, dal decreto legislativo 
n. 152/06, come modificato dal decreto legislativo n. 4/08 che ha introdotto 
l�art. 3 quater, laddove si � specificato, come canone per il bilanciamento degli 
(33) Cfr. F. FONDERICO, voce Ambiente in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. CASSESE, 
Giuffr�, 2006; P. DELL�ANNO, Principi del diritto, cit.; AA.VV. La forza normativa dei principi. Il contributo 
del diritto ambientale alla teoria generale, a cura di D. AMIRANTE, Cedam, 2006; F. FRACCHIA, 
Lo sviluppo sostenibile, Editoriale Scientifica, 2010. Per una riformulazione dell� �idea di sostenibilit�� 
dello sviluppo come �libert� sostenibile� (basata sull�approccio non delle utilit� e risorse bens� delle 
�capacit� che [ha] la persona di fare quelle cose a cui assegna un valore�) adeguata alla consapevolezza 
che l�individuo ha �non solo bisogni e interessi ma anche valori�, cfr. A. SEN, L�idea di giustizia, Mondadori, 
2010, p. 257 e ss. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 287 
interessi, l�obbligo della �prioritaria considerazione dell�ambiente e del patrimonio 
culturale� nella valutazione comparativa degli interessi. In tal modo, 
attribuendo valore precettivo al principio dello sviluppo sostenibile, esso diventa 
anche �regola� generale della materia ambientale, secondo una formulazione 
di antica tradizione nella scienza amministrativistica italiana che 
considerava i principi come regole (34). 
La formulazione del principio dello sviluppo sostenibile, recepito nei termini 
anzidetti nel nostro ordinamento, sembra invero consentirne un�interpretazione 
pi� estesa di quella fornita finora dalla dottrina ed anche dalla 
giurisprudenza comunitaria, con riguardo alla priorit� degli aspetti ambientali 
in caso di conflitto con altri interessi/obiettivi dell�azione comunitaria. Secondo 
tale dottrina maggioritaria, il principio di cui al citato art. 11 del TFUE 
non comporterebbe una considerazione necessariamente prioritaria delle esigenze 
ambientali, dovendosi ritenere che la prevalenza dell�esigenza di tale 
protezione, nell�ottica comunitaria, debba essere valutata caso per caso, rispetto 
al perseguimento di altri interessi giudicati meritevoli di tutela dall�ordinamento 
comunitario, con riferimento ai criteri elaborati dalla 
giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, primo tra tutti il principio di proporzionalit� 
(35). Il riferimento alle �esigenze connesse alla tutela dell�ambiente� 
come oggetto del principio di integrazione � stato quindi interpretato 
nel senso di identificare tali esigenze nell�insieme degli obiettivi, dei principi 
e dei criteri per l�esercizio dell�azione in materia ambientale indicati nell�art. 
191 del Trattato ma anche nei principi rilevanti per il diritto comunitario dell�ambiente 
ricavabili da altre disposizioni del Trattato e dalla giurisprudenza 
comunitaria. Tali esigenze tuttavia non hanno carattere vincolante, ma servono 
solo come linee guida per l�esercizio delle proprie competenze da parte delle 
istituzioni comunitarie (36). 
Nel nostro ordinamento, invece, con riguardo all�esercizio del potere amministrativo, 
la specifica previsione nel d.lgs. 152/06 dell�obbligo di �prioritaria 
considerazione� degli aspetti ambientali (�nell�ambito della scelta 
comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalit��) induce 
a riflettere sulla possibilit� di una diversa linea interpretativa, secondo 
la quale la considerazione prioritaria delle esigenze ambientali potrebbe im- 
(34) Il riferimento � a M. S. GIANNINI, Genesi e sostanza dei principi generali del diritto, in Scritti 
in onore di Alberto Predieri, II, Giuffr�, 1996, p. 901 e ss. In tema cfr. anche P. DELL�ANNO, Elementi 
di diritto dell�ambiente, Cedam, 2008, p. 3, il quale critica la normazione �per principi� e la confusione 
che il nuovo legislatore italiano opera tra principi e regole. In tema anche A. GRAGNANI, La codificazione 
del diritto ambientale: il modello tedesco e la prospettiva italiana, in Giust.it., 8/2008, in particolare 
cap. III, par. 8. e P. CERBO, Le novit� nel codice dell�ambinte, in Urbanistica e Appalti, 5/08, p. 534. 
(35) Cfr. J. JANS, op. cit. ed anche M. MONTINI, op. cit., 72. 
(36) E�questo l�indirizzo ad oggi prevalente, per una ricostruzione del quale si rinvia agli autori 
citati alla nota precedente nonch� a M. RENNA, op. cit., p. 674.
288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
plicare l�attribuzione di un peso maggiore alle medesime rispetto agli altri interessi 
oggetto di valutazione comparativa (37). 
Si � ben consapevoli che l�obiettivo �dell�elevato livello di tutela ambientale�, 
sul quale � basato lo sviluppo sostenibile dell�Europa (ex art. 3 del TUE), 
non � inteso nel senso di prioritario o prevalente. Esso, in quanto scopo, entra 
a comporre i criteri di bilanciamento dei diversi interessi, a monte, nelle valutazioni 
del legislatore, e, a valle, nelle valutazioni discrezionali della P.A. 
Del resto la stessa Corte di Giustizia, con riguardo al principio di integrazione 
non ha manifestato un orientamento sempre costante, avendo di volta in volta 
ritenuto di dover bilanciare detto principio con altri principi altrettanto rilevanti 
quali il principio di non discriminazione o il principio di proporzionalit� (38). 
Tuttavia l�attuale previsione del principio di integrazione, esteso come 
detto a tutti i settori e ad ogni politica, rende meno peregrina la tesi che attribuisce 
al principio suddetto il valore di clausola generale autorizzativa di una 
interpretazione in chiave ambientale delle norme comunitarie, e dunque anche, 
a valle, dell�esercizio del potere discrezionale da parte dei soggetti tenuti ad 
attuarle (39). 
(37) Per un approfondimento di tale linea interpretativa, sia consentito rinviare a R. ROTA, Brevi 
note sui �nuovi� principi di tutela ambientale, in Astrid, 2009, in particolare con riguardo alle implicazioni 
di detta previsione sul principio di semplificazione dell�azione amministrativa per i procedimenti 
ambientali. Per l�orientamento che rileva un significato �sostanziale� nella �primariet�� dell�interesse 
ambientale connesso ai valori della Costituzione, cfr. G. MORBIDELLI, Il regime amministrativo speciale 
dell�ambiente, in Studi in onore di Alberto Predieri, Giuffr�, 1996, p. 1134. Su tale specifico profilo, si 
veda infra nel testo. 
(38) Sulla rilevanza di tali principi in ambito comunitario cfr. G. CHITI, Il principio di non discriminazione 
e il Trattato di Amsterdam, in Riv. it. dir. Pubb. Comun., 2000, p. 851 e D.U. GALETTA, Il 
principio di proporzionalit� comunitario e il suo effetto di �spill over� negli ordinamenti nazionali, in 
Nuove aut, 2005, p. 541. Una ricostruzione giurisprudenziale comunitaria sull�applicazione del principio 
di integrazione � in M. C. CAVALLARO, Il principio di integrazione come strumento di tutela dell�ambiente, 
in Riv. Ital. Dir. Pubb. comun., 2007, specie p. 473 e ss. 
(39) Nel nostro ordinamento con la legge n. 15/05, di modifica della legge n. 241/90, tutti i principi 
dell�ordinamento comunitario, compresi dunque quelli relativi all�ambiente, sono stati riconosciuti 
espressamente come �principi generali dell�attivit� amministrativa�. Assume particolare significato, 
nell�ottica di prevalenza della tutela ambientale rispetto ad altri pur �primari� interessi (quale quello 
allo sviluppo di energia da fonti rinnovabili), una recentissima vicenda in tema di tutela del paesaggio, 
originata dalla contestata legittimit� di provvedimenti della Regione Puglia di imporre limiti pi� restrittivi 
per la realizzazione di un parco eolico all�interno di un sito rientrante nelle aree della Rete Natura 2000, 
limiti che vietano del tutto l�eolico non finalizzato all�autoconsumo. Sulla questione pregiudiziale sottoposta 
dal TAR Puglia alla Corte di Giustizia CE cfr. le Conclusioni dell�Avvocato Generale Jan Mazak 
presentate il 14 aprile 2011 in Causa C- 2/10. Nella fattispecie si tratta di contemperare quanto previsto 
dalle tre direttive UE: quella che promuove l�energia rinnovabile, la direttiva �Uccelli� che tutela l�avifauna 
e la direttiva �Habitat� che tutela gli habitat naturali e la biodiversit�. L�Avvocatura Generale della 
UE, ritenendo la normativa della Regione Puglia non contraria alle sopra citate direttive, ha proposto 
alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale sottopostale dal Tribunale Amministrativo Regionale 
per la Puglia, precisando che la citata normativa comunitaria non osta all�adozione, da parte di uno Stato 
membro, di provvedimenti nazionali pi� rigorosi che vietino l�installazione di impianti eolici non finalizzati 
all�autoconsumo all�interno di un sito Natura 2000, �a condizione che il divieto sia conforme alle 
politiche ambientali ed energetiche dell�Unione, che non sia contrario al principio della parit� di tratta-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 289 
Tra i principi ambientali specifici della materia, su cui � fondata la politica 
dell�Unione, l�art. 191 del Trattato indica, primo tra gli altri, il principio 
di precauzione (40). Inserito nel Trattato CE solo con il Trattato di Maastricht, 
esso rappresenta uno sviluppo del principio di prevenzione. Il suo significato 
non � rinvenibile nella norma del Trattato, che si limita ad enunciarlo, bens� 
nella Dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992 (principio 15), ove si specifica 
che �in caso di rischio di danno grave o irreversibile, l�assenza di certezza 
scientifica assoluta non deve servire da pretesto per rinviare l�adozione di misure 
adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado 
ambientale� (41). 
Tale principio implica dunque l�adozione, in presenza di un dubbio scientificamente 
attendibile, ancorch� in assenza di conoscenze scientifiche certe 
circa la nocivit� per l�ambiente di una determinata attivit�, di misure di tutela 
ambientale. Si pone perci� un obbligo in capo alla comunit� nel suo complesso 
(il legislatore ma anche le P.A. ed i soggetti privati) di porre in essere azioni 
cautelative a tutela dell�ambiente, pur in presenza soltanto di un rischio di 
danno che ad una valutazione scientifica obiettiva appaia significativo per lo 
stesso. Da un lato, quindi, la mancanza di prova scientifica certa non pu� essere 
usata come pretesto per non adottare o rinviare l�adozione di efficaci misure 
di protezione; dall�atro, l�individuazione del rischio deve avvenire sulla 
base di valutazioni scientifiche obiettive. Evidente appare il collegamento del 
principio precauzionale sia con il principio dell�elevato livello di protezione, 
sia con la previsione in base alla quale l�azione ambientale deve essere fondata 
sui dati scientifici e tecnici disponibili. Tale ultimo profilo conferma la scientificit� 
del diritto dell�ambiente. Ma in ragione dei costi, spesso elevati, delle 
misure precauzionali occorre che la loro adozione sia preceduta da una rigorosa 
applicazione del principio di proporzionalit� al fine di ponderare adeguatamente, 
dopo attenta analisi dei costi e benefici dell�azione, l�entit� del rischio 
e danno temuto, da una parte, ed il grado di incisivit� di dette misure sulle libert� 
economiche antagoniste. 
Tra le norme comunitarie che possono additarsi come esempio di disciplina 
adottata sulla base di tale principio, si annoverano le due direttive sui 
microrganismi geneticamente modificati (OGM), rispettivamente la direttiva 
mento e che non vada oltre quanto necessario per realizzare lo scopo perseguito, circostanze, queste, 
che devono essere accertate dal giudice del rinvio �. 
(40) Tra i contributi sul principio di precauzione cfr. G. MANFREDI, Note sull�attuazione del principio 
di precauzione nel diritto pubblico, in Dir. Pubbl., 2004, p. 1075 e ss: F. TRIMARCHI, Principio di 
precauzione e �qualit�� dell�azione amministrativa, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2005, p. 1673 e ss; F. 
DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nell�amministrazione di rischio, Giuffr�, 2005; A. BARONE, 
Il diritto del rischio, Giuffr�, 2006. 
(41) Gli elementi costitutivi e i criteri applicativi per l�applicazione del principio di precauzione 
sono indicati nella Comunicazione della Commissione CE adottata il 2 febbraio 2000.
290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
n. 98/81/CE, recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 12 aprile 2001, n. 206 
e la direttiva 2001/18/CE, recepita con il d.lgs. 8 luglio 2003 n. 224. 
Ad esse si aggiunge la direttiva 2004/40/CE sull�esposizione dei lavoratori 
ai rischi derivanti dai campi elettromagnetici. 
La rilevanza di tale principio, come principio generale del diritto comunitario, 
emerge anche dall�analisi della giurisprudenza comunitaria. In proposito 
si sottolinea che il Tribunale di Primo Grado, nei casi riuniti T74/00 e T76/00, 
Artegodan a.o. c. Commissione, relativi alla produzione di medicinali destinati 
al genere umano, ha ritenuto che tale principio, sebbene esplicitato nel Trattato 
in materia ambientale, abbia un ambito applicativo ben pi� vasto e debba essere 
applicato in modo da garantire un elevato livello di protezione nella tutela della 
salute pubblica, della sicurezza dei consumatori e dell�ambiente, anche in attuazione 
del principio di integrazione, dando precedenza alle esigenze ambientali 
rispetto a quelle economiche. 
Inoltre, nel caso C127/02, Vogels c. Staatssecretaris van Landbouw, la 
Corte di Giustizia ha ritenuto necessario rafforzare le sue posizioni con riferimento 
al principio di precauzione (relativamente all�art. 6 della direttiva 92/43 
sulla conservazione degli habitats naturali), principio ritenuto �una delle fondamenta 
dell�alto livello di protezione perseguito dalla politica ambientale comunitaria�. 
Sul piano interno, va detto che anche tale principio costituisce un principio 
generale dell�attivit� amministrativa in materia ambientale, ai sensi dell�art. 1, 
c. 1 della legge n. 241/90. Tale legge, infatti, come modificata dalla legge n. 
15/05, prevede che tutti i principi dell�ordinamento comunitario, compresi dunque 
quelli relativi all�ambiente, sono principi generali dell�attivit� amministrativa. 
La riconosciuta precettivit� del principio nei riguardi delle P.A. ha indotto 
la dottrina ad interrogarsi circa il possibile riconoscimento a questa di poteri impliciti, 
in violazione dei principi di legalit� e tipicit� dei poteri amministrativi. 
Si � per� ritenuto di superare tali perplessit�, muovendo dal rilievo che il principio 
di precauzione opera direttamente nei riguardi dell�attivit� amministrativa 
soltanto all�interno degli spazi di discrezionalit�, anche tecnica, rimessi dal legislatore 
alla P.A. e sempre nel rispetto del principio di proporzionalit� (42). 
Altro principio basilare della tutela ambientale � il principio di prevenzione. 
Scopo primario di tale principio � quello di evitare il rischio stesso che si 
verifichino danni all�ambiente. Si riconducono perci� a tale principio tutte le 
norme in tema di pianificazione ambientale nonch� quelle in cui sia previsto di 
autorizzare previamente la realizzazione di un�opera o lo svolgimento di attivit� 
potenzialmente nocive per l�ambiente. La ratio della procedura di VIA e di VAS, 
ma anche dell�AIA, comՏ noto si basa essenzialmente su tale principio. 
(42) Cfr. M. RENNA, cit., p. 688.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 291 
Esso presenta tratti comuni al principio di precauzione, in quanto entrambi 
condividono la natura anticipatoria rispetto al verificarsi di un danno, ma dallo 
stesso differisce in quanto mentre il principio di prevenzione presuppone rischi 
conosciuti e scientificamente provati relativi a comportamenti o a prodotti per i 
quali esiste la piena certezza circa la loro pericolosit� per l�ambiente, il principio 
di precauzione presuppone invece non la piena certezza scientifica ma solo un 
principio di prova scientifica di danni per l�ambiente. 
Nella sequenza logico-temporale scandita dall�art. 191 nell�indicazione dei 
principi, dopo il principio di precauzione e quello di prevenzione figura il principio 
di correzione innanzitutto alla fonte dei danni causati all�ambiente. 
Anche con riguardo a tale principio, il significato va desunto dal diritto comunitario 
derivato. In senso stretto esso implica che ove non sia stato possibile 
evitare i danni mediante il ricorso ai principi di precauzione e prevenzione, occorre 
intervenire ex post a correggerli, per ripristinare nella misura possibile lo 
status quo ante, e nel provvedere al ripristino si deve intervenire innanzitutto 
sulla fonte dei danni. 
La normativa in tema di bonifiche dei siti inquinati rappresenta un chiaro 
esempio di applicazione del principio, come pure quelle disposizioni che consentono, 
in caso di superamento di determinati valori limite di certe sostanze 
nell�aria, di vietare o limitare la circolazione degli autoveicoli. Attuazione di 
tale principio � anche la regola della prossimit� o autosufficienza, che caratterizza 
la normativa sui rifiuti, in base alla quale i rifiuti devono essere gestiti nel 
luogo pi� vicino possibile a quello in cui gli stessi sono prodotti e dunque il pi� 
vicino possibile alla loro fonte (43) . 
Infine, il principio �chi inquina paga� costituisce l�affermazione sul piano 
giuridico di un principio economico secondo cui i costi dei danni causati all�ambiente 
gravano sui soggetti responsabili degli inquinamenti. 
Esso nasce nell�ordinamento comunitario con una valenza preventiva e solo 
successivamente assume una connotazione risarcitoria. 
Finalit� del principio � quella di disincentivare le attivit� e tutti i comportamenti 
che incidono negativamente sull�ambiente e, viceversa, incentivare le 
scelte ambientalmente virtuose quali ad esempio quelle delle imprese che investono 
in tecnologie pulite. Campo di applicazione privilegiato per tale principio 
� dunque il settore dei c.d. strumenti economici o volontari di tutela dell�ambiente. 
Il rispetto di tale principio per le imprese � funzionale anche all�esigenza 
di garantire che nel mercato comune non sia falsata la concorrenza. Eventuali 
deroghe in peius agli standards ambientali, cui le imprese devono adeguarsi 
sostenendone i relativi costi, non devono infatti tradursi in illeciti aiuti di Stato. 
(43) Cfr. Corte di Giustizia 9 luglio 1992, C-2/90.
292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
D�altro canto, resta la necessit� di verificare che le misure di incentivazione 
ambientale adottate sulla base di tale principio siano compatibili con il mercato 
comune ai sensi dell�art. 107 TFUE (ex art. 87 TCE). 
Costituiscono attuazione del principio, con valenza soprattutto sanzionatoria, 
le disposizioni relative al risarcimento del danno ambientale e alla bonifica 
dei siti contaminati. La valenza distributiva del principio � invece delle 
disposizioni sul riparto dei costi di prevenzione del danno ambientale e quelle 
sul riparto degli oneri relativi alla gestione dei rifiuti (44). 
Con riguardo agli strumenti economici (45), oltre alle disposizioni sulla 
tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, sulla tariffa del servizio idrico integrato 
e le c.d. ecotasse o gli incentivi e agevolazioni fiscali ambientali, vanno menzionate 
le norme concernenti la negoziazione dei permessi o diritti di inquinamento 
(c.d. certificati verdi e bianchi). 
III. L�AMBIENTE NEL SISTEMA COMUNITARIO DELLE LIBERT� ECONOMICHE 
3.1 La tutela ambientale come deroga speciale alla libert� di concorrenza 
Non vՏ dubbio che l�interesse ambientale costituisca una variabile di 
complessa valutazione per qualsivoglia ordinamento giuridico tenuto a fronteggiare, 
anche con la creazione di nuovi strumenti, quello che non a torto � 
stato definito un vero e proprio �sconvolgimento� (46) provocato da tale peculiare 
interesse. 
Sin dalla loro comparsa nel mondo del diritto, gli interessi ambientali 
hanno infatti imposto revisioni degli schemi consueti dell�azione amministrativa, 
attraverso la creazione di tecniche, metodi, strumenti di azione improntati 
a logiche diverse da quelle tradizionali (47). 
L�indubbia �intensit�� della loro tutela e la loro �intrinseca dinamicit�� 
(48) hanno indotto prospettazioni persino olistiche della questione ambientale, 
tali da attribuire rango primario e sovraordinato agli interessi in questione, po- 
(44) Per gli oneri connessi alla c.d. rottamazione degli autoveicoli ed elettrodomestici, cfr. la direttiva 
2000/53/CE, modificata dalla direttiva 2008/33/CE, e la direttiva 2002/96/CE, modificata dalla 
direttiva 2003/108/CE. 
(45) Cfr. M. CLARICH, La tutela dell�ambiente attraverso il mercato e N. LUGARESI, Ambiente, 
mercato, analisi economica, discrezionalit�, in Associazione Italiana dei Professori di diritto amministrativo 
(AIPDA) Annuario 2006, Giuffr� 2007; M. CAFAGNO, op. cit., p. 433 e ss.; A. LOLLI, L�amministrazione 
attraverso strumenti economici: Nuove forme di coordinamento degli interessi pubblici e 
privati, Bononia University Press, 2008. 
(46) Cfr. M. MAZZAMUTO, cit., p.1573. Cfr. inoltre, D. AMIRANTE, Diritto ambientale italiano e 
comparato, Jovene, 2003. 
(47) F. SPANTIGATI, Le categorie necessarie per lo studio del diritto dell�ambiente, in Riv. giur. 
amb., 1999, p. 236. 
(48) Cfr. G. MORBIDELLI, Profili giurisdizionali e giustiziali nella tutela amministrativa dell�ambiente, 
in S. GRASSI, M. CECCHJETTI, A. ANDRONIO (a cura di), Ambiente e diritto, II, Leo S. Oishki, 
1999, p. 310. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 293 
tendo attingere anche al nuovo pi� ampio concetto di sviluppo sostenibile. 
Ora, se nell�ambito degli ordinamenti interni prendersi cura di tali interessi, 
come compito pubblico, ha riproposto sul piano del metodo la nota dialettica 
gianniniana tra autorit� e libert�, e dunque la massima espressione di esercizio 
di discrezionalit� amministrativa, quando non addirittura politica, nell�ambito 
dell�ordinamento della Comunit� Europea la presa in considerazione di tali 
�nuovi� interessi ha determinato uno �sconvolgimento� ancor maggiore per 
l�impatto sull�impianto generale del sistema comunitario improntato, comՏ 
noto, al paradigma delle libert� economiche. 
La primazia di dette libert� � infatti apparsa in qualche misura in contraddizione 
con quella degli interessi ambientali, e ci� ancor prima della formale 
codificazione dei principi che presidiano oggi la tutela di questi ultimi. Gi� 
nel 1985, infatti, fu la stessa Corte a porre le basi per la normazione successiva, 
nel qualificare l�interesse ambientale come uno degli scopi essenziali della 
Comunit� (Corte Giustizia sentenza 7 febbraio 1985, causa C 240/83), avente 
in quanto tale la possibilit� di limitare le libert� di circolazione. Tale rango di 
essenzialit� � stato poi confermato nella successiva costruzione dei principi e 
della normativa: l�elevato livello di protezione; il principio di integrazione; la 
possibilit� per gli Stati membri di provvedere con misure di protezione anche 
maggiori, attestano l�attribuzione di un rango di sicura primariet� (anche) agli 
interessi ambientali. 
Di fronte a tale �aporia� di sistema, l�esigenza di mantenere ferma la primazia 
delle libert� economiche, nel contesto di un assetto concorrenziale dei 
mercati, ha prodotto un approccio tendenzialmente restrittivo delle limitazioni 
di tali libert� sia nell�an sia nella misura (49). In tali termini si spiega quel 
ruolo di filtro svolto dall�ordinamento comunitario, innanzitutto in ordine alla 
selezione dei fini/interessi atti a giustificare le limitazioni (tipicit� comunitaria) 
ed anche in ordine alla stretta applicazione del principio di proporzionalit�, 
alla cui stregua informare le deroghe alle libert� economiche. 
Se pure va dato atto che il catalogo dei fini pubblici comunitari si � progressivamente 
esteso ad opera della stessa giurisprudenza comunitaria (50), 
resta indubbia la connotazione segnatamente derogatoria, quindi di eccezione, 
delle restrizioni alle libert� economiche. Ed infatti la Corte nei casi che le vengono 
sottoposti decide verificando 1) se una certa misura sia restrittiva delle 
libert� economiche 2) se si fonda su un fine pubblico rientrante nel catalogo 
dei fini comunitari 3) se tale misura sia proporzionata. Secondo la Corte in- 
(49) In tali termini M. MAZZAMUTO, cit. p. 1574 e ss. 
(50) La direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, al Considerando 40, aggiorna 
i �motivi imperativi di interesse generale� tenendo conto proprio dei precedenti giurisprudenziali della 
Corte. Tra tali motivi si sottolinea la specificazione, accanto alla protezione dell�ambiente, soprattutto 
della �protezione dell�ambiente urbano, compreso l�assetto territoriale in ambito urbano e rurale�, gli 
obiettivi di politica culturale �, la conservazione del patrimonio nazionale storico e artistico...�.
294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
fatti:� qualsiasi provvedimento nazionale che possa ostacolare o scoraggiare 
l�esercizio di dette libert� � giustificabile solo se soddisfa quattro condizioni: 
deve applicarsi in modo non discriminatorio, soddisfare ragioni imperative di 
interesse pubblico, essere idoneo a garantire il conseguimento dello scopo perseguito 
e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo� 
(Corte Giustizia sentenza 26 gennaio 2006 causa C 514/03). 
Tale schema resta ancora valido. Cos� ad esempio, facendo applicazione 
del principio di proporzionalit�, viene ritenuta restrittiva della libert� di circolazione 
delle merci una misura statale in materia di controllo sullo stato fisico 
dei veicoli, a tutela della sicurezza stradale e dell�ambiente, di cui non 
risulta provata la proporzionalit�, ci� perch� l�esigenza di tutela dell�ambiente 
deve nondimeno essere idonea a garantire la realizzazione dell�obiettivo perseguito 
e non andare oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (Corte 
Giustizia sentenza 20 settembre 2007, causa C 297/05). 
Pi� di recente, la Corte con due fondamentali sentenze del 9 marzo 2010 
(nella causa C 378/08 e nelle cause riunite C 379/08 e C 380/08), in tema di 
responsabilit� ambientale nella bonifica dei siti, dopo aver precisato la stretta 
correlazione tra il principio di precauzione ed il principio di proporzionalit�, 
ne ha chiarito la concreta operativit�. Ed infatti, in tali pronunce la Corte, pur 
affermando che la direttiva n. 2004/35 non contrasta con una normativa nazionale 
che consenta all�autorit� competente di subordinare l�esercizio del diritto 
degli operatori destinatari di misure di riparazione ambientale all�utilizzo 
dei loro terreni alla condizione che essi realizzino i lavori imposti da queste 
ultime, ci� persino quando detti terreni non siano interessati da tali misure perch� 
sono gi� stati oggetto di precedenti misure di bonifica o non sono mai stati 
inquinati, ha tuttavia precisato che �una misura di questo tipo deve essere giustificata 
dallo scopo di impedire il peggioramento della situazione ambientale 
dove dette misure sono poste in esecuzione oppure, in applicazione del principio 
di precauzione, dallo scopo di prevenire il verificarsi o il ripetersi di altri 
danni ambientali nei detti terreni degli operatori, limitrofi all�intero litorale 
oggetto di dette misure di riparazione �. Ma, nell�invocare il principio di precauzione 
la Corte ha ulteriormente precisato che occorre esaminare se misure 
di tal genere, consentite dalla normativa nazionale, non eccedano i limiti di 
ci� che � idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimamente 
perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile 
una scelta tra pi� misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva 
e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto 
agli scopi perseguiti (51). 
(51) Cfr. anche Corte di Giustizia CE sentenze 12 luglio 2001, causa C-189/01; 7 luglio 2009, 
causa C-558/07, nonch� 9 marzo 2010, cause riunite C-379/08 e C-380/08; Corte Giustizia CE, Sez. IV, 
8 luglio 2010, Sentenza C-343/09; Corte Giustizia CE 5 febbraio 2004, n. 24.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 295 
La prospettiva giurisprudenziale comunitaria in altri termini esclude la 
sovraordinazione dell�interesse ambientale. Pur tuttavia tale interesse, allo 
stato attuale del diritto comunitario, sembra connotarsi di una valenza specifica 
che conferisce ad esso portata derogatoria maggiore. Gi� attraverso l�applicazione 
da parte della Corte del principio di integrazione si registrano, infatti, 
sensibili deroghe alla libera circolazione delle merci. Ma un ulteriore segno 
evidente della progressiva imposizione di vincoli ambientali si riscontra nell�evoluzione 
in materia di aiuti di Stato, strumento tipico di deroga alla concorrenza, 
nonch� nell�adeguamento del settore degli appalti pubblici alle 
esigenze di protezione ambientale. 
3.2 La giurisprudenza comunitaria sui limiti alle deroghe: principio di integrazione 
e principio di proporzionalit� nel bilanciamento degli interessi 
L�orientamento giurisprudenziale comunitario appare quindi orientato ad 
individuare punti di equilibrio nella giustificazione delle deroghe al principio 
della libera circolazione delle merci. L�analisi della giurisprudenza gi� della 
fine degli anni �80 evidenzia tale tensione: l�esigenza di bilanciare il principio 
di integrazione, pur in assenza di una sua esplicita formulazione, delle politiche 
comunitarie per una migliore tutela dell�ambiente, con altri principi rilevanti, 
quali il principio di non discriminazione o il principio di proporzionalit� (52). 
Ad esempio, con sentenza del 9 luglio 92, C 2/90, la Corte afferma che 
le esigenze di tutela dell�ambiente giustificano l�adozione di misure restrittive 
alla libert� di circolazione, quali il divieto assoluto da parte di uno Stato membro 
di depositare nel proprio territorio rifiuti provenienti da un altro Stato 
membro. Ai sensi dell�art. 130 TCE, secondo la Corte, ciascuna regione comune 
o ente locale deve adottare le misure adeguate al fine di garantire l�accoglimento, 
il trattamento e lo smaltimento dei propri rifiuti; i quali devono 
essere smaltiti in quanto possibile nel luogo di produzione, al fine di limitare 
il loro trasporto. Cosicch� non pu� essere considerata discriminatoria una misura 
che vieti l�ingresso di rifiuti nocivi. 
Con altra pronuncia, del 13 luglio 1994, C 131/93, si stabilisce che il divieto 
di importazione dei gamberi d�acqua dolce imposto da uno Stato membro, 
al fine di preservare e garantire la specie indigena dal rischio della 
propagazione della peste dei gamberi, risulta una misura eccessiva e non proporzionata 
rispetto all�obiettivo che la misura tende a realizzare (tutela dell�ambiente 
e dell�ecosistema). Pertanto, conclude la Corte, nel bilanciamento 
tra il principio di integrazione ed il principio di proporzionalit� prevale que- 
(52) Per una attenta ricostruzione giurisprudenziale, cfr. M.C. CAVALLARO, Il principio di integrazione, 
cit., p. 475; G. CHITI, Il principio di non discriminazione e il Trattato di Amsterdam, in Riv. It. 
Dir. Pubb. Comun. 2000, p. 851; D.U. GALETTA, Il principio di proporzionalit� comunitario e il suo effetto 
di �spill over� negli ordinamenti nazionali, in Nuove Autonomie, 2005, p. 541.
296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
st�ultimo, in considerazione del fatto che la tutela della specie dei gamberi 
avrebbe potuto essere realizzata con altro tipo di intervento. 
Ed ancora in tema di proporzionalit�, con sentenza del 15 novembre 2005, 
C 320/03, la Corte precisa che se uno Stato, allo scopo di proteggere la qualit� 
dell�aria e dell�ambiente, vieta agli autocarri con peso superiore alle 7,5 tonnellate 
che trasportano determinate merci di circolare su un certo tratto di strada, 
esso ostacola la libera circolazione delle merci e viene meno agli obblighi del 
Trattato. Tale divieto, secondo la Corte, non pu� essere giustificato dall�esigenza 
di tutela dell�ambiente, se non viene dimostrato che lo stesso obiettivo 
non pu� essere realizzato con misure meno restrittive alla libert� di circolazione. 
Nella fattispecie in questione, il sacrificio imposto alla circolazione delle merci 
� stato ritenuto non proporzionato rispetto allo scopo che la misura si prefiggeva.
Con sentenza del 17 settembre 2002, C 513/99, si opera invece una esplicita 
applicazione del principio di integrazione. Chiamata a pronunciarsi sulla 
possibilit� che tra i criteri per l�aggiudicazione di un appalto per la gestione 
della rete di autobus nel comune di Helsinki, siano introdotti criteri di natura 
non prettamente economica, con l�assegnazione di punti suppletivi ad un�impresa 
che garantisce basse emissioni sonore e di ossido di azoto delle vetture 
utilizzate, la Corte ha ammesso che nel valutare un�offerta economicamente 
pi� vantaggiosa, l�amministrazione aggiudicatrice possa tener conto di criteri 
non economici, se questi consentono di realizzare effetti positivi in materia di 
protezione ambientale. Con successiva sentenza del 4 dicembre 2003, C 448/01, 
si � poi precisato che la normativa comunitaria in materia di appalti pubblici 
non impedisce che un�amministrazione aggiudicatrice adotti, quale criterio per 
valutare un�offerta economicamente pi� vantaggiosa per assegnare un appalto 
di fornitura di energia elettrica, un criterio di aggiudicazione che imponga la 
fornitura di elettricit� da fonti di energia rinnovabile. Spetta poi al giudice nazionale 
verificare che la previsione di tale criterio sia avvenuta nel rispetto del 
principio di parit� di trattamento e di trasparenza nelle procedure di aggiudicazione 
degli appalti (53). 
In altri casi la Corte ha ammesso deroghe alla disciplina degli aiuti di Stato 
alle imprese, come nella sentenza 13 marzo 2001 C 379/98. Si � infatti ritenuta 
legittima una disciplina che prevede forme di sovvenzione indiretta a favore 
delle imprese che producono energia da fonti rinnovabili, in ragione dell�utilit� 
di tali fonti per la protezione dell�ambiente. La Corte ha quindi ritenuto che 
non costituisca aiuto di Stato una normativa statale che da un lato obbliga le 
imprese private di fornitura di energia elettrica ad acquistare l�energia da fonti 
(53) In argomento, cfr. A. GRATANI, La tutela ambientale nel diritto comunitario degli appalti 
pubblici, in Riv. Giur. Amb., 2003, p. 857. Della stessa A. anche L�energia elettrica da fonti rinnovabili 
e il vaglio del criterio di �positivit� ambientale� negli appalti, in Riv. giur. amb. 2004, p. 251.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 297 
rinnovabili, a prezzi minimi superiori al valore economico reale; dall�altro lato, 
ripartisce l�onere finanziario tra dette imprese di fornitura ed i gestori delle reti. 
Pi� articolata la pronuncia 24 luglio 2003, C 280/00, sempre in materia di 
aiuti di Stato, nella quale si precisa che l�aiuto pu� essere concesso per esigenze 
ambientali, a condizione che la misura dell�aiuto rappresenti la contropartita 
delle prestazioni effettuate dalle imprese beneficiarie per assolvere gli obblighi 
di servizio: ci� al fine di evitare che le stesse imprese possano trarre un vantaggio 
finanziario con alterazione della libera concorrenza. 
E� da dire che con la disciplina introdotta nel 2008 gli aiuti di Stato all�ambiente 
hanno segnato una fase di intensificazione di tutela rispetto ai programmi 
precedenti (54), con l�obiettivo di realizzare l�esigenza dell�integrazione 
del valore ambientale nelle politiche di sviluppo. Tale disciplina � particolarmente 
significativa in quanto evidenzia una strategia dell�Unione nei rapporti 
con il mondo imprenditoriale sempre meno improntata all�imposizione di obblighi 
e sanzioni e sempre pi� rivolta verso forme di incentivazione e promozione 
di comportamenti ecosostenibili (55). 
In particolare, si assiste ad un ridimensionamento del principio �chi inquina 
paga�, la cui osservanza pu� risultare non soddisfacente per lo sviluppo 
di politiche europee sostenibili, sia sul versante ambientale che su quello produttivo. 
La Commissione ha infatti rilevato che l�applicazione del principio 
�chi inquina paga� non consente, in primo luogo, di determinare il costo esatto 
dell�inquinamento. L�inadeguatezza di strumenti prevalentemente sanzionatori 
per la valorizzazione degli interessi ambientali, nell�ambito dei processi produttivi, 
ha imposto, pertanto, l�introduzione di principi e strumenti diversi atti 
a garantire un livello di tutela dell�ambiente pi� elevato a fronte di incentivi 
positivi per le imprese. 
Espressione dell�approccio trasversale del diritto ambientale, che attua in 
pieno il principio di integrazione, � inoltre il settore dei c.d. �appalti verdi�, in 
riferimento al quale va segnalata la Comunicazione della Commissione su �Appalti 
pubblici per un ambiente migliore� del 16 luglio 2008, che fa parte del 
piano d'azione sul consumo e sulla produzione sostenibili nonch� sulla politica 
industriale sostenibile (SCP/SIP), contenente un quadro per l�attuazione integrata 
di vari strumenti volti a migliorare l�efficienza energetica e ambientale 
dei prodotti (56). La logica � quella della �internalizzazione degli effetti esterni 
(54) Cfr. Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale Testo rilevante ai fini 
del SEE in GU C82 del 1 aprile 2008 nonch� il nuovo Regolamento CE n. 800/2008 sulle categorie di 
aiuti compatibili con il mercato comune (artt. 17 e ss). 
(55) Cfr. in tema P. FALLETTA, La �permeabilit�� e l�integrazione del valore ambiente nell�ambito 
delle politiche di sviluppo, in Amministrazioneincammino.luiss.it, 2009. 
(56) Si veda per� anche la Comunicazione della Commissione del 4 luglio 2001, Il diritto comunitario 
degli appalti pubblici e le possibilit� di integrare considerazioni di carattere ambientale negli appalti 
pubblici.
298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
mediante aggiustamenti dei prezzi. Grazie all�espediente costi e benefici ambientali 
possono essere internalizzati nei contratti pubblici� (57). 
La Commissione rileva, in particolare, che gli appalti pubblici possono 
determinare le tendenze della produzione e del consumo in quanto, grazie a 
una domanda sostenuta di beni �pi� ecologici� da parte delle pubbliche amministrazioni, 
si possono creare o ampliare i mercati di prodotti e servizi meno 
nocivi per l�ambiente, oltre ad incentivare le imprese a sviluppare tecnologie 
ambientali. Un utilizzo pi� sostenibile delle risorse naturali e delle materie 
prime andrebbe a vantaggio tanto dell�ambiente quanto dell�economia in generale, 
fornendo occasioni vantaggiose alle economie �verdi� emergenti. 
Scopo della Commissione � quello di potenziare gli acquisti verdi della pubblica 
amministrazione (Green Public Procurement o GPP) economicamente 
efficienti, soprattutto in settori in cui i prodotti ecologici non sono pi� costosi 
rispetto agli equivalenti non ecologici. Si tratta, anche in questo caso di una 
prospettiva che coniuga in maniera unitaria convenienza ambientale e sviluppo 
produttivo, tracciando una direzione particolarmente ferma e mirata della crescita 
economica (58). 
Alla luce di quanto sopra riportato, non sembra potersi dubitare del crescente 
riconoscimento comunitario dell�interesse ambientale e del suo rango 
primario. Di recente, in dottrina si � infatti sottolineato che, pur dovendo escludere 
prospettazioni unilateralistiche, �sono visibili le tracce di un dinamismo 
che tende a spingere in avanti la sua soglia di tutela� (59). 
Una lettura dinamica dell�obiettivo sancito nell� �elevata protezione�, unitamente 
ai riferimenti indicati nella norma di cui all�attuale art. 114 (ex art. 95 
del Trattato) (le proposte della Commissione, per garantire un elevato livello 
di protezione, tengono conto �degli eventuali nuovi sviluppi fondati su riscontri 
scientifici�; gli Stati membri possono introdurre disposizioni pi� rigorose 
fondate tra l�altro su nuove prove scientifiche; in tal caso se la norma nazionale 
� giustificata la Commissione esamina immediatamente l�opportunit� di 
proporre un adeguamento della misura di armonizzazione), ha indotto a ritenere 
che la politica ambientale comunitaria sia informata ad una �logica incrementalista� 
degli interessi ambientali. Una logica per� i cui esiti restano 
comunque affidati alle delicate operazioni di bilanciamento che la giurisprudenza 
comunitaria opera attraverso i consolidati �filtri� presidio delle libert� 
economiche (60). Tale logica sarebbe riconosciuta anche con riguardo all�ambito 
di azione riconosciuto, ex art.193, agli Stati membri per l�adozione di 
(57) Cfr. M. CAFAGNO, cit., p. 410. In questa prospettiva � la Strategia (CIPE) d�azione ambientale 
per lo sviluppo sostenibile in Italia approvata il 2 agosto 2002. Inoltre, in tema cfr. anche N. LUGARESI, 
Diritto dell�ambiente, Cedam, 2008. 
(58) Cfr. I. INDRIOLO, Il Green public procurement: gli �appalti verdi�, in R. ROTA (a cura di) Lezioni 
di diritto dell�ambiente, Aracne, 2009, p. 235 e ss. 
(59) Cfr. M. MAZZAMUTO, cit., p. 1581.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 299 
provvedimenti volti ad una �protezione ambientale ancora maggiore�. Si � infatti 
evidenziato che mentre l�art. 114 (ex art. 95), con riguardo alle tradizionali 
misure di armonizzazione, circoscrive l�azione degli Stati membri, non solo 
per l�ancoraggio ai consueti filtri comunitari ma anche per gli specifici presupposti 
previsti dal Trattato (approvazione della Commissione con verifica 
della sussistenza di �nuove prove scientifiche�; sussistenza di un �problema 
specifico� che giustifichi le nuove misure pi� protettive), in base all�art.193 
(ex art. 176) vi sarebbe pi� ampia libert� di azione degli Stati membri (ferma 
rimanendo comunque la �compatibilit� con i Trattati� per l�adozione delle misure 
di maggior protezione). 
L�interpretazione sistematica delle due citate norme (61) conduce a ritenere 
che anche la previsione di cui all�art. 193 del Trattato, che dispone solo 
un obbligo di notifica alla Commissione e non una sua preventiva autorizzazione, 
imponga di tener conto di quegli stessi presupposti sostanziali fissati 
dall�art. 114. In tal modo assicurando il bilanciamento tra beni di rango primario. 
3.3 Segue: Effetti del principio di integrazione nella giurisprudenza costituzionale 
italiana. Bilanciamento di interessi e competenza legislativa esclusiva 
dello Stato 
Appare chiaro da quanto detto che la valenza primaria degli interessi ambientali, 
in ambito comunitario, non implica subordinazione degli altri interessi 
aventi pari rango, ma impone delicate operazioni di bilanciamento, in attuazione 
del principio di integrazione congiuntamente al principio di proporzionalit�, 
sia pure nella nuova estensione a tutti i settori e ad ogni politica (come 
clausola generale per una tendenziale interpretazione in chiave ambientale 
delle norme comunitarie). A ben guardare, � proprio la logica sottesa al principio 
di integrazione ad escludere gerarchie di interessi. 
Riguardata sul piano interno - del nostro ordinamento - tale logica sembra 
trovare analogo sostrato concettuale soprattutto nel mutamento di indirizzo 
giurisprudenziale della nostra Corte Costituzionale. Ed infatti la �primariet�� 
del bene ambiente da �tutelare� attraverso la ricerca del �punto di equilibrio 
(60) Con riguardo al bilanciamento degli interessi nella regolazione del rischio comunitario, cfr. 
la sentenza della Corte di Giustizia del 22 dicembre 2010 causa C-77/09, nella quale si affronta la questione 
del bilanciamento tra libert� antagoniste nel sistema della regolazione del rischio legato alla commercializzazione 
di prodotti fitosanitari (c.d. caso Gowan). 
(61) A favore di una lettura sistematica dei due gruppi di norme, oltre a M. MAZZAMUTO, cit., p. 
1589, anche P. DELL�ANNO, Il principio di maggiore protezione nella materia ambientale e gli obblighi 
comunitari di ravvicinamento delle legislazioni nazionali, in Foro amm., TAR, 2002, p. 1431. Un diverso 
approccio interpretativo � prospettato da M. RENNA, Il sistema degli �standard ambientali� tra fonti 
europee e competenze nazionali, in Scritti in onore di Giorgio Berti, III, 2005, Jovene, p. 1962. In tema 
cfr. anche M. CECCHETTI, La disciplina giuridica della tutela ambientale come �diritto dell�ambiente� 
in www.federalismi.it, p. 131.
300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
sostanziale� (il contemperamento tra interessi di rilevanza costituzionale) sembra 
fondare la ratio alla base della ridefinita competenza legislativa esclusiva 
dello Stato (62). Secondo il nuovo indirizzo della Corte, infatti, solo lo Stato 
pu� assicurare �il punto di equilibrio sostanziale� ( tra contrapposti interessi) 
a fronte del quale l�ordine astratto delle competenze recede. In altri termini la 
cifra di riferimento resta, anche nel nostro ordinamento, il bilanciamento degli 
interessi. E ci� sia sul piano legislativo che amministrativo. 
L�iniziale slancio idealistico che aveva spinto la Corte a configurare l�ambiente 
come un �valore costituzionalmente protetto�, tale da incidere trasversalmente 
su differenti ambiti materiali e da legittimare interventi concorrenti 
di Stato e Regioni, purch� diretti alla massima protezione del valore, appariva 
ridimensionato gi� nelle sentenze della Corte del 2003, con le quali si affidava 
unicamente allo Stato il compito di bilanciare gli interessi ambientali con altri 
rilevanti interessi, in tal modo facendo prevalere una logica di �integrazione� 
piuttosto che di �maggior tutela�(63). Ma � a partire dalle pronunce n. 367 e 
378 del 2007, nelle quali si avvia la tesi della netta distinzione tra �tutela� e 
�fruizione� del bene ambiente, che si gettano le basi per la progressiva ricostruzione 
statocentrica della tutela ambientale, ricostruzione pi� compiutamente 
definita negli anni successivi (64). 
La pronuncia n. 378 assume particolare rilevanza per l�inquadramento 
dogmatico ed il complessivo �posizionamento giuridico� della dimensione 
ambientale nell�ordinamento (65). �Si opera una nuova �codificazione� della 
nozione giuridica di ambiente, riconsegnando un contenuto materiale al concetto 
di ambiente, �rimaterializzando� il valore in un oggetto tangibile�. Muovendo 
dalla prospettiva globale delle problematiche ambientali, prospettiva 
recuperata dagli esiti della Conferenza di Stoccolma del 1972, si concepisce 
l�ambiente in una dimensione �sistemica�. In quanto �equilibrio complessivo 
tra ecosistemi� ne deriva la necessit� di ricondurne allo Stato la disciplina, che 
pu� dettare �norme di tutela che abbiano ad oggetto il tutto e le singole componenti 
considerate come parti del tutto� (sentenza 378/07). Il �proficuo revi- 
(62) Cfr. le sentenze della Corte Costituzionale n. 380/07; n. 108/08; n. 62/08; n. 214/08; 104/08; 
n. 61/09; n. 10/09; n. 225/09. Ma gi� con sentenza n. 307/03 e n. 166/04 la Corte precisava che �la normativa 
statale � punto di equilibrio non derogabile�. 
(63) In tali termini P. FALLETTA, La strumentale distinzione tra tutela e fruizione in merito al riparto 
della competenza legislativa ambientale (nota a Corte Cost., 14 gennaio 2010, 1), in Amministrazione 
in cammino, 2010. 
(64) Cfr. la sentenza n. 70 del 2011 in materia di aree protette e la sentenza n. 67 del 2011 che definisce 
l�ennesima contesa di competenze tra Stato e Regioni sul terreno dell�installazione e della realizzazione 
di impianti da fonti di energia rinnovabili. Anche la pronuncia n. 151 del 21 aprile 2011, in 
materia di caccia e pesca, conferma il nuovo assetto. 
(65) Cfr. D. PORENA, L�ambiente come �materia� nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale: 
�solidificazione� del valore ed ulteriore �giro di vite� sulla competenza regionale, in federalismi.
it, n. 2/2009.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 301 
rement� della Corte (66) va oltre la ricostruzione generale dell�ambiente e l�attribuzione 
allo Stato dei compiti di tutela: il punto focale riguarda l�estensione 
che secondo la Corte la competenza statale � idonea ad avere. Secondo quanto 
affermato dalla Corte infatti: �la disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio 
di una competenza esclusiva dello Stato, investendo l'ambiente nel suo 
complesso, e quindi anche in ciascuna sua parte, viene a funzionare come un 
limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre 
materie di loro competenza�. Le Regioni, in altri termini, sono titolari di competenza 
legislativa su materie ed interessi che insistono sullo stesso oggetto, 
che toccano �incidentalmente� l�ambiente, ma che cedono poi di fronte al prevalere 
della disciplina unitaria del complessivo bene ambiente, rimessa in via 
esclusiva allo Stato. 
Anche la ricostruzione valoriale della tutela ambientale non viene negata: 
nella successiva sentenza n. 380/07 si precisa infatti che, proprio in quanto 
valore costituzionalmente protetto, l�ambiente � materia trasversale. L�ambiente 
� quindi sia un �valore�, e come tale �ispira� il diritto (67), costituendo 
un obiettivo che indirizza il legislatore, sia una �materia� che, riguardata dal 
punto di vista del suo contenuto, della sua �consistenza ontologica� (sistema 
complessivo� entit� organica, che ha ad oggetto il tutto e le singole componenti 
considerate come parti del tutto), reclama sul piano strumentale, forme 
di intervento pi� ampie e condivise possibili. 
Sotto il profilo valoriale, la ricerca di dati positivi cui ancorarne l�esistenza 
si colloca nella prima parte della nostra Costituzione, attraverso la tradizionale 
interpretazione del combinato disposto degli artt. 2, 9, 32 ma anche 
41, 42, 43, 44 Cost. (68). Con riguardo invece al secondo profilo rileva unicamente 
il dato costituzionale, per cos� dire, organizzativo: l�art.117, che attiene 
alla articolazione dei soggetti dell�ordinamento e alle loro competenze. 
Tale norma ha perci� come compito esclusivo quello di ripartire �materie�, 
non pone quindi questioni inerenti la (precostituita) dimensione anche valoriale 
dell�ambiente (69). Tale dimensione non comporta perci�, secondo la logica 
prospettata, la necessit� inderogabile di una tutela diffusa. �Se � vero che � 
l�ordinamento nel suo complesso a proclamare ed a perseguire un valore, in 
(66) Cos� P. DELL�ANNO, La tutela dell�ambiente come �materia� e come valore costituzionale 
di solidariet� e di elevata protezione, in Ambiente e sviluppo, n. 7/09, p. 585. 
(67) Cfr. R.BIN - G.PITRUZZELLA, Diritto Pubblico, Giappichelli, 2007, p. 220: �valori e interessi 
stanno fuori del diritto, nel senso che sono obiettivi che muovono il legislatore �. 
(68) Val la pena di sottolineare che gli articoli menzionati sono contenuti nei �Principi fondamentali� 
della Costituzione ed in particolare nei �Rapporti etico-sociali� e nei �Rapporti economici�. Non 
pu� sfuggire in tale sottolineatura la stretta analogia con quanto oggi stabilito anche a livello Comunitario 
(vedi quanto ricostruito nel paragrafo 1 e 2). 
(69) Osserva acutamente P. DELL�ANNO, cit., che �il riconoscimento della tutela dell�ambiente 
come �valore costituzionale� non comporta affatto la conseguenza preclusiva che la medesima sia configurata 
come una �materia�, in quanto i due concetti definiscono vicende diverse�.
302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
concreto ci� avviene mediante la ripartizione tra i poteri pubblici dei compiti 
fondamentali necessari al raggiungimento di tale scopo. Ed � cos�, dunque, 
che la tutela dell�ambiente rifluisce nella competenza legislativa esclusiva 
dello Stato, mentre la valorizzazione dei beni ambientali cade nell�area competenziale 
concorrente�(70). 
In tale quadro giurisprudenziale si iscrivono le due successive pronunce 
della Corte che hanno ulteriormente definito i contorni del nuovo assetto: la 
decisione n. 61/2009 e la decisione n. 225/09. 
Nella sentenza n. 61/2009, il cui antecedente logico � nelle precedenti 
sentenze n. 12/2009, n. 62, n. 104 e n. 105 del 2009, si perviene al definitivo 
superamento dell�indirizzo giurisprudenziale avviato dalla decisione n. 
407/2002, pronunzia con la quale si era impostato, all�indomani dell�entrata 
in vigore del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, un vero e 
proprio processo di �smaterializzazione� della materia ambiente (71). Con tale 
sentenza (n. 61/2009) si afferma invece il primato ed anzi l�esclusivit� delle 
potest� legislative dello Stato nel settore dell�ambiente, enunciando il principio 
per cui �Le regioni, nell�esercizio delle loro competenze, devono rispettare la 
normativa statale di tutela dell�ambiente, ma possono stabilire per il raggiungimento 
dei fini propri delle loro competenze (in materia di tutela della salute, 
di governo del territorio, di valorizzazione dei beni ambientali, ecc.) livelli di 
tutela pi� elevati...�. Non � quindi la materia ambiente in quanto tale ad essere, 
per cos� dire, frammentata e disarticolata, fino a farle assumere il carattere di 
(mero) valore, ma � piuttosto l�oggettiva connessione di fondamentali materie 
di competenza concorrente delle Regioni, implicate nelle politiche pubbliche 
di protezione ambientale, a determinare la capacit� diffusiva delle Regioni, 
sino al punto da poter legittimamente innalzare le soglie e gli standard di tutela 
ambientale nel territorio di competenza (72). 
Appare dunque ridefinita l�esclusivit� (e persino l�intangibilit�) delle 
competenze legislative dello Stato nel campo ambientale, nel senso che il ruolo 
pur attivo, e non di mero supporto, delle regioni dovr� essere tratto da altre 
(70) Cfr. D.PORENA, cit. il quale riprendendo le notazioni di P. DELL�ANNO (La tutela dell�ambiente 
come �materia�� cit.,) in merito alla funzione del �valore� che sarebbe quella di indicare �la rilevanza 
che l�ordinamento attribuisce al bene giuridico (�), la scala di priorit� nella quale � collocato nei confronti 
di altri beni giuridici ed interessi pubblici da tutelare, l�intensit� e l�estensione della tutela�, sottolinea 
che �il valore, dunque, ha un�immediata rilevanza nell�orientare le diverse manifestazioni della 
legalit�, ma non impedisce che le res che ne costituiscono, per cos� dire, l� �elemento oggettivo�, rifluiscano 
in una ripartizione di compiti e materie tra diversi livelli di governo�. 
(71) ComՏ noto, l�ambiente - in quella impostazione di continuit� con il passato - non veniva 
considerata una materia in senso tecnico, ma piuttosto un valore, e, in quanto tale, capace di mobilitare 
le competenze di tutti i soggetti del nostro sistema multilivello (e, segnatamente, le competenze legislative 
delle regioni, nonostante il chiaro tenore letterale della formula di cui all�art. 117, secondo, comma, 
lettera s) Cost.). 
(72) Cos� R. FERRARA, Ambiente (Corte Costituzionale, anno 2009) Report annuale � 2011 Italia 
(gennaio 2011), in www.ius-publicum.com.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 303 
materie (quelle di competenza concorrente), senza nulla togliere al valore ordinatore 
e dirimente della lettera s) dell�art. 117, primo comma, Cost. 
In questo modo, si ribadisce il principio per cui l�ambiente � un bene sempre 
e comunque �materiale�, oggettivamente �materiale" (innovando, anche 
su questo punto, la giurisprudenza costituzionale meno recente), e si conclude 
che, se lo Stato � tenuto ad assicurare �standard minimi di tutela�, ci� nulla 
toglie al fatto che i suddetti standard e livelli di protezione debbano comunque 
comportare una cura �adeguata e non riducibile dell�ambiente�. Protezione 
�adeguata" e non �riducibile", e pertanto �elevata�, che le singole regioni potranno 
eventualmente implementare, ma soltanto grazie alla attivazione di altre 
facolt� e potest�, nel solco dell�art. 117, terzo comma, Cost. (73) 
Ma � con la sentenza n. 225/2009 (74) che il quadro del nuovo assetto 
appare definito in tutti i suoi contorni. Tale pronuncia opera una preliminare 
chiarificazione della nozione di ambiente, richiamando la giurisprudenza pi� 
recente della Corte. si afferma, infatti che �La materia �tutela dell�ambiente� 
ha un contenuto allo stesso tempo oggettivo, in quanto riferito ad un bene 
(l�ambiente) e finalistico perch� tende alla migliore conservazione del bene 
stesso. Sull�ambiente concorrono diverse competenze statali e regionali, le 
quali, tuttavia, restano distinte tra loro, perseguendo autonomamente le loro 
specifiche finalit� attraverso la previsione di diverse discipline�. Sicch�, l�ambiente 
� sicuramente materia, si configura come oggetto materiale e relativamente 
ad esso si registra un concorso plurale di potest� statali e regionali, 
concorso i cui presupposti sono comunque costruiti all�insegna dei principi di 
autonomia e differenziazione/distinzione. �Sono affidate allo Stato la tutela e 
la conservazione dell�ambiente, mediante la fissazione di livelli �adeguati e 
non riducibili di tutela", mentre compete alle regioni, nel rispetto dei livelli di 
tutela fissati dalla disciplina statale, di esercitare le proprie competenze, dirette 
essenzialmente a regolare la fruizione dell�ambiente, evitando compromissioni 
o alterazioni dell�ambiente stesso�. Si conferma in tal modo l�orientamento 
gi� emerso con la pregressa decisione n. 61/2009, precisando che occorre distinguere 
nettamente fra una competenza (dello Stato) volta ad assicurare livelli 
adeguati e non riducibili di protezione ambientale e le potest� regionali 
dirette invece a disciplinare le forme concrete della fruizione (ossia del godi- 
(73) Le pronunzie successive alla decisione n. 61/2009, e, segnatamente la n. 12/2009 e la n. 
30/2009 confermano ampiamente i presupposti della sentenza n. 61/2009. Si ribadisce, in particolare, 
che la disciplina nazionale relativa alla protezione dell�ambiente gioca il ruolo di �limite�, nel senso 
che prevale sulle normative poste dalle regioni (anche a statuto speciale), pur in materie e settori di loro 
competenza. 
(74) Per un commento analitico e ricostruttivo di tale pronuncia cfr. P. MADDALENA, La tutela 
dell�ambiente nella giurisprudenza costituzionale, L�interpretazione dell�art.117 e dell�art. 118 della 
Costituzione secondo la recente giurisprudenza costituzionale in tema di tutela e fruizione dell�ambiente, 
in Federalismi.it, n. 9/2010, p. 15 nonch� F. FONDERICO, La Corte Costituzionale e il codice dell�ambiente, 
in Giornale di diritto amministrativo fasc. n. 4/2010, p. 368 e ss.
304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
mento) del bene ambiente, senza che tale godimento possa risolversi in un 
minus di tutela dell�ambiente medesimo. In sintonia con larga parte della giurisprudenza 
consolidatasi nell�anno 2009, si precisa altres� che �La competenza 
statale, quando � espressione della tutela dell�ambiente, costituisce un 
limite all�esercizio delle competenze regionali� di tal che �Le regioni stesse, 
nell�esercizio delle loro competenze, non devono violare i livelli di tutela dell�ambiente 
posti dallo Stato� mentre, allorch� si tratti di esercizio delle loro 
competenze, �possono pervenire a livelli di tutela pi� elevati, cos� incidendo, 
in modo indiretto sulla tutela dell�ambiente�. Tale possibilit� �, peraltro, 
esclusa nei casi in cui la legge statale debba ritenersi inderogabile, essendo 
frutto di un bilanciamento tra pi� interessi eventualmente tra loro in contrasto�. 
In altri termini, nei casi di c.d. attrazione in sussidiariet� da parte dello 
Stato di funzioni nelle materie concorrenti e residuali in qualche modo connesse 
a quella ambientale, si riconosce che quando la ratio legis imponga una 
disciplina unitaria nell�ambito di materie diversamente intestate in base alla 
costituzione, debbano al contempo prevedersi, in virt� del principio del concorso, 
adeguate forme di leale collaborazione in sede amministrativa (75). 
Anche riguardo al riparto di competenze amministrative la Corte ha segnato 
una netta discontinuit� rispetto all�assetto delineato dalla previgente disciplina 
(legge n. 59/97 e d.lvo n. 112/98), ritenendo che tale riparto non � 
intangibile ma pu� essere modificato nel rispetto dei principi costituzionali di 
sussidiariet�, differenziazione e adeguatezza. Cos� nel caso oggetto di vaglio 
costituzionale (nella sentenza 225/09 la Corte giudica della legittimit� costituzionale 
del d.lvo n. 152/06) si precisa che il legislatore delegato ben poteva 
modificare il previgente riparto, anche sottraendo o riducendo le competenze 
regionali, ogni qualvolta ci� si rivelasse necessario, in termini di effettivit� e 
funzionalit�, al fine di attuare compiutamente i principi e criteri direttivi contenuti 
nella legge delega (legge n. 308/04). 
In definitiva da quanto riportato emerge che anche nel nostro ordinamento 
la logica �incrementalista� di tutela ambientale viene declinata, in ossequio al 
principio di sussidiariet�, attribuendo alla sede centrale (lo Stato) poteri (rectius 
competenze legislative) inderogabili e non riducibili per la tutela e conservazione 
dell�ambiente. 
Si � osservato in dottrina (76) che il termine �tutela� indica non solo il 
compito di protezione giuridica del bene ma anche quello volto a fars� che 
detto bene �progredisca, migliori, si sviluppi�. In tal senso si comprende come 
la �materia� �tutela dell�ambiente� reclami una logica di �governance� del 
bene sistemico ambiente (77), governance da attuare � sul piano dinamico af- 
(75) Cfr. F. FONDERICO, cit. Secondo P. MADDALENA, cit., sarebbe sempre necessaria l�intesa 
�forte�. 
(76) MADDALENA, cit.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 305 
ferente la gestione complessiva del bene collettivo successivamente all�esercizio 
della competenza legislativa. Ma � proprio tale logica, che evidentemente 
esclude gerarchie di interessi, reclamando operazioni di bilanciamento (78) in 
un�ottica strategica dei diversi �primari� interessi, che fonda la ratio della 
competenza legislativa esclusiva dello Stato. In altri termini � la riconosciuta 
�primariet�� del bene sistemico ambiente ad incardinare la competenza legislativa 
al solo livello centrale. 
Del resto �se � vero che il conseguimento dello sviluppo sostenibile � anzitutto 
un problema di �riallineamento di scale� � quelle di estensione ridotta 
e a breve termine, proprie delle istituzioni umane e quelle, planetarie e di lungo 
termine, proprie dei cicli dinamici della biosfera � allora le funzioni normative 
di tutela e conservazione del �patrimonio ambientale della Nazione� non possono 
che spettare all�ente esponenziale della collettivit�, che dovrebbe garantire 
proprio quelle valutazioni di ampia scala� (temporale e territoriale) a 
beneficio delle presenti e delle future generazioni� (79). 
Quanto rilevato consente di evidenziare anche una stretta analogia di 
�trattamento� della materia ambientale tra l�ambito comunitario ed il nostro 
ordinamento. Ed infatti, pur rimanendo fermo che nel primo ambito la tutela 
ambientale resta una competenza concorrente tra i due livelli (comunitario e 
nazionale) ed il suo esercizio � regolato dal principio di sussidiariet�, mentre 
nel nostro ordinamento la relativa materia � di competenza esclusiva dello 
(77) Si � infatti notato (cfr. F. FONDERICO, cit.) che �la principale preoccupazione della nostra 
Corte � quella di desumere dalla natura della �cosa ambiente� regole sostanziali di tutela: prima ancora 
che criteri di riparto della competenza tra Stato e Regioni, si tratta di regole di governo del bene che il 
giudice costituzionale mostra di ritenere ontologicamente afferenti l�ambiente� (corsivo nostro). Riguardo 
al concetto di �governance� a livello europeo, che pu� rappresentare una specificazione del principio 
di sussidiariet�, cfr. �La governance europea � Un libro bianco (COM/2001/0428)�. Lo sviluppo 
della problematica inerente la �governance ambientale� non pu� evidentemente nemmeno essere accennata 
in questa sede, dati i limiti oggettivi del contributo. Per una ripresa del dibattito sulla governance 
in generale, si segnala il recente contributo di M.R. FERRARESE, La governance tra politica e diritto, Il 
Mulino, 2010. Con riguardo alle �nuove forme di governo dei beni collettivi� cfr. E. OSTRAM, Governare 
i beni collettivi, Cedam, 2009 (ed. orig., Cambridge, 1990). In tema non si pu� omettere il fondamentale 
lavoro di PAOLO GROSSI, "Un altro modo di possedere". L'emersione di forme alternative di propriet� 
alla coscienza giuridica postunitaria, Giuffr�, 1977; cfr. inoltre G. HARDIN, The Tragedy of the Commons, 
in �Science�, dicembre 1968. Sul dibattito relativo ai beni pubblici cfr. M. ARS�, I beni pubblici, 
in S. CASSESE, a cura di, Trattato di diritto amministrativo, Parte speciale, II, Giuffr�, 2003, 1705 ss.; 
M. RENNA, La regolazione amministrativa dei beni e destinazione pubblica, Giuffr�, 2004; A. POLICE, 
(a cura di), I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Giuffr�, 2008. 
(78) Lo scopo essenziale della normativa di tutela dell�ambiente consiste infatti nel bilanciamento 
tra le necessit� di impiego delle risorse ambientali e la necessit� di preservazione della capacit� prestazionale 
del sistema che esse concorrono a formare. 
(79) Cos� F. FONDERICO, cit. che rinvia a P. DELL�ANNO, cit. Tale A. sottolinea che �la sussidiariet� 
costituisce un�applicazione operativa del principio di solidariet�. E poich� la solidariet� ambientale si 
giustifica non solo con riguardo alle situazioni attuali ma ancor pi� nella prospettiva di salvaguardare 
le aspettative delle generazioni future, tale compito non pu� essere svolto efficacemente che da un�istituzione 
stabile e destinata ad un futuro durevole quale � quello statuale (in senso lato) �.
306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Stato, venendo la sussidiariet� in rilievo con riguardo alla sola allocazione 
delle funzioni amministrative, non sembra potersi disconoscere che anche 
nell�ordinamento comunitario l�ambiente sia riguardato innanzitutto come �valore� 
e conseguentemente come �materia�. 
Il rafforzamento nel nuovo Trattato del principio dello sviluppo sostenibile 
nel senso omnicomprensivo di sostenibilit� economica, sociale ed ambientale 
(sviluppo basato su � economia sociale di mercato e su di un elevato 
livello di tutela e di miglioramento della qualit� dell�ambiente art. 3 p. 3 del 
Trattato); l�espressa previsione tra i valori comuni agli Stati membri dell�Unione 
europea (ex art. 2 Trattato) del pluralismo e della solidariet�; ma soprattutto 
l�espresso riconoscimento del valore della tutela ambientale nella 
Carta dei diritti fondamentali dell�UE (l�art. 37 si colloca nel capo titolato �solidariet�� 
e la solidariet� costituisce uno dei �valori indivisibili ed universali� 
ex par. 2 del Preambolo della Carta) e l�attribuzione a tale Carta, con il Trattato 
di Lisbona, dello stesso valore giuridico dei Trattati (art. 6 TUE), non lasciano 
dubbi sulla attuale posizione della Comunit� europea riguardo la primariet� 
del valore della tutela ambientale. 
Ne emerge una nuova caratterizzazione dell�impianto programmatico che 
indirizza l�uso di pubblici poteri, non dissimile da quello tipico della nostra 
Costituzione (80), che potrebbe in futuro orientare diversamente le linee interpretative 
nell�ambito dello stesso ordinamento europeo. 
Attualmente, mentre in tale ordinamento, come gi� precisato, la riconosciuta 
primariet� della tutela ambientale non assume valenza di �assolutezza�, 
non implica cio� di per s� la attribuzione di un �peso� maggiore all�interesse 
ambientale nella fase di definizione (legislativa) degli obiettivi, per il nostro 
ordinamento pare potersi delineare una diversa prospettazione riguardo alla 
fase, per cos� dire, attuativa degli obiettivi, e cio� quella inerente �l�ambito 
della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalit�� 
laddove, per la �migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo 
sostenibile� il nostro legislatore, con la novella del 2008, ha stabilito 
che �gli interessi alla tutela dell�ambiente e del patrimonio culturale devono 
essere oggetto di prioritaria considerazione� (81). 
Ed infatti pur essendo vero che, dal punto di vista semantico, la qualificazione 
di �prioritario� (che precede, viene prima) non significa �prevalente� 
(80) A riguardo D. CHIRICO, La tutela dell�ambiente nell�Unione europea tra libert� d�impresa, 
solidariet� e territorio, in F. GABRIELE, A.M. NICO (a cura di ), La libert� multilivello dell�ambiente, 
Bari, 2005. Cfr. anche P. DELL�ANNO, cit., il quale osserva come l�art. 119, c. 2 della nostra Costituzione, 
ove ravvisa un collegamento tra sviluppo economico, coesione e solidariet� sociale, presenti un valore 
programmatico generale che richiama il principio di coesione e di solidariet� degli stati membri posto 
a fondamento delle politiche economiche e sociali indicate nel Trattato, ma ben si presta ad un�applicazione 
anche al settore ambientale. 
(81) Art. 3-quater (Principio dello sviluppo sostenibile) del d.lvo 152/06 come modificato dal 
d.lvo n. 4/08.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 307 
(che vale di pi�), non sembra potersi dubitare che sul piano giuridico � dove 
non avrebbe senso indicare solo un valore ordinale riguardo all�interesse ambientale 
� detta qualificazione implichi l�attribuzione di un �peso� maggiore, 
una superiorit� di spessore qualitativo nella valutazione comparativa degli interessi 
(82). 
Inoltre, con riguardo alla ratio desumibile dalla complessiva formulazione 
delle disposizioni legislative di cui alla citata novella del 2008, pu� rilevarsi 
che il complesso rapporto uomo-natura ne esce specificato attraverso uno sviluppo 
graduale dei concetti espressi nelle disposizioni medesime. Infatti, dalla 
prospettiva antropocentrica (�bisogni delle generazioni attuali e qualit� della 
vita delle generazioni future� (comma 1), precisate le modalit� di attuazione 
del principio dello sviluppo sostenibile nell�esercizio del potere discrezionale 
della P.A nel cui ambito �gli interessi alla tutela dell�ambiente e del patrimonio 
culturale� diventano �prioritari� (comma 2), anche nel rispetto del �principio 
di solidariet� per salvaguardare l�ambiente futuro� (comma 3) si passa ad una 
prospettiva di tutela �olistica�, �integrata�: �salvaguardare il corretto funzionamento 
e l'evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative 
che possono essere prodotte dalle attivit� umane� (comma 4). 
In tal modo, accreditando normativamente quella visione �oggettiva� 
della tutela ambientale teorizzata da tempo, in un�ottica di antropocentrismo 
desoggettivizzato (83), e pi� di recente ridefinita �in una dimensione tesa ad 
elevare il nuovo diritto ambientale al ruolo di �interfaccia� tra societ� e natura, 
che �monitorando e registrando i cambiamenti ecosistemici, retroagisce sui 
comportamenti umani allo scopo di promuovere un processo permanente di 
aggiustamento dei tempi storici ai tempi biologici, necessario alla salvaguardia 
delle nostre opportunit� di sopravvivenza, in quanto specie� (84). 
Conferma dell�assunto della primariet� ambientale nel significato sopra 
(82) Sia consentito rinviare a R. ROTA, Brevi note sui �nuovi� principi generali di tutela ambientale, 
in www.atrid.eu.it 4/2009, specie per le implicazioni sul tema della semplificazione. In tale lavoro 
si sottolinea l�emersione, dalle nuove disposizioni normative (d.lvo n. 4/08), di un�idea della tutela ambientale 
in senso circolare: l�ambiente come valore, principio e regola. La concezione �valoristica� dell�ambiente 
(ambiente come �categoria� in senso filosofico, predicato dell�agire, criterio che orienta), 
sembra infatti sottesa al �principio generale� ivi declinato (dello sviluppo sostenibile), principio che diventa 
anche �regola generale della materia ambientale� laddove fornisce, come canone per il bilanciamento 
degli interessi, la �considerazione prioritaria dell�ambiente�. 
(83) Cfr. F. VIOLA, Stato e natura, Anabasi, 1995. Per i riflessi di tale impostazione sulla revisione 
degli schemi e degli strumenti di tutela per l�ambiente cfr., tra i primi Autori impegnati in tale direzione, 
F. SPANTIGATI, Le categorie necessarie per lo studio del diritto dell�ambiente, cit., p. 236. Pi� di recente 
K. BOSSELMANN, Un approccio ecologico ai diritti umani, in M. GRECO (a cura di), Diritti umani e ambiente, 
ECP 2000. 
(84) Cos� M. CAFAGNO, op. cit., specie p. 64 e 65, per il quale il diritto ambientale � un processo 
di scoperta di percorsi adattativi. Inoltre, F. FRACCHIA, La tutela dell� ambiente come dovere di solidariet�, 
in Dir. econ., 2009, p. 493; dello stesso A., Lo sviluppo sostenibile, cit., p. 247.; G. CORSO, Categorie 
giuridiche e diritti delle generazioni future, relazione al Convegno su Cittadinanza e diritti delle 
generazioni future, Copanello, 3-4 luglio 2009, in Atti, Rubettino, 2010.
308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
precisato sembra inoltre rinvenirsi anche in alcune recenti pronunce del giudice 
amministrativo del nostro ordinamento, ove si consideri la ritenuta preminenza 
valoriale del paesaggio e dell�ambiente o anche la ritenuta 
prevalenza del principio di precauzione rispetto al principio di proporzionalit� 
(85). 
3.4 Il principio di effettivit� per la tutela ambientale 
La �signoria del diritto comunitario� (86) trae il suo fondamento, comՏ 
noto, dal disposto dell�art. 10 del Trattato della Comunit� Europea, oggi art. 
4 par. 3 del Trattato UE in base al quale: �In virt� del principio di leale cooperazione, 
L�Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente 
nell�adempimento dei compiti derivanti dai Trattati. Gli Stati membri 
adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta a d assicurare 
l�esecuzione degli obblighi derivanti dai Trattati o conseguenti ad atti delle 
Istituzioni dell�Unione. Gli Stati membri facilitano all�Unione l�adempimento 
dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in 
pericolo la realizzazione degli obiettivi dell�Unione�. 
Naturale conseguenza del primato del diritto comunitario � il principio 
di effettivit�, cio� della diretta applicabilit� delle disposizioni comunitarie, 
principio che comporta sul piano delle fonti l�obbligo di disapplicazione delle 
norme nazionali che risultino in contrasto con l�ordinamento europeo (87). 
Evidente appare pertanto il forte condizionamento all�autonomia dei soggetti 
deputati all�attuazione de diritto comunitario (88). In altri termini, il principio 
di effettivit�, in uno con quello di leale collaborazione, richiede a tutti gli organi 
dello Stato, ed in primis ai giudici, la �non applicazione� di regole processuali 
nazionali che rendano impossibile o eccessivamente difficile la 
tutela, nonch� la creazione di rimedi giurisdizionali efficaci in caso di lacune 
nel sistema di giustizia nazionale (89). 
L�applicazione di tale principio ha avuto particolare incidenza sull�isti- 
(85) Cfr. Cons. Stato V, n. 3770/09; TAR Molise 8 marzo 2011, n. 99; TAR Veneto 7 aprile 
2011, nn. 311 e 312 e Tar Lazio 7 aprile 2011, n. 1268. 
(86) Cfr. S. CASSESE, La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, in Riv. it. dir. pubbl. 
comunit., 2002, p. 292 ss. 
(87) P. DELL�ANNO, La responsabilit� degli Stati membri per inadempimento del diritto comunitario, 
in Le Responsabilit� in materia ambientale � Atti e documenti, Collana diretta da N. ASSINI, 
Cedam, 2006. 
(88) Sui limiti di tale autonomia cfr. C. KAKOURIS, Do the member states possess sudicia procedural 
�autonomy?�, in Comm. Market Rev., 1997, p. 1389; G. C. RODRIGUEZ IGLESIAS, Sui limiti 
dell�autonomia procedimentale e processuale degli stati membri nell�applicazione del diritto comunitario, 
in Riv. It. Dir. Pubb. Comun. 2001, p. 5. 
(89) Per l�analisi della giurisprudenza, P. GIRERD, Les principes dՎquivalence et d�effectivit�: 
encadrement ou d�sencadrement de l�autonomie proc�durale des Etats membres?, in Rev. trim. dr. 
europ., 2002, p. 75; I. CANOR, Harmonizing the European Community�s Standard of Judicial Review?, 
in Eur. Publ. Law, 2001, p. 135; M. GNES, Verso la �comunitarizzazione� del diritto processuale na-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 309 
tuto della responsabilit� per violazione del diritto comunitario, istituto che 
pu� considerarsi �la cartina di tornasole� per cos� dire dell�obbligo di lealt� 
comunitaria di cui al citato art. 4 par. 3 del Trattato UE. Detta responsabilit� 
inerisce in effetti al sistema stesso del Trattato, essendo funzionale a garantire 
l�effettivit� della primazia dell�ordinamento comunitario rispetto agli ordinamenti 
nazionali. Sotto tale profilo l�analisi dell�evoluzione giurisprudenziale 
comunitaria ben evidenzia il progressivo effetto conformativo che il 
diritto europeo ha avuto sulla tutela giurisdizionale interna, e ci� non solo 
con riguardo alle situazioni giuridiche soggettive che trovino la loro fonte 
nel diritto comunitario (90), ma anche degli stessi strumenti di azione (91) e 
zionale, in Giorn. dir. amm., 2001, p. 524; M. L. FERNANDEZ ESTEBAN, The Rule of Law in the European 
Constitution, the Hague, Kluwer, 1999; W. VAN GERVEN, OF RIGHTS, Remedies and procedures, 
in Comm. Market Rev., 2000, p. 501; R. CARANTA, Judicial Protection against Member States: A New 
Jus Commune Takes Shape, in Comm. Market Rev., 1995, p. 703; V. CAPUTI JAMBRENGHI, Diritto soggettivo 
comunitario ed effettivit� dell'ordinamento, in La tutela giurisdizionale dei diritti nel sistema 
comunitario, Bruxelles, Bruylant, 1997, p. 383 ss.. Con riguardo al principio di effettivit� della tutela 
giurisdizionale nella giurisprudenza comunitaria, cfr. E. PICOZZA, Diritto amministrativo e diritto comunitario, 
Giappichelli, Torino, 2004; M. P.CHITI e G. GRECO, Trattato di diritto amministrativo europeo, 
Giuffr� 2007, in particolare i lavori di R. CARANTA, G. GRECO, E. PICOZZA E S. CASSESE. Inoltre, 
cfr. M.S. CARBONE, Principio di effettivit� e diritto comunitario, Ed. Scientifica, 2009. 
(90) I principi di primazia e di effettivit� dell�ordinamento comunitario impongono che le posizioni 
giuridiche soggettive create e protette dalle fonti comunitarie non possano subire una diminuzione 
di tutela, sul piano qualitativo, una volta introdotte nell�ordinamento giuridico nazionale e 
�riqualificate� da parte del singolo ordinamento. Ne consegue che �la riqualificazione, tipicamente 
italiana, delle posizioni soggettive di derivazione comunitaria correlate all�azione autoritativa dei 
pubblici poteri in termini di interessi legittimi, non pu� comportare una deminutio di tutela al di sotto 
dello standard di effettivit� comunitario, il quale non pu� ammettere fenomeni di violazione di posizioni 
garantite dalle norme comunitarie non accompagnate da adeguata sanzione e da piena tutela�. 
Cfr. M. SCHINAIA, Intensit� ed estensione della giustizia amministrativa italiana ed i principi comunitari, 
in Actes du colloque pour le cinquanti�me anniversaire des Trait�s de Rome, 2006. 
(91) Il riferimento � agli strumenti giudiziali ed agli ambiti di cognizione del giudice, come 
ormai chiarito dalla nostra Cassazione con l�ordinanza n. 2906 del 2010: le Sezioni Unite, facendo 
leva sul principio che impone al giudice di procedere ad una esegesi delle norme di diritto interno 
compatibile con i principi espressi da una direttiva entrata in vigore ed anche prima del termine per 
la trasposizione di essa nell'ordinamento interno, hanno affermato che la Direttiva comunitaria CE n. 
2007/66 (diretti-va �ricorsi� sugli appalti pubblici) incide nel sistema giurisdizionale interno anche 
retroattivamente, �esigendo la trattazione unitaria delle domande di annullamento del procedimento 
di affidamento dell'appalto e di caducazione del contratto stipulato per effetto dell'illegittima aggiudicazione�. 
In definitiva, la necessit� di concentrare su un solo giudice la cognizione di diritti e interessi, 
quando sia domandata la caducazione degli effetti del contratto di appalto come reintegratoria 
del diritto sorto dall'annulla-mento della gara chiesto con il medesimo ricorso, si impone alla luce di 
una interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata delle norme vigenti in materia. 
Tale interpretazione, pienamente conforme alle norme costituzionali che impongono la effettivit� 
della tutela (art. 24 e 111 Cost.), �non � oggi contestabile, derivando da norma comunitaria incidente 
sulla ermeneutica delle norme interne (art. 117), che � vincolante in tal senso per l'interprete�. Tra 
l'altro, precisa ulteriormente la Suprema Corte, tale impostazione interpretativa si impone alla luce 
delle sentenze della Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204 e 11 maggio 2006 n. 196, dalle quali 
viene ricavato l'assunto per cui �se le due controversie per l'annullamento della gara e la caducazione 
del contratto sono in materia di giurisdizione esclusiva, deve ritenersi che, ai sensi dell'articolo 103
310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
finanche dei poteri/doveri del giudice interno, sempre pi� vincolato nel percorso 
ermeneutico delle norme interne (92). 
Da pi� parti in dottrina, prima ancora delle recenti pronunce della Corte 
si era sottolineata la forza dirompente del principio comunitario di uniformazione 
delle regole di tutela, destinato a confluire nella creazione di uno 
�ius commune europeo� nel campo della tutela giurisdizionale nei confronti 
dei pubblici poteri (93). Ma probabilmente, a giudicare dagli effetti derivanti 
dagli ultimi arresti della Corte (94) sembra si stia andando oltre i naturali limiti 
alla �signoria comunitaria�: l�esigenza di legare persino lo spazio interpretativo 
alla ratio (principi e norme) della normativa comunitaria sembra 
conformare infatti l�azione dei soggetti attuatori non pi� solo �finalisticamente�, 
ma anche sul piano dei mezzi. 
ComՏ noto, la giurisprudenza della Corte ha trattato in una prima fase 
della responsabilit� dello Stato inadempiente nell�attuazione tardiva di direttive 
comunitarie prive di effetti diretti ma che conferivano diritti soggettivi 
ai singoli (� il caso �pilota� della nota sentenza Francovich del 1991) (95). 
della Cost., le richieste di tutela dei diritti inerenti ai rapporti contrattuali non sono scindibili da quelle 
sugli interessi legittimi violati dall'abuso dei poteri della P.A., su cui ha di certo cognizione il giudice 
amministrativo, che pu� quindi decidere �anche� su tali diritti, dopo essersi pronunciato sugli interessi 
al corretto svolgimento della gara�. Il percorso seguito nel ragionamento del giudice � volto a chiarire 
che la direttiva comunitaria ha come effetto di incidere direttamente sul riparto di giurisdizione interno: 
il precedente orientamento della Cassazione fondato sulla dinamica ordinamentale interna tra 
separazione delle fasi pubblicistica e privatistica, sulla applicazione dell�art. 103 Cost., e sulla insuscettibilit� 
della connessione tra interessi e diritti di spostare l�ambito della giurisdizione domestica 
ma solo le articolazioni della competenza, viene cos� superato dalla forza cogente del diritto comunitario 
che �impone� un giudice �unico� per la cognizione delle domande di annullamento e di reintegrazione 
in forma specifica. In tali termini F. CARDARELLI, Commento a Cass. SS.UU. Ord.2906 del 
12 gennaio 2010, in Federalismi.it, n. 3/2009. Inoltre cfr., C. LAMBERTi, La svolta delle Sezioni Unite 
sulla sorte del contratto pubblico. Il punto di vista amministrativistico (n.d.r. commento a Cass. civile. 
sez. un., ordinanza 10 febbraio 2010, n. 2906), in Urbanistica e appalti, 2010, fasc. 4, p. 421-434. 
Ancora sul tema molto dibattuto prima della citata ordinanza del 2010, P. DE LISE, Effettivit� della 
tutela e processo sui contratti pubblici, in Giustamm.it, pubblicato il 22 dicembre 2008; S. S. SCOCA, 
Aggiudicazione e contratto: la posizione dell�Adunanza plenaria (n.d.r. commento a Consiglio di 
Stato, ad. plen., 30 luglio 2008, n. 9 e 21 novembre 2008, n. 12), in Il foro amministrativo C.d.S., 
2008, fasc. 12, p. 3283-3308. 
(92) Cfr. Cassazione civ. Sez .Un. n. 6316/2009. 
(93) Cfr. M.P. CHITI e G. GRECO, Trattato, op.cit., in particolare i contributi di S. CASSESE, E. 
PICOZZA E R. CARANTA. 
(94) Effetti spesso di anticipazione dell�azione legislativa, come nel caso della citata ordinanza 
della Cassazione n. 2906. L�art. 133 c.1 lett. a) n. 1 del nuovo codice del processo amministrativo 
(d.lvo n. 104/2010) recepisce infatti quanto affermato in tale Ordinanza. 
(95) La sentenza Francovich rappresenta il risultato finale e logico di una evoluzione giurisprudenziale 
che ha affermato e sviluppato i principi della specificit� dell�ordine giuridico comunitario, 
del primato e dell�effetto diretto del diritto comunitario. Cfr. J. SCHOCKWEILER, La responsabilit� 
de l�autorit� nationale en cas de violation du droit communautaire, in Rev. trim. dr. eur., 1992, p. 27. 
Osserva in merito M.P.CHITI, in Trattato, op.cit., che in sostanza, l�azione di responsabilit� � basata 
sul diritto comunitario, ma si svolge secondo le procedure nazionali sino a quando non siano eventualmente 
posti a rischio i due principi generali qua rilevanti: il principio di equivalenza e quello di
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 311 
Con successive pronunce si � poi affermata la responsabilit� per danni causati 
ai singoli da ogni violazione del diritto comunitario imputabile allo Stato 
(sentenza Brasserie du Pecheur del 1996). Infine il principio della responsabilit� 
dello Stato � stato applicato anche nel caso di violazione derivante 
dalle decisioni di organi giurisdizionali di ultimo grado, a condizione che la 
norma comunitaria violata fosse preordinata ad attribuire diritti ai singoli, 
la violazione fosse sufficientemente caratterizzata e sussistesse un nesso causale 
diretto tra la violazione commessa ed il danno subito dalla parte lesa 
(sentenza Kobler del 2003). 
L�autonomia processuale ma anche quella relativa al diritto sostanziale 
degli Stati membri hanno trovato poi un ulteriore vulnus nel successivo caso 
esaminato nella sentenza Traghetti del Mediterraneo del 2006. Era in discussione, 
a seguito di procedura pregiudiziale attivata dal Tribunale di Genova, 
la questione se fosse contraria al diritto comunitario una previsione legislativa 
nazionale che esclude in via generale la responsabilit� dello Stato membro 
per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto 
comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale di ultimo grado, per il 
motivo che l�interpretazione controversa risultava da un�interpretazione 
delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate 
da tale organo giurisdizionale. Secondo la Corte, anche quando sia invocato 
il principio di cosa giudicata, in virt� del primato del diritto comunitario tale 
principio non pu� giustificare l�esclusione della responsabilit� del giudice 
di ultima istanza. 
Con riguardo alla responsabilit� extracontrattuale per comportamento 
illecito della p.a. � da dire che questa si differenzia dagli altri due tipi di responsabilit� 
(del legislatore e del giudiziario): mentre infatti la violazione 
del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di 
ultimo grado pu� verificarsi �nel caso eccezionale� di violazioni gravi e manifeste; 
per la p.a. invece � sufficiente la semplice trasgressione del diritto 
comunitario, senza necessit� di dimostrare la gravit� particolare della violazione 
e senza rilievo per l�elemento soggettivo della colpa. 
La responsabilit� dello Stato nelle diverse vicende di inadempimento 
verso il diritto comunitario sembrava poggiare saldamente sul pilastro della 
responsabilit� aquiliana, ma di recente la nostra Corte di Cassazione ha evidenziato 
la natura �contrattuale� e non extracontrattuale di tale responsabilit�. 
La Corte a Sezioni Unite ha qualificato infatti il comportamento 
antigiuridico come determinativo di un'obbligazione di natura "contrattuale", 
in quanto direttamente discendente dall'inadempimento di un obbligo, quello 
effettivit� della tutela. Il primo principio implica che le norme nazionali applicabili ai casi interni non 
siano pi� favorevoli di quelle relative ai casi di rilevanza comunitaria; il secondo, che le norme nazionali 
non rendano eccessivamente difficile l�azione risarcitoria a base comunitaria.
312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
appunto di attuare la direttiva comunitaria (96). 
In ragione della capacit� di espansione del diritto comunitario ed in particolare 
del diritto ambientale comunitario (�incrementalismo ambientale�), il 
principio di effettivit� nei termini sopra indicati sembra costituire una formidabile 
sonda per rilevare il grado di evoluzione attuale della tutela ambientale. 
Esso, realizzando in sostanza una logica di risultato sembrerebbe deputato ad 
attrarre in tale logica anche l�efficacia della diretta applicabilit� delle disposizioni 
comunitarie quali i principi stabiliti nel Trattato. 
La migliore dottrina ha infatti evidenziato che solo alcuni di essi sono 
idonei di per s� a costituire situazioni giuridiche soggettive di rango comunitario, 
che comportano il sorgere di diritti e di obblighi tanto in capo agli Stati 
membri, quanto � a determinate condizioni � in capo ai singoli (i diritti di stabilimento; 
di libera circolazione di persone, capitali, merci; i diritti politici, 
etc.) (97). Con riguardo invece ai principi che costituiscono solo un obiettivo 
posto all�iniziativa degli Stati membri, in vista del perseguimento delle finalit� 
comunitarie (es. il principio dell�elevato livello di tutela ambientale), tale dottrina 
esclude che essi possano essere posti a fondamento di situazioni di diretta 
ed immediata applicazione, ritenendo che (non diversamente da quanto accade 
per le direttive non selfexecuting) che �l�obbligo di risultato non possa gravare 
che sullo Stato membro, e dunque il principio non potr� assumere efficacia 
cogente per i singoli se non dopo � ed in conseguenza di � misure attuative 
(96) Cfr. Cass. Civ. III 1 maggio 2011 n. 20813 che ribadisce la sentenza della Corte a sezioni 
Unite n. 9147 del 2009. Cfr. anche Cass. Civ. Sez. Unite n. 4547 del 25 febbraio 2010. In una vicenda 
inerente la pretesa di specializzandi per la mancata remunerazione per l'attivit� prestata nell'ambito di 
corsi di specializzazione, si � precisato: �In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore 
italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 
82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, 
conformemente ai principi, pi� volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento 
dei danni che va ricondotto - anche a prescindere dall'esistenza di uno specifico intervento 
legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria - allo schema, della responsabilit� per inadempimento 
dell'obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attivit� non antigiuridica, dovendosi 
ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come 
antigiuridica nell�ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell'ordinamento interno. Ne consegue 
che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non � subordinato alla sussistenza 
del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall'ordinamento interno, in modo 
da assicurare al danneggiato un'idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente 
apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all'adempimento 
di una obbligazione ex lege riconducibile all'area della responsabilit� contrattuale, all'ordinario termine 
decennale di prescrizione�. L�esigenza di una revisione dell�impostazione generale della responsabilit� 
extracontrattuale in senso oggettivo � indicata da M. CHITI, Diritto Amministrativo Europeo, Giuffr� 
2008. In tema si veda anche la Relazione di E. PICOZZA al Convegno �La responsabilit� dello Stato secondo 
la normativa comunitaria�, TAR Lazio 20 giugno 2011, Roma, il quale sottolinea la natura �istituzionale� 
di tale responsabilit�, �derivante direttamente dagli obblighi attribuiti dall�ordinamento 
giuridico comunitario alle proprie istituzioni e quindi anche a quelle degli Stati membri e centrate sul 
fatto stesso della loro appartenenza all�ordinamento UE�. 
(97) P. DELL�ANNO, La responsabilit� degli Stati membri, cit., p. 43 e 44.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 313 
contenute in modo espresso in atti di trasposizione�. 
L�elaborazione giurisprudenziale pi� recente sembrerebbe tuttavia attribuire 
all�obbligo di risultato � o meglio al vincolo di conformit� agli obiettivi 
una valenza ancor maggiore. In un orizzonte tendente al raggiungimento della 
piena effettivit� del diritto comunitario, l�obbligo di risultato, gravante comunque 
sullo Stato, potrebbe dunque implicare il riconoscimento di una �efficacia 
cogente� negli stessi principi, in guisa tale da poter questi ultimi 
costituire il fondamento diretto di situazioni di immediata applicazione o costitutive 
di obblighi/diritti in capo a tutti i soggetti, pubblici e privati. 
L�osservatorio giurisprudenziale in tema di accesso alla giustizia ambientale 
offre un sicuro contributo in questa direzione. Ed infatti, con riguardo a 
tale �accesso� da parte di organizzazioni ambientaliste non governative, in attuazione 
degli obiettivi della Convenzione di Aarhus approvata dalla Comunit� 
con decisione 2005/370, la Corte ha chiarito importanti �tasselli� connessi al 
rispetto del principio di tutela effettiva del diritto dell�Unione europea (98). 
In merito ad una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte 
suprema della Repubblica slovacca nell�ambito di una controversia fra un�organizzazione 
ambientale ed il Ministero dell�Ambiente, il giudice a quo si � 
domandato se, nel caso in cui un�associazione ambientale intenda contestare 
un atto amministrativo nazionale che deroghi a un regime europeo di tutela 
dell�ambiente � nella fattispecie, quello istituito dalla direttiva �habitat� �, tale 
associazione possa trarre diritto di azione dall�ordinamento giuridico dell�Unione 
europea, in forza dell�effetto diretto delle disposizioni dell�art. 9, n. 
3, il cui scopo ultimo consiste nel consentire la garanzia di una tutela effettiva 
dell�ambiente. La Corte, riunita per l�occasione in grande sezione, ha, in primo 
luogo, dichiarato la propria competenza a statuire in via pregiudiziale sull�accordo 
in questione in quanto parte integrante dell�ordinamento giuridico dell�Unione 
europea. In secondo luogo, ha ricordato che, affinch� una 
disposizione di un accordo concluso dall�Unione e dai suoi Stati membri con 
Stati terzi abbia effetto diretto, questa deve stabilire un obbligo chiaro e preciso 
non subordinato all�intervento di alcun atto ulteriore. Ci� non avviene nel caso 
dell�art. 9, n. 3, in quanto esso dispone che solo �i membri del pubblico che 
soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere 
procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare 
gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorit� 
compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale�. Tale disposizione, 
dunque, non pu� avere effetto diretto, non contenendo alcun obbligo chiaro e 
preciso che regoli direttamente la situazione giuridica dei cittadini. Tuttavia, 
dopo essere giunta a tale conclusione, la Corte ha tenuto a precisare che il fatto 
(98) Corte di giustizia dell�Unione europea (Grande sezione), sentenza dell�8 marzo 2011, C- 
240/09.
314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
che una specifica disposizione di un accordo internazionale non abbia efficacia 
diretta non significa che non debba essere presa in considerazione dai 
giudici nazionali, i quali, dunque, dovranno tenere in considerazione gli obiettivi 
prefissati nella Convenzione di Aarhus, e, nel rispetto del principio di tutela 
effettiva del diritto dell�Unione europea, saranno tenuti ad una 
interpretazione tale da non rendere praticamente impossibile o eccessivamente 
difficile l�esercizio dei diritti conferiti dall�ordinamento giuridico europeo, 
nella fattispecie quelli derivanti dalla direttiva �habitat� (99). 
Come si pu� notare, �l�obiettivo/scopo� (che nella vicenda esaminata 
dalla Corte � duplice: lo scopo di una tutela effettiva dell�ambiente in base 
alla disposizione redatta in termini generali dall�art. 9, p. 3 della Convenzione; 
e l�obiettivo di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti dall�ordinamento 
giuridico dell�Unione), imponendo un�interpretazione (nei 
limiti del possibile) ad esso funzionalizzata (di conformit� sostanziale), diventa 
la fonte attributiva di situazioni giuridiche soggettive (al fine di permettere 
ad un�organizzazione non governativa per la tutela dell�ambiente di 
contestare in giudizio una decisione adottata a seguito di un procedimento 
amministrativo eventualmente contrario al diritto ambientale dell�Unione). 
Analoga prospettiva � quella alla base di altra recente pronuncia della 
Corte di Giustizia CE (12 maggio 2011, C 115/09), sempre in tema di accesso 
alla giustizia ambientale, pronuncia resa in seguito alla domanda pregiudiziale 
inerente l�interpretazione della direttiva del Consiglio 85/337/CEE concernente 
la Valutazione dell�impatto ambientale di determinati progetti pubblici 
e privati, come modificata dalla direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 
2003/35/CE. 
La vicenda era originata dall�impugnazione di alcuni atti da parte di una 
associazione del Land Renania del Nord-Vestfalia, rilasciati dall�amministrazione 
distrettuale di Arnsberg per la realizzazione di un progetto di costruzione 
e gestione di una centrale elettrica, molto vicina a zone speciali di 
conservazione dei siti ai sensi della direttiva �habitat�. Il giudice del rinvio, 
(99) �Ne risulta che, quando � in causa una specie protetta dal diritto dell�Unione, segnatamente 
dalla direttiva �habitat�, spetta al giudice nazionale, al fine di assicurare una tutela giurisdizionale effettiva 
nei settori coperti dal diritto ambientale dell�Unione, offrire un�interpretazione del proprio diritto 
nazionale quanto pi� possibile conforme agli obiettivi fissati dall�art. 9, n. 3, della convenzione di Aahrus. 
51. Spetta pertanto al giudice del rinvio interpretare, nei limiti del possibile, le norme processuali concernenti 
le condizioni che devono essere soddisfatte per proporre un ricorso amministrativo o giurisdizionale 
in conformit� sia degli scopi dell�art. 9, n. 3, della convenzione di Aahrus sia dell�obiettivo di 
tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti dall�ordinamento giuridico dell�Unione, al fine di permettere 
ad un�organizzazione per la tutela dell�ambiente, quale lo zoskupenie, di contestare in giudizio 
una decisione adottata a seguito di un procedimento amministrativo eventualmente contrario al diritto 
ambientale dell�Unione� (v., in tal senso, sentenze 13 marzo 2007, causa C-432/05, Unibet, Racc. p. I- 
2271, punto 44, e Impact, cit., punto 54). Cos� al p. 50 della sentenza della Corte di giustizia dell�Unione 
europea (Grande sezione), 8 marzo 2011, C-240/09.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 315 
pur ritenendo sussistente la lamentata violazione di tale direttiva, non avendo 
la VIA del progetto consentito di dimostrare l�esclusione di un significativo 
pregiudizio per le zone speciali di conservazione situate nelle vicinanze, ha 
ritenuto che in base alle norme del diritto nazionale, un�associazione per la 
tutela ambientale non possa far valere la violazione di disposizioni del diritto 
per la protezione delle acque e della natura, nonch� il principio di precauzione 
sancito dall�art. 5, n. 1, prima frase, punto 2, della normativa federale sulla 
protezione dall�inquinamento (BImSchG), in quanto dette disposizioni non 
conferiscono diritti ai singoli, ai sensi della normativa nazionale sui ricorsi 
in materia ambientale (artt. 2, nn. 1, punto 1, e 5, prima frase, punto 1, dell�UmwRG). 
Il giudice del rinvio ritiene che le disposizioni della legge sulla 
protezione dall�inquinamento, come anche del resto le disposizioni in materia 
di protezione della natura, in vista di un elevato livello di protezione della 
�totalit� dell�ambiente� riguardano anzitutto la collettivit� e non hanno ad 
oggetto la tutela dei diritti individuali. Tuttavia, considerando che siffatta restrizione 
dell�accesso alla giustizia potrebbe pregiudicare l�effetto utile della 
direttiva 85/337, si chiede se il ricorso della Federazione per la tutela dell�ambiente 
non debba essere accolto sul fondamento dell�art. 10 bis di detta 
direttiva, in base al quale �� Gli Stati membri determinano ci� che costituisce 
interesse sufficiente e violazione di un diritto, compatibilmente con 
l�obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia...�. 
La Corte, muovendo dall�obbligo del raggiungimento del risultato previsto 
da una direttiva, obbligo che si sottolinea nella sentenza vale per tutti 
gli organi degli Stati ivi compresi quelli giurisdizionali (v. in tal senso Corte 
19 gennaio 2010 causa C 555/07), ha statuito che �L�art. 10 bis della direttiva 
del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell�impatto 
ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata 
dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 maggio 2003, 
2003/35/CE, osta ad una normativa che non riconosca ad un�organizzazione 
non governativa, che opera per la protezione dell�ambiente, di cui all�art. 1, 
n. 2, di tale direttiva, la possibilit� di far valere in giudizio, nell�ambito di un 
ricorso promosso contro una decisione di autorizzazione di progetti �che possono 
avere un impatto ambientale importante� ai sensi dell�art. 1, n. 1, della 
direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva 2003/35, la violazione di 
una norma derivante dal diritto dell�Unione ed avente l�obiettivo della tutela 
dell�ambiente, per il fatto che tale disposizione protegge esclusivamente gli 
interessi della collettivit� e non quelli dei singoli�. 
Anche in tale vicenda, come si vede, il principio delle conformit� all�obiettivo 
diretto ad attribuire al pubblico interessato un �ampio accesso alla 
giustizia� � dirimente per il riconoscimento della legittimazione al ricorso, 
�qualunque sia l�orientamento� � sottolinea la Corte � �scelto dallo Stato
316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
membro riguardo al criterio della ricevibilit�� (100). 
Tale quadro giurisprudenziale assume non poco rilievo rispetto all�orientamento 
giurisprudenziale maggioritario del nostro ordinamento, ancora restrittivo 
a riconoscere ad esempio la legittimazione delle articolazioni 
territoriali di associazioni ambientaliste riconosciute ex art. 18 della legge n. 
349/86 (101) . 
La �lettura� comunitaria in senso sostanziale dei principi e delle norme a 
tutela dell�ambiente stride quindi con quella �formale� cui sembra ancorato 
tutt�ora il nostro giudice amministrativo (102). 
IV. PRINCIPALI SETTORI E STRUMENTI DI INTERVENTO DELLA POLITICA COMUNITARIA 
4.1 Il settore ecologico. La disciplina contro l�inquinamento atmosferico, climatico, 
idrico, acustico, da rifiuti 
La specifica trattazione dei diversi settori della materia ambiente, i quali, 
sin dagli anni �70, sono stati via via oggetto di specifica normativa comunitaria 
esula dai limiti del presente contributo che pertanto dar� di essi solo pochi 
cenni al fine di evidenziare lo stato evolutivo della legislazione comunitaria 
(100) Cfr. il p. 42 della sentenza. La Corte precisa che se, in base alla stessa disposizione di cui 
all�art. 10bis della direttiva 85/337, spetta agli Stati membri stabilire quali siano i diritti la cui violazione 
pu� dar luogo a un ricorso in materia d�ambiente, essi, nei limiti assegnati da detta disposizione, nel 
procedere a tale determinazione non possono privare le associazioni a tutela dell�ambiente, rispondenti 
ai requisiti di cui all�art. 1, n. 2, della direttiva, della possibilit� di svolgere il ruolo loro riconosciuto 
tanto dalla direttiva 85/337 quanto dalla Convenzione di Aarhus. �Se, come risulta da detta disposizione, 
tali associazioni devono poter far valere gli stessi diritti dei singoli, sarebbe in contrasto con l�obiettivo 
di garantire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia, da una parte, nonch� con il principio 
di effettivit�, dall�altra, la circostanza che le dette associazioni non possano anche invocare la violazione 
di norme derivanti dal diritto dell�Unione in materia ambientale per il solo motivo che queste ultime tutelano 
interessi collettivi. Infatti, come emerge dalla controversia nella causa principale, ci� le priverebbe 
in larga misura della possibilit� di far verificare il rispetto di norme derivanti da tale diritto che sono, 
per la maggior parte dei casi, rivolte all�interesse pubblico e non alla sola protezione degli interessi dei 
singoli considerati individualmente. Ne deriva anzitutto che la nozione di �violazione di un diritto� non 
pu� dipendere da condizioni che solo altre persone fisiche o giuridiche possono soddisfare, come, ad 
esempio, la condizione di essere pi� o meno prossimi ad un impianto o quella di subire in un modo o in 
un altro gli effetti del suo funzionamento. Ne deriva pi� in generale che l�art. 10 bis, terzo comma, 
ultima frase, della direttiva 85/337 deve essere letto nel senso che tra i �diritti suscettibili di essere lesi�, 
di cui si ritiene beneficino le associazioni a tutela dell�ambiente, devono necessariamente figurare le disposizioni 
di diritto nazionale che attuano la normativa dell�Unione in materia di ambiente, nonch� le 
disposizioni aventi effetto diretto del diritto dell�Unione in materia di ambiente. Al riguardo, per fornire 
al giudice del rinvio una soluzione il pi� possibile utile, si deve osservare che il motivo dedotto contro 
la decisione impugnata dalla violazione di disposizioni del diritto nazionale derivanti dall�art. 6 della 
direttiva �habitat� deve poter quindi essere invocato da un�associazione a tutela dell�ambiente�. Cfr. 
anche Corte di Giustizia, II, 15 ottobre 2009, causa C-263/08. 
(101) Cfr. Cons. Stato IV, 15/2-28/3/2011 n. 1876 che richiama l�indirizzo avallato anche dall�Adunanza 
Plenaria 11 gennaio 2007, n. 2. Inoltre. Cfr. VI, 9 marzo 2010, n. 1403. 
(102) Aderente invece ad una lettura �sostanziale� e di apertura, cfr. Cons. Stato, VI, n. 6554 del 
2010 e Tar Veneto, III, 9 maggio 2011, n. 803.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 317 
per le diverse �componenti ambientali� (aria, acqua, suolo, rumore, rifiuti, 
paesaggio, territorio, aree protette). 
Iniziando dall�inquinamento atmosferico, � da dire che i primi interventi 
del legislatore comunitario si registrano a partire proprio da quegli anni, in conseguenza 
degli effetti nocivi derivanti dal processo di industrializzazione. In 
tale settore, l�obiettivo perseguito dall�ordinamento comunitario in via primaria 
� stato quello di ridurre il tasso di inquinamento e a tal fine sono state adottate 
diverse direttive e regolamenti che hanno imposto agli Stati membri di contenere, 
entro determinati valori, l�emissione di specifici agenti inquinanti (103). 
Una normativa di carattere generale si � avuta solo negli anni novanta 
con la direttiva quadro 96/62 sulla qualit� dell�aria. 
Alla luce di pi� recenti sviluppi in campo scientifico e sanitario, � stata 
poi emanata la direttiva 2008/50/CE. Essa mira alla tutela della salute umana 
e dell�ambiente nel suo complesso, con l�obiettivo di combattere alla fonte 
l�emissione di inquinanti ed individuare e attuare le pi� efficaci misure di riduzione 
delle emissioni a livello locale, nazionale e comunitario. Tale pi� recente 
disciplina si colloca in un�ottica di semplificazione delle disposizioni 
gi� esistenti in tema di qualit� dell�aria e al contempo di integrazione delle 
problematiche ambientali con i settori dell�energia, dei trasporti e dell�agricoltura, 
dunque anche di efficienza amministrativa. Detta normativa sostituisce 
la direttiva n. 96/62, la direttiva n. 99/30, la direttiva 2000/69 e la direttiva 
2002/3. 
La lotta ai cambiamenti climatici � stata inserita, come si � visto, a seguito 
dell�entrata in vigore del Trattato di Lisbona, tra gli obiettivi posti con l�art. 
191 del Trattato FUE. 
Va detto per� che gi� prima del Trattato, con la ratifica del protocollo di 
Kyoto avvenuta con decisione del Consiglio n. 2002/358 la Comunit� ha dichiarato 
il significativo impegno a far fronte all�emergenza dell�effetto serra. 
Tale impegno peraltro risulta manifestato con forza anche all�interno del VI 
Programma d�azione per l�ambiente, ove la lotta contro il mutamento climatico 
viene qualificata come uno dei principali obiettivi del futuro intervento comunitario. 
In aderenza a questo obiettivo la Comunit� si � perci� impegnata ad 
integrare detto scopo nelle varie politiche comunitarie, a migliorare l�efficienza 
energetica, ridurre i consumi, promuovere lo sviluppo di energie da fonti rinnovabili, 
potenziare la ricerca e migliorare l�informazione dei cittadini sui mu- 
(103) Al fine di contrastare la riduzione dello strato di ozono � stato dapprima adottato il regolamento 
n. 3952 del 1992 e successivamente il regolamento n. 2037 del 2000, in seguito parzialmente 
modificato dal regolamento n. 1804 del 2003 e successivamente sostituito dal regolamento n. 1005 del 
2009. Con riguardo all�inquinamento dagli impianti industriali gi� oggetto di una prima direttiva del 
1984 (la n. 84/360) la disciplina di cui alla direttiva 2008/1/CE introduce un approccio integrato per la 
prevenzione e riduzione dell�inquinamento atmosferico, lo scarico di sostanze pericolose nell�acqua e 
le emissioni nel suolo, stabilendo per ciascuno di questi settori dei valori limite.
318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
tamenti climatici. 
Dette linee guida, indicate in termini generali nel VI Programma d�azione, 
sono state poi meglio specificate nella Comunicazione della Commissione 
(2005/35) �Strategia sul cambiamento climatico�. 
Ma � con la direttiva n. 87/2003 che si istituisce un sistema per lo scambio 
di quote di emissione dei gas serra, direttiva in seguito modificata dalla direttiva 
2008/101 e da ultimo dalla direttiva 2009/29, contenuta nel c.d. �pacchetto 
clima-energia�(104). 
Con riguardo alla tutela delle acque � da dire che la protezione di tale risorsa 
ha costituito uno dei primi settori di intervento della legislazione ambientale 
comunitaria. Le risorse idriche erano disciplinate all�inizio da una 
normativa che si ispirava ai tradizionali principi del diritto comunitario, ma 
senza un approccio integrato e globale. Con la direttiva 2000/60 si �istituisce 
un quadro per l�azione comunitaria in materia di acque� e muta la prospettiva: 
le risorse idriche sono considerate unitariamente, attraverso l�organizzazione 
della gestione e tutela delle acque interne superficiali, sotterranee, di transizione 
e costiere, con misure che integrino gli aspetti qualitativi e quantitativi, 
al fine di assicurarne un uso equilibrato ed equo. 
Le finalit� perseguite dalla direttiva quadro sono molteplici: proteggere 
e migliorare la qualit� dei sistemi acquatici; promuovere un uso sostenibile 
dell�acqua basato su una gestione a lungo termine delle risorse idriche disponibili; 
ridurre/eliminare gradualmente l�inquinamento di sostanze pericolose 
prioritarie; proteggere le acque territoriali e marine; ridurre gli effetti delle 
inondazioni e delle siccit�; realizzare gli obiettivi degli accordi internazionali 
in materia (105). Con riguardo alle acque sotterranee ulteriori misure specifiche 
di prevenzione e controllo dell�inquinamento sono poi indicate nella direttiva 
2006/118. 
�Nell�approccio comunitario, a differenza del nostro, la sostenibilit� nell�impiego 
delle risorse idriche viene declinata a livello ecologico, economico 
ed etico sociale. Anche in termini di �servizio idrico� la prospettiva europea 
� pi� ampia di quella nazionale: con esso infatti si intende qualsiasi attivit� di 
messa a disposizione di risorse idriche, interne e marine, per determinati usi. 
(104) Gli obiettivi posti nel �pacchetto� consistono nella riduzione del 20% delle emissioni provocate 
dai gas serra; nel miglioramento dell�efficienza energetica attraverso l�aumento del 20% del risparmio 
energetico e nella promozione dell�energia rinnovabile mediante l�aumento del 20% del 
consumo di energia derivante da fonti rinnovabili. In tema cfr. A. BINDI, Inquinamento atmosferico e 
clima, in G. ROSSI, Diritto dell�ambiente, Giappichelli, 2008, p. 308; A. PALUMBO, Inquinamento atmosferico, 
in Enc. Dir.; A. GRASSO - A. MARZANATI - A. RUSSO (a cura di) Tratt. dir. amm. Europeo, II ed., 
parte speciale, vol. I Giuffr�, 2007; J.G. J. LEVEFER, The new Directive on Ambient Air Quality Assesment 
and Management, in European Environmental Law Review, 1997. 
(105) Cfr. E. BRAIDO, Tutela delle acque, in G. ROSSI, cit., p. 296 e A. PIOGGIA, Acqua e ambiente, 
ibidem, p. 231; N. LUGARESI, Diritto delle acque, principi internazionali, etica, in N. LUGARESI - F. MASTRAGOSTINO 
(a cura di), La disciplina giuridica delle risorse idriche, Maggioli, 2003.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 319 
Non pi� quindi un sistema idrico vincolato al sistema acquedotti stico per usi 
civili, ma relativo al complesso delle attivit� che dall�acquadipendono. In tale 
prospettiva anche il concetto di recupero del costo dei servizi idrici cambia. 
La direttiva infatti impone agli Stati di fare in modo che i prezzi dell�acqua riflettano 
il costo complessivo di tutti i servizi connessi con l�acqua stessa (gestione, 
manutenzione delle attrezzature, investimenti, sviluppi futuri) nonch� 
i costi connessi con l�ambiente e l�impoverimento delle risorse. A tal fine entro 
il 2020 occorr�r� porre a carico dei vari settori di impiego dell�acqua i costi 
dei servizi idrici, anche sulla base del principio �chi inquina paga� (106) . 
Con la direttiva 2008/105 sono stati poi istituiti standard di qualit� ambientale 
per le sostanze prioritarie e per alcuni tipi di inquinanti; mentre la 
successiva direttiva 2009/90 ha stabilito specifiche tecniche per l�analisi chimica 
ed il monitoraggio dello stato delle acque. 
Riguardo la tutela dell�ambiente marino, dopo un approccio settoriale con 
cui sono state elaborate le politiche, ai diversi livelli di governo, per tale bene 
ambientale (107), la direttiva 2008/56 definisce misure specifiche di strategia 
integrata per il mare (direttiva quadro per la strategia dell�ambiente marino), 
attraverso la promozione dell�uso sostenibile dei mari, la conservazione dei 
relativi ecosistemi ed aree protette, l�orientamento delle attivit� umane con 
impatto sul mare. L�obiettivo della direttiva quadro � duplice: entro il 2021 ripristinare 
la salute ecologica dei mari europei ed assicurare la correttezza ambientale 
delle attivit� economiche connesse, promuovendo l�integrazione dei 
fattori ambientali in altre politiche comunitarie, come la politica comune della 
pesca e la futura politica marittima europea. Ci� in linea con quanto previsto 
dal pi� volte citato VI programma quadro di azione ambientale (108). 
La problematica del rumore, in ambito europeo, � stata affrontata originariamente 
nel 1993 dal V Programma di azione per l�ambiente della Comunit� 
europea che stabiliva una serie di azioni da realizzare entro il 2000, al fine di 
limitare l�esposizione al rumore dei cittadini dei paesi membri. L�incompiutezza 
di tali azioni ha determinato una revisione del V Programma e la definizione 
di una politica comunitaria mirata alla riduzione dell�inquinamento acustico. 
Con il VI Programma d�azione per l�ambiente (Decisione 1600/2002/CE) tale 
obiettivo � stato pi� compiutamente definito. 
Le tappe pi� significative, sul piano normativo, che hanno condotto all�acquisizione 
da parte delle Istituzioni comunitarie di una percezione del problema 
si rinvengono, anzitutto, nella pubblicazione da parte della 
(106) In tali termini A. PIOGGIA, cit., p. 239. 
(107) Il quadro normativo a tutela del mare si �, come noto, sviluppato su vari livelli (internazionale, 
comunitario e nazionale). Per una sintetica ricostruzione pluriordinamentale, che parte dall�analisi 
delle diverse Convenzioni di diritto internazionale, cfr.A. CONIO, Tutela del mare ed aree marine protette, 
in G. ROSSI, cit., p. 336. 
(108) Cfr. la bibliografia citata in A. CONIO, cit., p. 342 e 343.
320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Commissione del Libro Verde (COM 96/540) sulle politiche future in materia. 
Tale documento pone �un primo importante pilastro a partire dal quale sviluppare 
una politica integrata sulle problematiche del rumore da realizzare attraverso 
la creazione di una rete di esperti e gruppi di lavoro di supporto alla 
Commissione europea. La gestione organica delle problematiche acustiche 
connesse alle diverse sorgenti � invece oggetto della direttiva 2002/49/CE che 
ha come obiettivo principale quello di contrastare il rumore cui sono esposte 
le persone nelle zone edificate, nei parchi pubblici o in altre zone particolarmente 
sensibili al rumore� (109). 
L�approccio adottato, in una visione organica e globale volta a individuare 
i metodi di valutazione ed il livello massimo di rumorosit�, visione imposta 
dalle mutate esigenze della popolazione, si fonda sulla determinazione dei livelli 
di esposizione al rumore ambientale attraverso la mappatura acustica dei 
territori comunali e l�attuazione dei piani di azione al livello locale. 
La disciplina dei rifiuti risulta invece particolarmente articolata, in ragione 
della peculiarit� dell�oggetto. Essa in ambito comunitario costituisce un 
�anello fondamentale nella catena di attuazione delle politiche ambientali�(
110). 
Gli obiettivi di salvaguardia ambientale e di protezione della salute dei 
cittadini si rinvengono nel VI Programma d�azione ambientale. Tale Documento, 
recante le priorit� e gli obiettivi della Comunit� per il periodo 2001- 
2010, si propone di attuare politiche che rendano sostenibile dal punto di vista 
ambientale il consumo delle risorse rinnovabili e non rinnovabili, migliorandone 
l�efficienza e diminuendo la produzione di rifiuti. In tale direzione la 
Commissione nel 2005 ha adottato una prima �strategia tematica�, intitolata 
�Portare avanti l�utilizzo sostenibile delle risorse � Una strategia tematica sulla 
prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti �. 
Gi� a partire dagli anni �70, la produzione normativa comunitaria adottata 
ha investito la tematica dei rifiuti sia sul piano della disciplina generale che 
per gli aspetti settoriali (111). 
Con riguardo alla disciplina generale, il testo di riferimento � nella direttiva 
del 1975 n. 75/442, modificata successivamente dalla direttiva n. 91/156. 
Si � giunti in seguito ad una prima razionalizzazione normativa nel 2006, con 
la direttiva n. 12/2006, ed infine ad una rinnovata e pi� completa disciplina 
(109) Cfr. M. E.BARONE, Inquinamento acustico, in G. ROSSI, cit., p. 356 e la bibliografia ivi citata. 
(110) Cfr. F. GUALTIERI, Rifiuti, in G. ROSSI, cit., p. 365. G. BOTTINO - R. FEDERICI, Rifiuti, in M.P. 
CHITI - G. GRECO (a cura di) Trattato di diritto amministrativo europeo, Giuffr�, 2007, II ed., p. 1679 e 
ss.; P. DELL�ANNO, Manuale di diritto ambientale, Cedam, 2003, p. 480 e ss. 
(111) Riguardo a tali aspetti settoriali della materia rifiuti, sono infatti state adottate normative di 
carattere settoriale relative ad esempio ai rifiuti pericolosi (direttiva n. 78/319 e n. 91/689); alla gestione 
di imballaggi e dei rifiuti di imballaggio (direttiva n. 94/62 poi modificata dalla direttiva n. 2004/12); 
alla eliminazione degli oli usati (direttiva n. 75/439).
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 321 
con la direttiva 2008/98, che non solo ha sostituito la precedente direttiva 
2006/12, ma anche inglobato, per esigenze di semplificazione e coordinamento 
normativo, le disposizioni sui rifiuti pericolosi della direttiva n. 91/689 e quelle 
sull�eliminazione oli usati della direttiva n. 75/439 (112). 
Tale direttiva si caratterizza per una tendenza verso un�effettiva semplificazione 
legislativa del quadro comunitario vigente in materia di produzione 
e gestione di rifiuti (113). 
A tal fine vengono introdotte nuove definizioni allo scopo di prevenire le 
possibili distorsioni sul mercato derivanti da un�applicazione non uniforme 
delle nozioni in oggetto. Bench� la definizione di rifiuto rimanga sostanzialmente 
immutata, si introduce una serie di nuove nozioni (prima fra tutte, quella 
di ��sottoprodotto��), intese a circoscrivere l�ambito di applicazione della legislazione 
comunitaria in materia. Sono, inoltre, specificate le definizioni di 
��riciclaggio��, ��riutilizzo�� e ��preparazione per il riutilizzo��, rivisitate le definizioni 
di ��raccolta�� e di ��recupero�� e fissati i criteri per la cessazione della 
qualifica di rifiuto. 
Detta normativa prescrive che i Paesi membri garantiscano nella gestione 
dei rifiuti il rispetto della �gerarchia dei rifiuti�(114), attraverso fasi indicate 
secondo un preciso ordine: la prevenzione, la preparazione per il riutilizzo, il 
riciclaggio, il recupero di altro tipo e lo smaltimento. Tale strategia generale 
deve essere basata anche sul conseguimento di un �obiettivo ambientale complessivo� 
dato dalla minimizzazione delle conseguenze negative della gestione 
dei rifiuti per la salute umana e in generale per l�ambiente, da valutare considerando 
il complessivo ciclo di vita delle sostanze che compongono i rifiuti. 
(112) La direttiva 2008/98 � stata recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 205 
del 2010. 
(113) Ci� che sembra attestato anche dalle nuove definizioni (di recupero, smaltimento, riciclaggio 
ecc.), contenute nell�art. 3, e dalla pi� duttile nozione di rifiuto, ove comparata con quelle del sottoprodotto 
e della materia prima secondaria, a valle del recupero (e del riciclaggio) ex artt. 5 e 6. 
(114) L�importanza centrale della �gerarchia dei rifiuti�, secondo una scala in ordine decrescente 
che va dalla prevenzione, riutilizzo, riciclaggio, recupero fino allo smaltimento, come regola generale 
della gestione dei rifiuti � sottolineata nella Risoluzione del Parlamento Europeo 2006/2175 su una strategia 
tematica per il riciclaggio di rifiuti, dalla quale emerge che la gerarchia comunitaria pone il riciclaggio 
ed il recupero come materia in posizione prevalente rispetto al recupero energetico. E� 
interessante notare quanto evidenziato nelle premesse della Risoluzione, laddove il Parlamento Europeo 
sottolinea che: �Considerando che le economie sono come gli ecosistemi: ambedue sfruttano energia e 
materiali per trasformarli in prodotti e processi, con la differenza che la nostra economia segue flussi di 
risorse lineari mentre la natura � ciclica; considerando che gli ecosistemi svolgono funzioni che convertono 
i rifiuti in risorse trasferendo l'energia proveniente dalla luce del sole, mentre i processi industriali 
non sono in grado di farlo; considerando, nel contesto di economie e popolazioni in rapida crescita, 
che la produzione e i prodotti che generano flussi di rifiuti che la natura non pu� assorbire n� trasformare 
in nuove risorse risultano sempre pi� problematici sotto il profilo della sostenibilit� ... sottolinea che 
l'obiettivo essenziale della gestione dei rifiuti � quello di raggiungere un elevato livello di tutela dell'ambiente 
e della salute umana anzich� quello di facilitare il funzionamento del mercato interno per il 
recupero dei rifiuti�.
322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Emerge, quindi una �accentuazione della tutela preventiva nella produzione 
oltre che nella gestione dei rifiuti, sia con disposizioni vincolanti (come 
quelle sul riutilizzo dei prodotti ovvero sulla preparazione per il riutilizzo, 
nonch� sui programmi di prevenzione), sia con disposizioni programmatiche, 
che, in applicazione del principio della valutazione del ciclo integrale della 
vita di un prodotto (il c.d. �life cycle analysis�), e quindi del suo processo produttivo, 
ne considera i carichi energetici e ambientali, nelle varie fasi di 
vita�(115). 
Nel complesso la nuova normativa si distingue per un �approccio metodologico 
pi� duttile oltre che pi� articolato rispetto a quello codificato con 
prescrizioni rigide ed astratte dalla direttiva 2006/12/CE. Alla medesima logica 
risponde anche la previsione della continuativa collaborazione tra gli Stati 
membri e la Commissione, necessaria per �integrare� alcuni precetti e regole 
tecniche�(116). 
4.2 Il settore territoriale/paesaggistico e delle aree protette 
Con riguardo alla tutela del paesaggio, a livello comunitario non si rinviene 
uno strumento giuridico dedicato specificatamente a tale bene che ha 
visto, in tale ordinamento, una tutela indiretta in considerazione della non univocit� 
degli aspetti in esso ricompresi. Basti considerare la contiguit� con le 
risorse naturali e la protezione dell�ambiente, ma anche gli aspetti relativi alla 
gestione del territorio, per i quali la competenza normativa � lasciata agli Stati 
membri. 
Una vera e propria politica comunitaria avente ad oggetto il paesaggio 
viene configurata solo nella Convenzione europea del paesaggio adottata il 19 
luglio del 2000 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d�Europa (117). 
Pur non essendo formalmente un Atto della Comunit� europea, ma un 
vero e proprio Trattato internazionale redatto su impulso del Consiglio d�Europa, 
la Convenzione nasce in ambito politicamente comunitario e tra i soggetti 
firmatari oltre agli Stati vi � anche e soprattutto la Comunit� europea (118). 
Sul piano sostanziale va segnalata la rilevanza attribuita dalla Convenzione 
al nuovo concetto di paesaggio, definito come �una determinata parte 
di territorio, cos� come � percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva 
(115) Cos� F. GIAMPIETRO, in AA.VV, Commento alla direttiva 2008/98/CE. Quali modifiche al 
Codice dell�ambiente, F. GIAMPIETRO (a cura di), Ipsoa, 2009. 
(116) Ancora F. GIAMPIETRO, cit., il quale osserva che �Si tratta di un regime che, pur con le sue 
luci (e le sue ombre ...) si caratterizza come un work in progress, nel quale gli Stati membri sono (forse 
con un tasso maggiore che nel passato ...) corresponsabili del suo successo o del suo fallimento, soprattutto 
rispetto all�obiettivo di un�effettiva armonizzazione delle regole nel mercato unico�. 
(117) Cfr. G. CARTEI (a cura di), Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Il 
Mulino, 2007. 
(118) La Convenzione � stata firmata dagli Stati membri il 20 ottobre 2000 ed � entrata in vigore 
nel nostro ordinamento il 1 settembre 2006.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 323 
dall�azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni �. Tale definizione 
risulta simile a quella del nostro Codice dei beni culturali e del paesaggio, 
dove pure si fa riferimento al paesaggio comprendente sia aspetti 
naturali sia aspetti umani. L�ampia estensione dell�oggetto di salvaguardia 
(�spazi naturali, rurali, urbani e periurbani, paesaggi terrestri, acque interne 
e marine, paesaggi che possono essere considerati eccezionali ma anche paesaggi 
di vita quotidiana o degradati, paesaggio come comune patrimonio culturale, 
naturale e fondamento di identit��) consegna una nozione di paesaggio 
ad ampio spettro: non un insieme disomogeneo di beni ma un �bene comune�, 
da tutelare come componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, 
espressione della diversit� del loro comune patrimonio culturale e naturale e 
fondamento della loro identit� (119). 
In ragione di tale globale valutazione, la �politica del paesaggio� viene 
ivi definita come �la configurazione di principi generali e di strategie e orientamenti 
a carattere generale�, mentre �la pianificazione dei paesaggi come 
�l�insieme delle azioni volte alla valorizzazione, al ripristino ed alla creazione 
di paesaggi�. 
Emerge quindi dalla Convenzione un approccio globale e diretto al tema 
della qualit� dei luoghi nei quali vivono le popolazioni, qualit� riconosciuta 
come condizione essenziale del benessere (inteso in senso fisico, psicologico 
ed intellettuale) individuale e collettivo, fondamento per uno sviluppo sostenibile 
e risorsa che favorisce le attivit� economiche. Il paesaggio, sotto il profilo 
anche territoriale, viene perci� considerato nel suo insieme, senza operare 
alcuna distinzione fra aree urbane, periurbane, rurali e naturali, e neppure fra 
le parti che possono essere considerate eccezionali, quotidiane o deteriorate; 
di esso non vengono considerati i singoli elementi (culturali, artificiali, naturali), 
ma l�insieme nel quale gli elementi costitutivi sono interrelati. 
Vi � quindi la figura di un paesaggio come �forma dinamica del territorio� 
che come tale richiede la necessaria �integrazione nelle politiche di pianificazione 
del territorio ed in quelle di carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale 
ed economico� (art. 5 della Convenzione) (120). 
(119) Cfr. M. A. SANDULLI, (a cura di) Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lg. 22 gennaio 
2004, n. 42 modificato con i DD.Lg. 24 marzo 2006, nn. 156 e 157), Giuffr�, 2006, in particolare 
il cap. �Convenzioni internazionali - Articolo 133�. Per una sintesi dell�evoluzione del concetto di paesaggio 
a livello legislativo, giurisprudenziale e dottrinario cfr. G.F. CARTEI, Il Paesaggio, in Dizionario 
di Diritto Pubblico a cura di S. CASSESE, Giuffr�, 2006; R. PRIORE, Paesaggio-Diritto, in Enciclopedia 
italiana di scienze, lettere ed arti Treccani (2a appendice 2007). Inoltre, con specifico riguardo all�integrazione 
paesaggio-territorio cfr. A. CHIAUZZI, La tutela del paesaggio come parametro di governo 
del territorio, in R. ROTA (a cura di) Lezioni di diritto dell�ambiente, cit., p. 300; L. PERFETTI, Premesse 
alle nozioni giuridiche di ambiente e paesaggio. Cose, beni, diritti e simboli, in Riv. giur. amb., 2009, 
33; S. AMOROSINO, Introduzione al diritto del paesaggio, Laterza, 2010. 
(120) Le misure specifiche di salvaguardia individuate dalla Convenzione sono finalizzate ad individuare 
le azioni tecnico - operative in relazione a tre aspetti: a) l�inserimento della questione del pae-
324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
Vien cos� in risalto un�idea sistemica che mettendo al centro i due concetti 
di �percezione sociale del paesaggio� e di �ambiente di vita� riesce a legare i 
paesaggi naturali e i paesaggi culturali correlandoli alla comunit� sociale. In 
tale ottica gli strumenti di intervento a tutela del paesaggio diventano strumenti 
di intervento sul territorio ed il paesaggio stesso ne diventa la cifra di riferimento. 
In altri termini se il paesaggio viene a costituire la forma in cui si presenta 
esteriormente ed anche interiormente (in quella visione di �coscienza di luogo� 
messa in luce dalla Convenzione europea del 2000) il territorio e quest�ultimo 
reclama una disciplina che superi le particolarit� secondo un intento di sviluppo 
economico e sociale sostenibile, inevitabilmente, in tale logica di gestione 
dinamica, anche le modalit� di intervento sul paesaggio non potranno 
che adeguarsi a tale metodo dinamico, trattandosi di �gestire� elementi legati 
alle attivit�, in perenne divenire, dell�uomo. 
Analoga impostazione � da rinvenire anche nel nostro quadro normativo 
che sembra aver recepito proprio l�idea di fondo della citata Convenzione europea, 
ove si consideri la rilevanza attribuita alla pianificazione paesaggistica 
(121). La pi� recente legislazione interna infatti si fonda su un�idea di paesaggio 
interamente integrata nel territorio, come evidenzia l�articolata indicazione 
degli elementi per l�elaborazione del piano di cui all�art.143 del nostro 
Codice dei beni culturali e del paesaggio (122). Tra questi elementi notevole 
rilievo assume la previsione della �individuazione delle misure necessarie al 
corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel contesto 
paesaggistico, alle quali devono riferirsi le azioni e gli investimenti finalizzati 
allo sviluppo sostenibile delle aree interessate�. 
Lo sviluppo sostenibile si attua dunque, per tale settore, attraverso la salvaguardia, 
la valorizzazione, la gestione della dimensione culturale che connota 
il paesaggio-territorio, inteso nella sua globalit� (123). 
Se si considera che il territorio costituisce �il luogo fisico� dell�impatto 
ambientale, si comprende anche la fondamentale rilevanza che assume per tale 
saggio in tutte le politiche settoriali che hanno ripercussioni sul territorio; b) la gestione del territorio 
sulla base degli obiettivi di qualit� del paesaggio; c) la conformit� degli interventi con tali obiettivi di 
qualit�. In merito cfr. A. DI BENE, Paysage et amenagement du territoire en Italie �al Deuxieme reunion 
des Ateliers pour la mise en oevre de la Convention europeenne du paysage� � Conseil de l�Europe, 
Strasborg 27-28 novembre 2003. 
(121) Cfr. gli artt. 143, 144 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio come modificati 
dai decreti legislativi n. 62 e n. 63 del 2008. 
(122) Cfr. S. AMOROSINO, Commento agli artt. 135-143-144 e 145, in Codice dei beni culturali e 
del paesaggio, a cura di M. A. SANDULLI, Giuffr�, 2006; P. CARPENTIERI, Commento all�art. 145 in AA.VV. 
Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. TROTTA, in G. CAIA e N. AICARDI, Cedam, 2006. 
(123) Cfr. D. SORACE, Paesaggio e paesaggi nella Convenzione europea, in G. CARTEI, Convenzione 
europea, cit., p. 17; S. CIVITARESE MATTEUCCI, La concezione integrale del paesaggio alla prova 
della prima revisione del Codice del paesaggio, ibidem, cit., p. 209.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 325 
settore la Valutazione ambientale strategica riguardata come sintesi tra la tutela 
ambientale e la pianificazione territoriale e paesaggistica (124). 
Con riguardo invece alla protezione della natura o delle aree protette � 
da dire che la materia attiene a quel settore che va sotto il nome di biodiversit�, 
termine che designa le variet� delle specie, degli ecosistemi e del loro patrimonio 
genetico (125). 
In ambito comunitario la salvaguardia della biodiversit� � posta tra gli 
obiettivi del VI Programma quadro di azione ambientale ed � oggetto di un 
apposito piano comunitario d�azione adottato dalla Commissione europea il 
22 maggio 2006. In tale Documento si pone l�accento sulla esigenza imprescindibile 
di tutelare tale �bene risorsa� anche in ragione dei �benefici che 
esso apporta alle generazioni attuali e future, grazie ai servizi offerti dagli ecosistemi, 
quali la produzione di cibo, combustibile, fibre e medicinali, l�effetto 
regolatore sull�acqua, l�aria ed il clima, il mantenimento della fertilit� del 
suolo, i cicli dei nutrienti �(126). 
In ragione poi della diversificazione della diffusione della biodiversit� 
sul territorio europeo ma anche del rischio cui sono esposti i diversi habitat e 
le diverse specie, l�approccio comunitario � stato improntato alla differenziazione 
della tutela, con la creazione di una rete di siti ad elevato valore naturalistico 
denominata �Natura 2000�(127) . 
La disciplina comunitaria per tale settore fa capo alla direttiva 
79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici, successivamente 
sostituita dalla direttiva 2009/147/CE (c.d. direttiva uccelli), e la diret- 
(124) Si consideri che pur in assenza di strumenti derivanti da specifica normativa comunitaria, 
il termine paesaggio figura gi� nella direttiva 85/337 sulla VIA, come elemento da considerare nell�effettuare 
le valutazioni dei progetti; ma ancora nella direttiva rifiuti 75/442 e 2006/12 ed ancora nella direttiva 
che recepisce la Convenzione di Aarhus allorch� afferma la necessit� di coinvolgere il pubblico 
nelle decisioni concernenti il paesaggio. Infine espliciti riferimenti al paesaggio si possono rinvenire in 
strumenti legislativi ed iniziative afferenti l�ambito delle politiche agricole, soprattutto con riferimento 
alla tutela della diversit� dei paesaggi rurali. La direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato 
interno, al Considerando 40, tra i nuovi �motivi imperativi di interesse generale� specifica, accanto alla 
protezione dell�ambiente tout-court, quelli alla �protezione dell�ambiente urbano, compreso l�assetto 
territoriale in ambito urbano e rurale�, gli obiettivi di politica culturale �, la conservazione del patrimonio 
nazionale storico e artistico...�. 
(125) Cfr. R. PAVONI, Biodiversit� e biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario, Giuffr�, 
2004; W.P. J. WILS, La protection des habitats naturales en droit communautaire, in C. D. E., 1994. 
(126) Quale parte integrante dell�iniziativa sull�uso efficiente delle risorse, il 3 maggio 2011 la 
Commissione europea ha presentato una Comunicazione (COM(2011)244), relativa a una strategia UE 
sulla biodiversit� fino al 2020 intesa ad aggiornare gli obiettivi UE stabiliti nel 2010 per porre fine, 
entro il 2020, alla perdita di biodiversit� e al degrado dei servizi ecosistemici. Anche riguardo alla tutela 
del suolo, come preziosa risorsa naturale, va segnalata la Comunicazione n. 179 della Commissione intitolata 
�Verso una strategia tematica per la protezione del suolo�, che si caratterizza per la notevole rilevanza 
attribuita a detta risorsa considerata supporto alla vita e agli ecosistemi, riserva di patrimonio 
genetico e di materie prime, custode della memoria storica, nonch� elemento essenziale del paesaggio. 
(127) Cfr. F. DINELLI, Tutela della biodiversit� e protezione della natura, in G.ROSSI, cit., p. 322 e ss.
326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
tiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali 
e della flora e della fauna selvatiche (c.d. direttiva habitat). 
La prima direttiva prevede, tra le misure che gli stati membri adottano 
per la tutela degli uccelli selvatici, l�istituzione di zone di protezione speciale 
(ZPS) alle quali si aggiungono le zone speciali di conservazione (ZSC), con i 
siti di importanza comunitaria (SIC), istituite ai sensi della direttiva habitat, 
le quali formano cos� la rete ecologica �Natura 2000�, destinate alla conservazione 
della biodiversit� sul territorio dell�Unione Europea (128). 
Lo strumento previsto dalla normativa comunitaria a salvaguardia di tali 
zone � il procedimento della Valutazione di incidenza al quale deve essere sottoposto 
qualsiasi piano, progetto o intervento che possa avere incidenze significative 
su un sito di Natura 2000. La procedura, seguendo il principio di 
precauzione, si applica sia agli interventi che ricadono all'interno delle aree 
Natura 2000 sia a quelli che, pur sviluppandosi all'esterno, possono comportare 
ripercussioni sullo stato di conservazione degli habitat protetti (129). 
Da rilevare il particolare rigore assunto dal giudice comunitario circa l�interpretazione 
della disciplina concernente la valutazione di incidenza di cui 
all�art. 6 della direttiva habitat. Secondo l�orientamento interpretativo della 
Corte di Giustizia, infatti, la previsione della direttiva in base alla quale le autorit� 
nazionali competenti autorizzano il piano o progetto solo a condizione 
che abbiano acquisito �la certezza� che esso sia privo di effetti pregiudizievoli 
per l�integrit� del sito, deve essere intesa nel senso che tale situazione di certezza 
in un�ottica precauzionale � ricorre, una volta impiegate le migliori conoscenze 
scientifiche, solo �quando non sussista alcun dubbio ragionevole da 
un punto di vista scientifico circa l�assenza di tali effetti� (130). 
4.3 Gli strumenti procedimentali: VIA, VAS e AIA 
Come tutto il complesso della materia del diritto dell'ambiente anche i 
procedimenti ambientali hanno avuto origine in ambito sovranazionale. In particolare 
tale settore si � sviluppato attraverso l�introduzione di strumenti di 
(128) Si definisce SIC un�area geografica che contribuisce in modo significativo a mantenere o a 
ripristinare un tipo di habitat naturale di cui all�allegato I o una specie di cui all�allegato II della direttiva 
del Consiglio 92/43/CEE (Direttiva Habitat). Sono invece denominate ZPS le aree per la protezione e 
conservazione delle specie di uccelli indicate negli allegati della direttiva 79/409/CEE, come modificata 
con la citata direttiva 2009/147/CE (Direttiva Uccelli). 
(129) Cfr. C. GIRAUDEL, La protection conventionnelle des espaces naturalles, Limoges, 2000; 
R. MONTANARO, Direttiva habitat e valutazione di incidenza: primi interventi giurisprudenziali, in Foro 
amm., n. 11, 2002; S. BOERIS FRUSCA - F. CATTAI - A. MAFFIOLOTTI - M. PAGNI, La valutazione di incidenza 
ecologica, (a cura di), ARPA-PIEMONTE, in Stato amb., 2002; Commissione europea, Valutazione 
di piani e progetti aventi un�incidenza significativa sui siti della rete natura 2000. Guida metodologica 
alle disposizioni dell�articolo 6, paragrafi 3 e 4 della direttiva Habitat 92/43/C.E.E., Lussemburgo � 
Ufficio per le pubblicazioni ufficiali delle Comunit� Europee, 2002. 
(130) Corte di Giustizia 7 settembre 2004, in causa C-127/02; 26 ottobre 2006, in causa C-239/04 
e 20 settembre 2007 in causa C-304/05.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 327 
elevata tecnicit� sul piano normativo e fondamentalmente ispirati al principio 
di prevenzione. 
Il primo di tali procedimenti � il procedimento di valutazione di impatto 
ambientale (VIA) (131), prototipo giuridico, per cos� dire, di tutti gli altri procedimenti 
introdotti successivamente. ComՏ noto esso � stato disciplinato 
originariamente dalla direttiva 85/337/CEE del Consiglio, la quale costituisce 
indubbiamente una delle pi� significative realizzazioni normative della politica 
ecologica, sviluppata, a livello comunitario, intorno a tre riferimenti principali, 
ovvero i programmi di azione elaborati nel 1973, nel 1977 e nel 1981 in accoglimento 
delle sollecitazioni dei capi di Stato e di Governo provenienti dalla 
Conferenza di Parigi del 1972, che aveva elevato a compiti essenziali della 
Comunit� la lotta alle varie forme di inquinamento, il miglioramento della 
qualit� della vita e la protezione dell�ambiente naturale. 
Peculiarit� del procedimento � la sua finalit� preventiva: esso �, infatti, 
finalizzato a prevedere gli effetti sull'ambiente di determinati progetti pubblici 
e privati per la realizzazione di opere e interventi sul territorio, al fine di prevenire, 
evitare o minimizzare le conseguenze dannose di questi ultimi. Detta 
procedura affianca il procedimento autorizzatorio principale e, a seguito di 
un'istruttoria a carattere tecnico-scientifico ed interdisciplinare, sfocia in un 
giudizio preventivo in ordine alla compatibilit� ambientale di un determinato 
progetto suscettibile di arrecare pregiudizi all'ambiente. 
Con riguardo alle categorie di progetti sottoponibili al procedimento di 
valutazione, la normativa comunitaria opera una distinzione tra progetti che 
obbligatoriamente formano oggetto del procedimento (i progetti appartenenti 
alle classi indicate nell'allegato I alla direttiva), e progetti che invece sono oggetto 
di valutazione solo quando gli Stati membri ritengano che le loro caratteristiche 
lo richiedano (progetti rientranti nelle classi indicate nell'allegato II 
(131) Per una compiuta trattazione dell�argomento, qui solo brevemente accennato, si rinvia alla 
parte speciale ad esso dedicata. La bibliografia in tema di VIA � pressoch� sterminata, in generale cfr. 
L. KRAMER, Effect national des directives communautaires en mati�re d�environnement, in R.J.E., 1990; 
C. MALINCONICO, La prevenzione nella tutela complessiva dell�ambiente: La valutazione di impatto ambientale, 
in C. MALINCONICO, I beni ambientali, vol. V, in Trattato di diritto amministrativo (a cura di 
G. SANTANIELLO), Padova, 1991; S. GRASSI, Problemi di attuazione della direttiva comunitaria sulla valutazione 
di impatto ambientale per i progetti di cui all�allegato II (art. 4, par. 2, direttiva n. 85/337/ 
C.E.E.), in Gazz. Ambiente, 1997; V. GRADO, Tendenze evolutive della politica comunitaria dell'ambiente 
in relazione al quarto programma d'azione, in Diritto Europeo, 1993, p. 24; A. CUTRERA, La direttiva 
85/337/CEE sulla valutazione di impatto ambientale, in Riv. Giur. Amb., 1987, p. 499 e ss.; S. GRASSI, 
Il quadro europeo sulla VIA, in Gazzetta Ambiente, n. 1, 1997, p. 3; R. FERRARA (a cura di), La valutazione 
di impatto ambientale, Cedam, 2000; F. FONDERICO, Valutazione di impatto ambientale, in Diz. 
Dir. Pubb., diretta da S. CASSESE, VI, Giuffr�, 2006, p. 6171; dello stesso A., La tutela dell�ambiente, in 
Trattato di diritto amministrativo (a cura di S. CASSESE), vol. II, Diritto amministrativo speciale, Giuffr�, 
2000, ed. 2003; A. CROSETTI, Natura e funzione della V.I.A., in R. FERRARA, La Valutazione di impatto 
ambientale, cit.; P. DELL�ANNO, Manuale di diritto ambientale, Padova, 2000; A. CHIAUZZI, Gli strumenti 
del diritto dell�ambiente: i procedimenti ambientali, in R. ROTA (a cura di) Lezioni di diritto dell�ambiente, 
cit., p. 88; J.H. JANS, European Environmental Law, Groningen, 2008, p. 311.
328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
della direttiva medesima). Ai sensi dell'art. 4, secondo comma, della direttiva 
infatti, per i progetti elencati nell'allegato II, gli Stati determinano, mediante 
un esame concreto o mediante la fissazione di soglie e criteri se il progetto 
debba essere sottoposto o meno al procedimento di VIA. Gli Stati possono decidere 
di applicare anche entrambe le modalit�; quando si parla di fissazione 
di soglie o criteri si fa riferimento ad un sistema nel quale la scelta se utilizzare 
o meno il procedimento non avviene considerando singolarmente ogni fattispecie, 
ma viene effettuata a monte gi� in sede normativa. 
Sia che si esamini caso per caso, sia che vengano fissate delle soglie, gli 
Stati tengono conto dei criteri stabiliti dal legislatore comunitario, nell'allegato 
III della direttiva, riguardanti tre aspetti: a) le caratteristiche dei progetti; b) la 
localizzazione dei progetti; c) le caratteristiche dell'impatto potenziale. 
L'introduzione di tali criteri da parte della direttiva 97/11, di modifica 
della direttiva n. 85/337 (132), costituisce l'ingresso nella disciplina comunitaria 
della procedura di "screening", in base alla quale gli Stati destinatari della 
direttiva, secondo le modalit� indicate, analizzano e vagliano i singoli progetti 
allo scopo di decidere se sia il caso o meno di sottoporli alla valutazione di 
impatto ambientale. 
Tralasciando i profili pi� squisitamente strutturali e funzionali del procedimento, 
� da dire che la cifra distintiva della disciplina della VIA a livello comunitario 
resta la sua connotazione di valutazione prevalentemente tecnica. Il nostro 
ordinamento invece, a pi� riprese, ed anche nel tentativo di affinare via via gli 
strumenti atti ad un pi� adeguato recepimento, specie nell�ottica della semplificazione 
delle procedure (133), continua a non essere in linea con quell�impostazione 
ove si consideri che da sempre, e cio� sin dalla prima embrionale 
attuazione della direttiva 337/85 attraverso l�art. 6 della legge 349/86 e dpcm 
attuativi del 1988, la natura composita del procedimento ne ha fatto prevalere 
gli aspetti di discrezionalit� amministrativa se non addirittura politica (134). 
Il procedimento di valutazione ambientale strategica (VAS), introdotto 
con la direttiva 2001/42, riguarda invece l�incidenza sull�ambiente dell�ap- 
(132) Con la direttiva 2003/35/CE del 26 maggio 2003 sono state apportate modifiche alle direttive 
del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all'accesso alla 
giustizia. 
(133) Ottica che traspare gi� nelle modifiche apportate al d.lvo 152/06 con il d.lvo correttivo n. 
4/08 e da ultimo con il d.lvo n. 128/10. 
(134) Su tali problematici aspetti, sia consentito rinviare a R. ROTA, Il binomio VIA partecipazione: 
alcuni spunti propositivi, in La VIA nei trasporti, CNR-PFT2, Capri, 13-15 ottobre, 1994 e La procedura 
di valutazione di impatto ambientale tra discrezionalit� tecnica e discrezionalit� amministrativa: alcune 
note ricostruttive, in Scritti in onore di Serio Galeotti, Giuffr�, 1998, vol. II, p. 353 e ss. In tema, cfr. 
inoltre F. GIAMPIETRO, Criteri tecnici o discrezionali nel c.d. giudizio di compatibilit� ambientale? Proposte 
di coordinamento della V.I.A. con gli altri procedimenti autorizzatori, in Riv. Giur. Amb., 1995, p. 
411 e ss.; F. FRACCHIA, I procedimenti amministrativi in materia ambientale, in A. CROSETTI - R. FERRARA 
- F. FRACCHIA - N. OLIVETTI RASON, Diritto dell�ambiente, Laterza, 2008. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 329 
provazione di piani e programmi, e dunque implica una valutazione/scelta a 
monte, a livello cio� di pianificazione complessiva degli interventi. Pur essendo 
strutturalmente simile alla VIA se ne differenzia appunto per l�oggetto, 
che nella VAS come detto sono tutti gli atti di pianificazione e di programmazione 
i quali possono produrre �effetti significativi sull�ambiente�. Nell�art.3 
della direttiva figurano infatti gli strumenti �elaborati per i settori agricolo, 
forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei 
rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione 
territoriale o della destinazione dei suoli�. L�art. 4 della direttiva precisa poi 
che �la valutazione (�) deve essere effettuata durante la fase preparatoria 
del piano o programma� e fissa l�obbligo per gli Stati membri di integrare la 
VAS nelle procedure, gi� esistenti nei singoli ordinamenti, concernenti l�adozione 
dei piani e dei programmi rientranti nel campo di applicazione della direttiva. 
Evidente dunque la centralit� del ruolo che tale procedimento assume all�interno 
delle politiche ambientali europee. Con la VAS infatti la valutazione 
dell�interesse ambientale viene anticipata al momento in cui l�opera singola 
non � stata ancora progettata o nemmeno concepita. 
In questa prospettiva la VAS sicuramente nasce per porre rimedio al maggior 
limite della VIA; il presupposto �, infatti, la consapevolezza dei limiti intrinseci 
della valutazione di impatto ambientale, strumento che per la propria 
struttura si rivela inidoneo a consentire di cogliere le implicazioni sul sistema 
ambientale indotte dal sommarsi sul territorio di singoli interventi puntuali. 
Il primo articolo della direttiva sulla VAS precisa l�obiettivo della direttiva 
stessa che � quello di �garantire un elevato livello di protezione dell�ambiente 
e di contribuire all�integrazione di considerazioni ambientali all�atto dell�elaborazione 
e dell�adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo 
sostenibile assicurando che�venga effettuata una valutazione 
ambientale di determinati piani e programmi che possono avere un impatto 
significativo sull�ambiente�. 
Alla luce di tale disposizione, si pu� senz�altro affermare che, pur essendo 
la Valutazione strategica, al pari della VIA, uno strumento finalizzato a prevenire 
eventuali pregiudizi ambientali, essa ha come funzione prevalente 
quella di integrare la politica ambientale nelle fasi decisionali dell�adozione 
dei piani e programmi. Il principio ispiratore della VAS, e sua base giuridica 
comunitaria, si rinviene perci� nel principio di integrazione e dunque nella 
previsione del Trattato in base alla quale �le esigenze connesse con la tutela 
dell'ambiente devono essere integrate nella definizione delle politiche e delle 
azioni comunitarie, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo 
sostenibile nel quale si chiede alle istituzioni comunitarie�. 
La normativa interna, che ha recepito nel nostro ordinamento la disciplina 
comunitaria della Valutazione Strategica, soprattutto dopo le modifiche ap-
330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
portate con il decreto legislativo n. 4/08 (135), ci consegna un procedimento 
che pi� che volto a �regolare� l�iter autorizzativo, �concerne piuttosto un processo 
decisionale, qualificato dalla pubblica Amministrazione che, partendo 
da un determinato quadro normativo, da un certo contesto sociale ed economico, 
territoriale ed ambientale e confrontandosi con la societ�, compie scelte 
ed assume decisioni�(136). 
Anche il procedimento di autorizzazione ambientale integrata, come la 
VIA, costituisce applicazione del principio di prevenzione. Nasce in ambito 
comunitario con la direttiva n. 96/61 CE (c.d. IPPC � integrated pollution prevention 
and control), modificata successivamente dalla direttiva 2003/87/CE, 
e da ultimo confluita nella direttiva 2008/1/CE che ha riscritto la disciplina 
precedente senza modificarne le caratteristiche fondamentali. 
Analogamente, per tale procedimento, che ha ad oggetto l�autorizzazione 
per l�esercizio di impianti aventi possibili effetti nocivi per l�ambiente, l�approccio 
� quello di una visione complessiva del fenomeno inquinante teso a 
considerare l�interconnessione delle diverse forme di inquinamento con riferimento 
ad una singola attivit�. 
Obiettivo finale � la semplificazione del regime autorizzatorio vigente 
per determinate attivit� potenzialmente lesive di diversi fattori ambientali. 
La stretta relazione sussistente tra la procedura di VIA e l�AIA ha determinato 
la necessit� di integrare le due procedure. In considerazione di ci�, la 
direttiva 97/11 CE ha previsto la possibilit� di una procedura unica (137). 
(135) Il decreto legislativo n. 152/06 � stato ulteriormente modificato e integrato con il decreto 
legislativo n. 128 del 29 giugno 2010. 
(136) Cos� P. CECCHETTI, VAS in Italia: prospettive e criticit� in Convegno Nazionale, Roma 26 
novembre 2009, il quale sottolinea come �questo tipo di approccio � in linea con le procedure amministrative 
europee in materia ambientale, incentrate sui criteri di integrazione, responsabilizzazione e sussidiariet�, 
anche rispetto a procedure autoritative di tipo �command and control�. 
(137) Sull�autorizzazione ambientale integrata e sulle forme di prevenzione integrata degli inquinamenti 
cfr. T. MAROCCO, La direttiva IPPC e il suo recepimento in Italia, in Riv. Giur. Amb., 2004, 1, 
p. 35; A. SCARCELLA, L�autorizzazione integrata ambientale: il nuovo sistema di prevenzione controllo 
delle fonti inquinanti dell�ambiente: principi, procedure e sistema sanzionatorio, Giuffr�, 2005. Nell'ottica 
del coordinamento tra gli strumenti di tutela ambientale, il nostro legislatore, con il d.lgs. 
128/2010, ha rivisto anche la norma di coordinamento tra VIA e AIA, confermando che a livello nazionale 
l'AIA rimane assorbita dalla VIA, la quale, tuttavia, dovr� essere integrata e completata cos� da 
soddisfare tutti i requisiti dell'autorizzazione sostituita. A livello regionale, invece, � confermata la semplificazione 
delle due procedure e la possibilit� di prevedere anche a livello regionale l'assorbimento 
dell'AIA nella VIA. �L'unica vera novit� introdotta dalla riforma � il coordinamento in caso di screening 
a livello nazionale. Mentre, infatti, la versione precedente nulla diceva rispetto al coordinamento tra 
AIA e verifica di assoggettabilit� alla VIA, il nuovo articolo 10 prevede che tale verifica debba necessariamente 
essere espletata prima della richiesta di AIA. Qualora l'esito della verifica confermasse la 
necessit� della VIA, quest'ultima assorbirebbe anche l'Autorizzazione Integrata Ambientale. Qualora, 
invece, la VIA fosse esclusa, il soggetto interessato potr� procedere a richiedere l'AIA�. Cos� F. VANETTI, 
Autorizzazione ambientale integrata, in Greenlex.it, ottobre 2010, il quale fa anche notare che �se da 
un lato l'intervento legislativo ha contribuito ad un maggior coordinamento della parte seconda del Codice, 
dall'altro, non ha sfruttato appieno l'occasione di modifica. Infatti, rispetto alle migliori tecniche
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 331 
4.4 La responsabilit� per danno ambientale 
La disciplina della responsabilit� ambientale in ambito comunitario costituisce 
attuazione del principio di prevenzione e del principio �chi inquina 
paga�. 
Il Sesto programma di azione per l�ambiente evidenzia infatti che: �Il 
Trattato prevede che la politica ambientale comunitaria si basi su determinati 
principi fondamentali, tra cui il principio �chi inquina paga� ed il principio di 
azione preventiva. Pertanto uno dei principali compiti della Comunit� � di garantire 
che chi causa danno alla salute umana o all�ambiente risponda delle 
proprie azioni e che comunque ove possibile tale danno sia evitato�. 
Anche il Libro Verde della Commissione Europea in materia di responsabilit� 
civile per danno all�ambiente recita: �A Community wide system of 
civil liability for environmental damage would draw on a basic and universal 
principle of civil law, the concept that a person should rectify damage that he 
causes. This legal principle, is strongly related to two principles forming the 
basis of Community environmental policy since the adoption of the Single 
Act, the principle of prevention and the �polluterpays� principle�. 
In particolare, riguardo al principio �chi inquina paga� non pu� dubitarsi 
che esso assuma un ruolo fondamentale per la responsabilit� civile in campo 
ambientale, ponendo le basi di un�azione della Comunit� in tal senso. In dottrina 
si � infatti sottolineata la peculiarit� di tale principio rispetto agli altri � anche 
per la sua formulazione � attribuendo ad esso non solo una valenza di indicazione 
programmatica (propria dei principi) bens� quella di obbligo di un risultato 
ben preciso: la traslazione di un costo da chi lo subisce a chi lo genera (138). 
L�importanza del principio � emersa gi� nel 1972 quando l�OECD (139), 
in occasione di una riunione del Comitato per l�ambiente, lo indic� quale 
�principio di efficienza economica�, ci� che evidenzia la stretta connessione 
con gli aspetti economici della tutela ambientale. Tale orientamento � stato 
poi formalizzato dallo stesso organo in due successive raccomandazioni, che 
ne hanno meglio specificato le modalit� applicative (140). 
Tuttavia � da dire che per diverso tempo in ambito comunitario non si 
disponibili, pur inserendo un espresso richiamo ai documenti BREF (BAT Reference Documents) pubblicati 
dalla Commissione europea, il Codice riserva ancora a futuri decreti ministeriali la definizione 
delle linee guida per l'individuazione e l�utilizzo delle migliori tecniche disponibili per le diverse categorie 
di impianti�. 
(138) Cfr. M.MELI, Il principio comunitario �chi inquina paga�, 1996 e D. DAVANZO, La nuova 
responsabilit� ambientale. Profili di diritto comunitario e interno, Rubbettino, 2007. 
(139) OECD, menzionata nella Comunicazione della Commissione al Consiglio sul programma 
delle Comunit� Europee per l�ambiente, 24 marzo 1972. 
(140) Raccomandation of the Council of guiding principles concerning international economic 
aspects of environmental policies, del 26 maggio 1972 e Raccomandation of the Council of the implementation 
of the polluter pays principle, del 14 novembre 1974, in OECD The Polluter Pays Principle, 
Paris 1975, p. 11, 18.
332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
sono riscontrati elementi tali da attribuire al principio in questione la qualificazione 
di strumento di responsabilit� civile ambientale. Almeno fino alla met� 
degli anni �80, � sembrato che la Comunit� abbia posto pi� l�accento su una 
politica di tipo preventivo che non di riparazione del danno. 
E� solo con l�Atto Unico europeo infatti che il principio entra a far parte 
a pieno titolo dei principi fondamentali della tutela ambientale (141). 
In seguito, dopo un lungo e complesso iter legislativo, iniziato nei primi 
anni ottanta, il legislatore dell�UE ha approvato la direttiva 2004/35/CE, che 
introduce un quadro di riferimento per gli Stati membri in tema di prevenzione 
e riparazione del danno ambientale, in linea col principio �chi inquina paga� 
e coerentemente con il principio dello sviluppo sostenibile (142). 
Essa richiama orientamenti gi� enunciati nei documenti quali il Libro 
(141) Una netta presa di posizione, in sede comunitaria, per quanto riguarda la connessione tra il 
principio �chi inquina paga� e la responsabilit� per danno ambientale, � contenuta nella Proposta di Direttiva 
del Consiglio relativa alla responsabilit� civile per i danni causati dai rifiuti presentata dalla Commissione 
l�1 settembre 1989, e modificata nel giugno del 1991. Nella Proposta � previsto un regime di 
responsabilit� oggettiva per i danni causati all�ambiente e, nei Considerando, si legge che il ricorso a 
tale criterio di imputazione � correlato all�esigenza di rendere operativo il principio �chi inquina paga�. 
Il principio diventa quindi presupposto per l�attuazione di politiche ambientali incentrate sia su un criterio 
preventivo, legato all�intervento dei pubblici poteri, sia su un criterio riparatorio, legato alla responsabilit� 
civile. Da questo momento in poi il principio �chi inquina paga� diverr� il presupposto per l�emanazione 
di una serie di atti della Comunit� Europea in ordine alla creazione di un sistema di responsabilit� 
civile in campo ambientale valido per tutti gli Stati membri, fino ad arrivare alla Direttiva 2004/35 CE. 
(142) Con riguardo alla direttiva, cfr. U. SALANITRO, La direttiva comunitaria sulla responsabilit� 
per danno ambientale, in Rass. dir. pubbl. europeo, 2003, p. 137 ss.; dello stesso A., pi� di recente, Il 
danno ambientale, Aracne, 2009; C. CLARKE, The proposed EC liability Directive: half-way trhrough 
Co-Decision, in Reciel, Blackwell Publishing Lid, 2003; V. FOGLEMAN, The environmental liability directive, 
in Environmental liability, 2004, p. 101 ss.; B. POZZO (a cura di), La responsabilit� ambientale. 
La nuova direttiva sulla responsabilit� ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno 
ambientale, Milano, 2005; L. BERGKAMP, Implementation of the environmental liability directive in EU 
member states, in 6 ERA Forum, 2005, p. 389 ss.; H. DESCAMPES, Liability for environmental damage 
in Belgium (Flemish region) in 2005, ivi, 401 ss.; A. FERRERI, La direttiva n. 2004/35/CE sulla prevenzione 
e riparazione del danno ambientale, in Dir. Comunitario e degli scambi internazionali, 2005, p. 
56; E. CORNU -THENARD, La r�paration du dommage environnemental: �tude compa-rative de la directive 
2004/35/CE du 21 avril 2004 sur la responsabilit� environne-mentale et de l�US Oil Pollution Act, 
in Revue juridique de l�environnement, 2008, p. 175 ss. E.H.P. BRANS, Liability for damage to public 
natural resources under the 2004 EC Environmental liability directive. Standing and assessment of damages, 
in Environmental law review, 2005, p. 90 ss.; F. CARLESI, La prevenzione e la riparazione del 
danno ambientale come oggetto di funzione amministrativa: riflessioni alla luce della direttiva 
2004/35/CE, in D. DE CAROLIS, E. FERRARI, A. POLICE (a cura di), Ambiente, attivit� amministrativa e 
codificazione, Milano 2006, p. 507 ss.; M. C. ALBERTON, Dalla definizione di danno ambientale alla 
costruzione di un sistema di responsabilit�: riflessioni sui recenti sviluppi di diritto europeo, in Riv. 
giur. amb., 2006, p. 605 ss.; V. FOGLEMAN, Enforcing the environmental liability directive: duties, powers 
and self-executing provisions, in Environmental liability, 2006, p. 127 ss.; della stessa a.: The environmental 
liability directive and its impacts on English environmental law, in Journal of planning and environment 
law, 2006, p. 1443 ss.; G. CROWHURST, The environmental liability directive: a UK 
perspective, in European environmental law review, 2006, p. 266 ss.; A. DI CAPRIO, La responsabilit� 
per danno ambientale, in R. ROTA (a cura di), Lezioni, cit., p. 163 e ss; M.C. ALBERTON, Il danno ambientale 
in un�ottica multilivello, IANUS, 2010.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 333 
Verde sulla responsabilit� civile per danno ambientale del 1993 e il Libro 
bianco sulla responsabilit� per danni all�ambiente del 2000. 
In particolare si riconosce che �l�operatore� (la persona fisica o giuridica 
che esercita o controlla l�attivit� professionale) la cui attivit� abbia causato un 
danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno (143), sar� considerato 
finanziariamente responsabile, in modo da indurre gli operatori ad adottare 
misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale. 
La normativa affronta per la prima volta il problema della tutela diretta 
delle risorse naturali, attraverso lo strumento della responsabilit� civile allorquando 
sia possibile identificare i soggetti inquinatori, il danno sia concreto e 
quantificabile e sia possibile accettare il nesso causale tra il danno ed il soggetto 
identificato. 
Nello specifico, la direttiva � che per taluni aspetti riprende i principi 
adottati dalla Convenzione internazionale di Lugano in materia di risarcimento 
del danno derivante dall�esercizio di attivit� pericolose indica due differenti 
ipotesi nelle quali ricorre la responsabilit� per danno ambientale, che si distinguono 
sia per l�oggetto della tutela, sia per le caratteristiche dell�attivit� che 
ha causato il danno, sia per il criterio di imputazione della responsabilit�. 
Nella prima ipotesi assume rilievo il danno ambientale, o la minaccia imminente 
di tale danno, causato da un�attivit� professionale potenzialmente pericolosa 
per l�ambiente. La direttiva delimita il concetto di danno ambientale, 
il quale, per essere rilevante, deve rientrare in una delle seguenti tipologie: 
danno alle specie e agli habitat protetti, danno alle acque e danno al terreno. 
�Il danno alle specie e agli habitat protetti � rilevante se produce significativi 
effetti negativi sul conseguimento di uno stato di conservazione favorevole 
di specie o habitat tutelati dalle direttive comunitarie 79/409/CEE e 
92/43/CEE o che lo Stato membro individua per fini equivalenti a quelli perseguiti 
da tali direttive. Il danno alle acque viene definito come qualsiasi danno 
che incida in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico 
e/o quantitativo e/o sul potenziale ecologico delle acque, cos� come definiti 
dalla direttiva 2000/60/CE. Il danno al terreno � limitato alle contaminazioni 
del suolo o del sottosuolo che creino un rischio significativo di effetti negativi 
sulla salute umana� (144). 
Per quanto riguarda le misure da adottare il legislatore europeo distingue 
tra misure di prevenzione e misure di riparazione. Le prime interessano un 
evento, un atto o un�omissione che hanno creato una minaccia imminente di 
(143) La direttiva definisce il danno ambientale quale �mutamento negativo misurabile di una risorsa 
naturale o un deterioramento misurabile di un servizio di una risorsa naturale, il quale pu� prodursi 
direttamente o indirettamente�. 
(144) Cfr. U. SALANITRO, Il danno ambientale, cit.
334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
danno ambientale, al fine di impedire o minimizzarne gli effetti; le seconde 
invece attengono a un danno gi� verificatosi e consistono in tutte quelle iniziative 
volte a controllare, circoscrivere, eliminare o gestire, con effetto immediato, 
gli elementi inquinanti dell�evento specifico, allo scopo di limitare 
o prevenire ulteriori danni ambientali ed effetti nocivi per la salute umana, ovvero 
ulteriori deterioramenti ai servizi (145). 
Sul piano soggettivo � responsabile del danno ambientale la persona fisica 
o giuridica che esercita o controlla l�attivit� professionale (cio� un�attivit� economica, 
commerciale o imprenditoriale, di carattere pubblico o privato, con o 
senza fini di lucro) che ha causato il danno. Ma tale responsabilit� ricorre solo 
se l�attivit� economica rientra tra quelle prese in considerazione dalla disciplina 
comunitaria di settore, per la loro potenziale pericolosit� per l�ambiente 
e la salute, elencate nell�Allegato III della direttiva (146). Il danno causato da 
una di tali attivit� determina una responsabilit� ambientale di tipo oggettivo. 
Sono previste ipotesi di esenzione da detta responsabilit� con onere della prova 
a carico dei c.d. operatori. 
Nella seconda ipotesi diventa invece rilevante, ai fini della responsabilit�, 
esclusivamente il danno alle specie e agli habitat naturali protetti, o la minaccia 
imminente di tale danno, causato da un�attivit� professionale non compresa 
tra quelle indicate nell�Allegato III, in quanto potenzialmente non pericolosa 
per l�ambiente e la salute; in tal caso l�operatore � responsabile solo in caso di 
comportamento doloso o colposo. 
In sintesi ne risulta una responsabilit� differenziata a seconda delle attivit� 
professionali: responsabilit� oggettiva per le attivit� ad alto rischio e soggettiva 
per quelle non ad alto rischio. Sotto questo profilo, la normativa italiana di recepimento 
non sembra porsi in linea con la direttiva comunitaria, atteso che 
dalla disposizione normativa del d.lvo 152/06, come modificato fino al d.lvo 
128/2010 ed anche d.lvo 205/2010, traspare un�impostazione ancora tutta fondata 
sulla responsabilit� aquiliana. 
4.5 L� accesso alle informazioni ambientali 
Il diritto di accesso alle informazioni ambientali, nell�ordinamento comunitario, 
costituisce diretta applicazione del principio di trasparenza ma, al 
contempo, anche di quello di partecipazione. 
Non � quindi senza significato che l�ultima direttiva in ordine di tempo 
specificamente dedicata alla disciplina dell�accesso ambientale direttiva del 
(145) Cfr. A. DI CAPRIO, La responsabilit�, cit., p. 165 e ss., specie riguardo ai diversi tipi di 
misure di riparazione. Inoltre, I. A. NICOTRA - U. SALANITRO, Il danno ambientale tra prevenzione e riparazione, 
Giappichelli, 2010, ivi in particolare i contributi di C. CASTRONOVO e A. LONGO. 
(146) Una serie di attivit� � espressamente esclusa dall�ambito di applicazione della direttiva. In 
merito cfr. S. M. CARBONE - F. MUNARI - L. SCHIANO DI PEPE, The environmental liability for damage 
to the marine environment, in Environmental liability, 2008, p. 18 ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 335 
Parlamento europeo e del Consiglio n. 2003/4/CE del 28 gennaio 2003 al primo 
considerando espressamente affermi che un rafforzamento dell�accesso del 
pubblico all�informazione ambientale e la diffusione di tale informazione �contribuiscono 
a sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali, 
a favorire il libero scambio di opinioni, ad una pi� efficace partecipazione del 
pubblico al processo decisionale in materia e, infine, a migliorare l�ambiente�. 
Evidente appare dunque lo stretto legame sussistente tra circolazione delle informazioni, 
partecipazione del pubblico alle decisioni e obiettivo finale di tutela 
dell�ambiente naturale. Ne consegue che la relativa regolamentazione � preordinata 
s� ad assicurare esigenze di trasparenza e diffusione delle informazioni, 
ma soprattutto � in ultima analisi la protezione del bene ambientale. 
Allo stesso tempo l�accesso in materia ambientale � un precipitato dei 
principi comunitari ambientali, quali quello di precauzione e dell�azione preventiva. 
Se il perseguimento dei principi di precauzione e di prevenzione presuppone 
conoscenze scientifiche adeguate e azioni basate su dati aggiornati e 
corretti, la diffusione delle informazioni e degli studi permette infatti di assumere 
decisioni pi� ponderate e basate su una migliore conoscenza della realt�. 
L�origine dell�accesso ambientale, in ambito comunitario, viene fatta risalire 
alla direttiva 90/313/CE, espressamente dedicata alla libert� di accesso 
all�informazione in materia di ambiente. In essa il tema dell�accesso alle informazioni 
ambientali trova una prima, parziale, sistemazione e codificazione, 
contenente comunque gi� in nuce tutti gli elementi di novit� rispetto allo 
schema tradizionale dei rapporti tra pubblici poteri e cittadini in materia. 
Su tale disciplina si � innestata la interpretazione estensiva della Corte di 
Giustizia CE che, ogni volta che � stata chiamata in causa per chiarire la portata 
della disciplina sull�accesso ambientale, non ha perso occasione per valorizzare 
sia la ratio sia il dato positivo delle direttive in materia, giungendo quasi 
sempre ad ampliare gli spazi per le istanze di ostensione e, per converso, a 
leggere restrittivamente le ipotesi di esclusione (147) . 
Trascorsi alcuni anni il Legislatore comunitario ha ritenuto non di aggior- 
(147) Cos� la Corte di Giustizia CE, 17 giugno 1998, in causa C-321/96, richiesta di stabilire se 
l'art. 2, lett. a), della direttiva deve essere interpretato nel senso che esso si applica ad una presa di posizione 
adottata da un'autorit� amministrativa competente in materia di conservazione del paesaggio 
nell'ambito della sua partecipazione ad una procedura di approvazione di progetti di costruzione, se la 
detta presa di posizione � tale da incidere, relativamente agli interessi alla tutela dell'ambiente, sulla decisione 
di approvazione di tali progetti, oltre a rispondere affermativamente, ha dichiarato che �la nozione 
di �misure amministrative� costituisce una mera illustrazione delle �attivit�� o delle �misure� 
considerate dalla direttiva. Infatti� il legislatore comunitario si � astenuto dal dare una definizione della 
nozione di �informazione relativa all'ambiente� che possa escludere una qualsiasi delle attivit� svolte 
dall'autorit� pubblica, poich� il termine �misure� serve soltanto a precisare che devono essere incluse 
tra gli atti rien-tranti nella direttiva tutte le forme di esercizio dell'attivit� amministrativa�. La Corte ha 
poi offerto una interpretazione restrittiva del concetto di �azione investigativa preliminare�, previsto 
nella direttiva n. 313 come eccezione al dispiegarsi del principio di trasparenza. 
336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
nare ma addirittura sostituire la direttiva 90/313/CE (148), per dare spazio ad 
una serie di nuovi principi e introdurre i necessari aggiustamenti, al fine di stare 
al passo con i cambiamenti sociali intervenuti e gli sviluppi della tecnologia. 
L�attuale disciplina comunitaria dell�accesso alle informazioni ambientali 
� fortemente debitrice nei confronti della Convenzione di Aarhus sull�accesso 
alle informazioni, sulla partecipazione del pubblico ai processi decisionali e 
sul ricorso alla giustizia in materia ambientale, approvata in Danimarca il 25 
giugno 1998 ed entrata in vigore il 30 ottobre 2001. Tale Convenzione � stata 
approvata dalla CE con la Decisione 17 febbraio 2005 n. 2005/370/CE. 
Essa si basa su tre pilastri: l�accesso all�informazione, la partecipazione 
del pubblico ai processi decisionali e l�accesso alla giustizia nel settore ambientale 
(149). 
L�accesso alle informazioni ambientali � stato cos� allineato a tale Atto 
attraverso la direttiva 2003/4/CE, mentre la partecipazione del pubblico alle 
decisioni in materia ambientale � stata a sua volta oggetto di altra specifica 
direttiva: la 2003/35/CE (150). 
�Differenziandosi dal modello tradizionale, la Convenzione di Aarhus 
concepisce l�ambiente come un vero e proprio diritto dell�uomo e ne offre tutela 
a livello internazionale. In particolare il diritto dell�ambiente � inteso in 
termini procedurali: ci� che viene tutelato non � il diritto ad una determinata 
qualit� dell�ambiente, ma il diritto dei cittadini ad essere associati dalle istituzioni 
nell�assunzione delle decisioni che riguardano l�ambiente. In tal modo 
la qualit� ambientale a cui gli individui hanno diritto non viene definita una 
volta per tutte in astratto, ma di volta in volta nell�ambito di un processo decisionale 
a cui i cittadini hanno diritto a partecipare� (151). 
(148) Afferma il sesto considerando della direttiva : �E� opportuno, nell�interesse di una maggiore 
trasparenza, sostituire la direttiva 90/313/CEE anzich� modificarla, in modo da fornire agli interessati 
un testo legislativo unico, chiaro e coerente�. 
(149) L�art. 1 della suddetta Convenzione stabilisce infatti: �Per contribuire a tutelare il diritto di 
ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute 
e il suo benessere, ciascuna Parte garantisce il diritto di accesso alle informazioni, di partecipazione del 
pubblico ai processi decisionali e di accesso alla giustizia in materia ambientale in conformit� delle disposizioni 
della presente convenzione�. 
(150) La Direttiva 2003/35/CE del 26 maggio 2003 � �Direttiva del Parlamento europeo e del 
Consiglio che prevede la partecipazione del pubblico nell�elaborazione di taluni piani e programmi in 
materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione 
del pubblico e all�accesso alla giustizia� � afferma che tra gli obiettivi della Convenzione 
di Aarhus �vi � il desiderio di garantire il diritto di partecipazione del pubblico alle attivit� decisionali 
in materia ambientale, per contribuire a tutelare il diritto di vivere in un ambiente adeguato ad assicurare 
la salute e il benessere delle persone� (sesto considerando), e che �la partecipazione, compresa quella 
di associazioni, organizzazioni e gruppi, e segnatamente di organizzazioni non governative che promuovono 
la protezione dell�ambiente, dovrebbe essere incentivata di conseguenza, tra l�altro promuovendo 
l�educazione ambientale del pubblico� (quarto considerando). 
(151) M. SALVADORI, Il diritto di accesso all�informazione nell�ordinamento dell�Unione Europea, 
in www.evpsi.org., 2010.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 337 
Il carattere �multilivello� della disciplina di tutela ambientale richiede 
oggi, infatti, che tutti gli attori che a vario titolo intervengono o sono coinvolti 
dalle politiche pubbliche che interessano l�ambiente abbiano assicurata, sempre 
pi�, la possibilit� di far valere il proprio punto di vista attraverso la partecipazione 
democratica e, prima ancora, il diritto di ottenere e accedere a tutte 
le informazioni e le conoscenze che permettono di acquisire una consapevolezza 
e la formazione di un proprio punto di vista in materia, in vista di un 
controllo sociale diffuso sul bene-Ambiente (152). 
L�importanza della Convenzione di Aarhus sta proprio nell�aver dedicato 
attenzione e messo in rilievo l�aspetto procedurale e organizzativo della partecipazione 
del pubblico, facendo capire come l�effettiva realizzazione delle 
situazioni giuridiche soggettive astrattamente riconosciute � vanificata se le 
associazioni e i soggetti portatori di istanze collettive non sono messi in grado 
di incidere sul farsi della decisione (153). 
L�accesso alle informazioni ambientali ha quindi costituito fertile terreno 
per l�implementazione e la sperimentazione di istituti, facolt� e strumenti innovativi 
di tutela, cui corrispondono stringenti doveri in capo ai soggetti detentori 
delle informazioni di carattere ambientale, che vengono dalla normativa 
� accompagnata da una lettura estensiva operata dalla giurisprudenza della 
Corte di Giustizia � obbligati non solo ad assicurare una piena ed effettiva 
soddisfazione delle puntuali istanze di accesso (154), ma anche a realizzare 
quella per certi versi nuova e pi� incisiva forma di pubblicit� costituita da una 
divulgazione attiva dei dati e delle informazioni in proprio possesso. 
Peculiari dell�accesso ambientale, rispetto alla configurazione e alla lettura 
tradizionale dell�accesso ai documenti amministrativi, sono infatti la titolarit� 
di tale situazione giuridica, basata su una legittimazione diffusa in 
capo a tutti gli interessati, che non sono tenuti a dare dimostrazione di un interesse 
qualificato e di un qualche collegamento con il dato che chiedono di 
(152) �Oltre a influire sui modelli di consumo e di comportamento, l�informazione ambientale... 
diviene il presupposto di una pi� consapevole partecipazione dei cittadini ai processi decisionali pubblici 
che interferiscono con gli equilibri ecologici, migliorandone la trasparenza, l�accountability e il tasso di 
adesione democratica�: F. FONDERICO, Il diritto di accesso all�informazione ambientale, in Giornale di 
diritto amministrativo, giugno 2006, n. 6, p. 676. 
(153) Cfr. M. CIAMMOLA, Il diritto di accesso all�informazione ambientale: dalla legge istitutiva 
del Ministero dell�Ambiente al decreto legislativo n. 195 del 2005, in Il Foro amministrativo - CdS, 
2007, n. 2, p. 685 il quale osserva: ҏ sufficiente accennare al carattere dirompente rispetto allo status 
quo, per limitarci solo alla disciplina della fase partecipativa, delle previsioni che impongono che il pubblico 
sia informato nella fase iniziale del processo decisionale in materia ambientale e che ci� avvenga 
in modo adeguato, tempestivo ed efficace, mediante pubblici avvisi od individualmente (con possibilit� 
di audizioni pubbliche), ovvero di quelle secondo cui l�effettiva partecipazione del pubblico all�elaborazione 
di regolamenti e norme interessanti l�ambiente deve avvenire in una fase adeguata e quando 
tutte le alternative sono ancora praticabili�. (La parte in corsivo riprende gli artt. 6 e 8 della Convenzione).
(154) Con il solo limite di casi di esclusione, per legge, dell�accesso, tassativamente determinati.
338 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
visionare, nonch� il contenuto o l�oggetto di tale diritto, che concerne non soltanto 
i formali documenti amministrativi, bens� tutta la scienza in possesso 
delle autorit� pubbliche, e quindi anche le attivit� informali o i dati non ancora 
assurti al livello di documento ufficiale: per l�appunto, le informazioni. Informazioni 
relative all�ambiente e al territorio che la normativa comunitaria obbliga 
a raccogliere, catalogare, aggiornare, rendere intelligibili e mettere a 
disposizione della collettivit� (il �pubblico�, nella dizione comunitaria), attraverso 
le moderne tecnologie, in primo luogo Internet. 
Ne risulta confermato, anche in questo particolare settore, il ruolo di �apripista� 
e precursore del diritto ambientale (155), vero e proprio spazio privilegiato 
per l�introduzione di innovativi modelli organizzativi e strumenti di tutela. 
I principi e le garanzie previsti dalla citata Convenzione di Aarhus del 
1998 sono dunque alla base della direttiva 2003/4/CE del 28 gennaio 2003. 
Obiettivo esplicito di detta normativa � ampliare l�accesso alle informazioni 
ambientali rispetto a quello sancito dalla direttiva 90/313/CEE. L�intento � 
perci� di rafforzare il principio di trasparenza, sia attraverso una assai estesa 
nozione di informazioni ambientali, sia individuando in maniera rigorosa i 
casi di esclusione per legge dell�accesso, sia responsabilizzando le autorit� 
pubbliche detentrici delle informazioni attraverso la necessaria catalogazione, 
lavorazione, organizzazione e massima diffusione di tali informazioni verso 
l�esterno. 
Riguardo il nuovo concetto di informazione ambientale accessibile, ҏ 
interessante osservare la definizione del concetto di informazione ambientale 
che risulta riferibile, in qualunque forma si presenti, non solo ai tradizionali 
elementi naturali, antropici e amministrativi (gi� presenti nella direttiva 
90/313/CEE), ma anche allo stato della salute e della sicurezza umana � compresa 
la contaminazione della catena alimentare � e, pi� in generale, alle condizioni 
della vita umana (art. 2, lett. f)� (156). 
Architrave di tutta la disciplina � il primo comma dell�art. 3 (�Accesso 
all�informazione ambientale su richiesta�) che afferma il diritto all�accesso 
ambientale �a chiunque ne faccia richiesta�, senza che il richiedente debba 
non solo dimostrare, ma addirittura dichiarare il proprio interesse. Alla istanza 
l�autorit� pubblica deve rispondere al pi� presto e comunque entro 30 giorni, 
che possono salire a 60 a causa del volume e della complessit� delle informazioni 
richieste, ma in tal caso l�autorit� � tenuta entro i 30 giorni a informare 
il richiedente della proroga e dei motivi che la giustificano. 
Ne risulta confermata una titolarit� incondizionata (157) del diritto di accesso, 
(155) Cfr. in merito M. CIAMMOLA, op. cit., p. 714-715 e F. DE LEONARDIS, in Le organizzazioni 
ambientali come paradigma delle strutture a rete, Foro amm.- CdS, gennaio 2006, n. 1, p. 273. 
(156) D. BORGONOVO RE, Informazione ambientale e diritto di accesso, in Codice dell�ambiente, 
a cura di S. NESPOR e A. L. DE CESARIS, Milano, III edizione, 2009, p. 1494. 
(157) M. SALVADORI, op. cit., p. 8.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 339 
per cui �l�informazione ambientale � patrimonio di conoscenza di chiunque�. 
Sul versante della tutela la direttiva n. 2003/4/CE compie grandi passi in 
avanti, affermando espressamente che essa coinvolge anche le omissioni delle 
autorit� pubbliche (articolo 6). E� quindi prevista la possibilit� di un riesame 
della decisione di fronte alla stessa o a un�altra autorit� o in via amministrativa 
da un organo indipendente e imparziale istituito per legge, oppure di fronte ad 
un organo giurisdizionale, le cui decisioni sono vincolanti per l�autorit� pubblica. 
Soprattutto innovativa, come si accennava, � quella forma di circolazione 
delle informazioni denominata �Diffusione dell�informazione 
ambientale� (art. 7), in cui � previsto l�obbligo per le autorit� pubbliche, relativamente 
ai dati posseduti o anche solo detenuti dalle stesse, di una attiva e 
sistematica diffusione al pubblico, �mediante le tecnologie di telecomunicazione 
informatica e/o le tecnologie elettroniche, se disponibile�. 
E� quindi disposto che l�informazione ambientale sia resa progressivamente 
disponibile attraverso banche dati elettroniche, facilmente accessibili, 
nonch� che essa comprenda un complesso minimo di dati (i testi di trattati, 
convenzioni e accordi internazionali; le politiche, i piani e i programmi relativi 
all�ambiente; le relazioni sullo stato dell�ambiente; le autorizzazioni con un 
impatto significativo sull�ambiente, ecc.), allo scopo di costringere le amministrazioni, 
volenti o nolenti, ad attivarsi facendo tutti gli sforzi possibili, con 
le risorse date, per incrementare successivamente e periodicamente il patrimonio 
informativo messo �d�ufficio� a disposizione del pubblico, attraverso 
la libera consultazione di banche dati o collegamenti a siti Internet. E� evidente 
il vantaggio derivante dalla fruibilit� in formato elettronico dell�informazione 
ambientale, perch� cos� facendo si eliminano tutti gli ostacoli di carattere spaziale 
e territoriale, garantendo la massima conoscibilit� (e non solo la pubblicit�) 
del dato ambientale (158). 
La normativa sull�accesso ambientale ha finito per costituire un punto di 
riferimento e un limite, in positivo, per le discipline successive, che non hanno 
potuto non tenerne conto. 
Cos�, ad es., la direttiva 14 marzo 2007, n. 2007/2/CE, Direttiva del Parlamento 
europeo e del Consiglio che istituisce un�Infrastruttura per l�informazione 
territoriale nella Comunit� europea (Inspire) (159), - dopo aver 
sottolineato che �esiste una certa sovrapposizione tra le informazioni territoriali 
trattate dalla presente direttiva e le informazioni di cui alla direttiva 
(158) �Strutturare l�informazione significa realizzare sistemi informativi efficienti dal punto di 
vista della circolazione interna dei dati e con elevata usabilit�, in modo da garantire la diffusione esterna 
dell�informazione�, cfr. E. S�NCHEZ JORD�N e C. MAIOLI, Diffusione e accesso all�informazione territoriale 
in accordo con il recepimento della direttiva Inspire, in www.altalex.com. Inspire (acronimo di 
INfrastructure for SPatial InfoRmation in Europe) � un�infrastruttura per l�informazione territoriale nella 
Comunit� europea, istituita con la direttiva 2007/2/CE del 14 marzo 2007. 
(159) Recepita in Italia dal decreto legislativo 27 gennaio 2010 n. 32.
340 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
2003/4/CE� � all�art. 2 espressamente afferma che essa si applica fatta salva 
la direttiva 2003/4/CE, che quindi ha carattere prevalente. 
Lo stesso Regolamento CE 23 aprile 2009 n. 401/2009, �istitutivo� dell�Agenzia 
europea per l�ambiente (160), allo scopo precipuo di attuare una 
rete europea di informazione e di osservazione in materia ambientale, attribuisce 
� tra l�altro � alla nuova Agenzia il compito di fornire informazioni oggettive, 
attendibili e comparabili, allo scopo di garantire un�efficace 
informazione del pubblico sullo stato dell�ambiente. 
In conclusione, la disciplina comunitaria dell�accesso ambientale si caratterizza 
per gli elementi di specialit� e innovazione rispetto alla tradizionale 
tutela riservata al diritto di accesso alla documentazione: l�utilizzo e l�implementazione 
dei moderni strumenti informatici ed elettronici � Internet in primo 
luogo � hanno permesso di fare leva e promuovere quella modalit� di realizzazione 
di una pubblicit� diffusa delle informazioni possedute rappresentata 
dalla divulgazione attiva delle informazioni ambientali, per il tramite di una 
serie di obblighi organizzativi e procedurali imposti ai detentori delle informazioni 
stesse. 
(160) Va detto che tale Agenzia � stata istituita con regolamento CEE n. 1210 del 1990, modificato 
anche a pi� riprese e perci� �codificato� con il nuovo regolamento del 2009 a fini di razionalit� e chiarezza 
(cfr. 1 considerando del regolamento CE 23 aprile 2009 n. 401/2009).
R E C E N S I O N I 
GIAMPAOLO ROSSI (*), Potere amministrativo e interessi a soddisfazione 
necessaria. Crisi e nuove prospettive del diritto amministrativo. 
(G. Giappichelli Editore - Torino, 2011) 
Questo studio � tratto, con integrazioni e modifiche, dal primo capitolo del libro �Principi 
di diritto amministrativo�, Torino, 2010. 
L�esposizione chiara ed esauriente dei principi intesi come chiavi di lettura, che serv� 
a una prima enucleazione dei caratteri specifici della disciplina, assume una nuova importanza, 
sia didattica che scientifica. L�evoluzione tumultuosa degli ordinamenti rende necessario 
il tentativo di individuare, nella disarticolazione della materia, le ragioni essenziali che 
ne consentono una ricomposizione, i punti fermi, dotati di sufficiente stabilit�. 
E� evidente che la stabilit� va intesa in senso relativo: � quella che si riferisce ai caratteri 
fondamentali di un ordinamento e quindi si perde con il mutare di questi. I cicli storici possono 
avere una diversa durata; sono pi� duraturi per quanto riguarda i rapporti interprivati e pi� 
soggetti a trasformazioni nel funzionamento delle collettivit� organizzate e nel loro rapporto 
con le persone e i gruppi che le compongono. Basta aver presente, per averne conferma, 
quanta parte degli istituti del diritto privato romano sono ancora attuali mentre nulla resta 
del diritto pubblico di allora. 
Ci� spiega, per altro, come l�enunciazione dei �principi� non sia possibile in tutte le 
fasi storiche. Le teorie giuridiche non possono vivere fuori del proprio tempo, delle condizioni 
di vita, delle convinzioni, del sistema economico insieme al quale nascono e si esauriscono. 
Non � possibile nei periodi di dissoluzione dei sistemi, perch� nel momento della totale frammentazione 
la si pu� solo registrare e non si pu� riportare a sistema una vicenda che � asistematica. 
Neppure � possibile nei periodi di lunga stabilit�, nel senso che, quanto i capisaldi 
concettuali si sono consolidati da tempo, la dottrina non pu� elaborare i principi in quanto 
(*) Avvocato in Roma, Professore ordinario di diritto amministrativo - Facolt� di giurisprudenza - 
Universit� di Roma 3. 
L�esposizione chiara e l�obiettivo della ricerca delle essenzialit� nella trattazione delle tematiche 
affrontate - si riporta la prefazione dell�Autore - hanno la capacit� di suscitare interesse e riflessioni 
sia nell�occasionale cbe nel consumato conoscitore della materia (n.d.r.).
342 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
sono gi� elaborati; e infatti la dottrina in questi contesti concentra spesso la sua attenzione 
su questioni di dettaglio o di mera descrizione. 
In genere i principi, intesi come nuove chiavi di lettura, si producono nelle fasi nascenti 
nelle quali si possono individuare con sufficiente chiarezza i segni dell�evoluzione in atto, i 
caratteri di un sistema che si sta consolidando e nel quale, anche in termini concettuali, si 
possono formare nuove categorie. E� stato cos� alla infine del Medio Evo, quando � diventato 
evanescente il potere dell�Impero e della Chiesa e i giuristi che ne furono consapevoli elaborano 
le teorie sulla sovranit� riferendole ai nascenti stati nazionali o, ancora, agli inizi 
dell�800, quando l�affermarsi delle democrazie parlamentari richiese e consent� ai giuristi 
di elaborare le teorie sulla divisione dei poteri e sulla supremazia della legge. 
CՏ allora da domandarsi se l�attuale periodo storico presenti questo tipo di caratteristiche 
o se l�evoluzione troppo rapida escluda la possibilit� di individuare linee che si vanno 
consolidando in un nuovo assetto che possa essere teorizzato. 
E� evidente che � in crisi lo stato nazionale, inteso come l�organizzazione �autosufficiente� 
(Aristotele). E in crisi, quindi, il cardine fondamentale sul quale si � fondato il diritto 
pubblico e quindi il diritto amministrativo negli ultimi secoli. Ne deriva una inevitabile crisi 
del diritto amministrativo, di tutto il diritto pubblico e delle categorie sulle quali � stato costruito. 
Ma, come poi si vedr�, non mancano segni che fanno presagire l�inizio di una nuova 
fase nell�evoluzione degli ordinamenti, della quale � prematuro definire tutti i profili sistematici 
e che consente tuttavia tentativi di rielaborazione basati su elementi essenziali del vivere 
sociale e degli assetti istituzionali che sussistono nelle trasformazioni assumendo vesti 
e contenuti nuovi. Nella complessit� e frammentariet� degli attuali contesti sociali e istituzionali 
le chiavi ricostruttive devono ripartire dai fondamenti primi delle aggregazioni umane, 
dalla rinnovata consapevolezza dell�esistenza di interessi che il singolo non pu� soddisfare 
da solo e quindi dalla necessit� di appartenenza a gruppi organizzati e dell�esercizio di poteri 
in grado di soddisfarli (...). 
L�Autore
RECENSIONI 343 
AA.VV., a cura di FRANCOGIAMPIETRO (*), La nuova disciplina dei rifiuti. 
Commento al D.Lgs 205/2010. Aggiornato al Testo Unico �Sistri�. 
(IPSOA, 2011, pp. 1-319) 
Il volume risponde alle tante domande ed ai rilevanti dubbi sorti tra gli operatori, ma 
anche tra gli esperti, dopo la pubblicazione del D.Lgs. n. 205/2010, attuativo della direttiva 
2008/98/CE sui rifiuti, commentata nel precedente volume del 2009, per la stessa Casa Editrice 
e dal medesimo coordinatore del presente volume (Cfr. �Commento alla direttiva 
2008/98/CE�, 2009, pp. 1-288). 
Il decreto � intervenuto sul Testo Unico Ambientale, come se fosse (ma non lo �) un 
quarto �Correttivo�, attraverso modifiche, sostituzioni, aggiunte e abrogazioni, introducendo 
istituti nuovi (come per es. la responsabilit� estesa del produttore del �futuro� rifiuto; obiettivi 
e termini di riciclaggio; le definizioni di sottoprodotto e dell�end of waste, ecc.) e non soltanto 
di derivazione comunitaria (ci riferiamo al SISTRI e alle sue tante proroghe). 
I temi oggetto di analisi e commento sono: 
� Troppe regole �annunciate� e ancora dubbi sul giudice competente (F. Giampietro); 
� le nozioni di rifiuto e di sottoprodotto (A. Far�); 
� la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste) (D. R�ettgen); 
� il sistema di controllo della tracciabilit� dei rifiuti (SISTRI) (D. R�ettgen); 
� la responsabilit� estesa del produttore (G. Garzia); 
� i procedimenti di autorizzazione e di registrazione. Oneri e controlli (F. Benedetti); 
� le norme transitorie e il rapporto con la disciplina di particolari tipologie di rifiuti (A. 
Borzi); 
� la classificazione dei rifiuti pericolosi (V. Giampietro); 
� i piani regionali di gestione dei rifiuti (M. Medugno); 
� i profili tecnici della riforma con i relativi Allegati tecnici (A. Muratori); 
� il sistema sanzionatorio penale e le sue modifiche �indirette� (A.L. Vergine). 
(*) Prof. Avv., titolare di Studio legale ambientale in Roma, gi� magistrato ordinario (sino al 
1994); fondatore e condirettore Rivista consulenza ambientale (ora Ambiente & Sviluppo) dell�IPSOA. 
Presidente Associazione giuristi ambientali (www.giuristi ambientali.it). Autore di volumi e pubblicazioni 
in materia ambientale. E� stato docente universiatrio a contratto alla Luiss (Roma) ed in altre Universit�.

344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2011 
RUGGIERO DIPACE, La disapplicazione nel processo amministrativo. 
Collana di Studi �Nuovi problemi di amministrazione pubblica� 
diretti da FRANCO GAETANO SCOCA. 
(G. Giappichelli Editore - Torino, 2011, pp. 1-295) 
La monografia, pubblicata nella collana di studi sui nuovi problemi della Pubblica Amministrazione 
diretta dal prof. F. Scoca, propone una lettura innovativa ed originale dell'istituto 
della disapplicazione nel processo amministrativo in linea con la pi� recente giurisprudenza 
in materia: la disapplicazione viene considerata come un potere connaturato alla funzione giurisdizionale 
e, quindi, attraverso una puntuale ed approfondita analisi degli articoli 4 e 5 della 
Legge Abolitiva del Contenzioso amministrativo inerente anche alla giurisdizione amministrativa. 
La disapplicazione viene configurata come un potere alternativo a quello di annullamento 
dell'atto nelle ipotesi in cui vengano in rilievo domande differenti da quella demolitoria. 
Tale conclusione risulta ancor pi� avvalorata nell'attuale contesto normativo ove il codice del 
processo amministrativo introduce il principio di atipicit� delle azioni. 
Nel testo si chiariscono i confini tra la disapplicazione, sindacato principale e sindacato 
incidentale, affermando che la disapplicazione pu� essere la conseguenza sia di un sindacato 
in via incidentale sia di un sindacato in via principale sull'atto. Tale affermazione � sorretta 
da una approfondita motivazione e risulta essere di sicura originalit�. 
Interessante � la disamina delle vicende dell'istituto in chiave storica operata nel primo 
capitolo del libro. Le vicende della disapplicazione vengono analizzate sia con riferimento 
all'evoluzione del criterio di riparto fra le giurisdizioni sia con riguardo ai mutamenti nel sistema 
tradizionale di giustizia amministrativa. 
Nel secondo capitolo viene trattato l'argomento della compatibilit� della disapplicazione 
con il sistema costituzionale e il suo radicamento nel processo amministrativo. In questa parte 
del libro si dimostra come la disapplicazione sia un potere generale compatibile con la giurisdizione 
del giudice amministrativo e tale ragionamento viene affrontato tenendo presente le 
norme costituzionali. La Costituzione si limita a prevedere l'annullamento dell'atto non perch� 
questo sia l'unico potere in mano al giudice amministrativo quanto perch� incidendo sull'esistenza 
dell'atto stesso deve essere accuratamente disciplinato nei suoi effetti a livello costituzionale. 
II potere di disapplicazione, invece, non avendo tale esito non richiede una apposita 
disciplina ma � presupposto allo ius dicere proprio di qualsiasi giudice. La disapplicazione, 
quindi, � diretta espressione del principio di legalit� e di effettivit� della tutela. 
Viene quindi nei successivi capitoli esaminato il ruolo della disapplicazione nelle tipologie 
della giurisdizione amministrativa. Gli spunti pi� innovativi riguardano la giurisdizione 
di legittimit� laddove non venga in rilievo la domanda di annullamento. In questa prospettiva 
viene riletta la vicenda della disapplicazione dei regolamenti e degli atti contrastanti con il 
diritto comunitario, nonch� trattata approfonditamente la compatibilit� della disapplicazione 
con i principi generali del processo amministrativo e il suo ruolo nel sistema delle azioni. 
(*) Professore di Diritto amministrativo presso l�Universit� degli Studi del Molise.
RECENSIONI 345 
Con particolare riguardo alla inoppugnabilit� del provvedimento, l'Autore afferma la 
piena compatibilit� con la disapplicazione, considerando l'inoppugnabilit� solo ed esclusivamente 
come preclusione alla proposizione della domanda di annullamento senza conferire 
alcun ulteriore valore ad un provvedimento che resta illegittimo. 
Nel sistema delle azioni delineato dal codice del processo amministrativo quella di annullamento 
ha perso la sua centralit� a scapito della azione di condanna e delle prime ammissioni 
inerenti I'azione autonoma di accertamento. 
In questo contesto, secondo l'Autore, la disapplicazione trova ampi spazi di operativit�: 
basti pensare alla proposizione autonoma dell'azione risarcitoria laddove il giudice pu� condannare 
la pubblica amministrazione all�adozione delle misure pi� idonee per tutelare la situazione 
giuridica soggettiva dedotta in giudizio. In questo caso, in presenza di un 
provvedimento non annullato il giudice ben potr� disapplicarlo al fine di pronunciare la condanna 
della p.a. 
Di particolare interesse � la ricostruzione in termini di disapplicazione dei poteri del 
giudice nella vicenda della sorte del contratto a seguito dell'aggiudicazione. A ben vedere in 
questa ipotesi al giudice amministrativo viene concesso il potere di dichiarare I'inefficacia 
del contratto. Secondo l'Autore tale potere sarebbe inquadrabile nel generale potere di disapplicazione. 
In questa ipotesi, la disapplicazione sarebbe particolarmente invasiva visto che 
non riguarderebbe un atto della amministrazione bens� un contratto frutto della negoziazione 
tra due parti. 
Discorso particolare merita I'azione di nullit�. E chiaro che un provvedimento nullo non 
pu� essere disapplicato in quanto non produce effetti giuridici ma secondo l'Autore � altrettanto 
vero che vi sono provvedimenti che, ad onta della loro qualificazione in termini di nullit�, 
possono produrre effetti giuridici, basti pensare ai provvedimenti in violazione o meglio in 
elusione del giudicato. In questi casi il giudice ben potrebbe disapplicare il provvedimento 
"nullo". 
Il ruolo della disapplicazione viene esaminato anche con riferimento all'azione di accertamento, 
con riguardo all'azione sul silenzio, con riferimento alla class action. 
M.B.
Finito di stampare nel mese di ottobre 2011 
Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. 
Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma