ANNO LXIII - N. 1 GENNAIO - MARZO 2011 
RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 
PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO
COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Aldo Linguiti. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - 
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Getano Scoca. 
DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. 
COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria 
Vittoria Lumetti - Antonio Palatiello - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. 
CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - 
Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Maria Vittoria 
Lumetti - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - 
Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 
HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Antonella Anselmo, Roberto 
Antillo, Giuseppe Arpaia, Ignazio Francesco Caramazza, Gianni Cortigiani, Roberto de Felice, 
Michele Dipace, Fabrizio Fedeli, Ettore Figliolia, Michele Gerardo, Federico Maria Giuliani, 
Palmira Graziano, Guilherme Francisco Alfredo Cintra Guimar�es, Paolo Marchini, Lilia 
Marra, Marco Stigliano Messuti, Fabio Pammolli, Lucia Paura, Stefano Pizzorno, Carmela 
Pluchino, Marina Russo, Nicola C. Salerno, Francesco Spada, Paolo Superbi, Concetta 
Quartuccio, Vittorio Raeli. 
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AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
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INDICE - SOMMARIO 
TEMI ISTITUZIONALI 
Intervento dell�Avvocato Generale dello Stato Avv. Ignazio Francesco Caramazza 
in occasione della cerimonia di inaugurazione dell�anno giudiziario 
2011 - Assemblea Generale della Corte Suprema di Cassazione - 
Roma, 28 gennaio 2011 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Audizione dell�Avvocato Generale davanti alla Commissione giustizia 
della Camera. Legge 117/88. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Appelli avverso sentenze in materia di opposizione ad ordinanza ingiunzione 
ex art. 23 L. 689 del 24 novembre 1981 - Circolare A.G.S. n. 66 del 
7 dicembre 2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Indicazione e produzione degli atti processuali e dei documenti sui cui si 
fonda il ricorso per cassazione - artt. 360 n. 6 e 369 secondo comma n. 4 
c.p.c. - Circolare A.G.S. n. 67 del 7 dicembre 2010. . . . . . . . . . . . . . . . . 
Art. 3, comma 2, del Codice del processo amministrativo: redazione degli 
atti in maniera chiara e sintetica - Circolare A.G.S. n. 1 del 3 gennaio 2011 
Predisposizione dei ricorsi per Cassazione in materia tributaria - Circolare 
A.G.S. n. 12 del 2 marzo 2011. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giuseppe Arpaia, L�art. 417 bis c.p.c.: la gestione del contenzioso lavoro 
da parte dei funzionari delle pubbliche amministrazioni. . . . . . . . . . . . . 
Maurizio Borgo, Riserva all�Avvocatura dello Stato in materia di servizi 
legali ex R.D. 1611/1933 (Cons. St., Sez. VI, sent. 3 febbraio 2011 n. 780) 
Roberto de Felice, Gli atti amministrativi (e negoziali) elusivi del patrocinio 
obbligatorio dello Stato non possono suscitare nel privato alcun affidamento 
(Cons. St., Sez. VI, sent. 3 febbraio 2011 n. 780) . . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 
Giuseppe Fiengo, Pubblico servizio e concorrenza nella gestione delle 
farmacie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Antonella Anselmo, I servizi farmaceutici: sistemi comunitari di sanit� 
solidale e modelli liberistici a confronto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Fabio Pammolli, Nicola C. Salerno, Le Farmacie e le Corti. Istruzioni 
per un uso non corporativo delle Sentenze. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Fabio Pammolli, Nicola C. Salerno, Sulla recente Ordinanza della Corte 
di Giustizia Europea in data 6 ottobre 2010, causa C-563/08. . . . . . . . . 
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Michele Dipace, Brevi note. Gli atti defensionali dell�Avvocatura e le sentenze 
della Consulta sul legittimo impedimento (C. cost. sent. 25 gennaio 
2011 n. 23; C. cost., sent. 26 gennaio 2011 n. 29) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
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Alfonso Mezzotero, Incarichi dirigenziali a tempo determinato (C. cost., 
sent. 12 novembre 2010 n. 324) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Michele Gerardo, Il termine di comparizione e di costituzione nell�opposizione 
a decreto ingiuntivo. Mutamento giurisprudenziale operato dalla 
Corte di Cassazione (Cass., Sez. Un., sent. 9 settembre 2010 n. 19246; 
Trib. Napoli, ord. 15 ottobre 2010 n. 42582/09 R.G.) . . . . . . . . . . . . . . . 
Maurizio Borgo, Comportamento antisindacale: cognizione del giudice 
ordinario (Cass., Sez. Un., ord. 24 settembre 2010 n. 20161) . . . . . . . . . 
Federico Maria Giuliani, Non deducibilit� reddituale, per le societ� di 
capitali, dei compensi pagati ai propri amministratori. Estensione del 
precedente oppure clamorosa svista? (Cass., Sez. Trib., ord. 13 agosto 
2010 n. 18702) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Stefano Pizzorno, Patti di convivenza e riconoscimento giuridico dei medesimi 
nell�ordinamento italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Stefano Pizzorno, Stato di rifugiato e asilo politico. . . . . . . . . . . . . . . . . 
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Fabrizio Fedeli, Incarico di consulenza legale in via breve conferito ad 
avvocato dello Stato. Applicabilit� art. 17, comma 30, D.L. 1� luglio 2009 
n. 78, convertito in Legge 3 agosto 2009 n. 102 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Stefano Varone, Collocamento a riposo del personale dirigenziale. Parere 
in ordine all�art. 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 come modificato 
dall�art. 17 comma 35 novies della l. 102/2009 . . . . . . . . . . . . . 
Carmela Pluchino, Parere in merito alla possibilit�: 1) per la societ� consortile 
costituita ai sensi dell�art. 96 del D.P.R. 554/1999 di sottoscrivere 
un contratto di subappalto; 2) per il Consorzio stabile capogruppo dell�ATI 
aggiudicataria di non partecipare alla societ� consortile, costituita 
soltanto dalla mandante e da due consorziate designate in via esclusiva 
dal Consorzio medesimo per l�esecuzione dei lavori . . . . . . . . . . . . . . . 
Marina Russo, Rivalutazione indennit� integrativa speciale ex art. 2 
comma 2 Legge 25 febbraio 1992 n. 210 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giuseppe Albenzio, Controlli sulle restituzioni all�esportazione dei prodotti 
agricoli. Art. 11 Reg. CE 485/2008 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Marco Stigliano Messuti, Sulle attribuzioni di titolarit� delle procedure 
delle pratiche finalizzate all'acquisizione del certificato di prevenzione 
incendi (CPI) degli edifici scolastici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Ettore Figliolia, Disciplina in materia di rimborso spese legali ex d.l. n. 
67/97, convertito in l. n. 135/97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Paolo Marchini, Compensabilit� tra crediti per indebiti aiuti di Stato per 
la ricapitalizzazione delle cooperative di pesca con debiti a titolo di premio 
per arresto temporaneo e definitivo natante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
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LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 
Maurizio Borgo, Il contenzioso in materia di operazioni elettoriali nel 
nuovo codice del processo amministrativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Gianni Cortigiani, Alcune perplessit� sul nuovo rito elettorale . . . . . . . 
Vittorio Raeli, L�ambito di applicazione della mediazione civile e commerciale 
nel sistema del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. 
In allegato Circolare AGS n. 21 del 24 marzo 2011 . . . . . . . . . . . . . . . . 
Francesco Spada, L�immediata applicabilit� delle disposizioni della c.d. 
riforma Brunetta. Poteri della dirigenza pubblica in materia di organizzazione 
e gestione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Guilherme Francisco Alfredo Cintra Guimar�es, Avvocatura dello Stato, 
amministrazione pubblica e democrazia: il ruolo della consulenza legale 
nella formulazione ed esecuzione delle politiche pubbliche . . . . . . . . . . 
Lilia Marra, Concetta Quartuccio, Roberto Antillo, In tema di pubblico 
impiego privatizzato. Il discrimine temporale ai fini del riparto di giurisdizione 
tra �atti di gestione e dato storico� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Lucia Paura, Privatizzazioni e affidamento �in house�. Il ruolo delle 
azioni collettive nella tutela dei beni comuni e sociali . . . . . . . . . . . . . . 
Paolo Superbi, La transazione fiscale e il concordato preventivo: riflessioni 
a margine di un caso concreto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
RECENSIONI 
Alessandra Bruni - Giovanni Palatiello, La difesa dello Stato nel processo, 
UTET Giuridica, 2011. Prefazione di Ignazio Francesco Caramazza 
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T E M I I S T I T U Z I O N A L I 
Intervento dell�Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Ignazio Francesco Caramazza 
In occasione della cerimonia di inaugurazione 
dell�anno giudiziario 2011 
Assemblea Generale della Corte Suprema di Cassazione 
Roma, 28 gennaio 2011 
Signor Presidente della Repubblica, Autorit�, Signor Presidente della 
Corte di Cassazione, Signore e Signori 
Considero un vero privilegio poter prendere la parola in questa solenne 
Cerimonia di inaugurazione per dare conto, in estrema sintesi, delle attivit� 
svolte nel 2010 dall�Istituto che ho l�onore di dirigere. La ristrettezza del 
tempo a disposizione mi impone di ricorrere all�arido ma concreto linguaggio 
delle cifre e dei dati. 
I nuovi affari trattati nell�anno dall�Avvocatura dello Stato ammontano, 
complessivamente, a livello nazionale, ad oltre 185.000 (che si aggiungono a 
molte centinaia di migliaia di affari degli anni scorsi ancora pendenti). La diminuzione 
di circa il 10% rispetto al numero di affari dell�anno precedente 
non � dovuta ad un calo del contenzioso ma ad un pi� rigoroso sistema di 
classificazione introdotto lo scorso anno. Si tratta di una mole di contenzioso 
imponente che grava su di un organico di sole 370 unit� togate e che rappresenta 
quindi un aspetto della crisi della giustizia la cui causa principale, secondo 
le analisi pi� recenti, sembra doversi ascrivere a quello scarso 
coefficiente di osservanza spontanea delle leggi che � una poco invidiabile 
peculiarit� italiana. 
Lo spettro delle materie trattate � il pi� variegato che si possa immaginare. 
L�Avvocatura rappresenta e difende, infatti, lo Stato nelle sue principali 
articolazioni dinanzi a tutti gli organi giudiziari sopranazionali e nazionali.
2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Ricordo, a puro titolo esemplificativo, sul piano internazionale la causa 
intentata dalla Germania contro l�Italia dinanzi alla Corte internazionale di 
giustizia dell�Aja per fare affermare l�esenzione dello Stato tedesco dalla giurisdizione 
italiana anche per danni derivanti dai crimini di guerra nazisti. 
Sul piano sovranazionale ricordo, fra gli oltre trecento affari trattati dinanzi 
ai giudici comunitari quello, che ha avuto ampia eco di stampa, sulla 
illegittimit� della etichettatura del cioccolato come �cioccolato puro� (C- 
47/09), quello che ha condotto alla declaratoria di legittimit� della normativa 
italiana che vieta il concomitante esercizio della professione forense e di un 
impiego pubblico (C-225/09) e quello che ha condotto alla precisazione del 
principio �ne bis in idem� alla stregua del diritto europeo in tema di cooperazione 
in materia penale e di mandato di arresto europeo (C-261/09). 
A livello nazionale degni di particolare menzione, fra gli oltre cinquecento 
giudizi trattati in Corte Costituzionale, sono quello che ha portato alla 
sentenza 138/2010, che ha dichiarato in parte inammissibili ed in parte infondate 
le questioni di legittimit� relative alle norme che non consentono il 
matrimonio fra persone dello stesso sesso nonch� quelli che hanno portato 
alle sentenze 278 e 331/2010 sul riparto delle competenze legislative fra Stato 
e Regioni in tema di produzione dell�energia nucleare e quello recentissimo 
sul legittimo impedimento. 
Dinanzi ai giudici ordinari va citato il vasto contenzioso, spesso con connotazioni 
seriali, relativo alla legge Pinto, alla responsabilit� per danni alla 
salute conseguenti all�uso di amianto, di uranio impoverito, di sangue infetto; 
le importanti iniziative assunte per ottenere la riparazione dei danni ambientali; 
i processi penali per le vicende del G8 di Genova, per la collisione fra la 
nave militare Sibilla e una barca albanese carica di clandestini, i danni da 
emissioni elettromagnetiche, i processi collegati al terremoto de l�Aquila ed 
alla strage di Piazza della Loggia a Brescia; le costituzioni di parte civile nei 
processi riguardanti la mafia ed il racket. Una caso particolare che si inserisce 
nel quadro del recupero di opere d�arte illecitamente esportate riguarda la 
confisca dell��Atleta marciante� di Lisippo, acquistato dal Paul Getty Museum 
e confiscato dal G.U.P. in funzione di giudice dell�esecuzione del Tribunale 
di Pesaro, su incidente promosso dal Ministero dei beni culturali. 
Altrettanto corposo il contenzioso dinanzi ai giudici amministrativi, in 
tema di appalto di lavori pubblici e di pubbliche forniture, di utilizzo di energie 
alternative, di diniego di accesso alle facolt� universitarie a numero chiuso. 
Molte sono anche le controversie relative all�esame di idoneit� alla professione 
di avvocato o ai concorsi per posti di notaio e uditore giudiziario. Delicate 
e numerosissime sono anche le vertenze riguardanti la magistratura 
ordinaria, per il conferimento di funzioni direttive e semidirettive nelle quali 
rappresentiamo il CSM; il diniego di contributi e finanziamenti comunitari, 
lo scioglimento dei Consigli Comunali per infiltrazioni mafiose, le attribuzioni
TEMI ISTITUZIONALI 3 
di frequenze televisive, i provvedimenti delle Autorit� indipendenti. 
Da ultimo, e non per ultimo ma solo per evidenziarne la particolare importanza, 
il nostro impegno dinanzi alla Corte di cassazione, che oggi ci ospita 
e con la quale siamo onorati di poter lavorare in piena armonia. Dinanzi alla 
Corte Suprema il contenzioso � particolarmente nutrito: nel 2010 sono stati 
impiantati dall�Avvocatura Generale ben 11.406 affari, che rappresentano il 
23% di tutti gli affari contenziosi e consultivi impiantati nell�anno dall�Avvocatura 
Generale. Limitando l�esame agli affari contenziosi iniziati nell�anno 
in Cassazione e trattati dall�Avvocatura si constata che il contenzioso dello 
Stato rappresenta oltre un terzo di tutto quello all�esame della Suprema Corte 
e che di questo terzo ben il 67,5% (7.696 affari) � costituito dal contenzioso 
tributario. 
Dopo un�eclisse durata quasi un trentennio e che aveva ridotto a poche 
centinaia l�anno i contenziosi tributari trattati dalla Suprema Corte, l�entrata 
a regime della riforma del contenzioso del 1992 (potenziata dalla legge 
28.12.2001 n.448) ha portato fino a picchi di 10.000 affari annui, all�inizio 
del presente millennio, quelli trattati dalla Cassazione. 
L�Avvocatura dello Stato riacquista, dunque, una sua peculiare funzione, 
connaturata d�altronde con le sue origini e le sue tradizioni. Non a caso essa 
fu originariamente denominata �avvocatura erariale� ed ebbe come sua principale 
funzione la difesa dello Stato nei giudizi tributari e non a caso l�omologa 
istituzione austriaca - che affonda le sue radici nello stesso humus 
storico-culturale - era denominata, ed � tuttora denominata Finanzprokuratur. 
Nello specifico settore tributario va ricordato che nel 2010 la Suprema 
Corte ha deciso con encomiabile celerit� una serie di ricorsi dell�Amministrazione 
finanziaria tesi a recuperare aiuti di Stato dichiarati illegittimi dalla 
Corte di Giustizia dell�Unione Europea. 
Le ingiunzioni a tal fine emesse erano state contestate dalle societ� contribuenti 
sotto diversi profili. La Suprema Corte, con otto sentenze (nn. 23414 
- 23421 del 19.11.2010) ha deciso le diverse questioni in senso favorevole all�Amministrazione. 
Tra le tante significative, mette conto ricordare l�affermazione secondo 
la quale del tutto legittimamente l�Amministrazione finanziaria aveva emesso 
le ingiunzioni limitandosi a verificare l�avvenuto godimento dell�esenzione, 
senza svolgere alcun altro tipo di verifica e senza essere tenuta a motivare ulteriormente, 
nonch� l�enunciazione dell�importante principio secondo cui il 
potere-dovere del giudice nazionale di conformarsi al diritto comunitario comporta 
la necessaria disapplicazione delle - eventualmente confliggenti - regole 
processuali di diritto interno. La Corte ha cos� affermato che nel provvedere 
al recupero dell�aiuto indebito, i beneficiari non possono eccepire n� di essersi 
avvalsi del condono �tombale�, n� la prescrizione, n� la decadenza, in quanto 
le relative disposizioni nazionali invocate devono essere disapplicate per con-
4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
trasto con la fonte di grado superiore. 
In senso conforme alla tesi dell�Avvocatura � stata risolta anche la questione 
della non equiparabilit� delle Universit� allo Stato ai fini del trattamento 
tributario (Cass. 21.4.10 n. 9496) e sempre in senso favorevole 
all�Erario la Suprema Corte ha deciso una serie di cause aventi ad oggetto 
l�effettivit� del domicilio fiscale all�estero nei suoi riflessi tributari. 
Una preoccupazione che non posso tacere riguarda per� alcune sentenze 
in tema di procedura dinanzi alla Corte. Mi riferisco alla interpretazione letterale 
della disposizione contenuta nell�art. 369 c.p.c. che impone l�obbligo 
di depositare in cassazione gli atti ed i documenti sui quali si fonda il ricorso. 
Ebbene tale disposizione � stata interpretata nel senso che il ricorso � improcedibile 
anche quando gli atti e i documenti siano gi� presenti nel fascicolo 
d�ufficio. Viene quindi irrogata la massima sanzione (quella della improcedibilit�) 
per non avere adempiuto un obbligo che non solo � meramente formale, 
ma addirittura del tutto superfluo. 
Tale interpretazione � stata ritenuta applicabile anche in caso di contenzioso 
tributario, nonostante il dettato dell�art. 25 D.Lgs. 546/1992 il quale dispone 
che �i fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d�ufficio e sono 
ad esse restituiti al termine del processo�, con la conseguenza che tutte le produzioni 
documentali vanno a formare il fascicolo d�ufficio ed ivi restano fino 
al passaggio in giudicato della sentenza (Cass. V, 13.10.2010 n. 21121). 
L�Avvocatura dello Stato deve preannunciare che chieder� alla Suprema 
Corte un riesame della questione alla luce dei principi costituzionali e comunitari 
del diritto di difesa e di effettivit� della tutela. 
In materia extratributaria mi limito a segnalare una questione particolarmente 
delicata attualmente all�esame della Cassazione e relativa alla qualit� 
ed entit� economica delle conseguenze derivanti dalla dichiarazione di 
illegittimit� costituzionale dello spoil system di cui alla legge 145/2002. Fattispecie 
in cui emerge il problema della qualificazione del comportamento 
della P.A. che ha dato esecuzione a norme di legge poi dichiarate incostituzionali. 
All�impegno sul fronte del contenzioso si affianca quello consultivo, 
spesso di non lieve momento e di grande rilievo sotto il profilo economico, 
quale ad esempio l�affiancamento delle Amministrazioni per fornire consulenza 
legale in transazioni di particolare rilievo, quale quella all�esame del 
Ministero della Salute per il riconoscimento dei danni da emotrasfusioni o da 
risoluzione di contratti per acquisto di vaccini o quella all�esame del Ministero 
dell�Ambiente per un risarcimento multimilionario in materia di danni ambientali. 
Passando ai risultati del nostro lavoro fornisco alcuni dati statistici relativi 
alla sede romana. Tale limitazione � dovuta ad una non ancora completata 
rilevazione statistica nelle sedi periferiche. L�esperienza degli anni
TEMI ISTITUZIONALI 5 
passati dimostra, peraltro, che i dati percentuali romani sono sostanzialmente 
analoghi a quelli relativi a tutto il territorio nazionale. 
Dinanzi al Tribunale civile le cause vinte sono il 65%, dinanzi al TAR il 
70%, dinanzi al Consiglio di Stato il 66% e dinanzi alla Cassazione il 57%. 
Fa stecca nel coro la Corte d�Appello, dinanzi alla quale le cause vinte sono 
appena il 33%. Ma di questa discrasia vi � ragione ben precisa: il dato statistico 
� alterato dal fatto che nel numero sono comprese le cause di �legge 
Pinto�, che rappresentano la maggioranza degli affari trattati in Corte d�Appello 
(come unico grado di merito) e che sono nella stragrande maggioranza 
cause perse per lo Stato. Depurati i dati falsati dai fattori alteranti, pu� concludersi 
su una percentuale media di vittoria nei 2/3 della cause. 
Il che porta a concludere per un buon rapporto costi-benefici dell�attivit� 
svolta dall�Avvocatura ove si consideri che da un recente studio della Scuola 
Superiore della Pubblica Amministrazione, al quale il �Sole 24 ore� ha dedicato 
un lungo articolo adesivo, risulta che ogni causa - quale che sia la sua 
durata ed il numero dei gradi di giudizio - costa allo Stato 785 euro, cio� meno 
di un decimo di quello che sarebbe il costo di mercato. 
Questo a fronte di un contenzioso che ha riguardato, nel 2010, 134.000 
nuovi affari per un ruolo organico non del tutto coperto e del tutto insufficiente 
di 370 avvocati e di 850 amministrativi. 
Mi rendo conto che nell�attuale temperie caratterizzata da una drammatica 
crisi economica e finanziaria di dimensioni planetarie sarebbe inopportuna 
ogni richiesta di riforme comportanti spese o di maggiori stanziamenti. 
L�Istituto si � limitato a chiedere al Governo tre modesti interventi normativi 
a costo zero o a costi modestissimi relativi ad una modifica delle norme 
regolamentari che reggono il concorso di accesso in carriera per snellirne le 
procedure ed i tempi, alla introduzione di una norma che agevoli il passaggio 
in tempi ragionevoli dei procuratori dello Stato nel ruolo degli avvocati, in 
quanto allo stato tale passaggio � stato reso assai pi� lento del normale da 
due successive elevazioni dell�et� pensionabile ed una deroga al blocco delle 
assunzioni che consenta la copertura mediante concorso dei ruoli del personale 
togato. 
Aggiungo che l�Istituto non potrebbe assolvere i suoi doveri ove l�importo 
delle spese di funzionamento - che ammontano a circa 10 milioni annui - dovesse 
essere ridotto. Si tratta infatti di spese incomprimibili, indispensabili 
per garantire l�assolvimento dei compiti istituzionali, quali ad esempio quelle 
per indennit� di trasferimento, pagamenti di canoni, spese postali e telegrafiche, 
fitto di locali nonch� quelle per l�acquisto di carta da fotocopiatrici necessarie 
al deposito nel numero di copie prescritte degli atti difensionali fino 
a quando non sar� a regime il processo telematico, per il quale pure l�Istituto 
sta lavorando attraverso progetti pilota in sedi deputate per il civile ed un 
progetto ormai in fase conclusiva con il Consiglio di Stato per l�amministrativo.
6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
L�ausilio dell�informatica � gi� determinante, attraverso l�istituzione 
dell�indirizzario elettronico delle amministrazioni patrocinate, la protocollazione 
automatica, l�informatizzazione degli scadenzieri, lo sviluppo del processo 
di colloquio diretto con l�Agenzia delle entrate e la consultazione diretta 
della banca dati dell�Avvocatura da parte delle Amministrazioni interessate. 
Senza detto ausilio il carico di lavoro sarebbe insostenibile ma molto 
resta ancora da fare e la meta di una completa informatizzazione � ancora 
lontana. 
Mi avvedo che il tempo concessomi sta per scadere e concludo ricordando 
un monito del Presidente della Repubblica, che nel suo messaggio di 
fine d�anno agli italiani ha sottolineato come nella attuale difficile situazione 
�il futuro da costruire richiede un impegno generalizzato�. 
E� un monito rivolto ad ogni individuo e ad ogni istituzione perch� tutti 
adempiano compiutamente ai loro doveri. 
Credo di poter dare assicurazione che l�Avvocatura dello Stato assolver� 
alle sue funzioni con tutto l�impegno richiesto. 
Grazie, signor Presidente della Repubblica, grazie a tutti per avermi 
ascoltato.
TEMI ISTITUZIONALI 7 
Audizione dell�Avvocato Generale davanti alla 
Commissione giustizia della Camera 
Legge 117/88 
La legge sulla responsabilit� dei magistrati si inquadra fra quei particolari 
rimedi che l�ordinamento giuridico mette a disposizione del cittadino 
per i casi in cui i suoi diritti siano stati lesi dall�attivit� giudiziaria. 
Credo sia opportuno un breve cenno ad essi soprattutto a fini di una 
comparazione dei dati numerici. 
A) La riparazione dell�errore giudiziario. 
L�istituto trova fondamento nell�art. 24, comma 4, Cost. secondo cui: 
�la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori 
giudiziari�. 
La disciplina � contenuta negli artt. 643 e ss. c.p.p. 
Le norme regolano il riflesso pi� importante delle conseguenze dell�errore 
giudiziario, ossia l�indennizzo pecuniario. Esso costituisce un rimedio 
di natura �riparatoria�, distinto perci� dal rimedio �risarcitorio� ex art. 2 
L. n. 117/1988. 
Legittimato ad agire � il soggetto che sia stato prosciolto in sede di revisione 
(art. 643 c.p.p.) di una sentenza di condanna gi� passata in giudicato.
Consente di ottenere un risarcimento dei danni subiti (patrimoniali e 
non) senza limiti di valore, in funzione ovviamente delle conseguenze dell�errore. 
� possibile ottenere anche, in alternativa al risarcimento, una rendita 
vitalizia (ovvero l�accoglimento in un istituto a spese dello Stato). 
L�istituto � di limitata applicazione, essendo necessario il previo accoglimento 
di una istanza di revisione del processo (ipotesi questa molto rara). 
Risultano infatti proposte solo poche decine di cause a livello nazionale 
nell�ultimo decennio. 
B) La riparazione per ingiusta detenzione. 
� un istituto che, a differenza del precedente, � stato introdotto per la 
prima volta con il nuovo codice di procedura penale del 1988. 
Anch�esso trova fondamento nell�art. 24, comma 4, Cost. nonch� nell�art. 
5, par. 5, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e 
delle libert� fondamentali. 
� disciplinato dagli artt. 314 e 315 c.p.p. 
Le norme regolano la riparazione derivante da detenzione �ingiusta�, 
subita sia da imputati riconosciuti innocenti sia da imputati riconosciuti col-
8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
pevoli con sentenza irrevocabile. 
In particolare la legittimazione spetta a chi � stato prosciolto con formula 
piena in base a sentenza irrevocabile o archiviazione, dopo aver subito 
un periodo di custodia cautelare (o di arresti domiciliari o detenzione subita a 
causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziato di delitto) e semprech� 
non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave. 
La legittimazione spetta anche a chi abbia comunque subito un periodo 
di custodia cautelare (o di arresti domiciliari o sia stato sottoposto ad arresto 
in flagranza o a fermo di indiziato di delitto) a seguito di un provvedimento 
emesso o mantenuto senza che esistessero gravi indizi di colpevolezza o 
un�adeguata gravit� di reato ovvero le condizioni per la convalida (accertati 
con decisione irrevocabile). 
La legittimazione spetta infine anche a chi � abbia comunque subito una 
detenzione a causa di erroneo ordine di carcerazione emesso sul presupposto 
di una condanna definitiva non esistente o a pena detentiva da non espiare ed 
in altri casi minori. 
L�indennizzo spetta per: 
1) custodia cautelare; 
2) arresti domiciliari; 
3) detenzione a seguito di arresto in flagranza e fermo; 
4) applicazione provvisoria di misure di sicurezza; 
5) detenzione per erroneo ordine di carcerazione. 
La riparazione avviene mediante l�erogazione di una somma comunque 
non superiore a � 516.456,90 (un miliardo delle vecchie lire). 
L�istituto trova una diffusa applicazione (le cause proposte nell�ultimo 
decennio sono circa 7.000 e quelle proposte nel corso del 2010 a livello nazionale 
sono circa 2.600). 
C) L�equa riparazione per l�irragionevole durata dei processi. 
Si tratta della procedura prevista dalla legge n. 89/2001 (c.d. �Legge 
Pinto�), attuativa dei principi contenuti nella Convenzione per la salvaguardia 
dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali ed applicati dalla Corte di 
Strasburgo. 
In sostanza la Corte Europea dei Diritti dell�Uomo ha individuato dei 
tempi �ragionevoli� entro i quali una controversia ordinaria deve concludersi: 
3 anni per il primo grado, 2 per l�appello e 1 per l�ulteriore terzo grado, prevedendo 
un �indennizzo� intorno ai 1000 � per ciascun anno di ritardo (non 
imputabile alle parti). 
Il contenzioso � molto vasto ed oneroso per l�erario (si � passati da 4 milioni 
di euro di condanne nel 2002 ad 81 milioni nel 2008). 
Il numero annuale delle controversie � stato pari a 24.290 nel 2010 a livello 
nazionale, e di queste 7.030 riguardano la sede romana.
TEMI ISTITUZIONALI 9 
D) L�azione di responsabilit� ex legge n. 117/1988. 
� un�azione concessa a chiunque si assuma danneggiato da un atto (o 
dall�inerzia) di un magistrato nell�esercizio dell�attivit� giurisdizionale. 
In particolare la legge (approvata, come � noto, a seguito di un famoso 
referendum che abrog� le norme che limitavano la responsabilit� del magistrato 
ai casi di dolo, frode o concussione) prevede: 
a) un termine di decadenza biennale per l�esercizio dell�azione; 
b) la legittimazione passiva dello Stato, con possibilit� di intervento in 
causa del magistrato a cui la citazione dovr� essere comunicata; 
c) un filtro di ammissibilit� dell�azione, diretto alla verifica di determinati 
presupposti tra cui la non manifesta infondatezza della domanda; 
d) la trasmissione di copia degli atti ai titolari dell'azione disciplinare nei 
confronti del magistrato non appena l�azione venga dichiarata ammissibile; 
e) la rivalsa dello Stato verso il magistrato in caso di condanna al risarcimento 
dei danni in favore del danneggiato, con un tetto massimo pari ad un 
terzo dello stipendio annuo salvo il caso di dolo; 
f) la possibilit� di un�azione diretta verso lo Stato ed il magistrato (senza 
filtro e senza limiti alla rivalsa), da parte di chi ha subito un danno in conseguenza 
di un fatto costituente reato, commesso dal magistrato nell'esercizio 
delle sue funzioni (art. 13 della legge). 
Questo tipo di azione presenta delle evidenze statistiche singolari. Gi� in 
uno studio del 2004 (M. Lupo, La responsabilit� civile del magistrato: primi 
bilanci sulla applicazione della L. 117/88, in Responsabilit� civile e previdenza, 
2004, 679) si legge: �In sedici anni di applicazione, abbiamo potuto 
rinvenire, 6 casi in cui � stata ammessa l�azione contro lo Stato; di questi solo 
due sono giunti ad una sentenza di merito con relativa condanna a carico 
dello Stato�. 
Dai dati dell�Avvocatura dello Stato raccolti dalla prima applicazione 
della legge ad oggi risultano proposte poco pi� di 400 cause. 
Di queste, 253 (pari al 62%) sono state dichiarate inammissibili con provvedimento 
definitivo; 49 (pari al 12%) sono in attesa di pronuncia sull�ammissibilit�; 
70 (pari al 17%) sono in fase di impugnazione di decisioni di 
inammissibilit� e 34 (pari all�8,37%) sono state dichiarate ammissibili. 
Di queste 34 a loro volta risultano ancora pendenti n. 16 cause. 
Delle 18 gi� decise, 14 risultano respinte e solo in 4 casi (pari al 22%) vi 
� stata condanna dello Stato. 
Da tali dati emerge una eccessiva operativit� sia del �filtro� di ammissibilit�, 
che dei criteri di valutazione del merito in quanto, in buona sostanza, � 
stato dichiarato ammissibile solo il 10% delle domande e solo l�1% di esse � 
stato accolto. 
Tale difettoso funzionamento della legge ha innescato una tendenza sostanzialmente 
volta ad una abrogazione di parti qualificanti della legge in
10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
esame ed in tal senso � la maggior parte dei disegni di legge all�esame della 
Commissione. 
Effetti di una eventuale abrogazione totale della legge n. 117/1988 (o di 
sue norme qualificanti). 
Le finalit� della legge sono essenzialmente: 
a) garantire l�indipendenza del magistrato nell�esercizio dell�attivit� giurisdizionale, 
evitando che sia esposto a condizionamenti sotto forma di azioni 
risarcitorie; 
b) evitare il proliferare �a cascata� di processi derivanti da altre cause; 
c) responsabilizzare comunque il magistrato prevedendo la possibilit� di 
una sua condanna risarcitoria (ancorch� limitata in un importo massimo predeterminato), 
nonch� di una sanzione disciplinare (possibile gi� al solo superamento 
della fase �filtro�). 
Una eliminazione tout court della legge o di sue norme qualificanti farebbe 
per� sorgere seri problemi di legittimit� costituzionale. 
Pi� volte, infatti, la Corte Costituzionale ha affermato che �la peculiarit� 
delle funzioni giudiziarie e la natura dei relativi provvedimenti suggeriscono 
condizioni e limiti alla responsabilit� dei magistrati, specie in considerazione 
dei disposti costituzionali appositamente dettati per la Magistratura (artt. 101- 
113 Cost.), a tutela della sua indipendenza e dell'autonomia delle sue funzioni� 
(sentenza n. 26/1987, che richiama la precedente n. 2/1968). 
Ne deriva che una disciplina che prevedesse la pura e semplice equiparazione 
dei magistrati agli impiegati pubblici sotto il profilo della responsabilit� 
civile ex art. 28 Cost., si esporrebbe al rischio di incostituzionalit�. 
Proposte migliorative della legge n. 117/1988. 
Il maggior ostacolo ad un utilizzo �fisiologico� della legge, sta nell�art. 
2 comma 2 ed in particolare nella speciale causa di inammissibilit� ivi contenuta, 
in forza della quale �Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non pu� dar 
luogo a responsabilit� l'attivit� di interpretazione di norme di diritto n� quella 
di valutazione del fatto e delle prove�. 
Tale principio � gi� stato derogato per i casi di violazione del diritto comunitario. 
Nella sentenza 13 giugno 2006 emessa nella causa C-173/03 Traghetti 
del Mediterraneo, relativa proprio alla legge n. 117/1988, la Corte di 
Giustizia dell�Unione Europea ha affermato che: 
Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in 
maniera generale, la responsabilit� dello Stato membro per i danni arrecati 
ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un 
organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa 
risulta da un�interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione 
dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale.
TEMI ISTITUZIONALI 11 
Il diritto comunitario osta altres� ad una legislazione nazionale che limiti 
la sussistenza di tale responsabilit� ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, 
ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilit� 
dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata 
commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 
53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, K�bler. 
� attualmente pendente davanti alla stessa Corte una procedura di infrazione 
(causa C-379/10) promossa dalla Commissione europea contro l�Italia, 
proprio al fine di ottenere una modifica della norma nel senso indicato nella 
citata sentenza. 
La modifica della legge sul punto � quindi gi� necessaria (nella causa in 
Corte di Giustizia la difesa del Governo italiano fa leva sulla sola circostanza 
che la modifica della legge non sarebbe necessaria, in quanto la formulazione 
della norma gi� consentirebbe una interpretazione �comunitariamente orientata� 
nel senso della sentenza Traghetti). 
La modifica dovrebbe per� non essere limitata ai soli casi di �violazione 
manifesta del diritto comunitario� (cos� la sentenza Traghetti), ma anche 
estesa alle analoghe violazioni del diritto interno. 
Diversamente ci si esporrebbe ad un problema di costituzionalit� interna 
(per violazione dell�art. 3 Cost.) per una non giustificata disparit� di trattamento. 
L�ampliamento della responsabilit� nel senso sopra indicato avrebbe il 
vantaggio: 
a) di evitare la possibile proliferazione �a cascata� delle cause (che si 
verificherebbe qualora ogni violazione del diritto, anche non manifesta, diventasse 
fonte di responsabilit�); 
b) di ancorare il concetto di violazione �manifesta� del diritto alla giurisprudenza 
in materia della Corte di Giustizia, caratterizzata da un elevato 
grado di stabilit� (a differenza delle Corti nazionali) e di omogeneit� a livello 
europeo (le sentenze della Corte di Giustizia, comՏ noto, sono fonte di diritto 
in tutti gli Stati membri); 
c) di non discriminare le violazioni del diritto nazionale rispetto a quelle 
del diritto comunitario. 
Il mantenimento, per il resto, del meccanismo della legge n. 117/1988, 
consentirebbe altres� di lasciare in vigore la responsabilit� diretta del magistrato 
e dello Stato nei casi di fatti-reato, prevista nell�art. 13 della legge. 
In mancanza di tale disposizione infatti, troverebbero applicazione i principi 
generali in tema di responsabilit� dei funzionari pubblici, in base ai quali 
il comportamento doloso costituente reato interrompe il nesso organico con 
l�Amministrazione che pertanto non � pi� tenuta ad alcun risarcimento. 
Ci� rischierebbe di pregiudicare il danneggiato, soprattutto nei casi di 
danni molto elevati, in cui la solvibilit� del singolo magistrato non garanti-
12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
rebbe la riparazione integrale del danno. 
Che non si tratti di un�ipotesi scolastica � confermato dall�attuale pendenza 
di un�unica causa ex art. 13 davanti al Tribunale di Roma, dove una 
Banca (in relazione alla nota vicenda �IMI SIR �) ha chiesto allo Stato italiano 
un risarcimento di un miliardo di euro, a seguito dell�accertata responsabilit� 
penale di un magistrato nella emanazione di una sentenza. 
Roma, 10 febbraio 2011 
L�AVVOCATO GENERALE 
Ignazio F. Caramazza
TEMI ISTITUZIONALI 13 
Appelli avverso sentenze in materia di opposizione ad 
ordinanza ingiunzione ex art. 23 L. 689 del 24 novembre 1981* 
Con ordinanze nn. 23285/10 e 23286/10 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione 
hanno affermato il principio secondo il quale �La regola del �foro erariale� non � applicabile 
ai giudizi di appello in materia di sanzioni amministrative�. 
Nelle stesse pronunzie, in via di obiter dictum, le Sezioni Unite assumono inoltre un 
orientamento che, se confermato, potrebbe comportare che l�appello, debba essere proposto 
con atto di citazione: infatti, nella motivazione delle richiamate sentenze, le SS.UU. fanno riferimento 
alla �mancanza di un�espressa previsione legislativa di �ultrattivit� del rito�, che 
estenda all�appello l�applicabilit� delle norme suddette, [quelle applicabili al primo grado, 
n.d.r.] � mancanza del resto giustificata dal maggiore tecnicismo che caratterizza i procedimenti 
di impugnazione e che comporta la necessit� di patrocinio professionale richiesto dall�art. 
82 c.p.c. ��. 
In considerazione delle pronunzie della Suprema Corte sopra richiamate, in attesa dell�esame 
da parte del Governo della bozza di modifica delle disposizioni regolanti la materia 
che � stata gi� da tempo sottoposta al suo esame, si rende opportuno diramare le seguenti indicazioni. 
��� 
Innanzi tutto, posto che le Sezioni Unite non hanno affrontato ex professo la questione 
della forma dell�appello, ma hanno solo incidentalmente sostenuto la non ultrattivit� del rito 
speciale in sede di gravame, si invitano le SS.LL., nelle more di un auspicabile pronunciamento 
chiarificatore sul punto, a continuare ad attenersi a quanto indicato nella circolare n. 
24/07, con la quale � stato diffuso il parere approvato dal Comitato Consultivo nella seduta 
del 6 giugno 2007, ove si afferma �� in attesa di una pronuncia della Suprema Corte che dirima 
i non univoci orientamenti emersi in sede di merito � appare opportuno, laddove la 
giurisprudenza locale ritenga necessaria per la proposizione del gravame la forma della citazione, 
provvedere cautelativamente, ove possibile, non solo alla notifica ma anche all�iscrizione 
a ruolo entro il termine per impugnare, al fine di evitare comunque decadenze, 
consentendo l�eventuale conversione dell�atto irritualmente proposto ��. 
��� 
La necessit� di adeguare la condotta processuale dell�Avvocatura al principio della non 
applicabilit� del foro erariale agli appelli ex art. 23 l. 689/81, allorquando si renda necessario 
proporre appelli che, secondo il suddetto principio, vanno incardinati innanzi ad un Tribunale 
sito in luogo diverso da quello in cui ha sede l�Avvocatura Distrettuale dello Stato nel cui Distretto 
fu resa la sentenza di primo grado, determina svariati problemi di ordine pratico ed organizzativo, 
sia ai fini dell�espletamento degli adempimenti di cancelleria, sia ai fini della 
partecipazione alle udienze. 
Come noto, la problematica inerente la rappresentanza delle Amministrazioni in giudizi 
che si svolgono fuori dalla sede degli uffici dell�Avvocatura dello Stato � disciplinata dall�art. 
2 R.D. 1611/33, il quale al comma 1 prevede che l�Avvocatura abbia �� facolt� di delegare 
funzionari dell�Amministrazione interessata, � ed in casi eccezionali anche procuratori le- 
(*) Circolare n. 66 - 7 dicembre 2010 prot. 378775 - dell�Avvocato Generale.
14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
gali, esercenti nel circondario dove si svolge il giudizio�. 
Deve preliminarmente considerarsi che il conferimento di delega ad avvocati del libero 
foro alla rappresentanza delle Amministrazioni in giudizi �fuori sede� � consentita, a mente 
dell�art. 2 R.D. 1611/333, solo �in casi eccezionali�. 
A ci� si aggiunga la considerazione che, nella maggior parte dei casi, il valore economico 
della sanzione oggetto del contendere � contenuto entro limiti piuttosto modesti, ci� che in 
linea di massima sconsiglia � per ovvie ragioni di economicit� � di ricorrere alla delega ad 
avvocati, onde evitare che l�Amministrazione finisca con l�essere gravata, a titolo di compenso 
spettante al delegato, di oneri maggiori rispetto allo stesso valore del giudizio. 
Tanto premesso, sembra, opportuno distinguere i casi in cui l�Amministrazione ha veste 
processuale di appellante da quelli in cui �, invece, appellata. 
Prendendo le mosse da tale ultima eventualit�, si ritiene che le difese possano essere di 
norma svolte solo per iscritto (sulle modalit� da seguire per il relativo deposito si dir� infra), 
atteso che la presenza alle udienze pu� ritenersi, generalmente, non strettamente indispensabile. 
Sono, ovviamente, fatti salvi casi eccezionali, giustificati anche alla luce del valore economico 
della sanzione in contestazione o della questione di principio dibattuta, in cui � al 
contrario � la presenza all�udienza appaia inderogabile. 
In tal caso, ove l�avvocato incaricato sia impossibilitato ad intervenire, dovr� farsi ricorso 
alla delega ad avvocato ex art. 2 cit., e non alla delega a funzionari: tale ultima possibilit� � 
ragionevolmente da escludere non solo quando si tratti della comparizione innanzi alla Corte 
d�Appello, ma anche quando si tratti di giudizi innanzi al Tribunale adito in funzione di giudice 
d�appello. 
La Corte di Cassazione ha infatti recentemente affermato (ordinanza n. 14520 del 19 
giugno 2009): �In tema di opposizione a sanzione amministrativa disciplinata dalla legge 24 
novembre 1981, n. 689, la difesa personale della parte consentita dall�art. 23, quarto comma, 
della stessa legge � prevista esclusivamente per il giudizio di primo grado, non trovando applicazione 
anche per il giudizio di appello, per il quale, in assenza di alcuna specifica previsione 
contraria, si applica la regola generale di cui al terzo comma dell�art. 82 cod. proc. 
civ., secondo cui davanti al tribunale e alla corte di appello la parte deve stare in giudizio 
con il ministero di un procuratore legalmente esercente�. 
Tale posizione � stata recentemente ribadita dalle Sezioni Unite proprio nelle ordinanze 
23285/10 e 23286/10. 
Quanto al deposito degli atti di cancelleria, non sembra esservi dubbio circa la possibilit� 
di procedere allo stesso tanto attraverso funzionari, quanto attraverso l�invio per posta. 
Ed invero, gli adempimenti di cancelleria costituiscono �un�attivit� materiale priva di 
requisito volitivo autonomo e che non necessariamente deve esser compiuta dal difensore, 
potendo essere realizzata anche da un �nuncius� (Cass. SS.UU. 5160/09). Inoltre, nella medesima 
pronuncia le Sezioni Unite riconoscono che �L�invio a mezzo posta dell�atto processuale 
destinato alla cancelleria � al di fuori delle ipotesi speciali � realizza un deposito 
dell�atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, riguardando un�attivit� materiale 
priva di requisito volitivo autonomo e che non necessariamente deve essere compiuta 
dal difensore, � pu� essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del 
vizio ex art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.; in tal caso, la sanatoria si produce con decorrenza 
dalla data di ricezione dell�atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun 
caso da quella di spedizione�. Tale ultimo principio dovr� essere tenuto nella dovuta consi-
TEMI ISTITUZIONALI 15 
derazione al fine di evitare di incorrere in esiti pregiudizievoli. 
Venendo al caso in cui l�Amministrazione sia parte appellante, si osserva che la presenza 
in giudizio � indubbiamente necessaria a dare impulso al processo, nonch� ad evitare decadenze: 
la mancata comparizione determinerebbe infatti l�improcedibilit� del gravame ex art. 
348 c.p.c. 
In tali ipotesi, sempre ove l�avvocato incaricato dell�affare non possa intervenire, appare 
inevitabile il ricorso alla delega ex art. 2 R.D. 1611/33, da rilasciarsi ad avvocati del foro 
libero per le stesse ragioni di cui si � detto sopra, ricorrendo indubbiamente quell�eccezionalit� 
del caso cui la norma subordina l�uso della delega a liberi professionisti. 
Quanto sopra implica che - nella valutazione circa l�opportunit� e la convenienza economica 
della proposizione dell�appello - dovr� tenersi necessariamente in considerazione 
l�onere connesso al compenso del delegato. 
Sempre in attesa degli interventi normativi gi� suggeriti e che non si mancher� di sollecitare, 
ci si riserva, comunque, alla prima occasione utile, di riproporre al vaglio delle Sezioni 
Unite la questione dell�applicabilit� del �foro erariale� agli appelli ex art. 23 L. n. 689/81, 
nell�auspicio di una revisione del recente orientamento. 
L�AVVOCATO GENERALE 
Avv. Ignazio Francesco Caramazza 
Indicazione e produzione degli atti processuali e dei documenti 
su cui si fonda il ricorso per cassazione � artt. 360 n. 6 e 369 
secondo comma n. 4 c.p.c.* 
Come in pi� occasioni segnalato (tra l�altro, con Circolare n. 17/06 e con Comunicazione 
di Servizio n. 47/06), le modifiche al codice di procedura civile introdotte con D.Lgs 2 febbraio 
2006 n. 40, comportano il rispetto, a pena di inammissibilit�, di numerosi adempimenti formali 
nella redazione dei ricorsi per cassazione. 
In considerazione di ci�, si � gi� ripetutamente rappresentata la necessit� che le Avvocature 
Distrettuali, nel trasmettere all�Avvocatura Generale le sentenze sfavorevoli, esprimano 
il loro motivato parere sull�eventuale impugnazione e, in caso di parere favorevole, indichino 
� sia pure sinteticamente � i singoli vizi ex art. 360 comma 1 nn. 1, 2, 3, e 4 ravvisabili nella 
sentenza. L�esigenza appare poi particolarmente pressante ove si ipotizzi il ricorrere del vizio 
di cui all�art. 360, n. 5, c.p.c., che pi� facilmente appare rilevabile a cura del difensore che ha 
trattato la causa nei giudizi di merito. 
Si � inoltre richiamata l�attenzione delle Avvocature Distrettuali sulla necessit� di inviare, 
unitamente alle sentenze sfavorevoli ed al parere di cui sopra, anche copia della documentazione 
� in particolare dei ricorsi e delle memorie � relativa ai fatti contestati. 
Tanto premesso, nel richiamare e ribadire l�invito ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni 
di cui sopra, si evidenzia che nella giurisprudenza di legittimit� si � andato progressivamente 
consolidando un orientamento quanto mai rigoroso in materia di indicazione degli 
atti processuali e dei documenti su cui si fonda il ricorso (art. 366 n. 6 c.p.c.). 
(*) Circolare n. 67 - 7 dicembre 2010 prot. 378810 - dell�Avvocato Generale.
16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Al riguardo, in particolare, rileva quanto affermato dalle Sezioni Unite con ordinanza 
n. 7161 del 25 marzo 2010: �In tema di ricorso per cassazione, l�art. 366, primo comma, n. 
6, cod. proc. civ., novellato dal d.lgs n. 40 del 2006, oltre a richiedere l�indicazione degli atti, 
dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia 
specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata 
all�ulteriore requisito di procedibilit� di cui all�art. 369, secondo comma, n. 4 cod. 
proc. civ., per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato 
prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante 
la produzione del fascicolo, purch� nel ricorso si specifichi che il fascicolo � stato prodotto 
e la sede in cui il documento � rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle 
fasi di merito, dalla controparte, mediante l�indicazione che il documento � prodotto nel fascicolo 
del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rileva opportuna la 
produzione del documento, ai sensi dell�art. 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., per il caso in 
cui la controparte non si costituisca in sede di legittimit� o si costituisca senza produrre il fascicolo 
o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle 
fasi di merito, relativo alla nullit� della sentenza od all�ammissibilit� del ricorso (art. 372 
c.p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di 
merito e comunque dopo l�esaurimento della possibilit� di produrlo, mediante la produzione 
del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell�ambito del 
ricorso�. 
I principi affermati nella richiamata pronuncia rendono assolutamente necessario, fin 
dal momento della redazione del ricorso, disporre di tutta la documentazione rilevante, e individuarla 
con precisione. 
Per tale motivo, in attesa di un�auspicabile revisione di tale rigoristico orientamento, 
per la quale si sono gi� assunte iniziative in sede processuale, mentre si richiama l�attenzione 
degli avvocati e procuratori dello Stato sulla necessit� di attenersi rigorosamente, nella redazione 
dei ricorsi per cassazione, ai richiamati orientamenti della giurisprudenza di legittimit�, 
si raccomoda altres� agli avvocati e procuratori in servizio presso le sedi distrettuali di curare 
che l�invio di tutti gli atti ed i documenti utili al ricorso avvenga unitamente alla trasmissione 
della sentenza sfavorevole ed al parere sulla relativa impugnazione. 
In particolare, dovranno essere trasmessi: 
- i fascicoli di parte dei precedenti gradi; 
- copia dei verbali di udienza e di ogni altro documento gi� acquisito al giudizio di 
merito, sui quali debba fondarsi il ricorso; 
- in particolare, copia dei documenti della controparte, che si avr� cura di acquisire 
prima che la stessa provveda al ritiro del proprio fascicolo; 
- eventuali documenti non prodotti nelle fasi di merito, relativi alla nullit� della sentenza 
o all�ammissibilit� del ricorso (art. 372 c.p.c.); 
- eventuali documenti attinenti alla fondatezza del ricorso formati dopo la fase di merito 
o dopo l�esaurimento della possibilit� di produrlo. 
Si confida nella puntuale osservanza di quanto disposto con la presente circolare al fine 
di evitare pregiudizi. 
L�AVVOCATO GENERALE 
Avv. Ignazio Francesco Caramazza
TEMI ISTITUZIONALI 17 
Art. 3, comma 2, del Codice del processo amministrativo: 
redazione degli atti in maniera chiara e sintetica* 
L�articolo 3, comma 2, del Codice del processo amministrativo, approvato con d.lgs 2 
luglio 2010 n. 104, dispone che: �il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e 
sintetica�. 
Si tratta di una disposizione di particolare importanza, che recepisce il principio di economia 
processuale sul quale da tempo insistono anche il legislatore ed il giudice comunitario, 
ma la cui completa attuazione postula la cooperazione di tutti gli operatori della giustizia: una 
sentenza adeguatamente motivava, ma chiara e sintetica, necessariamente presuppone che 
anche gli atti di parte presentino gli stessi caratteri. 
Per rispondere anche alle sollecitazione in tale senso provenienti dai vertici della giustizia 
amministrativa raccomando quindi alle SS.LL. di contenere, di norma, gli scritti difensivi 
nel limite delle 20-25 pagine, evitando ogni inutile ripetizione del contenuto di atti 
precedenti. 
Ove esigenze di completezza rendessero necessario il superamento di tale limite in casi 
particolarmente complessi, sar� opportuno redigere, come incipit dell�atto processuale, una 
sintesi dell�atto stesso sotto forma di indice ragionato. 
Con l�occasione segnalo la necessit� di non indulgere mai alla deplorevole prassi, talvolta 
purtroppo seguita, di depositare, come unica attivit� difensiva, il rapporto dell�Amministrazione. 
Rapporto che � soprattutto se completo e ben fatto � potr� spesso costituire utile 
base per una difesa, ma che andr�, ove possibile fin dalla fase cautelare, e comunque in sede 
di merito, tradotto dal linguaggio burocratico a quello curiale e sfrondato di ogni (frequente) 
lungaggine e di passaggi inutili quando non dannosi alla difesa.
L�AVVOCATO GENERALE 
Avv. Ignazio Francesco Caramazza 
(*) Circolare n. 1 - 3 gennaio 2011 prot. 614 - dell�Avvocato Generale.
18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Predisposizione di ricorsi per Cassazione in materia tributaria* 
In conseguenza di sostanziali modifiche normative e degli orientamenti giurisprudenziali 
restrittivi fatti propri in tempi recenti dalla Suprema Corte, la predisposizione dei ricorsi per 
cassazione costituisce oggi attivit� di grande complessit� e richiede da parte dell�Avvocato 
dello Stato considerevole impegno professionale. 
Tali considerazioni valgono in particolar modo per i ricorsi in materia tributaria (costituenti 
la pi� consistente parte del contenzioso che l�Avvocatura porta all�esame della Corte), 
poich� in tale materia l�attivit� � regolata anche dalle vigenti convenzioni con le Agenzie fiscali, 
che pongono una complessa e delicata serie di adempimenti a carico dell�Avvocatura. 
Considerato che l�assegnazione del contenzioso tributario si va estendendo ad Avvocati 
che in passato non hanno mai trattato la materia, ritengo utile sottoporre alle SSLL un sintetico 
Promemoria nel quale sono illustrate, accanto a talune disposizioni particolari regolanti i rapporti 
con le Agenzie e i principali orientamenti giurisprudenziali, le prassi che si sono consolidate 
nel tempo al fine di assicurare una migliore e pi� celere difesa degli interessi erariali. 
Per coloro che fossero interessati alla consultazione, saranno resi successivamente disponibili 
con modalit� da precisare gli schemi di atti e di lettere indicati in calce al promemoria. 
L�AVVOCATO GENERALE 
Avv. Ignazio Francesco Caramazza 
*********** 
RICORSI IN CASSAZIONE TRIBUTARIA 
PROMEMORIA 
1) RICHIESTE ISTRUTTORIE 2) PARERE DI NON IMPUGNAZIONE 3) RECAPITO DEI 
DESTINATARI DELLE NOTIFICHE 4) SENTENZE NOTIFICATE 5) NOTIFICA DEL RICORSO 
6) ISTANZA EX ART. 369 C.P.C. 7) ISCRIZIONE A RUOLO 8) NOTIFICA NULLA 
9) NOTIFICA INESISTENTE 10) NOTIFICA A PIU� PARTI 11) L�UDIENZA 12) LA SENTENZA 
13) CONTRORICORSO E RICORSO INCIDENTALE 14) SCHEMI DI ATTI 15) 
SCHEMI DI LETTERE. 
1) RICHIESTE ISTRUTTORIE 
Le proposte di ricorso per cassazione pervengono di norma dalle D.R. (Direzioni Regionali) 
e solo eccezionalmente dalle D.P. (Direzioni Provinciali). 
Per qualsiasi richiesta di chiarimenti o di documentazione integrativa, pu� contattarsi 
per e-mail (o anche telefonicamente) il funzionario dell�Agenzia (1) indicato come responsabile 
in calce alla relazione della D.R. 
L�elenco degli indirizzi dell�Agenzia delle Entrare � comunque reperibile sul relativo 
sito in http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/portal/entrate/contatta. 
E� opportuno che di ogni e-mail, se di rilievo, sia stampata copia da inserire nel fascicolo. 
Allo stesso modo le telefonate possono essere annotate sulla copertina interna del fascicolo 
specificando nome dell�interlocutore dell�Agenzia, oggetto in sintesi e data. 
(*) Circolare n. 12 - 2 marzo 2011 prot. 74200 - dell�Avvocato Generale.
TEMI ISTITUZIONALI 19 
2) PARERE DI NON IMPUGNAZIONE 
Circa i tempi e i modi di resa del parere di non impugnazione si richiama quanto previsto 
al punto 15 del protocollo d�intesa tra l�Avvocatura e Agenzia delle Entrate 13 maggio 2010 
(allegato alla Circolare n. 46/2010): 
2.4.3. L�Avvocatura, nei casi in cui non condivida la richiesta di ricorso per cassazione, 
d� tempestiva comunicazione del proprio motivato parere negativo alla competente Direzione 
regionale, tramite posta elettronica o fax e se del caso dandone anticipazione telefonica ai 
recapiti indicati nella richiesta di ricorso. In ogni caso, tale parere � inviato alla Direzione 
regionale , salvo obiettive circostanze impedienti, almeno dodici giorni prima della scadenza 
del termine di impugnazione. 
2.4.4. La Direzione regionale, qualora non condivida il parere negativo dell�Avvocatura, 
formula alla stessa, entro due giorni utili dalla ricezione di detto parere, le proprie osservazioni 
e le invia, tramite posta elettronica o fax, unitamente alla completa 
documentazione relativa alla richiesta di ricorso, anche alla Direzione centrale affari legali e 
contenzioso. 
2.4.5. Qualora l�Avvocatura non condivida la reiterata richiesta di proposizione del ricorso 
di cui al punto precedente, comunica con la necessaria urgenza il proprio definivo parere 
direttamente alla Direzione centrale affari legali e contenzioso e alla Direzione regionale 
competente, mediante posta elettronica o fax. Nel caso in cui la Direzione centrale non condivida 
il parere dell�Avvocatura, per la la risoluzione della divergenza si applica il secondo 
periodo del punto 2.1.3 (2). 
2.4.6. In mancanza di formale e tempestiva conferma del parere negativo espresso 
dall�Avvocatura, quest�ultima provvede, in modo da evitare decadenze, alla proposizione del 
ricorso per cassazione, in attesa dell�eventuale soluzione della divergenza insorta. 
E� pertanto opportuno che il parere sia reso via telefax alla D.R. conservando la documentazione 
che potrebbe essere necessaria per la proposizione del ricorso e che, di norma, 
non viene comunque restituita (salvo casi di particolare voluminosit� della stessa). 
Come deliberato in sede di Comitato per il Coordinamento Tributario (3) nel caso di 
reiterazione di un parere di non impugnazione, il parere stesso dovr� esser firmato dal Vice 
Avvocato Generale competente dopo aver sentito l�Avvocato Generale Aggiunto. 
3) RECAPITO DEI DESTINATARI DELLE NOTIFICHE 
Il domicilio delle parti a cui il ricorso va notificato viene in genere evidenziato dall�ufficio. 
E� necessario per� effettuare verifiche aggiornate per le societ� collegandosi al sito 
https://telemaco.infocamere.it/ (user e password sono riportate nella home page delle banche 
dati sulla intranet) ed effettuare una visura ordinaria (l�Avvocatura ha stipulato una convenzione 
che prevede un corrispettivo per ogni visura). 
In tal modo sar� possibile accertare: 
a) la sede legale della societ�; 
b) l�eventuale assoggettamento a procedure concorsuali; 
c) l�eventuale fusione o incorporazione in altra societ�; 
(1) E� opportuno inviare l�e-mail anche all�indirizzo dell�ufficio, al fine di evitare il rischio che il 
messaggio non venga letto per l�assenza del funzionario. 
(2) Il punto 2.1.3. prevede, per il caso di divergenza di opinioni, la determinazione del Direttoe 
dell�Agenzia. 
(3) Il CO.CO.TRIB. � stato istituito con la Circolare n. 62/2010.
20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
d) il nome e recapito del legale rappresentante, 
e) i nomi dei soci; 
f) l�eventuale cancellazione della societ�. 
E� opportuno ricordare che la giurisprudenza attribuisce efficacia costitutiva alle cancellazioni, 
con la conseguenza che il ricorso va proposto (anche) nei confronti dei soci ex art. 
2495 c.c. (Cass. SS.UU. 22 febbraio 2010 n. 4061) (4). 
Di grande utilit� � anche il sito www.paginebianche.it (in pratica l�elenco telefonico on 
line, aggiornato pressoch� in tempo reale). 
Per quel che riguarda il recapito di Avvocati si pu� consultare per l�ordine di Roma il 
sito http://www.ordineavvocati.roma.it/. 
Per gli altri ordini � sufficiente usare un qualsiasi motore di ricerca (Google, Virgilio, 
Yahoo, ecc.) per individuare il relativo sito, al cui interno si trova l�albo aggiornato. 
Se non si conosce il circondario dove l�avvocato esercita, si pu� fare la ricerca sul sito 
dl Consiglio Nazionale Forense (che per� a volte pu� essere incompleto), all�indirizzo: 
http://www.consiglionazionaleforense.it/on-line/Home/AreaAvvocati/Ricercaavvocati.html. 
Analogo meccanismo si pu� utilizzare per gli albi dei dottori commercialisti e/o ragioneri 
(che spesso sono i difensori nelle cause tributarie di merito) all�indirizzo: 
http://www.cndc.it/CMS/home/ricercacommercialista/ricerecacommercialista.jsp. 
4) SENTENZE NOTIFICATE 
Occorre tenere presente il fatto che in caso di avvenuta notifica della sentenza, il termine 
breve di 60 giorni decorre sempre, quale che sia l�ufficio dell�Agenzia (locale, D.R. o centrale) 
a cui sia stata eseguita la notifica (Cass. SS.UU. n. 3116/2006). 
La notifica all�Agenzia presso l�Avvocatura � invece da ritenersi nulla (Cass . SS.UU. 
22642/2007). 
Si ricorda che il D.L. n. 40/2010 ha introdotto modifiche all�art. 38 del D.L.gs n. 
546/1992, consentendo anche la notifica mediatne consegana a mani all�ufficio (5). 
Tale forma di notificazione � sempre pi� frequente, per cui occorre prestare attenzione 
in quanto la prova della notifica � data dalla semplice ricevuta allegata alla sentenza in cui 
l�ufficio attesta l�avvenuta consegna a mani. 
5) NOTIFICA DEL RICORSO 
Di norma il ricorso si notifica tramite l�UNEP di Roma a mani per le notifiche in Roma 
(in tal caso il Servizio Esterno Notifiche deve ricevere l�atto al massimo entro le ore 8,15 del 
giorno di scadenza) oppure a mezzo posta (in tal caso entro le ore 9,30 al massimo) in quanto, 
comՏ noto, la tempestiva consegna dell�atto all�UNEP impedisce ogni decadenza. 
Con la Comunicazione di servizio n. 77/2009 (e successiva n. 13/2010) � stato precisato 
(4) Dalla visura della societ� � pure possibile ottenere i bilanci in formato elettronico, nonch� 
altri atti depositati. 
(5) Il comma 2 dell�art. 38 ora prevede che �Le parti hanno l�onere di provvedere direttamente 
alla notificazione della sentenza alle altre parti a norma dell�articolo 16 depositando, nei successivi 
trenta giorni, l�originale o copia autentica dell�originale notificato, ovvero copia autentica dellal sentenza 
consegnata o spedita per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per 
raccomanata a mezzo del servizio postale unitamente all�avvisio di ricevimento nella segreteria, che 
ne rilascia ricevuta e l�inserisce nel fascicolo d�ufficio�.
TEMI ISTITUZIONALI 21 
che � ora possibile effettuare la notifica a mezzo posta dall�Avvocatura con il meccanismo 
previsto dall�art. 55 delle legge n. 69/2009 (6). 
Questo tipo di notifiche � possibile anche per le notifiche su Roma ma occorre utilizzarlo 
solo nei casi estremi (quando il termine scade in giornata), in quanto il costo � molto maggiore 
della notifica a mani tramite UNEP. 
Anche nelle notifiche ex art. 55, il termine � salvo con la spedizione del plico (Cass. 
17748/09; Cons. St. 7349/2004). 
In genere, e comunque sempre nelle cause rilevanti, � opportuna una doppia notifica sia 
al domiciliatario che presso la sede o residenza del contribuente. 
Qualora sussistano motivi particolari per eseguire la notifica a mani (ovviamente fuori 
Roma), non ci si avvarr� delle Avvocature Distrettuali, bens� delle singole D.R. (per le notifiche 
nei capoluoghi di Regione) ovvero dell�ufficio locale (D.P. o, in mancanza, uffici territoriali) 
dell�Agenzia dove ha sede l�UNEP che deve seguire la notifica. 
A tale fine, partendo dal Comune dove la notifica va fatta, � possibile individuare: 
- il Tribunale (o la sezione staccata, che ha in genere anche l�UNEP) competente all�indirizzo 
http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_4.wp 
- l�Ufficio dell�Agenzia delle Entrate competente all�indirizzo: http://www1.agenziaentrate.
gov.it/strumenti/mappe/. 
L�invio all�Agenzia per la notifica potr� avvenire o per raccomandata (se cՏ un adeguato 
lasso di tempo, almeno un mese), ovvero per posta celere o ancora via telefax (7). 
In quest'�ultimo caso l�atto va trasmesso (completo della formula della relata) in unica 
copia in calce alla quale va apposto (prima ovviamente della relata e subito dopo la firma dell�avvocato) 
la seguente dicitura: 
�Il suesteso atto, trasmesso a mezzo telefax dall�Avvocatura Generale dello Stato, � firmato 
nelle copie fotoriprodotte dal sottoscritto funzionario del ricevente ufficio��� ai 
sensi dell�articolo 10 della legge 18 ottobre 2001, n. 383���. 
E� opportuno indicare in oggetto nella nota fax di accompagno, il termine ultimo entro 
il quale la notifica va effettuata e specificare il numero delle copie da riprodurre e consegnare 
all�Ufficiale Giudiziario. 
In ogni caso l�atto da notificare deve pervenire all�ufficio dell�Agenzia almeno 3 giorni 
lavorativi prima della scadenza del termine (8) (il sabato � considerato festivo). 
6) ISTANZA EX ART. 369 C.P.C. 
Alla competente D.R. va invece inviata l�istanza ex art. 369 c.p.c. via telefax con le modalit� 
descritte per il ricorso (con richiesta di autenticarne tre copie e restituirne due vistate); 
(6) Con la comunicazione di serivizio n. 43/2010 sono stati precisati gli orari per la ccnsegna al 
S.E. degli atti da notificare: le ore 8,15 nei casi di notifica ultimo giorno a mani: le ore 17 (da luned� al 
venerd�) e le ore 12 del sabato per gli atti da notificare ex art. 55 legge 69/2009. In casi estemi, ad orario 
scaduto, si pu� comunque eseguire la notifica a mezzo posta raccomandata su richiesta dell�Avvocato 
(l�ufficio postale di Piazza San Silvestro chiude alle 19). In tali si si pu� infatti sostenre che trattasi di 
notifica nulla (e come tale sanabile) e non inesitente (in tale senso cfr. Cass. SS.UU. 1242/2000; 
15081/2004; v. per� cass. Sez. trib. 19577/2006). 
(7) In generale la richiesta di ricorso della D.R. contiene in calce tutti i recapiti di fax da utilizzare. 
(8) Punto 2.1.7. del protocollo d�intesa.
22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
in tal modo l�Agenzia verr� a conoscenza sia dei riferimenti dell�Avvocatura (numero di affare 
e avvocato incaricato), sia del fatto che il ricorso � stato proposto. 
Peraltro quando trattasi di Sezione staccata di Commissione Tributaria Regionale (9) 
l�istanza ex art. 369 c.p.c. va inviata anzich� alla D.R., all�ufficio (in genere una Direzione 
Provinciale ) dove ha sede la Sezione Staccata. In tal caso la nota di trasmissione dell�istanza 
va trasmessa per conoscenza alla D.R. 
Per la Commissione Tributaria Regionale del Lazio (anche per la Sezione staccata di 
Latina) al deposito dell�istanza ex art. 369 c.p.c. provvede il Servizio esterno, cui l�istanza 
dovr� essere inviata (in tre copie) tempestivamente; dall�avvenuta proposizione del ricorso 
dovr� darsi comunicazione alla D.R. mediante posta elettronica (ad oggi tale adempimento 
viene effettuato in automatico dalle Segreterie una volta completato il deposito del ricorso in 
cassazione). 
7) ISCRIZIONE A RUOLO 
Una volta tornato l�originale del ricorso notificato, va eseguita l�iscrizione a ruolo presso 
la Corte di Cassazione entro 20 giorni dall�ultima notifica (purch� non superflua, altrimenti 
il termine decorre dall�ultima notifica indispensabile). 
A norma dell�art. 134 disp. att. c.p.c. l�iscrizione a ruolo pu� avvenire anche a mezzo 
posta raccomandata (l�Ufficio Postale di via della Scrofa 61/63 � aperto fino alle 14; quello 
di Piazza San Silvestro fino alle 19). 
Il termine per il deposito decorre dal perfezionamento della notifica, e quindi: 
a) dalla consegna a mani al destinatario; 
b) dalla sottoscrizione dell�avviso di ricevimento nelle notifiche a mezzo posta; 
c) dalla spedizione della racc. A/R nella notifica ex art. 140 c.p.c. (10). 
Si pu� iscrivere a ruolo con riserva di deposito sia dell�A/R che della istanza ex art. 369 
c.p.c. E� rischiosa invece la riserva per la copia autentica della sentenza (che la Cassazione 
vuole sia depositata nel termine di 20 giorni a pena di inammissibilit� (sempre a pena di inammissibilit� 
la copia autentica depositata deve essere quella eventualmente notificata ai fini del 
decorso del termine breve). 
8) NOTIFICA NULLA 
Qualora vi siano dubbi sulla validit� delle notifiche (e semprech� non vi sia tempo utile 
per rinnovarle), � preferibile iscrivere comunque a ruolo la causa ed attendere circa due mesi. 
Se nel termine di legge (40 giorni dalla notifica del ricorso) viene notificato il controricorso, 
ogni eventuale nullit� � sanata ex tunc (Cass. 1156/2008). 
Se controparte invece non si costituisce, � opportuno rinnovare la notifica con un secondo 
originale del tutto identico al primo, anche per quanto concerne la data di redazione 
(salvo ovviamente la relata) da depositare poi nel fascicolo in Corte nei 20 giorni successivi 
alla notifica. 
In tal modo si anticipa (con effetto sanante ex tunc) l�ordine di rinnovazione della noti- 
(9) Sono sedi di Sezione staccata le citta: Caltanissetta, Catania, Brescia, Foggia, Latina, Lecce, 
Livorno, Messina, Parma, Pescara, Reggio Calabria, Rimini, Salerno, Sassari, Siracusa, Taranto, Verona. 
(10) Occorre per� considerare che per effetto di Corte Costituzionale n. 3/2010 la notifica ex art. 
140 c.p.c. si intende eseguita il decimo giorno dalla spedizione della raccomandata.
TEMI ISTITUZIONALI 23 
fica che la Suprema Corte darebbe ex art. 291 c.p.c., evitando in tal modo un�udienza inutile 
(Cass. 4067/1997) (11). 
Nei casi di notifica a mezzo posta occorre sempre acquisire l�avviso di ricevimento, che 
pu� essere depositato anche oltre il termine per iscrivere a ruolo (12) e senza le formalit� di 
cui all�art. 372 c.p.c. (SS.UU. 23666/2009). 
Qualora dopo un tempo congruo (2 mesi dalla spedizione del plico) l�avviso non sia 
pervenuto, e semprech� la controparte non sia costituita con controricorso (nel qual caso l�avviso 
� di norma superfluo), si potr� verificare la consegna dell�atto sul sito delle poste 
http://www.poste.it/online/dovequando/controller?action=start&subaction=raccomandata e si 
potr� chiedere un duplicato dell�avviso di ricevimento alle poste (come da comunicazione di 
servizio n. 75/2010). 
Con la Comunicazione di Servizio 21/2010 � stato precisato che per le notifiche mezzo 
posta eseguite da Roma � possibile acquisire tramite internet l�avviso di ricevimento scannerizzato 
(telefonare al 569 per l�attivazione del servizio). 
E� bene ricordare che la rimessione in termini in caso di mancata produzione dell�avviso 
di ricevimento viene concessa dalla Corte, solo se l�interessato dimostra di essersi attivato 
per ottenere un duplicato dell�avviso (SS.UU. 23666/2009). 
E� consigliabile pertanto controllare sempre che l�avviso di ricevimento sia pervenuto 
(oppure che la controparte si sia costituita), prima di inserire il fascicolo al suo posto, in quanto 
tale verifica in occasione dell�udienza (che pu� essere successiva di anni) potrebbe essere 
ormai inutile. 
9) NOTIFICA INESISTENTE 
Nei casi in cui la notifica di una impugnazione non sia andata a buon fine senza colpa 
del notificante e il termine sia ormai scaduto, � opportuno iscrivere comunque la causa a ruolo 
e nel frattempo rinnovare la notifica all�indirizzo esatto (con un nuovo originale); ci� in quanto 
la Corte di Cassazione (SS.UU. 17352/2009) ha precisato che: 
�Nel caso in cui la notificazione di un atto processuale da compiere entro un termine 
perentorio non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, 
quest�ultimo, ove se ne presenti la possibilit�, ha la facolt� e l�onere di richiedere la ripresa 
del procedimento notificatorio. La conseguente notificazione, ai fini del rispetto del termine, 
avr� effetto fin dalla data della iniziale attivazione del procedimento, semprech� la ripresa 
del medesimo sia intervenuta entro un tempo ragionevolmente contenuto, tenuti anche presente 
i tempi necessari secondo la comune diligenza per venire a conoscenza dell�esito negativo 
della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente 
necessarie�. 
Si tratta in realt� di una applicazione del principio contenuto nel nuovo art. 153 comma 
2 c.p.c. (13), anche se tale disposizione si applica alle sole cause iniziate in primo grado dal 
4 luglio 2009. 
(11) Come � noto la rinnovazione � disposta nel caso di notifiche ritenute nulle ma non nel caso 
di notifiche ritenute �inesistenti�. 
(12) L�avviso pu� essere depositato sino all�udienza di discussione ma prima che inizi la relazione. 
(13) In forza del quale �La parte che dimostra di essere incorsa in decadenza per causa ad essa 
non imputabile pu� chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell�articolo 
294, secondo e terzo comma�.
24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
10) NOTIFICA A PIU� PARTI 
L�art. 330 c.p.c., dopo le modifiche introdotte con la legge n. 69/2009 (anch�esso applicabile 
alle sole cause iniziate in primo grado dal 4 luglio 2009), consente di notificare in unica 
copia una impugnazione a pi� parti aventi lo stesso difensore. 
Ad identici risultati per� era nel frattempo intervenuta la giurisprudenza, affermando 
che �E� valida, ai sensi dell�art. 330 c.p.c., la notificazione dell�atto di impugnazione eseguita 
mediante la consegna di un�unica copia presso il procuratore costituito per pi� parti� (Cass. 
SS.UU. 15 dicembre 2008 n. 29290). 
Pertanto in tutte le cause � possibile notificare il ricorso in un�unica copia al comune 
difensore di pi� parti. 
In tale ipotesi occorrer� per� predisporre la relazione di notifica nel senso che la stessa 
viene eseguita mediante consegna (o invio) dell�atto al procuratore domiciliatario di tutte le 
parti (da indicare nominativamente) (14). 
11) L�UDIENZA 
Quando arriva l�avviso d�udienza (in genere con anticipo di 2 o tre mesi) verificare: 
a) se � udienza in camera di consiglio, sono acquisite di norma le conclusioni del P.M. 
(per i ricorsi relativi a sentenze depositate fino al 4 luglio 2009) ovvero la relazione ex art. 
380 bis predisposta dal relatore (per i ricorsi relativi a sentenze depositate dal 5 luglio 2009). 
Se le conclusioni proposte alla Corte sono sfavorevoli, occorre predisporre (se del caso) memoria 
da depositare fino a 5 giorni (15) prima dell�udienza ed eventualmente andare a discutere 
la causa. Le cause in camera di consiglio sono chiamate alle ore 10 in aula �S� (che sta 
per �Struttura�, dove si trattano solo cause in camera di consiglio), oppure vengono chiamate 
nell�apposita aula, al termine dell�udienza pubblica (che inizia alle 10 e che dura in genere da 
1 a 2 ore). 
Negli altri casi (di conclusioni del P.M. o relazione favorevole) non � di norma necessario 
essere presenti in udienza. 
b) Se la causa � chiamata in udienza pubblica, valutare se depositare memoria (in generale 
per replicare al controricorso di controparte e richiamare giurisprudenza aggiornata), 
ed inviare il fascicolo in anticipo al collega di turno per quell�udienza (i turni sono diramati 
e inseriti su INTRANET) con le necessarie istruzioni. 
Se trattasi di causa complessa o di particolare rilievo occorre discuterla personalmente 
o parlarne direttamente con il collega che andr� in udienza. In tali casi sar� ancora possibile 
depositare brevi osservazioni scritte di replica al P.M. ai sensi dell�art. 379 c.p.c. 
Se � indetta una riunione per la verifica delle tematiche dell�udienza occorre portare il 
fascicolo alla riunione. 
12) LA SENTENZA 
Quando arriva la sentenza, (in genere due o tre mesi dopo l�udienza), occorre trasmetterla 
con urgenza, di norma solo alla competente D.R. (che provveder� a inviarla all�ufficio 
incaricato) restituendo gli atti (16). 
(14) Diversamente, se nella realta � indicato che l�atto viene notificato alle parti presso il domiciliatario, 
l�UNEP non accetta di seguire la notifica con unica copia. 
(15) Il termine di 5 giorni non � da considerare libero: Cass. 20464/2007.
TEMI ISTITUZIONALI 25 
Si segnala l�importanza di tale adempimento in quanto in materia tributaria in caso di 
sentenza definitiva favorevole all�erario, di norma decorre un termine relativamente breve di 
decadenza per la notifica della cartella esattoriale diretta alla riscossione del credito definitivo 
(art. 25 D.P.R. 602/1973). 
Si possono utilizzare gli allegati schemi di lettera per le diverse ipotesi. 
13) CONTRORICORSO E RICORSO INCIDENTALE 
Occorre tenere presente il fatto che il termine di 40 giorni per il controricorso decorre 
dalla data in cui la notifica del ricorso � stata eseguita presso qualsiasi ufficio dell�Agenzia 
(locale, D.R. o centrale: Cass. SS.UU. 3116/2006), mentre il termine non decorre (per nullit� 
della notifica) se eseguita presso l�Avvocatura (Cass. SS.UU. n. 22641/2007) (17). 
Qualora per qualsiasi motivo (scadenza del termine; chiara fondatezza del ricorso avversario) 
il controricorso non sia stato notificato, � necessario depositare comunque un atto 
di costituzione in giudizio (v. schema allegato), onde evitare di non avere pi� alcuna notizia 
della causa (non � possibile depositare alcun altro atto; neanche copia degli atti pregressi). 
Ci� consentir�: 
a) di acquisire il numero di ruolo generale che verr� inserito dal Servizio Esterno nel 
NSI; 
b) di ricevere lo scadenziere e l'avviso di udienza per l�eventuale partecipazione alla 
discussione orale, consentita in cassazione anche in mancanza di costituzione in giudizio (art. 
370 comma 1 c.p.c.); 
c) di ricever l�avviso di deposito della sentenza e copia della stessa. 
Di norma non occorre dare notizia all�Agenzia della mancata costituzione in giudizio. 
Qualora non si ritenga di proporre il ricorso incidentale richiesto dall�Agenzia, il protocollo 
d�intesa (punto 2.4.10 e s.) prevede che 
L�Avvocatura, qualora ritenga che non sia opportuna la proposizione del ricorso incidentale, 
d� tempestiva comunicazione del proprio motivato parere negativo alla competente 
Direzione regionale, almeno cinque giorni prima della scadenza del termine per la notifica 
del ricorso incidentale, tramite posta elettronica o fax e se del caso dandone anticipazione 
telefonica ai recapiti indicati nella richiesta. 
Nel caso di parere negativo dell�Avvocaura si applicano, per la risoluzione della divergenza, 
i punti da 2.4.4. a 2.4.6. 
14) SCHEMI DI ATTI 
1. Ricorso in cassazione 
2. Contoricorso in cassazione 
3. Controricorso con ricorso incidentale 
4. Ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. 
5. Controricorso a ricorso per revocazione 
(16) L�invio alla D.R. � necessario anche quando la corrispondenza precedente � solo con altri 
uffici dell�Agenzia. La sentenza non va mai trasmessa all�Agenzia Centrale. 
(17) A meno che, ovviamente nel ricorso non sia evocato il Ministero dell�Economia e delle Finanze. 
Tale chiamata in causa non pu� ritenersi errata per le sole cause in cui l�Agenzia non risulti costituita 
in giudizio dopo il 1� gennaio 2001 (cfr. Cass. Sez. Trib. n. 8507/2010). Nella pratica si tratta 
per lo pi� delle sole cause decise dalla Commissione Tributaria Centrale.
26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
6. Ricorso per correzione di errore materiale 
7. Contoricorso a ricorso per correzione errore materiale 
8. Atto di mera costituzione 
9. Memoria difensiva 
10. Ricorso per rinnovazione notifica ex art. 291 c.p.c. 
11. Brevi osservazioni scritte alle conclusioni del P.M. ex art. 379 c.p.c. 
12. Istanza trasmissione fascicolo ex art. 369 c.p.c. 
13. Istanza di rinvio 
14. Istanza di riunione cause 
15. Istanza di sollecita fissazione udienza. 
15) SCHEMI DI LETTERE 
1. Parere di impugnazione 
2. Reiterazione parere di non impugnazione 
3. Invio a mezzo telefax atto da notificare tramite D.R. 
4. Invio a mezzo telefax atto da notificare tramite ufficio con istanza 369 a D.R. 
5. Invio a mezzo telefax istanza 369 a D.R. 
6. Invio a mezzo telefax istanza 369 a D.R. + parere di non impugnazione parziale 
7. Nota invio fascicolo in cassazione ax art. 134 disp. att. c.p.c. 
8. Nota trasmissione sentenza 
9. Nota trasmissione sentenza inammissibilit� ex art. 366 bis c.p.c. 
10. Nota trasmissione sentenza riassunzione attiva 
11. Nota trasmissione sentenza riassunzione passiva 
12. Relata di notifica ex art. 55 legge n. 69/2009 
13. Lettera alle Poste per duplicato avviso di ricevimento.
TEMI ISTITUZIONALI 27 
L�art. 417 bis c.p.c.: la gestione del contenzioso lavoro da parte 
dei funzionari delle pubbliche amministrazioni 
a cura di Giuseppe Arpaia* 
L�Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli ha ideato e sviluppato, 
nel quadro delineato dalla circolare n. 43/10 dell�Avvocato Generale sul contenzioso 
del lavoro, un progetto di formazione dei dipendenti delle P.A. incaricati 
di svolgere l�attivit� di rappresentanza e difesa in giudizio delle stesse, 
quale prevista dalla norma di cui all�art. 417 bis c.p.c.. 
La concreta realizzazione di tale progetto ha avuto inizio con il corso di 
formazione dei funzionari delle Agenzie fiscali (tenutosi il 21 dicembre 2010) 
ed � proseguita con il secondo corso rivolto ai funzionari dell�Ufficio Scolastico 
Regionale per la Campania, dell�Universit� degli Studi di Napoli Federico 
II e della Seconda Universit� degli Studi di Napoli (�L�art. 417 bis c.p.c.: 
la gestione del contenzioso lavoro da parte dei funzionari delle Pubbliche Amministrazioni�), 
tenutosi il 4 febbraio 2011, presso la sede dell�Avvocatura 
Distrettuale dello Stato di Napoli, dall�Avv. dello Stato Giuseppe Arpaia. 
Il progetto � stato concepito quale naturale esito della constatazione - ribadita 
dalla citata circolare n. 43/2010 del 29 luglio 2010 -, da un lato, del carattere 
eccezionale del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato nel primo grado 
delle controversie giudiziarie di lavoro, secondo quanto statuito dall�art. 417 
bis c.p.c., dall�altro, dell�esigenza, fortemente avvertita dalle stesse Pubbliche 
Amministrazioni, che l�Avvocatura dello Stato collabori attivamente nel fornire 
una precipua formazione, funzionale all�attivit� di rappresentanza e difesa, 
ai dipendenti delle stesse, e, in particolare, a quelli appartenenti ai relativi 
uffici del contenzioso del lavoro, previsti dall�art. 12 del T.U. del pubblico impiego 
- d.lgs. n. 165/2001. 
Nel concepire il corso di formazione dei funzionari delle Amministrazioni 
pubbliche, si � dovuto tener conto di una serie di fattori. 
In primis, scopo dell�Avvocatura dello Stato � quello di trasmettere in 
modo adeguato le principali cognizioni in materia di processo del lavoro: da 
ci� sono derivati la corposit�, oltre che l�eterogeneit�, dei contenuti del corso, 
sia sotto il profilo teorico, che pratico. 
Difatti, volendo sintetizzare gli obiettivi del corso, mediante lo stesso 
(*) Avvocato dello Stato. 
Nota dell�Autore: 
Un ringraziamento alla dott.ssa Palmira Graziano, praticante avvocato presso l�Avvocatura Distrettuale 
dello Stato di Napoli e docente a contratto per l�anno accademico 2010/2011 presso la IV Cattedra di 
Diritto Civile della Facolt� di Giurisprudenza dell�Universit� degli Studi di Napoli �Federico II�, che 
ha, sotto la mia guida, elaborato le slide del corso.
28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
l�Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli ha inteso far acquisire ai relativi 
partecipanti conoscenze teorico-pratiche in ordine: 
1) alla disciplina della giurisdizione sui rapporti di lavoro dipendente nel 
pubblico impiego, in particolare quanto alle norme del T.U. n. 165/2001 e 
succ. modifiche (Slide nn. 1-11); 
2) alla disciplina inerente la gestione del contenzioso del pubblico impiego 
da parte delle stesse P.A. - T.U. n. 165/2001 ed art. 417 bis c.p.c. - (Sl. 
nn. 12-13); 
3) alle procedure di conciliazione ed arbitrato introdotte dalla riforma di 
cui alla legge �collegato lavoro�, la l. n. 184 del 4 novembre 2010 (Sl. nn. 14-28); 
4) all�atto di ricorso (in particolare quanto ad elementi essenziali, alla patologia 
dell�atto e della relativa notifica) (Sl. nn. 29-42); 
5) alla memoria difensiva (in particolare quanto ad elementi essenziali, 
ed al preliminare conferimento dell�incarico di difesa al funzionario ex art. 
417 bis c.p.c.) (Sl. nn. 43-66); 
6) ai poteri decisionali del giudice (Sl. nn. 67-75); 
7) al ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo ed alla procedura di redazione 
informatica della relativa nota di iscrizione a ruolo (Sl. nn. 76-94); 
8) all�atto di reclamo ed alla procedura di redazione informatica della relativa 
nota di iscrizione a ruolo (Sl. nn. 95-104). 
In secondo luogo, il corso ha inteso accogliere l�istanza, spesso manifestata 
dalle stesse Amministrazioni, di concentrare in una stessa giornata l�attivit� 
didattica: ci� ha reso necessario, indicare, quale incipit del corso, i 
relativi obiettivi formativi, gi� prima richiamati, indicando ciascuno di essi 
quale una delle varie tappe del percorso (all�interno di una slide c.d. �indice�). 
In tal modo si � voluto consentire ai partecipanti di cogliere illico et immediate, 
la strumentalit� di ogni singolo argomento via via affrontato rispetto 
al corrispondente obiettivo, oltre che i punti di connessione reciproca tra gli 
stessi. 
Ci� ha fatto salva, nonostante l�orario prolungato del corso, quella �visione 
d�insieme� dei molteplici temi esaminati, che � indispensabile ad una 
loro pi� pronta e completa comprensione da parte di chi ascolta. 
A tal fine, si � reso indispensabile il ricorso allo strumento didattico delle 
slide, efficace nel fornire una migliore ed immediata visualizzazione dei precetti 
normativi, spesso di recente emanazione (come nel caso della disciplina 
delle procedure di conciliazione ed arbitrato - v. slide nn. 14-28), oltre che 
della reale conformazione e della struttura compositiva dei vari atti giudiziari 
analizzati. 
Ciascuna slide � stata numerata, di modo che al termine del corso, � stato 
possibile a chi vi abbia partecipato fruire delle slide come una sorta di manuale 
per la gestione del contenzioso del lavoro, slide che risultano ordinate per argomenti 
e raggruppate in relazione ai corrispondenti obiettivi. 
TEMI ISTITUZIONALI 29 
Sempre nell�ottica dell�efficace fruizione da parte dei partecipanti al corso 
delle relative slide, si � optato per una impaginazione che costituisca di per se 
stessa una sorta di mappa orientativa degli specifici temi, eminentemente pratici, 
che in ciascuna slide vengono affrontati: pi� precisamente, all�inizio di 
ogni nuovo gruppo di slide (corrispondente ad un specifico obiettivo), � stato 
indicato l�argomento oggetto dell�intero gruppo con una formattazione similare 
a quella propria dei titoli dei capitoli di una monografia. 
Sempre al fine di una catalogazione ordinata dei vari temi affrontati, tale 
struttura formale del corso ha avuto una sua precisa corrispondenza in una 
struttura parimenti ordinata ed articolata dei relativi contenuti. 
Talora, si � reso necessario perfino creare un�indicizzazione all�interno 
delle slide relative al medesimo obiettivo, laddove l�argomento nelle stesse 
trattato, essendo particolarmente articolato, ha preteso una schematizzazione 
in passaggi successivi, che, poich� numerosi, hanno, a loro volta, reso opportuno, 
al termine di ciascuno di essi, un breve riepilogo. 
Questo � stato il caso delle slide nn. 14-28 correlate all�obiettivo n. 3, riguardante 
�le procedure di conciliazione ed arbitrato introdotte dalla riforma 
di cui alla legge �collegato lavoro� del 4 novembre 2010�: nella slide n. 16 � 
stato inserito un indice (relativo al solo obiettivo n. 3) nel quale sono esplicate 
tutte le varie alternative tra l�azione giudiziale e le procedure conciliative ed 
arbitrali, che si offrono alla P.A. ed al lavoratore laddove sussista tra loro un 
contenzioso. 
Inoltre, durante il corso sono state sottoposte all�attenzione dei funzionari 
tecniche redazionali dei principali atti giudiziari, che spetter� loro redigere o 
controbattere, sia introduttivi del giudizio (l�atto di ricorso, nonch� atti di opposizione 
a decreto ingiuntivo e di reclamo avverso provvedimento cautelare), 
che endo-processuali (si pensi, ad esempio, alla memoria difensiva - slide n. 
51 ss. -, alla citazione testimoniale - slide n. 55 -, ed alla nota spese - slide 70-71). 
Rispetto a tali atti sono stati forniti ai partecipanti al corso dei modelli, 
frutto dell�applicazione di tecniche redazionali suggerite allo scopo di rendere 
pi� ordinata e razionale l�elaborazione del relativo contenuto. 
Nell�ottica di una risoluzione pratica dei problemi che si pongono all�operatore 
giuridico, con riferimento a ciascun atto processuale, dopo una slide 
riepilogativa delle principali norme disciplinanti gli elementi strutturali (ad 
esempio per la memoria difensiva v. slide n. 50), sono state proposti concreti 
modelli redazionali (ad esempio si vedano per la memoria difensiva le slide 
nn. 51 ss.), nonch� protocolli comportamentali conseguenti alla mancanza di 
taluno di detti elementi o alla condotta di controparte (si vedano, ad esempio, 
sempre per la memoria difensiva, le slide nn. 56, 61-2). 
Va precisato che sono stati forniti ai funzionari che hanno preso parte al 
corso, cd-rom contenenti copia delle slide (in formato pdf), nonch� degli atti 
giudiziari esaminati e della giurisprudenza richiamata durante la lezione (in
30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
particolare di quest�ultima � stata offerta una rassegna nell�ultima slide - �slide 
G�).
Per un pi� approfondito esame delle slide del corso e dei relativi allegati, 
si rinvia ai relativi file disponibili sul sito web dell�Avvocatura. 
Quanto alle slide, va precisato che la versione pdf (protetta) � quella destinata 
ai partecipanti al corso, mentre la versione power point � resa disponibile 
quale strumento di docenza utilizzabile in futuri analoghi corsi.
TEMI ISTITUZIONALI 31 
Riserva all�Avvocatura dello Stato in materia di 
servizi legali ex R.D. 1611/1933 
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 3 febbraio 2011, n. 780) 
Le brevi note che seguono sono dedicate alla sentenza in oggetto che ha 
fatto definitiva giustizia di una pericolosa �fuga in avanti�, posta in essere da 
un�amministrazione statale che aveva mostrato, per cos� dire, �insofferenza� 
verso il patrocinio obbligatorio dell�Avvocatura dello Stato, in favore di studi 
legali privati che avevano �confidato� nel tramonto, almeno parziale, del monopolio 
dell�Avvocatura Erariale sulle cause dello Stato. 
Ma andiamo, con ordine. 
1. I fatti da cui trae origine la causa 
Con bando, pubblicato sulla G.U.R.I. (Gazzetta ufficiale della Repubblica 
Italiana) del 2 marzo 2007, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e 
Forestali aveva indetto una gara avente ad oggetto "la fornitura dei servizi legali 
comprensivi di quelli di assistenza nelle procedure contenziose, relativi 
alla protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche 
in Italia, in Europa e nel mondo", rivolta agli studi legali associati con le caratteristiche 
indicate nell�art. 5 del capitolato d�oneri (in particolare, erano ammessi 
a partecipare studi legali con un numero di associati, iscritti all�albo 
degli avvocati, non inferiore a venti alla data di pubblicazione del bando sulla 
G.U.C.E., ovvero il 17 febbraio 2007). 
In un primo momento, la gara era stata aggiudicata ad una ATI ma, in seguito 
alle verifiche sul possesso dei requisiti previsti dal citato art. 5 del capitolato 
d�oneri (ovvero il numero di associati, iscritti all�albo degli avvocati, 
non inferiore a venti alla data di pubblicazione del bando sulla GUCE), l�amministrazione 
statale aveva revocato, con provvedimento n. 4439 del 4 agosto 
2008, l�affidamento in favore della prefata Associazione Temporanea ed aveva 
aggiudicato il servizio alla seconda classificata. 
Avverso tale atto, aveva proposto impugnativa l'ATI, originaria aggiudicataria 
del servizio, chiedendone l'annullamento ed, in via subordinata, la condanna 
del Ministero al risarcimento dei danni. 
Si costituivano in giudizio, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari 
e Forestali e l�ATI controinteressata. 
L�Avvocatura dello Stato, in difesa del Ministero intimato, depositava 
agli atti del giudizio un proprio parere del 15 ottobre 2008 con cui, dopo aver 
chiarito che la decisione di affidare il servizio di che trattasi a studi legali non 
rispetta l�art. 1 del R.D. n. 1611/1933 (in materia di patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato per la difesa in giudizio delle amministrazioni statali), aveva pro-
32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
posto allo stesso Dicastero di procedere alla revoca, in autotutela, del bando 
di gara. 
In aderenza al predetto parere, il Ministero, con decreto n. 9608 del 27 
novembre 2008, aveva revocato il bando di gara in argomento. 
Con ricorso per motivi aggiunti, l�ATI ricorrente aveva impugnato il decreto 
di revoca del bando di gara unitamente a tutti gli atti connessi; impugnativa, 
quest�ultima, che veniva proposta, con autonomo ricorso, anche dall�ATI 
controinteressata; entrambe le parti private formulavano domanda di risarcimento 
dei danni, sofferti a cagione dell�intervenuta revoca della procedura di 
gara. 
2. La decisione del T.A.R. del Lazio - Sezione seconda Ter, n. 6527 del 7 luglio 
2009 (prima parte) 
La decisione del TAR del Lazio risultava pienamente condivisibile nella 
sua prima parte anzi avremmo potuto adottarla come �manifesto� della �resistenza� 
del patrocinio obbligatorio dell�Avvocatura dello Stato nei confronti 
delle amministrazioni statali. 
Affermava, il T.A.R. capitolino, che �la normativa contenuta nel R.D. n. 
1611/1933 esclude la possibilit� per le amministrazioni statali di affidare tale 
attivit� agli avvocati del libero foro attraverso una gara ad evidenza pubblica 
posto peraltro che, nel caso di specie, non risultano esternati quei motivi eccezionali 
che consentono di avviare la procedura di autorizzazione per derogare 
alla norma che prevede il patrocinio obbligatorio dell�Avvocatura dello 
Stato. 
Ed invero: 
- l�art. 1 del R.D. n. 1611/1933 prevede, in sintesi, il patrocinio obbligatorio 
dell�Avvocatura dello Stato in caso di rappresentanza, patrocinio ed assistenza 
in giudizio delle Amministrazioni dello Stato; 
- la possibilit� di deroga al predetto obbligo previsto dal citato art. 1 � 
fissato nel successivo art. 5 del RD n. 1611/1993 secondo cui "nessuna Amministrazione 
dello Stato pu� richiedere la assistenza di avvocati del libero 
foro se non per ragioni assolutamente eccezionali, inteso il parere dell'Avvocato 
generale dello Stato e secondo norme che saranno stabilite dal Consiglio 
dei ministri. L'incarico nei singoli casi dovr� essere conferito con decreto del 
Capo del Governo di concerto col Ministro dal quale dipende l'Amministrazione 
interessata e col Ministro delle finanze"; 
- non risulta, nel caso di specie, che il Ministero resistente abbia fatto 
valere "ragioni assolutamente eccezionali" n� che abbia richiesto l�attivazione 
della speciale procedura di cui al citato art. 5 del regio decreto; 
- a ci� deve essere aggiunto che l�eventuale ammissibilit� dell�affidamento 
del servizio di assistenza giudiziale ad avvocati del libero foro potrebbe
TEMI ISTITUZIONALI 33 
provocare disservizi anche di carattere organizzativo se si considera anche il 
tenore dell�art. 11 del R.D. n. 1611/1933 secondo cui gli atti giudiziari devono 
essere notificati, a pena di nullit�, presso l�Avvocatura dello Stato, nel senso 
che gli organi di difesa erariale sono tenuti ad assumere la difesa in giudizio 
in favore delle amministrazioni statali. Ci� che si vuole dire � che, seppure 
nulla escluda che un soggetto giuridico possa essere difeso da pi� patrocinatori, 
nel caso delle amministrazioni statali, in difetto dell�autorizzazione rilasciata 
ai sensi del citato art. 5 del R.D. n. 1611/1933, la difesa erariale non 
pu� abdicare alle proprie funzioni defensionali lasciando ad avvocati del libero 
foro la decisione sulle "strategie" da intraprendere durante le varie fasi 
del giudizio. Ora, il Collegio non vuole spingersi fino a delineare scenari ipotetici 
con riferimento ai rapporti tra difesa erariale, amministrazione statale 
e avvocati del libero foro ma � verosimile supporre che, in assenza di rapporti 
chiari in ordine alla responsabilit� da assumere in sede di giudizio (perch� 
non attivata a priori la procedura di cui al citato art. 5 del RD n. 1611/1933 
che consente alla difesa erariale di abdicare ai propri obblighi defensionali 
in favore delle amministrazioni statali) ed in mancanza di accordo sulle strategie 
da intraprendere, la linea da privilegiare debba essere quella proposta 
dall�Avvocatura dello Stato (cfr art. 13 R.D. n. 1611/1933 nella parte in cui 
dispone che la stessa "provvede� a consigliarle e dirigerle quando si tratti 
di promuovere, contestare o abbandonare giudizi�"), rendendo quindi inutile 
(o inutilizzabile) l�apporto da parte dello studio legale a cui � stato affidato, 
con un appalto oneroso, il servizio di assistenza giudiziale�. 
La sentenza passava, poi, alla �difesa� della funzione consultiva dell�Avvocatura 
dello Stato, affermando che �analoghe considerazioni valgono con 
riferimento all�attivit� di consulenza stragiudiziale, seppure non sia rinvenibile 
una norma espressa nel R.D. n. 1611/1933 che imponga il ricorso obbligatorio 
all�Avvocatura dello Stato. 
Pur tuttavia, il Collegio � dell�avviso che, pur in assenza di una norma 
espressa in tal senso, sussistano comunque nell�ordinamento una serie di 
norme che consentono alle amministrazioni statali, prima di rivolgersi al 
"mercato" dei servizi legali, di avvalersi di organismi istituzionali che, anche 
per la loro autorevolezza, sono preposti - tra l�altro - ad affiancarle nella soluzione 
di questioni controverse, attraverso la formulazione di appositi pareri. 
� noto, infatti, che sia l�Avvocatura dello Stato che il Consiglio di Stato, 
in sede consultiva, possono essere consultati dalle amministrazioni statali e 
ci� � previsto, nel primo caso, dal citato art. 13 del RD n. 1611/1933 (nella 
parte in cui dispone che l�Avvocatura dello Stato "provvede� alle consultazioni 
legali richieste dalle Amministrazioni�") e, nel secondo, dall�art. 14 
del R.D. n. 1054/1924 secondo cui "il Consiglio di Stato� d� parere� sugli 
affari di ogni natura, pei quali sia interrogato dai Ministri�".
34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
A ci� si aggiunga che l�art. 7, comma 6, del D.lgs n. 165/2001 prevede 
la possibilit� per le amministrazioni pubbliche, "per esigenze cui non possono 
far fronte con personale in servizio, (di) conferire incarichi individuali, con 
contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, 
ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria...", 
che peraltro devono essere affidati attraverso procedure comparative 
disciplinate secondo i rispettivi ordinamenti (cit. art. 7 comma 6 bis). 
In altre parole, ci� che si vuole dire � che, sebbene non sussista una previsione 
di rango legislativo che vieti l�affidamento a studi legali dell�attivit� 
di consulenza stragiudiziale, l�indizione di siffatta procedura selettiva rimane 
una ipotesi eccezionale rispetto a quelle ordinarie previste dalle norme citate 
in materia di attivit� consultiva resa dall�Avvocatura dello Stato e dal Consiglio 
di Stato ovvero di affidamento di incarichi di collaborazione a singoli 
professionisti (per specifiche questioni) secondo la procedura di cui all�art. 7 
del D.lgs n. 165/2001 (seppure anche quest�ultima norma, avente carattere 
eccezionale)�. 
2.1. La decisione del T.A.R. del Lazio (seconda parte) 
La seconda parte della decisione in commento non convinceva. 
Affermava, il T.A.R. del Lazio: �Va, invece, verificato se, a fronte della 
legittimit� del decreto di revoca del bando, sussistano i presupposti per riconoscere 
in capo al Ministero resistente ipotesi di responsabilit� c.d. "da contratto" 
ovvero "precontrattuale" (comunque da risarcire nei limiti 
dell�interesse negativo) che, seppure non richiesta in maniera espressa, deve 
intendersi compresa nelle richieste risarcitorie delle ATI interessate. 
Come noto, la declinazione in ambito amministrativo dell'istituto della 
responsabilit� precontrattuale (cui � pacifica l'ascrizione all'ambito della giurisdizione 
risarcitoria dell'adito Giudice amministrativo - Cons. Stato, Ad. 
Plen. 5 settembre 2005, n. 6; ma anche Cass. Civ., SS.UU., 12 maggio 2008, 
n. 11656) ha avuto origine da ipotesi in cui l'esercizio del jus poenitendi daparte 
dell'Amministrazione fosse stato correttamente disposto, cos� determinando 
una sorta di scissione fra la (legittima) determinazione di caducare 
l'aggiudicazione ed il complessivo tenore del comportamento tenuto dalla medesima 
Amministrazione nella sua veste di controparte negoziale, non informato 
alle generali regole di correttezza e buona fede che devono essere 
osservate dall'Amministrazione anche nella fase precontrattuale (in tal senso, 
Cons. Stato, Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6; Sez. V, 30 novembre 2007, n. 
6137; id., Sez. V, 14 marzo 2007, n. 1248). 
Ci� posto, il Collegio ritiene che non emergano ragioni sistematiche per 
escludere la configurabilit� di una responsabilit� di carattere precontrattuale 
in capo all'Amministrazione in ipotesi (quale quella oggetto della presente
TEMI ISTITUZIONALI 35 
controversia) in cui il mancato rispetto dei generali canoni di buona fede e 
correttezza in contrahendo si sia risolto in un'attivit� nel suo complesso illegittima 
(seppure rilevata in via di autotutela dalla stessa amministrazione), 
come la scelta di indire una gara per l�affidamento di servizi legali in violazione 
del R.D. n. 1611/1933, con conseguente impossibilit� del sorgere del 
vincolo contrattuale (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 15 aprile 2008, n. 9906; id., Sez. 
I, 26 maggio 2006, n. 12629). 
Ed invero, non sussistono ragioni valide per escludere che in fattispecie 
quale quella in esame possa individuarsi un'ipotesi di responsabilit� precontrattuale 
in capo all'Amministrazione atteso che, da un lato le trattative fra le 
parti sono state interrotte dall�annullamento in autotutela dell�intera procedura 
selettiva e, dall�altro, sono intercorsi 21 mesi dall�indizione della gara 
all�adozione del decreto che ha posto nel nulla l�intera procedura selettiva. 
In altre parole, il Collegio ravvisa la condotta illecita del Ministero nell�aver 
ingenerato in capo alle ATI interessate un affidamento nella conclusione 
positiva della procedura quando, invece, era chiaro che l�aggiudicazione tramite 
gara dei servizi legali (in particolare, quelli di assistenza giudiziale) era 
inibita da quanto previsto nel R.D. n. 1611/1933. 
Da ci� deriva che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, 
nel caso in cui la P.A. violi il dovere di lealt� e correttezza, ponendo in 
essere comportamenti che non salvaguardano l'affidamento della controparte 
in modo da "sorprendere" la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa 
risponde per responsabilit� precontrattuale ai sensi dell'art. 1337 cod. civ. ed 
il danno deve essere risarcito nei limiti dell�interesse negativo (ovvero le spese 
di partecipazione alla procedura e la perdita di ulteriori occasioni di stipulazione 
di altri contratti). 
� ci� che � avvenuto nel caso di specie dove l�amministrazione resistente, 
a fronte di una condotta illecita di natura colposa (non scusabile in ragione 
del chiaro dettato normativo), ha ingenerato un affidamento nella conclusione 
di una "trattativa" contrattuale la cui lesione (cristallizzata nel provvedimento 
di annullamento della gara) � fonte di danno risarcibile nei limiti dell�art. 
1337 c.c., applicabile in via analogica nel presente giudizio�. 
Si trattava di affermazioni che non potevano essere, in alcun modo, condivise. 
Come poteva affermarsi che degli studi legali associati che, secondo le 
previsioni degli atti di gara, dovevano essere composti da almeno venti associati 
iscritti all�albo degli avvocati, avessero incolpevolmente fatto �affidamento� 
sulla conclusione di un contratto che, per le ragioni ben esplicitate 
nella prima parte della sentenza, doveva qualificarsi nullo per contrariet� a 
norme imperative? 
Come si poteva parlare, con riferimento all�impossibilit� della conclusione 
del predetto contratto, di �sorpresa� da parte dei predetti studi legali?
36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
E�, al proposito, ben noto che le norme in materia di rappresentanza obbligatoria 
dell�Avvocatura dello Stato afferiscono alla materia dell�ordine pubblico 
processuale e, venendo in rilievo una disposizione legale inderogabile, 
deve, pertanto, affermarsi la natura imperativa dell�addentellato normativo ex 
R.D. n. 1611/1933 che statuisce il patrocinio erariale necessario (cfr., in tale 
senso, Tribunale di Catanzaro, sezione II civile, 1 febbraio 2008, n. 72). 
Ne consegue che difetta del necessario jus postulandi l�avvocato del libero 
foro che rappresenti in giudizio un�amministrazione statale, poich� in 
contrasto con la c.d. esclusivit� del patrocinio erariale (definito, in tal senso, 
dalla migliore dottrina come organico, obbligatorio ed esclusivo) (cfr., sentenza 
sopra citata). 
3. La sentenza del Consiglio di Stato 
Il Giudice di Appello, dopo avere confermato la sentenza di primo grado 
con riferimento alla prima parte della stessa (del tutto ineccepibile, per come 
sopra evidenziato), perviene, invece, all�integrale riforma della statuizione del 
TAR capitolino nella parte in cui aveva riconosciuto agli studi legali, che avevano 
partecipato alla gara, il risarcimento del danno a titolo di responsabilit� 
precontrattuale. 
Ecco, qui di seguito, le parole del Consiglio di Stato: �� per la pacifica 
giurisprudenza della Corte di Cassazione (consolidatasi per le controversie 
devolute ratione temporis al giudice civile): 
non si pu� ritenere accoglibile una domanda volta al risarcimento del 
danno derivante da responsabilit� precontrattuale, quando il contratto non 
sia stato stipulato, perch� una delle parti � anche in extremis � rileva che la 
stipula comporterebbe la violazione di norme imperative (per tutte, Sez. Un., 
11 febbraio 1982, n. 835; Sez. Un., 14 marzo 1985, n. 1987); 
- l�Amministrazione pubblica, quando abbia posto in essere trattative per 
addivenire alla stipula di un contratto da concludere a seguito di un procedimento 
ad evidenza pubblica, pu� senz�altro recedere dalle trattative senza incorrere 
in alcuna responsabilit� (Sez. I, 29 luglio 1987, n. 6545), non 
potendosi anche in tal caso ravvisare un �ragionevole affidamento�, giuridicamente 
tutelato, alla relativa stipula. 
La Sezione rileva che tali orientamenti, a loro volta, sono espressione di 
un pi� generale principio generale, per il quale l�Amministrazione deve sempre 
evitare di concludere un contratto contrastante con norme imperative e 
cio�:
- deve interrompere la trattativa privata avviata quando sia prescritta la 
gara ad evidenza pubblica; 
- deve annullare gli atti della gara ad evidenza pubblica, se il previsto 
contratto di per s� risulta in contrasto con una norma imperativa.
TEMI ISTITUZIONALI 37 
Infatti, l�ordinamento da un lato apprezza con favore il ritorno alla legalit�, 
prevedendo i poteri di autotutela dell�Amministrazione, dall�altro non 
prende in favorevole considerazione - sotto il profilo di possibili pretese risarcitorie 
- la posizione di coloro che, coinvolti nella trattativa privata o nella 
gara finalizzate alla stipula del contratto che si rilevi contra legem, abbiano 
consapevolmente o colposamente aderito alla iniziativa illegittima dell�Amministrazione. 
11.2. Nella specie, a seguito di una segnalazione gi� proveniente dal Ministero 
e poi dell�avviso sulla questione della Avvocatura Generale dello Stato, 
l�Amministrazione ha legittimamente constatato che il bando di gara mirava 
ad incidere indebitamente sullo svolgimento della attivit� istituzionale della 
medesima Avvocatura e all�esborso di denaro, per ragioni palesemente inconsistenti. 
Il Ministero ha quindi constatato che la stipula del contratto avrebbe dato 
evidentemente luogo alla violazione delle norme imperative, desumibili dal 
testo unico n. 1611 del 1933 e dalle leggi di contabilit� di Stato. 
Considerate le circostanze, ritiene la Sezione che nessun legittimo affidamento 
altrui si possa essere formato col bando o nel corso del procedimento 
seguito dall�atto di aututela. 
Le ATI concorrenti non hanno utilizzato, invero, in sede di partecipazione 
alla gara, l�ordinaria diligenza, non potendo certamente sfuggire a professionisti 
del settore giustizia, e per di pi� alle compagini professionali di indubitabile 
valore che hanno partecipato alla gara stessa, il fatto che questa era 
stata bandita in una situazione di manifesto contrasto con il medesimo testo 
unico. 
Oltre dunque alle considerazioni sopra riportate sulla rilevanza in s� 
delle norme imperative (ci� che gi� rileverebbe per escludere un legittimo affidamento), 
nella specie proprio la qualit� dei professionisti coinvolti avrebbe 
dovuto da subito far loro constatare la manifesta illegittimit� della iniziale 
determinazione dell�Amministrazione: ci� evidenzia non solo la mancanza di 
un legittimo affidamento, ma anche la loro colpa professionale, dal momento 
che rientra - o deve rientrare - nel bagaglio di comune conoscenza degli avvocati 
la regola per cui le Amministrazioni statali si avvalgono e si devono 
avvalere del patrocinio della Avvocatura dello Stato�. 
M.B.
38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Gli atti amministrativi (e negoziali) elusivi del patrocinio obbligatorio 
dello Stato non possono suscitare nel privato alcun affidamento (*) 
La complessa controversia su cui si � espresso il Consiglio di Stato, con 
la sentenza in commento, muove dalla inopinata pubblicazione di un bando 
per la fornitura di servizi legali (di assistenza e consulenza) a una amministrazione 
dello Stato. Aggiudicata la gara, la Pa successivamente, verificata la 
mancanza dei requisiti, annullava l�aggiudicazione al primo Studio legale in 
graduatoria e aggiudicava la gara al secondo. Ci� portava alla reazione giurisdizionale 
dell�ex aggiudicatario, e, come effetto riflesso, all�invito dell�Avvocatura, 
cos� venuta a conoscenza del bando, affinch� la PA revocasse il 
bando: quod evenit, previo parere del generale Ufficio che sottolineava, oltre 
alla violazione della riserva della funzione di assistenza ex art. 1 Rd 1611/33, 
nonch� della procedura derogatoria che deve svolgersi, caso per caso e non 
per una serie di casi indeterminata, ai sensi dell�art. 5 del Rd 1611, anche lo 
spreco di denaro pubblico insito in tale violazione di legge. Reagivano cos�, 
con autonomi ricorsi, i due Studi legali (primo e secondo aggiudicatario) ottenendo 
solo parziale soddisfazione con la sentenza del TAR Lazio sez. II Ter 
n. 6257/09, che liquidava loro � 30.000 ciascuno a titolo di risarcimento del 
danno, avendo la PA, con il suo bando, suscitato il legittimo affidamento dei 
ricorrenti. Nel merito dell�affare, invece, la Sezione rilevava la violazione delle 
inderogabili norme di cui all�art. 1 e 5 Rd 1611/33 quanto all�assistenza in 
giudizio, e, quanto alla consulenza legale, l�obbligo della PA di avvalersi dei 
propri organi consultivi (Avvocatura dello Stato e Consiglio di Stato), o di ricorrere, 
in caso di assoluta necessit�, a una motivata determinazione sul perch� 
la PA decida di non avvalersene. Il TAR sottolineava anche che 
l�affidamento in via sistematica ad avvocati del libero foro della consulenza 
stragiudiziale come modalit� di assistenza nell�espletamento dei propri compiti 
deresponsabilizzasse i dirigenti, portandoli anzi a concordare ogni scelta con 
i legali di tali studi, con vulnus dell�art 97 Cost. 
Il Generale Ufficio appellava, sostenendo che non potessero due studi legali, 
tenuti alla diligentia diligentissimi, ignorare l�invalidit� del bando, ergo, 
non potevano essere destinatari di alcun risarcimento, non versando in buonafede 
perch� in colpa grave. Gli appellati reagivano a loro volta, non solo 
chiedendo un aumento del chiesto risarcimento, ma soprattutto chiedendo l�annullamento 
della sentenza della parte in cui confermava l�annullamento del 
bando. 
In primo luogo la sentenza afferma la natura inderogabile della riserva al 
(*) Nota a commento alla stessa sentenza in rassegna a cura dell�avv. dello Stato che ha curato 
entrambi i gradi di giudizio della causa.
TEMI ISTITUZIONALI 39 
patrocinio dell�Avvocatura delle Amministrazioni dello Stato. Questa norma, 
l�art. 1 Rd 1611, non solo realizza un risparmio di spesa, ma soprattutto consente 
alla PA di essere stabilmente assistita da un corpo di Avvocati indipendenti 
(1), perch� esclusivamente al suo servizio, e altres� qualificati dal doppio 
concorso di accesso. Inoltre, sul fronte dei cittadini, garantisce la loro parit� 
di trattamento, per il coordinamento della difesa sulle stesse questioni, che 
quindi non vengono abbandonate in una Regione e coltivate in un�altra. Si ricorda 
che l�art. 1 del Codice etico dell�Avvocatura generale impone agli Avvocati 
dello Stato di agire in piena indipendenza dalle Amministrazioni e 
secondo le proprie motivate convinzioni giuridiche ed etiche. Le eventuali deroghe 
al Patrocinio devono avvenire caso per caso, sentita l�Avvocatura, il ministro 
delle finanze e con delibera del Consiglio dei ministri, ex art. 5 Rd 
1611/33 nei casi previsti dal Governo (che in 80 anni nulla ha previsto). 
Le stesse conclusioni del TAR sull�attivit� di consulenza sono ribadite 
dal Supremo Consesso. A parte che nel caso di specie assistenza e consulenza 
erano inestricabili, tanto pi� lo sono anche in astratto, sicch�, essendo dotato 
lo Stato di numerosi organi consultivi (oltre l�Avvocatura generale e il Consiglio 
di Stato, ricordati dal Collegio: si pensi al Consiglio Superiore dei Lavori 
Pubblici) mancava una motivazione sulla necessit� di ricorrere al mercato dei 
servizi (2). 
(1) Anzi �sono equiparati ai Magistrati dell�Ordine Giudiziario�� (art. 23 RD 1611 ) e non possono 
occupare altri impieghi (art. 24 Rd 1611). 
(2) Non sussistendo precedenti in termini, � opportuno, sul punto, riportare parte della motivazione 
della sentenza Tar Lazio, sez. II, n. 6527/2009, parzialmente riformata dal Consiglio di Stato con la sentenza 
in esame. Al riguardo, il Tar Lazio disponeva che �l�eventuale ammissibilit� dell�affidamento del 
servizio di assistenza giudiziale ad avvocati del libero foro potrebbe provocare disservizi anche di carattere 
organizzativo se si considera anche il tenore dell�art. 11 del RD n. 1611/1933 secondo cui gli 
atti giudiziari devono essere notificati, a pena di nullit�, presso l�Avvocatura dello Stato, nel senso che 
gli organi di difesa erariale sono tenuti ad assumere la difesa in giudizio in favore delle amministrazioni 
statali. Ci� che si vuole dire � che, seppure nulla escluda che un soggetto giuridico possa essere difeso 
da pi� patrocinatori, nel caso delle amministrazioni statali, in difetto dell�autorizzazione rilasciata ai 
sensi del citato art. 5 del R.D. n. 1611/1933, la difesa erariale non pu� abdicare alle proprie funzioni 
defensionali lasciando ad avvocati del libero foro la decisione sulle �strategie� da intraprendere durante 
le varie fasi del giudizio � � verosimile supporre che, in assenza di rapporti chiari in ordine alla responsabilit� 
da assumere in sede di giudizio (perch� non attivata a priori la procedura di cui al citato 
art. 5 del RD n. 1611/1933 che consente alla difesa erariale di abdicare ai propri obblighi defensionali 
in favore delle amministrazioni statali) ed in mancanza di accordo sulle strategie da intraprendere, la 
linea da privilegiare debba essere quella proposta dall�Avvocatura dello Stato (cfr. art. 13 RD n. 
1611/1933 nella parte in cui dispone che la stessa �provvede � a consigliarle e dirigerle quando si 
tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi ��), rendendo quindi inutile (o inutilizzabile) 
l�apporto da parte dello studio legale a cui � stato affidato, con un appalto oneroso, il servizio di assistenza 
giudiziale. Analoghe considerazioni valgono con riferimento all�attivit� di consulenza stragiudiziale, 
seppure non sia rinvenibile una norma espressa nel RD n. 1611/1933 che imponga il ricorso 
obbligatorio all�Avvocatura dello Stato. Pur tuttavia, il Collegio � dell�avviso che, pur in assenza di 
una norma espressa in tal senso, sussistano comunque nell�ordinamento una serie di norme che consentono 
alle amministrazioni statali, prima di rivolgersi al �mercato� dei servizi legali, di avvalersi di 
organismi istituzionali che, anche per la loro autorevolezza, sono preposti - tra l�altro - ad affiancarle
40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
L�inderogabilit� delle cennate disposizioni, sul piano procedimentale e 
della motivazione dell�atto di secondo grado di annullamento di ufficio, che 
ex 21 nonies L. proc. amm., impone sussistano ragioni d�interesse pubblico e 
la valutazione degli interessi della PA e degli interessati, la sentenza, oltre a 
qualificare in re ipsa l�interesse a impedire lo spreco di pubblico denaro 
(2.700.000 Euro in tre anni) puntualmente citato dal parere del generale Ufficio, 
richiamato in parte motiva dall�atto impugnato, ritiene in re ipsa l�interesse 
della PA alla doverosa osservanza di un obbligo inderogabile di legge prevalente 
su ogni altro e da non esplicitare in modo particolare in motivazione. 
Si deve quindi concludere che esistano almeno due livelli di offensivit� 
per l�ordinamento delle norme violate da un provvedimento - che non sia nullo 
o inesistente, altrimenti non si parlerebbe di auto annullamento - : la violazione 
di legge (che non pu� consistere nella mera irregolarit�, ma deve coincidere 
con l�entit� del vizio per cui sia possibile richiedere al giudice l�annullamento 
o la disapplicazione dell�atto) e la �doverosa osservanza di un obbligo inderogabile 
di legge� che fa sempre presumere la sussistenza di un interesse in re 
ipsa all�autoannullamento, e quindi consente una motivazione che prescinda 
dal bilanciamento con gli interessi dei privati da esso incisi. 
Sotto questo profilo, e alla luce dell�art. 21 nonies, va precisato che la valutazione 
del preminente interesse pubblico in re ipsa, � una formula tradizionale, 
che proprio per la sua caratteristica di diritto vivente, essendo ribadita 
da innumerevoli sentenze, merita una riflessione (3). 
nella soluzione di questioni controverse, attraverso la formulazione di appositi pareri. � noto, infatti, 
che sia l�Avvocatura dello Stato che il Consiglio di Stato, in sede consultiva, possono essere consultati 
dalle amministrazioni statali e ci� � previsto, nel primo caso, dal citato art. 13 del RD n. 1611/1933 
(nella parte in cui dispone che l�Avvocatura dello Stato �provvede � alle consultazioni legali richieste 
dalle Amministrazioni �.�) e, nel secondo, dall�art. 14 del RD n. 1054/1924 secondo cui �il Consiglio 
di Stato � d� parere � sugli affari di ogni natura, pei quali sia interrogato dai Ministri ��. A ci� si 
aggiunga che l�art. 7, comma 6, del D.lgs n. 165/2001 prevede la possibilit� per le amministrazioni 
pubbliche, �per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, (di) conferire incarichi 
individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad 
esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria ��, che peraltro devono essere 
affidati attraverso procedure comparative disciplinate secondo i rispettivi ordinamenti (cit. art. 7 comma 
6 bis) � Il Collegio, poi, non pu� non evidenziare come affidare, in maniera sistematica (se non addirittura 
in via ordinaria), l�attivit� di consulenza stragiudiziale ad avvocati del libero foro come modalit� 
di assistenza continua nell�espletamento di compiti affidati all�amministrazione statale � porti con s� 
il rischio di deresponsabilizzare la dirigenza e gli organi amministrativi preposti dalla legge al perseguimento 
degli obiettivi istituzionali. In altre parole, affiancare agli organi degli uffici ministeriali uno 
studio legale che li supporti costantemente nell�espletamento delle funzioni ad essi affidate comporta 
che gli stessi possano essere indotti a non adottare scelte se prima non le abbiano confrontate (recte: 
concordate) con gli avvocati del libero foro nella loro veste di consulenti. Ci� pu� costituire fonte di 
deresponsabilizzazione degli organismi pubblici, in contrasto con il disegno delineato, in particolare, 
dal D.lgs n. 165/2001�. (Tar Roma, Lazio, sez. II, 7 luglio 2009, n. 6527, in De Jure). 
(3) La giurisprudenza, infatti, ha costantemente ritenuto che vi siano determinate ipotesi in cui 
l�interesse pubblico all�annullamento sia in re ipsa e che, pertanto, non necessiti di risultare da una specifica 
motivazione: ҏ il caso in cui il provvedimento originario costituisca la risultante di un�attivit�
TEMI ISTITUZIONALI 41 
Certamente, per procedere all�annullamento d�ufficio occorre che l�atto 
sia affetto da un vizio di legittimit�, e quindi non da una mera irregolarit� o 
da vizi che ne comportino la nullit�. Tuttavia, riprendendo la tradizionale formula 
dell�interesse pubblico, la cui sussistenza � richiesta ai fini di questa autotutela, 
che non deve essere solo quello di ripristinale la legalit�, deve 
osservarsi che il vizio in questione deve non solo avere reso illegittimo l�atto, 
ma anche avere leso un altro valore superiore tutelato dall�ordinamento. Tradizionalmente, 
l�interesse in re ipsa � stato ravvisato (lo fa anche questa decisione) 
nella necessit� di non recare un aggravio alle finanze pubbliche. Questo 
altro non � che la esigenza di evitare e sanare un possibile danno erariale (4). 
Ma come l�evitamento del danno erariale, cos� anche il danno in generale, recato 
a terzi, deve essere giudicato un valore tale da giustificare l�autotutela, 
pi� che in re ipsa, con una motivazione sintetica che tale valore richiami. Andell�amministrazione 
vincolata, tanto nell�an quanto nei modi di esercizio. In tali casi, infatti, l�individuazione 
dell�interesse pubblico ed il modo di soddisfarlo sono predeterminati dalla legge e il vizio del 
provvedimento si risolve nel dar vita ad effetti contrastanti con la disciplina giuridica dettata dalla 
norma�. Le tradizionali ipotesi di annullamento doveroso �sono quelle dell�ottemperanza ad una decisione 
del Giudice ordinario passata in giudicato in cui un atto amministrativo sia stato ritenuto illegittimo 
� ; della decisione negativa di un�autorit� di controllo cui non competa direttamente il potere di 
annullamento; dell�annullamento di un atto consequenziale come necessaria conseguenza dell�annullamento 
(giurisdizionale o amministrativo) dell�atto presupposto�. Oltre alle ipotesi ora esposte, la giurisprudenza 
pi� recente ha individuato ulteriori ipotesi di interesse pubblico in re ipsa. Ad esempio, si 
ritiene non necessaria la verifica dell�esistenza di un interesse pubblico �qualora non sia trascorso un 
apprezzabile lasso di tempo dall�emanazione del provvedimento�. (F. CARINGELLA, Manuale di diritto 
amministrativo, 2010, DIKE Giuridica Editrice, p. 1305). 
(4) E� sufficiente al riguardo richiamare quella giurisprudenza che considera che l�interesse pubblico 
all�annullamento d�ufficio di un provvedimento illegittimo ҏ in re ipsa e non richiede specifica 
motivazione, in quanto l�atto oggetto di autotutela produce un danno per l�amministrazione consistente 
nell�esborso di denaro pubblico senza titolo � N� rileva il tempo trascorso dalla sua emanazione�. 
(Consiglio di Stato, sez. V, 31 dicembre 2008, n. 6735, in De Jure). 
In altre parole, �non � necessaria una diffusa motivazione sulla sussistenza del c.d. interesse pubblico 
attuale a disporre l�annullamento (in quanto esso sussiste in re ipsa), n� rileva il tempo decorso dalla 
sua emanazione, quando l�atto illegittimo abbia conseguenze permanenti e perduranti e comporti 
l�esborso di denaro pubblico senza titolo � quando vi � una situazione attualmente contra jus, pu� essere 
senz�altro emanato il provvedimento che ripristina la legalit��. (Consiglio di Stato, sez. V, 24 febbraio 
1996, n. 232, in Consiglio di Stato, 1996, I, p. 245). 
Il buon andamento della pubblica amministrazione, secondo l�orientamento, assolutamente univoco, 
della giurisprudenza amministrativa, infatti, viene considerato come � principio di corretta amministrazione 
delle risorse finanziarie pubbliche; principio, che ai sensi dell�art. 97 della Costituzione, dev�essere 
immanente alla gestione della funzione pubblica�. Invero, da un lato, la citata norma costituzionale 
affida alla legge il compito di organizzare i pubblici uffici, in modo da assicurare il buon andamento e 
l�imparzialit� dell�amministrazione e, dall�altro, l�art. 1 della L. 241/1990, stabilendo che l�attivit� amministrativa 
persegue i fini determinati dalla legge, rinviene nei criteri di economicit�, efficacia e pubblicit�, 
le basi su cui tale attivit� deve reggersi. Dal testo delle richiamate norme � dunque possibile 
affermare che, sul versante dell�interesse pubblico, il compito della legge sia quello di �assicurare, nella 
disciplina dell�attivit� pubblica, che questa sia tempestiva, equilibrata nei costi e capace di raggiungere 
i fini cui tende�. Essendo l�attivit� della P.A. volta alla concreta cura dell�interesse collettivo, infatti, diviene 
essenziale il rispetto dell�economicit� della sua azione, al fine di conseguire un �risultato positivo 
in termini di costi e benefici�. (F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, cit., pp. 1305 � 1306).
42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
cora: tale � stata giudicata l�illegittimit�, che, violando anche il diritto comunitario, 
esponga lo Stato a una responsabilit�. Pi� in generale, potrebbe includersi 
nell�elenco ogni violazione del diritto internazionale (5). E, nel caso di 
specie, la motivazione aggiunge che l�interesse pubblico derivava anche dal 
fatto che l�atto annullato aveva privato altra Amministrazione delle proprie attribuzioni, 
id est l�Avvocatura dello Stato del patrocinio, altrimenti istituzionale 
e obbligatorio, dello Stato. Quindi anche l�alterazione delle competenze 
di altra Amministrazione � una gross violation che giustifica, con motivazione 
sommaria (in re ipsa) l�autotutela. 
Il consiglio non affronta poi, l�elemento dell�interesse dei soggetti coinvolti 
dal procedimento. Premesso che � corretto omettere, in caso di gross violation, 
una comparazione dei due interessi, pubblico e privato, prevalendo il 
primo, l�art. 21 nonies ha il torto di avere (apparentemente) eliminato dal quadro 
dei presupposti dell�autotutela il legittimo affidamento, che non � dato 
semplicemente dalla somma tra il tempo occorso e la sussistenza di un interesse, 
di una pretesa a un bene della vita (qui: un appalto da 2,7 milioni di 
euro), ma implica la buona fede, che, essendo esclusa dalla colpa grave, come 
(5) Circa la violazione del diritto comunitario, � utile segnalare che un orientamento giurisprudenziale 
e dottrinario sostiene la doverosit� per l�Amministrazione dell�intervento in autotutela laddove 
ci� sia reso necessario dal contrasto con le norme comunitarie. L�acclarata supremazia del diritto comunitario, 
del resto, vincola direttamente non solo lo Stato che non abbia recepito e applicato la norma 
nell�ordinamento interno ma anche la pubblica amministrazione. 
Un diverso orientamento, invece, ritiene che l�annullamento in autotutela debba essere sempre subordinato 
alla concreta verifica della sussistenza di un interesse pubblico. (F. CARINGELLA, Manuale di diritto 
amministrativo, cit., p. 1308). 
A sostegno di quest�ultimo assunto � stato puntualizzato che �per quanto concerne l'annullamento d'ufficio, 
l'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 ha indicato quali presupposti per l'esercizio di tale 
potere, oltre all'accertamento dell'originaria illegittimit� dell'atto, la sussistenza delle ragioni di interesse 
pubblico, il decorso di un termine ragionevole (e quindi non eccessivamente lungo) e la valutazione 
degli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Tali principi non vengono derogati quando il vizio 
di illegittimit� del provvedimento da rimuovere consiste nella violazione del diritto comunitario (cfr. 
C.d.S., sez. VI, 3 marzo 2006, n. 1023 e 4 A. 2008, n. 1414). Infatti, anche nell'ordinamento comunitario, 
la sola illegittimit� dell'atto non � elemento sufficiente per giustificare la sua rimozione in via amministrativa, 
in quanto � necessaria una attenta ponderazione degli altri interessi coinvolti tra cui quello 
del destinatario che ha fatto affidamento sul provvedimento illegittimo. Secondo la Corte di Giustizia, 
la revoca di un atto illegittimo � consentita entro un termine ragionevole e se la Commissione ha adeguatamente 
tenuto conto della misura in cui il privato ha p-tuto eventualmente fare affidamento sulla 
legittimit� dell'atto (Corte Giust. CE 26 febbraio 1987 - C-15/85). Anche con la sentenza K�nhe � il 
giudice comunitario, pur affermando che il giudicato formatosi su una interpretazione ritenuta poi non 
conforme al diritto comunitario dalla stessa Corte di Giustizia non costituisce un limite all'esercizio 
dei poteri di autotutela, ha ribadito che il diritto comunitario non esige, in linea di principio, che un organo 
amministrativo sia obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquistato carattere 
definitivo, in quanto la certezza del diritto � inclusa tra i principi generali riconosciuti nel diritto 
comunitario e il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza dei termini 
ragionevoli di ricorso o in seguito all'esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a 
tale certezza (Corte di Giustizia, 13 gennaio 2004 - C-453/00)�. ( Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 
21 aprile 2010, n. 553, in De Jure; conforme Consiglio di Stato, 4 aprile 2008, n. 1414, in De Jure).
TEMI ISTITUZIONALI 43 
il Consiglio afferma di seguito sul capo del risarcimento danni, nel caso di 
specie non sussiste. 
Sotto il profilo civilistico, � pienamente condiviso, con affermazione 
esplicita della colpa professionale dei concorrenti, l�argomento dell�appello 
che in concreto i ricorrenti, dovendo conoscere l�esistenza dell�Avvocatura 
dello Stato, non potessero vantare alcun affidamento, ma anche, in astratto, 
che l�ignoranza delle norme imperative non pu� essere opposta n� invocata 
da alcuno; ergo, in caso di violazione di una norma imperativa, nessuno � in 
buona fede, dovendola conoscere, e quindi non spetta il risarcimento ex 1337 
c.c. (6). Del resto i contraenti, se concludessero il contratto, incorrerebbero 
in una nullit� ex art. 1418 c.c., dunque i medesimi, quale che sia lo stato delle 
trattative, e pure in presenza di ipotetico preliminare, dovrebbero astenersi dal 
compiere atto inutile e contrario all�ordinamento; nelle gare pubbliche questo 
comporta l�obbligo di annullare gli atti di gara. 
L�art. 1 Rd 1611/33 � quindi una norma imperativa, che, se, violata, sul 
piano negoziale comporta la nullit� (art. 1418 c.c.) del contratto che vi deroghi. 
Le norme imperative, come � noto, non devono contenere una testuale san- 
(6) Al riguardo, il Consiglio di Stato si � conformato all�ormai consolidato orientamento giurisprudenziale 
espresso dalle Sez. Un., 11 febbraio 1982, n. 835, alla stregua del quale �non pu� configurarsi 
responsabilit� per colpa in contraendo, quando la causa di invalidit� del negozio, ancorch� nota 
a uno dei contraenti e da questi taciuta, derivi da una norma di legge che, per presunzione assoluta, 
deve essere nota alla genericit� dei sottoposti all�ordinamento giuridico�. (Sez. Un., 11 febbraio 1982, 
n. 835 in Rassegna dell�Avvocatura dello Stato, 1982, I, p. 501; conforme Cass., Sez. I, 29 luglio 1987, 
n. 6545, in Rivista trimestrale degli appalti, I, p. 231). 
Pi� di recente, e con maggior precisione, la Suprema Corte ha statuito che �se la causa di invalidit� del 
negozio deriva da una norma imperativa o proibitiva di legge, o da altre norme aventi efficacia di diritto 
obiettivo, tali cio� da dover essere note per presunzione assoluta alla generalit� dei cittadini e, comunque, 
tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto e dovuto essere superata attraverso un comportamento 
di normale diligenza, non si pu� configurare colpa precontrattuale a carico dell�altro contraente, 
che abbia omesso di far rilevare alla controparte l�esistenza delle norme stesse�. (Corte di Cassazione, 
sez. III, 26 giugno 1998, n. 6337, in Giustizia civile, 1998, I, p. 2773). 
E� bene rilevare, inoltre, che la pronuncia in esame supera le critiche mosse dalla dottrina secondo cui 
l�automatica qualificazione dell�ignorantia legis in termini di colpa, quale criterio generale ed assoluto 
sul quale fondare l�assenza della responsabilit� precontrattuale, escluderebbe �la possibilit� di dar spazio 
ad un giudizio concreto, cos� ritenendo inammissibile distinguere di volta in volta fra norma e norma 
(al fine di valutarne in concreto il grado di conoscibilit�), fra contraente e contraente (al fine di determinare 
caso per caso il grado di esperienza e, correlativamente, l�intensit� dell�onere di diligenza a 
suo carico), fra situazione e situazione (onde poter tenere conto delle pi� imprevedibili circostanze di 
fatto)�. (G. SAPIO, Ignorantia legis e responsabilit� precontrattuale, in Giustizia civile, 1998, I, p. 2774; 
in conformit� a tale orientamento, Trib. Pescara 4 marzo 1978, in Riv. dir. comm., 1982, II, p. 233 e Trib. 
Roma 14 maggio 1980, in Temi rom., 1980, p. 531). Il Consiglio di Stato, infatti, alle considerazioni 
sulla rilevanza in s� delle norme imperative aggiunge, attraverso l�analisi del caso concreto, che �nella 
specie proprio la qualit� dei professionisti coinvolti avrebbe dovuto da subito far loro constatare la manifesta 
illegittimit� della iniziale determinazione dell�Amministrazione: ci� evidenzia non solo la mancanza 
di un legittimo affidamento, ma anche la loro colpa professionale, dal momento che rientra � o 
deve rientrare � nel bagaglio di comune conoscenza degli avvocati la regola per cui le Amministrazioni 
statali si avvalgono e si devono avvalere del patrocinio della Avvocatura dello Stato�.
44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
zione di nullit� (cfr Cass. 3272/01, inter plurimas); la nullit� in questo caso 
definita virtuale, dipende dalla circostanza che la norma persegua un interesse 
pubblico che trascenda i contingenti interessi delle parti del contratto (7). Tale 
evidentemente, non pu� non essere la norma in esame che categoricamente 
dispone che �la rappresentanza , l�assistenza e la difesa in giudizio delle Amministrazioni 
dello Stato � spettano all�Avvocatura dello Stato�� e che � seguita 
dalla norma dell�art. 5 che categoricamente dispone �Nessuna 
Amministrazione dello Stato pu� richiedere l�assistenza di avvocati del libero 
foro�. Ci�, per le ragioni supra compendiate: risparmio di spesa, unitariet� 
degli indirizzi di difesa, determinati dall�Avvocato generale (art. 15 RD 
1611/33). Tali interessi trascendono quelli delle singole Amministrazioni, che 
non possono rinunziare a questa unitaria funzione n� privare delle sue competenze 
l�Avvocatura, che, non a caso, essendo organo dello Stato e non delle 
singole Amministrazioni, dipende dalla presidenza del Consiglio (art. 17, RD 
1611/33). 
Una sentenza, che oltre a difendere l�unitariet� della difesa dello Stato, 
esprime principi degni di approfondimento in diritto civile e amministrativo. 
Avv. Roberto de Felice* 
(7) In presenza di un contratto contrario a norme imperative, �la mancanza di una espressa sanzione 
di nullit� dell�atto negoziale, in conflitto con il divieto, non � rilevante ai fini della nullit��, in 
quanto vi sopperisce il combinato disposto dai commi 1 e 3 dell�art. 1418 c.c., �che rappresenta un 
principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti 
imperativi assoluti non si accompagna una previsione di nullit�. (Cass. n. 6691 del 1987; n. 6601 del 
1982; n. 5311 del 1979; n. 1901 del 1977)�. (Cass., Sez. I, 7 marzo 2001, n. 3272, in Giustizia civile, 
2001, I, p. 2111). 
(*) Avvocato dello Stato.
TEMI ISTITUZIONALI 45 
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 3 febbraio 2011 n. 780 - Pres. Maruotti, Rel. 
Buonvino - Ministero delle Politiche Agricole, Agrarie e Forestali (avv. Stato R. de Felice) 
c. Studio legale A (avv. prof. F. G. Scoca) e Studio Legale B (avv. M. Sanino) - Riforma parzialmente 
Tar Lazio Sez. II ter, 6527/09. 
Appalti pubblici - Appalti di servizi - Servizi legali - Consulenza - Possibile ricorso agli 
Organi Consultivi dell�Amministrazione Appaltante e dello Stato - Deroga - Stringente 
motivazione - Necessit� 
L�amministrazione dello Stato che pubblichi il bando di gara relativo all�appalto di servizi 
legali di consulenza, per una serie indeterminata di casi, a privati, violando la competenza 
dell�Avvocatura generale dello Stato e degli altri Organi consultivi dello Stato, deve puntualmente 
motivare sulle necessit� di tale deroga, in difetto, deve annullare d�ufficio il bando 
e i successivi atti della procedura 
(L. 7 agosto 1990 n. 241 art. 3) 
Appalti pubblici - Appalti di servizi - Servizi legali - Riservati all�Avvocatura generale 
dello Stato - Annullamento d�ufficio del bando - Doverosa osservanza di obbligo inderogabile 
di legge - Giustificazione di un interesse pubblico diverso dal ripristino della legalit� 
- Immanenza 
L�amministrazione dello Stato che annulli d�ufficio il bando di gara relativo al non consentito 
- da norma imperativa - appalto di servizi legali comprensivi dell�assistenza legale, per una 
serie indeterminata di casi, a privati, violando la competenza dell�Avvocatura generale dello 
Stato - non � tenuta a motivare sull�interesse pubblico, diverso da quello del mero ripristino 
della legalit�, soddisfatto dall�atto, trattandosi di doverosa osservanza di un obbligo inderogabile 
di legge 
(L. 7 agosto 1990 n. 241 art. 21 nonies; Rd 30 ottobre 1933 n. 1611 art. 1) 
Appalti pubblici - Appalti di servizi - Servizi legali - Riservati all�Avvocatura generale 
dello Stato - Annullamento d�ufficio del bando - Responsabilit� precontrattuale della 
PA - Non sussiste 
L�amministrazione dello Stato che annulli d�ufficio il bando di gara relativo al non consentito 
- da norma imperativa - appalto di servizi legali comprensivi dell�assistenza legale, per una 
serie indeterminata di casi, a privati, violando la competenza dell�Avvocatura generale dello 
Stato - non � tenuta ad alcun risarcimento ai concorrenti aggiudicatari, poich� questi non 
possono vantare alcun affidamento, dovendo essere loro nota tale norma imperativa sia come 
consociati sia nella loro qualit� di studi legali associati 
(c.c., artt. 1337, 1338) 
(Omissis) 
FATTO e DIRITTO 
1. Con la sentenza impugnata il TAR, previa riunione dei ricorsi nn. (...) e (...), ha dichiarato 
improcedibile il ricorso introduttivo n. (...), ha respinto i relativi motivi aggiunti unitamente 
al ricorso n. (...) ed ha accolto la domanda di risarcimento del danno formulata in primo grado,
46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
con cui � stata dedotta la sussistenza di una responsabilit� precontrattuale del Ministero delle 
Politiche agricole, condannando l�Amministrazione al pagamento di 30.000 euro, in favore di 
ciascuna associazione temporanea, ricorrente in primo grado. 
2. Con il ricorso introduttivo n. (...), in particolare, proposto dallo studio legale (A), in proprio 
e nella qualit� di mandataria dell�ATI con lo studio legale (A1), � stato chiesto l�annullamento) 
del provvedimento n. 004439 del 4 agosto 2008 con cui il Ministero intimato ha revocato l�aggiudicazione 
della gara per la fornitura di servizi legali relativi alla protezione delle denominazioni 
di origine e delle indicazioni geografiche, con rifusione dei danni asseritamente patiti; 
con i relativi motivi aggiunti � stato chiesto l�annullamento del decreto n. 9698 del 27 novembre 
2008 con cui il Capo del Dipartimento delle Politiche di sviluppo economico e rurale del Ministero 
intimato ha revocato, in via di autotutela, il bando di gara per la fornitura di servizi 
legali relativi alla protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche 
pubblicato sulla GUCE in data 17 febbraio 2007 e sulla GURI (Gazzetta ufficiale della Repubblica 
Italiana) del 2 marzo 2007. 
Con il ricorso n. (...), lo studio legale (B), in proprio e nella qualit� di mandataria dell�ATI con 
lo studio legale (B1) e lo studio legale (B2) (in seguito: (B)), ha chiesto l�annullamento dell�anzidetto 
decreto n. 9698 del 27 novembre 2008, di tutti gli atti connessi, presupposti e consequenziali 
ed, in particolare, del parere dell�Avvocatura dello Stato n. 119799 del 15 ottobre 
2008, oltre alla condanna del Ministero al risarcimento dei danni. 
Con bando pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana del 2 marzo 2007, il 
Ministero resistente (Dipartimento delle Politiche di sviluppo economico e rurale) aveva indetto 
una gara avente ad oggetto la fornitura (per la durata di un triennio e per un importo a base 
d�asta di euro 2.700.000,00) �dei servizi legali comprensivi di quelli di assistenza nelle procedure 
contenziose, relativi alla protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni 
geografiche in Italia, in Europa e nel mondo� (art. 1 del capitolato d�oneri), rivolta agli studi 
legali associati con le caratteristiche indicate nell�art. 5 del predetto capitolato (in particolare, 
erano ammessi a partecipare studi legali con un numero di associati, iscritti all�albo degli avvocati, 
non inferiore a venti alla data di pubblicazione del bando sulla GUCE, ovvero il 17 febbraio 
2007). 
In un primo momento (30 maggio 2008), la gara era stata aggiudicata all�ATI ricorrente (ATI 
(A)), ma, in seguito alle verifiche sul possesso dei requisiti previsti dal art. 5 del capitolato 
d�oneri (ovvero il numero di associati, iscritti all�albo degli avvocati, non inferiore a venti alla 
data di pubblicazione del bando sulla GUCE), il Ministero aveva revocato, con provvedimento 
n. 4439 del 4 agosto 2008, l�affidamento in favore dell�ATI (A) ed aggiudicato il servizio alla 
seconda classificata, l�ATI (B). 
In particolare, l�amministrazione resistente aveva ritenuto che la documentazione presentata, 
in sede di verifica, dall�ATI (A) non fosse sufficiente a provare il possesso, alla data di pubblicazione 
del bando sulla GUCE (17 febbraio 2007), del requisito previsto dal citato art. 5 del 
capitolato d�oneri, relativo al numero minimo di associati (venti) iscritti all�albo degli avvocati. 
Di tale atto l'ATI (A) ha chiesto l'annullamento ed, in via subordinata, la condanna del Ministero 
al risarcimento dei danni. 
A seguito dell�acquisizione, da parte del Ministero, del parere 15 ottobre 2008 dell�Avvocatura 
Generale dello Stato (con cui, dopo aver chiarito che la decisione di affidare il servizio di che 
trattasi a studi legali non rispettava l�art. 1 del R.D. n. 1611/1933, ha proposto allo stesso Dicastero 
di procedere alla revoca, in autotutela, del bando di gara), il Ministero stesso, con de-
TEMI ISTITUZIONALI 47 
creto n. 9608 del 27 novembre 2008, ha revocato il bando di gara in argomento; provvedimento, 
questo, impugnato dall�ATI studio legale (A) con motivi aggiunti depositati in giudizio il 20 
febbraio 2009. 
Con il ricorso RG n. 1236/2009, l�ATI studio legale (B) ha chiesto, a sua volta, l�annullamento 
del decreto n. 9698 del 27 novembre 2008 di revoca del bando di gara di che trattasi e, in via 
subordinata, ha chiesto la condanna del Ministero al risarcimento dei danni. 
3. I primi giudici, riuniti i ricorsi per motivi di connessione, hanno ritenuto opportuno anticipare 
l�esame dei motivi aggiunti al ricorso n. 9038/2008 e del ricorso n. 1236/2009, avendo il loro 
esito effetti sulla pronuncia da adottare con riferimento al ricorso introduttivo del giudizio RG 
n. 9038/2008. 
Al riguardo, il TAR ha ritenuto legittimo l�annullamento operato dall�Amministrazione in via 
di autotutela. 
Quanto alla pretese risarcitorie, il TAR: 
- ha respinto quelle avanzate dalle ATI interessate in ragione della mancata aggiudicazione 
della gara di che trattasi, ci� in ragione del fatto che il provvedimento di revoca (recte: annullamento) 
del bando non era risultato inficiato dai vizi dedotti, con il conseguente automatico 
travolgimento degli atti di aggiudicazione in favore, prima, dell�ATI (A) e, poi, dell�ATI (B); 
- ha invece ritenuto sussistente la responsabilit� precontrattuale dell�amministrazione, atteso 
che, da un lato, le trattative fra le parti erano state interrotte dall�annullamento in autotutela 
dell�intera procedura selettiva e, dall�altro, erano intercorsi 21 mesi dall�indizione della gara 
all�adozione del decreto che ha posto nel nulla l�intera procedura per ragioni idonee � come, 
in precedenza, precisato � alle quali, attesa la chiarezza preclusiva del dato normativo, non poteva 
neppure ostare il fatto che, in precedenza, lo stesso Dicastero aveva affidato, mediante 
gara, servizi similari; avendo, quindi, la P.A. posto in essere comportamenti che non salvaguardavano 
l'affidamento della controparte in modo da �sorprendere� la sua fiducia sulla conclusione 
del contratto, essa doveva risponderne per responsabilit� precontrattuale ai sensi 
dell'art. 1337 cod. civ. ed il danno doveva essere risarcito nei limiti dell�interesse negativo (ovvero 
le spese di partecipazione alla procedura e la perdita di ulteriori occasioni di stipulazione 
di altri contratti). 
Ci� posto, il primo giudice ha precisato che le ATI interessate nulla avevano provato con riferimento 
alla seconda voce di danno (ovvero la perdita di ulteriori occasioni di stipulazione di 
altri contratti) tanto che, in questa parte, la richiesta di risarcimento andava dichiarata inammissibile 
per mancanza di prova; quanto, invece, alle spese di partecipazione, il Tribunale ha 
ritenuto di dover ricorrere alla valutazione equitativa del danno ai sensi dell�art. 1226 c.c. anche 
con riferimento alla richiesta dell�ATI (B) che (nel quantificare la propria richiesta per un importo 
di circa 127.000,00 euro) si era limitata a quantificare, in via generale, un numero di ore 
per ogni singolo avvocato coinvolto nella procedura selettiva senza, tuttavia, produrre alcuna 
documentazione giustificativa a corredo. 
In conclusione, il TAR ha stimato equo liquidare, in favore dell�ATI (A) e dell�ATI (B), la 
somma di euro 30.000,00 (per ciascuno dei raggruppamenti), con l�aggiunta degli interessi legali 
dalla data di pubblicazione della sentenza fino all�effettivo soddisfo. 
4. Avverso la sentenza propone appello, con due distinti ricorsi (identici, peraltro, nel contenuto), 
il Ministero delle Politiche agricole; il primo di essi (n. 8535/2009), notificato il 9 ottobre 
2009, � stato depositato il successivo 27 ottobre; il secondo (n. 9283/2009) � stato notificato il 
9 novembre 2009 e depositato il successivo 19 novembre. 
Ad avviso della Amministrazione appellante, poich� l�ATI Grieco non sarebbe risultata esi-
48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
stente, non avrebbe potuto presentare offerte e non avrebbe potuto conseguire, quindi, alcun 
risarcimento; inoltre, poich� sia l�ATI (A) che l�ATI (B) erano espressione di qualificati professionisti, 
non avrebbero potuto non rendersi conto della invalidit� del bando, con la conseguente 
riforma della sentenza appellata nella parte in cui ha riconosciuto il diritto di entrambe 
le associazioni di professionisti al risarcimento del danno. 
5. In entrambi gli appelli svolgono gravame incidentale l�ATI (A) da un lato e l�ATI (B) dall�altro. 
La prima � con l�appello incidentale svolto nel ricorso n. 8535/2009 - eccepisce, anzitutto, la 
tardivit� del deposito del primo dei citati appelli; ad ogni buon conto, deduce, nel merito, l�erroneit� 
della sentenza appellata sia per ci� che attiene ai profili di merito (laddove � stato riconosciuto 
legittimo l�annullamento della gara) che a quelli risarcitori ed insistendo, altres� (una 
volta riconosciuta la piena validit� dell�indizione della gara), per l�accoglimento delle censure, 
non esaminate dal TAR, con le quali era stata dedotta l�illegittimit� della revoca dell�aggiudicazione 
definitiva disposta in suo favore, in quanto non sarebbero sussistiti i presupposti per 
procedere in tal senso. 
Censure di merito analoghe, con la riproposizione, anche in questo caso, dei motivi non esaminati 
dai primi giudici, vengono svolte in seno al gravame incidentale proposto dall�ATI (A) 
nell�appello n. 9283/2009. 
L�ATI (B), a sua volta, con appello incidentale svolto nel ricorso n. 8535/2009, censura la sentenza 
impugnata, anzitutto, per vizio di ultrapetizione, poich� essa avrebbe affrontato una tematica 
(quella dell�affidamento, agli avvocati del foro libero, anche dell�attivit� di consulenza 
stragiudiziale) del tutto assente, si assume, nell�atto impugnato e nelle stesse difese in giudizio; 
donde l�erroneit� della sentenza laddove basata su considerazioni legate direttamente all�attivit� 
stragiudiziale, con la conseguenza che l�annullamento legato ai soli aspetti inerenti all�attivit� 
giudiziale avrebbe consentito all�Amministrazione di revocare la procedura limitatamente alla 
sola attivit� giudiziale o, in ogni caso, di esperire una nuova procedura avente ad oggetto la 
sola attivit� stragiudiziale. 
Sempre l�ATI (B) deduce, poi, l�erroneit� della sentenza laddove non ha ravvisato l�illegittimit� 
del provvedimento di annullamento della procedura in assenza di un concreto interesse pubblico 
in tal senso atto a giustificarne l�adozione, in un momento in cui era gi� da tempo seguita la 
definitiva aggiudicazione, non essendo sufficiente il richiamo al semplice scopo del ripristino 
della legalit�, n� gli aspetti legati all�esborso di denaro pubblico, questo essendo dovuto, principalmente, 
al solo espletamento della preponderante attivit� stragiudiziale di cui si assume la 
piena legittimit� anche se affidata a studi legali privati. 
Anche con riguardo all�attivit� contenziosa, ad ogni buon conto, la sentenza sarebbe erronea e 
formalistica in quanto, dall�esame del capitolato speciale e dell�offerta concretamente formalizzata 
dalla deducente, sarebbero emerse chiaramente le ragioni particolari giustificative (anche 
ai sensi dell�art. 5 del r.d. n. 1611/1933) dell�operata deroga, anche perch�, nell�insieme, l�attivit� 
di carattere contenzioso in parola sarebbe stata marginale, aleatoria e del tutto indeterminata; 
quanto, poi, all�attivit� stragiudiziale, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, non 
esisterebbe, nel nostro ordinamento, alcuna disciplina normativa in grado di escluderne l�affidamento 
a qualificati professionisti, conferma piena in tal senso dovendo, del resto, rinvenirsi 
nell�art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001 e nell�allegato IIB del d.lgs. n. 163/2006. 
Contrariamente, poi, a quanto ritenuto dai primi giudici, nella specie sarebbe stato, a tutto concedere, 
anche possibile operare, in via di subordine, l�annullamento solo parziale della gara, 
distinguendo tra attivit� stragiudiziale e giudiziale ed espungendo dall�affidamento in base a
TEMI ISTITUZIONALI 49 
gara solo quest�ultima, non essendo neppure ipotizzabili impedimenti in tal senso, tanto pi�, si 
assume, nella considerazione dell�assoluta modestia dell�attivit� contenziosa stessa. 
Quanto, infine, al risarcimento del danno, l�ATI (B) insiste, tenuto conto della fondatezza dell�appello 
incidentale, per il pieno accoglimento delle domande avanzate in primo grado, ovvero, 
nell�ipotesi di rigetto, per la condanna dell�Amministrazione alle somme richieste in primo 
grado che si assumono pienamente documentate, salvo, all�occorrenza, l�esperimento, se ritenuto 
necessario, di un�apposita CTU. 
Censure analoghe svolge l�ATI (B) nel gravame incidentale dalla medesima proposto in seno 
all�appello n. 9283/2009; con memoria unica ribadisce, poi, i propri assunti difensivi. 
6. (...) Nel merito, risulta fondato l�appello principale del Ministero, mentre gli appelli incidentali 
autonomi svolti, in seno ad entrambi gli appelli, dall�ATI (A) (in disparte quanto potrebbe 
osservarsi in merito alla loro tempestivit�), unitamente a quelli svolti dall�ATI (B), sono 
infondati. 
7. Rileva la Sezione che oggetto della gara era �la fornitura dei servizi legali comprensivi di 
quelli di assistenza nelle procedure contenziose, relativi alla protezione delle denominazioni 
di origine e delle indicazioni geografiche in Italia, in Europa e nel mondo� (punto II.1.5 del 
bando di gara e art. 1 del capitolato d�oneri). 
Poich� nessun�altra specificazione era contenuta nel bando con riferimento all�oggetto, ne conseguiva 
che l�appalto riguardava sia la consulenza stragiudiziale in materia di (omissis), che la 
correlata difesa in giudizio innanzi agli organi giurisdizionali. 
Non pu� pertanto condividersi l�assunto secondo cui l�attivit� contenziosa avrebbe assunto carattere 
meramente residuale rispetto alla prevalente attivit� stragiudiziale, ci� non emergendo 
affatto dalla lex specialis della gara che poneva le due forme di attivit� legale sullo stesso piano, 
con la conseguente inconfigurabilit� di un preventivo giudizio di prevalenza; del resto, l�attivit� 
di consulenza stragiudiziale sfocia spesso, secondo comuni canoni d�esperienza, nell�avvio di 
attivit� precontenziosa e contenziosa, costituendo, in effetti, di sovente due facce della stessa 
medaglia, l�una essendo il pi� delle volte intimamente legata all�altra. 
In punto di fatto, poi, negli stessi progetti offerta formulati dalle ATI appellanti incidentali figurano 
(in particolare, e tra gli altri, punti 2 e 5 dell�offerta dell�ATI (A) e n. 3, lett. A, pagg. 
15/17, dell�offerta dell�ATI (B)) significative quanto centrali attivit� contenziose, collocate 
sullo stesso piano di quelle di consulenza legale e in sinergia con queste, in un rapporto spesso 
indissolubile. 
Come hanno rilevato correttamente i primi giudici per tale profilo, del resto, neppure poteva 
assumere carattere dirimente il fatto che l�attivit� di assistenza giudiziale sarebbe stata svolta 
a sostegno dei consorzi di tutela, poich� ci� che rilevava era che il bando di gara non solo non 
escludeva che la difesa in giudizio sarebbe stata svolta anche in favore dello stesso Ministero 
resistente, ma era stato predisposto utilizzando risorse economiche del bilancio statale, assegnate 
alla medesima amministrazione. 
Ci� premesso, non pu� convenirsi, con le ATI appellanti, nel ritenere erronea la sentenza per 
ci� che attiene, anzitutto, alla ritenuta insussistenza delle ragioni particolari che, ai sensi dell�art. 
5 del r.d. n. 1611/1933, potrebbero giustificare l�eccezionale deroga ivi prevista (peraltro limitata 
a casi delimitati e non di certo limitativi delle attivit� istituzionalmente spettanti all�Avvocatura 
dello Stato). 
La deroga, in ogni caso, avrebbe dovuto essere debitamente esternata e puntualmente motivata 
sulla accertata ed irrisolvibile impossibilit� della Avvocatura dello Stato di svolgere tempestivamente 
i suoi compiti istituzionali, anche tenuto conto dei verosimili, correlati aggravi di bi-
50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
lancio; n� la deroga poteva certamente emergere dai semplici contenuti dell�offerta, quella derogatoria 
costituendo necessariamente valutazione preventiva rispetto all�indizione della gara 
che non pu� certamente trovare implicita giustificazione nei contenuti delle offerte presentate 
dai concorrenti e, in particolare, nel semplicemente asserito carattere marginale che l�assistenza 
contenziosa avrebbe, in ipotesi, assunto in seno alle offerte concretamente avanzate. 
8. Quanto all�attivit� stragiudiziale, deduce l�ATI (B) che, contrariamente a quanto ritenuto dal 
TAR, non esisterebbe, nel nostro ordinamento, alcuna disciplina normativa in grado di escluderne 
l�affidamento a qualificati professionisti, conferma piena in tal senso dovendo, invero, 
rinvenirsi nell�art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001 e nell�allegato IIB del d.lgs. n. 163/2006; 
e che, sul punto, i primi giudici sarebbero andati persino ultra petita, essendo rimasta del tutto 
assente, si assume, nell�atto impugnato e nelle difese del Ministero la tematica afferente all�affidamento, 
agli avvocati del foro libero, anche dell�attivit� di consulenza stragiudiziale; donde 
l�erroneit� della sentenza laddove basata su considerazioni legate direttamente all�attivit� stragiudiziale, 
con la conseguenza che l�annullamento legato ai soli aspetti inerenti all�attivit� giudiziale 
avrebbe consentito all�Amministrazione di revocare la procedura limitatamente alla 
sola attivit� giudiziale o, in ogni caso, di esperire una nuova procedura avente ad oggetto la 
sola attivit� stragiudiziale. 
Ritiene la Sezione che anche tali doglianze non appaiono condivisibili, dal momento che la 
sentenza impugnata va interpretata nel senso che l�attivit� stragiudiziale possa essere anche 
conferita a terzi mediante procedura concorsuale o para concorsuale, ma previa esternazione 
delle ragioni che inducono ad una scelta siffatta. 
In particolare, hanno rilevato, i primi giudici, che, pur non essendo rinvenibile una norma 
espressa nel r.d. n. 1611/1933 atta ad imporre il patrocinio obbligatorio all�Avvocatura dello 
Stato, non di meno era dato ritenere la sussistenza, nell�ordinamento, di una serie di norme 
idonee a consentire alle amministrazioni statali, prima di rivolgersi al �mercato� dei servizi legali, 
di avvalersi di organismi istituzionali che, anche per la loro autorevolezza, sono preposti 
� tra l�altro - ad affiancarle nella soluzione di questioni controverse, attraverso la formulazione 
di appositi pareri e, in particolare, alla stessa Avvocatura dello Stato o al Consiglio di Stato in 
sede consultiva; con l�aggiunta che l�art. 7, comma 6, del d.lgs n. 165/2001 prevede la possibilit� 
per le amministrazioni pubbliche, �per esigenze cui non possono far fronte con personale 
in servizio, (di) conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale 
o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione 
anche universitaria��, che peraltro devono essere affidati attraverso procedure comparative 
disciplinate secondo i rispettivi ordinamenti (cit. art. 7 comma 6 bis). 
Ebbene, appare evidente che il TAR si � correttamente limitato a ribadire la sussistenza, nell�ordinamento, 
di un ordinario onere di puntuale motivazione in presenza di scelte, da parte 
dell�Amministrazione, in grado di incidere potenzialmente sul bilancio pubblico, scegliendo 
la strada della collaborazione � pur in presenza di appositi organi deputati, come in particolare, 
nel caso delle amministrazioni statali, a fornire tale supporto di consultazione � degli apporti 
di liberi professionisti; ci�, evidentemente, per escludere la possibilit� stessa per cui, una volta 
scartata la possibilit� di affidare, mediante concorso, incarichi di natura contenziosa, potesse, 
non di meno, direttamente ridursi l�ambito della gara alla sola attivit� professionale stragiudiziale 
senza previa, motivata indizione di una nuova gara circoscritta alla sola attivit� stragiudiziale 
ora detta. 
Ques�ultima possibilit� era ed � logicamente da escludersi anche in considerazione della necessaria 
concatenazione che, nell�ottica concorsuale in esame, i due tipi di attivit� erano ine-
TEMI ISTITUZIONALI 51 
vitabilmente destinati ad assumere. 
N�, del resto, la riduzione dell�oggetto concorsuale potrebbe essere rimessa al giudice amministrativo, 
competendo alla sola amministrazione ogni valutazione discrezionale al riguardo. 
D�altra parte, non vՏ alcun dubbio sulla manifesta illegittimit� degli originari atti con cui 
l�Amministrazione aveva attivato e fatto proseguire il procedimento, per la scelta di professionisti 
che avrebbero dovuto svolgere l�attivit� istituzionalmente svolta dalla Avvocatura dello 
Stato (sicch� il decreto n. 9608 del 27 novembre 2008 con evidenza va qualificato come di annullamento 
dei precedenti atti, e non certo quale revoca). 
Il citato testo unico n. 1611 del 1933, infatti, consente alle Amministrazioni statali di designare 
un professionista del libero foro solo nei casi previsti dalla legge e preclude radicalmente che 
la medesima attivit� � in luogo dell�Avvocatura dello Stato - sia svolta da liberi professionisti 
con oneri a carico dello Stato. 
9. Neppure appare condivisibile, poi, la censura secondo cui la sentenza impugnata sarebbe 
erronea laddove non ha ravvisato l�illegittimit� del provvedimento di annullamento della procedura, 
perch� sarebbe mancato un concreto interesse pubblico in tal senso atto a giustificarne 
l�adozione, in un momento in cui era gi� da tempo seguita la definitiva aggiudicazione (non 
essendo sufficiente il richiamo al semplice scopo del ripristino della legalit�, n� gli aspetti legati 
all�esborso di denaro pubblico, questo essendo dovuto, principalmente, al solo espletamento 
della preponderante attivit� stragiudiziale di cui si assume la piena legittimit� anche se affidata 
a studi legali privati). 
Non si tratta, infatti, nella specie, di semplice ripristino della legalit� con un atto meramente 
discrezionale, ma di doverosa osservanza di un obbligo inderogabile di legge, oltre che di rispetto 
delle funzioni legalmente svolte dalla Avvocatura dello Stato (che neppure potrebbe rinunziarvi), 
cui si ricollegano anche rilevanti problemi di spesa pubblica; con la conseguenza 
che deve ritenersi in re ipsa l�interesse alla rimozione del provvedimento illegittimo di indizione 
della gara. 
Quanto al fatto che, secondo l�assunto dell�appellante incidentale, i profili di spesa sarebbero 
minimali in considerazione dell�assolutamente preponderante attivit� stragiudiziale, a parte la 
considerazione che la legge conferisce alla Avvocatura dello Stato anche ogni attivit� di supporto 
ai Ministeri, gi� sopra si � rilevato che un apprezzamento al riguardo sarebbe potuto competere 
solo all�Amministrazione. 
10. In base alle deduzioni proposte dalle ATI appellanti incidentali in via subordinata, la sentenza 
sarebbe erronea, ad ogni buon conto, nella parte in cui limita a soli � 30.000,00 l�entit� 
risarcitoria. 
Quanto a tali domande delle appellanti incidentali, volte a far quantificare il danno da responsabilit� 
precontrattuale in misura superiore a quella liquidata dal TAR, osserva il Collegio che 
assume carattere preliminare l�esame dell�appello (n. 9283/2009) proposto dal Ministero delle 
politiche agricole circa l�erroneit� della sentenza nella parte in cui ha ritenuto fondate le pretese 
risarcitorie delle originarie ricorrenti, sia pure nel limite dell�interesse negativo. 
11. Ritiene la Sezione che l�appello principale del Ministero sia fondato e vada accolto. 
11.1. Va premesso che, per la pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione (consolidatasi 
per le controversie devolute ratione temporis al giudice civile): 
non si pu� ritenere accoglibile una domanda volta al risarcimento del danno derivante da responsabilit� 
precontrattuale, quando il contratto non sia stato stipulato, perch� una delle parti 
� anche in extremis � rileva che la stipula comporterebbe la violazione di norme imperative 
(per tutte, Sez. Un., 11 febbraio 1982, n. 835; Sez. Un., 14 marzo 1985, n. 1987);
52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
- l�Amministrazione pubblica, quando abbia posto in essere trattative per addivenire alla stipula 
di un contratto da concludere a seguito di un procedimento ad evidenza pubblica, pu� senz�altro 
recedere dalle trattative senza incorrere in alcuna responsabilit� (Sez. I, 29 luglio 1987, n. 
6545), non potendosi anche in tal caso ravvisare un �ragionevole affidamento�, giuridicamente 
tutelato, alla relativa stipula. 
La Sezione rileva che tali orientamenti, a loro volta, sono espressione di un pi� generale principio 
generale, per il quale l�Amministrazione deve sempre evitare di concludere un contratto 
contrastante con norme imperative e cio�: 
- deve interrompere la trattativa privata avviata quando sia prescritta la gara ad evidenza pubblica; 
- deve annullare gli atti della gara ad evidenza pubblica, se il previsto contratto di per s� risulta 
in contrasto con una norma imperativa. 
Infatti, l�ordinamento da un lato apprezza con favore il ritorno alla legalit�, prevedendo i poteri 
di autotutela dell�Amministrazione, dall�altro non prende in favorevole considerazione � sotto 
il profilo di possibili pretese risarcitorie - la posizione di coloro che, coinvolti nella trattativa 
privata o nella gara finalizzate alla stipula del contratto che si rilevi contra legem, abbiano consapevolmente 
o colposamente aderito alla iniziativa illegittima dell�Amministrazione. 
11.2. Nella specie, a seguito di una segnalazione gi� proveniente dal Ministero e poi dell�avviso 
sulla questione della Avvocatura Generale dello Stato, l�Amministrazione ha legittimamente 
constatato che il bando di gara mirava ad incidere indebitamente sullo svolgimento della attivit� 
istituzionale della medesima Avvocatura e all�esborso di denaro, per ragioni palesemente inconsistenti. 
Il Ministero ha quindi constatato che la stipula del contratto avrebbe dato evidentemente luogo 
alla violazione delle norme imperative, desumibili dal testo unico n. 1611 del 1933 e dalle leggi 
di contabilit� di Stato. 
Considerate le circostanze, ritiene la Sezione che nessun legittimo affidamento altrui si possa 
essere formato col bando o nel corso del procedimento seguito dall�atto di aututela. 
Le ATI concorrenti non hanno utilizzato, invero, in sede di partecipazione alla gara, l�ordinaria 
diligenza, non potendo certamente sfuggire a professionisti del settore giustizia, e per di pi� 
alle compagini professionali di indubitabile valore che hanno partecipato alla gara stessa, il 
fatto che questa era stata bandita in una situazione di manifesto contrasto con il medesimo testo 
unico. 
Oltre dunque alle considerazioni sopra riportate sulla rilevanza in s� delle norme imperative 
(ci� che gi� rileverebbe per escludere un legittimo affidamento), nella specie proprio la qualit� 
dei professionisti coinvolti avrebbe dovuto da subito far loro constatare la manifesta illegittimit� 
della iniziale determinazione dell�Amministrazione: ci� evidenzia non solo la mancanza di un 
legittimo affidamento, ma anche la loro colpa professionale, dal momento che rientra � o deve 
rientrare - nel bagaglio di comune conoscenza degli avvocati la regola per cui le Amministrazioni 
statali si avvalgono e si devono avvalere del patrocinio della Avvocatura dello Stato. 
Da ci� consegue la fondatezza dell�appello (n. 9283/2009) proposto dal Ministero delle politiche 
agricole e, per converso, l�infondatezza di ogni pretesa risarcitoria da parte di entrambe 
la ATI partecipanti alla gara, con la conseguente reiezione, per tutti i restanti profili, degli 
appelli incidentali. 
...omissis...
C O N T E N Z I O S O 
C O M U N I TA R I O E D 
I N T E R N A Z I O N A L E 
Pubblico servizio e concorrenza 
nella gestione delle farmacie 
Le recenti decisioni della Corte di Giustizia dell�U.E. in tema di gestione 
delle farmacie, di cui la Rassegna ha dato contezza nei precedenti numeri (1), 
sono oggi oggetto di un dibattito abbastanza vivace tra quanti si occupano 
del settore: hanno chiuso un problema o ne hanno aperto uno nuovo? 
Di qui l�opportunit� di presentare in Rassegna due saggi: da una parte 
l�articolo dell�avvocato Antonella Anselmo Lemme, che in Corte di Giustizia 
ha assistito la Federazione Nazionale degli Ordini dei Farmacisti, dall�altra 
la tesi di due illustri studiosi del CeRM che rimettono in discussione quello 
che i farmacisti ritengono oramai un dato acquisito: la legittimit� della riserva 
di attivit� di gestione delle farmacie a favore dei farmacisti e/o della mano 
pubblica (le farmacie comunali). 
La tesi dell�Avvocatura Generale dello Stato, nelle cause comunitarie, � 
stata quella di difendere (con successo) il diritto nazionale, comune d�altronde 
a tutti gli altri Stati membri dell�area mediterranea, all�Austria e alla Germania. 
Ed � paradossale che i teorici della liberalizzazione ad ogni costo, che 
fino a ieri reclamavano l�obbligo dell�Italia di adeguarsi sic et simpliciter alle 
regole della concorrenza comunitaria, oggi, dopo le decisioni della Corte di 
Giustizia, rivendichino l�autonomia del diritto nazionale. 
In realt� la valenza delle decisioni del giudice comunitario, sembra pi� 
ampia di quella di ritenere �semplicemente giustificata�, in un approccio logico 
di regola/eccezione, la scelta limitativa della concorrenza: l�Unione Eu- 
(1) M. RUSSO �Discrezionalit� dello Stato e tutela della salute: la riserva della propriet� ai farmacisti� 
in Rass., 2009, II, 140; F. GIOVAGNOLI �Titolarit� e gestione delle farmacie nella normativa comunitaria 
ed italiana� in Rass., 2009, III, 74; M. RUSSO �Le recenti pronunce della Corte in tema di 
farmacie�, in Rass., 2010, III, 46.
54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
ropea non � infatti pi� soltanto una comunit� di �operatori economici�, che 
reclamano giustamente la libert� dei mercati e le regole di trasparenza negli 
affari; � anche � ed il voto diretto al Parlamento europeo lo dimostra � 
un�unione di cittadini, con i loro bisogni, le loro tradizioni, il loro modo di vivere. 
Il diritto della concorrenza si sposa e si correla con pari dignit� ai bisogni 
essenziali dei cittadini europei e alla missione dei pubblici servizi. 
Il diritto alla salute � materia sensibile, che pu� trovare ostacoli anche 
in vecchie regole corporative e/o in situazioni di privilegio non pi� giustificate, 
che � compito del legislatore nazionale eliminare o ridurre; ma da questo a 
mettere in mano alle aziende produttrici tutta la distribuzione al dettaglio dei 
farmaci il passaggio merita accortezza. 
GF 
I servizi farmaceutici: sistemi comunitari 
di sanit� solidale e modelli liberistici a confronto 
Antonella Anselmo* 
�Veleni e medicine sono spesso fatti 
con le stesse sostanze, sono solo dati 
con intenti diversi� 
Peter Mere Lathan 
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Il servizio farmaceutico nel sistema solidale nazionale - 3. 
L�evoluzione del diritto comunitario: la tutela dei diritti fondamentali della persona e il modello 
sociale europeo - 3.1. I Trattatti - 3.2. Il diritto comunitario derivato - 3.3. Le decisioni 
della Corte di giustizia e il principio di precauzione - 3.4. La politica comunitaria sulla salute 
- 4. Verifica della posizione dell�Autorit� per la Concorrenza ed il Mercato. 
1. Premessa 
L�organizzazione del servizio farmaceutico in Italia � sotto la costante 
pressione di tentata �liberalizzazione� (1). 
Al riguardo, l�Autorit� Garante della Concorrenza e del Mercato da anni 
si impegna nel sollecitare progetti di riforma che modifichino l�attuale sistema 
(*) Avvocato in Roma. 
(1) In senso inconciliabile rispetto alla ragionevolezza delle presunte liberalizzazioni: L. IANNOTTA, 
�L�assistenza farmaceutica come servizio pubblico�, in Servizi pubblici e appalti, 2003, 49; F. MASTRAGOSTINO, 
�La disciplina delle farmacie comunali tra normativa generale sui servizi pubblici e normativa 
di settore, in D. DE PRETIS (a cura di) La gestione delle farmacie comunali: modelli e problemi giuridici, 
Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche Universit� degli Studi di Trento n. 53, 2006, 26. 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 55 
solidale di sanit� pubblica, indicando un modello liberistico assoggettato alle 
logiche di mercato, qualificate in s� quali pro-concorrenziali e migliorative 
della quantit� dell�offerta (2). 
Da ultimo si registrano le Osservazioni al Parlamento in data 1 settembre 
2010 ex art. 22 L. 287/1990 (3) e la successiva Audizione al Senato Commissione 
XII, Igiene e Sanit� in data 11 novembre 2010 (4). 
In linea generale L�Autorit� assimila del tutto la distribuzione dei farmaci 
agli altri tipi di distribuzione, di natura squisitamente commerciale (5). 
Ebbene, l�equiordinazione e la compatibilit� �astratta� rispetto al diritto 
comunitario di entrambe le formule organizzatorie dei servizi sanitari - rispettivamente 
quella di sistema, solidale e basata sulla pianificazione, e quella liberistica 
- sono state recentemente accertate dalla Corte di Giustizia, nelle note 
sentenze del 19 maggio 2009, Grande Sezione, Causa C-531/06, 1� giugno 
2010, cause riunite C-570/07 e C-571/07; 1� luglio 2010 causa C-393/08. 
Tuttavia proprio la Grande Sezione della Corte ha accertato che il sistema 
sanitario solidale italiano, che in parte pone restrizioni �non discriminatorie� 
alle libert� economiche, in applicazione del principio di precauzione, risulta 
in concreto proporzionato ed adeguato rispetto all�obiettivo di interesse generale 
teso a garantire, attraverso un uso razionale e sicuro del farmaco, un elevato 
livello di salute pubblica. 
Ovviamente per il futuro � fatta salva la responsabilit� dei Parlamenti nazionali, 
a fronte di una contestuale evoluzione del diritto comunitario verso 
un modello sociale europeo pi� maturo, volta a migliorare la regolazione in 
vista di un pi� elevato livello di tutela del bene salute e di crescenti bisogni 
della collettivit�. 
Ebbene, alla base di ogni eventuale riforma normativa di siffatta portata, 
(2) Tra le tante: Segnalazioni AS057 in data 19 ottobre 1995; AS131 in data 26 marzo 1998; 
AS144 in data 11 giugno 1998; AS163 in data 4 febbraio 1999; AS194 in data 17 febbraio 2000; AS300 
in data 3 giugno 2005; AS306 in data 13 luglio 2005; gli studi di riferimento dell�AGCM sono Institut 
for Advanced Studies (IHS) Vienna �L�impatto economico della regolamentazione nel settore delle professioni 
liberali in diversi stati membri. La regolamentazione dei servizi professionali� gennaio 2003 di 
IAIN PATERSON MARCEL FINK, ANTONY OGUS et al. nonch� le numerose pubblicazioni CERM in argomento. 
(3) Aventi ad oggetto l�articolo unico del DDL 2079 recante �Norme in materia di apertura di 
nuove parafarmacie� in discussione in seno alla XII Commissione permanente Senato che prevede una 
sospensione dell�apertura di nuove parafarmacie in attesa del riordino del settore. In tale documento 
l�Autorit� ipotizza, in luogo della pianificazione mediante pianta organica delle farmacie, la previsione 
di un numero minimo di esercizi lasciando libero, secondo logiche di mercato, il numero massimo degli 
stessi. Sull�inadeguatezza del criterio cd. de minimis vd. Corte di Giustizia, 1 giugno 2010, Cause C- 
570/07 e 571/07. 
(4) Esame congiunto dei disegni di legge nn. 863, 1377, 1417, 1465, 1627, 1814, 2030, 2042, 
2079, 2202 recanti normative in materia di medicinali a uso umano e riordino dell�esercizio farmaceutico. 
(5) In tal senso AS659- Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato 
e la concorrenza, in data 9 febbraio 2010.
56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
si pone un problema, non tanto ideologico, ma certamente di scelta politica. 
In altri termini occorre chiedersi se i pubblici poteri debbano o meno mantenere 
una �riserva� in tema di pianificazione dei servizi sanitari. 
In tale prospettiva risulta irrinunciabile garantire esaustive ricognizioni 
economico-giuridiche, di natura indipendente, circa lo stato di efficienza e 
soddisfazione del servizio da parte della collettivit� e giustificare un�eventuale 
riforma alla luce della decisione vincolante della Corte di Giustizia che ha 
avuto ad oggetto proprio il giudizio di compatibilit� comunitaria della normativa 
italiana. 
Risulta altres� imprescindibile una valutazione indipendente di impatto 
della presunta �liberalizzazione� sulla qualit� (6) complessiva dei servizi in 
relazione ai bisogni della collettivit� e ai livelli essenziali di assistenza sull�intero 
territorio nazionale. 
Ai fini della verifica di compatibilit� costituzionale deve poi risultare 
chiaro l�obiettivo di interesse generale che si intende perseguire, se sociale o 
economico, nonch� l�eventuale criterio di contemperamento del loro potenziale 
conflitto. 
Ogni riforma radicale ed organica del sistema socio-sanitario deve inserirsi 
in un processo decisionale che coinvolga non solo le categorie di settore 
(produttori, intermediari, distributori, farmacisti), ma soprattutto l�intera societ� 
civile attraverso adeguati strumenti di informazione, consultazione e partecipazione 
democratica. 
L�importanza strategica, nelle politiche europee, del futuro assetto dell�organizzazione 
dei servizi socio-sanitari � infatti accentuata dalla grave crisi 
economica che colpisce i mercati, dal progressivo invecchiamento della popolazione, 
dalle possibilit� di controllo e manipolazione delle informazioni 
scientifiche da parte dei poteri economici e, infine, da un uso distorto del principio 
di sussidiariet� orizzontale. 
Una tutela sanitaria �rafforzata� per le fasce deboli della popolazione (tra 
le quale in preponderanza oltre ai malati, gli anziani, le donne nel periodo della 
gravidanza e della maternit�, i bambini, i meno abbienti), costituisce anche 
una strategia essenziale di coesione economico-sociale e di perequazione. 
Con il presente scritto ci si propone pertanto di verificare se le linee guida 
di riforma costantemente indicate dall�Autorit� Garante della Concorrenza e 
del Mercato siano ancora attuali e giustificate in relazione ai principi fondamentali 
della Carta Costituzionale nonch� in riferimento alla pi� recente evoluzione 
del diritto comunitario (7). 
Ci si propone altres� di verificare se le medesime linee guida risultino ap- 
(6) E non solo �quantit��. 
(7) Costituito quest�ultimo dalle norme del Trattato sul Funzionamento dell�Unione Europea, 
dalle direttive e dai precedenti della Corte di Giustizia in materia.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 57 
propriate in relazione all�obiettivo di ottimizzazione dell�organizzazione dei 
servizi-sanitari, in un sistema nazionale che assegna consapevolmente agli interessi 
economici una valenza marcatamente marginale, ovvero se le stesse 
salvaguardino gli interessi non gi� della collettivit�, unitariamente intesa, bens� 
di una categoria ben individuata di operatori economici. 
E proprio l�assetto oligopolistico dei mercati europei afferenti la produzione 
e distribuzione del farmaco, le prospettive concrete di crescita verso 
nuove fasce di mercato per scadenza dei brevetti di molti farmaci branded, gli 
interessi economici dei distributori all�incremento dei profitti, costituiscono 
rischi di efficienza dei servizi e di compressione dell�uso razionale e sicuro 
dei farmaci, tali da essere valutati attentamente. 
2. Il servizio farmaceutico nel sistema solidale nazionale 
Il servizio farmaceutico � qualificato nell�ordinamento interno quale servizio 
pubblico preordinato alla tutela della salute e trova garanzia costituzionale 
protetta principalmente negli artt. 3 e 32 della Cost. (8). 
In particolare � una delle prestazioni di cura e assistenza che lo Stato assicura 
ai propri cittadini in attuazione dei propri fini sociali. L�art. 1, co. 2 della 
L. 23 dicembre 1978 n. 833 e succ. mod. e int., istitutiva del Servizio Sanitario 
Nazionale, S.S.N., qualifica il servizio sanitario quale complesso delle funzioni, 
delle strutture, dei servizi e delle attivit� destinati alla promozione, al 
mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, 
senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalit� 
che assicurino l�eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio (9). L�art. 
25, co. 1, L. cit. chiarisce che le prestazioni di cura comprendono l�assistenza 
medico-generica, specialistica, infermieristica, ospedaliera e farmaceutica. 
L�art. 28, co. 1 e 2, L. cit. dispone altres� che l�unit� sanitaria locale eroga l�as- 
(8) Sulla nozione di servizio pubblico vd. U. POTOTSCHING, �I pubblici servizi�, Cedam, Padova, 
1964. L�A. analizza le ipotesi in cui l�ordinamento giuridico sottrae al privato la disponibilit� dei �fini� 
della propria attivit� economica. Detti fini divengono �sociali� perch� concernono ugualmente tutti i 
soggetti dell�ordinamento �... si pensi alla disciplina in vigore per l�apertura e l�esercizio delle farmacie: 
il richiamo posto dalle norme in materia alle �esigenze� (art. 104, t.u. 27 luglio 1934, n. 1265), ai �bisogni� 
(art. 116), alle �necessit�� (art. 109) dell�assistenza farmaceutica locale dice chiaramente come 
i fini che presiedono all�attivit� siano sottratti alla libera valutazione degli operatori privati che agiscono 
nel settore�, p. 226. 
(9) Vd. BRUNO RICCARDO NICOLOSO: La farmacia come unicum di professione struttura e servizio 
a tutela di un diritto di libert� e di un dovere di salute in in www.euro-pa.it, pag. 57 e ss., che richiama 
il contributo di Piero Calamandrei nella formulazione dell�art. 32 Cost. quale parte integrante dello Stato 
sociale. A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli 1984, 603 e 1082, definisce il servizio 
farmaceutico quale servizio privato sotto direzione pubblica svolto sulla base di una concessione 
costitutiva. G. ABBAMONTE, Iniziativa pubblica e privata nell�esercizio dell�attivit� farmaceutica, Rass. 
Amm. San. 1962, 102; M.S. GIANNINI, Le farmacie, ibid. 1973, 171; G. LANDI, voce Farmacia, in Enc. 
Diritto, Vol. XVI 1967, 836; FERRARA, voce Farmacia in Enc. Giur. Vol. XIV, Roma, 1989.
58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
sistenza farmaceutica attraverso le farmacie di cui sono titolari enti pubblici e 
le farmacie di cui sono titolari i privati, tutte convenzionate secondo i criteri 
e le modalit� di cui agli articoli 43 e 48; che gli assistiti possono ottenere da 
entrambe le tipologie di farmacie, su presentazione di ricetta compilata dal 
medico curante, la fornitura di preparati galenici e di specialit� medicinali 
compresi nel prontuario terapeutico del servizio sanitario nazionale. L�istituzione 
del servizio sanitario nazionale eredita e mantiene la bipartizione della 
titolarit� delle farmacie - comunale e privata - discendente dalla pregressa evoluzione 
normativa e dal processo storico di ampliamento dei compiti dello 
Stato sociale. 
Il sistema farmaceutico italiano � che rimane essenzialmente unitario per 
finalit� e disciplina � dal punto di vista gestorio, pu� definirsi �dualistico�. 
Ma si veda nel dettaglio. 
In origine, la deregolamentazione introdotta dalla L. 22 dicembre 1888 
n. 5849, cd. L. Crispi era causa di grave squilibrio sul territorio nazionale 
dell�offerta del servizio farmaceutico (10). 
Nel 1913, con la riforma Giolitti (11), lo Stato riconosce come proprio 
compito essenziale l�assistenza farmaceutica, che viene regolamentata attraverso 
l�esercizio delle farmacie, la cui titolarit� � ricondotta, rispettivamente, 
in capo ai Comuni (12) e ai privati. Questi ultimi, di cui si avvale lo Stato 
quale risorsa �indiretta� dell�organizzazione pubblica per il perseguimento di 
interessi collettivi, acquisiscono titolarit� e diritto di esercizio in virt� di atto 
concessorio, all�esito di un concorso pubblico per esami(13). Il ricorso alla 
procedura concorsuale si impone quale effetto della necessaria pianificazione 
e razionale localizzazione delle sedi farmaceutiche sul territorio. Infatti la limitazione 
del numero di farmacie determina la necessit� che le assegnazioni 
avvengano secondo procedure ad evidenza pubblica - i concorsi - atte a individuare 
i soggetti pi� idonei al conseguimento dello scopo. A tal fine - garantire 
un�equilibrata offerta del servizio anche in aree disagiate e scarsamente 
(10) In argomento vd. osservazioni dell�Austria afferenti il procedimento di infrazione n. 
2004/4468, e, in particolare, l�allegato Conseguences of Crispi Act 1888: Community Pharmacis before 
and after deregulation. 
(11) L. 22 maggio 1913 n. 468. 
(12) Cd. farmacie municipalizzate, ex art. 12 e farmacie condotte ex art. 13 L. cit, secondo le modalit� 
organizzative di cui alla L. 103/1913 sull�assunzione diretta dei pubblici servizi, successivamente 
sostituita dalla L. 2578/1925. 
(13) In dottrina ZANOBINI, Corso di Diritto Amministrativo, 1949, Giuffr�, p. 148: �Lo Stato e gli 
Enti pubblici minori possono conseguire i propri fini oltre che direttamente, cio� traverso l�azione dei 
propri organi, anche indirettamente, valendosi dell�opera di persone che, pur restando fuori della loro 
organizzazione, curano in vario modo la soddisfazione degli interessi pubblici. Tali persone conservano 
posizione di privati: la loro attivit� non � riferibile all�ente pubblico, ma � attivit� loro propria, da essi 
dispiegata in proprio nome e il pi� delle volte anche nel proprio interesse. Essa � pubblica solo per i 
suoi effetti: perch� soddisfa a fini e interessi pubblici �. La tesi era gi� stata esposta dall�A. in �L�esercizio 
privato delle funzioni e dei servizi pubblici�, Milano, 1920.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 59 
popolate - viene istituita la pianta organica: l�apertura delle nuove farmacie 
risulta pertanto condizionata al rispetto del criterio demografico. 
Detti principi risultano in parte mantenuti dai successivi interventi legislativi 
in materia. 
L�originario assetto giolittiano � infatti confermato dal Testo Unico delle 
Leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 (14). Le successive 
leggi di riforma del settore, rispettivamente la L. 2 aprile 1968 n. 474, cd. 
Legge Mariotti, e la L. 8 novembre 1991 n. 362 e succ. mod. e int., in parte 
confermano, in parte modificano il sistema previgente (15). In particolare si 
delinea il servizio farmaceutico quale servizio pubblico in titolarit� regionale, 
per effetto del trasferimento alle regioni dei rispettivi compiti, compiutosi in 
virt� del DPR 14 gennaio 1972 n. 4. 
Conseguentemente, anche l�apertura e l�esercizio delle farmacie comunali 
sono soggetti all�autorizzazione regionale (16). 
La giurisprudenza costituzionale ha avuto modo, negli anni, di accertare 
(14) Il quale dispone, tra l�altro: l�attribuzione del diritto di esercizio a chi abbia conseguito il 
titolo di abilitazione (art. 100); la previsione e disciplina del regime concessorio, ivi incluse le ipotesi 
di decadenza, avente ad oggetto la titolarit� e l�esercizio della farmacia (artt. 104, 108, 109, 110, 113); 
la vigilanza pubblicistica dell�esercizio della farmacia (art. 99); la distinzione tra farmacie urbane e 
quelle rurali (art. 115, vd. ora L. 8 marzo 1968 n. 221); la previsione del criterio topografico in relazione 
a esigenze dell�assistenza farmaceutica, quale criterio aggiuntivo di pianificazione (art. 104); il divieto 
di cumulo di autorizzazioni in una sola persona (art. 112); l�incompatibilit� con la professione medica 
e il divieto di convenzioni con i medici sulla partecipazione agli utili della farmacia (art. 102); la riserva 
di vendita di medicinali a dose o forma di medicamento ai soli farmacisti e da effettuarsi nella farmacia 
sotto la responsabilit� del titolare della medesima (art. 122); la natura personale della concessione e il 
regime delle responsabilit� del titolare-gestore, gli obblighi di prestazione del servizio atti a garantire 
regolarit� e continuit� (artt. 112, 119); gli obblighi del titolare e il conseguente regime sanzionatorio (art. 123). 
(15) Il regime concessorio e il necessario contingentamento nell�apertura delle nuove farmacie per 
effetto della pianificazione data dal rapporto farmacie - popolazione (art. 1, co. 1, 2 e 3 L. 475/68 come 
mod. dall� art. 1 L. 362/1991); le procedure concorsuali, non solo per esami ma anche per titoli, bandite 
dalle Regioni in ambito provinciale e riservate ai cittadini di uno Stato membro della Comunit� Europea 
in possesso dei diritti civili e politici e iscritti all�Albo dei farmacisti (art. 4, co. 1 e 2, L. 362/91) la flessibilit� 
della pianta organica in relazione alle esigenze della collettivit� (artt. 2 e 5 L. 362/91); la titolarit� 
e gestione della farmacia privata in capo ai farmacisti o a societ� personali di farmacisti aventi ad oggetto 
esclusivo la gestione di una farmacia (art. 7 L. 362/91, succ. mod.); il regime delle incompatibilit� con 
qualsiasi altra attivit� esplicata nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione 
scientifica del farmaco, come interpretato dalla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 275/2003 
e successivamente modificato dall�art. 5, co. 5, DL 223/2006 cd. decreto Bersani, che ha eliminato il termine 
�distribuzione� (art. 8 L. 362/91); il regime della responsabilit� del regolare esercizio e della gestione 
in riferimento sia al titolare, soggetto, sia alla struttura, oggetto (art. 11 L. 475/1968, come mod. dall�art. 
11 L. 362/91); il riconoscimento di un�indennit� di residenza per compensare la carenza di autosufficienza 
economico-finanziaria alle farmacie rurali (L. 8 marzo 1968 n. 221); le condizioni per il trasferimento 
inter vivos delle farmacie private (art. 12 L. 475/1968 come mod. dall�art. 6 L. 892/1984, 7 co. 8 e ss. e 
13 L. 362/1991 e succ. mod. e int.). 
(16) Cfr. Cons. giust. Sic. 27 aprile 1978 n. 89, confermandosi l�unicit� della titolarit� a titolo originario 
in capo alle regioni. Circa i modelli gestionali delle farmacie comunali (e di queste soltanto), l�art. 
9 L. 475/1968 stabiliva che �le farmacie che si rendano vacanti e quelle di nuova istituzione a seguito 
della revisione della pianta organica possono, per la met�, essere assunte in gestione dal comune secondo
60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
la piena legittimit� costituzionale della disciplina farmaceutica, in primis ex 
artt. 3 e 32 Cost., pronunciandosi sulle disposizioni fondamentali, caratterizzanti 
il sistema solidale nazionale: la pianta organica (17), i concorsi per assegnazioni 
di sedi farmaceutiche (18), la regolamentazione degli orari e turni 
del servizio (19), le modalit� gestionali delle farmacie private e comunali (20). 
Successivamente nell�ambito degli interventi legislativi volti a promuovere 
la concorrenza, la competitivit� e la liberalizzazione dei settori produttivi, 
viene espressamente innovata una parte del sistema della distribuzione dei farmaci. 
le norme stabilite dal r.d. 15 ottobre 1925 n. 2578�. Successivamente all�entrata in vigore della L. n. 142 
del 1990 sugli Enti locali, la L. 362/1991, modificando il citato art. 9 L. 475/1968, richiamava - anche 
per le farmacie comunali - le nuove forme di gestione sui servizi pubblici locali di rilevanza economicoimprenditoriale: 
in economia, a mezzo di azienda speciale, di consorzi fra i comuni, ovvero a mezzo di 
societ� di capitali costituite tra il comune e i farmacisti in servizio presso l�esercizio di cui sia stata acquistata 
la titolarit�. L�art. 12 L. 362/1991 cit. definiva il trasferimento della titolarit� delle farmacie in 
gestione comunale. Successivamente l�art. 12 della L. 23 dicembre 1992 n. 498 avviava un pi� ampio 
processo di privatizzazione e, per l�effetto, estendeva anche alle farmacie comunali il modello della societ� 
a prevalente capitale privato. Allo stato attuale le citate modalit� di gestione delle farmacie comunali trovano 
conferma nella disciplina generale descritta dall�art. 113 D.Lvo 267/2000, T.U. sugli Enti locali, riguardante 
la �Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica�, 
disposizione che ha natura inderogabile e integrativa delle discipline di settore. Per effetto dell�entrata in 
vigore della L. 448/01, che integra e modifica il citato art. 113, si impongono due principi generali: i) le 
societ� di erogazione dei servizi pubblici a rilevanza economica non possono essere n� divenire proprietarie 
di reti impianti e altre dotazioni patrimoniali (salve ipotesi derogatorie e tassative); ii) l�affidamento 
del servizio al terzo gestore, ovvero la scelta del partner privato, deve avvenire nel rispetto delle procedure 
ad evidenza pubblica. Tali principi trovano conferma nella disciplina di settore che consente la scissione 
tra titolarit� della farmacia comunale, che rimane in capo all�ente locale, e la gestione, affidata alla societ� 
mista, ancorch� con capitale maggioritario privato. Sulla scissione tra titolarit� e gestione d�impresa GALGANO, 
Diritto civile e commerciale, III, t. I, 1990, 110 ss., spec. 116, 117; BERLE & MEANS, Societ� per 
azioni e propriet� privata, Torino, 1966; PUGLIATTI, Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965. 
(17) Sent. 579/1987; 4/1996; 27/2003; 76/2008; 295/2009. 
(18) Sent. 352/1992 e 448/2006. In tale ultima si precisa : �3.3. � La regola, oggi vigente, del concorso 
pubblico risponde all�esigenza di �garantire in modo stabile ed efficace il servizio farmaceutico� 
(sentenza n. 352 del 1992) sull�intero territorio nazionale (onde al suo rispetto sono tenute anche �le 
province autonome�). 
E� proprio il concorso ad assicurare � stando alla lettera dell�art. 4 della legge n. 362 del 1991 � la 
parit� di trattamento tra i farmacisti ai fini del conferimento delle sedi vacanti o di nuova istituzione. 
Inoltre, se si considera che, sotto il profilo funzionale, i farmacisti sono concessionari di un pubblico 
servizio, la regola del concorso costituisce lo strumento pi� idoneo ad assicurare che gli aspiranti vengano 
selezionati secondo criteri oggettivi di professionalit� ed esperienza, a garanzia dell�efficace ed 
efficiente erogazione del servizio. 
Ne discende la natura di �principio fondamentale� della regola del concorso, aperto alla partecipazione 
di tutti i soggetti iscritti all�albo dei farmacisti, per il conferimento delle sedi farmaceutiche vacanti o di 
nuova istituzione. Alla stregua di tale principio dev�essere valutata la legittimit� della norma censurata, 
che pone sullo stesso piano i cittadini italiani e i cittadini degli altri Paesi comunitari, sia ai fini del conferimento 
delle sedi riservate, nel caso in cui fossero titolari di una delle farmacie rurali cui la legge si 
riferisce, sia, nel caso contrario, ai fini dell�esclusione dalla possibilit� di concorrere per il conferimento 
di quelle sedi�. 
(19) Sentt. nn. 446/1988 e 27/2003. 
(20) Sent. 275/2003.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 61 
L�art. 5 del Decreto Bersani 2006, d.l 4 luglio 2006 n. 233 conv. con mod. 
in L. agosto 2006 n. 248 (21), introduce la vendita dei farmaci senza obbligo 
di prescrizione medica e da automedicazione anche al di fuori delle farmacie, 
nei corner dei supermercati e negli esercizi commerciali di vicinato (definite 
nel linguaggio comune �parafarmacie�), su semplice comunicazione al Ministero 
della Salute e alla regione di competenza. Dunque, oltre ai farmacisti titolari 
di farmacie, anche gli esercizi commerciali (rectius, i titolari degli stessi) 
divengono soggetti abilitati a dispensare al pubblico talune tipologie di famaci, 
(21) Art. 5: �Interventi urgenti nel campo della distribuzione di farmaci� 
1. Gli esercizi commerciali di cui all'articolo 4 comma 1 , lettere d) e) f) del decreto legislativo 31 marzo 
1998 n. 114 possono effettuare attivit� di vendita al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione, 
di cui all'articolo 9 �bis del decreto-legge 18 settembre 2001 n. 347, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 16 novembre 2001 n. 405, e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica, previa 
comunicazione al Ministero della salute e alla regione in cui ha sede l'esercizio e secondo le modalit� 
previste dal presente articolo. � abrogata ogni norma incompatibile. 
2. La vendita di cui al comma 1 � consentita durante l'orario di apertura dell'esercizio commerciale e 
deve essere effettuata nell'ambito di un apposito reparto, alla presenza e con l'assistenza personale e diretta 
al cliente di uno o pi� farmacisti abilitati all'esercizio della professione ed iscritti al relativo ordine. 
Sono, comunque, vietati i concorsi, le operazioni a premio e le vendite sotto costo aventi ad oggetto farmaci. 
3. Ciascun distributore al dettaglio pu� determinare liberamente lo sconto sul prezzo indicato dal produttore 
o dal distributore sulla confezione del farmaco rientrante nelle categorie di cui al comma 1, 
purch� lo sconto sia esposto in modo leggibile e chiaro al consumatore e sia praticato a tutti gli acquirenti. 
Ogni clausola contrattuale contraria � nulla. Sono abrogati l'articolo 1, comma 4 del decreto-legge 27 
maggio 2005 n. 87, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 2005 n.149, ed ogni altra norma 
incompatibile. 
3-bis. Nella provincia di Bolzano � fatta salva la vigente normativa in materia di bilinguismo e di uso 
della lingua italiana e tedesca per le etichette e gli stampati illustrativi delle specialit� medicinali e dei 
preparati galenici come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988 n. 574. 
4. Alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 105 del decreto legislativo 24 aprile 2006 n. 219, � aggiunto, 
infine, il seguente periodo: �L'obbligo di chi commercia all'ingrosso farmaci di detenere almeno il 90 
per cento delle specialit� in commercio non si applica ai medicinali non ammessi a rimborso da parte 
del servizio sanitario nazionale, fatta salva la possibilit� del rivenditore al dettaglio di rifornirsi presso 
altro grossista�. 
5. Al comma 1 dell'articolo 7 della legge 8 novembre 1991 n. 362, sono soppresse le seguenti parole: 
�che gestiscano farmacie anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge�; al comma 
2 del medesimo articolo sono soppresse le seguenti parole: �della provincia in cui ha sede la societ��; 
al comma 1, lettera a), dell'articolo 8 della medesima legge � soppressa la parola: �distribuzione�. 
6. Sono abrogati i commi 5, 6 e 7 dell'articolo 7 della legge 8 novembre 1991 n. 362. 
6-bis. I commi 9 e 10 dell' dell'articolo 7 della legge 8 novembre 1991 n. 362 sono sostituiti dai seguenti: 
�9. A seguito di acquisto a titolo di successione di una partecipazione in una societ� di cui al comma 
1, qualora vengano meno i requisiti di cui al secondo periodo del comma 2, l'avente causa cede la quota 
di partecipazione nel termine di due anni dall'acquisto medesimo. 
10. Il termine di cui al comma 9 si applica anche alla vendita della farmacia privata da parte degli 
aventi causa ai sensi del dodicesimo comma dell'articolo 12 della legge 2 aprile 1968 n. 475�. 
6-ter. Dopo il comma 4 dell'articolo 7 della legge 8 novembre 1991 n. 362 � inserito il seguente: 
"4-bis. Ciascuna delle societ� di cui al comma 1 pu� essere titolare dell'esercizio di non pi� di quattro 
farmacie ubicate nella provincia dove ha sede legale�. 
7. Il comma 2 dell'articolo 100 del decreto legislativo 24 aprile 2006 n. 219 � abrogato.
62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
a determinate condizioni di vendita e vigilanza (titolarit� dell�attivit�). 
La parziale deregolamentazione - attribuendo la titolarit� di una parte del 
servizio farmaceutico anche in capo a soggetti non qualificati, perch� privi del 
conferimento della relativa funzione propria del SSN come sopra descritta 
(procedure concorsuali e atti di pianificazione mediante inserimento nella 
pianta organica) - costituisce un pericoloso vulnus al sistema generale e unitario 
di organizzazione dei servizi sanitari, specie all�esito dei precedenti della 
Corte di Giustizia. 
Vi � infatti da chiedersi se oggi la dispensazione dei farmaci da banco o 
senza obbligo di prescrizione medica fuori dalla farmacia, sia sempre qualificabile 
�servizio farmaceutico� ovvero se la titolarit�, originariamente pubblica 
(nella specie attribuita alle Regioni) non sia pi� �riservata� ai farmacisti vincitori 
dei concorsi, ovvero, ai Comuni. 
Al riguardo � bene ricordare che, anteriormente alle pronunce del giudice 
comunitario sulla riserva di titolarit� in capo ai soli farmacisti (e ai Comuni), 
la Consulta � stata investita della verifica di legittimit� della citata disposizione 
del d.l. 4 luglio 2006 n. 233 conv. con mod. in L. 4 agosto 2006 n. 248. 
Ebbene, con decisione n. 430 del 14 dicembre 2007 la Corte Costituzionale 
nel fissare implicitamente i parametri di bilanciamento tra la tutela della 
concorrenza (e dunque la competitivit� economica del Paese) e la tutela della 
salute, ha attribuito valore prevalente a quest�ultima. 
La Corte, rigettando i ricorsi delle Regioni Veneto e Sicilia che censuravano 
la violazione delle prerogative legislative regionali in materia di �commercio� 
e �professioni�, ha confermato l�inquadramento del servizio 
farmaceutico quale parte integrante della pi� vasta organizzazione pubblicistica 
predisposta a tutela della salute. Nell�ambito di detto servizio, infatti, il 
legislatore ha regolamentato in dettaglio la produzione e messa in commercio 
dei farmaci, anche di automedicazione, mantenendo la riserva di vendita in 
capo ai farmacisti (art. 122 del regio decreto 27 luglio 1934 n. 1265 e art. 9 
bis del decreto legge 18 settembre 2001 n. 347 conv. in legge 16 novembre 
2001 n. 405). La Consulta, rinviando a propri consolidati orientamenti, afferma 
che la materia dell�organizzazione del servizio farmaceutico va ricondotta al 
titolo di competenza �concorrente� della �tutela della salute�: �la complessa 
regolamentazione pubblicistica dell'attivit� economica di rivendita dei farmaci 
mira, infatti, ad assicurare e controllare l'accesso dei cittadini ai prodotti medicinali 
ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, 
restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere 
professionale, sia l'indubbia natura commerciale dell'attivit� del farmacista 
(sentenze n. 448 del 2006 e n. 87 del 2006; nonch� sentenze n. 275 e n. 27 del 
2003), dei quali pure si occupa la norma. Analogamente il divieto di concorsi, 
delle operazioni a premio e delle vendite sotto costo aventi ad oggetto i farmaci, 
peraltro stabilito nel quadro di una legge diretta ad eliminare vincoli e
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 63 
restrizioni nell'esercizio delle attivit� di distribuzione commerciale, � palesemente 
ispirato dall'intento di assicurare modalit� della vendita coerenti con 
la funzione dei prodotti e con la tutela della salute, e cio� di evitare che l'acquisto 
dei medicinali possa essere influenzato da ragioni diverse da quelle 
della loro indispensabilit� ai fini terapeutici. L'interferenza va, quindi, composta 
facendo ricorso al criterio della prevalenza, applicabile appunto quando 
risulti evidente, come nella specie, l'appartenenza del nucleo essenziale della 
disciplina alla materia �tutela della salute� (sentenze n. 422 e n. 181 del 2006; 
n. 135 e n. 50 del 2005)�. 
La decisione, da un lato, accerta la legittimit� costituzionale del Decreto 
Bersani nei limiti delle censure all�epoca prospettate dalle regioni ricorrenti 
(22); dall�altro attribuisce �prevalenza� alla materia di salvaguardia del diritto 
alla salute, ponendo limiti insuperabili a qualsivoglia scelta legislativa di riforma 
del servizio farmaceutico elaborata in chiave prevalentemente economicistica. 
Ebbene, sul punto della riserva di titolarit� (23) del servizio, la citata decisione 
della Consulta andrebbe rimeditata alla stregua della giurisprudenza 
della Corte di Giustizia. 
Ad ogni modo deve escludersi che il legislatore statale, nel riformare il 
servizio farmaceutico, possa operare un�indebita attrazione, nell�ambito della 
competenza trasversale della �tutela della concorrenza�, della diversa materia 
di �tutela della salute�, in virt� del richiamato criterio di prevalenza. 
Risultano pertanto costituzionalmente determinati e incomprimibili gli 
obiettivi di interesse generale riconducibili agli artt. 3 e 32 della Cost. e sottesi 
alla disciplina di organizzazione dei servizi sanitari, con conseguente rilevanza 
meramente marginale degli obiettivi sottesi alle libert� economiche protette e 
garantite dall�art. 41 Cost. (24). 
In tale ambito appare incontestabile che l�art. 32 Cost. costituisca limite 
di utilit� sociale alla libert� di iniziativa economica e al contempo principio 
fondamentale a giustificazione della potest� di pianificazione pubblica basata 
principalmente sui principi fondamentali di: i) istituzione e assegnazione delle 
sedi farmaceutiche per pubblico concorso; ii) contingentamento attuato mediante 
pianta organica; iii) convenzione con il servizio sanitario nazionale; 
iiii) riserva (di titolarit�) di vendita dei medicinali in capo ai farmacisti. 
Il sopra descritto �sistema nazionale� � garanzia di indirizzo e coordinamento 
delle attivit� economiche a fini sociali. 
(22) E comunque non opera alcuna distinzione tra titolarit� e gestione dell�attivit� di vendita. 
(23) Distinta dalla gestione. 
(24) �L'iniziativa economica privata � libera. Non pu� svolgersi in contrasto con l'utilit� sociale 
o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libert�, alla dignit� umana. La legge determina i programmi 
e i controlli opportuni perch� l'attivit� economica pubblica e privata possa essere indirizzata 
e coordinata a fini sociali�.
64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
In questa visione prospettica, le aperture al mercato introdotte dall�art. 5, 
del d.l. 4 luglio 2006 n. 233 conv. con mod. in L. 4 agosto 2006 n. 248 - che 
oggi debbono necessariamente essere interpretate alla luce della successiva 
evoluzione del diritto comunitario, in primis all�esito delle sentenze del 19 
maggio 2009 Causa C-531/06; 1 giugno 2010 cause riunite C-570/07 e C- 
571/07; 1 luglio 2010 causa C-393/08 della Corte di Giustizia - pongono seri 
problemi di ragionevolezza ed eguaglianza ex artt. 3, 32 e 41 Cost.. 
In altri termini, una pi� accentuata liberalizzazione potrebbe risultare costituzionalmente 
irragionevole, ingiustificata, non proporzionata e comunque 
discriminatoria, anche alla luce del primato del diritto comunitario (25): disciplinare 
in modo differenziato una medesima attivit�, qualificata dalla Consulta 
essenzialmente �servizio farmaceutico�, e non gi� �attivit� commerciale�, 
in ragione del luogo in cui viene esercitata, costituisce una deroga alla regolamentazione 
generale fondata sui principi fondamentali della pianificazione 
pubblica e del pubblico concorso, rilevanti ex artt. 3, 32 e 41, commi 2 e 3, Cost.. 
Appare allora ingiustificato che i limiti di utilit� sociale discendenti dalla 
disciplina della pianificazione non operino nei confronti di strutture �diverse� 
dalla farmacia, la sola convenzionata con il servizio sanitario nazionale, istituita 
mediante concorso pubblico e inserita nella pianta organica. 
Ancor pi� censurabile, dal punto di vista della compatibilit� costituzionale 
e comunitaria, sarebbe poi una riforma che renda assoluto l�esercizio delle libert� 
economiche, eliminando del tutto le restrizioni di utilit� sociale, le finalit� 
e il coordinamento pubblico, fondati sulla primaria esigenza di tutela della salute 
pubblica e di erogazione di prestazioni assistenziali di natura anche non 
economica. 
3. L�evoluzione del diritto comunitario: la tutela dei diritti fondamentali della 
persona e il modello sociale europeo 
L�intervento in campo sanitario dell�Unione Europea mediante l�attivit� 
di produzione normativa e cooperazione con gli Stati Membri � in progressivo 
incremento. 
(25) Come si vedr� oltre la Corte di Giustizia (sent. 19 maggio 2009 causa C-531/06) mentre ha 
accertato la ragionevolezza e proporzionalit� dell�introduzione della deroga alla riserva della titolarit� 
in capo ai farmacisti per le sole farmacie comunali, il cui esercizio gestionale � tutelato da cogenti controlli 
pubblici, ha dichiarato compatibile con il diritto comunitario la restrizione della titolarit� delle farmacie 
private in capo ai soli farmacisti, in quanto inserite nel sistema solidale della pianificazione 
pubblica. A questo punto, in relazione alla vendita di farmaci da automedicazione e senza obbligo di 
prescrizione medica, sorge un problema di disparit� di trattamento della regolamentazione interna, rispettivamente 
tra farmacisti assegnatari di sedi farmaceutiche in esito a concorsi pubblici, la cui attivit� 
� gravata da obblighi assai onerosi di pubblico servizio e farmacisti titolari di esercizi di vicinato, non 
titolari di farmacie, non inseriti nella pianta organica e non gravati dagli obblighi di servizio pubblico 
propri delle farmacie. 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 65 
3.1. I Trattati 
A partire dal Trattato di Maastricht del 1992, che inserisce un titolo denominato 
�sanit� pubblica�, � andata crescendo l�attenzione delle politiche 
comunitarie nei confronti della salute pubblica fino al salto di qualit� dei Trattati 
di Amsterdam (1997) e Lisbona (2007) e della Carta di Nizza (2000) che 
riconoscono la centralit� dei diritti della persona e rendono pienamente vincolante 
in ambito europeo la Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti 
dell�Uomo (CEDU), tra i quali � compreso il diritto alla salute (26). 
Il consolidamento dei Trattati (27) in riferimento alle materie della libera 
concorrenza e della salute pubblica, e alle reciproche interferenze, risulta sinteticamente 
articolato nel modo seguente: 
- in applicazione dei criteri di attribuzione, l�art. 3, lett. b) ed e), TFUE 
assegna una competenza esclusiva all�UE in materia di definizione delle regole 
di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno e di politica 
commerciale comune (con la conseguenza che ex art. 2 TFUE solo l'Unione 
pu� legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti, mentre gli Stati membri 
possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall'Unione oppure per 
dare attuazione agli atti dell'Unione); 
- risultano viceversa applicabili in materia di tutela e miglioramento della 
salute umana, che assurge a diritto fondamentale del cittadino europeo i criteri 
di sussidiariet� e proporzionalit� sanciti dall�art. 6 TFUE sicch� �l'Unione ha 
competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare 
l'azione degli Stati membri�. Inoltre �Nella definizione e nell'attuazione delle 
sue politiche e azioni, l'Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione 
di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un'adeguata protezione 
sociale, la lotta contro l'esclusione sociale e un elevato livello di 
istruzione, formazione e tutela della salute umana (art. 9 TFUE). 
- A norma dell�art. 168 TFUE (ex art. 152 TUE): 
�1. Nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attivit� dell'Unione 
� garantito un livello elevato di protezione della salute umana. 
L'azione dell'Unione, che completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento 
della sanit� pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni 
e all'eliminazione delle fonti di pericolo per la salute fisica e mentale. Tale 
azione comprende la lotta contro i grandi flagelli, favorendo la ricerca sulle 
loro cause, la loro propagazione e la loro prevenzione, nonch� l'informazione 
(26) Secondo l�elaborazione della Corte dei Diritti dell�Uomo la prima frase dell�art. 2 CEDU 
obbliga gli Stati non solo ad astenersi dal dare la morte �intenzionalmente� ma anche ad adottare le misure 
necessarie alla protezione della vita delle persone sottoposte alla loro giurisdizione (L.C.B. c. Royaume-
Uni arret du 9 juin 1998. Recai des arrets et decisions 1998-III p.1403 � 36; Powell c. 
Royaume-Uni (dec.) n. 45305/99, CEDH 2000-V; Calvelli et Ciglio � 49). 
(27) Versioni consolidate pubblicate in GUUCE C 83 del 30 marzo 2010: i riferimenti riguardano 
gli articoli come rinumerati dopo il Trattato di Lisbona con decorrenza dal 1 dicembre 2009.
66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
e l'educazione in materia sanitaria, nonch� la sorveglianza, l'allarme e la lotta 
contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero. 
L'Unione completa l'azione degli Stati membri volta a ridurre gli effetti 
nocivi per la salute umana derivanti dall'uso di stupefacenti, comprese l'informazione 
e la prevenzione. 
2. L'Unione incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri nei settori 
di cui al presente articolo e, ove necessario, appoggia la loro azione. In particolare 
incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri per migliorare la 
complementariet� dei loro servizi sanitari nelle regioni di frontiera. 
Gli Stati membri coordinano tra loro, in collegamento con la Commissione, 
le rispettive politiche ed i rispettivi programmi nei settori di cui al paragrafo 
1. La Commissione pu� prendere, in stretto contatto con gli Stati 
membri, ogni iniziativa utile a promuovere detto coordinamento, in particolare 
iniziative finalizzate alla definizione di orientamenti e indicatori, all'organizzazione 
di scambi delle migliori pratiche e alla preparazione di elementi necessari 
per il controllo e la valutazione periodici. Il Parlamento europeo � 
pienamente informato. 
3. L'Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi 
terzi e con le organizzazioni internazionali competenti in materia di sanit� 
pubblica. 
4. In deroga all'articolo 2, paragrafo 5, e all'articolo 6, lettera a), e in 
conformit� dell'articolo 4, paragrafo 2, lettera k), il Parlamento europeo e il 
Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa 
consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, 
contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi previsti dal presente articolo, 
adottando, per affrontare i problemi comuni di sicurezza: a) misure che fissino 
parametri elevati di qualit� e sicurezza degli organi e sostanze di origine 
umana, del sangue e degli emoderivati; tali misure non ostano a che gli Stati 
membri mantengano o introducano misure protettive pi� rigorose; b) misure 
nei settori veterinario e fitosanitario il cui obiettivo primario sia la protezione 
della sanit� pubblica; c) misure che fissino parametri elevati di qualit� e sicurezza 
dei medicinali e dei dispositivi di impiego medico. 
5. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura 
legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e 
sociale e del Comitato delle regioni, possono anche adottare misure di incentivazione 
per proteggere e migliorare la salute umana, in particolare per lottare 
contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera, misure 
concernenti la sorveglianza, l'allarme e la lotta contro gravi minacce per la 
salute a carattere transfrontaliero, e misure il cui obiettivo diretto sia la protezione 
della sanit� pubblica in relazione al tabacco e all'abuso di alcol, ad 
esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari 
degli Stati membri. 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 67 
6. Il Consiglio, su proposta della Commissione, pu� altres� adottare raccomandazioni 
per i fini stabiliti dal presente articolo. 
7. L'azione dell'Unione rispetta le responsabilit� degli Stati membri per 
la definizione della loro politica sanitaria e per l'organizzazione e la fornitura 
di servizi sanitari e di assistenza medica. Le responsabilit� degli Stati membri 
includono la gestione dei servizi sanitari e dell'assistenza medica l�assegnazione 
delle risorse loro destinate. Le misure di cui al paragrafo 4, lettera a) 
non pregiudicano le disposizioni nazionali sulla donazione e l'impiego medico 
di organi e sangue�. 
- a norma dell�art. 174 TFEU (ex articolo 158 del TCE) per promuovere 
uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue 
la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, 
sociale e territoriale. 
- l�art. 35 della Carta dei Diritti fondamentali dell�Unione Europea stabilisce 
inoltre che ogni individuo ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria 
e di ottenere cure mediche e che deve essere garantito un livello elevato 
di protezione della salute umana. 
Secondo l�assetto attuale, dunque, il progresso economico dell�Unione 
deve essere accompagnato dalla coesione sociale e territoriale e dalla tutela 
dei diritti fondamentali della persona. 
3.2. Il diritto comunitario derivato 
Sul piano del diritto derivato afferente il servizio farmaceutico l�Unione 
Europea ha disciplinato esclusivamente il riconoscimento delle qualifiche professionali 
(direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 settembre 2005, 
2005/36/CE, GU L 255, pag. 22, avente ad oggetto anche i farmacisti) e la distribuzione 
e il commercio dei farmaci (Direttive 2001/83/CE, 2004/24/CE, 
2004/27CE- Codice comunitario per i medicinali ad uso umano). Il ventiseiesimo 
�considerando� della Direttiva 2005/36/CE, enuncia quanto segue: �La 
presente direttiva non coordina tutte le condizioni per accedere alle attivit� 
nel campo della farmacia e all�esercizio di tale attivit�. In particolare, la ripartizione 
geografica delle farmacie e il monopolio della dispensa dei medicinali 
dovrebbe continuare ad essere di competenza degli Stati membri. La 
presente direttiva non modifica le norme legislative, regolamentari e amministrative 
degli Stati membri che vietano alle societ� l�esercizio di talune attivit� 
di farmacista o sottopongono tale esercizio a talune condizioni�. Tale 
�considerando� riprende, in sostanza, il secondo �considerando� della direttiva 
del Consiglio 16 settembre 1985, 85/432/CEE, concernente il coordinamento 
delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti talune 
attivit� nel settore farmaceutico (GU L 253, pag. 34), e il decimo �considerando� 
della direttiva del Consiglio 16 settembre 1985, 85/433/CEE, 
concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli
68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
in farmacia e comportante misure destinate ad agevolare l�esercizio effettivo 
del diritto di stabilimento per talune attivit� nel settore farmaceutico (GU L 
253, pag. 37), direttive che sono state abrogate con effetto a decorrere dal 20 
ottobre 2007 e sostituite dalla direttiva 2005/36. Il recente D.Lvo 24 aprile 
2006 n. 219 - Codice comunitario per i medicinali ad uso umano - in attuazione 
delle Direttive 2001/83/CE, 2004/24/CE, 2004/27CE, disciplina altres� la distribuzione 
e il commercio dei medicinali. La distribuzione all�ingrosso � subordinata 
al possesso di un�autorizzazione regionale (art. 100, co.1). La citata 
autorizzazione non � richiesta se l�interessato � in possesso dell�autorizzazione 
alla produzione a condizione che la distribuzione all�ingrosso sia limitata ai 
medicinali oggetto di tale autorizzazione (art. 100, co. 3). Dunque il medesimo 
soggetto, gi� autorizzato alla produzione, � abilitato anche alla distribuzione 
all�ingrosso. Il testo normativo disciplina altres� nel dettaglio, mediante rigorose 
procedure di autorizzazione e controllo, le attivit� di informazione scientifica 
a medici e farmacisti (art. 119 e ss.), le pubblicit� commerciali al 
pubblico (art. 118), le funzioni e i compiti di farmacovigilanza (28). Il 45� 
Considerando della Direttiva stabilisce che la pubblicit� presso il pubblico di 
medicinali che possono essere venduti senza prescrizione medica potrebbe, se 
eccessiva e sconsiderata, incidere negativamente sulla salute pubblica; che 
inoltre (52� Considerando) � necessario che le persone autorizzate a prescrivere 
o a fornire medicinali dispongano di fonti di informazioni imparziali e 
obiettive sui medicinali disponibili sul mercato. 
L�art. 5, comma 7 del D.L. 223/2006, decreto Bersani, ha abrogato l�incompatibilit� 
tra la distribuzione all�ingrosso e la vendita dei medicinali (29): 
la modifica, in combinato disposto con le altre disposizioni del Codice comunitario 
in esame, in un regime liberalizzato, potrebbe aggravare il rischio di 
concentrazioni nel mercato e di integrazioni verticali e comunque risulterebbe 
in contrasto con la sostanziale distinzione di attivit� distribuzione all�ingrosso 
e dispensazione al pubblico da parte dei farmacisti sottesa dagli artt. 77 � 85 
della medesima Direttiva 2001/83/CE (30). 
(28) Ai sensi dell�art. 113, viene definita pubblicit� dei medicinali qualsiasi azione di informazione 
di ricerca della clientela o di esortazione intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o 
il consumo di medicinali. La pubblicit� di un medicinale, assoggettata a limiti e autorizzazione ministeriale, 
deve comunque favorire l�uso razionale del medicinale, presentandolo in modo obiettivo e senza 
esagerarne le propriet�, e non pu� essere ingannevole. 
(29) L�art. 100/2 del D.Lvo 219/2006 recitava �Le attivit� di distribuzione all�ingrosso dei medicinali 
e quella di fornitura al pubblico di medicinali in farmacia sono fra loro incompatibili�. 
(30) L�art. 77 Direttiva consente la distribuzione all�ingrosso da parte dei farmacisti ma non viceversa. 
�Quando le persone autorizzate a fornire medicinali al pubblico possono esercitare, in forza 
della legislazione nazionale, anche un'attivit� di grossista, esse sono soggette all'autorizzazione di cui 
al paragrafo 1� .
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 
3.3. Le decisioni della Corte di giustizia e il principio di precauzione 
Su ricorso ex art. 226, primo comma, CE la Commissione avviava il procedimento 
per inadempimento dello Stato Italiano in riferimento ai presunti 
profili di incompatibilit� della legislazione interna, per violazione degli artt. 
43 CE (libert� di stabilimento) e 56 CE (libert� di circolazione dei capitali), 
nella misura in cui la stessa riserva la titolarit� delle farmacie in capo ai soli 
farmacisti o societ� di farmacisti e preclude alle imprese di distribuzione di 
prodotti farmaceutici di acquisire partecipazioni nella societ� di gestione di 
farmacie comunali. Il procedimento - che trovava origine, significativamente, 
in un ricorso da parte di un importante gruppo europeo di distribuzione (e produzione) 
di farmaci generici - era accompagnato da altre iniziative della Commissione 
nei confronti di analoghe legislazioni nazionali (austriaca, spagnola) 
in ordine ai principi della pianificazione (pianta organica). Intervenivano nel 
procedimento innanzi alla Corte di Giustizia, a sostegno della posizione italiana 
in difesa del sistema nazionale di natura solidale fondato sulla pianificazione, 
ben cinque Stati membri: la Repubblica Ellenica, il Regno di Spagna, 
la Repubblica francese, la Repubblica di Lettonia e la Repubblica d�Austria. 
In particolare la Lettonia, che aveva consentito la recente liberalizzazione dei 
servizi, segnalava nei propri scritti difensivi le gravi inefficienze e compressioni 
della qualit� dei servizi farmaceutici in seguito alle citate riforme. L�Austria 
provava significativamente i gravi rischi per la salute umana derivanti da 
un uso non corretto dei farmaci, anche da banco e da automedicazione; la Spagna 
censurava l�operato della Commissione che tentava di introdurre un modello 
liberistico unico per l�intera Europa in violazione del principio di 
sussidiariet� e al di fuori dei meccanismi di partecipazione democratica propri 
dei parlamenti nazionali ed europeo. 
La questione, data l�importanza, veniva devoluta alla Grande Sezione. 
All�esito della discussione la Corte rigettava il ricorso della Commissione 
riconoscendo la piena compatibilit� del diritto italiano rispetto al diritto comunitario. 
Nel dettaglio accertava non provato da parte della Commissione 
che le restrizioni oggetto di censura non fossero proporzionate ed adeguate in 
relazione alla tutela della salute pubblica. 
Nelle proprie argomentazioni il giudice adito, avendo chiarito preliminarmente 
come la responsabilit� degli Stati membri nell�organizzazione dei 
propri servizi sanitari non debba comprimere in modo ingiustificato e sproporzionato 
le libert� economiche garantite dal Trattato (punti 35 e 36) riconosce 
che la salute e la vita delle persone occupano il primo posto tra i beni e gli 
interessi protetti dal Trattato (punto 36); che inoltre nessuna disposizione specifica 
comunitaria precisa l�ambito delle persone titolari del diritto di gestire 
una farmacia. Effettivamente, afferma la Corte, la normativa italiana comporta 
restrizioni, sia pur non discriminatorie, sia alla libert� di stabilimento che alla 
libert� di circolazione dei capitali e pertanto occorre verificare se le citate re-
70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
strizioni siano giustificate allo scopo di garantire un rifornimento di medicinali 
alla popolazione sicuro e di qualit� inteso quale motivo imperativo di interesse 
pubblico (punti 49-53). Ebbene conclude la Corte, si giustifica pienamente 
che �qualora sussistano incertezze circa l�esistenza o l�entit� dei rischi per la 
salute delle persone lo Stato membro possa adottare misure di tutela senza 
dover aspettare la concretezza di tali rischi sia pienamente dimostrata. Inoltre 
lo Stato membro pu� adottare misure che riducano per quanto possibile il rischio 
per la sanit� pubblica (v. in tal senso sentenza 5 giugno 2007 causa C- 
170/04 Rosengren e a., Racc. pag. I-4071, punto 49) compreso, pi� 
precisamente, il rischio per il rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro 
e di qualit� (punto 54)�. Data la nocivit� di tutti i medicinali, i potenziali 
rischi per la salute pubblica e per l�equilibrio finanziario dei sistemi di sicurezza 
sociale dei singoli Stati giustificano, in quanto proporzionata e adeguata 
allo scopo, una legislazione nazionale coerente e sistematica che riservi in 
capo ai soli farmacisti indipendenti, con esclusione degli altri operatori economici, 
la titolarit� della gestione del servizio farmaceutico. In ultima analisi, 
osserva la Corte che uno Stato membro pu� ritenere che costituisca un rischio 
per la sanit� pubblica, la gestione di una farmacia da parte di un non farmacista: 
��.valutare se un tale rischio esista con riferimento ai produttori e ai 
commercianti all�ingrosso di prodotti farmaceutici per il motivo che questi ultimi 
potrebbero pregiudicare l�indipendenza dei farmacisti stipendiati incitandoli 
a promuovere i medicinali da essi stessi prodotti o commercializzati. 
Del pari uno Stato membro pu� valutare il rischio che i gestori non farmacisti 
compromettano l�indipendenza dei farmacisti stipendiati incitandoli a smerciare 
medicinali il cui stoccaggio non sia pi� redditizio o procedano a riduzioni 
di spese di funzionamento che possano incidere sulle modalit� di 
distribuzione al dettaglio dei medicinali�. 
La citata sentenza chiarisce ed enfatizza quanto segue: 
- la salute e la vita delle persone sono bene primario e incomprimibile 
della persona, protetto dal Trattato (e non solo dagli Stati membri, pur competenti 
a determinarne il livello di garanzia e le modalit� per raggiungerlo); 
- il principio di precauzione ben pu� essere a fondamento di una legislazione 
interna che anticipi la soglia di tutela del bene salute a fronte di rischi 
anche solo potenziali e non accertati; 
- la salvaguardia dell�indipendenza e formazione professionale del farmacista 
sono requisiti di garanzia per una dispensazione dei medicinali corretta 
e di qualit�, e quale prevenzione dai rischi di un mercato �imperfetto,� caratterizzato 
da gravi asimmetrie informative e forti interessi economici. 
Successivamente la Corte di Giustizia torna a pronunciarsi in ordine alle 
farmacie. 
L�occasione � la domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 234 CE del 
Tribunal Superior de Justicia de Asturias (cause C-570/07 e C-571/07) in virt�
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 
della quale si chiede di accertare se il diritto di stabilimento garantito dal Trattato 
osti alle disposizioni restrittive interne delle Asturie - del tutto simili alla 
normativa italiana - che disciplinano la pianta organica e il regime delle autorizzazioni 
all�apertura delle farmacie. Anche in tale decisione la Corte ribadisce 
preliminarmente la responsabilit� degli Stati membri nell�impostare i 
propri sistemi nazionali di assistenza sanitaria tenendo conto del fatto che la 
salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente tra i beni e 
gli interessi protetti dal Trattato (punti 43 e 44); che il diritto comunitario derivato 
lascia impregiudicato sia il principio del concorso � inteso come condizione 
di accesso alle attivit� del settore farmaceutico � sia i criteri di 
distribuzione territoriale del servizio. Verificato dunque che la normativa spagnola 
contiene disposizioni restrittive della libert� di stabilimento (concorso 
e pianta organica), ancorch� non discriminatorie, (punti 53-60), il giudice comunitario 
verifica se le stesse risultino giustificate dall�obiettivo di garantire 
alla popolazione una fornitura di medicinali sicura e di qualit� ai sensi degli 
artt. 168, n. 1 TFUE e 35 della Carta dei Diritti fondamentali dell�Unione Europea. 
Ebbene in applicazione del principio di precauzione (31) - sostiene la 
Corte - lo Stato membro pu� garantire un�equilibrata distribuzione del servizio 
sull�intero territorio nazionale mediante una pianificazione che tenga conto 
dei criteri, tra loro complementari, della popolazione e della distanza tra farmacie. 
Inoltre la Corte chiarisce espressamente le ragioni per le quali le argomentazioni 
a sostegno delle liberalizzazioni non siano condivisibili. In primo 
luogo la gravit� degli obiettivi propri della tutela della salute pubblica pu� 
giustificare restrizioni che abbiano conseguenze negative, anche gravi, per taluni 
operatori; secondariamente la normativa spagnola appare coerente e sistematica 
anche in ragione degli elementi di flessibilit� correlati alle specifiche 
esigenze della collettivit� (punti 97-103); in ultimo il cd. sistema de minimis 
non appare parimenti efficace rispetto all�obiettivo di assicurare un approvvigionamento 
sicuro e di qualit� nelle zone poco attraenti (punti 104 � 111). 
Successivamente la Corte di Giustizia con la sentenza 1� luglio 2010, 
causa C-393/08, avente valenza solo processuale in quanto dichiara irricevibile 
la domanda pregiudiziale del Tar Lazio in tema di orari e ferie delle farmacie, 
accerta tra l�altro, che le disposizioni del diritto comunitario in materia di concorrenza 
(artt. 81 CE � 86 CE) risultano manifestamente inapplicabili in un 
contesto quale quello del procedimento principale. 
(31) Qualora sussistano incertezze sull�esistenza o sulla portata di rischi per la salute delle persone, 
lo Stato Membro pu� adottare misure di protezione senza dover attendere che la realt� di tali 
rischi sia pienamente dimostrata (punto 74) in relazione al rischio di inadeguato approvvigionamento 
di medicinali quanto a sicurezza e qualit� (punto 75).
72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
3.4. La politica comunitaria sulla salute 
La tendenza evolutiva della politica europea per la salute pubblica � delineata 
altres� dal Libro Bianco della Commissione �Un impegno comune per 
la salute: approccio strategico dell�UE per il periodo 2008 � 2013�(32). La 
Relazione del Parlamento Europeo del 16 settembre 2008 sul citato documento 
evidenzia che i sistemi di sanit� solidali sono un elemento essenziale del modello 
sociale europeo, che � prioritario assicurare la sostenibilit� dei citati sistemi 
ed eliminare le disparit� a livello di assistenza sanitaria tra gli Stati e 
all�interno di ciascuno Stato, pur nel rispetto delle differenze dei sistemi gestionali 
e delle competenze dei singoli Stati. In tale prospettiva il Parlamento 
sollecita una politica europea pi� appropriata e adeguata ad assicurare un elevato 
livello di tutela della salute pubblica, basata su corrette valutazioni di impatto 
sanitario, sulla definizione del ruolo e delle responsabilit� dell�industria 
farmaceutica nell�ambito della sostenibilit� dei sistemi sanitari, un�informazione 
affidabile, indipendente e comparabile, la capacit� di elaborare linee 
guida per ridurre la prescrizione degli antibiotici nei casi di sola effettiva necessit�, 
garantire la lotta alla contraffazione dei medicinali ed una maggiore 
integrazione tra le politiche dei singoli Stati. 
4. Verifica della posizione dell�Autorit� per la Concorrenza ed il Mercato 
Considerato che il sistema sanitario italiano � fondato sul modello solidale 
(e non gi� liberistico) e che lo stesso, oltre ad essere pienamente compatibile 
con il diritto comunitario, anticipa le politiche europee in materia di salute 
pubblica, la posizione ufficialmente assunta dall�Autorit� Garante per la Concorrenza 
ed il Mercato nell�ambito della funzione consultiva di enforcement 
antitrust ex artt. 21 e 22 L. 287/1990 appare non pi� attuale e soprattutto non 
condivisibile per difetto di competenza, approccio metodologico ed esito dei 
contenuti. In primo luogo, nella prospettiva pur non condivisibile dell�AGCM, 
si pone un dubbio in ordine al riparto di competenze tra istituzioni nazionali 
e quelle comunitarie - in primis la Commissione - ai sensi degli artt. 1 L. 
287/1990, 2 e 3 TFUE. I giudizi innanzi alla Corte di Giustizia hanno infatti 
evidenziato che il contesto di mercato afferente la produzione, importazione 
e distribuzione all�ingrosso dei medicinali, data l�entit� degli operatori economici, 
la fluidit� tra ambiti nazionali e la vigenza del Codice Comunitario 
concernente i medicinali per uso umano, � significativamente rilevante per il 
mercato unico, e dunque di competenza comunitaria. Il rigetto del ricorso della 
Commissione da parte della Corte di Giustizia vincola pertanto anche l�Autorit� 
indipendente nazionale, alla quale � preclusa ogni ulteriore valutazione in 
(32) COM (2007)0630.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 
contrasto con le decisioni del giudice comunitario che affermano il carattere 
marginale delle libert� economiche in relazione al modello solidale esaminato. 
Resta quindi confermato che le eventuali restrizioni alla dispensazione dei farmaci 
al pubblico - attivit� ontologicamente distinta se non contrapposta alla 
produzione/distribuzione all�ingrosso dei medicinali - sono pienamente giustificate, 
adeguate e proporzionate per il perseguimento di fini di interesse generale. 
Il che comporta il venir meno dei presupposti a fondamento di 
qualsivoglia intervento dell�Antitrust ai sensi degli artt. 1, 21 e 22 L. 287/1990 
nella misura in cui lo stesso vada a censurare i fondamenti dell�organizzazione 
del servizio farmaceutico gi� vagliati favorevolmente dalla Corte di Giustizia. 
Il sistema sanitario solidale - fondato sulla pianificazione e sul principio del 
concorso pubblico - presuppone infatti che la dispensazione dei farmaci al 
pubblico riservata ai soli farmacisti titolari di farmacie, sia sottratta al mercato 
in quanto attivit� assistenziale. Pertanto le modalit� di dispensazione dei farmaci 
al pubblico, in quanto afferenti, in prevalenza, la tutela della salute pubblica 
(e non gi� della concorrenza) esulano dall�ambito di applicabilit� della 
L. 287/1990. Sotto il profilo metodologico si rileva che, ammesso e non concesso 
che l�Autorit� possa sindacare in s� la coerenza ed efficacia dell�organizzazione 
del servizio farmaceutico, tale valutazione debba essere compiuta 
in relazione ai fini di interesse generale sottesi alla disciplina di cui trattasi: la 
tutela della salute pubblica. Diversamente argomentando si porrebbe in essere 
un�inversione arbitraria tra fini e mezzi: la disciplina del servizio farmaceutico 
non � preordinata a soddisfare interessi economici o a garantire la competitivit� 
del Paese, bens� ad assicurare un elevato livello della salute pubblica. N� appaiono 
condivisibili le soluzioni che prospetta l�Autorit�. Per valutare il grado 
di efficienza e soddisfazione del servizio da parte della collettivit� l�AGCM 
dovrebbe allora fondare le proprie posizioni non gi� su documenti forniti da 
soggetti portatori di interessi economici settoriali � in specie Anifa Federchimica 
� bens� studi e rilevazioni di carattere �indipendente� o quanto meno 
�istituzionale�, aventi valenza non solo economica. Stupisce allora che l�Autorit� 
ignori del tutto i dati messi a disposizione periodicamente dal Censis 
ovvero dall�Osservatorio Nazionale sull�Impiego dei Medicinali (OsMed)(33). 
Il Censis, nell�audizione al Senato Commissione XII Igiene e Sanit� del 22 
settembre 2010 attesta un altro grado di gradimento da parte dei cittadini del 
sistema farmaceutico - quale parte integrante del SSN - mentre l�OsMed, nel 
Rapporto nazionale gennaio-settembre 2010 evidenzia, a seguito del venir 
meno della copertura brevettuale di importanti molecole, l�aumento globale 
della spesa farmaceutica degli equivalenti (30%). In altri termini a fronte di 
una diminuzione dei costi si registra comunque un aumento del consumo pro- 
(33) L�Osservatorio nazionale sull�Impiego dei farmaci, istituito con L. 448/98 ha tra le sue finalit� 
quella di descrivere i cambiamenti nell�uso dei farmaci e correlare problemi di sanit�.
74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
capite dei farmaci generici, che rappresentano oggi una fetta crescente del 
mercato globale (34). Risultano altres� disattesi i molteplici risultati della letteratura 
scientifica e delle Agenzie internazionali che si sono espresse circa i 
rischi di abuso dei farmaci o disinformazione degli assistiti. Considerato quindi 
che nel settore farmaceutico deve aversi riguardo all�uso razionale e sicuro 
dei farmaci (quale parametro di qualit� del servizio) i dati puramente quantitativi 
e parziali prodotti dall�Autorit� a sostegno della liberalizzazione (tesi ad 
una diversa distribuzione dei ricavi tra i protagonisti della filiera del farmaco) 
appaiono del tutto inconferenti in relazione ai fini di interesse generale di tutela 
della salute pubblica. Peraltro le esperienze delle liberalizzazioni poste in essere 
in altri Paesi europei - emerse nei giudizi innanzi alla Corte di Giustizia 
- hanno dimostrato che sottrarre la riserva in capo ai farmacisti della dispensazione 
dei farmaci costituisce un serio rischio di aumento ingiustificato dei 
consumi(35). 
Al riguardo la possibilit� di pubblicizzare i farmaci da banco e senza obbligo 
di prescrizione medica aggrava notevolmente tale rischio. A ci� si aggiunga 
che l�acquisto dei canali di vendita da parte dei distributori - nei paesi 
in cui ci� � consentito - costituisce ragione di crescita dell�EBITDA, correlato 
all�aumento dei consumi . 
Un�ultima argomentazione, di carattere centrale ed assorbente. Sorprende 
non poco come difetti del tutto nelle segnalazioni dell�Autorit� uno studio di 
impatto della proposta liberalizzazione in relazione alla sostenibilit� complessiva 
del sistema farmaceutico. Le farmacie, oltre alla vendita dei farmaci, erogano 
una serie di servizi alla persona, propri del SSN, senza alcun onere a 
carico delle finanze pubbliche: anticipazioni sugli acquisti dei farmaci rimborsabili, 
CUP, servizi domiciliari, farmacovigilanza ecc. Appare allora evidente 
che la liberalizzazione della vendita minerebbe gravemente la redditivit� 
delle farmacie quale fondamento della sostenibilit� delle sistema, pregiudicandone 
gravemente l�efficienza quali presidi del servizio sanitario nazionale. 
Si auspica che l�Autorit� ponderi in maniera pi� approfondita i principi 
fondamentali che caratterizzano l�organizzazione del servizio sanitario nazionale 
e concentri viceversa l�esercizio delle proprie funzioni ex L. 287/90 sui 
rischi concreti di concentrazione e integrazione verticale che sussistono nei 
(34) Tavola 12 del Rapporto in www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/farmaci_spesa/ 
(35) Margine Operativo Lordo, vd. dati Celesio (gruppo gi� Gehe, controllata da Franz Haniel & 
Cie Gmbh quotata alla Borsa di Francoforte e collegata anche a Lloydpharmacy e Apoteke Doc Morris 
e alla Grande Distribuzione, METRO Group) Rassegna stampa Celesio 11 novembre 2010 che registra 
nel periodo gennaio-settembre 2010 un incremento dell�EBITDA del 10.3 per cento fino a 17.35 miliardi 
di euro, principalmente riconducibili alle vendite all�ingrosso di prodotti farmaceutici. Tali dati sono da 
correlare alla politica del gruppo volta alle acquisizioni delle farmacie in molti paesi, tra i quali l�Italia: 
Azienda farmacie milanesi spa (n. 84 farmacie comunali in Milano e n. 2 dispensari) e AFM spa (35 
farmacie comunali in Emilia Romagna). In argomento AGCM, provv.ti 9563/2001 e 7234/1999, che 
tuttavia non rileva rischi di concentrazione.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 
settori economici a valle dell�assistenza sanitaria costituiti dalle attivit� di produzione 
e distribuzione all�ingrosso dei farmaci, significativamente emersi nei 
giudizi innanzi alla Corte di Giustizia. 
Le Farmacie e le Corti 
Istruzioni per un uso non corporativo delle sentenze 
Fabio Pammolli* e Nicola C. Salerno** 
SOMMARIO: 1. Premessa. � 2. Autorit� Garante della Concorrenza e del Mercato e Corte 
Costituzionale. � 3. Commissione Europea e Corte di Giustizia Europea. � 4. Conclusioni. 
1. Premessa 
Nel dibattito che accompagna i tentativi di riforma degli esercizi farmaceutici 
e della distribuzione del farmaco, si � aggiunto, negli ultimi tempi, un 
argomento �nuovo�. Un presunto contrasto tra da un lato le indicazioni dell�Autorit� 
Garante della Concorrenza e del Mercato (in seguito �Antitrust�) e 
della Commissione Europea e, dall�altro, le sentenze della Corte Costituzionale 
e della Corte di Giustizia Europea. Antitrust e Commissione, nei rispettivi 
ruoli e con gli strumenti propri di ciascuno, chiedono il superamento degli 
aspetti anti-concorrenziali e di chiusura corporativistica che caratterizzano il 
settore. Dalle due Corti sono sopraggiunte sentenze che, a prima vista e soprattutto 
ad occhio inesperto, potrebbero sembrare sconfessare rispettivamente 
l�Antitrust e la Commissione. 
Poich� questo argomento ricorre sempre pi� spesso e potrebbe confondere 
il confronto tra le parti e ostacolare la finalizzazione delle riforme, si riporta, 
di seguito, una lettura ragionata delle posizioni espresse dalle quattro Istituzioni, 
che tiene conto della loro sfera di competenze e delle loro attribuzioni. 
Il loro disallineamento � solo apparente. 
2. Autorit� Garante della Concorrenza e del Mercato e Corte Costituzionale 
Nella sua ormai quasi ventennale attivit� di analisi e segnalazione riguardo 
la distribuzione dei farmaci, l�Antitrust ha ripetutamente sollecitato 
Parlamento e Governo ad affrontare i nodi strutturali di origine corporativistica 
(*) Presidente del CeRM - Competitivit�, Regole, Mercati (www.cermlab.it), e direttore della 
scuola dottorale IMT - Alti Studi Lucca (www.imtlucca.it). 
(**) Dirigente di ricerca in CeRM.
76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
e di ostacolo alla concorrenza. L�Antitrust ha periodicamente chiesto: la rimozione 
della pianta organica con copertura delle zone che restano scoperte a 
cura del comune; il superamento della sovrapposizione propriet�-gestione e 
del divieto che la propriet� possa essere di societ� di capitali; l�introduzione 
di un nuovo criterio di remunerazione per la distribuzione dei farmaci �A� (i 
rimborsati dal servizio sanitario nazionale), senza la proporzionalit� al prezzo 
al consumo; la trasformazione di tutti gli obblighi in termini di ore, giorni, periodi 
di apertura da tetti massimi a standard minimi di servizio pubblico; l�eliminazione 
del vincolo di prezzo unico nazionale per i farmaci rimborsati; etc.. 
Alla base di queste richieste, alcune valutazioni di merito economico. I 
vincoli posti dal legislatore sono sovradimensionati rispetto all�obiettivo di 
perseguire la salute pubblica. Un ampliamento dell�offerta, con conseguente 
efficientamento della distribuzione e maggiore concorrenza a monte tra produttori, 
� nell�interesse del servizio sanitario nazionale e dei cittadini. Il primo 
potrebbe, con le risorse a disposizione, pi� concretamente perseguire, bilanciandoli, 
l�obiettivo di tenere sotto controllo la spesa e quello di ammettere a 
rimborso i prodotti in-patent (coperti da brevetto) con prezzi all�altezza della 
loro innovativit� e del sottostante impegno in ricerca e sperimentazione. I secondi 
avrebbero sempre a disposizione la pi� ampia variet� di farmaci, sia in 
fascia �A� (i mutuati) che in fascia �C-Op� (i non mutuati con obbligo di prescrizione), 
per ottimizzare il loro impiego a seconda delle esigenze terapeutiche. 
Se l�Antitrust non ha mai nutrito dubbi sull�agenda settoriale da indicare 
al Parlamento e al Governo, da qualche tempo a questa parte, ovvero da 
quando il dibattito di policy si � intensificato, tra le varie tesi � comparsa anche 
quella di un presunto contrasto tra gli intenti dell�Antitrust e le sentenze della 
Corte Costituzionale. Invero, in pi� occasioni la Corte si � espressa su questioni 
inerenti la distribuzione al dettaglio dei farmaci, e dalla lettura delle motivazioni 
e del dispositivo delle sentenze si vorrebbero ricavare conferme della 
bont� dell�attuale struttura di settore. 
Su questo punto, e sui rapporti tra Antitrust e Corte Costituzionale, � importante 
maturare un punto di vista approfondito, che tenga conto delle rispettive 
competenze e dei ruoli. Si rischia, altrimenti, di rimanere bloccati in una 
contrapposizione tra due alte istituzioni che avrebbe del paradossale, dal momento 
che l�Antitrust � nata per dare attuazione a principi economici affermati 
nella Costituzione (libert� di intrapresa, diritto al lavoro, uguaglianza dei cittadini 
di fronte alla legge, etc.), e che la Corte Costituzionale � un organo costituzionale 
di garanzia e, come tale, non pu� esprimersi nel merito delle scelte 
di politica economica di Parlamento e Governo. Per la Corte il profilo rilevante 
� quello della legittimit� costituzionale. 
Il contrasto con l�Antitrust � solo apparente. La Corte adotta un punto di 
vista giuridico, per giunta non complessivo (visione settoriale e connessioni
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 77 
intersettoriali), ma focalizzato sulla fattispecie su cui � sollecitata; l�Antitrust 
esprime un punto di vista economico e sistemico. 
Il primo verifica la coerenza interna della normativa e la sua rispondenza 
ai principi costituzionali; il secondo pone la normativa al vaglio dell�analisi 
economica, in una prospettiva di potenziale riscrittura e ristrutturazione. La 
Corte prende in esame, il corpus normativo esistente per giudicare su eventuali 
aporie e inconsistenze interne, che minino l�unitariet� con cui il complesso 
delle leggi deve tendere a realizzare i principi fondanti della Costituzione. 
L�Antitrust si esprime sulla migliorabilit� delle norme attraverso processi di 
riforma pro-concorrenziale per adeguarle ai tempi, alle nuove capacit� organizzative 
e imprenditoriali, di nuovi strumenti di governance, etc.. 
Non deve sembrare una diminutio della Corte affermare che, per forza di 
cose, il suo giudizio si veste di una maggior prevalenza formale, mentre quello 
dell'Antitrust pu� puntare direttamente ai fondamentali economici. 
Per avere delle esemplificazioni, si prendano la Sentenza n. 446 del 1988, 
la sentenza n. 27 del 2003, e la sentenza n. 275 del 2003, le tre maggiormente 
invocate nel confronto di politcy. 
Nella Sentenza n. 446 del 1988, la Corte Costituzionale si esprime sugli 
obblighi di chiusura estiva e infrasettimanale e sulla fissazione degli orari giornalieri, 
sui quali hanno competenza le regioni. Qui la stessa Corte, a latere, 
nel dispositivo che rigetta il ricorso contro gli obblighi di chiusura, inserisce 
una precisazione che fa assumere allo stesso dispositivo una luce completamente 
diversa: 
�[Si rammenta] che il potere [di questa Corte] di giudicare in merito alla 
utilit� sociale alla quale la Costituzione condiziona la possibilit� di incidere 
sui diritti della iniziativa economica privata concerne solo la rilevabilit� di 
un intento legislativo di perseguire quel fine e la generica idoneit� di mezzi 
predisposti per raggiungerlo�. 
In altri termini, la Corte sostiene che nel corpo normativo regionale si riscontra 
(nella formulazione degli articoli, nelle premesse, nei rimandi ai principi 
costituzionali, etc.) la volont� di volgere quelle limitazioni delle libert� 
di intrapresa verso finalit� socialmente meritorie (organizzazione della rete di 
welfare locale, mantenimento delle qualit� psicofisiche dei lavoratori, etc.). 
La stessa Corte ne prende atto, riconoscendo poterci essere un generico legame 
tra le limitazioni e le finalit� sociali. Ma il punto su cui si dovrebbe approfondire 
� proprio questo: non fermarsi alla dichiarazione formale delle finalit� e, 
al contrario, entrare nel merito dei legami di azione-effetto che ci sono tra la 
misura di policy e l�auspicata utilit� sociale. Solo che questa funzione non la 
pu� assolvere la Corte, che non pu� impegnarsi nella valutazione di merito 
sulla proporzionalit� tra l�azione e l�effetto, n�, tantomeno, sull�esistenza di 
altre eventuali misure in grado di perseguire le stesse finalit� secondo modalit� 
e con esiti migliori.
78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
La Sentenza n. 27 del 2003 offre un esempio ancora pi� chiaro. La Corte 
� di nuovo chiamata ad esprimesi sui vincoli ai periodi di apertura degli esercizi 
(orari, ferie estive, giorni di lavoro nella settimana). Qui non si dubita che 
la scelta del Legislatore (nazionale e regionale) sia volta a perseguire la salute 
pubblica, e che i limiti alla concorrenza tra esercizi farmaceutici abbiano natura 
strumentale alla salute pubblica. La Corte �giustifica� i vincoli sui periodi di 
apertura rimandando alla stessa ratio alla base del contingentamento numerico 
delle farmacie (la pianta organica), aspetto non coinvolto (in questo specifico 
caso) dal ricorso alla stessa Corte. Assodato (nel �ritenuto in fatto� e nel �considerato 
in diritto� della sentenza) che il contingentamento numerico mira ad 
una migliore realizzazione del servizio pubblico, allora, conclude la Corte, i 
vincoli agli orari possono essere visti come un completamento dello stesso 
contingentamento, condividendone la finalit�. Non un giudizio di adeguatezza 
e proporzionalit� dello strumento, ma un giudizio di coerenza interna del corpo 
normativo in vigore. 
E� evidente che, se la ratio viene costruita in questa maniera, i singoli 
aspetti del corpus normativo in vigore si sostengono a vicenda, senza passare 
per una analisi di congruit� e di adeguatezza. Da questo punto di vista, di particolare 
interesse � quanto la Corte afferma poco prima del dispositivo, quando 
riconosce che: 
�[�] Le mutate condizioni di fatto e di diritto consentirebbero un cambiamento 
dei convincimenti [circa i vincoli di apertura], [� sennonch�] appare 
evidente che una simile operazione di rimodulazione del dettato 
legislativo fuoriesce dai compiti della Corte, la quale deve limitarsi ad uno 
scrutinio di legittimit� costituzionale delle norme [�] �. 
Infine, con la Sentenza n. 275 del 2003 la Corte � attivata in merito alla 
diversa applicazione dell�incompatibilit� tra attivit� all�ingrosso e al dettaglio 
per le farmacie private (su cui illo tempore sussisteva) e pubbliche (per le quali 
illo tempore non era prevista). L�articolo 8, comma 1, lettera a), della Legge 
n. 362 del 1991 doveva prevedere, secondo la Corte, che la partecipazione a 
societ� di gestione di farmacie comunali fosse incompatibile con qualsiasi 
altra attivit� nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione 
scientifica del farmaco. La incompatibilit� erga omnes tra vendita 
all�ingrosso e vendita al dettaglio � stata infatti subito dopo introdotta dal 
D.Lgs. n. 219 del 2006, poi a sua volta modificato dalla legge n. 248 del 2006 
(cosiddetta riforma �Bersani-1�), che ha permesso al farmacista titolare di impegnarsi 
anche in attivit� di distribuzione all�ingrosso dei farmaci. 
Con la sentenza n. 275 del 2003 la Corte non entra in nessun modo nel 
merito della ratio dell�incompatibilit� e della sua proporzionalit� con gli scopi 
dichiarati dal Legislatore. Riconosciuto che l�incompatibilit� � (era) attestata 
per le farmacie private, la Corte si limita a chiedere la rimozione della disparit� 
di trattamento, con l�estensione del vincolo anche alle farmacie comunali.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 
L�azione della Corte � tesa a rimuovere una disparit� di trattamento tra cittadini 
e tra professionisti/lavoratori, con la richiesta che va nel verso che alla Corte 
appariva il pi� rispettoso delle intenzioni del Legislatore: se quella incompatibilit� 
� (era) stata disposta in previsione di uno scopo meritorio, allora � (era) 
corretto che riguardasse tutte le farmacie, private e pubbliche senza distinguo. 
Riassumendo, dalla sentenze della Corte costituzionale non � possibile 
far discendere elementi con cui confutare le tesi sostenute dall�Antitrust. L�apparente 
contrasto che � emerso con riguardo al settore della distribuzione al 
dettaglio dei farmaci suggerisce, invece, la necessit� di una maggior collaborazione 
istituzionale. Per il futuro, l�auspicio � quello di una convergenza e di 
un raccordo tra le due Istituzioni, prevedendo che l�Antitrust possa sia attivare 
la Corte Costituzionale su tematiche inerenti la concorrenza e il mercato, sia 
comparire tra le parti tecniche audite dalla Corte su queste stesse tematiche. 
3. Commissione Europea e Corte di Giustizia Europea 
Le considerazioni appena svolte sul rapporto tra Antitrust e Corte Costituzionale 
sono di aiuto per comprendere quello che sta accadendo a livello europeo, 
dove Commissione Europea e Corte di Giustizia Europea appaiono, a 
prima vista, anch�esse disallineate nella valutazione sulla struttura e sulla regolazione 
del settore. 
Preliminarmente, occorre ribadire che struttura e regolazione del settore 
presentano tratti fondamentali simili in molti paesi europei, e soprattutto in 
quelli mediterranei e di diritto romano quali Francia, Italia, Portogallo, Spagna, 
ma non solo se si pensa ai casi del Belgio e della Germania. Questa condizione 
implica che dal confronto internazionale degli status quo � raro che possano 
giungere indicazioni dirimenti per l�agenda delle riforme, se non a patto di 
ampliare i casi Paese posti a confronto e di concentrarsi sugli aspetti migliori 
rinvenibili qui e l�. 
Se si analizzano gli interventi della Commissione Europea nell�arco degli 
ultimi cinque-sei anni, emerge una chiara condivisione di visione e di ragioni 
con l�Antitrust italiano. I principi dell�Unione Europea di libera circolazione 
di persone, professionisti e capitali, e di libert� di insediamento delle attivit� 
economiche e imprenditoriali (articoli 43-56 del trattato della comunit� europee) 
spingono la Commissione a sollecitare i Partner a superare la pianta organica, 
la sovrapposizione propriet�/gestione, il divieto che la propriet� sia di 
societ� di capitali, il divieto di formazione di catene, i vincoli di coordinamento 
dei periodi di apertura, etc.. 
Per portare alcuni esempi, con l�IP/05/1665 (Infraction Procedure) del 
21 Dicembre 2005, la Commissione ha ufficialmente chiesto all�Italia di rimuovere 
i vincoli sulla propriet� delle farmacie, che vanno al di l� di quanto 
necessario per perseguire l�obiettivo della salute pubblica. Si legge:
80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
�La Commissione crede che la restrizione vada al di l� di quanto necessario 
per perseguire l�obiettivo della salute pubblica. Il problema del conflitto 
di interessi pu�, infatti, esser evitato con misure diverse dal divieto assoluto 
per le imprese impegnate nella distribuzione all�ingrosso di investire anche 
nella distribuzione al dettaglio. Come gi� osservato a proposito del divieto di 
detenere la propriet� di farmacie per soggetti non farmacisti abilitati e per 
persone giuridiche diverse da societ� di persone composte da soli farmacisti 
abilitati, l�obiettivo della salute pubblica rimarrebbe ugualmente garantito 
fissando il requisito che solo il farmacista abilitato pu� dispensare il farmaco 
al paziente-cliente e deve esser necessariamente presente in farmacia [�] �. 
Con l/IP/06/858 del 28 Giugno 2006, la Commissione ha deciso di chiedere 
alla Spagna di addurre giustificazioni per la pianta organica e i vincoli di 
accesso alla propriet�, aspetti simili a quelli italiani e valutati eccessivi e controproducenti. 
Si legge: 
�La scelta di limitare il numero di farmcie appare sproporizionato e addirittura 
controproducente rispetto all�obiettivo di assicurare un buon rifornimento 
di medicinali sul territorio [�] �. E ancora: �[I vincoli di accesso 
alla propriet�] sono restrizioni esagerate rispetto al requisito legittimo e necessario 
che i rapporti tra la farmacia e i pazienti-clienti si svolgano alla presentza 
e sotto la resposabilit� di farmacisti abilitati. [Questi vincoli alla 
propriet�] non sono in alcun modo necessari a perseguire l�obiettivo della salute 
pubblica�. 
Nello stesso documento, speculari richieste sono state rivolte all�Austria. 
E sempre nello stesso documento � stato inserito il deferimento dell�Italia alla 
Corte di Giustizia Europea come proseguimento dell�iter avviato con 
l�IP/05/1665 (citato poco sopra). 
Con l�IP/08/1352 del 18 Settembre 2008, la Commissione ha formalmente 
richiesto alla Germania e al Portogallo di riformare la regolazione di 
settore. Per la prima, la richiesta ha riguardato l�eliminazione dei vincoli di 
accesso alla propriet� e di creazione di catene (�[anche queste limitazioni] 
non trovano giustificazione alcuna nell�obiettivo di perseguire la protezione 
della salute� ). Per il secondo, la richiesta ha riguardato il divieto per i grossisti 
di assumere la propriet� di farmacie, oltre che i vincoli alla formazione di catene 
di esercizi (�[�] sono vincoli sproporzionati rispetto al fine di garantire 
la pubblica salute e, per questo motivo, non compatibili con il principio comunitario 
della libert� di stabilimento di lavoratori, professionisti e attivit� 
imprenditoriali�). 
Infine, con l�IP/08/1785 del 27 Novembre 2008, la Commissione si � nuovamente 
rivolta all�Italia, chiedendo di eliminare il vincolo per il farmacista 
di possedere pi� di un esercizio, e quello per le societ� di farmacisti di possedere 
pi� di quattro esercizi, per giunta necessariamente ubicati all�interno della 
stessa provincia: �[�] I vincoli vanno al di l� di quanto obiettivamente ne-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 81 
cessario per perseguire quell�obiettivo di salute pubblica invocato dalle Autorit� 
Italiane�. 
Se le posizioni della Commissione sono chiare e inequivocabili, da 
quando alcuni dei procedimenti avviati dalla Commissione sono approdati al 
vaglio finale della Corte di Giustizia, sono emerse delle divergenze tra le valutazioni 
delle due istituzioni. Tuttavia, ad una lettura attenta delle sentenze 
della Corte, si comprende come si stia ripresentando a livello europeo quel diverso 
�punto di vista� rilevabile in Italia tra l�Antitrust e la Corte Costituzionale.
La Corte di Giustizia non pu� sostituirsi ai policy maker nazionali; n� riconsiderare 
il corpus normativo e regolamentare esistente in una prospettiva 
di riorganizzazione, ristrutturazione e ammodernamento. Compito della Corte 
� accertare che non esistano punti di contrasto tra le legislazioni nazionali e il 
Trattato delle Comunit� Europee. Nell�assolverlo, la Corte non pu� entrare 
nel merito specifico della scelta degli strumenti per perseguire le varie finalit� 
a livello Paese. La salute pubblica e la libera intrapresa sono entrambi presenti 
nel Trattato delle Comunit� Europee come lo sono nella Costituzione Italiana, 
e se un Legislatore nazionale afferma di aver posto dei vincoli alla concorrenza 
perch�, nella sua valutazione, questi sono importanti per perseguire l�obiettivo 
di salute pubblica, la Corte di Giustizia non pu� sindacare sul �quantum�, ma 
si limita a riconoscere la coerenza interna del Legislatore nazionale, che ha 
agito senza ignorare le due finalit�, e compiendo scelte precise sulla loro realizzazione 
coordinata. 
Alcuni esempi confermano questa lettura. Con la Sentenza della Grande 
Sezione del 1� giugno 2010 (procedimenti riuniti C-570/07 e C-571/07), la 
Corte, esprimendosi sulla pianta organica nella provincia spagnola delle Asturie, 
arriva s� a valutarla non in contrasto con il Trattato delle Comunit� Europee, 
ma sottolineando come questa stessa valutazione valga solo in linea di 
principio, nella misura in cui la pianta organica � strumentale al perseguimento 
della salute pubblica. Si legge: 
�Nel valutare il rispetto dell�obbligo [di non introdurre ingiustificate restrizioni 
alla concorrenza e alla libert� di intrapresa], � necessario tenere 
conto del fatto che la salute e la vita delle persone occupano una posizione 
preminente tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato, e che spetta agli Stati 
Membri stabilire il livello al quale intendono garantire la tutela della sanit� 
pubblica e il modo in cui tale livello deve essere raggiunto. Poich� detto livello 
pu� variare da uno Stato all�altro. Si deve riconoscere agli Stati Membri un 
margine discrezionale�. 
E� significativo che l�Avvocato Generale, nel presentare la causa alla 
Grande Sezione che doveva poi decidere, cos� concludeva la sua audizione: 
�[�] Spetta al giudice nazionale determinare se la distanza specifica imposta 
[tra farmacie] sia giustificata, tendo conto del livello di interferenza
82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
con il diritto di stabilimento, della natura dell�interesse pubblico, nonch� del 
livello di copertura universale che potrebbe essere raggiunto con sistemi meno 
restrittivi�. 
Resta, cos�, elusa e ancora aperta la questione della proporzionalit� e 
dell�adeguatezza della regolamentazione settoriale. Proprio le due qualit� che 
la Commissione Europea vede alla base di ogni valido assetto regolatorio. Infatti, 
con il �Report on competition in professional services� 
(COM(2004)83final del 9 Febbraio 2004), la Commissione Europea ha invitato 
i Partner a sorvegliare sull�applicazione di due principi base della regolamentazione: 
(a) la proporzionalit� tra gli interventi e i benefici, attuali e 
concreti, generabili nell�intesse della collettivit�; e (b) il collegamento logico 
e diretto tra le misure restrittive del libero mercato e gli effetti positivi sul perseguimento 
dell�interesse generale di cittadini. 
Un altro esempio � dato dalla Sentenza della Grande Sezione dell�1 Maggio 
2009 (procedimento C-531/06), riguardante direttamente l�Italia deferita 
dalla Commissione europea con la citata IP/06/858. Qui la Corte valuta non 
in contrasto con il Trattato delle Comunit� Europee i vincoli di accesso alla 
propriet�. 
Alla base del dispositivo vi sono le medesime considerazioni appena sintetizzate: 
che spetta agli Stati Membri decidere il livello al quale vogliono garantire 
la salute pubblica e il modo in cui questo livello deve essere raggiunto; 
che la diversit� dei sistemi di protezione sociale richiede che ciascun Paese 
possa esercitare discrezionalit� nella scelta degli strumenti con cui perseguire 
la pubblica utilit�; che, nello specifico, spetta al singolo Paese esprimersi sui 
rapporti di produzione (professionali, di lavoro, di compravendita) pi� idonei 
a perseguire l�obiettivo della salute pubblica. 
Su quest�ultimo punto, la Corte si �avventura� anche in alcune considerazioni 
opinabili e anche un po� inopportune dato il livello istituzionale, circa 
la ricattabilit� dei farmacisti stipendiati (alinea 64), o il rischio che la gestione 
dell�esercizio venga affidata a soggetti non abilitati alla professione (alinea 
63). 
Da un lato, emerge la tentazione di valutazioni di tipo etico, confermate 
anche dal fatto che, si sostiene (alinea 61), �[... i farmacisti di professione gestiscono] 
la farmacia non in base ad un obiettivo meramente economico, ma 
altres� in un�ottica professionale. [L�interesse del farmacista], connesso alla 
finalit� di lucro, viene quindi temperato dalla sua formazione, dalla sua esperienza 
professionale, e della responsabilit� ad esso incombente, considerato 
che un�eventuale violazione delle disposizioni normative o deontologiche comprometterebbe 
non soltanto il valore del suo investimento, ma altres� la propria 
vita professionale�. 
Dall�altro lato, la Corte sembra cadere nell�errore di confondere propriet� 
e gestione, quest�ultima mai coinvolta, in Italia come negli altri Partner, in
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 83 
discussioni che potessero non vederla appannaggio/responsabilit� esclusiva 
di farmacisti abilitati. Per inciso, le argomentazioni qui utilizzate dalla Corte 
porterebbero ad una duplice conclusione. In primo luogo, se � lecito che i Paesi 
Membri mantengano vincoli all�accesso alla propriet�, non si intravedono ragioni 
per cui farmacisti abilitati (valutati in grado di esercitare la professione 
dai singoli ordinamenti nazionali) non possano liberamente avviare e gestire 
direttamente un loro esercizio (1). In secondo luogo, la confusione tra propriet� 
e gestione lascia intravedere le difficolt� che la Corte pu� incontrare nel giudicare 
su tematiche tecniche, sulle quali prospettiva del diritto e prospettiva 
dell�economia dovrebbe supportarsi a vicenda. Quella stessa conclusione in 
precedenza proposta per le relazioni istituzionali che auspicabilmente dovrebbero 
strutturarsi tra la Corte Costituzionale e l�Antitrust italiano. 
Considerazione di questo tenore possono esser ripetute anche per latri 
procedimenti in corso innanzi alla Corte di Giustizia. Le conclusioni dell�Avvocato 
generale sula causa C-393/08, per portare altri esempi, suggeriscono 
alla Corte di rigettare un ricorso avverso la pianificazione dei periodi di apertura 
(tra l�altro anche questo procedimento riguardante l�Italia). Le argomentazioni 
addotte sono varie, ma su di tutte si impone quella che il coordinamento 
dei periodi � un aspetto collaterale al contingentamento numerico, che a sua 
volta rientra un una pianificazione sistematica che, negli intenti del Legislatore, 
mira a garantire adeguatezza dell�offerta in quantit� e qualit�. Si legge: 
�[tanto pi� che, in presenza di un esercizio chiuso], chiunque pu� utilizzare 
le altre farmacie aperte o di guardia�. 
Si d� per assodato che le piante organica abbia virt� positive superabili e 
non eguagliabili da nessun altro assetto, perch� il Legislatore nazionale l�ha 
posta alla base dell�organizzazione di settore. Come conseguenza, gli altri 
aspetti regolatori, che mirano alla stesse finalit� della pianta organica e possono 
essere visti come collaterali alla stessa, trovano tout court ratio e giustificazione. 
Anche qui, come prima a proposto della Corte Costituzionale, non 
un giudizio di adeguatezza e proporzionalita dello strumento, ma un giudizio 
di coerenza interna del corpo normativo in vigore. 
4. Conclusioni 
Al pari di quanto concluso per la Corte Costituzionale, non � possibile, 
dalle sentenze della Corte di Giustizia, far discendere elementi con cui confutare 
le argomentazioni e le richieste della Commissione Europea. Il contrasto 
� solo apparente e, piuttosto che far concludere che l�attuale assetto di settore 
non presenti problemi e non necessiti di interventi di riforma/rinnovamento, 
(1) In Italia, i farmacisti titolari sono circa 17mila (quanti gli esercizi farmaceutici, mentre gli 
iscritti complessivi agli Ordini Provinciali di tutto il Paese arrivano alle 55mila teste.
84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
esso rimanda all�esigenza di migliorare l�interazione e il supporto reciproco 
tra Istituzioni nazionali e internazionali che, con competenze e ruoli diversi, 
partecipano a decidere dell�evoluzione delle economie e della societ� europea. 
E� importane che il dibattito si approfondisca subito e liberi il campo da 
convincimenti infondati e pretestuosi sui rapporti tra l�Antitrust, la Commissione 
Europea e le due Corti. Se questo punto di vista sbagliato viene propugnato 
e si concretizza sulla distribuzione del farmaco, � concreto il rischio che 
esso venga esteso anche ad altri settori sovraregolati e presidiati da lobby. 
Non � accettabile che equivoci istituzionali di questo tipo trasformino 
l�affermazione della legalit� in un�azione di natura soltanto formale ed esteriore, 
non falsificabile, e strumentalizzabile per mantenere lo status-quo anche 
quando palesemente pervaso da storture corporativistiche. 
17 febbraio 2011 
Sulla recente ordinanza della Corte di Giustizia Europea 
in data 6 Ottobre 2010, causa C-563/08 
Ancora una volta si tenta di utilizzare in maniera strumentale la Corte di 
Giustizia Europea per avvalorare lo status quo della distribuzione al dettaglio 
dei farmaci. Si vorrebbe far accettare la tesi secondo cui la Corte di Giustizia, 
con l�Ordinanza del 6 Ottobre 2010, ha sancito la giustezza e la correttezza 
della pianta organica delle farmacie, alla luce della necessit� di portarne il servizio 
in maniera omogenea sul territorio e di garantirne l'universalit�. 
L�Ordinanza della Corte del 6 Ottobre 2010, resa nota qualche settimana 
fa (1), si ricollega direttamente alla Sentenza del 1� Giugno del 2010, con la 
quale la stessa Corte si era pronunciata in merito alla pianta organica della 
Provincia Spagnola delle Asturie. 
Non si possono comprendere la ratio e l�ambito di applicazione di questa 
Sentenza, e di conseguenza dell�Ordinanza, se non a partire dalle attribuzioni 
della Corte e dalle sue funzioni istituzionali. La Corte di Giustizia non pu� 
sostituirsi ai policy maker nazionali; n� riconsiderare il corpus normativo e 
regolamentare esistente in una prospettiva di riorganizzazione, ristrutturazione 
e ammodernamento. Compito della Corte � accertare che non esistano punti 
di contrasto tra le legislazioni nazionali e il Trattato delle Comunit� Europee. 
Nell�assolvere questo compito, la Corte non pu� entrare nel merito specifico 
della scelta degli strumenti per perseguire le varie finalit� a livello Paese. 
(1) Cfr. Official Journal of the European Union del 29 Gennaio 2011 (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServLexUriServ.
do?uri=OI:C:2011:030:0010:0011:EN:PDF).
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 85 
La salute pubblica e la libera intrapresa sono entrambi presenti nel Trattato 
delle Comunit� Europee come lo sono nella Costituzione Italiana; e se un Legislatore 
nazionale afferma di aver posto dei vincoli alla concorrenza (la pianta 
organica) perch�, nella sua sovrana valutazione, questi sono importanti per 
perseguire l�obiettivo di salute pubblica, la Corte di Giustizia non pu� sindacare 
sul �quantum�, ma si limita a riconoscere la coerenza interna del Legislatore 
nazionale, che ha agito senza ignorare le due finalit�, e compiendo 
scelte precise sulla loro realizzazione coordinata. 
Il punto nevralgico � proprio qui: si pu� dare per assodato che quel che il 
Legislatore nazionale ha scelto illo tempore corrisponda nunc ed semper alla 
soluzione migliore? La sovranit� del Legislatore non implica anche la sua insindacabilit�, 
soprattutto nel tempo, di pari passo con il cambiare degli strumenti 
utilizzabili, delle soluzioni e dei vincoli. Cos� non fosse, il corpus 
normativo sarebbe fossilizzato e incapace di evolversi. 
Che cosa affermava la Sentenza del 1� Giugno del 2010, di cui la recente 
Ordinanza � una riattestazione? La sentenza (procedimenti riuniti C-570/07 e 
C-571/07) ha offerto un esempio specchiato dei caveat con cui va letta la giurisprudenza 
della Corte di Giustizia Europea sull�assetto della distribuzione 
al dettaglio del farmaco. 
Con quella sentenza, la Corte, � s� arrivata a valutare la pianta organica 
delle Asturie non in contrasto con il Trattato delle Comunit� Europee, ma sottolineando 
come questa stessa valutazione valga solo in linea di principio, 
nella misura in cui la pianta organica � strumentale al perseguimento della salute 
pubblica. Siamo davvero sicuri che sia lo strumento migliore per perseguire 
la salute pubblica? E� questa la domanda a cui la Corte non pu� 
rispondere, e a cui, invece, si deve dare risposta, senza presupporre che sia lo 
strumento migliore per il solo fatto che essa � gi� contemplata nell�attuale corpus 
normativo. 
Si legge (verbatim) nella sentenza: �Nel valutare il rispetto dell�obbligo 
[di non introdurre ingiustificate restrizioni alla concorrenza e alla libert� di 
intrapresa], � necessario tenere conto del fatto che la salute e la vita delle 
persone occupano una posizione preminente tra i beni e gli interessi protetti 
dal Trattato, e che spetta agli Stati Membri stabilire il livello al quale intendono 
garantire la tutela della sanit� pubblica e il modo in cui tale livello deve 
essere raggiunto. Poich� detto livello pu� variare da uno Stato all�altro, si 
deve riconoscere agli Stati Membri un margine discrezionale�. Dove l�esercizio 
della discrezionalit� non necessariamente deve corrispondere al mantenimento 
della pianta organica. 
E� significativo che l�Avvocato Generale, nel presentare la causa alla 
Grande Sezione che doveva poi decidere, cos� concludeva la sua audizione: 
�[�] Spetta al Giudice nazionale determinare se la distanza specifica imposta 
[tra le farmacie] sia giustificata, tenendo conto del livello di interferenza con
86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
il diritto di stabilimento, della natura dell�interesse pubblico, nonch� del livello 
di copertura universale che potrebbe essere raggiunto con sistemi meno 
restrittivi�. L�Avvocato Generale citava espressamente una valutazione di congruit� 
tra strumento (pianta organica) e obiettivo finale (adeguatezza della copertura), 
alla luce della possibilit� di applicare sistemi meno restrittivi. 
Una tale valutazione non pu� giungere motu proprio dalla Corte di Giustizia, 
cos� come non pu� giungere, in ambito nazionale, dalla Corte Costituzionale. 
Le due Corti non sono competenti nel merito delle prescrizioni di 
politica economica, politica industriale, strutturazione del welfare system. Entrare 
nel merito di queste tematiche significherebbe dover esprimere delle preferenze 
e dei giudizi di valore, sovrapponendosi alla Politica e al Parlamento. 
Non sono le due Corti a poter valutare la robustezza della connessione 
causale che, nello specifico della realt� del Paese e nelle intenzioni del suo 
Legislatore, dovrebbe collegare, da un lato, i vari assetti utilizzabili per portare 
i farmaci sul territorio e, dall�altro, l�obiettivo finale di ottimizzare l�assitenza 
farmaceutica per i cittadini. Non sono le due Corti a poter immaginare soluzioni 
organizzative alternative con cui comparare lo status quo. 
Per queste ragioni, non possiamo aspettarci che la riforma della distribuzione 
al dettaglio la facciano la Corte di Giustizia Europea o la Corte Costituzionale, 
di loro iniziativa, e soprattutto quando chiamate a giudicare sulla 
coerenza tra i principi generali del Trattato o della Costituzione e le altrettanto 
generali dichiarazioni di intento che il Legislatore, nella sua sovrana autonomia, 
pu� porre a giustificazione del suo atto normativo. 
Nel momento in cui le due Corti rilevano, come nel caso in questione, 
una molteplicit� di principi da rispettare e di finalit� complesse da perseguire 
(concorrenza, libert� di circolazione dei professionisti e di capitali, libert� di 
intrapresa, omogeneit� sul territorio del livello essenziale di assistenza farmaceutica, 
sicurezza della salute pubblica, etc.), Esse altro non possono fare che 
accettare la dichiarazione del Legislatore nazionale (implicita o esplicita che 
essa sia) di avere scelto la soluzione che, nella specifica realt� Paese, riteneva 
pi� opportuna. 
Il vero snodo � questo: ripensare la normativa nazionale sulle farmacie, 
rimettendola tutta in discussione. In un assetto cos� pervaso da aspetti anticoncorrenziali, 
� facile che, esaminando uno per uno i singoli aspetti, ognuno 
possa apparire irrinunciabile, nel quadro dei vincoli corporativistici di cui � 
tassello. 
Ma � logica complessiva che va cambiata. Se si abbandona la pianta organica, 
si eliminano il divieto di incorporation e il bundling di propriet� e gestione, 
e non si pongono limiti alla creazione di catene, le difficolt� di 
copertura adeguata e omogenea del territorio si ridimensionano immediatamente, 
perch� aumenta la capacit� di offerta, sia nel capitale umano (i farmacisti 
abilitati tenuti fuori dalla titolarit�), sia nel capitale fisico e finanziario
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 87 
(le risorse apportabili da soci terzi anche non farmacisti, sotto il vincolo che 
solo il farmacista pu� intermediare tra farmaco e paziente). 
Ed � sempre questo approccio di insieme che permette di tenere conto 
anche degli effetti positivi che l�apertura a concorrenza della distribuzione al 
dettaglio avrebbe sul funzionamento del reference pricing in fascia �A� e delle 
liste di trasparenza in fascia �C�; entrambi strumenti di regolazione che ottimizzerebbero 
la spesa pubblica e privata per farmaci, liberando risorse riversabili 
su obiettivi di salute e welfare. 
Oltretutto, nella prospettiva del multiservice che adesso si sta realizzando, 
le farmacie potranno diventare dei veri e propri presidi di salute sul territorio. 
Dalla loro pi� ampia sfera di attivit� potranno giungere sia occasioni di creare 
nuovo valore aggiunto e riceverne la giusta remunerazione, sia nuovi contributi 
alla copertura dei costi fissi di esercizio (negozio front-office, magazzino, retribuzioni 
degli assistenti, etc.). Si tratta di una sfida importante, che i professionisti 
dovrebbero accogliere con entusiasmo, per valorizzare appieno il loro 
capitale umano, soprattutto quello dei giovani, e rinnovare ruolo e figura del 
farmacista. Una sfida che porter� successo nella msura in cui le migliori risorse 
umane e capitali potranno liberamente impegnarsi nel settore. 
N� la Sentenza del 1� giugno del 2010 n� l�Ordinanza del 6 Ottobre 2010 
possono, in alcun modo, costituire una valutazione di adeguatezza e ottimalit� 
della pianta organica. Per coinvolgere, su basi meno formalistiche, la Corte di 
Giustizia e la Corte Costituzionale sul tema dell�assetto della distribuzione al 
dettaglio dei farmaci, � necessario adire le due Corti, non sul singolo aspetto 
di un sistema in cui le contraddizioni si �puntellano� a vicenda, ma sollevando 
congiuntamente eccezioni di illegittimit� per l�intero gruppo dei vincoli corporativistici: 
il groviglio di pianta organica, sovrapposizione di propriet� e gestione, 
chiusura agli investimenti di terzi, limitazioni forti alla creazione di 
catene di esercizi. Il giudizio delle due Corti va inoltre supportato e assistito 
con un quadro completo dei termini del contendere. Emergerebbero s�, allora, 
tutti i macroscopici contrasti con la nostra Costituzione e con il Trattato delle 
Comunit� Europee. 
E� il suggerimento che si indirizza al Tar Piemonte e al Consiglio di Stato, 
ad oggi impegnati in due rinvii pregiudiziali innanzi alla Corte di Giustizia in 
tema di pianta organica delle famacie (rispettivamente causa C-217/09 e causa 
C-315/08). E�, pi� in generale, la considerazione su cui si desidera richiamare 
l�attenzione della societ� civile, della Politica e del Legislatore. 
17 Febbraio 2011
C O N T E N Z I O S O 
N A Z I O N A L E 
Sull�istituto processuale del �legittimo impedimento� 
Brevi note a cura di Michele Dipace* 
La sentenza della Corte Costituzionale n. 23 del 13 gennaio 2011 sulla 
legittimit� costituzionale della legge 51 del 7 aprile 2010 �disposizioni in materia 
di impedimento a comparire in udienza�, � intervenuta dopo un considerevole 
dibattito dottrinale in materia che ha avuto una grande e ripetuta 
esposizione mediatica. 
Le disposizioni contenute nella L. 51/2011 integravano l�art. 420 ter del 
c.p.p. individuando fattispecie di legittimo impedimento a comparire in 
udienza per le cariche governative (Presidente del Consiglio dei ministri e ministri), 
tenuto conto che, in precedenza, l�applicazione dell�art. 420 ter c.p.p. 
nei confronti di tali soggetti aveva dato adito ad incertezze e a decisioni a volte 
contraddittorie, proprio per la mancanza di una specifica disciplina. 
Poich� la legge 51 interveniva sull�istituto processuale del legittimo impedimento, 
regolato da una legge ordinaria, � sembrato legittimo che una disciplina 
integrativa fosse contenuta in una legge ordinaria. 
Le tre ordinanze del tribunale penale di Milano, con le quali sono state 
sollevate le questioni di legittimit� costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 
51, hanno affermato che le norme in questione, bench� qualificate come legittimo 
impedimento, prevedevano una nuova prerogativa costituzionale, introdotta 
con legge ordinaria, connessa all�esercizio delle cariche istituzionali, 
attraverso la previsione di una causa di sospensione del processo. Prova ne 
era il fatto che la legge in questione prevedeva una presunzione assoluta di legittimo 
impedimento derivante dalla titolarit� della carica e un rinvio automatico 
del processo senza che il giudice avesse la possibilit� di valutare la 
sussistenza dell�impedimento e l�assolutezza dello stesso ai fini della indispo- 
(*) Vice Avvocato Generale dello Stato.
90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
nibilit� ad essere presente in udienza. 
Al riguardo si sosteneva che la legge 51 non fosse diversa nella sostanza 
dalle leggi 140/2003 (c.d. lodo Schifani) e 124/2008 (c.d. lodo Alfano) che 
furono dichiarate incostituzionali perch� violative dell�art. 3 e 138 della Cost. 
dalle sentenze rispettivamente n. 24/2004 e 262/2009 della Corte. 
Sia nell�atto di intervento che nella memoria l�Avvocatura dello Stato, 
costituita per il Presidente del Consiglio dei ministri, contestava l�assunto delle 
ordinanze del Tribunale di Milano, sostenendo che la legge 51 attuava un intervento 
di natura processuale che non aveva la finalit� di proteggere la funzione 
pubblica, quale prerogativa in s� considerata, creando un�immunit�, ma 
era volta a tutelare il diritto di difesa dell�imputato individualmente considerato 
a partecipare al processo qualora non potesse essere presente per un proprio 
impegno istituzionale, non prorogabile (art. 24 c. 2 cost.), specificamente 
individuato in norme di carattere primario e regolamentari, senza che ci� comportasse 
una presunzione assoluta di legittimo impedimento, n� imponesse 
alcun automatismo poich� prevedeva che il giudice potesse verificare se in 
concreto le attribuzioni governative indicate si svolgessero nello stesso giorno 
dell�udienza penale e che il fatto dedotto come impedimento rientrasse nelle 
ipotesi previste dalle norme richiamate nell�art. 1 c. 1 della L. 51. 
La Corte Costituzionale, a prescindere dal rigetto delle eccezioni di inammissibilit� 
formulate anche sotto il profilo della rilevanza, ha ritenuto che la 
disciplina legislativa oggetto di censura �potr� essere ritenuta illegittima, se, 
e nella misura in cui, alteri i tratti essenziali del regime processuale comune�. 
In base ad esso �l�impedimento dell�imputato non pu� essere generico e il rinvio 
dell�udienza da parte del giudice non pu� essere automatico�. 
In base a tale principio, con decisione interpretativa di rigetto, ha ritenuto 
compatibile con i tratti essenziali del diritto processuale comune le disposizioni 
dell�art. 1 c. 1 della L. 51/2011 in quanto dirette a specificare, quale fatto di 
impedimento, i puntuali impegni dei membri del governo che possono essere 
qualificati in termini di coessenzialit� rispetto alle funzioni di governo, che il 
giudice non potr� disconoscere, fermo restando il suo potere di valutare in 
concreto lo specifico impedimento addotto non solo con riguardo alla sussistenza 
in fatto dell�impedimento stesso, ma anche con riguardo al carattere 
assoluto e attuale dello stesso. In altri termini la Corte ammette quali concreti 
fatti di legittimo impedimento tutti quelli indicati nell�art. 1 c. 1 della L. 51 
ivi comprese le attivit� preparatorie e consequenziali nonch� ogni attivit� comunque 
coessenziale alle funzioni di governo. 
E� stato ritenuto altres� inammissibile la questione di costituzionalit� 
dell�art. 2 della L. 51 che indica la finalit�, che � poi la ratio, dell�art. 1 c. 1 
diretta a �consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri il 
sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla 
legge�.
CONTENZIOSO NAZIONALE 91 
Ci� comporta che tale finalit�: �sereno svolgimento delle funzioni di governo�, 
pu� giustificare una normativa specifica di tutela dei titolari di tali 
funzioni con riguardo all�esercizio del diritto di difesa purch� non preveda 
meccanismi di �automatismo generalizzato� (c. cost.. n. 24/2004). 
In altri termini la Corte ha ritenuto costituzionalmente legittimo l�impianto 
generale della legge diretto ad individuare il legittimo impedimento 
�nelle attribuzioni che possono essere qualificate in termini di coessenzialit� 
rispetto alle funzioni di governo� (�criterio che ha un effetto di chiarificazione 
della portata dell�art. 420 ter c.p.p.) e soprattutto ha ritenuto che tali funzioni 
(costituzionali) possono giustificare una deroga normativa con riguardo ad un 
interesse generale, quale � quello del sereno svolgimento delle attivit� governative. 
In coerenza con tali principi, l�art. 1 c. 3 � stato dichiarato legittimo a 
condizione che non sottragga al giudice i poteri di valutazione dell�impedimento 
addotto (sentenza additiva). 
Alla considerazione che, il giudice potrebbe incidere sul merito e sui 
tempi dell�esercizio dell�attivit� di governo, incidendo sul principio costituzionale 
della separazione dei poteri, la Corte ha affermato che �in tale ipotesi 
l�esercizio della funzione giurisdizionale ha un�incidenza indiretta sull�attivit� 
del titolare della carica governativa, incidenza che � obbligo del giudice ridurre 
al minimo possibile, tenendo conto del dovere dell�imputato di assolvere le 
funzioni pubbliche assegnatogli� e che �il principio della separazione dei poteri 
sarebbe violato, in tali casi, soltanto dal cattivo esercizio giurisdizionale 
da parte del giudice che deve rispondere al canone della leale collaborazione�. 
Al riguardo la valutazione del �delicato ed essenziale equilibrio tra i diversi 
poteri dello Stato�, e cio� quello giurisdizionale dell�interesse alla speditezza 
del processo e l�assicurazione del sereno svolgimento delle funzioni 
governative che la corte ha ritenuto un interesse apprezzabile e che la 51/2011 
ha inteso disciplinare con disposizioni di carattere processuale integrative 
dell�art. 420 ter c.p.p., � rimessa alla valutazione del giudice del processo e 
cio� ad uno dei soggetti dei poteri costituzionali interessati. In merito a tale 
principio la Corte peraltro precisa che l�esercizio del potere del giudice di valutare 
in concreto l�impedimento deve rispondere al principio di leale collaborazione 
che ha carattere bidirezionale e deve esplicarsi mediante soluzioni 
procedimentali ispirate al coordinamento dei rispettivi calendari in modo che 
si tenga conto oltre che della speditezza del processo anche degli impegni del 
P.C.M. in modo che le udienze debbono essere fissate compatibilmente con 
l�esercizio delle funzioni governative indicate dall�interessato.
92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Gli atti defensionali dell�Avvocatura 
CT. 18081/10 Avv. Dipace 
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE 
ATTO di INTERVENTO 
del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall�Avvocatura Generale 
dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, � ex lege domiciliato 
nel giudizio relativo alla questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 1, commi 1, 3 e 4 della legge 7 aprile 2010, n. 51 recante �Disposizioni in materia di 
impedimento a comparire in udienza�, per violazione dell'art. 138 della Costituzione, promosso 
dal Tribunale di Milano � Sez. I Penale, con ordinanza, pronunciata in data 19 aprile 
2010, con riferimento al procedimento penale n. 11776/06 ed altri R.G.T. nei confronti di 
Agrama Frank ed altri. 
FATTO e DIRITTO 
1. Il Tribunale di Milano � Sez. I Penale, con l�ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato 
questione di legittimit� costituzionale della legge n. 51/10, limitatamente all'art, 1, commi 1, 
3 e 4, evidenziando che �una disciplina... che, come quella in esame, non si limita a �differenziare 
la posizione processuale del componente di un organo costituzionale solo per lo 
stretto necessario, senza alcun meccanismo automatico o generale� ma stabilisce a priori e 
in modo vincolante che la titolarit� e l'esercizio di funzioni pubbliche costituiscono sempre 
legittimo impedimento per rilevanti periodi di tempo, prescindendo da qualsiasi valutazione 
del caso concreto, si traduce nella statuizione di una vera e propria prerogativa dei titolari 
delle cariche pubbliche diretta a tutelarne non gi� il diritto di difesa nel processo bens� lo 
status o la funzione�. 
Da quanto sopra, il Tribunale fa discendere la conclusione che l'art. 1 della legge n. 
51/10 �realizza la medesima situazione gi� analizzata dalla Corte Costituzionale nella recente 
sentenza n. 262/09 sul c.d. Lodo Alfano�, esponendosi, pertanto, alla medesima censura, sotto 
il profilo della violazione della Carta costituzionale, ovvero quella di violare l'art. 138 Cost., 
per essere stata introdotta, la nuova ipotesi di prerogativa, con legge ordinaria anzich� con 
procedimento costituzionale. 
2. La questione di costituzionalit� deve ritenersi inammissibile oltre che, in ogni caso, del 
tutto infondata. 
3. Il Tribunale di Milano, sulla base di un frettoloso sillogismo, afferma che la legge n. 
51/10 introduce, nel sistema, una prerogativa o immunit� in favore del Presidente del Consiglio 
dei ministri e dei Ministri, che le prerogative o immunit�, secondo la pacifica giurisprudenza 
di codesta Corte (cfr., da ultimo, la nota sentenza n. 262/09), debbono essere previste 
con legge costituzionale, e che, pertanto, poich� ci� non � avvenuto nel caso di specie, essendo, 
la legge n. 51/10, una legge ordinaria, la stessa � incostituzionale per violazione dell'art. 138 
Cost..
Il predetto sillogismo � frutto di un palese fraintendimento delle disposizioni, contenute 
nell'art. 1 della legge n. 51/10. 
La norma in argomento, al comma 1, dispone che �Per il Presidente del Consiglio dei 
Ministri costituisce legittimo impedimento, ai sensi dell'art. 420 ter del codice di procedura 
penale, a comparire nelle udienze dei procedimenti penali, quale imputato, il concomitante 
esercizio di una o pi� attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in particolare dagli
CONTENZIOSO NAZIONALE 93 
articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dagli articoli 
2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303 e successive modificazioni, e dal regolamento 
interno del Consiglio dei Ministri, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei 
Ministri 10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, 
e successive modificazioni, delle relative attivit� preparatorie e conseguenziali, nonch� di 
ogni attivit� comunque coessenziale alle funzioni di Governo;� al comma terzo, la norma prevede 
che �il giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti 
rinvia il processo ad altra udienza;� il quarto comma, infine, precisa che �Ove la 
Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che l'impedimento � continuativo e correlato allo 
svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge il giudice rinvia il processo a udienza 
successiva al periodo indicato, che non pu� essere superiore a sei mesi�. 
Si deve, innanzi tutto, evidenziare che la legge impugnata � il risultato dell�unificazione 
di sette proposte di legge, tutte di iniziativa parlamentare, di vari schieramenti politici, che 
avevano l�intento di modificare l�art. 420 ter del codice di procedura penale, con la finalit� di 
identificare normativamente le attivit�, esercitate da soggetti che rivestono cariche pubbliche 
di rilievo costituzionale, che costituiscono impedimento a comparire nelle udienze del procedimento 
penale nel quale risultano imputati. 
L�effetto di tutte le proposte di legge in materia era quello del rinvio dell�udienza penale 
per la durata dell�impedimento, con la fissazione di una nuova udienza. 
Tale finalit� � stata sempre presente nella discussione parlamentare tanto da indurre il 
relatore del testo unificato al Senato (sen. Costa) a precisare che la normativa in esame non 
introduce una forma di immunit� ma specifica la portata dell�istituto dell�impedimento a comparire 
gi� previsto dal codice di procedura penale (art. 420 ter), salva sempre la sospensione 
della decorrenza della prescrizione. 
Il legittimo impedimento rappresenta un istituto processuale che pu� essere disciplinato 
(integrato o modificato) nel senso che il legislatore ritiene opportuno con legge ordinaria nell�esercizio 
di quella discrezionalit� che indubbiamente gli va riconosciuta. 
Le disposizioni, sopra riprodotte, pertanto, se correttamente intese, non fanno altro che 
integrare la previsione di cui all'art. 420 ter del codice di rito, andando a tipizzare gli atti, o 
meglio le attivit� di governo, che si traducono in altrettante fattispecie di legittimo impedimento, 
rispettivamente per il Presidente del Consiglio dei ministri e per i Ministri, a comparire 
in un processo penale, quali imputati. 
Invero, la finalit� della legge � appunto quella di identificare le fattispecie giuridiche di 
legittimo impedimento (per le cariche pubbliche ivi indicate) disciplinato dall�art. 420 ter 
c.p.c. che la legge espressamente richiama �in un contesto di leale collaborazione istituzionale 
tra autorit� giudiziaria e autorit� politica�. 
Punto di riferimento � stata la sentenza di codesta Corte n. 24 del 2004 che ha riconosciuto, 
come interesse apprezzabile, quello di assicurare un sereno svolgimento delle rilevanti 
funzioni delle alte cariche dello Stato, interesse di rango costituzionale che pu� essere tutelato 
in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto, come il regolare esercizio della 
giurisdizione, esigenza anch�essa di rango costituzionale. 
L'intervento legislativo � stato reso necessario dal fatto che, nell'assenza di precedenti 
specifici di codesta Corte in ordine al legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei 
ministri e dei Ministri, con riferimento alla loro presenza nel processo quale imputati, sono 
emerse, in concreto, difficolt� nell'adattamento, in via interpretativa, alla predetta fattispecie 
delle soluzioni gi� offerte da codesta Corte per gli esponenti del Parlamento.
94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
A questo ultimo proposito, � noto che, a partire dalla sentenza del 4 luglio 2001, n. 225, 
codesta Corte ha statuito che �l�autorit� giudiziaria, come ogni altro potere, allorquando agisce 
nel campo suo proprio e nell�esercizio delle sue competenze, deve tener conto non solo 
delle esigenze delle attivit� di propria pertinenza, ma anche degli interessi, costituzionalmente 
tutelati, di altri poteri, che vengano in considerazione ai fini dell�applicazione delle regole 
comuni, e cos�, ai fini dell�apprezzamento degli impedimenti invocati per chiedere il rinvio 
dell�udienza. Pertanto il giudice non pu�, al di fuori di un ragionevole bilanciamento fra le 
due esigenze, entrambe di valore costituzionale, della speditezza del processo e della integrit� 
funzionale del Parlamento, far prevalere solo la prima, ignorando totalmente la seconda�. 
Nella medesima sentenza, codesta Corte ha anche rilevato che �ove l�imputato, come 
nel caso in esame, deduca di essere impedito ad intervenire all�udienza dovendo esercitare il 
suo diritto�dovere di partecipare ai lavori parlamentari � fra l�esigenza di speditezza dell�attivit� 
giurisdizionale e quella di tutela delle attribuzioni parlamentari, aventi entrambe 
fondamento costituzionale, si pu� determinare un�interferenza suscettibile di incidere sulle 
attribuzioni costituzionali di un soggetto estraneo al processo penale e, in particolare, sull�interesse 
della Camera di appartenenza a che ciascuno dei suoi componenti sia libero di 
regolare la propria partecipazione ai lavori parlamentari nel modo ritenuto pi� opportuno. 
Pertanto, il giudice non pu� limitarsi ad applicare le regole generali del processo in tema di 
onere della prova del legittimo impedimento dell�imputato, incongruamente coinvolgendo un 
soggetto costituzionale estraneo al processo stesso, ma ha l�onere di programmare il calendario 
delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari�. 
Orbene, non vi � chi non veda come le peculiarit� dell�attivit� governativa rispetto a 
quella parlamentare impongono un opportuno adattamento dei richiamati principi e soprattutto 
della soluzione operativa, consigliata da codesta Corte. 
Le attivit� governative, infatti, si svolgono con modalit� e cadenze temporali che, a differenza 
di quanto avviene per gli organi parlamentari, sono pi� eterogenee e non facilmente 
preventivabili; ed invero, a differenza dei lavori del Senato della Repubblica e della Camera 
dei Deputati, le cui modalit� di svolgimento ed il cui calendario sono, per cos� dire, standardizzati 
e raramente subiscono modifiche, l�attivit� del Governo � pi� soggetta a variazioni atteso 
che la stessa deve tenere conto di svariate evenienze. 
Da quanto sopra discende, come sopra gi� anticipato, la necessit�, nell�ambito della soluzione 
operativa consigliata da codesta Corte, di rinvenire una diversa conciliazione fra l�esigenza 
di speditezza dell�attivit� giurisdizionale e quella di tutela delle attribuzioni del 
Governo. 
Un compito, quest'ultimo, che non poteva, peraltro, essere lasciato alla mera attivit� interpretativa 
del giudice penale; lo dimostra il fatto che proprio la Sezione I del Tribunale di 
Milano, con ordinanza, pronunciata in data 1 marzo 2010, aveva rigettato la richiesta di rinvio 
dell�udienza dibattimentale, prevista per la predetta data, come da calendario concordato tra 
tutti i soggetti processuali, formulata dalla difesa del Presidente del Consiglio dei Ministri, 
On. Silvio Berlusconi, per legittimo impedimento di quest�ultimo in quanto impegnato, nella 
medesima data, nella presidenza della riunione del Consiglio dei Ministri, mentre la Sezione 
X dello stesso Tribunale accoglieva la domanda di rinvio dell�udienza per lo stesso motivo. 
E� evidente che, nei casi in esame, le decisioni prese possono interferire con le modalit� 
e la tempistica dello svolgimento dell'attivit� governativa, attribuzioni, di rango costituzionale, 
esclusive del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri.
CONTENZIOSO NAZIONALE 95 
Da qui, la scelta obbligata di attribuire, anche ai fini della certezza del diritto, al legislatore 
il compito, appunto, di andare a tipizzare (art. 1, comma 1, della legge n. 51/10) le ipotesi 
in cui lo svolgimento dell'attivit� governativa rende assolutamente impossibile, al Presidente 
del Consiglio dei ministri ed ai Ministri di comparire in un processo penale, in qualit� di imputati.
Ovviamente, il rinvio dell�udienza per legittimo impedimento non � previsto in via automatica, 
come era stato disposto dalla L. n. 124 del 2008, ma consente all�imputato � Presidente 
del Consiglio o Ministro che intenda presenziare all�udienza � di ottenerne, volta per 
volta, il rinvio; ci�, in quanto la celebrazione di questa, e quindi la presenza fisica dell�imputato 
in aula, impedirebbe di certo lo svolgimento delle attivit� istituzionali che a lui fanno 
capo e che non sono delegabili. A tal fine, si deve precisare che le richiamate funzioni di governo 
non possono essere arbitrariamente indicate dall�interessato in occasione della richiesta 
di rinvio, ma � giusta art. 1, comma 1, legge n. 51/2010 � debbono trovare il proprio principale 
ed esplicito fondamento normativo in fonti di rango primario o secondario, o a queste direttamente 
collegate (come per le attivit� preparatorie, consequenziali o comunque coessenziali 
alle funzioni di governo). 
Il giudice penale potr� esaminare, pertanto, la sussistenza, in concreto, della situazione 
di fatto (motivo del rinvio) addotto dalla parte come legittimo impedimento, cio� se l�attivit� 
governativa, dedotta quale legittimo impedimento, rientri tra le ipotesi previste dalle disposizioni 
di cui alla legge n. 51/2010, ma, ovviamente, non potr� sindacare se le attivit� istituzionali, 
indicate nella legge n. 51/2010, siano, una volta provatane in fatto l�esistenza, causa di 
legittimo impedimento. 
A dire il vero, tale sindacato non poteva essere ammesso neanche prima della legge 
51/2010, a meno di voler attribuire al giudice penale un inammissibile potere di valutare le 
ragioni (politiche) sottese all�esercizio, di volta in volta, delle attivit� istituzionali da parte 
degli organi in questione, con la prospettiva di un inammissibile confronto dibattimentale 
sulle stesse. 
La tipizzazione delle cause di legittimo impedimento di cui alla legge n. 51/2010, contrariamente 
a quanto affermato dal Tribunale di Milano, non pu� dirsi affetta da indeterminatezza 
e genericit�, essendo state richiamate, nell'art. 1, comma 1, della legge cit., specifiche 
disposizioni della legge n. 400/88, del D.Lgs. n. 303/99 e del D.P.C.M. 10 novembre 1993; a 
ci� si aggiunga che l'espressione di chiusura, contenuta nella predetta norma, �attivit� preparatorie 
e consequenziali, nonch� di ogni attivit� comunque coessenziale alle funzioni di Governo�, 
non � affatto ampia ed indeterminata, essendo, le predette attivit�, adeguatamente 
determinate e agevolmente individuabili atteso il loro carattere strettamente strumentale rispetto 
a quelle specificamente indicate con il richiamo delle rispettive fonti normative. 
Alla luce di quanto sopra, si appalesa in tutta la sua erroneit�, la conclusione, cui perviene 
il Tribunale di Milano nella propria ordinanza di rimessione, ovvero che sarebbe stata 
introdotta �una presunzione assoluta di impedimento genericamente collegata allo svolgimento 
di funzioni governative da parte dei soggetti indicati�. 
Trattasi di conclusione, quest'ultima, del tutto inesatta che porterebbe ad applicare meccanicamente, 
con riferimento alla legge che ci occupa, le medesime conclusioni cui codesta 
Corte � pervenuta, nella nota sentenza n. 262/09, in relazione ad una legge, la n. 124/08, il 
cui contenuto era ben diverso rispetto a quello della legge n. 51/10. 
Nella predetta sentenza, codesta Corte ha, come noto, affermato che �le prerogative costituzionali 
(o immunit� in senso lato, come sono spesso denominate) si inquadrano nel genus
96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
degli istituti diretti a tutelare lo svolgimento delle funzioni degli organi costituzionali attraverso 
la protezione dei titolari delle cariche ad essi connesse. Esse si sostanziano � secondo 
una nozione su cui v'� costante e generale consenso nella tradizione dottrinale costituzionalistica 
e giurisprudenziale � in una specifica protezione delle persone munite di status costituzionali, 
tale da sottrarle all'applicazione delle regole ordinarie. Le indicate prerogative 
possono assumere, in concreto, varie forme e denominazioni (insindacabilit�; scriminanti in 
genere o immunit� sostanziali; inviolabilit�; immunit� meramente processuali, quali fori speciali, 
condizioni di procedibilit� o altro meccanismo processuale di favore; deroghe alle formalit� 
ordinarie) e possono riguardare sia gli atti propri della funzione (cosiddetti atti 
funzionali) sia gli atti ad essa estranei (cosiddetti atti extrafunzionali), ma in ogni caso presentano 
la duplice caratteristica di essere dirette a garantire l'esercizio della funzione di organi 
costituzionali e di derogare al regime giurisdizionale comune. Si tratta, dunque, di istituti 
che configurano particolari status protettivi dei componenti degli organi; istituti che sono, al 
tempo stesso, fisiologici al funzionamento dello Stato e derogatori rispetto al principio di 
uguaglianza tra cittadini. Il problema dell'individuazione dei limiti quantitativi e qualitativi 
delle prerogative assume una particolare importanza nello Stato di diritto, perch�, da un lato, 
come gi� rilevato da questa Corte, �alle origini della formazione dello Stato di diritto sta il 
principio della parit� di trattamento rispetto alla giurisdizione� (sentenza n. 24 del 2004) e, 
dall'altro, gli indicati istituti di protezione non solo implicano necessariamente una deroga 
al suddetto principio, ma sono anche diretti a realizzare un delicato ed essenziale equilibrio 
tra i diversi poteri dello Stato, potendo incidere sulla funzione politica propria dei diversi organi�.
Nella medesima sentenza, codesta Corte ha, d'altro canto, recisamente escluso che l'istituto 
del legittimo impedimento possa qualificarsi alla stregua di una prerogativa, come tale 
necessitante di una copertura costituzionale, trattandosi di un istituto processuale, di portata 
generale; ammettendo, altres�, che l'istituto del legittimo impedimento possa essere opportunamente 
modulato, da un punto di vista normativo, quando lo stesso riguardi soggetti che, 
come nel caso di specie, svolgono funzioni pubbliche di rilievo costituzionale. 
Nella predetta sentenza, si legge, infatti, che �la deducibilit� del legittimo impedimento 
a comparire nel processo penale, infatti, non costituisce prerogativa costituzionale, perch� 
prescinde dalla natura dell'attivit� che legittima l'impedimento, � di generale applicazione e, 
perci�, non deroga al principio di parit� di trattamento davanti alla giurisdizione. Si tratta, 
dunque, di uno strumento processuale posto a tutela del diritto di difesa di qualsiasi imputato, 
come tale legittimamente previsto da una legge ordinaria come il codice di rito penale, anche 
se tale strumento, nella sua pratica applicazione, va modulato in considerazione dell'entit� 
dell'impegno addotto dall'imputato�. 
Una modulazione, quest'ultima, che � stata dettata proprio con la legge n. 51/10. 
Ed invero, contrariamente a quanto si afferma nella ordinanza del Tribunale penale di 
Milano, la legge n. 51/2010 non disciplina n� prevede casi di prerogative ministeriali per le 
quali sarebbe stata necessaria una legge costituzionale. 
Le prerogative a favore dei membri del Parlamento o di alte cariche dello Stato hanno 
l�effetto di creare, per essi, o l�immunit� per certe attivit� (art. 68 della Cost.; 90 e 96 Cost.) 
che comporta una esenzione temporanea della giurisdizione penale, oppure l�inviolabilit� del 
soggetto stesso che non pu� essere sottoposto ad atti del giudice penale senza preventiva autorizzazione. 
La legge 7 aprile 2010 n. 51, che prevede categorie di legittimo impedimento ex art.
CONTENZIOSO NAZIONALE 97 
420 ter c.p.c. per il Presidente del consiglio dei ministri e per i Ministri, non comporta esenzione 
dalla giurisdizione penale ma ha, quale unico effetto processuale, quello di un rinvio 
del processo ad altra udienza, su richiesta di parte. 
La necessit� della richiesta della parte � collegata certamente ad una valutazione concreta 
del contenuto della funzione istituzionale che, di volta in volta, gli organi citati debbono esercitare 
e che pu� comportare anche la mancanza della richiesta di rinvio dell�udienza ove la 
presenza del soggetto non sia assolutamente necessaria all�esercizio di tale attivit�. 
E� evidente che tale valutazione, come si � detto, non pu� essere rimessa al giudice trattandosi 
di sindacato di natura politica rientrante nella sfera delle attribuzioni del Presidente 
del consiglio e dei singoli Ministri (es. fissazione e direzione del Consiglio dei ministri da 
parte del Presidente del consiglio; partecipazione ai lavori parlamentari o a riunioni degli organismi 
internazionali ecc.), ma il giudice penale potr� accertare se l�ipotesi prospettata come 
causa di legittimo impedimento rientri tra le fattispecie previste nell�art. 1 della L. 51/2010, 
disponendo il rinvio dell�udienza dopo tale accertamento. 
In altri termini non � esatto che il giudice sarebbe privato, dalla legge in esame, di qualsivoglia 
potere di sindacato sul punto; �, invece, vero che deve rinviare il processo soltanto 
�quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti� (art. I c. 3 L. n. 51/2010). 
E� ovvio che in tali casi deve essere tenuto in debito conto il principio di leale collaborazione 
�che deve, sempre, informare i rapporti tra le istituzioni, in una sintesi di reciproco 
rispetto del lavoro di ciascuno degli organi e poteri costituzionali� in coerenza con i criteri 
dettati da codesta Corte in materia di legittimo impedimento secondo i quali non si deve tener 
presente soltanto l�esigenza della speditezza del processo ma anche l�esercizio delle funzioni 
costituzionali del Presidente del consiglio e dei Ministri e la concreta possibilit� di coordinare 
il proprio diritto di difesa con l�esercizio delle attivit� istituzionali. 
La legge n. 51/2010 mira a tali finalit�: non prevede una sospensione generale e automatica 
del procedimento penale, ma soltanto il rinvio dell�udienza su richiesta della parteimputata 
e per determinate e concrete attivit� istituzionali; 
il rinvio del processo non ha una durata indeterminata, ma, ove l�impedimento sia continuativo 
e correlato allo svolgimento delle funzioni indicate dalla stessa legge, il rinvio opportunamente 
andr� fatto al periodo successivo a quello indicato, che non pu� essere superiore a 6 mesi; 
non comporta una presunzione assoluta di legittimo impedimento, ma soltanto l�indicazione 
di categorie di attivit� istituzionali (situazioni di fatto) che possono comportare la richiesta 
del rinvio dell�udienza a tutela del diritto di difesa dell�imputato in coerenza con l�esercizio 
dei propri doveri costituzionali; 
contiene un ragionevole ed equo bilanciamento dei due valori costituzionali, quello dell�esercizio 
della giurisdizionale e quello dell�esercizio delle attivit� politico�istituzionali dei membri 
del Governo senza far prevalere l�uno sull�altro e soprattutto senza sacrificarne nessuno (cfr. 
Corte Cost., sent. n. 225/2001). 
A ci� si deve aggiungere che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale di Milano, 
proprio la disposizione dell�art. 2 dalla legge n. 51/2010 esclude che l�art. 1 preveda una prerogativa 
costituzionale del Premier e dei Ministri in quanto tale disposizione rimanda la �disciplina 
organica delle prerogative del Presidente del consiglio dei ministri e dei ministri, 
nonch� la disciplina attuativa della partecipazione degli stessi ai processi penali� ad una 
emananda legge costituzionale, in adesione al principio affermato da codesta Corte nella sentenza 
n. 262/2009. 
Detto richiamo, infatti, vuol significare soltanto che - correttamente - sar� una legge co-
98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
stituzionale a disciplinare le vere prerogative dei membri del Governo, e che, fino ad allora, 
rimarranno in vigore specifiche previsioni di legge ordinaria (come quella in esame) inerenti 
a specifici aspetti della materia che al concetto di prerogativa non sono certo riconducibili. 
Invero, � stato presentato il disegno di legge costituzionale (A.S. n. 2180) recante �Disposizioni 
in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello 
Stato� che ha la finalit� di prevedere immunit� per i titolari di cariche politiche nell�ambito 
delle garanzie costituzionali per il sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono 
a quelle cariche. 
Il disegno di legge costituzionale in questione, recependo i rilievi di codesta Corte sulla 
legge n. 124/2008 (sentenza n. 262/2009), prevede la non sottoposizione a processo penale 
delle alte cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidente del consiglio e Ministri) 
durante lo svolgimento della carica o delle funzioni, qualora il Parlamento decida di disporre 
tale sospensione del processo; riguarda i reati extrafunzionali; la sospensione non � automatica 
in quanto la decisione � rimessa al Parlamento; infine, in caso di sospensione del processo, � 
anche sospeso il corso della prescrizione dei reati. 
Come � facile notare, trattasi di un intervento legislativo ben diverso, nel contenuto, da 
quello in esame, in cui si dispone la sospensione della giurisdizione nei confronti delle alte 
cariche dello Stato al fine di fornire una obiettiva protezione del regolare svolgimento delle 
attivit� connesse alla carica stessa. 
La legge n. 51/2010, invece, come si � detto, prevede norme in materia di impedimento 
a comparire in udienza per il Presidente del consiglio dei ministri e dei Ministri, nel procedimento 
penale quale imputati, in caso di concomitante esercizio di una o pi� attribuzioni previste 
dalle leggi e dai regolamenti per tali cariche. 
Non sospende l�esercizio della giurisdizione n� crea un particolare status giuridico per 
tale carica ma ha, quale conseguenza processuale, quello di un rinvio dell�udienza con conseguente 
sospensione della prescrizione per l�intera durata del rinvio. 
A quanto sopra, si aggiunga che non coglie, neppure, nel segno il rilievo, formulato dal 
Tribunale di Milano, ovvero che le norme, oggetto del presente giudizio di costituzionalit�, 
stabilirebbero �a priori e in modo vincolante che la titolarit� e l'esercizio delle funzioni pubbliche 
costituiscono sempre legittimo impedimento per rilevanti periodi di tempo�. 
Con tale affermazione, il giudice a quo, si sforza, del tutto vanamente, di dimostrare 
che il riferimento delle disposizioni di cui all'art. 1 della legge n. 51/10, che prevedono concrete 
e tipizzate ipotesi di legittimo impedimento, � costituito dal soggetto, titolare della funzione 
governativa, in s� e per s� considerato (Presidente del Consiglio dei Ministri o Ministro); 
al contrario, le disposizioni in argomento si riferiscono non al soggetto bens� all'attivit� governativa, 
oggettivamente considerata e specificata con il richiamo puntuale alle fonti normative 
di riferimento; il che esclude, in radice, che possa parlarsi, in proposito, di prerogativa 
ovvero di immunit�. 
Quanto, infine, alla circostanza, particolarmente stigmatizzata dal giudice a quo, ovvero 
che l'art. 1, comma 4, della legge n. 51/10 attribuisce alla Presidenza del Consiglio dei Ministri 
il compito di attestare la continuativit� e la correlazione con lo svolgimento delle funzioni 
governative dell'impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri, si deve evidenziare 
come la predetta scelta normativa trovi la propria giustificazione nella necessit� ed opportunit� 
di attribuire tale delicato compito ad un soggetto, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, distinto 
rispetto al Presidente del Consiglio dei Ministri, coinvolto nel processo penale come 
imputato; sarebbe stata, infatti, irragionevole, una disposizione che avesse, invece, lasciato
CONTENZIOSO NAZIONALE 99 
allo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri-imputato il compito di autocertificare che 
l'impedimento presenta carattere continuativo. 
Tanto premesso in fatto ed in diritto, si rimettono le seguenti 
CONCLUSIONI 
�Voglia codesta Ecc.ma Corte Costituzionale, in accoglimento delle rappresentate deduzioni, 
ritenere e dichiarare la infondatezza della questione di legittimit� costituzionale, sollevata 
con l�ordinanza, meglio indicata in epigrafe�. 
Roma, 6 luglio 2010. 
Michele Dipace 
VICE AVVOCATO GENERALE DELLO STATO 
Maurizio Borgo 
AVVOCATO DELLO STATO 
CT 18081/10 � Avv. Dipace 
Ecc.ma Corte Costituzionale 
R.O. n. 173/10 - Ud. 14.12.2010 
Memoria illustrativa 
per il Presidente del Consiglio dei Ministri, organicamente patrocinato dall�Avvocatura Generale 
dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 � ex lege domiciliato 
PREMESSA E DIRITTO 
Con ordinanza (G.U. del 16 giugno 2010, n. 24), pronunciata in data 19 aprile 2010, 
con riferimento al procedimento penale n. 11776/06 ed altri R.G.T. nei confronti di Agrama 
Frank ed altri, il Tribunale di Milano � Sez. I Penale ha sollevato questione di legittimit� costituzionale 
della legge n. 51/10, limitatamente all'art. 1, commi 1, 3 e 4, evidenziando che la 
predetta disciplina �realizza la medesima situazione gi� analizzata dalla Corte Costituzionale 
nella recente sentenza n. 262/09 sul c.d. Lodo Alfano�, esponendosi, pertanto, alla medesima 
censura, sotto il profilo del mancato rispetto della Carta costituzionale, ovvero quella di violare 
l'art. 138 Cost., per essere stata introdotta, la nuova ipotesi di prerogativa, con legge ordinaria 
anzich� con procedimento costituzionale. 
Nel giudizio interveniva il Presidente del Consiglio dei Ministri, formulando le proprie 
deduzioni e chiedendo a codesta Ecc.ma Corte di voler dichiarare l�inammissibilit� e/o l�infondatezza 
della questione di legittimit� costituzionale de qua. 
Con la presente memoria, ribadendo in toto le ragioni dedotte con l�atto di intervento a 
sostegno dell�irrilevanza e/o dell�infondatezza dei dubbi di legittimit� costituzionale dell'art. 
1, commi 1, 3 e 4, della legge n. 51/10, sollevati dal Tribunale a quo, si rassegnano le seguenti 
ulteriori considerazioni. 
1. Sull�inammissibilit� della questione di legittimit� costituzionale. 
La questione di legittimit� costituzionale della legge n. 51/10 si appalesa manifestamente 
inammissibile per carenza assoluta di motivazione in punto di rilevanza della questione medesima. 
Innanzi tutto, l�ordinanza del Tribunale di Milano non precisa i fatti del processo n� in-
100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
dica i reati per i quali il processo viene celebrato di modo che non consente un�analisi compiuta 
della rilevanza della questione di costituzionalit� (v. c.c. 202/09); al proposito, � principio 
pacifico che, sotto tale profilo, l�atto con il quale si solleva la questione di costituzionalit� 
deve necessariamente avere una motivazione autosufficiente giacch� il rimettente deve descrivere 
la fattispecie sottoposta al suo esame. 
L�orientamento della Corte pone l�accento sullo stretto legame intercorrente tra la rilevanza 
e i presupposti dell�azione in giudizio nel senso che i quesiti sulla incostituzionalit� 
della norma evocata in giudizio debbano incidere sulla decisione che il remittente deve adottare. 
Il giudizio di rilevanza risulta, infatti, inscindibilmente connesso all�incidentalit� ed alla 
concretezza del giudizio, perch� costituisce un vero e proprio �filtro� alle questioni di legittimit� 
costituzionale davanti alla Corte. 
La nozione di rilevanza, ormai ritenuta prevalente nella giurisprudenza costituzionale, 
deve essere intesa come capacit� della decisione del giudice delle leggi di incidere sul giudizio 
a quo, nel senso che il giudice rimettente pu� sollevare una questione di costituzionalit� solo 
qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della pregiudiziale 
costituzionale (cfr., tra le altre, Corte Cost., ordinanza n. 220/10). 
Orbene, nel caso che ci occupa, il Tribunale di Milano non ha fornito un�adeguata motivazione 
in ordine alla rilevanza della questione di legittimit� costituzionale di cui � giudizio, 
ovvero non ha spiegato perch� non potesse decidere sulla richiesta di rinvio dell�udienza � 
�., formulata dalla difesa dell�imputato, Silvio Berlusconi, in quanto quest�ultimo era assolutamente 
impossibilitato a presenziare alla medesima udienza per legittimo impedimento 
concretantesi in impegni istituzionali specificamente indicati dall�attestazione del Segretario 
Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e facilmente accertabili da parte del Tribunale 
indipendentemente dalla risoluzione della pregiudiziale costituzionale avente ad oggetto 
l'art. 1, commi 1, 3 e 4, della legge n. 51/10; tanto pi� che, nella predetta attestazione, 
era indicato che il Presidente del Consiglio poteva essere presente alle udienze a partire dalla 
seconda met� di luglio. 
Pi� in particolare, il Tribunale di Milano non ha fornito alcuna giustificazione in relazione 
al fatto che l�istanza difensiva, pi� sopra menzionata, non potesse essere valutata e decisa 
alla stregua della disciplina di cui all�art. 420 ter c.p.p.. Non si riesce, infatti, a 
comprendere per quale ragione il giudice a quo non potesse pronunciarsi, in senso positivo o 
negativo, come peraltro aveva gi� fatto in altre udienze sulla medesima richiesta di rinvio, facendo 
applicazione della prefata disposizione del codice di rito che, come noto, prevede, quali 
cause che possono dare luogo ad assoluta impossibilit� per l�imputato di comparire all�udienza, 
oltre al caso fortuito ed alla forza maggiore, appunto il legittimo impedimento, che, 
ovviamente, pu� anche sussistere per un determinato periodo di tempo, essendo correlato a 
situazioni di fatto che non devono essere necessariamente contingenti. 
Al proposito, non vi � chi possa dubitare che impegni istituzionali, in qualit� di Presidente 
del Consiglio dei Ministri, specificamente indicati dal Segretario Generale della Presidenza 
del Consiglio dei Ministri (con allegato programma) potessero essere sussunti 
nell�ambito di applicazione della disposizione di cui all�art. 420 ter c.p.p. previo eventuale 
accertamento del Tribunale stesso. 
Da quanto sopra, discende, all�evidenza, che il Tribunale di Milano ha, del tutto inammissibilmente, 
proposto la questione di legittimit� costituzionale della legge n. 51/10, per cos� 
dire in via principale e non, come avrebbe invece dovuto, all�esito della necessaria verifica
CONTENZIOSO NAZIONALE 101 
della rilevanza della medesima questione che, per come evidenziato da codesta Corte, risulta 
inscindibilmente connessa alla incidentalit� propria del nostro modello di giustizia costituzionale. 
Invero, come risulta evidente dalla motivazione della questione di costituzionalit� prospettata, 
il giudice rimettente riconduce la censura di illegittimit� costituzionale alla norma 
in s� dell�art. 1, c. 1 , 3 e 4 della legge 51/10 citata e alla pretesa ratio sottesa alla medesima 
legge e non in quanto applicabile al caso concreto. 
In altri termini, viene sollevata la questione di costituzionalit� per sindacare la legittimit� 
costituzionale di una norma di legge senza fornire la prova della incidenza della stessa in concreto 
sul processo in corso (cfr. Corte Cost. n. 38/2009). 
Alla luce di quanto sopra, si confida in una pronuncia con la quale codesta Corte voglia 
dichiarare l�inammissibilit� della prospettata questione di legittimit� costituzionale. 
2. Sulla infondatezza della questione di legittimit� costituzionale. 
Passando al merito della questione di costituzionalit� che ci occupa, nel ribadire quanto gi� 
osservato nell�atto di intervento, si reputano necessarie alcune osservazioni che rendono ancor 
pi� evidente l�infondatezza delle questioni proposte. 
Secondo l�avviso del giudice rimettente, la disciplina, contenuta nell�art. 1 della legge 
n. 51/10, non sarebbe altro che la riproposizione, del c.d. �Lodo Alfano�, con la scontata conseguenza 
che sarebbero predicabili nei confronti della legge n. 51/10 le medesime censure 
formulate da codesta Corte in relazione al predetto Lodo; secondo l�assunto del Tribunale di 
Milano, la norma in questione realizza la stessa situazione gi� analizzata da codesta Corte 
nella sentenza n. 262/2009, quasi che il legittimo impedimento, disciplinato dalla legge n. 
51/2010, violi la sentenza citata. 
Al riguardo, cՏ la significativa risposta del Prof. Zanon: �No, sono due cose completamente 
diverse. La violazione della sentenza sul lodo Alfano si avrebbe in caso di riproposizione 
della norma dichiarata incostituzionale nella sostanza. Ora non cՏ pi� una sospensione 
ex lege sia pure temporanea del processo per la durata del mandato, ma un legittimo impedimento 
che viene certificato e allegato. La stessa Corte, se ne venisse investita, la dovrebbe 
considerare come una questione nuova�. 
E di questione del tutto nuova rispetto a quella decisa con la pronuncia n. 262/09 di codesta 
Corte, in effetti, si tratta. 
La legge n. 51/10 non ha nulla a che vedere con la legge n. 124/08 (il c.d. Lodo Alfano, 
dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 262/09 di codesta Corte) n� tantomeno, come si 
� ampiamente dedotto nell�atto di intervento, con il disegno di legge costituzionale (A.S. n. 
2180) recante �Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle 
alte cariche dello Stato� che ha la finalit� di prevedere immunit� per i titolari di cariche politiche 
nell�ambito delle garanzie costituzionali per il sereno svolgimento delle rilevanti funzioni 
che ineriscono a quelle cariche. 
La normativa di cui al presente giudizio non introduce, infatti, alcuna forma di immunit� 
ovvero di prerogativa ma specifica tipizzandola (e, peraltro, riducendola significativamente) 
la portata dell�istituto dell�impedimento a comparire, gi� previsto dal codice di procedura penale 
all�art. 420 ter, con riferimento alla posizione del Presidente del Consiglio dei Ministri 
e dei Ministri allorch� gli stessi siano coinvolti, come imputati, in un processo penale extrafunzionale. 
In altri termini la legge fissa categorie precise di impedimento da sottoporre all�accertamento 
del giudice per il rinvio all�udienza. 
Il legittimo impedimento, come gi� evidenziato nell�atto di intervento, rappresenta un
102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
istituto processuale che pu� essere disciplinato (integrato o modificato) nel senso che il legislatore 
ritiene opportuno con legge ordinaria nell�esercizio di quella discrezionalit� che indubbiamente 
gli va riconosciuta. 
Affermare il contrario significherebbe pervenire alla assurda conclusione che il legislatore, 
ove intenda integrare ovvero modificare la disciplina di un istituto giuridico, dettata da 
norme di rango ordinario, dovrebbe ricorrere, sempre e comunque, allo strumento della revisione 
costituzionale di cui all�art. 138 Cost. soltanto perch� la disciplina potrebbe essere applicata 
ad organi pubblici previsti nella Carta Costituzionale. 
Non vi � chi non veda come la predetta conclusione si tradurrebbe nello stravolgimento 
del sistema di gerarchia delle fonti di produzione del diritto. 
La legge 51/2010 si � attenuta, sia pure in via transitoria, alle indicazioni della Corte 
contenute nelle note sentenze n. 24/2004 (sul c.d. �Lodo Schifani�) e n. 262/2009 (sul c.d. 
�Lodo Alfano�) per evitare, anche sotto il profilo della forma legislativa, le censure di incostituzionalit� 
accolte nelle due sentenze. 
La Corte ha deciso che la legge n. 140/2003 sulla sospensione dei processi penali in 
corso per le alte cariche dello Stato era illegittima 
a) perch� prevedeva l�automatismo generalizzato della sospensione dei processi che 
andava ad incidere sul diritto di difesa dell�imputato e della parte civile; 
b) perch� prevedeva reiterate sospensioni dei processi per le cariche costituzionali ivi 
previste che comportava una durata indefinita e indeterminabile della sospensione; 
c) vi era una eterogeneit�, sia per le funzioni svolte che per le fonti d�investitura delle 
cariche, accomunate dalla disciplina della sospensione, che rendevano la disciplina non ragionevole. 
Al riguardo, la legge n. 51/2010 non ha previsto una sospensione dei processi, generale 
e automatica soltanto perch� l�imputato � investito di particolari funzioni, ma ha previsto 
esclusivamente il rinvio dell�udienza, previa attestazione dello svolgimento in contemporanea 
di una funzione prevista dalla legge, e, comunque, su richiesta dell�imputato che pertanto pu� 
anche non avvalersi di tale normativa. 
La legge di cui si discute ha previsto la possibilit� che l�impedimento possa avere una 
durata determinata (non pi� di mesi sei) che � del tutto ragionevole anche a tutela del diritto 
di difesa delle altri parti del processo, ivi compresa la parte civile, ed ha limitato la tipizzazione 
del legittimo impedimento ai componenti del Governo. 
In altri termini, le disposizioni della legge n. 51/2010 non si discostano dalla logica dell�art. 
420 ter c.p.p. di cui precisano soltanto alcune fattispecie di impedimento e pertanto non 
hanno la finalit� di proteggere la funzione pubblica, in s� e per s� considerata, creando una 
prerogativa ovvero un�immunit� per specifici imputati, ma sono volte a tutelare il diritto di 
difesa dell�imputato che in un determinato periodo di tempo (es. giorno dell�udienza) � impedito 
a partecipare al processo per un proprio impegno istituzionale non prorogabile. Come 
ha affermato codesta Corte nella sentenza 262/2009, pi� volte menzionata, lo strumento processuale 
del legittimo impedimento, previsto legittimamente da una legge ordinaria, quale � 
il codice di rito penale, nella sua pratica applicazione �va modulato in considerazione dell�entit� 
dell�impegno dedotto����. �differenziando la posizione processuale del componente 
di un organo costituzionale solo per lo stretto necessario senza alcun meccanismo 
automatico e generale� (cfr. anche Corte Cost. 451/2005 e 391/2004). 
La finalit� richiamata � soddisfatta non gi� prevedendo l�automatica sospensione del 
processo per l�intera durata della carica (come era stato disposto dalla legge 124/2008), ma
CONTENZIOSO NAZIONALE 103 
soltanto consentendo all�imputato (Presidente del Consiglio o Ministro) che intenda presenziare 
all�udienza di ottenere, volta per volta, il rinvio della stessa; ci� in quanto lo svolgimento 
dell�udienza, quindi la presenza fisica dell�imputato in aula, impedirebbe di certo lo svolgimento 
delle attivit� istituzionali che a lui fanno capo e che non sono delegabili. A tal fine, peraltro, 
precisando che le attribuzioni che �riempiono di contenuti� le richiamate funzioni di 
governo non possono essere arbitrariamente indicate dall�interessato in occasione della richiesta 
di rinvio, ma � giusta richiamato art. 1, comma 1, legge n. 51/2010 � debbono trovare 
il proprio principale ed esplicito fondamento normativo in fonti di rango primario o secondario. 
Qualora, poi, risultino gi� �calendarizzati� reiterati e continuativi impegni, comunque 
attinenti alle funzioni di Presidente del Consiglio, appare opportuna la previsione in forza 
della quale �il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non 
pu� essere superiore a sei mesi� (art. 1, comma 4, anch�esso oggetto di censura); ed invero, 
sarebbe palesemente contrario ad ogni logica di economia processuale � fissare una o pi� date 
di udienze, gi� sapendo che nelle stesse il Presidente del Consiglio non potr� presentarsi, perch� 
impegnato in attivit� inerenti alle funzioni di governo. 
E� evidente che non trattasi di una presunzione iuris e de iure secondo la quale la legge 
in esame avrebbe privato il giudice del potere di qualsiasi valutazione con riferimento al caso 
concreto. 
Al contrario, il giudice � tenuto ad accertare e valutare quando ricorrono le ipotesi previste 
dall�art. 1 c. 1 della legge e rinviare il processo solo accertati la sussistenza di tale casi. 
In conclusione, la legge n. 51/10 non pu�, in alcun modo, essere qualificata alla stregua 
di una mera riedizione del �lodo� dichiarato incostituzionale da codesta Corte con la sentenza 
n. 262/09; la predetta legge, infatti, presenta i caratteri della temporaneit� e dell�efficacia limitata 
al tempo strettamente necessario all�entrata in vigore di una legge costituzionale dall�identico 
contenuto e comunque non oltre una scadenza predeterminata. 
La natura di prerogativa del meccanismo oggetto della questione non sembra potersi 
trarre, infine, neppure dall�art. 2 della medesima legge n. 51/2010, richiamato dal remittente 
sebbene non investito da dubbi di incostituzionalit�. Ed invero, il riferimento ad una futura 
legge costituzionale, �recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio 
dei Ministri e dei Ministri, nonch� della disciplina attuativa delle modalit� di partecipazione 
degli stessi ai processi penali�, non pare potersi leggere come ammissione della 
necessit� di una norma costituzionale anche in ordine alla materia di cui alla stessa legge n. 
51/2010; detto richiamo, infatti, vuol significare soltanto che � correttamente � sar� una legge 
costituzionale a disciplinare le vere e proprie prerogative dei membri del governo, e che, fino 
ad allora, rimarranno in vigore specifiche previsioni di legge ordinaria (come quella in esame), 
inerenti a specifici aspetti della materia che al concetto di prerogativa non sono certo riconducibili. 
Peraltro, giova ricordare che codesta Corte, in taluni casi, ha giustificato norme transitorie 
ordinarie e in attesa di una riforma di rango costituzionale o legislativo ordinario (cfr. i 
casi decisi con le sentenze nn. 272/2005, 1114/1988, 176/1996). 
In tali casi, la Corte ha posto l�accento sul fatto che l�esigenza, posta a base della scelta 
del legislatore, � quella di evitare che nel futuro sistema, risultante dalla riforma del settore, 
permangano irrazionali discrasie di disciplina o palesi iniquit�. 
Alla luce delle superiori considerazioni, si chiede a codesta Corte di dichiarare infondata 
la questione di legittimit� costituzionale, prospettata dal Tribunale di Milano, non potendosi,
104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
in alcun modo, mutuare, con riferimento alla legge n. 51/10, le conclusioni cui codesta Consulta 
� pervenuta nella sentenza n. 262/09. 
Tanto premesso in fatto ed in diritto, si rimettono le seguenti 
CONCLUSIONI 
�Voglia codesta Ecc.ma Corte Costituzionale, in accoglimento delle deduzioni svolte nella 
presente memoria in uno a quelle contenute nell�atto di intervento, da intendersi qui integralmente 
riprodotte, ritenere e dichiarare l�inammissibilit� e/o l�infondatezza della questione di 
illegittimit� costituzionale sollevata con l�ordinanza meglio indicata in premessa�. 
Roma, 10 novembre 2010 
Michele Dipace 
VICE AVVOCATO GENERALE DELLO STATO 
Maurizio Borgo 
AVVOCATO DELLO STATO 
Le decisioni della Consulta sulla legittimit� costituzionale e ... 
SENTENZA N. 23 
ANNO 2011 
REPUBBLICA ITALIANA 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
- Ugo DE SIERVO Presidente 
- Paolo MADDALENA Giudice 
- Alfio FINOCCHIARO " 
- Alfonso QUARANTA " 
- Franco GALLO " 
- Luigi MAZZELLA " 
- Gaetano SILVESTRI " 
- Sabino CASSESE " 
- Maria Rita SAULLE " 
- Giuseppe TESAURO " 
- Paolo Maria NAPOLITANO " 
- Giuseppe FRIGO " 
- Alessandro CRISCUOLO " 
- Paolo GROSSI " 
- Giorgio LATTANZI " 
ha pronunciato la seguente 
SENTENZA 
nei giudizi di legittimit� costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni 
in materia di impedimento a comparire in udienza) promossi dal Tribunale di Mi-
CONTENZIOSO NAZIONALE 105 
lano, sezione I penale e sezione X penale, con ordinanze del 19 e del 16 aprile 2010 e dal 
Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano con ordinanza del 24 giugno 
2010, rispettivamente iscritte ai nn. 173, 180 e 304 del registro ordinanze 2010 e pubblicate 
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24 e 41, prima serie speciale, dell�anno 2010. 
Visti gli atti di costituzione di S.B. nonch� gli atti di intervento del Presidente del Consiglio 
dei ministri; 
udito nell�udienza pubblica dell�11 gennaio 2011 il Giudice relatore Sabino Cassese; 
uditi gli avvocati Niccol� Ghedini e Piero Longo per S.B. e gli avvocati dello Stato Michele 
Dipace e Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
Ritenuto in fatto 
1. � Il Tribunale di Milano, sezione I penale, con ordinanza del 19 aprile 2010 (reg. ord. 
n. 173 del 2010), ha sollevato questione di legittimit� costituzionale dell�articolo 1, commi 1, 
3 e 4, della legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in 
udienza), per violazione dell�art. 138 della Costituzione. 
1.1. � Il collegio rimettente riferisce che la difesa dell�imputato nel giudizio principale 
ha dedotto e documentato, per l�udienza del 12 aprile 2010, un legittimo impedimento a comparire, 
consistente nell�impegno dell�imputato stesso a svolgere, nella sua qualit� di Presidente 
del Consiglio dei ministri, un viaggio di Stato. Il Tribunale riporta inoltre che, a fronte della 
richiesta di ulteriori date utili per la prosecuzione del giudizio, la difesa dell�imputato, ai sensi 
della disciplina censurata, ha formulato richiesta di rinvio al 21 luglio 2010, producendo attestazione 
del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri di impedimento 
continuativo dell�imputato motivato mediante riferimento esemplificativo a plurime attivit� 
governative da svolgere nel periodo intercorrente fra il 9 aprile e il 21 luglio 2010. 
Il giudice a quo espone che il pubblico ministero si � opposto alla richiesta di rinvio, 
sulla base di una interpretazione logica e sistematica della disciplina censurata, tale da consentire 
al giudice di valutare l�assolutezza dell�impedimento a comparire dedotto dal Presidente 
del Consiglio dei ministri. In particolare, secondo l�interpretazione proposta dal pubblico 
ministero, �la mera attestazione di un impegno continuativo e correlato all�esercizio delle 
funzioni� indicate dalla disciplina censurata �non precluderebbe al giudice l�accertamento 
della sussistenza in concreto dell�assoluto impedimento a comparire dell�imputato per il periodo 
indicato nell�attestazione� stessa. In subordine, secondo quanto riferisce il Tribunale 
rimettente, il pubblico ministero ha dedotto l�illegittimit� costituzionale della norma censurata, 
nell�ipotesi in cui essa dovesse intendersi come preclusiva di un sindacato del giudice in ordine 
alla sussistenza in concreto del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri. 
Ad avviso del giudice a quo, l�interpretazione del pubblico ministero non pu� essere 
condivisa, in quanto la disciplina censurata qualifica come legittimo impedimento, ai sensi 
dell�art. 420-ter del codice di procedura penale, �non solo le varie attribuzioni previste dalle 
leggi o dai regolamenti con riguardo alla funzione ministeriale�, ma anche le relative �attivit� 
preparatorie e consequenziali�, nonch� ogni �attivit� comunque coessenziale alle funzioni di 
governo�, imponendo, inoltre, il rinvio del processo ove la Presidenza del Consiglio dei ministri 
�attesti che l�impedimento � continuativo e correlato� allo svolgimento delle suddette 
funzioni. 
Alla luce di tali circostanze, il Tribunale rimettente ritiene che la disciplina censurata 
non si limiti �ad integrare la previsione di cui all�art. 420-ter del c.p.p.�, introducendo �casi
106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
ulteriori di legittimo impedimento legati a situazioni specificamente individuate� e tipizzando 
�taluni atti o attivit� di governo come integranti la fattispecie legale di impedimento�, ma sostanzialmente 
identifichi l�intera attivit� di governo �(peraltro mediante un meccanismo di 
autocertificazione) con l�assoluta impossibilit� a comparire�. Ci� si traduce, ad avviso del 
giudice a quo, nella privazione del potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza dell�impedimento 
con riferimento ad uno specifico impegno correlato alla singola udienza. In 
altri termini � osserva ancora il collegio rimettente � la definizione di legittimo impedimento 
di cui alla disciplina censurata � talmente ampia e generica da risolversi in una �presunzione 
assoluta di impedimento�, considerata quale situazione legata non gi� ad un �fatto contingente
�, ma ad uno �status permanente�, con conseguente venir meno della possibilit� del giudice 
di accertare la �sussistenza in concreto� dell�impedimento stesso. 
L�impossibilit� di seguire l�interpretazione proposta dal pubblico ministero rende rilevante, 
ad avviso del Tribunale rimettente, la questione di legittimit� costituzionale della disciplina 
censurata. Secondo il giudice a quo, tale questione sarebbe non manifestamente 
infondata, dal momento che �le disposizioni in esame, introducendo una presunzione iuris et 
de iure di impedimento continuativo per un lungo periodo di tempo connessa alle funzioni di 
governo si sostanziano in una norma di status derogatoria dell�ordinaria giurisdizione e dunque 
in una prerogativa che richiede una copertura costituzionale�. 
Ad avviso del Tribunale rimettente, infatti, la disciplina censurata, stabilendo a priori e 
in modo vincolante che la titolarit� e l�esercizio di funzioni pubbliche costituiscono sempre 
legittimo impedimento per rilevanti periodi di tempo, prescindendo da qualsiasi valutazione 
del caso concreto, si tradurrebbe nella �statuizione di una vera e propria prerogativa dei titolari 
delle cariche pubbliche diretta a tutelarne non gi� il diritto di difesa nel processo bens� lo 
status o la funzione�, realizzandosi, in tal modo, �la medesima situazione gi� analizzata dalla 
Corte costituzionale nella sentenza n. 262 del 2009�. Inoltre, secondo il giudice a quo, la circostanza 
che la stessa legge censurata indichi espressamente la propria �funzione di legge 
ponte�, in vista della successiva entrata in vigore di una organica disciplina costituzionale 
delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, ne renderebbe esplicita 
�la ratio di anticipazione di una disciplina innovativa in una materia che deve essere necessariamente 
introdotta con procedimento costituzionale� e confermerebbe, quindi, la 
violazione dell�art. 138 Cost. 
1.2. � � intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e 
difeso dall�Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimit� costituzionale 
sollevata sia dichiarata non fondata. 
1.2.1. � Secondo l�Avvocatura generale dello Stato, il giudice a quo deduce l�illegittimit� 
costituzionale della disciplina censurata erroneamente presupponendo che essa introduca una 
prerogativa o immunit� in favore del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, ci� 
che, per pacifica giurisprudenza costituzionale, potrebbe avvenire solo mediante legge costituzionale. 
In realt�, ad avviso della difesa dello Stato, la finalit� delle disposizioni oggetto di 
censura, come emergerebbe anche dai lavori preparatori, sarebbe quella di �identificare normativamente 
le attivit�, esercitate da soggetti che rivestono cariche pubbliche di rilievo costituzionale, 
che costituiscono impedimento a comparire nelle udienze del procedimento 
penale nel quale risultano imputati�. Tali disposizioni � osserva l�Avvocatura generale dello 
Stato � sono quindi dirette ad integrare la disciplina generale contenuta nell�art. 420-ter cod. 
proc. pen. e a �tipizzare gli atti, o meglio le attivit� di governo, che si traducono in altrettante 
fattispecie di legittimo impedimento�. Simile tipizzazione legislativa si rivelerebbe necessaria,
CONTENZIOSO NAZIONALE 107 
secondo il punto di vista della difesa dello Stato, allo scopo di adattare le soluzioni indicate 
da questa Corte con riferimento all�impedimento a comparire dei membri del Parlamento 
(sentenza n. 225 del 2001, secondo cui in particolare il giudice �ha l�onere di programmare 
il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi 
parlamentari�) alla diversa fattispecie del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio 
dei ministri e dei ministri, le cui attivit�, rispetto a quelle dei parlamentari, �si svolgono con 
modalit� e cadenze temporali [�] pi� eterogenee e non facilmente preventivabili� e sono 
�pi� soggett[e] a variazioni, atteso che l[e] stess[e] dev[ono] tenere conto di svariate evenienze
�. L�intervento legislativo della cui legittimit� si dubita, secondo la difesa dello Stato, 
sarebbe dunque rivolto a tipizzare, anche a fini di certezza del diritto e allo scopo di evitare 
divergenti interpretazioni giurisprudenziali, �le ipotesi in cui lo svolgimento dell�attivit� governativa 
rende assolutamente impossibile, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri
�, la comparizione in giudizio, in quanto essa precluderebbe �lo svolgimento di attivit� 
istituzionali non delegabili�. 
L�Avvocatura generale dello Stato ritiene, inoltre, che la disciplina censurata, a differenza 
della legge 23 luglio 2008, n. 124 (Disposizioni in materia di sospensione del processo penale 
nei confronti delle alte cariche dello Stato), non determini �in via automatica� la sospensione 
del processo. In primo luogo, essa si limiterebbe a consentire all�imputato di ottenere, �volta 
per volta�, il rinvio dell�udienza. In secondo luogo, le funzioni di governo in grado di giustificare 
la richiesta di rinvio troverebbero un �esplicito fondamento normativo in fonti di rango 
primario o secondario� espressamente richiamate, o sarebbero comunque �adeguatamente 
determinate e agevolmente individuabili atteso il loro carattere strettamente strumentale rispetto 
a quelle specificamente indicate con il richiamo delle rispettive fonti normative� (attivit� 
preparatorie, consequenziali o comunque coessenziali alle funzioni di governo). Infine, 
il giudice non sarebbe privato del potere di accertare �la sussistenza in concreto� del legittimo 
impedimento, perch� egli potrebbe comunque valutare �se l�attivit� governativa dedotta quale 
legittimo impedimento rientri fra le ipotesi previste dalle disposizioni� censurate. Al giudice, 
pertanto, resterebbe solo precluso il potere di �sindacare se le attivit� istituzionali indicate� 
da tali disposizioni siano, �una volta provatane in fatto l�esistenza, causa di legittimo impedimento
�: se cos� non fosse, si avrebbe, ad avviso dell�Avvocatura generale dello Stato, un 
inammissibile sindacato del giudice penale sulle ragioni politiche sottese all�esercizio delle 
attivit� istituzionali degli organi costituzionali. 
La difesa dello Stato esclude, quindi, che la disciplina censurata costituisca, come invece 
affermato dal giudice a quo, una prerogativa o immunit� tale da richiedere copertura costituzionale. 
Si tratterebbe, invece, di un intervento legislativo di �modulazione� dell�istituto generale 
del legittimo impedimento, che, in definitiva: �non comporta esenzione dalla 
giurisdizione penale�; �non prevede una sospensione generale e automatica del procedimento 
penale�; �ha, quale unico effetto processuale, quello del rinvio del processo ad altra udienza 
su richiesta di parte�; prevede un rinvio che �non ha una durata indeterminata� e, nell�ipotesi 
di impedimento continuativo, comunque �non pu� essere superiore a sei mesi�; �non comporta 
una presunzione assoluta di legittimo impedimento, ma soltanto l�indicazione di categorie 
di attivit� istituzionali che possono comportare la richiesta del rinvio dell�udienza a 
tutela del diritto di difesa dell�imputato in coerenza con l�esercizio dei propri doveri costituzionali
�; �contiene un ragionevole bilanciamento dei due valori costituzionali, quello dell�esercizio 
della giurisdizione e quello dell�esercizio delle attivit� politico-istituzionali dei 
membri del Governo, senza far prevalere l�uno sull�altro e soprattutto senza sacrificarne nessuno�.
108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
N� pu� sostenersi, secondo la difesa dello Stato, che il rinvio effettuato dall�art. 2 della 
legge n. 51 del 2010 ad una successiva organica disciplina costituzionale delle prerogative 
del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri dimostri il carattere di prerogativa di 
quanto disposto dalla disciplina censurata. Tale richiamo, ad avviso dell�Avvocatura generale 
dello Stato, �vuol significare soltanto che � correttamente � sar� una legge costituzionale a 
disciplinare le vere prerogative dei membri del Governo�, mentre, fino a quel momento, �rimarranno 
in vigore specifiche previsioni di legge ordinaria (come quella in esame) inerenti a 
specifici aspetti della materia che al concetto di prerogativa non sono certo riconducibili�. 
Del resto, il disegno di legge costituzionale effettivamente presentato (A.S. n. 2180, recante 
�Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche 
dello Stato�), costituisce, secondo l�Avvocatura generale dello Stato, un intervento legislativo 
che ha un contenuto ben diverso rispetto a quello della disciplina censurata. Il disegno di 
legge, infatti, disporrebbe �la sospensione della giurisdizione nei confronti delle alte cariche 
dello Stato al fine di fornire una obiettiva protezione del regolare svolgimento delle attivit� 
connesse alla carica stessa�. La legge n. 51 del 2010, invece, prevederebbe un impedimento 
a comparire �in caso di concomitante esercizio di una o pi� attribuzioni previste dalle leggi e 
dai regolamenti� per le alte cariche, senza �sospende[re] l�esercizio della giurisdizione�, n� 
�crea[re] un particolare status giuridico per tale carica�, ma limitandosi a disporre un �rinvio 
dell�udienza con conseguente sospensione della prescrizione per l�intera durata del rinvio�. 
Infine, secondo l�Avvocatura generale dello Stato, la scelta normativa, �particolarmente 
stigmatizzata dal giudice a quo�, di attribuire alla Presidenza del Consiglio dei ministri il 
compito di attestare la continuativit� e la correlazione con lo svolgimento delle funzioni governative 
dell�impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri, troverebbe invece giustificazione 
�nella necessit� ed opportunit� di attribuire tale delicato compito ad un soggetto 
[�] distinto rispetto al Presidente del Consiglio dei Ministri coinvolto nel processo penale 
come imputato�, mentre sarebbe stato �irragionevole� lasciare a quest�ultimo �il compito di 
autocertificare che l�impedimento presenta carattere continuativo�. 
1.2.2. � In data 23 novembre 2010, l�Avvocatura generale dello Stato ha depositato, per 
il Presidente del Consiglio dei ministri, memoria illustrativa, ribadendo le ragioni dedotte con 
l�atto di intervento e insistendo per l�inammissibilit� e l�infondatezza della questione di legittimit� 
costituzionale sollevata. 
La difesa dello Stato deduce l�inammissibilit� della questione sostenendo, in primo 
luogo, che l�ordinanza di rimessione non preciserebbe i fatti del processo a quo, n� indicherebbe 
i reati per i quali esso viene celebrato, in tal modo non permettendo a questa Corte di 
valutare la rilevanza della questione, se non violando il principio di autosufficienza dell�atto 
di rimessione. Il giudice rimettente, in secondo luogo, ad avviso della difesa statale, non 
avrebbe �spiegato perch� non potesse decidere sulla richiesta di rinvio dell�udienza, formulata 
dalla difesa dell�imputato [�] in quanto quest�ultimo era assolutamente impossibilitato a presenziare 
alla medesima udienza per legittimo impedimento concretatesi in impegni istituzionali 
specificamente indicati dall�attestazione del Segretario generale della Presidenza del 
Consiglio dei ministri e facilmente accertabili da parte del Tribunale indipendentemente dalla 
risoluzione della pregiudiziale costituzionale avente ad oggetto l�art. 1, commi 1, 3 e 4, della 
legge n. 51 del 2010�. Secondo l�Avvocatura generale dello Stato, quindi, il giudice a quo 
non avrebbe fornito alcuna giustificazione in relazione al fatto che l�istanza difensiva non potesse 
essere valutata e decisa alla stregua della disciplina di cui all�art. 420-ter cod. proc. pen. 
La questione, pertanto, sarebbe stata proposta non all�esito della necessaria verifica della sua
CONTENZIOSO NAZIONALE 109 
rilevanza, bens� �per sindacare la legittimit� costituzionale di una norma di legge senza fornire 
la prova della incidenza della stessa in concreto sul processo in corso�. 
Nel merito, la difesa dello Stato ribadisce quanto dedotto nell�atto di intervento, rimarcando 
che le disposizioni della legge n. 51 del 2010 non si discosterebbero dalla logica dell�art. 
420-ter cod. proc. pen., �di cui precisano soltanto alcune fattispecie di impedimento e pertanto 
non hanno la finalit� di proteggere la funzione pubblica, in s� e per s� considerata, creando 
una prerogativa ovvero un�immunit� per specifici imputati, ma sono volte a tutelare il diritto 
di difesa dell�imputato che in un determinato periodo di tempo (es. giorno dell�udienza) � impedito 
a partecipare al processo per un proprio impegno istituzionale non prorogabile�. La 
normativa censurata, secondo l�Avvocatura generale dello Stato, non introduce alcuna forma 
di immunit�, ma �specifica, tipizzandola (e, peraltro, riducendola significativamente)� la portata 
dell�istituto dell�impedimento a comparire gi� previsto dall�art. 420-ter cod. proc. pen. 
N� potrebbe dirsi, sostiene la difesa dello Stato, che si sia dinanzi a una presunzione iuris et 
de iure, in base alla quale la legge n. 51 del 2010 avrebbe privato il giudice del potere di qualsiasi 
valutazione con riferimento al caso concreto, dal momento che �il giudice � tenuto ad 
accertare quando ricorrono le ipotesi previste dall�art. 1, comma 1, della legge e rinviare il 
processo solo accertata la sussistenza di tali casi�. 
1.3. � Si � costituito in giudizio, con atto depositato in data 5 luglio 2010, l�imputato 
nel giudizio principale, chiedendo che la questione di legittimit� costituzionale sollevata sia 
dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata. 
1.3.1. � L�imputato nel giudizio principale eccepisce, innanzitutto, l�inammissibilit� 
della questione sollevata, in ragione della omessa descrizione della fattispecie oggetto del 
giudizio principale, tale da non permettere alla Corte di valutarne compiutamente la rilevanza. 
Egli nega che, in relazione alle norme processuali, risulti attenuato l�obbligo del giudice a 
quo di descrivere puntualmente la fattispecie sottoposta al suo esame e comunque ritiene che, 
ove pure si volesse aderire a tale tesi, la mancata descrizione della fattispecie sarebbe, nel 
caso in esame, cos� �drastica� da determinare comunque l�inammissibilit� della questione. 
Sostiene la parte privata, infatti, che l�ordinanza di rimessione: non chiarisce a quali reati si 
riferisce l�imputazione, n� dove e quando gli stessi sarebbero stati commessi, n� se siano contestate 
ipotesi di concorso con altre persone; non fornisce una puntuale descrizione della �condizione 
soggettiva che legittima l�applicazione � della norma censurata; non indica lo stato 
in cui si trova il processo che si sta celebrando dinanzi al giudice a quo. Ad avviso dell�imputato 
nel giudizio principale, in virt� del principio di autosufficienza dell�ordinanza di rimessione, 
tali elementi, di cui la Corte �deve avere necessariamente contezza [�] per 
comprendere l�impatto che l�applicazione� della disciplina censurata potrebbe avere sul giudizio 
principale, neppure potrebbero essere ricavati �ricorrendo alle deduzioni delle altre parti 
intervenute, o alla visione diretta del fascicolo, o, addirittura, a fatti ritenuti notori�. 
L�imputato nel giudizio principale, inoltre, deduce, quale ulteriore ragione di inammissibilit�, 
il difetto della rilevanza in concreto della questione sollevata dal giudice rimettente, 
per aversi la quale sarebbe �necessario che l�interpretazione non costituzionale della legge, 
oltre ad essere l�unica possibile, supporti ed orienti l�applicazione che nel medesimo contesto 
il giudice si accingerebbe a farne�. Ci� non accadrebbe nel caso in esame, nel quale la difesa 
dell�imputato, all�udienza del 12 aprile 2010, da un lato, ha prospettato un legittimo impedimento 
per il giorno stesso, rappresentato da un viaggio di Stato a Washington D.C., negli Stati 
Uniti d�America, e, dall�altro lato, ha prodotto attestazione del Segretario generale della Presidenza 
del Consiglio dei ministri di legittimo impedimento continuativo fino al successivo 21 luglio. 
110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Alla luce di tali circostanze, secondo l�imputato nel giudizio principale, la rilevanza in 
concreto difetterebbe per due ragioni. 
In primo luogo, la questione sarebbe stata sollevata �prematuramente rispetto alla necessit� 
di dare effettiva applicazione� alla disciplina censurata, in considerazione della �sussistenza 
dell�impedimento puntuale, valevole hic et nunc per l�udienza del 12 aprile 2010, 
dato dal viaggio di Stato a Washington�. L�imputato nel giudizio principale chiarisce che l�attestazione 
della Presidenza del Consiglio dei ministri � stata prodotta al solo fine di indicare, 
per la prosecuzione del giudizio, i giorni del 21 e del 28 luglio, date che per� il Tribunale rimettente 
non avrebbe neppure preso in considerazione, sollevando invece direttamente � e 
quindi prematuramente � la questione di legittimit� costituzionale della disciplina censurata. 
In secondo luogo, l�imputato nel giudizio principale rileva che, ove pure �si ritenesse 
che la mera esibizione dell�attestazione [�] equivalga a una richiesta di applicazione della 
stessa, pur in presenza di un legittimo impedimento valido ed operante per il giorno dell�udienza 
in cui avviene detta esibizione�, tale attestazione si � limitata ad indicare un impedimento 
continuativo per un periodo di tempo di poco pi� di tre mesi, inferiore quindi al 
periodo massimo di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Quest�ultima avrebbe avuto 
quindi, nel giudizio a quo, una �applicazione parziale� e la questione di legittimit� costituzionale 
avrebbe dovuto essere formulata in relazione alla disciplina che ha avuto concreta applicazione, 
cio� di una disciplina che produce una sospensione del dibattimento per tre mesi, 
mentre il giudice a quo � rileva la parte privata - �discetta in astratto di �rilevanti periodo di 
tempo� in cui potrebbe essere fatto valere il legittimo impedimento�. 
Nel merito, l�imputato nel giudizio principale ritiene che il Tribunale rimettente abbia 
sollevato la questione di legittimit� costituzionale della disciplina censurata sulla base dell�erroneo 
presupposto che essa abbia introdotto un meccanismo che, �al di l� dell�evocazione 
del nomen di legittimo impedimento, costituirebbe in realt� una prerogativa connessa alla carica 
costituzionale di Presidente del Consiglio dei ministri e richiederebbe pertanto una fonte 
di rango costituzionale�. 
Innanzitutto, la circostanza su cui il Tribunale rimettente fonderebbe questo assunto, 
cio� l�asseritamente prevista sottrazione del potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza 
dell�impedimento, � negata dall�imputato nel giudizio principale. Questi infatti osserva 
come �nulla viet[i] al giudice, al quale venga esibita l�attestazione della Presidenza del Consiglio 
dei Ministri� di cui alla disciplina censurata, �sia di controllare l�autenticit� della stessa, 
sia di chiedere [�] ulteriori precisazioni in merito all�attivit� di governo che deve essere compiuta
�, restandogli soltanto preclusa la possibilit� �di sindacare il merito dell�attivit� di governo, 
giudicandola pi� o meno importante e necessaria�, ci� che peraltro contrasterebbe 
anche con il principio di separazione dei poteri. 
Inoltre, la �facolt� del giudice di entrare nel merito della fondatezza del legittimo impedimento
�, ad avviso dell�imputato nel giudizio principale, non sarebbe �cos� coessenziale 
alla natura stessa dell�istituto� da far escludere che possa rientrare nella categoria del legittimo 
impedimento (e non in quella della prerogativa costituzionale) anche �un�ipotesi di impedimento 
qualificato a monte come legittimo da una fonte di rango ordinario, rispetto al quale il 
giudice possa solo verificare se si versi o meno nei casi previsti dalla legge�. Ragionando in 
via analogica, l�imputato nel giudizio principale ritiene che non potrebbe ritenersi preclusa al 
legislatore ordinario �la compilazione di un elenco di patologie invalidanti in presenza delle 
quali il giudice fosse costretto a riconoscere il legittimo impedimento dell�imputato che ne 
sia affetto�, potendo �disporre accertamenti sulla veridicit� del certificato�, ma senza �sin-
CONTENZIOSO NAZIONALE 111 
dacare la ragionevolezza della scelta legislativa di inserire nell�elenco una patologia piuttosto 
che un�altra�. Una simile disciplina, infatti, �non cancellerebbe la natura di legittimo impedimento
� dell�imputato �affetto da una delle patologie legislativamente previste, per trasformare 
questa evenienza in una prerogativa per quel tipo di malati�. 
Ad avviso dell�imputato nel giudizio principale, dunque, il Tribunale rimettente, nel negare 
che la disciplina censurata preveda una ipotesi di legittimo impedimento, muoverebbe 
da un presupposto giuridico errato e, di conseguenza, evocherebbe un parametro costituzionale 
(art. 138 Cost.) non pertinente, dal momento che �nessuno pu� seriamente dubitare che una 
tipizzazione da parte del legislatore di alcuni casi di legittimo impedimento debba e possa avvenire 
con legge ordinaria�. Quest�ultima � osserva ancora l�imputato nel giudizio principale 
� deve realizzare un ragionevole bilanciamento fra i valori costituzionali in gioco (diritto di 
difesa e obbligatoriet� dell�azione penale e ragionevole durata del processo), che � oggetto di 
sindacato da parte della Corte costituzionale. Ma l�ordinanza di rimessione trascurerebbe completamente 
di considerare il profilo della �ragionevolezza del concreto bilanciamento di interessi 
operato� dalla disciplina censurata, rimanendo invece �ancorata al pregiudizio della 
�prerogativa dei titolari delle cariche pubbliche diretta a tutelare non gi� il diritto di difesa 
del processo bens� lo status e le funzioni��. 
La tesi che la disciplina censurata introduca una prerogativa costituzionale sarebbe ulteriormente 
contraddetta, ad avviso della parte privata, dal suo carattere temporaneo: una normativa 
destinata �a dispiegare i propri effetti nell�ordinamento al pi� per i diciotto mesi 
successivi alla sua pubblicazione�, infatti, non potrebbe �integrare una prerogativa costituzionale, 
a meno di non voler pensare che le prerogative costituzionali possano avere una scadenza
�. 
N� la tesi della prerogativa costituzionale potrebbe trarre conforto dalla circostanza che 
la disciplina censurata �preannuncia una riforma costituzionale� delle prerogative del Presidente 
del Consiglio dei ministri e dei ministri. Secondo l�imputato nel giudizio a quo, tale argomento, 
adoperato dal giudice rimettente, �equipara in modo del tutto arbitrario il contenuto� 
della normativa oggetto di censura con quello della futura disciplina costituzionale. Quest�ultima, 
secondo l�imputato nel giudizio principale, nel dettare una disciplina costituzionale organica 
delle prerogative dei membri del Governo potr� regolare �anche [�] l�interazione fra 
le suddette prerogative e [�] istituti previsti da leggi ordinarie [�] quali il legittimo impedimento
�. Ma ci� non significa che le disposizioni censurate intendano �anticipare a livello 
di legge ordinaria gli effetti di una riforma costituzionale�. Esse, invece, secondo la parte privata, 
risponderebbero allo scopo di �regolare in modo estremamente equilibrato un lasso di 
tempo intermedio fra la mancanza assoluta di una disciplina che si occupi delle eventuali difficolt� 
che il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri possono trovare a difendersi 
efficacemente in un processo penale che li veda imputati e l�approvazione di una legge costituzionale 
che ridefinisca lo status di queste cariche�. 
Il carattere equilibrato del contemperamento di interessi realizzato dalla disciplina transitoria 
censurata sarebbe inoltre dimostrato, ad avviso dell�imputato nel giudizio a quo, dalle 
seguenti ulteriori circostanze. In primo luogo, la disciplina prevede la sospensione del decorso 
della prescrizione, con la conseguenza che per effetto del legittimo impedimento �la situazione 
processuale viene semplicemente congelata senza alcun effetto pregiudizievole sul piano sostanziale
�. In secondo luogo, l�applicazione concreta di tale disciplina nel giudizio a quo permetterebbe 
presumibilmente di realizzare un equo bilanciamento degli interessi in gioco, 
atteso che l�imputato nel processo principale si � raramente avvalso dell�istituto del legittimo
112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
impedimento, permettendo cos� la celebrazione di ben 83 udienze. Infine, il periodo massimo 
di differimento del processo, consentito dalle disposizioni oggetto di censura, � di appena sei 
mesi, che � intervallo di tempo assai pi� breve rispetto al periodo di sospensione che si determina 
per effetto della remissione alla Corte costituzionale della questione di legittimit� sollevata 
dal giudice a quo. 
1.3.2. � In data 22 novembre 2010, l�imputato nel giudizio principale ha depositato memoria 
illustrativa, ribadendo l�infondatezza della questione. Nella memoria, la parte privata 
illustra le vicende del processo a quo, in relazione alla celebrazione delle udienze e alle richieste 
di rinvio fino al giorno 19 aprile 2010, al dichiarato fine di consentire a questa Corte 
di �valutare la ragionevolezza di quanto deciso dal Tribunale di Milano a fronte di una richiesta 
di rinvio corredata anche dall�indicazione di possibili date per la celebrazione delle successive 
udienze�. Dalle vicende del giudizio principale emergerebbe come �la difesa abbia 
rigorosamente interpretato quei canoni ermeneutici offerti� dalla Corte �per individuare il 
concetto di leale collaborazione processuale, concordando le date, non frapponendo impedimenti 
pretestuosi, consentendo la celebrazione delle udienze anche quando l�imputato era impedito, 
se la sua partecipazione non era oggettivamente necessaria�. Con osservazioni estese 
anche ai giudizi di cui al reg. ord. nn. 180 e 304 del 2010, inoltre, la parte privata sostiene che 
i rinvii richiesti per legittimo impedimento sarebbero stati sempre limitati e rispettosi dell�attivit� 
giudiziaria e che le attestazioni fornite sono state sempre assai inferiori al termine massimo 
dei sei mesi. Sarebbe quindi stato sufficiente, conclude la difesa dell�imputato nel 
giudizio principale, applicare i canoni di cui all�art. 420-ter cod. proc. pen. per poter continuare 
i processi. 
2. � Il Tribunale di Milano, sezione X penale, con ordinanza del 16 aprile 2010 (reg. 
ord. n. 180 del 2010), ha sollevato questione di legittimit� costituzionale degli artt. 1 e 2 della 
legge n. 51 del 2010, per violazione degli artt. 3 e 138 Cost. 
2.1. � Il collegio rimettente riferisce che la difesa dell�imputato nel giudizio principale, 
al quale � contestato il reato di cui agli artt. 110, 319, 319-ter e 321 del codice penale, ha anticipato 
via fax, in data 14 aprile 2010, una richiesta di rinvio dell�udienza del 16 aprile (data 
che era stata indicata dal Tribunale, nel corso della precedente udienza del 27 febbraio 2010, 
insieme a quelle, successive, del 30 aprile, 7 maggio, 12 maggio e 29 maggio del 2010), deducendo 
legittimo impedimento consistente nell�impegno a presiedere il Consiglio dei ministri 
convocato per lo stesso giorno. Il Tribunale rimettente espone che, nel corso dell�udienza del 
16 aprile, la difesa dell�imputato nel giudizio principale ha prodotto copia dell�ordine del 
giorno del Consiglio dei ministri (datato 14 aprile 2010) e ha esibito l�originale, producendo 
copia, �dell�attestazione del Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri 
relativa alla continuativit� dell�impedimento correlato allo svolgimento delle funzioni di governo
� ai sensi della legge censurata. Il giudice a quo riferisce, inoltre, che il pubblico ministero 
ha domandato il rigetto della richiesta di rinvio, negando il carattere assoluto 
dell�impedimento alla luce dei punti posti all�ordine del giorno della seduta del Consiglio dei 
ministri del 14 aprile 2010 e della circostanza per cui l�impedimento � intervenuto successivamente 
alla fissazione concordata del calendario del processo, mentre la difesa dell�imputato 
ha ribadito la rilevanza dei temi posti all�ordine del giorno del Consiglio dei ministri e, dunque, 
il carattere assoluto dell�impedimento. 
Ad avviso del Tribunale rimettente, ai fini della decisione sulla richiesta di rinvio e della 
prosecuzione del dibattimento, � �imprescindibile� accertare preliminarmente se, in applicazione 
della disciplina legislativa censurata, il giudice �mantenga�, conformemente alla natura
CONTENZIOSO NAZIONALE 113 
stessa dell��istituto generale� del legittimo impedimento di cui all�art. 420-ter cod. proc. pen., 
�il potere-dovere di verificare l�effettiva sussistenza dell�impedimento�, mediante un �accertamento 
di fatto da effettuarsi caso per caso e in concreto�. La disciplina censurata, secondo 
il collegio rimettente, sottrae al giudice tale potere di valutazione. Essa, infatti, non contiene 
una �disciplina[..] presuntiva[�]� dell�istituto �in relazione a specifiche situazioni di fatto� 
e �coerente[�] con il sistema delineato dall�art. 420-ter di applicazione generale�. L�art. 1, 
comma 1, della legge n. 51 del 2010, ad avviso del giudice a quo, �stila[�] un elenco� di 
impedimenti legittimi che include anche le �attivit� preparatorie e consequenziali, nonch� 
[�] ogni attivit� comunque coessenziale alle funzioni di governo�. La �genericit�� di tale 
formulazione limiterebbe la possibilit� del giudice di apprezzare l�effettivit� dell�impedimento 
rispetto alla singola udienza, ci� che risulterebbe rafforzato dal dettato del comma 4 del medesimo 
art. 1, secondo cui �il giudice rinvia il processo a seguito di certificazione che attesti 
che l�impedimento � continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni� di governo. Da 
tutto ci� il collegio rimettente conclude che, in base alla disciplina censurata, �il rinvio � imposto 
da ragioni genericamente indicate e insindacabili dalla autorit� giudiziaria e si traduce 
in una causa automatica di rinvio del dibattimento sproporzionata rispetto alla tutela del diritto 
di difesa, per il quale l�istituto del legittimo impedimento a comparire � previsto�. N� pu� seguirsi, 
secondo il Tribunale rimettente, una diversa interpretazione della legge censurata, tale 
da �salvaguarda[re] il sindacato del giudice in ordine alla natura dell�impedimento e alla sua 
continuativit��: una simile interpretazione, infatti, �si risolverebbe in una sostanziale disapplicazione 
della nuova legge� e contrasterebbe con la volont� del legislatore, quale espressamente 
palesata dall�art. 2 della legge censurata, secondo il quale �le nuove disposizioni si 
applicano al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri il sereno 
svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge�. 
Alla luce di tali circostanze, il Tribunale rimettente ritiene che il meccanismo processuale 
previsto dalla disciplina censurata, sebbene qualificato come legittimo impedimento, rappresenti 
in realt� una �nuova prerogativa�, �connessa all�esercizio delle cariche costituzionali 
di Presidente del Consiglio dei Ministri e di Ministro�, e consistente in una �causa di sospensione 
del processo�. Ma � osserva il giudice a quo � la previsione di una simile prerogativa, 
in quanto �derogatoria al principio di eguale sottoposizione alla legge e alla giurisdizione di 
tutti i cittadini�, non pu� avvenire con legge ordinaria. Essa richiede necessariamente una 
fonte costituzionale, come affermato da questa Corte con la sentenza n. 262 del 2009 e come 
del resto riconosciuto dalla medesima disciplina censurata, che ha carattere temporaneo ed � 
rivolta ad anticipare gli effetti di una legge costituzionale recante una disciplina organica delle 
prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri. 
2.2. � � intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e 
difeso dall�Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari la questione di 
legittimit� costituzionale sollevata inammissibile, in relazione all�art. 3 Cost., e comunque 
non fondata, in relazione al medesimo art. 3, nonch� all�art. 138 Cost. 
2.2.1. � Quanto all�asserita lesione dell�art. 3 Cost., l�Avvocatura generale dello Stato 
eccepisce preliminarmente la manifesta inammissibilit� della questione, per non avere �il Tribunale 
rimettente esplicitato i motivi che fonderebbero la predetta violazione�. Nel merito, 
la difesa dello Stato ritiene che le disposizioni censurate prevedano un �trattamento differenziato 
per i titolari delle cariche ivi indicate del tutto conforme al richiesto requisito della ragionevolezza 
e proporzionalit��, essendo tali disposizioni dirette a pervenire, con specifico 
riferimento alla fattispecie del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri
114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
imputato �ad un ragionevole bilanciamento fra le due esigenze, entrambe di valore costituzionale, 
della speditezza del processo e della integrit� funzionale dell�organo costituzionale�. 
N� pu� ritenersi, secondo l�Avvocatura generale dello Stato, che la violazione dell�art. 3 Cost. 
dipenda da una illegittima differenziazione della posizione del Presidente del Consiglio dei 
ministri rispetto a quella dei ministri, dal momento che la disciplina censurata si riferisce ad 
entrambe le cariche. 
Con riguardo, invece, alla lamentata violazione dell�art. 138 Cost., l�Avvocatura generale 
dello Stato deduce la non fondatezza della censura sulla base di argomenti testualmente identici 
a quelli svolti nell�atto di intervento riferito all�ordinanza di rimessione di cui al reg. ord. 
n. 173 del 2010. 
2.2.2. � In data 23 novembre 2010, l�Avvocatura generale dello Stato ha depositato, per 
il Presidente del Consiglio dei ministri, memoria illustrativa, ribadendo le ragioni dedotte con 
l�atto di intervento a sostegno dell�inammissibilit� e dell�infondatezza della questione di costituzionalit� 
sollevata. La difesa dello Stato formula ulteriori osservazioni in ordine alla manifesta 
inammissibilit� e alla infondatezza della questione, sulla base di argomenti 
testualmente identici a quelli dedotti nella memoria riferita all�ordinanza di rimessione di cui 
al reg. ord. n. 173 del 2010. 
2.3. � Si � costituito in giudizio, con atto depositato in data 5 luglio 2010, l�imputato 
nel giudizio principale, chiedendo che la Corte dichiari inammissibile o, comunque, manifestamente 
infondata la questione di legittimit� costituzionale sollevata. 
2.3.1. � L�imputato nel giudizio principale eccepisce, innanzitutto, l�inammissibilit� 
della questione sollevata, in ragione della omessa descrizione della fattispecie oggetto del 
giudizio principale, tale da non permettere alla Corte di valutarne compiutamente la rilevanza. 
In particolare, l�ordinanza di rimessione conterrebbe, ad avviso dell�imputato nel giudizio 
principale, una �laconica indicazione degli articoli del codice penale contestati all�imputato 
e delle coordinate spazio-temporali del capo di imputazione� e non fornirebbe una puntuale 
descrizione della �condizione soggettiva che legittima l�applicazione� della norma censurata, 
n� dello stato in cui si trova il processo che si sta celebrando dinanzi al giudice a quo. Secondo 
l�imputato nel giudizio principale, in virt� del principio di autosufficienza dell�ordinanza di 
rimessione, tali elementi, di cui la Corte �deve avere necessariamente contezza per potersi 
pronunciare�, non potrebbero essere ricavati �ricorrendo alle deduzioni delle altre parti intervenute, 
o alla visione diretta del fascicolo del giudizio principale, o, addirittura, a fatti ritenuti 
notori�. 
L�imputato nel giudizio principale deduce poi, quale ulteriore ragione di inammissibilit�, 
il difetto della rilevanza in concreto della questione sollevata dal giudice rimettente, per aversi 
la quale sarebbe �necessario che l�interpretazione non costituzionale della legge, oltre ad essere 
l�unica possibile, supporti ed orienti l�applicazione che nel medesimo contesto il giudice 
si accingerebbe a farne�. Ci� non accadrebbe nel caso in esame, nel quale la difesa dell�imputato, 
all�udienza del 16 aprile 2010, da un lato, ha prospettato un legittimo impedimento 
per il giorno stesso, costituito dalla concomitante riunione del Consiglio dei ministri, e, dall�altro 
lato, ha prodotto attestazione del Segretario generale della Presidenza del Consiglio 
dei ministri di legittimo impedimento continuativo fino al 21 luglio 2010. 
Sulla base di tali circostanze, secondo l�imputato nel giudizio principale, la rilevanza in 
concreto difetterebbe per due ragioni. 
In primo luogo, la questione sarebbe stata sollevata �prematuramente rispetto alla necessit� 
di dare effettiva applicazione� alla disciplina censurata, in considerazione della �sus-
CONTENZIOSO NAZIONALE 115 
sistenza dell�impedimento puntuale, valevole hic et nunc per l�udienza del 16 aprile 2010, 
dato dalla concomitante riunione del Consiglio dei Ministri�. L�imputato nel giudizio principale 
chiarisce che l�attestazione della Presidenza del Consiglio dei ministri � stata prodotta al 
solo fine di indicare, per la prosecuzione del giudizio, i giorni del 21 e del 28 luglio 2010, 
date che per� il Tribunale rimettente non avrebbe neppure preso in considerazione, sollevando 
invece direttamente � e quindi prematuramente � la questione di legittimit� costituzionale 
della disciplina censurata. 
In secondo luogo, l�imputato nel giudizio principale rileva che, ove pure �si ritenesse 
che la mera esibizione dell�attestazione [�] equivalga a una richiesta di applicazione della 
stessa, pur in presenza di un legittimo impedimento valido ed operante per il giorno dell�udienza 
in cui avviene detta esibizione�, tale attestazione si � limitata ad indicare un impedimento 
continuativo per un periodo di tempo di poco pi� di tre mesi, inferiore quindi al 
periodo massimo di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Quest�ultima avrebbe quindi 
avuto, nel giudizio a quo, una �applicazione parziale� e la questione di legittimit� costituzionale 
avrebbe dovuto essere formulata in relazione alla disciplina che ha avuto concreta applicazione, 
cio� di una disciplina che produce una sospensione del dibattimento per tre mesi, 
mentre il giudice a quo �discetta in astratto di �rilevanti periodo di tempo� in cui potrebbe 
essere fatto valere il legittimo impedimento�. 
Nel merito, la parte privata sostiene che la questione di legittimit� costituzionale, sollevata 
dal Tribunale rimettente in relazione all�art. 138 Cost., sia manifestamente infondata, per 
le ragioni indicate, con argomenti testualmente identici, nell�atto di costituzione relativo al 
giudizio di cui al reg. ord. n. 173 del 2010. 
Relativamente, invece, all�asserita violazione dell�art. 3 Cost., la parte privata osserva 
che �manca nell�ordinanza di rimessione qualunque valutazione relativa al tertium comparationis 
[�] nonch� alla ragionevolezza del bilanciamento di interessi operato� dalla disciplina 
censurata. 
Sotto il primo profilo, viene rilevato che l�ordinanza di rimessione non chiarisce quali 
siano i soggetti rispetto ai quali la disciplina censurata �creerebbe sperequazioni: se rispetto 
al semplice cittadino, o ad altre cariche dello Stato, o a un Presidente del Consiglio dei Ministri 
e a dei Ministri tutelati da vere immunit� costituzionali�. 
Sotto il secondo profilo, si osserva come il giudice a quo si limiti ad affermare che il 
meccanismo processuale denunciato � �causa automatica di rinvio del dibattimento sproporzionata 
rispetto alla tutela del diritto di difesa�, senza per� impiegare alcuna altra argomentazione 
�per dare sostanza e contenuto all�asserita sproporzione� e, soprattutto, senza 
considerare il carattere temporaneo e transitorio della disciplina denunciata, suscettibile di 
influenzare significativamente il giudizio sulla ragionevolezza del bilanciamento di interessi 
da essa operato. 
2.3.2. � In data 22 novembre 2010, l�imputato nel giudizio principale ha depositato memoria 
illustrativa, insistendo perch� la questione di legittimit� costituzionale sollevata sia dichiarata 
non fondata. La parte privata, in particolare, illustra le vicende del processo a quo, 
in relazione alla celebrazione delle udienze e alle richieste di rinvio, riproducendo le medesime 
argomentazioni svolte nella memoria riferita al giudizio di cui al reg. ord. n. 173 del 2010. 
3. � Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, con ordinanza 
del 24 giugno 2010 (reg. ord. n. 304 del 2010), ha sollevato questione di legittimit� costituzionale 
dell�art. 1 della legge n. 51 del 2010, per violazione dell�art. 138 Cost. 
3.1. � Il giudice rimettente riferisce che la difesa dell�imputato nel giudizio principale
116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
ha avanzato, ai sensi della disciplina censurata, istanza di differimento dell�udienza preliminare 
alla data del 27 luglio 2010, producendo una attestazione della Segreteria della Presidenza 
del Consiglio dei ministri in cui viene dato atto di un impedimento continuativo, fino alla suddetta 
data, correlato alle funzioni di governo che l�imputato stesso � chiamato a svolgere nella 
sua qualit� di attuale Presidente del Consiglio dei ministri. Il giudice a quo espone, inoltre, 
che, a fronte di tale richiesta di differimento, il pubblico ministero ha chiesto la fissazione di 
un calendario di udienze per i successivi mesi di settembre e ottobre e la difesa dell�imputato 
ha offerto la propria disponibilit�, tuttavia precisando che �un�eventuale programmazione 
delle udienze dovr� comunque essere modulata sulla base dei futuri impegni istituzionali del 
proprio assistito, allo stato non individuabili�. 
Il giudice rimettente ritiene che, ai fini della decisione sull�istanza di differimento dell�udienza 
preliminare, occorra preliminarmente stabilire se, alla luce della disposizione legislativa 
censurata, �il giudice conservi il potere, stabilito dall�art. 420-ter del codice di 
procedura penale, di sindacare caso per caso se l�impedimento legittimo possa ritenersi assoluto 
per tutto il periodo in cui viene rappresentato e, come tale, legittimare la richiesta di rinvio 
dell�udienza�. A tal fine, ad avviso del giudice a quo, la legge censurata deve essere interpretata 
tenendo conto della �ratio� dalla medesima indicata all�art. 2, cio� quella di regolare �le 
prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri e degli stessi Ministri in vista del sereno 
svolgimento delle funzioni loro attribuite [�] in attesa di una legge di rango costituzionale 
che valga ad attuarne un�organica e definitiva regolamentazione�. Alla luce di tale circostanza, 
il giudice rimettente ritiene che, �a fronte di una certificazione governativa in cui vengano 
indistintamente richiamati gli impegni istituzionali non rinviabili presenti nell�agenda del Presidente 
del Consiglio dei ministri per un determinato arco temporale, senza alcun preciso riferimento 
in ordine alla relativa natura, frequenza e durata, al giudice sia precluso ogni 
sindacato in merito al carattere assoluto dell�impedimento cos� rappresentato�. 
Tuttavia, una simile qualificazione legislativa, vincolante per il giudice, di �legittimo 
impedimento continuativo correlato alle funzioni governo�, si tradurrebbe in pratica, ad avviso 
del giudice rimettente, in una �sorta di temporanea esenzione dalla giurisdizione penale destinata 
a perdurare per tutto il tempo in cui l�incarico governativo viene ad essere ricoperto�. 
Tale deroga al comune regime giurisdizionale costituirebbe una prerogativa in favore dei componenti 
di un organo costituzionale che, secondo quanto affermato da questa Corte, pu� essere 
introdotta solo con legge costituzionale. Del resto � osserva ancora il giudice a quo � lo stesso 
art. 2 della legge censurata, �nel rappresentarne il carattere temporaneo, pare essere consapevole 
della necessit� che l�organico assetto delle prerogative dei componenti del Consiglio dei 
ministri sia attuato attraverso il meccanismo previsto dall�art. 138 Cost.�. L�asserita violazione 
di quest�ultima disposizione costituzionale induce pertanto il giudice rimettente a sollevare 
d�ufficio, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimit� costituzionale 
della disciplina censurata, la quale, in quanto legge ordinaria, non potrebbe, �neppure 
per un periodo di tempo limitato, anticipare gli effetti di una legge di rango 
costituzionale�. 
3.2. � � intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e 
difeso dall�Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimit� costituzionale 
sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata. 
La difesa dello Stato eccepisce innanzitutto l�inammissibilit� �per difetto di rilevanza 
in concreto della questione di costituzionalit� dedotta�. L�Avvocatura generale dello Stato osserva, 
infatti, che, come emerge della stessa ordinanza di rimessione, alla richiesta di differi-
CONTENZIOSO NAZIONALE 117 
mento dell�udienza preliminare per l�attestato impedimento dell�imputato, nessuna delle parti 
si � opposta, compreso il pubblico ministero, che ha chiesto la fissazione di un calendario di 
udienze per i successivi mesi di settembre e ottobre. In tale contesto, ad avviso della difesa 
dello Stato, il giudice rimettente avrebbe dovuto preliminarmente valutare la richiesta di rinvio 
ai sensi della norma generale di cui all�art. 420-ter cod. proc. pen. e, solo in caso di ritenuta 
inapplicabilit� di tale disposizione, verificare l�applicabilit� della norma speciale censurata. 
Secondo l�Avvocatura generale dello Stato, invece, il giudice rimettente avrebbe proceduto, 
�in astratto� e �senza fornire alcuna indicazione in ordine alla rilevanza della stessa con riferimento 
al processo in questione�, a sollevare la questione di legittimit� costituzionale della 
norma censurata, che si rivelerebbe, pertanto, inammissibile. 
Nel merito, l�Avvocatura generale dello Stato deduce la non fondatezza della questione 
sollevata sulla base di argomenti testualmente identici a quelli svolti nell�atto di intervento 
riferito all�ordinanza di rimessione di cui al reg. ord. n. 173 del 2010. La difesa dello Stato 
esclude, in particolare, che la disciplina censurata possa costituire una prerogativa costituzionale. 
Essa infatti sarebbe rivolta ad integrare la disciplina dell�istituto processuale generale 
del legittimo impedimento, il quale pu� ben essere regolato con legge ordinaria in quanto 
�prescinde dalla natura dell�attivit� che legittima l�impedimento medesimo, [�] di generale 
applicazione e pertanto non deroga al comune regime giurisdizionale�. 
3.3. � Si � costituito in giudizio, con atto depositato in data 26 ottobre 2010, l�imputato 
nel giudizio principale, chiedendo che la Corte dichiari inammissibile o, comunque, manifestamente 
infondata la questione di legittimit� costituzionale sollevata. 
3.3.1. � L�imputato nel giudizio principale eccepisce, innanzitutto, l�inammissibilit� 
della questione sollevata, in ragione della omessa descrizione della fattispecie oggetto del 
giudizio principale, tale da non permettere alla Corte di valutarne compiutamente la rilevanza. 
In particolare, l�ordinanza di rimessione, ad avviso dell�imputato nel giudizio principale, non 
indicherebbe i reati contestati e il luogo e tempo della loro commissione, n� fornirebbe una 
puntuale descrizione della �condizione soggettiva che legittima l�applicazione� della norma 
censurata e dello stato in cui si trova il processo che si sta celebrando dinanzi al giudice a 
quo. Secondo l�imputato nel giudizio principale, in virt� del principio di autosufficienza dell�ordinanza 
di rimessione, tali elementi, di cui la Corte �deve avere necessariamente contezza 
per potersi pronunciare�, non potrebbero essere ricavati �ricorrendo alle deduzioni delle altre 
parti intervenute, o alla visione diretta del fascicolo del giudizio principale, o, addirittura, a 
fatti ritenuti notori�. 
L�imputato nel giudizio principale deduce poi, quale ulteriore ragione di inammissibilit�, 
il difetto della rilevanza in concreto della questione sollevata dal giudice rimettente. Rileva 
al proposito la parte privata, integrando la descrizione asseritamente imprecisa contenuta nell�ordinanza 
di rimessione, che, nel caso in esame, la difesa dell�imputato, all�udienza del 24 
giugno 2010, da un lato, ha prospettato un legittimo impedimento per il giorno stesso, costituito 
dalla concomitante riunione del Consiglio dei ministri e dalla successiva partenza per 
un vertice internazionale in Canada, e, dall�altro lato, ha prodotto attestazione del Segretario 
generale della Presidenza del Consiglio dei ministri di legittimo impedimento continuativo 
fino al 27 luglio 2010. 
Sulla base di tali circostanze, secondo l�imputato nel giudizio principale, la rilevanza in 
concreto difetterebbe per due ragioni. 
In primo luogo, la questione sarebbe stata sollevata �prematuramente rispetto alla necessit� 
di dare effettiva applicazione� alla disciplina censurata, in considerazione della �sus-
118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
sistenza dell�impedimento puntuale, valevole hic et nunc per l�udienza del 24 giugno 2010, 
dato dal Consiglio dei ministri e dal viaggio di Stato in Canada�. L�imputato nel giudizio principale 
chiarisce che l�attestazione della Presidenza del Consiglio � stata prodotta al solo fine 
di indicare, per la prosecuzione del giudizio, i giorni del 21 e del 28 luglio, date che per� il 
Tribunale rimettente non avrebbe neppure preso in considerazione, sollevando invece direttamente 
� e quindi prematuramente � la questione di legittimit� costituzionale della disciplina 
censurata. 
In secondo luogo, l�imputato nel giudizio principale rileva che, ove pure �si ritenesse 
che la produzione dell�attestazione [�] equivalga a una richiesta di applicazione della stessa, 
pur in presenza di un legittimo impedimento valido ed operante per il giorno dell�udienza in 
cui avviene detta produzione�, tale attestazione si � limitata ad indicare un impedimento continuativo 
per un periodo di tempo di poco pi� di un mese, ben inferiore quindi al periodo massimo 
di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Quest�ultima avrebbe quindi avuto, nel 
giudizio a quo, una �applicazione parziale� e la questione di legittimit� costituzionale avrebbe 
dovuto essere formulata in relazione alla disciplina che ha avuto concreta applicazione, cio� 
ad una disciplina che produce una sospensione del dibattimento per poco pi� di un mese, mentre 
il giudice a quo �discetta in modo astratto ed impreciso di �una sorta di temporanea esenzione 
dalla giurisdizione penale destinata a perdurare per tutto il tempo in cui l�incarico 
governativo viene ad essere ricoperto��. 
Nel merito, la parte privata sostiene che la questione di legittimit� costituzionale sollevata 
dal Tribunale rimettente sia manifestamente infondata per le ragioni indicate, con argomenti 
testualmente identici, nell�atto di costituzione relativo al giudizio di cui al reg. ord. n. 
173 del 2010. 
3.3.2. � In data 22 novembre 2010, l�imputato nel giudizio principale ha depositato memoria 
illustrativa, insistendo perch� la questione di legittimit� costituzionale sia dichiarata 
non fondata. La parte privata illustra le vicende del processo a quo, in relazione alla celebrazione 
delle udienze e alle richieste di rinvio, riproducendo le medesime argomentazioni svolte 
nelle memorie riferite ai giudizi di cui al reg. ord. nn. 173 e 180 del 2010. 
Considerato in diritto 
1. � Il Tribunale di Milano, con tre distinte ordinanze della sezione I penale (reg. ord. n. 
173 del 2010), della sezione X penale (reg. ord. n. 180 del 2010) e del Giudice per le indagini 
preliminari (reg. ord. n. 304 del 2010), solleva questione di legittimit� costituzionale della 
legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza). 
In particolare, la sezione X ha censurato l�intero testo della legge n. 51 del 2010, mentre il 
Giudice per le indagini preliminari ha censurato il solo articolo 1 e la sezione I soltanto i 
commi 1, 3 e 4 di tale articolo. 
Tutte le ordinanze di rimessione sollevano questione di legittimit� costituzionale della 
predetta disciplina in quanto essa introdurrebbe, con legge ordinaria, una prerogativa in favore 
dei titolari di cariche governative, in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all�art. 3 
della Costituzione e con l�art. 138 Cost. Tali disposizioni costituzionali sono entrambe esplicitamente 
indicate quali parametri violati nell�ordinanza di rimessione della sezione X e risultano 
implicitamente evocati, in congiunzione fra loro, anche nelle altre due ordinanze, 
bench� queste ultime, testualmente, richiamino soltanto l�art. 138 Cost. La sezione X, inoltre, 
censura la legge n. 51 del 2010 anche in relazione all�art. 3 Cost., considerato autonomamente 
e sotto il profilo della ragionevolezza.
CONTENZIOSO NAZIONALE 119 
1.1. � La legge n. 51 del 2010 disciplina il legittimo impedimento a comparire in 
udienza, ai sensi dell�art. 420-ter del codice di procedura penale, del Presidente del Consiglio 
dei ministri (art. 1, comma 1) e dei ministri (art. 1, comma 2), in qualit� di imputati. In particolare, 
in base all�art. 1, comma 3, di tale legge, il giudice, su richiesta di parte, rinvia il processo 
ad altra udienza quando ricorrono le ipotesi di impedimento a comparire individuate 
dal comma 1 (per il Presidente del Consiglio) e dal comma 2 (per i ministri) della medesima 
legge. In base a tale disciplina, costituisce legittimo impedimento �il concomitante esercizio 
di una o pi� delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in particolare dagli articoli 
5, 6 e 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dagli articoli 
2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, e dal regolamento 
interno del Consiglio dei ministri, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei 
Ministri 10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, 
e successive modificazioni, delle relative attivit� preparatorie e consequenziali, nonch� di 
ogni attivit� comunque coessenziale alle funzioni di Governo�. Inoltre, l�art. 1, comma 4, 
della medesima legge, dispone che �ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che 
l�impedimento � continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente 
legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non pu� essere 
superiore a sei mesi�. L�art. 1, comma 5, della legge n. 51 del 2010 chiarisce che �il corso 
della prescrizione rimane sospeso per l�intera durata del rinvio�. Tale disciplina si applica 
�anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla data di entrata in vigore 
della� medesima legge (art. 1, comma 6) e �fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale 
recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei 
Ministri e dei Ministri, nonch� della disciplina attuativa delle modalit� di partecipazione degli 
stessi ai processi penali e, comunque, non oltre diciotto mesi dalla data di entrata in vigore 
della presente legge, salvi i casi previsti dall�articolo 96 della Costituzione, al fine di consentire 
al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro 
attribuite dalla Costituzione e dalla legge� (art. 2). 
1.2. � I giudici a quibus ritengono, in particolare, che la disciplina censurata individui 
con formule generiche e indeterminate le attivit� costituenti legittimo impedimento del titolare 
di una carica governativa e sottragga al giudice il potere di valutare in concreto l�impossibilit� 
a comparire connessa allo specifico impegno addotto, soprattutto nell�ipotesi di impedimento 
continuativo, nella quale l�imputato potrebbe ottenere il rinvio mediante un �meccanismo di 
autocertificazione� di legittimo impedimento. Ci� costituirebbe, ad avviso dei rimettenti, una 
�presunzione assoluta di impedimento�, collegata allo �status permanente� della titolarit� 
della carica, o comunque una prerogativa o immunit� del titolare, la quale, come ha stabilito 
la Corte costituzionale con la sentenza n. 262 del 2009, non pu� essere introdotta con legge 
ordinaria. 
L�Avvocatura generale dello Stato e la difesa dell�imputato nei giudizi principali escludono 
che la disciplina censurata sia costituzionalmente illegittima, osservando, in particolare, 
come essa sia diretta ad �integrare� la disciplina processuale comune, contenuta nell�art. 420- 
ter cod. proc. pen., mediante una �tipizzazione� delle attivit� di governo che costituiscono 
legittimo impedimento a comparire in udienza. 
2. � In ragione della loro connessione oggettiva, i giudizi devono essere riuniti, per 
essere congiuntamente trattati e decisi con un�unica pronuncia. 
3. � Devono essere preliminarmente esaminati i profili che attengono all�ammissibilit� 
delle questioni sollevate.
120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
3.1. � Vanno dichiarate inammissibili le censure prospettate dalla sezione X (reg. ord. 
n. 180 del 2010) e dal Giudice per le indagini preliminari (reg. ord. n. 304 del 2010) del Tribunale 
di Milano, nella parte in cui si riferiscono all�art. 1, commi 2, 5 e 6, nonch� all�art. 2 
della legge n. 51 del 2010. Le questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 1, comma 2, della 
legge censurata non assumono rilevanza nei giudizi a quibus, nei quali tale disposizione non 
pu� trovare applicazione, in quanto riferita esclusivamente ai ministri e non al Presidente del 
Consiglio dei ministri, cio� alla carica di cui � titolare l�imputato nei giudizi principali. Le 
questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 1, commi 5 e 6, e dell�art. 2 della legge n. 51 
del 2010 sono inammissibili, atteso che tali norme non risultano in alcun modo investite dalle 
censure svolte nelle motivazioni delle ordinanze di rimessione. 
3.2. � Vanno disattese le eccezioni dell�Avvocatura generale dello Stato e della difesa 
della parte privata, con le quali si deduce l�inammissibilit� delle questioni di legittimit� costituzionale 
riferite all�art. 1, commi 1, 3 e 4, della legge n. 51 del 2010. 
3.2.1. � La difesa della parte privata e l�Avvocatura generale dello Stato eccepiscono, 
innanzitutto, relativamente a tutti e tre i giudizi, la insufficiente e lacunosa descrizione, compiuta 
dai giudici a quibus, delle fattispecie sottoposte al loro esame. Le denunciate carenze 
atterrebbero, in particolare, alla mancata indicazione del tipo di reati cui si riferisce l�imputazione, 
del luogo e data di commissione degli stessi, delle eventuali ipotesi di concorso con 
altre persone, della condizione soggettiva che legittima l�applicazione della norma censurata 
e dello stato in cui si trova il processo che si sta celebrando dinanzi ai giudici a quibus. 
L�eccezione non � fondata. 
In primo luogo, va rilevato che l�ordinanza di rimessione della sezione X del Tribunale 
di Milano (reg. ord. n. 180 del 2010) contiene tutte le informazioni di cui si lamenta la mancanza. 
In secondo luogo, le altre due ordinanze di rimessione (reg. ord. n. 173 e n. 304 del 
2010) indicano quale sia la condizione soggettiva che legittima l�applicazione della disciplina 
censurata (cio� la carica di Presidente del Consiglio dei ministri rivestita dall�imputato) e 
chiariscono che la richiesta di rinvio si riferisce ad una �udienza� disposta nel corso di un 
processo penale. Infine, l�indicazione del tipo, luogo e data di commissione dei reati contestati 
non costituisce un elemento necessario per la valutazione della rilevanza della questione sollevata, 
atteso che la disciplina censurata dispone la propria applicabilit� a tutti i processi penali, 
anche in corso, senza distinguere in base alle caratteristiche del reato commesso, salvo il caso, 
pacificamente escluso dai rimettenti e dalla stessa parte privata, di applicazione dell�art. 96 
Cost. 
3.2.2. � L�Avvocatura generale dello Stato eccepisce, inoltre, che i giudici rimettenti 
avrebbero dovuto preliminarmente valutare la richiesta di rinvio dell�udienza ai sensi della 
norma generale di cui all�art. 420-ter cod. proc. pen. e, solo in caso di ritenuta inapplicabilit� 
di tale disposizione, essi avrebbero dovuto verificare l�applicabilit� della norma speciale censurata. 
Ad avviso della difesa dello Stato, la questione sarebbe, pertanto, irrilevante, perch� il 
giudice avrebbe potuto risolverla a prescindere dalla norma censurata. 
L�eccezione non � fondata. 
Il giudice non avrebbe potuto, applicando soltanto l�art. 420-ter cod. proc. pen., ignorare 
la disciplina censurata, che regola la fattispecie sottoposta al suo esame. Alla luce del comune 
regime processuale, il giudice avrebbe potuto rinviare l�udienza, riconoscendo l�assoluta impossibilit� 
a comparire dovuta allo specifico impegno istituzionale addotto, ma in tal caso il 
rinvio sarebbe stato comunque subordinato all�esito di un accertamento giudiziale, che i rimettenti 
ritengono di non poter compiere a causa della intervenuta disciplina speciale, che
CONTENZIOSO NAZIONALE 121 
proprio per tale ragione essi hanno censurato. 
3.2.3. � La difesa della parte privata eccepisce, poi, l�inammissibilit� per difetto di rilevanza 
in concreto della questione sollevata. Viene osservato, al riguardo, che nei giudizi a 
quibus il Presidente del Consiglio dei ministri ha addotto sia un impedimento puntuale per il 
giorno dell�udienza, sia un impedimento continuativo, attestato dalla Presidenza del Consiglio. 
Ad avviso della difesa dell�imputato nei giudizi principali, l�impedimento puntuale sarebbe 
stato prospettato per ottenere il rinvio dell�udienza specifica in relazione alla quale � stato 
presentato, mentre l�attestato di impedimento continuativo sarebbe stato prodotto solo ai fini 
della individuazione delle date utili per la prosecuzione del giudizio. Di conseguenza, ad avviso 
della parte privata, i giudici rimettenti avrebbero dovuto, prima, valutare l�impedimento 
puntuale ai fini del rinvio dell�udienza e, solo successivamente, �sindacare la fondatezza o 
meno della richiesta di rinvio per l�ulteriore periodo indicato con le modalit� previste dalla 
legge in discussione�. Al contrario, secondo la difesa dell�imputato, i giudici a quibus avrebbero 
sollevato la questione di legittimit� costituzionale della disciplina censurata immediatamente 
e, pertanto, �prematuramente rispetto alla necessit� di dare effettiva applicazione� alla 
medesima. 
L�eccezione non � fondata. 
In primo luogo, va osservato che il giudice non � chiamato ad applicare la disciplina 
censurata solo nel caso in cui venga addotto dall�imputato un impedimento continuativo, mediante 
l�attestato della Presidenza del Consiglio dei ministri, previsto dall�art. 1, comma 4, 
della legge n. 51 del 2010, ma anche quando sia dedotto un impegno specifico e puntuale, 
che il giudice deve valutare sulla base dell�art. 1, commi 1 e 3, della medesima legge. Queste 
ultime, quindi, sono disposizioni in relazione alle quali la questione di legittimit� costituzionale 
sollevata deve ritenersi comunque rilevante. Inoltre, l�attestato della Presidenza del Consiglio 
dei ministri, presentato nei giudizi a quibus, comprende in realt� anche il giorno 
dell�udienza cui si riferisce la richiesta di rinvio. Esso, pertanto, non rileva nei giudizi principali 
solo ai fini della programmazione delle udienze future, ma anche ai fini del rinvio della 
specifica udienza nel corso della quale � stato presentato. Ne deriva che, sotto il profilo considerato, 
� rilevante la questione di legittimit� costituzionale sia dei commi 1 e 3 dell�art. 1 
della legge n. 51 del 2010, sia del comma 4 del medesimo articolo. 
3.2.4. � La difesa della parte privata eccepisce, ancora, l�inammissibilit� delle questioni 
sollevate per difetto di rilevanza, asserendo che, nei giudizi a quibus, l�attestazione della Presidenza 
del Consiglio si � limitata ad indicare un impedimento continuativo per un periodo di 
tempo inferiore al periodo massimo di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Alla luce 
di ci�, secondo la difesa dell�imputato, la disciplina censurata avrebbe ricevuto una �applicazione 
parziale� e la questione di legittimit� costituzionale avrebbe dovuto essere conseguentemente 
formulata in relazione alla disciplina che ha avuto concreta applicazione, 
determinando la sospensione del dibattimento per il tempo indicato in concreto nell�attestazione, 
e non per il tempo indicato in astratto dalla norma. Al contrario, la difesa dell�imputato 
lamenta che i giudici a quibus avrebbero �discett[ato] in astratto di �rilevanti periodi di tempo� 
in cui potrebbe essere fatto valere il legittimo impedimento�. 
L�eccezione non � fondata. 
I giudici rimettenti dubitano della legittimit� costituzionale della disciplina censurata in 
quanto consente all�imputato di dedurre un impedimento continuativo per un �rilevante periodo 
di tempo�. Tale formula si adatta sia al tempo massimo di sei mesi previsto dalla norma 
in astratto, sia al tempo inferiore, ma comunque significativo, previsto dall�attestato che in
122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
concreto � stato prodotto nei giudizi principali, in evidente applicazione, nel caso di specie, 
della norma censurata. 
3.2.5. � Sia l�Avvocatura generale dello Stato, sia la difesa della parte privata, infine, 
eccepiscono l�inammissibilit� della questione di legittimit� costituzionale della disciplina censurata, 
sollevata dalla sezione X del Tribunale di Milano (reg. ord. n. 180 del 2010), in relazione 
all�art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza. Viene lamentato, in particolare, 
che il giudice a quo non avrebbe �esplicitato i motivi che fonderebbero la predetta violazione� 
e che mancherebbe �nell�ordinanza di rimessione qualunque valutazione relativa al tertium 
comparationis [�] nonch� alla ragionevolezza del bilanciamento di interessi operato� dalla 
disciplina censurata. 
L�eccezione non � fondata. 
In primo luogo, il giudice rimettente motiva la censura di irragionevolezza, osservando 
che �il rinvio [dell�udienza] � imposto da ragioni genericamente indicate e insindacabili dalla 
autorit� giudiziaria e si traduce in una causa automatica di rinvio del dibattimento sproporzionata 
rispetto alla tutela del diritto di difesa, per il quale l�istituto del legittimo impedimento 
a comparire � previsto�. In secondo luogo, gli argomenti in base ai quali il rimettente afferma 
esservi lesione degli artt. 3 e 138 Cost., tra cui in particolare il carattere generale e automatico 
delle presunzioni di legittimo impedimento introdotte dalla disciplina censurata, sorreggono 
anche la prospettata irragionevolezza di quest�ultima. N�, in tale ultimo caso, si pone un problema 
di indicazione del tertium comparationis. 
4. � Al fine di decidere nel merito le questioni sollevate dai giudici a quibus, � necessario, 
preliminarmente, inquadrare il problema generale del legittimo impedimento del titolare 
di un organo costituzionale, alla luce dei principi al riguardo affermati da questa Corte. 
4.1. � Sotto tale profilo assumono rilievo, innanzitutto, le pronunce con le quali � stata 
valutata la legittimit� costituzionale di norme sulla sospensione dei processi per le alte cariche 
dello Stato (sentenze n. 262 del 2009 e n. 24 del 2004). Questa Corte ha stabilito che una presunzione 
assoluta di legittimo impedimento del titolare di una carica governativa, quale meccanismo 
generale e automatico introdotto con legge ordinaria, � costituzionalmente illegittima, 
in quanto rivolta a tutelare lo stesso mediante una deroga al regime processuale comune e, 
quindi, a creare una prerogativa, in violazione degli artt. 3 e 138 Cost. Una simile presunzione, 
secondo il ragionamento sviluppato nella sentenza n. 262 del 2009, costituisce deroga e non 
applicazione delle regole generali sul processo, le quali, in particolare, consentono di differenziare 
�la posizione processuale del componente di un organo costituzionale solo per lo 
stretto necessario, senza alcun meccanismo automatico e generale�. 
Devono poi essere considerate le pronunce sui conflitti di attribuzione proposti dalla 
Camera dei deputati nei confronti dell�autorit� giudiziaria e riguardanti il mancato riconoscimento, 
da parte di quest�ultima, di legittimi impedimenti dell�imputato consistenti nella partecipazione 
ai lavori parlamentari (sentenze n. 451 del 2005, n. 284 del 2004, n. 263 del 2003, 
n. 225 del 2001). Questa Corte ha chiarito che la posizione dell�imputato parlamentare �non 
� assistita da speciali garanzie costituzionali� e nei suoi confronti trovano piena applicazione 
�le generali regole del processo� (sentenza n. 225 del 2001). Essa ha tuttavia anche affermato 
che, nell�applicazione di tali comuni regole processuali, il giudice deve esercitare il suo potere 
di �apprezzamento degli impedimenti invocati� dall�imputato parlamentare, �tene[ndo] conto 
non solo delle esigenze delle attivit� di propria pertinenza, ma anche degli interessi, costituzionalmente 
tutelati, di altri poteri� (sentenza n. 225 del 2001), operando quindi un �ragionevole 
bilanciamento fra le due esigenze [�] della speditezza del processo e della integrit�
CONTENZIOSO NAZIONALE 123 
funzionale del Parlamento� (sentenza n. 263 del 2003), in particolare programmando �il calendario 
delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi 
parlamentari� (sentenza n. 451 del 2005). Non vi pu� essere, dunque, applicazione di regole 
derogatorie, ma il diritto comune deve applicarsi secondo il principio di leale collaborazione 
fra i poteri dello Stato. 
4.2. � Alla luce di tali principi, � rilevante, ai fini della verifica della legittimit� costituzionale 
della disciplina censurata, stabilire se quest�ultima, a prescindere dal suo carattere 
temporaneo, rappresenti una deroga al regime processuale comune, che � in particolare quello 
previsto dall�art. 420-ter cod. proc. pen. Esso rappresenta il termine di riferimento per valutare 
se la normativa censurata, derogando alle ordinarie norme processuali, introduca, con legge 
ordinaria, una prerogativa la cui disciplina � riservata alla Costituzione, violando il principio 
della eguale sottoposizione dei cittadini alla giurisdizione e ponendosi, quindi, in contrasto 
con gli artt. 3 e 138 Cost. La disciplina oggetto di censura sar� dunque da ritenersi illegittima 
se, e nella misura in cui, alteri i tratti essenziali del regime processuale comune. In base ad 
esso, l�impedimento dedotto dall�imputato non pu� essere generico e il rinvio dell�udienza 
da parte del giudice non pu� essere automatico. Sotto il primo profilo, l�imputato ha l�onere 
di specificare l�impedimento, potendo egli addurre come tale un preciso e puntuale impegno 
e non gi� una parte della propria attivit� genericamente individuata o complessivamente considerata. 
Sotto il secondo profilo, il giudice deve valutare in concreto, ai fini del rinvio dell�udienza, 
lo specifico impedimento addotto. 
5. � Per quanto le censure dei giudici a quibus si riferiscano alle disposizioni della legge 
n. 51 del 2010 considerate nel loro insieme, e sebbene tali disposizioni rispondano ad un comune 
motivo ispiratore, tuttavia la disciplina censurata non si presenta come unitaria sotto il 
profilo strutturale. 
Essa, infatti, si articola in pi� componenti, ciascuna delle quali � suscettibile di ricevere 
una autonoma qualificazione dal punto di vista della coerenza con la disciplina processuale 
comune e, quindi, anche una diversa valutazione dal punto di vista della verifica di legittimit� 
costituzionale. Questa deve essere condotta separatamente, in relazione alle disposizioni contenute 
nei tre distinti commi dell�art. 1 della legge n. 51 del 2010, cui si riferiscono le censure 
dei giudici rimettenti: il comma 1, che indica le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei 
ministri costituenti legittimo impedimento; il comma 3, che disciplina il rinvio dell�udienza, 
da parte del giudice, quando ricorrono le ipotesi previste dai precedenti commi; il comma 4, 
che regola l�ipotesi di impedimento continuativo e attestato dalla Presidenza del Consiglio 
dei ministri. 
5.1. � L�art. 1, comma 1, della legge n. 51 del 2010 prevede quanto segue: �Per il Presidente 
del Consiglio dei Ministri costituisce legittimo impedimento, ai sensi dell�articolo 
420-ter del codice di procedura penale, a comparire nelle udienze dei procedimenti penali, 
quale imputato, il concomitante esercizio di una o pi� delle attribuzioni previste dalle leggi o 
dai regolamenti e in particolare dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e 
successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, 
e successive modificazioni, e dal regolamento interno del Consiglio dei Ministri, di cui al decreto 
del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta 
Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, e successive modificazioni, delle relative attivit� preparatorie 
e consequenziali, nonch� di ogni attivit� comunque coessenziale alle funzioni di 
Governo�. 
Per la parte in cui si riferiscono a tale disposizione, le questioni sollevate dai giudici a
124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
quibus non sono fondate, nei termini di seguito precisati. 
Ad avviso dei rimettenti, la disciplina censurata, anzich� identificare alcune ipotesi rigorosamente 
e tassativamente circoscritte di impedimento del Presidente del Consiglio dei 
ministri, contemplerebbe una presunzione assoluta di legittimo impedimento riferita ad una 
serie ampia e indeterminata di funzioni, in definitiva coincidenti con l�intera attivit� del titolare 
della carica governativa. 
Non vi � dubbio che, ove fosse in tal modo intesa, la disposizione in esame sarebbe illegittima, 
in quanto derogatoria rispetto al regime processuale comune e, quindi, in contrasto 
con gli artt. 3 e 138 Cost., per le ragioni indicate da questa Corte nella sentenza n. 262 del 
2009. Tuttavia, una disposizione legislativa pu� essere dichiarata illegittima solo quando non 
sia possibile attribuire ad essa un significato compatibile con la Costituzione, cio�, nella fattispecie 
in esame, ove non sia possibile ricondurla nel solco della disciplina comune, interpretandola 
in conformit� con l�istituto processuale generale di cui � espressione l�art. 420-ter 
cod. proc. pen. 
Ci� � possibile in considerazione del fatto che l�art. 1, comma 1, della legge n. 51 del 
2010 richiama espressamente l�art. 420-ter cod. proc. pen., nonch� del fatto che, con la disposizione 
censurata, il legislatore sembra aver voluto introdurre � come risulta dai lavori 
preparatori � una �mera norma interpretativa dell�ambito di applicazione di un istituto processuale
� (relazione in aula, Camera dei deputati, Assemblea, seduta del 25 gennaio 2010, e 
Senato della Repubblica, Assemblea, 347a seduta pubblica antimeridiana, marted� 9 marzo 
2010).
Come ha sostenuto la difesa dell�imputato, sia negli atti scritti, sia nel corso dell�udienza 
pubblica, la disposizione censurata �non comporta una presunzione assoluta di legittimo impedimento
� e �non impone alcun automatismo�. Essa introduce un criterio volto ad orientare 
il giudice nell�applicazione dell�art. 420-ter cod. proc. pen., e segnatamente del comma 1 di 
tale disposizione, mediante l�individuazione, in astratto, delle categorie di attribuzioni governative 
a tal fine rilevanti. Il legislatore, peraltro, sembra aver recepito al riguardo, sviluppandolo, 
un orientamento della Corte di cassazione, secondo cui costituiscono legittimo 
impedimento, in base all�art. 420-ter cod. proc. pen., le attivit� del titolare di una carica governativa 
che siano �coessenziali alla funzione tipica del Governo� (sentenza della Corte di 
cassazione, sez. sesta penale, 9 febbraio 2004 � 9 marzo 2004, n. 10773). Questa espressione 
� ripresa dall�art. 1, comma 1, della legge n. 51 del 2010 e assurge ad elemento qualificativo 
di tutte le ipotesi di legittimo impedimento da tale disposizione previste, come � dimostrato 
dalla circostanza che le attivit� coessenziali alla funzione di governo sono poste a chiusura 
della formulazione normativa e che l�avverbio �comunque� introduce un collegamento fra il 
requisito della coessenzialit� e le attribuzioni governative previste da leggi e regolamenti (genericamente 
e specificamente indicate). Deve pertanto ritenersi che, in base a questo criterio 
posto dal legislatore, le categorie di attivit� qualificate, in astratto, come legittimo impedimento 
del Presidente del Consiglio dei ministri sono solo quelle coessenziali alle funzioni di 
Governo, che siano previste da leggi o regolamenti (e in particolare dalle fonti normative 
espressamente citate nella disposizione censurata), nonch� quelle rispetto ad esse preparatorie 
(cio� specificamente preordinate) e consequenziali (cio� immediatamente successive e strettamente 
conseguenti). 
Simile criterio legislativo � compatibile con i tratti essenziali del regime processuale 
comune. La disposizione censurata non consente al Presidente del Consiglio dei ministri di 
addurre come impedimento il generico dovere di esercitare le attribuzioni da essa previste,
CONTENZIOSO NAZIONALE 125 
occorrendo sempre, secondo la logica dell�art. 420-ter cod. proc. pen., che l�imputato specifichi 
la natura dell�impedimento, adducendo un preciso e puntuale impegno riconducibile alle 
ipotesi indicate. Ci� naturalmente vale anche per le attivit� �preparatorie e consequenziali�, 
a proposito delle quali deve ritenersi che l�onere di specificazione, sempre gravante sull�imputato, 
si riferisca sia all�impedimento principale (l�esercizio di attribuzione coessenziale), 
sia a quello accessorio (l�attivit� preparatoria o consequenziale). In altri termini, il Presidente 
del Consiglio dei ministri dovr� indicare un preciso e puntuale impegno, che abbia carattere 
preparatorio o consequenziale rispetto ad altro preciso e puntuale impegno, quest�ultimo riconducibile 
ad una attribuzione coessenziale alla funzione di governo prevista dall�ordinamento. 
N� pu� ritenersi che il criterio posto dal legislatore sia irragionevole o sproporzionato, 
dal momento che esso � ancorato alla elaborazione giurisprudenziale e non copre l�intera attivit� 
del titolare della carica, ma solo le attribuzioni che possano essere qualificate in termini 
di coessenzialit� rispetto alle funzioni di governo. 
Tale criterio legislativo, infine, rispetto alla disciplina gi� ricavabile dall�art. 420-ter 
cod. proc. pen., ha un effetto di chiarificazione della portata dell�istituto processuale comune, 
nelle ipotesi in cui esso debba trovare applicazione in riferimento ad impedimenti consistenti 
nell�esercizio di funzioni di governo. In termini negativi, il giudice non riconoscer� come impedimenti 
legittimi, in applicazione del criterio legislativo, impegni politici non qualificati, 
cio� non riconducibili ad attribuzioni coessenziali alla funzione di governo, pur previste da 
leggi o regolamenti. In termini positivi, ove venga addotto un impedimento riconducibile a 
tale tipologia di attribuzioni, il giudice non potr� disconoscerne il rilievo in astratto, fermo 
restando il suo potere, non sottrattogli dalla disposizione in esame, di valutare in concreto lo 
specifico impedimento addotto. 
Deve dunque concludersi che non sono fondate le questioni di legittimit� costituzionale 
sollevate, per la parte in cui si riferiscono all�art. 1, comma 1, della legge n. 51 del 2010, in 
quanto tale disposizione venga interpretata in conformit� con l�art. 420-ter, comma 1, cod. 
proc. pen. 
5.2. � L�art. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010 dispone: �Il giudice, su richiesta di 
parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti rinvia il processo ad altra 
udienza�. 
Per la parte in cui si riferiscono a tale disposizione, le questioni sollevate dai giudici a 
quibus sono fondate, nei termini di seguito precisati. 
L�art. 1, comma 3, della legge censurata regola i poteri del giudice in ordine all�accertamento 
del legittimo impedimento, ai fini del conseguente rinvio dell�udienza, in relazione 
alla quale tale impedimento � dedotto. Occorre stabilire se la disciplina dettata da tale disposizione 
sia conforme alla corrispondente regolamentazione contenuta nell�art. 420-ter, comma 
1, cod. proc. pen., secondo la quale il giudice rinvia l�udienza quando �risulta che l�assenza 
� dovuta ad assoluta impossibilit� di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo 
impedimento�. La norma censurata deve considerarsi legittima, in altri termini, a condizione 
che essa non sottragga al giudice, in relazione alle specifiche ipotesi di impedimento 
del titolare di funzioni di governo, i poteri di valutazione dell�impedimento addotto, che al 
giudice stesso sono riconosciuti in base al comune regime processuale. 
L�Avvocatura generale dello Stato e la parte privata hanno sostenuto che la disciplina 
censurata non abbia privato il giudice del potere di valutazione dell�impedimento, previsto 
dall�art. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen. Il giudice conserverebbe sia il potere di valutare
126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
la prova della sussistenza in fatto dell�impedimento, sia quello di accertare che tale impedimento 
�rientri fra le ipotesi previste� dalle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 della legge censurata. 
Ulteriori poteri di controllo risulterebbero, invece, preclusi al giudice, 
indipendentemente dalla legge n. 51 del 2010. Sarebbe infatti il principio della separazione 
dei poteri ad impedire che il giudice possa �sindacare il merito dell�attivit� di governo�, valutando 
�le ragioni politiche sottese all�esercizio� delle attivit� del Presidente del Consiglio 
dei ministri, carica cui sarebbe oltretutto da riconoscere una �nuova fisionomia� in quanto ricoperta 
da �persona che ha avuto direttamente la fiducia e l�investitura dal popolo�. Tali affermazioni 
ricostruiscono correttamente gli effetti della disposizione di cui all�art. 1, comma 
3, della legge n. 51 del 2010, ma non altrettanto correttamente colgono il significato e la portata 
dell�art. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen., della posizione costituzionale del Presidente 
del Consiglio dei ministri e del principio della separazione dei poteri. 
Va osservato che l�art. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010, subordina il rinvio dell�udienza, 
da parte del giudice, esclusivamente ad un duplice riscontro. Nel verificare che �ricorr[
a]no le ipotesi di cui ai precedenti commi�, il giudice dovrebbe infatti limitarsi ad 
accertare, da un lato, che l�impegno dedotto dall�imputato come impedimento sussista realmente 
in punto di fatto, e, dall�altro lato, che esso sia riconducibile ad attribuzioni coessenziali 
alle funzioni di governo previste da leggi o regolamenti (o abbia carattere preparatorio o consequenziale 
rispetto ad esse). Ma tali accertamenti non esauriscono lo spettro dei poteri di valutazione 
dell�impedimento, che sono esercitati dal giudice in base alla disciplina generale di 
cui all�art. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen. Secondo tale disciplina, infatti, spetta al giudice, 
ai fini del rinvio dell�udienza, valutare in concreto non solo la sussistenza in fatto dell�impedimento, 
ma anche il carattere assoluto e attuale dello stesso. Ci� implica in particolare, con 
riferimento alle ipotesi in esame, il potere del giudice di valutare, caso per caso, se lo specifico 
impegno addotto dal Presidente del Consiglio dei ministri, pur quando riconducibile in astratto 
ad attribuzioni coessenziali alle funzioni di governo ai sensi della legge censurata, dia in concreto 
luogo ad impossibilit� assoluta (anche alla luce del necessario bilanciamento con l�interesse 
costituzionalmente rilevante a celebrare il processo) di comparire in giudizio, in quanto 
oggettivamente indifferibile e necessariamente concomitante con l�udienza di cui � chiesto il 
rinvio. Tale potere di apprezzamento in concreto dell�impedimento, che � elemento essenziale 
della disciplina comune del legittimo impedimento, non � per� previsto dalla disposizione 
censurata, n� esso � ricavabile in via interpretativa, atteso che la norma in questione non richiama 
espressamente l�art. 420-ter cod. proc. pen. e detta una disciplina che, sul punto, sostituisce 
e non integra quella contenuta nella predetta norma del codice di rito. La mancanza 
di tale elemento, pertanto, attribuisce all�art. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010 un carattere 
derogatorio rispetto al diritto comune. Per i motivi gi� chiariti, ci� si traduce in un vizio 
di costituzionalit� di tale disposizione, che deve essere pertanto dichiarata illegittima nella 
parte in cui non prevede siffatto potere di valutazione in concreto dell�impedimento. 
N� pu� ritenersi che l�esercizio di un simile potere, nelle ipotesi in cui l�impedimento 
consista nello svolgimento di funzioni di governo, sia di per s� lesivo delle prerogative del 
Presidente del Consiglio dei ministri, o si ponga in contrasto con il principio della separazione 
dei poteri. Va detto, innanzitutto, che la disciplina elettorale, in base alla quale i cittadini indicano 
il �capo della forza politica� o il �capo della coalizione�, non modifica l�attribuzione 
al Presidente della Repubblica del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri, 
operata dall�art. 92, secondo comma, Cost., n� la posizione costituzionale di quest�ultimo. A 
prescindere da ci�, quando il giudice valuta in concreto, in base alle ordinarie regole del pro-
CONTENZIOSO NAZIONALE 127 
cesso, l�impedimento consistente nell�esercizio di funzioni governative, si mantiene entro i 
confini della funzione giurisdizionale e non esercita un sindacato di merito sull�attivit� del 
potere esecutivo, n�, pi� in generale, invade la sfera di competenza di altro potere dello Stato. 
� vero, peraltro, che in simili ipotesi l�esercizio della funzione giurisdizionale ha una 
incidenza indiretta sull�attivit� del titolare della carica governativa, incidenza che � obbligo 
del giudice ridurre al minimo possibile, tenendo conto del dovere dell�imputato di assolvere 
le funzioni pubbliche assegnategli. Il principio della separazione dei poteri non �, dunque, 
violato dalla previsione del potere del giudice di valutare in concreto l�impedimento, ma, 
eventualmente, soltanto dal suo cattivo esercizio, che deve rispondere al canone della leale 
collaborazione. Quest�ultimo principio ha carattere bidirezionale, nel senso che esso riguarda 
anche il Presidente del Consiglio dei ministri, la programmazione dei cui impegni, in quanto 
essi si traducano in altrettante cause di legittimo impedimento, � suscettibile a sua volta di incidere 
sullo svolgimento della funzione giurisdizionale. Trova pertanto applicazione, anche 
nel caso del titolare di funzione governativa, quanto questa Corte ha affermato con riferimento 
al legittimo impedimento di membri del Parlamento, tanto pi� che, a differenza di questi ultimi, 
il Presidente del Consiglio dei ministri ha il potere di programmare una quota significativa 
degli impegni che possono costituire legittimo impedimento (sentenze n. 451 del 2005, 
n. 284 del 2004, n. 263 del 2003, n. 225 del 2001). La leale collaborazione deve esplicarsi 
mediante soluzioni procedimentali, ispirate al coordinamento dei rispettivi calendari. Per un 
verso, il giudice deve definire il calendario delle udienze tenendo conto degli impegni del 
Presidente del Consiglio dei ministri riconducibili ad attribuzioni coessenziali alla funzione 
di governo e in concreto assolutamente indifferibili. Per altro verso, il Presidente del Consiglio 
dei ministri deve programmare i propri impegni, tenendo conto, nel rispetto della funzione 
giurisdizionale, dell�interesse alla speditezza del processo che lo riguarda e riservando a tale 
scopo spazio adeguato nella propria agenda. 
Deve, dunque, concludersi che le questioni di legittimit� costituzionale sollevate dai 
giudici rimettenti, in quanto si riferiscono all�art. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010, sono 
fondate, nella parte in cui tale disposizione non prevede il potere del giudice di valutare in 
concreto, a norma dell�art. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen., l�impedimento addotto. 
5.3. � L�art. 1, comma 4, della legge n. 51 del 2010 dispone: �Ove la Presidenza del 
Consiglio dei Ministri attesti che l'impedimento � continuativo e correlato allo svolgimento 
delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al 
periodo indicato, che non pu� essere superiore a sei mesi�. 
Per la parte in cui si riferiscono a tale disposizione, le questioni sollevate dai giudici a 
quibus sono fondate. 
La norma in esame, a differenza di quelle di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 1, 
non opera un diretto rinvio all�art. 420-ter cod. proc. pen. e introduce nell�ordinamento una 
peculiare figura di legittimo impedimento consistente nell�esercizio di funzioni di governo, 
connotata dalla continuativit� dell�impedimento stesso e dalla attestazione di esso da parte 
della Presidenza del Consiglio dei ministri. Tali elementi rappresentano tuttavia una alterazione, 
e non gi� una integrazione o applicazione, della disciplina dell�istituto generale di cui 
all�art. 420-ter cod. proc. pen. Si tratta, pertanto, di una disposizione derogatoria del regime 
processuale comune, che introduce una prerogativa in favore del titolare della carica, in contrasto 
con gli artt. 3 e 138 Cost. 
In primo luogo, l�art. 1, comma 4, della legge n. 51 del 2010, diversamente da quanto 
disposto dall�art. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen., prevede che l�imputato possa dedurre,
128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
anzich� un impedimento puntuale e riferito ad una specifica udienza, un impedimento continuativo 
riferito a tutte le udienze eventualmente programmate o programmabili entro un 
determinato intervallo di tempo, che non pu� essere superiore a sei mesi (ma la norma non 
vieta che alla scadenza possa essere rinnovato l�attestato di impedimento continuativo). In 
tal modo, la disposizione in esame esclude, almeno parzialmente, l�onere di specificazione 
dell�impedimento che, ai sensi dell�art. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen., grava sull�imputato. 
Essa consente infatti a quest�ultimo di dedurre come impedimento il generico dovere 
di svolgere funzioni di governo in un determinato periodo di tempo. Ci� rende impossibile 
la verifica del giudice circa la sussistenza e consistenza di uno specifico e preciso impedimento. 
N� pu� ritenersi che l�attestazione della Presidenza del Consiglio dei ministri debba 
specificare, giorno per giorno, tutti gli impegni che rendono assolutamente impossibile la 
presenza in udienza dell�imputato nel corso del periodo di tempo considerato. Una simile 
interpretazione della disposizione renderebbe inutile la previsione di una apposita figura di 
impedimento continuativo e, del resto, non � stata seguita, in sede applicativa, dalla Presidenza 
del Consiglio, le cui attestazioni, nelle fattispecie oggetto dei giudizi principali, hanno 
indicato succintamente e solo in via esemplificativa alcuni degli impegni del Presidente del 
Consiglio dei ministri compresi in un periodo di tempo considerato. 
In secondo luogo, va osservato che il tenore testuale della disposizione in esame ricollega 
l�effetto del rinvio del processo, per la durata dell�impedimento continuativo, alla 
attestazione della Presidenza del Consiglio. � previsto, infatti, che il giudice rinvia il processo 
non gi� quando �risulti�, ma �ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti� 
che l�impedimento � continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di governo. 
In tal modo, il rinvio costituisce un effetto automatico dell�attestazione, venendo meno il 
filtro della valutazione del giudice e, pi� in generale, di una valutazione indipendente e imparziale, 
dal momento che l�attestazione risulta affidata ad una struttura organizzativa di 
cui si avvale, in ragione della propria carica, lo stesso soggetto che deduce l�impedimento 
in questione. 
Per tutte queste ragioni, l�art. 1, comma 4, della legge n. 51 del 2010 produce effetti 
equivalenti a quelli di una temporanea sospensione del processo ricollegata al fatto della 
titolarit� della carica, cio� di una prerogativa disposta in favore del titolare. Si tratta, pertanto, 
di una previsione normativa costituzionalmente illegittima. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
riuniti i giudizi, 
dichiara l�illegittimit� costituzionale dell�art. 1, comma 4, della legge 7 aprile 2010, 
n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza); 
dichiara l�illegittimit� costituzionale dell�art. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010, 
nella parte in cui non prevede che il giudice valuti in concreto, a norma dell�art. 420-ter, 
comma 1, cod. proc. pen., l�impedimento addotto; 
dichiara inammissibili le questioni di legittimit� costituzionale relative all�art. 1, 
commi 2, 5 e 6, e all�art. 2 della legge n. 51 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 
138 della Costituzione, dal Tribunale di Milano, sezione X penale, e dal Giudice per le indagini 
preliminari presso il medesimo Tribunale, con le ordinanze indicate in epigrafe; 
dichiara non fondate le questioni di legittimit� costituzionale relative all�art. 1, comma 
1, della legge n. 51 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 138 della Costituzione,
CONTENZIOSO NAZIONALE 129 
dal Tribunale di Milano, sezione I penale e sezione X penale, e dal Giudice per le indagini 
preliminari presso il medesimo Tribunale, con le ordinanze indicate in epigrafe, in quanto 
tale disposizione venga interpretata in conformit� con l�art. 420-ter, comma 1, cod. proc. 
pen. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 
13 gennaio 2011. 
F.to: 
Ugo DE SIERVO, Presidente 
Sabino CASSESE, Redattore 
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere 
Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2011. 
... sull�ammissibilit� del referendum popolare 
SENTENZA N. 29 
ANNO 2011 
REPUBBLICA ITALIANA 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
- Ugo DE SIERVO Presidente 
- Paolo MADDALENA Giudice 
- Alfio FINOCCHIARO " 
- Alfonso QUARANTA " 
- Franco GALLO " 
- Luigi MAZZELLA " 
- Gaetano SILVESTRI " 
- Sabino CASSESE " 
- Giuseppe TESAURO " 
- Paolo Maria NAPOLITANO " 
- Giuseppe FRIGO " 
- Alessandro CRISCUOLO " 
- Paolo GROSSI " 
- Giorgio LATTANZI " 
ha pronunciato la seguente 
SENTENZA 
nel giudizio di ammissibilit�, ai sensi dell�articolo 2, primo comma, della legge costituzionale 
11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l�abrogazione della 
legge 7 aprile 2010, n. 51, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 81 dell�8 aprile 2010, recante 
�Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza�, giudizio iscritto 
al n. 154 del registro referendum. 
Vista l�ordinanza del 7 dicembre 2010 con la quale l�Ufficio centrale per il referendum
130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta; 
udito nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011 il Giudice relatore Sabino Cassese; 
uditi l�avvocato Alessandro Pace per i presentatori Di Pietro Antonio, De Filio Gianluca, 
Maruccio Vincenzo e Parenti Benedetta e l�avvocato dello Stato Maurizio Borgo per 
il Presidente del Consiglio dei ministri. 
Ritenuto in fatto 
1. � Con ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010, l�Ufficio centrale per il referendum, 
costituito presso la Corte di cassazione, ai sensi dell�art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 
352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), 
e successive modificazioni, ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge la richiesta 
di referendum popolare, promossa da diciotto cittadini italiani, sul seguente quesito 
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 aprile 2010, serie generale, n. 86): �Volete voi 
che sia abrogata la legge 7 aprile 2010, n. 51, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 81 dell�8 
aprile 2010, recante �Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza�?�. 
2. � L�Ufficio centrale ha attribuito al quesito il n. 6 e il seguente titolo: �Abrogazione della 
legge 7 aprile 2010, n. 51 in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio 
dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale�. 
3. � Il Presidente di questa Corte, ricevuta comunicazione dell�ordinanza, ha fissato, per la 
conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 12 gennaio 2011, dandone regolare 
comunicazione ai sensi dell�art. 33 della legge n. 352 del 1970. 
4. � In data 3 gennaio 2011, i presentatori della richiesta di referendum hanno depositato 
una memoria, chiedendo che la richiesta stessa venga dichiarata ammissibile. Ad avviso dei 
promotori, tale richiesta �non urta contro alcuno dei divieti previsti dall�art. 75 Cost., nonch� 
di quelli enucleati sulla base di esso dalla giurisprudenza� costituzionale. 
5. � In data 7 gennaio 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso 
dall�Avvocatura generale dello Stato, ha depositato memoria, chiedendo che questa Corte 
dichiari inammissibile la richiesta referendaria. Ad avviso della difesa statale, la richiesta 
sarebbe inammissibile, in particolare, in quanto l�abrogazione della legge che ne forma oggetto 
farebbe venir meno �quel livello minimo di disciplina che, secondo l�autorevole avviso 
[della Corte Costituzionale�] deve sempre essere assicurato allorch� la materia, 
oggetto di formazione, coinvolga interessi costituzionalmente rilevanti�. Inoltre, ad avviso 
dell�Avvocatura generale dello Stato, � inammissibile un quesito referendario �avente ad 
oggetto l�abrogazione di una legge, la cui disciplina risulta, comunque, destinata a perdere 
efficacia quasi contemporaneamente alla conclusione del procedimento referendario�. 
Considerato in diritto 
1. � Questa Corte � chiamata a pronunciarsi sulla ammissibilit� della richiesta di referendum 
abrogativo della legge 7 aprile 2010, n. 51, recante �Disposizioni in materia di impedimento 
a comparire in udienza�. 
La legge n. 51 del 2010 disciplina il legittimo impedimento a comparire in udienza, ai sensi 
dell�art. 420-ter cod. proc. pen., del Presidente del Consiglio dei ministri (art. 1, comma 1) 
e dei ministri (art. 1, comma 2), in qualit� di imputati. In particolare, in base all�art. 1, 
comma 3, di tale legge, il giudice, su richiesta di parte, rinvia il processo ad altra udienza 
quando ricorrono le ipotesi di impedimento a comparire individuate dal comma 1 (per il
CONTENZIOSO NAZIONALE 131 
Presidente del Consiglio) e dal comma 2 (per i ministri) della medesima legge. In base a 
tali disposizioni, costituisce legittimo impedimento �il concomitante esercizio di una o pi� 
delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in particolare dagli articoli 5, 6 e 
12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del 
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, e dal regolamento 
interno del Consiglio dei ministri, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 
10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, e successive 
modificazioni, delle relative attivit� preparatorie e consequenziali, nonch� di ogni 
attivit� comunque coessenziale alle funzioni di Governo�. Inoltre, l�art. 1, comma 4, della 
medesima legge, dispone che �ove la Presidenza del Consiglio dei ministri attesti che l�impedimento 
� continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente 
legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non pu� 
essere superiore a sei mesi�. L�art. 1, comma 5, della legge n. 51 del 2010 chiarisce che �il 
corso della prescrizione rimane sospeso per l�intera durata del rinvio�. Tale disciplina si 
applica �anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla data di entrata in 
vigore della� medesima legge (art. 1, comma 6), e �fino alla data di entrata in vigore della 
legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio 
dei Ministri e dei Ministri, nonch� della disciplina attuativa delle modalit� di partecipazione 
degli stessi ai processi penali e, comunque, non oltre diciotto mesi dalla data di 
entrata in vigore della presente legge, salvi i casi previsti dall�articolo 96 della Costituzione, 
al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri il sereno svolgimento 
delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge� (art. 2). 
2. � La richiesta referendaria � dichiarata conforme a legge dall�Ufficio centrale per il referendum 
costituito presso la Corte di cassazione � � ammissibile. 
2.1. � L�oggetto del quesito referendario � rappresentato da disposizioni legislative che non 
rientrano nelle categorie per le quali l�art. 75 Cost. preclude il ricorso al referendum (leggi 
in materia tributaria e di bilancio, di amnistia ed indulto, di autorizzazione alla ratifica di 
trattati internazionali), n� possono considerarsi ad esse collegate. La legge n. 51 del 2010, 
inoltre, non � una legge costituzionale o di revisione costituzionale, n� una legge a contenuto 
costituzionalmente vincolato, n�, infine, costituzionalmente necessaria. 
2.2. � La formulazione del quesito presenta i requisiti di omogeneit�, chiarezza ed univocit� 
individuati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di ammissibilit� del referendum. 
La domanda referendaria risponde ad una matrice razionalmente unitaria: l�elettore � posto 
dinanzi all�alternativa di eliminare, ovvero di conservare, una disciplina differenziata del 
legittimo impedimento a comparire in udienza, applicabile ai soli titolari di cariche governative. 
Il quesito � poi chiaro e univoco. Esso investe un�intera legge, che si compone di due soli 
articoli, e rivela chiaramente l�intento dei promotori di ripristinare l�applicabilit� ai titolari 
di cariche governative della disciplina comune di cui all�art. 420-ter del codice di procedura 
penale, senza le integrazioni e specificazioni introdotte dalla disciplina che forma oggetto 
della richiesta referendaria. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l�abrogazione della legge 7 
aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza), dichia-
132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
rata legittima dall�Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione 
con ordinanza del 6 dicembre 2010. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 
12 gennaio 2011. 
F.to: 
Ugo DE SIERVO, Presidente 
Sabino CASSESE, Redattore 
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere 
Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2011.
CONTENZIOSO NAZIONALE 133 
Incarichi dirigenziali a tempo determinato (* ) 
(Corte costituzionale, sentenza 12 novembre 2010, n. 324) 
Premessa 
Con la recentissima sentenza del 12 novembre 2010, n. 324, la Consulta 
ha dichiarato non fondate le questioni di legittimit� costituzionale - sollevate 
in riferimento agli artt. 117, commi 2 e 3, e 119 della Costituzione - dell�art. 
40, comma 1, lett. f), d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, il quale prevede l�applicabilit� 
della disciplina dettata dall�art. 19, commi 6 e 6-bis, d.lgs. n. 
165/2001(t.u.p.i.) in tema di incarichi dirigenziali conferiti a soggetti esterni 
all�amministrazione nella parte in cui si applica anche alle amministrazioni di 
cui all�art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001 e, dunque, anche alle regioni e 
agli enti locali. 
Al fine di comprendere la portata della sentenza della Corte costituzionale 
12 novembre 2010, n. 324 e, in particolare, le sue possibili implicazioni sui 
provvedimenti di conferimento di funzioni dirigenziali a tempo determinato a 
soggetti esterni adottati nei limiti di cui all�art. 10, l. reg. n. 31/2002, occorre 
procedere: 
1.- preliminarmente, ad una ricognizione, sul piano metodologico, del riparto 
di potest� legislativa tra Stato e regioni in materia di pubblico impiego 
regionale (con particolare riguardo agli incarichi dirigenziali c.d. fiduciari), 
prendendo le mosse dall�interpretazione del testo dell�art. 117 Cost.; 
2.- in seguito, ad analizzare i meccanismi di nomina dei dirigenti esterni 
alla luce della recente riforma del lavoro pubblico (d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 
150);
3.- infine, a vagliare la portata innovativa della pronuncia della Corte Costituzionale 
del 12 novembre 2010, n. 324 e le possibili conseguenze sulle 
fonti normative regionali in materia di incarichi dirigenziali a tempo determinato.
Ci� posto, si rassegna di seguito il parere in oggetto. 
1.- Incarichi dirigenziali a tempo determinato. Riparto di potest� legislativa 
tra Stato e Regioni. Analisi in chiave evolutiva della tematica 
Per comprendere la portata innovativa della recente pronuncia della Corte 
costituzionale n. 324/2010, � utile, in limine, ripercorrere brevemente l�iter 
(*) Parere reso dal Comitato giuridico regionale alla Presidenza della Regione Calabria in ordine 
alla portata della sentenza in rassegna. Nello specifico sulle possibili implicazioni ai provvedimenti di 
conferimento di funzioni dirigenziali a tempo determinato a soggetti esterni adottati nei limiti di cui all�art. 
10, comma 4, l. reg. n. 31/2002. 
134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
evolutivo relativo al riparto di potest� legislativa tra Stato e regioni in materia 
di pubblico impiego regionale. 
L�assetto delle competenze legislative in materia di impiego pubblico regionale 
ha sub�to significative modifiche a partire dalla entrata in vigore della 
l. cost. n. 3/2001, anche in seguito al noto processo legislativo di privatizzazione 
del pubblico impiego. 
Prima che l�art. 117 Cost. venisse riformato, alle regioni a statuto ordinario 
era attribuita potest� legislativa concorrente con lo Stato nella materia 
dell��ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla regione�, 
da sempre considerata comprensiva della materia dell��ordinamento 
del personale regionale�, che includeva, a sua volta, la disciplina del rapporto 
d�impiego (1). Pertanto, in materia, allo Stato competeva la individuazione 
dei principi fondamentali e alla regione l�emanazione delle norme di dettaglio, 
con l�ulteriore limite del rispetto dell�interesse nazionale, stante la connessione 
tra organizzazione pubblica e assetto del personale che ha caratterizzato l�impiego 
pubblico fino alla sua privatizzazione. 
L�impiego pubblico regionale, in base all�attuale formulazione dell�art. 
117 Cost., va ricondotto, sulla scorta dei criteri di riparto delineati dalla giurisprudenza 
costituzionale (2): 
- in parte, all��ordinamento civile� e, quindi, alla potest� legislativa esclusiva 
dello Stato (art. 117, comma 2, lett. l), Cost.) per i profili privatizzati del 
rapporto, in quanto appunto appartenenti al diritto civile, cos� che �la intervenuta 
privatizzazione e contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico 
vincola anche le Regioni� (3); 
- ed, in parte, per i rimanenti profili �pubblicistico-organizzativi� del rapporto 
- sottratti dal legislatore statale alla privatizzazione, e di conseguenza 
ancora rientranti nel diritto pubblico - all��ordinamento e organizzazione amministrativa 
regionale� (che � �comprensiva dell�incidenza della stessa sulla 
disciplina del relativo personale�(4)) e, quindi, alla potest� legislativa residuale 
della regione. Ci�, in applicazione della �clausola di residualit�� del 
comma 4 dell�art. 117 Cost., non ritrovandosi tale ultima materia negli elenchi 
dei commi 2 e 3 dello stesso articolo ed, anzi, potendosi rinvenire, nella formulazione 
dell�art. 117, l�intenzione del legislatore costituzionale di escludere 
dalla competenza statale l�ordinamento e l�organizzazione amministrativa 
(1) v. Corte cost., 10 luglio 1968, n. 93; id. 3 marzo 1972, n. 40; id. 14 luglio 1972, n. 147; id. 30 
gennaio 1980, n. 10; id. 29 settembre 1983, n. 277; id. 29 settembre 1983, n. 278; id. 8 giugno 1987, n. 
217; id. 27 ottobre 1988, n. 1001; id. 30 luglio 1993, n. 359. 
(2) v. Corte cost., 13 gennaio 2004, n. 2, in Giurisprudenza Costituzionale, 2004, p. 9, con nota 
di F. GHERA, Il lavoro alle dipendenze delle Regioni alla luce del nuovo art. 117 Cost., pag. 44; Corte 
cost. 15 novembre 2004, n. 345; id. 14 dicembre 2004, n. 380; id. 16 giugno 2006, n. 233. 
(3) v. Corte cost. n. 3/2004 cit. 
(4) v. Corte cost. n. 233/2006 cit.
CONTENZIOSO NAZIONALE 135 
delle regioni, in quanto appunto nel comma 2 � inserita la materia dell��ordinamento 
ed organizzazione amministrativa� soltanto dello Stato e degli enti 
pubblici nazionali (lett. g). 
Il legislatore statale � legittimato, quindi, dal nuovo art. 117 Cost., ad effettuare 
la ripartizione tra profili privatizzati e profili non privatizzati del rapporto 
di lavoro pubblico per tutte le pubbliche amministrazioni, e, dunque, 
anche per le regioni a statuto speciale (oltre che per quelle ordinarie), trattandosi 
pur sempre di esercizio della propria potest� esclusiva in materia di �ordinamento 
civile�. Ci�, in quanto le norme e i principi fissati dalla legge statale 
in materia, nell�intero settore del pubblico impiego, costituiscono tipici limiti 
di diritto privato, fondati sull�esigenza, connessa al precetto costituzionale di 
eguaglianza, di garantire l�uniformit� nel territorio nazionale delle regole fondamentali 
di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono 
anche alle regioni a statuto speciale. Di conseguenza, la legge statale, 
in tutti i casi in cui interviene a ricondurre al diritto privato gli istituti del rapporto 
di impiego, costituisce un limite alla competenza regionale nella materia 
dell�organizzazione amministrativa delle regioni e degli enti pubblici regionali 
e dello stato giuridico ed economico del relativo personale, tanto delle regioni 
a statuto ordinario, quanto di quelle a statuto speciale. 
Pertanto, solo il legislatore statale sarebbe legittimato a ricondurre nuovamente, 
in tutto o in parte, il pubblico impiego nel diritto pubblico. Le regioni, 
dunque, non solo non possono disciplinare i profili privatizzati del 
rapporto, ma neppure mutarne il regime giuridico riportandoli nel diritto pubblico, 
n� tantomeno cambiare, in senso pubblicistico, la natura degli atti di gestione 
del rapporto di lavoro relativi a tali profili, essendo appunto questa 
necessariamente privatistica come conseguenza della riconduzione del profilo 
all�interno della sfera del �diritto privato�. 
Prima di esaminare le innovazioni innervate dal d.lgs. n. 150/2009, in cui 
s�innesta la sentenza della Consulta n. 324/2010, occorre segnalare il precedente 
riparto di competenze delineato dal legislatore statale. 
Il legislatore statale ha ricondotto al diritto privato e alla competenza della 
contrattazione collettiva tutte le materie relative al rapporto di lavoro e alle 
relazioni sindacali (art. 2, comma 2 e 3, e art. 40, comma 1, d.lgs. n. 165/2001; 
v. anche art. 11, comma 4, lett. a), l. n. 59/1997); restano escluse le c.d. �sette 
materie�(5) elencate nell�art. 2, comma 1, lett. c), della legge delega n. 
421/1992, vale a dire: 
(5) Corte cost. 14 dicembre 2004, n. 380; id. 24 gennaio 2005, n. 26; id. 11 aprile 2008, n. 95; id. 
12 aprile 2005, n. 147; id. 23 febbraio 2007, n. 50; id. 15 novembre 2004, n. 345, nelle quali i giudici 
delle leggi hanno ricondotto all��ordinamento e organizzazione amministrativa� della pubblica amministrazione 
(soltanto) istituti del rapporto di lavoro pubblico ricompresi appunto nell�elenco delle sette 
materie della l. n. 421/1992.
136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
- le responsabilit� giuridiche attinenti ai singoli operatori nell�espletamento 
di procedure amministrative; 
- gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarit� dei medesimi;
- i principi fondamentali di organizzazione degli uffici; 
- i procedimenti di selezione per l�accesso al lavoro e di avviamento al 
lavoro; 
- i ruoli e le dotazioni organiche nonch� la loro consistenza complessiva; 
- la garanzia della libert� d�insegnamento e l�autonomia professionale 
nello svolgimento dell�attivit� didattica, scientifica e di ricerca; 
- la disciplina della responsabilit� e delle incompatibilit� tra l�impiego 
pubblico ed altre attivit� e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi 
pubblici. 
Ne discende che, in base a tale riparto costituzionale di competenze legislative, 
le regioni, sia quelle a statuto ordinario sia quelle a statuto speciale, 
possono esercitare la loro potest� legislativa (residuale, in materia di �ordinamento 
e organizzazione amministrativa�) solo per i menzionati sette aspetti 
del rapporto di lavoro pubblico sottratti dal legislatore statale alla privatizzazione 
ed elencati dalla l. n. 421/1992. Sicch� per le citate materie la disciplina 
di cui al d.lgs. n. 165/2001 (t.u.p.i.) deve ritenersi riferita esclusivamente all�impiego 
statale e, dunque, non vincola le regioni, neppure limitatamente ai 
principi fondamentali, in quanto su questi la potest� legislativa regionale � 
piena. Ovviamente, deve ritenersi applicabile anche al pubblico impiego regionale 
la disciplina degli altri profili del rapporto di lavoro pubblico, dettata 
in via generale dallo stesso d.lgs. n. 165/2001 per tutte le amministrazioni pubbliche, 
in quanto appunto oggetto di �privatizzazione� e dunque rientrante 
nell��ordinamento civile� di competenza esclusiva statale. 
Per quanto riguarda la dirigenza regionale va evidenziato che, secondo 
la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 165/2001, come modificato dalla l. n. 
145/2002, � pi� esteso l�ambito di competenza legislativa residuale delle regioni, 
essendo maggiormente numerosi i profili del rapporto di lavoro dirigenziale 
riconducibili all��ordinamento e organizzazione amministrativa�: si 
pensi, oltre al reclutamento e ai sistemi di accesso ai ruoli della dirigenza, alle 
dotazioni organiche e alle incompatibilit�, anche alla disciplina del conferimento 
e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonch� quella della responsabilit� 
dirigenziale e delle relative misure sanzionatorie. 
Dal che discende l�applicabilit� alla dirigenza regionale della disciplina 
statale - contenuta, appunto, nel d.lgs. n. 165/2001 - solo in relazione a quei 
circoscritti aspetti privatizzati del rapporto, dovendosi ritenere, viceversa, per 
tutti i rimanenti profili (in quanto non privatizzati), inapplicabile alle regioni 
la regolamentazione del d.lgs. n. 165/2001, che vincola, dunque, esclusivamente 
la dirigenza dello Stato (6).
CONTENZIOSO NAZIONALE 137 
La Corte costituzionale (7) ha affermato, prima della recente pronuncia 
del 2010 qui in esame, che in materia di conferimento di incarichi dirigenziali, 
anche a carattere fiduciario (c.d. spoil system), le regioni non legiferano nella 
materia dell��ordinamento civile�, poich� subiecta materia rientra nell�ambito 
dell�organizzazione amministrativa regionale. In realt�, sul punto - per come 
si vedr� a breve - innovativa � la recente sentenza n. 324/2010. 
2.- Sui meccanismi di nomina dirigenziale c.d. fiduciaria da parte delle amministrazioni 
regionali. Limiti ed analisi delle innovazioni introdotte in materia 
dalla c.d. riforma Brunetta 
2.1.- Come anticipato, la riforma del Titolo V della Costituzione con l. 
cost. n. 3/2001 ha consentito alle regioni, sulla base della nuova attribuzione 
della competenza legislativa residuale in materia di ordinamento e organizzazione 
amministrativa sub-statale, per come sancito dal combinato disposto dei 
commi 2, 3 e 4 dell�art. 117 Cost., di disciplinare il settore della dirigenza pubblica 
regionale. 
Il legislatore regionale ha cos� introdotto meccanismi di spoil system, facendo 
seguito, da un punto di vista strettamente temporale, alla legislazione 
statale e, pi� specificamente, alla l. n. 145/2002 (la c.d. legge Frattini). Le regioni, 
attraverso la propria ordinaria attivit� legislativa, iniziano a darsi un�autonoma 
disciplina della propria dirigenza, intervenendo, in vario modo, sul 
conferimento, sulla revoca ed, indirettamente, sulla durata degli incarichi dirigenziali. 
In tale prospettiva si inserisce la positivizzazione, in varia forma, di meccanismi 
di spoil system regionale, ovvero la previsione di particolari meccanismi 
di nomina e revoca dei dirigenti che presuppongano un legame fiduciario 
tra questi ultimi e la Giunta e che, quindi, vincolano l�esercizio e la durata 
dell�incarico dirigenziale alla permanenza in carica e/o alla volont� della 
Giunta stessa. 
Il rapporto tra dirigenti pubblici ed organi di decisione politica, cos� come 
prefigurato dal sistema dello spoil system, sembra assumere una problematicit� 
ancora pi� articolata, oltre che una valenza del tutto speciale, se considerato 
anche alla luce del pi� ampio processo di assimilazione dei modelli di organizzazione 
e di gestione delle attivit� pubbliche al paradigma aziendalistico, 
facendo riferimento, in particolare, all�affermazione dei cinque fattori che 
hanno progressivamente trasformato la tradizionale figura del dirigente pubblico 
in una sorta di manager, con l�obiettivo principale di rendere maggior- 
(6) v. Corte cost. n. 233/2006 cit. 
(7) Ibidem.
138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
mente efficiente l�attivit� di direzione dell�amministrazione, e cio�: la privatizzazione 
del pubblico impiego; la possibilit� di assumere dirigenti esterni 
all�organico della pubblica amministrazione; l�introduzione del principio di 
temporaneit� degli incarichi; la previsione di margini sempre pi� ampi di 
mobilit� e flessibilit� della dirigenza; la nomina dei dirigenti di livello apicale 
fondata, pi� o meno prevalentemente, sull�intuitu personae e sul conseguente 
rapporto diretto tra committente politico ed i dirigenti stessi. 
E� noto, infatti, come la disciplina introdotta dallo spoil system costituisca, 
in generale, un ulteriore strumento volto a rendere maggiormente efficiente 
l�esercizio delle attivit� pubbliche sia rafforzando la contiguit� o il 
vincolo fiduciario tra politici e tecnici analogamente a quanto avviene nelle 
aziende private relativamente al rapporto tra azionisti e managers, sia consentendo, 
nello stesso tempo, alla Giunta regionale di avvalersi di un�adeguata 
rete di dirigenti, ben radicata nell�apparato organizzativo del territorio 
(ovvero distribuita tra i vari enti pubblici, enti pubblici economici, aziende 
sanitarie ed ospedaliere, fondazioni, agenzie, consorzi, etc.) ed in grado di 
esercitare, in condizioni di relativa autonomia, tutte le normali funzioni di 
gestione, avendo riguardo (solo) per l�indirizzo politico-amministrativo generale 
fatto proprio dalla Giunta. 
Tuttavia, � parimenti noto come l�istituto dello spoil system, al di l� 
delle sue possibili differenti declinazioni, sollevi molteplici problemi in ordine 
all�assetto istituzionale ed ordinamentale ad esso sotteso, sia sotto il 
profilo dell�organizzazione e dello svolgimento delle attivit� pubbliche, sia 
sotto quello del peso specifico assunto dalle autonomie territoriali nell�ambito 
dell�ordinamento repubblicano. La disciplina degli incarichi dirigenziali, 
infatti, tanto sotto l�aspetto delle modalit� di conferimento e di revoca 
delle nomine, quanto sotto quello dell�esercizio delle funzioni, deve misurarsi, 
nel suo complesso, non solo (ex post) con i principi (costituzionalmente 
vincolanti) di �buon andamento� e di �imparzialit�� della pubblica amministrazione, 
ma, in qualche modo, anche (ex ante) con l�obiettivo di assicurare 
una coerenza di fondo tra i progetti e le scelte generali di gestione e la volont� 
politica della maggioranza, senza che ci� alteri o infici la peculiare distinzione 
�strutturale�, sancita a monte, tra le funzioni degli organi di 
direzione tecnico-economica e quelle della Giunta regionale. Ed � proprio 
alla luce di ci� che appaiono del tutto evidenti i rischi di minare, attraverso 
la previsione di nomine fiduciarie o, anche solo, vincolate alle sorti dell�esecutivo, 
tanto la continuit� e l�efficacia dell�attivit� tecnico-dirigenziale, con 
conseguente lesione del principio di buon andamento, quanto l�autonomia 
di siffatta attivit� rispetto ad altre finalit�, diverse dagli obiettivi pi� strettamente 
tecnico-operativi assegnati ai dirigenti (8). Per tale motivo, numerose 
sono state le pronunce di incostituzionalit� di leggi regionali in materia (9). 
La positivizzazione a livello regionale della disciplina dirigenziale pub-
CONTENZIOSO NAZIONALE 139 
blica ha innescato diversi profili problematici, soprattutto in relazione alla 
garanzia costituzionale dei principi di imparzialit� e buon andamento della 
p.a.. Si �, infatti, sostenuto (10) che l�attrazione di una parte pi� o meno consistente 
della dirigenza pubblica nell�ambito di influenza diretta e determinante 
dell�esecutivo regionale comporta una profonda alterazione del 
corretto funzionamento dell�attivit� della P.A., giacch� sembrano essersi profilati, 
in tal modo, per un verso, un penetrante condizionamento politico 
dell�attivit� tecnico-dirigenziale, da cui discenderebbe, inevitabilmente, 
anche un indebolimento della funzione dei controlli sui risultati e, per l�altro, 
una surrettizia trasformazione della responsabilit� dei dirigenti stessi, in una 
sorta di ambigua responsabilit� �ibrida� e �diffusa�, ovvero declinata in 
chiave n� propriamente tecnica, n� propriamente politica, genericamente 
condivisa tra la dirigenza stessa ed il governo regionale. 
Ed � proprio alla luce di quanto appena osservato che la Corte Costituzionale 
(11) ha ritenuto che ogni regione dovesse adottare la propria normativa 
in materia di dirigenza, ispirandosi alla normativa statale. La 
Consulta, seguendo un iter logico-giuridico piuttosto articolato, fa notare 
che l�art. 1, d.lgs. n. 165/2001 (t.u.p.i.) recante �finalit� e ambito di applicazione� 
del testo unico prevede che le disposizioni in esso sancite disciplinano 
l�organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro alle dipendenze 
delle amministrazioni pubbliche in tutti i livelli istituzionali, ivi comprese 
regioni e province. Peraltro, la direttiva n. 1/2007 emanata dall�allora Ministro 
per le Riforme e le Innovazioni nella p.a., recante �misure di trasparenza 
e legalit� in materia di conferimento degli incarichi dirigenziali, di amministrazione 
e consulenza e in generale di gestione�, contiene delle prescrizioni 
che confermano ed avvalorano la tesi sostenuta dai giudici delle leggi, 
secondo cui le regioni devono conformarsi, in materia dirigenziale, alla normativa 
statale. 
Del resto, l�art. 27, d.lgs. n. 165/2001 stabilisce che: �le regioni a statuto 
ordinario, nell�esercizio della propria potest� statutaria, legislativa e regolamentare, 
e le altre pubbliche amministrazioni, nell�esercizio della propria 
potest� statutaria e regolamentare, adeguano ai princ�pi dell�articolo 4 e 
del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarit��. 
Ed � proprio sulla scorta di un�interpretazione sistematica del cennato 
art. 27 e dell�art. 19, comma 6, d.lgs 165/2001 che la Commissione 
(8) In dottrina, per queste osservazioni, si rinvia a F. MERLONI, Primi incerti tentativi di arginare 
lo spoils system nelle Regioni, in www.forumcostituzionale.it. 
(9) Cfr. M. LUCCA, Spoil system e compatibilit� costituzionale, in www.lexitalia.it. 
(10) D. BOLOGNINO, Nuove ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale: alcune riflessioni 
sulle �estensioni� legislative dello spoil system e sulla valutazione del personale con incarico dirigenziale, 
in Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2008, pag. 58 ss. 
(11) Corte cost., 23 marzo 2007, n. 104.
140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Speciale per il pubblico impiego del Consiglio di Stato (12) ha ritenuto che 
la normativa regionale in materia di conferimento di incarichi dirigenziali a 
soggetti esterni all�ente, dovesse adeguarsi ai limiti percentuali previsti dall�art. 
19, comma 6, d.lgs. n. 165/2001. 
Su quest�ultimo aspetto si coglie l�occasione per evidenziare che la Regione 
Calabria pare essersi conformata a quanto previsto dall� art. 19, comma 
6, d.lgs. n. 165/2001, con l. reg. 17 agosto 2005, n. 13, che ha modificato 
l�art. 10, l. reg. 7 agosto 2002, n. 31, in particolare, riscrivendo il comma 4, 
nonch� inserendo il comma 4-bis e 4-ter . La predetta disciplina regionale, 
pertanto, si pone(va) in linea con l�art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 che 
prevedeva, prima della novella del 2009, il conferimento di incarichi dirigenziali 
a tempo determinato a soggetti aventi i requisiti indicati nel comma medesimo 
�entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti 
appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all�art. 23 e dell�8 per cento 
della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, a tempo 
determinato� e che �tali incarichi sono conferiti a persone di particolare e 
comprovata qualificazione professionale, che abbiano svolto attivit� in organismi 
ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con 
esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o 
che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale 
e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e post-universitaria, 
da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro, 
maturate, anche presso amministrazioni statali, in posizioni funzionali previste 
per l�accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, 
della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e 
procuratori dello Stato. Il trattamento economico pu� essere integrato da 
una indennit� commisurata alla specifica qualificazione professionale, tenendo 
conto della temporaneit� del rapporto e delle condizioni di mercato 
relative alle specifiche competenze professionali. Per il periodo di durata 
dell�incarico, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in 
aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell�anzianit� di servizio�. 
2.2.- Come accennato, l�art. 40, d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (c.d. decreto 
Brunetta) ha modificato, in parte, il comma 6 dell�art. 19 d.lgs. n. 
165/2001 ed inserito, sempre all�art. 19, i commi 6-bis e 6-ter. 
In particolare, � ora previsto dal novellato comma 6 dell�art. 19, d.lgs. 
n. 165/2001 che gli incarichi dirigenziali a tempo determinato �sono conferiti, 
fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione 
professionale, non rinvenibile nei ruoli dell�Amministrazione� e 
(12) Cons. St., Comm. Spec. p.i., parere n. 514/2003.
CONTENZIOSO NAZIONALE 141 
che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale rinvenibile 
anche �da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio�. 
Il comma 6-bis prevede, invece, che il quoziente derivante 
dall�applicazione della percentuale prevista al comma 6 (10 per cento della 
dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui 
all�art. 23 e dell�8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti 
alla seconda fascia), � arrotondato all�unit� inferiore, se il primo decimale � 
inferiore a cinque, o all'unit� superiore, se esso � uguale o superiore a cinque. 
Il comma 6-ter prevede, infine, che �Il comma 6 ed il comma 6-bis si applicano 
alle amministrazioni di cui all�articolo 1, comma 2� e, quindi, alle regioni 
e agli enti locali. 
Sotto quest�ultimo aspetto (applicazione dei limiti previsti dal comma 6 
e 6-bis anche alle regioni ed enti locali) si collocano, appunto, le questioni di 
legittimit� costituzionale avanzate, nei confronti dell�art. 40, comma 1, lett. 
f), d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, dalle Regioni Piemonte, Toscana e Marche, 
oggetto della pronuncia della Corte Costituzionale del 12 novembre 2010, 
n. 324 qui in esame. 
2.3.- Ancor prima di vagliare la portata innovativa della sentenza n. 
324/2010 della Corte Costituzionale, giova analizzare le innovazioni apportate 
dal legislatore della riforma del 2009, soffermandosi in particolar modo 
sulla ridefinizione del rapporto di lavoro pubblico tra profili �privatizzati� e 
profili �non privatizzati�, aspetto che costituisce indubbiamente uno dei punti 
nodali della riforma, attese le ovvie implicazioni in tema di riparto di potest� 
legislativa tra Stato e Regioni in ordine all�impiego regionale. 
Al riguardo, valore decisivo sembra assumere l�art. 2, comma 4, della 
legge delega n. 15/2009, che conferisce ai decreti legislativi l�individuazione 
delle �disposizioni rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello 
Stato, ai sensi dell�art. 117, co. 2, Cost., e quelle contenenti principi generali 
dell�ordinamento giuridico, ai quali devono adeguarsi le Regioni (e gli Enti 
locali) negli ambiti di rispettiva competenza�. Tale delega � stata realizzata 
nella parte finale del d.lgs. n. 150/2009, mediante l�art. 74 che, nonostante 
sia l�ultimo articolo del decreto, assume una certa rilevanza al fine di sciogliere 
il nodo della distinzione tra profili privatizzati e profili non privatizzati 
del rapporto di lavoro pubblico regionale. In esso il legislatore ha elencato, 
da una parte, le disposizioni del decreto emanate nell�esercizio della potest� 
legislativa esclusiva statale in materia di �ordinamento civile� e di �determinazione 
dei livelli essenziali delle prestazioni� ai sensi dell�art. 117, comma 
2, lett. l) ed m), Cost.; e dall�altra, quelle recanti norme di diretta attuazione 
dell�art. 97 Cost. e costituenti �principi generali dell�ordinamento�, col conseguente 
obbligo di adeguamento per le regioni (e per gli enti locali), negli 
ambiti di rispettiva competenza, che concernono, ovviamente, profili del rap-
142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
porto non privatizzati, ovvero �pubblicistico-organizzativi�. Il fatto stesso 
che il legislatore abbia ritenuto necessario indicare, per questo secondo 
gruppo di istituti, l�esistenza di principi generali dell�ordinamento e specificarne 
la vincolativit� anche per le regioni, conferma implicitamente e a contrario 
che, per il resto, le regioni non sono obbligate ad osservarne la 
disciplina statale. 
In particolare, viene dal legislatore espressamente qualificata come �privatizzata�, 
in quanto ricondotta all��ordinamento civile�, la disciplina dei seguenti 
aspetti: 
- le fonti di regolamentazione del rapporto � legislazione sul lavoro subordinato 
nell�impresa, contratto collettivo e contratto individuale � individuate 
dall�art. 2, comma 2 e 3, d.lgs. n. 165/2001 (art. 33); 
- le determinazioni per l�organizzazione degli uffici e le misure inerenti 
alla gestione dei rapporti di lavoro, inclusi i poteri dirigenziali di gestione 
delle risorse umane (art. 34); 
- il documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale 
(art. 35); 
- la partecipazione sindacale, rimessa ai contratti collettivi nazionali (art. 
36); 
- soggetti, livelli, procedimenti, contenuti, limiti, ecc. della contrattazione 
collettiva nazionale e integrativa (artt. 54, 64, 65 e 66); 
- l�interpretazione autentica dei contratti collettivi (art. 61); 
- il trattamento economico (art. 57); 
- l�inquadramento e il mutamento di mansioni (art. 62, comma 1); 
- le sanzioni disciplinari e la responsabilit� dei dipendenti pubblici, compresi 
il procedimento disciplinare, i controlli sulle assenze per malattia, la risoluzione 
per permanente inidoneit� psico-fisica al servizio e l�identificazione 
del personale a contatto con il pubblico (artt. 68, 69 e 73, comma 1 e 3); 
Altri aspetti privatizzati del rapporto di lavoro pubblico si ricavano 
dall�art. 40, comma 1, d.lgs. n. 165/2001, come novellato dall�art. 54, comma 
1, d.lgs. n. 150/2009 (richiamato dall�art. 74, comma 1, cit.), essendo questi 
riservati dalla norma alla competenza della contrattazione collettiva, ossia: 
- i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro; 
- le materie relative alle relazioni sindacali; le sanzioni disciplinari; 
- la valutazione delle prestazioni, anche ai fini della corresponsione del 
trattamento accessorio; 
- la mobilit�; 
- le progressioni economiche. 
Si aggiungono poi le norme recanti livelli essenziali delle prestazioni 
erogate dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell�art. 117, co. 2, lett. m), 
Cost., e cio�: 
- quelle che enunciano il principio della c.d. �trasparenza della perfor-
CONTENZIOSO NAZIONALE 143 
mance�, che deve essere garantita da ogni amministrazione in misura massima 
in ogni fase del ciclo di gestione della performance (art. 11, comma 1 e 
3); 
- quelle in materia di qualit� dei servizi pubblici e di tutela degli utenti 
(art. 28); 
- l�inderogabilit� dalla contrattazione collettiva e l�automatico inserimento 
nei contratti collettivi delle disposizioni del Titolo III del decreto, in 
materia di �merito e premi� (art. 29); 
- infine, la disciplina transitoria relativa alla prima costituzione della 
Commissione nazionale per la valutazione, la trasparenza e l�integrit� delle 
amministrazioni pubbliche, di cui all�art. 13, e degli Organismi indipendenti 
di valutazione della performance, di cui all�art. 14 (art. 30). 
Le suddette discipline si applicano, quindi, anche alle regioni, essendo 
appunto emanate nell�esercizio della potest� legislativa esclusiva dello Stato. 
I profili pubblicistico-organizzativi, per i quali il legislatore ha individuato 
i �principi generali dell�ordinamento� cui devono ispirarsi le regioni 
nell�esercizio della propria potest� legislativa in materia, riguardano invece: 
- la misurazione, valutazione e trasparenza della performance (artt. 3 e 
4; art. 5, comma 2; artt. 7 e 9; art. 15, comma 1); 
- la valorizzazione del merito e l�incentivazione delle performance mediante 
premi (art. 17, comma 2; art. 18); 
- le progressioni verticali di carriera (art. 24, commi 1 e 2; art. 62, commi 
1-bis e 1-ter) (36); 
- le progressioni economiche orizzontali (art. 23, commi 1 e 2); 
- l�assegnazione di incarichi e responsabilit� ai dipendenti pubblici (art. 
25); 
- l�accesso a percorsi di alta formazione e di crescita professionale dei 
dipendenti (art. 26); 
- il premio di efficienza (art. 27, comma 1). 
Tuttavia, sono molti gli aspetti non espressamente ricompresi nell�art. 
74, per i quali persistono non pochi dubbi circa la loro natura, di talch� la 
loro riconducibilit� al diritto privato o al diritto pubblico � tutt�altro che semplice 
ed univoca. �, appunto, il caso dell�art. 40, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 
150/2009 (che, come detto, ha modificato l�art. 19, d.lgs. n. 165/2001 in materia 
di conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato). Al riguardo 
si pone, infatti, la questione del titolo di competenza, ossia se il 
legislatore statale abbia dettato una disciplina (di principio) con valore vincolante 
anche per le regioni, o piuttosto abbia attribuito natura pubblicisticoorganizzativa 
alle norme in materia. 
Tale nodo interpretativo, relativamente all�art. 40, comma 1, lett. f), d.lgs. 
n. 150/2009, � stato definitivamente sciolto dalla Corte Costituzionale con la 
pronuncia n. 324/2010. 
144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
3.- Portata della sentenza della Corte cost. 12 novembre 2010, n. 324 ed implicazioni 
sulle fonti regionali 
3.1.- La Consulta, con la pi� volte citata sentenza 12 novembre 2010, n. 
324, si pronuncia in merito alle questioni di legittimit� costituzionale delle disposizioni 
del d.lgs. n. 150/2009, cd. riforma Brunetta (artt. 40, comma 1, lett. 
f), e 49, comma 1), che prevedono limiti agli incarichi dirigenziali a soggetti 
esterni all�amministrazione, nonch� l�obbligo del previo esperimento della 
mobilit� volontaria prima dell�indizione di concorsi pubblici, nella parte in 
cui si applicano anche alle regioni ed agli enti locali territoriali. 
Con specifico riguardo al vaglio di costituzionalit� dell�art. 40, comma 
1, lett. f), d.lgs. n. 150/2009 - in ordine ai limiti nel conferimento di incarichi 
dirigenziali a tempo determinato - la Corte costituzionale � estremamente 
chiara: l�art. 19, comma 6-ter, d.lgs. n. 165/2001 � costituzionalmente legittimo 
ed estende la sua portata precettiva sia all�ordinamento delle regioni, sia a 
quello degli enti locali. 
Secondo l�interpretazione fornita dai giudici delle leggi nella sentenza n. 
324/2010, l�espressa estensione agli ordinamenti locali e regionali della disciplina 
contenuta nell�art. 19, comma 6 e 6-bis, d.lgs. n. 165/2001 non v�ola la 
Costituzione, perch� il legislatore statale ha correttamente esercitato la propria 
potest� legislativa, trattandosi di una normativa riconducibile alla materia 
dell�ordinamento civile (13). Infatti, spiega la Consulta, il conferimento di incarichi 
dirigenziali a soggetti esterni si determina attraverso �la stipulazione 
di un contratto di lavoro di diritto privato. Conseguentemente, la disciplina 
della fase costitutiva di tale contratto, cos� come quella del rapporto che sorge 
per effetto della conclusione di quel negozio giuridico, appartengono alla materia 
dell�ordinamento civile�. 
La Consulta osserva, in proposito, che l�art. 19, comma 6, d.lgs. 165/2001 
non riguarda n� procedure concorsuali pubblicistiche per l�accesso al pubblico 
impiego, n� la scelta delle modalit� di costituzione di quel rapporto giuridico. 
Sicch�, non cՏ violazione degli artt. 117, commi 3 e 4, e 119, Cost., proprio 
perch� la norma impugnata dalle regioni non attiene a materie di competenza 
concorrente (coordinamento della finanza pubblica) o residuale regionale (organizzazione 
delle regioni e degli uffici regionali, organizzazione degli enti 
locali). 
I giudici delle leggi proseguono affermando che l�art. 19, comma 6, non 
contiene alcuna specifica disposizione sull�organizzazione o sul reclutamento 
dei dirigenti a contratto, ma si limita �alla regolamentazione del particolare 
contratto che l�amministrazione stipula con il soggetto ad essa esterno cui 
(13) V. punto sub 1 sent. n. 324/2010. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 145 
conferisce l�incarico dirigenziale�. Per tale ragione, si tratta di una disposizione 
riconducibile all�ordinamento del diritto civile e non alla disciplina pubblicistica 
del rapporto di lavoro e, specificamente, alle procedure di 
reclutamento, da un lato, e all�organizzazione, dall�altro, sicch� � costituzionale 
anche l�estensione a regioni ed enti locali della definizione della �percentuale 
massima di incarichi conferibili a soggetti esterni�. 
La sentenza della Consulta n. 324/2010 contiene, quindi, un vaglio 
espresso di costituzionalit� dell�art. 19, comma 6-ter, con chiaro riferimento 
oltre che alle regioni, anche agli enti locali, di talch� tale norma non pu� che 
sovrapporsi, con effetti disapplicativi, alle normative speciali in materia di 
conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato. Ci� in quanto tale 
disciplina, afferma la Corte, ha carattere generale ed � di competenza esclusiva 
dello Stato, in quanto si verte nella materia dell�ordinamento civile. 
Non vi sono, pertanto, argomentazioni che in modo soddisfacente possano 
contrastare con l�inevitabile conclusione della disapplicazione delle normative 
speciali in subiecta materia (quale appunto l�art. 10, l. reg. n. 31/2002), che 
devono intendersi (implicitamente) abrogate. Infatti, nel momento in cui il legislatore 
statale interviene in una materia rientrante nella sua competenza 
esclusiva, le norme regionali con esse confliggenti non possono che ritenersi 
illegittime in quanto eccedenti la potest� legislativa regionale, sicch� devono 
ritenersi disapplicate e, quindi, (tacitamente) abrogate. 
3.2.- Resta, a questo punto, da esaminare la questione centrale posta nella 
richiesta di parere in oggetto, ovverosia se gli effetti dei provvedimenti di conferimento 
di incarichi dirigenziali a tempo determinato adottati prima della 
pronuncia della Corte Costituzionale e con le limitazioni previste dalle norme 
regionali, siano o meno da ritenersi salvi. 
Il punto, per la sua evidente delicatezza (anche sul piano extra-giuridico) 
merita un attento approfondimento, in quanto la materia del conferimento degli 
incarichi dirigenziali a tempo determinato � ora, per espressa ed ineludibile 
affermazione della Corte Costituzionale, riconducibile alla competenza esclusiva 
dello Stato. 
A tal proposito, si osserva che l�entrata in vigore della riforma del Titolo 
V della Costituzione e, pi� in generale, il passaggio della disciplina di una materia 
dalla potest� legislativa statale a quella regionale o viceversa, ha posto 
(e pone) delicati problemi di diritto transitorio, anche in ragione dell�assenza 
di norme transitorie ad hoc (come nel caso che ci occupa). 
In via di sintesi, � utile richiamare in proposito l�insegnamento della giurisprudenza 
costituzionale (14), secondo cui a fronte di un rinnovato riparto 
(14) Corte cost., 7-18 ottobre 2002, n. 422.
146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
di competenze legislative tra Stato e regioni deve prevalere il principio di continuit� 
dell�ordinamento giuridico. I giudici delle leggi, pertanto, hanno voluto 
salvaguardare il diritto vigente contro pericolosi vuoti normativi e contro facili 
operazioni demolitorie che potrebbero �pregiudicare ogni esigenza, pur minima, 
di certezza del diritto costituzionale e di funzionalit� dell'istituto regionale� 
(15). 
Inoltre, la Consulta gi� in quella che � considerata la prima sentenza (16) 
sul novellato Titolo V, nel rilevare la pi� netta distinzione fra la competenza 
regionale e la competenza statale, non ritiene che i principi fondamentali delle 
materie concorrenti possano trarsi solo da leggi statali nuove, espressamente 
rivolte a tale scopo, bens� che, specie nella fase della transizione, la legislazione 
regionale concorrente dovr� svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali 
comunque risultanti dalla legislazione statale gi� in vigore. 
Pertanto, Stato e Regioni non devono far altro che legiferare nelle materie 
di loro spettanza; fino ad allora resta ferma la vecchia normativa anche se emanata 
da un soggetto che attualmente non ha pi� titolo (17). Tra l�altro, il principio 
della piena continuit� dell�ordinamento, pur nella necessit� di un suo 
sostanziale adeguamento, � stato codificato dalla l. n. 131/2003 (c.d. legge 
�La Loggia�) di attuazione del Titolo V della Costituzione. 
Del resto, la presenza di una modificazione cos� rilevante del quadro costituzionale 
in materia di conferimento di incarichi dirigenziali fiduciari sembra 
imporre il ricorso al principio della continuit� normativa. 
La Corte costituzionale, peraltro, va oltre il principio di continuit� normativa 
e giunge a far applicazione di un principio di continuit� istituzionale o 
di continuit� nelle funzioni amministrative (18). In particolare la Consulta afferma 
che il principio di continuit�, nell�avvicendamento delle competenze 
statali e regionali, deve essere ampliato �per soddisfare l�esigenza della continuit� 
non pi� normativa ma istituzionale, giacch� soprattutto nello Stato costituzionale 
l�ordinamento vive non solo di norme, ma anche di apparati 
finalizzati alla garanzia dei diritti fondamentali�. 
A tal proposito, poich� indubbio � il ruolo fondamentale svolto dalla dirigenza 
regionale, l�applicazione ragionevole (anche) del principio di continuit� 
delle funzioni amministrative consentirebbe di escludere il venir meno 
degli effetti prodotti dai provvedimenti di conferimento di incarichi dirigen- 
(15) A. RUGGERI, La riforma costituzionale del Titolo V e i problemi della sua attuazione, con 
specifico riguardo alle dinamiche della normazione e al piano dei controlli, in www.associazionedeicostituzionalisti.
it; G. VIRGA, La riforma del Titolo V della Costituzione e la legislazione preesistente, 
in www.giust.it (ora www.lexitalia.it). 
(16) Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282. 
(17) B. CARAVITA, Coordinate e limiti della potest� legislativa: costituzione, vicoli comunitari, 
obblighi internazionali. il controllo giurisdizionale, in www.csm.it. 
(18) Corte cost., 17 gennaio 2004, n. 13.
CONTENZIOSO NAZIONALE 147 
ziali a tempo determinato gi� adottati in base alla normativa regionale (ora da 
intendere tacitamente abrogata per effetto della sent. n. 324/2010 della Corte 
costituzionale) e, quindi, prima che la competenza in materia fosse ricondotta 
dalla Consulta alla potest� legislativa statale. 
Ad ogni buon fine, � utile richiamare il principio del tempus regit actum 
secondo cui la legge applicabile � quella del momento in cui sorge il diritto. 
Dunque, secondo il principio della irretroattivit�, che costituisce regola generale 
dell�ordinamento giuridico ai sensi dell�art. 11 disp. prel. c.c., ciascun atto 
o fatto deve essere assoggettato alla normativa vigente al momento in cui esso 
si � verificato, semprech� la legge non si qualifichi espressamente come retroattiva, 
il ch� non pare riguardare il caso di specie. 
* * * * 
Orbene, alla stregua dei suesposti principi, nel fornire risposta al quesito 
in oggetto, � consentito concludere nel senso che i provvedimenti di conferimento 
di funzioni dirigenziali a tempo determinato a soggetti esterni gi� adottati 
dalla Giunta regionale nei limiti di cui all�art. 10, l. reg. n. 31/2002 
continuano ad essere efficaci (nei limiti temporali dagli stessi previsti, in conformit� 
alle disposizioni di cui al combinato disposto dell�art. 10, comma 2, 
lett. a) e comma 4, l. reg. n. 31/2002). 
Occorre, comunque, precisare che dal giorno di pubblicazione della sentenza 
della Corte cost. 12 novembre 2010, n. 324, le norme regionali che disciplinano 
la materia del conferimento di incarichi dirigenziali a tempo 
determinato dovranno ritenersi abrogate, sicch� - fermi restando quelli gi� 
adottati - ogni successivo provvedimento che venisse emanato attenendosi alle 
previsioni compendiate nell�art. 10, l. reg. n. 31/2002 non potr� che essere illegittimo 
e, dunque, incostituzionale. 
Va, infine, puntualizzato che nelle materie di legislazione statale esclusiva, 
oppure nel caso in cui legislatore statale inserisca nell�ordinamento una 
norma dal contenuto precettivo del tutto puntuale, le regioni non hanno alcuno 
spazio d�intervento (in quella materia) (19). Diversamente - nel caso di potest� 
legislativa concorrente - spetta al legislatore statale dettare una norma di principio 
alla quale le regioni devono conformarsi. 
Ci� posto, nel caso di specie, la Corte Costituzionale, con la pronuncia 
qui in esame, affermando la competenza esclusiva del legislatore statale in 
materia di conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato, ha di 
fatto inibito alle regioni (per quanto qui rileva) una normazione dai contenuti 
anche parzialmente differenti. Consegue, da quanto detto, che il legislatore regionale 
non � tenuto ad apportare alcuna modifica alle fonti regionali nella 
materia de qua, in quanto, per visto sopra, l�art. 10, l. reg. n. 31/2002 deve in- 
(19) Corte cost., 19-23 novembre 2007, n. 401.
148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
tendersi tacitamente abrogato. 
Dunque, dal momento in cui la sentenza della Consulta n. 324/2010 spiegher� 
i propri effetti, in conseguenza della sua pubblicazione nella Gazzetta 
Ufficiale, le regioni, in materia di conferimento di incarichi dirigenziali a 
tempo determinato, non potranno che far riferimento all�art. 19, comma 6 e 
6-bis, d.lgs. n. 165/2001, cos� come modificato dall�art. 40, comma 1, lett. f), 
d.lgs. n. 150/2009, fonte normativa (esclusiva) ritenuta dalla Consulta applicabile 
alle regioni ed autonomie dalla Consulta, in luogo delle discipline regionali 
prima in vigore. 
Con il che si fornisce risposta alla seconda parte del quesito posto con la 
nota suindicata. 
In tal senso � il parere di questo Comitato giuridico. 
Catanzaro, 6 dicembre 2010. 
Il componente relatore del Comitato giuridico regionale 
avvocato dello Stato 
Alfonso Mezzotero 
Corte costituzionale, sentenza 12 novembre 2010 n. 324 - Pres. Amirante, Red. Mazzella 
- Giudizi di legittimit� costituzionale degli artt. 40, comma 1, lettera f), e 49, comma 1, del 
decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in 
materia di ottimizzazione della produttivit� del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza 
delle pubbliche amministrazioni), promossi dalle Regioni Piemonte, Toscana e Marche. Avv.ti 
Mario Eugenio Comba per la Regione Piemonte, Lucia Bora per la Regione Toscana, Stefano 
Grassi per la Regione Marche e l�avv. Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio 
dei ministri. 
(Omissis) 
Considerato in diritto 
1. � Le Regioni Piemonte, Toscana e Marche impugnano l�art. 40, comma 1, lettera f), del 
decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in 
materia di ottimizzazione della produttivit� del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza 
delle pubbliche amministrazioni), nella parte in cui ha introdotto nell�art. 19 del decreto legislativo 
30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull�ordinamento del lavoro alle dipendenze 
delle amministrazioni pubbliche), il comma 6-ter, secondo il quale i precedenti commi 6 (disciplinante 
le condizioni per l�affidamento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all�amministrazione 
conferente) e 6-bis (in tema di calcolo delle percentuali di incarichi attribuibili 
agli esterni) del citato art. 19 si applicano anche alle amministrazioni di cui all�art. 1, comma 
2, del d.lgs. n. 165 del 2001 e, dunque, anche alle Regioni e agli enti locali, deducendo la violazione 
degli artt. 76, 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione. 
Le Regioni Toscana e Marche sostengono che la disposizione impugnata contrasterebbe anche 
con l�art. 76 Cost., perch� non � stata oggetto di intesa o di parere in sede di Conferenza uni-
CONTENZIOSO NAZIONALE 149 
ficata, come richiesto dall�art. 2, comma 2, della legge delega 4 marzo 2009, n. 15 (Delega al 
Governo finalizzata all�ottimizzazione della produttivit� del lavoro pubblico e alla efficienza 
e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonch� disposizioni integrative delle funzioni 
attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti). La Regione 
Marche aggiunge che la disposizione censurata, recando una disciplina concernente i limiti e 
le modalit� di accesso agli incarichi di dirigente pubblico a contratto, esorbiterebbe dall�ambito 
oggettivo della delega, circoscritto alla disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. 
Ad avviso delle ricorrenti, la norma, poi, violerebbe l�art. 117, quarto comma, Cost., poich� 
attiene alla materia, di competenza residuale regionale, dell�organizzazione delle Regioni e 
degli enti pubblici regionali. La Regione Marche aggiunge che il predetto precetto costituzionale 
sarebbe leso anche perch� la norma, nella parte in cui si riferisce agli enti locali, sarebbe 
riconducibile alla materia dell�organizzazione amministrativa e ordinamento del 
personale degli enti locali, anch�essa di competenza residuale delle Regioni. 
In via subordinata, ritenendo la norma attinente alla materia del coordinamento della finanza 
pubblica, le Regioni Toscana e Marche deducono la lesione degli artt. 117, terzo comma, e 
119 Cost., poich� essa pone un vincolo puntuale all�autonomia finanziaria delle Regioni e 
non � idonea a realizzare l�effetto di contenimento della spesa pubblica. 
1.1. � La Regione Toscana impugna anche l�art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009, il 
quale sostituisce l�art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, che ora prevede che tutte le 
amministrazioni, e dunque anche le Regioni, prima di procedere all�espletamento di procedure 
concorsuali necessarie per coprire posti vacanti, debbano �rendere pubbliche le disponibilit� 
dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, 
fissando preventivamente i criteri di scelta� e che �il trasferimento � disposto previo 
parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale � o sar� 
assegnato�. 
Ad avviso della ricorrente, il predetto art. 49 violerebbe l�art. 97 Cost., perch� limita il reclutamento 
del personale mediante il concorso pubblico, nonch� l�art. 117, quarto comma, Cost., 
poich� incide sull�autonomia organizzativa delle Regioni, introducendo un impegnativo onere 
per l�amministrazione e limitando la sua possibilit� di ricercare, scegliere ed assumere il personale 
pi� preparato. 
2. � In ragione della parziale connessione oggettiva, i giudizi debbono essere riuniti per essere 
decisi con un�unica pronuncia. 
3. � Le questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 40, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 
n. 150 del 2009, sollevate in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 
Cost., non sono fondate. 
3.1. � La norma impugnata dispone l�applicabilit� a tutte le amministrazioni pubbliche della 
disciplina dettata dall�art. 19, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 in tema di incarichi 
dirigenziali conferiti a soggetti esterni all�amministrazione. 
Si tratta di una normativa riconducibile alla materia dell�ordinamento civile di cui all�art. 117, 
secondo comma, lettera l), Cost., poich� il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti 
esterni, disciplinato dalla normativa citata, si realizza mediante la stipulazione di un contratto 
di lavoro di diritto privato. Conseguentemente, la disciplina della fase costitutiva di tale contratto, 
cos� come quella del rapporto che sorge per effetto della conclusione di quel negozio 
giuridico, appartengono alla materia dell�ordinamento civile. 
In particolare, l�art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001 contiene una pluralit� di precetti re-
150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
lativi alla qualificazione professionale ed alle precedenti esperienze lavorative del soggetto 
esterno, alla durata massima dell�incarico (e, dunque, anche del relativo contratto di lavoro), 
all�indennit� che � a integrazione del trattamento economico � pu� essere attribuita al privato, 
alle conseguenze del conferimento dell�incarico su un eventuale preesistente rapporto di impiego 
pubblico e, infine, alla percentuale massima di incarichi conferibili a soggetti esterni 
(il successivo comma 6-bis contiene semplicemente una prescrizione in tema di modalit� di 
calcolo di quella percentuale). 
Tale disciplina non riguarda, pertanto, n� procedure concorsuali pubblicistiche per l�accesso 
al pubblico impiego, n� la scelta delle modalit� di costituzione di quel rapporto giuridico. 
Essa, valutata nel suo complesso, attiene ai requisiti soggettivi che debbono essere posseduti 
dal contraente privato, alla durata massima del rapporto, ad alcuni aspetti del regime economico 
e giuridico ed � pertanto riconducibile alla regolamentazione del particolare contratto 
che l�amministrazione stipula con il soggetto ad essa esterno cui conferisce l�incarico dirigenziale. 
Non sussiste, dunque, violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., appunto 
perch� la norma impugnata non attiene a materie di competenza concorrente (coordinamento 
della finanza pubblica) o residuale regionale (organizzazione delle Regioni e degli uffici regionali, 
organizzazione degli enti locali), bens� alla materia dell�ordinamento civile di competenza 
esclusiva statale. 
3.2. � La stessa questione, sollevata in riferimento all�art. 76 Cost., �, invece, inammissibile. 
Dato che nella fattispecie, come si � visto sub 3.1, non si verte in materia di organizzazione 
degli uffici regionali, bens� in materia di disciplina di contratti di diritto privato, rispetto alla 
quale sussiste esclusivamente competenza dello Stato, la pretesa violazione del parametro costituzionale 
invocato non comporterebbe lesione di alcuna attribuzione regionale. Da qui 
l�inammissibilit� della censura. 
4. � Passando alle questioni sollevate dalla Regione Toscana sull�art. 49, comma 1, del d.lgs. 
n. 150 del 2009, quella promossa in riferimento all�art. 97 Cost. � inammissibile. 
La Regione deduce la violazione di un precetto costituzionale diverso da quelli attinenti al riparto 
di competenze tra Stato e Regioni e, nella fattispecie, il preteso contrasto con l�art. 97 
Cost. non ridonda nella compressione di sfere di attribuzione costituzionalmente garantite 
alle Regioni. 
4.2. � La questione sollevata in riferimento all�art. 117, quarto comma, Cost., invece, non � 
fondata. 
La norma impugnata non appartiene ad ambiti materiali di competenza regionale, bens� alla 
materia dell�ordinamento civile. 
L�istituto della mobilit� volontaria altro non � che una fattispecie di cessione del contratto; a 
sua volta, la cessione del contratto � un negozio tipico disciplinato dal codice civile (artt. 
1406-1410). Si �, pertanto, in materia di rapporti di diritto privato e gli oneri imposti alla pubblica 
amministrazione dalle nuove disposizioni introdotte dall�art. 49 del d.lgs. n. 150 del 
2009 rispondono semplicemente alla necessit� di rispettare l�art. 97 Cost., e, precisamente, i 
principi di imparzialit� e di buon andamento dell�amministrazione. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
riuniti i giudizi; 
dichiara inammissibili le questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 40, comma 1, lettera
CONTENZIOSO NAZIONALE 151 
f), del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 
15, in materia di ottimizzazione della produttivit� del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza 
delle pubbliche amministrazioni), promosse, in riferimento all�art. 76 della Costituzione, 
dalle Regioni Toscana e Marche con i ricorsi indicati in epigrafe; 
dichiara non fondate le questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 40, comma 1, lettera 
f), del d.lgs. n. 150 del 2009, promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, 
e 119 della Costituzione, dalle Regioni Piemonte, Toscana e Marche con i ricorsi indicati in 
epigrafe; 
dichiara inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 49, comma 1, del 
d.lgs. n. 150 del 2009 promossa, in riferimento all�art. 97 della Costituzione, dalla Regione 
Toscana con il ricorso indicato in epigrafe; 
dichiara non fondata la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 49, comma 1, del d.lgs. 
n. 150 del 2009 promossa, in riferimento all�art. 117, quarto comma, della Costituzione, dalla 
Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 
2010.
152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Il termine di comparizione e di costituzione 
nell�opposizione a decreto ingiuntivo 
Mutamento giurisprudenziale operato 
dalla Corte di Cassazione (*) 
(Cassazione civile, Sez. Un., sentenza del 9 settembre 2010 n. 19246; 
Tribunale di Napoli, ordinanza del 15 ottobre 2010 n. 42582/09 R.G.) 
1. Introduzione 
Con la sentenza in rassegna, le SS.UU. della Corte di Cassazione intervengono 
� innovandolo radicalmente � sul consolidato orientamento giurisprudenziale, 
peraltro non perfettamente coerente con il quadro normativo di 
riferimento, relativo ai termini di comparizione e costituzione nel procedimento 
di opposizione a decreto ingiuntivo. 
2. Normativa di riferimento 
Dalla piana lettura della normativa disciplinatrice della materia � prescindendo 
dalla interpretazione giurisprudenziale � � dato evincere quanto segue. 
L�art. 645 comma 2 cpc nella versione attualmente vigente recita : �in seguito 
all�opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento 
ordinario davanti al giudice adito; ma i termini di comparizione sono ridotti a 
met��. 
In virt� di tale precetto la disciplina ordinaria regolatrice del giudizio di 
opposizione a D.I. � quella del giudizio a cognizione ordinaria (aa. 163 � 310 
cpc) dinanzi al Tribunale, tranne che per quei punti � disciplina speciale � 
espressamente e puntualmente disciplinati negli aa. 645 2� comma, II periodo, 
647, 648, 649, 650, 652, 653, 654, 655 e 656 cpc; ci� per il principio secondo 
cui la norma speciale prevale su quella ordinaria. 
Orbene, per la fase introduttiva del giudizio di opposizione a D.I. vale la 
regola che i termini di comparizione sono ridotti alla met�; ossia, l�opponente 
deve concedere all�opposto un termine dilatorio a comparire di almeno 45 gg. 
liberi. 
Nella disciplina speciale, contenuta nelle norme sopraindicate, non vi � 
(*) Comunicazione e-mail ai Colleghi dell�avv. A. Mezzotero: 
�Con la recentissima ordinanza del 22 marzo 2011 n. 6514 la sez. III della Cassazione ha rimesso alle 
Sezioni Unite la questione concernente l'interpretazione dell'art. 645, comma 2, c.p.c. circa il dimezzamento 
di costituzione in giudizio dell'opponente a monitorio, escludendo espressamente l'applicabilit� 
ai giudizi in corso del principio espresso da Cass. civ., sez. un., 9 settembre 2010, n. 19246 (pag. 7 dell'ordinanza)�.

CONTENZIOSO NAZIONALE 153 
anche la regolazione della costituzione in giudizio; sicch� si applica la disciplina 
ordinaria in virt� della quale l�opponente deve costituirsi entro 10 gg. dalla notifica 
dell�opposizione a D.I. (aa. 645 2� comma 1^ parte e 165 cpc); l�abbreviazione 
del termine di costituzione a 5 gg. � operativa � nel difetto di disciplina 
speciale � solo ove siano stati abbreviati i termini a comparire su richiesta dell�opponente 
(aa. 163 bis comma 2 e 165 1� comma cpc). 
Discorso analogo vale � mutatis mutandis � nel procedimento di opposizione 
dinanzi al Giudice di Pace (aa. 311 � 321 cpc). 
Quanto ricostruito � il portato della normativa interpretata alla luce dell�art. 
12 delle preleggi, tenendo conto della lettera della legge e delle connessioni sistematiche. 
3. Innovazione delle S.U. e, precedente, interpretazione consolidata 
Di recente si � ritenuto che invariabilmente il termine di costituzione nel 
giudizio di opposizione a D.I. dinanzi al Tribunale � di 5 gg.; ci� � stato sostenuto 
dalla Cassazione S.U. 9 settembre 2010 n. 19246 che precisa : �ritengono 
le sezioni unite che esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono 
ad affermare che non solo i termini di costituzione dell�opponente e dell�opposto 
sono automaticamente ridotti alla met� in caso di effettiva 
assegnazione all�opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, 
ma che tale effetto automatico � conseguenza del solo fatto che l�opposizione 
sia stata proposta, in quanto l�art. 645 cpc prevede che in ogni caso di opposizione 
i termini a comparire siano ridotti a met�. 
Nel caso, tuttavia, in cui l�opponente assegni un termine di comparizione 
pari o superiore a quello legale, resta salva la facolt� dell�opposto, costituitosi 
nel termine dimidiato, di chiedere l�anticipazione dell�udienza di comparizione 
ai sensi dell�art. 163 bis 3� comma�. 
Con tale interpretazione delle S.U. viene radicalmente innovato il quadro 
interpretativo sui termini a comparire e di costituzione nel caso di opposizione 
a D.I. Sinora l�opinione dominante fino alle recenti S.U., era nel senso che: 
a) la riduzione dei termini a comparire prevista dall�art. 645 cpc sarebbe 
puramente facoltativa, nel senso che l�opponente sarebbe pienamente libero di 
valersi o no del termine abbreviato restando fermo, nell�ipotesi negativa, il termine 
ordinario; 
b) la riduzione alla met� dei termini di costituzione si verifica solo quando 
l�opponente si sia avvalso in concreto della facolt� di abbreviare fino alla met� 
il termine di comparizione. 
L�opinione or indicata � descritta nei �Motivi della decisione� delle S.U. 
n. 19246/10, oltrecch�: in E. GARBAGNATI, Il procedimento di ingiunzione, Giuffr� 
ed., Milano 1991 pp. 151 e ss., e 169 e ss.; in C. MANDRIOLI, Diritto processuale 
civile, Giappichelli ed. XX Torino 2009, III, pp. 42 � 43; in F. CARPI,
154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
M. TARUFFO, Commentario Breve al Codice di Procedura Civile, Cedam ed., 
Padova, V ed., 2006, pp. 1846 � 1847; in A. RONCO, Struttura e disciplina del 
rito monitorio, Giappichelli ed., Torino, 2000, pp. 388 e ss. e 403 e ss.; G. 
COLLA, Il decreto ingiuntivo (il procedimento di opposizione e il giudizio di 
opposizione), Cedam ed., Padova, 2003 pp. 367 e ss.; P. LEANZA , E. PARATORE, 
Il procedimento per decreto ingiuntivo, Utet ed., Torino, 2003 pp. 225 e ss.; A. 
TEBOLDI, C. MERLO in Il procedimento d�ingiunzione (opera diretta da B. Capponi), 
Zanichelli ed., Bologna, 2005, pp. 401 e ss.; G. FRANCO, Guida al procedimento 
di ingiunzione, Giuffr� ed., Milano, 2001, III Ed., tomo I�, pp. 413 e ss. 
Nell�operare il revinement la Cassazione, su ambedue le problematiche 
sopra evidenziate, segue - anche nello snodo argomentativo - l�opinione del pi� 
autorevole autore sulla materia (ossia E. Garbagnati nei luoghi sopracitati). 
4. Osservazioni all�innovazione delle S.U. 
Orbene, sulla prima problematica, ossia la riduzione automatica dei termini 
di comparizione, la novit� delle S.U. � condivisibile perch� conforme alla formula 
legislativa. 
Diversamente l�interpretazione, la lettura delle S.U. non � accoglibile sulla 
problematica della necessaria riduzione a 5 gg. del termine di costituzione. 
Ci� per varie ragioni. Difatti: 
A) tale lettura si pone in palese contrasto con la normativa disciplinatrice 
della materia; � una interpretazione abrogante della citata normativa. 
Le S.U. cos� argomentano sul punto : 
�Se, infatti, � vero che nella formulazione originaria del codice del �42, 
l�art. 645 2� comma prevedeva la riduzione a met� dei termini di �costituzione�, 
mentre nell�attuale formulazione della disposizione la riduzione a met� 
si riferisce solo ai termini di �comparizione�, dai lavori preparatori non 
emerge tuttavia che la modifica testuale sia stata introdotta per ridimensionare 
la funzione acceleratoria della riduzione a met� dei termini di costituzione prevista 
dalla disciplina previgente, ma solo che la norma era stata imposta come 
necessaria conseguenza dalla introduzione del sistema della citazione ad 
udienza fissa�. 
Tale ragionamento non � condivisibile. 
Nella formulazione originaria del codice del �42, come rileva la Corte, vi 
� la puntuale previsione della riduzione a met� dei termini di costituzione. Tale 
disciplina � stata innovata: vi � la necessit�, quindi, di interpretare la norma risultante 
dalla �novella� del �50 alla luce di tale novit�. 
Orbene, non si possono mantenere le conseguenze della disciplina previgente 
sul punto. Cos� operando ci si sostituisce al legislatore. E� noto - ad es. - 
che spesso i referendum abrogativi hanno ad oggetto parole nel corpo di un articolo 
con l� obiettivo di pervenire ad una norma avente - evidentemente - un
CONTENZIOSO NAZIONALE 155 
significato diverso da quello originario. Sicch�, ove si seguisse l�orientamento 
delle S.U. sul punto - continuando nell�esemplificazione del referendum - si 
renderebbero superflui gli esiti dei referendum, atteso che nonostante qualsivoglia 
manipolazione si manterrebbe il significato e la disciplina originaria. 
B) Tale lettura - il giudicante enuncia che dall�art. 165 comma 1 c.p.c. � 
enunciabile una regola �che stabilisce un legame tra i termini di comparizione 
e i termini di costituzione� - pone un collegamento (inesistente) tra termine di 
comparizione e termine di costituzione: come visto la normativa speciale di cui 
all�art. 645 comma 2� parte 2^ regola solo i termini a comparire. 
Peraltro, diversa � la disciplina dell�abbreviazione dei termini a comparire 
ex art. 163 comma 2 cpc ad istanza di parte ed ex art. 645 comma 2 II^ parte 
cpc ope legis. 
Nell�opposizione a D.I. il termine a comparire � di 45 gg. liberi; nel giudizio 
ordinario dinanzi al Tribunale il termine a comparire � riducibile fino alla 
met�, ossia da 89 a 45 gg. liberi, il che - intuitivamente - � diverso dal caso del 
monitorio. 
C) Estende la disciplina del dimezzamento dei termini di costituzione ex 
aa. 165 co. 1 e 163 bis co. 2 c.p.c. (norma speciale - rispetto al normale termine 
di costituzione di 10 gg. previsto nel procedimento ordinario ex aa. 163 e ss. 
cpc - inerente alla disciplina della parte che chiede la riduzione dei termini a 
comparire) ad un caso non previsto. Ma cos� operando si incorre in un doppio 
errore: 
a) viene operata una interpretazione analogica in un caso in cui non ve ne 
era necessit�, atteso che il termine di costituzione dell�opponente � disciplinato 
dal raccordo ex aa. 645 comma 2 1^ parte e 165 cpc; 
b) peraltro, anche ad ammettere � cosa che non � � che vi sia una lacuna 
da colmare con l�interpretazione analogica, � stata operata nel caso di specie 
una applicazione comunque non consentita; difatti, per i principi in materia di 
interpretazione � vietata l�applicazione analogica delle norme speciali (art. 14 
preleggi). E la norma secondo cui il termine di costituzione � dimezzato nel 
caso che venga chiesto dalla parte l�abbreviazione dei termini a comparire � � 
come detto � una norma speciale. 
Tale norma, infatti, deroga alla norma generale secondo cui il termine di 
costituzione � di 10 gg. 
In conclusione, quindi, l�interpretazione delle S.U. non � accoglibile. 
5. Innovazione delle S.U. e giudizi pendenti 
Nel nostro ordinamento giuridico, ricordando nozioni note, non � operativa 
la regola della forza vincolante del precedente, al cd. stare decisis, come nei 
sistemi di common law. Le statuizioni delle S.U. della Cassazione, ossia del 
massimo organo giurisdizionale dello Stato Italiano, sono osservate dai giudici
156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
del merito sostanzialmente per due ragioni: a) intrinseca persuasivit� degli argomenti, 
del ragionamento giuridico; b) influenza indiretta, atteso che la Cassazione 
� il giudice eventualmente competente per il riesame del giudizio in 
sede di impugnazione (cos� C. MANDRIOLI, op. cit,. vol. 1 pag. 108 nota 33). 
Si � visto sopra che l�innovazione delle S.U. non � persuasiva; tuttavia, 
per le ragioni or descritte sub b), essa innovazione potrebbe essere seguita dai 
giudici di merito. 
In questa seconda evenienza, tuttavia, deve ritenersi che alcuna incidenza 
l�innovazione delle S.U. debba avere nei giudizi pendenti. Ci� perch� il principio 
di affidamento verrebbe violato. 
Due sono le strade ermeneutiche per predicare l�ininfluenza della novella 
sui giudizi in corso. 
A) La novella interpretazione non � applicabile ai giudizi in corso, in ossequio 
al principio di irretroattivit�. 
Sul punto si � gi� pronunciato il Tribunale di Varese con la sentenza dell�8 
ottobre 2010 (in Il caso.It, documento 2388/2010 pubblicato il 9 ottobre 2010)) 
il quale ha enunciato: 
�in caso di cd. overruling � e cio� allorch� si assista ad un mutamento, 
ad opera della Corte di Cassazione a SS.UU., di un�interpretazione consolidata 
a proposito delle norme regolatrici del processo � la parte che si � conformata 
alla precedente giurisprudenza della Suprema Corte, successivamente travolta 
dall�overruling, ha tenuto un comportamento non imputabile a sua colpa e perci� 
� da escludere la rilevanza preclusiva dell�errore in cui essa � incorsa. Ci� 
vuol dire che, per non incorrere in violazione delle norme costituzionali, internazionali 
e comunitarie che garantiscono il diritto ad un Giusto Processo, il 
giudice di merito deve escludere la retroattivit� del principio di nuovo conio 
(nel caso di specie viene esclusa la retroattivit� del principio di diritto enunciato 
da Cass. Civ. SS.UU. 9 settembre 2010 n. 19246 in materia di costituzione 
dell�opponente nel giudizio di opposizione a D.I.�. 
B) Rimessione in termini (ex aa. 184 bis e/o 153 comma 2 cpc). 
All�evidenza la - eventuale (e contestata) improcedibilit� - � il frutto di un 
nuovo orientamento giurisprudenziale in consapevole contrasto con un diverso 
orientamento giurisprudenziale consolidato nel tempo secondo il quale - nella 
situazione data in cui l�opponente non si � avvalso della facolt� di dimezzare i 
termini a comparire - il termine di costituzione � di 10 gg. dalla notifica dell�atto 
di opposizione. 
Va evidenziato che in giurisprudenza si � sostenuto che l�opponente pu� 
essere rimesso in termini di costituzione ove provi di essere incorso nella decadenza 
per fatto non imputabile (Trib. Genova 4 gennaio 1996 in Giur. It. 
1998, 2087, n. BALBI). 
Ci� � ammesso perch� l�istituto della remissione in termini opera con riguardo 
a fatti e poteri processuali sottoposti a decadenza nel corso del giudizio
CONTENZIOSO NAZIONALE 157 
(sul punto F. CARPI, M. TARUFFO, op.cit., pp. 575 � 576; C. MANDRIOLI, op. cit., 
vol. I, p. 463 nota 59). 
Tale rimedio, nella materia de qua, � stato utilizzato dal Tribunale di Torino 
con l�ordinanza dell�11 ottobre 2010 che ha cos� enunciato: 
�Alla luce del principio costituzionale del giusto processo (art. 111 Cost.), 
l'errore della parte che abbia fatto affidamento su una consolidata (al tempo 
della proposizione della opposizione e della costituzione in giudizio) giurisprudenza 
di legittimit� sulle norme regolatrici del processo, successivamente travolta 
da un mutamento di orientamento interpretativo, non pu� avere rilevanza 
preclusiva, sussistendo i presupposti per la rimessione in termini (art. 153 c.p.c. 
nel testo in vigore dal 4 luglio 2009), alla cui applicazione non osta la mancanza 
dell'istanza di parte, essendo conosciuta, per le ragioni evidenziate, la 
causa non imputabile (cos�, Cass., sez. II, ordinanze interlocutorie nn. 
14627/2010, 15811/2010 depositate il 17 giugno 2010 ed il 2 luglio 2010). 
Pertanto, la tardiva costituzione dell'opponente e la decadenza che ne � 
derivata sono riconducibili ad un causa non imputabile all'opponente stesso, 
con la conseguente sussistenza dei presupposti per rimettere in termini l'opponente, 
di guisa che la sua costituzione, effettuata oltre il suddetto termine dimidiato 
ma entro quello ordinario di dieci giorni, deve essere ritenuta 
tempestiva, e che quindi non occorre assegnare un ulteriore termine per provvedervi, 
trattandosi di attivit� gi� compiuta (nel caso di specie viene esclusa 
la retroattivit� del principio di diritto enunciato da Cass. civ. SS.UU. 9 settembre 
2010 n. 19246 in materia di costituzione dell'opponente nel giudizio di opposizione 
a decreto ingiuntivo, ricorrendo allo strumento della remissione in 
termini)�. 
Il rimedio della rimessione in termini � stato utilizzato anche dal Tribunale 
di Napoli con il provvedimento del 15 ottobre 2010 � in rassegna. 
Avv. Michele Gerardo* 
Cassazione civile, Sez. Un., sentenza 9 settembre 2010 n. 19246 - Pres. Carbone, Rel. 
Salm�, P.M. Pivetti - C.G. (avv. Amorosi) c. Bancapulia S.p.A. (avv. Guglielmo). Sent. n. 
377/03 C. app. Lecce. 
(Omissis) 
Svolgimento del processo 
Il Tribunale di Lecce, con sentenza del 15 giugno 2000, ha dichiarato improcedibile l'opposizione 
proposta da C.G. avverso un decreto ingiuntivo emesso in favore di Bancapulia s.p.a., 
in quanto l'opponente, pur avendo assegnato all'opposto un termine a comparire inferiore ai 
60 giorni, si � costituito oltre il termine di cinque giorni dalla notifica della citazione. 
(*) Avvocato dello Stato.
158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
La Corte d'appello di Lecce, con sentenza del 1 luglio 2003, ha confermato la decisione di 
primo grado richiamando l'orientamento espresso da questa corte, tra l'altro, con sentenza n. 
37521 del 2001, secondo il quale l'abbreviazione dei termini di costituzione per l'opponente 
consegue automaticamente al fatto obiettivo della concessione all'opposto di un termine di 
comparizione inferiore a sessanta giorni, risultando del tutto irrilevante che la concessione 
dello stesso sia dipesa da una scelta consapevole ovvero da errore di calcolo. 
Il C. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati con memoria, al 
quale ha resistito, con controricorso, la Bancapulia s.p.a.. 
Con ordinanza del 12 novembre 2008, la prima sezione ritenendo che il consolidato orientamento 
della corte presenti aspetti problematici ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione 
a queste sezioni unite. 
La prima sezione ha invero ritenuto che non risponde alla sistematica del codice di rito che la 
disciplina dei termini di un procedimento possa discendere dalla scelta di una delle parti del 
giudizio, al di fuori di ogni controllo da parte del giudice. Irrilevante sarebbe il richiamo all'art. 
645 c.p.c., comma 2, nel quale manca un'espressa prescrizione relativa al dimezzamento dei 
termini di costituzione che, infatti, viene fatto discendere dall'applicazione degli artt. 165 e 
166 c.p.c., i quali tuttavia prevedono la riduzione dei termini di costituzione quale conseguenza 
della riduzione dei termini di comparizione operata dal giudice a richiesta dell'attore nella ricorrenza 
dei presupposti indicati nell'art. 163 bis c.p.c.. 
Peraltro, se fosse vero l'assunto della esistenza di un principio di adeguamento dei termini di 
costituzione a quelli di comparizione la riduzione dei termini di costituzione dovrebbe operare 
sempre e comunque nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, perch� la formulazione 
del dell'art. 645 c.p.c., comma 2, non consentirebbe alcuna discrezionalit�. In realt� se la ratio 
della riduzione dei termini di comparizione � quella di accelerare la definizione del giudizio 
di opposizione, la riduzione alla meta dei termini di costituzione non � coerente con tale finalit�, 
posto che il termine di costituzione del creditore opposto decorre non gi� dalla costituzione 
dell'opponente, ma dalla data dell'udienza di comparizione, che, tra l'altro, per effetto 
della modifica dell'art. 163 bis c.p.c., introdotta dalla L. n. 263 del 2005, art. 2 � ampliato da 
sessanta a novanta giorni per l'Italia e da centoventi a centocinquanta giorni se il luogo della 
notificazione si trova all'estero. Pertanto, senza un'apprezzabile utilit� per la sollecita definizione 
del giudizio di opposizione, si finisce per introdurre un onere particolarmente gravoso 
a carico dell'opponente, che solo formalmente verrebbe bilanciato da analogo onere imposto 
al creditore opposto, il quale non pu� in alcun modo essere equiparato al convenuto in un giudizio 
ordinario, avendo egli, anzi, la qualit� di attore in senso sostanziale. In tale situazione, 
ove si ritenga operante la riduzione del termine di costituzione per effetto automatico dell'attribuzione 
al creditore opposto di un termine inferiore a quarantacinque giorni sarebbe evidente 
l'irragionevolezza giacch�, a fronte di un termine di costituzione per l'opponente di soli 
cinque giorni, l'opposto dovrebbe costituirsi nel termine di dieci giorni prima dell'udienza di 
comparizione, venendo cos� a godere di ben 35 giorni per provvedere alla propria difesa. La 
pressione che in tal modo grava sull'opponente, mentre non vale ad abbreviare i termini di 
durata del processo di opposizione risulterebbe ingiustificata tenendo conto che l'opponente 
� attore solo in senso formale, ma sostanzialmente � convenuto, e che la necessit� di intraprendere 
la causa non � frutto di una meditata scelta in un lasso di tempo discrezionale, ma 
necessitata dalla notifica dell'ingiunzione, laddove l'opposto dispone di tempi ben pi� ampi 
per la costituzione, anche se, attore in senso sostanziale, ha fruito di ampia disponibilit� temporale 
nella decisione di presentare ricorso per decreto ingiuntivo.
CONTENZIOSO NAZIONALE 159 
Motivi della decisione 
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l'omessa e/o insufficiente motivazione circa punti 
decisivi, in riferimento agli art. 645 c.p.c., comma 2 e art. 647 c.p.c., sostenendo che la corte 
d'appello si sarebbe acriticamente adagiata sull'orientamento della giurisprudenza di legittimit�, 
senza considerare il rilievo, formulato nell'atto di gravame, secondo cui perch� possa 
operare l'abbreviazione dei termini di comparizione assegnati al creditore opposto � necessaria 
una consapevole manifestazione di volont� dell'opponente di avvalersi della facolt� prevista 
dalla legge, formulata in modo esplicito o desunta da elementi concludenti. Nella specie non 
sarebbero state adeguatamente valutate le circostanze che il termine di comparizione assegnato 
era di soli sette giorni inferiore a quello minimo e che la costituzione era avvenuta il nono 
giorno, il che doveva far propendere per un mero errore materiale nel calcolo del termine di 
comparizione. A ritenere irrilevante l'errore si introdurrebbe una presunzione assoluta di esercizio 
della facolt� di abbreviazione dei termini da parte dell'opponente non prevista dalla 
legge, trasformando la facolt� in un obbligo. Inoltre, il ricorrente afferma che la previsione 
della rinnovazione della citazione (art. 164 c.p.c.) nel caso di assegnazione di un termine inferiore 
a quello di legge dovrebbe trovare applicazione anche nel giudizio di opposizione a 
decreto ingiuntivo, che costituisce un ordinario giudizio di cognizione, essendo insufficiente 
il riferimento alla specialit� del rito per giustificare l'applicazione di una sanzione, quale quella 
della improcedibilit�. 
Con il secondo motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione dell'art. 645 c.p.c., 
comma 2, con riferimento all'art. 647 c.p.c., si sostiene che al giudizio di opposizione, come 
previsto dall'art. 645 c.p.c., deve applicarsi la disciplina del procedimento ordinario e pertanto 
in caso di costituzione in giudizio, non omessa, ma semplicemente ritardata, non sarebbe giustificata 
la sanzione processuale dell'improcedibilit�, prevista soltanto per il giudizio di appello 
dall'art. 348 c.p.c., come modificato dalla L. n. 353 del 1990. Viene anche denunciata l'incoerenza 
consistente nel ritenere inapplicabile, per la specialit� del rito, l'art. 164 c.p.c. facendo 
allo stesso tempo applicazione del disposto degli artt. 165 e 163 bis c.p.c.. 
Con il terzo motivo, il ricorrente deduce errata o falsa applicazione dell'art. 645 c.p.c., comma 
2, in quanto non sarebbe corretta l'estensione della riduzione del termine di costituzione previsto 
dall'art. 165, per il caso in cui il giudice abbia autorizzato la riduzione del termine minimo 
a comparire, all'ipotesi in cui la riduzione del termine di comparizione sia conseguenza di una 
mera scelta di parte. 
2. Le ragioni addotte dal ricorrente, in parte recepite e sviluppate nell'ordinanza interlocutoria 
della prima sezione civile, non sono idonee a giustificare un mutamento del costante orientamento 
della corte, anche se, come sar� in seguito precisato, � opportuno procedere a una puntualizzazione. 
A parte un unico risalente precedente contrario, rimasto assolutamente isolato 
(Cass. 10 gennaio 1955 n. 8), la giurisprudenza della corte � stata costante nell'affermare che 
quando l'opponente si sia avvalso della facolt� di indicare un termine di comparizione inferiore 
a quello ordinario, il termine per la sua costituzione � automaticamente ridotto a cinque giorni 
dalla notificazione dell'atto di citazione in opposizione, pari alla met� del termine di costituzione 
ordinario (principio affermato, nei vigore dell'art. 645, come modificato con il D.P.R. 
n. 597 del 1950, art. 13 a cominciare da Cass. 12 ottobre 1955, n. 3053 e poi costantemente 
seguito; da ultimo, v. Cass. n. 3355/1987, 2460/1995, 3316 e 12044/1998, 18942/2006). 
Pi� recentemente, nell'ambito di tale orientamento, si � ulteriormente precisato che l'abbreviazione 
del termine di costituzione per l'opponente consegue automaticamente al fatto obiettivo 
della concessione all'opposto di un termine di comparizione inferiore a quello ordinario,
160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
essendo irrilevante che la fissazione di tale termine sia dipesa da una scelta consapevole ovvero 
da errore di calcolo (Cass. n. 3752/2001, 14017/2002, 17915/2004, 11436/2009). 
Contrariamente a quanto ritenuto da una parte della dottrina l'orientamento ora richiamato 
non � privo della necessaria base normativa. 
Se, infatti, � vero che nella formulazione originaria del codice del '42, l'art. 645, comma 2 
prevedeva la riduzione a met� dei termini di "costituzione", mentre nell'attuale formulazione 
della disposizione la riduzione a met� si riferisce solo ai termini di "comparizione", dai lavori 
preparatori non emerge tuttavia che la modifica testuale sia stata introdotta per ridimensionare 
la funzione acceleratoria della riduzione a met� dei termini di costituzione prevista dalla disciplina 
previgente, ma solo che la norma era stata imposta come necessaria conseguenza 
dalla introduzione del sistema della citazione ad udienza fissa. 
Non esiste, peraltro, nessuna ragione oggettiva che giustifichi l'opposta opinione che reputa 
che il silenzio del legislatore in ordine alla disciplina dei termini di costituzione, a fronte della 
espressa previsione contenuta nella disciplina previgente, sia significativo della volont� di 
cambiare la regola, espressamente affermata dall'art. 165 c.p.c., comma 1, che stabilisce un 
legame tra termini di comparizione e termini di costituzione, al fine di rendere coerente il sistema 
nei procedimenti che esigono pronta trattazione. 
Ne deriva che tale regola, non pu� certo ritenersi di natura eccezionale o derogatoria, ma 
espressione di un principio generale di razionalit� e coerenza con la conseguenza che l'espresso 
richiamo nell'art. 645 di tale principio sarebbe stata del tutto superflua. 
N� appare decisivo il rilievo, indubbiamente corretto, della differenza esistente tra la fattispecie 
di cui all'art. 163 bis c.p.c., comma 2, nella quale l'abbreviazione dei termini � conseguenza 
dell'accertamento da parte del giudice della sussistenza delle ragioni di pronta trattazione della 
causa prospettate dall'attore, e di quella di cui all'art. 645 c.p.c., nella quale tale apprezzamento 
� compiuto (non dalla parte, come sostiene l'ordinanza di rimessione, ma direttamente) dal 
legislatore una volta per tutte, essendo in entrambe le fattispecie identica la funzione del dimezzamento 
dei termini di comparizione, consistente, da un lato, nel soddisfare le esigenze 
di accelerazione della trattazione e dall'altro, nell'opportunit� di bilanciare la compressione 
dei termini a disposizione del convenuto con la riduzione dei termini di costituzione dell'attore. 
Essendo pacifica la sussistenza dell'esigenza di sollecita trattazione dell'opposizione, diretta 
a consentire la verifica della fondatezza del provvedimento sommario ottenuto dal creditore 
inaudita altera parte, deve osservarsi che sussiste anche l'esigenza di bilanciamento delle posizioni 
delle parti, pur tenendo conto della peculiarit� del giudizio di opposizione che, come 
� noto, ha natura di giudizio di cognizione piena che devolve al giudice della opposizione il 
completo esame de rapporto giuridico controverso, e non il semplice controllo della legittimit� 
della pronuncia del decreto d'ingiunzione. E' anche pacifico che, a differenza dalle qualit� 
formali, le posizioni dell'opponente e dell'opposto sono quelle, rispettivamente, di convenuto 
e di attore in senso sostanziale. Ora, se � vero che l'opposto ha avuto tutto il tempo di impostare 
la propria posizione processuale prima di chiedere il decreto ingiuntivo, resta anche vero che, 
di fronte alle allegazioni e alle prove, prodotte o richieste, dall'opponente, l'opposto ha necessit� 
di valutarle per apprestare le sue difese e a tal fine sussiste l'esigenza di avere a disposizione 
i documenti sui quali si fonda l'opposizione nel pi� breve tempo possibile, per 
riequilibrare il sacrificio del termine a sua disposizione per valutare tali prove e articolare le 
difese prima della propria costituzione in giudizio. 
Ci� che � indubbio � che certamente la necessit� di sollecita trattazione dei procedimenti di 
opposizione meglio sarebbe stata soddisfatta se oltre alla riduzione a met� dei termini di co-
CONTENZIOSO NAZIONALE 161 
stituzione dell'opponente il legislatore avesse anche ridotto in misura congrua i termini di costituzione 
dell'opposto, che invece restano abbastanza ampi (trentacinque giorni dalla notifica 
dell'opposizione e cio� dieci giorni prima dell'udienza che deve essere fissata a non meno di 
quarantacinque giorni dalla notifica stessa, ai sensi dell'art. 166 c.p.c.), ma tale opportunit� di 
assecondare "l'euritmia del sistema" (corte cost. n. 18/2008), non incide sulla fondatezza del 
rilievo che il dimezzamento dei termini di costituzione dell'opponente, comunque rappresenta 
una, sia pur parziale e, forse, insoddisfacente, misura di accelerazione del procedimento. 
3. Una parte della dottrina, ripresa anche dall'ordinanza della prima sezione civile, ha osservato 
che la lettera dell'art. 645 c.p.c. induce a ritenere che il dimezzamento dei termini di comparizione 
sia un effetto legale della proposizione dell'opposizione e non dipenda invece dalla 
volont� dell'opponente che intenda assegnare un termine inferiore a quello previsto dall'art. 
163 bis c.p.c.. 
In effetti esigenze di certezza e quindi di garanzia delle parti, di fronte alla previsione di termini 
previsti a pena di procedibilit� dell'opposizione, ha gi� portato a introdurre nell'orientamento 
tradizionale, basato sulla facoltativit� della concessione da parte dell'opponente di un 
termine a comparire inferiore a quello legale, il temperamento costituito dall'affermazione 
dell'irrilevanza della volont� dell'opponente che potrebbe avere assegnato un termine inferiore 
anche solo per errore. 
Ritengono le sezioni unite che esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono 
ad affermare che non solo i termini di costituzione dell'opponente e dell'opposto sono automaticamente 
ridotti alla met� in caso di effettiva assegnazione all'opposto di un termine a 
comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico � conseguenza del solo 
fatto che l'opposizione sia sfata proposta, in quanto l'art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso 
di opposizione i termini a comparire siano ridotti a met�. Nel caso, tuttavia, in cui l'opponente 
assegni un termine di comparizione pari o superiore a quello legale, resta salva la facolt� dell'opposto, 
costituitosi nel termine dimidiato, di chiedere l'anticipazione dell'udienza di comparizione 
ai sensi dell'art. 163 bis, comma 3. 
D'altra parte, se effettivamente il dimezzamento dei termini di costituzione dipendesse dalla 
volont� dell'opponente di assegnare un termine di comparizione inferiore a quello legale, non 
si capirebbe la ragione per la quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sono cumulatali 
il dimezzamento che deriva dalla astratta previsione legale di cui all'art. 645 c.p.c. con quello 
che pu� discendere da un apposito provvedimento di dimezzamento di tali termini richiesto 
ai sensi dell'art. 163 bis, comma 3. (Cass. n. 4719/1995, 18203/2008). 
N� potrebbe indurre a diverse conclusioni l'osservazione che, se si ritiene irrilevante la volont� 
dell'opponente di assegnare un termine di comparizione inferiore a quello legale, potrebbe 
sorgere il dubbio che il sacrificio del suo termine di costituzione possa essere ingiustificato, 
alla luce dell'art. 24 Cost., come potrebbe desumersi da corte cost. n. 38/2008. Infatti, l'effetto 
legale del dimezzamento dei termini di costituzione dell'opponente, dipendente sia solo fatto 
della proposizione dell'opposizione, � pur sempre un effetto che discende dalla scelta del debitore 
che non pu� non conoscere quali sono le conseguenze processuali che la legge ricollega 
alla sua iniziativa. 
Infine, la diversa ampiezza dei termini di costituzione dell'opponente rispetto a quelli dell'opposto 
non appare irragionevole posto che la costituzione del primo � successiva alla elaborazione 
della linea difensiva che si � gi� tradotta nell'atto di opposizione rispetto al quale la 
costituzione in giudizio non richiede che il compimento di una semplice attivit� materiale, 
mentre nel termine per la sua costituzione l'opposto non � chiamato semplicemente a ribadire
162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
le ragioni della sua domanda di condanna, oggetto di elaborazione nella fase anteriore alla 
proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo, ma ha la necessit� di valutare le allegazioni 
e le prove prodotte dall'opponente per formulare la propria risposta. 
4. E' consolidato orientamento di questa Corte che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, 
la tardiva costituzione dell'opponente va equiparata alla sua mancata costituzione e 
comporta l'improcedibilit� dell'opposizione (Cass. n. 9684/1992, 2707/1990, 1375/1980; 
652/1978, 3286/1971, 3030/1969, 3231/1963, 3417/1962, 2636/1962, 761/1960, 2862/1958, 
2488/1957, 3128/1956). E' innegabile infatti, da una parte, che la specialit� della norma di 
cui all'art. 647 c.p.c. impedisce l'applicazione della ordinaria disciplina del processo di cognizione, 
e dall'altra, che la costituzione tardiva altro non � che una mancata costituzione nel 
termine indicato dalla legge. Il ricorrente non ha prospettato ragioni decisive che possano indurre 
la Corte a discostarsi da tale orientamento. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. 
Sussistono giusti motivi, in relazione al dibattito esistente sulle questioni oggetto del presente 
giudizio, per compensare le spese. 
P.Q.M. 
LA CORTE rigetta il ricorso e compensa le spese. 
Tribunale di Napoli, ordinanza allegata al verbale d'udienza del 15 ottobre 2010 N. 
42582/09 del Ruolo gen. aff. cont. - Ministero della Giustizia c. Societ� GETET. 
�Il giudice 
ritenuto che in ossequio all'orientamento della Suprema Corte, secondo cui alla luce del principio 
costituzionale del giusto processo, la parte che abbia proposto ricorso per cassazione 
facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimit� in ordine alle norme regolatrici 
del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, 
incorre in errore scusabile ed ha diritto ad essere rimessa in termini ai sensi dell'art. 
184-bis cod. proc. civ., "ratione temporis" applicabile, se, esclusivamente a causa del predetto 
mutamento, si sia determinato un vizio d'inammissibilit� od improcedibilit� dell'impugnazione 
dovuta alla diversit� delle forme e dei termini da osservare sulla base dell'orientamento sopravvenuto 
alla proposizione del ricorso (Cass. civ. Sez. II, 17 giugno 2010, n. 14627); 
ritenuto il principio applicabile anche nella specie, attesa l'evidente identit� di ratio; ritenuto 
che non ricorrono le condizioni per la declaratoria di cui all'art. 648 c.p.c.; 
P.Q.M. 
Visto l'art. 184-bis c.p.c. rimette l'opponente nei termini allo stesso assegnati per provvedere 
ad iscrizione della causa a ruolo, ai sensi di quanto previsto dall'art. 645 c.p.c., stante il consolidato 
orientamento della Suprema Corte - antecedente all'intervento delle Sezioni Unite - 
secondo cui "nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, la riduzione alla met� dei 
termini di comparizione, prevista dall'art. 645, comma secondo, cod. proc. civ., � rimessa alla 
facolt� dell'opponente e, nel (solo) caso in cui questi se ne sia effettivamente avvalso, risultano 
conseguentemente ridotti alla met� anche i termini di costituzione ..." (Cass. civ., Sez. I, 1 
settembre 2006, n. 18942). Rimette, pertanto, la decisione della questione pregiudiziale sollevata 
da parte opposta unitamente al merito. 
Lette le richieste formulate dai difensori delle parti e visto l'art. 183 sesto comma c.p.c. assegna 
i seguenti termini perentori: (�.)�. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 163 
Comportamento antisindacale: 
cognizione del giudice ordinario 
(Cassazione, Sez. Un., ordinanza 24 settembre 2010 n. 20161) 
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con l�ordinanza in esame ha 
posto fine al contrasto giurisprudenziale esistente in merito alla individuazione 
del giudice dotato di giurisdizione in ordine al ricorso ex art. 28 dello Statuto 
dei Lavoratori, proposto da una O.S. con riferimento ad un rapporto di lavoro 
non contrattualizzato e con il quale si chieda anche la rimozione del provvedimento 
lesivo della posizione individuale di un lavoratore. 
La Corte ha affermato il seguente principio: �Ove la condotta antisindacale 
dell�Amministrazione pubblica, patita dal sindacato, incida sulle prerogative 
dell�associazione sindacale e sulle situazioni individuali dei dipendenti 
pubblici il cui rapporto di impiego non sia stato contrattualizzato (quale quello 
intercorrente, nella specie, tra la Banca d�Italia e i suoi dipendenti), non sussiste 
un�esigenza costituzionale per derogare alla regola della giurisdizione 
del giudice ordinario�. 
M.B. 
Corte di cassazione, Sez. Un., ordinanza del 24 settembre 2010 n. 20161 - Pres. Carbone, 
Rel. Amoroso, P.M. Sepe - Federazione italiana lavoratori bancari (FIBA CISL) - Sindacato 
territoriale di Roma (avv.ti Patrizi e Arrigo) c. Banca d�Italia (avv.ti Perassi, Capolino, Vallebona) 
(Omissis)* 
9. Nel merito del ricorso per regolamento preventivo, deve dichiararsi che sussiste la giurisdizione 
del giudice ordinario a conoscere della controversia pendente tra le parti. 
10. La questione di diritto che pone il presente regolamento preventivo di giurisdizione � se 
la giurisdizione del giudice ordinario - cui sono devolute sia tutte le controversie in materia 
di lavoro pubblico contrattualizzato (D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 1), sia le 
controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi 
dell'art. 28 Stat. lav. e le controversie relative alle procedure di contrattazione collettiva di cui 
al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40 (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, cit.) - sussista, o 
no, anche in riferimento ad una controversia promossa da un'associazione sindacale ed avente 
ad oggetto la repressione di un asserito comportamento antisindacale (ex art. 28 Stat. Lav.) di 
un ente pubblico non economico (la Banca d'Italia) in riferimento al rapporto di impiego dei 
suoi dipendenti che, in via di eccezione, si sottrae alla generale disciplina del lavoro pubblico 
"contrattualizzato" o "privatizzato" (ex art. 68, comma 4, in riferimento al D.Lgs. n. 29 del 
(*) La parte omessa della ordinanza tratta preliminarmente questioni procedurali.
164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
1993, art. 2, comma 4, ora trasfusi rispettivamente nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 
4, e art. 3, comma 1) ed � rimasto regolato dalle normativa di settore come pubblico impiego 
(tali sono i dipendenti della Banca d'Italia perch� questa svolge la sua attivit� nelle materie 
concernenti la tutela del risparmio, l'esercizio della funzione creditizia e la valuta ex 
D.Lgs.C.P.S. 17 luglio 1947, n. 691, richiamato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3, comma 1, 
che individua il personale a regime pubblico: cfr. Cass., sez. un.. 24 ottobre 2005, n. 20475; 
id, 1 ottobre 2003, n. 14667). 
11. La questione va collocata nel complessivo quadro normativo di riferimento evolutosi nel 
tempo, che ha visto un articolato sviluppo della giurisprudenza delle sezioni unite di questa 
corte, nonch� plurime pronunce della Corte costituzionale. 
Giova partire dal testo originario la L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 28, che, per la repressione 
della condotta antisindacale, ha introdotto uno speciale procedimento bifasico, prima a cognizione 
sommaria quale procedura di tipo cautelare ed anticipatorio, poi a cognizione piena 
quale ordinario giudizio di primo grado, senza per� contenere alcun riferimento n� alcuna disposizione 
speciale per l'impiego statale ed in generale per il pubblico impiego. Operava 
quindi la norma di raccordo a carattere generale contenuta nel successivo art. 37 che prevedeva 
- e prevede tuttora - che le disposizioni della L. n. 300 del 1970, e quindi anche il suo cit. art. 
28, si applicano altres� ai rapporti d'impiego dei dipendenti degli "altri" enti pubblici (ossia 
diversi da quelli che svolgono esclusivamente o prevalentemente attivit� economica), salvo 
che la materia sia diversamente regolata da norme speciali. 
La risalente giurisprudenza di questa corte (fin da Cass., sez. un., 6 maggio 1972, n. 1380; 
conf. Cass., sez. un., 27 novembre 1974, n. 3872; id., 27 marzo 1975, n. 1158; id., 8 aprile 
1975, n. 1267; id., 18 dicembre 1975, n. 4163) ha per� ritenuto che l'art. 37 non consentisse 
in radice l'applicazione dell'art. 28 Stat. lav. all'impiego statale; e neppure tale disposizione 
era applicabile al rapporto di impiego degli altri enti pubblici non economici laddove fosse 
rinvenibile una disciplina speciale di tutela del rapporto di pubblico impiego e delle prerogative 
sindacali (Cass., sez. un., 9 novembre 1974, n. 3477; conf. Cass., sez. un., 22 aprile 1975, 
n. 1558). 
12. Le questioni di costituzionalit� che all'epoca furono sollevate, anche ripetutamente da 
queste sezioni unite (per tutte v. Cass., sez. un., ord., 11 gennaio 1977, n. 6: id. 21 giugno 
1979, n. 302; id., 11 settembre 1979, n. 412; id., 22 dicembre 1981, n. 638). non furono accolte 
dalla Corte costituzionale. 
Con sentenza n. 118 del 1976 la Corte costituzionale neg� il lamentato contrasto dell'art. 37 
Stat. lav. con gli artt. 3 e 24 Cost. e soprattutto con il principio di eguaglianza, essendo l'inapplicabilit� 
all'impiego statale della normativa contenuta nella L. n. 300 del 1970 razionalmente 
giustificata in ragione della minuziosa e completa disciplina che regolava quest'ultimo e la 
sostanziale diversit� di posizioni. 
Con la successiva sentenza n. 68 del 1980 la Corte costituzionale - dopo aver ribadito che 
l'esclusione dell'impiego statale dall'area in cui operava il congegno di raccordo normativo 
dell'art. 37 Stat. lav. si fondava su consistenti ragioni di ordine testuale, sistematico e sostanziale, 
ragioni che si prestavano ad essere ulteriormente specificate a proposito dell'art. 28 Stat. 
lav. ha negato che il principio di eguaglianza, sancito nell'art. 3 Cost., comma 1, esigesse 
l'estensione pura e semplice della disciplina dell'art. 28 Stat. lav. alle associazioni sindacali 
dei dipendenti dello Stato, affermando in particolare che tale libert� sindacali sono tutelatali, 
nel settore del pubblico impiego, come avevano ritenuto le sezioni unite fin dal 1974, in qualit� 
di situazioni di diritto soggettivo proprie ed esclusive del sindacato, attraverso i procedimenti
CONTENZIOSO NAZIONALE 165 
ordinari promossi innanzi al giudice civile; id est al di fuori del quadro dell'art. 28". 
Investita ancora da queste sezioni unite con plurime ordinanze di rimessione la Corte costituzionale, 
con sentenza n. 169 del 1982, ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate, arrestandosi 
in sostanza di fronte all'impasse interpretativo, che quella Corte ha affermato 
ridondare nel ritenuto carattere ancipite delle questioni di costituzionalit� sollevate da questa 
corte (e da ci� la pronuncia di inammissibilit�) ed in ragione del quale l'art. 28 Stat. lav. si 
esponeva alla duplice, ma alternativa, censura di violazione del principio di eguaglianza, se 
si riteneva la sua inapplicabilit� ai sindacati dei dipendenti degli enti pubblici non economici, 
e di violazione del principio di ragionevolezza, se all'opposto si riteneva tale disposizione applicabile 
anche a tali sindacati, per il possibile contrasto di giudicati tra la pronuncia del giudice 
ordinario ex art. 28 Stat. lav. e quella del giudice amministrativo che all'epoca aveva 
giurisdizione esclusiva sul rapporto di pubblico impiego. 
13. Intanto il legislatore era intervenuto, con normativa primaria (L. 20 marzo 1975, n. 70, 
art. 10) e subprimaria (D.P.R. 26 maggio 1976, n. 411, art. 54), per estendere l'applicabilit� di 
alcune disposizioni dello Statuto dei lavoratori, tra cui il cit. art. 28, ai dipendenti del cd. parastato, 
con conseguente affermazione da parte di queste sezioni unite della giurisdizione del 
giudice ordinario a conoscere delle controversie proposte alle associazioni sindacali per la repressione 
delle condotte antisindacali di tali enti pubblici non economici (Cass., sez. un., 5 
luglio 1979, n. 3820). Parimenti era stata ritenuta la giurisdizione del giudice ordinario per 
analoghe controversie ex art. 28 Stat. lav. promosse da associazioni sindacali nei confronti 
imprese di pubblico trasporto in regime di concessione (Cass., sez. un., 24 febbraio 1982, n. 
1149). 
14. Ma in generale la questione interpretativa tino ad allora dibattuta trovava una soluzione 
di carattere generale, di li a poco, in una serie di pronunce di queste sezioni unite (Cass., sez. 
un., 26 luglio 1984, nn. 4401, 4402, 4399, 4386, 4387, 4390, 4391 e 4395) le quali hanno affermato, 
come seguente principio di diritto, che a fronte di un comportamento antisindacale 
dell'amministrazione pubblica, datrice di lavoro, che impedisca o limiti l'esercizio della libert� 
e dell'attivit� delle organizzazioni sindacali, l'individuazione dei rimedi giurisdizionali di cui 
tali organizzazioni possono avvalersi, a tutela delle loro posizioni (aventi natura e consistenza 
di diritti soggettivi), va effettuata distinguendo il caso nel quale detto comportamento leda 
interessi propri ed esclusivi del sindacato (cd. diritti sindacali in senso stretto), dal caso nel 
quale presenti carattere plurioffensivo, in quanto, direttamente incidendo sulle posizioni del 
singolo dipendente, venga ad interferire anche nella sfera giuridica del sindacato, con lesione 
di suoi interessi strettamente collegati a quelli del dipendente (c.d. diritti sindacali connessi o 
correlati). 
Nella prima ipotesi, la tutela � esperibile davanti all'autorit� giudiziaria ordinaria, nella normale 
sede contenziosa, quando si tratti di dipendenti delle amministrazioni dello Stato, cui 
non si applica lo Statuto dei lavoratori, ovvero nella sede e nei modi previsti dall'art. 28 Stat. 
Lav., quando si tratti di dipendenti di enti pubblici non economici, cui tale disposizione si applica 
a norma del successivo art. 37 Stat. lav. ed in mancanza di apposita normativa speciale. 
Nella seconda ipotesi, sia che si tratti di dipendenti statali ovvero di dipendenti di altri enti 
pubblici non economici, tale tutela del sindacato spetta al giudice amministrativo in sede di 
giurisdizione esclusiva, in ragione del fatto che riguarda diritti che attengono oggettivamente 
al rapporto di pubblico impiego; 
tutela questa che deve ritenersi esperibile non in via eventuale ed indiretta, tramite intervento 
adesivo nel giudizio che promuova il dipendente, in quanto ci� implicherebbe la possibilit�
166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
di carenza di difesa giurisdizionale per i diritti del sindacato, ma bens� in via autonoma ed indipendente, 
mediante l'instaurazione di apposito giudizio innanzi al giudice amministrativo. 
E' il regime del doppio binario che vede la concorrenza della giurisdizione del giudice ordinario 
- per le controversie aventi ad oggetto le prerogative delle associazioni sindacali, fatte 
valere sia con giudizio ordinario di cognizione (quanto alle Amministrazioni statali) sia con 
la procedura di cui all'art. 28 Stat. lav. (per gli altri enti pubblici non economici in mancanza 
di una disciplina specifica: cfr. in particolare Cass.. sez. un., 26 luglio 1984, n. 4410, cit.) - e 
del giudice amministrativo, quanto alle controversie che, pur riguardando anche diritti del 
sindacato, tocchino per� direttamente la posizione del dipendente pubblico, ci� in ragione del 
c.d. comportamento plurioftensivo tenuto dall'ente pubblico non economico. Quindi - ha affermato 
Cass., sez. un.. 3 giugno 1985, n. 3288 - la giurisdizione del giudice ordinario sussiste 
nell'ipotesi nella quale venga denunciata una condotta che leda direttamente e soltanto diritti 
propri del sindacato. Invece - ha precisato Cass., scz. un., 4 luglio 1985, n. 4043 in caso di 
comportamenti antisindacali di un ente pubblico non economico, qualora si verifichi la lesione 
non di diritti sindacali in senso stretto, cio� propri ed esclusivi delle associazioni sindacali, 
bens� di diritti sindacali connessi o correlati, il cui pregiudizio sia configurabile soltanto in 
stretto collegamento con la lesione di diritti de dipendente, in quanto derivante da provvedimenti 
adottati a carico del dipendente stesso nell'ambito del rapporto di pubblico impiego, la 
tutela giurisdizionale delle predette associazioni sindacali esula delle attribuzioni del giudice 
ordinario, nella sede e nei modi previsti dall'art. 28 Stat. lav., e spetta al giudice amministrativo 
in via esclusiva, dato che investe posizioni oggettivamente attinenti al rapporto di pubblico 
impiego. 
15. L'arresto giurisprudenziale del 1984 ha univocamente orientato la giurisprudenza degli 
anni successivi. Cfr., ex plurimis, Cass., sez. un., 16 luglio 1985, n. 4154, che ha ribadito che 
occorre distinguere a seconda che i comportamenti antisindacali ledano soltanto diritti sindacali 
in senso stretto, cio� propri ed esclusivi di quelle organizzazioni, ovvero presentino un 
carattere plurioffensivo, in quanto, incidendo direttamente sulle posizioni soggettive del singolo 
dipendente, vengano anche a pregiudicare diritti sindacali connessi o correlati a tali posizioni 
individuali. 
Ci� comportava un'asimmetria negli strumenti di tutela e nella conseguente regolamentazione 
della giurisdizione, affermandosi la giurisdizione ordinaria nel caso di associazioni sindacali 
che agivano per la tutela di prerogative sindacali proprie non incidenti sul rapporto di impiego 
dei dipendenti pubblici (nella normale sede contenziosa, in caso di amministrazioni dello 
Stato, stante l'inapplicabilit� dello statuto dei lavoratori, oppure nella sede e nei modi previsti 
dall'art. 28 Stat. lav., ove si trattasse di enti pubblici non economici, ai quali lo statuto dei lavoratori 
era applicabile in mancanza di una disciplina specifica). 
Si riteneva invece la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in cui la condotta antisindacale 
dell'amministrazione pubblica investisse altres� diritti oggettivamente attinenti al 
rapporto di pubblico impiego. 
In tale evenienza, come sussisteva la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie 
di pubblico impiego, parimenti tale giurisdizione doveva essere affermata sulle controversie 
promosse dalle associazioni sindacali per la tutela di prerogative sindacali che 
incidevano anche sul rapporto di impiego, la cui violazione quindi non poteva che avere carattere 
plurioffensivo (cfr. altres� Cass., sez., un., 28 novembre 1990, n. 11461). 
Insomma era l'eventuale carattere plurioffensivo della condotta antisindacale la chiave di volta 
del canone regolatore della giurisdizione. Era questo che - come ha pi� volte ripetuto la giu-
CONTENZIOSO NAZIONALE 167 
risprudenza di questa corte negli anni successivi (Cass., sez. un., 25 marzo 1986, n. 2099: id., 
9 aprile 1986, n. 2468; id., 9 aprile 1986, n. 2467; id., 21 maggio 1986, n. 3371; sez., 13 luglio 
1987, n. 6092; id., 17 ottobre 1988, n. 5635; id., 17 marzo 1989. n. 1354; id, 20 luglio 1989, 
n. 3405; id, 12 dicembre 1989, n. 5524; 19 marzo 1990, n. 2292; id., 7 settembre 1990, n. 
9236; 28 dicembre 1990, n. 12202; id, 5 febbraio 1991, n. 1084) - attraeva la controversia 
alla giurisdizione del giudice amministrativo, ossia allo stesso giudice che all'epoca aveva la 
giurisdizione esclusiva sul rapporto di pubblico impiego. 
Invece per posizioni di diritto soggettivo proprie ed esclusive del sindacato sussisteva la giurisdizione 
del giudice ordinario (Cass., sez. un., 21 maggio 1986, n. 3372; id, 7 settembre 
1990, n. 9238; id, 15 novembre 1990, n. 11025; id, 11 dicembre 1990, n. 11778). 
16. Su questo assetto giurisprudenziale, che scontava la difficolt� di scriminare in termini 
netti e chiari la condotta antisindacale plurioffensiva da quella lesiva solo delle prerogative 
del sindacato, interviene una prima modifica normativa. 
La L. 12 giugno 1990, n. 146, art. 6, comma 1, (recante norme sull'esercizio del diritto di 
sciopero nei servizi pubblici essenziali) innesta nell'art. 28 Stat. lav. due ulteriori commi: il 
sesto ("Se il comportamento di cui al comma 1 � posto in essere da una amministrazione 
statale o da un altro ente pubblico non economico, l'azione quella ex art. 28 Stat. lav. � proposta 
con ricorso davanti al pretore competente per territorio") ed il comma 7 ("Qualora il comportamento 
antisindacale sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti al rapporto di impiego, 
le organizzazioni sindacali di cui al comma 1, ove intendano ottenere anche la rimozione dei 
provvedimenti lesivi delle predette situazioni, propongono il ricorso davanti al tribunale amministrativo 
regionale competente per territorio, che provvede in via di urgenza con le modalit� 
di cui al comma 1. Contro il decreto che decide sul ricorso � ammessa, entro quindici 
giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, opposizione davanti allo stesso tribunale, 
che decide con sentenza immediatamente esecutiva"). 
Viene quindi meno (con l'art. 28, nuovo comma 6) l'asimmetria tra lavoro pubblico e lavoro 
privato secondo una linea evolutiva della materia che gi� era emersa nella disciplina di settore 
per i dipendenti del cd. parastato (cfr. la normativa sopra cit.) e che poi, nel corso dello stesso 
decennio, si svilupper� ulteriormente con la cd. contrattualizzazione del lavoro pubblico sino 
al D.Lgs. n. 80 del 1998 (come ora si dir�): il particolare procedimento di repressione della 
condotta antisindacale � esteso a tutto campo perch� pu� avere ad oggetto il comportamento 
diretto ad impedire o limitare l'esercizio della libert� e dell'attivit� sindacale nonch� del diritto 
di sciopero, posto in essere da una amministrazione statale o da un altro ente pubblico non 
economico. La giurisdizione � quella del giudice ordinario; la competenza funzionale � quella 
(all'epoca) del pretore quale giudice del lavoro. 
Ma nell'art. 28, nuovo comma 7 si riproduce in parte quella riserva alla giurisdizione del giudice 
amministrativo che era stata in precedenza ritenuta dalla sopra richiamata giurisprudenza 
di queste sezioni unite. Il concetto su cui ruota la disposizione � ancora quel carattere di plurioffensivit� 
della condotta antisindacale, che in precedenza valeva a scriminare tra giurisdizione 
del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo e che ora opera per� come 
condizione concorrente, non pi� esclusiva. Infatti l'art. 28, nuovo comma 7 riserva alla giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo le controversie, promosse dalle associazioni 
sindacali legittimate ex art. 28, comma 1, che hanno ad oggetto un comportamento s� antisindacale 
ossia diretto ad impedire o limitare l'esercizio della libert� e dell'attivit� sindacale nonch� 
del diritto di sciopero, posto in essere da una amministrazione statale o da un altro ente 
pubblico non economico -ma che sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti al rapporto
168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
di impiego (cd. plurioffensivit�), sempre che l'associazione sindacale ricorrente intenda ottenere 
anche la rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette situazioni. 
C'� quindi nella nuova normativa, quanto al riparto di giurisdizione, un rapporto di regola ad 
eccezione. La regola � la giurisdizione del giudice ordinano quale che sia l'amministrazione 
pubblica (anche statale) che abbia posto in essere il comportamento antisindacale; l'eccezione 
� la giurisdizione del giudice amministrativo ove sussistano due condizioni: a) che la condotta 
antisindacale sia plurioffensiva nel senso che lesiva anche di situazioni soggettive inerenti al 
rapporto di impiego (per il quale all'epoca c'era ancora la giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo); b) che, in tal caso, l'associazione sindacale ricorrente non chieda anche la 
rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette situazioni. 
17. Il quadro normativo, che emerge dalla novella del 1990, risulta cos� pi� chiaro e definito; 
ed anche la riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo � ben circoscritta, 
come eccezione alla regola, ed � pi� agevolmente identificabile sulla base del petitum sostanziale: 
se, in presenza di una condotta antisindacale plurioffensiva, l'associazione sindacale ricorrente 
non chiedeva la rimozione del provvedimento lesivo non scattava, come eccezione 
alla regola, la giurisdizione del giudice amministrativo. 
Particolarmente significativa, in proposito, del carattere circoscritto e residuale della giurisdizione 
del giudice amministrativo in materia � una pronuncia di questa corte (Cass., sez. 
un., 28 novembre 1997, n. 12042) che ha affermato che sussiste la giurisdizione del giudice 
ordinano anche nel caso in cui, pur essendo riscontrabile una condotta antisindacale plurioffensiva, 
il sindacato ricorrente, che inizialmente abbia chiesto anche la rimozione del provvedimento 
lesivo della posizione del pubblico dipendente, poi abbia abbandonato tale 
domanda insistendo solo in quella diretta alla cessazione del comportamento antisindacale. 
La giurisprudenza delle sezioni unite di questa corte si � adeguata al nuovo corso normativo 
regolando la giurisdizione in materia sulla base del criterio introdotto dalla cit. L. n. 146 del 
1990, art. 6, comma 1. In particolare Cass., sez. un., 17 febbraio 1992, n. 1911, ha enunciato 
un "nuovo" principio di diritto, regolatore della giurisdizione, affermando che la L. n. 146 del 
1990, cit. art. 6, oltre ad estendere il procedimento previsto dall'art. 28 alla repressione della 
condotta antisindacale posta in essere da un'amministrazione statale in violazione di interessi 
propri ed esclusivi del sindacalo ed a prevedere anche davanti al giudice amministrativo, adito 
per la repressione della condotta antisindacale di carattere plurioffensivo (in quanto incidente 
anche sulla posizione del singolo dipendente pubblico), una fase sommaria ed urgente del 
procedimento, aveva modificato i precedenti criteri di riparto della giurisdizione fra giudice 
ordinario e giudice amministrativo, limitando quest'ultima ai soli casi in cui veniva richiesta 
dalle organizzazioni sindacali la rimozione dei provvedimenti lesivi di situazioni soggettive 
inerenti al rapporto d'impiego. 
Il corso successivo della giurisprudenza � in linea con questo nuovo arresto (Cass., sez., un., 
29 ottobre 1992, n. 11783; id., 5 febbraio 1993, n. 1449; id, 5 febbraio 1993, n. 1450; id., 12 
marzo 1993, n. 3019; id, 17 luglio 1993, n. 7955; id, 13 dicembre 1993, n. 12261; 
id, 13 dicembre 1993, n. 12261; id, 17 marzo 1995, n. 3104; id., 22 marzo 1995, n. 3320; id., 
10 maggio 1995, n. 5117; id., 20 gennaio 1996, n. 445; id., 6 febbraio 1997, n. 1136; id., 14 
febbraio 1997, n. 1398; id, 28 novembre 1997, n. 12042, cit.; id, 22 luglio 1998, n. 7179; id, 
27 luglio 1998, n. 7349; id, 7 agosto 1998, n. 7754: id., 24 agosto 1999, n. 592; id., 29 febbraio 
2000, n. 49). 
In particolare Cass., sez. un., 5 febbraio 1993, n. 1450, cit., ha precisato che per effetto della 
L. 12 giugno 1990, n. 146, art. 6, ai fini della giurisdizione del giudice amministrativo in
CONTENZIOSO NAZIONALE 169 
ordine alla denuncia del comportamento antisindacale di un ente pubblico non economico, 
non � sufficiente il carattere plurioffensivo (cio� lesivo sia di situazioni soggettive proprie ed 
esclusive del sindacato sia di situazioni soggettive del lavoratore inerenti al rapporto di pubblico 
impiego) del comportamento denunciato, sussistendo detta giurisdizione solo nell'ipotesi 
in cui il sindacato non si limiti a chiedere la declaratoria d'illegittimit� della condotta denunciata 
e la cessazione dei suoi effetti, ma richieda anche l'eliminazione del provvedimento 
lesivo delle suindicate situazioni soggettive dei pubblici dipendenti. 
E simmetricamente, ove invece manchi il carattere plurioffensivo della condotta sindacale, 
perch� lesiva solo di prerogative del sindacato e non gi� del pubblico dipendente, la domanda 
del sindacato ricorrente, diretta ad ottenere anche la rimozione del provvedimento lesivo, radica 
in ogni caso la giurisdizione del giudice ordinario. Cfr. Cass., sez. un., 22 luglio 1998, n. 
7179, cit., che, nell'affermare la giurisdizione del giudice ordinario in una controversia ex art. 
28 Stat. lav. promossa da un sindacato escluso dalle trattative svolte dall'ARAN ai fini di un 
rinnovo contrattuale, ha precisato che nel procedimento per la repressione della condotta antisindacale 
non vige il divieto per il giudice ordinario di annullamento di atti amministrativi. 
18. Dopo la citata L. n. 146 del 1990 si inaugura la stagione della cd. privatizzazione (o meglio, 
contrattualizzazione) del lavoro pubblico: dal D.Lgs. n. 29 del 1993, al D.Lgs. n. 80 del 1990, 
fino al testo unico recato dal D.Lgs. n. 165 del 2001 (recentemente novellato in parte dal 
D.Lgs. n. 150 del 2009). 
Gi� il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 8 prevedeva il trasferimento alla giurisdizione ordinaria delle 
controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche 
con esclusione di alcune materie. 
L'art. 68 veniva riformulato dal D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 33 con l'espressa previsione della 
devoluzione al giudice ordinario delle controversie, attinenti al rapporto di lavoro in corso, in 
tema di diritti sindacali, comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libert� 
e dell'attivit� sindacale, nonch� del diritto di sciopero e violazioni di clausole concernenti i 
diritti e l'attivit� del sindacato contenute nei contratti collettivi. 
La disposizione viene riscritta ancora dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 29 nella formulazione 
che poi, salva un'ulteriore modifica apportata dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 18 (non rilevante 
nella specie), sar� trasfusa nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63; il successivo art. 69, comma 7, 
fissa poi lo spartiacque temporale (30 giugno 1998) del passaggio della giurisdizione dal giudice 
amministrativo al giudice ordinario. 
In particolare il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 69, ripetutamente novellato, ed il D.Lgs. n. 165 
del 2001, corrispondente art. 63 prevedono una duplice devoluzione di giurisdizione al giudice 
ordinario. 
Il comma 1 (di entrambe le disposizioni) devolve al giudice ordinario tutte le controversie relative 
ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione di 
quelle relative ai rapporti di lavoro non "contrattualizzati". 
Il comma 3 devolve al giudice ordinario le controversie relative a comportamenti antisindacali 
delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell'art. 28 Stat. lav. (ed altre controversie collettive). 
Il comma 4 poi pone l'eccezione alla regola del comma 1 - che infatti richiama sicch� si stabilisce 
un aggancio testuale tra questi due commi - prevedendo due fattispecie che, residualmente, 
continuava a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo: una relativa alle 
controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche 
amministrazioni (interpretata estensivamente dalla giurisprudenza delle sezioni unite di
170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
questa corte fino a comprendere anche alcune ipotesi di concorsi interni); l'altra attinente alle 
controversie relative ai rapporti di lavoro sottratti alla privatizzazione (o contrattualizzazionc). 
Entrambe riguardano il rapporto di impiego - sicch� consistono in controversie tra l'amministrazione 
pubblica datrice di lavoro ed il dipendente pubblico - e non gi� il rapporto sindacale 
e quindi non riguardano le controversie tra il sindacato e l'amministrazione pubblica di cui 
all'art. 63 cit., comma 3. 19. Nella fattispecie ora in esame � soprattutto la disposizione di 
questo art. 63 cit., comma 3 (e dell'art. 69 cit. che lo ha preceduto) che rileva al fine della decisione 
del presente ricorso per regolamento di giurisdizione. 
Ci� che in particolare va osservato � che la devoluzione al giudice ordinano delle controversie 
relative ai comportamenti antisindacali � fatta testualmente - nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 
63, comma 3 - con riferimento ai comportamenti delle "pubbliche amministrazioni ai sensi 
della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 28"; disposizione quest'ultima che, dopo essere stata novellata 
dalla L. n. 146 del 1990, art. 6, cit., riguardava toni court - nel suo comma 6 - i comportamenti 
di tutte le amministrazioni pubbliche, comprese quelle statali, e quindi a 
prescindere dal fatto che il rapporto di lavoro con i rispettivi dipendenti fosse, o meno, "contrattualizzato". 
Ossia manca nell'art. 63, comma 3 - n� pu� ricavarsi dal comma 4 che riguarda 
il rapporto di impiego e non gi� il rapporto sindacale e che, anche testualmente, � richiamalo 
solo dal comma 1 e non anche dal comma 3 - la clausola di esclusione che invece testualmente 
compare al comma 1 delle medesime disposizioni. E' solo quest'ultimo (il comma 1) che appunto, 
tra le controversie relative ai rapporti di lavoro, eccettua dalla devoluzione alla giurisdizione 
del giudice amministrativo le controversie relative ai rapporti di lavoro alle 
dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui al comma 4 (ossia i rapporti di pubblico 
impiego non contrattualizzato, qual � appunto quello alle dipendenze della Banca d'Italia). 
La mancata riproduzione, nell'art. 69 e art. 63 cit., comma 3, di tale clausola di esclusione 
non pu� essere letta altrimenti che come espressiva della regola generale della devoluzione 
alla giurisdizione del giudice ordinario di tutte le controversie promosse dalle associazioni 
sindacali ex art. 28 Stat. lav. a prescindere dalla "contrattualizzazione", o meno, del rapporto 
di impiego. 
Ci� peraltro era in sintonia con quanto gi� la richiamata giurisprudenza di queste sezioni unite 
aveva affermato interpretando il comma 6 del novellato art. 28 Stat. lav. che - si ripete - gi� 
aveva generalizzato - con l'eccezione di cui al successivo comma 7 (di cui si viene ora a dire) 
- l'accesso alla procedura di cui all'art. 28 Stat. Lav. alle associazioni sindacali in riferimento 
ai comportamenti antisindacali di tutte le amministrazioni pubbliche, a prescindere dalla contrattualizzazione, 
o meno, del rapporto di impiego con i dipendenti. 
In fondo il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3 � riproduttivo del canone gi� posto dalla 
L. n. 146 del 1990, art. 1 nell'aggiungere il comma 6 all'art. 28 Stat. lav.. 
20. Se per� il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3 (da ultimo, e prima ancora il D.Lgs. 
n. 29 del 1993, art. 69, comma 3, come novellato nel 1998) non prevedeva - e non prevede 
tuttora - come eccezione alla regola generale della devoluzione al giudice ordinario delle controversie 
aventi ad oggetto i comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni con 
dipendenti in regime di lavoro non contrattualizzato, operava ancora, pur all'indomani della 
menzionata data del 30 giugno 1998 di trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario, 
il comma 7 dell'art. 28 Stat. lav.; disposizione questa s� che - in quanto non (ancora) abrogata 
(per un'applicazione di tale disposizione dopo il D.Lgs. n. 80 del 1998, che aveva formulato 
il nuovo D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 68, comma 3, v. Cass., sez. un., 29 febbraio 2000, n. 49) 
- continuava a prevedere un'eccezione alla giurisdizione del giudice ordinario, la quale per�
CONTENZIOSO NAZIONALE 171 
doveva essere ricollocata nel nuovo contesto normativo. 
Se essa originariamente prevedeva, in via di eccezione, la giurisdizione del giudice amministrativo 
in caso di controversie ex art. 28 Stat. lav. in cui un'associazione sindacale, in possesso 
dei requisiti di legittimazione previsti da tale disposizione - chiedeva anche la rimozione del 
provvedimento amministrativo riguardante la posizione del singolo lavoratore, il cui rapporto 
radicava all'epoca la giurisdizione del giudice amministrativo, si aveva che, dopo il massiccio 
trasferimento di giurisdizione al giudice ordinario delle controversie di cui al D.Lgs. n. 165 
del 2001, art. 63, commi 1 e 3 (conseguente alla riformulazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, 
cit. art. 69 ad opera del D.Lgs. n. 80 del 1998), occorreva ritagliare un ben pi� limitato campo 
di operativit� al comma 7 dell'art. 28 Stat. lav., circoscrivendolo appunto all'ipotesi in cui l'associazione 
sindacale ricorrente, lamentando una condotta antisindacale plurioffensiva, richiedesse 
la rimozione di un provvedimento lesivo della posizione di un singolo pubblico 
dipendente in regime di lavoro pubblico non contrattualizzato. Per la persistente operativit� 
di tale eccezionale fattispecie residuale di giurisdizione del giudice amministrativo v. anche 
- ma in obiter dictum - Cass., sez. un., 21 novembre 2002, n. 16430, che peraltro ha ritenuto 
sussistere in quel caso di specie la giurisdizione del giudice ordinario, pur ipotizzando in vero, 
ma sempre solo in obiter dictum, non rilevante in causa, l'operativit� dell'eccezione anche 
dopo l'abrogazione del sesto e comma 7 dell'art. 28. 
E' questa in sostanza la tesi della difesa della Banca resistente che per� ritiene che questa situazione 
normativa si sia protratta fino ad oggi. 
21. Ma cosi non �. 
L'eccezione alla regola generale della giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie 
promosse dalle associazioni sindacali per la repressione della condotta antisindacale delle 
pubbliche amministrazioni non poteva trovare fondamento nell'art. 63 cit., comma 3 che non 
ne contemplava alcuna n�, a differenza del comma 1, richiamava l'eccezione del comma 4, 
ma aveva il suo riferimento normativo nell'ancora vigente comma 7 dell'art. 28 Stat. lav. limitatamente 
all'ipotesi in cui, in presenza di condotta antisindacale plurioffensiva, la richiesta 
del sindacato ricorrente di rimozione del provvedimento a contenuto antisindacale (o affetto 
da motivo antisindacale) riguardasse un rapporto di impiego non contrattualizzato, la cui gestione 
quindi era fatta dall'amministrazione pubblica con provvedimenti amministrativi e non 
gi� "con la capacit� e i poteri del privato datore di lavoro" secondo il D.Lgs. n. 165 del 2001, 
dettato art. 5, comma 2, come nel caso di lavoro pubblico contrattualizzato. 
Quindi all'indomani del generalizzato trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario, 
di cui all'art. 63, commi 1 e 3, cit., residuava s� questa eccezione in favore della giurisdizione 
del giudice amministrativo, ma si fondava sulla persistente vigenza del comma 7 dell'art. 28 
Stat. lav.. 
22. Questo quadro normativo muta ancora una volta con la L. 11 aprile 2000, n. 83, art. 4 (recante 
modifiche ed integrazioni della normativa in materia di esercizio del diritto di sciopero 
nei servizi pubblici essenziali), che ha espressamente previsto che la L. 20 maggio 1970, n. 
300, art. 28, commi 6 e 7, introdotti dalla L. 12 giugno 1990, n. 146, art. 6, comma 1, sono 
abrogati. 
Con tale abrogazione espressa il legislatore ordinario ha "fatto pulizia", esprimendo la volont� 
che la regola della giurisdizione in materia di controversie promosse da sindacati ed aventi 
ad oggetto condotte antisindacali di pubbliche amministrazioni sia solo quella - netta e chiara 
- del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, senza pi� l'interferenza data dalla particolare 
ipotesi in cui l'associazione sindacale chieda la rimozione di un provvedimento che incida su
172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
posizioni individuali di dipendenti pubblici regolate ancora con atti amministrativi e non gi� 
con atti di gestione di diritto privato; ossia senza pi� quell'eccezione (in favore della giurisdizione 
del giudice amministrativo) che residuava rispetto a quella che la giurisprudenza di queste 
sezioni unite degli anni novanta (sopra richiamata) aveva predicato in termini pi� ampi e 
nel diverso contesto normativo sopra indicato. 
Se invece il legislatore avesse voluto far venir meno non gi� proprio tutte le fattispecie previste 
dal comma 7 dell'art. 28 Stat. lav., ma "quasi" tutte, lasciandone alcune, avrebbe riformulato 
il comma 7, ridimensionandolo e prevedendo l'ipotesi in cui il sindacato ricorrente, in caso di 
condotta sindacale plurioffensiva, chieda la rimozione dei provvedimenti lesivi di situazioni 
soggettive inerenti a rapporti di impiego gestiti dall'amministrazione pubblica datrice di lavoro 
con provvedimenti amministrativi, per essere il rapporto di impiego "non contrattualizzato", 
e non gi� "con la capacit� e i poteri del privato datore di lavoro", tipica del rapporto di impiego 
"contrattualizzato". 
Il novum quindi nel criterio di regolamentazione della giurisdizione, per quanto rileva nel 
presente giudizio, � - a ben vedere - riferibile essenzialmente alla L. 11 aprile 2000, n. 83, art. 
4, che esprime una legittima, quanto ampia, discrezionalit� del legislatore ordinario; laddove 
la determinazione del legislatore delegato espressa nel D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 69, comma 
3, riformulato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 29, proprio perch� non si accompagnava all'abrogazione 
del sesto e del comma 7 dell'art. 28 Stat. lav., non innovava al di l� di quanto non 
fosse coerente con la scelta del legislatore ordinario delegante di privatizzazione del pubblico 
impiego, sicch� non possono sorgere in proposito dubbi di violazione della delega legislativa. 
23. La giurisprudenza di queste sezioni unite del resto, quando, in epoca recente, e stata chiamata 
a decidere sulla giurisdizione in materia di controversie promosse dal sindacato per la 
repressione di condotta antisindacale di una pubblica amministrazione, tenendo ormai conto 
della sopravvenuta abrogazione dei commi 6 e 7 dell'art. 28 Stat. lav. ad opera della L. 11 
aprile 2000, n. 83, art. 4, e pur pronunciandosi in controversie in cui venivano in rilievo fattispecie 
di lavoro pubblico contrattualizzato, ha affermato in termini assolutamente generali 
la giurisdizione del giudice ordinario, senza riserve o eccezioni di sorta. 
Cass., sez. un., 13 luglio 2001, n. 9541, ha richiamato la precedente giurisprudenza degli anni 
novanta (sulla rilevanza, in termini di giurisdizione, della condotta antisindacale plurioffensiva); 
ma ha aggiunto: "Questo quadro normativo � stato tuttavia modificato con l'introduzione 
del nuovo sistema delineato dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 68, nel testo sostituito dal 
D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 29 e ulteriormente modificato dal D.Lgs. 29 ottobre 1998, 
n. 387, art. 18, che ha attribuito al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, una cognizione 
incondizionata in materia di condotta antisindacale delle pubbliche amministrazioni; 
la L. 11 aprile 2000, n. 83, art. 4 ha quindi provveduto alla abrogazione della L. n. 300 del 
1970, art. 28, commi 6 e 7 aggiunti dal legislatore del 1990". 
Quindi, dopo il trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario di cui al D.Lgs. n. 29 
del 1993, art. 69, comma 3, come novellato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 29, e poi trasfuso 
nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, e dopo l'abrogazione dei commi 6 e 7, dell'art. 
28 Stat. lav. ad opera della L. n. 83 del 2000, art. 4, la giurisdizione del giudice ordinario costituisce 
una "cognizione incondizionata", ossia senza che ci sia pi� l'eccezione della giurisdizione 
del giudice amministrativo nelle ipotesi in cui, nel previgente quadro normativo, tale 
eccezione era predicabile e - pu� aggiungersi - senza che residui neppure quell'eccezione che 
era predicabile nel periodo di tempo in cui � stato ancora vigente il comma 7 dell'art. 28 Stat.
CONTENZIOSO NAZIONALE 173 
lav. nel contesto dell'intervenuto trasferimento alla giurisdizione del giudice ordinario delle 
controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni. 
Questo principio � stato espressamente confermato da Cass., sez. un., 7 febbraio 2002, n. 
1761; parimenti di "cognizione incondizionata" del giudice ordinario in questa materia parla 
anche Cass., sez. un., 24 gennaio 2003, n. 1127. Analogamente Cass., sez. un., 2 maggio 2005, 
n. 10064, ha affermato che "la L. n. 83 del 2000, gi� citato art. 4 ha eliminato ogni dubbio 
sulla individuazione della giurisdizione, con il definitivo passaggio della giurisdizione per 
ogni forma di condotta antisindacale al giudice ordinario che diventa, pertanto, giudice esclusivo 
per materia". 
Quanto alla giurisprudenza amministrativa Cons. Stato, sez. 1^, parere, 12 giugno 2002, n. 
1647/02, ha affermato che appartengono alla cognizione del giudice ordinario le controversie 
riguardanti il comportamento antisindacale del datore di lavoro pubblico, anche con riferimento 
alle categorie di pubblici dipendenti - quale, nella specie, le forze di polizia - escluse 
dalla privatizzazione, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3. 24. La generalizzazione della 
giurisdizione del giudice ordinario, conseguente alla devoluzione di cui al D.Lgs. n. 165 del 
2001, art. 63, comma 3, senza l'eccezione predicata dalla difesa della Banca resistente, e all'abrogazione 
tout court dei commi 6 e 7, dell'art. 28 Stat. lav. ad opera della L. n. 83 del 2000, 
art. 4, che fondavano l'individuazione di eccezioni alla giurisdizione del giudice ordinario, 
conducono all'affermazione che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario anche nell'ipotesi 
in cui il comportamento antisindacale dell'amministrazione pubblica incida non solo sulle 
prerogative dell'associazione sindacale ricorrente ex art. 28 Stat. lav., ma altres� su situazioni 
individuali di dipendenti pubblici il cui rapporto di impiego non sia stato "contrattualizzato". 
E' vero - come � stato notato in chiave problematica - che � possibile che in questa fattispecie 
vi siano due controversie in qualche misura connesse: quella promossa, innanzi al giudice ordinario 
ex art. 28 Stat. lav., dal sindacato per la repressione del comportamento antisindacale 
dell'amministrazione pubblica, e quella promossa, innanzi al giudice amministrativo, dal dipendente 
non "privatizzato", perch� ancora in regime di lavoro pubblico, per contestare la legittimit� 
di un provvedimento, incidente sul suo rapporto di impiego, affetto, in ipotesi, da un 
motivo di discriminazione sindacale. 
Questa situazione � stata allegata come indicativa della possibile violazione, sul piano costituzionale, 
del principio di ragionevolezza (oltre che dell'ari. 25 Cost.). Ma la Corte costituzionale 
(C. cost., ord., n. 143 del 2003) da una parte ha avallato come praticabile la soluzione 
interpretativa - qui accolta - secondo cui "l'abrogazione della L. n. 146 del 1990, citato art. 6, 
comma 1, comporterebbe in ogni caso la devoluzione al giudice ordinario dell'azione ex art. 
28 Stat. lav. promossa dall'organizzazione sindacale, anche se tale azione incidesse, attraverso 
la richiesta di rimozione degli effetti del comportamento antisindacale, su rapporti di lavoro 
non "privatizzati", mentre il pubblico dipendente potrebbe far valere la sua situazione soggettiva 
individuale davanti al giudice amministrativo ex art. 63, comma 4, citato". 
D'altra parte ha aggiunto che tale soluzione interpretativa "implica o b1) una prevenzione del 
paventato conflitto di giudicati, attraverso il coordinamento, ex art. 295 c.p.c., dell'azione individuale 
con quella promossa dal sindacato, ovvero b2) la radicale negazione di ogni possibilit� 
di conflitto pratico di giudicati, riconoscendo la totale autonomia delle due azioni in 
quanto volte a tutelare distinte situazioni sostanziali". E pertanto - ha concluso la Corte - "del 
tutto insussistente � la violazione dell'art. 25 Cost., cos� come insussistente � la lamentata irragionevolezza 
della disciplina (ex art. 3 Cost.)". 
Non c'� quindi sulla scorta di tale specifico precedente della Corte - un'esigenza costituzionale
174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
per cui, ove la condotta antisindacale patita dal sindacato incida anche su un rapporto di impiego 
non "contrattualizzato", debba derogarsi alla regola, posta dal D.Lgs. n. 165 del 2001, 
art. 63, comma 3, della giurisdizione del giudice ordinario. 
25. In conclusione sussiste - nella controversia pendente tra le parti, di opposizione a decreto 
emesso ex art. 28 Stat. lav. - la giurisdizione del giudice ordinario pur se la denunciata condotta 
antisindacale, oggetto di tale giudizio promosso dalle associazioni sindacali opponenti nei 
confronti della Banca resistente, afferisca ad un rapporto di pubblico impiego non contrattualizzato 
qual � quello intercorrente tra la Banca ed i suoi dipendenti. 
26. Alla soccombenza consegue la condanna della Banca d'Italia resistente al pagamento delle 
spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo con 
distrazione in favore dell'avv. Giovanni Patrizi dichiaratosi antistatario. 
P.Q.M. 
La Corte, a Sezioni Unite, pronunciandosi sul ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice 
ordinario; condanna la resistente Banca d'Italia al pagamento delle spese di questo giudizio 
di cassazione liquidate in Euro 200,00 (duecento) oltre Euro 3.500,00 (tremilacinquecento) 
per onorario d'avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali, con distrazione in favore dell'avv. 
Giovanni Patrizi antistatario.
CONTENZIOSO NAZIONALE 175 
Non deducibilit� reddituale, per le societ� di capitali, 
dei compensi pagati ai propri amministratori 
Estensione del precedente oppure clamorosa svista? 
(Cassazione, Sez. V Civ., ordinanza 13 agosto 2010 n. 18702) 
SOMMARIO: 1. Il caso deciso. - 2. La questione. - 3. La risposta di Cass., sez. trib., ord. 
13 agosto 2010, n. 18702. - 4. Nota esplicativa. - 5. Precedenti giurisprudenziali. - 6. Spunti 
bibliografici. 
1. Il caso deciso 
Il sub judice pu� essere sintetizzato come segue. 
Una societ� a responsabilit� limitata, relativamente a un periodo d�imposta 
anteriore al 2004 - dunque nella vigenza del d.p.r. n. 917/1986 (T.U.I.R.) 
ante IRES -, riceveva in notifica dall�Agenzia delle Entrate un avviso di accertamento, 
il quale disconosceva la operata deduzione, ai fini impositivo-reddituali, 
dei compensi corrisposti ai propri amministratori. 
La medesima societ� contribuente si vedeva dipoi respingere il proprio 
ricorso dinnanzi al giudice tributario di prime cure, con un successivo ribaltamento 
del dispositivo, e sentenza in favore della societ� stessa, da parte della 
Commissione Tributaria Regionale di Genova. 
A fronte di ci� l�Agenzia delle Entrate, con il patrocinio dell�Avvocatura 
Generale dello Stato, ricorreva per la cassazione della pronuncia di seconde 
cure.
La tesi della Commissione Tributaria Regionale era quella per cui, in una 
con quanto sosteneva (in conformit� con il proprio operato) la societ� ricorrente, 
i compensi erogati ai propri amministratori da una societ� di capitali 
possono bens� essere dedotti da quest�ultima nella determinazione del proprio 
reddito imponibile, ma non gi� nell�esercizio individuato �per cassa� e invece 
soltanto nell�esercizio all�interno del quale si colloca (anche successivamente 
a quello della erogazione di detti compensi) la delibera assembleare ex art. 
2389 c.c. 
I Giudici della Sezione Tributaria di piazza Cavour, con l�ordinanza annotata 
ed emessa ex art. 375 n. 5 c.p.c., affermano anzitutto, sul piano del rito, 
che la non-deducibilit� tout court dei compensi in parola era stata rilevata 
nell�avviso di accertamento, sebbene non in atti processuali; il che basta, per 
la Corte stessa, ai fini del contraddittorio e dell�oggetto del processo. Tale assunto 
deriva dal fatto che � come da ultimo chiarito da Cass. Sez. Un. n. 
30055/2008 (citata dall�ordinanza in rassegna) � se � vero che il giudizio tributario 
vede per sua natura la P.A. attrice con il proprio atto impositivo poi 
impugnato dal contribuente, � altres� vero che il processo nascente dall�impu-
176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
gnazione dell�atto autoritativo d�imposizione � limitato da quest�ultimo proprio 
nel senso che l�entit� della pretesa tributaria non pu�, nel processo, avere 
una portata diversa da quella risultante dall�atto medesimo: con il che, secondo 
il Supremo Collegio, nel caso di specie sempre di diniego della deduzione dei 
compensi agli amministratori si trattava, sia che tale tesi fosse supportata dal 
richiamo al criterio di cassa anzich� di competenza, sia che alla base della tesi 
del diniego di deducibilit� vi fosse invece una negazione aprioristica e valevole 
in ogni caso, stante il contenuto della deduzione medesima. 
La causa, quindi, � decisa con ordinanza anzich� con sentenza, e senza 
pubblica udienza, anche perch� sussiste, ad avviso della Sezione Tributaria 
della Suprema Corte, una manifesta fondatezza basata su precedenti. 
La causa � decisa, quanto al merito, nel senso che - come anticipato - i 
compensi corrisposti da una societ� di capitali ai membri del proprio consiglio 
di amministrazione non sono deducibili, nella determinazione del reddito imponibile 
ad IRPEG della societ� amministrata; e ci� in base all�art. 62 T.U.I.R., 
quale vigeva ante riforma introduttiva dell�IRES (in vigore il 1� gennaio 
2004). 
2. La questione 
Concentrandoci, in questa sede, sulla questione di merito (e tralasciando 
- per economia della presente nota - quella strettamente processual-tributaria), 
il quesito di diritto, cui la pronuncia in rassegna risponde, � il seguente: sono 
deducibili, nella determinazione del reddito imponibile di una societ� di capitali, 
i compensi da questa erogati ai membri del proprio consiglio di amministrazione? 
3. La risposta di Cass., sez. trib., ord. 13 agosto 2010, n. 18702 
Il Supremo Collegio, basandosi sul precedente di Cass. n. 24188 del 2006, 
interpreta e applica l�art. 62 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (tale 
qual era fino alla riforma del 2003, in vigore dall�inizio del 2004), desumendone 
la non deducibilit�, in quanto tali, dei compensi erogati da societ� di capitali 
ai propri amministratori, membri dell�organo collegiale di gestione. 
Tale assunto di diritto si basa apertis verbis sul precedente della pronuncia 
del 2006 test� richiamata, laddove era stato affermato che i compensi in parola 
vanno equiparati a quelli corrisposti all�imprenditore [da s� medesimo], visto 
che l�amministratore, al pari dell�imprenditore, svolge per l�ente amministrato 
un�attivit� priva dei requisiti propri della subordinazione. Ed il fatto che detto 
precedente si riferisse al caso particolare dell�amministratore unico di societ� 
di capitali, mentre il caso sub judice � quello di un membro del consiglio di 
amministrazione, costituisce, secondo l�ordinanza di cui trattasi, un dato dif-
CONTENZIOSO NAZIONALE 177 
ferenziale irrilevante, stante l�univocit� au fond di un�asserita identit� di ratio. 
4. Nota esplicativa 
4.1. In tema di reddito d�impresa, l�art. 62, comma 1, T.U.I.R. - ante d.lgs. 
n. 344 del 2003 (in vigore dal 1� gennaio 2004) - dispone, in via generale, che 
�le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella determinazione 
del reddito comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo 
di liberalit� a favore dei lavoratori, salvo il disposto del comma 1 dell�art. 65�. 
Il comma 2 dell�articolo medesimo, per parte sua, cos� recita: �Non sono 
ammesse deduzioni a titolo di compenso del lavoro prestato o dell�opera svolta 
dall�imprenditore, dal coniuge, dai figli affidati o affiliati minori di et� o permanentemente 
inabili al lavoro e degli ascendenti, nonch� dei familiari partecipanti 
all�impresa di cui al comma 4 dell�art 5 �. Aggiunge, da ultimo, il 
comma in parola quanto segue: �I compensi non ammessi in deduzione non 
concorrono a formare il reddito complessivo dei percipienti�. 
Il successivo comma 3 dell�articolo stesso stabilisce a sua volta che �i 
compensi spettanti agli amministratori delle societ� in nome collettivo e in accomandita 
semplice sono deducibili nell�esercizio in cui sono corrisposti; 
quelli erogati sotto forma di partecipazione agli utili sono deducibili anche se 
non imputati al conto dei profitti e delle perdite�. 
In ordine al primo comma, si osserva in dottrina che trattasi di disposizione 
pleonastica, poich� la deducibilit� delle spese per retribuire personale 
dipendente discende dal concetto stesso di reddito d�impresa, siccome derivante 
dalle risultanze del conto economico � e pur fatte salve le variazioni in 
aumento o in diminuzione contemplate dalle norme tributarie. Da qui, non a 
caso, dipende il fatto che l�art. 62 contempla, nel suo prosieguo, taluni casilimite, 
meritevoli di apposita disciplina ai fini della determinazione del reddito 
imponibile dell�impresa erogante. 
Laddove, al suo comma 2�, la norma prevede infatti la non deducibilit� 
dei compensi di lavoro per l�opera svolta dallo �imprenditore�, essa �, per i 
pi�, da leggersi nel senso di riferirsi all�attivit� prestata dall�imprenditore erogante 
medesimo. Nel caso, cio�, della impresa individuale, a fini antievasivosimulatori 
la disciplina tributaria impedisce di portare in deduzione, nella 
determinazione del reddito imponibile, eventuali auto-compensi (c.d. �salari 
figurativi�), a se stesso corrisposti dall�imprenditore per l�attivit� da s� prestata 
nella sfera dell�impresa. Che questa sia la corretta lettura del comma 2� su citato, 
� desumibile dal fatto che il prosieguo del comma medesimo � in chiara 
omologia di ratio antievasivo-simulatoria � stabilisce la indeducibilit� di compensi 
erogati, sempre per attivit� di lavoro prestate all�impresa, ai pi� stretti 
congiunti dell�imprenditore individuale beneficiario del lavoro stesso. 
D�altronde, il su riportato comma 3� dell�art. 62 T.U.I.R., costituente la
178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
norma specificamente dedicata alle spese sostenute dall�imprenditore, non gi� 
individuale bens� collettivo, per compensare i suoi amministratori, stabilisce 
semplicemente una eccezione alla regola generale sul criterio di competenza 
nel reddito d�impresa, prevedendo la deduzione dei compensi agli amministratori 
secondo una regola (eccezionale appunto) di cassa. Ci� ancora una 
volta con finalit� di accertamento, e senza contemplare limiti alla deduzione 
in parola, nemmeno a proposito dei compensi agli amministratori-soci (a differenza 
di quanto accadeva, prima del T.U.I.R., nella vigenza del d.p.r. n. 597 
del 1973 istitutivo dell�IRPEF). 
Per evitare, poi, fenomeni di doppia imposizione, l�ultimo periodo del 
comma 2� dell�art. 62 opportunamente precisa che quei compensi di lavoro, 
corrisposti dall�imprenditore a s� medesimo e/o ai suoi familiari pi� stretti, 
senza possibilit� di deduzione ai fini reddituali, non concorrono alla formazione 
del reddito imponibile in capo ai percettori. 
Ci� detto, rimane da spiegare in rapida esegesi la ratio del riferimento, 
contenuto nel comma 3� dell�art. 62 su riportato, agli amministratori delle sole 
societ� di persone e non a quelli di societ� di capitali. Tale ratio va semplicemente 
reperita nell�assetto strutturale del T.U.I.R. ante IRES, nel senso che 
segue. L�art. 62 ivi si colloca nell�ambito delle disposizioni relative al reddito 
d�impresa nell�imposta sul reddito delle persone fisiche (artt. 49-80), laddove 
sono contemplate, oltre all�imprenditore individuale, le - redditualmente �trasparenti� 
- societ� in nome collettivo e in accomandita semplice (e ci�, per 
vero, nel preconcetto del divieto di partecipazione di societ� di capitali in societ� 
di persone, che in allora era gi� criticato dalla dottrina ma coonestato 
dalla giurisprudenza di legittimit�, non ancora superata dalla riforma societaria). 
Per quel che riguardava infatti le societ� di capitali, bisogna(va) mettere 
mano ai successivi artt. 86 e seguenti dello stesso T.U.I.R., dedicati all�imposta 
sul reddito delle persone giuridiche. Ed invero, per ci� che riguarda le societ� 
di capitali soggette all�allora vigente IRPEG (imposta sul reddito delle persone 
giuridiche), in punto di esborsi a titolo di compensi per gli amministratori 
viene in considerazione il combinato disposto di cui agli artt. 89 e 95, T.U.I.R. 
(sempre versione ante 2004), ai sensi del quale la base imponibile si determina 
semplicemente secondo le disposizioni di cui agli artt. 52-87 T.U.I.R., dettati 
in tema di reddito d�impresa soggetto ad IRPEF. Talch�, in mancanza di norma 
derogatoria sul punto, i compensi corrisposti da una societ� di capitali ai propri 
amministratori dovevano reputarsi deducibili nella determinazione del reddito 
IRPEG della societ� erogante, visto il rinvio di cui all�art. 95 (tale da equiparare 
societ� di persone e societ� di capitali). 
Questo, dunque, � il quadro delle norme rilevanti nella ordinanza in rassegna, 
in una con una sua linea significante. 
4.2. L�ordinanza in commento - come anticipato supra ai par. 1-3 -, oc-
CONTENZIOSO NAZIONALE 179 
cupandosi di un caso ante 2004 (al quale si applica il T.U.I.R. nella sua versione 
che precede l�IRES), esclude, in capo a una societ� di capitali - una s.r.l. 
in ispecie - l'ammissibilit� di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato 
o l'opera svolta dall'imprenditore, limitando la deducibilit� delle spese 
per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per lavoro dipendente e per compensi 
spettanti agli amministratori di societ� di persone. Per l�effetto, reputando 
secondaria nella fattispecie la questione della deducibilit� per cassa 
ovvero per competenza, il Collegio Supremo non consente di dedurre dall'imponibile 
il compenso all'amministratore di societ� di capitali, argomentando 
nel senso che la posizione di quest'ultimo � equiparabile, sotto il profilo giuridico, 
a quella dell'imprenditore, poich� non � individuabile, in relazione alla 
sua attivit� gestoria, la formazione di una volont� imprenditoriale distinta da 
quella della societ�, e non ricorre quindi quell'assoggettamento all'altrui potere 
direttivo, di controllo e disciplinare, che costituisce il requisito tipico della subordinazione 
� cos� come statuito dal precedente, reputato dall�Alta Corte decisivo, 
di cui a Cass., sent. n. 24188 del 2006. 
Sol che si scorra tale ultima pronuncia, ci si avvede del fatto che essa inerisce 
a un caso in cui al centro del dibattito stava la questione della compatibilit� 
o meno, in prospettiva impositivo-reddituale, della simultanea qualit� di 
amministratore unico di societ� di capitali e di lavoratore subordinato. Ad avviso 
della ulteriormente pregressa giurisprudenza, per lo pi� lavoristica, nel 
caso di �soci amministratori� si concretizza un rapporto di lavoro dipendente 
compatibile con la carica gestionale, quando l�attivit� espletata non rientra nel 
mandato ed � in forma subordinata, ossia sotto la direzione del consiglio di 
amministrazione: s� ch�, �per la configurabilit� di un rapporto di lavoro subordinato 
fra un membro del consiglio di amministrazione di una societ� di 
capitali e la societ� stessa, � necessario l�assoggettamento al potere direttivo, 
di controllo e disciplinare dell�organo di amministrazione della societ� nel suo 
complesso, nonostante la suddetta qualit� di membro del consiglio di amministrazione� 
(Cass., sent. n. 6819 del 2000). Le due qualifiche - si diceva, cio�, 
in sede lavoristica gi� prima del precedente tributario di Cass. n. 24188/2006 
- non possono coesistere in quanto, se cos� non fosse, l�amministratore unico 
sarebbe subordinato a se stesso, il che costituisce una evidente contraddizione 
in termini. 
S� che, in questa prospettiva d�identicit� tra impresa e amministratore 
unico in ottica sia laburistica sia tributaria, il compenso erogato a quegli diventa 
simile al c.d. salario figurativo (o auto-compenso), che l�imprenditore 
individuale eroga a se stesso senza possibilit� di deduzione ai fini impositivoreddituali 
(v., supra, par. 4.1). 
Ed infatti, alla luce della equiparazione laburistica tra l�attivit� gestoria 
svolta dall�amministratore unico di societ� e quella svolta dall�imprenditore, 
la Sezione Tributaria della Corte nel 2006 ha ritenuto che non � ammessa in
180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
deduzione la spesa sostenuta a titolo di compenso per il lavoro prestato e per 
l�opera svolta dall�amministratore unico di una societ� di capitali, trovando 
ci� conferma negli artt. 60 e 95 TUIR ante IRES, i quali escludono espressamente 
la deducibilit� del compenso per l�opera prestata o per il lavoro svolto 
dall�imprenditore, e non essendo configurabile - si disse apertis verbis in 
quella sentenza quattro anni or sono - il salario cosiddetto figurativo (cio� a 
dire un compenso di lavoro che l�impresa collettiva finisce col pagare a se 
stessa). 
4.3. Soltanto alla luce di un quadro quale quello fin qui tratteggiato - comprensivo 
per un verso di talune norme vigenti ante 2004 e per altro verso di 
un certo filone giurisprudenziale -, � possibile comprendere il dictum della ordinanza 
sopra riportata. 
La Corte conclude ritenendo che la sentenza impugnata, nella parte in cui 
ha riconosciuto la deducibilit� dei compensi agli amministratori membri di 
C.d.A., � ispirata a un erroneo principio di diritto, non tanto perch� i compensi 
degli amministratori di societ� di capitali siano deducibili per cassa anzich� 
per competenza, ma piuttosto, prioritariamente, perch� essi non sono affatto 
deducibili siccome tali. Non sono deducibili poich� � dice la Corte � il Supremo 
Collegio ha gi� avuto modo di statuire che l�amministratore di societ� 
di capitali, per il ruolo e l�attivit� funzionale che svolge in seno ad essa, non 
pu� essere considerato lavoratore dipendente, ma deve piuttosto essere assimilato 
allo �imprenditore� di cui all�art. 62, comma 2 secondo periodo, 
T.U.I.R. 
Va ribadito che, cos� argomentando, la S. C. va oltre il precedente che 
essa stessa asserisce essere dirimente nel caso di specie (cio� a dire Cass., sez. 
trib., n. 24188 del 2006), ed estende l�assunto ivi formulato � id est non deducibilit� 
dei compensi ad amministratori di societ� di capitali per assimilazione 
ai compensi pagati a imprenditori � anche ai casi degli amministratori (di societ� 
di capitali) non unici: e ci� in quanto che, secondo i Giudici della Sezione 
Tributaria di piazza Cavour, sussisterebbe (e lo si dice apertamente in ordinanza) 
una identit� di ratio situazionale. 
4.4. Arduo � il revocare in dubbio che l�art. 62, comma 3�, del �vecchio� 
TUIR, seppure riferito alla deducibilit� dei compensi spettanti agli amministratori 
della societ� in nome collettivo e in accomandita semplice, debba essere 
riferito anche ai soggetti IRPEG - e ci� in dipendenza del rinvio operato 
dall�art. 95 dello stesso TUIR. 
Ed invece gli � che, a leggere con attenzione la breve motivazione della 
ordinanza in rassegna - segnatamente laddove essa riprende la relazione scritta 
del Giudice Relatore -, ci si avvede del fatto che ivi si � inteso negare - proprio 
sulla scorta dell�art. 62, comma 2 - la deducibilit� di qualsivoglia compenso
CONTENZIOSO NAZIONALE 181 
erogato da societ� di capitali, anzich� di persone, ai propri amministratori. 
Qui, in effetto, l�argomento dei Giudici di piazza Cavour lascia un poco 
perplessi. 
Tuttavia - lo si osserva a scanso di equivoci in termini di asserito �errore� 
o �svista� giudiziale -, pur adottando una lettura ermeneutica estensiva dell�art. 
287 c.p.c., capace di includere nello �errore materiale� anche la svista del Giudice 
- nel senso della erronea percezione del reale inclusivo dei codici -, nel 
caso di specie resta difficile il sussumere, nella sfera di applicazione di detta 
norma, l�ordinanza de qua, se � vero come � vero che il rinvio di cui all�art. 
95 T.U.I.R. non pu� dirsi testualmente riferito al sintagma �s.n.c. e s.a.s.�, contenuto 
nell�art. 62 comma 3, nel senso di sostituire immediatamente - e non 
mediatamente - a esso il sintagma �societ� di capitali�. S� che l�ipotetico �errore� 
della ordinanza in commento - sul punto �societ� di persone/di capitali� 
- si colloca nella sfera cognitiva, e non gi� percettiva, del giudice: dunque al 
di fuori del �correggibile� ai sensi del codice di rito, ancorch� si pensi alla rettificabilit� 
degli errori e delle omissioni in una prospettiva che vada oltre il 
mero dato scritturale. 
Sotto questo aspetto, quei primi commentatori i quali divisano, nella ordinanza 
de qua, un �increscioso incidente� della Sezione Tributaria dell�Alta 
Corte (individuandone la causa efficiente in un�eccessivit� della mole di contenzioso 
fiscale da sbrigare in sede nomofilattica), lasciano piuttosto indifferenti. 
Appare, cio�, inane lo �strapparsi le vesti� (sebbene in senso figurato, 
ovviamente) come se si fosse al cospetto di uno �scandalo�, dacch� lo scandaglio 
delle cose oltre la superficie mena all�essenza della interpretazione giuridica 
in quanto tale: un�essenza per cui il diritto � fatto di norme, le quali a 
loro volta sono fatte di parole, soggette in quanto tali all�ermeneutica e al suo 
(gadameriano) �circolo� aperto. 
4.5. E� opportuno in conclusione ricordare che, con risoluzione (su interpello) 
n. 158 del 27 maggio 2002, l�Agenzia delle Entrate aveva precisato che 
l�art. 62, comma 2, �vecchio� T.U.I.R., laddove in termini d�indeducibilit� fa 
menzione dei compensi corrisposti all�imprenditore, deve essere letto come 
facente riferimento all�imprenditore individuale persona fisica, visto nel suo 
essere destinatario del compenso e nel contempo soggetto erogante. 
Trattasi del c.d. salario figurativo, od auto-compenso che dir si voglia, 
gi� (supra) menzionato. 
La Pubblica Amministrazione, cio�, aveva - in prassi del 2002 - letto 
quella norma nel senso pi� acconcio, che ritroviamo nel precedente di Cassazione 
del 2006. La visuale � quella di una ratio antievasiva dell�art. 62, comma 
3 - laddove allo �imprenditore� fa riferimento -, similmente a quanto ivi previsto 
per i compensi da lavoro erogati, dallo stesso imprenditore individuale, 
agli stretti congiunti.
182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Tutto ci� evidenzia, ancora una volta, che il �problema� della ordinanza 
in rassegna non scaturisce dal nulla ex novo, bens� risale addietro nel tempo 
lungo il filone dei dicta del Giudice di Legittimit�, se � vero come � vero che 
gi� nel 2006 (sulla scorta di quanto gi� detto prima, se pure in altra Sezione) 
la Suprema Corte aveva ragionato in termini di amministratore unico di societ� 
di capitali assimilabile allo �imprenditore� nell�alveo dell�art. 62, comma 3�, 
�vecchio� T.U.I.R. La qual cosa, per essere messa in discussione, dev�esserlo 
�storicamente� ab imis, senza per ci� la necessit� di divisare � adesso - sviste 
infortunistiche in capo all�Alta Corte, bens� concentrandosi sulla nuova estensione 
concettuale del pregresso assunto, fino a comprendervi gli amministratori 
(di societ� di capitali) non unici ma consiliari. 
Una estensione concettuale - quest�ultima - che pu� essere in effetto stridente, 
laddove essa sposti anche l�asse del discorso dall�idea dell�auto-compenso, 
o �salario figurativo�, a quella di compenso erogato a un terzo 
imprenditore. Anche qui, comunque, siamo nell�ambito della sfera cognitiva, 
e non gi� meramente percettiva, del Giudice in ordinanza. 
5. Precedenti giurisprudenziali 
Cass., Sez. trib., 12 novembre 2006, n. 24188; 
Cass., Sez. lavoro, 24 maggio 2000, n. 6819. 
6. Spunti bibliografici 
F. M. GIULIANI, La simulazione dal diritto civile all�imposizione sui redditi, 
Cedam, 2009; 
F. M. GIULIANI, Essenza dell�interpretazione, in Contratto e impresa, 
2002, p. 1362 ss.; 
F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Dike, 2009; 
F. CARINGELLA, Compendio di diritto amministrativo, Dike, 2010; 
Ag. Entrate, ris. n. 158 /E del 27 maggio 2002, a http://www.finanzaefisco.
it/agenziaentrate/cir_ris_2002/ris158-02.htm 
Avv. Federico Maria Giuliani, LL.M.* 
(*) Avvocato del libero foro di Milano, Master of Laws, gi� Professore a contratto nella Universit� 
degli Studi del Piemonte Orientale �Amedeo Avogadro�.
CONTENZIOSO NAZIONALE 183 
Corte di cassazione, Sez. Tributaria, ordinanza 13 agosto 2010 n. 18702 - Pres. Lupi, Rel. 
D�Alessandro, P.M. Iannelli - Agenzia delle Entrate (avv. gen. Stato) c. Donato & C. s.r.l. 
(avv.ti Manzi e Glendi). Sent. Comm. Trib. Reg. Liguria, Sez. 4, n. 78/07. 
(Omissis) 
FATTO E DIRITTO 
Considerato che il Consigliere relatore, nominato ai sensi dell'art. 377 c.p.c., ha depositato la 
relazione scritta prevista dall'art. 380-ter, nei termini che di seguito si trascrivono: 
"L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione 
tributaria regionale della Liguria che, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto 
il ricorso della societ� contribuente contro un avviso di accertamento per IRPEG, IVA 
E IRAP. La societ� resiste con controricorso. 
Il ricorso contiene due motivi. Pu� essere trattato in camera di consiglio (art. 375 c.p.c., n. 5) 
ed accolto, per manifesta fondatezza del primo motivo, assorbito il secondo, alla stregua delle 
considerazioni che seguono: 
Si controverte esclusivamente in ordine alla deducibilit� del compensi agli amministratori di 
societ� di capitali. Il giudice tributario - accogliendo la tesi della societ� - ha affermato che 
detti compensi sono deducibili nell'anno, pur successivo a quello di erogazione, in cui sia intervenuta 
la delibera ex art. 2389 c.c. mentre l'Agenzia, in base al disposto del D.P.R. n. 917 
del 1986, art. 62, sostiene che essi non siano nella specie deducibili. 
Il mezzo � manifestamente fondato, pur se per motivi non coincidenti con quelli sviluppati 
dalla ricorrente. 
Questa Corte ha infatti affermato che il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 62, il quale 
esclude l'ammissibilit� di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l'opera svolta 
dall'imprenditore, limitando la deducibilit� delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute 
per lavoro dipendente e per compensi spettanti agli amministratori di societ� di persone, 
non consente di dedurre dall'imponibile il compenso per il lavoro prestato e l'opera 
svolta dall'amministratore di societ� di capitali: la posizione di quest'ultimo � infatti equiparabile, 
sotto il profilo giuridico, a quella dell'imprenditore, non essendo individuabile, in relazione 
alla sua attivit� gestoria, la formazione di una volont� imprenditoriale distinta da 
quella della societ�, e non ricorrendo quindi l'assoggettamento all'altrui potere direttivo, di 
controllo e disciplinare, che costituisce il re quisito tipico della subordinazione (Cass. 
24188/06). 
La sentenza impugnata, nella parte in cui ha riconosciuto la deducibilit� del relativo costo, � 
dunque ispirata ad un erroneo principio di diritto, non perch� i compensi degli amministratori 
di societ� di capitali siano deducibili nel solo anno in cui sono corrisposti, ma perch� non 
sono affatto deducibili"; 
che la controricorrente ha depositato una memoria, contestando la possibilit� di decidere la 
causa sulla base di una questione non dedotta e comunque censurando, nel merito, il contenuto 
della relazione; 
che il collegio condivide la proposta del relatore; che, quanto alla ritenuta novit� dell'interpretazione, 
su cui la relazione si fonda, � decisivo il rilievo che essa non si basa su una quaestio 
facti non esaminata nei gradi di merito, bens� sull'interpretazione della norma della cui applicazione 
pacificamente si controverte m giudizio, cosicch� deve escludersi che si tratti di questione 
rilevata d'ufficio; 
che, d'altro canto, la circostanza che tale interpretazione non sia stata mai dedotta dall'Ufficio,
184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
segnatamente in sede di accertamento, non appare vincolante per questo Giudice, alla luce di 
quanto dedotto dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 30055/08, secondo cui "affermare, infatti, 
che nel giudizio tributario l'amministrazione finanziaria (e, adesso, l'Agenzia delle Entrate) � 
attore e che la sua pretesa � quella risultante dall'atto impugnato vuoi dire riconoscere che 
l'erario aziona una specifica pretesa impositiva - e cio� accerta un determinato debito tributario 
in capo al contribuente e ne richiede il pagamento - e che il processo che nasce dall'impugnativa 
dell'atto autoritativo �, si, delimitato nei suoi confini, quanto a petitum e causa petendi, 
dalla pretesa tributaria, ma solo nel senso che il fondamento e l'entit� di questa non possono 
avere latitudine diversa da quanto dedotto nell'atto impositivo"; 
che, sotto tale profilo, la relazione appare coerente con l'atto impositivo, contenente la ripresa 
a tassazione dei costi dedotti per i compensi agli amministratori; 
che, nel mento, appare irrilevante la circostanza che, nella sentenza citata nella relazione, si 
trattasse del compenso all'amministratore unico e non (come nella specie) ai componenti del 
consiglio di amministrazione, identica essendo nei due casi la problematica di fondo; 
che pertanto, accolto il primo motivo e dichiarato assorbito il secondo, la sentenza impugnata 
deve essere cassata; 
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa pu� essere decisa nel merito, 
con il rigetto del ricorso introduttivo; 
che, attese le ragioni della decisione, appare equo disporre l'integrale compensazione delle 
spese del giudizio. 
P.Q.M. 
la Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, 
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; 
compensa le spese dell'intero giudizio
CONTENZIOSO NAZIONALE 185 
Nota di presentazione 
I due contributi di seguito pubblicati sono stati proposti dall�avvocato dello Stato Stefano 
Pizzorno della Distrettuale di Firenze ed erano stati realizzati in vista della ripresa della 
pubblicazione della Relazione quinquennale dell�Avvocatura dello Stato. 
Il progetto di relazione � stato per ora accontonato, ma i due contributi restano e testimoniano 
la capacit� dell�Avvocatura dello Stato di trattare in modo imparziale temi sui quali 
il dibattito nella societ� civile � particolarmente vivace. 
Patti di convivenza e riconoscimento giuridico 
dei medesimi nell�ordinameno italiano 
Un cittadino neozelandese e un cittadino italiano del medesimo sesso ottenevano 
in Nuova Zelanda il riconoscimento giuridico della propria situazione 
di partner di fatto secondo quanto consentito dalla legislazione di quel 
Paese. In seguito, dopo essersi stabiliti in Italia (il cittadino neozelandese in 
virt� di un permesso di soggiorno della durata di un anno per motivi di studio) 
il cittadino neozelandese chiedeva il rilascio di un permesso di soggiorno per 
motivi familiari sulla base dell�art. 29 d.lgs 286/1998 che tra i soggetti aventi 
diritto elenca, oltre ai figli minori e, a determinate condizioni, i figli maggiorenni 
e i genitori, anche il coniuge. La Questura dichiarava irricevibile la richiesta 
e lo straniero ricorreva allora al Tribunale di Firenze. 
Il Tribunale accoglieva la domanda. Secondo il Giudice adito infatti alla 
legge neozelandese doveva attribuirsi riconoscimento anche nel nostro ordinamento 
in forza sia dell�art. 65 l. 218/1995 in tema di riconoscimento di provvedimenti 
stranieri sia in forza dell�art. 24 della medesima legge secondo cui 
i diritti che derivano da un rapporto di famiglia sono regolati dalla legge applicabile 
a tale rapporto. 
D�altro canto, secondo il giudice, l�art. 30 lett. C del T.U. sull�immigrazione 
doveva essere interpretato, secondo una lettura costituzionalmente orientata, 
allorch� fa riferimento al familiare, nel senso di ricomprendere anche il 
convivente, pena la violazione dell�art. 2 della Costituzione che tutela i diritti 
dell�uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ivi ricompreso il rapporto 
di coppia. 
Il Tribunale si basava sulla circostanza che nel nostro ordinamento la coppia 
di fatto, sia essa omo o etero sessuale, da un lato ha rilevanza sociale, dall'altro 
avrebbe ottenuto specifico riconoscimento giuridico nel nostro 
ordinamento. Inoltre essendo i rapporti di famiglia, in base all'art. 24 l. 
218/1995, regolati dalla legge applicabile a quel rapporto e trattandosi di qualificazione 
di rapporto di convivenza riconosciuto dalla legge neozelandese, 
tale riconoscimento di convivenza doveva essere efficace in virt� dell'art. 65 
della legge sopracitata, secondo cui hanno effetto in Italia i provvedimenti 
stranieri relativi all'esistenza di rapporti di famiglia. D'altro canto non potevano
186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
esserci dubbi, secondo il Tribunale, sulla circostanza che il convivente fosse 
un familiare, essendo propriamente un familiare di fatto (la ricomprensione 
del concetto di convivente nel concetto di familiare � riassunto nella dizione 
�famiglia di fatto�, cos� testualmente il Tribunale di Firenze). 
Ne conseguiva che l'art. 30 lett. C del d.lgs 286/1998 doveva essere inteso 
nel senso che il permesso di soggiorno doveva essere riconosciuto anche al 
convivente, familiare di fatto del cittadino italiano. Tale risultato era del resto 
imposto da una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2 della Costituzione 
che tutela i diritti dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali, 
tra le quali rientrerebbe anche il rapporto di coppia. 
Infine, il Tribunale poneva a sostegno della propria decisione di accoglimento 
della domanda la direttiva CE 29 giugno 2004 n. 38. Secondo il Giudice 
fiorentino, tale direttiva, determinava il diritto di soggiorno nel territorio degli 
Stati membri al partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione 
stabile debitamente attestata (art. 3, comma 2 lett b) con conseguente diritto 
al rilascio della carta di soggiorno. 
E' vero che non era ancora scaduto il termine per il recepimento della direttiva; 
peraltro, secondo il Tribunale, contenendo la medesima disposizioni 
precise e determinate ed appartenendo quindi al tipo autoesecutivo, la mancata 
scadenza del termine non era ostativa all'immediata ricezione da parte del giudice 
nazionale. 
L'Avvocatura Distrettuale di Firenze, a cui veniva immediatamente notificata 
la decisione, nei termini brevi previsti per l'impugnazione in questo tipo 
di contenziosi (art. 739 c.p.c.) proponeva immediatamente reclamo, censurando 
punto per punto le motivazioni del Tribunale. 
In primo luogo denunciava il ricorso alla cosiddetta interpretazione costituzionalmente 
orientata (secondo cui nel dubbio, tra pi� interpretazioni in 
astratto possibili, la norma deve essere interpretata nel senso conforme a Costituzione, 
secondo l'orientamento della Corte Costituzionale) della quale talvolta 
i tribunali abusano per far dire alle norme quello che in alcun modo 
potrebbero dire, in tal modo operando non una legittima interpretazione estensiva 
ma un vero e proprio stravolgimento del dettato normativo. L'Avvocatura 
sottolineava come attraverso tale prassi si invadesse il campo in realt� spettante 
al Giudice delle leggi. In particolare osservava come pi� correttamente altro 
giudice avesse sollevato questione di legittimit� costituzionale nei confronti 
della norma che vieta le espulsioni del familiare convivente con cittadino italiano 
nella parte in cui il divieto non si estende anche all'espulsione del convivente 
familiare di fatto. Al riguardo l'Avvocato estensore del reclamo 
ricordava come in quel caso la Corte, nel dichiarare manifestamente infondata 
la questione sollevata, aveva ribadito che la convivenza era un rapporto di 
fatto, privo dei caratteri di stabilit� e certezza nonch� della reciprocit� e corrispettivit� 
dei diritti e doveri che nascono soltanto dal matrimonio e sono pro-
CONTENZIOSO NAZIONALE 187 
pri della famiglia legittima (ord. 11 luglio 2000 n. 313). 
L'interpretazione operata dal Tribunale di Firenze era da considerarsi pertanto 
in contrasto con la stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale. 
Infine l'Avvocatura censurava la decisione del Tribunale anche nel punto 
in cui essa aveva fatto riferimento alla direttiva CE 38/2004. Si osservava che 
la direttiva in linea di principio avrebbe potuto trovare applicazione solo dopo 
la scadenza del termine previsto per la sua attuazione, non esistendo obbligo 
per l'autorit� amministrativa, prima di tale termine, di eseguirne le disposizioni. 
Il principio per cui le norme direttamente applicabili trovano esecuzione, 
in caso di mancata attuazione della direttiva, vale infatti solo dopo la scadenza 
del termine non prima. 
Ma sopratutto l'Avvocatura osservava come il tribunale non avesse tenuto 
conto dei considerando che costituivano parte integrante della direttiva. In 
questi infatti si poteva leggere che, ai fini della direttiva, la definizione di familiare 
avrebbe dovuto certo includere altres� il partner che aveva contratto 
un'unione registrata, ma solo qualora la legislazione dello Stato membro ospitante 
equipari l'unione registrata al matrimonio. Inoltre per preservare l'unit� 
della famiglia, la situazione delle persone che non rientravano nella definizione 
di familiari ai sensi della direttiva e che pertanto non godevano di un diritto 
automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante avrebbe 
dovuto essere esaminata sulla base della propria legislazione nazionale, al fine 
di decidere se l'ingresso e il soggiorno potevano essere loro concessi (considerando 
5 e 6). Quindi il legislatore comunitario non aveva affatto imposto, 
come aveva inteso il tribunale, la parificazione del convivente al familiare ma 
aveva salvato la specificit� dei vari diritti nazionali. 
Dopo la proposta impugnazione, il contenuto della decisione del tribunale 
si diffondeva sui media; per essere esatti, mentre in un primo momento il caso 
era rimasto all'interno del mondo giudiziario, dopo diverso tempo e quindi in 
deroga alle regole usuali del mondo giornalistico che impongono di dare risalto 
solo alla stretta attualit�, la stampa ne dava notizia. Iniziava il Foglio, seguito 
immediatamente da Repubblica (21 novembre 2006), da Libero (23 novembre 
2006) e dal Giornale (24 novembre 2006). Il Giornale della Toscana un anno 
dopo ricordava ancora la vicenda (23 dicembre 2007). Seguivano le dichiarazioni 
di vari esponenti del mondo politico che si schieravano a favore o contro 
secondo i propri principi ideologici e alcune interrogazioni parlamentari. La 
notizia si diffondeva ancora pi� largamente in numerosi siti web. Inutile dire 
che la decisione veniva di volta in volta considerata come pericolosa e inconcepibile 
ovvero come manifestazione di grande apertura e civilt�. Altrettanto 
inutile dire che attraverso l'impugnazione l' avvocato dello Stato non manifestava 
alcun giudizio sulla legittimit� morale di tali unioni e neppure sull'opportunit� 
che di esse si procedesse o meno a un riconoscimento giuridico da 
parte del legislatore; riteneva solo che la decisione del tribunale non fosse con-
188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
forme alla legge e pertanto costituisse dovere del suo ufficio proporre gravame 
contro di essa. 
Nel frattempo giungeva la decisione della Corte d'Appello di Firenze che 
accoglieva completamente l'impostazione dell'Avvocatura, revocando il decreto 
del tribunale. 
La decisione della Corte veniva allora a sua volta impugnata con ricorso 
per Cassazione che infine poneva la parola fine sulla vicenda con sentenza 
6441/09, depositata in data 17 marzo 2009, rigettando il ricorso e confermando 
quanto statuito dalla Corte d'Appello. 
Stato di rifugiato e asilo politico 
La presente relazione non ha ad oggetto un singolo caso ma, si pu� dire, 
un�intera materia in cui il contributo dell�Avvocatura dello Stato � stato decisivo. 
Si tratta del contenzioso relativo allo stato di rifugiato, previsto dalla 
Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, la quale stabilisce come requisito 
essenziale di accesso il fondato timore di essere perseguitato, occorrendo 
quindi una obiettiva persecuzione che deve essere personale e diretta nei confronti 
dell�individuo. 
Al riguardo occorre fare un passo indietro, a qualche anno fa, al momento 
in cui nel nostro Paese si registra un notevolissimo incremento del contenzioso 
in materia di rifugio politico. 
Tra le cause di tale aumento si possono annoverare varie cause: una stretta 
nel rilascio di provvedimenti di riconoscimento ad opera dell�allora Commissione 
Nazionale per lo stato di rifugiato; l�accesso al gratuito patrocinio per 
gli stranieri; infine, da non sottovalutare, il passaggio della giurisdizione amministrativa 
a quella del giudice ordinario che � giudice di pi� facile accesso. 
Come � noto infatti, a seguito dell�abrogazione dell� art. 5 del d.l. 30 dicembre 
1989 n. 416, convertito nella l. 39/90, ad opera dell�art. 46 l. 40/98, la Cassazione 
(S.U. 17 dicembre 1999 n. 907) si era espressa nel senso che la materia 
ricadeva nell�ambito della giurisdizione del giudice ordinario dovendosi provvedere 
solo al riconoscimento di uno status in relazione al quale pertanto la 
Commissione emetteva provvedimenti a carattere non costitutivo ma dichiarativo. 
Il Consiglio di Stato aveva tentato di contrastare questa impostazione 
con numerose decisioni in cui si sosteneva che la posizione del richiedente era 
pur sempre di interesse legittimo godendo l�Amministrazione comunque di 
un potere discrezionale nell�apprezzamento dei fatti rilevanti al fine di procedere 
al riconoscimento dello status di rifugiato. Tale tesi era stata in qualche 
caso sporadico fatta propria anche dal giudice ordinario (ad esempio Corte 
d�Appello di Firenze 7 marzo 2003) ma in linea di massima i giudici dei diritti 
avevano pacificamente riconosciuto la propria giurisdizione, confermata poi
CONTENZIOSO NAZIONALE 189 
dalla legge c.d. Bossi-Fini (189/2002) e dal successivo regolamento di attuazione 
(dpr 16 settembre 2004 n. 303). Attualmente la materia � regolata dal 
d.lgs. 19 novembre 2007 n. 252 che ha attuato la direttiva 2004/83/CE e dal 
d.lgs. 28 gennaio 2008 n. 25 di attuazione della direttiva 2005/85/CE. 
Il passaggio dalla giurisdizione amministrativa a quella ordinaria comportava 
talune conseguenze, legate alla diversa natura dei poteri dei due giudici. 
La giurisdizione amministrativa in materia di stato di rifugiato era infatti 
sempre stata considerata giurisdizione generale di legittimit� con la conseguenza 
che il giudice amministrativo, accertata la presenza di un vizio anche 
solo formale dell�atto con cui si respingeva la domanda diretta ad ottenere lo 
stato di rifugio, lo annullava ma la palla ritornava nel campo dell�Amministrazione 
che poteva ancora emettere un nuovo provvedimento negativo, 
emendato del vizio formale che aveva causato il precedente annullamento. Il 
giudice ordinario invece doveva entrare necessariamente nel merito del rapporto, 
concludendo il proprio esame con una decisione di riconoscimento dello 
stato di rifugiato o di rigetto della domanda. Ma ci� comportava che i vizi formali 
compiuti, per esempio nell�istruttoria o nella motivazione, diventavano 
irrilevanti. Cos� se l�atto di diniego era in ipotesi gravemente viziato sotto il 
profilo della motivazione o per la circostanza che il richiedente non era stato 
convocato per l�audizione, il giudice ordinario comunque non avrebbe potuto 
per ci� solo dichiarare che l�interessato era un rifugiato politico. Comunque 
si doveva (e deve) procedere al fine di accertare se effettivamente il soggetto 
era stato o meno perseguitato. Quindi la deduzione di vizi formali compiuti 
dall�autorit� diventava inutile. In linea di principio i giudici ordinari se la sono 
sempre cavata respingendo le deduzioni degli avvocati fondate su vizi formali 
dell�atto; in molti casi emerge per� in maniera esplicita la consapevolezza che 
il giudice ordinario � giudice non dell�atto ma del rapporto con le conseguenze 
che ne derivano. 
In secondo luogo mutava l�apprezzamento del requisito della persecuzione 
personale e diretta previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Un 
conto infatti era limitarsi a sindacare, da parte del giudice amministrativo, il 
corretto esercizio del potere discrezionale dell�Amministrazione nel valutare 
l�esistenza della persecuzione, un altro invece accertare direttamente quella 
stessa persecuzione indipendentemente dalle valutazioni operate dalla Commissione. 
Il giudice ordinario si veniva quindi a trovare dinanzi al problema 
della prova della persecuzione e come risultato del diverso approccio emergeva 
in maniera netta un principio che in giurisprudenza veniva definito dell�onere 
probatorio attenuato. Si diceva infatti che chi fugge da un Paese in circostanze 
drammatiche ben difficilmente pu� essere in grado di fornire una piena prova 
delle persecuzioni subite; pertanto il rigoroso principio previsto dall�art. 2697 
c.p.c, secondo il quale chi deduce un diritto in giudizio deve provare i fatti 
che ne costituiscono il fondamento, doveva necessariamente subire un�atte-
190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
nuazione. Il fondamento normativo di questo principio veniva ravvisato nell�art. 
1 comma 5 del dl. 416/89 convertito nella legge 39/90 che stabiliva che 
lo straniero che intendeva entrare nel territorio dello Stato per essere riconosciuto 
rifugiato doveva rivolgere istanza motivata e, in quanto possibile, documentata 
all�ufficio di polizia di frontiera. Da tale inciso �in quanto possibile 
documentata�, relativo alla domanda di rifugio, si deduceva che l�onere della 
prova a carico del richiedente risultava, nella materia di cui si tratta, stemperato, 
cio� meno rigoroso. Cos� mentre la giurisprudenza amministrativa, salvo 
talune eccezioni, si esprimeva in generale nel senso dell�onere per lo straniero 
di fornire tutte le prove necessarie a legittimare il riconoscimento dello status 
di rifugiato (Tar Lombardia Milano sez. I 17 luglio 2003 n. 3617) nella giurisprudenza 
ordinaria trovava ampio riconoscimento il diverso principio dell�attenuazione 
dell�onere probatorio. 
Sull�esatta portata del principio, cio� fino a che punto si poteva estendere 
l� attenuazione, sorgevano per� divergenze. Infatti parte della giurisprudenza 
giungeva all�attribuzione dello stato di rifugiato, prendendo in considerazione 
da un lato le dichiarazioni del richiedente, dall�altro la generale situazione politica 
del Paese di provenienza basandosi su documenti di organizzazioni internazionali 
quali ad esempio Amnesty International. In particolare si 
sosteneva (in una pronuncia ripresa da gran parte della giurisprudenza) che 
�se il racconto del richiedente appare credibile, anche in base alla notoriet� 
di fatti ed avvenimenti non strettamente personali, a questi bisogner� concedere 
il beneficio del dubbio a meno di valide ragioni in contrario (Corte d�Appello 
di Catania decreto 1/22 marzo 2002). Tale impostazione veniva 
contestata dall�Avvocatura dello Stato la quale in sede di impugnativa delle 
decisioni di primo grado dei tribunali poneva le basi per l�affermazione di un 
orientamento diverso secondo il quale, pur confermandosi il principio dell�attenuazione 
dell�onere probatorio, si richiedeva quantomeno la presenza di indizi 
gravi, precisi e concordanti per ritenere sussistente la persecuzione. 
Secondo questa nuova impostazione per quanto sia vero che, in siffatte situazioni, 
l�onere probatorio debba necessariamente atteggiarsi al ridotto grado 
di disponibilit� obiettiva delle prove, � rimane il fatto che un minimo di prova, 
che vada oltre il mero stato di verosimiglianza dell�assunto, � di per s� richiesto 
dalla legge (Corte d�Appello di Firenze 13 aprile 2004). Tale orientamento 
trovava l�avvallo della Suprema Corte che, confermando la decisione della 
Corte d�Appello che aveva negato rilevanza alle sole dichiarazioni del ricorrente 
in relazione alla situazione del Paese, osservava che in tal modo la Corte 
di merito non avrebbe imposto una diabolica prova rigorosa della persecuzione 
e che correttamente si era escluso il ricorso al �fatto notorio� in quanto lo status 
di rifugiato potrebbe spettare solo a colui che versi nel fondato timore di 
essere personalmente perseguitato (Cass. 2 febbraio 2005 n. 2091 confermativa 
di App. Firenze 12 giugno 2003). Allo stesso modo Cass. 2 dicembre 2005
CONTENZIOSO NAZIONALE 191 
n. 26277 (confermativa di App. Firenze del 13 aprile 2004) affermava che, 
pur potendosi ammettere che l�onere della prova dei requisiti dello stato di rifugiato 
fosse da valutarsi con rigore minore, non erano per� sufficienti le dichiarazioni 
dell�interessato, le attestazioni provenienti da terzi estranei al 
giudizio, il riferimento a situazioni politico-economiche di dissesto del paese 
di origine o a persecuzioni nei confronti di non specificate etnie di appartenenza 
o il richiamo al fatto notorio, non accompagnato dall�indicazione di specifiche 
circostanze riguardanti direttamente il richiedente. 
Di fronte alle difficolt� di ordine probatorio, la giurisprudenza pi� favorevole 
al riconoscimento dello stato di rifugiato cambiava strada, ricorrendo 
in modo massiccio alla figura dell�asilo politico cd. costituzionale, previsto 
dall�art. 10, 3� comma Cost. che stabilisce che lo straniero, al quale sia impedito 
nel suo paese l�effettivo esercizio delle libert� democratiche garantite 
dalla Costituzione italiana, ha diritto d�asilo nel territorio della Repubblica. 
Questa giurisprudenza a partire da un certo momento cominciava a respingere 
la domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato, fondata sugli stessi presupposti 
sui quali in precedenza si esprimeva in senso favorevole, accogliendo 
invece la domanda subordinata di concessione dell�asilo politico ex art. 10 
Cost.. Cos� mentre Trib. Firenze 10 giugno 2003 n. 27 dichiarava lo stato di 
rifugiato di un eritreo, osservando che il richiedente risultava essere membro 
del Peoples Democratic Front for the Liberation of Eritrea e che dal rapporto 
2002 di Amnesty International emergeva una situazione in Eritrea di non perfetto 
rispetto dei diritti umani, Trib. Firenze 17 dicembre 2003 n. 47 in un caso 
esattamente identico respingeva viceversa la domanda di riconoscimento dello 
stato di rifugiato per mancanza di idonei elementi di prova ma accoglieva la 
richiesta di asilo politico in quanto l�Eritrea non aveva ancora dato attuazione 
al principio del rispetto delle libert� democratiche garantite dalla Costituzione 
italiana. Allo stesso modo veniva accolta la domanda di asilo politico di un 
cittadino moldavo sulla base che nella Repubblica di Moldova secondo il rapporto 
annuale di Amnesty International vengono sottolineate violazioni all�esercizio 
del diritto di difesa, maltrattamenti da parte delle forze dell�ordine, 
trattamenti disumani nei confronti dei detenuti, utilizzo di mezzi illegali nella 
ricerca delle prove (Trib. Torino 15 ottobre 2003 n. 7070); veniva respinta la 
domanda di riconoscimento di stato di rifugiato da parte di un sudanese, venendogli 
per� concesso l�asilo politico in quanto dal rapporto di Amnesty International 
risultavano gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle parti 
in conflitto nei confronti dei civili che vivono nelle zone petrolifere del Sudan 
(Trib. Milano 9 marzo 2004 n. 3252); lo stesso accadeva nei riguardi di un palestinese 
residente in Cisgiordania di cui, respinta la domanda di rifugio, veniva 
dichiarato il diritto all�asilo politico sulla base del presupposto che 
l�occupazione israeliana di quelle aree avrebbe comportato una limitazione 
all�esercizio dei diritti fondamentali dei residenti palestinesi sotto molteplici
192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
profili in cui tali libert� si estrinsecano, quale ad esempio la libert� di circolazione, 
talvolta inibita con la imposizione di coprifuoco ed il blocco di villaggi 
e citt� (Trib. Firenze 16 novembre 2004 n. 36). 
Di fronte al nuovo indirizzo giurisprudenziale, in astratto applicabile a 
qualunque soggetto che vivesse in un ordinamento privo delle garanzie democratiche 
del nostro anche se egli in ipotesi non avesse nulla da temere dal Paese 
di provenienza, l�Avvocatura reagiva, ottenendo una serie di decisioni della 
Corte di Appello di Firenze (che trovavano anche ampio spazio sulla stampa 
non specializzata come ad esempio il Sole 24 Ore del 28 maggio 2004), che 
si pronunciava nel senso della non precettivit� dell�art. 10 3� comma Cost., 
rispolverando un orientamento che ormai si riteneva decisamente superato. 
Infatti, dopo alcune decisioni degli anni 50 del Consiglio di Stato (v. 208/52), 
che negavano la precettivit� della norma, a partire da una decisione della Corte 
d�Appello di Milano (27 novembre 1964), si era affermata l�opinione che la 
disposizione fosse immediatamente applicabile. Malgrado qualche decisione 
discordante (Trib. Roma 13 febbraio 1997) il problema sembrava definitivamente 
risolto da Cass. Sez. un. 4674/97 secondo cui la disposizione costituzionale 
affermava con sufficiente chiarezza e precisione la fattispecie del 
diritto d�asilo indipendentemente da una normativa di attuazione. Si riteneva 
che con tale decisione la Suprema Corte si fosse pronunciata chiaramente e 
definitivamente nel senso della precettivit� dell�art. 10 3� comma Cost.; essa 
veniva citata in tutte le sentenze della giurisprudenza in tema di asilo politico 
al fine di sostenere che la Costituzione attribuiva un diritto perfetto all�asilo 
allo straniero che si trovasse nelle condizioni previste dall�art. 10, cio� gli 
fosse impedito nel suo Paese l�effettivo esercizio delle libert� democratiche 
garantite dalla Costituzione italiana, per cui una legge ordinaria che stabilisse 
le condizioni per l�esercizio di quel diritto non era condizione di esistenza 
dello stesso ma solo fonte di un�eventuale disciplina di dettaglio. 
Anche la dottrina era del resto da tempo su questa posizione. 
L�orientamento della Corte d�Appello fiorentina che si poneva nel senso 
di negare la natura precettiva dell�art. 10 3� comma Cost. andava quindi contro 
giurisprudenza e dottrina pacifiche. Secondo la Corte non si vede come si 
possa seriamente fare prontezza di ospitare nel nostro striminzito e gi� stipato 
territorio tutti i popoli della terra viventi sotto sistemi democraticamente pi� 
restrittivi del nostro e che, ad occhio e croce, dovrebbero assommare a non 
meno di due o tre miliardi di potenziali ospiti (Corte Appello Firenze 16 agosto 
2004). Per i giudici fiorentini del resto la Suprema Corte nella citata decisione 
4674/97 non avrebbe affatto sostenuto integralmente il carattere precettivo 
della disposizione costituzionale; infatti avendo la Cassazione affermato che, 
in mancanza di una legge di attuazione del precetto di cui all�art. 10 comma 3 
Cost., allo straniero che chiedeva il diritto d�asilo veniva garantito solo l�ingresso 
nello Stato, a differenza del rifugiato politico a cui spetterebbe, in base
CONTENZIOSO NAZIONALE 193 
alla Convenzione di Ginevra, uno status di particolare favore, la Corte fiorentina 
ne deduceva che la Suprema Corte avrebbe affermato il carattere precettivo 
della norma solo per quanto riguardava il diritto dello straniero ad entrare 
in Italia per chiarire le proprie ragioni mentre avrebbe escluso tale carattere in 
relazione al diritto di restare una volta chiarita la sua provenienza da un regime 
meno libertario del nostro. Ne derivava, secondo la Corte, che la figurazione 
di un diritto di asilo consistente nella facolt� di entrare, ma non in quella di 
restare, sembra essere un giuoco di parole per far capire, senza dirlo, che in 
realt� il diritto di asilo democratico, come lo pensava il costituente, in Italia 
non cՏ (App. Firenze 13 aprile 2004, App. Firenze 9 maggio 2005). 
Restava da vedere cosa avrebbe detto la Suprema Corte. 
Ebbene la Corte di Cassazione, pur discostandosi formalmente dall�impostazione 
dei giudici fiorentini, che si erano espressi nel senso di negare natura 
precettiva all�art. 10 comma 3 Cost., arrivava sostanzialmente alle stesse 
conclusioni, giungendo a negare la possibilit� di invocare l�art. 10 Cost. come 
norma attributiva di un diritto a s� stante diverso dal rifugio politico. 
Secondo la Suprema Corte infatti l�art. 10 Cost. avrebbe trovato attuazione 
attraverso l�emanazione di leggi i cui destinatari sono i richiedenti 
l�asilo politico, che viene conferito con la formula del �rifugio politico�. D�altro 
canto dire che il diritto d�asilo comporta solo il diritto al rilascio di un permesso 
di soggiorno per la durata della procedura volta al riconoscimento dello 
stato di rifugiato, significa negargli totalmente qualunque contenuto, visto che 
il rilascio di tale permesso � gi� previsto dalla normativa sullo stato di rifugio. 
In altre termini apparentemente la Suprema Corte richiamava se stessa e le 
decisioni sulla precettivit� e immediata applicabililit� dell�art. 10, 3� comma 
Cost., per poi pervenire comunque alle medesime conclusioni della Corte di 
Firenze che aveva negato tali attributi alla norma costituzionale. A questo 
punto viene meno ogni distinzione tra stato di rifugio e asilo politico e quindi 
l�unico presupposto valido per ottenere protezione dal nostro ordinamento � 
esclusivamente la persecuzione personale e diretta del richiedente. 
Questa posizione veniva espressa da Cass. 25 novembre 2005 n. 25028 
(resa su App. Firenze 17 febbraio 2004), da Cass. 23 agosto 2006 n. 18353 
(su App. Firenze 16 agosto 2004), da Cass. 25 agosto 2006 n. 18549 (su App. 
Firenze 11 febbraio 2005). 
Dopo il 2006 non risultano altre pronunce, essendosi la giurisprudenza 
di merito adeguata alla Suprema Corte. 
Avv. Stefano Pizzorno* 
(*) Avvocato dello Stato.
I P A R E R I D E L 
C O M I TAT O C O N S U LT I V O 
A.G.S. - Parere del 22 ottobre 2010 prot. 324202 - avv. Fabrizio Fedeli, 
AL 6158/10. 
�Incarico di consulenza legale in via breve conferito ad avvocato dello 
Stato. Applicabilit� art. 17, comma 30, D.L. 1� luglio 2009 n. 78, convertito 
in Legge 3 agosto 2009 n. 102� 
Codesta Avvocatura Distrettuale ha domandato l�avviso della Scrivente 
in merito alla necessit� che gli incarichi conferiti dalle Universit� degli Studi 
agli avvocati dello Stato siano sottoposti al controllo preventivo di legittimit� 
della Corte dei conti. 
I commi 30 e 30 bis dell�art. 17 del D.L. n. 78 del 1� luglio 2009, convertito 
con modificazioni in legge n. 102/2009, hanno rispettivamente modificato 
il comma 1 dell�art. 3 e introdotto il comma 1 bis dello stesso art. 3 della 
Legge 14 gennaio 1994, n. 20. 
La prima modifica ha inserito: 
- alla lett. f) bis del citato art. 3 comma 1 il controllo sugli atti e contratti 
riguardanti incarichi individuali di cui all�art. 7 comma 6 del D.Lgs. n. 
165/2001, conferiti mediante �contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale 
o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata 
specializzazione anche universitaria�; 
- alla lett. f) ter il controllo su incarichi di studio, consulenza e ricerca, 
conferiti a soggetti estranei alle pubbliche amministrazioni, di cui all�art. 1 
comma 9 della Legge 23 dicembre 2005, n. 266. 
La seconda modifica ha poi previsto, al citato art. 3 comma 1 bis della L. 
n. 20/1994, per le due ipotesi suddette, la competenza al controllo �in ogni 
caso della Sezione centrale del controllo di legittimit��. 
La deliberazione n. 20/2009 della Sezione centrale del controllo aveva 
escluso che il comma 30 dell�art. 17 potesse riferirsi agli enti locali territoriali 
e alle loro varie articolazioni, nonostante la norma menzionasse genericamente
196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
le �pubbliche amministrazioni� di cui all�art. 1, 2� comma, del D.Lgs. n. 
165/2001; con la successiva deliberazione n. 24/2009, la medesima Sezione 
ha ritenuto che il controllo preventivo di legittimit� previsto dall�art. 17, 
commi 30 e 30-bis, del D.L. n. 78/2009 debba invece essere esercitato nei confronti 
degli atti e contratti riguardanti le collaborazioni coordinate e continuative 
e gli incarichi di consulenza, studio e ricerca, delle Universit� e degli altri 
enti di ricerca scientifica e tecnologica di cui alla Legge 9 maggio 1989, n. 
168. 
La questione interpretativa sottoposta alla Scrivente consiste nello stabilire 
se il controllo preventivo di legittimit� della Corte dei conti sugli incarichi 
di studio e consulenza conferiti a soggetti estranei alle pubbliche amministrazioni, 
di cui all�art. 9 comma 1 della Legge 23 dicembre 2005, n. 266, sia obbligatorio 
solo qualora il soggetto incaricato non si trovi in rapporti di pubblico 
impiego con alcuna amministrazione pubblica, oppure sia richiesto nei casi in 
cui il destinatario dell�incarico, pur essendo un pubblico dipendente, non sia 
legato da rapporto di impiego con l�Amministrazione presso la quale � stato 
conferito l'incarico. 
Ad avviso della Scrivente anche gli incarichi conferiti a dipendenti di 
Amministrazioni diverse da quella che li conferisce devono essere sottoposti 
a controllo preventivo di legittimit� della Corte dei conti. 
In tal senso depone la circostanza che l�articolo 1, comma 9, della Legge 
23 dicembre 2005, n. 266, � stato modificato prima dall'art. 27, D.L. 4 luglio 
2006, n. 223 e poi dal comma 2 dell'art. 61, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, come 
sostituito dalla relativa legge di conversione (L. 6 agosto 2008 n. 133) e con 
la decorrenza indicata nel comma 3 dello stesso articolo 61, �Al fine di valorizzare 
le professionalit� interne alle amministrazioni, riducendo ulteriormente 
la spesa per studi e consulenze� cos� da aggiungere nella parte finale 
della norma il seguente periodo: <<Nel limite di spesa stabilito ai sensi del 
primo periodo deve rientrare anche la spesa annua per studi ed incarichi di 
consulenza conferiti a pubblici dipendenti>>. 
A seguito dell�aggiunta apportata all�articolo 1, comma 9, della Legge 23 
dicembre 2005, n. 266 e della ratio dichiarata dal legislatore �di valorizzare 
le professionalit� interne alle amministrazioni, riducendo ulteriormente la 
spesa per studi e consulenze� (art. 61 comma 2 D.L. 112/2008), non sembra 
potersi escludere che le consulenze che rientrano nella sfera di applicazione 
della norma e che debbano essere sottoposte al controllo preventivo di legittimit� 
della Corte dei conti siano anche quelle conferite a pubblici dipendenti 
di amministrazioni diverse da quella che conferisce l�incarico, ivi compresi, 
quindi, gli incarichi di consulenza conferiti agli avvocati dello Stato. 
Si segnala, per quanto occorrer possa, che la Corte costituzionale con la 
sentenza n. 172/2010, nell'affrontare la questione dell'ampliamento del sistema 
del controllo preventivo di legittimit� della Corte dei conti agli atti e contratti
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 197 
di cui all'art. 7, comma 6 del D.Lgs. 165/2001, nonch� ad atti e contratti concernenti 
studi e consulenze di cui all'art. 1, comma 9 della Legge 266/2005, 
nella sua nuova formulazione introdotta dall'art. 17, commi 30 e 30-bis, del 
Decreto-Legge 1� luglio 2009, n. 78 convertito in Legge 3 agosto 2009, n. 
102, ha affermato che l'ambito soggettivo delle disposizioni contenute nelle 
lettere f) bis e f) ter dell'art. 3, comma 1, della Legge n. 20 del 1994 vede come 
destinatari esclusivamente lo Stato o le Amministrazioni centrali, palesando 
un indirizzo interpretativo diverso da quello della Sezione del controllo della 
Corte dei conti che, con deliberazione n. 24/2009, ha invece ritenuto che il 
controllo preventivo di legittimit� previsto dall�art. 17, commi 30 e 30-bis del 
D.L. n. 78/2009 si eserciti nei confronti degli atti e contratti riguardanti le collaborazioni 
coordinate e continuative e gli incarichi di consulenza, studio e ricerca, 
delle Universit� e degli altri enti di ricerca scientifica e tecnologica di 
cui alla legge 9 maggio 1989 n. 168. 
La Corte costituzionale � stata chiamata a pronunziarsi in materia dalla 
Regione Veneto, che aveva proposto la questione di legittimit� costituzionale 
dell�art. 17, commi 30 e 30-bis in esame, con riferimento agli artt. 3, 97, 100, 
114, 117, 118 e 119 della Costituzione, nell�assunto che le nuove norme dovessero 
intendersi come direttamente applicabili anche alle Regioni. 
Orbene, il Giudice delle leggi ha dichiarato inammissibile la questione 
sollevata, escludendo che l�assunto della Regione potesse essere condiviso. 
La Corte Costituzionale ha ritenuto, in particolare, che con l�inserimento 
nell�art. 3 comma 1 della L. n. 20/1994 delle lettere f-bis) e f-ter) il Legislatore 
non avrebbe inteso modificare l�ambito soggettivo delle amministrazioni i cui 
atti sono da sottoporre a controllo considerato, tra l�altro, che le due previsioni 
aggiuntive costituiscono un�ulteriore articolazione della lettera f), la quale si 
riferisce ad atti delle sole amministrazioni statali. Una diversa interpretazione, 
sempre secondo il Giudice delle leggi, risulterebbe contraddittoria con una lettura 
sistematica dell�impianto normativo in materia. 
Pertanto, nell�inviare l�atto al controllo, l�Universit� - ove lo ritenesse - 
potrebbe sollevare la questione pregiudiziale della competenza della Sezione 
richiamando il recente pronunciamento della Consulta. 
Sulla questione oggetto del presente parere � stato sentito l�avviso del 
Comitato Consultivo, che si � espresso in conformit�.
198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
A.G.S. - Parere del 25 ottobre 2010 prot. 325776 - avv. Stefano Varone, 
AL 33977/10. 
�Collocamento a riposo del personale dirigenziale. Parere in ordine all�art. 
72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 come modificato dall�art. 
17 comma 35 novies della l. 102/2009� 
Si riscontra la nota in oggetto con la quale viene richiesto parere in merito 
ai provvedimenti giudiziali che hanno disposto la reintegra di personale dirigenziale 
collocato a riposo ai sensi dell�art. 72 del decreto-legge 25 giugno 
2008, n. 112 (convertito in legge, con modificazioni, dall�art. 1, comma 1, L. 6 
agosto 2008, n. 133). 
In particolare codesta Amministrazione, premesso che alcune ordinanze, 
rese in sede cautelare, hanno disposto il reintegro in servizio di alcuni dirigenti, 
ha evidenziato: a) che gli stessi hanno comunque gi� incassato la liquidazione 
e percepito la pensione; b) che l�eventuale reintegro comporterebbe una palese 
discriminazione con i lavoratori che si sono visti negare, in sede giudiziale, lo 
stesso diritto; c) che l�esame del merito � previsto per il prossimo mese di novembre; 
d) che all�Amministrazione � stato notificato un atto di diffida ad 
adempiere entro trenta giorni. 
Si chiede pertanto parere �in merito alla linea di condotta che l�Amministrazione 
deve seguire al fine di evitare una disparit� di trattamento tra lavoratori 
nella medesima situazione e quali eventuali profili di responsabilit� penale, 
amministrativa e contabile possano profilarsi qualora l�Amministrazione dovesse 
attendere l�esito del merito dei giudizi definiti in fase cautelare�. 
Ritiene la scrivente che, per verificare i possibili comportamenti da adottare 
in seguito ai provvedimenti giudiziali, risulta opportuna una ricognizione 
della normativa regolante la fattispecie, anche al fine di valutare, in via prognostica, 
il possibile esito delle cause in sede di merito. 
Al riguardo il comma 11 dell� articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 
2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, successivamente 
modificato dall�art. 17 comma 35 novies della l. 102/2009 prevede che �Per 
gli anni 2009, 2010 e 2011, le pubbliche amministrazioni di cui all� articolo 1, 
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, 
possono, a decorrere dal compimento dell�anzianit� massima contributiva 
di quaranta anni del personale dipendente, nell�esercizio dei poteri di 
cui all� articolo 5 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, risolvere unilateralmente 
il rapporto di lavoro e il contratto individuale, anche del personale 
dirigenziale, con un preavviso di sei mesi, fermo restando quanto previsto 
dalla disciplina vigente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici. 
Con appositi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro 
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, pre-
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 199 
via deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la 
pubblica amministrazione e l�innovazione, di concerto con i Ministri dell�economia 
e delle finanze, dell�interno, della difesa e degli affari esteri, sono definiti 
gli specifici criteri e le modalit� applicative dei princ�pi della disposizione di 
cui al presente comma relativamente al personale dei comparti sicurezza, difesa 
ed esteri, tenendo conto delle rispettive peculiarit� ordinamentali. Le disposizioni 
di cui al presente comma si applicano anche nei confronti dei soggetti 
che abbiano beneficiato dell� articolo 3, comma 57, della legge 24 dicembre 
2003, n. 350, e successive modificazioni. Le disposizioni di cui al presente 
comma non si applicano ai magistrati, ai professori universitari e ai dirigenti 
medici responsabili di struttura complessa�. 
Premesso che non paiono residuare dubbi in ordine alla devoluzione al 
giudice del lavoro delle eventuali controversie correlate all�applicazione della 
norma in riferimento ai dipendenti pubblici in regime contrattuale, (trattandosi 
di questioni relative al rapporto di lavoro in relazione alle quali l�amministrazione 
agisce con poteri di natura analoga a quelli riconosciuti ai datori di lavoro 
privati), occorre prendere atto della circostanza che finora la giurisprudenza 
(anche al di fuori del foro romano) ha fornito divergenti letture in ordine ai criteri 
applicativi della disposizione. 
Secondo alcune pronunce (fra le quali si pu� citare Tribunale di Firenze, 
ord. 18 dicembre 2009) la facolt� di risoluzione deve essere esercitata dalla 
pubblica amministrazione nei limiti generali della correttezza e buona fede che 
presidiano l�esecuzione di qualsiasi contratto, nonch� nell�ambito dei principi 
costituzionali di imparzialit� e correttezza dell�azione amministrativa imposti 
dall�art. 97 cost. Ne conseguirebbe che nell�atto di risoluzione del rapporto di 
lavoro di un dirigente con incarico in corso �l�amministrazione dovrebbe 
esporre le motivate ragioni organizzative e gestionali in relazione ai processi 
di riorganizzazione generale in atto, come previsto dalle circolari e dagli atti di 
indirizzo ministeriali, che costituiscono specificazione - cui la stessa amministrazione 
si autovincola - dei criteri generali che devono presiedere all�esercizio 
di una facolt� discrezionale� (analogamente Trib. Reggio Emilia, ord. 12 gennaio 
2009). Tale tesi potrebbe trovare conforto nell�assimilazione della fattispecie 
all�istituto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il che 
consentirebbe un controllo giudiziale, sia pure estrinseco, sulle ragioni dell�interruzione 
del rapporto. 
Altre pronunce hanno invece privilegiato una diversa e pi� ampia lettura 
della disposizione. In tal senso si � affermato che la facolt� di collocamento a 
riposo non � limitata dalle ragioni organizzative e gestionali necessarie per procedere 
alla revoca degli incarichi dirigenziali secondo la disciplina del contratto 
collettivo (Tribunale Potenza, 9 ottobre 2009; nello stesso senso Trib. Roma, 
ord. 14 settembre 2009), conferendo pertanto ampia libert� alle amministrazioni.

200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Dato atto del contrasto giurisprudenziale, a parere della scrivente occorre 
considerare che la facolt� risolutoria non va a concretizzare l�esercizio di discrezionalit� 
amministrativa, bens� dei poteri del privato datore di lavoro. 
Se quindi � da escludere la legittimit� di un controllo diretto ed intrinseco 
del giudice sull�esercizio delle scelte organizzatorie dell�amministrazione esercitate 
�a monte� (in primis la determinazione degli organici), la circostanza 
che i poteri del datore di lavoro debbano essere esercitati nel rispetto dei principi 
di correttezza e buona fede (ex plurimis Cass., sez. un., ord. 23 gennaio 
2004 n. 1252), oltre che di imparzialit� e buon andamento ex art. 97 Cost., legittima 
un controllo di coerenza fra le scelte di macro-organizzazione e l�adozione 
dei provvedimenti attuativi, ivi compreso l�esercizio della facolt� 
risolutoria in questione. 
In tal senso si � d�altronde pronunciata anche la circolare del Dipartimento 
della Funzione Pubblica n. 10/208 la quale ha ritenuto �auspicabile che ciascuna 
Amministrazione, prima di procedere all�applicazione della disciplina, 
adotti dei criteri generali, calibrati a seconda delle proprie esigenze, in modo 
da seguire una linea di condotta coerente e da evitare comportamenti che conducano 
a scelte contraddittorie. Analogamente a quanto detto a proposito dei 
trattenimenti in servizio, tali criteri si configurano quale atto di indirizzo generale 
e quindi dovrebbero essere contenuti nell�atto di programmazione dei 
fabbisogni professionali o comunque adottati dall�autorit� politica�. 
Le linee generali di condotta poste in essere da codesta Amministrazione 
sono state d�altronde dettate con circolari 18 novembre 2008 e 14 settembre 
2009, ove si � espressamente fatto riferimento ad esigenze di riduzione degli 
organici nella misura indicata dalla normativa primaria. Per il futuro appare 
pertanto quantomeno auspicabile che gli atti organizzatori precedano cronologicamente 
gli atti di risoluzione dei rapporti lavorativi in quanto, se � vero 
che nell�ambito degli artt. 72 e 74 del d.l. n. 112/2008 la scansione temporale 
fra ridefinizione delle piante organiche e provvedimenti di collocamento a riposo 
non � espressamente contemplata, tuttavia la norma prevede espressamente 
che la stessa sia effettuata nell�esercizio dei poteri di cui all�articolo 5 
del decreto legislativo n. 165 del 2001; visto anche il rinvio ivi operato all�art. 
2 comma 1 del medesimo decreto legislativo, parrebbe pertanto avvalorata la 
tesi della previa necessaria adozione degli atti di rideterminazione degli organici.
Va aggiunto che il collocamento a riposo, qualora non se ne dimostri l�oggettiva 
ed indiscriminata applicazione a tutti i dipendenti che si trovino nella 
medesima situazione, potrebbe essere ritenuta in contrasto con i principi di 
garanzia della posizione dirigenziale pi� volte enfatizzati dalla Corte costituzionale, 
la quale ha sottolineato la diretta strumentalit� all�art. 97 Cost. della 
stabilit� del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici (ex plurimis Corte cost. 
23 marzo 2007, n. 103 e 24 ottobre 2008, n. 351). 
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 201 
Ci� si traduce, per quanto attiene alla gestione del contenzioso in essere, 
in primo luogo nella necessit� di comprovare, anche in sede di merito, quanto 
affermato a pag. 3 della richiesta di parere, ovverosia che tutto il personale dirigenziale 
in possesso dell�anzianit� contributiva prevista � stato collocato a 
riposo, fornendo ampio supporto probatorio a tale dato. 
In secondo luogo risulter� necessario fornire in giudizio, indipendentemente 
dall�intervenuta adozione della previa motivazione dell�atto di recesso, 
la prova della coerenza dell�atto di risoluzione con le scelte organizzatorie in 
tema di riduzione degli organici, anche tramite la produzione di degli atti formali 
successivamente adottati in tema di piante organiche. 
Per quanto attiene ai provvedimenti cautelari sfavorevoli per l�Amministrazione, 
in ordine ai quali sia esaurita la fase di reclamo (o la stessa non sia 
stata attivata nei termini), andr� verificato, caso per caso, se ricorrano i presupposti 
per poter formulare una richiesta di revoca o modifica del provvedimento 
cautelare sulla base di nuove circostanze; queste ultime possono essere 
rappresentate dall�adozione degli atti di rideterminazione della pianta organica, 
da produrre in ogni caso in giudizio al fine di dimostrare la coerenza fra le determinazioni 
assunte dall�amministrazione all�atto del collocamento a riposo 
e l�attuazione dei piani di riduzione del personale. In tale sede potrebbero 
anche essere allegate, �ad colorandum� le circostanze sottolineate da codesta 
amministrazione in merito al fatto che la reintegra riguarderebbe comunque 
soggetti, che hanno comunque gi� percepito il trattamento di fine servizio e 
iniziato a percepire il trattamento pensionistico. Si tratta infatti di profili che 
non potrebbero rilevare autonomamente quali requisiti ostativi all�esecuzione 
dei provvedimenti giudiziali, anche in ragione del fatto che una differente regolamentazione 
di analoghe situazione a seguito di pronunce giurisprudenziali 
difformi � un evento fisiologico del sistema, peraltro ben noto al legislatore 
che, non a caso, ha pi� volte provveduto a vietare l�estensione a soggetti non 
ricorrenti del giudicato su questioni favorevoli ai lavoratori. Tuttavia la deduzione 
degli stessi potrebbe indurre il giudicante, valutate le sopra delineate sopravvenienze, 
a pi� favorevoli determinazioni. 
Sempre in merito all�esecuzione dei provvedimenti cautelari, qualora l�ordine 
del giudice espressamente preveda la reintegra nel medesimo incarico, 
una possibile strada potrebbe essere quella di promuovere un incidente di esecuzione 
ex art. 669 duodecies cpc, nell�ambito del quale dedurre l�incidenza 
del provvedimento sui poteri organizzatori dell�amministrazione, sottolineando 
pertanto la necessit� che lo stesso debba essere comunque eseguito non 
gi� tramite assegnazione del soggetto alle precedenti mansioni, bens� a mansioni 
equivalenti. Ci� in considerazione del fatto che alcune disposizioni della 
contrattazione collettiva sembrano escludere un obbligo di conferimento del 
medesimo incarico. Si fa riferimento all�art. 18 del CCNL della Presidenza, 
area dirigenziale, del 4 agosto 2010, il quale, nel quadro del capo dedicato alle
202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
sanzioni disciplinari, prevede che �La Presidenza, a domanda, reintegra in 
servizio il dirigente illegittimamente o ingiustificatamente licenziato dalla data 
della sentenza che ne ha dichiarato l�illegittimit� o la ingiustificatezza, anche 
in soprannumero nella medesima sede o in altra su sua richiesta, con il conferimento 
allo stesso di un incarico di valore equivalente a quello posseduto 
all�atto del licenziamento. Al dirigente spetta, inoltre, il trattamento economico 
che sarebbe stato corrisposto nel periodo di licenziamento, anche con 
riferimento alla retribuzione di posizione in godimento all�atto del licenziamento�. 
Passando ad esaminare le possibili conseguenze in ordine alla mancata 
ottemperanza all�ordine giudiziale di reintegra, non si ritiene di poter addivenire 
a soluzioni univoche in merito ai possibili rilievi penali della vicenda. � 
vero infatti che la Cassazione, con la sentenza 27 gennaio 2005, n. 2603, ha 
escluso il ricorrere della fattispecie di cui all�art. 650 cp (Inosservanza dei 
provvedimenti dell�autorit�) �nel comportamento del datore di lavoro, destinatario 
di un ordine di reintegrazione emesso dal giudice civile in base all�art. 
18 St. lav. ovvero ex art. 700 c.p.c., che ometta di reintegrare immediatamente 
il lavoratore nel posto di lavoro�, richiamando altres� l�analogo precedente di 
cui alla Cassazione, Sez. 3�, 23 giugno 1975. Si tratta di precedenti che potrebbero 
essere valorizzati nell�ambito di ipotetici giudizi, ma, trattandosi di 
profili interpretativi non � da escludere che la giurisprudenza possa addivenire 
a differenti e pi� sfavorevoli letture delle norme di riferimento. 
Le medesime conclusioni possono valere in relazione al possibile inquadramento 
della fattispecie nell�ambito dell�art. 388 c.p. (mancata esecuzione 
dolosa di un provvedimento del giudice) l� dove, al secondo comma, individua 
la condotta penalmente rilevante nell�elusione della �esecuzione di un provvedimento 
del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che � prescriva 
misure cautelari a difesa della propriet�, del possesso o del credito�. 
L�inottemperanza penalmente sanzionata, giusto il principio di tassativit�, e il 
riferimento alle misure a difesa della propriet�, del possesso o del credito, 
sembrerebbe escludere l�applicazione al caso di specie, cos� come un comportamento 
meramente omissivo non dovrebbe essere sufficiente ad integrare la 
fattispecie, (in tal senso Cass. Sez. VI, sent. n. 879 del 6 giugno 1981: �ai fini 
della configurabilit� del reato di cui all�art. 388 cod. pen., � sempre necessario 
un comportamento attivo o commissivo diretto a frustrare o quanto meno a 
rendere difficile l�esenzione del provvedimento giudiziale, non essendo sufficiente 
un comportamento meramente omissivo� nella specie, � stato ritenuto 
proprio che l�inottemperanza dell�imprenditore alla sentenza di reintegra di 
un dipendente nel posto di lavoro non rientra nella previsione dell�art. 388 
cod. pen. Anche in tal caso tuttavia non � possibile giungere a conclusioni univoche, 
trattandosi di profili interpretativi delle norme di riferimento, ed il ragionamento 
potrebbe essere esteso in relazione alla fattispecie del rifiuto od
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 203 
omissione di atti d'ufficio di cui all�art. 328 c.p. (in ordine al quale non sembrano 
sussistere precedenti giurisprudenziali riferibili a casi analoghi a quello 
ora in esame). 
Per quanto attiene al piano prettamente civilistico, occorre considerare 
che la mancata esecuzione del provvedimento pu� legittimare l�interessato a 
formulare istanze risarcitorie. Va tuttavia precisato che il riconoscimento del 
diritto sarebbe comunque subordinato all�accoglimento nel merito del ricorso 
e che andrebbe in ogni caso detratto l�aliunde perceptum (nel caso di specie 
rappresentato dal trattamento pensionistico). Sempre in caso di esito sfavorevole 
(per l�amministrazione) non si pu� tuttavia escludere a priori la richiesta 
di ulteriori poste risarcitorie, anche a titolo di danno non patrimoniale, la cui 
eventuale condanna a carico dell�amministrazione potrebbe concretizzare un 
danno erariale. 
Il presente parere � stato adottato su delibera del comitato consultivo 
nell�adunanza del 15 ottobre 2010. 
A.G.S. - Parere del 10 novembre 2010 prot. 343835 - dott. Carmela 
Pluchino, AL 28881/10. 
�Parere in merito alla possibilit�: 1) per la societ� consortile costituita 
ai sensi dell�art. 96 del D.P.R. 554/1999 di sottoscrivere un contratto di subappalto; 
2) per il Consorzio stabile capogruppo dell�ATI aggiudicataria di 
non partecipare alla societ� consortile, costituita soltanto dalla mandante e 
da due consorziate designate in via esclusiva dal Consorzio medesimo per 
l�esecuzione dei lavori� 
Codesta Societ� ha sottoposto alla Scrivente due quesiti, coinvolgenti diversi 
profili, dettati dalla necessit� di assicurare una uniformit� di condotta a 
livello nazionale e di evitare interpretazioni della normativa di riferimento che 
possano incidere in senso riduttivo sul regime della responsabilit� e delle garanzie 
dell�aggiudicataria nei confronti della Stazione appaltante. 
1) Con il primo quesito si chiede se sia ammessa la possibilit� per la societ� 
consortile costituita per l�esecuzione unitaria dei lavori dall�ATI aggiudicataria, 
ai sensi dell�art. 96 del D.P.R. n. 554/99, di stipulare contratti di 
subappalto. 
In caso di risposta affermativa, con quali modalit� debba essere richiesta 
l�autorizzazione al subappalto alla Stazione appaltante e quali cautele debbano 
essere adottate con riferimento ai possibili inadempimenti della societ� consortile. 
La Scrivente, per le considerazioni che di seguito si espongono, ritiene che: 
204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
a) la societ� consortile costituita per l�esecuzione unitaria dei lavori appaltati 
sia legittimata a stipulare contratti di subappalto; 
b) l�autorizzazione al subappalto debba comunque essere richiesta dall�ATI 
aggiudicataria; 
c) la Stazione appaltante, autorizzando l�ATI aggiudicataria, continua ad 
essere garantita dalla stessa nel caso di eventuali inadempienze della societ� 
consortile. 
Va preliminarmente affermato che non appare condivisibile la tesi secondo 
la quale, una volta costituita la societ� consortile per l�esecuzione totale 
(o anche solo parziale) del contratto (dei lavori), questa non possa a sua volta 
affidare a terzi subappaltatori detta esecuzione, opponendosi a tale possibilit� 
il principio che vuole che �nemo in alium transferre potest plus iuris quem 
ipse habet�. 
Una volta infatti affidata alla societ� consortile l�esecuzione dei lavori, 
ancorch� detta societ� non divenga titolare del contratto d�appalto, � proprio 
la titolarit� della situazione fattuale di obbligata alla esecuzione dei lavori che 
legittima l�adozione di tutti gli strumenti idonei a realizzare il compito affidatele. 
1.a) Giova innanzitutto distinguere, da un lato, il rapporto intercorrente 
tra la Stazione appaltante e l�ATI aggiudicataria e, dall�altro, il rapporto tra 
quest�ultima e la societ� consortile costituita per l�esecuzione unitaria dei lavori.
Le associazioni o raggruppamenti temporanei di imprese rappresentano 
uno strumento di collaborazione temporanea ed occasionale tra imprese per 
la partecipazione congiunta alle procedure riguardanti gli appalti pubblici, soprattutto 
laddove � richiesto l�apporto di capacit� tecniche specialistiche, agevolando 
anche in tal modo l�accesso ad imprese di minori dimensioni. 
Ciascuna impresa collabora all�esecuzione dell�appalto mantenendo la 
propria autonomia organizzativa nell�esecuzione della quota assegnata e conservando 
la propria soggettivit� giuridica, anche per ci� che concerne gli 
adempimenti fiscali. 
Poich� la caratteristica dell�associazione temporanea � quella di non dar 
luogo ad un nuovo soggetto giuridico o nuovo centro di imputazione, � normativamente 
richiesto il conferimento di apposito �mandato collettivo� speciale 
con rappresentanza irrevocabile all�impresa capogruppo, che esprime 
l�offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti ed assume la piena ed 
esclusiva rappresentanza (processuale e sostanziale) di tutte le imprese nei 
confronti della Stazione appaltante, per tutti gli atti concernenti l�appalto fino 
all�estinzione del rapporto, compresa la riscossione del corrispettivo dovuto. 
Mentre nei confronti della Committente l�associazione si pone come soggetto 
unitario, nei confronti dei terzi permane l�individualit� della singola impresa 
e quindi pu� ipotizzarsi una limitata soggettivit� relativa del
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 205 
raggruppamento (cfr. Corte di Cassazione, 22 ottobre 2003 n. 15807). 
Una volta costituito il rapporto dunque l�impresa capogruppo, in virt� del 
mandato suindicato, rimane il solo interlocutore dell�Amministrazione appaltante 
ed � titolare di tutti i crediti nascenti dall�appalto, con obbligo di versamento 
alle imprese associate delle rispettive quote. 
L�art. 23 bis della legge 8 agosto 1977 n. 584, aggiunto con l�art. 12 della 
Legge 8 ottobre 1984 n. 687, ha consentito alle imprese riunite di costituire 
tra loro una societ� anche consortile, che subentra nell�esecuzione unitaria, 
totale o parziale, dei lavori. 
Previsione dello stesso tenore � contenuta nell�attuale Regolamento in 
materia di lavori pubblici. 
Ed invero, ai sensi dell�art. 96 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 �Le 
imprese riunite dopo l�aggiudicazione possono costituire tra loro una societ� 
anche consortile, ai sensi del libro V del Titolo V, capi 3 e seguenti del codice 
civile, per l�esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori. 
La societ� subentra, senza che ci� costituisca ad alcun effetto subappalto 
o cessione di contratto e senza necessit� di autorizzazione o di approvazione, 
nell�esecuzione totale o parziale del contratto, ferme restando le responsabilit� 
delle imprese riunite ai sensi della Legge. 
Il subentro ha effetto dalla data di notificazione dell�atto costitutivo alla 
stazione appaltante, e subordinatamente alla iscrizione della societ� nel registro 
delle imprese. 
Tutte le imprese riunite devono far parte della societ�, la quale non pu� 
conseguire la qualificazione. Nel caso di esecuzione parziale dei lavori, la societ� 
pu� essere costituita anche dalle sole imprese interessate all�esecuzione 
parziale. 
Ai soli fini della qualificazione, i lavori eseguiti dalla societ� sono riferiti 
alle singole imprese associate, secondo le rispettive quote di partecipazione 
alla societ� stessa�. 
Il �subentro� della societ� consortile opera limitatamente all�esecuzione 
dei lavori e non produce alcuna modificazione soggettiva del contratto, non 
assumendo la societ� subentrante la veste di parte contrattuale n� quella di appaltatore; 
ne � conferma l�obbligo di tutte le imprese associate di far parte 
della societ� medesima, salva l�ipotesi di esecuzione parziale. 
Con riguardo alla responsabilit� � espressamente prevista la responsabilit� 
solidale ed illimitata delle imprese riunite, che mira ad evitare l�attenuazione 
di responsabilit�, limitata al patrimonio, tipica delle societ� di capitali. 
Si evidenzia che il rinvio del comma 2 dell�art. 96 alla �legge�, ai fini 
della individuazione delle responsabilit� delle imprese riunite, � attualmente 
alla previsione contenuta nel comma 5 dell�art. 37 del Codice dei contratti 
pubblici (in precedenza l�art. 13, co. 2 dell�abrogata L. n. 109/94 e s.m.i.) che 
dispone: �L�offerta dei concorrenti associati o dei consorziati determina la
206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
loro responsabilit� solidale nei confronti della stazione appaltante, nonch� 
nei confronti del subappaltatore e dei fornitori�. 
Le peculiarit� sopra individuate comportano che nella fattispecie in esame 
interlocutore unico, esclusivo e costante della Stazione appaltante rimane l�impresa 
mandataria alla quale dovranno intestarsi, con effetto liberatorio, i pagamenti 
dovuti (cfr. Corte dei Conti, sez. contr. 30 maggio 1990, n. 32) ed alla 
quale spetta, tra l�altro, l�obbligo di dichiarare di aver preso visione dello stato 
dei luoghi. 
La giurisprudenza in materia ha chiarito che il passaggio dall�ATI alla 
societ� consortile, ossia da una forma associativa ad una societ� di capitali, 
comporta all�interno una scelta strutturale che si sovrappone alla forma associativa 
di cooperazione con mandato senza per� successione nel rapporto d�appalto 
dal momento che la societ� consortile viene impiegata come strumento 
di attuazione di una volont� diversa, specificatamente riconosciuta e regolamentata 
dalla legge (cfr. Corte di Cassazione, sentenza 4 gennaio 2001 n. 77). 
A tale riguardo nella pronuncia da ultimo indicata si legge che la societ� 
consortile mira a �consentire alle imprese riunite di realizzare le opere appaltate, 
nella forma pi� semplificata, efficiente ed organica possibile, attraverso 
uno strumento operativo utile ad assicurare unitariet� alla attivit� delle consorziate� 
rafforza ancor pi� il rapporto associativo che il consorzio di per 
s� comporta, in conformit� allo schema degli artt. 2602 e ss. c.c., e la comunione 
di scopo corrispondente alla struttura organizzativa adottata assicura 
la stabilit� necessaria a realizzare un autonomo centro di imputazione delle 
attivit� svolte, che nell�ATI difetta totalmente e si propone nel consorzio con 
attivit� esterna (Cass. 10956/1996; 441/1989) sia pure in forma semplificata 
e originale rispetto al fenomeno associativo in genere e a quello societario in 
particolare��. 
La norma di cui all�art. 96 succitato lascia infatti immutate le strutture 
dei due istituti (ATI e societ� consortile) e separate le loro aree di operativit�, 
conservando - lo si ribadisce - alla capogruppo dell�ATI il ruolo di mandataria 
nei rapporti con l�Amministrazione appaltante ed attribuendo alla societ� consortile 
quello di mera sostituzione nell�attivit� richiesta per l�esecuzione dei 
lavori, con le conseguenti obbligazioni per le consorziate beneficiarie di essa, 
disciplinate dalle norme statutarie. 
Per le considerazioni sopra espresse e tenuto conto della configurazione 
giuridica degli istituti di cui si discute, la Scrivente ritiene che la societ� consortile, 
in quanto deputata � per espressa previsione normativa � all�esecuzione 
dei lavori e quindi alla cura di tutti i rapporti giuridici con i terzi che siano 
connessi all�esecuzione stessa, sia legittimata a stipulare anche contratti di subappalto, 
rientrando gli stessi nei rapporti posti in essere dalla societ� di gestione 
con i soggetti terzi. 
Quanto affermato trova conferma, oltre che nella prassi, nella giurispru-
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 207 
denza in materia dal cui esame emergono frequenti casi di azioni monitorie 
ed esecutive esperite dai subappaltatori per conseguire il soddisfacimento dei 
propri crediti, nei confronti delle societ� consortili, la cui legittimazione passiva 
non risulta essere posta in discussione. 
A ci� aggiungasi che anche il quadro normativo di riferimento depone 
nel senso suindicato, se solo si considera il disposto dell�art. 37, comma 5, del 
Codice dei contratti che prevede la responsabilit� solidale dei concorrenti raggruppati 
o consorziati, oltre che nei confronti della stazione appaltante, anche 
�nei confronti del subappaltatore e dei fornitori�: una tale previsione si giustifica 
soltanto riconoscendo in capo alla societ� consortile la titolarit� a stipulare 
i contratti in questione; altrimenti non sarebbe stata necessaria la 
specificazione suddetta. 
1.b) D�altra parte, pur riconoscendosi la legittimazione a sottoscrivere i 
contratti di subappalto, non pu� non condividersi quanto ritenuto da codesta 
Amministrazione in ordine all� autorizzazione alla relativa stipula. 
Ed infatti la richiesta di autorizzazione al subappalto rimane di esclusiva 
competenza dell�ATI aggiudicataria, unico interlocutore della Stazione appaltante, 
anche dopo la costituzione della societ� consortile, costituente mero 
strumento operativo cui � affidata l�esecuzione unitaria dei lavori nell�interesse 
delle imprese riunite (cfr. Corte di Cassazione, 18 giugno 2008 n.16410). 
1.c) Per ci� che concerne la richiesta di indicazione delle cautele da adottare 
con riferimento ai possibili inadempimenti della societ� consortile, per 
quanto sopra evidenziato la Stazione appaltante, autorizzando l�ATI aggiudicataria, 
continua ad essere garantita dalla stessa nel caso di eventuali inadempienze 
della societ� consortile, che � come ribadito � quale mero strumento 
operativo non ha alcun rapporto diretto con la Committente. 
Ed invero la norma dell�art. 96 suindicato espressamente � come gi� evidenziato 
� fa salve �le responsabilit� delle imprese riunite ai sensi della 
legge�. 
Pertanto, la configurazione giuridica sopra prospettata non pregiudica in 
alcun modo il regime della responsabilit� diretta dell�aggiudicataria per eventuali 
inadempimenti nei confronti della Stazione appaltante. 
2) Il secondo quesito sottoposto alla Scrivente concerne la necessit� o 
meno della partecipazione del Consorzio stabile, capogruppo dell�ATI aggiudicataria, 
alla societ� consortile di cui al succitato art. 96, costituita nel caso 
di specie soltanto dalla mandante e da due consorziate designate in via esclusiva 
per l�esecuzione dei lavori dal Consorzio stesso (che in sede di gara ha 
dichiarato di concorrere per quattro consorziate). 
Si richiede poi di rappresentare le eventuali implicazioni in punto di qualificazione 
delle imprese consorziate indicate per l�esecuzione ove il consorzio 
concorrente non esegua poi concretamente, come nel caso di specie, i lavori. 
La Scrivente ritiene che:
208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
a) nel caso di Consorzio stabile che concorre per una o pi� imprese consorziate 
� consentita la partecipazione alla societ� consortile costituita dall�ATI 
aggiudicataria (di cui il Consorzio fa parte con qualifica di capogruppo) delle 
sole imprese consorziate individuate quali esecutrici in via esclusiva dei lavori;
b) se si fa riferimento alla qualificazione ai fini della partecipazione alla 
gara, la stessa � disciplinata dalle specifiche norme in materia. Se invece ci si 
riferisce all�acquisizione della qualificazione per le imprese consorziate indicate 
in esclusiva come esecutrici dei lavori, a seguito dell�espletamento dei 
lavori stessi, sembrerebbe logico ritenere che la relativa qualificazione sia limitata 
alle stesse. 
2.a) Al fine di rispondere al primo punto del secondo quesito giova richiamare 
i referenti normativi in materia, ossia, per quanto concerne la disciplina 
dei �Consorzi stabili�, l�art. 36 del Codice dei contratti e gli artt. 96 e 97 
dell�attuale Regolamento. 
A tale riguardo il comma 4 dell�art. 96 del Regolamento attualmente in 
vigore prevede che �Tutte le imprese riunite devono far parte della societ�, la 
quale non pu� conseguire la qualificazione. Nel caso di esecuzione parziale 
dei lavori, la societ� pu� essere costituita anche dalle sole imprese interessate 
all�esecuzione parziale�. 
Il dettato normativo non esclude per� delle differenziazioni determinate 
dalle peculiarit� della fattispecie in esame. 
Ed infatti per il Consorzio stabile che ha dichiarato di concorrere per quattro 
consorziate, delle quali due soltanto poi indicate come esecutrici in via 
esclusiva dei lavori appaltati, si ritiene legittima la partecipazione alla societ� 
consortile (costituita dall�ATI aggiudicataria) delle sole consorziate esecutrici, 
per le ragioni che di seguito si espongono. 
Innanzitutto in linea generale si pu� ritenere, per quanto riguarda la partecipazione 
dei Consorzi alle gare, che solo a quelli di cui alle lettere b) e c) 
dell�art.10 della Legge quadro (ora art. 34 del Codice dei contratti), rispettivamente 
i Consorzi fra societ� cooperative di produzione e lavoro e i Consorzi 
stabili, � consentito indicare per quali consorziati concorrere; mentre per gli 
altri, caratterizzati da minore consistenza organizzativa, non � ipotizzabile una 
partecipazione parziale che farebbe venir meno il vincolo della organizzazione 
comune e conseguentemente quello della responsabilit� solidale. 
Ci� anche in considerazione del fatto che il Consorzio stabile si caratterizza 
per la maggiore stabilit� dell�organizzazione assunta statutariamente e 
per una struttura pi� complessa e duratura che vede la partecipazione in molti 
casi di una pluralit� di imprese consorziate, di cui alcune soltanto deputate 
alla fase esecutiva dei lavori. 
Diversamente, le associazioni o raggruppamenti temporanei di imprese 
rappresentano uno strumento di collaborazione temporanea ed occasionale tra
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 209 
imprese per la partecipazione congiunta alle procedure degli appalti pubblici. 
Conseguentemente, tenuto conto che la societ� consortile, per espressa 
previsione normativa, viene costituita esclusivamente �per l�esecuzione unitaria, 
totale o parziale dei lavori�, (limitatamente all�ipotesi di partecipazione 
all�ATI di Consorzio stabile) � da ritenersi legittimo che ne facciano parte soltanto 
le consorziate deputate in via esclusiva all�esecuzione delle prestazioni 
contrattuali. 
Pi� specificatamente, dal combinato disposto dell�art. 97 del Regolamento 
e dell�art. 36, co. 2 del Codice emerge che, nell�ipotesi in cui i lavori 
vengano eseguiti in proprio da parte del Consorzio stabile, questo sar� direttamente 
responsabile, mentre nella diversa ipotesi dell�esecuzione dei lavori 
per il tramite dei singoli consorziati, anche questi ultimi saranno responsabili 
in solido per mezzo del fondo consortile. 
Pertanto, nel caso in cui il Consorzio aggiudicatario esegua i lavori per il 
tramite di singole imprese consorziate, il regime delle responsabilit� non viene 
pregiudicato, quanto addirittura rafforzato. 
Sotto altro profilo, con riferimento alle garanzie per i subappaltatori, le 
medesime non sono intaccate dalla mancata partecipazione alla societ� consortile 
del Consorzio in quanto tale, poich� detto Consorzio quale componente 
dell�ATI aggiudicataria, a norma dell�art. 37 co. 5 del Codice dei contratti, � 
solidalmente responsabile �nei confronti della stazione appaltante, nonch� nei 
confronti del subappaltatore e dei fornitori�. 
Tanto premesso, con riferimento al caso di specie, si ritiene legittima la 
partecipazione alla societ� consortile, oltre che della mandante, delle due sole 
consorziate indicate come esecutrici in via esclusiva dei lavori appaltati. 
2.b) Infine codesta Amministrazione chiede alla Scrivente �di rappresentare 
le eventuali implicazioni in punto di qualificazione delle imprese consorziate 
indicate per l�esecuzione ove il consorzio concorrente non esegua poi 
concretamente, come nel caso di specie, i lavori�. 
Il quesito come formulato non � chiaro. Se si fa riferimento alla qualificazione 
ai fini della partecipazione alla gara, la stessa � disciplinata dettagliatamente 
dalle norme di cui agli artt. 36 del Codice dei contratti e 97 dell�attuale 
Regolamento. 
Se invece ci si riferisce all�acquisizione della qualificazione per le imprese 
consorziate indicate in esclusiva come esecutrici dei lavori, a seguito 
dell�espletamento dei lavori stessi, sembrerebbe logico ritenere che la relativa 
qualificazione sia limitata alle stesse. 
Riassumendo, si ritiene dunque, con riferimento al primo quesito, che: 
a) la societ� consortile costituita ai sensi dell�art. 96 del D.P.R. 554/99 
per l�esecuzione unitaria dei lavori appaltati sia legittimata a stipulare contratti 
di subappalto; 
b) l�autorizzazione al subappalto debba comunque essere richiesta dal-
210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
l�ATI aggiudicataria; 
c) la Stazione appaltante, autorizzando l�ATI aggiudicataria, continua ad 
essere garantita dalla stessa nel caso di eventuali inadempienze della societ� 
consortile. 
Con riferimento al secondo quesito, che: 
a) nel caso di Consorzio stabile che concorre per una o pi� imprese consorziate 
� consentita la partecipazione alla societ� consortile costituita dall�ATI 
aggiudicataria (di cui il Consorzio fa parte con qualifica di capogruppo) delle 
sole imprese consorziate individuate quali esecutrici in via esclusiva dei lavori; 
b) la qualificazione ai fini della partecipazione alla gara � disciplinata 
dalle norme sopra richiamate. L�acquisizione della qualificazione per le imprese 
consorziate indicate in esclusiva come esecutrici dei lavori, a seguito 
dell�espletamento dei lavori stessi, � da ritenersi limitata alle stesse. 
Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo che si � espresso in 
conformit�. 
A.G.S. - Parere del 20 novembre 2010 prot. 358596/599/600 e Parere 
del 21 febbraio 2011 prot. 61323/40, avv. Marina Russo, AL 7530/06. 
�Rivalutazione indennit� integrativa speciale ex art. 2 comma 2 Legge 
25 febbraio 1992 n. 210� 
L�Amministrazione in indirizzo ha sottoposto alla Scrivente un quesito 
avente ad oggetto le modalit� di esecuzione delle sentenze (si intende, ormai 
definitive, in quanto a suo tempo non impugnate per le note ragioni di economicit�) 
che � nel riconoscere il diritto alla corresponsione della rivalutazione 
della componente dell�indennizzo in oggetto commisurata all�IIS � utilizzino 
formule tali da lasciare adito alla possibilit� che il giudicato si estenda anche 
a periodi successivi alla data di deposito della sentenza. 
A tale riguardo, si espongono le seguenti considerazioni. 
Occorre prendere le mosse dalla norma di cui all�art. 11, commi 13 e 14, 
del D.L. 78 del 31 maggio 2010 conv. in L. 30 luglio 2010 n. 122 con la quale 
il legislatore � adeguandosi all�interpretazione resa dalla pi� recente giurisprudenza 
di legittimit� (sent. 22112/09) � ha stabilito: �13. Il comma 2 dell'articolo 
2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni si 
interpreta nel senso che la somma corrispondente all'importo dell'indennit� 
integrativa speciale non � rivalutata secondo il tasso d'inflazione. 14 Fermo 
restando gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato, per i periodi da 
esse definiti, a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto cessa 
l'efficacia di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 211 
comma 13, in forza di un titolo esecutivo. Sono fatti salvi gli effetti prodottisi 
fino alla data di entrata in vigore del presente decreto�. 
I �provvedimenti� cui la norma stessa fa riferimento sono - evidentemente 
- quelli, adottati dall�Amministrazione in esecuzione della Direttiva Ministeriale 
dell�8 aprile 2008, in base ai quali la stessa non solo ha disposto la rivalutazione 
dell�IIS, ma ne ha anche esteso la corresponsione oltre i limiti 
temporali dei periodi coperti dalle sentenze a s� sfavorevoli in materia, al solo 
fine di evitare la proliferazione di contenziosi ripetitivi dall�esito certamente 
sfavorevole ed il conseguente aggravio di spese. 
Nel parere del 29 dicembre 2009 (*) - reso dalla Scrivente sulla scorta del 
r�virement giurisprudenziale di cui alla richiamata sentenza n. 22112/09 
(quindi ancor prima dell�entrata in vigore dell�art. 11 cit.) - si invitava l�Amministrazione 
in indirizzo a limitare sin da subito l�esecuzione dei giudicati 
�al solo periodo espressamente coperto dalla sentenza�, raccomandandole di 
desistere dalla prassi applicativa consolidatasi sul fondamento della suddetta 
Direttiva. 
L�Amministrazione comunque, dal canto suo, ha recentemente assicurato 
per le vie brevi di aver disposto, a partire dalla data di entrata in vigore del 
D.L. 78/10, anche la sospensione degli adeguamenti disposti in esecuzione di 
decisioni il cui tenore sia tale da renderle potenzialmente idonee a produrre 
effetti estesi al tempo successivo alla relativa pronuncia. 
Si tratta, ora, di individuare quale sia la condotta da tenere a fronte di pronunzie 
in cui vengano utilizzate espressioni quali quelle esemplificate nella 
nota in riferimento (�� a far data dal �� �ratei maturandi�, �ratei futuri�, 
�per i periodi a seguire�, �a vita�), le quali suggeriscono un�ultrattivit� del 
giudicato, estesa - cio� - a periodi successivi alla data di proposizione della 
domanda giudiziale. 
Ci�, al fine di valutare in quali situazioni debba ritenersi cessata l�efficacia 
dei provvedimenti amministrativi che accordano l�adeguamento dell�IIS 
sulla base di un titolo esecutivo. 
Al riguardo, appare prima di tutto opportuno affrontare, nell�ambito della 
casistica segnalata, la fattispecie della condanna alla corresponsione dell�adeguamento 
sui ratei �a far data dal...� (o simili, ad esempio �a decorrere dal 
��) nella quale � cio� � sia stabilito solo il dies a quo del diritto, e non anche 
un dies ad quem, oltre il quale il giudicato non potrebbe, comunque, estendere 
i propri effetti. 
Per un�eventualit� del genere, in linea di massima sembra potersi ragionevolmente 
sostenere � tanto in sede amministrativa quanto, se del caso, giurisdizionale 
(segnatamente, di opposizione all�esecuzione) � che il giudicato 
(*) V. Rass., 2010, I, 210-213.
212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
sia da intendere nel senso che i suoi effetti, in difetto di esplicita statuizione 
di segno contrario, non possano estendersi al di l� del periodo che, di norma, 
si presume sottoposto all�attenzione del giudice. 
Tale periodo �, di regola, quello anteriore alla presentazione della domanda, 
(�La pronuncia giurisdizionale di condanna del convenuto a un fare 
o un dare, anche se riferibile a rapporti c.d. <<di durata>>, produce, di 
norma, i suoi effetti per le prestazioni anteriori al periodo di presentazione 
della domanda e non per quelle relative al periodo successivo, pur non potendosi 
escludere che una pronuncia giurisdizionale, emanata in conformit� 
della domanda proposta dalla parte quando ci� sia ammesso dall'ordinamento, 
possa statuire in relazione allo svolgimento del rapporto fino alla data 
della pronuncia ovvero anche alla situazione ulteriore�� Sez. L, Sentenza n. 
7487 del 5 giugno 2000). 
Se la regola � che il giudice conosce del solo periodo antecedente la domanda, 
e solo in via eccezionale di quello successivo (cio� fino al deposito 
della sentenza o addirittura oltre), allora se ne pu� ragionevolmente desumere 
che � in mancanza di diversa espressa statuizione � la sentenza si debba interpretare 
in accordo con il suddetto principio: pertanto, se sia indicata solo la 
decorrenza (dies a quo) del diritto, ma non anche il dies ad quem, deve ritenersi 
che il giudice abbia inteso limitare la sua pronuncia solo al tempo anteriore 
alla proposizione della domanda. 
Ne discende che i provvedimenti amministrativi che, sulla base di sentenze 
del descritto tenore, abbiano disposto l�adeguamento dell�IIS sine die, 
potranno - in base all�art. 11 comma 14 cit. - essere considerati inefficaci sin 
dalla data di entrata in vigore del D.L. 78/10. 
Nei casi in cui la sentenza si riferisca apparentemente, mediante formule 
del tipo �ratei maturandi�, �ratei futuri�, �per i periodi a seguire�, �a vita� 
anche ad un tempo successivo alla data della domanda giudiziale che, come 
detto, rappresenta di regola il confine temporale del periodo conosciuto dal 
giudice, si osserva quanto segue. 
L�interpretazione che ritenesse preclusa al Legislatore la possibilit� di 
disporre del diritto in presenza di una condanna in futuro apparirebbe di dubbia 
costituzionalit�, anche nell�ottica di un corretto riparto di competenze tra i poteri 
dello Stato. 
Inoltre, la giurisprudenza di legittimit�, in tema di diritti nascenti da rapporti 
di durata, chiarisce che il giudicato ha come presupposto il principio 
rebus sic stantibus, (�In ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni 
periodiche che eventualmente ne costituiscono il contenuto, sui quali il 
giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze 
destinate ad esplicarsi anche in futuro, l�autorit� del giudicato impedisce 
il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione 
di quelle gi� risolte con provvedimento definitivo, il quale pertanto esplica la
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 213 
propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l�unico 
limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale 
del rapporto o ne modifichi il regolamento� (ex multis, Cass. Lav. 
15931/04); con specifico riferimento alle obbligazioni di durata aventi ad oggetto 
un dare o un fare periodico: �La pronuncia giurisdizionale di condanna 
del convenuto a un fare o un dare, anche se riferibile a rapporti c.d. <<di durata>>, 
produce, di norma, i suoi effetti per le prestazioni anteriori al periodo 
di presentazione della domanda e non per quelle relative al periodo successivo, 
pur non potendosi escludere che una pronuncia giurisdizionale, emanata 
in conformit� della domanda proposta dalla parte quando ci� sia ammesso 
dall'ordinamento, possa statuire in relazione allo svolgimento del rapporto 
fino alla data della pronuncia ovvero anche alla situazione ulteriore. Pertanto 
� non � configurabile un unico rapporto giuridico fondamentale che colleghi 
i debiti relativi dei diversi periodi, onde la diversit� dei periodi, pur nella 
identit� dei termini di riferimento e di connotazione del rapporto, basta a far 
configurare quali diversi i rapporti contributivi ad essi afferenti; sicch� il giudice 
del primo giudizio non pu� stabilire, con efficacia di giudicato, che le 
norme sottoposte al suo esame debbano essere interpretate nel senso che 
anche per il futuro l'obbligo contributivo si atteggia in un determinato modo, 
giacch� per questa parte egli giudicherebbe di un rapporto del quale non si 
sono ancora realizzati tutti i presupposti, e pertanto in assenza di un interesse 
delle parti alla relativa pronunzia� (Cass. lav. n. 7487/00). In considerazione 
di quanto sopra, si ritiene che le formule �ratei maturandi�, �ratei futuri�, 
�per i periodi a seguire�, �a vita� e simili devono essere univocamente interpretate, 
escludendo l�ultrattivit� del giudicato rispetto allo ius superveniens. 
Si dovr� quindi sostenere, fino all�eventuale consolidarsi di un diverso 
orientamento giurisprudenziale, che in questi casi, a prescindere dalla formula 
adottata nel giudicato, a far data dall�entrata in vigore del D.L. 78/10, conv. 
in l. 122/10, la rivalutazione della IIS sui ratei di pensione ex L. n.210/92 non 
� pi� dovuta. 
Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo, che si � espresso 
in conformit�. 
*********** 
Con nota in data 24 gennaio 2011 n. 2576, il Ministero della Salute ha richiesto 
il parere della Scrivente in merito ad una questione sorta a seguito 
dell�entrata in vigore della norma di cui all�art. 11, commi 13 e 14, del D.L. 
78 del 31 maggio 2010 conv. in L. 30 luglio 2010 n. 122, con il quale il legislatore 
� adeguandosi all�interpretazione resa dalla pi� recente giurisprudenza 
di legittimit� (sent. 22112/09) � ha stabilito: �13. Il comma 2 dell'articolo 2 
della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni si interpreta 
nel senso che la somma corrispondente all'importo dell�indennit� integrativa 
speciale non � rivalutata secondo il tasso d�inflazione. 14. Fermo restando
214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato, per i periodi da esse definiti, 
a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto cessa l'efficacia 
di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al 
comma 13, in forza di un titolo esecutivo. Sono fatti salvi gli effetti prodottisi 
fino alla data di entrata in vigore del presente decreto�. 
In particolare, secondo il Ministero dell�Economia e Finanze � Dipartimento 
dell�Amministrazione generale del personale e dei Servizi, ai soggetti 
che abbiano ottenuto sentenze favorevoli, recanti il riconoscimento del diritto 
alla rivalutazione dell�IIS, dovrebbe continuare a corrispondersi l�indennizzo 
comprensivo dell�adeguamento dell�IIS maturato al 31 maggio 2010, senza 
tuttavia ulteriormente rivalutare � dopo tale data � la suddetta IIS: in definitiva, 
si escluderebbe la spettanza di adeguamenti in futuro, ma si darebbe per acquisito 
una volta per tutte il diritto alla rivalutazione maturata al 31 maggio 2010. 
Ad avviso del Ministero della Salute, invece, i ratei di indennizzo maturati 
dopo la data del 31 maggio 2010 devono essere corrisposti senza alcun adeguamento 
dell�IIS, nel senso che essi devono essere ricondotti all�importo originario, 
analogo a quello corrisposto alla generalit� dei titolari di indennizzo, 
che non abbiano mai ottenuto sentenze favorevoli. 
La Scrivente, richiamando il contenuto dei precedenti pareri nn. 358600 
del 20 novembre 2010 e 391864 del 29 dicembre 2009 indirizzati a codesto 
Ministero dell�Economia e Finanze � Dip.to Ragioneria Generale dello Stato 
ed allegati per comodit�, ritiene che la soluzione corretta sia quella prospettata 
dal Ministero della Salute, per i motivi qui di seguito esposti. 
La norma di cui all�art. 11 cit. ha natura interpretativa. Ci� sta a significare 
che, mediante la stessa, il legislatore ha inteso esplicitare il significato fin dall�inizio 
insito nella norma interpretata. 
Ne consegue che � fatti salvi, per espressa previsione normativa (comma 
14 dell�art. 11 cit.), gli effetti �esplicati da sentenze passate in giudicato, per 
i periodi da esse definiti� � (vale a dire gli adeguamenti corrisposti in passato, 
limitatamente ai periodi interessati da sentenza), per il futuro l�indennizzo 
dovr� essere quantificato avendo riguardo al significato della norma vigente, 
cos� come esplicitato dalla legge di interpretazione, tornando � quindi � inevitabilmente 
all�importo originario, del quale non si dovranno pi� effettuare 
adeguamenti. 
Diversamente, si finirebbe con l�attribuire alle sentenze favorevoli ai percettori 
di indennizzo (peraltro rese sulla base di un�interpretazione normativa 
la cui esattezza � stata smentita dal legislatore del D.L. 78/10) un�ultrattivit� 
non contemplata dalla norma di cui all�art. 11 comma 14 che, infatti, fa salvi 
unicamente gli effetti �esplicati�- evidentemente per il pregresso - �da sentenze 
passate in giudicato per i periodi da esse definiti�; si continuerebbe - 
insomma - a corrispondere un incremento che non ha pi� titolo n� nella sentenza 
(i cui effetti sono fatti salvi limitatamente ai periodi da essa definiti), n�
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 215 
nella legge interpretata autenticamente; si violerebbe altres� la norma di cui 
allo stesso comma 14, che prevede la cessazione dell� �� efficacia di provvedimenti 
emanati al fine di rivalutare la somma di cui al comma 13, in forza di 
un titolo esecutivo�, estendendone gli effetti anche ad epoca successiva all�entrata 
in vigore del D.L. 78/10; si introdurrebbe - infine - una disparit� di trattamento, 
non voluta dal legislatore, fra quanti abbiano beneficiato in passato 
di sentenze favorevoli (i cui effetti peraltro non valgono a coprire anche il futuro, 
come illustrato nel precedente parere della Scrivente di cui alla nota prot. 
358596, approvato dal Comitato Consultivo in data 20 novembre 2010), rispetto 
a quanti non abbiano ottenuto analoghe pronunce e percepiscano pertanto, 
oggi, l�indennizzo senza adeguamento dell�IIS. 
Deve pertanto cessare la corresponsione dell�adeguamento maturato al 
31 maggio 2010. 
Quanto, poi, alle somme indebitamente erogate a far data dal 31 maggio 
2010 all�attualit�, si ritiene che le stesse costituiscano indebito oggettivo, da 
ripetersi mediante ritenuta periodica. 
Peraltro, considerata l�attuale pendenza di tre distinti giudizi di legittimit� 
costituzionale (ct 49976/10, 4100/11 e 5098/11, avv. Marina Russo) aventi ad 
oggetto l�art. 11 D.L. 78/10, si consiglia, per evidenti ragioni di opportunit�, 
di soprassedere allo stato alla ripetizione dell�indebito, fino all�esito dei suddetti 
giudizi. 
I tempi di definizione di questi ultimi, peraltro, sono prevedibilmente contenuti, 
sicch� nelle more non dovrebbero verosimilmente maturare i termini 
della prescrizione. 
Tuttavia, ad abundantiam, si raccomanda fin d�ora di curare l�interruzione 
dei suddetti termini nella non creduta ipotesi in cui la questione - contrariamente 
a quanto oggi pare - dovesse protrarsi a lungo. 
Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo, che si � espresso 
in conformit�. 
A.G.S. - Parere dell�11 dicembre 2010 prot. 382915/16 - avv. Giuseppe 
Albenzio, AL 33906/10. 
�Controlli sulle restituzioni all�esportazione dei prodotti agricoli. Art. 11 
Reg. CE 485/2008� 
Codesta Agenzia delle Dogane chiede parere in merito alla ripartizione 
delle competenze con l�AGEA, istituita come �servizio specifico� ai sensi 
dell�art. 11 Reg. CE 4045/1989 (confermato dall�art. 11 Reg. CE 485/2008), 
e in particolare sulla competenza di quest�ultima ad effettuare valutazioni sulle
216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
richieste di Mutua assistenza amministrativa rivolte dall�Agenzia delle Dogane 
agli altri Stati membri, ai sensi dell�art. 7, par. 4, Reg. 485/2008. 
Questa Avvocatura Generale, sentita l�Agenzia delle Dogane e l�AGEA, 
ritiene quanto segue. 
Il citato art. 11 Reg. CE dispone: �1. In ciascuno Stato membro, un servizio 
specifico � incaricato di seguire l�applicazione del presente regolamento e 
a) l�esecuzione dei controlli previsti da parte di agenti alle dirette dipendenze 
di tale servizio, o 
b) il coordinamento dei controlli effettuati da agenti che dipendono da 
altri servizi. 
Gli Stati membri possono altres� prevedere che i controlli da effettuare 
in applicazione del presente regolamento siano ripartiti fra il servizio specifico 
e altri servizi nazionali, semprech� il primo ne assicuri il coordinamento. 
2. Il servizio o i servizi incaricati dell�applicazione del presente regolamento 
devono essere organizzati in modo da essere indipendenti dai servizi o 
da sezioni di essi incaricati dei pagamenti e dei controlli che li precedono. 
3. Per garantire la corretta applicazione del presente regolamento, il servizio 
specifico di cui al paragrafo 1 prende tutte le iniziative e le disposizioni 
necessarie. 
4. Il servizio specifico vigila inoltre: 
a) alla formazione degli agenti nazionali incaricati dei controlli di cui al 
presente regolamento, affinch� acquisiscano le nozioni necessarie all�espletamento 
dei loro compiti; 
b) alla gestione delle relazioni di controllo e di tutta la documentazione 
in rapporto con i controlli effettuati e previsti in applicazione del presente regolamento; 
c) alla redazione e alla comunicazione dei rapporti di cui all�articolo 9, 
paragrafo 1, come anche dei programmi di cui all�articolo 10 �. 
In attuazione, sono stati adottati: 
- il d.m. 1 aprile 1996, il quale all�art. 1, dispone che: �1. I controlli da 
effettuare a norma del regolamento CEE n. 4045/89 sono espletati dal: 
Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali avvalendosi del 
personale della Direzione generale delle politiche comunitarie e internazionali 
e del Corpo forestale dello Stato, per quanto concerne gli interventi di mercato; 
Ministero delle finanze avvalendosi del personale del Dipartimento delle 
dogane e imposte indirette - Direzione centrale servizi doganali, e delle direzioni 
compartimentali delle dogane e imposte indirette, per quanto concerne 
le restituzioni all'esportazione� 
all�art. 2, comma 2, che: �1. Il Servizio specifico di cui all'art. 11 del regolamento 
CEE n. 4045/89 � istituito presso il Ministero delle risorse agricole, 
alimentari e forestali - Direzione generale delle politiche comunitarie e inter-
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 217 
nazionali. 
2. Nello svolgimento dei compiti previsti dall'art. 11 del regolamento 
4045/89 il Servizio di cui al comma 1 agisce d'intesa con gli uffici del Ministero 
delle risorse agricole, alimentari e forestali di cui all'art. 1, e con il Dipartimento 
delle dogane e imposte indirette - Direzione centrale dei servizi 
doganali�. 
- il d.m. 23 marzo 2006, il quale all�art. 1, comma 1, prevede che: �1. I 
controlli di competenza del Ministero delle politiche agricole e forestali, da 
effettuare ai sensi del regolamento CEE n. 4045/1989 - ferma restando la competenza 
in materia di restituzioni alle esportazioni dell'Agenzia delle dogane 
- sono espletati, per quanto concerne le operazioni finanziate dal Feoga sezione 
garanzia, dal Corpo forestale dello Stato e dall'Ispettorato centrale repressione 
frodi con le modalit� indicate nel presente decreto�. 
�, poi, intervenuta la legge finanziaria 2007 che, all�art. 1, comma 1048, 
ha previsto, per quel che riguarda la questione in esame, che: ��i compiti di 
cui all�art. 11 del regolamento (Cee) n. 4045/89, a decorrere dal 1� luglio 
2007 sono demandati all�Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea)��. 
Dal complesso normativo sopra riportato si pu� dedurre che: 
a) i controlli previsti dal Reg. CE possono essere ripartiti dagli Stati membri 
fra il servizio specifico ex art. 11 e altri servizi nazionali; 
b) il servizio specifico esegue direttamente i controlli di competenza dei 
propri agenti e coordina i controlli effettuati da agenti dipendenti di altri servizi; 
c) il servizio specifico ha la competenza esclusiva del coordinamento fra 
i vari agenti incaricati del controllo e deve agire d�intesa con gli uffici dei quali 
i Ministeri competenti sono autorizzati ad avvalersi (nella specie, l�Agenzia 
delle Dogane, gi� Dipartimento delle dogane e imposte indirette, per le restituzioni 
all�esportazione); 
d) l�AGEA � subentrata nelle funzioni del servizio specifico istituito 
presso il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali - Direzione generale 
delle politiche comunitarie e internazionali. 
Il Legislatore nazionale, quindi, si � avvalso sin dalla prima applicazione 
delle disposizioni dei Regg. CE 4045/1989 e 485/2008 della facolt� di distribuire 
fra pi� uffici i compiti di controllo connessi a quei regolamenti, distinguendo 
chiaramente le relative competenze fra il Ministero delle risorse 
agricole e quello delle Finanze, disponendo che quest�ultimo si avvalga dell�Agenzia 
delle Dogane (gi� Dipartimento) per quanto concerne le restituzioni 
all'esportazione; gli interventi che si sono succeduti nel tempo non hanno mai 
modificato questa originaria ripartizione di competenze, limitandosi a disporre 
la successione nelle funzioni del servizio specifico dell�AGEA (significativa 
in tal senso � la salvaguardia posta dall�art. 1, comma 1, d.m. 23 marzo 2006: 
- ferma restando la competenza in materia di restituzioni alle esportazioni del-
218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
l'Agenzia delle dogane -). 
Sui controlli di competenza dell�Agenzia delle Dogane, l�AGEA esercita 
le sue funzioni di coordinamento gi� attribuite, ex art. 11 Reg. CE, al Ministero 
delle risorse agricole, alimentari e forestali - Direzione generale delle politiche 
comunitarie e internazionali e, nell�esercizio di questa potest�, agisce d'intesa 
con �il Dipartimento delle dogane e imposte indirette - Direzione centrale 
dei servizi doganali (ora Agenzia delle Dogane). 
Cos� esattamente ricostruito il quadro normativo nella materia (per quanto 
concerne le restituzioni all�esportazione), appare chiaro che l�AGEA non ha 
competenza ad effettuare valutazioni di merito sulle richieste di Mutua assistenza 
amministrativa rivolte dall�Agenzia delle Dogane agli altri Stati membri 
ai sensi dell�art. 7, par. 4, Reg. 485/2008, trattandosi di attivit� di controllo 
demandata alla detta Agenzia delle Dogane dal Legislatore nazionale, sulla 
quale pu� e deve essere effettuata solo attivit� di coordinamento, d�intesa con 
gli uffici della stessa Agenzia delle Dogane. 
La detta attivit� di coordinamento comporta, fra l�altro, che le richieste 
di Mutua assistenza debbano essere preventivamente comunicate all�AGEA, 
a fini di coordinamento, ma possano essere inoltrate direttamente dall�Agenzia 
delle Dogane (come confermato dalla Commissione Europea nella nota 20 
agosto 2010 n. 563298 in risposta a specifica richiesta dell�AGEA), salvo diverse 
intese fra le due Agenzie. 
Il presente parere � stato sottoposto al Comitato Consultivo di questa Avvocatura 
che si � espresso in conformit� nella seduta dell�1 dicembre 2010. 
A.G.S. - Parere del 13 dicembre 2010 prot. 383514/19 - avv. Marco 
Stigliani Messuti, AL 33778/10. 
�Sulle attribuzioni di titolarit� delle procedure delle pratiche finalizzate 
all'acquisizione del certificato di prevenzione incendi (CPI) degli edifici scolastici
� 
Con la nota che si riscontra codesta Avvocatura ha chiesto una pronunzia 
di questo GU sulla questione suindicata, ritenuta di massima ed avente ad oggetto 
il riparto di competenze tra Enti Locali e Dirigenti Scolastici con riferimento 
alla domanda di rilascio del certificato di prevenzione incendi (CPI), 
nonch� in merito ai regimi di responsabilit� connnessi all' omessa attivazione 
del procedimento. 
Nello specifico, l'Ufficio Scolastico Piemontese ha sottoposto n. 6 quesiti: 
1) "Se in relazione all'omessa richiesta di rilascio del CPI e di tutte le 
azioni ad esso connesse, in attesa del nuovo DPR, da emanare a norma del-
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 219 
l'art. 17, co. 1, l. 13 agosto 1988, n. 400, l'illecito penale si configura solo per 
le attivit� elencate nel DPR n. 689/1959 e non per quelle elencate dal DM del 
16 febbraio 1982 e quindi se al momento non esisa l'obbligo del CPI per le 
scuole. (Riferimenti normativi: sentenza n. 282 del 1990 della Corte Costituzionale 
che dichiara l'illegittimit� costituzionale del combinato disposto degli 
articoli 1, co. 1, e 5, co. 1, l. 7 dicembre 1984, n. 818 - D.Lgs 8 marzo 2006, 
n. 139, con particolare riferimento all'art. 16, co. 1 - D.Lgs 81/2008, come 
modificato dal D.Lgs 106/2009)". 
Concordemente all'avviso espresso dall'Avvocatura di Torino, appare 
senza dubbio condivisibile ricondurre l'ambito di applicazione della sentenza 
della Corte Costituzionale 11 giugno 1990, n. 282, alla mera declaratoria di 
incostituzionalit� dell'art. 1, L. 818/1994 per violazione dell' art. 25, co. 2, 
Cost. 
Ne deriva che l'illecito penale possa configurarsi solo per le attivit� elencate 
nel DPR 689/1959 e non pure per quelle listate dal DM 16 febbraio 1982. 
Difatti, la cogenza del DM Istruzione 16 febbraio 1982 non � stata in 
alcun modo messa in discussione dalla Consulta nella succitata sentenza; al 
contrario, � stata censurata la legge n. 818/1994 esclusivamente in quanto rinviava, 
nella forma di una norma penale in bianco, ad un precedente regolamento 
- il DM 16 febbraio 1982 - per l'individuazione dei soggetti del reato, 
il tutto in violazione della riserva di legge codificata a livello costituzionale. 
Discende da ci�: 
a) che � esclusa qualsiasi forma di responsabilit� penale per la mancata 
attivazione del procedimento finalizzato al rilascio del CPI (cfr. Cass. pen., 
sez. III, 27 aprile 1992); 
b) che, dichiarata illegittima la norma di rinvio (la L. 818/1994) e non il 
rinvio stesso (il DM 16 febbraio 1982), sussiste ancora l'obbligo del CPI per 
le scuole, cos� come un regime di responsabilit�, civile e amministrativo, per 
la violazione del medesimo. 
2) "Se vi siano, nell'ambito dell'applicazione della normativa antincendio, 
strumenti giuridico/normativi per distinguere la titolarit� dell'attivit� scolastica, 
che attiene alla gestione delle condizioni di esercizio, dalla titolarit� 
del procedimento per l'ottenimento del certificato di prevenzione incendi e 
quali siano le conseguenti attribuzioni di responsabilit�". 
Preliminarmente, occorre distinguere l'ipotesi in cui gli immobili destinati 
ad uso scuola siano di propriet� degli Enti territoriali (punto a) ovvero di soggetti 
privati che li abbiano locati alle Amministrazioni comunali o provinciali 
(punto b). 
a) Diversamente da quanto prospettato dall'Avvocatura di Torino e a parere 
di questo GU, il riparto di competenze tra Enti Locali (Provincia e Comune) 
e Dirigenti Scolastici non vede questi ultimi tenuti a chiedere il CPI ai 
Vigili del Fuoco per gli immobili di cui le amministrazioni territoriali abbiano
220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
la propriet�, il tutto ai sensi del D.Lgs 8 marzo 2006, n. 139, art. 16, co. 2, e 
del DPR 12 gennaio 1998, n. 37, art. 1. 
Secondo codesta Avvocatura, i Dirigenti Scolastici, individuati "titolari 
dell'attivit�" e "datori di lavoro" ai sensi dell'art. 3 D.Lgs 81/2008, ottempererebbero 
ai requisiti di cui all' art. 16, co. 2, D.Lgs 139/06, laddove � chi � "responsabile 
dell'attivit�" a dover ottenere il rilascio del certificato suddetto. 
Invero, nonostante possa essere l'effettivo "gestore" dell'attivit� a dover 
richiedere il CPI, nondimeno, nel caso delle scuole, la specificit� della situazione 
vuole che sussista un riparto di competenze operato a livello legislativo, 
il quale individua a monte le attribuzioni del Dirigente Scolastico, con riferimento 
al concreto esercizio dell'attivit� scolastica, ovvero degli Enti Locali, 
gravati della manutenzione ordinaria, straordinaria e impiantistica degli edifici 
adibiti a scuola (art. 3, co. 1, l. 11 gennaio 1996, n. 23). 
Ne discende che la disciplina generale - la quale vede in chi esercita l'attivit� 
il soggetto legittimato a chiedere il CPI - risulterebbe essere derogata 
dalla suddivisione normativa di competenze tra Amministrazioni territoriali e 
scuole, donde la necessit� che le prime debbano provvedere al conseguimento 
del CPI. 
Infatti, sebbene la Corte di Cassazione abbia pi� volte affermato che sono 
attribuite agli Enti Locali le "spese generali [�] che occorrano per rendere 
effettiva la destinazione di determinati locali a sede di scuole, senza alcuna 
possibilit� di comprendere oneri derivanti dal concreto espletamento dell�attivit� 
scolastica", quali ad esempio "quelli inerenti alla rimozione dei rifiuti" 
(Cass., sez. trib., 18 aprile 2000, n. 4944; cfr. anche Cass. 1 settembre 2004, 
n. 17617), non risulta che il CPI rappresenti una certificazione attinente al concreto 
esercizio dell'attivit� scolastica. Piuttosto, esso pare strettamente connesso 
all'idoneit� dell'immobile rispetto all'uso-scuola. 
Cos� l'art. 16, co. 1, D.Lgs 139/06 asserisce che il "certificato di prevenzione 
incendi attesta il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di 
prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio nei 
locali, attivit�, impianti ed industrie pericolose". 
A ci� si aggiunge che il DM 16 febbraio 1982, rinviato dall'art. 22 DPR 
29 luglio 1982, n. 577, nel listare le attivit� soggette a prevenzione incendi, 
configura queste ultime, non tanto come lo svolgimento concreto di un esercizio, 
bens� come quei complessi organizzativo-strumentali, che possono 
anche essere siti all'aperto, ma dove i mezzi a servizio dei lavoratori devono 
essere idonei a garantire la sicurezza dal rischio incendi. 
Il CPI fa dunque fede delle qualit� dell'immobile rispetto alla vigente normativa 
antincendio, dovendosi peraltro includere nella domanda per il rilascio 
del primo (cfr. All. al DM 22 febbraio 2006, att. art. 1, co. 5, DPR 12 gennaio 
1998, n. 37) ogni informativa relativa agli impianti, alle strutture - la cui predisposizione 
spetta all'Ente Locale - ed ai piani di prevenzione antincendio di
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 221 
cui al D.Lgs 9 aprile 2008, n. 81, e succ. modificazioni, i quali sono affidati 
in via del tutto eccezionale alle cure dei Dirigenti Scolastici ex articoli 17 e 
18 D.Lgs 81/08 (cfr. anche Circolare Ministeriale 29 aprile 1999, n. 119). 
Ne deriva che, argomentando in base agli indirizzi sorti nella giurisprudenza 
di legittimit� in tema di riparto di competenze tra Ente Locale e istituti 
scolastici, spetterebbe al primo, in via esclusiva, fare istanza di rilascio del 
CPI, mentre sui Dirigenti scolastici graverebbe il mero obbligo di predisporre 
e poi trasferire la documentazione ex D.Lgs 81/08. 
b) Quanto ai cespiti locati da privati ed adibiti a scuola, viceversa, la disciplina 
generale sulla titolarit� dell'attivit� � derogata da quella, regionale e 
territoriale, sulla destinazione d'uso degli immobili. 
Secondo tale normativa, gli Enti Locali prendono in locazione solo gli 
edifici che risultano idonei rispetto all'uso cui sono destinati, nel caso di specie 
a scuola/ufficio. 
Vale a titolo di esempio il bando del 30 luglio 2010 (allegato), con cui il 
Ministero della Giustizia, ricercando un immobile da locare in Bergamo, ha 
imposto, tra le specifiche tecniche, che il predetto bene: a) fosse destinato "ad 
uso ufficio pubblico secondo standard di classe A"; b) fosse conforme "con la 
Regola Tecnica di Prevenzioni Incendi approvata con Decreto del Ministero 
dell'Interno del 22 febbraio 2006". 
Da qui l'obbligo, a carico del titolare, di adeguare l'immobile che intende 
locare rispetto alla recente normativa antincendio e dunque a munire il medesimo 
dell'idonea certificazione richiesta ex D.Lgs 139/06 e DPR 577/1982. 
3) "Quali strumenti giuridici di tutela della propria posizione giuridica 
di responsabilit�, il Dirigente Scolastico pu� adottare in caso di inerzia dell'Ente 
Locale a fronte di messa a norma dell'edificio scolastico per l'ottenimento 
del CPI, tenendo presente che il Dirigente Scolastico deve garantire la 
continuit� del servizio scolastico". 
Come ben sottolineato dall'Avvocatura di Torino e stante per� la competenza 
degli Enti Locali quanto alla richiesta del CPI, appare condivisibile il 
riferimento all�art. 5 DM 29 settembre 1998, n. 382, laddove il Dirigente Scolastico, 
riscontrata una deficienza nelle strutture adibite a scuola, ivi compresa 
la mancanza della certificazione antincendio, � esonerato da qualsiasi forma 
di responsabilit� a seguito della segnalazione all'Ente citato, salvo le precisazioni 
di cui infra. 
4) "Se in assenza di un certificato di prevenzione incendi in corso di validit�, 
i Vigili del Fuoco possano far ricadere l'esercizio dell'attivit� nell'ambito 
della responsabilit� esclusiva e diretta del Dirigente Scolastico, senza 
formalmente definire e distinguere gli obblighi di competenza di quest'ultimo, 
responsabile della gestione dell'attivit�, dagli obblighi dei soggetti responsabili 
delle strutture e della documentazione tecnica degli edifici". 
Per quanto attiene alla responsabilit� del Dirigente Scolastico, si ravvisa
222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
anzitutto la perentoriet� del CPI, come d'altronde rimarcato dal TAR Lazio, 
sez. III, 30 settembre 2003, n. 7861, secondo cui ҏ legittima la sanzione disciplinare 
irrogata al dirigente che ha chiesto l�adozione di un ordine scritto 
al trasferimento di pellicole cinematografiche in struttura precaria e provvisoria, 
sprovvista di certificato di prevenzione incendi, considerata l�obbligatoriet� 
di detta certificazione ai sensi dell�art. 13 e 15 d.p.r. 29 luglio 1982 n. 
577, a nulla rilevando il carattere definitivo o temporaneo della struttura del 
caso�. 
Tuttavia, se il CPI manca, i Dirigenti Scolastici non possono ritenersi responsabili, 
vuoi sotto il profilo penale, vuoi sotto quello amministrativo e civile. 
In primo luogo, infatti, non vi � alcuna responsabilit� penale per la mancanza 
della certificazione antincendio: ci� a seguito della sentenza della C. 
Cost. 282/1990 (Cass. pen., sez. III, 27 aprile 1992). 
Per di pi�, considerate l'esenzione di cui all'art 5 DM 29 settembre 1998, 
n. 382 (cfr. punto 4), nonch� la disponibilit� della chiusura degli edifici scolastici 
in capo al solo Sindaco (art. 54 D.Lgs 18 agosto 2000, n. 267), sembra 
svanire qualsivoglia ipotesi di responsabilit� amministrativa ovvero civile dei 
Dirigenti Scolastici. 
5) "Se nei casi in cui in un edificio vengano allocate diverse scuole con 
a capo differenti dirigenti e quindi nell'edificio si trovino pi� gestori, ogni Dirigente 
Scolastico risulti responsabile della gestione dei soli locali e dell'area 
di pertinenza della sua scuola, mentre la responsabilit� della rispondenza dell'intero 
edificio alla normativa vigente in materia di agibilit� e sicurezza sia 
dell'Ente locale individuato dalla normativa Ente obbligato alla manutenzione 
e messa a norma dell'edificio". 
In relazione ai plessi scolastici con pi� istituti all'interno, si ribadisce la 
competenza unica dell'Ente Locale o dei diversi Enti Locali competente/i a 
chiedere il CPI, a seconda che, ad es., l'edificio ospiti due scuole primarie, la 
cui manutenzione ordinaria e straordinaria spetta al Comune, oppure una 
scuola primaria ed una scuola secondaria superiore, la cui manutenzione spetta 
invece rispettivamente a Comune e Provincia. 
Viceversa, per quanto attiene agli immobili locati adibiti a scuola, nulla 
quaestio sorge: � il titolare dell'immobile che, dovendo garantire la destinazione 
d'uso, provveder� a fare istanza di rilascio del CPI. 
6) "Se, in assenza di CPI valido, una dichiarazione congiunta, preso atto 
dei disposti di cui all'art. 5 del DPR 37/98, che distingua obblighi e responsabilit� 
sottoscritta dall'Ente Locale e dal Dirigente Scolastico, possa essere 
sufficiente per garantire il regolare esercizio dell'attivit� scolastica, esonerando 
il Dirigente Scolastico da ogni responsabilit� diretta". 
Si conferma la portata non esimente di eventuali dichiarazioni congiunte 
tra Enti Locali e Istituti Scolastici, volte a definire gli ambiti di rispettiva at-
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 223 
tribuzione in assenza di un CPI valido. La presenza di tale certificato � in effetti 
"perentoria" e nessun accordo pu� modificare le aree di rispettiva responsabilit� 
individuate dalla legge tra Ente Locale e Scuola. 
*** 
Tanto premesso, occorre chiarire come, in concreto, il Dirigente Scolastico 
debba adoperarsi, laddove riscontri la mancanza del CPI con riferimento 
all'istituto scolastico cui � preposto. 
Al riguardo - e fermo restando che i Dirigenti Scolastici non sono gravati 
da alcuna forma di responsabilit� in merito alla richiesta o meno, del CPI nelle 
scuole, per le considerazioni suesposte, - si osserva quanto segue: 
a) L'art. 3, Decr. Min. Interno 29 dicembre 2005 (G.U. 1 febbraio 2006) 
ha fatto decadere "i nulla osta [provvisori] rilasciati dai Comandi Provinciali 
dei Vigili del Fuoco", ai sensi dell'art. 2 l. 7 dicembre 1984, n. 818 e dunque 
dell'art. 7 D.P.R. 37/1998: per cui "la prosecuzione dell'esercizio delle attivit�, 
ai fini antincendio, � consentita solo se gli interessati abbiano ottenuto [�] il 
certificato di prevenzione incendi ovvero abbiano provveduto alla presentazione 
della dichiarazione di cui all'art. 3, co. 5, D.P.R 37/98 che costituisce, ai 
soli fini antincendio, autorizzazione provvisoria all'esercizio dell'attivit�" (art. 
3 Decr. Min. Interno 29 dicembre 2005). 
b) Dovendosi fare una distinzione tra immobili di nuova e vecchia costruzione, 
nel primo caso nulla quaestio sorge in ordine alla assenza o meno 
del CPI, nonch� con riferimento al regime di responsabilit� connesso alla mancata 
richiesta dello stesso. 
Infatti: (i) nell'ipotesi di nuovi edifici, di propriet� degli Enti Locali ed 
adibiti a scuola, la consegna dell'immobile all'amministrazione scolastica impone 
la presenza di tutte le caratteristiche tecniche, ivi incluso il CPI, che possano 
rendere il manufatto idoneo all'esercizio dell'attivit� scolara; (ii) 
nell'ipotesi, invece, di nuovi edifici, presi in locazione da privati ed adibiti a 
scuola, l'idoneit� tecnica, anche con riferimento al CPI, dell'immobile all'uso 
scolastico � imposta dalla normativa, regionale e locale, sulla destinazione 
d'uso degli immobili. 
c) Risulta senza dubbio opportuno che i Dirigenti Scolastici, laddove ravvisino 
la mancanza del CPI, chiedano e, se del caso, diffidino l'Ente Locale 
ad attivarsi per ottenere il rilascio del CPI da parte dei Vigili del Fuoco. 
Vieppi�, si riscontra l'opportunit� che i Vigili del Fuoco - ai sensi dell'art. 
1 D.Lgs. 139/2006, istituiti per assicurare il "servizio di soccorso pubblico e 
di prevenzione ed estinzione degli incendi" - provvedano, su segnalazione dei 
Dirigenti Scolastici, a verificare l'esistenza di pericoli imminenti, ai fini antincendio 
con riferimento all'edificio adibito a scuola. 
d) Gli Enti Locali, quando i progetti antincendio da essi stessi presentati 
ai Vigili del Fuoco siano stati approvati ai sensi dell'art. 2 D.P.R. 37/1998, possono 
presentare una dichiarazione di idoneit� delle strutture rispetto alla nor-
224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
mativa antincendio (art. 3, co. 5, D.P.R. 37/98): ed in tal modo, nelle more che 
i Vigili del Fuoco procedano al sopralluogo di cui all'art. 3, co. 1, D.P.R 
37/1998, l'attivit� scolastica potr� regolarmente svolgersi. 
Cos�, anche TAR Campania 19 maggio 2010, n. 7140, ha ribadito che � 
ammessa un'autorizzazione all' esercizio provvisorio nel solo caso in cui il 
progetto antincendio sia stato approvato dai Vigili del Fuoco e stia decorrendo 
il termine di novanta giorni per effettuare il sopralluogo di cui all'art. 3, co. 1, 
D.P.R. 37/98. 
e) In presenza di ritardi nel rilascio del CPI, � opportuno che i Dirigenti 
Scolastici diffidino tutte le Amministrazioni coinvolte nella relativa procedura 
- dai Vigili del Fuoco all'Ente Locale competente - ed in particolare il Sindaco, 
il quale, come specificato in precedenza, � l'unico soggetto legittimato a chiudere 
gli istituti scolastici (art. 54 D.Lgs 18 agosto 2000, n. 267). 
E' altres� evidente che, in presenza di una situazione di pericolo, l'attivit� 
scolastica non pu� che essere sospesa anche a prescindere dal provvedimento 
del Sindaco riguardante la chisura o meno dell'immobile. 
Sul presente parere, il Comitato consultivo nella seduta dell'1 dicembre 
2010, si � espresso in conformit�. 
A.G.S. - Parere del 29 gennaio 2011 prot. 324558 - avv. Ettore Figliolia, 
AL 45757/10. 
�Disciplina in materia di rimborso spese legali ex d.l. n. 67/97, convertito 
in l. n. 135/97� 
Relativamente alla richiesta di parere di cui alla nota del 5 novembre u.s., 
alla stregua delle integrazioni documentali di cui alla successiva nota del 30 
novembre u.s., si osserva quanto segue. 
Preliminarmente va rilevata la condivisibilit�, in linea legale, della iniziativa 
di cui trattasi a parte di codesto Ateneo onde assicurare adeguata disciplina 
ad una materia, quale quella del rimborso delle spese legali affrontate 
dai dipendenti per fatti inerenti all�esercizio delle funzioni istituzionali, rispetto 
a cui � quantomeno dubbia l�estensibilit� agli Atenei della previsione normativa 
di cui all�art. 28 del D.L. n. 67/1997, stante l�espressa limitazione recata 
da tale disposizione ai �dipendenti statali� ed in relazione all�autonomia agli 
Atenei stessi riconosciuta dal vigente ordinamento. 
Del tutto opportunamente poi, nel deliberato sottoposto alla consultazione 
di questo G.U., si richiama la pi� parte dei molteplici principi statuiti dalla 
giurisprudenza nell�ambito della attivit� interpretativa del citato art. 18, al fine 
evidentemente di garantire un�omogeneit� di disciplina a posizioni analoghe
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 225 
di dipendenti pubblici con riferimento alla materia in trattazione, uniformando, 
per quanto possibile stanti le specificit� universitarie, detta disciplina a quella 
dei dipendenti statali. 
Ci� premesso, in particolare, per quanto attiene alla previsione dell�art. 1 
inerente al personale in servizio presso le Aziende ed altre strutture ivi menzionate, 
parrebbe opportuno specificare che l�applicazione del regolamento � 
condizionata al presupposto che si tratti di servizio svolto nell�interesse dell�Ateneo, 
che ha appunto previamente autorizzato il servizio stesso, per il perseguimento 
delle specifiche finalit� universitarie. 
Relativamente alla previsione dell�art. 4 comma 1, si suggerisce di integrare 
la disposizione con la seguente proposizione �e semprech� sulla base 
della valutazione degli atti e degli elementi in possesso dell�Amministrazione 
possa pronosticarsi un esito assolutorio del giudizio stesso�. 
Con riferimento al contenuto dell�art. 7 comma 4 potrebbe essere utile 
aggiungere dopo �sotto il profilo della veridicit� ed attendibilit�� la proposizione 
�anche in termini di proporzionalit� rispetto alla consistenza della imputazione�. 
Per quanto concerne la norma transitoria di cui all�art. 13 � opportuno 
che codesto Ateneo approfondisca la possibilit� di mantenere il precedente regime 
rispetto ai reati gi� oggetto di contestazione, applicando, se del caso, la 
nuova disciplina di cui al presente regolamento ai procedimenti penali successivamente 
instaurati: ed infatti, non sembra potersi escludere che eventuali 
interessati gi� sottoposti a procedimenti penali pendenti rispetto a cui non abbiano 
ancora attivato procedure di rimborso o di anticipazione, potrebbero 
aver assunto a suo tempo determinazioni sul patrocinio sul presupposto della 
disciplina vigente all�epoca. 
Nei sensi suesposti � la presente consultazione rimanendo a disposizione 
per quant�altro dovesse occorre. 
A.G.S. - Parere reso in via ordinaria del 2 febbraio 2011 prot. 36945 
- avv. Paolo Marchini, AL 42110/10. 
�Compensabilit� tra crediti per indebiti aiuti di Stato per la ricapitalizzazione 
delle cooperative di pesca con debiti a titolo di premio per arresto 
temporaneo e definitivo natante� 
In merito alla richiesta di parere in oggetto presentata dal Ministero delle 
Politiche agricole, alimentari e forestali, questa Avvocatura osserva quanto segue. 
�1. La fattispecie concreta e la compensazione legale in genere 
La questione � relativa a due vicende creditorie distinte: il credito vantato
226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
dall�Amministrazione nei confronti della Societ� cooperativa (...) relativo alla 
restituzione di contributi erogati indebitamente in quanto dichiarati dalla Commissione 
Europea, con Decisione n. 7988 del 28 luglio 1999, incompatibili 
con il mercato comune; il debito dell�amministrazione nei confronti della cooperativa 
(...) sia con riferimento all�erogazione del premio per l�arresto definitivo 
del natante (...) che per quello relativo all�arresto obbligatorio della 
pesca del tonno rosso. 
Il primo quesito interpretativo riguarda la legittimit� dell�azione amministrativa 
diretta a compensare il credito vantato dall�Amministrazione nei 
confronti della Cooperativa (...) con i crediti vantati dalla suddetta cooperativa 
nei confronti dell�Amministrazione. 
La compensazione � l�elisione, per la parte concorrente, dei crediti reciproci 
sussistenti tra due soggetti, dei quali l�uno sia creditore e debitore dell�altro 
nell�ambito di diversi rapporti contemporaneamente pendenti. Tanto 
osservato con riferimento ai principi generali che governano l�operativit� dell�istituto, 
deve precisarsi che il requisito della reciprocit� dei crediti non � ex 
se sufficiente a determinare l�estinzione per compensazione, occorrendo che 
detti crediti siano omogenei, liquidi ed esigibili. L�art. 1243 c.c., primo comma, 
dispone, infatti, che �la compensazione si verifica solo tra due debiti che 
hanno per oggetto una somma di danaro o una quantit� di cose fungibili dello 
stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili�. Dunque, ai fini dell�operativit� 
della compensazione come fattispecie dalla quale deriva l�effetto 
estintivo dell�obbligazione, ci� che rileva � l�omogeneit� delle obbligazioni, 
la liquidit� ed esigibilit� dei crediti e l�esistenza per ciascun credito di un titolo 
diverso. In particolare, i crediti reciproci sono omogenei le volte che abbiano 
ad oggetto la consegna di cose fungibili dello stesso genere. I crediti sono liquidi 
quando siano determinati nel loro ammontare o la relativa quantificazione 
sia operabile mediante il ricorso a parametri predeterminati ed al 
compimento di mere operazioni di calcolo. La giurisprudenza prevalente si 
orienta nel senso di ritenere implicito nel requisito della liquidit� quello della 
certezza dei crediti soggetti a compensazione, consistente nell�insuscettibilit� 
di contestazione, cos� si ritiene privo del requisito di certezza il credito che 
sia oggetto di sentenza di accertamento non passata in giudicato. Meno problematica 
la definizione del requisito dell�esigibilit� sussistente ogni qual volta 
il creditore sia legittimato a pretendere immediatamente l�adempimento. 
Nel caso di specie il credito vantato dall�amministrazione � un credito liquido 
in quanto � esattamente determinato nel suo ammontare; la relativa 
quantificazione, infatti, � operabile mediante il ricorso a parametri determinati 
e al compimento di mere operazioni di calcolo. Il credito richiesto � pari a 
259.510,38 euro comprensivo degli interessi legali maturati nel corso del 
tempo. Il dubbio riguarda la certezza di detto credito dell�amministrazione 
vista la pendenza innanzi al Tribunale di Salerno di un ricorso in opposizione
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 227 
avverso la cartella esattoriale riferita a detto importo, con istanza di sospensiva 
e con richiesta in riconvenzionale di condanna dell�amministrazione al pagamento 
di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno. 
Giova, a tal proposito, ripercorrere la vicenda relativa a detto credito. 
L�amministrazione aveva a suo tempo concesso, con decreto n. 11 del 10 ottobre 
1997, il contributo finalizzato alla ricapitalizzazione delle cooperative 
di pesca ai sensi della L. 665/1994. La Commissione europea dichiarava, con 
decisione n. 7988 del 28 luglio del 1999, l�illegittimit� degli aiuti concessi alle 
cooperative e ai loro consorzi vista l�incompatibilit� con il mercato comune 
e, per l�effetto, imponeva l�obbligo di recuperare i contributi indebitamente 
erogati. Motivo per cui l�amministrazione richiedente disponeva, con D.M. n. 
231 del 30 luglio 2003, la revoca del contributo e l�annullamento del decreto 
di concessione e impegno richiedendo la restituzione dell�importo erogato 
maggiorato degli interessi legali e di quelli maturati per effetto della rivalutazione 
monetaria. 
La societ� (...) presentava ricorso al TAR Lazio chiedendo l�annullamento, 
previa sospensione, del D.M. n. 231 citato o, in subordine, l�annullamento 
del provvedimento limitatamente alla parte in cui veniva stabilito di 
maggiorare gli importi anche alla rivalutazione monetaria. Con sentenza n. 
1646 del 3 marzo 2005 il TAR Lazio accoglieva il ricorso limitatamente alla 
parte in cui il D.M. impugnato disponeva la restituzione del contributo maggiorato 
degli importi maturati per effetto della rivalutazione monetaria. 
Decorso il termine per proporre appello, detto provvedimento ha acquistato 
efficacia di cosa giudicata. Pertanto, la (...) era tenuta a restituire il contributo 
ricevuto maggiorato degli interessi legali maturati fino a quella data. 
In mancanza di appello avverso la sentenza pronunciata dal TAR Lazio si era 
formata cosa giudicata sull�importo dovuto dalla cooperativa e certezza del 
credito vantato dall�amministrazione. 
Contestualmente, in sede legislativa, si otteneva un provvedimento che 
autorizzava l�Amministrazione a procedere al recupero degli aiuti indebitamente 
erogati per la ricapitalizzazione, in forma rateizzata, come disposto 
dall�art. 46 quater del D.L. n. 159/2007, convertito in legge n. 222 del 29 novembre 
2007. 
Successivamente la Cooperativa (...) presentava istanza di rateizzazione 
in 14 rate annuali delle somme percepite per la ricapitalizzazione e, con nota 
n. 10173 del 17 aprile 2008, le veniva comunicato il piano per la restituzione 
con le relative modalit� attuative. A causa del mancato pagamento della prima 
rata prevista dal piano di restituzione, l�amministrazione attivava il procedimento 
di riscossione coatta dell�importo maggiorato degli interessi, pari ad 
euro 259.510, 38. Era espressamente previsto nel decreto dirett. 1 febbraio 
2008 che il mancato pagamento della prima rata avrebbe comportato la decadenza 
dal beneficio della rateizzazione. Visto il mancato pagamento l�ammi-
228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
nistrazione provvedeva alla notificazione, in data 24 marzo 2010, tramite Equitalia 
della cartella esattoriale per il recupero coattivo dei crediti. La cooperativa 
presentava innanzi al Tar Salerno ricorso in opposizione a cartella esattoriale 
lamentando l�illegittimit� dell�iscrizione a ruolo per erronea applicazione del 
D.P.R. 600/1973. Si lamentava il ricorso, nel caso di specie, all�ipotesi di riscossione 
a mezzo di concessionario cosi come disciplinata dal D.P.R. 
600/1973 e ss. Il contributo revocato non pu� configurarsi n� quale tributo n� 
quale imposta ma come �entrata patrimoniale dello Stato� e, pertanto, il recupero 
coattivo avrebbe dovuto essere eventualmente azionato con ingiunzione 
di pagamento cos� come previsto e disciplinato dal Regio decreto n. 639 del 
14 aprile 1910. 
La societ�, dunque, con l�opposizione a cartella contestava l�illegittima 
iscrizione a ruolo operata dal MPPAAF per il recupero coattivo di un�entrata 
patrimoniale non soggetta alla disciplina della riscossione a mezzo ruoli, chiedendo 
la dichiarazione di nullit� della cartella esattoriale impugnata. Veniva 
contestata, dunque, la regolarit� del procedimento di recupero dei crediti vantati 
dall�amministrazione e non la fondatezza del credito vantato dalla stessa. 
In data 11 ottobre 2010, la cooperativa (...) ha trasmesso, con nota n. 15491 
del 19/07 (v. allegato 7), l�istanza di rateizzazione di tutte le somme iscritte a 
ruolo ivi compresa la cartella esattoriale relativa alla restituzione delle somme 
percepite per la ricapitalizzazione della scrivente societ�. 
� fuor di dubbio, dunque, la certezza del credito dell�amministrazione 
nonostante sia pendente il ricorso avverso la cartella esattoriale che contesta 
solo formalmente le modalit� della riscossione e non l�esistenza del debito. 
La pretesa creditoria, infatti, � stata riconosciuta dalla sentenza del Tar Lazio 
passata in res iudicata. Altrettanto indiscutibile � l�esigibilit� dello stesso credito; 
l�amministrazione � legittimata a pretenderne immediatamente l�adempimento, 
per essere la cooperativa decaduta dal beneficio di rateizzazione in 
conseguenza del mancato pagamento della prima rata prevista dal piano di restituzione. 
In merito al credito vantato dalla cooperativa, invece, si osserva quanto 
segue. La cooperativa ha presentato domanda per ottenere il contributo per 
l�arresto temporaneo obbligatorio della pesca del tonno rosso e per l�arresto 
definitivo del natante (...). 
Tuttavia, l�Amministrazione, prima di concedere i suddetti contributi, si 
� riservata di porre in essere tutti gli adempimenti di legge per la tutela delle 
ragioni erariali, ivi compreso l�istituto del fermo amministrativo, ex art. 69 del 
R.D. 2440/1923. Il fermo amministrativo � un provvedimento di natura cautelare 
diretto alla tutela delle ragioni di credito delle Amministrazioni statali 
verso i terzi e ha carattere provvisorio. Ha lo scopo di legittimare la sospensione 
del pagamento di un debito da parte di un�amministrazione dello Stato, 
a salvaguardia di un�eventuale compensazione di esso, con un credito, anche
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 229 
se non attualmente liquido ed esigibile, che la stessa o altra amministrazione 
pretenda di avere nei confronti del suo creditore (v. Cass. Sez. Unite del 21 
maggio 2003, n. 7945). L�amministrazione ha legittimamente adottato questa 
misura cautelare vista la sussistenza dei requisiti previsti dalla circolare del 
Ministero del Tesoro n. 21 del 29 marzo 1999 (pubblicata nella G.U. n. 82 del 
9 aprile 1999). Il credito vantato dall�amministrazione verso i creditori deve 
avere una ragionevole apparenza di fondatezza tale cio� da poterlo classificare 
fra i crediti certi, requisito senza il quale si avrebbe �un comportamento senza 
potere� eventualmente causativo di danno risarcibile. Inoltre, il credito colpito 
deve appartenere all�amministrazione statale che dispone il fermo. Secondo 
quanto previsto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, come � noto, il 
fermo amministrativo � uno strumento di natura eccezionale, funzionale alla 
peculiarit� soggettiva del creditore Stato che, articolato, pur nell�unicit� della 
persona, in pi� amministrazioni e quindi gestioni contabili e di cassa trova in 
esso un mezzo per agevolare la realizzazione della compensazione fra debiti 
e crediti (v. C. Stato, 20 gennaio 1997, n.1420). 
Nel caso di specie l�amministrazione ha ragionevolmente posto in essere 
questo strumento cautelativo, visto che si � riservata di effettuare ulteriori indagini 
affidate alla Prefettura di Salerno, in merito alla cooperativa (come risulta 
dall�allegato 10 in atti). Nel caso in cui questi adempimenti abbiano esito 
positivo, dovr� essere corrisposto all�impresa di pesca un aiuto pubblico pari 
ad euro 141.246,00, per l�arresto temporaneo obbligatorio della pesca del 
tonno e di euro 1.166.470,00, per l�arresto definitivo dell�unit� da pesca (...), 
determinati secondo le modalit� indicate nel piano di adeguamento della flotta 
tonniera approvato con decreto direttoriale n. 28 del 27 aprile 2010. 
La cooperativa contesta la compensabilit� dei crediti in esame evidenziando 
la presunta natura assistenziale ed alimentare del contributo per l�arresto 
temporaneo obbligatorio e definitivo, causa escludente l�applicabilit� 
dell�istituto della compensazione alla stregua di quanto disposto dall�art. 1246 
c.c. Secondo la disposizione di quest�articolo tra le altre ipotesi in cui la compensazione 
non si verifica sono ricompresi i casi in cui i crediti siano impignorabili, 
ex art. 545 c.p.c. e i casi in cui vi sia un divieto stabilito dalla legge. 
Si rileva, che non possono considerarsi di natura assistenziale i contributi erogati 
in attuazione dell�arresto temporaneo obbligatorio del tonno rosso e dell�arresto 
definitivo dell�unit� di pesca. Il piano di adeguamento dello sforzo 
di pesca a circuizione autorizzata alla pesca del tonno rosso � redatto allo scopo 
di ridurre la capacit� di pesca impegnata nello sfruttamento dello stock di 
tonno rosso. La riduzione rapida, permanente e consistente dello sforzo di 
pesca a circuizione autorizzata alla pesca del tonno rosso nel 2010 rappresenta 
un impegno considerevole assunto dall�Amministrazione italiana nel quadro 
della programmazione del Fondo Europeo della Pesca allo scopo di partecipare 
all�azione di ricostituzione dello stock di tonno rosso e creare migliori condi-
230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
zioni economiche per gli operatori del settore sostenibili nel tempo. Il Piano 
prevede l�adozione di stringenti misure di controllo con l�obiettivo di ridurre 
la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. Ci� anche in esecuzione 
delle previsioni introdotte con il Reg. (CE) 302/2009 e di quanto disposto con 
regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio del 20 novembre 2009 che istituisce 
un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme 
della politica della pesca. Gli interventi del Fondo europeo per la pesca sono 
finalizzati a sostenere la politica comune della pesca per assicurare lo sfruttamento 
delle risorse acquatiche viventi ai fini della sostenibilit� dal punto di 
vista economico, ambientale e sociale; a promuovere un equilibrio sostenibile 
tra le risorse e le capacit� di pesca della flotta da pesca comunitaria, promuovere 
uno sviluppo sostenibile della pesca nelle acque interne e favorire lo sviluppo 
sostenibile e il miglioramento delle qualit� della vita nelle zone in cui 
si svolgono attivit� nel settore della pesca. I suddetti contributi per l�arresto 
della pesca del tonno rosso non possono considerarsi di natura assistenziale 
perch� manca loro la funzione di solidariet� sociale ex art. 2 e 38 della Costituzione. 
I contributi assistenziali, infatti, sono somme di denaro destinate a finanziare 
le prestazioni pensionistiche e tutte le altre prestazioni previdenziali 
ed assistenziali in caso di malattia, infortuni sul lavoro, maternit�, disoccupazione, 
ecc. a cui tutti i lavoratori hanno diritto. Non possono nemmeno rientrare 
tra gli aiuti di carattere alimentare. L'aiuto alimentare e le azioni di 
sostegno alla sicurezza alimentare costituiscono un importante strumento della 
politica di assistenza allo sviluppo. Obiettivi principali di questa politica sono 
la lotta contro la povert� ed uno stretto coordinamento tra Stati membri e Comunit�, 
con altre organizzazioni internazionali (come l'Organizzazione Mondiale 
della Sanit�-OMS) e con la societ� civile (organizzazioni non 
governative-ONG). � inoltre essenziale che gli aiuti alimentari consolidino il 
partenariato con il paese beneficiario, integrandosi nella politica del paese in 
via di sviluppo, rispettando le sue specificit� e puntando a rafforzare la politica 
in atto. Quanto agli obiettivi pi� specifici, le azioni devono puntare, tra l'altro, 
a promuovere la sicurezza alimentare, a innalzare il tenore nutrizionale delle 
popolazioni beneficiarie e a contribuire ad uno sviluppo economico e sociale 
equilibrato. 
�.2. La natura giuridica dei contributi in dare-avere e la natura dei rapporti 
giuridici sottostanti 
Ci� premesso mette conto chiarire la natura giuridica dei contributi F.E.P. 
in questione al fine di verificare se sia possibile operare una compensazione 
legale o �atecnica�. 
I suddetti contributi sono, per espressa previsione normativa, degli aiuti 
pubblici di natura comunitaria volti allo sviluppo sostenibile delle zone di 
pesca. La concessione di suddetti contributi viene finanziata dal Fondo euro-
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 231 
peo Pesca al quale viene assegnata ogni anno una dotazione di danaro da suddividere 
tra gli Stati membri secondo l�importanza del settore della pesca, il 
numero di addetti e gli adeguamenti ritenuti necessari per la pesca e per la 
continuit� delle attivit�. Il Fep deve finanziare azioni in materia di sviluppo 
sostenibile e miglioramento della qualit� della vita nelle zone di pesca nel quadro 
di una strategia globale di sostegno all�attuazione degli obiettivi della politica 
comune della pesca. Su iniziativa dello Stato membro il Fondo europeo 
pesca pu� finanziare, nel quadro del programma operativo, le misure di aiuto 
all�arresto temporaneo delle attivit� di pesca a favore dei pescatori e dei proprietari 
dei pescherecci. Ciascuno Stato membro, previa opportuna consultazione 
con i partner istituzionali ed economico sociali, adotta un piano 
strategico nazionale per il settore della pesca e lo sottopone alla Commissione. 
Il piano strategico nazionale, oggetto di dialogo tra lo Stato membro e la Commissione, 
contiene, se lo Stato membro lo ritiene opportuno, una descrizione 
succinta degli aspetti della politica comune della pesca e fissa le priorit�, gli 
obiettivi, le risorse finanziarie pubbliche ritenute necessarie in termini di attuazione. 
Ciascuno Stato membro elabora e presenta alla Commissione una 
proposta di programma operativo per l�attuazione delle politiche e delle priorit� 
da cofinanziare tramite il Fep. Il programma operativo � coerente con il 
piano strategico nazionale, con gli obiettivi del Fep e con i principi orientativi 
stabiliti dal regolamento. La Commissione valuta il programma operativo e 
adotta una decisione di approvazione il pi� rapidamente possibile. 
�.3. Se sia possibile operare la compensazione legale 
Chiarita la natura comunitaria di questi contributi � preliminare esaminare, 
al fine della loro compensabilit� ex art. 1246 c.c., se essi possano essere 
pignorati. La materia dell�impignorabilit� dei crediti costituisce un�eccezione 
al principio della responsabilit� patrimoniale sancito dall'art. 2740 del codice 
civile ai sensi del quale "il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni 
con tutti i suoi beni presenti e futuri". Questa materia, in particolare, 
trova specifica disciplina nell'art. 545 del codice di procedura civile che, dopo 
avere individuato nei primi tre commi i crediti impignorabili (crediti alimentari, 
crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento, sussidi dovuti 
per maternit�, malattie o funerali, somme dovute dai privati a titolo di 
stipendio, salario o altre indennit� relative al rapporto di lavoro o di impiego), 
al comma 6 prevede espressamente: "restano in ogni caso ferme le altre limitazioni 
contenute in speciali disposizioni di legge". Posto che, come gi� detto, 
non sussiste alcun elemento per assimilare il credito vantato dalla cooperativa 
(...) a quelli espressamente qualificati come impignorabili nei primi tre commi 
dell'art. 545 c.p.c., resta da verificare se il vincolo di indisponibilit� esecutiva 
del predetto credito possa trovare fondamento nel riportato comma 6 del medesimo 
art. 545 c.p.c. 
232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Mette conto, anzitutto, evidenziare che i finanziamenti in questione rientrano 
tra gli interventi del Fondo europeo per la pesca nell�alveo dei fondi 
strutturali previsti dall�Unione Europea disciplinati dal Regolamento (CE) del 
Consiglio n. 1260 del 21 giugno 1999 contenente disposizioni generali, per 
l�appunto, sui Fondi strutturali. L'art. 32 del citato Reg. (CE) n. 1260/1999, 
nel disciplinare i pagamenti, al paragrafo 1, tra l'altro, cos� dispone: �l'autorit� 
di pagamento provvede affinch� i beneficiari finali ricevano quanto prima e 
integralmente gli importi corrispondenti alla partecipazione dei Fondi a cui 
hanno diritto�. La riferita disposizione comunitaria mira a garantire, dunque, 
che i beneficiari finali degli interventi il cui finanziamento � assicurato dai 
Fondi strutturali, ricevano integralmente gli importi per la realizzazione dei 
progetti presentati. In altri termini, l'esecuzione finanziaria degli interventi 
deve assicurare la conformit� degli impegni e dei pagamenti alle prescrizioni 
comunitarie e, dunque, deve garantire il trasferimento rapido ed efficiente delle 
risorse ai beneficiari finali senza ritardi ingiustificati e senza decurtazioni che 
potrebbero ridurre l'importo dovuto. Pertanto, nella fattispecie, pare potersi 
affermare che, in forza della richiamata normativa comunitaria, la societ� cooperativa 
beneficiaria dei contributi suddetti debba poter ricevere integralmente 
le somme concesse in relazione agli interventi finanziati. Ci� indurrebbe a 
concludere nel senso della impignorabilit� delle medesime somme, con la conseguente 
non applicabilit� della autotutela in compensazione legale per l�impedimento 
posta dall�art. 1246 n. 3 cod.civ. 
L�indisponibilit� dei suddetti contributi trova conferma anche alla luce di 
un�altra disposizione del richiamato Reg. (CE) n. 1260/1999, ed in particolare 
dell�art. 38. 
L'art. 38 del citato Reg. n. 1260/1999 viene in rilievo laddove prevede 
per gli Stati membri �la responsabilit� primaria del controllo finanziario degli 
interventi� e, a tal fine, li impegna, sia ad adottare "sistemi di gestione e controllo 
che consentano l'impiego efficace e corretto dei fondi comunitari", sia 
a tenere a disposizione della Commissione europea, "per un periodo di tre 
anni� successivamente al pagamento da parte della Commissione medesima 
del saldo relativo ad un intervento, tutti i documenti giustificativi concernenti 
le spese e i controlli relativi all'intervento stesso. Il regolamento C.E. 
1260/1999 � stato sostituito dal regolamento C.E. n. 1083/2006. Quest'ultimo 
contiene norme analoghe al regolamento sostituito tra le quali spicca l�art. 80, 
rubricato "Integrit� dei pagamenti ai beneficiari� che suona: �Gli stati membri 
si accertano che gli organismi responsabili dei pagamenti assicurino che i beneficiari 
ricevano l'importo totale del contributo pubblico entro il pi� breve 
termine e nella sua integrit�. Non si applica nessuna detrazione o trattenuta 
n� alcun onere specifico o di altro genere con effetto equivalente che porti 
alla riduzione di detti importi per i beneficiari�. Infine, sempre con riferimento 
al Fondo europeo pesca, l�art. 80 del regolamento CE n. 1198/2006 del Con-
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 233 
siglio del 27 luglio 2006 rubricato �Integralit� dei pagamenti ai beneficiari� 
ribadisce la stessa prescrizione: �Gli Stati membri si assicurano che gli organismi 
responsabili dei pagamenti garantiscano che i beneficiari percepiscano 
l�ammontare complessivo del contributo pubblico entro il pi� breve termine e 
nella sua integralit�. Non si applica nessuna detrazione o trattenuta, n� alcun 
altro onere specifico o di altro genere con effetto equivalente che conduca alla 
riduzione di questi importi per i beneficiari�. 
Sembra, pertanto, doversi ribadire la tesi secondo la quale i contributi 
pesca siano impignorabili, alla stessa stregua dei contributi FEAGA in agricoltura, 
stante la medesima ratio secondo cui l�aiuto deve giungere integro al 
produttore e non patire nessuna �detrazione o trattenuta�. 
Il sintagma nessuna detrazione o trattenuta richiama effetti di strumenti 
di autotutela, le cui cause possono essere molteplici, tra le molte sono incluse 
le compensazioni finanziarie, quali ad esempio quelle dettate in regime 
FEAGA. Tuttavia, mentre per tale regime la normativa comunitaria regolamentare 
consente di trattenere dagli aiuti PAC gli aiuti indebitamente percepiti 
(cfr. art. t ter del Reg. CE n. 885/2006, ma gi� in precedenza in ambito nazionale 
v. l�art. 2 del D.P.R. n. 727 del 24 dicembre 1974 con riferimento ai contributi 
P.A.C. A.i.m.a. ed ora cfr. l�art. 3, comma 5-duodecies del D.L. n. 
182/2005, convertito in legge n. 231/2005, nonch� l�art. 8-ter commi 1, 5 e 7, 
del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5 sulla compensazione automatica,), a prescindere 
dalla loro impignorabilit�, non si rinviene alcuna norma del genere che 
consente di �detrarre� in compensazione dagli aiuti FEP gli aiuti di Stato indebitamente 
percepiti dalle cooperative di pesca. 
�.4. La compensazione atecnica o impropria 
Chiarita l�impignorabilit� dei contributi FEP � bene porsi il quesito se 
possa operare, nel caso di specie, compensazione atecnica: istituto per il quale 
non trovano applicazione le norme codicistiche in materia di compensazione 
legale. Come � noto, requisito necessario perch� possa aversi compensazione 
� che vi sia l�autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti titoli creditori 
delle parti. La compensazione c.d. impropria, invece, � un'ipotesi particolare 
di compensazione che ricorre, secondo la giurisprudenza della Suprema 
Corte, allorquando i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, 
sicch� il giudice dovrebbe compiere un accertamento d�ufficio di dare 
ed avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza. 
L'aggettivazione �impropria� attribuita a tale compensazione si giustificherebbe 
sotto un duplice e connesso profilo. In primo luogo, l'istituto 
della compensazione di cui agli articoli 1241 ss. c.c. presuppone, come detto, 
l'autonomia dei rapporti da cui nascono i contrapposti crediti delle parti, con 
la conseguenza che la compensazione stessa deve escludersi allorch� i rispettivi 
crediti e debiti risultino avere origine da un unico rapporto, divenendo cos�
234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
sufficiente procedere ad un semplice accertamento algebrico delle reciproche 
partite di dare e di avere; inoltre, in ipotesi del genere, non trovano applicazione 
le regole proprie della compensazione, sia di natura processuale (come 
quelle della non rilevabilit� d'ufficio ex art. 1242, primo comma, c.c.) che sostanziale 
(quali l'arresto della compensazione ex art. 1242, secondo comma, 
c.c. e, ed � ci� che qui interessa, la non compensabilit� del credito dichiarato 
impignorabile ex artt. 1246, primo comma, n. 3, c.c. e 545 c.p.c.). 
Si registra, tuttavia, negli ultimi pronunciamenti della giurisprudenza la 
tendenza a superare il precedente orientamento secondo cui la cosiddetta compensazione 
impropria trova applicazione tutte le volte che i rispettivi crediti e 
debiti abbiano origine da un unico rapporto, in favore della sufficienza della 
presenza del nesso di sinallagmaticit� tra le obbligazioni (che implica, ad onor 
del vero, sempre una unicit� di rapporto). Peraltro, la tesi secondo cui in caso 
di rapporto unico, anche se complesso, la valutazione delle rispettive pretese 
si ridurrebbe ad un accertamento contabile delle poste di dare e avere, � condivisibile 
solo quando le obbligazioni derivanti da un unico negozio siano tra 
loro legate da un vincolo di corrispettivit� che ne escluda l'autonomia, perch� 
in tali ipotesi la non compensabilit� deriva dal fatto che l'elisione delle reciproche 
obbligazioni verrebbe ad incidere sull'efficacia del negozio, ponendosi 
cos� la compensazione in contrasto con la funzione del contratto. Quando, invece, 
le obbligazioni, ancorch� nascenti dal medesimo negozio, non siano in 
rapporto di sinallagmaticit�, avendo carattere autonomo, non v'� ragione alcuna 
per escludere la fattispecie dall'area della compensazione in senso tecnico 
e dall'applicazione della relativa disciplina. 
Deve pertanto concludersi che, ai fini della configurabilit� della compensazione 
in senso tecnico, non rileverebbe tanto la pluralit� o unicit� dei rapporti 
posti a base delle reciproche obbligazioni, quanto il fatto che le suddette obbligazioni, 
quale che sia il rapporto (o i rapporti) da cui esse prendono origine, 
siano �autonome� (nel senso, precisato, di �non essere legate da nesso di sinallagmaticit��). 
Le cd. �compensazioni atecniche�, pertanto, in mancanza di espressa previsione 
testuale, non possono essere estese oltre le ipotesi in cui una compensazione 
non sia logicamente configurabile (obbligazioni in sinallagma), 
dovendo, in ogni altro caso, ritenersi applicabile l'istituto della compensazione 
previsto dal codice, con i limiti e le garanzie della relativa disciplina (Cass. 
Civ., Sez. Lav., 9 maggio 2006, n. 10629). 
�.5. L�autonomia dei rapporti nella fattispecie concreta 
� necessario valutare, nel caso di specie, se quindi sussistano tra la cooperativa 
e l�amministrazione rapporti giuridici autonomi o se vi sia un unico 
rapporto da cui derivano obbligazioni legate dal nesso di corrispettivit�.
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 235 
�.5.1. I contributi per la ricapitalizzazione 
I contributi per la ricapitalizzazione delle cooperative rientrano nel complesso 
di azioni pubbliche in favore del settore ittico realizzate mediante un'efficace 
sinergia tra i diversi livelli dell'amministrazione pubblica e le 
associazioni nazionali delle cooperative della pesca che rappresentano le varie 
realt� del settore. Si tratta di contributi rientranti nel Piano nazionale della 
pesca e dell'acquacoltura per l'anno 2004. In particolare, attraverso la cooperazione 
e l'associazionismo � stata diffusa la cultura della responsabilizzazione 
e della compartecipazione degli operatori di settore alle politiche gestionali e 
di sviluppo di un'adeguata imprenditorialit�. La gestione di tali contributi rispecchia 
il sistema gestionale �multilivello� che individua fonti di diritto diverse: 
la Comunit� europea, lo Stato italiano, le regioni e le province 
autonome. All'erogazione dei contributi provvede lo Stato mediante utilizzo 
delle disponibilit� del Fondo centrale per il credito peschereccio, mentre le regioni 
si impegnano ad erogare incentivi volti alla ristrutturazione aziendale e 
ricapitalizzazione delle cooperative. Al fine di consentire alle imprese ed alle 
cooperative operanti nel settore della pesca, dell'acquacoltura e delle attivit� 
connesse, un pi� agevole ricorso al credito, � stato istituita operativit� del 
Fondo centrale per il credito peschereccio, previsto dalla legge 17 febbraio 
1982, n. 41. Detto fondo eroga, sulla base della dotazione stabilit� a livello 
comunitario, finanziamenti a tassi agevolati. Infatti, secondo quanto previsto 
dall�art. 2 del decreto 10 febbraio 1998, n. 113 �Alle cooperative che intendono 
adottare un piano di ristrutturazione aziendale finalizzato al risanamento della 
gestione possono essere concessi sia un contributo a fondo perduto sia un 
mutuo a tasso agevolato�. In particolare si tratta di un fondo di rotazione alimentato 
dagli stanziamenti statali dalle rate di ammortamento e dai rimborsi 
anticipati dei mutui erogati dal fondo stesso. La L. 41/82, che istituisce il menzionato 
fondo, prevede l�elaborazione di un Piano nazionale di durata triennale 
la cui funzione � quella di favorire la realizzazione di interventi diretti a promuovere 
lo sfruttamento razionale e la valorizzazione delle risorse biologiche 
del mare attraverso uno sviluppo equilibrato della pesca marittima. Tra gli 
obiettivi indicati dai piani vi � quello volto alla ristrutturazione aziendale e al 
risanamento della gestione di cooperative e loro consorzi di particolare rilevanza, 
che operano nel settore della pesca, dell�acquacoltura, della trasformazione 
e commercializzazione. L�art. 5 del Decreto Legislativo 26 maggio 2004, 
n. 154 �Modernizzazione del settore pesca e dell'acquacoltura, a norma dell'articolo 
1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38� stabilisce che �� il 
Ministero delle politiche agricole e forestali, sentito il Ministero dell�ambiente 
e della tutela del territorio, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti 
tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, 
che propone al CIPE, per l'approvazione di cui al comma 3, il �Programma 
nazionale triennale della pesca e l'acquacoltura�, di seguito denominato
236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
�Programma nazionale�, contenente gli interventi di competenza nazionale�. 
Spetta, dunque, agli Stati membri erogare i finanziamenti e controllare che 
vengano adoperati per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Programma 
triennale. 
�.5.2. I contributi per l�arresto natanti 
I contributi per l�arresto definivo dei natanti e per l�arresto obbligatorio 
della pesca di tonno rosso, sono contributi finanziati dal FEP sulla base del 
programma operativo presentato dai singoli stati membri e approvato dalla 
Commissione europea. Una volta adottata la decisione che approva un contributo 
del FEP a un programma operativo, la Commissione versa all�organismo 
designato dallo Stato membro un importo unico a titolo di prefinanziamento. 
I pagamenti da parte della Commissione avvengono sotto forma di un prefinanziamento, 
di pagamenti intermedi e di un pagamento del saldo. Spetta agli 
Stati membri garantire la gestione e il controllo dei programmi operativi e 
spetta agli stessi prendere provvedimenti quando venga accertata una modifica 
importante che incida sulla natura delle condizioni di attuazione o di controllo 
delle operazioni o del programma operativo. Gli aiuti di stato premi di capitalizzazione, 
dunque, costituiscono contributi diversi rispetto a quelli versati 
per il fermo natante e dell�arresto definitivo della pesca del tonno rosso, atteso 
che sono differenti i rapporti giuridici che si vanno ad instaurare tra beneficiario 
e soggetto erogatore. Entrambi i contributi, dunque, pur essendo di natura 
comunitaria, derivano da rapporti giuridici relativi a titoli autonomi, che 
hanno ratio diverse e per i quali si potrebbe procedere a compensazione tecnica 
se non lo impedissero le norme sopra enunciate relative all�impossibilit� 
di effettuare detrazioni e trattenute che conducano alla riduzione di questi importi 
per i beneficiari. 
�.6. La compensazione comunitaria e la sua prevalenza sull�art. 1246 n. 
3 cod.civ. 
Merita, tuttavia, attenzione la sentenza della Corte di giustizia n. 132 del 
19 maggio 1998 nella causa C-132/95 Bent Jensen che ha ammesso a certe 
condizioni la compensazione fra aiuti comunitari e imposte dello Stato membro, 
ossia tra titoli all�evidenza del tutto autonomi. 
Come risulta dal testo della sentenza, il diritto comunitario non prevede, 
allo stato attuale, norme generali relative al potere delle autorit� nazionali di 
procedere a compensazioni tra crediti esigibili di uno Stato membro ed importi 
versati in base al diritto comunitario. Il diritto comunitario non osta a che uno 
Stato membro operi una compensazione tra un importo dovuto al beneficiario 
di un aiuto in base al diritto comunitario e crediti esigibili del medesimo Stato 
membro. A una diversa soluzione dovrebbe giungersi solo se tale prassi ostacolasse 
il buon funzionamento del mercato comune. Al riguardo restano irri-
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 237 
levanti il titolo in base al quale lo stato membro concede gli aiuti, la circostanza 
che la normativa del detto Stato membro in materia di compensazione esige, 
per procedere una reciprocit� di crediti tra il debitore e il creditore, la prassi 
generalmente seguita dallo Stato membro in materia di compensazione, nonch� 
la base giuridica del credito statale con il quale viene operata la compensazione. 
Vi � per� il limite che le autorit� nazionali procedano in modo da 
evitare ogni pregiudizio all�efficacia del diritto comunitario o al la parit� di 
trattamento tra gli operatori economici. 
A conferma della massima della sentenza della Corte di Giustizia citata, 
che come � noto costituisce diritto vincolante per lo Stato, vi � il Regolamento 
della Commissione del 21 ottobre 2008, n. 1034 recante �Modalit� di applicazione 
del regolamento CE n. 1260/2005 del Consiglio per quanto riguarda 
il riconoscimento degli organismi pagatori e di altri organismi e la liquidazione 
del FEAGA e del FEASR�. L�art 5 ter del regolamento rubricato �modalit� di 
recupero� stabilisce che fatte salve eventuali misure di esecuzione previste 
dalla normativa nazionale, gli Stati membri deducono gli importi dei debiti in 
essere di un beneficiario, accertati in conformit� della legislazione nazionale, 
dai futuri pagamenti a favore del medesimo beneficiario effettuati dall�organismo 
pagatore incaricato di recuperare il debito. Poich� sia il FEAGA che 
il FEASR rientrano tra i fondi strutturali tra cui viene fatto rientrare anche il 
fondo europeo pesca � opportuno che anche per il recupero dei contributi finanziati 
dal FEP valgano le medesime norme. 
�.7. Conclusioni 
Alla luce di tale orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia 
e della disciplina regolamentare comunitaria menzionata, si pu� concludere 
che si pu� addivenire a compensazione legale tra i premi a cui la cooperativa 
ha diritto e i crediti vantati dell�amministrazione relativi ai contributi indebitamente 
erogati perch� incompatibili con il mercato comune; ci�, in quanto le 
norme del Trattato UE sul divieto degli aiuti di Stato, nonch� il principio di 
diritto comunitario affermato dalla Corte di Giustizia esportabile in via analogica 
anche per i premi fermo pesca a tutela del tonno, prevalgono sulle norme 
interne che vietano la compensazione legale del credito impignorabile. 
L E G I S L A Z I O N E 
E D 
A T T U A L I TA� 
Il contenzioso in materia di operazioni elettorali 
nel nuovo codice del processo amministrativo 
a cura di Maurizio Borgo* 
IL TITOLO VI DEL LIBRO IV (�OTTEMPERANZA E RITI SPECIALI�) DEL 
CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO (DI SEGUITO, SEMPLICEMENTE 
�CODICE�) RECA, AGLI ARTICOLI DA 126 A 132, LA DISCIPLINA 
DEL CONTENZIOSO IN MATERIA DI OPERAZIONI ELETTORALI. 
L�omesso esercizio della delega nella parte relativa alla �giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo nelle controversie concernenti atti del procedimento 
elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera 
dei deputati e del Senato della Repubblica� (art. 44, comma 2, lett. d), della 
legge-delega n. 69/09) 
Il testo definitivo del Codice presenta una rilevante modifica rispetto a 
quello elaborato dalla Commissione, all�uopo istituita presso il Consiglio di 
Stato. 
La stessa � costituita dall�espunzione, con riferimento all�ambito della 
giurisdizione del giudice amministrativo in tema di contenzioso sulle operazioni 
elettorali (art. 126), della originaria previsione della cognizione del giudice 
amministrativo anche sugli �atti del procedimento elettorale preparatorio 
per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica�. 
Al proposito, si evidenzia come l'art. 44, comma 2, lett. d), della legge 
18 giugno 2009 n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplifica- 
(*) Avvocato dello Stato, Condirettore della Rivista.
240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
zione, la competitivit� nonch� in materia di processo civile) avesse delegato 
il Governo ad introdurre �la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio 
per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, 
mediante la previsione di un rito abbreviato in camera di consiglio 
che consenta la risoluzione del contenzioso in tempi compatibili con gli adempimenti 
organizzativi del procedimento elettorale e con la data di svolgimento 
delle elezioni�. 
Con la prefata previsione, il legislatore perseguiva il meritorio obiettivo 
di ovviare ad una situazione di incertezza, venutasi a creare in ordine all�individuazione 
del giudice competente a conoscere dei ricorsi avverso gli atti degli 
uffici elettorali, adottati nell�ambito del procedimento elettorale preparatorio 
delle elezioni politiche, che si pu� riassumere nei termini che seguono. 
Gli articoli 23 e 87 del d.P.R. n. 361 del 1957 configurano un sistema di 
tutela delle situazioni giuridiche dei candidati all'elezione della Camera dei 
deputati (ma uguale disciplina vale anche per l�elezione del Senato della Repubblica) 
articolato in due momenti fondamentali: il primo, di natura amministrativa, 
consiste nel diritto del candidato di ricorrere, contro le decisioni 
dell'Ufficio centrale circoscrizionale, all'Ufficio centrale nazionale; il secondo, 
di natura giurisdizionale, nel quale spetta alla stessa Camera il �giudizio definitivo 
sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati 
agli Uffici delle singole sezioni elettorali o all'Ufficio centrale durante la loro 
attivit� o posteriormente�. 
La natura amministrativa dei controlli effettuati dall'Ufficio circoscrizionale 
e da quello centrale � stata affermata dalla Corte Costituzionale con giurisprudenza 
univoca, sul rilievo che la collocazione di detti organi presso le 
Corti d'appello e la Corte di Cassazione �non comporta che i collegi medesimi 
siano inseriti nell'apparato giudiziario, evidente risultando la carenza, sia 
sotto il profilo funzionale sia sotto quello strutturale, di un nesso organico di 
compenetrazione istituzionale che consenta di ritenere che essi costituiscano 
sezioni specializzate degli uffici giudiziari presso cui sono costituiti� (cfr. sentenza 
n. 387 del 1996; conformi, ex plurimis, sentenze n. 29 del 2003, n. 104 
del 2006, n. 164 del 2008). 
La natura giurisdizionale del controllo sui titoli di ammissione dei suoi 
componenti, attribuito in via esclusiva, con riferimento ai parlamentari, a ciascuna 
Camera ai sensi dell'art. 66 Cost., � pacificamente riconosciuta dalla 
dottrina e dalla giurisprudenza, �quale unica eccezione al sistema generale di 
tutela giurisdizionale in materia di elezioni� (cfr. Corte Cost., sentenza n. 113 
del 1993). 
Una giurisprudenza costante e uniforme della Corte di Cassazione ha 
escluso la giurisdizione del giudice ordinario, come di ogni altro giudice, anche 
sul procedimento elettorale preparatorio, ritenendo gli uffici elettorali di cui
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 241 
sopra �organi straordinari, temporanei e decentrati, di quelle stesse Camere 
legislative alla cui formazione concorrono, svolgendo una funzione contingente 
e strumentale, destinata ad essere controllata o assorbita da quella delle 
stesse Camere, una volta queste costituite� (cfr. Corte di Cassazione, sezioni 
unite civili, sentenza 31 luglio 1967, n. 2036; conformi, ex plurimis, sezioni 
unite civili, sentenze 9 giugno 1997, n. 5135; 22 marzo 1999, n. 172; 6 aprile 
2006, n. 8118 e n. 8119; 8 aprile 2008, n. 9151, n. 9152 e n. 9153). 
A partire dalla XIII Legislatura, la Camera dei deputati ha, tuttavia, negato 
la propria competenza a conoscere i ricorsi riguardanti atti del procedimento 
elettorale preparatorio, dichiarando gli stessi inammissibili, sulla base della 
considerazione che �la verifica dei titoli di ammissione degli eletti esclude 
per definizione che nella stessa possa ritenersi ricompreso anche il controllo 
sulle posizioni giuridiche soggettive di coloro i quali (singoli o intere liste) 
non hanno affatto partecipato alla competizione elettorale� (cfr. Giunta delle 
elezioni della Camera dei deputati, seduta del 13 dicembre 2006). 
Dal quadro normativo e giurisprudenziale, sopra delineato, emerge chiaramente 
l�esistenza di un contrasto che potrebbe essere foriero dell�insorgenza 
di conflitti di giurisdizione oppure, qualora ne ricorrano i presupposti soggettivi 
ed oggettivi, addirittura di conflitti di attribuzioni tra poteri dello Stato, 
con conseguente coinvolgimento della Corte Costituzionale. 
Quest�ultima � stata, peraltro, interessata della questione, seppure in via 
incidentale, ma ha, di recente, dichiarato la manifesta inammissibilit� della 
stessa. 
Nella sentenza n. 259/09, la Consulta ha, infatti, affermato che �dal quadro 
normativo e giurisprudenziale esposto non deriva la conclusione, cui � 
giunto invece il rimettente, che vi sia nell'ordinamento un vuoto di tutela delle 
situazioni giuridiche soggettive nel procedimento elettorale preparatorio delle 
elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il giudice 
competente in materia � stato, infatti, individuato nello stesso organo parlamentare 
dal giudice supremo del riparto delle giurisdizioni, che, a norma della 
Costituzione (art. 111, ottavo comma) e delle leggi vigenti, � la Corte di cassazione�. 
Nella medesima sentenza, la Corte Costituzionale ha, peraltro, evidenziato 
�che le questioni attinenti le candidature, che vengono ammesse o respinte 
dagli uffici competenti, nel procedimento elettorale preparatorio, 
riguardano un diritto soggettivo, tutelato per di pi� da una norma costituzionale, 
come tale rientrante, in linea di principio, nella giurisdizione del giudice 
ordinario�. 
Da qui l�introduzione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
sugli �atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per 
il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica� da parte 
della legge n. 69/09 (scelta, quest�ultima, espressamente menzionata dalla
242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Corte Costituzionale nella parte conclusiva della sentenza n. 259/09). 
Alla luce di quanto sopra, desta, pertanto, perplessit� la decisione del Governo 
di non esercitare la delega nella parte relativa alla introduzione di una 
tutela giurisdizionale specifica per la fase preparatoria delle elezioni politiche, 
accantonando il testo che era stato elaborato in tale senso dalla Commissione 
istituita presso il Consiglio di Stato. 
PER COMODIT� DI LETTURA LA TRATTAZIONE SEGUE LA DISTINZIONE 
DEL CODICE IN CAPI. 
� Capo I: disposizioni comuni al contenzioso elettoriale (artt. 126-128) 
L�art. 126 del Codice individua l�ambito della giurisdizione del giudice 
amministrativo in materia di operazioni elettorali, riferendola alle operazioni 
relative alle elezioni amministrative (rinnovo degli organi elettivi dei comuni, 
delle province e delle regioni) nonch� all�elezione dei membri del Parlamento 
europeo spettanti all�Italia. 
Al proposito, occorre, in primo luogo, tenere presente che, secondo la pacifica 
giurisprudenza della Corte di legittimit�, �le controversie elettorali riservate 
alla giurisdizione amministrativa dall'art. 6 della legge 6 dicembre 
1971 n. 1034 sono quelle attinenti alle operazioni elettorali - che non si esauriscono 
nelle attivit� di votazione vere e proprie, ma si estendono al complesso 
procedimento elettorale, dalla indizione delle elezioni fino alla proclamazione 
degli eletti, sicch� sono devolute al detto giudice anche le controversie che 
investono la presentazione e l'accettazione delle liste, compresi i provvedimenti 
delle Commissioni elettorali mandamentali, oltre che quelle relative alla 
detta proclamazione degli eletti - e si caratterizzano dalla loro pertinenza a 
situazioni giuridiche soggettive che hanno la consistenza del mero interesse 
legittimo, con la conseguenza che alla giurisdizione suddetta non pu� riconoscersi 
carattere esclusivo, implicando essa, invece, senza contrasto con gli 
artt. 103 e 113 Cost., una applicazione dei criteri generali di riparto della 
giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo� (cfr. Corte Cass., 
SS.UU., sentenza 1 luglio 1992, n. 8084). 
L�art. 127, in continuit� con la normativa previgente, prevede, per gli atti 
relativi al contenzioso elettorale, l�esenzione degli stessi dal contributo unificato 
e da ogni altro onere fiscale. 
L�art. 128 dispone che in materia elettorale non � ammesso il ricorso straordinario 
al Presidente della Repubblica; la norma prende atto di un consolidato 
orientamento del Consiglio di Stato secondo il quale il ricorso in materia 
elettorale non pu� essere svolto con le forme del ricorso straordinario al Capo 
dello Stato, essendo autonomamente regolato da un procedimento giurisdizionale 
speciale, caratterizzato da termini accelerati e da possibile decisione di
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 243 
merito, rimesso alla esclusiva giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. 
Cons. Stato, 21 ottobre 2009, n. 3244). 
Tra le disposizioni comuni al contenzioso elettorale (sebbene non sia allocata 
nel Capo I del Titolo VI del Libro IV del Codice) va annoverata anche 
la previsione contenuta nell�art. 23 la quale prevede che, in materia elettorale, 
�le parti possono stare in giudizio personalmente senza l�assistenza di un difensore�. 
Trattasi di disposizione che, seppure sia conforme alla previgente 
disciplina (art. 7 della legge n. 1034/71), desta non poche perplessit� atteso 
che il giudizio in materia di operazioni elettorali (in particolare, il rito disciplinato 
nell�art. 129) risulta caratterizzato da numerosi incombenti processuali, 
da compiersi, a pena di decadenza, nel rispetto di ristrettissimi termini; una 
circostanza, quest�ultima, che avrebbe dovuto imporre una maggiore riflessione 
in ordine alla opportunit� di confermare, con riferimento al contenzioso 
in materia elettorale, la deroga al principio dell�obbligatoriet� della difesa tecnica.
Da ultimo, deve precisarsi che la difesa personale non �, comunque, ammessa 
nei giudizi di impugnazione; in tale senso dispone, infatti, l�art. 95, 
comma 6, del Codice. 
� Capo II: tutela anticipata avverso gli atti di esclusione dai procedimenti 
elettoriali preparatori per le elezioni comunali, provinciali e regionali (art. 
129)
Il Capo II del Titolo VI del Libro IV del Codice si compone di una sola 
disposizione, l�art. 129. 
L�art. 129 del Codice, al primo comma, stabilisce che i provvedimenti relativi 
al procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali 
concernenti l�esclusione di liste o candidati possono essere 
immediatamente impugnati, esclusivamente dai delegati delle liste e dai gruppi 
di candidati esclusi, innanzi al T.A.R. competente nel termine di tre giorni 
dalla pubblicazione del provvedimento di esclusione. 
Al di fuori di quanto previsto dal comma 1 � prosegue la disposizione � 
ogni provvedimento relativo al procedimento preparatorio per le elezioni � 
impugnabile soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente 
all�atto di proclamazione degli eletti. 
La problematica ortodossia costituzionale dell�art. 129 del Codice 
La disposizione di cui all�art. 129 del Codice (pubblicato sulla Gazzetta 
Ufficiale del 7 luglio 2010) risulta coeva, per una sorta di scherzo del destino, 
alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 236/10 che ha 
dichiarato l�incostituzionalit� dell�art. 83�undecies del d.P.R. n. 570/60, nella
244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
parte in cui escludeva la possibilit� di un�autonoma impugnativa degli atti del 
procedimento preparatorio alle elezioni comunali, provinciali e regionali, ancorch� 
immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti. 
Il giudizio di legittimit� costituzionale dell�art. 83-undecies del T.U. del 
1960 � stato promosso dal T.A.R. Liguria. Il giudice rimettente ha contestato 
la legittimit� della norma che esclude � secondo una interpretazione giurisprudenziale 
consolidata � la possibilit� di una autonoma impugnativa degli atti 
endoprocedimentali del procedimento elettorale, ancorch� immediatamente 
lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti. 
Nel giudizio che ha occasionato la rimessione, i ricorrenti, in qualit� di 
elettori, delegati alla presentazione di lista e candidati, avevano impugnato i 
provvedimenti di ricusazione di una lista alle elezioni provinciali alla quale 
erano interessati. 
Il T.A.R., accertata la rilevanza della questione, atteso che la inammissibilit� 
del gravame sulla base della �regola del diritto vivente� avrebbe precluso 
ai ricorrenti la partecipazione alla competizione elettorale �con conseguente 
compressione dei diritti elettorali costituzionalmente garantiti�, ha, da un lato, 
concesso la tutela cautelare, e, dall�altro, rimesso gli atti alla Consulta per violazione 
degli artt. 3, 24, 48, 49, 51, 97 e 113 della Costituzione. 
La Corte Costituzionale ha affermato che la posticipazione dell�impugnabilit� 
degli atti di esclusione di liste o candidati (con riferimento alla fattispecie 
in esame) ad un momento successivo allo svolgimento delle elezioni viola gli 
artt. 24 e 113 Cost.. 
L�interesse del candidato - si legge in motivazione - Ǐ quello di partecipare 
ad una determinata consultazione elettorale, in un definito contesto politico 
e ambientale�. Ogni forma di tutela che intervenga ad elezioni concluse 
�appare inidonea ad evitare che l�esecuzione del provvedimento illegittimo 
di esclusione abbia, nel frattempo, prodotto un pregiudizio�. 
La Corte ha, altres�, evidenziato che �lo stesso legislatore, del resto, con 
la disposizione dell�art. 44 della L. 69 del 2009, ha delegato il Governo ad 
adottare norme che consentono l�autonoma impugnabilit� degli atti cosiddetti 
endoprocedimentali immediatamente lesivi di situazioni giuridiche soggettive�. 
A completamento del quadro della normativa di riferimento, che richiede 
una tutela piena e tempestiva contro gli atti della pubblica amministrazione, 
la Corte ha, infine, richiamato gli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per 
la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali che riconoscono, 
tra l�altro, il diritto ad un ricorso effettivo. L�esclusione della impugnabilit� 
immediata degli atti relativi al procedimento preparatorio alle elezioni, 
come l�esclusione di liste o candidati, - ha concluso la Corte - vanificherebbe 
il diritto riconosciuto dalla Convenzione europea. 
Da qui la statuizione di illegittimit� costituzionale dell�art. 83-undicies 
del d.P.R. n. 570/60.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 245 
La questione, sollevata dal T.A.R. Liguria, e definita dalla Corte Costituzionale, 
ha preso le mosse dalla decisione dell�Adunanza Plenaria del Consiglio 
di Stato del 24 novembre 2005 n. 10, che risolse in termini negativi la 
dibattuta e controversa questione circa la possibilit�, in materia di ricorso avverso 
le operazioni elettorali, di impugnare, prima della proclamazione degli 
eletti, gli atti endoprocedimentali riguardanti le operazioni preparatorie. 
E� d�uopo ricordare che sulla questione si erano manifestati, prima della 
decisione dell�Adunanza Plenaria, orientamenti giurisprudenziali molto diversificati, 
riconducibili a tre filoni: il primo, che riteneva il carattere immediatamente 
lesivo di tutti i provvedimenti rientranti nella fase preparatoria del 
procedimento elettorale, e, quindi, sia i provvedimenti di esclusione, sia quelli 
di ammissione di liste o candidature, con la possibilit�, quindi, o addirittura la 
doverosit�, della immediata impugnabilit� a pena di decadenza; il secondo filone 
che operava una distinzione tra i provvedimenti di esclusione da quelli 
di ammissione di liste o candidati, prefigurando due momenti diversi di impugnazione, 
in relazione alla qualit� dell�interesse e ritenendo i provvedimenti 
di esclusione immediatamente impugnabili e quelli di ammissione impugnabili, 
invece, in via differita, al momento della proclamazione degli eletti; il 
terzo filone era quello che propugnava l�ammissibilit� solo di una impugnativa 
successiva alla proclamazione degli eletti. 
Rispetto a siffatti orientamenti, come gi� detto, prevalse quello, da ultimo 
menzionato, con la decisione dell�Adunanza Plenaria n. 10/2005, peraltro diffusamente 
criticata in dottrina, ma altres� immediatamente disattesa dalla giurisprudenza 
dei TT.AA.RR. e dallo stesso Consiglio di Stato; gi� nel 2006, la 
Sezione Quinta (ordinanza n. 2368 del 16 maggio 2006) dissentiva dalla decisione 
dell�Adunanza Plenaria ed affermava l�ammissibilit� di un ricorso in 
materia elettorale avverso gli atti di esclusione o di ammissione di una lista 
alla competizione elettorale �in considerazione della necessit� pi� volte sottolineata 
dalla Corte Costituzionale di assicurare piena ed incondizionata tutela 
alla res integra, in relazione all�art. 24 Cost.�. 
In effetti, come viene ricordato nella motivazione della sentenza n. 236/10 
della Corte Costituzionale, la questione della costituzionalit� dell�art. 83-undecies 
era stata gi� rimessa dal T.A.R. Sicilia � Sez. Catania al vaglio della 
Corte Costituzionale, che, con ordinanza n. 90 del 2009, la dichiar� inammissibile; 
ci� perch� la stessa ordinanza di rimessione era stata formulata in modo 
perplesso e contraddittorio, ed altres� perch� la medesima ordinanza dava atto 
di come, anche dopo l�intervento dell�Adunanza Plenaria, la disposizione impugnata 
fosse stata oggetto di contrastanti interpretazioni giurisprudenziali, al 
punto che la norma stessa era stata censurata dal rimettente anche in relazione 
alla sua ambiguit�. 
Ed invero, occorre sottolineare che, a pi� riprese, i Giudici Amministrativi, 
soprattutto dei TT.AA.RR., hanno ritenuto superato l�orientamento giu-
246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
risprudenziale restrittivo sull�impugnabilit� degli atti preparatori del procedimento 
elettorale immediatamente lesivi sia in sede cautelare che in sede di 
merito (T.A.R. Molise, Sez. I, 20 maggio 2009 n. 216; T.R.G.A. Trentino � 
Trento 10 ottobre 2008 n. 254; T.A.R. Lombardia � Milano 6 novembre 2007 
n. 1135). Tra le decisioni pi� recenti � d�uopo segnalare la sentenza del T.A.R. 
Lecce n. 698 del 2010, confermata dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato 
con decisione n. 4323 del 6 luglio 2010, che ha dato per acquisita la piena ammissibilit� 
di un ricorso avverso il provvedimento di non ammissione di una 
lista comunale per la elezione diretta del Sindaco e del Consiglio Comunale, 
decidendo la controversia dapprima in sede cautelare, e, quindi, con la citata 
sentenza di merito. 
E� evidente, quindi, lo sforzo interpretativo compiuto dalla Corte Costituzionale, 
che, per potersi pronunciare sulla vexata quaestio dichiarando l�illegittimit� 
costituzionale dell�art. 83-undecies del d.P.R. 570/60, ha dovuto 
affermare che, successivamente alla decisione n. 10/2005 dell�Adunanza Plenaria 
del Consiglio di Stato, la regola scaturita da quella decisione si sarebbe 
consolidata come un vero e proprio diritto vivente. 
E per corroborare siffatta affermazione, non proprio in sintonia con i variegati 
orientamenti giurisprudenziali, la Corte Costituzionale ha opportunamente 
richiamato il testo della proposta del nuovo codice del processo 
amministrativo, all�epoca trasmesso alla Camera dei Deputati, che ha previsto 
l�abrogazione della norma dichiarata incostituzionale, prevedendo - si legge 
nella motivazione della sentenza della Corte - �la possibilit� di impugnare 
immediatamente l�ammissione o la esclusione delle liste elettorali, senza attendere 
la proclamazione degli eletti (art. 129)�. 
E tutto ci� in puntuale applicazione della delega contenuta nell�art. 44 
della L. 69/2009, con la quale il legislatore aveva investito il Governo del riassetto 
del contenzioso elettorale amministrativo. 
Rimane, tuttavia, aperta la questione se la nuova disciplina del Codice 
abbia compiutamente soddisfatto le molteplici istanze sulla necessit� di una 
tutela immediata anche nella fase preparatoria del procedimento elettorale, e 
se soprattutto l�art. 129 - coevo alla sentenza della Corte Costituzionale - ne 
rispetti le motivazioni ed il giudizio di conformit� ai precetti costituzionali. 
In linea di principio, va evidenziato che le ammissioni o esclusioni delle 
liste e dei candidati, pi� che atti infraprocedimentali, si atteggiano come vere 
e proprie �fasi� del procedimento; sicch� dovrebbe valere il principio secondo 
cui gli atti che chiudono una fase, se immediatamente lesivi, ancorch� prodromici 
a successivi sviluppi, sono suscettibili di autonoma impugnazione, fatto 
salvo l�obbligo di impugnare l�atto conclusivo del procedimento (i casi pi� ricorrenti 
sono l�atto di adozione dello strumento urbanistico generale, l�aggiudicazione 
provvisoria in materia di contratti pubblici, gli atti di esclusione nei 
procedimenti concorsuali).
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 247 
D�altro canto, i principi affermati dalla Corte Costituzionale nella citata 
sentenza sembrano avere una valenza riferibile a tutti gli atti preparatori del 
procedimento elettorale, suscettibili di incidere sull�interesse dei concorrenti 
alla competizione elettorale. 
Se � vero, infatti, che in relazione alla fattispecie esaminata, il Giudice 
delle leggi ha fatto espresso riferimento agli atti di esclusione di liste o candidati, 
ribadendo che la posticipazione dell�impugnabilit� di siffatti atti ad un 
momento successivo allo svolgimento delle elezioni preclude la possibilit� di 
una tutela giudiziaria efficace e tempestiva, si pu� legittimamente argomentare 
che le esigenze di tutela evidenziate dalla Corte possono valere anche nella 
diversa ipotesi di ammissione di liste o di candidati in aperta violazione di legge. 
Anche in questo caso, denegando la possibilit� di una impugnativa tempestiva 
dell�atto che chiude la fase di ammissione, si realizza la violazione 
degli artt. 24 e 113 Cost.; ci� perch� - seguendo il ragionamento della Corte - 
posto che l�interesse del candidato � quello di partecipare ad una determinata 
consultazione elettorale in un definito contesto politico e ambientale, ed altres� 
- occorre aggiungere - temporale, ogni forma di tutela che intervenga ad elezioni 
concluse appare inidonea ad evitare che l�esecuzione del provvedimento 
illegittimo abbia, nel frattempo, prodotto un pregiudizio. 
In nessun altro procedimento, come quello elettorale, gli effetti dannosi 
di atti preparatori illegittimi si riverberano in modo irreversibile sulla rinnovazione 
di quegli stessi atti a seguito di una pronunzia di annullamento ex post 
per la indiscutibile non omogeneit� tra due procedimenti elettorali reiterati nel 
tempo. 
Siffatta argomentazione � egualmente pertinente per l�ipotesi di illegittima 
esclusione di una lista, ma altres� per l�illegittima ammissione di una lista concorrente. 
A conferma del fatto che un pregiudizio pu� derivare anche dall�ammissione 
illegittima di una singola candidatura o di una lista soccorre la natura 
del sistema elettorale ormai vigente nelle elezioni comunali, provinciali e regionali, 
ancorato fortemente al principio maggioritario; sicch� la partecipazione 
alla competizione elettorale con candidature o liste formate e presentate 
in modo del tutto irregolare ha una influenza decisiva sul risultato elettorale, 
determinandolo nel suo esito finale. 
Da qui la lesione immediata dell�interesse di un candidato, che � quello 
di partecipare ad una consultazione elettorale nella situazione politico-amministrativa 
esistente alla data prefissata, secondo le regole del gioco, nel mentre, 
una correzione o riedizione della competizione in un momento successivo, 
non sarebbe pienamente satisfattiva, perch� influenzata dalle modificazioni, 
medio tempore verificatesi, del contesto politico-ambientale in diretta dipendenza 
di quegli atti di ammissione illegittimi, che hanno condizionato il risultato 
elettorale.
248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Gli esempi sono di estrema attualit�: si pensi ai sindaci o presidenti di regione, 
proclamati eletti ed insediatisi in virt� di elezioni annullate per vizi 
degli atti preparatori, concernenti l�illegittima ammissione di liste o candidature 
presentate fuori termine o inficiate dall�irregolare raccolta delle firme dei 
presentatori (si veda, da ultimo, il c.d. �caso Piemonte�, di recente definito 
dal Consiglio di Stato). 
Il diniego di una tempestiva tutela giurisdizionale fin dalla fase preparatoria 
� destinato a ledere l�interesse del candidato, anche perch� la rinnovazione 
della consultazione elettorale potr� essere direttamente influenzata dalla 
funzione pubblica, medio tempore esercitata da chi ha potuto giovarsi dell�esecuzione 
di un provvedimento illegittimo di ammissione alla competizione 
stessa. 
Rimane, quindi, insuperata la contraddizione del ragionamento secondo 
cui, una volta riconosciuto il carattere immediatamente lesivo degli atti preparatori 
di ammissione od esclusione di liste o candidati, non pu� essere posticipata 
nel tempo la tutela apprestata dall�ordinamento. 
Ed � in questi termini che la Corte Costituzionale, nell�affermare l�incostituzionalit� 
dell�art. 83-undecies, ha rilevato la violazione degli artt. 24 e 
113 Cost. nel caso di una posticipazione della impugnabilit� degli atti preparatori 
del procedimento elettorale, che, di fatto, preclude la possibilit� di una 
tutela giurisdizionale efficace e tempestiva delle situazioni soggettive immediatamente 
lese dai predetti atti. 
A tal fine, la Corte ha fatto doveroso richiamo degli artt. 6 e 13 della Convenzione 
Europea, da ritenere di diretta applicazione nel nostro ordinamento, 
che riconoscono, tra l�altro, il diritto ad un ricorso effettivo, che verrebbe vanificato 
con l�esclusione dell�impugnabilit� immediata degli atti relativi al 
procedimento preparatorio alle elezioni. 
Va detto che per superare tutto ci�, e quindi per ritenere conforme ai principi 
costituzionali richiamati dalla sentenza n. 236/10 e dalle considerazioni 
fin qui svolte, la disciplina del Codice che limita la possibilit� di una impugnativa 
immediata solo agli atti di esclusione delle liste, ma non anche a quelli 
di ammissione, occorrerebbe dimostrare che la fase di ammissione delle liste 
non sia tale da determinare una immediata lesione della situazione soggettiva 
del privato, e, che, quindi, sia consentita una posticipazione dell�impugnabilit� 
di questa fase preparatoria, a differenza di quanto avviene per gli atti di esclusione. 
Di certo, si potr� discutere anche sotto questo profilo, ed � possibile anche 
individuare situazioni differenziate in relazione alla natura dei vizi ed alla rilevanza 
delle situazioni contrapposte, ma appare difficile affermare apoditticamente, 
ed in linea di principio, una volta riconosciuta l�ammissibilit� 
dell�impugnativa immediata degli atti preparatori del procedimento elettorale, 
che la fase di ammissione delle liste in nessun caso possa ledere l�interesse
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 249 
del candidato, e quindi la pretesa a conseguire una immediata e piena tutela 
giurisdizionale. 
In linea generale - come peraltro osservato dal T.A.R. Liguria nella ordinanza 
di rimessione che ha dato luogo alla sentenza della Corte Costituzionale 
- per i competitori politici, ottenere la ripetizione delle elezioni, in un tempo 
successivo della vicenda elettorale in caso di vizi della fase preparatoria, non 
� realmente satisfattivo. 
E ci� vale per qualsiasi vizio afferente l�ammissione o l�esclusione di una 
lista. 
Il decorrere del tempo nella materia elettorale non � un fattore neutrale; 
vi sono, peraltro, casi specifici in cui i vizi afferenti l�ammissione di una lista, 
non tempestivamente rilevati, hanno un effetto dirompente sulla stessa possibilit� 
di una effettiva presenza di altre liste e di altri candidati. Si pensi, ad 
esempio, alla violazione della norma che limita il numero massimo delle sottoscrizioni 
per la presentazione di una lista, allo scopo di non condizionare le 
possibilit� degli altri elettori e di non dar luogo ad una precostituita campagna 
elettorale. 
In una fattispecie di tal genere, � evidente che l�omessa rilevazione del 
vizio da parte di una commissione elettorale, ed il diniego della possibilit� di 
una impugnativa immediata da parte di un cittadino elettore del provvedimento 
di ammissione della lista illegittimamente ammessa, comporterebbe una lesione 
immediata e difficilmente recuperabile attraverso la posticipazione dei 
ricorsi elettorali. 
Il nuovo �rito superaccelerato� 
Il giudizio, disciplinato nei commi 3 e seguenti dell�art. 129 del Codice, 
� stato, a giusta ragione, etichettato come �rito superaccellerato�. 
Deve, in primo luogo, osservarsi che l�impugnazione immediata dei provvedimenti, 
relativi al procedimento preparatorio per le elezioni amministrative 
ed aventi ad oggetto l�esclusione di liste o di candidati, costituisce una mera 
facolt� (la norma utilizza, infatti, l�espressione �possono�); il che significa che 
nulla vieta ai �delegati delle liste escluse e ai gruppi di candidati esclusi� di 
proporre impugnazione differita avverso i predetti atti di esclusione ovvero 
unitamente alla proclamazione degli eletti. 
Ma veniamo alla disamina del nuovo giudizio. 
L�art. 129 prevede, per la proposizione del ricorso, una scansione temporale 
quasi giugulatoria; il ricorso avverso i provvedimenti di cui al comma 1, 
da proporsi nel termine di tre giorni dalla pubblicazione, anche mediante affissione, 
ovvero dalla comunicazione, se prevista, degli stessi, deve essere, a 
pena di decadenza: 
a) notificato, esclusivamente mediante consegna diretta, posta elettronica
250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
certificata o fax, all�ufficio che ha emanato l�atto di esclusione della lista o di 
uno o pi� candidati, alla Prefettura e, ove possibile, agli eventuali controinteressati. 
La disposizione esclude il ricorso alla notifica a mezzo posta considerandola 
una modalit� di notificazione distonica rispetto al carattere particolarmente 
accelerato del rito. 
La norma prevede che destinatari necessari della notifica siano l�ufficio 
elettorale che ha emanato il provvedimento di esclusione e la Prefettura, competente 
per territorio; entrambe le predette notifiche andranno effettuate, a 
pena di nullit�, presso l�ufficio dell�Avvocatura dello Stato, competente per 
territorio, atteso che, come noto, gli uffici elettorali costituiscono organi, seppure 
straordinari e temporanei, dell�Amministrazione dell�Interno cui � attribuita, 
per legge, la cura del procedimento elettorale (cfr. Consiglio di Stato, 
Sez. V, sentenza del 23 luglio 2010, n. 4851). 
La notifica del ricorso � effettuata, ove possibile, agli eventuali controinteressati 
(l�espressione �eventuali�, utilizzata dalla norma, rende palese l�incertezza 
nutrita dai redattori della disposizione in ordine alla effettiva 
sussistenza di veri e propri controinteressati nell�ambito del giudizio disciplinato 
dall�art. 129 del Codice). 
La lettera a) del comma 3 si conclude con la previsione di un onere di 
pubblicazione del ricorso, posto a carico dell�ufficio elettorale che dovr� procedere 
alla affissione di una copia integrale dello stesso in appositi spazi, all�uopo 
destinati e sempre accessibili al pubblico (previsione, quest�ultima, che 
sembra imporre l�affissione di copia del ricorso in una bacheca posta all�esterno 
del predetto ufficio, dovendosi assicurare la possibilit� di visione 
della stessa �sempre� ovvero, almeno cos� sembrerebbe doversi ritenere, anche 
nelle ore notturne). 
La pubblicazione, mediante affissione, ha valore di notificazione per pubblici 
proclami per tutti gli (eventuali) controinteressati; 
b) depositato presso la segreteria del T.A.R. adito che provvede, anche 
essa, ad affiggerlo in appositi spazi accessibili al pubblico (si osservi come in 
questo caso l�accesso del pubblico non debba essere assicurato �sempre�; il 
che sembrerebbe fare propendere nel senso che il pubblico possa visionare la 
copia del ricorso solo durante gli orari di apertura della segreteria del T.A.R.). 
Il comma 4 impone alle parti di indicare nei propri atti (ricorso introduttivo 
e atti di costituzione) l�indirizzo di posta elettronica certificata o il numero 
di fax, da valere per ogni eventuale comunicazione e notificazione. 
Il comma 5 disciplina l�udienza prevedendo che la stessa sia celebrata 
nel termine di tre giorni dal deposito del ricorso, senza possibilit� di rinvio 
anche nell�ipotesi di proposizione di ricorso incidentale e senza che della fissazione 
della stessa debba essere dato avviso a cura della segreteria del T.A.R.. 
Il comma 6 prevede che il giudizio sia deciso all�esito dell�udienza con
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 251 
sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi nello stesso giorno. La motivazione 
della decisione pu� consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni 
contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere 
e fare proprie. Una disposizione, quest�ultima, che sembra codificare il fenomeno, 
gi� diffusosi da alcuni anni in via di prassi, delle sentenze c.d. �copia e 
incolla�. 
Il comma 7 chiude la disciplina del primo grado del giudizio superaccelerato, 
prevedendo che la sentenza, ove non sia stata appellata, venga comunicata, 
senza indugio, dalla segreteria del T.A.R. all�ufficio elettorale che ha 
adottato il provvedimento di ricusazione; ci� significa che l�incombente scatta 
quando, decorsi tre giorni dalla pubblicazione della sentenza, non sia stata depositata, 
giusta previsione di cui alla lett. b) del comma 8, presso la segreteria 
del T.A.R., che ha pronunciato la sentenza, copia del ricorso di appello. 
Il comma 8 disciplina il grado di appello, prevedendo, innanzi tutto, che 
il termine per la proposizione del gravame sia pari a due giorni decorrenti dalla 
pubblicazione della sentenza. 
Nel predetto termine, il ricorso in appello deve essere notificato secondo 
le medesime modalit� previste dalla lettera a) del comma 3 per il giudizio di 
primo grado ma con la ovvia precisazione che, per le parti costituite, la notificazione 
si effettua mediante trasmissione all�indirizzo di posta elettronica 
certificata o al numero di fax indicato negli atti difensivi a norma del comma 4. 
Il ricorso in appello, nel medesimo e ristrettissimo termine di due giorni 
deve essere depositato sia presso la segreteria del T.A.R. che ha emesso la decisione 
gravata sia presso la segreteria del Consiglio di Stato; entrambe le segreterie 
dovranno provvedere alla pubblicazione, mediante affissione, del 
gravame con le medesime modalit� di cui alla lettera b) del comma 3. 
Il comma 9 rinvia, ai fini della disciplina del giudizio di appello, alle 
forme gi� previste dalla norma per il giudizio di primo grado. 
L�ultimo comma dell�art. 129 esclude l�applicazione, con riferimento al 
nuovo rito superveloce, delle disposizioni di cui agli articoli 52, comma 5, e 
54, commi 1 e 2. 
La prima delle predette disposizioni non � altro che la ricopiatura dell�art. 
155, comma 5, del c.p.c. che, come noto, ha assimilato, quanto al termine di 
scadenza per il compimento di un atto, il sabato alla domenica, con la conseguenza 
che la scadenza del compimento di un atto, da eseguirsi di sabato come 
ultimo giorno, � posticipata al luned� successivo. 
E� evidente che la predetta disposizione, che si traduce nello spostamento 
della scadenza del termine, di ben due giorni, non � stata ritenuta compatibile 
con il carattere superaccelerato del rito di cui all�art. 129 del Codice. 
L�art. 54, comma 1, del Codice disciplina il fenomeno, in passato molto 
diffuso, della presentazione tardiva di memorie e documenti che, oggi, pu� 
essere autorizzata, su richiesta di parte, in via del tutto eccezionale, quando la
252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
produzione nel termine di legge sia estremamente difficile. 
La predetta disposizione risulta del tutto incompatibile con la disciplina 
del rito di cui all�art. 129, la cui tempistica, come pi� sopra evidenziato, risulta 
particolarmente accelerata. 
Da ultimo, si evidenzia come nel giudizio elettorale in argomento non 
trovi applicazione la c.d. sospensione feriale dei termini; trattasi di disposizione 
che ben si comprende atteso che l�art. 129 disciplina un giudizio che ha 
ad oggetto la impugnazione immediata degli atti di esclusione; impugnazione 
che, come tale, mal si concilia con un differimento, per legge, di ben 45 giorni. 
� Capo III: rito relativo alle operazioni elettoriali di comuni, province, regioni 
e Parlamento europeo (artt. 130-132) 
Il Capo III del Titolo VI del Libro IV del Codice disciplina il contenzioso, 
per cos� dire ordinario, relativo alle operazioni concernenti le elezioni amministrative 
e del Parlamento europeo. 
La disposizione di cui al comma 1 (parzialmente riproduttiva del comma 
2 dell�art. 129) ribadisce la regola generale secondo la quale �contro tutti gli 
atti del procedimento elettorale successivi all�emanazione (rectius: convocazione, 
N.d.A.) dei comizi elettorali� � ammesso ricorso solamente dopo la 
chiusura del procedimento elettorale merc� la proclamazione degli eletti; una 
regola, quest�ultima, che soffre la sola eccezione rappresentata dall�ipotesi disciplinata 
dall�art. 129, cui si riferisce la clausola di salvezza che compare in 
apertura dell�art. 130 del Codice. 
Occorre evidenziare, da subito, che il giudizio, disciplinato dal predetto 
art. 130, interessa l�Avvocatura dello Stato (ma sarebbe meglio dire l�Avvocatura 
Generale dello Stato per le ragioni di cui appresso) solo con riferimento 
al giudizio avente ad oggetto il procedimento relativo alle elezioni dei membri 
del Parlamento europeo spettanti all�Italia. 
Ed invero, il comma 3 dell�art. 130, codificando il prevalente orientamento 
della giurisprudenza amministrativa (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, 
Sez. V, sentenza del 23 luglio 2010, n. 4851), alla lettera a), prevede, infatti, 
che il ricorso avente ad oggetto le operazioni elettorali di comuni, province e 
regioni (le elezioni amministrative, per intenderci) debba essere notificato 
esclusivamente �all�ente della cui elezione si tratta�; in altre parole, la legittimazione 
passiva nel giudizio elettorale, limitatamente alle competizioni elettorali 
amministrative, spetta esclusivamente al comune o alla provincia o alla 
regione della cui elezione si tratta, con conseguente difetto di legittimazione 
passiva del Ministero dell�Interno e degli uffici elettorali che, peraltro, sono 
organi del Ministero dell�Interno, oltre che straordinari, temporanei e, come, 
tali, destinati a sciogliersi una volta intervenuto l�atto di chiusura del procedimento 
elettorale, ovvero la proclamazione degli eletti.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 253 
Il giudizio di cui all�art. 130 del Codice, e la relativa disciplina, interessa, 
invece, la sola Avvocatura Generale dello Stato in quanto, con riferimento al 
giudizio relativo alle operazioni elettorali per la elezione dei membri del Parlamento 
europeo spettanti all'Italia (con riferimento al quale la relativa legittimazione 
passiva compete, giusta previsione della lettera b) del comma 3 della 
norma in commento, all�ufficio elettorale centrale nazionale), la competenza 
funzionale risulta attribuita al T.A.R. del Lazio, sede di Roma (artt. 130, 
comma 1, lett. b) e 135, comma 1, lett. n)). 
L�art. 130, al comma 1, in continuit� con la previgente disciplina contenuta 
nell�art. 83-undecies del d.P.R. n. 570/60, prevede che il ricorso elettorale 
�ordinario� debba essere proposto mediante deposito dello stesso, rispettivamente 
presso la segreteria del T.A.R. nella cui circoscrizione ha sede l�ente 
locale della cui elezione si tratta, per le elezioni amministrative, e nella segreteria 
del T.A.R. del Lazio, sede di Roma, per le elezioni del Parlamento europeo; 
il termine per la proposizione di entrambi i ricorsi � di trenta giorni, 
decorrente, per le elezioni amministrative, dalla proclamazione degli eletti, e, 
per le elezioni al Parlamento europeo, dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale 
dell�elenco dei candidati proclamati eletti. 
Il comma 1 introduce, invece, una rilevante novit� con riferimento alla 
individuazione dei soggetti legittimati a proporre ricorso. 
Ed invero, con riferimento alle elezioni amministrative, la predetta legittimazione 
viene attribuita a �qualsiasi cittadino elettore dell�ente della cui 
elezione si tratta�; trattasi di previsione del tutto innovativa rispetto all�art. 
83-undecies del d.P.R. n. 570/60 che, accanto al cittadino elettore del Comune, 
attribuiva la legittimazione a ricorrere anche a �chiunque altro vi abbia diretto 
interesse� (previsione che aveva fatto meritare al relativo giudizio l�etichetta 
di �azione popolare�); a ci� si aggiunga che la formulazione letterale della 
norma sembra escludere che possano proporre ricorso i candidati che non siano 
anche elettori (perch�, ad esempio, residenti in diverso ente territoriale rispetto 
a quello della cui elezione si tratta). 
Il comma 2 prevede che il Presidente del T.A.R. adito, con proprio decreto, 
fissa l�udienza di discussione del ricorso in via d�urgenza, designa il 
giudice relatore, ordina le notifiche, autorizzando, ove necessario, qualunque 
mezzo idoneo, ordina il deposito di documenti e l�acquisizione, sempre in via 
istruttoria, di qualunque altra prova necessaria, ordina, infine, la comunicazione, 
a cura della segreteria, del decreto al ricorrente. 
Il comma 3 (la cui disciplina � stata, pi� sopra, in parte anticipata) prevede 
che, entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto, il ricorrente debba notificare 
il ricorso, unitamente al decreto presidenziale, all�ente locale della cui 
elezione si tratta (elezioni amministrative) ovvero all�ufficio elettorale centrale 
nazionale (elezioni del Parlamento europeo) nonch� �alle altre parti che vi 
hanno interesse, e comunque ad almeno un controinteressato�.
254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Il comma 4 prevede che, nel termine di dieci giorni dall�ultima notificazione, 
il ricorrente deposita nella segreteria del T.A.R. il ricorso con la prova 
dell�avvenuta notificazione nonch� gli atti e documenti del giudizio. 
Il comma 5 attribuisce all�amministrazione resistente e ai controinteressati, 
per la costituzione in giudizio, il termine di quindici giorni, decorrenti 
dal giorno in cui la notificazione del ricorso, con pedissequo decreto presidenziale, 
si � perfezionata nei loro confronti; la costituzione ha luogo mediante 
deposito nella segreteria del T.A.R. delle proprie controdeduzioni. 
Il comma 6 prevede che la sentenza sia pronunciata all�esito dell�udienza 
nel corso della quale verranno sentite le parti ove presenti. 
Il comma 7 dispone che la sentenza venga pubblicata in forma integrale, 
ovvero munita della motivazione, entro il giorno successivo a quello della decisione; 
ove ci� non sia possibile a cagione della complessit� delle questioni, 
dovr� essere pubblicato, nel termine di cui sopra, il solo dispositivo di sentenza 
mentre la decisione, corredata delle motivazioni, dovr� essere depositata nei 
dieci giorni successivi. 
Il comma 8 contempla la trasmissione, a cura della segreteria del T.A.R., 
della sentenza al sindaco, alla giunta provinciale, alla giunta regionale, al presidente 
dell�ufficio elettorale centrale nazionale, a seconda dell�ente cui si riferisce 
l�elezione. 
Ove la sentenza riguardi le elezioni amministrative, copia del dispositivo 
della stessa andr� pubblicato all�albo pretorio dell�ente locale della cui elezione 
si tratta; solo con riferimento alle elezioni amministrative e regionali, la 
sentenza andr�, altres�, trasmessa al Prefetto. 
Una particolare segnalazione merita il comma 9 che prevede, con riferimento 
alle elezioni amministrative, che, laddove il T.A.R. accolga il ricorso, 
corregge il risultato delle elezioni e sostituisce ai candidati illegittimamente 
proclamati coloro che hanno diritto di esserlo. La norma non tiene conto del 
fatto che possono darsi ipotesi in cui l�accoglimento del ricorso risulta idoneo 
ad inficiare, nella sua complessit�, il risultato elettorale; la predetta lacuna pu� 
essere, allo stato, colmata facendo rinvio alla previsione di cui all�art. 85 del 
d.P.R. n. 570/60 che fa testuale riferimento all�annullamento delle elezioni in 
sede giudiziaria (norma che non risulta essere stata abrogata dal Codice). 
L�art. 130 si chiude con la previsione del dimezzamento di tutti i termini, 
fatti salvi quelli indicati nello stesso articolo e nell�articolo 131. 
Il Capo III si chiude con due articoli (131 e 132) che disciplinano, rispettivamente, 
il giudizio di appello in relazione alle operazioni elettorali di comuni, 
province e regioni, e quello relativo alle operazioni elettorali del 
Parlamento europeo; vale segnalare, peraltro, come l�art. 131 faccia erroneamente 
riferimento, in apertura, all��appello avverso le sentenze di cui all�art. 
130� che, come sopra evidenziato, disciplina unitariamente il giudizio elettorale 
di primo grado tanto con riferimento alle elezioni amministrative che a
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 255 
quelle del Parlamento europeo. 
Il termine per la proposizione di appello � di venti giorni, rispettivamente 
decorrenti dalla notifica della sentenza per coloro nei cui confronti la stessa � 
obbligatoria, e dall�ultimo giorno di pubblicazione della decisione all�albo 
pretorio del comune, ovvero della provincia ovvero della regione (cos� deve 
interpretarsi la norma di cui al comma 1 dell�art. 131 che fa riferimento, del 
tutto inspiegabilmente, al solo comune). 
Al giudizio di appello si applicano le disposizioni che regolano il processo 
di appello davanti al Consiglio di Stato ma tutti i termini sono ridotti della met�. 
L�art. 132 disciplina il rito di appello avverso le sentenze pronunciate nei 
giudizi relativi alle operazioni elettorali del Parlamento europeo. 
L�appello si propone mediante dichiarazione da presentare presso la segreteria 
del T.A.R. del Lazio (la norma usa la curiosa espressione �tribunale 
amministrativo regionale che ha pronunciato la sentenza�, come se a pronunciarsi 
potesse essere un T.A.R. diverso da quello capitolino cui � attribuita, 
come pi� sopra ricordato, la competenza funzionale a conoscere dei ricorsi relativi 
alle elezioni europee); il termine per la proposizione di appello � di cinque 
giorni dalla pubblicazione della sentenza o, in mancanza, del dispositivo 
della stessa; in quest�ultima ipotesi, il termine per il deposito dell�appello, corredato 
dei motivi, � di trenta giorni dalla ricezione dell�avviso di pubblicazione 
della sentenza integrale. 
Un�ultima notazione, seppure in termini problematici, merita la tematica 
della natura dei termini previsti nel Capo III; in nessuno dei tre articoli che 
compongono il predetto Capo si fa riferimento alla natura perentoria dei termini 
dagli stessi previsti; dal che potrebbe desumersi che il mancato rispetto 
degli stessi non comporti alcuna decadenza dalla possibilit� di compiere l�atto. 
Trattasi di un�interpretazione che, sebbene trovi un aggancio nella lettera 
delle disposizioni, sopra richiamate, lascia adito a notevoli perplessit� atteso 
che, come noto, il giudizio elettorale �, da sempre, cadenzato da termini di natura 
perentoria, la cui mancata osservanza � sanzionata da decadenza; a ci� si 
aggiunga che, per pacifica giurisprudenza, quando la legge non qualifica 
espressamente come perentorio un termine processuale, quest�ultimo pu� del 
pari essere considerato tale in ragione dello scopo che persegue e della funzione 
cui adempie; orbene, nel caso del giudizio elettorale, la natura perentoria 
dei termini processuali � giustificata dall�interesse pubblico a che i risultati 
elettorali, decorso un determinato termine, non possano essere pi� messi in 
discussione. 
** *** **
256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Alcune perplessit� sul nuovo rito elettorale 
Gianni Cortigiani* 
Il d.lgs 104/10 ha riformulato ex novo anche il rito elettorale relativo alle 
elezioni amministrative (ed europee). Come noto, mentre l�art. 130 disciplina 
il rito �ordinario� per i ricorsi avverso le operazioni elettorali, l�art. 129, per 
la prima volta, prevede espressamente la impugnabilit� immediata dei provvedimenti 
avverso gli atti di esclusione di candidati e liste. 
Si ricorder� che tale impugnabilit�, nella vigenza dell�art. 83/11 L. 
570/60, era stata inizialmente esclusa dalla elaborazione giurisprudenziale 
(Cons. St., 7 marzo 1986 n.156), successivamente (Cons. St., V, 3 aprile 1990 
n. 322) era stata ammessa sul presupposto che l�esclusione si pone come momento 
finale del sub procedimento di ammissione, venendo a creare una cesura 
che impedisce di riferire quei provvedimenti all�atto di proclamazione degli 
eletti, infine Ad. Plen. 24 novembre 2005 n. 10 era tornata ad affermare la impugnabilit� 
anche di tali provvedimenti esclusivamente con il gravame avverso 
la proclamazione degli eletti. 
Tale interpretazione, assunta come �diritto vivente� � stata stigmatizzata 
dalla Corte Costituzionale nella decisione n. 236/2010, depositata per avventura 
lo stesso giorno di pubblicazione del d.lgs. 104/2010, che dichiara l�incostituzionalit� 
dell�art. 83/11 nella parte in cui non consente una �tutela 
immediata� avverso gli atti di esclusione. 
Nella decisione, ricca di riferimenti sia alla legge-delega n. 69/2009 che 
al d.lgs. 104/2010 in corso, all�epoca, di pubblicazione, la Corte opera una decisa 
distinzione fra �procedimento elettorale� comprendente le operazioni di 
voto e la proclamazione degli eletti e �procedimento preparatorio� nel quale 
rientra la presentazione e ammissione delle liste. 
La corrispondenza fra tale distinzione e il differenziato regime degli artt. 
129 e 130 non �, peraltro, perfetta. 
La tutela immediata dell�art. 129 � offerta infatti soltanto avverso i provvedimenti 
di esclusione, e non anche avverso quelli di ammissione, che potranno 
formare oggetto di contestazione solo nelle forme e nei tempi dell�art. 
130. 
Ancora, legittimati a richiedere la tutela immediata sono esclusivamente 
i delegati di lista, mentre l�eventuale elettore che volesse dolersi della esclusione 
di una lista a lui cara dovrebbe comunque attendere la proclamazione 
degli eletti: quindi anche atti del �procedimento preparatorio� possono essere 
soggetti ad impugnazione secondo il rito �ordinario� di cui all�art. 130. 
(*) Avvocato dello Stato.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 257 
Indipendentemente dalle possibili questioni sulla rispondenza del dato 
normativo alle indicazioni contenute nella decisione della Corte Costituzionale 
(potrebbe ad es. dare adito a dubbi il fatto che la �tutela efficace e immediata� 
sia riservata al delegato di lista e non al singolo candidato escluso), le maggiori 
perplessit� sono date dalla differenza che i due articoli portano nella individuazione 
dei destinatari della notifica del ricorso. 
L�art. 130 indica come �Amministrazione resistente� e come destinataria 
della notifica esclusivamente l�Ente nel cui interesse si tengono le elezioni: 
viene cos� normativamente recepito l�indirizzo giurisprudenziale che si era 
consolidato nel senso di negare legittimazione passiva al Ministero dell�Interno 
(o alla Prefettura) in quanto chiamato soltanto ad offrire supporto logistico 
alle operazioni elettorali, ma anche all�Ufficio temporaneo competente alla 
proclamazione degli eletti, in quanto, per la posizione di neutralit� che assume 
nella competizione elettorale, privo di interesse giuridicamente apprezzabile 
al mantenimento dei propri atti. 
Viceversa, l�art. 129 impone la notifica sia alla Prefettura che all�Ufficio 
che ha emesso l�atto di esclusione impugnato (e non anche all�Ente nel cui interesse 
si svolgono le elezioni). 
Ora, � ben vero che la esclusione della lista importa quella cesura, sopra 
evidenziata; che impedisce il collegamento all�atto di proclamazione degli 
eletti, ma resta comunque problematico giustificare la ragione per cui interesse 
e legittimazione mutino in dipendenza del momento in cui la impugnazione 
viene svolta e del soggetto impugnante. 
Il principio secondo il quale il Ministero o la Prefettura offrono un mero 
supporto logistico vale anche nella �fase preliminare�, e la posizione di terziet� 
e neutralit� dell�Ufficio che procede alla proclamazione degli eletti (da cui 
l�inesistenza di interesse al mantenimento dei propri atti) dovrebbe caratterizzare 
anche l�attivit� dell�Ufficio che provvede al controllo e ammissione di 
liste e candidati (in questo senso v. ad es. Tar Toscana 11 aprile 2008 n. 1023), 
n� si comprende per quale motivo l�interesse al mantenimento del proprio atto 
dovrebbe sussistere in caso di atto negativo mentre cos� non � in caso di atto 
positivo (si � gi� visto come l�ammissione di una lista possa formare oggetto 
di contestazione nelle forme e termini dell�art. 130, che non prevede legittimati 
passivi ulteriori rispetto all�Ente locale). 
La sensazione � che il legislatore dell�art. 129, prevedendo la notifica 
presso la Prefettura e l�Ufficio abbia inteso non tanto designare dei legittimati 
passivi, interessati a resistere al gravame, quanto risolvere in linea pratica problematiche 
relative alla conoscenza del ricorso da parte dei controinteressati 
e alla predisposizione del materiale per le operazioni di voto. 
Cos�, l�Ufficio che ha emanato l�atto, espressamente onerato della affissione 
in �appositi spazi accessibili�, assolve a compiti di pubblicit�, mentre 
la Prefettura, ricevuta la notifica, si asterr� dal procedere alla stampa delle
258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
schede fino alla decisione del T.A.R. 
Un argomento, se si vuole suggestivo, a sostegno della non riconoscibilit� 
nella Prefettura e nell�Ufficio di �parti� sostanziali del giudizio � dato dalla 
lettura del comma 8 relativo all�appello: viene espressamente disciplinato il 
gravame proposto dal ricorrente prevedendone tempi, modi e luoghi di notifica, 
mentre niente si dice in ordine ad un eventuale gravame della Prefettura 
o dell�Ufficio, il che pu� far dubitare della ammissibilit� stessa di un tale gravame. 
In ogni caso, sembra che proprio in considerazione delle esigenze di pubblicit� 
tenute in conto dal legislatore e della estrema ristrettezza del tempo 
concesso, la previsione sul �luogo di notifica� del ricorso immediato debba 
esser vista come deroga alla regola generale di cui all�art. 11 RD 1611/1933: 
se il ricorso dovesse essere notificato presso l�Avvocatura le suddette esigenze 
di immediata pubblicit� verrebbero frustrate, e, sul piano testuale, il riferimento 
a mezzi di comunicazione quali il fax o la p.e.c. porta a pensare ad una 
notifica �diretta� presso il destinatario. 
Alla luce delle suesposte considerazioni, sembra di poter concludere che 
nel rito di cui all�art. 129, non solo l�Avvocatura non � la destinataria della 
notifica, ma che nemmeno si impone una sua difesa �tecnica� dell�atto impugnato. 

LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 259 
L�ambito di applicazione della mediazione civile e 
commerciale nel sistema del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 
Vittorio Raeli* 
SOMMARIO: 1.- La mediazione volontaria 2.- La mediazione obbligata ratione materiae 
3.- (segue) Le singole materie 4.- (segue) Casi di esclusione 5.- La mediazione �delegata�. 
1. La mediazione volontaria 
Con l�entrata in vigore del d.lgs 4 marzo 2010, n. 28 � stato introdotto 
nel nostro ordinamento, in maniera cos� ampia, il tentativo di conciliazione 
nelle controversie civili e commerciali (1). 
L�art. 2, comma 1, generalizza il tentativo (facoltativo) di conciliazione 
per le controversie (civili e commerciali) (2) su �diritti disponibili�. 
Alla distinzione oggettiva tra controversie �civili� e �commerciali� (riconducibile 
alla Direttiva 2008/52/CE ) - si � osservato in dottrina (3) - non 
corrisponde alcuna contrapposizione di natura soggettiva, in quanto il decreto 
delegato non pone limiti soggettivi perch� �chiunque� pu� ricorrere alla mediazione/
conciliazione, anche se, indubbiamente, qualora il soggetto che intende 
avvalersi o � obbligato (per legge o in via pattizia) ad esperire il tentativo 
di conciliazione sia un consumatore, troveranno applicazione, oltre all�art. 141 
del codice del consumo, pure le raccomandazioni della Commissione delle 
Comunit� Europee, 4 aprile 2001, n. 2001/310/CE, sui principi applicabili agli 
organi extra giudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie 
in materia di consumo, e 30 marzo 1998, n. 98/257/CE, sui principi 
applicabili alla risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo. 
(*) Consigliere della Corte dei Conti. 
(1) Il riferimento alla natura �civile� e �commerciale� delle controversie esclude che tra le materie 
soggette a mediazione (volontaria, delegata e obbligatoria) possano essere ricomprese quella penale, 
amministrativa e tributaria. 
(2) Nonostante la natura �civile� e �commerciale� sono escluse dalla mediazione ex d.lgs. 28/2010 
le �negoziazioni volontarie e paritetiche� relative a tali controversie: cfr. art. 2, comma 2, d.lgs. n. 
28/2010. 
La Relazione illustrativa precisa, sub art. 2, che �la procedura di mediazione disciplinata dal decreto 
non esclude il ricorso a istituti gi� ampiamente sperimentati nella pratica, che consentono di giungere 
alla composizione di controversie su base paritetica o attraverso procedure di reclamo disciplinate dalle 
carte di servizi, ma che si differenziano dalla mediazione per il mancato intervento di organismi terzi ed 
imparziali�. 
(3) F. MURRINO, Prime considerazioni sulla mediazione nel sistema della tutela dei diritti, in Corr. 
Mer., n. 6/2010, 60.
260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Da un punto di vista soggettivo, dunque, si � detto (4) che la mediazione 
ha il pi� vasto raggio possibile, perch� tutti, senza distinzione alcuna, possono 
avervi accesso. 
Da un punto di vista oggettivo, a delimitare il campo di applicazione del 
decreto, il riferimento � ai �diritti disponibili�. 
Ovviamente quanto qui si dir� riguarda soltanto la mediazione �volontaria� 
(e �delegata� ovvero �sollecitata�), il cui esperimento � rimesso alla iniziativa 
delle parti, e non vale per la mediazione obbligatoria, concernente un 
numerus clausus di materie, per le quali, dunque, non si pone alcun problema 
in ordine alla natura dei diritti. 
Sul piano definitorio, per individuare la categoria dei diritti disponibili 
pu� richiamarsi il pensiero di Salvatore Pugliati, il quale avvertiva che �la facolt� 
di disposizione sarebbe, nella sua espressione sintetica, il potere legittimo 
che ha il titolare di un diritto di trasferire ad un altro il diritto stesso� 
(5), identificando, accanto all�elemento soggettivo, appunto, un elemento 
obiettivo, dato dall�attitudine dispositiva, e definendo in maniera speculare la 
categoria dei diritti soggettivi indisponibili come quella che ricomprende diritti 
intrasmissibili �non perch� rispetto ad essi la capacit� di agire non possa produrre 
una concreta facolt� di disposizione (�) ma perch� essi mancano dell�attitudine 
a sub�re atti dispositivi. In altri termini rispetto ad essi viene meno 
l�elemento obiettivo della cosiddetta facolt� di disposizione e l�elemento subiettivo, 
cio� la capacit� di agire del soggetto, non pu� da solo rendere possibile 
la trasmissione di diritti che, per mancanza di attitudine propria (sia 
perch� sono strettamente inerenti alla persona del titolare, sia perch� la legge 
li dichiara intrasmissibili) non possono formare obietto di trasferimento� (6). 
Tanto premesso, in dottrina (7) si � affermato che due sono i requisiti a 
cui guardare per definire la categoria dei �diritti disponibili�. Il primo, di segno 
positivo, � il carattere patrimoniale del diritto medesimo; il secondo, di segno 
negativo, � la assenza di un divieto di disposizione stabilito dalla legge (ad 
es., diritto agli alimenti, diritto di uso e abitazione) (8). Sotto quest�ultimo pro- 
(4) A. CASTAGNOLA-F. DELFINI (a cura di), La mediazione nelle controversie civili e commerciali 
(Commentario al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28), Padova, 2010, 21. 
(5) S. PUGLIATTI, L�atto di disposizione e il trasferimento dei diritti, in Studi sulla rappresentanza, 
Milano, 1965, 5. 
(6) Ibidem, 31-32. 
(7) A. CASTAGNOLA � F. DELFINI, op. cit., 26-27. 
(8) Svaluta il carattere inderogabile della disciplina quale criterio guida di individuazione della 
categoria dei diritti indisponibili G. MINELLI, Commento all�art. 5, in La mediazione per la composizione 
delle controversie civili e commerciali (a cura di M. BOVE), Padova, 2011, 95, che, traendo spunto dalla 
conciliazione giudiziale e �amministrata� (di fronte alle Commissioni di conciliazione di cui agli artt. 
410 e 411 c.p.c.) in materia laburistica afferma �Tutto questo dimostra che l�assoggettamento a norme 
inderogabili non pu� comportare che il diritto sia indisponibile poich� se cos� fosse tutti gli accordi negoziali, 
indipendentemente dalla sede e dalla forma, sarebbero comunque invalidi�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 261 
filo si � detto (9) che �diritto disponibile significa diritto rispetto al quale l�ordinamento 
riconosce effetti alla volont� negoziale delle parti �poich� � se le 
parti non possono, attraverso l�esercizio del loro potere negoziale, darsi regole 
di condotta in generale, � chiaro che esse non possono darsi regole di condotta 
neppure con lo specifico fine di risolvere una controversia� (10). 
Sono senz�altro sottratte alla disponibilit� delle parti, dunque, le questioni 
relative agli status personali (11) ed ai diritti della personalit�, alla separazione 
personale e al divorzio dei coniugi (12), all�obbligazione di prestazione degli 
alimenti, all�obbligazione naturale (13). 
Malgrado ci�, in giurisprudenza si ammette che le situazioni soggettive 
patrimoniali derivanti da alcuni status personali o da diritti della personalit� 
possono costituire oggetto di rinunzia e transazione nei limiti in cui si contenda 
circa la consistenza di quei diritti patrimoniali. Si pensi alla obbligazione di 
prestare gli alimenti e alla riconosciuta possibilit� di rinunzie e transazioni che 
vertono sulla misura e sulla modalit� del credito alimentare (14). Altres�, sono 
stati riconosciuti transigibili i diritti patrimoniali derivanti dal matrimonio (15). 
2. La mediazione obbligata ratione materiae 
La scelta forse pi� controversa della disciplina dettata dal legislatore delegato 
per la mediazione si identifica con la istituzione della obbligatoriet� 
della mediazione (16), configurandosi l�attivazione del procedimento secondo 
(9) F. P. LUISO, Il sistema dei mezzi negoziali per la risoluzione delle controversie civili, in www.judicium.
it. 
(10) �Laddove, dunque, la controversia abbia ad oggetto un diritto indisponibile, l�unica strada 
possibile per risolvere il contrasto � la giurisdizione�: cos� F. P. LUISO, ibidem. 
(11) �Tizio e Caia non possono costituirsi rispettivamente padre e figlia con un proprio atto di 
volont�; conseguentemente non possono, in via consensuale, risolvere una controversia relativa alla sussistenza 
del rapporto di filiazione�: cos�, F. P. LUISO, ibidem. 
(12) Per L. DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in www.judicium.
it, in tal modo, vengono espunte dall�area della mediazione proprio le liti connesse alla separazione 
e al divorzio e all�affidamento dei figli, che pi� di ogni altre potrebbero beneficiare � purch� vi 
sia un controllo sia pure successivo del giudice � di una attivit� conciliativa ad opera di un mediatore 
professionista, sul modello della conciliazione �delegata�. 
(13) Si segnala, peraltro, come negli ultimi tempi autorevole dottrina ha progressivamente riconsiderato 
la possibilit� della conciliazione anche su diritti indisponibili vuoi sulla base di una pi� meditata 
considerazione della finalit� della conciliazione (ad una finalit� di prevenire comportamenti illeciti o 
comunque inopportuni fa riferimento F. P. LUISO, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in 
Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 1206) vuoi alla luce di una pi� specifica considerazione del ruolo di garanzia 
svolto dal conciliatore (si rimanda a F. CUOMO ULLOA, La conciliazione. Modelli di composizione 
dei conflitti, Padova, 2008, 474-477 e, da ultimo, a BORGHESI, Conciliazione, norme inderogabili e diritti 
indisponibili, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 121). 
(14) Cfr. Cass. civ. 18 ottobre 1955, n. 3255 e Id., 19 agosto 1969, n. 3006. 
(15) Cfr. Cass. civ., 12 maggio 1994, n. 4647. 
(16) Contro il carattere obbligatorio della mediazione si era espresso il Consiglio Superiore della 
Magistratura nel �Parere allo schema di decreto legislativo. Attuazione dell�art. 60 della l. 18 giugno
262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
le regole del d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 o, alternativamente, del d.lgs. 8 ottobre 
2007 n. 179, ovvero del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, limitatamente per le 
materie ivi regolate, quale condizione di procedibilit� (17) della domanda giudiziale 
relativa alle materie indicate nell�art. 5 (18). 
Si tratta delle azioni concernenti le seguenti materie (19): 
1) condominio (20); 
2) diritti reali (21); 
3) divisione; 
4) successioni ereditarie; 
5) patti di famiglia (22); 
6) locazione; 
7) comodato; 
8) affitto di azienda; 
2009, n. 69 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali�, 
adottato con delibera del 4 febbraio 2010, rilevando che � l�aver reso obbligatorio, per le materie 
elencate al primo comma dell�art. 5, il ricorso alla mediazione non sembra la soluzione migliore per assicurare 
la diffusione della cultura per la risoluzione alternativa delle controversie. Come gi� rilevato 
dal C.S.M. nel suo parere reso in data 11 marzo 2009, il tentativo di conciliazione pu� avere successo 
solo se � sostenuto da una reale volont� conciliativa e non se si � svolto per ottemperare ad un obbligo�. 
(17) Come da altri � stato gi� detto a proposito del tentativo di conciliazione nelle controversie di 
lavoro, �L�omissione del tentativo di conciliazione costituisce un ostacolo alla decisione di merito n� 
pi� n� meno agli altri presupposti processuali� (in termini, F. P. LUISO, Il tentativo di conciliazione nelle 
controversie di lavoro, 378 ss.). 
(18) Vi � da dire, peraltro, che per quanto concerne le cause in materia di condominio e di risarcimento 
del danno derivante dalla circolazione di autoveicoli e natanti la legge 26 febbraio 2011, n. 10, 
ha differito di un anno l�entrata in vigore della obbligatoriet� della mediazione. 
(19) In dottrina si � osservato come la dizione ampia della norma, che si riferisce genericamente 
a controversie � in materia di� , deve essere adeguatamente interpretata nelle singole fattispecie, al fine 
di evitare che la portata della mediazione obbligatoria sia estesa al punto da dubitare della ragionevolezza 
stessa del sistema (cos� G. BATTAGLIA, Commento all�art. 5, in A. CASTAGNOLA � F. DELFINI, La mediazione 
nelle controversie civili e commerciali, cit., 71). 
(20) Secondo le rilevazioni statistiche del Censis sul contenzioso instaurato nel 2007, le cause riguardanti 
il condominio ammontavano a circa 185 mila, pari al 4,5% del totale delle cause civili introdotte 
quell�anno. L�oggetto di tali procedimenti ha riguardato principalmente: il recupero del credito 
derivante dalla morosit� dei condomini; l�impugnazione di delibere condominiali, ai sensi dell�art. 1137 
c.c.; provvedimenti d�urgenza ex art. 700 c.p.c.; procedimenti per accertamento tecnico preventivo ex 
art. 696 c.p.c.; azioni di responsabilit� ai sensi dell�art. 2051 c.c. 
(21) �Il problema si pone, in particolare, con riferimento alle controversie �in materia di diritti 
reali�, poich�, in astratto la materia dei diritti reali sarebbe idonea a coinvolgere innumerevoli liti� (ibidem). 
(22) Si rinvia all�istituto regolamentato dagli artt. da 768-bis a 768-septies c.c.. Nella Relazione 
illustrativa si specifica che l�inserimento dei patti di famiglia tra le materie per le quali � prevista la condizione 
di procedibilit� � motivata dall�esigenza di chiarire definitivamente l�obbligatoriet� del tentativo 
di mediazione gi� previsto dall�art. 768-octies c.c., che devolve(va) le controversie relative al patto di 
famiglia appunto �a uno degli organismi di conciliazione previsti dall�art. 38 del decreto legislativo 17 
gennaio 2003, n. 5�. Ricorda, infatti. G. BATTAGLIA, op. cit., 76, (nota 11), che, in relazione a tale disposizione, 
si era posto l�interrogativo se il rinvio fosse solo alla individuazione del soggetto competente 
ad erogare il servizio di conciliazione, oppure se il rinvio stesso comportasse l�estensione al patto di famiglia 
della disciplina della conciliazione nelle controversie societarie.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 263 
9) risarcimento del danno derivante dalla circolazione dei veicoli e dei 
natanti; 
10) responsabilit� medica; 
11) diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicit�; 
12) contratti assicurativi; 
13) contratti bancari; 
14) contratti finanziari. 
Pur essendosi dubitato in dottrina della legittimit� costituzionale della 
elencazione per la sua eterogeneit� (23) e della coerenza tra i criteri guida e le 
materie individuate (24), � opportuno illustrare i �criteri-guida� seguiti nella 
scelta delle materie, siccome chiariti dalla Relazione illustrativa al dereto-delegato. 
Si tratta dei seguenti criteri: 
1) cause in cui il rapporto tra le parti � destinato, per ragioni sociali od 
economiche, a prolungarsi nel tempo, anche oltre la definizione aggiudicativa 
della controversia, quali quelle inerenti al condominio (25), ai contratti di locazione, 
comodato ed affitto di azienda, ed ai rapporti in cui sono coinvolti 
soggetti appartenenti alla stessa famiglia, allo stesso gruppo sociale, alla stessa 
area territoriale (diritti reali, divisione, successioni ereditarie, nuovamente condominio 
e patti di famiglia); 
2) cause riferite a rapporti che si contraddistinguono per l�elevato livello 
di conflittualit�, rispetto ai quali � particolarmente fertile il terreno della composizione 
stragiudiziale (risarcimento del danno derivante dalla circolazione 
di veicoli o natanti, responsabilit� medica e diffamazione a mezzo stampa o 
(23) Per L. DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, op. cit., 
�pi� di un dubbio pu� sollevarsi sulla ragionevolezza di tale scelta legislativa, in relazione all�art. 3 
cost. e al generale postulato di razionalit� ed uguaglianza che esso presuppone�. Nello stesso senso L. 
RISTORI, La mediazione delle controversie civili, in La mediazione civile e commerciale (a cura di C. 
BESSO), Torino, 2010, 175. Contra, PORRECA, Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali: 
risoluzione negoziale delle liti e tutela giudiziale dei diritti. La mediazione e il processo civile: 
complementariet� e coordinamento, in Le societ�, n. 5, 2010, 634 ss., il quale esclude �che possa tradursi 
in irragionevolezza, se si pensa che, attualmente, diverse controversie, anch�esse apparentemente non 
accomunabili, sono soggette al filtro del tentativo di conciliazione�. 
(24) Si � obiettato da parte di MINELLI, op. cit., 177: perch� l�affitto di azienda s� e la cessione no; 
perch� la responsabilit� medica s�, quella sanitaria no; perch� alcune forme di responsabilit� aquiliana 
s� ed altre (insidia stradale, attivit� pericolose) no? Per L. RISTORI, op. ult. cit., � difficile comprendere 
i motivi in base ai quali � stata esclusa la mediazione, come condizione di procedibilit�, in relazione 
alle controversie societarie e a quelle in materia associativa, nonch� in materia di donazioni e di diritto 
di famiglia, laddove si discuta di diritti disponibili (come, ad esempio, per gli accordi patrimoniali in 
vista di separazioni e divorzi), cos� come non appare giustificabile l�esclusione delle controversie contrattuali 
sui vizi dell�atto ed il corretto adempimento delle obbligazioni. 
(25) Secondo L. SALCIARINI, La mediazione nel condominio, in La nuova mediazione e conciliazione 
(a cura di N. SOLDATI), Milano, 2010, 340, nel condominio � riscontrabile un aspetto che rende 
quasi � inevitabile� la risoluzione bonaria della contrapposizione, in quanto l�edificio � oggetto di coabitazione 
da parte di un insieme di soggetti che si mantiene sostanzialmente stabile nel lungo periodo.
264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
con altro mezzo di pubblicit�); 
3) cause riferite a talune tipologie contrattuali (contratti assicurativi, bancari 
e finanziari) che, oltre a sottendere rapporti di durata tra le parti, conoscono 
una diffusione di massa e sono alla base di una parte non irrilevante del 
contenzioso. 
Seguendo un�altra prospettiva (26), che guarda al tipo di conflitto (e alle 
tecniche di mediazione) pi� che alla identificazione delle materie, le controversie 
soggette all�obbligo della mediazione sono suddivisibili in tre gruppi 
diversi. Al primo gruppo appartengono le liti per le quali la modalit� �satisfattiva�, 
imperniata cio� sulla necessit� di trovare una soluzione al problema, si 
presenta come la pi� adeguata e in grado di raggiungere il progressivo dissolvimento 
del conflitto (27). Del secondo gruppo fanno parte, invece, le controversie 
per le quali il metodo �trasformativo� si presenta come il pi� adatto, in 
quanto, nel ripercorrere la storia della disputa con il fine di cambiare la qualit� 
della relazione, tenta di sciogliere i nodi psicologici che interferiscono nella 
comunicazione tra le parti (28). Il terzo gruppo di controversie, infine, comprende 
quelle per le quali la mediazione finisce per avere tutti i caratteri della 
negoziazione distributiva diretta ad accertare il valore della pretesa e decidere 
la distribuzione dei torti e delle ragioni, tanto che, in questo caso, la mediazione 
assumer�, verosimilmente, i caratteri di una riproduzione in forma privata 
del processo (29). 
3. (segue) Le singole materie 
Procediamo, quindi, ad analizzare le peculiarit� e alcuni aspetti delle singole 
materie. 
Per quanto riguarda il condominio (30), un aspetto interessante riguarda 
(26) L. RISTORI, Commento all�art. 5, in La nuova disciplina della mediazione delle controversie 
civili e commerciali. Commentario al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, Milano, 2010, 97. Id., La Mediazione 
delle controversie civili, op. cit., 171-175, secondo cui il criterio per determinare quando � opportuno 
che una controversia venga sottoposta a mediazione dovrebbe essere relativo, non tanto alla materia che 
forma oggetto della disputa, quanto, piuttosto, al �tipo� di controversia che oppone le parti. 
(27) Appartengono al primo gruppo le controversie condominiali, alcuni tipi di controversie sui 
diritti reali, le dispute in materia di successioni e divisioni e buona parte delle liti relative ai contratti di 
locazione e di comodato (ibidem). 
(28) Si ritrovano nel secondo gruppo la materia della responsabilit� medica e quella della diffamazione 
a mezzo stampa, per l�alto contenuto emotivo di sofferenza, fisica e/o psicologica, che pu� essere 
alla base di questo tipo di conflitti (ibidem). 
(29) Appartengono all�ultimo gruppo le controversie relative al risarcimento del danno derivante 
dalla circolazione di veicoli e natanti (ibidem). 
(30) Si fanno rientrare nell�ambito della materia condominiale le cause riguardanti: a) le controversie 
in cui il condominio � parte in causa, nella veste di attore o convenuto; b) le controversie che riguardano 
rapporti di vicinato collocati nell�ambito condominiale; c) le azioni di responsabilit� nei 
confronti dell�amministratore per fatti inerenti alla sua gestione. V., altres�, nota 18.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 265 
la legittimazione attiva e passiva nel procedimento di mediazione. Si distingue 
in dottrina (31) tra il caso in cui ci sia l�amministratore e quello in cui tale figura 
manchi: nel primo, la legitimatio ad causam spetta all�amministratore 
(32), quale rappresentante sostanziale e processuale del condominio ex art. 
1131 c.c.; nel secondo, opera il litisconsorzio necessario tra tutti i singoli condomini. 
Per quanto riguarda i diritti reali, � da preferire (33) la posizione di chi 
(34) delimita la materia alle controversie a quelle nelle quali il diritto reale 
costituisca l�oggetto di una domanda giudiziale di accertamento o costitutiva 
(35), e non, quindi, le controversie che, seppure riguardano beni, interessano 
i contratti traslativi di tali diritti, quali, per fare un solo esempio, il contratto 
di compravendita (36). 
Con riferimento alla divisione due sono gli aspetti che pi� possono interessare. 
Il primo attiene al litisconsorzio necessario da lato passivo. Il secondo 
riguarda l�ipotesi, molto frequente nella pratica, in cui si deve affrontare una 
divisione nel processo di separazione personale oppure di divorzio dei coniugi, 
in quanto si � detto (37) che, in mancanza di accordo, sarebbe irragionevole 
imporre alle parti un ulteriore tentativo obbligatorio di conciliazione specificamente 
per la mediazione, visto che la legge gi� prevede un tentativo obbligatorio 
di mediazione giudiziale innanzi al Presidente del Tribunale all�udienza 
di comparizione. 
Per quanto concerne la locazione si tratta, come si � osservato (38), di un 
ritorno alla disciplina previgente, con portata per� generale per tutta la materia 
relativa alla locazione (39). 
(31) G. MINELLI, op. cit., 177. 
(32) Secondo l�autore non � necessario che l�amministratore si procuri l�autorizzazione espressa 
da parte dell�assemblea dei condomini per la mediazione, come invece � richiesto per l�arbitrato, in 
quanto diversamente da quest�ultimo non si tratta di un mezzo aggiudicativo, anche se - si aggiunge - � 
consigliabile soprattutto ai fini della sottoscrizione dell�accordo di conciliazione, trattandosi di normativa 
di prima applicazione, non fosse altro per evitare di sub�re azioni di responsabilit� (ibidem). 
(33) V. nota 19. 
(34) G. BATTAGLIA, Commento all�art. 5, in La mediazione nelle controversie civili e commerciali. 
Commentario al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, cit., 75; G. MINELLI, op. cit., 179. Contra, L. 
DITTRICH, op. cit., secondo cui �per cause aventi a oggetto �diritti reali� possono intendersi anche tutte 
la cause aventi ad oggetto contratti traslativi di tali diritti, nonch� aventi ad oggetto la loro nullit�, annullamento 
o risoluzione� e A. CAPOZZOLI (a cura di), Mediazione e conciliazione. Istruzioni per l�uso, 
Montecatini Terme, 2011, 50. 
(35) Ad es., le azioni petitorie: azione di rivendicazione, art.948 c.c.; azione negatoria,. art. 949 
c.; azione di regolamento dei confini, art. 950, c.c.; azione di apposizione di termini, art. 951 c.c.. 
(36) Restano escluse, pertanto, dal campo di applicazione della mediazione obbligatoria le domande 
di rilascio o di restituzione, di adempimento, di risoluzione, di rescissione di nullit� o annullamento, 
di simulazione e l�azione ex art. 2932 c.c.. 
(37) G. MINELLI, op. cit., 178. 
(38) G. MINELLI, op. cit., 179. 
(39) Ai sensi degli artt. 44-46 della L. 27 luglio 1978, n. 392 (abrogati dall�art. 89. L. 26 novem-
266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Merita qualche riflessione la materia del risarcimento del danno derivante 
dalla circolazione di veicoli e natanti (40). 
Poich� il legislatore delegato non ha dettato alcuna disposizione al riguardo, 
si pone il problema del rapporto tra l�attivit� precontenziosa quale 
condizione di proponibilit� della domanda giudiziaria, prevista dall�art. 145 � 
commi 1 e 2 � d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (41) e la condizione di procedibilit� 
dell�art. 5 d.lgs. 28/2010. 
Si ritiene in dottrina (42) che entrambi i meccanismi debbano essere 
espletati, ma che i termini previsti dal Codice delle assicurazioni private e dal 
d.lgs. 28/2010 possono decorrere contestualmente e, quindi, vi sia la possibilit� 
di assolvere contestualmente ad ambedue le condizioni precontenziose previste, 
proponendo anche con la stessa raccomandata all�assicurazione sia la richiesta 
di risarcimento sia la domanda di mediazione, senza dovere attendere 
l�esaurimento della fase precontenziosa prima di introdurre il procedimento 
di mediazione. 
Per quanto riguarda il risarcimento del danno derivante da responsabilit� 
medica, si rileva come resti esclusa dalla obbligatoriet� della mediazione la 
responsabilit� sanitaria, che attiene al rapporto tra struttura sanitaria-paziente, 
la cui autonomia rispetto alla responsabilit� medica, che attiene al rapporto 
medico-paziente, � stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza (43). 
Per finire, sono incluse nell�elenco le controversie relative ai �contratti 
assicurativi, bancari e finanziari�. Il riferimento al �contratto�, pi� che alla 
�materia�, � stato interpretato da parte della dottrina (44) nel senso che sono 
soggette a mediazione non tutte le controversie in materia assicurativa, bancaria 
e finanziaria, ma solamente quelle relative alla validit� del contratto e 
alla fase precontrattuale (45). 
bre 1990, n. 335) si prevedeva che �La domanda concernente controversie relative alla determinazione, 
all�aggiornamento e all�adeguamento del canone non pu� essere proposta se non � preceduta dalla domanda 
di conciliazione di cui all�articolo seguente. L�improcedibilit� � rilevabile, anche d�ufficio, in 
ogni stato e grado del procedimento�. 
(40) V. nota 18. 
(41) Secondo cui �l�azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e 
dei natanti, per i quali vi � obbligo di assicurazione, pu� essere proposta solo dopo che siano decorsi 
sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato 
abbia chiesto all�impresa di assicurazione (oppure alla propria impresa di assicurazione, a seconda dei 
casi) il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento��. 
(42) L. DITTRICH, op. cit,.; G. MINELLI, op. cit., 180. Nello stesso senso, AMENDOLAGINE, Prime 
osservazioni sul d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 istitutivo del procedimento di mediazione e conciliazione 
delle controversie civili e commerciali, in Assicurazioni, 2010, 27 e LANDINI, La conciliazione nelle 
controversie in materia assicurativa, ivi, 33-42. 
(43) Cfr. Cass. civ., 11 maggio 2009, n. 10743. 
(44) G. MINELLI, op. cit., 182-183. 
(45) Contra L. DITTRICH, op. cit., secondo cui, la mediazione � obbligatoria �in tutte le ipotesi in 
cui sia azionabile una garanzia assicurativa�. Dello stesso avviso � PORRECA, op. cit., 633.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 267 
4. (segue) Casi di esclusione 
L�obbligatoriet� � espressamente esclusa (46) in relazione alle due azioni 
inibitorie ed all�azione di classe disciplinate (47) dal codice del consumo (48). 
Si tratta, innanzitutto, dell�inibitoria promossa dalle associazioni di consumatori, 
di imprenditori o dalla Camera di commercio al fine di ottenere la 
verifica da parte del tribunale della vessatoriet� di clausole contenute in condizioni 
generali di contratto, precludendone l�ulteriore utilizzo nel caso di riscontro 
positivo (49). 
Differente � la seconda forma di inibitoria intrapresa dalle associazioni 
dei consumatori al fine di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi 
dei consumatori e degli utenti (50). 
Alle azioni inibitorie in oggetto non si applica il comma 1 dell�articolo 
in commento giacch� per le stesse � prescritta un�autonoma condizione di procedibilit�, 
in quanto l�azione �pu� essere proposta solo dopo che siano decorsi 
quindici giorni dalla data in cui le associazioni abbiano richiesto al soggetto 
da esse tenuto responsabile, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, 
la cessazione del comportamento lesivo degli interessi dei consumatori 
e degli utenti� (51)(52). 
A fronte della elencazione tassativa contenuta al primo comma dell�art. 
5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 delle materie in cui la mediazione si presenta 
come obbligatoria, il terzo e quarto comma dell�art. 5 sottraggono alcuni procedimenti 
alla obbligatoriet� della stessa, sebbene vi rientrerebbero ratione materiae. 
Si tratta dei seguenti procedimenti (53): 
(46) Art. 5, comma 1, u.p.. 
(47) L�esclusione della obbligatoriet� della mediazione e del tentativo di conciliazione rispetto 
alla azione di classe per le materie indicate nel comma nasce, come riportato nella Relazione illustrativa 
al decreto delegato, �dalla constatazione che non � concepibile una mediazione nell�azione di classe 
fino a quando quest�ultima non ha assunto i connotati che permetterebbero una mediazione allargata al 
maggior numero di membri della collettivit� danneggiata, fino dunque alla scadenza del termine per le 
adesioni�. 
(48) D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206. 
(49) Cfr. art. 37. 
(50) Cfr. art. 140. 
(51) Si osserva, peraltro, che le due diverse azioni inibitorie disciplinate dal codice del consumo 
possono comunque giovarsi del tentativo facoltativo di conciliazione: in questo senso, C. VACC�, La 
mediazione: i tratti istituzionali, in C. VACC� - M. MARTELLO, La mediazione delle controversie, Milanofiori 
Assago, 2010, 139. 
(52) Per quanto concerne l�azione di classe di cui all�art. 140-bis del codice del consumo il tentativo 
facoltativo di conciliazione solleva problemi delicati allorquando si configuri come successivo e 
non preventivo: ossia, quando interviene nel corso di una azione di classe. V. art. 15 del d.lgs. n. 28/2010. 
(53) La Relazione illustrativa al decreto in commento d� conto del fatto che, rispetto alla disciplina 
dell�art. 412-bis c.p.c. �l�elenco dei procedimenti esclusi � pi� nutrito, in quanto pi� ampia � la gamma 
degli affari investiti dalla mediazione rispetto ai rapporti di lavoro, e dunque pi� varie le esigenze di 
tutela che possono presentarsi�.
268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
1) procedimenti urgenti e cautelari; 
2) procedimenti per ingiunzione, inclusa l�opposizione, fino alla pronuncia 
sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; 
3) procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del 
rito di cui all�art. 667 c.p.c.; 
4) procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui 
all�art. 703, terzo comma, c.p.c.; 
5) procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all�esecuzione 
forzata; 
6) procedimenti in camera di consiglio; 
7) azione civile esercitata nel processo penale. 
Il carattere che accomuna i procedimenti sopra indicati - si � detto in dottrina 
(54) - � dato dal fatto che essi sono posti a presidio di interessi per i quali 
un preventivo tentativo obbligatorio di mediazione appare inutile o controproducente, 
e ci� in considerazione del fatto che la tutela giurisdizionale � in 
grado, talvolta in forme sommarie e che non richiedono un preventivo contraddittorio, 
di assicurare una rapida soddisfazione degli interessi medesimi. 
Nell�ambito degli stessi occorre distinguere due diversi gruppi di materie 
in relazione all�esenzione parziale o totale del procedimento di mediazione. 
Nel primo gruppo rientrano le ipotesi nelle quali il procedimento di mediazione 
non preclude la proposizione della domanda e lo svolgimento di una 
prima fase del processo, finalizzata all�emissione di provvedimenti sommari, 
ma diviene nuovamente obbligatorio nella fase successiva, finalizzata alla pronuncia 
sul merito della causa (55). 
Appartengono a tale gruppo i procedimenti di cui ai nn. 1), 2), 3) e 4). 
In relazione ai procedimenti urgenti e cautelari, l�esclusione � motivata 
dal fatto che �La mediazione non pu� andare a discapito della parte che ha interesse 
a ottenere un provvedimento urgente o cautelare; imporre una sospensione 
in tali ipotesi significherebbe precludere l�accesso alla giurisdizione 
rispetto a situazioni che richiedono una decisione in tempi molto ristretti e 
sulle quali il mediatore � privo di qualsiasi potere d�intervento� (56). 
La Relazione illustrativa al D.lgs n. 28/2010 non chiarisce se il tentativo 
(54) N. SOLDATI, Commento all�art. 5 commi 3,4 e 6 in La nuova disciplina della mediazione 
delle controversie civili e commerciali, cit., 124. 
(55) Vi � da dire che gi� il Consiglio Nazionale Forense, nel suo parere sullo schema di decreto 
legislativo, aveva suggerito di escludere totalmente l�applicazione dell�art. 5, commi 1 e 2, ai procedimenti 
per ingiunzione, convalida di licenza o sfratto e possessori senza ripristinare l�obbligatoriet� del 
tentativo una volta che si prosegua nelle forme del rito ordinario. 
(56) Aggiunge la Relazione, cit., che � la formula prescelta (�provvedimenti urgenti e cautelari�) 
� molto ampia, onde potervi ricomprendere con sicurezza anche quei provvedimenti volti a fronteggiare 
stati di bisogno, la cui qualificazione � incerta in giurisprudenza e dottrina �facendo riferimento, ad 
esempio, all�ordinanza provvisionale di cui all�art. 147 del codice delle assicurazioni private e all�accertamento 
tecnico preventivo, la cui natura cautelare � stata affermata da Corte cost. 28 gennaio 2010, n. 26.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 269 
di mediazione torni ad essere obbligatorio e debba essere proposto dopo la 
pronuncia della misura cautelare oppure se si possa dare inizio al giudizio di 
merito e, in tale ultima ipotesi, se debba essere rilevata l�improcedibilit� del 
giudizio di merito o se il tentativo di mediazione sia definitivamente precluso. 
In ossequio al principio del nesso di strumentalit� necessaria fra cautela 
e merito, sembra che la soluzione preferibile sia quella di considerare applicabile 
il comma 4 dell�art. 669-octies c.p.c. - sebbene dettato per le sole controversie 
di lavoro dei dipendenti pubblici - che non esonera la parte ricorrente 
dal tentativo di conciliazione (57), con la conseguenza che la misura cautelare 
diventer� inefficace qualora la conciliazione non venga proposta, data l�estinzione 
del giudizio di merito che deve essere dichiarata d�ufficio. 
Come giustamente evidenziato nella Relazione illustrativa, citata, l�esclusione 
dei procedimenti di ingiunzione (58) (59) e di convalida di licenza o 
sfratto (60) �si giustifica per il fatto che in essi ci troviamo di fronte a forme 
di accertamento sommario con prevalente funzione esecutiva. Il procedimento 
� caratterizzato da un contraddittorio differito o rudimentale, e mira a consentire 
al creditore di conseguire rapidamente un titolo esecutivo. Appare pertanto 
illogico frustrare tale esigenza imponendo la mediazione o comunque il differimento 
del processo� E� stato previsto che la mediazione possa trovare nuovamente 
lo spazio all�esito della fase sommaria, quando le esigenze di celerit� 
sono cessate, la decisione sulla concessione dei provvedimenti esecutivi � stata 
gi� presa e la causa prosegue nelle forme ordinarie�. 
Prosegue la Relazione �L�esclusione dei procedimenti possessori fino 
all�adozione dei provvedimenti interdittali si giustifica per motivi analoghi a 
quelli che riguardano i provvedimenti cautelari (massima urgenza nel provvedere). 
La collocazione nel comma 5 � dovuta al fatto che il procedimento 
possessorio pu� conoscere una fase di merito (articolo 703, quarto comma, codice 
di procedura civile), nella quale � incongruo non consentire la mediazione�. 
(57) Cfr. Corte cost. (ord.) 16 aprile 1999, n. 122, che ha esteso l�applicabilit� dell�art. 669-octies, 
comma 4, c.p.c. anche in materia di assicurazione obbligatoria della responsabilit� civile derivante dalla 
circolazione dei veicoli a motore e dei natanti con riferimento alla attivit� precontenziosa ex art. 22 della 
L. 24 dicembre 1969, n. 990. 
(58) L�esclusione del tentativo obbligatorio di mediazione rispetto al procedimento di ingiunzione 
ex art. 633 c.p.c. � stata questione dibattuta in dottrina in tutti i casi in cui la domanda � sottoposta a 
condizione di procedibilit�, prevalendo in giurisprudenza la tesi favorevole alla esclusione in materia di 
lavoro (cfr. Corte cost. 6 febbraio 2001, n. 29), di subfornitura (cfr. Trib. Belluno 4 novembre 2009), di 
telecomunicazioni (cfr. Trib. Torino 2 dicembre 2005) ed agraria (cfr. Trib. Roma 13 aprile 1987). 
(59) La condizione di procedibilit� torna ad operare dopo la pronuncia ex artt. 648 e 649 c.p.c. 
sulla richiesta di esecuzione provvisoria del decreto o sulla sospensione dell�esecuzione provvisoria 
concessa ex art. 642 c.p.c.. Secondo G. MINELLI, op. cit., 191, l�onere di sanare il vizio sar�, ragionevolmente, 
in capo all�opponente se venga concessa l�esecuzione provvisoria del decreto ed in capo all�opposto 
nel caso che sia stata disposta la sospensione della esecuzione provvisoria. 
(60) Solo dopo la decisione sulla concessione o meno dei provvedimenti esecutivi ed il mutamento 
del rito ex artt. 667 e 426 c.p.c. la condizione di procedibilit� ritorna ad essere operante.
270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Per contro, rientrano nel secondo gruppo quei procedimenti che sono sempre 
esentati dal tentativo obbligatorio di mediazione, vale a dire i procedimenti 
di cui ai nn. 5), 6) e 7). 
Per quanto riguarda i procedimenti di opposizione (61) o incidentali di 
cognizione (62) relativi all�esecuzione forzatasi, secondo la dottrina (63) si � 
voluto evitare che l�esperimento del tentativo di conciliazione differisca nel 
tempo la possibilit� di soddisfazione sottesa all�azione esecutiva. 
Rispetto ai procedimenti in camera di consiglio l�esclusione del tentativo 
obbligatorio di mediazione � giustificata dalla Relazione illustrativa con il richiamo 
alla �flessibilit� e rapidit� con cui il giudice pu� provvedere sul bene 
della vita richiesto� (64). 
Infine, � opportunamente esclusa l�azione civile esercitata nel processo 
penale, onde evitare qualsivoglia interferenza tra il procedimento di mediazione 
ed il giudizio penale, in quanto la costituzione di parte civile nel processo 
penale comporta l�inevitabile sottoposizione dell�azione civile ai tempi e alle 
condizioni del solo giudizio penale (65). 
Una ipotesi che non � stata prevista, ma che ad avviso di taluno (66) 
avrebbe dovuto opportunamente essere inserita tra i casi di esclusione della 
obbligatoriet�, � il procedimento sommario di cognizione disciplinato dagli 
artt. 702-bis ss. c.p.c. (67). 
(61) Ex artt. 615, 617 e 619 c.p.c.. 
(62) Ex artt. 512 e 547-549 c.p.c.. 
(63) Cfr. M. M. ANDREONI, Commento all�art. 5, in La mediazione nelle controversie civili e commerciali. 
Commentario al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, cit., 107. Secondo N. SOLDATI, Commento 
all�art. 5 commi 3, 4 e 6, cit., 126, �consentire o, ancora peggio, imporre un rinvio derivante 
dall�obbligo del tentativo di mediazione nella fase processuale in cui la soddisfazione del singolo diritto 
� pi� prossima, significherebbe consentire ai debitori esecutati di strumentalizzare la procedura di mediazione 
a fini dilatori �. 
(64) In dottrina, peraltro, cՏ chi come M.M. ANDREONI, op. cit., ha avanzato qualche perplessit� 
sulla base della affermazione giurisprudenziale secondo cui la giurisdizione camerale si caratterizzerebbe 
come un �contenitore neutro� ( in termini, Cass., sez. un., 19 giugno 1996, n. 5629). Secondo G. MINELLI, 
op. cit., 192, si tratta pi� che altro di una scelta discrezionale del legislatore. 
(65) Nella Relazione illustrativa, cit., si afferma anche che �condizionarne l�esercizio alla previa 
mediazione equivarrebbe a impedire o a ostacolare fortemente la costituzione di parte civile, cos� sacrificando 
una forma di esercizio dell�azione civile di grande efficacia e forte valore simbolico�. 
(66) C. AVESANI � M. LUPANO, Il rapporto con il processo, in La mediazione civile e commerciale, 
cit., 334-337. Gli autori, dopo aver richiamato il carattere di �celerit�� del nuovo rito sommario, affermano: 
�Sarebbe quindi controproducente e in contrasto con lo scopo perseguito affermare l�obbligatoriet� 
del tentativo di mediazione per tutte le materie di cui al 1� comma dell�art. 5 qualora l�attore opti 
per il procedimento sommario di cognizione, perch� ci� significherebbe , di fatto, allungare i tempi del 
processo fino a un massimo di quattro mesi (art. 6 del decreto) sia pure giungendo alla conclusione che, 
in assenza di una previsione legislativa, � non sembra possibile risolvere la questione se non nel senso 
che la disciplina del tentativo obbligatorio di mediazione [�] si debba applicare anche al procedimento 
sommario di cognizione�. 
(67) Sia il Consiglio Superiore della Magistratura, sia il Consiglio Nazionale Forense si erano 
espressi, nei rispettivi pareri sullo schema di decreto delegato, perch� l�elenco di cui all�art. 5, comma 
4, fosse integrato dall�inserimento di questo rito.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 271 
5. La mediazione �delegata� 
La direttiva europea 52/2008/CE individua nella mediazione �suggerita 
o ordinata� (68) dal giudice una delle tre possibili forme di mediazione, accanto 
quella liberamente scelta dalle parti e a quella prescritta dal legislatore. 
Il legislatore italiano ha previsto tale figura (69) nell�art. 5, comma 2, del 
d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, definendola come la mediazione a cui le parti addivengono 
su �invito� rivolto dal giudice (70), �valutata la natura della causa, 
lo stato dell�istruzione e il comportamento delle parti�. 
La Relazione illustrativa al decreto in commento chiarisce che la mediazione 
�delegata� non �, circa le materie per le quali la mediazione preventiva 
� obbligatoria, impedita o vietata dal fatto che questa sia fallita. 
Si pu� dire, quindi, che la mediazione �delegata� opera, in primo luogo, 
con riferimento alle materie per le quali � prescritto come obbligatorio il tentativo 
di mediazione e, come questa, incontra le stesse limitazioni ed esclusioni (71). 
Poich�, tuttavia, sar� molto difficile che, una volta fallito il tentativo di 
mediazione in una delle controversie concernenti le materie di cui all�art. 5, 
comma 1, le parti raccolgano l��invito� ad esse rivolto dal giudice di riprendere, 
per cos� dire, il procedimento di mediazione che si � concluso in un nulla 
di fatto, sembra che il terreno elettivo della mediazione delegata sia quello 
delle controversie concernenti i �diritti disponibili � tout court e che, quindi, 
il giudice non sia limitato dall�elenco delle materie. 
Il successo di tale forma di mediazione, a prescindere dai termini in cui 
si delinei l�ambito di applicazione, dipender� comunque dall�atteggiamento 
della classe forense, in quanto ai fini dell�accettazione � determinante il ruolo 
del difensore che dovr� saper consigliare il proprio cliente sulla base di una 
previsione sull�esito della lite. 
************** 
Disposizioni in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione 
delle controversie civili e commerciali (*) 
Nella Gazzetta ufficiale del 5 marzo 2010 n. 53, � stato pubblicato il decreto legislativo 
4 marzo 2010, n. 28, recante �Attuazione dell�art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69 in 
(68) La previsione trae ispirazione dall�esperienza della court annexed mediation che gi� da diversi 
anni � sperimentata davanti alle giurisdizioni statunitensi. 
(69) Che non rappresenta una novit� assoluta nel nostro ordinamento, in quanto preceduta dalla 
novella della L. n. 54/2006 in tema di affidamento condiviso dei figli, che, all�art. 155-sexies c.c., ha 
previsto la mediazione ad opera di esperti per facilitare l�accordo tra i coniugi riguardo all�affidamento 
dei figli. 
(70) Si parla, pertanto, anche di mediazione �sollecitata�. 
(71) Infra par. 4. 
(*) Circolare dell�Avvocatura dello Stato n. 21 del 24 marzo 2011 prot. 100888.
272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali�. 
Successivamente, con D.M. 18 ottobre 2010, n. 180 � stato approvato il regolamento contenente 
la �Determinazione dei criteri e delle modalit� di iscrizione e tenuta del registro degli organismi 
di mediazione e dell�elenco dei formatori per la mediazione, nonch� l�approvazione delle indennit� 
spettanti agli organismi, ai sensi dell�art. 16 del D.Lgs 4 marzo 2010 n. 18�. Infine, 
con il D.L. n. 225 del 29 dicembre 2010 convertito nella L. n. 10 del 26 febbraio 2011 (art. 2 
comma 16 decies), � stato prorogato il termine per l�entrata in vigore della mediazione obbligatoria 
per talune materie. 
Essendo state introdotte significative innovazioni influenti tanto sul processo civile 
quanto, indirettamente, sull�attivit� consultiva dell�Avvocatura, riservate ad un successivo approfondimento 
le prime indicazioni operative, si riportano qui di seguito le principali disposizioni 
della normativa entrata in vigore il 21 marzo 2011. 
1) La mediazione facoltativa: (art. 2) 
In linea con la legge delega (art. 60, comma 3, lettera a) della legge n. 69 del 2009) e con 
la normativa comunitaria (direttiva 2008/52/CE), l�art. 2 prevede la mediazione come strumento 
facoltativo di risoluzione delle controversie, stabilendo che chiunque pu� accedere alla mediazione 
per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili. 
2) La mediazione obbligatoria: (art. 5, comma 1) 
L�esperimento del procedimento di mediazione � invece obbligatorio e costituisce condizione 
di procedibilit� della domanda giudiziale nelle controversie in materia di condominio, 
diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di 
aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilit� 
medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicit�, 
contratti assicurativi bancari e finanziari. Limitatamente alle controversie condominiali e a 
quelle vertenti sul risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti l�art. 
2 comma 16 decies del D.L. n. 225 del 29 dicembre 2010 ha prorogato il termine per l�entrata 
in vigore della mediazione obbligatoria di ulteriori dodici mesi. 
In talune materie, in alternativa al procedimento di mediazione previsto dal decreto legislativo 
n. 28 del 2010 pu� essere esperito il procedimento di conciliazione presso la Camera di 
conciliazione e arbitrato della Consob previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179 
(per le controversie tra risparmiatori o investitori ed intermediari), nonch� il procedimento istituto 
in attuazione dell�articolo 128 bis del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia 
(decreto legislativo n. 385 del 1993, n. 385) per le materie ivi regolate. 
L�improcedibilit� derivante dal mancato esperimento del procedimento di mediazione 
deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d�ufficio dal Giudice, non 
oltre la prima udienza del giudizio che fosse intrapreso sul medesimo oggetto. 
Il mancato esperimento o la mancata conclusione della mediazione rilevati dal Giudice 
non comporta, a differenza di quanto accade nel caso del mancato esperimento del tentativo 
obbligatorio di conciliazione del processo del lavoro, la sospensione del processo, ma solo un 
rinvio dello stesso. 
La mediazione non � tuttavia obbligatoria (quale che sia la materia) per l�azione inibitoria 
e l�azione di classe previste dagli articoli 37, 140 e 140 bis del codice del consumo (Decreto 
Legislativo n. 206 del 2005). 
3) La mediazione sollecitata dal Giudice: (art. 5, comma 2) 
Il Giudice, valutata la natura della causa, lo stato dell�istruzione e il comportamento delle
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 273 
parti, pu� invitare le parti stesse a procedere alla mediazione, anche in sede di giudizio di appello. 
E� rimessa alle parti la possibilit� di aderire o meno all�invito del Giudice. 
4) Domande cautelari e trascrizione: (art. 5, comma 3) 
Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti 
urgenti e cautelari, n� la trascrizione della domanda giudiziale. 
5) Esclusione della condizione di procedibilit�: (art. 5, comma 4) 
Anche nelle materie contemplate dall�art. 5, comma 1 (v. n. 2) la mediazione non � tuttavia 
obbligatoria - talvolta solo per la fase a cognizione sommaria -, per ragioni di rito (procedimento 
per ingiunzione; sfratto; possessorie; talune procedure esecutive; procedimento in 
camera di consiglio), e per la costituzione di parte civile nel processo penale. 
In questi casi non trova nemmeno applicazione la mediazione su invito del Giudice. 
6) Clausola di mediazione: (art. 5, comma 5) 
La mediazione pu� essere infine obbligatoria, al di fuori della previsione normativa, in 
quanto contemplata in un contratto, nello statuto o nell�atto costitutivo dell�ente parte in causa. 
7) Effetti della domanda di mediazione: (art. 5, comma 6) 
Dal momento della comunicazione alle altre parti (v. n. 11), la domanda di mediazione 
produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Essa impedisce altres� la decadenza 
per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta 
entro il medesimo termine di decadenza, decorrente ex novo dal deposito del relativo verbale 
presso la segreteria dell�organismo di mediazione. 
8) Durata: (art. 6) 
Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a quattro mesi, che decorre 
dalla data di deposito della domanda di mediazione ovvero dalla scadenza del termine fissato 
dal Giudice per il deposito della stessa,. Il termine di quattro mesi (sprovvisto peraltro di sanzione) 
non � soggetto alla sospensione feriale. 
9) Effetti sulla ragionevole durata del processo: (art. 7) 
Il periodo per lo svolgimento del procedimento di mediazione e il corrispondente periodo 
del rinvio disposto dal Giudice non si computano ai fini di cui all�articolo 2 della legge 24 
marzo 2001, n. 89. 
10) Accesso alla mediazione: (art.4) 
La domanda di mediazione � presentata mediante deposito di un�istanza presso un organismo 
di mediazione. Non � prevista alcuna norma per individuare l�organismo territorialmente 
competente. In caso di pi� domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge 
davanti all�organismo presso il quale � stata presentata la prima domanda. Per determinare il 
tempo della domanda si ha riguardo alla data della ricezione della comunicazione. 
L�istanza deve indicare l�organismo, le parti, l�oggetto e le ragioni della pretesa. 
All�atto del conferimento dell�incarico, l�avvocato � tenuto a informare l�assistito della 
possibilit� di avvalersi del procedimento di mediazione, delle agevolazioni fiscali di cui agli 
articoli 17 (esenzioni) e 20 (credito d�imposta), e dell�eventuale obbligatoriet� della mediazione. 
In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l�avvocato e l�assistito 
� annullabile. 
11) Procedimento: (art. 8) 
All�atto della presentazione della domanda di mediazione dinanzi all�organismo (ente 
pubblico o privato dinanzi al quale si svolge il procedimento), � disegnato un mediatore e viene 
fissato il primo incontro tra le parti. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate 
all�altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurare la ricezione, anche a cura della parte istante.
274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione 
il Giudice successivamente adito pu� desumere argomenti di prova ai sensi dell�articolo 116, 
secondo comma c.p.c. 
12) Dovere di riservatezza: (art. 9) 
Il mediatore � tenuto all�obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni 
acquisite durante il procedimento, anche nel corso delle �sessioni separate�, laddove 
le parti siano ascoltate separatamente. 
13) Inutilizzabilit� delle dichiarazioni: (art. 10) 
Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione 
non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto, anche parziale, 
salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale propendono le informazioni. Sul punto 
delle stesse dichiarazioni e informazioni non � ammessa prova testimoniale e non pu� essere 
deferito giuramento decisorio. 
Il mediatore non pu� essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e 
delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, n� davanti all�autorit� giudiziaria 
n� davanti ad altra autorit�. 
14) Conciliazione: (art. 11) 
Se � raggiunto un accordo amichevole, il meditore forma processo verbale al quale � 
allegato il testo dell�accordo medesimo. Quando l�accordo non � raggiunto, o se le parti ne 
fanno concorde richiesta, il mediatore pu� formulare una proposta di conciliazione. 
La proposta � comunicata alle parti per iscritto. Le stesse fanno pervenire al mediatore, 
per iscritto ed entro sette giorni, l�accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta 
nel termine, la proposta si ha per rifiutata. 
Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con l�indicazione 
della proposta. 
15) Efficacia esecutiva: (art. 12) 
Il verbale di accordo il cui contenuto non sia contrario all�ordine pubblico o a norme 
imperative � omologato con decreto del Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede 
l�organismo di mediazione e costituisce titolo esecutivo. 
16) Spese processuali: (art. 13) 
Nel solco di quanto gi� previsto dall�art. 91 c.p.c., come modificato dalla legge n. 69 
del 2009, l�art. 13 prevede una rilevante eccezione al principio della soccombenza, stabilendo 
che, quanto il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto 
della proposta, il Giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che 
ha rifiutato la proposta riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna 
al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, 
nonch�, a titolo di sanzione pecuniaria processuale, al versamento all�entrata del bilancio 
dello Stato (Fondo Unico Giustizia) di un�ulteriore somma di importo corrispondente al contributo 
unificato dovuto. Tali disposizioni si applicano altres� alle spese per l�indennit� corrisposta 
al mediatore e per il compenso dovuto all�esperto. 
Allo scopo di disincentivare l�uso strumentale della mediazione e il comportamento processuale 
scorretto o ostruzionistico, � previsto inoltre che, anche quanto non via sia piena 
coincidenza tra il contenuto della proposta e il provvedimento che definisce il giudizio, il Giudice, 
se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, possa escludere la ripetizione delle spese sostenute 
dalla parte vincitrice per l�indennit� corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto 
all�esperto.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 275 
17) Criteri di determinazione dell�indennit�: (art. 16 del D.M. n. 180/2010) 
L�indennit� comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione. 
Le stesse sono dovute in solido da entambe le parti (chi promuove la mediazione e chi 
vi aderisce). 
Le spese di mediazione sono partitamente indicate nella Tabella A) allegata al decreto, 
e sono determinate con riferimento al valore della lite. 
18) Mediazione nell�azione di classe: (art. 15) 
L�azione di classe non prelude la mediazione, peraltro sempre facoltativa (v. n. 2, ultima 
parte).
L�art. 15 prevede quindi che, quando � esercitata l�azione di classe prevista dall�articolo 
140 bis del codice del consumo, la conciliazione, intervenuta dopo la scandenza del termine 
per l�adesione degli altri appartenenti alla classe ai sensi del predetto art. 140 bis, comma 9, 
ha effetto anche nei confronti degli aderenti che vi abbiano espressamente consentito. 
19) Regime tributario: (art. 17) 
Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono 
esenti dall�imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto. Il verbale di accordo � esente dall�imposta 
di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l�imposta � dovuta per 
la parte eccedente. 
20) Credito d� imposta: (art. 20) 
Alle parti che corrispondono l�indennit� ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento 
di mediazione presso gli organismi � riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un 
credito d��imposta commisurato all�indennit� stessa, fino a concorrenza di euro cinquecento. 
In caso di insuccesso della medizione, il credito d�imposta � ridotto della met�. 
21) Abrogazioni: (art. 23) 
Sono abrogati gli articoli da 38 a 40 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, sulla 
conciliazione societaria, mentre restano ferme le disposizioni concernenti i procedimenti di 
conciliazione e mediazione, comunque denominati, nonch� le disposizioni concernenti i procedimenti 
di conciliazioni relativi alle controversie di lavoro di cui all�articolo 409 c.p.c. 
22) Entrata in vigore: (art. 24) 
Come gi� detto le disposizioni di cui all�articolo 5, comma 1 sono entrate in vigore il 
20 marzo 2011 (salvo quanto precisato al n. 2 per talune materie) e si applicano ai giudizi 
successivamente iniziati. 
Si fa riserva di inviare a breve indicazioni operative sulle prime questioni interpretative 
emerse, al fine di garantire uniformit� di orientamento in tutte le Sedi. 
L�AVVOCATO GENERALE 
Avv. Ignazio Francesco Caramazza
276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
L�immediata applicabilit� delle disposizioni 
della c.d. riforma Brunetta 
Poteri della dirigenza pubblica in materia di 
organizzazione e gestione 
Francesco Spada* 
Il decreto legislativo 27 ottobre 2009 n. 150 contiene, tra gli interventi pi� 
incisivi, la modifica del sistema di disciplina delle relazioni sindacali nel settore 
del pubblico impiego (1), attuata essenzialmente attraverso una compressione 
del potere regolativo della contrattazione collettiva ed una corrispondente estensione 
dell�area di azione riservata alla legge. 
In particolare, il legislatore delegato ha disciplinato direttamente alcuni 
aspetti del rapporto di lavoro, sottraendoli alla regolamentazione contrattuale 
e ha riformulato, tra l�altro, l�art. 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 
165, disposizione di apertura del titolo dedicato a �Contrattazione collettiva e 
rappresentativit� sindacale�. 
La disposizione da ultimo citata, nella nuova formulazione, individua, da 
un lato, l�oggetto della contrattazione collettiva, limitandolo fortemente rispetto 
alla precedente formulazione (�La contrattazione collettiva determina i diritti 
e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonch� le materie 
relative alle relazioni sindacali�) e, dall�altro, le materie espressamente escluse 
dall�ambito di applicazione della regolamentazione di fonte negoziale (�le materie 
attinenti all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione 
sindacale ai sensi dell'articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali 
ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della 
revoca degli incarichi dirigenziali, nonch� quelle di cui all'articolo 2, comma 
1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421�). 
Essa prevede, inoltre, che �nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, 
alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento 
accessorio, della mobilit� e delle progressioni economiche, la contrattazione 
collettiva � consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge�. 
(*) Dirigente di II fascia del Ministero dell�Economia e delle Finanze. Ha svolto la pratica forense 
presso l�Avvocatura Generale dello Stato. 
Il presente contributo riflette le opinioni dell�Autore e non impegna in alcun modo l�Amministrazione 
di appartenenza. 
(1) Sul tema, ex multis, TALAMO V., La riforma del sistema di relazioni sindacali nel lavoro pubblico, 
in Giornale di diritto amministrativo, 2010, 1, 13 e ss.; SOLOPERTO R., La contrattazione collettiva 
nazionale e integrativa, in TIRABOSCHI M. e VERBARO F. (a cura di), La nuova riforma del lavoro pubblico, 
Giuffr�, 2010, 365 e ss. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 277 
Un ulteriore settore di intervento della riforma del lavoro pubblico recata 
dal d.lgs. n. 150 del 2009 � rappresentato dalla dirigenza pubblica (2), alla quale 
si sono intese attribuire, da un lato, maggiore autonomia rispetto alle ingerenze 
della politica e delle organizzazioni sindacali e, dall�altro, pi� intense prerogative 
manageriali. 
In particolare, al fine di porre un argine al processo di progressiva espansione 
della contrattazione verso aree non assoggettate a tale forma di relazione 
sindacale, il legislatore delegato ha preservato espressamente i poteri dirigenziali 
di organizzazione degli uffici e del lavoro dall�ingerenza sindacale, attraverso 
la riformulazione degli artt. 5, comma 2 e 9 del d.lgs. n. 165 del 2001. 
Ai sensi del citato art. 5, comma 2 �le determinazioni per l�organizzazione 
degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte 
in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacit� e i poteri 
del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati, ove 
prevista nei contratti di cui all�art. 9. Rientrano, in particolare, nell�esercizio 
dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto 
del principio di pari opportunit�, nonch� la direzione, l�organizzazione 
del lavoro nell�ambito degli uffici�; l�art. 9 aggiunge che �fermo restando 
quanto previsto dall�art. 5, comma 2, i contratti collettivi nazionali disciplinano 
le modalit� e gli istituti della partecipazione�. 
E� interessante, a questo punto, leggere il combinato disposto delle disposizioni 
di cui agli artt. 5, co. 2, 9 e 40 del d.lgs. n. 165 del 2001: i poteri dirigenziali 
di micro-organizzazione, ossia di organizzazione degli uffici e del 
lavoro, aventi natura privatistica, non sono negoziabili e l�unica forma di relazione 
sindacale ammessa in materia � quella dell�informazione, laddove prevista 
dai CCNL di riferimento. 
In questo modo, il legislatore delegato ha posto nel nulla i dubbi che le 
precedenti formulazioni delle esaminate disposizioni facevano sorgere, sgombrando 
il campo da ogni incertezza interpretativa e prevedendo, in aggiunta, 
un robusto apparato sanzionatorio, ossia quello della nullit� e dell�inserzione 
di clausole legali per l�ipotesi di violazione di norme imperative (praticamente 
tutte quelle contenute nel d.lgs. n. 165 del 2001, compreso l�art. 5 co. 2) o di 
limiti fissati alla contrattazione collettiva da parte di disposizioni contrattuali 
individuali e collettive. 
Ci� premesso, uno dei pi� frequenti quesiti di carattere pratico posti all�interno 
delle amministrazioni all�indomani dell�entrata in vigore della c.d. riforma 
Brunetta ha riguardato il seguente tema: le disposizioni sui poteri 
(2) Sul tema, ex multis, BATTINI S., L�autonomia della dirigenza pubblica e la riforma Brunetta, 
in Giornale di diritto amministrativo, 2010, 1, 39 e ss.; FUSO P., Il rafforzamento dell�indipendenza della 
dirigenza, in TIRABOSCHI M. e VERBARO F. (a cura di), La nuova riforma del lavoro pubblico, Giuffr�, 
2010, 589 e ss.
278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
unilaterali della dirigenza in tema di organizzazione e gestione del rapporto di 
lavoro, di cui al novellato art. 5 co. 2, sono immediatamente applicabili? 
In particolare, successivamente all�entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 
2009, in numerosi casi le organizzazioni sindacali si sono rivolte ai Giudici del 
lavoro al fine di far dichiarare l�antisindacalit� della condotta delle amministrazioni 
pubbliche che, in applicazione della c.d. riforma Brunetta, hanno adottato 
unilateralmente determinazioni incidenti nell�area dei rapporti di lavoro su 
materie fino ad allora oggetto di concertazione o di contrattazione, secondo le 
previsioni dei CCNL di riferimento. 
I Giudici del lavoro hanno, cos�, affrontato la questione dell�immediata 
applicabilit� del novellato art. 5, co. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001, pervenendo 
quasi sempre alla risposta negativa (3). 
Il percorso argomentativo adottato dai Giudici del lavoro � riassumibile 
nei termini che seguono: 
� l�immediata applicabilit� delle nuove disposizioni legislative recate 
dalla c.d. riforma Brunetta non travolge le difformi previsioni contrattuali vigenti 
al 16 novembre 2009, data di entrata in vigore della riforma; 
� l�art. 65 del d.lgs. n. 150 del 2009 prevede un regime transitorio, fissando 
il termine del 31 dicembre 2010 per l�adeguamento dei contratti collettivi 
integrativi in essere alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 e disponendo 
la cessazione della loro efficacia a partire dal 1 gennaio 2011 in caso di mancato 
adeguamento; 
� il citato art. 65, nei primi due commi, riguarda i soli contratti collettivi 
integrativi ed impone il loro adeguamento, entro il 31 dicembre 2010, alle 
norme che regolano la definizione degli ambiti riservati alla legge e alla contrattazione 
collettiva, oltre che alle disposizioni del titolo III del decreto; 
� la disposizione del citato art. 65, comma 5 (�Le disposizioni relative 
alla contrattazione collettiva nazionale di cui al presente decreto legislativo si 
applicano dalla tornata successiva a quella in corso�) deve essere intesa in 
modo tale da armonizzarsi sistematicamente con le disposizioni dei commi precedenti, 
nel senso che le norme del decreto riguardanti la contrattazione collettiva 
nazionale trovano applicazione solo in riferimento ai contratti collettivi 
nazionali stipulati dopo l�entrata in vigore della riforma e non a quelli stipulati 
anteriormente; 
� sono conseguentemente fatti salvi gli effetti dei contratti collettivi nazionali 
gi� stipulati, che saranno cadutati non gi� per contrasto con le norme 
della riforma, bens� per il sopravvenire della disciplina di fonte contrattuale 
successiva, realizzata nel contesto della nuova disciplina legislativa; 
(3) Tribunale Torino, decreto, 2 aprile 2010; Tribunale Pesaro, ordinanza, 19 luglio 2010; Tribunale 
Lamezia Terme, decreto, 7 settembre 2010; Tribunale Trieste, decreto, 5 ottobre 2010; Tribunale Siena, 
sentenza, 22 novembre 2010, n. 596; Tribunale Roma, sez. lavoro, sentenza, 7 gennaio 2011, n. 687.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 279 
� �, di conseguenza, antisindacale la condotta dell�amministrazione che, 
a seguito dell�entrata in vigore della c.d. riforma Brunetta, adotta unilateralmente 
determinazioni ex art. 5 co. 2, senza attivare le procedure di concertazione 
e/o di contrattazione previste dalla contrattazione collettiva. 
Tali argomentazioni - soprattutto quelle indicate negli ultimi tre punti - appaiono 
frettolose conclusioni concepite con l�intento di bloccare, almeno fino 
all�applicazione dei nuovi CCNL, la completa applicazione della riforma Brunetta 
e, in definitiva, poco condivisibili. 
A ben vedere, � sulla corretta interpretazione dell�art. 65 e, soprattutto, sul 
criterio della gerarchia delle fonti che ci si deve soffermare per superare le discutibili 
conclusioni cui � pervenuta la giurisprudenza del lavoro nei primi mesi 
di applicazione della riforma. 
Dal citato art. 65 deriva soltanto che la contrattazione collettiva integrativa 
- attuativa di quella nazionale - del preesistente regime normativo mantiene la 
propria efficacia, salvo adeguamento (entro il 31 dicembre 2010, termine ultimo 
per disporne l�adeguamento, dopo il quale si determina ex lege la cessazione 
dell�efficacia) e che i contratti decentrati stipulati successivamente al 15 novembre 
2009 devono completamente armonizzarsi con la riforma, senza che 
occorra la stipulazione di un nuovo contratto di primo livello a ci� finalizzato. 
I commi da 1 a 4 dell�art. 65 si riferiscono espressamente ai contratti collettivi 
integrativi, per cui le disposizioni relative al loro doveroso adeguamento 
non si applicano ai contratti collettivi nazionali: questi ultimi, quindi, non sono 
fatti salvi dall�applicazione immediata e totale della riforma. 
Ai primi quattro commi della disposizione, se ne aggiunge un ulteriore, 
che presenta un ambito di applicazione diverso. 
Il comma 5, infatti, richiama espressamente i contratti collettivi nazionali, 
prevedendo che �Le disposizioni relative alla contrattazione collettiva nazionale 
di cui al presente decreto legislativo si applicano dalla tornata successiva 
a quella in corso�: tale disposizione, tuttavia, in considerazione della sua collocazione 
a chiusura del Titolo IV del Capo IV, rubricato �Contrattazione collettiva 
nazionale e integrativa�, non pu� che riferirsi esclusivamente alle 
disposizioni del decreto contenute, appunto, nel Capo IV. 
La previsione del comma 5, quindi, si riferisce esclusivamente alle norme 
procedimentali che regolano le modalit� di formazione dei contratti collettivi 
e non alle norme incidenti sulla definizione delle materie di competenza dei 
contratti stessi, che sono, invece, immediatamente applicabili. 
Soprattutto si deve considerare, in disaccordo con quanto affermato dai 
Giudici del lavoro, che la gerarchia delle fonti impone la superiorit� della legge 
sui contratti collettivi (4), con la conseguenza che, se questi ultimi contrastano 
(4) TOSCHEI S., La fonte legislativa prevale su quella contrattuale, in Guida al diritto Sole 24 ore, 
Pubblico Impiego, 2009, fasc. 47, 31 e ss.
280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
con disposizioni legislative, sono nulli e le loro previsioni sono sostituite automaticamente 
con le previsioni di legge: tale meccanismo risulta espressamente 
richiamato dal novellato art. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001 e impone l�immediata 
disapplicazione delle clausole contrattuali nazionali contrastanti con la fonte 
primaria. 
In generale, inoltre, il decreto legislativo n. 150 del 2009 non subordina 
affatto l�applicazione delle disposizioni in esso contenute alla stipulazione di 
contratti collettivi nazionali, ma ne prevede l�immediata applicazione, con la 
sola ovvia eccezione delle norme transitorie (5). 
Il nuovo sistema di relazioni sindacali, pertanto, trova applicazione, in 
virt� del principio tempus regit actum, ai fatti accaduti successivamente all�entrata 
in vigore del decreto, avvenuta il 16 novembre 2009, con conseguente immediata 
caducazione delle discipline contrattuali contrastanti con le 
disposizioni di legge. 
In particolare, il citato art. 5, co. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001 interviene direttamente 
ed immediatamente sulla contrattazione collettiva nazionale, limitandone 
l�ambito di applicazione e prevedendo implicitamente la 
disapplicazione del sistema di relazioni sindacali gi� disciplinato dai CCNL, 
nella parte in cui risulti incompatibile con la stessa disposizione. 
Da ci� consegue che le previsioni contrattuali che prevedono forme di relazione 
sindacale pi� incisive rispetto alla mera informazione devono intendersi 
sostituite di diritto con la previsione di cui al citato art. 5, che stabilisce, in ipotesi 
di tal fatta, unicamente la previa comunicazione alle organizzazione sindacali. 
Le previsioni contrattuali che prevedono forme di concertazione e/o di 
contrattazione sindacale sulle materie indicate dall�art. 5 co. 2 sono, dunque, 
insanabilmente affette da nullit� sopravvenuta per contrasto con norme imperative 
e la loro inosservanza da parte delle amministrazioni non pu� costituire 
comportamento antisindacale, in considerazione del nuovo assetto dei poteri 
organizzativi e gestionali della dirigenza pubblica delineato dalla c.d. riforma 
Brunetta. 
Tali conclusioni appaiono avvalorate dalla circolare del Dipartimento della 
Funzione Pubblica n. 7 del 13 maggio 2010 (6), che inserisce il citato art. 5, 
co. 2 nel novero delle disposizioni che �operano dal 15 novembre 2009, data 
di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009, non essendo previsto un termine 
di adeguamento�. 
(5) OLIVIERI L., Il �tormentone� della vigenza della riforma Brunetta nella giurisprudenza dei 
giudici del lavoro, in www.lexitalia.it. 
(6) RAPICAVOLI C., Applicazione del decreto Brunetta: norme di immediata applicazione e norme 
ad applicazione differita, Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 7/2010, in www.ambientediritto.
it.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 281 
La circolare aggiunge che �nei confronti dei contratti collettivi che dispongano 
in modo diverso, vengono applicati i meccanismi di eterointegrazione 
contrattuale previsti dagli articoli 1339 e 1414, co. 2 del codice civile� e che 
�in queste ipotesi le forme di partecipazione sindacale, se gi� previste dai contratti 
nazionali, regrediscono all�informazione�. 
L�interpretazione che qui si privilegia �, da ultimo, stata fatta propria dal 
legislatore che, in sede di Consiglio dei Ministri 21 gennaio 2011, ha adottato 
uno schema di decreto legislativo di modifica del d.lgs. n. 150 del 2009. 
Tale provvedimento, tra l�altro, inserisce nell�art. 65 del d.lgs. n. 150 del 
2009 un nuovo comma 4-bis, che sancisce espressamente l�immediata applicabilit� 
delle disposizioni modificative dell�art. 5, co. 2 del d.lgs. n. 165 del 
2001.
Si tratta di una vera e propria disposizione di interpretazione autentica, 
che sancisce, una volta per tutte, l�immediata attribuzione di poteri unilaterali 
ai dirigenti in tema di organizzazione e gestione del rapporto di lavoro, con 
conseguente modifica delle relazioni sindacali, degradate in materia a mera informazione. 
Lo schema di decreto legislativo interpreta, inoltre, autenticamente anche 
il comma 5 dell�art. 65: le norme sui contratti collettivi nazionali demandate 
alla sottoscrizione della nuova tornata contrattuale sono soltanto quelle che disciplinano 
il procedimento di stipulazione e controllo, ma non quelle che incidono 
sulla definizione delle materie di competenza dei contratti stessi. 
Tale previsione, abbinata alla piena ed immediata applicabilit� del novellato 
art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, priva in via retroattiva i contratti collettivi 
nazionali della possibilit� di disciplinare tutte le materie riguardanti l�organizzazione, 
gli incarichi dirigenziali, le progressioni verticali e le prerogative dei 
dirigenti quali datori di lavoro. 
C O N T R I B U T I 
D I D O T T R I N A 
Avvocatura dello Stato, amministrazione 
pubblica e democrazia 
Il ruolo della consulenza legale nella formulazione 
ed esecuzione delle politiche pubbliche 
Guilherme Francisco Alfredo Cintra Guimar�es* 
L�articolo avanza una tesi generale sulla funzione delle attivit� di consulenza 
legale svolte dall�Avvocatura dello Stato nell�ambito della pubblica amministrazione, 
con attenzione speciale ai contesti brasiliano e italiano. Con 
l�aiuto della teoria dei sistemi sociali sviluppata dal sociologo tedesco Niklas 
Luhmann, le attivit� di consulenza legale sono descritte come una specie di 
traduzione fra i sistemi giuridico e politico. La funzione della consulenza legale 
sarebbe quindi quella di tradurre i programmi giuridici che condizionano 
l�attivit� politico-discrezionale della pubblica amministrazione, con l�obiettivo 
principale di contribuire alla legittimit� e alla efficienza delle politiche pubbliche 
necessarie alla promozione dei diritti fondamentali dei cittadini. 
SOMMARIO: Introduzione - 1. Gli ostacoli del positivismo giuridico ad una comprensione 
adeguata della consulenza legale: interpretazione giuridica e principio di legalit� - 2. La 
consulenza legale come attivit� di �traduzione� - 3. Sulla necessit� di uno sguardo spregiudicato 
sulla politica - Conclusione - Bibliogra. 
(*) Avvocato dello Stato in Brasile. 
Questo articolo � stato scritto nell�ambito di una ricerca sull�Avvocatura dello Stato realizzata 
presso la Sezione di filosofia e sociologia del diritto del Dipartimento di cultura giuridica Giovanni 
Tarello � DIGITA della Facolt� di giurisprudenza dell�Universit� degli Studi di Genova, sotto la 
guida del Professor Realino Marra (borsa di ricerca �Alla scoperta dell�Italia�, 2009-2010). 
L�A. ringrazia il Professor Realino Marra per i suoi importantissimi suggerimenti e critiche e per 
la revisione finale dell�articolo.
284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Introduzione 
Si pu� dire che la figura dello specializzato in diritto, del tecnico o professionista 
legale sia sempre stata circondata da un qualche sentimento diffuso 
di diffidenza. Come fidarsi di uno che utilizza l�istituzione sacra della giustiza 
come fonte di guadagno quotidiano? Si tratta di una situazione che produce 
naturalmente diffidenza, una diffidenza che accompagna i giuristi dai primordi 
dell�apparizione e differenziazione della loro professione come ruolo sociale 
autonomo e specializzato fino ai nostri giorni (1). 
Riguardo alla professione specifica dell�avvocato, la diffidenza � ancora 
pi� grande. Se il giudice pu� �nascondersi� sotto la figura del terzo neutro e 
imparziale responsabile per applicare la legge e realizzare la giustizia nel caso 
concreto, l�avvocato ha sempre il compito professionale di essere parziale, di 
prendere posizione, di difendere una delle parti in conflitto. Un ruolo veramente 
paradossale, che impone all�avvocato una sorta di �imparziale parzialit��: 
per un verso, egli deve essere imparziale nei suoi doveri con la giustizia, 
per un altro, deve essere parziale nella difesa degli interessi dei suoi clienti (2). 
Cosa dire allora sulla figura dell�avvocato dello Stato, l�avvocato i cui 
�clienti� sono, almeno in teoria, tutti i cittadini? Essendo sottomesso al controllo 
giudiziario, anche lo Stato ha bisogno degli avvocati. Come possono 
essi essere �imparzialmente parziali� nella difesa dell�entit� politica che rappresenta 
l�unione di tutta la collettivit�? 
La necessit� di una avvocatura specifica per lo Stato pu� essere descritta 
come un risultato della separazione dei poteri e dell�assoggettamento dell�esecutivo 
alla legge prodotte dalle rivoluzioni borghesi. La creazione di una istituzione 
speciale responsabile per tutte le attivit� contenziose e consultive 
rappresenta per� l�opzione specifica di alcuni paesi (Italia, Spagna e Brasile, 
per esempio) di affidare la tutela giudiziale e la consulenza legale dello Stato 
ad un unico organo, per ragioni di efficienza ed uniformit� (3). 
Le attivit� di difesa e consulenza giuridica dello Stato sono essenziali in 
qualsiasi regime democratico. Al di l� dell�importanza della separazione dei 
poteri e dell�esistenza di una giurisdizione indipendente capace di giudicare 
con imparzialit� i conflitti fra lo Stato e i cittadini, l�assistenza giuridica interna 
(1) Cfr. LA TORRE 2002. 
(2) D�accordo con Massimo La Torre: �La dialettica, e la tensione, � tra la parzialit� della difesa 
di una parte e l�imparzialit� di una pretesa che si dice essere giustificata ed adottabile in via di principio 
dal giudice� (2002: 56). Sulla storia, cambiamenti e problemi attuali dell�avvocatura nel contesto italiano 
ed europeo, cfr. ALPA 2005. 
(3) In questo saggio, l�attenzione sar� rivolta piuttosto ai modelli brasiliano e italiano di Avvocatura 
dello Stato, anche se le riflessioni teoriche sul ruolo della consulenza legale nell�amministrazione 
pubblica che saranno avanzate non riguardano necessariamente un qualche modello specifico. Sull�Avvocatura 
dello Stato italiana, cfr. CARAMAZZA 1998 e MANZARI 1987. Sull�Avvocatura dello Stato brasiliana, 
cfr. MACEDO 2008 e GUEDES & SOUZA 2009.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 285 
all�amministrazione pubblica � anche indispensabile per assicurare che gli organi 
statali agiscano in conformit� con le regole che caratterizzano lo Stato 
democratico di diritto. 
Attenta a questa importanza, la Costituzione brasiliana del 1988, simbolo 
della ridemocratizzazione del paese dopo pi� di venti anni di dittatura militare 
(1964-1985), ha realizzato un grande cambiamento nel modello di assistenza 
giuridica allo Stato. La tutela giudiziale e stragiudiziale dell�amministrazione 
federale, che prima costituiva una delle funzioni del Pubblico Ministero, e le 
attivit� di consulenza legale, prima compiute dai diversi uffici giuridici degli 
organi ed enti statali, sono state riunite e assegnate ad una nuova istituzione: 
l�Avvocatura Generale dello Stato (Advocacia-Geral da Uni�o - AGU). 
L�obiettivo, per un verso, era ritirare la funzione di rappresentazione giudiziale 
dell�amministrazione del Pubblico Ministero, perch� esso potesse concentrarsi 
soltanto sulle attivit� di controllo dello Stato e difesa del regime 
democratico, e per un altro, riunire le funzioni di difesa e consulenza giuridica 
dell�amministrazione pubblica in una sola istituzione, per ragioni di efficienza 
e uniformit� (4). 
Dopo pi� di quindici anni di esistenza (5), l�Avvocatura dello Stato in 
Brasile ha progredito molto nella professionalizzazione dell�assistenza giuridica 
allo Stato, con incremento di efficienza e aumento del risparmio di denaro 
pubblico. Tuttavia ci sono ancora alcuni problemi tipici di un�istituzione relativamente 
giovane, come l�assenza di un�identit� istituzionale solida, il bisogno 
di una migliore integrazione fra i suoi diversi dipartimenti interni e i 
conflitti amministrativi che succedono spesso con altri organi ed enti statali 
sulle caratteristiche e sui limiti delle attivit� consultive. 
Le attivit� consultive sono proprio il tema centrale di questo saggio. Il 
ruolo generale e la funzione specifica della consulenza legale all�interno dell�amministrazione 
pubblica sembrano essere molto pi� problematici e circondati 
da malintesi e pregiudizi di quanto non siano il ruolo e la funzione del 
contenzioso. 
Nel contenzioso l�obbligatoriet� del contraddittorio e dell�ampia difesa 
aiuta a delimitare in modo pi� chiaro cosa deve fare l�avvocato dello Stato: 
difendere lo Stato in giudizio oppure rappresentarlo contro un qualche convenuto, 
cos� come fanno tutti gli avvocati in generale. Nella consulenza invece 
la situazione � un po� pi� complessa. L�avvocato partecipa (o almeno dovrebbe 
(4) Secondo alcuni autori, il modello italiano dell�Avvocatura dello Stato ha esercitato un�influenza 
rilevante in questo cambiamento. L�esistenza in Italia di un�istituzione gi� consolidata responsabile 
per tutte le attivit� contenziose e consultive sarebbe stata una fonte di ispirazione per i giuristi e 
politici che hanno contribuito alla creazione dell�Avvocatura Generale dello Stato brasiliana. Cfr. MACEDO 
2008: 61-73. 
(5) Nonostante sia stata prevista nella Costituzione Federale del 1988, l�Avvocatura dello Stato 
brasiliana � stata istituita soltanto nel 1993 dalla Legge Federale Complementare n. 73 del 10 Febbraio 1993.
286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
partecipare) a tutto il processo di formulazione ed esecuzione delle politiche 
pubbliche (6). Diritto e politica sono in contatto diretto nell�ambito della stessa 
organizzazione, criteri giuridici e criteri politici di decisione si sovvrapongono 
a vicenda. Se nei tribunali il linguaggio tecnico-giuridico familiare agli avvocati 
predomina, nella pubblica amministrazione essi devono anche fare i conti 
con un linguaggio politico-amministrativo a cui non sono di solito molto abituati. 
Ci� fa diventare ancora pi� complesso il loro obbligo paradossale di trattare 
con �imparziale parzialit�� gli interessi dello Stato, gli interessi pubblici, 
interessi di tutta la collettivit� dei cittadini (7). 
Nel contesto brasiliano, si sta affermando a poco a poco l�idea secondo 
la quale la funzione di consulenza sarebbe quella di un controllo interno di legalit� 
degli atti amministrativi (8). Come risultato di questa comprensione (secondo 
noi) un po� storta, gli organi di consulenza tendono a concentrarsi 
piuttosto sul controllo previo di atti e procedimenti isolati, invece di contribuire 
in forma pi� attiva e partecipativa alla formulazione ed esecuzione giuridica 
delle politiche pubbliche. Ci� produce diffidenza dalla parte degli organi di 
gestione e conseguenti difficolt� di dialogo. 
Partendo dal contesto brasiliano e dalla necessit� di sviluppare criticamente 
un punto di vista alternativo, l�obiettivo principale di questo saggio � 
avanzare una tesi pi� generale sul ruolo e sulla funzione della consulenza legale 
nell�ambito della pubblica amministrazione. Invece di �controllo�, parleremo 
di �traduzione�: traduzione delle norme e del linguaggio giuridico nel 
processo di formulazione ed esecuzione delle politiche pubbliche come funzione 
specifica della consulenza legale (9). 
Secondo questa tesi, riconoscendo il carattere strutturalmente indeterminato 
del diritto moderno, gli organi di consulenza legale dovrebbero concentrarsi 
piuttosto sull�analisi delle conseguenze e dei rischi giuridici di ogni 
decisione amministrativa particolare, invece di proporre interpretazioni unilaterali 
e definitive sui comportamenti giuridici da assumere. In luogo di presentare 
soltanto quelle che considerano le soluzioni pi� corrette dal loro punto 
di vista, gli avvocati dovrebbero dimostrare quali sono le interpretazioni possibili 
per ogni caso e i loro rispettivi rischi (possibilit� di domande giudiziali, 
conseguenze nell�interpretazione di casi similari, ecc.). Questo presupporrebbe 
(6) Il concetto di politica pubblica va compreso in questo saggio come l�agire organizzato e procedimentale 
dello Stato che ha lo scopo di fornire o regolare il fornimento di beni e servizi ai cittadini, 
come forma di promozione di diritti fondamentali e legittimato dalla possibilit� di partecipazione e controllo 
sociale. Sul rapporto fra diritto amministrativo e politiche pubbliche, cfr. BUCCI 2006. 
(7) Sul carattere �mitologico� della concezione tradizionale dell�unit�, neutralit� e superiorit� 
dell�interesse pubblico, cfr. CASSESE 2008: 58-59. 
(8) Cfr. MACEDO 2008: 110-157 e GUEDES & SOUZA 2009: 129-137 e 465-483. 
(9) Devo ringraziare l�amico Renato Bigliazzi per avermi suggerito originalmente di guardare le 
attivit� di consulenza legale come una specie di traduzione. Su questa idea originale e su tantissime altre 
svolte in questo saggio, posso dire con sincerit� che il credito sia tutto suo.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 287 
dunque una comprensione meno individualistica e pi� istituzionale delle attivit� 
di consulenza, dove l�importante non sono tanto le opinioni specifiche di 
ogni avvocato in particolare, ma piuttosto la possibilit� di conferire trasparenza 
e pubblicit� ai diversi fondamenti e criteri giuridici che orientano le decisioni 
statali, tenendo sempre di vista l�obiettivo principale di contribuire all�efficienza 
e alla legittimit� delle politiche pubbliche. 
Il saggio viene diviso in tre parti. Nella prima parte, sono identificati, analizzati 
e decostruiti due ostacoli del positivismo giuridico ad una comprensione 
adeguata delle attivit� di consulenza legale: (i) l�immagine ancora presente 
nella cultura giuridica dell�interpretazione come attivit� meccanica di sussunzione 
dei casi concreti della vita reale a norme generali e astratte e (ii) la concezione 
tradizionale del principio di legalit� secondo la quale alla pubblica 
amministrazione spetta appena l�esecuzione passiva delle leggi approvate dal 
parlamento. Nella seconda parte, � avanzata la tesi centrale del saggio, quella 
della consulenza legale come attivit� di traduzione fra diritto e politica. Nella 
terza parte, si fa un breve commento sulla diagnosi di crisi della politica caratteristica 
dell�epoca attuale, poich� il pregiudizio generale riguardo l�attivit� 
politica rappresenterebbe allo stesso tempo una causa ed un effetto del modello 
della consulenza legale come attivit� di controllo, modello che viene qui rifiutato. 
Alla fine, si fa un riassunto conclusivo delle idee sviluppate nel saggio 
e si presentano alcune proposte per il futuro dell�Avvocatura dello Stato in Brasile. 
1. Gli ostacoli del positivismo giuridico ad una comprensione adeguata della 
consulenza legale: interpretazione giuridica e principio di legalit� 
Il positivismo giuridico � ancora oggi un paradigma dominante nella teoria 
e nella pratica del diritto. I suoi principi, concetti e metodi continuano a 
influenzare l�insegnamento giuridico nelle universit� e il quotidiano delle attivit� 
forensi in tutto il mondo occidentale, nonostante le diverse teorie critiche 
sviluppate principalmente a partire dalla seconda met� del secolo scorso. In 
modo riassuntivo, si pu� caratterizzarlo come l�approccio scientifico al diritto 
(a) impegnato nella costruzione e utilizzazione di un metodo specifico capace 
di fornire descrizioni neutrali del fenomeno giuridico e (b) che concepisce il 
diritto come un sistema di norme prodotte dagli organi ufficiali dello Stato (10). 
Dalla tradizione positivista derivano due �ostacoli teorici� che devono 
essere superati se si vuole descrivere in forma pi� adeguata le attivit� di consulenza 
legale svolte dall�Avvocatura dello Stato: (i) l�idea ormai ingenua secondo 
cui l�interpretazione giuridica pu� essere ridotta ad una attivit� 
meccanica di sussunzione dei casi concreti della vita reale a norme generali e 
(10) Per un�analisi pi� ricca e approfondita, cfr. il classico BOBBIO 1996.
288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
astratte e (ii) la concezione classica del principio di legalit� che assegna alla 
pubblica amministrazione la funzione passiva di semplice esecutrice delle 
leggi approvate dal parlamento. 
Entrambi i due ostacoli sono derivati da una descrizione gerarchica della 
separazione dei poteri caratteristica dell�illuminismo rivoluzionario del secolo 
XVIII e poi ereditata dalle teorie giuridiche positiviste del secolo XIX. La sostituzione 
della sovranit� di origine divina del monarca per la sovranit� popolare 
di origine democratica come fonte di legittimazione del potere fu 
accompagnata dall�identificazione del parlamento come legislatore onnipotente 
e razionale, incaricato di tradurre la volont� generale del popolo in leggi 
generali e astratte capaci di regolare direttamente tutti gli aspetti della vita sociale. 
Agli altri due poteri furono assegnate dunque delle funzioni subalterne 
di applicare le norme gi� legittimamente prodotte dal legislatore: il giudiziario 
nella risoluzione dei conflitti e soltanto quando richiesto dagli interessati, e 
l�esecutivo nell�amministrazione quotidiana dei negozi dello Stato, ancora ridotti 
se si considera il contesto degli Stati liberali post-rivoluzionari (11). 
Caratteristica di questa descrizione gerarchica � la centralit� quasi assoluta 
della legge nel processo di produzione ed applicazione del diritto. Il diritto 
� cos� ridotto alla legge prodotta dallo Stato, che deve essere sufficientemente 
semplice e chiara da poter essere interpretata in maniera letterale e deduttiva 
dai giudici e dagli amministratori. Una specie di �feticcio della legalit�� che 
accompagn� tutto il positivismo giuridico ottocentesco e che ancora oggi si 
fa presente nella dogmatica giuridica tradizionale, seppure in forma velata. 
Riguardo il potere giudiziario, la distinzione gerarchica fra legislazione 
e giurisdizione produce l�illusione che l�interpretazione giuridica sia un�attivit� 
meccanica. Le leggi approvate dagli organi competenti devono determinare 
direttamente la decisione del giudice, descritto come un semplice agente incaricato 
di esprimere nelle situazioni concrete la volont� previa del legislatore. 
Davvero la distinzione serve a nascondere il fatto che il diritto regola la 
sua propria produzione. In altre parole, la distinzione occulta il paradosso derivato 
dalla constatazione che il giudice, interpretando la legge prodotta dal 
legislatore, crea il diritto che egli stesso applica. Cos� la produzione e l�applicazione 
del diritto possono essere descritte come attivit� diverse. Da un lato, 
(11) Questa � ovviamente una descrizione abbastanza semplice e riassuntiva. Le vicende storiche 
dei periodi rivoluzionario e post-rivoluzionario riguardo il tema della separazione dei poteri sono molto 
pi� complesse di quanto non si potrebbe dire in un unico paragrafo. Il movimento di codificazione del 
diritto in Francia, per esempio, fu guidato non da un parlamento libero composto dai legittimi rappresentanti 
del popolo, ma da una comissione di giuristi sotto il controllo diretto dell�imperatore. E in Germania 
i teorici dello Stato tedesco dovettero essere veramente �creativi� per conciliare l�ideale di un 
governo delle leggi con i poteri assoluti (o quasi assoluti) del monarca. Sulle diverse forme di tradurre 
la formula del rule of law nelle tradizioni anglo-americana, francese e tedesca, cfr. ROSENFELD 2001. 
Sul rapporto fra l�illuminismo e i movimenti di codificazione, cfr. TARELLO 1976. Sulle origini teologiche 
del concetto moderno di sovranit�, cfr. AGAMBEN 2007.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 289 
cՏ la produzione delle leggi generali e astratte, le cui modifiche sono giustificate 
da motivi politici, e dall�altro, l�applicazione individualizzata di queste 
leggi alle situazioni particolari, in cui si deve tener conto delle specificit� di 
ogni caso concreto. Allora si pu� ammettere che i giudici, essendo vincolati 
alla legge prodotta dal parlamento, decidano in modo libero e indipendente, 
anche se questo stesso vincolo pu� essere pure oggetto di interpretazione (12). 
Dal dogma dell�onnipotenza e razionalit� del legislatore derivano anche 
i dogmi dell�assenza di lacune nella legge e della completezza dell�ordinamento 
giuridico, ossia la descrizione del diritto come un sistema chiuso, completo 
e coerente di norme previamente approvate dal legislatore (o almeno gi� 
esplicitate nelle decisioni precedenti dei tribunali) che regola, anche se in 
forma implicita, tutte le situazioni concrete di applicazione, non lasciando alcuno 
spazio alla creativit� e all�iniziativa innovatrice dell�interprete. 
La situazione per� si modifica durante il secolo XX. I cambiamenti continui 
e sempre pi� veloci delle strutture sociali, specialmente la transizione 
dallo Stato liberale allo Stato sociale, portano nuovi problemi alla teoria del 
diritto. La percezione della crescente complessit� dei fenomeni sociali, insieme 
alla moltiplicazione di norme diverse e in gran parte sconnesse, prodotte con 
l�obiettivo di concretizzare i programmi di un Stato interventista, fanno crollare 
la concezione positivista dell�interpretazione giuridica come attivit� meccanica 
di sussunzione. La complessit� dei fatti e la patente imprecisione e 
incoerenza del materiale legislativo prodotto dal parlamento evidenziano il 
ruolo creativo e costruttivo del giudice e della pubblica amministrazione nell�interpretazione 
e applicazione del diritto. 
L�interpretazione diventa cos� il problema centrale della teoria giuridica. 
Partendo dalle nuove tesi e idee avanzate dalla filosofia del linguaggio dei 
primi decenni del secolo, in particolare dalla �svolta linguistica� guidata dal 
filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein, autori classici come Hans Kelsen e 
Herbert Hart, anche se ancora inseriti nella tradizione positivista, introducono 
il dibattito sull��indeterminatezza strutturale� o �open texture� del diritto, ossia 
l�impossibilit� di controllare previamente il significato delle norme giuridiche, 
sia attraverso la legislazione, sia attraverso i modelli dogmatici della scienza 
giuridica. Riconoscendo il carattere attivo e creativo dell�interpretazione giuridica, 
entrambi gli autori ammettono che i suoi risultati non possono essere 
totalmente determinati neppure previsti in anticipo, perch� dipendono sempre 
dalle particolarit� e caratteristiche di ogni situazione concreta di applicazione 
(13). 
La teoria del diritto inizia allora a descrivere l�interpretazione non come 
(12) Su questa funzione paradossale della distinzione legislazione/giurisdizione, cfr. LUHMANN 
2005: 367-372. 
(13) Cfr. KELSEN 2006: 387-397 e HART 2005: 137-149.
290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
un�attivit� di scoperta del senso previo contenuto nella legge, ma piuttosto 
come una vera attivit� di creazione e produzione di diritto, in cui le preferenze 
e le scelte specifiche dell�interprete giocano un ruolo fontamentale. I teorici 
cominciano a occuparsi dell�analisi delle diverse possibilit� di lettura dei testi 
normativi e del ruolo dell�argomentazione fondata in principi nella costruzione 
delle decisioni giuridiche (14). Partendo dalla figura dei principi, autori come 
Ronald Dworkin e Robert Alexy sviluppano una critica radicale del modello 
positivista tradizionale del diritto come sistema chiuso e completo di regole 
applicabili attraverso un semplice procedimento di sussunzione (15). L�attivit� 
di interpretazione � quindi elevata al rango di operazione centrale del sistema 
giuridico. 
Se interpretare vuol dire creare, costruire, fare scelte, lavorare con principi 
e argomenti complessi, e non semplicemente dedurre dalla legge la norma applicabile 
ai fatti, e poich� le leggi vanno sempre interpretate prima di essere 
�esecutate�, come si pu� descrivere l�attivit� dell�amministrazione pubblica 
a partire dal tradizionale principio di legalit�, secondo cui amministrare significa 
soltanto �esecutare le leggi�? 
L�attivit� amministrativa � senza ombra di dubbio la pi� grande, onerosa, 
diversificata e onnipresente delle attivit� statali. Come conseguenza, � anche 
quella che rappresenta il maggior rischio alla libert� dei cittadini. Ci� spiega 
l�importanza storica della formula classica del principio di legalit� amministrativa: 
l�amministrazione pu� fare soltanto quello che � stato previamente 
autorizzato dalla legge. Cio� deve circoscriversi ai limiti teoricamente stabiliti 
dai propri cittadini rappresentati in parlamento (16). Si tratta di un principio 
(14) Sul tema dell�argomentazione giuridica, cfr. il classico MACCORMICK 2006. Nel contesto italiano, 
le ricerche sul tema dell�interpretazione e del linguaggio del diritto in generale furono avanzate 
da autori importanti come Norberto Bobbio, Uberto Scarpelli e Giovanni Tarello. Questo ultimo ha sviluppato, 
insieme ad altri rappresentanti della �scuola genovese� come Riccardo Guastini e Paolo Comanducci, 
una teoria scettica dell�interpretazione che sottomette alla critica le principali premesse del 
modello dell�interpretazione giuridica come attivit� meccanica di sussunzione. Cfr. GUASTINI 2008 e 
CHIASSONI 1999. 
(15) Cfr. DWORKIN 2003 e ALEXY 1988. 
(16) Secondo Sabino Cassese: �Dalla necessaria superiorit� dell�interesse pubblico e dalla forza 
vincolante della decisione amministrativa � agevole il passagio alla nozione di supremazia della pubblica 
amministrazione. Contro questa posizione di forza del diritto amministrativo si svilupper� il principio 
di legalit�. [...] Divenuti rappresentativi i parlamenti, questi, infatti, utilizzarono la legge come strumento 
di tutela dei cittadini nei confronti delle pubbliche amministrazioni� (2003: 152). Sulle origini autoritarie 
della moderna concezione di amministrazione pubblica in Francia e sullo sviluppo del diritto amministrativo 
nel contesto di una maggior democratizzazione dello Stato e della pubblica amministrazione, 
cfr. CASSESE 2000: 15-90. La semplice invenzione del principio di legalit� non vuol dire per� che l�amministrazione 
sia stata allora automaticamente sottomessa ai limiti imposti dal parlamento. La storia 
giuridico-politica degli ultimi due secoli smentisce chiaramente questa idealizzazione ingenua, poich� 
i governi autoritari sono riusciti abbastanza spesso a imporre delle eccezioni a questo principio di legalit� 
caratteristo dello Stato di diritto, almeno nelle situazioni descritte come situazioni di �emergenza�. Cfr. 
AGANBEM 2003.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 291 
veramente democratico, specialmente se accompagnato dalle possibilit� di 
controllo giudiziale degli atti amministrativi e responsabilizzazione dello Stato 
per danni causati ai privati. 
Il contenuto democratico del principio di legalit� non va tuttavia confuso 
con la concezione tradizionale della pubblica amministrazione come semplice 
esecutrice passiva delle leggi approvate dal parlamento. Amministrare non 
vuol dire soltanto applicare passivamente le leggi. Chiunque abbia un minimo 
contatto con il quotidiano di un�organizzazione amministrativa si accorge che 
questa immagine passiva e semplificatrice non corrisponde alla realt�, principalmente 
nel contesto di uno Stato regolatore e interventista (17). Si tratta appena 
di un mito prodotto dal positivismo giuridico ottocentesco. D�accordo 
con Sabino Cassese:
[...] � probabile che il paradigma dell�amministrazione come esecuzione 
di leggi non abbia mai trovato rispondenza nel diritto positivo. 
Se esso, oggi, � smentito dal diritto positivo, lo era, a maggior ragione, 
nell�Ottocento, quando minore era il peso del Parlamento e meno 
estesa l�area regolata da leggi. Come si spiega allora la fortuna della 
formula? � probabile che la spiegazione vada cercata in un fatto ideologico, 
successivamente teorizzato. Si tratta dell�influenza del liberalismo 
e del positivismo, i quali, per trovare uno schermo al cittadino 
e un fondamento sicuro di osservazione alla scienza, puntarono tutto 
sulla legge. Per essi, il diritto � il prodotto di volont� costituzionalmente 
abilitate (il Parlamento) e l�amministrazione tende ad essere 
cancellata dietro alle leggi. Cos� facendo, le scuole positivistiche si 
cacciarono in un labirinto inestricabile. Dovettero, infatti, spiegare 
perch�, se l�amministrazione era esecuzione di leggi, godesse di tanta 
libert� di scelta. E ricorsero a due accorgimenti. Affermarono che solo 
in alcuni casi esiste tale libert� di scelta, essendo l�attivit� amministrativa, 
di regola, vincolata (rovesciando, cos�, i termini reali del problema). 
E sostennero che, per spiegare i casi in cui vi era tale libert� 
di scelta, bisognava far ricorso alla discrezionalit�, cosa diversa dall�autonomia. 
[2000: 43-44] (18). 
La formula della discrezionalit� � una formula paradossale. Una formula 
(o forma) che contiene una distinzione, la distinzione fra vincolazione e discrezionalit�. 
Entrambi i due lati della distinzione hanno senso soltanto se ri- 
(17) La tradizione statunitense delle independent agencies o autorit� amministrative indipendenti 
poi diffusa in quasi tutto il mondo occidentale nel contesto delle riforme amministrative dell�ultimo 
quarto del secolo XX � un esempio chiaro della complessit� e molteplicit� di compiti delle organizzazioni 
amministrative moderne, le cui attivit� non possono essere descritte semplicemente come �esecuzione 
di leggi�. 
(18) Su altri miti del positivismo giuridico riguardo i concetti, i metodi e i principi fondamentali 
del diritto amministrativo, cfr. CASSESE 2008: 57-63.
292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
feriti l�uno all�altro, cio� all�altra met� della distinzione, al loro rispettivo senso 
opposto (19). Si parla della discrezionalit� dell�amministrazione soltanto perch� 
si concepisce l�amministrazione come un�attivit� vincolata alla legge. � 
per giustificare la sua solita libert� di scelta che si dice che, anche se programmata 
dalla legge, l�amministrazione ha dei poteri o delle competenze discrezionali, 
ossia non vincolati (o non totalmente vincolati) alla legge stessa. 
Nel diritto amministrativo, questa formula della discrezionalit� della pubblica 
amministrazione riflette il fatto che le decisioni amministrative, nonostante 
siano condizionate giuridicamente, sono di solito decisioni politiche, e 
non giuridiche, poich� l�amministrazione � un�organizzazione del sistema politico, 
e non del sistema giuridico (20). 
Ma quale sarebbe la differenza fra decisioni giuridiche e decisioni politiche? 
E cosa vuol dire essere un�organizzazione del sistema politico? 
In una democrazia, la separazione dei poteri pu� essere descritta come 
un meccanismo di scaglionamento e filtro dell�influenza politica sui diversi 
organi statali. Se il legislativo � lo spazio legittimo di questa influenza e il giudiziario 
lo spazio dove essa � di solito considerata illegittima, nell�amministrazione 
pubblica si deve in parte accettare la sua legittimit� e in parte 
rifiutarla in nome del diritto (21). 
Il diritto in generale e i diritti costituzionale e amministrativo in particolare 
compiono dunque una funzione di neutralizzazione parziale dell�influenza 
politica sulle decisioni dell�amministrazione pubblica. Davvero, essi delimitano 
lo spazio di quello che � giuridico, e deve dunque essere trattato secondo 
criteri giuridici, e quello che � politico, e deve dunque essere trattato secondo 
criteri politici. Questo � proprio il senso specifico della distinzione vincolazione/
discrezionalit�: indicare, per un verso, che ci sono limiti o vincoli imposti 
dal diritto alle attivit� amministrative, e per un altro, che ci sono anche 
spazi dove l�amministrazione � libera per decidere d�accordo con criteri (tecnici, 
politici, economici) che sfuggono a ogni tipo di controllo giuridico. Alla 
fine, si tratta sempre della definizione (o disputa) dei confini fra diritto e politica 
(22). 
Diritto e politica possono essere descritti come sistemi sociali autonomi 
che realizzano funzioni sociali diverse. Al diritto spetta la generalizzazione e 
(19) Su questa �logica delle forme� (law of forms) che lavora sempre con i concetti di distinzione 
e paradosso, introdotta nel dibattito scientifico dal matematico inglese George Spencer Brown, cfr. LUHMANN 
1996b: 61-75. Sui paradossi del sistema giuridico, cfr. LUHMANN 1988 e MAGALH�ES 2002. 
(20) In questo saggio diritto e politica vanno compresi come sistemi sociali autonomi e funzionalmente 
differenziati nel senso della teoria dei sistemi sociali sviluppata dal sociologo tedesco Niklas 
Luhmann. Cfr. LUHMANN & DE GIORGI 1994. Sui principali concetti della teoria dei sistemi di Luhmann, 
cfr. BARALDI ed al. 1996. 
(21) Cfr. LUHMANN 1985: 45-46. 
(22) Sulla costituzione come meccanismo di accoppiamento strutturale fra i sistemi politico e giuridico, 
cfr. LUHMANN 1996a.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 293 
stabilizzazione delle aspettative normative di condotta. La politica invece � 
responsabile per la produzione delle decisioni che vincolano la collettivit�. 
Mentre le decisioni giuridiche sono programmate in forma condizionale, secondo 
la formula se/allora, orientandosi alla correzione o riparazione di azioni 
compiute nel passato, le decisioni politiche sono guidate da programmi teleologici 
o finalistici, secondo la forma mezzo/fine, e si orientano verso la produzione 
di conseguenze specifiche nel futuro (23). 
L�importante � che fra diritto e politica cՏ proprio una differenziazione 
di base nella comunicazione che si pu� percepire nel momento in cui si deve 
analizzare le conseguenze giuridiche di una decisione politico-amministrativa, 
cio� nelle attivit� quotidiane compiute dagli organi di consulenza legale dello 
Stato. Mentre la politica si preoccupa di produrre decisioni che possano raggiungere 
i fini promessi o accordati nei processi di negoziazione e discussione 
fra le organizzazioni statali e i diversi gruppi politici e sociali, il diritto si preoccupa 
di assicurare che queste decisioni siano in accordo con le norme che 
regolano l�attuazione e il funzionamento dello Stato. 
L�esistenza di questa differenza nella comunicazione costituisce spesso 
una fonte di problemi nel rapporto fra organi di consulenza legale e organi di 
gestione. Problemi che non si limitano a semplici difficolt� di comprensione 
fra differenti organi statali, ma che hanno anche un impatto sulla qualit� delle 
politiche pubbliche implementate dallo Stato. 
Questi problemi sembrano essere il risultato dell�assenza di una comprensione 
adeguata del ruolo della consulenza legale, in gran parte a causa della 
persistenza del �mito� positivista dell�amministrazione pubblica come semplice 
esecutrice passiva delle leggi. Questo � il punto centrale: nel contesto di 
uno Stato regolatore e interventista, amministrare non � soltanto esecutare le 
leggi, ma piuttosto fare politica, cio� formulare ed esecutare politiche pubbliche 
a partire dagli indirizzi politici approvati dal parlamento, con l�obiettivo 
di promuovere i diritti fondamentali dei cittadini. Quindi l�immagine classica 
del positivismo ottocentesco � anacronistica e non corrisponde alla realt� dell�amministrazione 
pubblica odierna, sovraccaricata di compiti regolatori, di 
prestazione di servizi, di prevenzioni dei nuovi rischi tecnologici e ambientali, 
ecc. D�accordo con J�rgen Habermas: 
[...] sovraccaricata dai compiti di regolazione, l�amministrazione non 
pu� pi� limitarsi, nel quadro di univoche competenze normative, a 
dare esecuzione alle leggi in maniera specializzata e normativamente 
neutrale. Secondo il modello espertocratico l�amministrazione avrebbe 
dovuto prendere solo decisioni pragmatiche: a questo ideale, natural- 
(23) Sulla differenziazione funzionale del sistema politico, cfr. LUHMANN 1994. Sulla differenziazione 
funzionale del sistema giuridico, cfr. LUHAMMN 2005a.
294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
mente, essa non pot� mai attenersi. Ma nella moderna amministrazione 
�prestatrice di servizi� si accumulano problemi che richiedono ora una 
ponderazione di beni collettivi, ora una scelta tra finalit� concorrenti, 
ora un giudizio normativo su casi singoli. Questi problemi, per essere 
trattati razionalmente, hanno bisogno di discorsi di fondazione e di 
applicazione che fanno saltare i confini professionali d�un adempimento 
normativamente neutrale di compiti. [1996: 521] 
La complessit� e molteplicit� delle attivit� amministrative non si adatta 
dunque al modello teorico della semplice esecuzione delle leggi. Ci� non vuol 
dire ovviamente che l�amministrazione non sia vincolata alla legge. La legge 
� il principale strumento di programmazione della amministrazione, per� non 
� in grado di determinare previamente tutte le sue decisioni, di dire sempre e 
in ogni caso quello che essa pu� e non pu� fare. Cos� come non � in grado di 
regolare previamente tutte le sue proprie situazioni di applicazione, poich� le 
norme vanno sempre interpretate, e interpretare vuol dire anche creare, costruire, 
produrre qualcosa di nuovo. Perci� si parla di discrezionalit� amministrativa, 
anche se l�amministrazione ha sempre il dovere di osservare la legge. 
Davvero, in una democrazia, questo dovere tutti ce l�hanno. 
Se si parte dalla differenziazione funzionale fra diritto e politica, le organizzazioni 
della pubblica amministrazione vanno descritte come organizzazioni 
del sistema politico, cos� come i tribunali sono organizzazioni del sistema 
giuridico (24). Implementare politiche pubbliche significa piuttosto contribuire 
alla formazione e all�esecuzione delle decisioni politiche che vincolano la collettivit�. 
Decisioni nella maggior parte discrezionali, rivolte alla produzione 
di conseguenze future e guidate dalla formula mezzo/fine, che implicano scelte 
fra alternative diverse e che impongono la valutazione di diversi criteri tecnici, 
politici ed economici, oltre all�essenziale considerazione dei vincoli e limiti 
giuridici esistenti (25). 
(24) Il proprio sistema politico pu� essere diviso in tre spazi distinti: lo spazio della politica in 
senso stretto, dove si svolgono i conflitti e le conciliazioni di interessi che portano alla produzione delle 
principali decisioni di governo (parlamento, organi di governo, partiti politici), lo spazio dell�amministrazione, 
responsabile per l�esecuzione concreta delle decisioni prodotte nello spazio della politica in 
senso stretto (organizzazioni burocratiche della pubblica amministrazione), e lo spazio del pubblico, 
che esercita pressione, partecipa della formulazione e realizza il controllo delle decisioni statali (associazioni 
di classe, movimenti sociali, societ� civile organizzata). Cfr. LUHMANN 1994: 61-66. Sulla posizione 
dei tribunali nel sistema giuridico, cfr. LUHMANN 2005a: 359-399. 
(25) Per qualificare una decisione come politica o giuridica il pi� importante non � tanto l�organo 
a cui spetta prenderla (parlamento, amministrazione pubblica o giuridiziario), ma piuttosto i criteri utilizzati 
nella sua formulazione, poich� sono questi criteri che orientano il tipo specifico di comunicazione 
prevalente. Le decisioni giuridiche sono caratterizzate da una programmazione di tipo condizionale: davanti 
a determinate circonstanze, si deve prendere una decisione che stabilisca chi ha diritto e chi non 
ha diritto. Le decisioni politiche invece sono guidate da programmi teleologici, che si orientano verso 
il futuro: l�importante � identificare i mezzi che portino all�ottenzione delle conseguenze descritte come 
desiderabili. Quindi quando le organizzazioni della pubblica amministrazione funzionano come una spe-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 295 
Dalla stessa forma di un tribunale, anche la pubblica amministrazione 
deve interpretare il diritto, interpretazione che non � mai meccanica e che richiede 
sempre creativit� e competenza nel trattamento di regole, principi e argomenti 
complessi (26). Gli obiettivi sono per� diversi. I giudici interpretano 
il diritto per decidere in definitiva chi ha e chi non ha diritto in un caso concreto 
e sono perci� costretti, poich�, a causa del divieto di �non liquet�, �la 
non decisione non � permessa�, a presentare e giustificare le loro decisioni 
come se fossero le �uniche risposte corrette�, anche se ovviamente ci sono 
sempre diverse forme di leggere un testo normativo (27). L�amministrazione 
invece interpreta il diritto non semplicemente per esecutare passivamente la 
legge, ma piuttosto per chiarire quali sono i vincoli giuridici che limitano la 
sua discrezionalit� nell�implementazione delle politiche pubbliche. Perci� ha 
bisogno di �tradurre� i confini prodotti dal diritto alla sua libert� politica di 
scelta. Ha bisogno insomma di consulenza legale. 
2. La consulenza legale come attivit� di �traduzione� 
�[...] ogni traduzione � solo un modo pur 
sempre provvisorio di fare i conti con 
l�estraneit� delle lingue. Altra soluzione 
che temporale e provvisoria, una soluzione 
istantanea e definitiva di questa estraneit�, 
rimane vietata agli uomini o non �, comunque, 
direttamente perseguibile� (Walter 
Benjamin, �Il compito del tradutorre�, 
1995: 45) 
Tradurre � un compito complesso. Complesso e paradossale. Le lingue 
non sono mai completamente traducibili fra di loro. E comunque occorre tradurle. 
Ogni parola o espressione ha una sua storia specifica che � propria della 
lingua di origine. Storia non sempre compartita dalle altre lingue alle quali la 
stessa parola o espressione deve essere tradotta. D�accordo con Benjamin: 
cie di �tribunale amministrativo�, le loro rispettive decisioni, cos� come le comunicazione svolte intorno 
alla loro formulazione ed esecuzione, possono essere, a dipendere dall�ipotesi e dai procedimenti utilizzati, 
di natura pi� giuridica che politica. 
(26) D�accordo con Habermas: �Accollandosi compiti del legislatore politico e dando esecuzione 
a programmi da essa stessa stabiliti, l�amministrazione deve decidere in propria gestione molte questione 
di fondazione e di applicazione normativa. Si tratta di questioni che non sono decidibili in base a criteri 
di efficienza, ma che richiedono piuttosto un trattamento razionale di ragioni normative� (1996: 517). 
(27) Sulla funzione del divieto di �non liquet� (nel senso di un doppia negazione: �la non decisione 
non � permessa�) riguardo la chiusura operativa del diritto e la posizione dei tribunali nel sistema giuridico, 
cfr. LUHMANN 2005a: 359-399. Sulla tesi dell��unica risposta corretta� come artificio teorico rivolto 
a negare la discrezionalit� dei giudici nell�interpretazione delle norme e �prendere i diritti sul 
serio�, cfr. DWORKIN 2002.
296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
�Che una traduzione, per quanto buona, non possa mai significare qualcosa 
per l�originale, � fin troppo evidente. E tuttavia essa � in intimo rapporto con 
l�originale in forza della sua traducibilit�� (1995: 41). 
Questa immagine della traduzione ci serve qui come una specie di metafora 
per spiegare il ruolo degli avvocati nella consulenza legale allo Stato. Essi 
devono tradurre il linguaggio tecnico-specializzato tipico del diritto moderno 
ai politici e amministratori responsabili per la presa delle decisioni nelle organizzazioni 
della pubblica amministrazione. Devono far capire loro le conseguenze 
e i rischi giuridici delle loro decisioni, cos� come devono tradurre in 
termini giuridici queste stesse decisioni. Anche questo un compito complesso 
e paradossale. 
Abbiamo gi� visto che diritto e politica sono sistemi sociali che utilizzano 
linguaggi diversi, cos� come differenti criteri di decisione. Questi linguaggi e 
questi criteri devono essere tradotti all�interno dell�amministrazione, poich� 
la programmazione giuridica delle decisioni politico-amministrative deve essere 
compresa dagli amministratori perch� sia veramente effettiva. Spetta allora 
agli avvocati dello Stato assolvere questa funzione. 
Il principale obiettivo di questa traduzione � dare sostegno giuridico-costituzionale 
alle politiche pubbliche formulate ed esecutate dallo Stato, come 
modo di garantire la loro efficienza e legittimit�. Legittimit� nel senso di conferire 
trasparenza e pubblicit� ai criteri giuridici che orientano le decisioni politico-
amministrative, agevolando cos� le attivit� degli organi istituzionali di 
controllo e il proprio controllo sociale compiuto dalla societ� civile organizzata. 
E efficienza nel senso di contribuire al raggiungimento degli scopi di 
queste politiche, cio� la promozione dei diritti fondamentali dei cittadini, al 
prevenire per quanto possibile i rischi di conflitti con gli stessi organi di controllo 
e l�eventuale (e sempre pregiudiziale) annullamento delle decisioni statali 
(28). 
L�amministrazione pubblica � composta di organizzazioni e le organizzazioni 
sono aggruppamenti o sistemi la cui funzione � la presa di decisioni 
(29). Secondo una concezione pi� tradizionale, le decisioni rappresentano una 
(28) Sulla funzione dell�Avvocatura dello Stato brasiliana di conferire sostegno giuridico-costituzionale 
alla formulazione ed esecuzione delle politiche pubbliche, cfr. VIEIRA JUNIOR 2009. 
(29) D�accordo con il concetto classico formulato dal teorico dell�amministrazione Herbert Simon: 
�[...] il termine organizzazione si riferisce al complesso schema di comunicazioni e di altre relazioni 
che viene a stabilirsi in un gruppo di essere umani. Questo schema fornisce ad ogni appartenente al 
gruppo buona parte dell�informazione, delle premesse, degli obiettivi e degli atteggiamenti che influenzano 
le sue decisioni e, allo stesso tempo, crea in lui delle aspettative stabili e ragionevolmente sicure 
riguardo a ci� che gli altri membri del gruppo stanno compiendo ed al modo in cui essi reagiranno a 
quanto egli dice o compie. Il sociologo chiama questo schema un �sistema di ruoli�, ma per la maggior 
parte di noi esso � pi� familiare sotto il nome di �organizzazione�� (1967: 14). Sulle organizzazioni 
come sistemi autopoietici che producono e riproducono se stessi attraverso le proprie operazioni, cio� 
attraverso la continua presa di decisioni, cfr. LUHMANN 2005b.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 297 
scelta discrezionale fra alternative diverse, dove la conoscenza gioca un ruolo 
fondamentale nel permettere un soppesamento razionale delle conseguenze 
previdibili di ogni alternativa disponibile, nonostante tutti i limiti della razionalit� 
e della capacit� umana di previsione (30). Tuttavia le decisioni possono 
anche essere descritte in modo pi� astratto come eventi complessi, contingenti 
e paradossali che producono differenze nella forma di connettere passato e futuro. 
D�accordo con Luhmann: 
L�enigma dell�emergenza di decisioni da una specie di alchimia decisionale 
non viene dunque chiarito da concetti come scelta o soggetto; 
viene solo distribuito su tali due concetti. Bisogna chiedersi, allora, 
se si possa coniare un concetto di decisione che eviti questo vicolo 
cieco. Vogliamo provarci riferendo il problema della decisione alla dimensione 
temporale. Ogni decisione pressuppone il tempo del mondo, 
che differisce continuamente la distinzione tra passato e futuro in un 
altro, nuovo presente. Solo semplificando grossolanamente si pu� concepire 
questo come movimento o come processo. In realt�, si tratta 
del fatto che ogni presente sopporta il peso del problema di una nuova 
descrizione del suo passato e di quello di una nuova proiezione del 
suo futuro. Il tempo non lascia per� molto tempo per questo. Riflessioni 
del genere possono dunque essere fatte solo in modo altamente 
selettivo e solo per motivi particolari. La decisione, per cos� dire, riduplica 
il problema. Essa fornisce un passato rilevante per se stessa, 
quindi ha bisogno di una memoria che l�aiuti a cogliere problemi, alternative 
e risorse come aspetti del suo presente. Inoltre, si pu� arrivare 
a decidere solo se si capisce che farlo crea una differenza. Il mondo, 
sulla base della decisione, apparir� diverso da come apparirebbe nel 
caso in cui non si dovesse decidere. Elemento costitutivo e irrinunciabile 
della decisione � allora una proiezione di differenze. Una decisione 
costruisce una conessione tra passato e futuro diversa rispetto 
a quella che si d� comunque nel tempo del mondo. Ma questo accade 
nel mondo, cio� nel tempo del mondo, per esempio in un certo momento 
databile. [2005b: 115-116] 
La dimensione temporale � dunque ci� che caratterizza la specificit� di 
ogni decisione. Una decisione � un evento che accade nel presente. La sua 
presa dipende per�, da un lato, da una descrizione del suo passato che esponga 
questo stesso passato come una alternativa sulla quale si pu� decidere nel presente, 
e dall�altro lato, da una proiezione delle differenze (o conseguenze) che 
saranno possibilmente (o probabilmente) prodotte nel futuro. Nel contesto 
della pubblica amministrazione, per esempio, la descrizione dei vincoli giuridici 
esistenti e la proiezione delle possibili conseguenze giuridiche future ri- 
(30) Cfr. SIMON 1967: 43-180.
298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
guardo un qualche progetto di decisione delimita il campo delle alternative 
decisorie disponibili all�amministrazione allo stesso tempo che le chiarisce gli 
eventuali rischi che dovranno essere assunti se si vuole decidere con responsabilit�. 
L�obiettivo della consulenza legale � dare consistenza giuridica alle decisioni 
politiche (nel senso di discrezionali) della pubblica amministrazione. 
La responsabilit� per la decisione spetta per� a colui che la deve prendere, al 
decisore, cio� all�amministratore. Agli organi di consulenza legale spetta appena 
consigliarlo, provando a tradurgli il �diritto vigente�, sulle alternative 
decisorie disponibili e sulle possibili conseguenze giuridiche delle sue decisioni. 
Questo sarebbe magari qualcosa relativamente semplice se non ci fosse 
un problema, forse il principale problema di tutta l�attivit� di consulenza: diritto 
e politica hanno tempi diversi, funzionano in modo operativamente chiuso 
l�uno rispetto all�altro, sono perci�, in certa misura, �intraducibili� fra di 
loro (31). E nonostante tutto ci�, per decidere bisogna �tradurli�. 
Le decisioni della pubblica amministrazione sono comunicazioni del sistema 
politico. Comunicazioni che si rivolgono per� al sistema giuridico prima 
e dopo la presa della decisione. Prima perch� l�amministrazione ha bisogno 
di osservare il sistema giuridico per provare ad anticipare come esso reagir� 
alle sue decisioni. E dopo perch�, essendo le decisioni stesse formulate in termini 
giuridici, nella forma di atti amministrativi, contratti, regolamenti, ecc., 
i loro rispettivi effetti giuridici producono anche un impatto sulle decisioni future 
che ancora andranno prese. 
Tuttavia la risposta del sistema giuridico alla decisione amministrativa 
non pu� ovviamente essere controllata dall�amministrazione. Nonostante tutte 
le eventuali �buone intenzioni� dell�amministratore, non si pu� mai essere totalmente 
sicuri sulla forma in cui la decisione sar� interpretata (o �tradotta�) 
dai tribunali. Da questo punto di vista il diritto rappresenta una specie di �cassa 
nera� per la politica. Le sue reazioni sono sempre e in certa misura imprevedibili. 
Perci� si prova comunque a prevederle in anticipo, per ridurre o assorbire 
previamente l�incertezza giuridica che circonda la decisione, 
immunizzando e tranquillizzando cos� l�amministrazione sulle eventuali �sorprese� 
che il diritto pu� produrre nel futuro (azioni giudiziali, richieste di informazioni 
dagli organi di controllo, condanne all�amministrazione, 
annullamento della decisione, ecc.). 
Traducendo all�amministrazione i programmi giuridici che condizionano 
le sue decisioni e provando ad anticipare le conseguenze giuridiche di queste 
stesse decisioni, si pu� dire che la consulenza legale �apre la porta� del sistema 
del diritto alla politica. La sua attivit� di traduzione, nonostante sia rivolta alle 
(31) Su questa �opacit�� reciproca fra diritto e politica come risultato della differenziazione funzionale 
e della chiusura operativa dei due sistemi, cfr. LUHMANN 2005a: 473-505.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 299 
organizzazioni della pubblica amministrazione, � un�operazione del sistema 
giuridico. Una prima traduzione, in termini giuridici, della decisione politicoamministrativa. 
Si potrebbe aggiungere: una traduzione che viene accompagnata 
da una sorta di �scommessa� sul fatto che il diritto capir� ci� che la 
politica ha voluto dire, ossia che il giudice interpreter� la decisione e le norme 
che la condizionano nella stessa maniera dell�amministrazione. 
Eppure �che il futuro sia sconosciuto � condizione irrinunciabile della 
possibilit� di decidere� (Luhmann 2005b: 126). Il futuro �non comincia mai�, 
cio� rimane sempre indeterminato, sconosciuto, irraggiungibile (32). Giuridicamente 
ci� vuol dire di nuovo che non si pu� avere certezza sulla forma in 
cui il diritto risponder� alla decisione politica: accettandola, rifiutandola oppure 
sollecitando eventuali modifiche. Il sistema � una macchina storica in 
certa misura imprevedibile. Perci� l�ideale tradizionale di certezza o sicurezza 
giuridica non � altro che un mito. L�indeterminatezza strutturale o open texture 
del diritto moderno significa giustamente che l�attivit� di interpretazione contiene 
sempre un elemento creativo, un elemento di sorpresa e imprevidibilit� 
che impedisce ogni previsione sicura sulla forma in cui le norme saranno interpretate 
dai tribunali, sul modo in cui il diritto sar� costruito nei casi futuri. 
CՏ soltanto una certezza tautologica che nel futuro il diritto continuer� a dire 
cosՏ e cosa non � il diritto, ossia la certeza paradossale di un incerto trattamento 
nel futuro (33). 
La consulenza legale non pu� quindi definire con sicurezza cosa sia e 
cosa non sia il diritto in una qualche situazione specifica, concreta oppure solo 
ipotetica, poich� la risposta finale (possiamo dire, l��unica risposta corretta�) 
spetta sempre ai giudici, non agli avvocati. Essa pu� soltanto assistere l�amministrazione 
nel suo rapporto con il diritto. Un rapporto paradossale, collegato 
alla dimensione temporale della decisione politico-amministrativa. 
Essendo le decisioni eventi che accadono sempre e necessariamente nel 
presente, tenendo come orizzonte un futuro sconosciuto, la consulenza legale, 
provando a tradurre i vincoli giuridici che condizionano l�amministrazione e 
ad anticipare le conseguenze della decisione riguardo il sistema del diritto, 
contribuisce all�assorbimento della incertezza giuridica che circonda tutto il 
procedimento decisorio. Una funzione paradossale di anticipare quello che 
non pu� essere anticipato, di assicurare quello che � sempre incerto, di tradurre 
quello che non � mai totalmente traducibile. La calcolabilit� giuridica delle 
conseguenze � sempre limitata. Gli avvocati dello Stato possono essere descritti 
come traduttori, ma sicuramente non come �astrologi�. L�incertezza pu� 
(32) Cfr. LUHMANN 1982. 
(33) Questa �incertezza giuridica� pu� anche essere descritta come un risultato della positivit� 
del diritto moderno, cio� il fatto che il diritto positivo della societ� moderna � un diritto contigente, artificiale, 
modificabile. Cfr. LUHMANN 1985.
300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
essere, in certa misura, �addomesticata�, ma non completamente eliminata. 
Per assorbire o �addomesticare� questa incertezza, la consulenza legale 
deve rivolgersi al passato del sistema giuridico. Deve realizzare una sorta di 
�ricerca storica� nel sistema per scoprire (o �selezionare�) le possibilit� decisorie 
�nascoste� nelle sue �fonti�. Cio� deve cercare nelle leggi, nei precedenti 
giudiziari e nelle opinioni degli esperti (dottrina) una forma di �tradurre il diritto� 
che presenti all�amministrazione diverse possibilit� di decisioni e di valutazione 
delle sue rispettive conseguenze. Se una qualche regola in materia 
ambientale � gi� stata giudicata illegale dai tribunali, l�avvocato pu� suggerire, 
per esempio, che la stessa regola o una regola similare sia allora inserita in un 
disegno di legge, e non in un regolamento, con l�obiettivo di evitare una nuova 
sentenza sfavorevole. Dunque, oltre ad assistere nell�assorbimento della incertezza, 
la consulenza legale produce anche un arricchimento giuridico della 
�memoria decisionale�, offrendo pi� possibilit� di scelta all�amministrazione 
e contribuendo cos� ad una presa di decisione pi� �furba� e responsabile (34). 
Si pu� capire allora l�importanza dei pareri giuridici e di tutto il procedimento 
di argomentazione in essi condensato. Riguardo l�attivit� decisoria, l�argomentazione 
giuridica pu� essere descritta come un�operazione che si svolge 
a partire dalla distinzione fra ridondanza e variet� (35). Da un lato, l�argomentazione 
diminuisce la sorpresa della decisione fornendole giustificazioni previe 
capace di connetterla ad altre decisioni gi� prese nel passato, ad alternative 
gi� provate precedentemente e che possono perci� essere reiterate senza paura 
delle conseguenze. Da un altro lato, pu� offrire anche i fondamenti alla presa 
di una decisione diversa ed innovatrice, le cui conseguenze non sono ancora 
totalmente chiare, seppure possano essere parzialmente anticipate in base ad 
un paragone con una qualche situazione similare. 
Fra ripetizione ed innovazione, ridondanza e variet�, cՏ sempre un rischio, 
un rischio che causa paura e allo stesso tempo esige responsabilit�. Essendo 
il futuro sconosciuto, la presa di una decisione innovatrice o inedita 
presenta ovviamente un livello di rischio pi� elevato riguardo una decisione 
che non sfugge ai modelli e agli standard a cui ci si � gi� abituati. La creativit� 
(34) D�accordo con Luhmann: �[...] l�essere sconosciuto del futuro non pu� essere cambiato. In 
questo senso non fa differenza il modo in cui il sapere � distribuito socialmente e se qualcuno dispone 
di un sapere migliore rispetto ad altri. Anche la ricerca di ulteriori informazioni concerne sempre solo 
il passato. In quanto a ci�, la diffusa concezione per cui con pi� informazione si pu� cogliere meglio il 
futuro deve essere corretta. L�incertezza, che viene aumentata dalle informazioni, non � incertezza del 
futuro, ma incertezza della scelta in un ambito selettivo. Certamente un decisore con una memoria arricchita 
pu� vedere pi� possibilit�, utilizzare schemi pi� differenziati e, per usare una formula un po� 
fuori moda, decidere in modo pi� furbo. In questo, e solo in questo, sta il vantaggio della conoscenza 
ambientale e della consulenza. Ma questo significa solo che il decisore dispone di strutture pi� complesse 
che differenziano, ma non eliminano, la non conoscenza del futuro: egli dispone di schematismi, scripts, 
cognitive maps, implicit theories, tutti concetti che ricorrono alla memoria e non al futuro� (2005b: 138). 
(35) Cfr. LUHMANN 1995 e 2005a: 401-471.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 301 
ha anche un suo costo. Gli oneri argomentativi sono pi� pesanti, le giustificazioni 
devono essere pi� complesse e approfondite, gli effetti della decisione 
attuale nelle decisioni future vanno soppesate con pi� prudenza e attenzione 
(36). Gli avvocati possono provare a fornire gli argomenti che giustifichino 
la decisione e indichino i rispettivi rischi, ma la disposizione a prendere 
il rischio ed assumere la relativa responsabilit� spetta sempre al decisore, cio� 
ai politici ed amministratori, mai agli avvocati stessi � la decisione comunque 
� sempre una decisione politica, e non giuridica (37). 
Gli argomenti favorevoli che giustificano la decisione e provano ad anticipare 
le sue possibili conseguenze sono per�, come la decisione stessa, argomenti 
contingenti, prodotti prima della sua presa e che possono essere confutati 
e rifiutati nel futuro, quando la decisione non potr� pi� essere disfatta, ma soltanto 
cambiata attraverso un�altra decisione. Perci� ce nՏ sempre, in quasi 
tutti i processi decisori, una sorta di �paura� di decidere, collegata all�incertezza 
sulla forma in cui la decisione sar� controllata nel futuro. D�accordo con 
Luhmann: 
[...] si osserva l�alternativa che � fissata per la decisione in modo diverso, 
a seconda che ci si fermi al tempo prima della decisione o al 
tempo dopo la decisione. [...] nell�istante in cui viene presa la decisione 
cambia la forma della contingenza. Prima della decisione la contingenza 
� aperta, � possibile la scelta di ogni possibilit�. Dopo la 
decisione, la contingenza � chiusa, non � pi� possibile un�altra decisione, 
ma tutt�al pi� una correzione attraverso una nuova decisione. 
Ma l�alternativit�, e con essa la contingenza, continuano ad essere 
mantenute. Esse non vengono cancellate attraverso la decisione, cos� 
come non vengono trasformate in un�altra modalit� del necessario o 
dell�impossibile. Diversamente non sarebbe possibile criticare le decisioni 
o pentirsi per averle prese, n� renderle oggetto di rimprovero, 
n� tanto meno tema di responsabilit�. [...] Solo cos� si pu� spiegare il 
fatto che si abbia paura delle decisioni, che si eviti il rischio, perch� 
si deve tener conto di un successivo cambiamento della valutazione e 
persino di un cambiamento dei criteri di valutazione. [2005b: 140- 
141] 
(36) Secondo Luhmann: �[...] sono rilevanti le decisioni passate che siano state accettate senza 
reclami, cio� quelle che possono supporre di essere accettate. Chi devia deve sopportare il rischio della 
novit�, deve argomentare, ha l�onere della prova. In modo corrispondente, il futuro viene tirato in causa 
dal punto di vista degli effetti che avranno i precedenti. Il decisore e colui che accetta la decisione devono 
anche pensare che in futuro casi simili saranno trattati secondo lo stesso modello, o, almeno, che con la 
decisione incombente si stabilizza un�aspettativa in questo senso� (2005b: 143). Sulla valutazione delle 
conseguenze giuridiche della decisione nella forma del precedente, cio� riguardo l�impatto della decisione 
attuale nelle decisioni future, e sulla argomentazione conseguenzialista in generale, cfr. MACCORMICK 
1983 e 2006: 127-195 e LUHMANN 2005a: 441-448. 
(37) Cfr. LUHMANN 2005a: 498-499.
302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Il rischio rappresenta allora una forma di osservare la decisione riguardo 
il suo futuro incerto, una forma di razionalizzare la paura di decidere attraverso 
il tentativo di anticipare le sue eventuali conseguenze negative (38). Tutte le 
decisioni politiche devono confrontarsi con il problema dell�incertezza giuridica 
futura. Perci� i politici e gli amministratori hanno bisogno di consulenza 
legale, per costruire gli argomenti con cui possano sostenere giuridicamente 
la decisione e per anticiparsi ai suoi eventuali effetti negativi (azioni giudiziali, 
annullamento della decisione, formazione di precedenti decisori sconvenienti, 
ecc). Soltanto essendo consapevole dei rischi si possono assumere le conseguenze 
della decisione. Soltando osservando l�incertezza del futuro nella 
forma del rischio si pu� razionalizzare l�eventuale paura di decidere. Si pu� 
insomma decidere con responsabilit� (39). 
Perci� i politici e gli amministratori danno tanta importanza ai pareri giuridici 
prodotti dagli organi di consulenza legale � un�importanza forse sopravvalutata. 
I pareri compiono una funzione rassicuratoria e di 
�tranquillizzazione� dell�attivit� politica. Contribuiscono all�assorbimento dell�incertezza 
giuridica della decisione, �immunizzandola�, in certa misura, al 
fornirle argomenti e giustificazioni giuridici preliminari che poi possano essere 
riattivati nei tribunali nel caso sia necessario difendere la decisione in giudizio. 
Sono utilizzati dunque come una sorta di �scudo� dal decisore, come qualcosa 
che si suppone capace di proteggerlo dalla critica e dal controllo inerenti ad 
ogni assunzione politica di responsabilit� nel contesto di un regime democratico. 
Tuttavia, esponendo gli eventuali rischi della decisione, i pareri funzionano 
(o almeno dovrebbero funzionare) anche come uno strumento per conferire 
pubblicit� e trasparenza ai criteri giuridici che orientano le decisioni 
politico-amministrative, agevolando cos� la salutare critica democratica alle 
decisioni statali e il necessario controllo istituzionale su di esse. Siccome era 
consapevole dei rischi e nonostante ci� ha deciso di assumere l�apposita responsabilit�, 
il decisore deve fare i conti con l�opinione pubblica e con gli organi 
di controllo. 
Quindi anche il �compito del decisore� � un compito arduo. Ancora pi� 
arduo se il suo supposto �traduttore�, invece di assisterlo e aiutarlo, ritiene 
(38) D�accordo con Luhmann: �Anche nell�osservazione e nella descrizione di decisioni non si 
pu� raggiungere alcuna certezza. Proprio questo si intende con il concetto di rischio. I rischi non hanno 
un luogo ontologico nel mondo; a differenza del concetto di pericolo, il concetto di rischio indica una 
forma di osservazione di decisioni� (2005b: 139-140). Sulla figura del rischio come forma di osservazione 
del futuro e di razionalizzazione della paura riguardo l�incertezza sul futuro, cio� una forma di 
costruire vincoli con il futuro, cfr. LUHMANN 2005c e DE GIORGI 1998. 
(39) D�accordo con Luhmann: �Se tutto ci� che accade deve assumere la forma della decisione e 
se le decisioni possono essere prese sempre solo nel momento attuale, sempre solo nel presente, per 
quanto concerne il tempo bisogna fare i conti con questa incertezza. Le decisioni sono possibili solo 
perch� il futuro � indeterminato, cio� anche sconosciuto. In questo consiste, appunto, ci� che normalmente 
si chiama responsabilit�� (2005b: 120).
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 303 
che deve, anche lui, controllarlo. Gli avvocati sono piuttosto utili per difendere 
ed assistere, non controllare. Perci� si chiamano avvocati, e non controllori. 
La diffidenza e il pregiudizio generalizzato contro l�attivit� politica del decisore 
per� pu� mescolare o confondere un po� questi ruoli diversi. Bisogna allora 
guardare la politica senza pregiudizi. 
3. Sulla necessit� di uno sguardo spregiudicato sulla politica 
Dopo il crollo del muro di Berlino e l�espansione globale dell�egemonia 
del modello dell�economia di mercato, la politica moderna sembra aver perso 
un po� la tramontana. D�accordo con Habermas: 
Davanti alle sfide radicali d�una limitazione ecologica della crescita 
economica e d�un crescente divario nei rapporti nord/sud; davanti all�impresa, 
storicamente eccezionale, di riconvertire ai meccanismi 
d�un sistema economico differenziato i paesi ex-socialisti; sotto la 
pressione di flussi migratori provenienti dai paesi impoveriti del sud 
e ora anche dell�est; di fronte ai rischi di nuove guerre etniche, nazionali 
e religiose, di ricatti atomici e di lotte internazionali per la distribuzione 
delle risorse: di fronte a questo sfondo terrificante, la politica 
delle societ� occidentali costituitesi come Stati democratici di diritto 
sembra aver perso orientamento e consapevolezza. Dietro la retorica 
domina la rinuncia. [1996: 7] (40) 
La globalizzazione dei mercati, l�accelerazione dei flussi migratori, i 
nuovi rischi tecnologici e ambientali, l�emersione o rinascita dei conflitti etnici 
e religiosi rappresentano quindi sfide alla politica contemporanea, sfide che 
non possono essere affrontate unicamente al livello dei tradizionali Stati-nazione, 
ma richiedono anche un�articolazione politica dei problemi a livello 
globale (41). 
Questa diagnosi di crisi della politica o depoliticizzazione della societ� 
moderna segnala un fenomeno che pu� rafforzare, in certa misura, una tendenza 
usuale di diffidenza nei confronti dei politici e dell�attivit� politica in 
generale, coltivata di solito dai rappresentanti della burocrazia statale. L�argomento 
tipicamente tecnocratico della parzialit� dell�attivit� politica tradizionale 
e della sua assenza di compromesso nella valutazione neutrale degli 
interessi pubblici sembra essere rafforzato nel contesto contemporaneo del- 
(40) Secondo la prospettiva �apocalittica� o �messianica� riguardo le moderne societ� occidentali 
svolta da Giorgio Agamben: �La politica contemporanea � questo esperimento devastante, che disarticola 
e svuota su tutto il pianeta istituzioni e credenze, ideologie e religioni, identit� e comunit�, per tornare 
poi a riproporne la forma definitivamente nullificata� (1996: 88). 
(41) Sulla necessita di ripensare la politica e il diritto moderni nel contesto della globalizzazione, 
cfr. MARRAMAO 2009.
304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
l�incapacit� degli Stati-nazione di gestire da soli i nuovi e inediti problemi di 
una societ� globalizzata. 
Nel contesto brasiliano, sembra che la diffidenza e il pregiudizio generalizzato 
contro la politica rappresentino allo stesso tempo una causa ed un effetto 
del modello della consulenza legale come attivit� di controllo. Una specie 
di circolo vizioso. Per un verso, i pregiudizi contro la politica, cio� la riduzione 
dell�attivit� politica a una disputa meschina su potere e influenza fra partiti e 
fazioni, fa apparire come naturale la necessit� di controllare eccessivamente i 
politici ed amministratori da tutte le parti, poich� sono essi i responsabili per 
la presa delle decisioni politiche nella pubblica amministrazione. E per un altro 
verso, tale supposta necessit� di un controllo burocratico eccessivo sulla politica 
d� origine a diffidenze e gerarchie fra presunti controllori e controllati, 
diffidenze e gerarchie che soltanto rafforzano gli stereotipi dei burocrati o tecnocrati 
neutri e imparziali e dei politici e decisori in generali parziali e senza 
compromesso solido e stabile con gli interessi pubblici. 
Eppure gli organi di consulenza legale e gli organi di gestione, responsabili 
per la presa delle decisioni politico-amministrative, fanno entrambi parte 
della pubblica amministrazione. Ci� significa che dovrebbero lavorare insieme, 
in regime di mutua collaborazione, e non in modo contrastante, come 
se l�uno dovesse controllare le attivit� dell�altro in una posizione di superiorit� 
o supremazia (42). 
L�Avvocatura dello Stato � di solito descritta come un organo tecnico (o 
tecnico-giuridico), di carattere non politico. Questo carattere non politico � 
considerato essenziale per assicurarle la necessaria autonomia nella tutela 
dell�interesse pubblico (43). L�autonomia tecnica e la relativa indipendenza 
politica sono per� caratteristiche di tutti gli organi burocratici della pubblica 
amministrazione, e non solo dei suoi organi di assistenza giuridica. Tutti gli 
organi, siano amministrativi o giuridici, devono cercare sempre di realizzare 
con imparzialit� gli interessi pubblici. Perci� la funzione dell�Avvocatura dello 
Stato non deve essere identificata con una attivit� di fiscalizzazione della legalit� 
degli atti amministrativi, come se si trattasse di un organo superiore di 
(42) Sui conflitti che succedono spesso fra gli uffici di una stessa organizzazione a causa dell�identificazione 
dei loro membri con l�ufficio a cui appartengono piuttosto che con l�organizzazione in 
generale, cfr. SIMON 1967: 58-60. 
(43) Secondo l�ex Avvocato Generale dello Stato italiano Oscar Fiumara: �L�Avvocatura � un organo 
essenzialmente tecnico, assolutamente non politico, di rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio, 
cio� del Governo, quindi esamina qualsiasi vertenza, qualsiasi problema da un punto di vista 
esclusivamente tecnico-giuridico. Proprio in virt� di tale metodo l�Avvocatura dello Stato, pur essendo 
incardinata nella Presidenza del Consiglio dei ministri, opera in piena autonomia al fine di apprestare la 
migliore tutela dell�interesse pubblico e collabora con tutti i poteri� (2009: 1). Nel contesto brasiliano, 
si parla spesso dell�indipendenza o autonomia funzionale dell�Avvocatura dello Stato riguardo il potere 
esecutivo per difendere la stessa idea di autonomia nella tutela dell�interesse pubblico. Cfr. GUEDES & 
SOUZA 2009: 87-127.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 305 
controllo interno dell�amministrazione. 
Un�altra volta ci si deve soffermare su questo punto: consulenza legale 
non � controllo, gli avvocati dello Stato non sono controllori. Come abbiamo 
gi� visto, essi possono essere descritti meglio come �traduttori�, come coloro 
che devono tradurre ai politici e amministratori i vincoli giuridici che condizionano 
la loro discrezionalit�. Se magari cՏ qualcosa che riguarda il controllo 
nella loro attivit�, ci� sarebbe unicamente la possibilit� che gli avvocati presentano 
di assistere giuridicamente nel processo di autocontrollo della pubblica 
amministrazione. Un controllo per� svolto dalla propria amministrazione, con 
l�obiettivo di correggere e fiscalizzare le sue proprie attivit�, situazione in cui 
l�ausilio giuridico degli avvocati � sempre indispensabile (44). 
Anche se il rischio di corruzione e di inadempimento cosciente delle 
norme � purtroppo sempre presente in tutti gli organi statali (possiamo dire 
pure: in tutta la societ�) i politici e decisori in generale non possono essere 
guardati a priori con pregiudizio e diffidenza. La corruzione funziona (o almeno 
dovrebbe funzionare) ovviamente come un limite: davanti ad un fondato 
sospetto di corruzione, gli avvocati hanno il dovere di azionare i competenti 
organi di controllo affinch� siano prese le apposite misure rivolte a evitare oppure 
riparare eventuali danni al patrimonio pubblico. Si tratta per� di un dovere 
che spetta non solo agli avvocati, ma a tutti i funzionari pubblici. Davvero, a 
tutti i cittadini (45). 
Ma nuovamente ci� non vuol dire che la consulenza legale si assomigli a 
un�attivit� di controllo. Fatto salvo il dovere irrinunciabile di prevenire e combattere 
la corruzione, la funzione della consulenza � quella di fornire argomenti 
e giustificazioni che diano sostegno giuridico alle decisioni politico-ammini- 
(44) Nel contesto italiano, per esempio, non si parla mai dell�Avvocatura dello Stato come un organo 
di controllo della pubblica amministrazione. La sua funzione � piuttosto descritta come una �funzione 
giustiziale�: �Nell�esercizio del suo potere di �persuasione� l�Avvocatura esercita una funzione 
che non � n� amministrativa n� di giustizia, ma giustiziale, quasi di raccordo tra le due, dovendo da un 
lato, in sede di consulenza, indirizzare l�azione pubblica istituzionale verso l�osservanza della legalit�, 
e dall�altro lato, in sede giudiziaria sostenere le ragioni di legalit� dell�operato amministrativo a tutela 
degli interessi pubblici generali coinvolti nel giudizio� (MANZARI 1987: 113). I pareri prodotti dall�Avvocatura 
dello Stato italiana per� non vincolano necessariamente l�attivit� della pubblica amministrazione: 
�� fatta salva la possibilit� per l�amministrazione consultante di disattendere il parere reso 
dall�Avvocatura dello Stato, sia esso facoltativo od obbligatorio, fermo restando che per pacifico riconoscimento 
anche giurisprudenziale l�orientamento contrario a quello espresso dall�organo legale consultivo 
impegna in modo particolare l�ente sul piano motivazionale, richiedendosi adeguata 
giustificazione del dissenso nell�atto amministrativo conclusivo del procedimento ausiliato� (sito internet: 
http://www.avvocaturastato.it/?q=node/86, ultimo acesso: 30.11.2010). Sul supposto carattere vincolante 
di alcuni dei pareri prodotti dall�Avvocatura dello Stato brasiliana, piuttosto in materia di contratti 
di appalto, e sulla responsabilit� degli avvocati riguardo le conseguenze delle decisioni guidate da questi 
pareri, cfr. GUEDES & SOUZA 2009: 139-164. 
(45) Sull�attuazione dell�Avvocatura dello Stato brasiliana nella difesa del patrimonio pubblico 
in giudizio attraverso il recupero di attivi pubblici e la punizione di funzionari corrotti, cfr. GUEDES E 
SOUZA 2009: 485-499.
306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
strative e che permettano una valutazione previa dei loro rispettivi rischi e 
conseguenze giuridiche. Argomenti e giustificazioni che devono essere resi 
pubblici e trasparenti e che poi possano essere utilizzati anche per difendere 
le decisioni stesse davanti agli organi di controllo (tribunali, commissioni parlamentari, 
corti dei conti, ecc). Il dibattito istituzionale su tesi giuridiche diverse 
fra le organizzazioni della pubblica amministrazione e gli organi di 
controllo, purch� realizzato con pubblicit�, trasparenza e responsabilit�, � qualcosa 
di salutare alla democrazia, e non qualcosa della quale si dovrebbe aver 
timore o paura. Perci� � importante guardare la politica senza pregiudizi, assistere 
i politici e gli amministratori senza diffidenza, tradurre loro il �diritto 
vigente� senza qualsiasi tipo di sentimento corporativista di superiorit�. 
L�importanza dell�attivit� tipicamente politica e la complementarit� fra 
politica e amministrazione burocratica, fra politici di professione e funzionari 
amministrativi, veniva gi� teorizzata dalla sociologia politica weberiana. I politici 
sono legittimati ad esercitare la guida politica dello Stato e ad assumere 
la responsabilit� per la presa delle principali decisioni statali. I funzionari amministrativi 
invece hanno la preparazione e la specializzazione tecnica e professionale 
necessaria all�implementazione impersonale delle decisioni statali 
e all�ausilio tecnico-burocratico essenziale alla loro formulazione. Si tratta 
per� di due ruoli diversi e complementari che non vanno confusi o mescolati 
(46). 
L�Avvocatura dello Stato deve quindi svolgere la sua funzione di consulenza 
legale all�amministrazione consapevole dell�importanza e dell�impatto 
di questa attivit� nella qualit� delle politiche pubbliche formulate ed escutate 
dallo Stato. Ossia deve capire il senso specificamente �politico� del suo agire, 
un senso positivo, non necessariamente collegato alle usuali dispute su potere 
e influenza che caratterizzano tutti i regimi politici, ma di collaborazione e 
coinvolgimento nell�implementazione delle politiche pubbliche e nel raggiungimento 
dei loro obiettivi. Deve dunque guardare l�attivit� politico-amministrativa 
nella quale � necessariamente coinvolta senza pregiudizi. 
(46) Cfr. WEBER 2004: 72-74. D�accordo con Weber: �[...] la burocrazia ha fallito completamente 
dove � stata investita di questione politiche. [...] Infatti nelle condizioni moderne l�istruzione specializzata 
costituisce il presupposto indispensabile per la conoscenza dei mezzi tecnici necessari per il raggiungimento 
di fini politici. Ma stabilire fini politici non � un compito tecnico, e il funzionario specializzato 
non deve, semplicimente in quanto tale, determinare la politica� (1999: 533-535).
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 307 
Conclusione 
�Scusa, allenatore, ma su tutta questa 
roba, ti sei gi� messo d�accordo con i 
russi? � (Garrincha) 
Prima dell�ultima partita del girone del mondiale di calcio del 1958, contro 
l�ex-Unione Sovietica, l�allenatore brasiliano stava spiegando ai suoi calciatori 
come dovevano comportarsi durante la partita, con quale schema tattico 
dovevano giocare, cosa dovevano fare in campo. Perci� aveva tantissimi disegni 
che riassumevano le diverse posizioni che i calciatori della squadra brasiliana 
avrebbero dovuto tenere rispetto a quelle che avrebbero ricoperto i 
calciatori della squadra sovietica. Un vero esercizio di previsione su cosa 
avrebbero fatto i sovietici e di anticipazione delle contromisure che avrebbero 
dovuto essere prese dai brasiliani. Alla fine, Garrincha, calciatore specialmente 
conosciuto per le sue incredibili abilit� di dribbling e per il suo grande umorismo, 
alz� la mano e chiese all�allenatore: �Scusa, allenatore, ma su tutta questa 
roba, ti sei gi� messo d�accordo con i russi?�. Il Brasile vinse la partita per 
due a zero e poi fu campione del mondiale per la prima volta nella sua storia. 
Garrincha e Pel�, che all�epoca aveva appena diciassette anni, furono considerati 
i migliori calciatori del mondiale. In questa partita specifica contro l�ex 
Unione Sovietica, l�immagine dei sovietici che quasi cadevano a terra a causa 
delle finte di Garrincha entr� definitivamente nella storia del calcio mondiale 
(47). 
Dopo aver letto attentamente un parere reso da un organo di consulenza 
legale su una questione di grande rilievo, il politico o l�amministratore potrebbe 
forse domandare all�avvocato che l�ha scritto: �Ma guarda, su tutti questi 
argomenti, ti sei gi� messo d�accordo con i giudici, con gli organi di 
controllo, con le comissioni parlamentari che poi sicuramente mi chiederanno 
informazioni e giustificazioni?�. La risposta � ovviamente �no�. Su queste 
cose non ci si accorda. Perci� tutta l�attivit� di consulenza legale �, in certa 
misura, un po� �schizofrenica�. Nonostante tutti gli argomenti, giustificazioni 
e tentativi di anticipazione delle possibili conseguenze, la realt� futura del sistema 
giuridico non � mai raggiungibile. 
Abbiamo visto come le concezioni classiche sull�interpretazione giuridica 
e sul principio di legalit� prodotte dal positivismo giuridico ottocentesco, e 
che ancora oggi si fanno presenti nella pratica forense e amministrativa e nella 
dogmatica giuridica tradizionale, rappresentano un ostacolo ad una comprensione 
adeguata delle attivit� di consulenza legale. L�interpretazione � l�operazione 
centrale del sistema giuridico, un�operazione complessa e creativa, mai 
(47) Ringrazio nuovamente l�amico Renato Bigliazzi per avermi suggerito questo �esempio calcistico�.

308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
meccanica. Operazione quotidianamente svolta dalla pubblica amministrazione 
nell�adempimento della sua funzione di implementare le politiche pubbliche 
necessarie alla promozione dei diritti fondamentali dei cittadini. Una 
funzione che soltanto attraverso una riduzione grossolana e anacronistica pu� 
ancora essere descritta come semplice �esecuzione di leggi�. 
Nella formulazione ed esecuzione delle politiche pubbliche, le attivit� di 
consulenza legale giocano un ruolo fondamentale nel chiarimento dei vincoli 
giuridici che limitano la discrezionalit� dei politici e amministratori, offrendo 
loro l�opportunit� di analizzare in anticipo le diverse possibilit� di scelta disponibili 
ed i possibili rischi e conseguenze giuridiche delle loro decisioni. 
Perci� la consulenza legale pu� essere descritta come un�attivit� di traduzione 
fra diritto e politica, un�attivit� essenziale alla democratizzazione delle decisioni 
politico-amministrative. Traducendo il �diritto vigente� e contribuendo 
alla pubblicit� e trasparenza dei criteri giuridici che orientano le decisioni statali, 
essa agevola il loro controllo istituzionale e sociale allo stesso tempo che 
rende possibile una presa di decisione pi� furba e responsabile. 
Questa metafora della traduzione � utile anche per confutare il modello 
della consulenza legale come attivit� di controllo, modello che purtroppo si 
sta affermando a poco a poco nel contesto dell�Avvocatura dello Stato brasiliana. 
Si tratta ovviamente di un modello storto che, oltre a mischiare e confondere 
i ruoli diversi degli avvocati e degli organi di controllo, viene di solito 
accompagnato da uno sguardo diffidente e pieno di pregiudizi sull�attivit� politica. 
Bisogna allora che gli avvocati capiscano l�importanza �politica� della 
propria consulenza, vale a dire il suo impatto sulla qualit� delle politiche pubbliche 
implemantate dallo Stato, e si coinvolgano veramente nell�ottenzione 
degli obiettivi di esse. Bisogna insomma che guardino la politica senza pregiudizi. 
In Brasile gli organi di controllo (tribunali, pubblico ministero, corte dei 
conti) hanno gi� creato una loro identit� propria. Le loro attivit� sono senza 
ombra di dubbio essenziali alla democratizzazione dello Stato, anche se ogni 
tanto ci si lamenta di un supposto controllo eccessivo che �soffocherebbe�, in 
certa misura, la pubblica amministrazione, creando presunti ostacoli alla sua 
capacit� di azione ed innovazione. Questi sono conflitti usuali in ogni regime 
democratico, nel senso che fanno parte della propria democrazia, fatta piuttosto 
di dissensi e dispute che non di consensi e armonie artificialmente (o autoritariamente) 
prodotti. Il ruolo dell�Avvocatura dello Stato come organo di consulenza 
legale dell�amministrazione funziona (o almeno dovrebbe funzionare) 
dunque come contromisura o contrappeso, nel senso di rendere possibile il 
dialogo (ogni tanto conflittuale) fra l�amministrazione e gli organi di controllo 
(possiamo forse dire: fra politica e diritto). Se tutti hanno il diritto a essere difesi 
da un avvocato, perch� non l�avrebbe anche lo Stato, che rappresenta 
l�unione politica di tutti i cittadini?
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 309 
L�Avvocatura dello Stato brasiliana � un�istituzione relativamente giovane. 
Se ci si allontana un po� dal profilo degli organi di controllo (del Pubblico 
Ministero, piuttosto), ci si pu� vedere che cՏ ancora molto spazio da 
essere riempito. Gli avvocati dovrebbero allora profittarne meglio. 
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312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
In tema di pubblico impiego privatizzato 
Il discrimine temporale ai fini del riparto di giurisdizione 
tra �atti di gestione e dato storico� 
Lilia Marra e Concetta Quartuccio* 
Roberto Antillo** 
SOMMARIO: 1) Breve premessa sul processo di privatizzazione del rapporto di pubblico 
impiego: le c.d. categorie escluse e le categorie �ripubblicizzate�. 2) Cenni sulla problematica 
afferente l�individuazione della giurisdizione in materia concorsuale. 3) Il discrimine temporale 
ai fini del riparto di giurisdizione in materia di pubblico impiego privatizzato tra �atti 
di gestione e dato storico�. 4) Repertorio di casi nei quali si � affrontato il profilo della giurisdizione: 
a) Controversia in tema di differenze retributive e regolarizzazione della posizione 
pensionistica definita con sentenza n.1164 del 23 ottobre 2009 della Corte di Appello di Reggio 
Calabria, Sezione Lavoro, resa in conformit� a Corte di Cassazione, S.U., sentenza 7943 
del 27 marzo 2008; b) Controversia in tema di azione di condanna dell�amministrazione per 
le spettanze retributive da incarico di reggenza definita con sentenza n. 605/05 R.S. del 18 
novembre 2005 della Corte d�Appello di Reggio Calabria, Sezione Lavoro, e Cassazione S.U. 
23 aprile 2008 n. 10450 con riferimento ad una controversia in tema di azione di condanna 
dell�amministrazione per le spettanze retributive da incarico di reggenza; c) Controversia in 
tema di computo dell�indennit� di buonuscita definita con sentenza n. 764 del 2006 della CdA 
di Reggio Calabria e Cassazione, S.U., sentenza n. 2054 del 31 gennaio 2006. 5) Le categorie 
escluse dalla privatizzazione ed il criterio di riparto di giurisdizione in tema di azione risarcitoria: 
controversia avente ad oggetto il risarcimento del danno per la lesione alla integrit� 
psicofisica (diritto primario), in relazione al provvedimento di sospensione cautelare dal servizio 
di un sovraintendente della Polizia di Stato: sentenza della Corte d�appello di Reggio 
Calabria, Sezione Lavoro, n. 186/2010 R.S. del 13 maggio 2010, resa in conformit� a Cassazione, 
S.U., sentenza n. 5785 del 4 marzo 2008. 
1. Breve premessa sul processo di privatizzazione del rapporto di pubblico 
impiego: le c.d. categorie escluse e le categorie �ripubblicizzate� 
A quasi due decenni dall�entrata in vigore della Legge del 3 febbraio 1993 
n. 29, che ha avviato il processo di privatizzazione del pubblico impiego, le 
problematiche relative alla giurisdizione afferente le controversie di lavoro, 
almeno con riferimento al discrimine temporale, del 30 giugno 1998, valido 
ai fini del riparto, possono (forse) dirsi definitivamente assopite, al punto di 
tentare di ripercorrerne le tappe, attraverso la rassegna di alcune controversie 
svoltesi dinanzi agli Uffici giudiziari del distretto della Corte d�appello di Reg- 
(*) Dottori in Giurisprudenza ammessi alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
(**) Avvocato dello Stato.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 313 
gio Calabria e definite alla stregua delle pronunce delle Sezioni Unite della 
Suprema Corte di Cassazione. 
Pu� essere opportuno rammentare, brevemente, che, prima dell�avvio 
della avviata riforma, il rapporto di pubblico impiego aveva natura pubblicistica, 
in un contesto in cui le difficolt� avvertite nel tracciare una netta linea 
di confine tra le situazioni giuridiche di interesse legittimo e diritto soggettivo, 
concernenti il rapporto di lavoro, avevano indotto il legislatore del 1923 (1) a 
devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la totalit� 
delle controversie di lavoro dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni, 
con la conseguenza che tanto gli atti di costituzione, di gestione e di estinzione 
del rapporto di lavoro, espressione di un potere autoritativo, quanto quelli di 
natura paritetica di contenuto retributivo-economico, venivano assoggettati ad 
un�unica giurisdizione (quella amministrativa). 
A seguito del processo di privatizzazione del pubblico impiego, invece, 
si � proceduto ad un�immediata assimilazione dei pubblici dipendenti ai lavoratori 
privati, con la conseguente devoluzione della tutela giudiziale alla giurisdizione 
ordinaria. Il regime di giurisdizione che ne � derivato � disciplinato 
dall�art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001 (ex art. 68, comma 1, del D.Lgs. n. 29/1993 
nella stesura di cui all'art. 18, D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387), il quale prevede 
che al giudice ordinario vengano devolute tutte le controversie inerenti ai rapporti 
di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione 
di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie 
concernenti l�assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi 
dirigenziali e la responsabilit� dirigenziale, nonch� quelle concernenti le indennit� 
di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorch� vengano 
in questione atti amministrativi presupposti. 
In merito alle categorie eccettuate, il legislatore all�art. 2, comma 4, del 
D.Lgs. n. 29/1993, ora art. 3 del D.Lgs. n. 165/2001, ha ritenuto opportuno 
mantenere la giurisdizione del giudice amministrativo per le controversie relative 
alle categorie di lavoratori che rimangono escluse dal processo di privatizzazione, 
le c.d. categorie non contrattualizzate, quali i magistrati ordinari, 
amministrativi e contabili, gli avvocati ed i procuratori dello Stato, il personale 
militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica, 
il personale della carriera prefettizia a partire dalla qualifica di vice consigliere 
di prefettura, i professori ed i ricercatori universitari, i dipendenti degli enti 
che svolgono la loro attivit� nelle materie contemplate dall�art. 1 D.Lgs. C.p.S. 
17 luglio 1947 n. 691 e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281 e 10 ottobre 1990, 
n. 287, vale a dire, rispettivamente, il personale della Banca d�Italia, della 
CONSOB e dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato. 
(1) Decreto Legislativo 2480/1923 recepito nel T.U. C.d.S. del 1924.
314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
In ultimo, il legislatore ha provveduto a �ripubblicizzare� categorie di dipendenti 
che erano state originariamente ricomprese nel processo di privatizzazione. 
Si vedano, in proposito, i commi 1-bis ed 1-ter dell�art. 3 (introdotti, 
rispettivamente, dalle leggi 30 settembre 2004, n. 252 e 27 luglio 2005, n. 154) 
i quali prevedono che il rapporto di impiego degli appartenenti al Corpo dei 
vigili del fuoco e del personale della carriera dirigenziale penitenziaria, in deroga 
all�art. 2, commi 2 e 3, del D. Lgs. n. 165 del 2001, sia disciplinato in regime 
di diritto pubblico secondo il rispettivo ordinamento. 
L�esclusione dal processo di privatizzazione si giustifica in ragione della 
peculiare connotazione pubblicistica delle funzioni demandate, che, sul piano 
tecnico-giuridico, si risolve nel c.d. principio di specialit�, pi� volte riaffermato 
anche dalla Corte costituzionale (2) per legittimare le deroghe soggettive a 
forme di privatizzazione. Anche la dottrina (3) ha evidenziato che lo "speciale" 
regime riservato alle categorie non contrattualizzate potesse trovare ragionevole 
giustificazione in relazione ai fini assunti in via diretta dallo Stato che 
sono, per natura o per valutazione insindacabile del legislatore, tra quelli basilari 
per l'esistenza stessa e per il mantenimento delle condizioni indispensabili 
alla vita della Comunit�. 
2. Cenni sulla problematica afferente l�individuazione della giurisdizione in 
materia concorsuale 
Al di l� delle predette categorie di pubblico impiego, ai sensi dell�art. 63, 
comma 4�, del d.lsg.vo n.165/2001, resta, altres�, ferma, la giurisdizione amministrativa 
sulle procedure concorsuali di ammissione al rapporto di lavoro, 
trattandosi di atti che evidentemente conservano natura pubblicistica in quanto 
antecedenti alla costituzione del rapporto e che non sono, quindi, influenzati 
dalla sua privatizzazione. La scelta appare in linea con il criterio di riparto 
fondato sulla causa petendi in quanto la procedura concorsuale, indicata dalla 
Costituzione come indefettibile ai fini dell�accesso al pubblico impiego (art. 
97), � una procedura ad evidenza pubblica i cui atti hanno natura amministrativa 
e pertanto, i partecipanti ad essa sono titolari di meri interessi legittimi 
alla corretta esplicazione della selezione. Mentre, ai sensi del comma 1� dell�art. 
63 del citato decreto legislativo spettano al giudice ordinario le controversie 
concernenti l�assunzione al lavoro. 
Nonostante l�apparente chiarezza dispositiva delle predette norme, nella 
realt� pratica il discrimine tra le due giurisdizioni � stato spesso controverso. 
(2) Corte cost., 21 luglio 1988, n. 860; Corte cost., 25 novembre 2005, n. 430. 
(3) ARMANDO POZZI, Il contenzioso lavoristico delle carriere non privatizzate innanzi al giudice 
mministrativo: principio di specialit�, discrezionalit� tecnica, risarcimento del danno, pregiudizialit� 
amministrativa, colpa dell'amministrazione, in Lav. nelle p.a. 2007, 06, 1031.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 315 
E cos� per esempio una problematica particolarmente dibattuta ha riguardato, 
come � noto, l�individuazione della giurisdizione con riferimento ai concorsi 
�interni� per progressione verticale riservati ai dipendenti gi� in servizio. 
Aspetto quest�ultimo che sembrerebbe definitivamente assestato secondo giurisprudenza 
con l�affermazione della giurisdizione del G.A. per i concorsi 
esterni, per quelli misti e per i concorsi interni per la progressione verticale di 
carriera e, viceversa, con il riconoscimento della giurisdizione del G.O. in caso 
di concorsi interni per la progressione orizzontale da una qualifica ad un'altra 
nell'ambito della stessa area funzionale (Corte Cass. Sez. Un. del 15 ottobre 
2003 n. 15403; Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 20 aprile 2006, n. 9168). 
Ancora pi� recentemente, Cass. civ. Sez. Unite, 7 febbraio 2007, n. 2969 
secondo cui: �In materia di riparto di giurisdizione nelle controversie relative 
a procedure concorsuali per l'assunzione di pubblici dipendenti, la giurisdizione 
deve essere attribuita al giudice ordinario o a quello amministrativo 
sulla base dei seguenti criteri: a) giurisdizione del giudice amministrativo 
nelle controversie relative a concorsi per soli candidati esterni; b) identica 
giurisdizione nelle controversie relative a concorsi misti, restando irrilevante 
che il posto da coprire sia compreso o meno nell'ambito della medesima area 
funzionale alla quale sia riconducibile la posizione di lavoro di interni ammessi 
alla procedura selettiva, poich�, in tal caso, la circostanza che non si 
tratti di passaggio ad area diversa viene vanificata dalla presenza di possibili 
vincitori esterni; c) ancora giurisdizione amministrativa quando si tratti di 
concorsi per soli interni che comportino passaggio da un'area funzionale ad 
un'altra, spettando, poi, al giudice del merito la verifica di legittimit� delle 
disposizioni che escludono l'apertura del concorso all'esterno; d) residuale 
giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie attinenti a concorsi per 
soli interni, che comportino passaggio da una qualifica ad un'altra, ma nell'ambito 
della medesima area funzionale o della medesima categoria�. 
3. Il discrimine temporale ai fini del riparto di giurisdizione in materia di pubblico 
impiego privatizzato tra �atti di gestione e dato storico� 
Gli effetti transitori del passaggio della tutela giudiziale dal giudice amministrativo 
a quello ordinario, sono regolati dalla sola breve previsione contenuta 
nell�art. 69, comma, 7 del D.lgs.vo su citato, il quale testualmente recita 
�Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie 
di cui all'articolo 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti 
al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le 
controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro 
anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro 
il 15 settembre 2000�.
316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Anche in questo caso, al pari di quanto occorso in materia di procedure 
concorsuali, la normativa test� riportata ha dato luogo a diversi dubbi interpretativi 
che, come su anticipato, sono stati affrontati, almeno per taluni profili, 
in controversie pendenti presso le locali sedi giudiziarie che si portano in rassegna 
come segue. 
4. Casistica di ricorsi nei quali si � affrontato il profilo della giurisdizione: 
4.1. Controversia in tema di differenze retributive e regolarizzazione 
della posizione pensionistica definita con sentenza n. 1164 del 
23 ottobre 2009 della Corte di Appello di Reggio Calabria, Sezione 
Lavoro, resa in conformit� a Corte di Cassazione, S.U., 
sentenza 7943 del 27 marzo 2008 
Con ricorso depositato in data 28 aprile 2004 innanzi al Tribunale di Reggio 
Calabria, la Sig.ra S. R., dipendente dell�Universit� degli Studi Mediterranea 
di Reggio Calabria, conveniva in giudizio la suddetta Amministrazione, 
al fine di ottenere il riconoscimento, sotto il profilo giuridico ed economico, 
dell�anzianit� di servizio maturata dal 1 gennaio 1991 (data di assunzione dei 
vincitori del concorso pubblico bandito nell�aprile dell�anno 1990, al quale 
concorso la stessa era stata in un primo momento esclusa) al 1 aprile 1992 e, 
conseguentemente, la condanna alla corresponsione degli emolumenti stipendiali 
non percepiti in tale periodo. 
La ricorrente chiedeva, altres�, la corresponsione delle differenze retributive 
relative al periodo intercorrente tra il 1 apirle 1992 ed il 1 novembre 2002 
(alla luce del passaggio dalla qualifica ricoperta alle dipendenze del Ministero 
del Lavoro a quella ricoperta alle dipendenze dell�Universit�), nonch� la regolarizzazione 
della posizione pensionistica. L�istante chiedeva, infine, il risarcimento 
di tutti i danni morali e materiali, consistenti, tra l�altro, nella 
perdita di chance. 
Si costituiva in giudizio nell�Universit� degli Studi �Mediterranea� di 
Reggio Calabria, la l�Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, 
la quale, sostenendo che si trattasse di questione anteriore al 1998, deduceva, 
preliminarmente, il difetto di giurisdizione del giudice adito e, nel merito, l�infondatezza 
e la genericit� della pretesa. 
Con sentenza n. 1715/04, emessa in data 7 ottobre 2004, il giudice di 
prime cure accoglieva l�eccezione sollevata dalla difesa erariale, dichiarando 
il difetto di giurisdizione. A sostegno di tale decisione, il Tribunale di Reggio 
Calabria richiamava l�orientamento della giurisprudenza di legittimit� che stabiliva 
che per i ricorsi proposti dopo il 15 settembre 2000 riconosceva il difetto 
di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo, allorquando 
si trattasse di questioni i cui fatti materiali e giuridicamente rilevanti
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 317 
ricadevano alla data del 30 giugno 1998. 
In particolare, il predetto Giudicante, nel riferirsi alla pronuncia della Cassazione, 
Sezioni Unite, 639/2002 secondo cui, ai fini del riparto della giurisdizione, 
rileva �il dato storico, costituito dall�avverarsi dei fatti materiali e 
delle circostanze, come poste a base della pretesa avanzata, in relazione alla 
cui giuridica rilevanza sia insorta controversia� riteneva che, ove la lesione 
del diritto del lavoratore fosse stata prodotta da un atto provvedimentale o negoziale 
anteriore alla data del 30 giugno 1998, si sarebbe dovuto fare riferimento 
all'epoca della sua emanazione, ragion per cui non sarebbero state 
frazionabili in due periodi distinti le pretese derivanti da un unico rapporto, 
dovendosi attribuire la competenza a fronte di un'unica questione alla giurisdizione 
amministrativa. 
Proposto gravame avverso la decisione, la Corte di Appello di Reggio 
Calabria, con sentenza n. 1164 del 23 ottobre 2009, perveniva, in accoglimento 
dell�avverso appello, ad una parziale revisione della pronuncia, richiamando 
i principi enucleati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con pronuncia 
n. 7943 del 27 marzo 2008, di cui si riporta parte della motivazione come di 
seguito, mostrando di superare l�iniziale orientamento dottrinale e giurisprudenziale 
che agganciava il discrimine temporale al �momento storico dell'avverarsi 
dei fatti materiali e delle circostanze�, quale dato unico a cui riferirsi 
al fine della individuazione della giurisdizione. 
�Con il ricorso, articolato in numerose censure, la L. sostiene che la 
Corte territoriale ha violato il disposto del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, 
comma 17, perch� il petitum sostanziale di cui alla controversia in esame comportava 
l'attribuzione della controversia stessa al giudice ordinario con riferimento 
al risarcimento dei danni conseguenti alla ritardata costituzione del 
rapporto di impiego con il Ministero della Giustizia - ed al mancato percepimento 
degli stipendi ed alla violazione degli altri diritti connessi al rapporto 
di pubblico impiego - anche per il periodo sino al 30 giugno 1998, per essere 
in questo senso rivolte le conclusioni e la sostanza delle domande proposte 
davanti ai giudici di merito. 
Aggiunge che altra soluzione poteva essere rappresentata da una rimeditazione 
della decadenza di cui al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 45, 
comma 17, quale trasfuso nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 
7, nel senso di ritenere, con una interpretazione costituzionalmente orientata, 
che tale norma integri una decadenza di natura processuale per avere il legislatore 
inteso stabilire un termine entro il quale i diritti nati in vigenza del 
precedente ordinamento possono essere azionati davanti al giudice che si � 
spogliato per il futuro della giurisdizione esclusiva del rapporto stesso. Denunzia, 
infine, che nel merito la Corte territoriale ha errato nel rigettare la 
domanda del risarcimento dei danni per perdita di chance per mancanza di 
supporto probatorio, dimenticando il tal modo il criterio della vicinanza della
318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
prova secondo il quale non pu� addossarsi il relativo onere a chi non pu� 
detta prova fornire perch� la documentazione relativa ai concorsi espletati e 
di cui si era constata la irregolarit� erano in possesso del datore di lavoro e 
della pubblica amministrazione, cui le norme di rito consentivano di imporne 
l'esibizione. 
Tutte le esposte censure, da esaminarsi congiuntamente per comportare 
l'esame di questioni tra loro strettamente connesse, vanno rigettate perch� 
prive di fondamento e con esse va rigettato il ricorso, che dette censure contiene.
Queste Sezioni Unite hanno statuito che nell'ipotesi di inquadramento in 
ruolo nel pubblico impiego in seguito a ricorso in giudizio dinanzi al giudice 
amministrativo - con retrodatazione della nomina a fini giuridici, ma non a 
quelli economici - la controversia instaurata nei confronti della P.A., avente 
ad oggetto le differenze retributive, appartiene alla giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo, ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17, 
(ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7), essendo il rapporto di lavoro 
costituito fin dalla data stabilita giudizialmente (cfr. in tali sensi tra le altre: 
Cass., Sez. Un., 16 novembre 2007 n. 23738; Cass., Sez. Un., 20 aprile 2006 
n. 9153, Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2005 n. 317). L'indicato criterio di riparto 
della giurisdizione (D.Lgs. n. 80 del 1998 cit., ex art. 45, comma 17) vale, 
quindi, anche per l'individuazione del giudice cui va devoluta la giurisdizione 
per quanto attiene alla domanda di risarcimento per perdita di chance. 
Consegue da tutto ci� che nessun addebito pu� muoversi alla decisione 
della Corte d'appello di Torino che - per quanto riguarda la domanda del risarcimento 
danni per il mancato pagamento delle retribuzioni e degli scatti 
di anzianit� maturati successivamente al 1 luglio 1998 - ha riconosciuto la 
giurisdizione del giudice ordinario ed ha rimandato le parti, ai sensi del disposto 
dell'art. 353 c.p.c., comma 1, davanti al primo giudice, mentre ha poi 
dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sulla domanda di risarcimento 
del danno per la perdita di chance sino al 30 giugno 1998, respingendo invece 
la stessa domanda per il periodo successivo�. 
Pertanto, alla stregua della predetta giurisprudenza di legittimit�, la locale 
Corte frazionava cronologicamente le pretese e, conseguentemente riconosceva 
in favore della dipendente le richieste retributive ed economiche relative 
al periodo successivo alla data del 30 giugno 1998.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 319 
4.2. Controversia in tema di azione di condanna dell�Amministrazione 
per le spettanze retributive da incarico di reggenza definita 
con Sentenza n. 605/05 R.S del 18 novembre 2005 della 
Corte d�Appello di Reggio Calabria, Sezione Lavoro, e Cassazione 
S.U. 23 aprile 2008 n. 10450 relativamente ad una controversia 
in tema di azione di condanna dell�Amministrazione 
per le spettanze retributive da incarico di reggenza 
Con ricorso depositato in cancelleria in data 19 marzo 2001, il signor P. 
B. adiva il Giudice del Lavoro di Reggio Calabria, chiedendo la condanna del 
Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali agli emolumenti retributivi, ai 
ratei di indennit� ed agli oneri previdenziali, oltre accessori di legge, relativamente 
all�incarico svolto quale direttore reggente presso l�Agenzia Regionale 
per l�Impiego della Regione Calabria dal 17 novembre 1995 sino al 25 novembre 
1999, giusto atto di conferimento dell�incarico del 12 gennaio 1996. 
Rappresentava al riguardo che �il protrarsi dell�incarico per oltre quattro 
anni aveva fatto venir meno il requisito principale dell�istituto della reggenza, 
che � costituito dalla limitatezza temporale, con la conseguenza che tale attivit� 
non poteva essere ricompresa nei doveri nascenti dal rapporto di impiego 
aggiuntivo, e che, pertanto, detta attivit� andava retribuita con il corrispondente 
trattamento economico�. Chiedeva, quindi, che il Ministero del Lavoro 
fosse condannato a corrispondergli a titolo di compenso e nella forma di trattamento 
accessorio la somma di � 92.225.000 per l�attivit� di reggenza svolta 
dal 1� luglio 1998 al 25 novembre 1999. In via subordinata, chiedeva la corresponsione 
della medesima somma a titolo di indennizzo per indebito arricchimento, 
avvalendosi di quel rimedio che, per�, l�ordinamento concede 
esclusivamente in via residuale; nel caso de quo la legittimit� di una simile 
domanda appariva alquanto dubbia, a fronte dell�esistenza di un�apposita 
azione di natura contrattuale. 
Costituitasi in giudizio l�amministrazione resistente, ed in accoglimento 
della sollevata eccezione di difetto di giurisdizione della difesa erariale, il Tribunale 
dichiarava, con sentenza n. 495/02 R.S. dell�8 novembre 2002, il difetto 
di giurisdizione del giudice ordinario, posto che �il fatto costituitivo� su cui 
si basava il diritto azionato, era dato dall�incarico di reggenza conferito in data 
12 gennaio 1996. 
La predetta decisione, tuttavia, veniva appellata con ricorso del 5 febbraio 
2003, con il quale controparte chiedeva la riforma sul punto, evidenziando che 
�il fatto materiale in ordine alla cui rilevanza giuridica sia insorta la controversia 
va identificato nel rifiuto opposto dall�amministrazione, in data 23 novembre 
2000, in sede conciliativa di procedere alla remunerazione del lavoro 
aggiuntivo effettivamente svolto�. 
La Corte d�Appello con sentenza n. 605/05 R.S. accoglieva il proposto
320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
gravame, aderendo all�orientamento giurisprudenziale di legittimit� secondo 
il quale �in tema di impiego pubblico privatizzato, il discrimine temporale fra 
giurisdizione ordinaria e amministrativa va individuato, alla luce dell�art. 69, 
comma 7, del d. lgs. 30 marzo 2001 n. 165, con riferimento non ad un atto 
giuridico o al momento di instaurazione della controversia, bens� al dato storico 
costituito dall�avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste alla 
base della pretesa avanzata, sicch�, quando essa abbia ad oggetto spettanze 
retributive, rileva il periodo di maturazione delle stesse, non le date di compimento 
degli atti di gestione del rapporto, ancorch� abbiano determinato 
l�insorgere della questione litigiosa: il perfezionamento della fattispecie attributiva 
del diritto di credito, anche sotto il profilo della sua esigibilit�, consente 
infatti di accedere alla tutela giurisdizionale indipendentemente 
dall�emanazione, da parte dell�amministrazione datrice di lavoro, di atti di 
gestione del rapporto obbligatorio (Cass. S.U. n. 601 del 14 gennaio 2005)�. 
Proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice di secondo 
grado, con sentenza n. 10450 del 23 aprile 2008 la S.C. ha confermato 
la decisione della Corte d�Appello di Reggio Calabria, con il conseguente definitivo 
rigetto dell�opposta tesi secondo cui �il fatto materiale� dovesse individuarsi 
nell�atto di conferimento dell'incarico e che, per l�effetto, le pretese 
retributive relative all'epoca successiva alla data del suddetto conferimento 
costituissero meri effetti consequenziali del provvedimento attributivo dell'incarico. 
Le Sezioni Unite, nell�occasione, hanno ribadito che �quando la domanda 
del dipendente abbia ad oggetto spettanze retributive, rileva il periodo di maturazione 
delle stesse, non l'epoca di compimento degli atti di gestione del 
rapporto, ancorch� abbiano determinato l'insorgere della questione litigiosa; 
sicch� quando il lavoratore, sul presupposto dell'avverarsi di determinati fatti, 
riferisca le proprie pretese relative a differenze retributive ad un periodo in 
parte anteriore e in parte successivo alla data su indicata, la competenza giurisdizionale 
non pu� che essere distribuita tra Giudice amministrativo in sede 
esclusiva e Giudice ordinario, in relazione a due periodi�. 
4.3. Controversia in tema di computo dell�indennit� di buonuscita 
definita con sentenza n. 764 del 2006 della CdA di Reggio Calabria 
e Cassazione, S.U., sentenza n. 2054 del 31 gennaio 2006 
Con ricorso depositato in data 29 luglio 2005 la signora M. F., quale docente 
di un istituto superiore secondario, nel premettere che aveva fatto richiesta 
di conseguire il riscatto degli anni pre-ruolo anteriore alla nomina e che il 
conteggio del relativo servizio non includeva gli anni universitari, chiedeva, 
in sede giudiziale, stante l�esito negativo delle istanze rivolte in via amministrativa, 
che le venisse riconosciuto nei confronti dell�INPDAP e del Ministero
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 321 
dell�Istruzione, della Ricerca e dell�Universit�, il diritto di riscattare gli anni 
di laurea ai fini della liquidazione dell�indennit� di buona uscita. 
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale con sentenza n. 764/06 dichiarava 
il proprio di difetto di giurisdizione, in considerazione del fatto che il 
dato storico costituito dall�avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, poste 
a base della pretesa, doveva essere collocato in data antecedente al 30 giugno 
1998, ovvero al momento della presentazione della domanda di riscatto avvenuto 
nel 1966. 
Con ricorso in appello del 29 giugno 2006, la signora M. F. proponeva 
impugnazione avverso la suddetta decisione e la competente Corte d�Appello, 
in accoglimento del gravame, ha dichiarato la sussistenza della giurisdizione 
del giudice di primo grado. 
Al tal fine, il giudice di secondo grado si � limitato a richiamare il precedente 
giurisprudenziale costituito dalla sentenza della Corte di Cassazione, sezione 
Unite, n. 2054 del 31 gennaio 2006, secondo cui �le spettanze di fine 
rapporto attengono a pretese che, per la dottrina e per la giurisprudenza, si 
perfezionano al momento della cessazione del rapporto - che come si evince 
dagli atti non risulta essersi verificata per essere i ricorrenti ancora in servizio 
- anche se � riconosciuta prospettabile la domanda dei lavoratori volta ad ottenere 
un accertamento nei confronti del datore di lavoro diretto ad individuare 
la base di computo del loro trattamento di fine rapporto. La cognizione 
spetta dunque al Giudice ordinario in quanto il diritto fatto valere va riferito 
a un periodo in ogni caso successivo al 30 giugno 1998, data indicata dal 
D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 45, comma 17 (e riprodotta dal D.Lgs. 30 
marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7) come discrimine per il passaggio dal 
Giudice amministrativo al Giudice ordinario delle controversie sui rapporti 
di pubblico impiego privatizzati, non potendosi in contrario addurre la previsione 
della L. 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, che assegna alla giurisdizione 
esclusiva del Giudice amministrativo le controversie in materia di indennit� 
di buonuscita e di indennit� di cessazione del rapporto di impiego, per riguardare 
detta disposizione solo il personale di Stato e delle Aziende autonome e 
non gli enti diversi (cfr. da ultimo: Cass., Sez. Un., 18 aprile 2003 n. 6343; 
Cass., Sez. Un., 9 agosto 2001 n. 10978)�. 
Diversa � invece la soluzione prospettata dalla Suprema Corte in ordine 
alle spettanze economiche: �La domanda relativa alle spettanze economiche 
(per compenso per lavoro straordinario) decorrenti a partire dal 1 gennaio 
1993 induce - diversamente da quanto si � deciso in relazione al trattamento 
di fine rapporto - a distinguere tra pretese retributive, per essere le stesse riferibili 
a fasi del rapporto lavorativo in parte anteriori ed in parte successive 
alla suddetta data del 30 giugno 1998, posto che il fatto costitutivo del diritto 
al compenso periodico va correlato allo svolgimento della prestazione lavorativa 
assunta a base della periodicit�, ed in ragione cio� del periodico ma-
322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
turarsi dei diritti azionati (cfr. in tali sensi ancora Cass., Sez. Un., 18 aprile 
2003 n. 6343 cit., cui add� Cass. 5 giugno 2002 n. 8159). 
5. Le categorie escluse dalla privatizzazione ed il criterio di riparto di giurisdizione 
in tema di azione risarcitoria. Controversia avente ad oggetto il risarcimento 
del danno per la lesione alla integrit� psicofisica (diritto 
primario), in relazione al provvedimento di sospensione cautelare dal servizio 
di un sovraintendente della Polizia di Stato: sentenza della Corte d�appello 
di Reggio Calabria, Sezione Civile, n. 186/2010 R.S. del 13 maggio 2010, resa 
in conformit� a Cassazione, S.U., sentenza n. 5785 del 4 marzo 2008 
Con atto di citazione notificato il 23 marzo 2000 innanzi al Tribunale di 
Reggio Calabria, il Sig. S.I., in servizio nella Polizia di Stato con la qualifica 
di sovrintendente presso il compartimento della Polizia Stradale di Catanzaro 
� Sezione di Reggio Calabria, conveniva in giudizio il Ministero dell�Interno, 
affermando di essere stato, in data 17 giugno 1992, sospeso cautelarmene dal 
servizio con decreto ministeriale n. 333-D22799, ai sensi dell�art. 9 comma II 
DPR 737/81. Spiegava, inoltre, che la sospensione era stata disposta a causa 
della pendenza a carico del predetto attore di due procedimenti penali per tentata 
truffa aggravata e furto aggravato e che il relativo provvedimento era stato 
revocato in data 8 aprile1995, dopo la definitiva assoluzione. Il Sig. S.I. contestava 
la legittimit� del provvedimento, essendo stato, all�epoca dell�adozione 
dello stesso, semplicemente rinviato a giudizio e, pertanto, chiedeva, la condanna 
dell�Amministrazione al risarcimento di tutti i danni subiti, quantificati 
in � 77.468,53. 
Costituitosi in giudizio, il Ministero dell�Interno, con comparsa depositata 
in cancelleria il 21 giugno 2000, eccepiva, in via preliminare, il difetto di giurisdizione 
del giudice adito in quanto la controversia riguardava uno dei rapporti 
�eccettuati�, individuati dall�art. 2 comma 2 della l. 29/93 e dagli artt. 
33 e 34 del D.lgs. 80/98; in via subordinata, eccepiva la prescrizione del diritto 
fatto valere dall�istante e l�infondatezza, nel merito, della domanda. 
Il giudice di prime cure, con la pronuncia n. 781/2002 del 24 giugno 2002, 
disattendeva l�eccezione formulata dal Ministero resistente in adesione ad un 
orientamento formatosi gi� prima dell�entrata in vigore del D.lgs. 80/98, secondo 
il quale assumerebbe valore determinante, �ai fini del riparto di giurisdizione, 
l�accertamento della natura giuridica della responsabilit� in concreto 
azionata. In altre parole, ad avviso del giudicante, occorreva verificare la fonte 
contrattuale ovvero extracontrattuale della eventuale responsabilit�, sussistendo, 
nel primo caso, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
e, nel secondo caso, la giurisdizione del giudice ordinario (cfr. per tale principio 
Cass. S.U., 11 luglio 2001 n. 9385; Id., 14 dicembre 1999 n.900)�. 
In particolare, scrive il primo Giudicante, �sulla scorta del criterio di-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 323 
stintivo appena menzionato, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
in materia di pubblico impiego (che concerne ormai, come premesso, 
solo i rapporti di impiego non affidati, per la loro natura, alla giurisdizione 
ordinaria), non trova applicazione in quei casi in cui la pretesa fatta valere in 
giudizio si fondi in via esclusiva sulla violazione del principio del neminem 
laedere che preesiste agli obblighi della Pubblica Amministrazione inerenti 
al rapporto di pubblico impiego, ne prescinde ed ha una tutela autonoma, sicch� 
il rapporto di impiego si configura solo il presupposto estrinseco ed occasionale 
del fatto dedotto in giudizio (non trovando questo fatto il suo titolo 
nello stesso rapporto: cfr. Cass., S.U., 28 luglio 1998 n. 7394; Id., 4 novembre 
1996, n. 9522; 19 giugno 1996 n. 5626; 2 agosto 1995 n. 8459; 18 novembre 
1994 n. 9755; 16 gennaio 1987, n. 304; 22 luglio 1966 n. 1988; 3 maggio 
1966 n. 1111; 17 febbraio 1964 n. 349), Ci� posto, � da ritenere che i nuovi 
dati normativi, dianzi citati, non siano tali da ricondurre alla giurisdizione 
del giudice amministrativo anche le controversie di danno aquiliano, posto 
che il riferimento alla giurisdizione esclusiva contenuto ora nell�art. 68 
comma IV parte II del D.Lgs. n. 165/2001 va letto non in contrapposizione 
con la previsione immediatamente precedente, ma come affermazione che per 
le categorie non privatizzate nulla � cambiato, se non � ed � questa l�utilit� 
della norma � per l�attribuzione dei diritti patrimoniali consequenziali (diritti 
patrimoniali connessi). Ne deriva pertanto che conserva validit� ai fini della 
soluzione della questione sul riparto della giurisdizione rispetto ad una domanda 
di risarcimento danni proposta da un pubblico dipendente nei confronti 
della P.A. l�insegnamento giurisprudenziale che assegna rilievo determinante 
all�acclaramento della natura giuridica dell�azione di responsabilit� in concreto 
proposta. Ed allora, atteso che nella specie si versa in ipotesi di dedotta 
lesione di diritti primari per fatto illecito dell�Amministrazione e quindi di asserita 
responsabilit� extracontrattuale della medesima non inerente al rapporto 
di pubblico impiego, � da reputare che resti ferma la giurisdizione del 
giudice ordinario�. 
Il Tribunale di Reggio Calabria, dunque, sgomberato il campo dalla sollevata 
eccezione preliminare, respingeva la domanda risarcitoria, non ravvisando 
alcun illecito nella condotta dell�Amministrazione la quale appariva 
pienamente conforme all�art. 9 comma 2 del D.P.R. n. 737/1981. 
Appellata la sentenza a cura di controparte, la Corte di Appello di Reggio 
Calabria con sentenza n. 186/2010 del 13 maggio 2010, in accoglimento dell�appello 
incidentale esperito nell�interresse dell�Amministrazione, ribaltava 
le conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado e riconosceva il difetto 
di giurisdizione del giudice ordinario. 
Evidenziava, in merito, come il ragionamento del Tribunale, secondo cui 
la dedotta lesione di diritti primari per fatto illecito dell�Amministrazione fosse 
pur sempre riconducibile ad una ipotesi di responsabilit� extracontrattuale,
324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
scaturisse da una risalente interpretazione giurisprudenziale, superata nella 
stessa giurisprudenza di legittimit�, �che qualificava come azione di natura 
sempre extracontrattuale, perch� proposta ai sensi dell�art. 2043 c.c. e quindi 
appartenente alla giurisdizione del giudice ordinario, la domanda del dipendente 
di condanna dell�amministrazione al risarcimento del danno morale e 
del danno biologico (Cass. SS.UU. 22 maggio 2002 n. 7470)�. 
Spiega la Corte d�appello che, ҏ invece necessario, per risolvere la questione 
del riparto, verificare se il fatto illecito violi il generale divieto di neminem 
laedere e segnatamente il divieto di non ledere il bene della salute 
psicofisica dell�individuo, ovvero violi le regole del rapporto di impiego senza 
che rilevi la qualificazione formale data dal danneggiato in termini di responsabilit� 
contrattuale o extracontrattuale, ovvero mediante il richiamo di norme 
di legge (ad es. art. 2043 c.c. e ss, o art. 2087 c.c.), indizi di per s� non decisivi, 
essendo necessario considerare i tratti propri dell�elemento materiale dell�illecito 
posto a base della pretesa risarcitoria, onde stabilire se sia stata denunciata 
stabilire se sia stata denunciata una condotta dell�amministrazione 
la cui idoneit� lesiva possa esplicarsi indifferentemente, nei confronti della 
generalit� dei cittadini e nei confronti dei propri dipendenti, costituendo, in 
tal caso, il rapporto di lavoro mera occasione dell�evento dannoso; oppure 
se la condotta lesiva dell�amministrazione presenti caratteri tali da escludersi 
qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non collegati da 
rapporto di impiego, sicch� debba escludersi la stessa possibilit� di configurare 
detta condotta lesiva al di fuori dell�ambito del rapporto, nel qual caso 
la responsabilit� ha natura contrattuale, conseguendo l�ingiustizia del danno 
alle violazioni di talune delle situazioni giuridiche in cui il rapporto di impiego 
si articola e sostanziandosi la condotta lesiva nelle specifiche modalit� di gestione 
di tale rapporto. Soltanto nel caso in cui, all�esito dell�indagine condotta 
secondo gli indicati criteri, non possa pervenirsi all�identificazione 
dell�azione proposta dal danneggiato, si deve qualificare l�azione come di responsabilit� 
extracontrattuale (v. tra tante Corte di Cassazione, SS. UU., 4 
marzo 2008 n. 5785). Il principio si applica a qualsiasi voce di danno preteso 
dal dipendente, ivi compreso quello alla integrit� psicofisica, dovendosi ulteriormente 
precisare che nelle controversie concernenti il personale rimasto 
in regime di diritto pubblico, ai sensi dell�art. 3, comma 1, del citato d.l.vo n. 
165/2001, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione 
esclusiva, la quale appunto comprende anche le controversie attinenti 
ai diritti patrimoniali connessi, con ci� includendo tutte le controversie inerenti 
al rapporto, ivi comprese quelle risarcitorie (cos� Cass. S.U. 31 luglio 
2008 n. 20751�) 
Secondo, dunque, la Corte di merito il criterio discretivo andava e va individuato 
nei tratti propri dell�elemento materiale posto a base della pretesa 
risarcitoria, escludendo, contrariamente a quanto asserito nel percorso moti-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 325 
vazione del giudice di prime cure, che, nella fattispecie, il provvedimento di 
sospensione cautelare del servizio, fondante l�avversa pretesa risarcitoria, potesse 
essere estrapolato dal rapporto di pubblico impiego assurgendo ex se a 
fatto illecito di natura extracontrattuale. Quest�ultimo approdo ha, ovviamente, 
come effetto quello di limitare, a parere di chi scrive, del tutto legittimamente, 
la cognizione del giudice ordinario nei rapporti di pubblico impiego non privatizzati 
alle fattispecie in cui il fatto lesivo abbia solo occasionalmente investito 
un pubblico dipendente, essendo - il fatto lesivo di cui si discute - 
potenzialmente idoneo ad incidere nella sfera giuridica della generalit� dei 
consociati. 
326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Privatizzazioni e affidamento �in house� 
Il ruolo delle azioni collettive nella tutela 
dei beni comuni e sociali 
Lucia Paura* 
SOMMARIO: Introduzione � 1. I lavori della Commissione Rodot� ed i rapporti economici 
costituzionali � 2. La �formazione sociale� (art. 2 Cost.) e l�effettivit� nella tutela degli interessi; 
differenza tra beni sociali e beni comuni � 3. L�art. 41 Cost. ed i beni sociali quale 
funzione integrativa del consenso. I rapporti economico-sociali ed etico-sociali � 4. Gli artt. 
41 e 43 Cost.: dai beni sociali ai beni comuni � 5. L�art. 43 Cost., la sussidiariet� verticale e 
i beni riservati o comuni � 6. L�art. 41 Cost. e i beni sociali. La perequazione obiettivo del 
riequilibrio � 7. La class action e la tutela dei beni sociali e comuni � 8. La �rivincita� dei 
servizi pubblici: i nuovi orientamenti della giurisprudenza comunitaria ed il ruolo dell�Avvocatura 
dello Stato. La class action quale tutela dei beni pubblici avverso la privatizzazione: 
il momento dell�esercizio � 9. I dubbi profili costituzionali e comunitari del recente decreto 
sulle privatizzazioni � 10. Il legislatore e le sliding doors. Profili processuali e amministrativi 
dell�azione collettiva nel settore pubblico � 11. Considerazioni conclusive. 
Introduzione 
Recenti farraginosi provvedimenti legislativi tendono ad alterare il ruolo 
dello Stato nel delicato equilibrio che la Costituzione ha voluto segnare tra il 
regime della propriet� pubblica ed i servizi pubblici essenziali, scardinando 
la tutela dei diritti fondamentali connessi ai fondamenti di democrazia sociale. 
Eppure l�art. 43 Cost. � stato disegnato non solo per costituire un argine temporale 
al diritto dei privati, ma per conciliare quel delicato equilibrio tra pubblico 
e privato, contrassegnato dai principi fondamentali dell�art. 2 Cost. sulla 
solidariet�, cui fa da integrazione la sussidiariet�, quale dovere dello Stato di 
rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla formazione della personalit� 
(art. 3 Cost.). Per tale obiettivo diventa determinante una duplice funzione 
della sussidiariet� che l�ordinamento ha voluto tracciare nella disciplina dei 
rapporti economici costituzionali, quali proiezione dei principi fondamentali: 
la prima, di riservarsi la gestione dei beni ritenuti essenziali ai fini del consenso 
sociale e per evitare conflitti tra formazioni non omogenee (sussidiariet� verticale 
art. 43 Cost.); l�altra, di perseguire un riequilibrio perequativo attraverso 
il controllo e la promozione, in tal caso non esclusivamente pubblica, di beni 
sociali, ossia prevalentemente di servizi (art. 41 Cost.). 
Scardinare questa delicata funzione integrativa del consenso rappresentata 
(*) Dottore di ricerca in diritto privato, assegnista di ricerca presso l�Universit� degli Studi di Napoli 
�Federico II�, avvocato civilista.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 327 
dalla solidariet� significa rimettere in gioco tutta l�articolata strategia costituzionale, 
creando una tragica spirale conflittuale tra le classi deboli non pi� tutelate 
e la preponderanza degli interessi gestititi direttamente dai privati. 
Eppure proprio questo aveva voluto scongiurare il costituente ponendo in via 
prioritaria la tutela sia del soggetto, la cui fisicit� � la sua unica arma (tutela 
del lavoro ex art. 1 Cost.), sia della formazione sociale, che superava le categorie 
corporative e la ferrea distinzione degli ordini sociali, creando un sistema 
articolato ma dinamico di protezione dove il pubblico potesse fungere in ogni 
caso, soprattutto sui temi pi� delicati della convivenza, quale argine esclusivo 
od integrativo di controllo delle dinamiche socio-economiche. 
In questa chiave emergono dubbi sempre pi� fondati sulle nebbie che avvolgono 
la recente legislazione sulle privatizzazioni e sui possibili profili di 
incostituzionalit� cui non possono fare che da equivoco schermo le direttive 
comunitarie. Il nostro lavoro intende porre in luce la contraddizione che la 
strategia di privatizzazioni pone rispetto anche alla recente configurazione di 
azioni seriali (la c.d. class action) in cui la tutela dei beni comuni e sociali diventa 
uno strumento - forse il primo - attuativo della garanzia delle formazioni 
sociali. E a questo non contraddicono i limiti all�esercizio della class action 
anche nell�esperimento dell�azione a tutela dei beni pubblici in cui l�elemento 
del danno non assume un riscontro patrimoniale; il che � giustificato dall�esigenza 
prioritaria del mantenimento qualificato dell�esercizio (ripetiamo prioritario 
anche rispetto ad una pretesa soggettiva che assurge a maggior forza 
nella serialit� dell�azione). 
Profili processuali e amministrativi dell�azione collettiva nel settore pubblico 
chiuderanno il nostro escorso. Su quest�ultimo aspetto il nostro contributo 
si � posto come possibile chiave di lettura del principio di effettivit� 
parametrato alle norme processuali amministrative vigenti, con finalit� che 
mirino a garantire dinanzi ad un legislatore ambiguo la compatibilit� giuridica 
dello strumento dell�azione collettiva tra l�economicit� e la sostenibilit� economica. 
A tal fine ci � sembrato che la Commissione Rodot� (su cui infra) nella 
inversione concettuale rispetto alle tradizioni giuridiche, proponesse chiaramente 
classi di beni in cui l�elemento della tutela fosse prevalentemente costituito 
dalla destinazione-utilit� e dall�effettivit� che esso fosse in grado di 
esprimere. � nell�effettivit� che la nostra ricerca pur accogliendone il principio 
ne supera le conclusioni. 
1. I lavori della Commissione Rodot� ed i rapporti economici costituzionali 
Le recenti modifiche contenute nel decreto sulle privatizzazioni convertito 
in legge 6 agosto 2008, n. 133 ( �Conversione in legge, con modificazioni, del 
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo svi-
328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
luppo economico, la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione della 
finanza pubblica e la perequazione tributaria�), con le ulteriori novit� apportate 
dal decreto legge 135/2009 (art. 15 a modifica dell�art. 23 bis l. 133/2008) ci 
portano a ribadire il ruolo dello Stato nell�economia tra il regime della propriet� 
pubblica e dei servizi pubblici essenziali (segnato dalla incombente progressiva 
dismissione e gestione privatistica) e la tutela dei diritti fondamentali 
strettamente connessi che esprimono i principi costituzionali di democrazia 
sociale. 
Sebbene dal punto di vista dei fondamenti la nostra indagine (1) prendeva 
spunto dalla riforma �Rodot�� (2) che si proponeva di operare un�inversione 
concettuale rispetto alle tradizioni giuridiche del passato, proponendo classi 
di beni legate non alla soggettiva appartenenza degli stessi, bens� alla destinazione/
utilit� che sono in grado di esprimere, tuttavia riteniamo che il bene giuridicamente 
inteso, sia esso pubblico, comune, sociale o individuale, trovi 
costantemente la sua ragion d�essere nell�effettivit�, nella sua potenzialit� a 
produrre fasci di utilit� meritevoli di tutela. Quale �lanterna magica� il bene 
proietta le sue immagini su una superficie opaca che rappresenta lo scenario, 
colorandosi delle utilit� che la collettivit�, la comunit� o il privato trarranno 
dal bene. Nella metafora, un caleidoscopio di situazioni di effettivit�, variabili 
soggettivamente in relazione all�utilizzo, oggettivamente relative in relazione 
alle potenzialit�. 
L�effettivit� quale criterio di valutazione dei beni rende opinabile la possibilit� 
di poterne operare una classificazione in categorie rigide precostituite 
o museificate; siano essi beni pubblici (o comuni), beni sociali o beni privati, 
saranno le �utilit�� a qualificarne rispettivamente la fruizione generale alla 
collettivit� (art. 43 Cost.), il beneficio per �formazioni sociali� (art. 41 Cost), 
ovvero l�interesse del singolo. Il che ne determina anche una permeabilit� tra 
le classificazioni, sia in forma ascendente che dismissiva. 
Riferendoci nello specifico ai beni �riservati�, riteniamo opportuno segnalare 
� specie alla luce dei lavori dell�Assemblea costituente � l�utilizzo 
nell�art. 43 Cost., in modo distinto, di due allocuzioni estremamente significative 
nella diversa portata: l�una iniziale, a carattere preclusivo, che prelude 
alla riserva originaria ed � l�utilit� generale; l�altra invece, l�interesse generale, 
conclusiva della disposizione, di carattere effettuale e teleologico, che 
ne prevede l�estensione �a categorie di imprese che si riferiscano a servizi 
pubblici essenziali� (di per s�, prevalentemente beni sociali), quando assu- 
(1) Cfr. F. LUCARELLI - L. PAURA, Diritto privato e diritto pubblico tra solidariet� e sussidiariet�. 
Il vento non sa leggere, Napoli 2008, passim. 
(2) Commissione Rodot� per l�elaborazione dei �Principi e criteri direttivi di uno schema di disegno 
di legge delega al Governo per la novellazione del Capo II Del Titolo I Del Libro III del Codice 
civile nonch� di altre parti dello stesso libro ad esso collegate per le quali si presentino simili necessit� 
di recupero della funzione ordinante del diritto della propriet� e dei beni� .
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 329 
mono caratteri di �interesse generale�. Non pu� essere priva di significato la 
distinzione tra utilit� ed interesse: l�una elemento fondante, l�altra circostanza 
sopravveniente, requisito di specificit�. 
Al contrario, depotenziati i fini di �utilit� generale�, non ricorrendo i caratteri 
di �interesse generale�, il bene da riservato potr� divenire oggetto di 
programmi, controlli, indirizzi, coordinamento (divenendo bene sociale), ovvero 
ritornare al mercato. 
Tuttavia finch� i caratteri permangono o sopravvengono sono costituzionalmente 
illegittime privatizzazioni o dismissioni, anche al fine della sola gestione 
del bene. 
Aver individuato l�elemento caratterizzante del bene nella effettivit� di 
generare utilit� ed interessi pu� indurci ad ulteriori riflessioni che, pur non ponendo 
in discussione il �carattere� del bene, incidano sulla tipologia delle 
azioni processuali a difesa per quanto riguarda l�esperibilit� e l�identificazione 
del convenuto. Pi� precisamente, il bene pubblico o comune, promossa la destinazione 
di fruizione generale alla collettivit� pu� anche influenzare in modo 
diretto e immediato esigenze di esercizio processuale da parte di una specifica 
formazione sociale o di una comunit�; ovvero essere giuridicamente incompatibile, 
limitatamente allo specifico esercizio, con gestione o acquisizione 
privata. 
Si aprono, quindi, su tali vicende ventagli di esercizio di azioni processuali, 
amministrative ed ordinarie, che senza porre in causa la natura del bene, 
ne identifichino in concreto l�effettivit� e compatibilit�, ovvero ne difendano 
l�oggetto e la permanenza. In questa prospettiva verificheremo l�esercizio della 
class action, azione seriale, contro la P.A, sempre nella prospettiva dell�art. 
97 Cost. 
2. La �formazione sociale� (art. 2 Cost.) e l�effettivit� nella tutela degli interessi; 
differenza tra beni sociali e beni comuni 
La nostra analisi, dunque, prescinde da una aprioristica classificazione e 
ricorre sempre al criterio guida della effettivit� in relazione agli interessi concretamente 
perseguiti, resi oggettivi dal riferimento alle formazioni sociali i 
cui contenuti impongono sempre una relativit� e variabilit� nel raggiungimento 
degli obiettivi prefissati, (formazioni sociali che tanto pi� nella definizione 
dei beni possono rivelare un coagulo di interessi, quali ad es. tutela dell�ambiente). 
Obiettivi del tutto occasionali in relazione ad una problematica specifica 
che venga a costituirsi e alla sua ricaduta su formazioni non pi� 
rappresentabili o configurabili in categorie sociali; il che rende inadeguata una 
classificazione tassativa che non consenta permeabilit� tra le diverse funzioni. 
Sotto questo profilo l�attenzione si concentra sull�ontologia dei beni c.d. comuni, 
fondanti il ruolo dello Stato nella tutela della personalit�, distinguendoli
330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
dai beni sociali, intesi quali istituti o servizi con funzioni integrative; questi 
ultimi a carattere non assoluto, volti a sanare situazioni di fatto impedienti la 
piena realizzazione della personalit� nelle formazioni sociali, garantendo 
�fasci di utilit��, di carattere economico e di natura etico-sociale. 
La diversa configurazione delle utilit� consente di delimitarne la riferibilit� 
oggettiva, alternativa o simultanea, in maniera speculare ai rapporti costituzionali 
economico-sociali, ovvero etico-sociali. 
3. L�art. 41 Cost. ed i beni sociali quale funzione integrativa del consenso. I 
rapporti economico-sociali ed etico-sociali 
Con riguardo all�art. 41 Cost. ed ai beni sociali - utilit� sociale, sicurezza, 
libert� e dignit� umana; programmi e controlli opportuni perch� l�attivit� economica 
pubblica e privata possa essere indirizzata a fini sociali - questi si concretizzano 
in istituti e servizi, tesi a garantire l�uguaglianza sostanziale (art. 3 
Cost., comma 2). I beni sociali, infatti, consentono di acquisire quote di cittadinanza 
a chi ne � carente, dai settori della sanit�, alla formazione, all�istruzione, 
alla giustizia, ecc. 
Si tratta del pi� vasto e pervasivo modello di Welfare (solidariet� orizzontale) 
che il Costituente ha voluto tracciare nell�obiettivo perequativo di bilanciare 
l�iniziativa economica con il benessere ed il consenso sociale. Viene 
cos� lanciato, nel contempo, un ponte di collegamento tra i rapporti economico-
sociali e quelli etico-sociali, completandosi la strategia dei beni comuni 
e della sussidiariet� verticale e orizzontale della P.A.: dalle misure economiche, 
provvidenze ed istituti sussidiari alla famiglia (art. 31 Cost.); alla tutela della 
salute ed alle cure gratuite per gli indigenti (art. 32 Cost.); alle provvidenze 
economiche per rendere effettivo il diritto allo studio dei capaci e meritevoli 
(art. 34 Cost.). 
Lavoro, abitazione, sanit�, formazione, (cultura e beni culturali) sono categorie 
di beni sociali, in quanto attraverso di essi la Costituzione intende garantire 
il consenso attraverso specifici servizi ed istituti che ne attuino in 
concreto l�accesso. A livello comunitario (Carta di Nizza) vi si aggregano i 
nuovi diritti sociali, diritto dei lavoratori all�informazione e alla consultazione 
nell�ambito dell�impresa (art. 27), sicurezza nel lavoro e assistenza sociale 
(art. 34), accesso ai servizi di interesse economico generale (art. 36), tutela 
dell�ambiente (art. 37), protezione del consumatore (art. 38). 
Con particolare efficacia il Trattato Costituzionale (Carta Europea dei Diritti 
fondamentali e Diritti sociali), nonch� il successivo Trattato di Lisbona 
accomunano tutti i beni sociali tra gli obiettivi della coesione socio-culturale: 
l�Unione si adopera per un Europa dallo sviluppo sostenibile basata sulla crescita 
economica equilibrata, una economia sociale e di mercato che mira alla 
piena occupazione e al progresso sociale e ad un elevato livello della qualit�
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 331 
dell�ambiente. Essa combatte l�esclusione sociale e promuove la giustizia e la 
protezione sociale, nonch� la coesione economica, sociale e territoriale. La 
strategia si completa con l�impegno dell�Unione europea a contribuire alla eliminazione 
della povert�. 
La tutela dei beni sociali nella funzione di sussidiariet� orizzontale, opera 
in un sistema di valori caratterizzato da servizi ed istituti che fungono da ammortizzatori 
sociali delineando il Welfare State moderno. La loro tutela si presenta 
indispensabile di fronte alla crisi economica che dai soggetti pi� deboli 
si estende alla middle class, il cui diminuito potere di acquisto la sospinge alle 
soglie della povert� nella quasi assoluta impermeabilit� agli strati sociali superiori. 
4. Gli artt. 41 e 43 Cost.: dai beni sociali ai beni comuni 
Nelle disposizioni costituzionali in tema di rapporti economici (artt. 35 
ss.) si attua un costante bilanciamento perequativo tra diritto dei privati (3) (ci 
sembra pi� corretto utilizzare tale espressione che pu� essere omnicomprensiva 
di diritto soggettivo, interesse legittimo, interessi diffusi) ed intervento 
pubblico, solidariet� e sussidiariet�; quest�ultima ad azione orizzontale e verticale. 
In progress, se riflettiamo sulla tutela dei beni, utilizzando le categorie 
della Commissione Rodot�, ne rinveniamo tre species, privati, comuni e pubblici 
(cui ineriscono i beni riservati e sociali), mentre, per quanto riguarda il 
contenuto economico, tre sono ancora le proiezioni satisfattive di interessi, retribuzione, 
profitto e rendita, regolate rispettivamente dagli artt. 36, 41, 42, 
(44, 47) Cost. Nel concreto soddisfacimento degli interessi privati, agisce 
quale contrappeso sociale un costante pendolo solidale dello Stato, che garantisce 
rispettivamente i �livelli di vita liberi e dignitosi� (art. 36 Cost.), la �libert� 
e dignit� umana� (utilit� e fini sociali, art. 41, 2� e 3� comma), la 
�funzione sociale� (ed equi rapporti sociali) e l��accessibilit� a tutti� (artt. 42- 
44 Cost.), �l�accesso alle propriet�� (art. 47 Cost.). 
Trasponendo il discorso dalla titolarit�, rispettivamente dei diritti e delle 
garanzie sociali alla tipologia dei beni, come detto, ne rinveniamo tre specificazioni, 
beni privati, beni comuni, beni sociali. Se la prima e la seconda categoria 
(quest�ultima concernente i beni riservati allo Stato ex art. 43 Cost.) 
sarebbe potuta apparire di immediata identificazione, pi� complessa pu� apparire 
l�individuazione dei beni sociali, che, pi� che caratterizzarsi nell�attribuzione 
diretta a soggetti, riflettono l�incrociarsi di interessi individuali con 
(3) Abbiamo ritenuto opportuno qualificare un nuovo genus di interessi meritevoli di tutela, nel 
superamento del dualismo diritto soggettivo � interesse legittimo, gli interessi a legittimazione sociale 
su cui si veda infra.
332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
funzioni e fini sociali che daranno luogo agli interessi a legittimazione sociale 
(infra). Muovono dall�ideale di Welfare State, di una fruizione socialmente 
differenziata di istituti e servizi integrativi (perci� orizzontalmente sussidiari) 
alla formazione della personalit� individuale ed alla captazione del consenso 
sociale. 
5. L�art. 43 Cost., la sussidiariet� verticale e i beni riservati o comuni 
Nell�articolato costituzionale, dunque, concernente i rapporti economici 
(artt. 41-42-44-45-47 Cost.), l�ordinamento disciplina la copresenza privato e 
pubblico: iniziativa economica pubblica e privata, propriet� pubblica e privata, 
nonch� un programma di controlli, limiti, obiettivi, incentivi, tutti intesi a bilanciare 
il diritto del privato con regole perequative di solidariet� (utilit� sociale, 
libert�, dignit� umana, funzione sociale, equi rapporti sociali, 
accessibilit� alle propriet�, espropriazione per interesse generale) e sussidiariet� 
orizzontale (propriet� ed iniziativa pubblica, programmi e controlli, partecipazioni 
statali, incentivi; accesso alle propriet�: abitazione, piccola e media 
propriet� contadina, azionariato popolare). 
L�art. 43 Cost. riveste, invece, un ruolo del tutto autonomo e d� imprimatur 
impositivo a tutte le imprese e categorie di imprese che si riferiscono a 
servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio. In 
questo contesto emerge il carattere socioeconomico del sistema democratico 
inteso a riservare allo Stato ci� che ritiene possa assumere carattere di preminente 
interesse generale. Si disegna, cos�, il ruolo della sussidiariet� verticale, 
nell�emersione prioritaria dei beni comuni di cui lo Stato ne assume propriet�, 
gestione e controllo, con la riserva di propriet� o prevedendone trasferimento 
successivo a suo favore, una volta determinatone il carattere di preminente interesse 
generale. Dunque, si tratta di una strategia �espansiva�, intesa non a 
racchiudersi in un modello precostituito, ma a garantire anche potenzialmente 
l�acquisizione di altri beni comuni che non siano inizialmente categorizzati. 
La differenza fondamentale della sussidiariet� verticale rispetto a quella orizzontale 
va letta proprio nel �dovere� dello Stato non solo di riservare a s�, ad 
Enti pubblici o comunit� di lavoratori o utenti, imprese o categorie, ma anche 
di provvederne al trasferimento mediante esproprio dei beni comuni non riservati 
ma di cui emerga il preminente interesse sociale. 
� soprattutto la differente disciplina dell�esproprio ad offrirci l�imprimatur 
dei beni comuni oggetto di ablazione. Mentre l�art. 42, co. 3, Cost. disciplina 
l�esproprio della propriet� privata assoggettandolo a previsione della 
legge e �motivi di interesse generale�, l�art. 43 Cost. riferisce esplicitamente 
al carattere di �preminente interesse generale� l�espropriazione di imprese o 
categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, per cui �ai 
motivi� si sostituisce �il carattere� e �all�interesse generale� il �preminente
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 333 
interesse generale�. 
Ne deriva l�incedibilit� e l�intrasferibilit� dei beni comuni ex art. 43 Cost., 
in quanto il modello delineato di riserva ha funzione espansiva, dalla riserva 
iniziale al trasferimento acquisitivo. La cessione di tali beni violerebbe quindi 
il carattere insito nei beni stessi nella loro funzione preminente di interesse 
generale: dove �carattere� sta per requisito fondante e �preminente� per assolutezza. 
Con ci� non si intende cristallizzare del tutto le categorie, in coerenza 
con l�inversione metodologica operata dalla riforma �Rodot��: dovrebbe trattarsi 
soltanto di beni soggetti nel tempo ad obsolescenza dovuta all�evoluzione 
tecnica e industriale che ne faccia venir meno l�utilit� o ne commuti l�interesse 
�preminente� in un servizio diverso rispetto a quello iniziale (questo s� da essere 
oggetto di riserva attraverso esproprio). 
La dimensione sostanziale ascrivibile al predicato di preminenza dell�interesse 
generale connotante la categoria dei beni comuni produce conseguenze 
processuali in termini di tutela degli stessi laddove si ipotizzi l�esercizio di 
un�azione collettiva risarcitoria nel settore pubblico (su cui infra). In questi 
casi, infatti, la differenziazione della categoria dei beni comuni da quella dei 
beni sociali si rivela illuminante nella misura in cui l�assiologia generale dell�interesse 
sottesa ai beni comuni postula la sua riferibilit� soggettiva esclusivamente 
allo Stato (diversa la soluzione prospettata per i beni sociali su cui 
infra) a cui la formazione sociale si rivolge per ottenere tutela nella difesa 
della riserva di legge. 
6. L�art. 41 Cost. e i beni sociali. La perequazione obiettivo del riequilibrio 
Le categorie dei beni sociali rientrano, a noi sembra, a pieno titolo nella 
disciplina dell�art. 41 Cost., commi 2 e 3, enfatizzato a tutela dell�iniziativa 
privata, ma estremamente strategico nel disegnare l�intervento dello Stato 
nell�economia, individuandosi il ruolo della sussidiariet� orizzontale nell�iniziativa 
pubblica, che compare quale �colpo di teatro� nel comma 3 di un articolato 
che sembrava destinato ad esaurirsi nella disciplina dell�iniziativa 
privata. Sussidiariet� soprattutto pervasiva nei programmi e nei controlli, da 
determinarsi per legge sull�iniziativa privata. 
Per i beni sociali, quindi l�integrazione (sussidiariet� orizzontale) attraverso 
iniziative pubbliche o private, intende rimuovere situazioni di fatto che 
impediscano il pieno sviluppo della personalit� umana (art. 3 Cost., 2� 
comma); il che ne rende soggettivamente relativo e variabile l�esercizio, secondo 
l�interesse sotteso ovvero la graduazione sociale ed il risultato perseguito. 
Ed � proprio la virtualit� e l�occasionalit� dell�esercizio �a sussidio� a 
segnare l�obiettivo perequativo che differenzia i beni sociali dai beni comuni 
(o riservati), in quanto per questi ultimi gioca l�assolutezza della riserva tesa
334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
a garantirne prioritariamente la fruizione generale alla collettivit� e, quindi, la 
necessaria titolarit� pubblica della destinazione e dell�esercizio. Per i beni sociali, 
invece predomina la variabile perequativa della finalit� sociale e, dunque, 
il risultato da perseguire, indipendentemente dall�esercizio pubblico o privato 
dell�iniziativa economica. 
L�elemento condizionante la fase empirica di utilizzo degli stessi � necessariamente 
legato alla teleologia della piena realizzazione dei diritti sociali 
garantiti a tutti dalla Carta fondamentale, quale proiezione del Welfare State, 
espressione di una sussidiariet� orizzontale (integrativa). 
Circoscrivendo l�attenzione ai beni sociali dunque si tratta di istituti e servizi 
sociali, connotati prevalentemente di forte specificit� (edilizia residenziale 
pubblica, edifici pubblici adibiti a ospedali, istituti di istruzione e asili; reti locali 
di pubblico servizio, etc.), prescindenti dal legame di inscindibilit� con la 
tutela della persona (elemento connotante i beni comuni), rispetto a cui la titolarit� 
della gestione, privata o pubblica (art. 41 Cost.), diviene indifferente 
rispetto alla destinazione sociale della fruibilit�. Ci� che rileva � il necessario 
perseguimento della �utilit� sociale� (comma 2 art. 41), unitamente alla necessit� 
che l�attivit� economica venga �indirizzata e coordinata a fini sociali� 
(comma 3 art. 41 Cost.). L�ambito di operativit� della categoria riguarda settori 
che lo Stato non si riserva (come avviene nell�art. 43 Cost), in cui la notevole 
elasticit� della garanzia si traduce nella risposta ad esigenze sociali differenziate 
anche nel tempo. 
I servizi ed istituti soddisfacendo esigenze sociali (sanit�, istruzione, formazione, 
gratuito patrocinio, �) �liberano� anche frazioni di utilit� di salario, 
favorendo un miglior tenore di vita del lavoratore e garantendogli �livelli di 
vita liberi e dignitosi� (art. 36 Cost.), minimo comune denominatore di perequazione. 
Quanto ai casi empirici di applicazione l�esemplificazione proposta dalla 
Commissione Rodot� per i beni sociali, pu� essere arricchita da tutte quelle 
controversie di natura seriale che sempre pi� caratterizzano il settore pubblico. 
Si pensi ai danni da emotrasfusioni, (in cui � configurabile un concorso causale 
efficiente di responsabilit� e per la struttura operativa fornitrice del servizio e 
per l�inosservanza di un obbligo di vigilanza e garanzia dello Stato in ordine 
alla prestazione sanitaria, specificantesi in un dovere di indirizzo e coordinamento 
gravante sul Ministero della Salute (cfr. art. 41, 2� e 3� comma), che 
sarebbe cos� un ulteriore legittimato passivo ad causam), ed anche danni ambientali, 
danni alla salute conseguenti all�uso di amianto, uranio impoverito, 
emissioni elettromagnetiche, danni per mancata erogazione di reddito da cittadinanza, 
per il non corretto funzionamento del servizio mensa nelle strutture 
scolastiche ed universitarie, per il non rispetto o non corretta applicazione delle 
graduatorie di accesso all�edilizia economica e popolare, per violazioni del diritto 
allo studio (borse di studio presalario, ecc.), danni derivanti da omissione
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 335 
nella manutenzione di strutture ed infrastrutture pubbliche, ecc. 
7. La class action e la tutela dei beni sociali e comuni 
Riprendendo la classificazione della propriet� pubblica (art. 41-43 Cost. 
e funzione della P.A. art. 97 Cost.), la socialit� della destinazione dei beni postula 
il riconoscimento di forme di tutela processualmente compatibili con la 
capillarit� della fruizione dei beni de quo. L�introduzione dell�azione collettiva 
risarcitoria a partire dalla legge Finanziaria 2008, nonch� attraverso successivi 
emendamenti approvati dalla Commissione Industria con riguardo anche all�estensione 
nel settore pubblico, sembra offrire risposte positive, nella misura 
in cui si riconosce che proprio l�ambito oggettivo di applicazione in settori sociali 
(come quello di cui si discorre) appare maggiormente coinvolto nella tutela 
processuale di categorie protette pi� deboli di quelle riconducibili allo 
status di consumatore. 
Secondo l�impostazione costituzionale da noi offerta (4) l�azione collettiva 
risarcitoria (c.d. class action) � esercitata da una formazione sociale temporanea 
e occasionale di soggetti, indipendente dalle �categorie� sociali che 
la caratterizzano, coesa solidalmente alla realizzazione di un obiettivo seriale, 
economicamente differenziato e distinto, esercitabile anche individualmente 
(nel caso di azioni collettive a carattere patrimoniale). 
Definita la fenomenologia, occorre valutare l�originalit� della tutela di 
interessi seriali nel quadro dei rapporti privato-pubblico e nelle connessioni 
con la solidariet� e sussidiariet� costituzionale attraverso l�incidenza sia sui 
principi generali (artt. 2, 3, 4 Cost.), che sui rapporti economici costituzionali 
(artt. 36 e ss.). 
La filiera della solidariet�, cio� la ripetitivit� dell�oggetto perseguito dai 
destinatari del servizio, esprime la categoria seriale di soggetti che si coagulano 
nella difesa di propri interessi, socialmente rilevanti, coinvolgenti i pi� svariati 
settori, da quello dell�iniziativa economica, alla sanit�, all�ambiente, ai servizi 
essenziali (artt. 22, 32, 41, 43 Cost.). 
Invero, quale protagonista dell�azione collettiva risarcitoria viene al momento 
indicato il consumatore, oggetto dell�azione collettiva il mercato, quindi 
beni e servizi, ma l�individuazione soggettiva � generica, tenuto conto dei caratteri 
specifici della formazione sociale (art. 2 Cost.) cui fa riferimento la Costituzione 
che ne ha voluto connotare l�aggregazione anche dal punto di vista 
variabile e occasionale. Conseguentemente l�azione in base all�oggetto pu� 
divaricarsi e riguardare un conflitto di natura prettamente privatistica tra pluralit� 
di soggetti ed impresa; ma potr� anche assumere natura socio-economica 
(4) Cfr. F. LUCARELLI � L. PAURA, Diritto privato e diritto pubblico, cit., pp. 183 e ss.
336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
e risvolti costituzionali nel caso in cui l�azione sia diretta a garantire l�azione 
sussidiaria dello Stato in materia di prestazioni sociali, servizi essenziali e riserva 
di legge (art. 43 Cost.). Potr� infine coinvolgere il potere pubblico per 
la tutela diretta o sussidiaria di diritti primari, salute, ambiente, paesaggio, cultura, 
servizi e istituti (artt. 41-44-47 Cost). 
La semplice tutela del consumatore non avrebbe effettivit� in questi settori 
dove la difesa del singolo sarebbe ancora pi� debole rispetto all�interlocutore 
Stato, che si trova a svolgere la funzione di proprietario ovvero di 
programmatore e controllore di attivit� economiche pubbliche e private (art. 
41 Cost.). La mancata tutela nei confronti della burocrazia statale si tradurrebbe 
in forme di deriva liberistica, ancora pi� accentuata dalla libera connotazione 
pubblica/privata. 
Per i beni sociali, dove non � configurabile la pretesa diretta, � sul momento 
del corretto funzionamento (art. 97 Cost.) che potrebbe incidere l�azione 
processuale ovvero nella fase di dismissione dell�istituto o del servizio, laddove 
invece per i beni riservati l�azione mira alla assoluta conservazione della 
titolarit�. Nei beni sociali, quindi, prevale la garanzia del risultato che va difesa 
da eventuali inefficienze della gestione, nonch� da scelte che privilegino l�economicit� 
della gestione rispetto alle finalit� sociali. 
8. La �rivincita� dei servizi pubblici: i nuovi orientamenti della giurisprudenza 
comunitaria ed il ruolo dell�Avvocatura dello Stato. La class action 
quale tutela dei beni pubblici avverso la privatizzazione: il momento dell�esercizio
Preme precisare la sempre maggiore rilevanza che nei momenti di crisi 
socio-economica assumono i servizi pubblici di interesse economico-generale 
garantiti dall�art. 43 Cost. e ripresi dal Trattato di Lisbona. Per essi si impone 
una riflessione sulla solitudine del soggetto ad avvalersene nei confronti delle 
Amministrazioni pubbliche, soprattutto nel momento della loro costituzione 
in s.p.a. e successiva trasformazione in imprese. 
Difatti ribadiamo (5) che la dismissione attraverso trasferimento azionario 
della presenza della mano pubblica nelle societ� destinate a funzioni di interesse 
generale, nella fase di una loro eventuale privatizzazione pone il problema, 
stabilito il principio generale dell�esperibilit� dell�azione (ovvero 
dell�an), del momento in limine che ne rende necessario l�esercizio (il 
quando): il che si concretizza, a nostro avviso, nella fase di contestazione della 
privatizzazione. 
Infatti, ripetiamo che una volta avvenuta la privatizzazione il conflitto 
(5) Cfr. F. LUCARELLI � L. PAURA, Diritto privato e diritto pubblico, cit., pp. 200 e ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 337 
potrebbe avere ad oggetto solo l�economicit� della gestione, essendosi oramai 
affievolita la tutela dell�interesse generale. La socialit� in queste ipotesi cederebbe 
il passo all�economicit�, se quest�ultima prevale sull�utilit� sociale cui 
i beni sono destinati; da qui la necessit� di esercizio dell�azione collettiva contestando 
proprio il procedimento di privatizzazione. 
Abbiamo gi� accennato che molto spesso il ruolo della Comunit� europea 
sulla concorrenza viene supinamente recepito se non addirittura accolto in maniera 
distorta. A partire dal Trattato di Amsterdam del 1997, l�Unione europea 
si � aperta progressivamente ad una rivalutazione del ruolo dello Stato in 
campo economico-sociale e occupazionale. Anche la giurisprudenza comunitaria 
sembra sempre pi� orientata ad evitare fenomeni di frettolose dismissioni 
di capitale pubblico in favore di privati, attraverso un� attivit� di recupero non 
solo ex post, ma preventiva, specie a livello ermeneutico di legislazione, del 
ruolo dell�intervento pubblico nei settori economici in crisi. All�uopo si rivela 
interessante evidenziare la particolare sensibilit� al tema dei rapporti tra aiuti 
di Stato, specie in relazione alle imprese che gestiscono servizi pubblici locali, 
ed in house providing con specifico riguardo al partenariato pubblico/privato, 
manifestata dall�Avvocatura dello Stato, con particolare attenzione al distonico 
scenario delle ricadute giurisprudenziali comunitarie sulle linee evolutive di 
legislazione nazionale proiettate a direzioni opposte (si cfr. il decreto sulle privatizzazioni 
su cui infra). 
In particolare voci verticistiche (6) della difesa erariale, cui vanno ascritte 
soluzioni innovative sposate dai recenti revirements della Corte di Giustizia 
(7), hanno segnato un progressivo superamento della residualit� del ruolo degli 
appalti in house e delle societ� miste, aprendo a notevoli spazi di intervento 
pubblico nei settori in crisi. Il quadro che ne risulta � stato definito (8) �una 
rivincita dei servizi pubblici nel nuovo contesto europeo� adombrata, come 
vedremo a breve, dalle recenti modifiche alla legislazione nazionale sulle privatizzazioni. 
Pi� nello specifico la problematica affrontata dalla Corte di Giustizia, 
nella decisione del 10 settembre ultimo scorso, riguardava una questione pregiudiziale 
proposta dal Tar della Lombardia su un affidamento senza gara del 
servizio di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti solidi urbani in comuni 
in certa misura �consorziati� (9). Il problema ermeneutico vedeva coinvolta 
la compatibilit� del suddetto affidamento ad una societ� per azioni a capitale 
interamente pubblico (art. 113 decreto legislativo 267/2000) con l�impianto 
(6) Per un approfondimento sul punto si cfr. G. FIENGO, Un utile riassunto sul tema degli �appalti 
in house�, in Rassegna Avvocatura dello Stato LXI � N. 3, luglio-settembre 2009, pp. 151 ss. 
(7) Si cfr. Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Terza Sezione, sentenza 10 settembre 2009, 
causa C-573/07.
(8) Cfr. G. FIENGO, cit. 
(9) Cfr. G. FIENGO, cit.
338 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
sistemico comunitario dei principi di libert� di stabilimento ovvero di prestazione 
di servizi, del divieto di discriminazione e dell�obbligo di parit� di trattamento, 
di trasparenza e di libera concorrenza di cui agli artt. 12 CE, 43 CE, 
45 CE, 46 CE, 49 CE E 86 CE. 
Come anticipato, la novit� della decisione consiste nell�aver aderito all�inversione 
di rotta nell�attribuzione all�intervento pubblico di una dignit� 
non residuale, ampliando gli spazi operativi degli appalti in house e delle societ� 
miste nel settore dei pubblici servizi. All�uopo si rivelano illuminanti alcuni 
passaggi interpretativi della decisione suddetta: 
�� Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte, una gara non � obbligatoria 
in caso di contratto a titolo oneroso concluso con un ente giuridicamente distinto 
dall�autorit� locale che costituisce l�amministrazione aggiudicatrice, qualora tale 
autorit� eserciti su detto ente un controllo, analogo a quello che essa esercita sui 
propri servizi e, nel contempo, tale ente realizzi la parte pi� importante della propria 
attivit� con l�ente o con gli enti locali che lo controllano (v., in tal senso, sentenza 
18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal, Racc. pag. I-8121, punto 50) (10). 
� Orbene, detta giurisprudenza rileva sia per l�interpretazione della direttiva 
2004/18 sia per quella degli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE nonch� dei principi generali 
di cui essi costituiscono la specifica espressione (v., in tal senso, sentenze 
11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1, punto 
49, nonch� 13 ottobre 2005, causa C-458/03, Parking Brixen, Racc. pag. I-8585, 
punto 62) (11)�. 
La Corte delimita l�ambito di operativit� dei principi comunitari, con 
l�esclusione delle ipotesi integranti i requisiti specificati nella nota sentenza 
Teckal (su cui ampiamente infra) sull�affidamento diretto: 
�� Per quanto concerne l�aggiudicazione di appalti pubblici di servizi, le amministrazioni 
aggiudicatrici devono rispettare, in particolare, gli artt. 43 CE e 49 
CE nonch� i principi di parit� di trattamento e di non discriminazione in base alla 
cittadinanza cos� come l�obbligo di trasparenza che ne discende (v., in tal senso, 
sentenze Parking Brixen, cit., punti 47-49, e 6 aprile 2006, causa C-410/04, ANAV, 
Racc. pag. I-3303, punti 19-21). 
� L�applicazione delle regole enunciate agli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE, nonch� 
dei principi generali di cui esse costituiscono la specifica espressione, � tuttavia 
esclusa qualora, al contempo, l�ente locale che costituisce l�amministrazione aggiudicatrice 
eserciti sull�ente aggiudicatario un controllo analogo a quello che 
esso esercita sui propri servizi e detto ente realizzi la parte pi� importante della 
sua attivit� con l�autorit� o le autorit� che lo controllano (v., in tal senso, sentenze 
Teckal, cit., punto 50; Parking Brixen, cit., punto 62, nonch� 9 giugno 2009, causa 
(10) Punto 36, Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Terza Sezione, sentenza 10 settembre 
2009, causa C-573/07. 
(11) Punto 37, Corte di Giustizia, cit.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 339 
C-480/06, Commissione/Germania, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 
34) (12)�. 
Nella fissazione dei suddetti principi, nonch� nella delimitazione dell�ambito 
di operativit� dell�eccezione � ribadita l�indifferenza alla tipologia sociale 
assunta dall�ente aggiudicatario, quantunque societ� di capitali: 
�� La circostanza che l�ente aggiudicatario si costituisca sotto forma di societ� 
di capitali non esclude in alcun modo l�applicazione dell�eccezione ammessa dalla 
giurisprudenza richiamata al punto precedente. Nella citata sentenza ANAV, la 
Corte ha riconosciuto l�applicabilit� di tale giurisprudenza nel caso di una societ� 
per azioni (13)�. 
Fondamentale risulta il passaggio argomentativo in ordine alla configurabilit� 
di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi da parte 
di un�amministrazione aggiudicatrice su una societ� di cui � azionista, con la 
quale intende concludere un contratto, nel caso in cui esista la possibilit�, sebbene 
non concretizzata, che investitori privati entrino nel capitale della societ� 
di cui trattasi: 
�� Per risolvere tale questione va ricordato che la circostanza che l�amministrazione 
aggiudicatrice detenga, da sola o insieme ad altri enti pubblici, l�intero capitale 
di una societ� concessionaria potrebbe indicare, pur non essendo decisiva, 
che tale amministrazione aggiudicatrice esercita su detta societ� un controllo analogo 
a quello esercitato sui propri servizi (v., in tal senso, sentenze 11 maggio 
2006, causa C-340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei, Racc. pag. I-4137, punto 
37, nonch� 13 novembre 2008, causa C-324/07, Coditel Brabant, non ancora pubblicata 
nella Raccolta, punto 31). 
� Per contro, la partecipazione, anche minoritaria, di un�impresa privata al capitale 
di una societ� alla quale partecipi anche l�amministrazione aggiudicatrice 
in questione esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su 
detta societ� un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi (v., 
in tal senso, citate sentenze Stadt Halle e RPL Lochau, punto 49, nonch� Coditel 
Brabant, punto 30). 
� Di regola, l�esistenza effettiva di una partecipazione privata al capitale della 
societ� aggiudicataria deve essere verificata nel momento dell�affidamento dell�appalto 
pubblico di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, 
cit., punti 15 e 52). Pu� anche assumere rilevanza tenere conto della 
circostanza che, nel momento in cui un�amministrazione aggiudicatrice affida un 
appalto ad una societ� di cui detiene l�intero capitale, la legislazione nazionale 
applicabile prevede l�apertura obbligatoria della societ�, a breve termine, ad altri 
capitali (v., in tal senso, citata sentenza Parking Brixen, punti 67 e 72). 
(12) Cfr. punti 39 e 40, Corte di Giustizia cit. 
(13) Punto 41, Corte di Giustizia cit.
340 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
� In via eccezionale, circostanze particolari possono richiedere che siano presi 
in considerazione avvenimenti intervenuti successivamente alla data di aggiudicazione 
dell�appalto in esame. � quanto avviene, in particolare, nel caso in cui le 
quote della societ� aggiudicataria, precedentemente detenute interamente dall�amministrazione 
aggiudicatrice, vengano cedute ad un�impresa privata appena 
dopo l�aggiudicazione a tale societ� dell�appalto di cui trattasi nell�ambito di una 
costruzione artificiale diretta ad eludere le norme comunitarie in materia (v., in 
tal senso, sentenza 10 novembre 2005, causa C-29/04, Commissione/Austria, 
Racc. pag. I-9705, punti 38-41). 
� Certamente, non pu� escludersi che le quote di una societ� vengano vendute a 
terzi in qualunque momento. Tuttavia, il fatto di ammettere che questa mera possibilit� 
possa sospendere indefinitamente la valutazione sul carattere pubblico o 
meno del capitale di una societ� aggiudicataria di un appalto pubblico non sarebbe 
conforme al principio di certezza del diritto. 
� Se il capitale di una societ� � interamente detenuto dall�amministrazione aggiudicatrice, 
da sola o con altre autorit� pubbliche, al momento in cui l�appalto 
in oggetto � assegnato a tale societ�, l�apertura del capitale di quest�ultima ad 
investitori privati pu� essere presa in considerazione solo se in quel momento esiste 
una prospettiva concreta e a breve termine di una siffatta apertura (14)�. 
La Corte opta per una verifica empirico-contingente, case by case, a nulla 
rilevando un giudizio prognostico a carattere probabilistico ed aprioristico 
sull�apertura al capitale privato. L�assenza di alcun indizio concreto e la presenza 
di una mera astratta possibilit� non risultano sufficienti ad integrare il 
requisito del mancato controllo. 
Sempre ai fini della determinazione del controllo si rivela altres� preziosa 
la delimitazione dell�esercizio congiunto dello stesso nelle ipotesi in cui varie 
autorit� pubbliche scelgono di svolgere alcune delle loro missioni di servizio 
pubblico facendo ricorso ad una societ� che esse detengono in comune: 
�� Richiedere che il controllo esercitato da un�autorit� pubblica in un caso del 
genere sia individuale avrebbe la conseguenza d�imporre una gara di appalto 
nella maggior parte dei casi in cui un�autorit� siffatta intendesse associarsi ad 
una societ� detenuta da altre autorit� pubbliche al fine di attribuirle la gestione 
di un servizio pubblico (v., in tal senso, citata sentenza Coditel Brabant, punto 47). 
� Un risultato simile non sarebbe conforme al sistema delle norme comunitarie 
in materia di appalti pubblici e di concessioni. Si riconosce, infatti, che un�autorit� 
pubblica ha la possibilit� di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa 
incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza 
essere obbligata a far ricorso ad entit� esterne non appartenenti ai propri servizi 
(citate sentenze Stadt Halle e RPL Lochau, punto 48; Coditel Brabant, punto 48, 
e Commissione/Germania, punto 45) (15)�. 
(14) Punti 45-50, Corte di Giustizia cit. 
(15) Punti 56 e 57, Corte di Giustizia cit.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 341 
Inoltre ai fini della determinazione dell�esercizio effettivo del controllo 
analogo vengono indicati i parametri normativi e le circostanze pertinenti: il 
controllo cio� dovr� superare un �test di decisivit�� circa l�influenza determinante 
sugli obiettivi strategici e sulle decisioni importanti della societ�. 
L�accesso ai privati nell�ambito di attivit� qualificabili �accessorie� non 
dequota l�obiettivo principale della gestione del servizio pubblico; nel caso di 
specie si menziona a titolo esemplificativo la raccolta differenziata dei rifiuti, 
la quale potrebbe rendere necessaria la rivendita ad enti specializzati di talune 
categorie di materiale recuperato a scopo di riciclaggio; 
�l�esistenza di un potere siffatto non � sufficiente per ritenere che detta societ� 
abbia una vocazione commerciale che rende precario il controllo di enti che la 
detengono (16)�. 
Alla luce di suddette considerazioni, le conclusioni giurisprudenziali sono 
cos� sintetizzate: 
�Gli artt. 43 CE e 49 CE, i principi di parit� di trattamento e di non discriminazione 
in base alla cittadinanza cos� come l�obbligo di trasparenza che ne discende 
non ostano all�affidamento diretto di un appalto pubblico di servizi ad una societ� 
per azioni a capitale interamente pubblico qualora l�ente pubblico che costituisce 
l�amministrazione aggiudicatrice eserciti su tale societ� un controllo analogo a 
quello che esercita sui propri servizi e tale societ� realizzi la parte pi� importante 
della propria attivit� con l�ente o con gli enti locali che la controllano. 
Fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio dell�operativit� delle disposizioni 
statutarie di cui trattasi, il controllo esercitato dagli enti azionisti sulla 
detta societ� pu� essere considerato analogo a quello esercitato sui propri servizi 
in circostanze come quelle di cui alla causa principale, in cui: 
� l�attivit� di tale societ� � limitata al territorio di detti enti ed � esercitata fondamentalmente 
a beneficio di questi ultimi, e 
� tramite organi statutari composti da rappresentanti di detti enti, questi ultimi 
esercitano un�influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni 
importanti di detta societ��. 
Come anticipato, l�Avvocatura di Stato (17) ha manifestato aperte perplessit� 
in ordine al distonico scenario legislativo nazionale rispetto ai suddetti 
orientamenti comunitari; perplessit� condivisibili non solo sul piano della verifica 
di compatibilit� al diritto comunitario, ma anche in relazione alla coerenza 
sistemica del diritto interno, principalmente nei rapporti con la fonte 
costituzionale. 
(16) Punto 79, ult. cit. 
(17) Sul punto si cfr. G. FIENGO, op. cit.
342 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
9. I dubbi profili costituzionali e comunitari del recente decreto sulle privatizzazioni 
Il recente decreto legge sull�adeguamento della nostra legislazione agli 
obblighi e direttive comunitarie approvato dal Consiglio dei ministri in data 9 
settembre 2009 (d.l. 135/2009), soprattutto la lettura dell�art. 15 (�Adeguamento 
alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici di rilevanza 
economica�) accentua le nostre preoccupazioni sulle estese manipolazioni dei 
principi comunitari in materia di concorrenza. Soprattutto quando entrano in 
gioco la coesione economico territoriale (art. 3 Trattato costituzionale) ed i 
principi fondanti della comunit� e della nostra Costituzione. In questo caso, 
in specie, la solidariet� politica, economica e sociale (art. 2 Cost.) ed il riequilibrio 
perequativo tra sussidiariet� orizzontale e verticale (art. 3 Cost., comma 
2: uguaglianza sostanziale). 
Applicata aprioristicamente la libert� di mercato ed il divieto di concorrenza 
pubblica ne conseguono nel decreto diffuse violazioni costituzionali in 
materia di rapporti economici che incidono sul livello di occupazione (art. 36 
Cost.); depotenziano, se non annullano del tutto, la tutela dei beni e servizi 
sociali (art. 41 Cost.) e la funzione dei beni riservati (art. 43 Cost.); alterano 
l�equilibrio tra iniziativa privata e pubblica (art. 41 Cost., comma 2 Cost.) e 
impresa (propriet�) pubblica e impresa (propriet�) privata nella gestione dei 
servizi sociali e di quelli essenziali; fino ad incidere sul ruolo proprietario degli 
azionisti delle s.p.a. pubbliche (art. 42 Cost.). 
Anche il tema del riparto delle competenze Stato-Regione (art. 117, 
comma 2) ne esce stravolto, mentre appare violato (potremmo dire espropriato) 
il principio autonomistico di autodeterminazione dei Comuni di cui gli artt. 5 
e 118 Cost. 
Infine nella cancellazione (salvo casi eccezionali) degli affidamenti in 
house il legislatore si sottrae, oblitera del tutto, la valutazione della buona gestione 
o meno dell�Ente, violando l�art. 97 Cost. 
Ma procediamo analiticamente. 
La ricostruzione della propriet� pubblica, attraverso la distinzione tra beni 
comuni e beni sociali sulla base del principio di effettivit�, va trasposta sul 
piano operativo-funzionale della gestione dei servizi pubblici, alla luce delle 
recenti riforme del decreto 112 sulle privatizzazioni convertito nella legge 
113/08, modificato dal d.l. 135/2009 (art. 15). 
La tendenza dell�attuale Governo alla liberalizzazione riprende il cammino 
attraverso il rilancio delle privatizzazioni e il ridimensionamento del fenomeno 
dilagante delle gestioni pubbliche in house, limitandolo a casi 
eccezionali. Il decreto recentemente approvato prevede due vie ordinarie per 
la gestione dei servizi pubblici locali, ovvero una gara obbligatoria per la concessione 
a imprese private del servizio locale di acqua, gas, energia, rifiuti,
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 343 
trasporto e una societ� per azioni mista con un socio privato scelto con gara, 
che abbia almeno il 40% del capitale e l�attribuzione dei compiti operativi 
connessi alla gestione del servizio (un socio quindi industriale e operativo). 
L�elemento rilevante � il chiarimento sulle gestioni in house: quelle attuali decadranno 
automaticamente entro il 31 dicembre 2011 e per il futuro saranno 
limitate a situazioni �eccezionali� che dovranno essere autorizzate con parere 
�preventivo� Antitrust. Il parere dovr� essere emanato entro 60 giorni, varr� 
il silenzio-assenso e spetter� alla stessa Autorit� per la concorrenza di definire 
la soglia sopra la quale si ritiene rilevante il parere. 
A questo punto ci sembrano opportune delle considerazioni. 
Con l�affidamento in house il committente pubblico, derogando al principio 
di carattere generale dell�evidenza pubblica, in luogo di procedere all�affidamento 
all�esterno di determinate prestazioni, provvede in proprio 
(all�interno), all�esecuzione delle stesse, mediante il sistema dell�affidamento 
diretto (c.d. in house providing), ossia senza gara. Sebbene tale figura non 
trovi una definizione ed una disciplina puntuale nelle normative sia comunitarie 
che interne, la giurisprudenza e la dottrina ne hanno delimitato i confini 
attraverso l�interpretazione in negativo dei due istituti dell�appalto di pubblici 
servizi e della concessione di pubblici servizi. L�elemento profondamente distintivo 
consiste nell�assenza di alterit� tra ente pubblico ed organo �in house�, 
ovvero nella mancanza di una relazione intersoggettiva, di un rapporto contrattuale 
o concessorio in senso stretto. Negli affidamenti in house manca 
quindi, il coinvolgimento degli operatori economici nell�esercizio dell�attivit� 
della Pubblica Amministrazione, per cui le regole sulla concorrenza, applicabili 
agli appalti pubblici e agli affidamenti dei pubblici servizi a terzi, non vengono 
in rilievo. Si tratta di un modello organizzativo in cui la p.a. provvede 
da s� al perseguimento degli scopi pubblici quale manifestazione del potere 
di auto-organizzazione e del pi� generale principio comunitario di autonomia 
istituzionale e buona amministrazione. 
La scelta tra il sistema dell�affidamento della prestazione mediante gara 
pubblica e l�opposto modello dell�affidamento in house � preceduto dalla comparazione 
degli obiettivi pubblici che si intendono perseguire e delle modalit� 
realizzative avuto riguardo ai tempi necessari, alle risorse umane e finanziarie 
da impiegare ed al livello qualitativo delle prestazioni in base ai principi di 
economicit� e massimizzazione dell�utilit� per l�Amministrazione (seguendo 
il sistema anglosassone del c.d. �Best Value�). 
Tuttavia l�ibrida connotazione organizzativa ha spinto la Corte di Giustizia 
(con la nota sent. Teckal 18 nov. 1999, causa C-107/98) a definire i confini 
entro cui l�affidamento in house pu� considerarsi legittimo: Le condizioni necessarie 
affinch� si possa derogare alla gara pubblica, secondo il tradizionale 
insegnamento della �Sentenza Teckal� sono: 
1) l�esercizio da parte dell�ente committente, sul soggetto affidatario, di
344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
un �controllo analogo� a quello che esercita sui propri servizi (qui a nostro 
avviso il referente costituzionale � l�art. 41 Cost.); 
2) la necessit� che il soggetto affidatario realizzi la parte pi� importante 
della propria attivit� con l�ente committente (o gli enti se sono pi� di uno) 
che la controlla (qui riteniamo giochino un ruolo determinante gli artt. 5 e 118 
Cost.). 
Quest�ultimo requisito concorre alla distinzione tra organo in house e organismo 
di diritto pubblico tout court. Laddove ricorrano gli elementi dell�organo 
in house, l�ente � assimilato all�amministrazione pubblica e come tale � 
soggetto alla medesima normativa, ivi compresa quella in materia di appalti 
pubblici. Gli enti in house in quanto organi della P.A. sono soggetti ai medesimi 
obblighi di quest�ultima e la scelta di un modulo organizzativo di tal tipo 
rende a nostro avviso fisiologico l�assolvimento dei criteri e principi di efficienza 
amministrativa di cui all�art. 97 Cost. 
Chiariti siffatti profili, occorre prospettare possibili forme e strumenti di 
tutela rispetto alla eventuale antieconomicit� della gestione privata nel conseguimento 
delle finalit� di garanzia ed efficienza dei servizi pubblici di cui all�art. 
97 cost. 
Ebbene riprendendo le riflessioni in tema di esercizio di azioni collettive 
sulla opportunit� di una loro funzione ostativa alla privatizzazione, riteniamo 
che la fase di accertamento dell�inefficienza o palese mancanza di garanzia di 
realizzazione degli interessi pubblici costituisca il quando della esperibilit� 
della tutela, al fine di evitarne la limitazione dell�oggetto alla sola economicit� 
e non alla effettivit� del risultato gestorio, anche a fronte di un eventuale esercizio 
antieconomico (indispensabile alla effettivit� del risultato), che richieda 
la sussidiariet� dell�Ente pubblico (anche qui gioca l�art. 41 Cost.). 
L�area probandi cio� andrebbe circoscritta alla essenzialit� della gestione 
privata per livelli di efficienza pi� vantaggiosi, giustificativi dell�operativit� 
delle regole sulla concorrenza. Il venir meno di siffatta dimostrazione infatti 
implicherebbe la necessit� della gestione in house che garantisca il corretto 
equilibrio tra sostenibilit� economica e compatibilit� giuridica e ci� non solo 
per i profili di cui all� art. 97 Cost. gi� citati ma anche rispetto alle prescrizioni 
di cui all�art. 42 Cost. a tutela del diritto di propriet� funzionalizzato agli obiettivi 
sociali di uno Stato democratico-sociale. 
In riferimento alla l. 133/2008 cos� come modificata dal d.l. 135/2009 
(art.15), dunque, riteniamo possano profilarsi due motivi di incostituzionalit�. 
L�eliminazione dell�affidamento in house, salvo l�eccezionalit�, si pone 
in aperto contrasto con l�art. 97 Cost., in quanto la sottrazione di poteri gestori 
potrebbe ipotizzarsi solo a fronte di carenze economiche e finanziarie (che 
anzi preluderebbero ad una cessazione della concessione o a fortori ad un 
commissariamento). 
Inoltre affidare la gestione operativa a un Ente privato esterno richiede
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 345 
un�accurata analisi delle potenzialit� economiche, logistiche, operative dell�esercizio 
di tale gestione con le qualit� dell�Ente committente, che dovrebbero 
rivelare una effettivit� maggiore rispetto alla sottratta gestione in house 
(artt. 5 e 118 Cost.). 
Resta poi sul tappeto il problema della tutela degli azionisti nella mutazione 
della organizzazione in house nel nuovo modello societario. Ebbene qui 
a noi sembra profilarsi la violazione dell�art. 42 Cost., in quanto l�acquisto di 
azioni prevedeva la partecipazione quotistica ad una propriet� pubblica: verrebbe 
in tal caso, in maniera autoritaria, modificato il titolo di propriet� di riferimento, 
mentre sul piano degli interessi (sempre ex art. 42 Cost.) verrebbe 
meno la funzione sociale. In questo quadro si inserisce il discorso sulla esperibilit� 
di azioni collettive, di cui ampiamente sopra. 
In ogni caso seguendo gli ultimi aggiornamenti sul punto, per la Feder 
Utility il Parlamento dovrebbe aumentare i tempi di dismissione per gli Enti 
locali. 
Difatti la scadenza prevista dal decreto di ridurre entro il 31 dicembre 
2012 la partecipazione di una quota non inferiore al 30%, determinerebbe una 
pioggia di azioni sul mercato (valutate in 2,2 mld) che rischierebbe di trasformarsi 
in un bagno di sangue per le aziende pubbliche e ovviamente per i Comuni. 
Tra i primi casi dubbi di privatizzazione, si � appreso del caso �Grandi 
navi veloci� Spa (Gnv) per l�acquisto di Tirrenia Spa, con l�acquisizione di 
tutte le navi che operano su rotte nazionali: chiaro l�intento di procedere alla 
privatizzazione di un servizio pubblico essenziale, che seppur non esente da 
valutazioni �disfunzionali� quanto a modalit� di gestione, risulta in ogni caso 
ontologicamente connesso al perseguimento di interessi generali fondamentali. 
Nell�attuale fase di privatizzazione si profilano gli elementi di problematicit� 
costituzionale e di gestione, cui facevamo cenno. 
� molto strano che tutti gli operatori che gestiscono la quasi totalit� dei 
trasporti nel Golfo di Napoli e per le altre isole minori, non abbiano partecipato 
alla gara, sottolineando l�insostenibilit� economica della gestione dei servizi 
per i lunghi periodi autunnali e invernali. Ed erano proprio tali operatori, con 
la loro esperienza sul posto, che avrebbero potuto garantire una migliore gestione 
dei servizi. 
Stesso discorso per la svendita della Caremar, con la convenzione (primo 
gennaio 2010) con la Regione Campania attraverso l�accordo di programma 
per il trasferimento della societ� di navigazione del gruppo Tirrenia dallo Stato 
alla Regione, alla presenza del ministro dei Trasporti Altiero Mattioli, del ministro 
delle finanze Giulio Tremonti e dell�assessore regionale ai trasporti 
Ennio Cascetta. 
Se da una parte l�accordo di programma sembrava offrire un segnale po-
346 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
sitivo, in quanto il passaggio dallo Stato alla Regione della Caremar implicava, 
comunque, il riconoscimento della presenza pubblica nei servizi essenziali, 
avendo la Regione maggiore competenza della situazione territoriale, tuttavia 
i tempi brevi (due mesi), fissati per il bando a cura della Regione, aventi quale 
obiettivo il trasferimento alla gestione privata, nonch� la gestione (solo il 30% 
al pubblico) nelle mani del privato, reso ancor pi� avido dal contributo garantito 
per dieci anni dallo Stato, riteniamo abbiano rappresentato la continuazione 
del gioco perverso di privatizzazione dei profitti e di pubblicizzazione 
degli oneri, senza alcuna reale garanzia di fondo sulla �essenzialit�� pubblica 
del servizio. 
10. Il legislatore e le sliding doors. Profili processuali e amministrativi dell�azione 
collettiva nel settore pubblico 
Un primo spiraglio all�esercizio della class action anche nei confronti 
della P.A., da noi auspicato, sembrava si fosse aperto nell�articolo 3 del ddl 
Brunetta (votato alla Camera in prima lettura l�11 febbraio 2010) che prevedeva 
l�esercizio dell�azione collettiva nei confronti dei concessionari di servizi 
pubblici locali. Ma come sovente sta accadendo, il legislatore ha operato come 
se si trattasse di una sliding door, (una porta scorrevole che si apre e si richiude 
automaticamente al passaggio) per cui attuato un principio se ne svuota il suo 
contenuto. 
Gi� in questa prima fase l�azione non prevedeva il risarcimento del danno, 
diventando una class action �light�, dove non si prevedeva il ristoro neanche 
delle spese processuali, ma solo il ripristino del servizio e dei suoi standard. 
Inoltre, si disponeva che l�azione nei confronti dei concessionari dei servizi 
pubblici non potesse essere proposta o proseguita, nel caso in cui un�autorit� 
indipendente (o comunque un organismo con funzioni di vigilanza e controllo 
nel relativo settore) avesse avviato sul medesimo oggetto il procedimento di 
loro competenza. Non venivano neanche affrontate le problematiche del risarcimento 
del danno nelle more del ripristino e dell�individuazione degli standard.
A nostro avviso sarebbe rimasta in ogni caso impregiudicata l�ipotesi da 
noi formulata di class action che miri all�interruzione del processo di privatizzazione; 
azione preventiva che pu� anche essere esercitata in litisconsorzio 
necessario con l�autorit� di vigilanza. 
Questo il panorama fino alle recentissime novit� che ne hanno modificato, 
seppure in maniera non significativa, lo scenario di operativit�. 
La legge delega sulla riforma della pubblica amministrazione, infatti, (e 
il conseguente decreto legislativo ormai in fase avanzata di redazione) prevede 
l�ipotesi di esperibilit� dell�azione collettiva anche nei servizi pubblici, con 
profili differenti dal settore privato in termini di ontologia sostanziale dello 
strumento e in termini strettamente processuali. Tuttavia l�obiettivo, a noi sem-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 347 
bra, � conferire forme di monitoraggio dell�attivit� amministrativa agli utenti 
di servizi e istituti (ferrovie, poste, ospedali) per ricondurre entro i confini dei 
c.d. standard di efficienza soddisfacenti la cura e gestione degli interessi pubblici 
(art. 97 Cost.). 
Difatti, non si tratta di un�azione a carattere risarcitorio, quanto piuttosto 
di uno strumento che intende contribuire al controllo degli standard dei parametri 
di funzionalit� dei servizi pubblici, sia pure in vista dell�attuazione del 
federalismo fiscale, dove il riferimento agli standard non pu� essere puramente 
formale, ma andr� valutato sulla base della effettivit�. L�azione potr� essere 
proposta da ogni interessato nei confronti sia delle amministrazioni sia dei 
concessionari dei servizi pubblici, per contestare inefficienze della pubblica 
amministrazione (che vengono sintetizzate nella violazione di standard qualitativi, 
di obblighi contenuti nelle carte dei servizi, nell�omesso esercizio di 
poteri sanzionatori e di vigilanza, nella violazione di termini o inerzia quanto 
ad atti dovuti) da cui sia derivato un danno per una pluralit� di utenti o consumatori. 
La possibilit� per il singolo di proporre l�azione � affiancata dalla chance 
di intervento anche da parte di associazioni o comitati a tutela dei diritti dei 
propri associati. Per il rapporto del singolo con l�associazione si parla di una 
vera e propria affiliazione non di affidamento di un �semplice� mandato come 
nel caso della class action privata, richiedendosi una graduazione di maggiore 
affinit� tra gli interessi coinvolti nella vicenda processuale, postulante un rapporto 
ancor pi� effettivo di immedesimazione organica. Oltre che a ragioni 
sostanziali di interesse pubblico fisiologicamente ascrivibili a forme di titolarit� 
sociale, seppure differenziata, l�affiliazione trova indubbiamente giustificazione 
in ragioni di ordine processuale, che rendono indispensabile 
l�intensificazione di filtri scongiuranti azioni pretestuose, ben pi� deboli nel 
processo amministrativo rispetto a quello ordinario. 
La proposizione dell�azione da parte del singolo in grado di aggregare 
intorno al suo intervento gli interessi seriali o dell�associazione, non compromette 
l�intervento preventivo e prioritario da parte dell�Authority competente 
per materia. 
Anzi, a cercare di attenuare almeno in parte l�impatto dell�azione collettiva 
nei confronti dei concessionari di pubblici servizi (forte � infatti la preoccupazione 
di questi ultimi per il proliferare di azioni anche strumentali), si 
sottolinea che il decreto delegato si dovr� preoccupare di individuare le soluzioni 
idonee a bloccare l�azione (anche quando gi� proposta) quando �un�autorit� 
indipendente o comunque un organismo con funzioni di vigilanza e 
controllo� abbia avviato un procedimento sui medesimi fatti. Azione bloccata 
quindi sino almeno all�estinzione del procedimento presso l�Autorit�. 
La competenza � poi affidata al giudice amministrativo, il che valorizza 
le considerazioni da noi precedentemente svolte nella fase prodromica alla
348 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
previsione di tutela collettiva nel settore pubblico. 
Di particolare considerazione la fase preventiva all�instaurazione del giudizio 
che prevede, quale condizione di ammissibilit�, che il ricorso vada preceduto 
da una diffida all�amministrazione o al concessionario perch� adotti 
entro un termine rigido, che dovr� essere fissato nel decreto delegato, tutte le 
iniziative utili per la soddisfazione degli interessati. 
L�utilizzo di un linguaggio giuridico �creativo� (si parla di termine rigido, 
laddove si renderebbe necessaria una precisa scelta legislativa temporale in 
ordine alle conseguenze potenzialmente scaturenti dallo spirare dello stesso, 
quale potrebbe essere un termine essenziale) accentua problematiche ascrivibili 
alla incompletezza dell�architettura processuale prevista. In questa fase 
infatti la legge delega impone un meccanismo indirizzato a responsabilizzare 
il dirigente competente e, in rapporto alla tipologia dell�ente, i vari organi interni 
dell�amministrazione (di indirizzo, di vertice o esecutivo), ma non si d� 
contezza dei poteri che fattivamente vengono azionati dal privato con l�avanzamento 
del petitum. Ci chiediamo cio� se la diffida si possa considerare un�attivazione 
dell�autotutela amministrativa (in tal caso la condizione di 
ammissibilit� sembra riecheggiare la tradizionale pregiudiziale amministrativa, 
con tutte le riflessioni di congestionamento processuale, che per anni ne hanno 
accompagnato il dibattito) ovvero possa assimilarsi al tentativo obbligatorio 
di conciliazione (come tipico del settore privato) che in tal caso andrebbe a 
connotare in via speciale un procedimento amministrativo ma postulerebbe 
anche una bilateralit� nella determinazione del petitum, che l�unilateralit� della 
pregiudiziale esclude. Problematiche queste sicuramente discendenti dalla evanescenza 
terminologica dell�oggetto dell�azione (c.d. standard di efficienza 
soddisfacenti) che a nostro avviso andrebbero specificati da una precisa scelta 
legislativa, avendo tra l�altro un referente costituzionale fondamentale in tema 
di attivit� amministrativa (art. 97 Cost.) che impone chiarificazioni sostanziali 
in tema di identificazione dei parametri funzionali di efficienza nella cura degli 
interessi pubblici. 
Oltre a questioni di qualificazione giuridica della fase preventiva della 
condizione di ammissibilit� dell�azione, si pongono interrogativi in ordine alla 
configurazione dell�eventuale silenzio dell�amministrazione, che a nostro avviso, 
coerentemente al sistema amministrativo in generale, andrebbe distinto 
oltre che dall�inadempimento tout court, anche dall�inerzia qualificata, indubbiamente 
riferibile in maniera alquanto proporzionale ai livelli standard di 
funzionalit�. 
La previsione legislativa riguarda il caso di condanna della pubblica amministrazione, 
per cui � previsto una sorta di rafforzamento della pronuncia 
in caso di inerzia nel ripristino delle condizioni di efficienza. 
Nel caso infatti di inadempimento protratto nel tempo scatter� il commissariamento 
(anche se non � specificato per quanto e con quali obiettivi), ma la
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 349 
legge delega si occupa di precisare che, anche in questo caso, deve essere 
escluso il risarcimento del danno. La stessa sentenza definitiva di condanna, 
della quale dovr� anche essere assicurata idonea pubblicit�, avr� poi come effetto 
l�attivazione di procedure di accertamento di responsabilit� interna disciplinari 
o a livelli dirigenziali. Anche qui problemi interpretativi, soprattutto 
per la fase del commissariamento rispetto alla quale ci sembrerebbe opportuno 
differenziare i casi in cui � necessario passare per il �filtro� del giudizio di ottemperanza 
(dunque con le conseguenze in ordine ai poteri del Commissario 
ad acta). 
In particolare riteniamo che a monte vada individuata la natura dell�azione 
e della sentenza che ne consegue che, a nostro avviso, andrebbe assimilata alla 
azione di mero accertamento (non potendo parlarsi di condanna tout court 
vista l�assenza del carattere risarcitorio). In questo caso dunque specifichiamo 
che l�azione di mero accertamento (o dichiarativa), del tutto analoga a quella 
ammessa nel processo civile, avente ad oggetto sia un diritto patrimoniale che 
non patrimoniale viene tradizionalmente riferita dalla giurisprudenza alle vertenze 
per diritti soggettivi nelle materie di giurisdizione esclusiva e pi� discussa 
invece per la tutela di interessi legittimi, in cui sia possibile 
l�impugnazione di un provvedimento. Auspicando soluzioni legislative pi� 
chiare in termini di qualificazione della natura giuridica del decisum individuativo 
degli standard di funzionalit� dell�attivit� amministrativa, si rende fin 
da ora opportuno riflettere sul dovere di conformazione al giudicato incombente 
in ogni caso sull�Amministrazione alla luce del principio di cui all�art. 
4 della legge n. 2248 del 1865 (allegato E). L�amministrazione infatti deve 
porre in essere l�attivit� necessaria per adeguare la situazione di fatto (il disservizio) 
a quella di diritto affermata nella sentenza (individuativa degli standard 
di efficienza del servizio), e ci� indipendentemente dalla presenza di una 
specifica pronuncia di condanna del giudice. Il dovere di conformarsi al giudicato 
� configurabile infatti anche in presenza di una sentenza di annullamento 
o di mero accertamento, sostenendo in queste ipotesi la dottrina che, in 
conseguenza dell�art. 4 cit., la sentenza rileverebbe come �fatto�. 
Nel caso di inosservanza del dovere dell�Amministrazione di conformarsi 
al giudicato, � dunque esperibile il giudizio di ottemperanza, che assicura l�esecuzione 
della sentenza e di tutti gli obblighi che ne derivano. In tal modo anche 
la sentenza di mero accertamento nei confronti della P.A. pu� essere idonea 
ad innescare una tutela esecutiva, non esaurendosi la sua utilit� nel superamento 
di una incertezza obiettiva nella situazione di diritto ma rivelandosi, 
anzi, rimedio a una lesione concreta di diritti sociali provocata dall�Amministrazione. 
L�ottemperanza, a nostro avviso, costituisce un filtro necessario deterrente 
al commissariamento, visto l�oggetto del petitum (ripristino degli 
standard), nonch� della ratio dello strumento processuale (riconduzione dell�azione 
amministrativa a parametri di funzionalit�). In altri termini riteniamo
350 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
che prima di pervenire alla patologia, debba essere offerta all�Amministrazione 
�l�opportunit�� di attivarsi per la corretta cura e gestione dell�interesse pubblico 
(art. 97 Cost.) adeguandosi alle disposizioni del giudice: � solo il pervicace 
inadempimento al dovere di conformit� al giudicato che giustificherebbe 
il commissariamento. Inoltre non si pu� ignorare che la sostituzione del giudice 
all�Amministrazione, seppure inadempiente, anche ai fini di valutazioni 
tipicamente discrezionali, crea molte incertezze: come � noto la discrezionalit� 
amministrativa prevede diverse articolazioni (si pensi alla distinzione tra discrezionalit� 
tecnica e discrezionalit� tout court), che postulano differenti gradi 
decisionali sul piano ideologico-politico, non necessariamente assorbiti dalla 
sentenza da eseguire. La nomina del Commissario ad acta, scelto tra i funzionari 
di altra Amministrazione, non si esaurisce dunque nella funzione meramente 
esecutiva del giudicato, ma spesso impone un�attivit� con caratteri di 
novit� rispetto allo stesso. Di qui gli annosi problemi sul difficile equilibrio, 
nel giudizio di ottemperanza, del rapporto istituzionale fra Amministrazione 
e potere giurisdizionale, nonch� della natura giuridica del Commissario ad 
acta ibridamente oscillante tra quella di organo straordinario dell�Amministrazione 
(con la conseguente possibilit� di impugnazione dei suoi atti davanti 
al giudice amministrativo) e quella di ausiliario del giudice (comunque non 
dotato di poteri giurisdizionali, ma autore in ogni caso di atti inquadrabili nel 
giudizio di esecuzione e come tali tutelabili sotto l�indirizzo del giudice dell�ottemperanza). 
Ma su questo il decreto glissa ed oltre alla vacuit� delle disposizioni 
procedurali, non sembra essere esaustivo circa le ipotesi 
configurabili. 
Riteniamo necessario distinguere i casi di disservizio da quelli in cui l�intervento 
del Commissario ad acta si innesti sul silenzio-rifiuto dell�Amministrazione 
ex art. 21-bis legge Tar, introdotto dall�art. 2 della legge 205/2000. 
In questo caso la legge non richiama le disposizioni sul giudizio di ottemperanza; 
l�intervento del Commissario si svolge non tanto ai fini della �esecuzione� 
di una sentenza (la sentenza nel caso di �silenzio�, si limita ad ordinare 
all� Amministrazione di provvedere), ma comporta la sostituzione di un�Amministrazione 
rimasta inerte. 
La peculiarit� dell�intervento del Commissario nel caso del �silenzio� 
trova conferma nella specialit� della procedura: non si applicano le norme 
sullo svolgimento del giudizio di ottemperanza e la giurisprudenza sottolinea 
che la nomina del Commissario non interviene in un giudizio di esecuzione, 
ma nella seconda �fase� di un giudizio unitario sul �silenzio�. La peculiarit� 
trova inoltre conferma nel fatto che la nomina del Commissario non � in alternativa 
ad un intervento diretto del giudice (nel caso del silenzio il giudice 
non pu� sostituirsi all�Amministrazione, ma deve sempre procedere alla nomina 
del Commissario) e che il ruolo del giudice si esaurisce in siffatta nomina, 
senza che sia prevista la permanenza di poteri di vigilanza e di intervento
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 351 
rispetto al suo operato. La figura del Commissario, nel caso di silenzio, sembra 
pertanto corrispondere a quella di un organo straordinario dell�Amministrazione. 
Ritenendo opportuno approfondire aspetti tecnici processuali, segnaliamo 
che la giurisprudenza amministrativa, confrontandosi con le specificit� del 
giudizio de quo, si � espressa nei termini di un giudizio unitario, avente un 
duplice oggetto, misto di accertamento e di condanna, in cui al giudice � consentito 
non solo di pronunciare sull�inadempimento dell�amministrazione, ma 
anche di ordinarle di provvedere sull�istanza e di nominare un Commissario 
ad acta (18). 
Il rito speciale relativo all�obbligo di provvedere cumula tre tipi di procedimenti: 
la fase cautelare o accelerata, senza escludere in assoluto la tutela 
cautelare urgente; la fase della condanna ad adempiere all�obbligo di provvedere 
in seguito al silenzio dell�amministrazione; la fase dell�ottemperanza, 
come si desume dalla possibilit� di nominare un commissario che provveda 
in luogo della amministrazione pervicacemente inadempiente, pur a seguito 
della condanna a provvedere. 
Chiariti i profili processuali, sar� il decreto delegato a definire la procedura 
di adesione all�azione collettiva, ma � prevedibile che sar� analoga a 
quanto gi� definito nel settore privato. Con un meccanismo cio� di opt in (al 
contrario di quanto avviene negli Stati Uniti), per il quale cio� serve un�esplicita 
manifestazione di volont� per l�ingresso nella �classe� dopo che sono state 
poste in essere adeguate forme di pubblicit� dell�avvio dell�azione. 
La previsione delle spese a carico del proponente/proponenti nulla dispone 
in ordine all�eventuale regime di solidariet� nella individuazione della 
relativa responsabilit�. 
Questo aspetto si riversa sulla pubblicit� (intesa qui nel senso dell�ontologica 
afferenza ad interessi pubblici) della sentenza, anche nei casi in cui non 
vi sia condanna dell�Amministrazione, non potendosi configurare l�onerosit� 
delle spese a carico dei proponenti, data la connotazione fisiologicamente pubblicistica 
del decisum de quo. 
La differenza tra le due tipologie di azioni, nel caso di privatizzazione di 
servizi essenziali, pone problemi all�attore della class action sulla determinazione 
del convenuto (Pubblica Amministrazione o societ� privata). 
Su questo va riaffermato che la riserva ex art. 43 Cost. ha in s� una connaturale 
essenza dei diritti sociali volta alla soddisfazione di prestazioni essenziali 
alla convivenza civile; per cui la riserva non si esaurisce o non si 
dismette con la privatizzazione ma conserva in s� un potere assoluto da non 
confondersi con la culpa in vigilando. Il disservizio compiuto da una societ� 
(18) Cons. Stato, 17 gennaio 2001, 2001, p. 647. 
352 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
epilogo di un processo di privatizzazione, vedr� convenuta non solo la societ� 
erogatrice del servizio ma come anche e necessariamente l�Ente che abbia dismesso. 
In ogni caso rimane impregiudicato il risarcimento. 
Non a caso le lobbies si sono mosse immediatamente avvertendo il pericolo 
di azioni collettive esercitate nei confronti degli enti ex-municipalizzati, 
ovvero societ� di servizi a capitale misto pubblico-privato. 
11. Considerazioni conclusive 
Avviandoci alle conclusioni coerenti alle premesse che hanno ispirato 
l�indagine, sempre pi� nelle situazioni reali cui il diritto deve sempre confrontarsi 
per acquistare effettivit�, si rivela l�esigenza del mantenimento della riserva 
pubblica soprattutto, ma non unicamente in tutti quei servizi la cui 
essenzialit� non si confronta unicamente con l�esigenza sociale della parte debole, 
ma addirittura con la tutela della persona universalmente riconosciuta (� 
il caso dei servizi essenziali di collegamento del territorio con le isole quali il 
caso della Tirrenia che impone che alla sostenibilit� economica debba anteporsi 
una effettivit� che la rende giuridicamente compatibile all�obiettivo perseguito). 
In questa linea di empirismo risolutivo con riguardo alla tutela processuale 
della propriet� e dei servizi pubblici il nostro sforzo � stato indirizzato 
alla costruzione di un possibile percorso procedimentale alla luce di una attivit� 
ermeneutica compatibile coi principi amminstrativi vigenti, tenendo conto 
della specifica funzione di monitoraggio dell�attivit� della P.A. (art. 97 Cost.) 
che lo strumento collettivo di azione ambisce ad assolvere. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 353 
La transazione fiscale e il concordato preventivo 
Riflessioni a margine di un caso concreto 
Paolo Superbi* 
SOMMARIO: 1) Introduzione 2) Il carattere endoconcorsuale dell�istituto 3) Il consolidamento 
del debito tributario 4) La cessazione della materia del contendere 5) QualՏ la sorte 
del credito iva? 6) Conclusioni. 
1. Introduzione 
Con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, emanato in attuazione del d.l. 14 maggio 
2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 maggio 2005, n. 80, 
il legislatore ha riformato organicamente la disciplina delle procedure concorsuali 
apportando al R.D. 16 marzo 1942, n. 267 importanti innovazioni di carattere 
sostanziale. 
Nel tentativo di abbandonare l�originaria impostazione sanzionatoria della 
crisi dell�impresa, la nuova legge fallimentare si caratterizza per la sensibilit� 
che il legislatore ha dimostrato in ordine alla tutela sia dei livelli occupazionali, 
sia dei beni produttivi, esigenze, queste, che rendevano l�impianto normativo 
originario non pi� adeguato al mutamento della realt� socio-economica. 
Nel delineare la nuova disciplina, il legislatore non si � pertanto limitato 
ad incidere sullo schema base di cui al R.D. n. 267/1942 modificando il contenuto 
di talune disposizioni, ma ha introdotto ex novo alcuni innovativi istituti, 
fra i quali quello previsto dall�art. 182-ter della l.f., ossia la transazione fiscale. 
Successivamente, sulla scia dei numerosi interrogativi ermeneutici posti 
dalle prime applicazioni della normativa de qua, il legislatore � stato costretto 
ad intervenire dapprima con il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con cui � stata 
estesa l�applicabilit� della transazione fiscale (in un primo tempo prevista per 
il solo concordato preventivo) anche agli accordi di ristrutturazione del debito 
di cui all�art. 182-bis della l.f., nonch�, in seguito, con il d.l. 2 novembre 2008, 
n. 185, convertito con modificazioni, dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2. 
L�antecedente storico della transazione fiscale � unanimemente individuato 
nella c.d. transazione sui ruoli d�imposta di cui all�ormai abrogato art. 
3 del d.l. n. 178/2002, con cui si consentiva all�Agenzia delle Entrate, successivamente 
all�inizio dell�esecuzione coattiva, di procedere alla transazione dei 
tributi iscritti a ruolo, il cui gettito fosse di esclusiva spettanza dello Stato, in 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura distrettuale dello 
Stato di Bologna. 
354 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
caso di maggiore economicit� e proficuit� rispetto alla riscossione coattiva, 
quando nel corso della procedura esecutiva emergeva l�insolvenza del debitore 
o questi era assoggettato a procedure concorsuali. 
La peculiarit� dell�istituto era da individuare nel fatto che l'accordo transattivo, 
essendo di natura stragiudiziale e non essendo inserito in una procedura 
concorsuale, era da ritenere, secondo un parere del Consiglio di Stato 
recepito dall'Agenzia delle Entrate (1), atto dispositivo soggetto alle regole 
generali dettate in tema di revocatoria nell'ipotesi di successivo fallimento del 
contribuente, pur riguardando il pagamento di imposte scadute. 
Con ci� si voleva dire che, in caso di successivo fallimento del debitore, 
l'Amministrazione finanziaria si sarebbe trovata esposta all'azione revocatoria 
fallimentare, non essendo possibile invocare la norma di cui all�art. 89 del 
d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, che sottrae appunto il pagamento di imposte 
scadute a questo tipo di azione (2). 
Ci� spiega l'orientamento assunto dall'Agenzia delle Entrate nella citata 
circolare, secondo il quale era da escludere la possibilit� di concludere accordi 
transattivi con debitori che rivestivano la qualifica di imprenditore commerciale 
e rientranti fra i soggetti assoggettabili a fallimento, secondo i criteri previsti 
nell'art. 1 della l.f., "se non a condizione che l'accordo proposto 
all'Agenzia si inserisca in un piano di riassetto dell'impresa di pi� ampia portata 
e di ristrutturazione del debito che preveda il coinvolgimento di tutti i creditori 
...". 
Con tale orientamento si limitava notevolmente lo spettro di operativit� 
della norma, che poteva essere invocata solo da soggetti non fallibili, cio� previsti 
fra le categorie di "piccoli" imprenditori esclusi dal fallimento ai sensi di 
quanto disposto al comma 2 del citato art. 1 della l.f., o da imprenditori commerciali 
per i quali era gi� stata avviata una procedura concorsuale. 
In questo quadro, ben si possono comprendere le ragioni che spinsero il 
legislatore, con l�art. 1, co. 5 della l. 14 maggio 2005, n. 80 a prevedere, quale 
principio direttivo della riforma delle procedure concorsuali, la riconduzione 
della transazione in sede fiscale alla disciplina del concordato preventivo. 
La transazione fiscale, a prescindere dai molteplici dubbi ermeneutici che 
ha sollevato, costituisce un punto di osservazione privilegiato del mutevole 
rapporto tra moduli autoritativi e moduli consensuali nell�attuazione del tributo. 
Ci� premesso, con il presente lavoro si intende focalizzare l�attenzione 
su alcuni dei principali risvolti interpretativi sollevati dall�istituto de quo prendendo 
spunto da un caso concreto, deciso dal decreto della Corte d�Appello 
di Bologna 22 febbraio 2010, con cui l�organo giudicante ha respinto il re- 
(1) Circ. 4 marzo 2005, n. 8/E, www.agenziaentrate.it. 
(2) GOLINO, �La transazione fiscale e gli accordi di ristrutturazione dei debiti�, Il fisco, n. 46, 17 
dicembre 2007, p. 6701.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 355 
clamo proposto dall�Agenzia delle Entrate e dall�Agente della riscossione avverso 
il decreto del Tribunale fallimentare con cui il giudice di prime cure ha 
omologato il concordato preventivo. 
Con la pronuncia in commento la Corte d�appello di Bologna affronta 
due questioni di estremo interesse. 
Con la prima, di natura procedurale, ci si chiede se l�imprenditore che intenda 
proporre il pagamento dilazionato o falcidiato dei crediti tributari in sede 
di concordato preventivo debba in ogni caso seguire le modalit� procedurali 
di cui all�art. 182-ter della l.f., o se, invece, la transazione fiscale rappresenti 
una mera facolt� a disposizione dell�imprenditore da esercitare nell�ottica del 
conseguimento di determinati effetti. 
Con la seconda, di carattere sostanziale, ci si chiede quale sia la sorte del 
credito IVA, se non altro per ci� che attiene, come nel caso di specie, alle proposte 
di concordato presentate prima dell�entrata in vigore del sopra richiamato 
d.l. 2 novembre 2008, n. 185 che, intervenendo sul punto, ne ha espressamente 
escluso la falcidiabilit�, ammettendone, per converso, la mera dilazionabilit�. 
Vale la pena premettere sin d�ora come l�istituto de quo sia astrattamente 
idoneo a realizzare un triplice ordine di effetti: 
- la dilazione/falcidia dei crediti tributari; 
- il consolidamento del debito tributario; 
- la cessazione della materia del contendere nelle liti tributarie relative ai 
tributi oggetto della transazione. 
La breve disamina dei passaggi pi� significativi del decreto in commento 
consentir� di mettere in evidenza la diversit� delle prerogative di cui � titolare 
il Fisco nell�ambito della procedura concordataria e, conseguentemente, le diverse 
condizioni cui � subordinata la realizzazione degli obiettivi che il legislatore 
ha inteso perseguire disciplinando la transazione fiscale. 
2. Il carattere endoconcorsuale dell�istituto 
Con riguardo alla prima delle due questioni esaminate dai giudici felsinei, 
la Corte d�appello, in adesione alla tesi fatta propria dal tribunale sostiene che 
�la presentazione della proposta di transazione fiscale, pur in presenza di crediti 
erariali, non � necessaria per ottenerne la falcidia, ma costituisce una 
mera facolt� attribuita al debitore che intenda ottenere gli effetti tipici dell'art. 
182 ter l.f., e cio� il consolidamento del debito tributario e la cessazione della 
materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi compresi nella proposta 
di transazione�. 
Gli argomenti a favore di questa tesi sono desunti in primo luogo dal dato 
letterale della disposizione in base alla quale �il debitore pu� proporre il pagamento 
parziale o dilazionato (�)� e non �deve proporre� ci� che starebbe
356 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
a significare l�assoluta facoltativit� della transazione fiscale (3). 
Soccorrerebbero inoltre ulteriori esigenze di carattere sistematico: poich� 
l�art. 2778 c.c. colloca il credito IVA al 19� grado e poich� l�art. 160, c. 2 della 
l.f. prevede il divieto di alterare l�ordine dei privilegi, ritenere necessario il ricorso 
alla transazione fiscale in presenza di un credito IVA implicherebbe prevedere 
il soddisfacimento integrale di tutti i crediti privilegiati di rango 
superiore, il che equivarrebbe a rendere di fatto non praticabile il ricorso al 
concordato preventivo (4). 
Ma l�ulteriore argomento utilizzato dall�organo giudicante su quale si intende 
concentrare l�attenzione � quello per cui �in esito alla transazione, l'Amministrazione 
Finanziaria ed il concessionario del servizio di riscossione sono 
chiamati ad esprimere il proprio voto come ogni altro creditore, sicch� la proposta 
di concordato � approvata, in caso di raggiungimento della maggioranza 
prescritta, anche nell'ipotesi di voto contrario della amministrazione 
fiscale. Ed allora, come condivisibilmente osservato dalla giurisprudenza 
sopra richiamata (5), se l'eventuale dissenso dell'Amministrazione Finanziaria 
non impedisce l'omologabilit� del concordato ove si raggiungano le maggioranze 
prescritte dall'art. 177 l.f., non si comprende per quale ragione la transazione 
fiscale dovrebbe essere considerata una strada proceduralmente 
obbligata, cos� da imporre all'imprenditore che proponga il concordato di tentare 
comunque il raggiungimento dell'accordo con le agenzie fiscali fin dal 
momento del deposito della domanda presso il Tribunale, con l'attivazione 
della procedura descritta nei commi 2 e 3 dall'art. 182 ter�. 
In altre parole, e con questo riassumendo il pensiero dell�organo giudicante, 
poich� la funzione della transazione fiscale � quella di consentire il consolidamento 
del debito tributario e la cessazione della materia del contendere 
nelle liti tributarie gi� insorte e poich� in ogni caso il voto dissenziente dell�amministrazione 
finanziaria � ininfluente ai fini dell�omologabilit� del concordato, 
qualora sullo stesso si formino le maggioranze previste dalla legge, 
allora ne discende che la strada della transazione fiscale si pone come obbligata 
nel solo caso in cui il contribuente voglia mettersi al riparo dalle future azioni 
accertatrici. 
Ora, � indubbio che la lettera dell�art. 182-ter l.f. non esprima un conte- 
(3) In realt�, l�utilizzo della forma verbale �pu�� ben pu� essere riferita al fatto che il legislatore 
considera valutazione rimessa alla discrezionalit� del debitore quella inerente la scelta di proporre o 
meno il pagamento dilazionato o falcidiato del credito tributario e che, una volta risolto in senso positivo 
il quesito, tale opzione non possa che essere concretizzata attraverso la procedura di cui all�art. 182-ter. 
(4) Tale argomento risulta tuttavia privo di pregio in quanto la non falcidiabilit� del credito IVA 
era stata dall�Erario argomentata sulla base di presupposti diversi, ossia sulla sua riconduzione al novero 
dei tributi costituenti risorse proprie dell�Unione Europea per i quali, gi� dalla prima formulazione della 
norma, ne era esclusa la transigibilit�. 
(5) Trib. La Spezia, decreto 1 luglio 2009, in www.ilcaso.it.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 357 
nuto normativo di chiara e agevole interpretazione (6) e che, al contrario, le 
lacune e le contraddizioni della disposizione offrono all�interprete spunti per 
sostenere ipotesi esegetiche totalmente divergenti. 
Mentre nel primo capoverso del comma primo viene disposto che il debitore 
pu� proporre il pagamento anche parziale dei tributi �limitatamente alla 
quota di debito avente natura chirografaria�, nel terzo capoverso la norma aggiunge 
che �se il credito tributario � assistito da privilegio la percentuale e i 
tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a 
quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore�. 
Nei primi commenti alla normativa, era emerso il dubbio se il debitore 
concordatario potesse estendere la sua richiesta di transazione fiscale anche 
ai crediti privilegiati o se, invece, si dovesse attribuire rilevanza decisiva all�inciso 
contenuto nel primo capoverso e quindi sostenere l�utilizzabilit� di 
tale strumento �limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria�. 
Inoltre, poich� nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 
169/2007 vigeva nel concordato preventivo la regola per cui i creditori aventi 
diritto di prelazione dovessero essere soddisfatti integralmente e poich� tale 
prescrizione mal si conciliava con la previsione della falcidiabilit� del credito 
tributario privilegiato, si era in un primo tempo sviluppato un orientamento 
giurisprudenziale tale per cui il rapporto tra concordato preventivo e transazione 
fiscale era ricostruito in termini di assoluta autonomia (7). 
Tuttavia, in seguito alle modifiche, ad opera del d.lgs. n. 169/2007, dell�art. 
160 l.f. e l�inserimento al comma II della possibilit�, anche nell�ambito 
del concordato preventivo, di soddisfare anche in misura parziale i crediti privilegiati, 
nella giurisprudenza successiva si � consolidata un�opinione di segno 
contrario tale per cui la transazione fiscale si configura quale istituto endoconcorsuale 
alla cui definizione si pu� addivenire nel caso di procedure che 
coinvolgono il creditore-Fisco unitamente agli altri creditori (8). 
In altre parole, la transazione fiscale costituirebbe parte integrante del 
concordato preventivo e ne condividerebbe gli effetti, con la conseguenza che 
i crediti tributari privilegiati restano soggetti all�esito della votazione del concordato 
e del giudizio di omologazione (9). 
(6) La disposizione in commento � stata definita �tormentata e ambigua� da LA ROSA, �Accordi 
e transazioni nella fase della riscossione dei tributi�, Riv. Dir. Trib., 2008, I, 230. 
(7) RANDAZZO, �Il consolidamento del debito tributario nella transazione fiscale�, Riv. Dir. Trib., 
2008, 10, p. 825, il quale richiama due decisioni giurisprudenziali che avevano accolto tale impostazione, 
ossia Trib. Bologna, decreto 26 ottobre 2006, e Trib. Messina, decreto 29 dicembre 2006. L�A. sottolinea 
come l�Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 40/E del 18 aprile 2008 sia rimasta ancorata a questa 
impostazione nonostante la sopra richiamata modifica normativa. 
(8) MOSCATELLI, �Crisi dell�impresa e debito tributario: riflessioni sulla transazione fiscale�, 
Rass. Trib., n. 5, 2008, p. 1317. 
(9) Cfr., ex multis, Trib. Mantova, decreto 26 febbraio 2009, Trib. Roma, decreto 27 gennaio 2009, 
secondo cui �va sostenuta la non autonomia dell�istituto della transazione fiscale rispetto al concordato
358 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
Da ci� si ricava l�ulteriore corollario che l�Amministrazione finanziaria 
non � titolare di un potere di veto tale da consentirle, esprimendo in sede di 
adunanza dei creditori il proprio dissenso alla proposta, di pregiudicare l�omologabilit� 
del concordato qualora sullo stesso si formino le maggioranze previste 
dalla legge. 
Insomma, all�interno della procedura di concordato preventivo la posizione 
del Fisco risulta parificata a quella degli altri creditori. 
Tutto ci� premesso, � ora possibile affrontare il quesito di partenza: � corretto 
ricavare da questa impostazione il carattere meramente facoltativo della 
transazione fiscale, considerando lo stesso come un�opportunit� a disposizione 
del contribuente che intenda ottenere gli effetti di consolidamento del debito 
tributario e di cessazione della materia del contendere? 
Come osservato in dottrina (10), il difficile equilibrio tra procedure concorsuali 
e fiscalit� � sempre stato condizionato, per un verso, dalle rigidit� 
delle pretese del Fisco, caratterizzate dall'indisponibilit� dell'obbligazione tributaria 
e dal regime pubblicistico del rapporto tra ente impositore e contribuente, 
e per altro verso dalla c.d. specialit� del diritto tributario che per tale 
sua natura � stato spesso ritenuto prevalente sulle regole della concorsualit�. 
Ora, nell�attuale formulazione, il legislatore persegue senz�ombra di dubbio 
una progressiva assimilazione delle ragioni creditorie del Fisco rispetto a 
quelle degli altri creditori, escludendo che la soddisfazione del primo sia garantita 
in via preferenziale o in virt� di procedure differenziate rispetto a quelle 
che coinvolgono gli altri creditori, disciplinando invece la possibilit� di un accordo 
con l�Amministrazione Finanziaria necessariamente nel contesto concorsuale 
della procedura di concordato preventivo (nonch� degli accordi ex 
art. 182-bis). 
Da un punto di vista pi� pragmatico, l'istituto della transazione fiscale ha 
sullo sfondo la presa d'atto dell'inutilit� dell'ostinazione sul pagamento integrale 
del tributo nei casi in cui l'incapienza del patrimonio del debitore renderebbe 
inefficace o solo potenzialmente efficace la riscossione, rappresentando 
una forma di bilanciamento tra il principio di indisponibilit� dell'obbligazione 
tributaria (su cui vedi infra) e il regime della par condicio creditorum (11). 
In altri termini, se ai fini dell'omologabilit� del concordato preventivo 
preventivo, invero tale istituto non costituisce un vero e proprio negozio a contenuto transattivo, poich� 
non � prevista la stipula di un accordo contenete reciproche concessioni�, Trib. Piacenza, decreto 3 
luglio 2008, Trib. Pavia, decreto 8 ottobre 2008, in base al quale �la transazione fiscale costituisce una 
fase del concordato preventivo e l�accordo si identifica col concordato stesso; ne consegue che l�Agenzia 
delle Entrate ed il concessionario resteranno soggetti all�esito della votazione concordataria�, consultabili 
su www.ilcaso.it. 
(10) DEL FEDERICO, �La nuova transazione fiscale secondo il Tribunale di Milano: dal particolarismo 
tributario alla collocazione endoconcorsuale�, Fall., n. 3/2008, p. 92. Cfr. LO CASCIO. 
(11) ATTARDI, �Inammissibilit� del concordato preventivo in assenza di transazione fiscale�, Il 
Fisco, n. 39, 26/102009, p. 1-6435.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 359 
pare corretto ritenere che, in sede di adunanza dei creditori la posizione del 
Fisco sia parificata rispetto a quella degli altri creditori, occorre per� evitare 
il rischio, in cui incorre la Corte d'Appello bolognese, di ricavare da questa 
affermazione conseguenze applicative avulse dalle ben pi� complesse esigenze 
che la transazione fiscale � chiamata a contemperare. 
In questo senso, si � in dottrina sottolineato come la transazione fiscale 
integri prima di tutto un subprocedimento amministrativo la cui funzione � innanzitutto 
quella di quantificare con certezza e stabilit� il credito tributario 
nell'ottica di una consapevole votazione del Fisco rispetto ai termini della proposta 
concordataria (12). 
Inoltre tale esigenza pu� risultare a sua volta strumentale rispetto alla limitazione 
del fenomeno delle rinvenienze dei crediti tributari nel corso della 
procedura o addirittura dopo l'esecuzione del concordato (quantomeno per i 
tributi cui � applicabile la transazione fiscale). 
In altre parole, tra gli scopi dell'istituto vi sarebbe quello, ulteriore, di assicurare 
un assetto certo e trasparente degli effetti della procedura (13). 
3. Il consolidamento del debito tributario 
Con le considerazioni sopra svolte si � tentato di dimostrare l�imprescindibilit� 
della transazione fiscale quale istituto finalizzato alla procedimentalizzazione 
della volont� amministrativa. 
Scopo del presente paragrafo � pertanto quello di indagare un ulteriore 
profilo problematico, determinante ai fini di una migliore comprensione dell�istituto. 
Posto che la procedura di concordato preventivo � impermeabile rispetto 
al voto concretamente espresso dagli Uffici in sede di adunanza dei creditori, 
ci si chiede se il voto favorevole dell�Amministrazione Finanziaria possa essere 
ritenuto indispensabile se non altro ai fini della produzione degli ulteriori 
effetti scaturenti dalla transazione fiscale, ossia, da un lato, il consolidamento 
del debito tributario e, dall�altro lato, la cessazione della materia del contendere 
nelle liti tributarie insorte. 
Sotto il primo profilo, la dottrina ha sottolineato come la locuzione �consolidamento 
del debito tributario�, vera e propria novit� nel panorama legislativo, 
svolga la funzione di condensare il risultato di una serie di attivit� che, 
entro un breve termine, sia l�Agente della riscossione, sia l�Agenzia delle En- 
(12) ATTARDI, op. cit., DEL FEDERICO, �La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure 
concorsuali�. Tale posizione ha trovato riscontro anche in Trib. Roma, decr. 27 gennaio 2009 che �l'art. 
182-ter prevede esclusivamente una disciplina procedurale tale da consentire agli uffici fiscali di esprimere 
il proprio voto, al pari degli altri creditori (...)�. 
(13) DEL FEDERICO, �ult. op. cit.�.
360 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
trate sono chiamati ad espletare (14). 
Tali attivit� consistono in primo luogo nella liquidazione dei tributi risultanti 
dalle dichiarazioni e nella notifica dei relativi avvisi di irregolarit�, nonch�, 
in secondo luogo, nella certificazione attestante l�entit� del debito 
derivante da atti di accertamento ancorch� non definitivi, per la parte non 
iscritta a ruolo, nonch� dai ruoli vistati ma non ancora consegnati all�Agente 
della riscossione. 
Quanto alla tipologia di controlli concretamente esperibili dagli Uffici 
non si registra uniformit� di vedute. 
Secondo una prima impostazione, l�effetto del consolidamento si concentrerebbe 
esclusivamente sul profilo liquidatorio dei tributi, e non di accertamento: 
la brevit� del termine entro il quale espletare i controlli, se da un lato 
rende possibile l�attuazione della liquidazione dei tributi, dall�altro lato impedisce 
di fatto l�esercizio dell�attivit� accertatrice (15). 
Ne consegue che resterebbe impregiudicata la possibilit� di svolgere controlli 
sostanziali nonch� di emettere i relativi atti di accertamento negli ordinari 
termini di legge (16). 
A favore di questa soluzione viene altres� fatto notare che gli avvisi di liquidazione, 
a prescindere dalla loro variegata natura giuridica, per un verso, 
sono caratterizzati da controlli formali agevoli e celeri e, per altro verso, si 
pongono su un gradino di attendibilit� ben superiore all�atto di accertamento 
in senso stretto (17). 
Manca inoltre nella norma qualsiasi riferimento a tale preclusione rispetto 
all�esercizio del potere impositivo, preclusione che non pu� essere ricavata 
dalla regola sulla cessazione della materia del contendere (su cui vedi infra), 
istituto, questo, avente carattere meramente processuale e pertanto destinato 
ad operare esclusivamente nella fase contenziosa e non anche in quella amministrativa 
(18). 
Su questa linea di pensiero si � assestata la prassi amministrativa: l�Agenzia 
delle Entrate ha stabilito che anche l�eventuale accettazione degli Uffici 
(14) RANDAZZO, op. cit. 
(15) Secondo RANDAZZO, op. cit., la norma in esame fa riferimento al controllo formale che normalmente 
viene effettuato mediante le procedure automatizzate (art. 36-bis, d.p.r. n. 600/1973, art. 54- 
bis, d.p.r. n. 633/1972), controllo in ordine al quale pare ragionevole assegnare eccezionalmente il breve 
lasso temporale di 30 gg. dalla comunicazione del proponente. 
(16) ATTARDI, �op. cit.�, secondo cui i controlli sono riconducibili alla liquidazione dei tributi relativi 
alle dichiarazioni gi� presentate senza che l�Amministrazione Finanziaria possa ritenersi obbligata 
ad effettuare controlli sostanziali a carico del contribuente preclusivi di successive attivit� accertatrici. 
Aderisce a questa impostazione anche LA ROSA, �op. cit.�, secondo il quale occorrerebbe escludere che 
l�adesione dell�Amministrazione Finanziaria alla proposta di concordato formulata dall�imprenditore 
osterebbe al successivo esercizio dei normali poteri di accertamento e rettifica delle dichiarazioni dal 
medesimo presentate. 
(17) DEL FEDERICO, �La nuova transazione fiscale�� op. cit.. 
(18) Lo rileva ATTARDI, op. cit.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 361 
alla proposta di transazione non preclude l�espletamento di ulteriori attivit� di 
accertamento (19). 
Tale posizione � stata criticata da chi, in dottrina, ha fatto notare che, se 
l�intenzione del legislatore fosse stata quella di attribuire alla dichiarazione di 
voto degli Uffici ex art. 182-ter i medesimi effetti giuridici del voto espresso 
dagli altri creditori ai sensi dell�art. 178 l.f., non vi sarebbe stato alcun bisogno 
di disciplinare in termini cos� minuziosi l�attivit� di ricognizione della complessiva 
posizione debitoria dell�imprenditore concordatario perch� un simile 
risultato si sarebbe per esempio potuto ottenere integrando il precetto di cui 
all�art. 90 del d.p.r. n. 602/1973, ovvero in via amministrativa mediante il ricorso 
ad una fonte di normazione secondaria o di una circolare. 
In quest�ottica, non resta che attribuire alla locuzione �transazione fiscale� 
il significato che le � proprio di definitiva chiusura delle partite debitorie nei 
confronti del Fisco, onde consentire all�impresa di uscire dalla crisi e ritornare 
in bonis (20). 
Su queste basi, si � pertanto sviluppato un secondo orientamento che ritiene 
altres� indispensabile l�espletamento, da parte degli Uffici, delle attivit� 
che si concretizzano nei controlli c.d. sostanziali a carico del contribuente, 
come tali preclusivi di ulteriori attivit� accertative. 
Si sottolinea inoltre, in questo senso, che se gli Uffici potessero rivedere 
i risultati transati ai sensi dell�art. 182-ter l�istituto perderebbe efficacia e diverrebbe 
ben poco appetibile (21). 
Seguendo questo secondo filone interpretativo, che si ritiene maggiormente 
aderente alla ratio dell�istituto (ossia conservare i complessi aziendali 
come fonte produttiva di ricchezza e di nuova capacit� contributiva), si � sostenuto 
che, proprio perch� il voto da parte degli Uffici alla proposta concordataria 
� potenzialmente idoneo a produrre gli ulteriori effetti di definitiva 
quantificazione della complessiva situazione debitoria dell�impresa concordataria 
e di impedimento al successivo esercizio dei poteri accertativi sui rapporti 
tributari oggetto di transazione, risulterebbe scarsamente coerente 
disconoscere all�accordo cos� concluso una autonoma individualit� giuridica (22). 
E tale autonoma individualit� giuridica non pu� che esprimersi nella necessit�, 
ai fini degli affetti di consolidamento del debito tributario, dell�adesione 
(rectius accettazione) alla proposta da parte del Fisco (23). 
(19) Circ. 18 aprile 2008, n. 40/E, www.agenziaentrate.it. 
(20) STASI, op. cit. 
(21) TOSI, �Il delicato rapporto tra autorit� e consenso in ambito tributario: il caso della transazione 
fiscale�, Giust. Trib., n. 1/2008, p. 31 che stigmatizza la brevit� del termine a disposizione degli Uffici. 
(22) STASI, op. cit. 
(23) Dello stesso parere � FICARI, op. cit., che sottolinea il ruolo necessario della Direzione Regionale 
delle Entrate tale per cui il suo assenso costituisce condizione della perfezione ed efficacia dell�accordo.

362 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
In altri termini, il consolidamento del debito tributario prescinde totalmente 
dalla ricostruzione in chiave endoconcorsuale della transazione fiscale, 
manifestando al contrario quegli immanenti profili privatistici dell�istituto, tali 
da portare il legislatore a definire la transazione fiscale come �proposta di accordo� 
(art. 182-ter, II co., l.f.). 
4. La cessazione della materia del contendere 
Il penultimo comma dell�art. 182-ter l.f. dispone che �con l�omologazione 
del concordato preventivo si determina la cessazione della materia del contendere 
nelle liti aventi per oggetto i tributi di cui al comma 1�. 
In via preliminare va osservato che l�ambito di applicazione della disposizione 
potrebbe coincidere con quella transazione speciale idonea ad estinguere 
per novazione il rapporto preesistente che � la conciliazione giudiziale (24). 
Per altri, la norma sarebbe semplicemente pleonastica, posto che la legge 
processuale tributaria all�art. 46 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 prevede 
gi� che il giudizio si estingue in tutto o in parte nei casi di definizione delle 
pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni caso, di cessazione della materia 
del contendere (25). 
In linea generale, nel concordato preventivo non � previsto n� un procedimento 
di ammissione del credito n� una procedura di verifica dei crediti. 
Il commissario giudiziale procede al controllo dell�elenco dei creditori 
ed apporta le necessarie rettifiche; ciascun creditore pu� sollevare contestazioni 
sui crediti concorrenti, alle quali il debitore ha diritto di replicare fornendo 
al giudice i necessari chiarimenti. 
Il giudice pu� ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti 
contestati, ma ci� ai soli fini del calcolo delle maggioranze. 
Pertanto, tutte le questioni relative all�esistenza del credito, al suo ammontare 
e al grado di privilegio spettante trovano spazio nell�ordinario giudizio 
di cognizione o, per ci� che attiene agli atti impositivi, nel giudizio avanti 
il giudice tributario. 
In altre parole il divieto posto dal legislatore, per i creditori per titolo o 
causa anteriore al decreto di ammissione al concordato preventivo, di agire 
esecutivamente sul patrimonio del debitore, non elude la possibilit� di agire 
giudizialmente per l�accertamento dei crediti al fine di procurarsi titoli idonei 
per la successiva esecuzione. 
La conseguenza che se ne trae � che, per regola generale, la sentenza di 
omologazione del concordato preventivo, pur determinando un vincolo defi- 
(24) L�osservazione � di MANDRIOLI, �Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune 
normative e principi del concorso�, Giur. Comm., 2008, n. 2, p. 296. 
(25) ATTARDI, op. cit..
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 363 
nitivo sulla riduzione quantitativa dei crediti, non comporta la formazione di 
un giudicato n� sull�an, n� sul quantum, n� sul rango dei medesimi. 
Da ci� se ne � dedotto che, tramite il V comma dell�art. 182-ter l.f., il legislatore 
abbia voluto derogare alla predetta regola generale (26). 
Si tratta di stabilire se tale effetto rimanga attratto dal carattere endoconcorsuale 
dell�istituto (vedi supra), o se, invece, costituisca il punto di emersione 
delle immanenti connotazioni consensuali-privatistiche che la 
transazione fiscale reca con s�. 
In altri termini, occorre verificare se l�adesione dell�Amministrazione Finanziaria 
alla proposta di concordato possa ritenersi indispensabile rispetto 
alla definizione degli effetti processuali di definizione delle liti pendenti. 
A questo proposito, la lettera del V comma dell�art. 182-ter l.f. sembra 
subordinare la definizione delle controversie al passaggio in giudicato del certo 
di omologazione di cui all�art. 181 l.f. e non anche, quale effetto dell�accordo, 
all�adesione da parte dell�Agenzia delle Entrate alla proposta transattiva. 
Ci� significherebbe che l�art. 182-ter l.f. dispone la definitiva cessazione 
della materia del contendere in ordine alle liti tributarie per il solo fatto che il 
concordato venga omologato e, pertanto anche nelle ipotesi di mancata adesione 
da parte dell�Amministrazione finanziaria espressa mediante voto contrario 
alla proposta contenuta nella domanda di concordato preventivo, alla 
quale non rimarr� che la possibilit� di fare opposizione al giudizio di omologazione 
ex art. 180 l.f. (27). 
Secondo parte della dottrina, tuttavia, si tratta di un profilo di riemersione 
della connotazioni transattive dell�istituto che rappresenta la conseguenza 
dell�accordo perfezionatosi nell�ambito del concordato: in mancanza dell�adesione 
da parte dell�Amministrazione Finanziaria, l�effetto della cessazione 
della materia del contendere sarebbe precluso (28). 
In questo senso, secondo una pi� corretta lettura della norma, la chiusura 
della procedura di concordato ai sensi dell�art. 181 l.f. indicherebbe solamente 
il momento cronologico in cui ci� avviene, purch�, come si � detto, sul presupposto 
della previa adesione del Fisco alla proposta. 
5. QualՏ la sorte del credito iva? 
La disposizione in commento esordisce statuendo che �con il piano di cui 
all�art. 160, il debitore pu� proporre il pagamento parziale o anche dilazionato 
dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori (�) ad eccezione 
dei tributi costituenti risorse proprie dell�Unione Europea � dopo la 
(26) ATTARDI, op. cit. 
(27) L�osservazione � di MANDRIOLI, op. cit. 
(28) DEL FEDERICO, �La transazione...�, op. cit.
364 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
modifica apportata dal d.l. 2 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni, 
dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2, �con riguardo all�imposta sul valore 
aggiunto, la proposta pu� prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento�. 
In primo luogo si pone il problema della individuazione dei tributi amministrati 
dalle agenzie fiscali, in quanto soltanto ad essi torna applicabile la 
transazione fiscale. 
Come � noto, la legislazione non offre alcuna definizione di tributo, per 
cui il relativo concetto � di elaborazione dogmatico-giurisprudenziale, donde 
ovvie difficolt� interpretative ed applicative. 
La dottrina prevalente concepisce il tributo come �prestazione patrimoniale 
imposta, caratterizzata dall'attitudine a determinare il concorso alle pubbliche 
spese�; su posizioni analoghe si � posta anche la Corte costituzionale, 
affermando che la nozione di tributo Ǐ caratterizzata dalla ricorrenza di due 
elementi essenziali; da un lato, l'imposizione di un sacrificio economico individuale 
realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio; dall'altro, 
la destinazione del gettito scaturente da tale ablazione al fine integrare la 
finanza pubblica, e cio� allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario 
necessario a coprire le spese pubbliche�. In virt� di tale concezione 
unitaria dottrina e giurisprudenza prevalenti riconducono alla categoria del tributo 
le imposte, le tasse ed i contributi. 
Per quanto qui rileva l'art. 182-ter, nel fare riferimento ai tributi amministrati 
dalle sole agenzie fiscali, risolve alla radice la maggior parte delle problematiche 
qualificatorie. 
Quanto all�individuazione della nozione per amministrazione del tributo, 
occorre fare riferimento a quel fascio di poteri funzionali al controllo, all�accertamento 
e alla riscossione (29). 
Per le entrate pubbliche amministrate da soggetti diversi dalle agenzie fiscali 
l'art. 182-ter non potr� trovare applicazione, a prescindere dalla qualificazione 
tributaria, previdenziale, patrimoniale, ecc. (si pensi al caso dei tributi 
regionali e locali). 
Da ci� si ricava che i tributi che possono astrattamente costituire oggetto 
della transazione fiscale sono l�Irpef, l�Irap (30), l�Ires, con le relative addizionali 
e imposte sostitutive, imposta di registro, imposta ipotecaria e catastale, 
imposte di bollo, imposte sulle successioni e donazioni, imposta sugli intrat- 
(29) MAGNANI, op. cit. 
(30) DEL FEDERICO, �Commento sub art. 182-ter�, Il nuovo diritto fallimentare, coordinato da 
Jorio, diretto da Fabiani, precisa che con riguardo all�imposta sulle attivit� produttive, un primo orientamento 
valorizza, convincentemente, il criterio della competenza amministrativa a gestire il tributo e 
quindi giunge a ricomprendere tale imposta entro l�ambito di applicazione dell�art. 182-ter; viceversa 
un secondo e pi� restrittivo orientamento valorizza la titolarit� del tributo, sotto il profilo della spettanza 
del gettito, ovvero sotto il profilo della potest� legislativa.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 365 
tenimenti, tasse automobilistiche, tasse sui contratti di borsa, canone di abbonamento 
della televisione, imposta demaniali, dazi di importazioni e esportazione, 
imposte di fabbricazione e di consumo (31). 
Ci� premesso, nel caso di specie era stata posta all�attenzione dell�organo 
giudicante la questione della transigibilit� dell�IVA. 
In altre parole, poich� la proposta di concordato era stata avanzata prima 
dell�entrata in vigore del predetto d.l., era necessario stabilire se la soluzione 
ivi accolta avesse natura meramente interpretativa oppure innovativa della precedente 
formulazione della norma, con la conseguenza che solo nel primo caso 
della stessa si poteva fornire un�applicazione retroattiva (e quindi estesa anche 
al caso di specie). 
Si rendeva, in altre parole, necessario stabilire se l�IVA potesse essere o 
meno considerata tributo che costituisce risorsa propria dell�U.E.. 
La Corte d�appello, aderendo all�impostazione del Tribunale fallimentare, 
opta per la seconda soluzione osservando che �la nuova norma (�) ha carattere 
non gi� interpretativo ma innovativo della precedente formulazione in 
quanto detta una specifica disciplina per l�IVA distinguendo il trattamento di 
tale tributo, nell�ambito della transazione fiscale, sia da quello dei tributi che 
possono essere oggetto di falcidia sia da quello relativo ai tributi costituenti 
risorse proprie dell�U.E.�. 
Prima di capire se la soluzione proposta possa ritenersi corretta pare opportuno 
effettuare brevi cenni sul sistema di finanziamento dell�U.E. al fine 
di meglio precisare il ruolo svolto dall�IVA in questo contesto. 
Il finanziamento del bilancio comunitario tramite risorse proprie pur previsto 
nei trattati fu attuato con la Decisione 70/234/Cee-Euratom del 21 aprile 
1970 con la quale, accanto alle risorse proprie tradizionali costituite dai prelievi 
agricoli e dai dazi doganali, fu introdotta una risorsa proveniente dall�imposta 
sul valore aggiunto ottenuta applicando una percentuale non superiore 
all�1% ad una base imponibile determinata in modo uniforme in base a regole 
comunitarie (32). 
Successivamente, per fare fronte alle difficolt� del bilancio comunitario 
ed equilibrare la contribuzione tra gli stati fu introdotta un�altra risorsa propria 
basata sul Prodotto Nazionale Lordo degli Stati membri prevedendo dei correttivi 
per quei paesi che avevano denunciato una penalizzazione derivante 
dalle modalit� di calcolo delle risorse proprie, in particolare attuando man 
mano una diminuzione dell�importanza dell�IVA per il finanziamento comunitario 
culminata nel regolamento n. 1550/2000/Ce-Euratom del 22 maggio 2000. 
(31) STASI, �La transazione fiscale�, Fall., 2008, f. 7, p. 733. 
(32) Con l�introduzione della sesta direttiva 77/388/Cee del 17 maggio 1977 � stata stabilita la 
determinazione in modo uniforme della base imponibile IVA, concedendo agli stati membri la possibilit� 
di derogare alle disposizioni introdotte.
366 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
L�attuale disciplina delle risorse proprie scaturenti dall�IVA (33) risulta 
basata sul calcolo delle entrate nette riscosse da ciascun Paese membro nel 
corso di un anno, divise per l�aliquota media ponderata, che rappresenta, per 
ciascuno Stato membro, la media ponderata delle diverse aliquote applicabili 
alle operazioni gravate da IVA non detraibile. 
� evidente che l�onere gravante su ciascuno Stato, per ci� che riguarda il 
finanziamento comunitario, � direttamente collegato, da un lato, alla reale consistenza 
della base imponibile (dipendente dal valore dei consumi complessivi 
delle famiglie), ma anche, dall�altro lato, all�efficienza della singole amministrazioni 
nel reprimere le frodi ed evitare l�evasione dell�imposta (34). 
A ci� a vanno aggiunte ulteriori correzioni al fine di tenere eventualmente 
conto delle imposte non riscosse per effetto delle riduzioni accordate dagli 
Stati membri alle piccole imprese ai sensi dell�art. 24, par. 2, della Sesta Direttiva. 
Pur essendo chiaro il meccanismo di calcolo della risorsa proveniente 
dall�IVA, a partire dall�entrata in vigore dalla riforma della legge fallimentare 
si era andato sviluppando un dibattito, sia in dottrina, sia in giurisprudenza 
sulla riconducibilit� dell�IVA al novero dei tributi costituenti risorse proprie 
dell�Unione Europea. 
Secondo un primo orientamento, in ragione del legame di fondo sussistente 
tra la base imponibile comune e le entrate nette IVA percepite dagli Stati 
membri, ai fini della determinazione del gettito spettante all�U.E. risulta fondamentale 
la capacit� dello Stato di riscuotere il tributo in riferimento a tutte 
le operazioni tassabili, capacit� che risulterebbe compromessa ove fossero rese 
possibili modalit� transattive di riscossione dell�IVA (35), con la conseguenza 
che, tale tributo, proprio perch� costituente risorsa propria dell�U.E. sarebbe 
estraneo all�ambito di applicazione dell�istituto in commento. 
Diversamente argomentando, le tesi contrarie o considerano la quota IVA 
come mero trasferimento finanziario (36), oppure ritengono la base imponibile 
IVA mero parametro cui applicare l�aliquota uniforme che prescinde dalla riscossione 
dell�imposta dovuta dal singolo contribuente italiano, in maniera 
tale per cui, in realt�, la transazione fiscale non provocherebbe alcun effetto 
sull�imponibile nazionale in base al quale calcolare la risorsa IVA comunitaria (37). 
(33) Contenuta nella Decisione n. 2000/597/Cee-Euratom del 29 settembre 2000 e nei gi� menzionati 
regolamneti 
(34) ZATTI, �Il finanziamento dell�Unione Europea e il sistema delle risorse proprie�, Cedam, 
Padova, 2002, p. 10. 
(35) MAURO, �La problematica appartenenza dell�IVA all�ambito di applicazione della transazione 
fiscale nelle procedure concorsuali�, Riv. Dir. Trib., 2008, 10, p. 847. 
(36) DEL FEDERICO, �La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali�, Riv. 
Dir. Trib., 2008, I, p. 215, TOSI, �La transazione fiscale��, op. cit., FICARI, �Riflessioni su transazione 
fiscale e ristrutturazione dei debiti tributari�, Rass. Trib., n. 1/2009, p. 68.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 367 
N� � mancato chi ha sostenuto una tesi intermedia, adombrando la soluzione 
secondo cui, ferma restando la necessit� di corrispondere all�Unione Europea 
l�imposta derivante dall�applicazione delle modalit� di determinazione 
del gettito comunitario, � consentito transigere l�IVA nazionale a seguito dell�esercizio, 
da parte dell�Italia, delle facolt� di deroga alla disciplina comunitaria 
sulla riscossione del tributo che la Direttiva 2006/112/Ce concede ai 
singoli Stati membri. 
In ogni caso a dirimere il contrasto interpretativo insorto sul punto � intervenuto 
lo stesso legislatore che, facendo propria una posizione mediana, 
tramite l�art. 32 del d.l. 2 novembre 2008, n. 185, convertito in l. 28 gennaio 
2009, n. 2, ha ricondotto il credito IVA entro l�ambito di applicazione della 
transazione fiscale ma consentendone solamente la dilazione e non anche la 
falcidia. 
La norma non stabilisce un limite temporale alla possibile rateazione del 
pagamento ed � stato ipotizzato che il margine di dilazione ritenuto accettabile 
dagli Uffici possa essere piuttosto ampio (38). 
Nonostante il recente intervento normativo, tuttavia, l�argomento della 
transigibilit� del credito IVA non pu� dirsi certo esaurito. 
In primo luogo, l�Agenzia delle Entrate (39) ha precisato che il divieto di 
falcidia attiene solo alla sorte del debito d�imposta originario e non riguarda 
gli accessori e gli interessi che ne sono esclusi possono pertanto essere pagati 
in percentuale. 
La sorte del diverso trattamento tra sorte e accessori risiede nel fatto che 
solo il credito IVA vero e proprio partecipa alla determinazione del contributo 
italiano all�U.E. (vedi supra), sicch� sarebbe incongruo rispetto allo scopo 
estendere il divieto a interessi e sanzioni, cos� inutilmente appesantendo le 
prospettive del proponente e frustrando le stesse aspettative di maggior recupero 
da parte dell�Erario, nell�ambito del concordato, rispetto al fallimento. 
Un altro tema non del tutto definito riguarda il criterio del conteggio della 
falcidia massima consentita dalla legge. Essa � determinata dall�art. 160, terzo 
comma e dall'art. 182-ter, primo comma, l.f., con riferimento alla percentuale 
di abbattimento dei crediti privilegiati di grado inferiore o aventi interessi economici 
omogenei e, per i crediti chirografari, con riguardo al trattamento degli 
(37) Si tratta della posizione maggioritaria in giurisprudenza, cfr. Trib. Milano, decr. 13 dicembre 
2007, nonch� Trib. Pavia, decr. 8 ottobre 2008 secondo cui �la cosiddetta IVA comunitaria non � calcolata 
sul riscosso IVA nazionale cos� che la rinuncia alla riscossione di parte dell�imposta sul valore aggiunto 
� rinuncia propria dello Stato Italiano senza nessuna incidenza diretta o indiretta sul sistema di 
finanziamento comunitario�. Per l�orientamento contrario, cfr. Trib. Piacenza, decr. 1 luglio 2008. tutte 
le richiamate pronunce sono citate da PANNELLA, �L�incognita transazione fiscale�, Fall., n. 6/2009, p. 644. 
(38) LAMALFA, �L�Agenzia delle Entrate illustra l�estensione della transazione fiscale all�IVA�, 
Corr. Trib., n. 24/2009, p. 1946. 
(39) Circ. 10 aprile 2009, n. 14/E, www.agenziaentrate.it. 
368 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2011 
altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori 
rispetto ai quali � previsto il trattamento pi� favorevole, secondo la previsione 
dei primo comma dell'art. 182-ter, cos� come modificata dal d.l. n. 
185/2008. 
Ci� che non � chiaro infatti � se tale conteggio vada eseguito prendendo 
a parametro solo le voci escluse dal divieto - e cio� gli interessi e le sanzioni 
come tali - ovvero se possa essere rapportato all'intero credito originario unitariamente 
considerato, composto da sorte, interessi e rivalutazione. 
Se il credito IVA, pur se composto da pi� voci (sorte, interessi e sanzioni), 
viene in rilievo unitariamente ai fini dell'applicazione di questa norma (come 
in genere vengono in rilievo tutti i crediti nell'ambito delle procedure concordatarie), 
a prescindere dalla composizione interna delle singole imposte, potrebbe 
anche accogliersi la tesi pi� elastica, che comporterebbe in concreto un 
margine di abbattimento maggiore. 
Se invece la distinzione tra una parte falcidiabile ed una parte non falcidiabile 
viene riconnessa a differenze di tipo ontologico tra la sorte e gli accessori, 
allora sarebbe necessario calcolare la percentuale di falcidia di interessi 
e sanzioni solo sulle voci oggetto della falcidia stessa e non sull�intero credito 
(40). 
6. Conclusioni 
Alla luce della sommaria esposizione di alcune delle questioni interpretative 
cui ha dato luogo l�utilizzo della transazione fiscale nel concordato preventivo, 
si pu� tentare, in conclusione, di riassumere brevemente le 
considerazioni sopra svolte. 
Come detto, infatti, l�utilizzazione di questo istituto � strumentale rispetto 
alla realizzazione di tre ordini di effetti (vedi supra): falcidia/dilazione dei crediti 
tributari, consolidamento del debito tributario, cessazione della materia 
del contendere nelle liti tributarie insorte. 
D�altro canto, sui rapporti tra transazione fiscale e concordato preventivo 
si sono sviluppate tue tesi estreme. 
La prima, dominante in giurisprudenza, attrae tutti i suddetti effetti entro 
la logica concordataria, ritenendo totalmente irrilevante la posizione che il 
Fisco assume in ordine alla proposta del debitore, potendo il Tribunale, nell�esercizio 
del c.d. cram down power, giungere all�omologazione del concordato 
anche in presenza di un voto contrario espresso dall�Agenzia delle Entrate 
e/o dall�Agente della riscossione e, per tale via, ottenere tanto il consolidamento 
del debito tributario quanto la cessazione della materia del contendere. 
La seconda, di segno opposto, fatta propria dall�Agenzia delle Entrate, 
(40) LAMALFA, ult. op. cit.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 369 
oltre che da parte della dottrina, richiede il voto favorevole degli Uffici anche 
per ci� che attiene agli effetti di falcidia del credito erariale, cos� svalutando 
l�indefettibile connotazione endoconcorsuale che la - nuova - transazione fiscale 
reca con s�. 
A ben vedere, tuttavia, nessuna delle predette interpretazioni riesce a cogliere 
il dato fondamentale, ossia quello costituito dalla persistente ambiguit� 
dell�istituto sotto il profilo dell�individuazione della sua natura giuridica. 
Tale ambiguit� non � altro che il sintomo della polifunzionalit� della transazione 
fiscale, a sua volta espressione di quell�esigenza avvertita dal legislatore 
di contemperare, nell�ambito delle vicende della crisi d�impresa, le ragioni 
erariali da un lato e le peculiarit� della procedura concorsuale di concordato 
preventivo dall�altro lato. 
In altri termini, la transazione fiscale assume connotati ora proceduraliconcorsuali, 
ora privatistico-consensuali a seconda del tipo di effetto che si 
intende realizzare. 
In questo senso, con riguardo alla falcidia dei crediti tributari assumono 
indubbia preminenza i caratteri endoconcorsuali dell�istituto, con tutte le implicazioni 
sopra esposte. 
Diversamente, con riguardo sia all�effetto di consolidamento, sia alla cessazione 
della materia del contendere, ove rimangono estranee esigenze di tutela 
della par condicio creditorum, riemergono quelle sfumature contrattuali 
che rendono in quest�ottica indispensabile il voto favorevole del Fisco alla 
proposta concordataria. 
Il carattere polifunzionale dell�istituto rappresenta altres� l�argomento che 
consente di affermare la necessariet� della transazione fiscale tutte le volte in 
cui l�imprenditore in stato di crisi intenda accedere alla procedura di concordato 
preventivo, risultando altrimenti vanificata la consapevole espressione 
del voto da parte degli uffici in sede di adunanza dei creditori. 
Quanto al credito IVA, che normalmente costituisce una delle poste debitorie 
pi� considerevoli e ricorrenti nelle imprese in stato di crisi, � stato sottolineato 
come l�esclusione di tale tributo dalla falcidia concordataria non 
faccia altro che vanificare l�attrattiva della transazione fiscale (41), in un quadro 
complessivo che, complici le molteplici carenze dell�impianto normativo, 
evidenzia l�insuccesso dell�art. 182-ter (42). 
(41) ZENATI, �La transazione fiscale nella legge fallimentare�, Corr. Trib., n. 23/2008, p. 1896. 
(42) MINNITI, �La transazione fiscale: ultime novit� e proposte per un rilancio�, Riv. Dott. Comm., 
n. 1/2009, p. 127.
R E C E N S I O N I 
ALESSANDRA BRUNI - GIOVANNI PALATIELLO (*), La difesa dello 
Stato nel processo 
(�Modelli e tecniche dei processi civili�, Collana diretta da G. ARIETA e F. DE SANTIS, 
UTET GIURIDICA, 2011, pp. III-XXIV-344) 
Prefazione di Ignazio Francesco Caramazza (**) 
L�opera costituisce una monografia interamente dedicata al tema della difesa dello 
Stato nel processo, con particolare attenzione al processo civile ma con sostanziose trattazioni 
anche di quello penale, amministrativo e costituzionale. 
Il volume, dopo aver dato conto delle origini storiche e del processo evolutivo in Italia 
della difesa dello Stato in giudizio, si sofferma sulla nuova realt� dell�Amministrazione statale, 
che potrebbe dirsi �policentrica�, in quanto legata non pi� (o non solo) alla organizzazione 
per Ministeri, ma che abbraccia nuovi soggetti (quali, a titolo di mero esempio, le Agenzie e 
le cosiddette societ� pubbliche) formalmente distinti dallo Stato in senso stretto, e tuttavia 
preposti alla cura di interessi pubblici riferibili allo Stato medesimo. 
In tale ottica, particolare attenzione viene riservata al cosiddetto patrocinio autorizzato 
ex art. 43, r.d. n. 1611/19333, istituto particolarmente �flessibile�, che ben si adatta alla 
nuova fisionomia dell�Amministrazione statale e della Pubblica Amministrazione in generale. 
Il volume di Alessandra Bruni e di Giovanni Palatiello si segnala per l�incisivit� delle 
argomentazioni, per la chiarezza dell�esposizione e l�equilibrio delle soluzioni proposte ai 
numerosi problemi interpretativi posti dalla disciplina della difesa dello Stato in giudizio, con 
particolare attenzione dedicata alle pi� recenti modifiche normative che hanno profondamente 
innovato sia il processo civile, sia quello amministrativo. 
Si tratta di una delle rare opere che non si limitano ad una trattazione settoriale delle 
questioni legate al patrocinio dello Stato, proponendone, invece, una ricostruzione criticosistematica 
di ampio respiro, che offre a tutti gli operatori del diritto non solo una compiuta 
informazione ma anche una ricca messe di spunti di riflessione. 
(*) Avvocati dello Stato. 
(**) Avvocato Generale dello Sato.
Finito di stampare nel mese di aprile 2011 
Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. 
Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma