ANNO LXII - N. 4 OTTOBRE - DICEMBRE 2010 
RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 
PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO
COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Glauco Nori. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - 
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Getano Scoca. 
DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. 
COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Maurizio Fiorilli - Paolo 
Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Antonio Palatiello - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. 
CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - 
Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Maria Vittoria 
Lumetti - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - 
Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 
SEGRETERIA DI REDAZIONE: Antonella Quirini 
HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Mario Capolupo, Ignazio 
Francesco Caramazza, Dorian De Feis, Roberto De Felice, Enrico De Giovanni, Michele 
Gerardo, Gianni Letta, Sara Lucia, Grazia Matteo, Adolfo Mutarelli, Gabriella Palmieri, Carmela 
Pluchino, Jacopo Polinari, Marina Russo, Massimo Salvatorelli, Agnese Soldani, Daniele Spuri, 
Marco Stigliano Messuti, Barbara Tidore, Dalida Torsello, Francesco Vignoli, Mariagiovanna 
Zubbo. 
E-mail: 
giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 
maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829597 
antonella.quirini@avvocaturastato.it - tel. 066829205 
ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................� 40,00 
UN NUMERO .............................................................................................. � 12,00 
Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico 
bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 
42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare 
la spedizione, codice fiscale del versante. 
I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo 
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 
Stampato in Italia - Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966
INDICE - SOMMARIO 
TEMI ISTITUZIONALI 
Insediamento dell�Avvocato Generale dello Stato Ignazio Francesco Caramazza. 
Intervento del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio 
dei Ministri dott. Gianni Letta - Roma, 14 ottobre 2010 - Sala 
Vanvitelli, Palazzo S. Agostino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Discorso di insediamento dell�Avvocato Generale Ignazio Francesco Caramazza, 
Roma, 14 ottobre 2010 - Sala Vanvitelli, Palazzo S. Agostino . 
Codice del processo amministrativo - Circolare A.G.S. n. 52/2010 del 29 
settembre 2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Svolgimento della funzione consultiva - Circolare A.G.S. n. 53/2010 del 
12 ottobre 2010. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Mario Capolupo, Limiti all�accesso per i pareri legali dell�Avvocatura 
dello Stato (Cons. St., Sez. VI, sent. 30 settembre 2010 n. 7137). . . . . . 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 
Dalida Torsello, Evoluzione e problematicit� del diritto di accesso ambientale 
nell�ordinamento comunitario e nazionale. . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Maurizio Borgo, La censura della Consulta sulla �acquisizione sanante� 
dell�art. 43 del T.U.Espropri (C. cost., sent. 8 ottobre 2010 n. 293) . . . . 
Roberto De Felice, Sara Lucia, Un duplice commento alla decisione 22 
gennaio n. 1170 della Cassazione tributaria. Litisconsorzio necessario 
in caso di contenzioso a carico di una societ� di persone. Procedimento 
di prevenzione nella legislazione antimafia e sua opponibilit� al Fisco 
(Cass., Sez. V, sent. 22 gennaio 2010 n. 1170). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Grazia Matteo, Mariagiovanna Zubbo, Alloggio di servizio e �casa coniugale
� (Trib. Bari, Sez. Altamura, ord. 11 maggio 2010; Trib. Bari, Sez. 
II civ., ord. 11 maggio 2009) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Francesco Vignoli, Ammissibilit� della costituzione di parte civile nei confronti 
dell�ente imputato ex d.lgs. n. 231/01 (Trib. Milano. Sez. IV pen., 
ord. 16 settembre 2010) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 1 
�� 6 
�� 24 
�� 47 
�� 49 
�� 59 
�� 87 
�� 101 
�� 116 
�� 132
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Gabriella Palmieri, Accise sui tabacchi. Il depositario, che fruisce del regime 
di sospensione dall�accisa, � responsabile in caso di ammanco, da 
equiparare alla immissione in consumo - AL 46391/08 . . . . . . . . . . . . . . 
Agnese Soldani, Rito del lavoro: sulle conseguenze non decadenziali della 
notifica effettuata oltre il termine ordinatorio di 10 giorni prescritto dall�art. 
435, comma 2, c.p.c., (ma entro il termine a comparire di 25 giorni 
prescritto dal comma 3) per la notifica del ricorso in appello e del decreto 
di fissazione dell�udienza - AL 38942/09. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Stefano Varone, Sull�assunzione del patrocinio da parte dei docenti universitari 
a tempo definito in controversie contro le amministrazioni di appartenenza 
- AL 42048/09 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Carmela Pluchino, Applicabilit� della normativa in materia di Documento 
Unico di Regolarit� Contributiva (DURC) alle acquisizioni in economia 
di beni, servizi e lavori i sensi dell�art. 125 D.lgs 12 aprile 2006 n. 163 
(Codice dei contratti pubblici) - AL 15682/10 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Massimo Salvatorelli, Patrocinio extra districtum degli avvocati e procuratori 
dello Stato. Proposta per l�autorizzazione alla trattazione di giudizio 
incidentale dinanzi alla Corte costituzionale - AL 24626/10 . . . . . 
Barbara Tidore, Legge quadro per l�assistenza, l�integrazione sociale e i 
diritti delle persone handicappate: applicazione delle agevolazioni previste 
dall�articolo 33 comma 3 della legge 104/92 - AL 29102/10 . . . . . 
Dorian De Feis, Transazioni commerciali: non pu� considerarsi usuraio 
il tasso d�interesse direttamente stabilito dal decreto legislativo 9 ottobre 
2002, n. 231; per le cessioni di beni e servizi allo Stato l�obbligo del pagamento 
dell�IVA diviene esigibile all�atto dei relativi pagamenti; la parte 
soccombente in giudizio non � tenuta al rimborso dell�IVA sull�onorario 
legale ove la parte vittoriosa assistita sia a sua volta soggetto I.V.A - AL 
33552/10 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giuseppe Albenzio, Pubblico impiego contrattualizzato. Restitutio in integrum 
relativa a periodi di sospensione obbligatoria dal servizio conseguente 
all�adozione di misure restrittive della libert� personale - AL 90/06 
Marina Russo, Testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento 
e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle 
pubbliche amministrazioni. Pagamenti nei confronti delle societ� cessionarie 
in caso di fallimento della societ� cedente: spettanza dei crediti ceduti 
- AL 6569/10 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Enrico De Giovanni, Istanze di rimborso delle spese legali ex art. 18 D.L. 
n. 67/97. Proscioglimento ex art. 425 comma 3 cod. proc. pen.. Spettanza 
- AL 36023/10 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 137 
�� 141 
�� 156 
�� 158 
�� 162 
�� 164 
�� 166 
�� 170 
�� 172 
�� 176
Marco Stigliano Messuti, Responsabilit� esclusiva del Dirigente per le 
sanzioni amministrative irrogate per violazione della normativa in materia 
di �tutela della salute dei non fumatori�. Non addebitabilit� all�Amministrazione 
di appartenenza - AL 12531/10 . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Michele Gerardo, Adolfo Mutarelli, Indagine sul processo civile in Italia. 
Irragionevole durata del processo e possibili �ragionevoli� linee di intervento 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Jacopo Polinari, La possibile deflazione delle controversie amministrative. 
Transazione e altri mezzi di prevenzione e/o risoluzione. Premesse 
ad uno studio sull�arbitrato nel diritto amministrativo . . . . . . . . . . . . . . 
Francesco Vignoli, Il creditore erariale dissenziente al concordato preventivo. 
Spunti di riflessione tratti dalla giurisprudenza del Tribunale di 
Monza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 181 
�� 185 
�� 268 
�� 314
T E M I I S T I T U Z I O N A L I 
Insediamento dell�Avvocato Generale dello Stato 
Ignazio Francesco Caramazza 
Intervento del Sottosegretario di Stato 
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri 
dott. Gianni Letta 
Roma, 14 ottobre 2010 
Sala Vanvitelli, Palazzo S. Agostino 
Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente della Camera, Signora 
Vice Presidente del Senato, Signori Ministri, Autorit�. 
Nel portare oggi il saluto del Governo e mio personale al nuovo Avvocato 
Generale dello Stato Ignazio Francesco Caramazza, desidero vivamente rallegrarmi 
per una scelta felice, da tutti condivisa. Rivolgo, inoltre, un sincero 
ringraziamento all'Avvocato Fiumara e agli eminenti predecessori che, nel 
corso del tempo, hanno rivestito questa prestigiosa carica. 
Illustre Avvocato Generale, 
nel corso di un lunga carriera al servizio delle Istituzioni, ricca di riconoscimenti, 
Ella ha avuto modo di evidenziare qualit� professionali sempre spiccate.
Dal 1964 nell'Avvocatura dello Stato - Istituto da Lei coordinato per dieci 
anni come Segretario generale -, non vi � giurisdizione ove non abbia sostenuto 
con successo la difesa erariale nei pi� delicati processi. Ha, inoltre, operato 
sia in ambito internazionale, prestando la Sua consulenza a prestigiosi organismi 
delle Nazioni Unite, sia a livello di Governo, ricoprendo l'incarico di 
Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Interno. 
E' stato un impegno fecondo che, in altri ruoli, prosegue anche oggi. In 
questo momento, ad esempio, Ella sta dando alla Presidenza del Consiglio dei
2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
ministri - e in primo luogo a me - un contributo molto importante quale Vice 
Presidente della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. 
Nel ringraziarLa per il Suo aiuto, colgo l'occasione per estendere un sincero 
ringraziamento all'intera Avvocatura dello Stato, che assicura una preziosa 
funzione di supporto giuridico alle pubbliche amministrazioni. 
Quella dell'Avvocato dello Stato - come ebbe modo di ricordare un altro 
grande Avvocato Generale dello Stato, Giorgio Zagari -, � una figura peculiare, 
che partecipa, ad un tempo, della natura dell'avvocato, di quella del funzionario 
e, sotto un certo profilo, anche di quella del magistrato. Analoghe riflessioni 
riecheggiavano, ancor prima, in un dibattito parlamentare della fine dell'Ottocento. 
Come gli altri protagostisti del Foro, l'Avvocato dello Stato � in primo 
luogo un avvocato e deve impiegare le sue elevate competenze tecniche per 
conseguire un risultato processuale. 
Si tratta, tuttavia, di un'attivit� di difesa legale con connotati particolari, 
perch� per un verso essa � affidata a uno specifico ufficio statale al servizio 
esclusivo degli interessi pubblici - e in questo l'Avvocato dello Stato opera 
come un pubblico funzionario -, mentre, per altro verso, � esercitata in posizione 
di indipendenza funzionale rispetto alle autorit� politiche, e ci� avvicina 
l'Avvocato erariale al magistrato. 
Questi caratteri singolari hanno avuto modo di manifestarsi pienamente 
nel corso della storia dell'Avvocatura, ma erano rinvenibili con chiarezza gi� 
nei lineamenti fondativi dell'Istituto. 
Quanto alla posizione di indipendenza funzionale, ad esempio, gi� il 
primo Avvocato Generale dello Stato - Giuseppe Mantellini - nel suo celebre 
Decalogo invitava i suoi Avvocati dello Stato, "nel trattare gli affari erariali" 
a essere "prima giudici che avvocati". 
Parimenti, l'assunzione diretta da parte dello Stato della rappresentanza 
e difesa in giudizio delle pubbliche Amministrazioni, affidata ad un particolare 
corpo di avvocati pubblici, era un carattere gi� rinvenibile nell'Avvocatura 
regia del Granducato di Toscana, sul cui modello venne concepita l'Avvocatura 
erariale italiana. 
Questi elementi, pur importanti, non sono, tuttavia, sufficienti a descrivere 
compiutamente l'Avvocatura dello Stato. 
Occorre, infatti, fare cenno anche ad un altro fondamentale profilo che, 
anch'esso, caratterizza l'Istituto sin dalla sua nascita: l'essere un organismo, 
ad un tempo, unitario, per assicurare indirizzi omogenei alla difesa erariale in 
tutta l'Italia, e, contemporanemante, articolato sul territorio, a presidio delle 
diverse realt� locali che connotano il nostro Paese. 
Sotto questo profilo l'Avvocatura venne configurata, sin dal suo regolamento 
istitutivo del 1876, come organismo dotato di elevate competenze tecniche, 
che fosse coordinato a livello centrale, ma in grado di conoscere,
TEMI ISTITUZIONALI 3 
attraverso la rete delle Avvocature distrettuali, le specifiche esigenze locali. 
Se questi sono i caratteri che contraddistinguono da sempre l'Avvocatura 
dello Stato, � sorprendente notare quanto essi risultino attuali. 
Si considerino, in particolare, le due principali tendenze evolutive che caratterizzano 
il nostro ordinamento: l'una, in senso orizzontale, che si esprime 
attraverso quel processo di valorizzazione e incremento delle competenze regionali 
e locali, culminato nella modifica del Titolo V della Costituzione; l'altra, 
in direzione verticale, nel senso di ampliare progressivamente i livelli di 
integrazione del nostro ordinamento con realt� sopranazionali e internazionali. 
Quanto al primo aspetto, in un ordinamento che si avvia ad assumere un 
assetto federale, l'Avvocatura dello Stato, proprio per la sua struttura capillare 
e la sua posizione di indipendenza, si candida a svolgere un importante ruolo 
di collegamento e di mediazione fra le diverse Amministrazioni statali e fra 
queste, le Regioni e gli enti locali, conservando una visione d'insieme degli 
interessi pubblici. Del resto, sempre nel Decalogo di Mantellini si affidava, 
con lungimiranza, agli Avvocati dello Stato il compito di essere "pacieri sempre 
fra Stato e Comuni" - all'epoca principale forma di autonomia locale presente 
nell'ordinamento -, perch� i Comuni "sono parti di Stato". 
Questo ruolo acquista preminente rilievo soprattutto quando l'Avvocatura 
dello Stato svolge un'attivit� di consulenza legale. Ancor pi� della difesa giudiziaria 
- che comporta, talvolta, soluzioni obbligate -, la consulenza consente 
di garantire la tutela non tanto e non soltanto dell'interesse contingente e parziale 
della singola Amministrazione, ma anche degli interessi pubblici generali, 
realizzando in concreto il principio di legalit�. Il suo carattere tecnico consente, 
dunque, all'Istituto di tutelare gli interessi non solo dello Stato-apparato, ma 
anche dello Stato-comunit�. Riprova di questa attitudine � la proficua attivit� 
di assistenza che l'Avvocatura presta anche alle Autorit� indipendenti. L'Istituto 
�, inoltre, in grado di svolgere le sue funzioni in relazione alle nuove 
forme di organizzazione delle attivit� di rilevanza pubblica, come le societ� 
per azioni costituite per la privatizzazione di enti pubblici economici e aziende 
autonome. 
Questo compito - come si � innanzi anticipato - non � destinato ad affievolirsi, 
anzi, si rafforza con l'evoluzione della forma dello Stato in senso federale. 
La competenza tecnica e la visione unitaria espresse al livello pi� elevato 
dall'Avvocatura dello Stato costituiscono, ad esempio, un indispensabile ausilio 
nella gestione del contenzioso costituzionale tra lo Stato e le Regioni, al 
fine, da un lato, di ridurre la conflittualit�; dall'altro, di indirizzare l�attivit� 
dell'Amministrazione centrale nell'alveo dei principi delineati dalla Corte Costituzionale. 
Il Vostro Istituto assume, tuttavia, una posizione di rilievo anche rispetto
4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
all'altro importante cambiamento che sta interessando la nostra forma di Stato. 
Lo Stato nazionale, da alcuni decenni, si sta, infatti, evolvendo oltre la 
sua tradizionale dimensione interna di Stato-comunit� e il suo, pur indispensabile, 
profilo territoriale, per misurarsi e integrarsi sempre di pi� con ordinamenti 
giuridici sovranazionali e internazionali. 
Occorre, quindi, che lo Stato, nell'esercizio delle proprie funzioni, operi 
avendo riguardo ad un orizzonte pi� ampio di quello interno, perch� qualsiasi 
sua azione ha oggi ripercussioni anche oltre i confini del Paese. 
Questa evoluzione porta a valorizzare in modo particolare l'apporto dell'Avvocatura 
dello Stato, che assicura la difesa e la rappresentanza del nostro 
Paese anche nell'ambito di tali ordinamenti. 
L'attitudine dell'Istituto, maturata in primo luogo nel contenzioso costituzionale, 
a considerare in modo unitario e come espressione complessiva lo 
Stato, gioca un ruolo determinante proprio in questi nuovi ambiti. 
L'Avvocatura dello Stato partecipa, esprimendo le sue elevate competenze 
e la sua professionalit�, ai processi che si svolgono innanzi alle corti internazionali 
- come la Corte internazionale di Giustizia e la Corte europea dei Diritti 
dell'Uomo - in controversie di particolare complessit�. Ricordo, di recente, 
quella sulla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche. 
Un rilievo particolare assume, poi, l'attivit� defensionale svolta davanti 
alla Corte di Giustizia e al Tribunale dell'Unione europea. 
L'ampliamento del numero degli Stati componenti l'Unione europea a 27 
Paesi Membri, l'intensificarsi delle relazioni fra gli Agenti dei rispettivi Governi 
nazionali e l'entrata in vigore, dal 1� dicembre 2009, del Trattato di Lisbona, 
hanno reso ancor pi� centrale la funzione di rappresentanza degli 
interessi statali nella fase contenziosa e indispensabile la funzione di raccordo 
fra la difesa innanzi ai Giudici nazionali e quella innanzi ai Giudici dell'Unione 
europea. 
Il ruolo dell'Avvocatura dello Stato � altrettanto prezioso nella fase precontenziosa 
delle relazioni con la Commissione europea, ove occorre rappresentare 
la posizione nazionale calandola nel peculiare contesto comunitario. 
Per tutte le ragioni esposte � indispensabile che l'Avvocatura dello Stato 
sia messa nelle condizioni di assolvere con efficacia alle sue delicate funzioni. 
Nei primi due anni di questo Governo sono stati adottati alcuni provvedimenti 
di natura organizzativa in favore dell'Avvocatura dello Stato mirati a 
rendere pi� agevole lo svolgimento dei suoi compiti istituzionali. 
Ulteriori interventi si rendono, peraltro, necessari. 
Il Governo non ignora, ad esempio, che la recente riforma del processo 
amministrativo, cos� come le modifiche al codice di procedura civile introdotte 
con la legge n. 69 del 2009, impongono anche all'Avvocatura dello Stato un 
significativo onere di adeguamento. 
Signor Presidente della Repubblica,
TEMI ISTITUZIONALI 5 
la storia di quasi centoquarant'anni di vita dell'Avvocatura dello Stato 
conferma che questa Istituzione ha sia le capacit� tecniche sia l'attitudine professionale 
per assolvere, con equilibrio e correttezza istituzionale, alle sue tradizionali 
funzioni e per svolgere tutti quei nuovi compiti imposti 
dall'evoluzione dei sistemi giuridici. 
L'Istituto, con le sue antiche origini - e proprio in ragione di esse -, si rivela 
particolarmente idoneo a rispondere alle continue modificazioni del nostro 
ordinamento. Esso, costituisce, oggi come in passato, una risorsa vitale e 
fondamentale per il Paese. 
A Lei, Avvocato Caramazza, e a tutti gli Avvocati e Procuratori dello 
Stato, a quelli che svolgono le proprie funzioni istituzionali a Roma e a quelli 
che operano in tutte le Regioni d'Italia, al personale dell'Avvocatura, i pi� fervidi 
auguri di buon lavoro.
6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Discorso di insediamento dell�Avvocato Generale 
Ignazio Francesco Caramazza 
Roma, 14 ottobre 2010 
Sala Vanvitelli, Palazzo S. Agostino 
SOMMARIO: 1.- Saluti e ringraziamenti 2.- Origini preunitarie dell�Istituto 3.- La regia 
Avvocatura erariale e l�Avvocatura dello Stato 4.- L�Avvocatura dello Stato dal 1948 ad oggi 
5.- La funzione consultiva 6.- L�organizzazione interna dell�Avvocatura dello Stato e l�aggiornamento 
professionale 7.- Attualit� e criticit� 8.- Il contributo fornito dalla digitalizzazione 
9.- Auspici di miglioramento 10.- Conclusioni. 
1.- Saluti e ringraziamenti 
Signor Presidente della Repubblica, 
a nome di tutta l'Avvocatura dello Stato desidero esprimerLe i sensi della 
pi� viva gratitudine per aver voluto onorare, con la Sua partecipazione, questa 
cerimonia di insediamento. 
Siamo particolarmente lusingati che essa si svolga al cospetto del Capo 
dello Stato, sommo garante della Costituzione e dell'unit� nazionale, che si � 
sempre dimostrato attento e sensibile ai problemi del diritto e della difesa dello 
Stato e delle sue Istituzioni democratiche, nella Sua prestigiosa esperienza di 
parlamentare e di uomo di Stato. 
Mi sia anche consentito rivolgere un sentito ringraziamento al Presidente 
della Camera dei Deputati, al Presidente della Corte Costituzionale, alla Vice 
Presidente del Senato della Repubblica, al Sottosegretario di Stato alla Presidenza 
del Consiglio dei Ministri, in rappresentanza del Presidente del Consiglio 
dei Ministri, ai Presidenti emeriti della Corte Costituzionale, ai Ministri, 
ai giudici costituzionali, al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, 
al Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, ai Sottosegretari 
di Stato e ai Presidenti delle commissioni parlamentari presenti in 
questa sala. 
Un ringraziamento fervido ai Presidenti del Consiglio di Stato e della 
Corte dei conti e al Procuratore Generale della Corte di Cassazione. 
Un sentito grazie anche agli illustri rappresentanti delle Autorit� indipendenti 
ed al Capo di Stato Maggiore della Marina che rappresenta il Capo di 
Stato Maggiore della Difesa. 
Un grato saluto a tutti i magistrati presenti, a tutte le altre Autorit� civili 
e militari, al Presidente del Consiglio Nazionale Forense ed a tutti i colleghi 
del libero foro, cui tanti e profondi legami di comune milizia forense ci legano, 
a tutti i colleghi dell'Avvocatura dello Stato con sentimenti di stima ed amicizia.

TEMI ISTITUZIONALI 7 
Saluto, ancora, con simpatia le organizzazioni sindacali del personale togato 
e non togato e con affetto tutto il personale amministrativo dell�Avvocatura 
dello Stato. 
Un grato saluto, infine, a tutti coloro che hanno voluto, con la loro presenza, 
onorare questo Istituto. 
Un sentimento di sincera e particolare gratitudine, desidero esprimere a 
Lei, signor Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, 
per la fiducia che mi � stata accordata con la nomina a questa carica e per le 
lusinghiere parole che ha voluto rivolgere all�Istituto ed a me personalmente, 
che costituiscono, per me e per tutti coloro che operano nell�Avvocatura, un 
amb�to riconoscimento del nostro impegno professionale ed uno stimolo per 
la nostra attivit� futura. 
Un omaggio di stima, di amicizia e di affetto vorrei da ultimo, ma non 
certo per ultimo, indirizzare agli Avvocati Generali che mi hanno preceduto 
nella carica, e che con saggezza e prestigio hanno in questi anni del nuovo secolo 
guidato l'Istituto: Luigi Mazzella, gi� Ministro della funzione pubblica e 
ora giudice della Corte Costituzionale, e Oscar Fiumara, che da ultimo ha retto 
il nostro Istituto e al quale ho l'onore ed il privilegio di succedere. 
Nella solennit� che a questa cerimonia conferisce la presenza del Capo 
dello Stato, nelle parole del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio 
dei Ministri, nella partecipazione di tante Autorit�, di tanti illustri personaggi 
e colleghi, mi sia consentito cogliere un �augurio di buon lavoro�. 
Un augurio che mi � particolarmente gradito per la consapevolezza che ho 
della gravit� dei miei compiti e delle responsabilit� che assumo verso le Istituzioni 
dello Stato e verso la Comunit� nazionale. 
2.- Origini preunitarie dell�Istituto 
L�Avvocatura dello Stato - una delle pi� antiche istituzioni dello Stato 
unitario - rappresenta originale soluzione di uno dei grandi problemi posti 
dall�assoggettamento dello Stato al giudizio dei suoi giudici, capitolo quanto 
mai delicato della giustizia amministrativa, non comprensibile - come insegnava 
Mario Nigro - se non attraverso la storia. 
Mi sia consentito dunque un breve riferimento al passato, necessario per 
comprendere il presente e forse anche azzardare qualche accenno al futuro. 
Il problema dello Stato in giudizio e del come possa essere organizzata 
la sua difesa suole generalmente essere collegato al principio della divisione 
dei poteri ed � considerato figlio della Rivoluzione francese sotto l�etichetta 
dell�assoggettamento dell�esecutivo al giudiziario. 
E� questa una semplificazione riduttiva che appiattisce cento anni di storia 
in una sintesi imprecisa, in quanto il problema nacque ben prima della rivoluzione 
francese e questa, lungi dall�assoggettare l�esecutivo al giudiziario volle
8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
creare, invece, un�amministrazione senza giudice. Bisogna, infatti, attendere 
la seconda met� dell�ottocento perch� quell�assoggettamento possa considerarsi 
realizzato. In Francia come in Italia, come in molti altri Paesi a regime 
amministrativo. 
Per la verit� l�esigenza che lo Stato, quanto meno in qualche suo aspetto, 
debba essere assoggettato al giudizio � stata avvertita anche in tempi antichissimi. 
Il diritto romano dell�et� imperiale, come � noto, distingueva l�Aerarium 
- patrimonio pubblico - dal Fiscus, patrimonio non personale ma privato dell�imperatore, 
affidatogli perch� potesse provvedere - da privato qual�era - ad 
amministrare i servizi di Stato. Il fisco come tale era dunque soggetto al giudizio 
ordinario. La natura essenzialmente privata del diritto elaborato dai romani 
e la particolare valenza costituzionale della carica imperiale rendono 
peraltro scarsamente produttiva ogni comparazione diacronica con quel sistema. 
L�evocazione dell�advocatus fisci come predecessore va quindi relegata 
nel campo delle suggestioni romantiche. 
L�et� di mezzo, con la sua assoluta confusione di poteri, risospinse il problema 
nell�indistinto e bisogna attendere i regimi preliberali dell�assolutismo 
illuminato per vedere ricomparire il concetto e vederlo anzi precisare in termini 
dogmatici di assoluta chiarezza. Mentre nell�assolutismo puro vigeva il principio 
- consacrato nell�editto di Saint Germain - della assoluta inassoggettabilit� 
a giudizio della pubblica Amministrazione, nei regimi di assolutismo 
illuminato - si parla della Prussia di Federico II il Grande, dell�Austria di Maria 
Teresa, della Toscana di Pietro Leopoldo di Lorena - si distingueva l�attivit� 
pubblica, ad actum principis, posta in essere iure imperii, come tale non giustiziabile 
(ma, a differenza che nell�assolutismo puro, gi� autolimitantesi con 
le regole della cameralistica e del diritto di polizia) dall�attivit� privata, iure 
gestionis, dello Stato inteso come ente patrimoniale, come tale assoggettata 
al sindacato dei giudici ordinari. 
Si tratta dei famosi giudici di Berlino che gi� conosceva il mugnaio di 
Sans-Souci, si tratta dei giudici ordinari di Firenze, cui Pietro Leopoldo commise 
le cause riguardanti fisco, regalie e patrimonio, affidandone la difesa ad 
un avvocato regio all�uopo istituito nel 1777. 
Al tardo settecento prerivoluzionario va dunque datata la nascita del problema 
della difesa dello Stato in giudizio e nella stessa epoca va collocata la 
prima soluzione adottata, quella lorenese dell�Avvocato regio, predecessore 
dell�Avvocatura erariale del 1876 e dell�attuale Avvocatura dello Stato italiana.
Interessante notare in proposito la singolare modernit� della ratio legis 
enunciata dal sovrano lorenese, che, per essere illuminato, era pur sempre un 
sovrano assoluto, il quale precis� che la magistratura dell�Avvocato regio veniva 
istituita: �per la difesa delle cause interessanti il Fisco, le Regalie ed il 
Nostro Patrimonio ... le quali vogliamo siano trattate e difese con puro spirito
TEMI ISTITUZIONALI 9 
di verit� e di giustizia e che l�interesse del Fisco non prevalga mai alla ragione 
dei privati�. 
3.- La regia Avvocatura erariale e l�Avvocatura dello Stato 
Per una singolare eterogenesi, l�antico istituto lorenese, ispirato, come si 
� visto, a principi quanto mai progressisti, fu trapiantato nello Stato italiano 
in funzione di controspinta conservatrice. 
La riforma del 1865, ispirata al modello inglese, mediato dalla Costituzione 
belga del 1831, aveva devoluto al giudice ordinario, come giudice unico, 
la competenza a decidere anche le cause in cui fosse parte una pubblica Amministrazione 
e per oltre un decennio era fiorita la primavera di una giurisprudenza 
liberale costante in tutte le Cassazioni del Regno e modellata su quella 
belga, che garantiva ai cittadini il risarcimento dei danni causati da provvedimenti 
autoritativi. Era un�affermazione ante litteram del principio di risarcibilit� 
degli interessi legittimi e che era evidentemente troppo in anticipo sui 
tempi e troppo avanzata per la societ� italiana di fine ottocento. Governo e 
Parlamento corsero ai ripari con una controspinta conservatrice che consistette 
nella istituzione, nel 1876, della Regia Avvocatura Erariale, modellata sull�Avvocato 
Regio di Toscana, con il dichiarato intento di apprestare difese atte 
a contenere i poteri del giudice nei confronti delle Amministrazioni pubbliche. 
Il che subito puntualmente avvenne attraverso la vittoriosa affermazione 
dell�antico principio della assoggettabilit� dello Stato al giudizio solo per la 
sua attivit� iure gestionis. 
Il cittadino italiano restava quindi del tutto privo di tutela nei confronti 
dell�attivit� autoritativa delle amministrazioni pubbliche, sottratte a qualunque 
sindacato. L�esigenza di giustizia nell�amministrazione attravers� allora l�inverno 
del pi� profondo scontento fino alla istituzione, nel 1889, della IV sezione 
del Consiglio di Stato, propugnata da Silvio Spaventa ma fortemente 
appoggiata anche dal primo Avvocato Generale Giuseppe Mantellini. L�Avvocatura 
sostenne anche - e con successo - dinanzi alla Cassazione romana la 
natura giurisdizionale del nuovo organo. Prendeva cos� vita, anche in Italia, 
come in Francia, un giudice amministrativo. 
L�Avvocatura cresceva, quindi, abbandonando le originarie dimensioni 
meramente patrimonialistiche per assurgere alla difesa delle Amministrazioni 
anche nella loro principale epifania di potere esecutivo, tanto che la sua denominazione 
mut� da Avvocatura erariale in Avvocatura dello Stato. 
La storia dell�istituto fino alla seconda guerra mondiale fu quella dell�avvocato 
di una parte �che � un po� meno parte dell�altra�, come disse argutamente 
Piccardi, utilizzando una locuzione ambivalente che se, da un lato, 
accolla all�avvocato pubblico l�onere di difendere le cause in nome di un prin-
10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
cipio di legalit� (�prima giudice che avvocato�, diceva Mantellini), dall�altro 
d� atto del fatto che l�avvocato dello Stato godeva, all�epoca, di privilegi processuali 
assai significativi. Ricordo soltanto, esemplificativamente, nel processo 
civile, il principio del solve et repete vigente nelle cause tributarie, che 
rendeva inammissibile ogni reclamo del contribuente non preceduto dal pagamento 
del tributo e nel processo amministrativo il principio della presunzione 
di legittimit� dell�atto amministrativo. 
Fino alla Costituzione repubblicana potremmo dunque dire, sinteticamente, 
che l�Avvocatura dello Stato fu il difensore delle prerogative del potere 
esecutivo di fronte al giudiziario. 
In quel torno di anni si deline�, peraltro, con precisione, una caratteristica 
essenziale dell�istituto, che ne fa tuttora un unicum nel panorama comparato 
delle possibili forme di difesa dello Stato in giudizio. 
L�Avvocatura venne infatti disciplinata come organo tecnico costituito da 
un corpo di avvocati incardinato con rilevanza meramente esterna al vertice 
dell�apparato esecutivo - oggi la Presidenza del Consiglio - e distinto da tutte 
le singole branche dell�Amministrazione rappresentate, difese e consiliate. 
Il che consente unitariet� di indirizzo sia nella consultazione legale che 
nella strategia difensiva, entrambe adottate nell�ottica di una difesa dello Stato 
nella sua complessit� al di l� di contingenti interessi particolari. 
Scelta, questa, lungimirante, se si considera che anche nel settore privato, 
all'impellente e quotidiana esigenza dei grandi gruppi economici e anche di 
associazioni con finalit� sociali e culturali di confrontarsi con leggi e ordinamenti 
disparati e complessi, la professione forense risponde costituendo grandi 
studi associati, capaci di prestare, in modo efficace, la propria assistenza specialistica 
su vari fronti e in varie materie, garantendo, al tempo stesso, un indirizzo 
unitario e complessivo alla cura degli interessi tutelati. 
4.- L�Avvocatura dello Stato dal 1948 ad oggi 
La Costituzione repubblicana e l�evolvere della societ� e dell�ordinamento 
giuridico italiano nell�ultimo sessantennio hanno comportato, come � 
ovvio, anche per l�Avvocatura importanti innovazioni. 
Va ricordato, anzitutto, che l�Istituto ha assunto nuovi compiti di particolare 
rilievo. 
In primis, la partecipazione ai giudizi dinanzi alla Corte Costituzionale, 
nei quali l�Istituto interviene in difesa della legittimit� delle leggi o delle competenze 
statuali in conflitto con quelle regionali o del Governo come potere 
dello Stato in conflitto con altri poteri o in materia di ammissibilit� di referendum. 
Occorre ricordare, in secondo luogo, la rappresentanza e la difesa dello 
Stato italiano dinanzi ai Collegi comunitari ed internazionali sanzionata dalla
TEMI ISTITUZIONALI 11 
Legge 3 aprile 1979 n. 103 che ha razionalizzato e cristallizzato in norma 
scritta una consuetudine ormai ben radicata. 
Gli esempi pi� importanti sono la Corte di Giustizia della Unione Europea 
e la Corte Internazionale di Giustizia dell�Aja, dinanzi alle quali l�Avvocatura 
rappresenta e difende l�Italia come soggetto di diritto sovranazionale ed internazionale, 
nonch�, nei casi pi� delicati, la Corte Europea dei Diritti dell�Uomo. 
Orbene, non occorrer� certo dilungarsi per chiarire come, in entrambe le 
tipologie di giudizio adesso ricordate, l�Istituto operi non gi� in difesa dello 
Stato-amministrazione o anche, pi� in generale, del Potere esecutivo ma offra, 
a seconda dei casi, una collaborazione dialettica per la tutela dello Stato-ordinamento 
o rappresenti gli interessi dello Stato �come personificazione anche 
esterna di tutta la comunit� nazionale�. 
Un altro ampliamento della sfera di competenza dell�Istituto � stato effettuato, 
attraverso la concessione del patrocinio ex artt. 43 e 48 T.U. 1933, n. 
1611 a numerosi Stati stranieri, attraverso la rappresentanza e difesa delle loro 
rappresentanze diplomatiche e ad organizzazioni internazionali quali la Commissione 
Europea, la Banca Europea degli Investimenti e la F.A.O.. 
Ulteriore ampliamento non solo quantitativo delle competenze dell�Avvocatura 
�, poi, l�attribuzione ad essa della consulenza e difesa in pro di nuovi 
soggetti pubblici di particolare rilevanza quali le Autorit� Indipendenti o di 
garanzia e le Agenzie. 
Nel contenzioso tradizionale � civile, amministrativo e penale � l�Avvocatura 
dello Stato sconta, da un lato, la perdita di tutti i privilegi processuali 
del passato, con conseguente piena equiordinazione al difensore della parte 
privata, dall�altro deve affrontare la marea montante di una crescente litigiosit�, 
particolarmente avvertita nelle cause contro la pubblica amministrazione, 
l�area delle cui responsabilit� � enormemente aumentata sia nel civile che 
nell�amministrativo per il sinergico operare di legislazione e giurisprudenza. 
A ci� si aggiungano le radicali modifiche introdotte di recente nel processo 
civile con: 
- la riforma del giudizio per cassazione, suscettibile di determinare, nella 
pratica, un�attenta selezione di avvocati cassazionisti per la complessit� della 
tecnica richiesta; 
- il rigoroso regime generalizzato delle decadenze nel giudizio di merito 
e l�esecutivit� delle sentenze di primo grado, che aumentano in modo particolare 
le difficolt� e la complessit� della difesa delle Amministrazioni, anche tenuto 
conto del possibile contemporaneo svolgersi del giudizio di cognizione 
in fase di merito e del connesso procedimento esecutivo, in relazione ai tempi 
tecnici delle relazioni procedimentali tra Istituzione di difesa ed Amministrazioni 
assistite; 
- la stabilit� dei provvedimenti cautelari e d�urgenza che impone assoluta 
tempestivit� e snellezza operativa nella trattazione dei rispettivi procedimenti;
12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
- l�aumentato numero dei procedimenti speciali; 
- la valorizzazione del cd. giudicato implicito anche in tema di giurisdizione, 
con drastica restrizione dei limiti di esperibilit� del ricorso per regolamento 
preventivo di giurisdizione, gi� inciso da precedenti interventi 
legislativi rispetto all�originaria disciplina codicistica; 
- il passaggio al giudice civile del lavoro della giurisdizione sul pubblico 
impiego privatizzato. 
Quanto al processo amministrativo non pu� non constatarsi un analogo 
radicale mutamento con 
- la riforma del sistema dei ricorsi amministrativi con la perdita di essenzialit� 
e di centralit� del ricorso gerarchico; 
- l�istituzione del giudice amministrativo di primo grado, che, in una con 
la riforma anzidetta, ha determinato l�esplosione della domanda di giustizia 
amministrativa ed una significativa evoluzione della tradizionale giurisprudenza 
del Consiglio di Stato; 
- la profonda revisione della competenza giurisdizionale del giudice amministrativo 
con esclusione della giurisdizione sull�impiego alle dipendenze 
della P.A. (salvo che per alcune categorie �non contrattualizzate�) ed il notevole 
ampliamento della sfera della giurisdizione esclusiva, che porta ormai a 
configurare il giudice amministrativo come il giudice del diritto pubblico dell�economia; 
- l�ampliamento dei poteri del giudice amministrativo, con l�introduzione 
del procedimento cautelare atipico, anche ante causam, e l�attribuzione dello 
strumento della tutela risarcitoria, nonch� le novit� della disciplina processuale 
specificamente inerenti alla decisione in forma semplificata ed ai motivi aggiunti, 
con tendenziale configurabilit� del rapporto, e non pi� dell�atto, come 
oggetto del giudizio amministrativo; 
- il contemporaneo aumento di protezione assicurato dall�ordinamento a 
posizioni sostanziali, con l�affermazione di risarcibilit� degli interessi legittimi, 
il riconoscimento di interessi collettivi e dei consumatori nel sistema di tutela 
della concorrenza, dei valori ambientali e culturali; l�affermazione della categoria 
degli interessi legittimi pretensivi. 
Tale radicale mutamento si � concluso con il codice del processo amministrativo, 
di recente entrato in vigore, che ha razionalizzato l�impetuosa � e 
talvolta disordinata � evoluzione della giustizia amministrativa, bruscamente 
acceleratasi nell�ultimo quindicennio. 
Tale codice segna, in estrema sintesi, la piena equiordinazione al processo 
civile di quello amministrativo, ormai fornito di un completo istrumentario 
cautelare, probatorio e decisorio. Il che, se assicura alla parte privata il pi� 
giusto dei processi, assegna per� all�avvocato pubblico il pi� difficile dei compiti. 
Il Codice del processo amministrativo, infatti, nel pur lodevole intento di
TEMI ISTITUZIONALI 13 
accorciare la durata dei processi, introduce alcuni termini talmente brevi che 
sono di difficile rispetto per il libero foro ma di pressoch� impossibile rispetto 
per l�Avvocatura dello Stato, questa volta �un po� meno parte dell�altra� nel 
senso non di privilegio ma di minorata difesa. 
Non si � tenuto, infatti, conto della doppia isteresi burocratica che ineludibilmente 
sconta la parte pubblica. Ogni atto notificato presso l�Avvocatura 
dello Stato deve essere, infatti, protocollato in arrivo, dare vita ad un nuovo 
affare da assegnare ad un avvocato o essere inserito in affare gi� esistente, essere 
fotocopiato o scannerizzato ed inviato all�Amministrazione competente 
presso la quale dovr� compiere un suo iter per arrivare alla scrivania del funzionario 
competente a stendere il documentato rapporto da inviare all�Avvocatura. 
Rapporto essenziale perch� l�Avvocatura possa produrre i documenti 
e redigere le sue difese ed anch�esso bisognoso di doppi tempi burocratici per 
arrivare dalla scrivania del funzionario ministeriale a quella dell�avvocato 
dello Stato. 
Non sempre � possibile, infatti, ricorrere all�uso dell�e-mail e si fa presente 
che la sola Avvocatura Generale dello Stato riceve nell�anno oltre 71.000 
atti notificati (71.585 nel 2009) con picchi giornalieri prossimi alle 600 unit�. 
Perci� non posso che cogliere con favore l'auspicio che il nuovo codice, 
il cui straordinario significato non pu� essere sottaciuto, non sia considerato 
un punto d'arrivo nel percorso diretto ad assicurare effettivit� e pienezza alla 
tutela del privato nei confronti delle pubbliche amministrazioni, ma si ponga 
anche e soprattutto come punto di partenza di un'evoluzione che tenga conto 
di tutti gli interessi delle parti in gioco. 
5.- La funzione consultiva 
Non meno importante della funzione di rappresentanza e difesa in giudizio 
dello Stato � la funzione consultiva, per la quale si � spesso posto il problema 
di analogie e differenze con quella del Consiglio di Stato. 
E� stato in proposito rilevato come esegesi letterale e storico-sistematica 
convergano insieme a qualificare la seconda, quale �consulenza giuridico-amministrativa� 
originariamente prestata in pro del Monarca assoluto, come ausilio 
di merito; la prima, quale �consulenza legale� sin dall�origine data ad un 
esecutivo soggetto al giudiziario, come consiglio di legittimit�. 
L�intuizione � acuta ma non appagante, in quanto riduttiva di entrambe 
le funzioni consultive. 
Sembra pi� aderente alla realt� normativa attuale riportare la funzione di 
consulenza del Consiglio di Stato a quella valutazione in veste neutra ed imparziale 
che � propria della giurisdizione dallo stesso Consiglio esercitata ed 
alla quale, quindi, la consulenza va assimilata. 
La funzione di consulenza dell�Avvocatura dello Stato va ricondotta, in-
14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
vece, alla matrice unitaria, afferente in ogni caso alla funzione propria dell�avvocato, 
che non � solo quella di assistenza legale per le controversie in 
atto, ma anche di prevenzione di quelle meramente potenziali. 
In questo senso la consulenza dell�Avvocatura � funzione immanente e 
necessaria allo svolgimento dell�azione amministrativa, dovendo essa per 
legge assicurare la difesa giudiziaria non a favore dell�interesse contingente e 
parziale della singola amministrazione, ma a tutela degli interessi pubblici generali 
nel rispetto del principio di legalit�. 
Ci� non significa che tale consulenza debba avere dimensioni riduttivamente 
�giudiziarie� nel senso di rigorosa correlazione con liti in atto o in potenza, 
poich� il �caso� o la �questione� (o � pi� spesso � la serie aperta ed 
indeterminata di numerosissimi �casi� o �questioni�) che il parere dell�Avvocatura 
considera vanno intesi non nella accezione processuale tradizionale ma 
in quella ben pi� vasta derivante dalla intera gamma di giudizi cui istituzionalmente 
partecipa: non solo, quindi, giudizi penali, civili o amministrativi, 
ma ogni tipo di giudizio (costituzionali, nel loro complesso e diverso atteggiarsi, 
internazionali e comunitari). Una consulenza, dunque, afferente ad ogni 
tipo di rapporto: dal rapporto particolare gi� costituito a quello da costituire 
con atti contrattuali privatistici o con strumenti pubblicistici; dalla conformit� 
delle leggi alla Costituzione, ai limiti di attribuzione dei soggetti istituzionali 
pubblici statali e non statali; dall�ammissibilit� di un referendum popolare alla 
conflittualit� tra Stato e Regione o tra poteri dello Stato; alla ricerca di un consenso 
sulla regola iuris da applicare per la corretta composizione sia di contrastanti 
interessi pubblici, diversamente graduati nell�unit� dell�ordinamento, 
sia di interessi pubblici confliggenti con quelli privati, individuali o di gruppo 
fino al contenzioso internazionale e comunitario. 
In tale dilatata dimensione del �giudizio� ben pu� dirsi che ogni consulenza 
dell�Avvocatura � ad esso funzionalizzata in quanto sempre riferibile al 
parametro del sindacato di un atto o di un comportamento alla stregua di una 
norma invocabile dinanzi ad un �giudice�. 
La funzione consultiva dell�Avvocatura si affianca cos� (per gli organi 
che possono fare capo ad entrambi gli istituti) a quella del Consiglio di Stato 
ispirandosi agli stessi criteri giustiziali ma con poteri ed in vista di obbiettivi 
diversi. 
L�una � funzione ausiliaria dell�attivit� di Governo e come tale si estende 
ad ogni profilo di legalit� coinvolto dai quesiti in veste, come si � visto, neutra 
ed imparziale; l�altra � funzione di prevenzione degli esiti negativi di un giudizio, 
intesa l�espressione nella lata accezione suindicata. 
Trattasi, come � evidente, di funzione di particolare importanza, perch� 
opera in via preventiva in quanto volta sia a favorire la legalit� dell�azione 
amministrativa, sia a prevenire il sorgere del contenzioso o a risolvere in via 
transattiva un contenzioso insorto, con conseguente effetto deflattivo della li-
TEMI ISTITUZIONALI 15 
tigiosit�. 
In considerazione di tutto quanto ora detto, una delle mie prime preoccupazioni 
� stata quella di creare per gli affari consultivi un canale privilegiato 
atto a consentirne il disbrigo quanto pi� possibile celere ed attento. 
6.- L�organizzazione interna dell�Avvocatura dello Stato e l�aggiornamento 
professionale 
Per quanto attiene alla struttura interna dell�Istituto giova richiamare la 
legge di riforma n. 103 del 1979 che ha introdotto il principio di collegialit� 
sia nella trattazione delle questioni pi� delicate attraverso la istituzione del 
Comitato Consultivo, sia nel governo dell�Istituto, attraverso l�istituzione del 
Consiglio degli Avvocati e Procuratori dello Stato, elettivo per met� dei suoi 
componenti, che ha, fra i suoi compiti principali di governo del personale togato, 
il rendere parere o deliberare sulle assegnazioni di sede, i trasferimenti, 
gli avanzamenti di carriera, il conferimento di incarichi o la relativa autorizzazione. 
Compiti che acquistano particolare rilevanza nella valutazione meritocratica 
dei risultati dell�attivit� professionale degli avvocati. 
Altro importante contenuto della legge � la disciplina della autonomia 
professionale sia dell�Istituto nei confronti delle Amministrazioni assistite che 
dei singoli avvocati nella trattazione dei loro affari. 
L�autonomia dell�Istituto fa s� che ad esso e ad esso soltanto spetti la scelta 
tecnica del responso da offrire in sede consultiva e della linea difensiva da 
adottare in sede contenziosa, fermo il potere in capo al Ministro (o a diverso 
organo di vertice dell�organismo pubblico difeso) di adottare con atto non delegabile 
la decisione definitiva sull�esercizio del potere di azione o di impugnazione. 
L�autonomia dell�avvocato, in caso di divergenza di opinioni con 
la dirigenza dell�Istituto, fa s� che esso possa chiedere che sul disaccordo si 
pronunci il Comitato Consultivo e l�esonero dalla trattazione del parere o della 
causa se la sua tesi risulti disattesa dall�organo collegiale. 
L�Avvocato dello Stato italiano � dunque �avvocato� nel pieno e nobile 
senso della parola, con la differenza, rispetto al collega del libero foro, che il 
soggetto pubblico da lui rappresentato e difeso � soggetto al vincolo costituzionale 
del rispetto del principio di legalit�. 
Non gli si attaglia, quindi, il motto scritto sulla volta a cupola dello studio 
dell�Attorney General degli Stati Uniti d�America (da cui dipendono gli organismi 
di difesa in giudizio di quel Paese, le Procure ed il Solicitor General): 
�gli Stati Uniti vincono la loro causa ogni qualvolta � fatta giustizia nei loro 
tribunali�. 
Il motto, scritto circolarmente e senza punteggiatura, ha due significati a 
seconda che lo si legga come sopra trascritto o che lo si legga come segue: 
�ogni qualvolta � fatta giustizia nei loro Tribunali gli Stati Uniti vincono la
16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
loro causa�. 
Il primo significato comporta l�atarassica accettazione di ogni sentenza, 
quale che essa sia, con un pieno e preventivo consenso ad un pronunciato normalmente 
reso in unico grado. Il secondo postula il sospetto di una istituzionale 
prevaricazione dell�esecutivo sul giudiziario. 
L�Avvocatura dello Stato italiano non pu�, quindi, condividere quel motto 
n� nella prima n� nella seconda accezione. 
Non nella prima perch� l�avvocato dello Stato italiano sposa la causa che 
difende, e se convinto della fondatezza delle sue tesi, si arrende al giudizio 
sfavorevole solo dopo aver percorso tutti i gradi di impugnazione (non a caso 
previsti dal nostro ordinamento). 
Non nella seconda, perch� lo Stato italiano non gode di alcun privilegio 
in causa, scontando, anzi, se mai, qualche sfavorevole pregiudizio nei confronti 
dell�operare pubblico. 
Quanto all�aggiornamento professionale, deve rilevarsi che esso � assolutamente 
necessario in un periodo caratterizzato, come lo � il nostro, da profonde 
trasformazioni dell�ordinamento giuridico. Di tale aggiornamento 
l�Istituto deve darsi carico. Carico, peraltro, non pesante sia per l�elevatissimo 
livello di preparazione dei colleghi che entrano in carriera attraverso due successive 
rigorosissime selezioni concorsuali, sia perch� l�attivit� di avvocato 
seriamente svolta � di per s� uno stimolo all�aggiornamento. 
Comunque � tradizione che l�Avvocato Generale, con il prezioso ausilio 
degli uffici di supporto, dirami tempestivamente circolari illustrative di ogni 
legge rilevante in materia di giustizia ed � altres� tradizione che, in occasione 
di ogni importante riforma - quale ad esempio il codice del processo amministrativo 
- vengano organizzati dei seminari tematici. 
7.- Attualit� e criticit� 
Nell�esame della situazione attuale la prima constatazione che si impone 
� quella del preoccupante aprirsi di una forbice fra aumento della quantit� 
degli affari e forza-lavoro disponibile. 
Gli affari legali nuovi, che erano 41.275 nel 1976, sono stati nel 2009 ben 
209.988. 
Gli avvocati e procuratori dello Stato erano 276 nel 1976 e sono oggi 370. 
Le date di riferimento non sono prese a caso. Nel 1976 fu pubblicato infatti 
uno studio storico su �L�Avvocatura dello Stato� in occasione del centenario 
dell�Istituto. In esso si rappresentava l�inadeguatezza della consistenza 
dei ruoli organici �ormai giunta ad un punto di rottura� ed il conseguente pregiudizio 
all�efficienza ed all�esistenza stessa dell�Istituto; ci� in quanto rispetto 
ai 276 posti dell�organico professionale dell�epoca il numero annuale di nuovi 
affari era di 41.275. Orbene, mentre il ruolo organico si � incrementato da al-
TEMI ISTITUZIONALI 17 
lora del 34%, passando da 276 a 370 unit�, il numero annuale dei nuovi affari 
si � incrementato di pi� del 408,75%, passando da 41.275 a 209.988 nel 2009! 
Gli impiegati amministrativi, poi, che erano 951 nel 1986, sono oggi soltanto 
878. 
A ci� si aggiunga che non si sono pi� potuti assumere impiegati amministrativi 
per concorso pubblico sin dallo stesso anno 1986. 
Il personale di concorso, destinato alla scomparsa per esaurimento, rappresenta 
oggi meno della met� della forza lavoro non togata, perch� i ricambi 
(parziali) dei pensionamenti sono avvenuti mediante comandi, distacchi o mobilit�, 
e quindi attraverso strumenti non altrettanto selettivi del concorso ad 
hoc. 
Ciononostante, lasciatemi dire con orgoglio che l�efficienza dell�Istituto 
non � diminuita ed il controllo di risultato e l�analisi costi-benefici della assistenza 
legale forniti dall�Avvocatura danno risultati altamente positivi. 
Posso permettermi di dire questo senza essere accusato di presunzione 
perch� i risultati cui faccio riferimento non sono certo merito mio ma degli 
Avvocati Generali che mi hanno preceduto, di tutti i colleghi avvocati e procuratori 
e di tutto il personale amministrativo che hanno fin qui operato. 
Scriveva alcuni decenni fa un giurista della statura di Arturo Carlo Jemolo: 
�Quante volte sento affermare che lo Stato � sempre servito peggio dei 
privati, mi sorge spontanea l�obbiezione: Per� cՏ l�Avvocatura dello Stato. 
In questo crederei arduo dimostrare che vi sia grande impresa che dal lato 
dell�assistenza legale ottenga un servizio migliore di quello che presta l�Avvocatura�. 
Credo che le cifre dimostrino che quelle parole di alto apprezzamento 
sono ancora attuali. 
Faccio riferimento ad un recente studio della Scuola Superiore della Pubblica 
Amministrazione ripreso dal �Sole 24 Ore� (che ha dedicato al tema due 
intere pagine) dal quale si desume che il costo che lo Stato sopporta per l�esistenza 
e la gestione dell�Avvocatura � di 164,4 milioni di euro annui, comprensivi 
di ogni voce ivi compresi i redditi figurativi degli immobili utilizzati 
e gli onorari riscossi nelle cause vinte, e che ogni causa � quale che sia la sua 
durata ed il numero di gradi di giudizio � costa quindi allo Stato in media � 
785. 
Da quello studio risulta ancora che le cause vinte sono pressoch� i due 
terzi del totale (si precisa che la statistica relativa � stata condotta in modo assolutamente 
rigoroso, di talch� sono considerate vinte solo le cause in cui la 
domanda avversaria � totalmente rigettata, e quindi se chi pretendeva 1000 ha 
ottenuto 1 la causa si considera persa). 
Visto quanto sopra sembra legittimo domandarsi se esiste altro sistema 
di difesa in giudizio altrettanto economico ed efficiente. Lo studio della Scuola 
Superiore concludeva testualmente che �a differenza di molti altri settori della
18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
P.A., la gestione del contenzioso dello Stato tramite un organo interno � di 
gran lunga pi� economica di una difesa affidata a professionisti esterni�. Il 
che � stato ampiamente dimostrato da esperienze recenti e meno recenti. Aggiunge 
ancora lo studio che il vantaggio economico � monetizzabile in un risparmio 
del 90% sul costo di mercato e che a tale vantaggio se ne aggiungono 
altri non monetizzabili e �funzionali� quali la uniformit� e imparzialit� della 
condotta processuale, la coerenza fra attivit� consultiva e contenziosa, le sinergie 
difensive ai vari livelli di giurisdizione, la garanzia di riservatezza, la 
assoluta selettivit� dei sistemi di reclutamento del personale togato. 
�Ci� � aggiunge ancora la relazione � nonostante l�attuale carico di lavoro 
sia rappresentato dalla impressionante cifra di 550 nuovi affari contenziosi 
all�anno pro capite�. Il che, aggiungiamo noi, considerata la durata media 
dei processi in Italia, significa che ogni avvocato dello Stato ha sul ruolo circa 
4000 affari pendenti. 
8.- Il contributo fornito dalla digitalizzazione 
La gestione di una tale massa di lavoro ha ricevuto un indubbio aiuto 
dall�informatica, attraverso il varo di alcune iniziative di digitalizzazione della 
nostra attivit� promosse a pi� riprese dal Governo, al quale va il mio sentito 
ringraziamento. 
Senza l�informatizzazione di alcune attivit� fondamentali dell'Istituto non 
avremmo potuto far fronte con efficacia alla mole di lavoro sempre crescente 
ad organici sostanzialmente invariati. Essa occupa un ruolo strategico per lo 
svolgimento dei compiti istituzionali. 
Gli sforzi compiuti ed i risultati raggiunti con le risorse a disposizione 
costituiscono un grande traguardo. Abbiamo modernizzato le tecnologie con 
un�operazione perfettamente riuscita, migliorando la piattaforma tecnologica 
del nostro sistema, con il duplice obiettivo, da un lato, di migliorare e accelerare 
la gestione dei servizi interni e, dall'altro, di "aprire l'Istituto all'esterno", 
attraverso la consultabilit� delle sue banche-dati da parte delle pubbliche amministrazioni. 
In tale contesto si inserisce il potenziamento e miglioramento del nostro 
sito istituzionale, in linea con le recenti direttive ministeriali in materia, e finalizzato 
a fornire, tramite internet, informazioni corrette, puntuali e sempre 
aggiornate, nonch� ad erogare servizi sempre pi� fruibili. 
L'uso della posta elettronica � ormai capillare e sono ampiamente sviluppati 
i progetti di scambio con le amministrazioni e con le giurisdizioni. L�accesso 
informatico alle banche dati del giudice amministrativo - che consente 
di conoscere in tempo reale lo stato del giudizio e gli atti depositati - e la consultabilit� 
dei dati presenti in buona parte delle cancellerie civili sono gi� una 
realt�, e sono in fase avanzata lo studio del fascicolo elettronico e della ge-
TEMI ISTITUZIONALI 19 
stione telematica del processo, sia civile che amministrativo. 
Sono fermamente convinto dell'importanza delle nuove tecnologie nello 
sviluppo della nostra attivit�. L�Avvocatura � infatti una pubblica Amministrazione 
e perci� guarda con attenzione alle iniziative del Governo per lo sviluppo 
delle nuove tecnologie, alla luce del nuovo Piano d'azione europeo per la 
Societ� dell'informazione e l'ICT (la c.d. "Europe's Digital Agenda" per il 
2020). 
Pur se di fronte ai giudici perfettamente paritaria rispetto ai colleghi del 
libero foro, l'Avvocatura � e resta una Istituzione pubblica, con la conseguente 
necessit� di contenere la spesa, armonizzare l�efficienza del proprio servizio 
in accordo con le giurisdizioni e trovare nelle amministrazioni le collaborazioni 
e le effettive soluzioni per rendere insieme un servizio migliore alla collettivit�. 
Queste sono state e continuano ad essere le nostre priorit�. E lo sono 
anche per il legislatore, che ha previsto il contributo dell�Avvocatura dello 
Stato nelle determinazioni da assumere su alcune innovazioni tecnologiche 
relative al processo civile. 
9.- Auspici di miglioramento 
L�ausilio dell�informatica � stato, come si � visto, di grandissimo aiuto, 
ma la sproporzione fra forza lavoro (rimasta sostanzialmente immutata) e carico 
di affari (enormemente aumentato) � tale che nemmeno una completa e 
perfetta digitalizzazione arriverebbe a colmare il fossato: risultato per il quale 
occorrerebbero pi� uomini e pi� mezzi. 
Non a caso il gi� citato studio cos� concludeva �I pochi risparmi che si 
sono ottenuti in questi anni riducendo costantemente l�organico amministrativo 
(passato negli ultimi 7 anni da un totale nazionale di 951 unit� a 871) 
non appaiono significativi rispetto al vantaggio ottenibile con una migliore e 
pi� produttiva difesa in giudizio. 
In una situazione quale quella fotografata nella relazione della SSPA, investimenti 
diretti ad adeguare sia l�organico degli avvocati (fermo a circa 
trenta anni fa, a fronte di un contenzioso all�epoca di 55.000 affari annui, ad 
oggi pi� che triplicato) che del personale amministrativo, potrebbero garantire 
un ritorno in termini economici per cause vinte, ben superiore al loro costo. 
Notevoli risultati si potrebbero ottenere portando il costo di ciascuna 
causa da � 785 del 2006, a soli � 900. 
Ci� consentirebbe, ad esempio, di assumere 80 tra avvocati e procuratori, 
50 impiegati e 50 dirigenti. 
................... 
Un maggior numero di avvocati, in quella che si pu� certamente definire 
una delle pi� grandi scuole di diritto in Italia (per la peculiarit� del ruolo
20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
dell�Avvocatura e la estrema variet� dell�attivit� svolta), avrebbe anche il vantaggio 
di poter fornire al Governo una quota di collaboratori e consulenti di 
certo superiore a quella odierna, consentendo cos� di trasferire nell�attivit� 
amministrativa e legislativa il notevole bagaglio di esperienza dell�Avvocatura 
dello Stato�. 
Indubbiamente un incremento di uomini e di mezzi renderebbe l�Istituto 
ancora pi� efficiente ma la coscienza della drammatica temperie economica 
che, a livello planetario, stiamo vivendo mi induce a limitare le mie aspettative 
di innovazioni normative a quelle che sono a �costo zero� e che si rendono 
per� necessarie a compensare alcune distorsioni che si sono verificate o stanno 
per verificarsi come effetti collaterali di mutamenti normativi e di esigenze 
sociali. 
So bene che la prassi protocollare delle cerimonie di insediamento non 
prevede che vengano avanzate richieste di riforme o anche solo di innovazioni 
normative se non sotto forma di segnalazione dell�emergenza di esigenze portate 
dai tempi nuovi che si offrono all�attenzione degli organi politici competenti 
per le iniziative che saranno ritenute opportune. 
Il Governo ed il Parlamento, in questa legislatura, hanno dimostrato particolare 
attenzione ai problemi dell�Avvocatura, attraverso l�adozione di provvedimenti 
da tempo attesi. Mi riferisco, in particolare, alla legge 18 giugno 
2009 n. 69 che ha affrontato e ridisciplinato il problema della ripartizione degli 
onorari spettanti agli avvocati e procuratori dello Stato per le cause vinte e per 
gli incarichi arbitrali espletati, attribuendo una quota di essi al personale amministrativo. 
E� stato cos� razionalizzato il sistema e ristabilita una antica tradizione, 
improvvidamente interrotta negli anni �70. 
La stessa legge ha esteso all�Avvocatura dello Stato la facolt� di notificare 
gli atti a mezzo posta, gi� concessa al libero foro, con notevoli benefici per 
l�attivit� di Istituto. 
Il Decreto Legge 1� luglio 2009 n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009 
n. 102 ha, poi, completato il passaggio dallo Stato all�INPS del contenzioso 
di invalidit� civile, eliminando ogni legittimazione passiva in materia dei Ministri 
dell�Interno e dell�Economia, con conseguente risparmio di una pesante 
attivit� di protocollazione ed archivio ed eliminazione di non pochi contrasti 
giurisprudenziali. 
Tale particolare attenzione dimostrata da Governo e Parlamento per l�Avvocatura 
dello Stato attraverso l�adozione dei provvedimenti ora indicati, che 
erano da lungo tempo attesi e per i quali esprimo il ringraziamento pi� sentito, 
mi spingono a segnalare due emergenze meritevoli di particolare attenzione. 
La prima riguarda la situazione di sofferenza dei procuratori dello Stato, 
cio� dei giovani avvocati che dell�Istituto sono il domani. Due successivi innalzamenti 
dell�et� pensionabile hanno determinato una sorta di blocco del
TEMI ISTITUZIONALI 21 
ruolo che impedisce alla maggior parte di essi il passaggio alla qualifica di 
avvocato in tempi ragionevoli. 
Mi permetto di insistere su questo problema risolvibile con facilit� ed a 
costo zero, come analiticamente esposto nelle opportune sedi, perch� la componente 
giovane rappresenta il futuro e la garanzia di continuit� dell�Istituto 
e non mi sentirei in pace con la mia coscienza se non mi rendessi interprete 
anche in questa sede della loro legittima aspettativa. 
Del pari a costo zero - o addirittura comportante un risparmio di spesa - 
sarebbe lo snellimento della procedura del concorso a procuratore dello Stato, 
al quale partecipano, per un numero di posti in genere inferiore a dieci, migliaia 
di candidati, con conseguente dispendio di tempo e di risorse umane ed 
economiche. 
Un terzo problema di cui tenere conto � il progressivo mutamento della 
struttura statuale per effetto del massiccio trasferimento di potest� e funzioni 
dello Stato alle autonomie locali e ad entit� sovranazionali. 
D�altronde il malessere rivendicativo delle autonomie locali � fenomeno 
non solo italiano ma � ormai fenomeno endemico europeo. I casi della Spagna, 
dell�Inghilterra, del Belgio, persino della supercentralistica Francia sono sotto 
i nostri occhi. 
In tale contesto, alla erosione dello Stato dal basso per effetto delle spinte 
autonomistiche, si accompagna la sua compressione dall�alto ad opera della 
Unione Europea. 
Credo proprio che il crollo del muro di Berlino con quel che lo ha accompagnato 
e seguito, se non ha segnato la fine della storia, ha messo per�, fine a 
quel terribile �secolo breve� di cui ha scritto Hobsbawm ed ha accelerato il 
processo di trasformazione degli Stati nazionali. 
D�altronde ogni epoca storica ha il suo modello politico di perfetta vita 
associata. 
Per mille anni il mondo civile visse nella convinzione che l�impero romano 
fosse l�unico modello statuale valido, tanto � vero che, dopo il suo crollo, 
nel buio e nella confusione di un medio evo privo di punti di riferimento politici 
precisi, gli sforzi dei migliori, per un altro millennio, furono tesi alla ricostituzione 
di quell�impero, cui l�affermarsi della Chiesa di Roma aveva 
aggiunto l�appellativo di Sacro. 
Quel �Sacro Romano Impero� che non era sacro, non era romano, ma, 
soprattutto, non fu mai un impero. 
E� solo nel XVII secolo che si consolid� � e venne teorizzata da Jean 
Bodin � una nuova forma di aggregazione politica, lo Stato nazionale, forma 
che ci ha accompagnato fino ai giorni nostri. 
Ebbene lo Stato nazionale come modello di entit� politica � in crisi di trasformazione, 
come gi� profetizzava anni fa Massimo Severo Giannini, anche 
se questa trasformazione non potr� mai giungere � come Ella, Signor Presi-
22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
dente della Repubblica giustamente ha di recente ribadito � ad intaccare l�unitariet� 
dello Stato italiano, sancita dall�articolo 5 della nostra Costituzione 
come principio fondamentale e quindi non soggetto neanche a revisione costituzionale. 
Nondimeno la crescita delle autonomie sembra inarrestabile e bisogna 
quindi ragionevolmente prevedere un sensibile mutamento della fisionomia 
del contenzioso pubblico, indotta dalla riduzione di competenze degli organi 
periferici dello Stato e dalla prevedibile nuova dimensione del contenzioso 
costituzionale fra Stato e Regioni. 
Il che non potr� non riflettersi sulla struttura organizzativa dell�Avvocatura, 
nei modi e nelle misure che risulteranno necessari a riforma compiuta, 
quando tutta la normativa delegata sar� stata adottata ed operer� a regime. 
10.- Conclusioni 
Nell'accingermi a concludere, desidero rivolgere un pensiero affettuoso 
ed un saluto cordiale a tutti i colleghi che operano nel nostro Istituto ed in particolare 
ai giovani che da poco hanno intrapreso la nostra attivit� e che rappresentano 
il futuro dell�Avvocatura. 
Un caldo saluto, desidero anche rivolgere al personale amministrativo 
dell'Avvocatura, del quale, nell'esercizio della mia attivit� professionale e nel 
lungo periodo in cui sono stato Segretario Generale, ho avuto modo di apprezzare 
le qualit� professionali e lo spirito di dedizione. 
Signor Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, 
non posso nasconderLe che all'atto della nomina ho avvertito una qualche preoccupazione 
suscitata dalla consapevolezza delle responsabilit� connesse alla 
carica; per superarla sono state e mi sono di grande aiuto la stima e la fiducia 
accordatemi dal Governo nonch� la ferma convinzione che l'Avvocatura dello 
Stato che sono stato chiamato a dirigere rappresenta un solido Istituto con radici 
antiche ma capace di affrontare i tempi nuovi e che ha sempre svolto e 
continua a svolgere, come Ella ha voluto amabilmente rilevare, in modo altamente 
positivo il proprio compito di consulenza e difesa dell'Amministrazione. 
Sono consapevole del fatto che il particolare momento storico attraversato 
dal Paese richiede impegni non formali ma concreti nello svolgimento delle 
funzioni e realismo ed equilibrio nell'azione quotidiana. Doti tutte che credo 
siano nelle corde dell�Istituto. 
In coerenza con questa convinzione, penso di poter assicurare a Lei, Signor 
Presidente della Repubblica ed a Lei, Signor Sottosegretario di Stato alla 
Presidenza del Consiglio dei Ministri, che l'Avvocatura dello Stato continuer� 
a svolgere nel modo pi� impegnato, con spirito di servizio, i propri compiti 
istituzionali nell'interesse del Paese. 
Le sue tradizioni ultrasecolari, che ci trasmettiamo di generazione in ge-
TEMI ISTITUZIONALI 23 
nerazione di servitori dello Stato, sono la migliore garanzia dell�affidabilit� 
della nostra Istituzione. 
Grazie Signor Presidente della Repubblica, grazie Signor Sottosegretario 
di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri della disponibilit� e della 
fiducia e grazie a tutte le Autorit� e a tutti i presenti per la cortese attenzione.
24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Codice del processo amministrativo* 
Nella Gazzetta ufficiale del 7 luglio 2010, n. 156, � stato pubblicato il decreto 
legislativo del 2 luglio 2010, n. 104, recante �Attuazione dell�articolo 
44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino 
del processo amministrativo�. 
Il decreto legislativo entra in vigore il 16 settembre 2010 (art. 2) ma per 
i termini che sono in corso alla data della sua entrata in vigore continuano a 
trovare applicazione le norme previgenti (art. 2 all. 3). 
Il Codice risponde ad un�esigenza di razionalizzazione attraverso la raccolta 
in un unico corpo normativo di disposizioni contenute in una pluralit� 
di fonti, anche risalenti nel tempo, che vengono contestualmente abrogate ed 
introduce rilevanti novit� nella disciplina del processo amministrativo, spesso 
recettive di orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati, come il principio 
(art. 39) secondo il quale, per quanto non disciplinato dal Codice, si applicano 
le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione 
di principi generali. 
Il provvedimento legislativo � composto da 2 articoli e 4 allegati: 
- il primo allegato contiene il codice del processo amministrativo e consta 
di 137 articoli; 
- il secondo allegato contiene le norme di attuazione e consta di 16 articoli; 
- il terzo allegato contiene le norme transitorie e consta di 3 articoli; 
- il quarto allegato contiene le norme di coordinamento e le abrogazioni 
e consta di 4 articoli. 
Il Codice � composto da cinque libri: 
- il primo reca le disposizioni generali; 
- il secondo � dedicato al processo amministrativo di primo grado; 
- il terzo riguarda le impugnazioni; 
- il quarto ha per oggetto l�ottemperanza e i riti speciali; 
- il quinto contiene le norme finali. 
Qui di seguito si evidenziano le principali norme di portata innovativa. 
ALLEGATO 1: Codice del processo amministrativo 
LIBRO PRIMO: Disposizioni generali 
1) Giurisdizione, giudicato implicito e translatio iudicii: 
- Il Codice, dopo aver espressamente sancito che la giurisdizione amministrativa 
si articola in giurisdizione generale di legittimit�, esclusiva ed estesa 
al merito (art. 7, comma 3), precisa che nelle materie attribuite alla giurisdi- 
(*) Circolare n. 52 - 29 settembre 2010 prot. 297377 - dell�Avvocato Generale.
TEMI ISTITUZIONALI 25 
zione generale di legittimit� il giudice amministrativo conosce delle controversie 
relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, 
comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di 
interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte 
in via autonoma mentre nelle materie rientranti nella giurisdizione esclusiva 
(elencate all�art. 133) il giudice amministrativo conosce, pure ai fini 
risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti 
soggettivi (art. 7, comma 5) e infine nella materie attribuite alla giurisdizione 
estesa al merito (elencate all�art. 134), il giudice amministrativo pu� sostituirsi 
all�amministrazione (art. 7, comma 6). 
- Particolarmente innovativa (e conforme alla pi� recente giurisprudenza 
della Corte di Cassazione) � la disciplina del giudicato implicito sulla giurisdizione 
che consente il rilievo d�ufficio del difetto di giurisdizione solo in 
primo grado mentre nei giudizi di impugnazione lo stesso � rilevato se dedotto 
con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo 
implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione (art. 9). 
- Come previsto dall�art. 30 l. TAR, nel giudizio di primo grado � ammesso 
il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c. 
In tale ipotesi, nel giudizio sospeso, possono essere chieste misure cautelari, 
ma il giudice non pu� disporle se non ritiene sussistente la propria giurisdizione 
(art. 10), contrariamente a quanto gi� previsto dall�art. 30 l. TAR, in 
base al quale la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione non 
precludeva l�esame della domanda di sospensione del provvedimento impugnato. 
- Come gi� disposto dall�art. 59 della l. n. 69/2009 recante modifiche al 
processo civile (cfr. Circolare n. 31 del 23 giugno 2009), l�art. 11 prevede la 
translatio iudicii, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute ma 
con salvezza degli effetti processuali e sostanziali, se il giudizio � riproposto 
innanzi al giudice indicato nella pronuncia del giudice amministrativo che declina 
la propria giurisdizione entro il termine perentorio di tre mesi dal suo 
passaggio in giudicato. 
Analogo meccanismo � previsto nel caso inverso di una controversia introdotta 
davanti ad altro giudice qualora le sezioni unite della Corte di cassazione, 
investite della questione di giurisdizione, attribuiscano quest�ultima al 
giudice amministrativo. In tale caso, il termine di tre mesi per la riproposizione 
del giudizio decorre dalla pubblicazione della decisione delle sezioni unite. 
Le misure cautelari perdono la loro efficacia trenta giorni dopo la pubblicazione 
del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice 
che le ha emanate. 
2) Competenza: 
- Una delle principali novit� introdotte dal Codice � rappresentata dall�inderogabilit� 
della competenza territoriale (art. 13, comma 4) e dalla rilevabilit� 
d�ufficio dell�incompetenza, sia territoriale che funzionale, da parte
26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
del giudice di primo grado, finalizzata ad arginare il fenomeno del c.d. forum 
shopping. 
- L�art. 14 prevede la competenza funzionale inderogabile del TAR Lazio, 
sede di Roma, per le controversie elencare nell�art. 135 nonch� la competenza 
funzionale inderogabile del TAR Lombardia, sede di Milano, per le controversie 
relative ai poteri esercitati dall�Autorit� per l�energia elettrica e il gas. 
La competenza � funzionalmente inderogabile anche per i giudizi di ottemperanza 
e per quelli di cui all�art. 119 (gi� disciplinate dall�art. 23 bis l. TAR). 
- Mentre l�art. 31 l. TAR prevedeva che l�incompetenza per territorio non 
costituisse motivo di impugnazione della decisione, l�art. 15, comma 1 dispone 
ora che, nei giudizi di impugnazione, il difetto di competenza � rilevato se dedotto 
con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in 
modo implicito o esplicito, ha statuito sulla competenza. 
- Il termine per il deposito dell�istanza di regolamento di competenza (che 
pu� esser notificata finche la causa non � decisa in primo grado e non pi� entro 
settanta giorni dalla notificazione del ricorso, come era previsto dagli artt. 31, 
22 e 21 l. TAR) � di quindici giorni dall�ultima notificazione (art. 15, comma 2). 
- Il termine per riassumere il giudizio innanzi al TAR indicato come competente 
dal Consiglio di Stato resta di trenta gironi dalla notificazione dell�ordinanza 
che pronuncia sul regolamento (come gi� previsto dall�art. 31, comma 
11 l. TAR) ovvero di sessanta giorni dalla sua pubblicazione (art. 15, comma 4). 
- La competenza territoriale e funzionale � inderogabile anche in ordine 
alle misure cautelari (art. 16, comma 1) e pertanto, quando � proposta domanda 
cautelare, il TAR adito, ove non riconosca la propria competenza non decide 
su tale domanda e pu� rilevare d�ufficio la propria incompetenza indicando il 
giudice competente (art. 16, comma 2) ovvero pu� investire della questione il 
Consiglio di Stato con ordinanza con la quale indica il TAR che reputa competente 
(art. 15, comma 5). 
- Della camera di consiglio fissata per regolare la competenza � dato avviso, 
almeno dieci giorni prima, ai difensori che si siano costituiti davanti al 
Consiglio di Stato che possono depositare memorie e documenti fino a due 
giorni liberi prima dell�udienza (art. 15, comma 6). 
- Le pronunce sull�istanza cautelare rese dal giudice dichiarato incompetente 
perdono comunque efficacia dopo trenta giorni dalla data di pubblicazione 
dell�ordinanza che regola la competenza. 
- Il termine per impugnare con regolamento di competenza, l�ordinanza 
con cui il giudice adito dichiara la propria competenza o incompetenza � di 
trenta giorni dalla notificazione ovvero di sessanta giorni dalla pubblicazione 
(art. 16, comma 3). 
- Ove non si tratti di competenza funzionale inderogabile, non � considerata 
questione di competenza la ripartizione delle controversie tra TAR con 
sede nel capoluogo e sezione distaccata. Tuttavia, la parte che ritiene che sia
TEMI ISTITUZIONALI 27 
stato erroneamente adito il TAR con sede nel capoluogo anzich� nella sezione 
staccata o viceversa pu� eccepirlo entro novanta giorni dalla notificazione del 
ricorso (art. 47, comma 2) e non pi� entro quarantacinque giorni (come era 
previsto dall�art. 32, comma 2 l. TAR). Il presidente del TAR provvede sull�eccezione 
con ordinanza motivata non impugnabile. 
3) Difesa personale delle parti: 
- Le parti possono stare in giudizio personalmente senza l�assistenza del 
difensore nei giudizi in materia di accesso, in materia elettorale e nei giudizi 
relativi al diritto dei cittadini dell�Unione europea e dei loro familiari di circolare 
e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (art. 23). 
Tale norma non � applicabile ai giudizi di impugnazione (art. 95, comma 6). 
- Tuttavia in materia di acceso, l�amministrazione pu� essere rappresenta 
e difesa da un proprio dipendente a ci� autorizzato (art. 116, comma 3) anche 
nei giudizi di impugnazione (art. 116, comma 5). E� comunque preferibile, in 
linea di principio, che innanzi al Consiglio di Stato l�amministrazione sia rappresentata 
e difesa dall�Avvocatura dello Stato anche in materia di accesso. 
4) Azioni di cognizione: 
- La principale novit� introdotta dal Codice nella disciplina del azioni riguarda 
l�esperibilit� dell�azione risarcitoria pura, cio� sganciata dalla necessaria 
impugnazione del provvedimento lesivo, che viene per� assoggettata ad 
un breve termine di decadenza. Viene cos� risolto, con una soluzione intermedia, 
il contrasto tra la giurisprudenza della Corte di Cassazione e quella del 
Consiglio di Stato sulla c.d. pregiudiziale amministrativa ovvero sulla necessit� 
o meno del previo annullamento del provvedimento amministrativo per 
poter chieder il risarcimento del danno. 
Le azioni esercitabili innanzi al giudice ammistrativo sono: 
- l�azione di annullamento, proponibile nel termine di decadenza di sessanta 
giorni (art. 29); quando, nel corso del giudizio, l�annullamento del provvedimento 
impugnato non risulta pi� utile per il ricorrente, il giudice accerta 
l�illegittimit� dell�atto se sussiste l�interesse ai fini risarcitori (art. 34, comma 3); 
- l�azione di condanna, che pu� esser proposta contestualmente ad altra 
azione o in via autonoma (art. 30, comma 1), nell�ambito della quale � disciplinata 
l�azione di risarcimento del danno per lesione di diritti soggetti (art. 
30, comma 2) nonch� per lesione di interessi legittimi, proponibile nel termine 
di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si � verificato 
ovvero dalla conoscenza del provvedimento (art. 30, comma 3) ovvero 
nel termine di centoventi giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che 
ha deciso sulla connessa domanda di annullamento (art. 30, comma 5); nel determinare 
il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento 
complessivo della parti e, comunque, esclude il risarcimento dei 
danni che si sarebbero potuti evitare usando l�ordinaria diligenza, anche attraverso 
l�esperimento degli strumenti di tutela previsti (art. 30, comma 3);
28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
per il risarcimento dell�eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito 
in conseguenza dell�inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione 
del procedimento, il termine di centoventi giorni non decorre fintato che 
perdura l�inadempimento ma inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla 
scadenza del termine per provvedere (art. 30, comma 4); 
- l�azione averso il silenzio, proponibile finch� perdura l�inadempiento e 
comunque non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del 
proecedimento (art. 31, comma 2); il giudice pu� pronunciare sulla fondatezza 
della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attivit� vincolata o 
quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalit� 
e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti 
dall�amministrazione; 
- l�azione di declaratoria di nullit�, proponibile entro il termine di decadenza 
di centottanta giorni, opponibile dalla parte resistente o rilevabile d�ufficio 
dal giudice (art. 31, comma 4); tale norma non � applicabile alla 
dichiarazione di nullit� degli atti in violazione o elusione del giudicato, per la 
quale restano applicabili le norme sul giudizio di ottemperanza. 
LIBRO SECONDO: Processo amministrativo di primo grado 
5) Ricorso incidentale e domanda riconvenzionale: 
- Il ricorso incidentale o la domanda riconvenzionale � dipendente da 
titoli gi� dedotti in giudizio nelle controversie in cui si faccia questione di diritti 
soggettivi � possono essere proposti nel termine di sessanta giorni dalla 
ricevuta notificazione del ricorso principale (come gi� previsto dall�art. 37 
T.U. CdS e dall�art. 22 l. TAR, per il ricorso incidentale) e depositati nel termine 
di trenta giorni dall�ultima notificazione (art. 42, comma 2). 
- Il termine per presentare memorie e documenti in caso di ricorso incidentale 
o di domanda riconvenzionale � elevato da venti giorni (come era previsto 
dall�art. 44 R.D. n. 642/1907 in combinato disposto con l�art. 37 T.U. 
CdS per il ricorso incidentale) a sessanta giorni dalla notificazione del ricorso 
principale (art. 42, comma 3). 
- La cognizione del ricorso incidentale o della domanda riconvenzionale 
� attribuita al giudice competente per quello principale, salvo che la domanda 
introdotta con il ricorso incidentale o la domanda riconvenzionale siano devolute 
alla competenza del TAR Lazio, sede di Roma, ovvero alla competenza 
funzionale di altro TAR (art. 42, comma 4). 
6) Costituzione delle parti: 
- Il ricorso deve essere depositato entro trenta giorni decorrente dal momento 
in cui l�ultima notificazione si � perfezionata anche per il destinatario 
(art. 45), come gi� previsto dall�art. 21 l. TAR e le parti intimate possono costituirsi, 
presentare memorie, fare istanze, indicare i mezzi di prova e produrre 
documenti entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso (art. 46), termine ele-
TEMI ISTITUZIONALI 29 
vato rispetto a quello di cinquanta giorni (trenta + venti) gi� previsto dagli articoli 
21 e 22 l. TAR. 
7) Intervento per ordine del giudice: 
Il Codice introduce un istituto nuovo per il giudizio amministrativo: l�intervento 
per ordine del giudice. Contemplato dall�art. 107 c.p.c. Oltre all�intervento 
volontario ad adiuvandum (volto ad ottenere l�annullamento dell�atto 
impugnato) e ad opponendum (volto ad ottenere la conservazione dell�atto impugnato) 
gi� previsti dall�art. 22 l. TAR, viene cos� disciplinato l�intervento 
iussu iudicis, che soggiace alle stesse regole dell�integrazione del contraddittorio 
(art. 49): se la parte alla quale � stato ordinato di chiamare il terzo in giudizio 
non provvede alla notificazione degli atti indicati dal giudice nel termine 
assegnato, il ricorso � dichiarato improcedibile (art. 51). 
8) Computo e abbreviazione dei termini: 
- I termini assegnati dal giudice, salva diversa previsione, sono perentori 
(art. 52, comma 1). 
- Se il giorno di scadenza � festivo il termine fissato dalla legge o dal giudice 
per l�adempimento � prorogato di diritto al primo giorno seguente non 
festivo anche per i termini che scadono nella giornata del sabato (art. 52, 
commi 3 e 5). 
- Per i termini computati a ritroso, la scadenza � anticipata al giorno antecedente 
non festivo (art. 52, comma 4). Analoga previsione non � prevista 
per i termini a ritroso scadenti di sabato che quindi non devono ritenersi anticipati 
al venerd�. 
- Nei casi d�urgenza, il presidente del tribunale pu�, su istanza di parte, 
abbreviare fino alla met� i termini previsti per la fissazione di udienze o di camere 
di consiglio; conseguentemente sono ridotti proporzionalmente i termini 
per le difese della relativa fase (art. 53). 
- La presentazione tardiva di memorie o documenti, su richiesta di parte, 
pu� essere eccezionalmente autorizzata dal collegio, assicurando comunque 
il pieno rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio su tali atti, 
quando la produzione nel termine di legge risulta estremamente difficile (art. 54). 
9) Procedimento cautelare: 
- Le principali innovazioni in materia cautelare sono la necessaria presentazione 
dell�istanza di fissazione dell�udienza di merito, salvo che essa 
debba essere fissata d�ufficio, quale condizione di procedibilit� della domanda 
cautelare (art. 55, comma 4), la fissazione della data di discussione del ricorso 
nel merito con l�ordinanza che dispone una misura cautelare (art. 55, comma 
11) onde evitare il procrastinarsi indefinito di situazioni di incertezza nonch� 
la tutela cautelare ante causam, gi� prevista in materia di appalti, attivabile 
nei casi di eccezionale gravit� e urgenza (art. 61). 
- Sulla domanda cautelare il collegio pronuncia nella prima camera di 
consiglio successiva al ventisimo giorno dal perfezionamento, anche per il de-
30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
stinatario, dell�ultima notificazione e, altres� al decimo giorno, dal deposito 
del ricorso. Le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni 
liberi prima della camera di consiglio (art. 55, comma 5). All�ampliamento 
del termine dilatorio per la fissazione dell�udienza cautelare corrisponde quindi 
un�anticipazione del termine per depositare memorie e documenti, che prima 
potevano essere prodotti anche il giorno dell�udienza. Il collegio, per gravi ed 
eccezionali ragioni, pu� autorizzare la produzione in camera di consiglio di 
documenti (ma non memorie), con consegna di copia alle altre parti fino all�inizio 
di discussione (art. 55, comma 8). 
- Altra novit� riguarda la previsione secondo la quale, ai fini del giudizio 
cautelare, se la notificazione � effettuata a mezzo del servizio postale, il ricorrente, 
se non � ancora in possesso dell�avviso di ricevimento, pu� provare la 
data di perfezionamento della notificazione producendo copia dell�attestazione 
di consegna del servizio di monitoraggio della corrispondenza nel sito internet 
delle poste. E� fatta salva la prova contraria. 
- Conformemente a quanto previsto dall�art. 16, secondo il quale la competenza 
di cui agli articoli 13 e 14 � inderogabile anche in ordine alle misure 
cautelari, viene ribadito che il giudice adito pu� disporre misure cauteleri solo 
se ritiene sussistente la propria competenza (art. 55, comma 13). 
- Con l�ordinanza che decide sulla domanda, il giudice provvede sulle 
spese della fase cautelare. La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche 
dopo la sentenza che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa 
nella sentenza (art. 57). La pronuncia sulle spese in sede cautelare quindi non 
� pi� n� facoltativa, n� provvisoria, n� condizionatata al rigetto, inammissibilit� 
o irricevibilit� dell�istanza (come gi� previsto dall�art. 21, comma 11 l. TAR). 
- Le parti possono riproporre la domanda cautelare al collegio o chiedere 
la revoca o la modifica del provvedimento cautelare collegiale se si verificano 
mutamenti nelle circostanze o se allegano fatti anteriori di cui si � acquisita 
conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso, l�istante 
deve fornire la prova del momento in cui ne � venuto a conoscenza. La revoca 
pu� essere altres� richiesta nei casi di revocazione cui all�articolo 395 c.p.c. 
(art. 58). 
- In sede di decisione della domanda cautelare, il collegio, accertata la 
completezza del contraddittorio o dell�istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, 
pu� definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma 
semplificata (come gi� previsto dall�art. 21, comma 10 l. TAR), salvo che una 
delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o 
regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione (art. 60). 
Tale ultima precisazione � stata introdotta allo scopo di consetire alle parti di 
lamentare ulteriori profili di illegittimit� dell�atto nonch� di eccepire il difetto 
di giurisdizione o il difetto di competenza. 
- Quanto ai due tipi di misure cautelari provvisorie monocratiche, oltre
TEMI ISTITUZIONALI 31 
al decreto presidenziale gi� introdotto dall�art. 3 della l. 205/2000 e confluito 
nell�art. 21 l. TAR, ora disciplinato dall�art. 56 per i casi di estrema gravit� e 
ugenza, vengono previste per la prima volta, in linea generale, le misure cautelari 
anteriori alla causa (gi� introdotte in materia di appalti dal d.lgs n. 
163/2006) per i casi di eccezionale gravit� e urgenza (art. 61). 
- Quanto al primo tipo di misura cautelare monocratica, rispetto alla disciplina 
previgente, l�art. 56 precisa che la domanda cautelare � improcedibile 
finch� non � presentata l�istanza di fissazione dell�udienza di merito, salvo 
che essa debba essere fissata d�ufficio; che il presidente provvede sulla domanda 
solo se ritiene la competenza del TAR adito (comma 1); che il presidente 
o un magistrato da lui delegato provvede con decreto non impugnabile 
(comma 2) ma sempre revocabile o modificabile su istanza di parte notificata 
(comma 4); che la notificazione pu� avvenire da parte del difensore anche a 
mezzo fax (comma 2) ma che in tal caso le misure cautelari perdono efficacia 
se il ricorso non viene notificato per via ordinaria entro cinque giorni dalla richiesta 
delle misure cautelari provvisorie (comma 5); che il presidente, ove 
ritenuto necessario, sente fuori udienza e senza formalit� anche separatamente, 
le parti che si siano rese disponibili prima dell�emanazione del decreto (comma 
2); che il presidente pu� subordinare la concessione o il diniego della misura 
cautelare alla prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione 
(comma 3); che nel decreto deve essere comunque indicata la camera di consiglio 
nella quale il collegio provveder� sulla domanda cautelare (comma 4). 
- Quanto al secondo tipo di misura cautelare monocromatica, l�art. 61 
prevede invece che, in caso di eccezionale gravit� ed urgenza, tale da non consentire 
neppure la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure cautelari 
provvisorie con decreto presidenziale, il soggetto legittimato al ricorso 
pu� proporre istanza per l�adozione delle misure interinali e provvisorie che 
appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del 
ricorso di merito e della domanda cautelare in corso di causa (comma 1); 
l�istanza, notificata con le forme prescritte per la notificazione del ricorso, si 
propone al presidente del TAR competente per il giudizio (comma 2); il provvedimento 
di accoglimento � notificato dal richiedente alle altre parti entro il 
termine perentorio fissato dal giudice, non superiore a cinque giorni; il provvedimento 
di accoglimento perde comune effetto ove entro quindici giorni 
dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda cautelare 
ed esso non sia depositato nei successivi cinque giorni corredato da istanza di 
fissazione di udienza; in ogni caso la misura concessa perde effetto con il decorso 
di sessanta giorni dalla sua emissione, dopo di che restano efficaci le 
sole misure cautelari che siano confermate o disposte in corso di causa (comma 
5); l�art. 61 non � applicabile al giudizio di appello (comma 7). 
- Contro le ordinanze cautelari � ammesso appello al Consiglio di Stato, 
da proporre nel terminie di trenta giorni dalla notificazione dell�ordiananza,
32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
ovvero sessanta giorni dalla sua pubblicazione (e non pi� dalla comunicazione 
del deposito) e da depositare nei successivi trenta giorni (art. 62, commi 1 e 
2). I termini (breve e lungo) per la proposizione dell�appello cautelare sono 
quindi dimezzati rispetto a quanto previsto dall�art. 28, comma 3 l. TAR. Il 
termine per il deposito dell�appello resta invece invariato. 
- Nel giudizio cautelare d�appello sono rilevati d�ufficio il difetto di giurisdizione 
e il difetto di competenza. In caso di incompetenza, il giudice d�appello 
sottopone la questione al contraddittorio delle parti e regola d�ufficio la 
competenza. Quando dichiara l�incompenza del TAR adito, con la stessa ordinanza 
annulla le misure cautelari emanate (art. 62, comma 4). 
10) Mezzi di prova e attivit� istruttoria: 
- I mezzi di prova espressamente previsti sono l�ordine di esibizione ex 
art. 210 cp.c., l�ispezione, la prova testimoniale, che � sempre assunta in forma 
scritta ai sensi del codice di procedura civile, la verificazione (riguardante gli 
accertamenti tecnici) e la consulenza tecnica. Il giudice pu� disporre anche 
l�assunzione degli altri mezzi di prova previsti dal codice di rito, ad esclusione 
dell�interrogatorio formale e del giuramento (art. 63). 
- Il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte 
dalle parti nonch� i fatti non specificamente contestati dalle parti costiutite 
(art. 64, comma 2). Tuttavia, il giudice pu� disporre, anche d�ufficio, l�acquisizione 
di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che siano nella 
disponibilit� della pubblica amministrazione (art. 64, comma 3). 
11) Udienza di discussione: 
- Il termine per depositare l�istanza di fissazione di udienza � ridotto da 
due anni (come era previsto dall�art. 23, comma 1 l. TAR) a un anno dal deposito 
del ricorso o dalla cancellazione della causa dal ruolo (art. 71, comma 
1) e di conseguenza il terminie di perenzione ordinario � ridotto da due anni 
(come era previsto dall�art. 40, comma 2 T.U. CdS) a un anno (art. 81). 
- Il decreto di fissazione � comunicato a cura dell�ufficio di segreteria, 
almeno sessanta giorni prima dell�udienza fissata (e non pi� quaranta giorni 
prima, come previsto dall�art. 23, comma 3 della l. TAR) sia al ricorrente che 
alle parti costituite in giudizio. Tale termine � ridotto a quarantacinque giorni, 
su accordo delle parti, se l�udienza di merito � fissata a seguito di rinuncia alla 
definizione autonoma della domanda cautelare. 
- Il termine per produrre documenti � anticipato da venti giorni (come era 
previsto dall�art. 23, comma 3 l. TAR) a quaranta giorni liberi prima dell�udienza 
di discussione (art. 73, comma 1); il terminie per produrre memorie 
� anticipato da dieci giorni (come era previsto dall�art. 23, comma 4 l. TAR) 
a trenta giorni liberi prima dell�udienza di discussione (art. 73, comma 1); 
viene inoltre introdotto un termine per presentare repliche di venti giorni liberi 
prima dell�udienza di discussione (art. 73, comma 1). 
- Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rile-
TEMI ISTITUZIONALI 33 
vata d�ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione 
emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest�ultima e 
con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per 
il deposito di memorie (art. 73). 
12) Sospensione e interruzione del processo: 
- In caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere 
presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione 
dell�atto che fa vener meno la causa della sospensione (art. 80, comma 
1). Le ordinanze di sospensione sono appellabili: l�appello � deciso in camera 
di consiglio (art. 79, comma 3). 
- Il processo interrotto prosegue se la parte nei cui confronti si � verificato 
l�evento interruttivo presenta nuova istanza di fissazione di udienza. In mancanza, 
il processo deve essere riassunto, a cura della parte pi� diligente, con 
apposito atto notificato a tutte le altri parti, nel terminie perentorio di novanta 
giorni (e non pi� di sei mesi come gi� previsto dall�art. 24, comma 2 l. TAR) 
dalla conoscenza legale dell�evento interruttivo, acquista mediante dichiarazione, 
notificazione o certificazione (art. 80, commi 2 e 3). 
13) Estinzione (perenzione e rinuncia) e improcedibilit�: 
- Il giudice dichiara l�estinzione del giudizio per perenzione, per rinuncia 
e se il guidizio non viene proseguito o riassunto nel terminie perentorio fissato 
dalla legge o assegnato dal giudice (art. 35, comma 2). 
Sono previsti tre tipi di perenzione: 
- La perenzione ordinaria che � ridotta da due anni (come era previsto 
dall�art. 40, comma 2 T.U. C.d.S) ad un anno e che consegue al mancato compimento 
di atti di procedura nel corso di detto periodo; il termine non decorre 
dalla presentazione dell�istanza di fissazione di udienza e finch� non si sia 
provveduto su di essa (art. 81); 
- La perenzione ultraquinquennale che consegue comunque alla mancata 
presentazione di una nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla 
parte che ha rilasciato la procura di cui all�art. 24 e dal suo difensore, entro 
centottanta giorni dalla data di ricevimento dell�avviso con il quale la segreteria, 
dopo il decorso di cinque anni dal deposito del ricorso, comunica alle 
parti costituite l�onere di prestare una nuova istanza di fissazione di udienza. 
In difetto di tale nuova istanza, il ricorso � dichirato perento (art. 82, comma 
1); se, in assenza del predetto avviso, � comunicato alle parti l�avviso di fissazione 
dell�udienza di discussione nel merito, il ricoso � deciso qualora il ricorrente 
dichiari, anche in udienza a mezzo del proprio difensore, di avere 
interesse alla decisione (art. 82, comma 2); 
- La perenzione dei ricorsi pendenti da pi� di cinque anni alla data di entrata 
in vigore del Codice, regolamentata da una norma transitoria, che consegue 
alla mancata presentazione di una nuova istanza di fissazione di udienza, 
sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura di cui all�art. 24 e dal suo
34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
difensore, nel termine di centottanta giorni dalla entrata in vigore del codice 
(15 marzo 2011), in assenza di un avviso da parte della segreteria. In difetto 
di tale nuova istanza, il ricorso � dichiarato perento con decreto del presidente 
(art. 1 comma 1, all. 3). Se tuttavia, nel termine di centottanta giorni dalla comunicazione 
del decreto, il ricorrente deposita un atto, sottoscritto dalla parte 
personalmente e dal difensore e notificato alle altre parti, in cui dichiara di 
avere ancora interesse alla trattazione della causa, il presidente revoca il decreto 
disponendo la reiscrizione della causa sul ruolo di merito (art. 1, comma 
2, all. 3). Se nella pendenza del termine di centottanta giorni dalla entrata in 
vigore del codice, � comunicato alle parti l�avviso di fissazione dell�udienza 
di discussione, il ricorso � deciso qualora il ricorrente dichiari, anche in 
udienza a mezzo del proprio difensore, di avere interesse alla decisione (art. 
1, comma 3, all. 3). 
Alla luce dell�ordinanza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 4447/07 che ha 
ritenuto la doppia sottoscrizione necessaria anche per le amministrazioni patrocinate 
dall�Avvocatura dello Stato, prudenzialmente, sara necessario, ove i 
tempi lo consentano far sottoscrivere l�istanza di cui all�art. 82, comma 1 e 
quella di cui all�art. 1, commi 1 e 2 all. 3 anche all�amministrazione (cfr. circolare 
n. 40 del 13 settembre 2007). In assenza di contrarie indicazioni del titolare 
dell�affare, l�avvocato dello Stato presente all�udienza fissata ai sensi 
dell�art. 82, comma 2 o dell�art. 1, comma 3, all. 3 dovr� , di regola, dichiarare 
la persistenza dell�interesse alla decisione nelle cause in cui l�amministrazione 
� appellante. 
- La parte pu� rinunciare al ricorso mediante dichiarazione sottoscritta da 
essa stessa o dall�avvocato munito di mandato speciale e depositata presso la 
segreteria, o mediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo 
verbale. La rinuncia deve essere notificata alle altri parti almeno dieci giorni 
prima dell�udienza. Se le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si 
oppongono, il processo si estingue. Il rinunciante deve pagare le spese, salvo 
che il collegio, avuto riguardo a ogni circostanza, ritenga di compensarle (la 
condanna alle spese era invece obbligatoria ai sensi dell�art. 46 R.D. n. 
642/1907). Anche in assenza delle predette formalit�, il giudice pu� desumere, 
dall�intervento di fatti o atti univoci ed altres� dal comportamento delle parti, 
argomenti di prova della sopravvenuta carenza d�interesse alla decisione della 
causa (art. 84). 
- Il giudice dichiara l�improcedibilit� del ricorso quando nel corso del 
giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione, o non sia 
stato integrato il contraddittorio nel termine assegnato ovvero sopravvengono 
altre ragioni ostative alla pronuncia di merito (art. 35, comma 1). La materia 
del contendere (gi� prevista dall�art. 26, comma 7 l. TAR) � da intendersi ricompresa 
nella dichiarazione di improcedibilit�. 
- Nel disciplinare l�opposizione ai decreti che pronunciano l�estinzione o
TEMI ISTITUZIONALI 35 
l�improcedibilit� del giudizio (art. 85, comma 3 e art. 87, comma 2, lett. e), il 
Codice non fa pi� riferimento all�opposizione al decreto che dichiara la perenzione 
(gi� autonomamente contemplata dall�art. 26, comma 7 l. TAR) ma 
tale opposizione deve intendersi ammessa dal combinato disposto della predette 
norme e l�art. 35, comma 2, lett. b) atteso che la perenzione costituisce 
una delle tre cause di estinzione del giudizio. Il termine per proporre opposizine 
al collegio, con atto notificato a tutte le altri parti, resta di sessanta giorni 
dalla comunciazione del decreto. L�opposizione � decisa in camera di consiglio 
con ordinanza e tutti i termini processuali sono dimezzati (art. 87, comma 3). 
Quindi il termine per depositare l�opposizione non � pi� di dieci giorni (come 
gi� previsto dall�art. 26, comma 7 l. TAR) ma di quindici giorni. Avverso l�ordinanza 
che decide sull�opposizione pu� essere proposto appello secondo le 
regole ordinarie; l�udienza di discussione � fissata d�ufficio con priorit� (art. 
85, commi 7 e 8). 
- L�opposizione da notificare nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione 
del decreto, disciplinata dall�art. 85, � quindi proponibile avverso i 
decreti di perenzione annuale ex art. 81 e i decreti di perenzione ultraquinquennale 
ex art. 82 mentre per ottenere la revoca dei decreti di perenzione ultraquinquennale 
ex art. 1, all. 3 � sufficiente depositare, nel terminie di 
centottanta giorni dalla comunicazione del decreto, un atto in cui si dichiara 
di aver ancora interesse alla trattazione della causa. 
14) Procedimenti in camera di consiglio: 
Ai sensi dell�art. 87, si trattano in camera di consiglio: 
- i giudizi cautelari e quelli relativi all�esecuzione delle misure cautelari; 
- il giudizio in materia di silenzio; 
- il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi; 
- i giudizi di ottemperanza; 
- i giudizi in opposizione ai decreti che pronunciano l�estinzione o l�improcedibilit� 
del giudizio. 
In tutti i predetti giudizi, ad eccezione di quelli cautelari, tutti i termini 
processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne 
quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidente e dei 
motivi aggiunti. La camera di consiglio � fissata d�ufficio alla prima udienza 
utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di 
costituzione delle parti intimate (quindi dopo sessanta giorni dalla notifica del 
ricorso). 
LIBRO TERZO: Impugnazioni 
15) Mezzi di impugnazione e termini: 
- Ai sensi dell�art. 38, le disposizioni del Libro II, se non espressamente 
derogate, si applicano anche alle impugnazioni e ai riti speciali. 
- I mezzi di impugnazione delle sentenze sono l�appello, la revocazione,
36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
l�opposizione di terzo e il ricorso per cassazione per i soli motivi inerenti alla 
giurisdizione (art. 91). 
- Il termine breve per impugnare le sentenze � rimasto di sessanta giorni 
dalla notificazione mentre il termine lungo � stato dimezzato a sei mesi dalla 
pubblicazione della sentenza, come gi� doveva dedursi dalla modifica dell�art. 
327 c.p.c. da parte della l. n. 69/2009 (cfr. Circolare n. 31 del 23 giugno 2009, 
punto 4). Detta abbreviazione � applicabile non solo ai giudizi instaurati dopo 
l�entrata in vigore della predetta l. n. 69/2009 (4 luglio 2009) ma anche ai processi 
pendenti alla data di entrata in vigore del Codice (16 settembre 2010) in 
cui la sentenza sia stata depositata dopo tale data (art. 2 all. 3). 
- Per il rito abbreviato di cui all�art. 119 (nelle materie gi� disciplinate 
dall�art. 23 bis l. TAR), il termine breve per impugnare la sentenza resta di 
trenta giorni dalla sua notificazione mentre il temine lungo � ridotto da centoventi 
giorni a tre mesi dalla pubblicazione della sentenza. 
- Anche per i giudizi in materia di silenzio, di accesso e di ottemperanza, 
il termine breve per impugnare la sentenza � dimezzato (art. 87, comma 3) ed 
� quindi di trenta giorni dalla sua notificazione mentre il termine lungo � di 
tre mesi dalla pubblicazione della sentenza. 
- Il termine per il deposito dell�appello � rimasto di trenta giorni dall�ultima 
notificazione (art. 94) e di quindici giorni dall�ultima notificazione per i 
riti in cui i termini sono dimezzati. 
- In caso di notifica non andata a buon fine perch� il domiciliatario si � 
trasferito senza notificare una formale comunicazione alle parti, pu� essere 
presentata un�istanza al presidente del TAR o al presidente del Consiglio di 
Stato, secondo il giudice adito con l�impugnazione, corredata dall�attestazione 
dell�omessa notificazione, per la fissazione di un termine perentorio per il 
completamento della notificazione o per la rinnovazione dell�impugnazione 
(art. 93). 
- L�impugnazione incidentale tempestiva ex art. 333 c.p.c. pu� essere rivolta 
contro qualsiasi capo della sentenza e deve essere proposta dalla parte 
entro sessanta giorni dalla notificazione della sentenza o, se anteriore, entro 
sessanta giorni dalla prima notificazione nei suoi confronti di altra impugnazione 
(art. 96, comma 3); l�impugnazione incidentale tardiva ex art. 334 c.p.c. 
pu� investire anche capi autonomi della sentenza e deve essere proposta dalla 
parte entro sessanta giorni dalla data in cui si � perfezionata nei suoi confronti 
la notificazione dell�impugnazione principale e depositata entro dieci giorni 
(art. 93, commi 4 e 5). Nel silenzio della legge, per il deposito dell�impugnazione 
incidentale tempestiva deve ritenersi applicabile il termine ordinario di 
trenta giorni; cautelativamente, lo scadenziere per il deposito dell�impugnazione 
incidentale sar� in ogni caso di dieci giorni. 
16) Appello: 
- Una notevole novit� � stata introdotta con la disposizione in base alla
TEMI ISTITUZIONALI 37 
quale si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o 
non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente 
riproposte nell�atto di appello o, per le parti diverse dall�appellante, con 
memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in 
giudizio (art. 101, comma 2), ovvero sessanta giorni dalla notificazione dell�appello 
(art. 46, comma 1). Tale disposizione non � applicabile agli appelli 
depositati prima dell�entrata in vigore del codice (art. 3, all. 3). 
- Viene inoltre introdotto l�istituto della riserva facoltativa di appello: contro 
le sentenze non definitive � proponibile l�appello ovvero la riserva di appello, 
con atto notificato entro il termine per l�appello; in tale ultimo caso, la 
riserva di appello � depositata nei successivi trenta giorni presso la segreteria 
del tribunale amministrativo regionale (art. 103). 
- Nel giudizio di appello non possono essere proposte nuove domande � 
fermo restando che ove l�annullamento del provvedimento impugnato non risulti 
pi� utile, il giudice pu� accertare l�illegittimit� dell�atto se sussiste l�interesse 
ai fini risarcitori � n� nuove eccezioni non rilevabili d�ufficio. Possono 
tuttavia essere chiesti gli interessi e gli accessori maturati dopo la sentenza 
impugnata, nonch� il risarcimento dei danni subiti dopo la sentenza stessa (art. 
104, comma 1). Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono esser 
prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini 
della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto 
proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile 
(art. 104, comma 2). Possono esser proposti motivi aggiunti qualora la 
parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio 
di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi 
impugnati (art. 104, comma 3). 
17) Revocazione, opposizione di terzo e ricorso per cassazione: 
- Le sentenze dei TAR e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione 
nei casi previsti dagli articoli 395 e 396 c.p.c. ma contro le sentenze 
dei TAR la revocazione � ammessa se i motivi non possono essere dedotti con 
l�appello (art. 106). Contro la sentenza emessa nel giudizio di revocazione 
sono ammessi i mezzi di impugnazione ai quali era originariamente soggetta 
la sentenza impugnata per revocazione ma � esclusa una seconda impugnazione 
per revocazione (art. 107). 
- Conformemente alla sentenza della Corte costituzionale n. 177/1995, � 
stata espressamente prevista l�opposizione di terzo, contro le sentenze dei TAR 
o del Consiglio di Stato, anche passate in giudicato, qualora il terzo sia titolare 
di una posizione autonoma e incompatibile e sia pregiudicato da una sentenza 
pronunciata tra altri soggetti. E� altres� ammessa l�opposizione di terzo revocatoria, 
quando la sentenza sia effetto di dolo o collusione a danno degli aventi 
causa e dei creditori di una delle parti (108). L�opposizione di terzo � proposta 
davanti al giudice che ha pronunciato la sentenza ma se � proposto appello
38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
contro la sentenza di primo grado, il terzo deve introdurre la domanda intervenendo 
nel giudizio di appello (art. 109). 
- Il ricorso per cassazione � ammesso contro le sentenze del Consiglio di 
Stato per i soli motivi inerenti alla giurisdizione (art. 110). Il Consiglio di Stato 
su istanza di parte, in caso di eccezionale gravit� ed urgenza, pu� sospendere 
gli effetti della sentenza impugnata e disporre le altre opportune misure cautelari 
(art. 111). 
LIBRO QUARTO: Ottemperanza e riti speciali 
18) Giudizio di ottemperanza: 
- Ai sensi dell�art. 112, l�azione di ottemperanza pu� essere proposta per 
ottenere l�adempimento dell�obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi: 
- alle sentenze esecutive e agli altri provvedimenti esecutivi del giudice 
amministrativo (come gi� previsto dall�art. 33, comma 5 e, rispettivamente, 
dall�art. 21, comma 14 l. TAR); 
- alle sentenze passate in giudicato del giudice amministrativo; 
- alle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse 
equiparati del giudice ordinario; 
- alle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse 
equiparati dei giudici speciali per i quali non sia previsto il rimedio dell�ottemperanza; 
- ai lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili (tale ultima categoria 
costituisce una novit�). Viene quindi recepita espressamente la giurisprudenza 
che richiedeva il passaggio in giudicato dei provvedimenti emessi da giudici 
diversi dal giudice amministrativo quale presupposto per l�esperibilit� del giudizio 
di ottemperanza (Cons. Stato, sez. IV, 19 luglio 2004, n. 5208). 
- E� stata inoltre prevista la possibilit� di proporre azione di condanna al 
pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio 
in giudicato della sentenza, nonch� azione di risarcimento dei danni 
derivanti dalla mancata esecuzione, violazione eo elusione del giudicato (art. 
112, comma 3), oltre alla domanda risarcitoria, proponibile per la prima volta 
in sede di ottemperanza, nel termine di centoventi giorni dal passaggio in giudicato 
della sentenza che ha deciso sulla connessa domanda di annullamento; 
in tale caso il giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme, nei modi e nei 
termini del processo ordinario (art. 112, comma 4). Il ricorso pu� essere proposto 
anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalit� di ottemperanza 
e quindi anche dalla pubblica amministrazione tenuta all�esecuzione 
(art. 112, comma 5). 
- Per l�ottemperanza ai provvedimenti del giudice amministrativo, il ricorso 
si proporne al giudice che ha emesso il provvedimento medesimo e comunque 
la competenza � del TAR anche per i suoi provvedimenti confermati
TEMI ISTITUZIONALI 39 
in appello con motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e conformativo 
dei provvedimenti di primo grado mentre per i provvedimenti del 
giudice ordinario, dei giudici speciali e dei collegi arbitrali, il ricorso si propone 
al TAR nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza 
di cui � chiesta l�ottemperanza (art. 113). 
Viene quindi cos� notevolmente circoscritta la competenza del Consiglio 
di Stato in sede di ottemperanza (cfr. il folto contenzioso per l�esecuzione dei 
decreti della Corte d�appello e delle sentenze della Suprema Corte in materia 
di legge Pinto), prima prevista in linea generale (art. 37, comma 2 l. TAR) e 
ormai divenuta residuale. 
- Viene espressamente prevista la previa notificazione del ricorso per l�ottemperanza 
e contestualmente viene eliminato l�obbligo della previa diffida e 
messa in mora (art. 114); non � inoltre richiesta l�apposizione della formula 
esecutiva (art. 115, comma 3). Al ricorso � allegata in copia autentica la sentenza 
di cui si chiede l�ottemperanza, con la prova del suo passaggio in giudicato 
(in caso di sentenza emessa da giudice diverso dal giudice amministrativo: 
art. 114, comma 2). Non � quindi onere dell�amministrazione eccepire il mancato 
passaggio in giudicato della sentenza, come talvolta richiesto in udienza 
dal Consiglio di Stato. 
- Il giudice decide con sentenza in forma semplificata o con ordinanza se 
� chiesta l�esecuzione di un�ordinanza (art. 114, comma 3 e 5). Come gi� previsto 
dalla l. n. 69/2009, il giudice pu� fissare, su richiesta di parte, la somma 
di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, 
ovvero per ogni ritardo nell�esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce 
titolo esecutivo (art. 114, comma 4, lett. e). Infine, risolvendo ogni dubbio 
in ordine alla necessit� di distinguere tra violazione ed elusione del 
giudicato e tra atti autonomi e atti dipendenti dal giudicato, viene definitivamente 
chiarito che il giudice conosce di tutte le questioni relative all�esatta ottemperanza, 
ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario ad acta (art. 
114, comma 6). 
19) Riti speciali: accesso, silenzio, decreto ingiuntivo: 
- Come si � gi� detto sub 14), i giudizi in materia di accesso e di silenzio 
si trattano in camera di consiglio, tutti i termini processuali sono dimezzati 
(art. 87) e il giudice decide con sentenza in forma semplificata. 
- Ai sensi dell�art. 116, contro le determinazioni e contro il silenzio sulle 
istanze di accesso ai documenti amministrativi il ricorso � proposto entro trenta 
giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione 
del silenzio, mediante notificazione all�amministrazione e agli eventuali controinteressati. 
In pendenza di un giudizio cui la richieda di accesso � concessa, 
il ricorso pu� essere proposto con istanza deposita presso la segreteria della 
sezione cui � assegnato il ricorso principale, previa notificazione all�amministrazione 
e agli eventuali controinteressati. L�istanza � decisa con ordinanza
40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il 
giudizio. Come si � gi� detto sub 3), l�amministrazione pu� essere rappresentata 
e difesa, anche nei giudizi di impugnazione, da un proprio dipendente a 
ci� autorizzato (art. 116, commi 3 e 5). E comunque preferibile, in linea di 
principio, che innanzi al Consiglio di Stato l�amministrazione sia rappresentata 
e difesa dall�Avvocatura dello Stato. 
- Ai sensi dell�art. 117, il ricorso avverso il silenzio � proposto, anche 
senza previa diffida, con atto notificato all�amministrazione e ad almeno un 
controinteressato fintanto che perdura l�inadempimento e, comune, non oltre 
un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento (art. 31, 
comma 2). Se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso 
questo pu� essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il 
rito previsto per il nuovo provvedimento e l�intero giudizio prosegue con tale 
rito (art. 117, comma 5). Se l�azione di risarcimento del danno da ritardo � 
proposta congiuntamente a quella avverso il silenzio, il giudice pu� definire 
con il rito camerale quest�ultima e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria 
(art. 117, comma 6). 
- Per il procedimento di ingiunzione, nelle controversie devolute alla giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo aventi ad oggetto diritti soggettivi 
di natura patrimoniale, il Codice rinvia agli articoli 633 e seguenti c.p.c. 
L�opposizione si propone con ricorso. 
20) Rito abbreviato: 
- L�art. 119 disciplina il rito abbreviato nelle materie ivi elencate, gi� disciplinate 
dall�art. 23 bis l. TAR, comprese le controversie in materia di appalti 
(art. 119, comma 1, lett. a) che vengono per� ulteriormente disciplinate, con 
alcune disposizioni specifiche, dagli articoli da 120 a 125. 
- Tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati salvo, nei giudizi di 
primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale 
e dei motivi aggiunti, nonch� quelli per la proposizione dell�appello 
cautelare (che sono quindi, come per le altre materie, di trenta giorni dalla notifica 
dell�ordinanza e di sessanta giorni dalla sua pubblicazione) ma non anche 
quello per il deposito dell�appello cautelare, che � (e resta come gi� previsto 
all�art. 23 bis l. TAR) di quindici giorni (art. 119, comma 2). 
- Come si � gi� detto sub 15), per il rito abbreviato di cui all�art. 119, il 
termine breve per impugnare la sentenza resta di trenta giorni dalla sua notificazione 
mentre il termine lungo � ridotto da centoventi giorni a tre mesi dalla 
pubblicazione della sentenza. 
- Come gi� previsto dall�art. 23 bis l. TAR, sempre che non venga definito 
il giudizio in camera di consiglio, in sede di decisone della domanda cautelare 
ex art. 60, con sentenza in forma semplificata il TAR, accertata la completezza 
del contraddittorio ovvero disposta l�integrazione dello stesso, se ritiene, a un 
primo sommario esame, la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso e di
TEMI ISTITUZIONALI 41 
un pregiudizio grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione 
del merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta 
giorni dalla data di deposito dell�ordinanza, disponendo altres� il deposito dei 
documenti necessari e l'acquisizione delle eventuali altre prove occorrenti. 
Analoga disposizione � prevista in caso di accoglimento dell�istanza cautelare 
da parte del Consiglio di Stato (art. 119, comma 3). 
- La pubblicazione del dispositivo entro sette giorni dalla decisione non 
� pi� prevista automaticamente ma solo ove una delle parti dichiari a verbale 
di avere interesse alla pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla 
sentenza (art. 119, comma 5). 
- Come gi� previsto dall�art. 23 bis l. TAR, la parte pu� chiedere al Consiglio 
di Stato la sospensione dell�esecutivit� del dispositivo proponendo appello 
entro trenta giorni dalla relativa pubblicazione, con riserva dei motivi. 
In tale caso, resta di trenta giorni dalla notificazione della sentenza il termine 
breve per proporre i motivi mentre � ridotto da centoventi giorni a tre mesi 
dalla pubblicazione della sentenza il termine lungo per proporre i motivi medesimi. 
La mancata richiesta di sospensione dell�esecutivit� del dispositivo 
non preclude la possibilit� di chiedere la sospensione dell�esecutivit� della 
sentenza dopo la pubblicazione dei motivi (art. 119, comma 6). 
21) Rito in materia di appalti: 
- Gli articoli da 120 a 125 dettano disposizioni specifiche per gli atti delle 
procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi 
e concorsi di progettazione e di attivit� tecnico-amministrative ad esse connesse, 
relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonch� i connessi 
provvedimenti dell�Autorit� per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, 
servizi e forniture. Per quanto non espressamente previsto dalle predette 
norme, si applica l�art. 119 (art. 120, comma 3). 
- Con le citate disposizioni, � stata inserita nel codice la disciplina processuale 
del contenzioso sugli appalti pubblici dettata dal decreto legislativo 
20 marzo 2010, n. 53 di recepimento della c.d. direttiva ricorsi 2007/66/CE e 
corrispondente agli articoli 245 (strumenti di tutela), 245-bis (inefficacia del 
contratto in caso di gravi violazioni), 245-ter (inefficacia dei contratti negli 
altri casi), 245-quater (sanzioni alternative), 245-quinquies (tutela in forma 
specifica e per equivalente) e 246 (norme processuali ulteriori per le controversie 
relative a infrastrutture e insediamenti produttivi) del codice dei contratti 
(d.lgs. n. 163/2006). Ai sensi dell�art. 3, comma 19, all. 4, le predette norme 
del codice dei contratti sono modificate nel senso che operano un rinvio mobile 
alle disposizioni del codice del processo amministrativo. 
- Gli articoli da 121 a 125 riproducono testualmente i corrispondenti articoli 
da 245-bis a 246 del codice dei contratti, salvo, per l�art. 124 (tutela informa 
specifica e per equivalente), l�eliminazione dell�inciso in grassetto dalla 
seguente frase: �se il giudice non dichiara l�inefficacia del contratto dispone,
42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
su domanda e a favore del solo ricorrente avente titolo all�aggiudicazione, il 
risarcimento del danno per equivalente subito e provato�. 
Si rimanda pertanto alla circolare n. 26 del 4 giugno 2010. 
- L�art. 120, riguardante gli strumenti processuali contiene invece numerose 
innovazioni rispetto all�art. 245 del codice dei contratti, come modificato 
dal d.lgs. n. 53/2010. In particolare, sono stati eliminati alcuni temi che sono 
rimasti in vigore esclusivamente dal 27 aprile 2010 al 16 settembre 2010: il 
termine di quindici giorni per impugnare l�ordinanza cautelare comunicata o 
notificata, che resta di sessanta giorni dal deposito o di trenta giorni dalla notifica 
(art. 62, comma 1 e art. 119, comma 2); il termine di dieci giorni per il 
deposito dell�appello cautelare, che resta di quindici giorni (art. 62, comma 2 
e art. 119, comma 2); il termine di cinque giorni dalla notifica del ricorso per 
depositare memoria in caso di domanda cautelare, che � ora di un giorno libero 
prima dell�udienza (art. 55, comma 5 e art. 119, comma 2). 
- Rispetto all�art. 119, le disposizioni specifiche dell�art. 120 prevedono 
un rito ancor pi� accelerato e dispongono che: il termine per la notificazione 
del ricorso e dei motivi aggiunti � di trenta giorni; quando il giudizio non � 
immediatamente definito all�esito dell�udienza cautelare ex art. 60, l�udienza 
di merito, ove non indicata dal collegio ai sensi dell�art. 119, comma 3, � immediatamente 
fissata d�ufficio con assoluta priorit�; il giudice decide interinalmente 
sulla domanda cautelare, anche se ordina adempimenti istruttori, se 
concede termini a difesa, o se solleva o vengono proposti incidenti processuali; 
il dispositivo del provvedimento con cui il TAR definisce il giudizio � pubblicato 
(a prescindere da una richiesta di parte in tal senso) entro sette giorni dalla 
data della sua deliberazione (tale norma non � applicabile innazi al Consiglio 
di Stato); tutti gli atti di parte e i provvedimenti del giudice devono essere sintetici 
e la sentenza � redatta, ordinariamente, in forma semplificata. 
22) Contenzioso elettorale: 
- La disciplina del contenzioso sulle operazioni elettorali � nel quale non 
� ammesso il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (art. 128) � 
prevede due tipi di procedimenti: la tutela anticipata avverso gli atti di esclusione 
di liste o candidati dai procedimenti elettorali preparatori per le elezioni 
comunali, provinciali e regionali, introdotta ex novo (art. 129) e il contenzioso 
relativo alle operazioni elettorali di comuni, province, regioni e Parlamento 
europeo concernente tutti gli atti del procedimento elettorale successivi all�emanazione 
dei comizi elettorali, impugnabili solo unitamente all�impugnazione 
dell�atto di proclamazione degli eletti (art. 130). La delega non � stata 
invece esercitata per la parte relativa all�introduzione ex novo di una tutela 
specifica per la fase preparatoria delle elezioni politiche. 
- Quanto al primo tipo di procedimento, l�art. 129 stabilisce che l�esclusione 
di liste o candidati pu� essere immediatamente impugnata, esclusivamente 
da parte dei delegati delle liste e dei gruppi di candidati esclusi, nel
TEMI ISTITUZIONALI 43 
termine di tre giorni dalla pubblicazione, anche mediante affissione, degli atti 
impugnati. Il ricorso deve essere notificato, esclusivamente mediante consegna 
diretta, posta elettronica certificata o fax, all�ufficio che ha emanato l�atto impugnato, 
alla Prefettura e, ove possibile, ai controinteressati e depositato presso 
la segreteria del TAR, che provvede ad affiggerlo in appositi spazi accessibili 
al pubblico. L�udienza di discussione si celebra nel termine di tre giorni dal 
deposito del ricorso, senza avvisi. Il giudizio � deciso all�esito dell�udienza 
con sentenza in forma semplificata da pubblicarsi nello stesso giorno. Il ricorso 
in appello deve esser notificato nelle stesse forme del ricorso entro due giorni 
dalla pubblicazione della sentenza e depositato sia presso il TAR che ha 
emesso la sentenza, sia presso la segreteria del Consiglio di Stato. 
- Quanto al secondo tipo di procedimento, l�art. 130 prevede che gli atti 
del procedimento elettorale sono impugnati da qualsiasi candidato o elettore 
dell�ente della cui elezione si tratta con ricorso da depositare nella segreteria 
del TAR entro trenta giorni dalla proclamazione degli eletti. Il ricorso, unitamente 
al decreto di fissazione dell�udienza, � notificato, a cura di chi lo ha 
proposto, entro dieci giorni dalla data di comunicazione del decreto medesimo 
all�ente della cui elezione si tratta, all�Ufficio elettorale centrale nazionale in 
caso di elezioni dei membri del Parlamento europeo ed ad almeno un controinteressato 
ed � successivamente depositato nella segreteria del TAR entro 
dieci giorni con la prova dell�avvenuta notificazione. L�amministrazione e i 
controinteressati depositano le proprie controdeduzioni nei quindici giorni successivi 
a quello in cui la notificazione si � perfezionata nei loro confronti. 
- Gli articoli 131 e 132 disciplinano il procedimento di appello a seconda 
che si tratti di operazioni elettorali di comuni, province e regioni (art. 131) ovvero 
di operazioni elettorali del Parlamento europeo (art. 132). Nel primo caso 
l�appello � proposto entro il termine di venti giorni dalla notifica della sentenza 
o della sua pubblicazione nell�albo pretorio del comune; al giudizio si applicano 
le norme che regolano il processo di appello innanzi al Consiglio di Stato 
e i relativi termini sono dimezzati. Nel secondo caso, le parti possono proporre 
appello mediante dichiarazione da presentare presso la segreteria del TAR che 
ha pronunciato la sentenza entro il temine di cinque giorni dalla pubblicazione 
della sentenza o del dispositivo; l�atto di appello contenente i motivi deve essere 
depositato entro il termine di trenta giorni dalla ricezione dell�avviso di 
pubblicazione della sentenza. 
LIBRO QUINTO: Norme finali 
23) Giurisdizione esclusiva e di merito, competenza inderogabile del 
TAR Lazio: 
- Il Codice opera un ampliamento delle materie rientranti nella giurisdizione 
esclusiva, elencate all�art. 133, evidenziando la portata generale della 
giurisdizione esclusiva su tutti i provvedimenti anche sanzionatori adottati
44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
dalle autorit� indipendenti � ad eccezione del Garante per la privacy � (ivi 
comprese le sanzioni irrogate da Banca d�Italia e Consob in materia creditizia 
e mobiliare, con conseguente abrogazione dell�art. 145 d.lgs n. 385/1993 e 
195 d.lgs. n. 58/1998 che prevedevano la giurisdizione ordinaria e, segnatamente, 
la competenza della Corte d�appello di Roma) esclusi quelli inerenti 
ai rapporti di impiego privatizzati (comma 1, lett. l). 
A seguito dell�intervento additivo della sentenza della Corte costituzionale 
n. 191/2006, viene inoltre esplicitata che la giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo in materia espropriativa concerne anche i comportamenti 
amministrativi, che non si traducono in atti formali, riconducibili anche 
mediatamente all�esercizio di un pubblico potere (comma 1, lett. g). 
- Sono state invece fortemente ridimensionate dall�art. 134 le materie di 
giurisdizione estesa al merito gi� elencate dall�art. 27 T.U. CdS (da 17 a 5 categorie) 
tra le quali vanno per� annoverate, innovativamente, le controversie 
aventi ad oggetto le sanzioni pecuniarie la cui contestazione � devoluta alla 
giurisdizione del giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle autorit� 
indipendenti (comma 1, lett. c). 
- L�art. 135 elenca le controversie devolute alla competenza funzionale 
inderogabile del TAR Lazio, sede di Roma, tra le quali sono state inserite 
quelle in materia di rimozione di amministratori locali e di scioglimento dei 
consigli comunali per infiltrazioni mafiose (comma 1, lett. q) nonch� quelle 
concernenti la produzione di energia elettrica da fonte nucleare, i rigassificatori, 
i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche di potenza termica 
superiore a 400 MW nonch� quelle relative ad infrastrutture di trasposto ricomprese 
o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale 
di gasdotti, fatta salva la competenza inderogabile del TAR Lombardia, 
sede di Milano per le controversie relative ai poteri esercitati dall�Autorit� per 
l�energia elettrica e il gas, prevista dall�art. 14, comma 2 (comma 1, lett. f). 
24) Indirizzi telematici e depositi informatici: 
- I difensori indicano nel ricorso o nel primo atto difensivo il proprio indirizzo 
di posta elettronica certifica e il proprio recapito di fax dove intendono 
ricevere le comunicazioni relative al processo. Una volta espressa tale indicazione 
si presumono conosciute le comunicazioni pervenute con i predetti 
mezzi nel rispetto della normativa, anche regolamentare, vigente. E� onere dei 
difensori comunicare alla segreteria e alle parti costituite ogni variazione dei 
suddetti dati (art. 136, comma 1). 
Con successiva circolare, verr� previsto l�indirizzo P.E.C. da indicare 
negli atti. 
- I difensori costituti forniscono copia in via informatica di tutti gli atti di 
parte depositati e, ove possibile, dei documenti prodotti e di ogni altro atto di 
causa. Il difensore attesta la conformit� tra il contenuto del documento in formato 
elettronico e quello cartaceo. Il deposito del materiale informatico, ove
TEMI ISTITUZIONALI 45 
non sia effettato unitamente a quello cartaceo, � eseguito su richiesta della segreteria 
nel termine da questa segnalato, esclusa ogni decadenza. In casi eccezionali 
il presidente pu� dispensare dall�osservanza di quanto previsto dal 
presente comma (art. 136, comma 2). A tale fine � modificata la richiesta di 
rapporto come da indicazioni in calce alla presente Circolare. Le segreterie 
del TAR e del Consiglio di Stato si sono riservate di comunicare l�indirizzo 
P.E.C. al quale inviare gli atti e i documenti in formato elettronico nonch� le 
modalit� di trasmissione degli stessi. 
Con successiva circolare verranno fornite le indicazioni operative in merito. 
ALLEGATO 2: Norme di attuazione 
25) Orario dei depositi: 
- Nei casi in cui il codice prevede il deposito di atti o documenti sino al 
giorno precedente la trattazione di una domanda in camera di consiglio, il deposito 
deve avvenire entro le ore 12,00 dell�ultimo giorno consentito. In ogni 
caso � assicurata la possibilit� di depositare gli atti in scadenza sino alle ore 
12,00 dell�ultimo giorno consentito (art. 4, commi 2 e 4, all. 2). 
26) Copie degli atti: 
- A norma dell�art. 5, all. 2, ciascuna parte, all�atto della propria costituzione 
in giudizio, consegna il proprio fascicolo, contenente gli originali degli 
atti e i documenti di cui intende avvalersi nonch� il relativo indice (comma 
1). Gli atti devono essere depositati in numero di copie corrispondente ai componenti 
del collegio e alle altre parti costituite. Se il fascicolo di parte ed i depositi 
successivi non contengono le copie degli atti di cui al presente comma 
gli atti depositati sono trattenuti in segretaria e il giudice non ne pu� tener 
conto prima che la parte abbia provveduto all�integrazione del numero di copie 
richieste (comma 2). 
- La predetta norma, anche nei commi successi, distingue sempre tra atti 
e documenti; il numero di copie corrispondente ai componenti del collegio e 
alle parti costituite e la conseguenza pregiudizievole che deriva dal mancato 
deposito nel numero di copie indicato sono previsti esclusivamente per gli atti 
e non anche per i documenti. Per quanto riguarda questi ultimi, il deposito 
dovr� quindi avvenire, come in passato, in tre copie. 
27) Ritiro e trasmissione dei fascicoli di parte e del fascicolo d�ufficio: 
I documenti e gli atti prodotti davanti al TAR non possono essere ritirati 
dalle parti prima che il giudizio sia definito con sentenza passata in giudicato. 
In caso di appello, il segretario del giudice di appello richiede la trasmissione 
del fascicolo d�ufficio al segretario del giudice di primo grado, salvo che sia 
appellata una sentenza non definitiva ovvero un�ordinanza cautelare. Tuttavia 
il giudice di appello, pu�, se lo ritiene necessario, chiedere la trasmissione del 
fascicolo d�ufficio, ovvero ordinare alla parte interessata di produrre copia di 
determinati atti (art. 6, all. 2).
46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
ALLEGATO 3: Norme Transitorie 
28) Nuova istanza di fissazione di udienza e perenzione: 
L�art. 1 all. 3 prevede che per i ricorsi pendenti da oltre cinque anni, va 
depositata una nuova istanza di fissazione di udienza entro 180 giorni dall�entrata 
in vigore del codice (15 marzo 2011), pena la perenzione del ricorso. Si 
richiama quanto gi� dedotto sub 13). 
29) Ultrattivit� della disciplina previgente: 
Per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice 
continuano a trovare applicazione le norme previgenti. 
Con riferimento ai termini a ritroso per il deposito di atti e documenti, in 
assenza di una esplicita norma transitoria al riguardo, tra la tesi che ritiene applicabili 
le nuove norme solo quando l�avviso di udienza sia stato comunicato 
dopo il 16 settembre 2010 e quella che ritiene applicabili le nuove norme 
quando sia comunque rispettato (tenendo conto della sospensione feriale) il 
temine di sessanta giorni tra l�avviso di udienza (anche comunicato prima del 
16 settembre 2010) e la data dell�udienza, appare precauzionalmente preferibile 
attenersi, ove possibile, alla seconda soluzione. 
ALLEGATO 4: Norme di coordinamento e abrogazioni 
30) Norme di coordinamento e abrogazioni: 
L�operazione di codificazione ha consentito, da un lato, l�inserimento nel 
Codice di numerose disposizioni previste da altre fonti, modificate da norme 
di coordinamento che operano un rinvio mobile alla disciplina del Codice (art. 
1, 2 e 3, all. 4), dall�altro, l�abrogazione di circa 50 fonti normative, tra le quali 
il regolamento di procedura del Consiglio di Stato R.D. n. 642/1907; gran 
parte del T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato R.D. n. 1054/1924; gran parte 
della legge istitutiva dei TAR l. n. 1034/1971; alcuni articoli della legge sul 
procedimento amministrativo l. n. 241/1990; gran parte delle disposizioni in 
materia di giustizia amministrativa l. 205/2000 (art. 4 all. 4). 
L�AVVOCATO GENERALE 
Avv. Ignazio Francesco Caramazza 
Per ragioni di spazio, si omettono gli allegati in calce alla presente circolare riguardanti le istruzioni 
per la modifica degli scadenzieri e la richiesta di rapporto alle amministrazioni.
TEMI ISTITUZIONALI 47 
Svolgimento della funzione consultiva* 
La funzione consultiva dell�Avvocatura dello Stato appare di fondamentale 
importanza in quanto idonea a prevenire defatiganti e costose liti e ad assicurare 
la legittimit� dell�azione amministrativa. Detta funzione contribuisce, 
inoltre, al formarsi dell�immagine di una pubblica amministrazione trasparente 
ed imparziale. 
Affinch� tutto quanto si realizzi occorre, per�, che i quesiti siano evasi 
tempestivamente. Il che purtroppo non sempre accade, perch� troppo spesso 
l�incombere pressante di oggettive e ineludibili scadenze processuali non consente 
la sollecita stesura del parere richiesto, con conseguente progressiva riduzione 
delle richieste di consultazione da parte delle Amministrazioni, 
scoraggiate dagli usuali lunghi tempi di risposta. 
Ritengo pertanto prioritaria e indifferibile necessit� che si proceda ad un 
rilancio, ad una velocizzazione dell�attivit� consultiva, anche nello spirito del 
disposto dell�art. 16, comma 6, della L. n. 241/90, attraverso le misure sperimentali 
che seguono. Le stesse riguardano, al momento, i soli pareri di massima, 
ferma restando l�esigenza che tutta l�attivit� consultiva sia svolta con 
ogni possibile celerit�. 
Ciascun Vice Avvocato Generale designer�, nell�ambito della propria Sezione, 
secondo un criterio di specifica competenza e con periodica rotazione, 
un numero di Avvocati o Procuratori dello Stato variabile in dipedenza della 
frequenza con la quale le Amministrazioni patrocinate formulano quesiti aventi 
rilevanza generale. Gli Avvocati e Procuratori designati renderano con la massima 
urgenza i detti pareri di massima; al fine di consentire lo svolgimento di 
tale attivit� in via prioritaria, il carico di lavoro ordinario degli stessi potr� essere 
adeguatamente ridotto secondo la prudente valutazione del Vice Avvocato 
Generale competente. 
All�atto dell�impianto, il nuovo affare recante la richiesta di parere sar� 
segnalato � tramite l�invio di copia � all�Avvocato Generale Aggiunto, gi� da 
me delegato con la circolare n. 28 dell�8 giugno 2010 al monitoraggio sui 
tempi e le modalit� di espletamento dell�attivit� consultiva di massima. Contestualmente 
all�impianto, sar� prenotato, a cura dell�Archivio, apposito scadenziere 
(trenta giorni) di nuova istituzione, avente funzione meramente 
sollecitatoria, al fine di consentire il completamento del procedimento in termini 
ragionevoli. Analoga comunicazione sar� inviata a cura del Vice Avvocato 
Generale competente all�Avvocato Generale Aggiunto ove una questione 
di massima richiedente la pronuncia di un parere dovesse emergere nel corso 
della trattazione di affare gi� impiantato. 
(*) Circolare n. 53 - 12 ottobre 2010 prot. 310238 - dell�Avvocato Generale.
48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
La bozza di parere predisposto dall�Avvocato o Procuratore incaricato 
verr� quindi inviata all�Avvocato Generale Aggiunto, il quale, ove necessario, 
provveder� affinch� la trattazione della questione sia sottoposta con urgenza 
all�esame del Comitato Consultivo. In caso contrario, il parere sar� sottocritto 
dal Vice Avvocato Generale competente e dall�Avvocato o Procuratore estensore.
Una volta reso, il parere, a cura dell�Avvocato incaricato, sar� massimato 
ed inserito in apposita banca dati a cura del Coordinatore di Sezione o di altro 
soggetto all�uopo designato. La massimazione dovr� avvenire con la seguente 
forma: 
�Con la nota in riferimento viene posta la questione se� la risposta deve 
essere (positiva, o negativa, o articolata)�. 
L�Avvocato Generale Aggiunto e i Vice Avvocati Generali provvederanno 
ad informarsi periodicamente dell�andamento del consultivo di massima nella 
prima fase applicativa ai fini degli eventuali interventi correttivi che la concreta 
prassi rendesse necessari. 
Gli Avvocati Distrettuali vorranno conformare l�organizzazione delle rispettive 
Avvocature ai principi ispiratori della presente circolare. 
L�AVVOCATO GENERALE 
Avv. Ignazio Francesco Caramazza
TEMI ISTITUZIONALI 49 
Limiti all�accesso per i pareri legali 
dell�Avvocatura dello Stato 
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30 settembre 2010 n. 7237) 
1. Premessa 
Con la sentenza nr. 7237 del 30 settembre 2010, la VI Sezione del Consiglio 
di Stato �, nuovamente, intervenuta sulla delicata tematica della compatibilit� 
tra il principio di trasparenza e pubblicit� dell�attivit� 
amministrativa ed il diritto della Pubblica Amministrazione alla riservatezza 
e segretezza di atti che contengono impostazioni difensive relativi a contenziosi 
attuali o futuri. 
Come noto, l�art. 24, co. 1, della Legge 7 agosto 1990, n. 241, stabilisce 
che il diritto di accesso ҏ escluso per i documenti coperti da segreto di Stato 
ai sensi dell�articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, nonch� nei casi 
di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall�ordinamento�. 
L�art. 2 del D.P.C.M. 26 gennaio 1996, n. 200 (1), rubricato �categorie 
di documenti inaccessibili nei casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti 
dall�ordinamento�, prevede che a �ai sensi dell�art. 24, comma 1, della 
Legge 7 agosto 1990, n. 241, in virt� del segreto professionale gi� previsto 
dall�ordinamento, al fine di salvaguardare la riservatezza nei rapporti tra 
difensore e difeso, sono sottratti all�accesso i seguenti documenti: a) pareri 
resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza; b) 
atti defensionali; c) corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e 
b)�(2). 
Orbene, con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato ha ribadito 
il proprio consolidato orientamento in materia (3), tipizzando le ipotesi nelle 
quali il diritto di accesso deve ritenersi escluso in base al combinato disposto 
degli artt. 24, co. 1, della Legge nr. 241/1990 e 2 del D.P.C.M. nr. 200/1996. 
(1) �Regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti dell'Avvocatura dello 
Stato sottratti al diritto di accesso�. 
(2) La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la disposizione sopra citata ha portata generale 
ed � applicabile a tutti gli avvocati, siano essi del libero foro o appartenenti ad uffici legali di Enti 
pubblici (cfr. T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. II, 14 maggio 2010, n. 1135; Cons. Stato, Sez. IV, 13 ottobre 
2003 n. 6200; Cons. Stato, Sez. IV, 27 agosto 1998 n. 1137). 
(3) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 giugno 2008, n. 3119; Cons. Stato, Sez. V, 2 aprile 2001, n. 1893; 
Cons. Stato, Sez. IV, 8 febbraio 2001, n. 513; Cons. Stato, Sez. V, 26 settembre 2000, n. 5105; Cons. 
Stato Sez. VI, 20 agosto 1999, n. 1101; si veda anche, nella giurisprudenza di primo grado pi� recente: 
T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. III, 19 febbraio 2010, n. 341; T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. I, 12 gennaio 
2010, n. 17; T.A.R. Lazio - Roma Sez. III quater, 27 agosto 2008, n. 7930.
50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
2. La fattispecie concreta 
La pronuncia del Consiglio di Stato interviene a definizione del ricorso 
proposto, ai sensi dell�art. 25 della Legge nr. 241/1990 da alcuni dipendenti 
dell�Universit� degli Studi della Basilicata in relazione al diniego all�accesso, 
opposto dal Direttore amministrativo dell�Ateneo, su due note con cui l�Avvocatura 
Distrettuale dello Stato di Potenza, a fronte di una richiesta di parere 
richiesto dalla predetta Universit�, aveva, dapprima, richiesto un�integrazione 
istruttoria e, successivamente, reso il sollecitato parere. 
L�interesse dei dipendenti alla conoscenza di dette note scaturiva dalla 
circostanza che: il Rettore dell�Ateneo, dopo aver stipulato con gli stessi, gi� 
inquadrati nella categoria D, un contratto di lavoro a tempo indeterminato ed 
a tempo pieno, con inquadramento nella superiore categoria EP 1 (a definizione 
di una controversia scaturita dall�esito sfavorevole di una procedura selettiva 
per l�accesso alla predetta categoria EP 1), aveva, unilateralmente, 
sospeso l�efficacia giuridica ed economica dei menzionati contratti �con riserva 
di assumere definitive determinazioni all�esito del parere richiesto all�Avvocatura 
distrettuale dello Stato di Potenza, al Collegio dei revisori dei 
conti ed al Nucleo di valutazione dell�Ateneo�con lo scopo di�evitare di 
esporre l�Ente ad effetti risarcitori nei confronti di chi si ritiene leso nei propri 
diritti ed interessi�; una volta acquisito il parere richiesto all�Avvocatura Distrettuale 
dello Stato, il Direttore amministrativo dell�Universit� aveva comunicato 
l�avvio del procedimento diretto all�annullamento, in via di autotutela, 
delle determinazioni amministrative relative al loro inquadramento nella categoria 
EP 1. 
Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso, evidenziando che l�Universit� 
aveva richiesto il parere dell�Avvocatura dello Stato nell�ambito di un 
procedimento amministrativo. Sicch�, trattandosi di mero atto endoprocedimentale, 
per di pi� essenziale per un�adeguata difesa degli interessi dei ricorrenti 
nell�ambito del procedimento di autotutela, il parere (al pari della nota 
con cui era stata richiesta da parte dell�Organo Legale un�integrazione istruttoria) 
doveva considerarsi pienamente accessibile, avendo perso i connotati 
di atto sottoposto al segreto professionale di cui agli artt. 622 c.p. e 200 c.p.p. 
Contro detta decisione l�Universit� degli Studi della Basilicata proponeva 
appello dinnanzi al Consiglio di Stato, evidenziando: 
a) che le due note dell�Avvocatura dello Stato dovevano ritenersi non 
ostensibili, ai sensi dell�art. 24, co. 1, delle Legge nr. 241/1990 e 2, co. 1, lett. 
a, del D.P.C.M. nr. 200/1996, in quanto relative ad una �lite potenziale�(alcuni 
ricorrenti avevano, infatti, impugnato l�esito sfavorevole della procedura selettiva 
dinnanzi al compente giudice amministrativo; a seguito dell�avvio della 
procedura di riesame, tutti i ricorrenti avevano inviato degli atti di diffida e 
messi in mora nei confronti dell�Amministrazione); b) che il giudice di primo
TEMI ISTITUZIONALI 51 
grado aveva consentito l�accesso dopo aver accertato che il parere non conteneva 
�tesi e strategie difensive dell�Amministrazione, da assumere nell�eventuale 
controversia giurisdizionale� con un�evidente inammissibile incisione 
del ruolo e delle prerogative proprie del difensore. 
3. La sentenza nr. 7237/2010 
Con la sentenza nr. 7237/2010, il Consiglio di Stato ha respinto l�appello 
proposto dall�Universit� degli Studi della Basilicata, qualificando il parere, 
cos� come la precedente nota istruttoria, come meri atti endoprocedimentali, 
in quanto: a) l�Amministrazione aveva provveduto a richiedere il parere in 
sede di riesame di un procedimento amministrativo gi� definito; b) alcun giudizio 
risultava instaurato da parte dei dipendenti, alla data della formulazione 
della richiesta all�Avvocatura dello Stato. 
Tanto premesso, la sentenza in commento si segnala, soprattutto, in 
quanto, riepilogando lo stato attuale della giurisprudenza amministrativa in 
materia, ha affermato che: 
1) il diritto di accesso � escluso: 
a) con riferimento agli atti defensionali; 
b) con riferimento ai pareri resi da legali: 
- dopo l�avvio di un procedimento contenzioso; 
- dopo l�avvio di un eventuale procedimento precontenzioso; 
- nella fase intermedia successiva alla definizione del rapporto amministrativo 
all�esito del procedimento, ma precedente l�instaurazione di un giudizio 
o l�avvio di un eventuale procedimento precontenzioso, come 
allorquando venga richiesta all�Amministrazione l�adozione di comportamenti 
materiali, giuridici o provvedimentali, finalizzati a porre rimedio ad una situazione 
che si assume illegittima o illecita. 
2) il diritto di accesso deve essere, viceversa, riconosciuto con riferimento 
ai pareri richiesti nell�ambito dell�attivit� istruttoria prodromica all�adozione 
del provvedimento amministrativo. 
Con riferimento alla seconda quaestio iuris sollevata dall�appellante Amministrazione 
(possibilit� per il giudice amministrativo di sindacare la sussistenza 
o meno dei presupposti per l�accesso ai pareri resi dai legali in ragione 
del contenuto degli stessi), si evidenzia che il Consiglio di Stato si limita ad 
affermare che, nella fattispecie d�interesse, non era configurabile alcuna lesione 
delle prerogative difensive, essendo il legale dell�Amministrazione stato 
avvertito dell�iniziativa assunta dai giudici di primo grado. 
Trattasi di affermazione non persuasiva in quanto: 
- logicamente, non conciliabile con la tipizzazione, sulla base di criteri 
meramente �estrinseci�, delle fattispecie nelle quali l�accesso �, legittimamente, 
negato; 
52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
- il legislatore ha escluso l�accesso in ragione non gi� della specifica enunciazione 
nei pareri e nella corrispondenza di tesi o strategie difensive, quanto 
piuttosto della loro afferenza ad un�attivit� coperta dal segreto professionale 
ai sensi e per gli effetti degli artt. 622 c.p. e 200 c.p.p.. 
Dott. Mario Capolupo* 
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza del 30 settembre 2010 n. 7237 - Pres. Barbagallo, 
Est. Cafini - Universit� degli Studi della Basilicata (avv. Stato Di Palma) c. (omissis) 
costituiti in giudizio personalmente (senza assistenza di difensore ai sensi dell�art. 25, comma 
5 bis, della L. 7 agosto 1990 n. 241). 
(Omissis) 
DIRITTO 
1. Il Tribunale amministrativo regionale della Basilicata ha ricordato, con la sentenza n. 
32/2010, ora impugnata, che, secondo l�orientamento giurisprudenziale dominante, i pareri 
legali si considerano soggetti all�accesso ove siano riferiti all�iter procedimentale e vengano 
pertanto ad innestarsi nel provvedimento finale, mentre sono coperti dal segreto professionale 
(artt. 622 c.p. e 200 c.p.p.) quando attengano alle tesi difensive in un procedimento giurisdizionale: 
conclusione confermata anche dagli artt. 2 e 5 del D.P.C.M. 26.1.1996, n. 200, di 
approvazione del �Regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti 
formati o comunque rientranti nell�ambito delle attribuzioni dell�Avvocatura dello Stato sottratti 
al diritto di accesso�. 
Sulla base di tale generale premessa, il giudice di primo grado, ha ritenuto che il parere dell�Avvocatura 
distrettuale dello Stato di Potenza in data 25.8.2009 (di cui alle istanze dei ricorrenti 
del 14.9.2009), reso in relazione ad apposita richiesta dell�Universit� degli studi 
della Basilicata, sia riferibile alla fase procedimentale amministrativa (riesame dell�inquadramento 
gi� riconosciuto in favore dei ricorrenti originari, con i quali erano stati stipulati i 
relativi contratti a tempo indeterminato) e, pertanto, da ritenersi oggetto del diritto di accesso 
ai sensi dell�art. 25 della legge n. 241 del 1990. 
Contro la sentenza anzidetta l�Universit� degli studi della Basilicata ha proposto appello, 
con il quale sostiene che i pareri ritenuti ostensibili dal TAR sarebbero, in realt� sottratti all�accesso, 
mentre dal canto suo gli originari ricorrenti, hanno replicato alle argomentazioni 
dell�ateneo appellante, evidenziando la correttezza della pronuncia dei primi giudici e ribadendo 
quindi l�illegittimit� del diniego all�accesso, contenuto nei provvedimenti impugnati 
con il ricorso di prime cure, riferendosi ad atti che nella sostanza erano da annoverare tra gli 
atti procedimentali e, dunque, accessibili. 
La questione sottoposta all�esame del Collegio, dunque, si pone, nella sostanza, in un ambito 
peculiare di contrapposizione fra due distinti diritti tutelati dall�ordinamento; ossia, da un 
canto, la tutela di trasparenza nell�attivit� amministrativa e, dall�altro, la tutela di riservatezza 
e segretezza di atti che contengono impostazioni difensive relativi a contenziosi attuali o fu- 
(*) Procuratore dello Stato.
TEMI ISTITUZIONALI 53 
turi, contrapposizione in relazione alla quale l�ordinamento, a livello statale, � intervenuto 
approvando la specifica disciplina contenuta nel DPCM 26 gennaio 1996, n. 200 e di seguito 
meglio precisata. 
2. Cos� delineata, in sintesi, la materia del contendere in relazione alle tesi svolte dalle parti, 
il Collegio ritiene che l�appello come sopra proposto non sia meritevole di accoglimento. 
Ed invero, come questo Consiglio di Stato ha avuto occasione di osservare (cfr., in particolare, 
C.d.S., Sez. V, 2 aprile 2001, n. 1893 e 15 aprile 2004 n.2163; Sez. IV, 13 ottobre 2003, 
n. 6200, quest�ultima richiamata dall�Amministrazione universitaria ricorrente e anche dagli 
odierni appellati, sia pure a sostegno delle rispettive opposte tesi), la normativa statale di cui 
all�art. 7 della legge 8 giugno 1990 n. 142 e agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 
1990 n. 241, pur affermando l�ampia portata della regola dell�accesso, la quale rappresenta 
la coerente applicazione del principio di trasparenza, che governa i rapporti tra Amministrazione 
e cittadini, introduce alcune limitazioni di carattere oggettivo, definendo le ipotesi in 
cui determinate categorie di documenti sono sottratte all�accesso. 
L�art. 24 della legge n. 241/1990 esprime tale principio, stabilendo che il diritto di accesso 
ҏ escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell'articolo 12 della legge 24 
ottobre 1977, n. 801, nonch� nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti 
dall'ordinamento�; disposizione questa che testimonia come l�innovazione legislativa introdotta 
con la legge n. 241/1990, se ridimensiona la portata sistematica del segreto amministrativo, 
non travolge tuttavia le diverse ipotesi di segreti, previsti dall�ordinamento, 
finalizzati a tutelare interessi specifici, diversi da quello, riconducibile alla mera protezione 
dell�esercizio della funzione amministrativa. 
I documenti, seppure formati o detenuti dall�Amministrazione, in tale eventualit� non sono 
suscettibili di divulgazione, giacch� il principio di trasparenza cede innanzi alla esigenza di 
salvaguardare l�interesse protetto dalla normativa speciale sul segreto. 
Sulla base del richiamato orientamento giurisprudenziale, i due criteri direttivi volti ad orientare 
l�interprete per l�esatta delimitazione delle discipline sul segreto non travolte dalla nuova 
normativa in materia di accesso ai documenti vanno individuati, da un lato, nel fatto che il 
�segreto� preclusivo dell�accesso ai documenti non deve costituire la mera riaffermazione 
del tramontato principio di assoluta riservatezza dell�azione amministrativa e, dall�altro lato, 
nella circostanza che il segreto fatto salvo dalla legge n. 241/1990 deve riferirsi esclusivamente 
ad ipotesi in cui esso mira a salvaguardare interessi di natura e consistenza diversa da 
quelli genericamente amministrativi. 
E� stato affermato, in tale contesto, dalla giurisprudenza sopra indicata, che, nell�ambito dei 
segreti sottratti all�accesso ai documenti, rientrano gli atti redatti dai legali e dai professionisti 
in relazione a specifici rapporti di consulenza con l�Amministrazione, trattandosi di un segreto 
che gode di una tutela qualificata, dimostrata dalla specifica previsione degli articoli 
622 del codice penale e 200 del codice di procedura penale. Pi� specificamente, si � precisato 
che la previsione contenuta nell�art. 2 del DPCM 26 gennaio 1996, n. 200, mira proprio a 
definire con chiarezza il rapporto tra accesso e segreto professionale, fissando una regola 
che appare sostanzialmente ricognitiva dei principi applicabili in questa materia, anche al di 
fuori dell�ambito della difesa erariale. 
In particolare, la disposizione riferita alle �categorie di documenti inaccessibili nei casi di 
segreto o di divieto di divulgazione previsti dall�ordinamento�, dispone, come accennato, 
che, �ai sensi dell�art. 24, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, in virt� del segreto 
professionale gi� previsto dall�ordinamento, al fine di salvaguardare la riservatezza nei rap-
54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
porti tra difensore e difeso, sono sottratti all�accesso i seguenti documenti: a) pareri resi in 
relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza; b) atti defensionali; c) corrispondenza 
inerente agli affari di cui ai punti a) e b)�. 
La medesima giurisprudenza sopra menzionata ha chiarito poi che la detta regola ha una portata 
generale, codificando il principio, valevole per tutti gli avvocati, siano essi del libero 
foro o appartenenti ad uffici legali di enti pubblici, secondo cui, essendo il segreto professionale 
specificamente tutelato dall�ordinamento, sono sottratti all�accesso gli scritti defensionali, 
rispondendo il principio in parola ad elementari considerazioni di salvaguardia della 
strategia processuale della parte, che non � tenuta a rivelare ad alcun soggetto e, tanto meno, 
al proprio contraddittore, attuale o potenziale, gli argomenti in base ai quali intende confutare 
le pretese avversarie ed ha, altres�, chiarito, che, quanto alle consulenze legali esterne, a cui 
l�Amministrazione pu� ricorrere in diverse forme ed in diversi momenti dell�attivit� di sua 
competenza, che, nell�ipotesi in cui il ricorso alla consulenza legale esterna si inserisce nell�ambito 
di un�apposita istruttoria procedimentale, nel senso che il parere � richiesto al professionista 
con l�espressa indicazione della sua funzione endoprocedimentale ed � poi 
richiamato nella motivazione dell�atto finale, la consulenza legale, pur traendo origine da 
un rapporto privatistico, normalmente caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra 
professionista e cliente, � soggetto all�accesso, perch� oggettivamente correlato ad un procedimento 
amministrativo. 
Allorch� la consulenza si manifesta dopo l�avvio di un procedimento contenzioso oppure 
dopo l�inizio di tipiche attivit� precontenziose e l�Amministrazione si rivolge ad un professionista 
di fiducia, al fine di definire la propria strategia difensiva, il parere del legale, invece, 
non � affatto destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a 
fornire all�ente pubblico tutti gli elementi tecnico�giuridici utili per tutelare i propri interessi; 
in tal caso le consulenze legali restano caratterizzate dalla riservatezza, che mira a tutelare 
non soltanto l�opera intellettuale del legale, ma anche la stessa posizione dell�Amministrazione, 
la quale, esercitando il proprio diritto di difesa, protetto costituzionalmente, deve poter 
fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto dell�ordinamento. 
Peraltro, il principio della riservatezza della consulenza legale si manifesta pure nelle ipotesi 
in cui la richiesta del parere interviene in una fase intermedia, successiva alla definizione 
del rapporto amministrativo all�esito del procedimento, ma precedente l�instaurazione di un 
giudizio o l�avvio dell�eventuale procedimento precontenzioso, perch�, pure in tali casi, il 
ricorso alla consulenza legale persegue lo scopo di consentire all�Amministrazione di articolare 
le proprie strategie difensive, in ordine ad un lite che, pur non essendo ancora in atto, 
pu� considerarsi quanto meno potenziale; il che avviene, in particolare, quando il soggetto 
interessato chiede all�Amministrazione l�adempimento di una obbligazione, o quando, in 
linea pi� generale, la parte interessata domanda all�Amministrazione l�adozione di comportamenti 
materiali, giuridici o provvedimentali, intesi a porre rimedio ad una situazione che 
si assume illegittima od illecita. 
3. Da tale orientamento, correttamente seguito dai primi giudici, il Collegio non ha ragione 
di discostarsi ai fini della soluzione della controversia in esame. 
Il parere dell�Avvocatura dello Stato in ordine al quale il TAR ha riconosciuto il diritto d�accesso 
sembra, infatti, avere la funzione di esprimere il richiesto avviso nell�ambito del procedimento 
amministrativo in cui viene ad inserirsi e non � comunque collegato n� con una 
lite attuale, n� con una lite potenziale, in quanto non contiene considerazioni volte a delineare 
la condotta processuale pi� conveniente per l�Amministrazione; n� sembra detto parere in-
TEMI ISTITUZIONALI 55 
tervenuto in una fase intermedia, successiva alla definizione del rapporto amministrativo all�esito 
del procedimento, ma precedente all�instaurazione di un giudizio, non avendo chiesto 
nella specie gli interessati all�Amministrazione l�adempimento di un�obbligazione, n� chiesto 
atti o provvedimenti volti a porre rimedio ad una situazione ritenuta illegittima o illecita, secondo 
quanto precisato dalla citata giurisprudenza del Consiglio di Stato, ma essendo stata 
l�Amministrazione stessa a chiedere, in sede di riesame di un procedimento in effetti gi� definito, 
all�Avvocatura distrettuale dello Stato, (oltre che ai revisori dei conti e al Nucleo di 
valutazione dell�ateneo) che esprimesse parere �in merito alla legittimit� delle procedure seguite�. 
D�altra parte, va osservato, che al parere di cui trattasi hanno fatto espresso riferimento, nel 
loro contesto: sia il D.R. n.250/2009 (che sospendeva l�efficacia giuridica ed economica dei 
contratti di lavoro stipulati il 20.4.2009 con i quali gli interessati erano stati inquadrati nella 
categoria EP 1, �con riserva di assumere definitive determinazioni all�esito dei richiesti pareri 
e comunque non oltre 60 giorni dal presente atto�); sia il D.R. n.355/2009 (con cui era stata 
rinnovata la sospensione dell�efficacia giuridica ed economica dei contratti anzidetti, precisando 
nelle premesse che la sospensione �veniva disposta nelle more della ricezione dei pareri 
che l�Amministrazione richiedeva all�Avvocatura dello Stato, ai revisori dei conti e al 
Nucleo di valutazione dell�ateneo�); sia, ancora, il D.R n.398/2009 (volto a �rinnovare la 
sospensione dell�efficacia giuridica ed economica dei menzionati contratti stipulati il 
20.4.2009, nel cui preambolo veniva ribadito che la sospensiva veniva disposta �nelle more 
della ricezione dei pareri� dianzi menzionati e che l�ulteriore sospensione veniva disposta 
�considerato che in data 25 agosto 2009 perveniva il parere dell�Avvocatura dello Stato�); 
sia, infine, anche il provvedimento del direttore amministrativo n.293/2009, con il quale venivano 
annullati �in autotutela i DD.RR. nn.221, 222 e 223 del 16.4.2009, prodromici alle 
conciliazioni intervenute in data 17.4.2009� e nel quale si confermava l�avviso gi� espresso 
di non ostensibilit� del parere reso in materia dall�Avvocatura distrettuale dello Stato. 
Da quanto ora accennato emerge con evidenza, quindi, che il parere in parola � stato in effetti 
un presupposto essenziale per l�adozione dei vari provvedimenti impugnati nel giudizio di 
prime cure, che ha inciso anch�esso sulla sfera giuridica degli interessati, ai quali dunque 
non pu� essere negato il diritto di prenderne comunque visione. 
Non pu� condividersi, pertanto, la tesi della parte appellante, secondo cui il parere dell�Avvocatura 
dello Stato suddetto dovrebbe considerarsi un atto defensionale reso in relazione 
ad una lite in atto o potenziale, in quanto lo stesso, al contrario, si inserisce in effetti nell�ambito 
di un�articolata istruttoria, come appunto emerge dai provvedimenti dianzi richiamati, 
nei quali viene fatto cenno alla sospensione del procedimento in corso (o meglio della 
esecuzione di provvedimenti gi� approvati e dei relativi contratti) in attesa del parere medesimo. 
Del resto, il parere medesimo � stato richiesto all�Avvocatura dello Stato in data 12.5.2009, 
data alla quale occorre fare riferimento per considerare se, a quel momento, era avviato o no 
un contenzioso tra i ricorrenti originari e l�Amministrazione universitaria, dovendosi riconoscere 
in caso positivo valenza di atto defensionale al richiesto parere. 
Orbene, alla data anzidetta non risultava avviato alcun contenzioso da parte dei sigg. (omissis); 
n� era in atto alcun contenzioso potenziale, essendo stato semplicemente avviato un 
procedimento amministrativo, ad iniziativa dell�Amministrazione universitaria, volto genericamente 
al riesame degli atti di inquadramento dei dipendenti predetti nella categoria EP 
1, i quali, come sopra accennato, erano gi� inquadrati nella detta categoria e avevano gi� sti-
56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
pulato regolari contratti di lavoro stipulati (il 20.4.2009), svolgendo le relative mansioni e 
fruendo della retribuzione riferita alla qualifica di appartenenza, sicch� non vi erano ragioni 
da parte degli stessi di avanzare istanze o pretese di alcun tipo; n� poteva dirsi che la richiesta 
di parere era intervenuta in una fase intermedia, nel senso sopra accennato, non avendo domandato 
gli interessati all�Amministrazione, per quanto precisato, l�adozione di alcun atto 
in proprio favore, inteso a rimediare ad una situazione ritenuta illegittima ed essendo stata 
invece la richiesta stessa avanzata dall�Amministrazione, in sede di autotutela, per essere 
�state sollevate contestazioni da pi� parti� con riferimento alla suddetta selezione interna 
per l�accesso dalla categoria D alla categoria EP 1. 
Nel caso in esame, dunque, � stata l�Amministrazione universitaria che, mentre il rapporto 
di lavoro degli interessati si svolgeva regolarmente, ha ritenuto di richiedere, di sua iniziativa, 
un parere all�Avvocatura distrettuale dello Stato, (oltre che ai revisori dei conti e al Nucleo 
di valutazione dell�ateneo) perch� si pronunciasse �in merito alla legittimit� delle procedure 
seguite e degli atti che ne sono derivati e, eventualmente in caso di rilevata illegittimit�, ai 
rimedi da porre in essere�, dando notizia il 12.5.2009, agli interessati (con D.R. n. 250/2009), 
dell�avvio del procedimento amministrativo, volto a ad assumere, dopo l�acquisizione del 
menzionato parere, le �definitive determinazioni� e comunque �non oltre 60 giorni�. 
Pertanto, appare evidente che l�Amministrazione, nel procedere al riesame di un inquadramento 
gi� deliberato e di contratto di lavoro gi� in corso di esecuzione, ha ritenuto cautelativamente 
nella specie di investire, per acquisirne il relativo parere, l�Avvocatura distrettuale 
dello Stato di Potenza, i revisori dei conti e il Nucleo di valutazione dell�universit� in ordine 
alla valutazione della legittimit� del proprio operato, sicch� certamente il detto parere, richiesto 
nell�ambito del predetto procedimento amministrativo di riesame, non � da considerarsi 
comunque collegato n� con una lite attuale, n� con una lite potenziale, per cui deve 
reputarsi ostensibile, come correttamente ritenuto dal giudice di primo grado, il quale nella 
sentenza oggetto di esame ha ordinato all�Universit� degli studi della Basilicata di consentire 
ai ricorrenti la visione e l�estrazione di copia, oltre che della richiesta di integrazione istruttoria 
dell�Avvocatura distrettuale dello Stato di Potenza del 15.7.2009, avanzata con istanze 
del 16.7.2009, del parere dell�Avvocatura medesima in data 25.8.2009, richiesto dai ricorrenti 
con istanze del 14.9.2009. 
4. Quanto, infine, allo specifico profilo di doglianza - con il quale l�Universit� appellante 
deduce la �singolarit�� della sentenza impugnata, per avere esaminato i primi giudici, a seguito 
dell� ordinanza istruttoria n. 73 del 18.11.2009, il parere pervenuto in apposito plico 
dall�Avvocatura distrettuale dello Stato, oggetto del giudizio di accesso, al fine di �saggiare 
quali punti dello stesso fossero ostensibili o no, perch� espressione della strategia difensiva� 
e per avere concluso, quindi, nel senso di non avervi rinvenuto parti che si riferissero alle 
tesi e strategie difensive dell�Amministrazione da assumere nell�eventuale futura controversia 
giurisdizionale, statuendo, in conclusione, che poteva consentirsi agli interessati l�accesso 
a tale parere legale - il Collegio osserva che il rilievo, come dianzi formulato, si appalesa inconferente, 
giacch� la critica apportata dall�appellante alla modalit� procedurale seguita nella 
specie dal TAR non si ritiene abbia arrecato l�asserita �inammissibile incisione nel ruolo e 
nelle prerogative della funzione del difensore�, il quale, in ogni caso, � stato regolarmente 
portato a conoscenza della accennata iniziativa discrezionale assunta in proposito dai primi 
giudici. 
5. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso in esame deve essere, in conclusione, 
respinto.
TEMI ISTITUZIONALI 57 
Quanto alle spese giudiziali, avuto riguardo alla particolarit� del caso, esse devono essere 
compensate per questo grado di giudizio. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sul 
ricorso in epigrafe specificato, lo respinge, e per l�effetto, conferma la sentenza impugnata. 
Compensa le spese per questo grado di giudizio. 
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2010.
I L C O N T E N Z I O S O 
C O M U N I TA R I O E D 
I N T E R N A Z I O N A L E 
Evoluzione e problematicit� 
del diritto di accesso ambientale 
Nell�ordinamento comunitario e nazionale 
Dalila Torsello* 
SOMMARIO: 1. Natura giuridica del diritto di accesso alle informazioni in materia ambientale: 
evoluzione della disciplina in materia nell�ordinamento comunitario e riflessi nell�ordinamento 
nazionale. 2. L�accesso alle informazioni ambientali nell�ordinamento interno. 
3. Riflessi del diritto di accesso alle informazioni ambientali nella Costituzione. 4. Riflessioni 
sulle modalit� di attuazione della direttiva 90/313/CEE. 5. Prospettive de iure condendo. 
1. Natura giuridica del diritto di accesso alle informazioni in materia ambientale: 
evoluzione della disciplina in materia nell�ordinamento comunitario e 
riflessi nell�ordinamento nazionale 
Il diritto di accesso alle informazioni sullo stato dell�ambiente � stato tra 
le pi� importanti tematiche affrontate dall�Unione Europea in materia di politica 
ambientale (1). Tale diritto rappresenta la principale applicazione del prin- 
(*) Dottore in Giurisprudenza. 
Il presente articolo � un approfondimento della tesi di laurea dell�Autrice, praticante forense 
presso lo studio legale del Prof. Avv. Eugenio Picozza, membro del Comitato scientifico della 
Rivista. 
(1) Tra i tanti contributi sulla politica ambientale dell�Unine Europea, alcuni dei pi� significativi 
sono: BIANCHI-CORDINI, Comunit� Europea e protezione dell�ambiente, Padova, 1983; CORDINI, Tutela 
dell�ambiente nel diritto delle Comunit� Europee, in Dig. disc. pubbl., Torino, 1991; CAPRIA, Direttive 
ambientali CEE e stato di attuazione in Italia, in Quaderni della rivista giuridica ambientale, Milano, 
1992; FOIS, Il diritto ambientale nell�ordinamento dell�Unione europea, in Diritto ambientale. Profili 
internazionali europei e comparati, a cura di CORDINI-FOIS-MARCHISIO, Torino, 1995; GARABELLO, Le
60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
cipio di trasparenza, riconosciuto, a partire dal Trattato di Maastricht (art. 191 
A, ora art. 255 TCE), tra i principi generali dell'ordinamento comunitario, 
dando luogo ad �una manifestazione della tendenza verso un pi� ampio riconoscimento 
dei diritti umani fondamentali e una maggiore democratizzazione 
della struttura istituzionale della Comunit� (2) �. 
Fin dagli Ottanta, si riscontra nell�ambiente giuridico comunitario l�affermazione 
di tale principio, inteso sia come garanzia di visibilit� del potere 
pubblico e della sua attivit�, sia come strumento propedeutico ad un controllo 
degli apparati pubblici da parte degli amministrati (3), attraverso l�accesso dei 
cittadini agli atti prodotti nell�espletamento di quest�ultima. La ratio di tale 
fenomeno �, in primo luogo, l�esigenza delle istituzioni europee di conferire 
importanza al diritto all�informazione dei cittadini, al fine di radicare in essi 
la fiducia nel funzionamento degli organi della Comunit�, ed inoltre assicurare 
a questi ultimi un livello di tutela del loro diritto non inferiore a quello previsto 
dalle legislazioni dei singoli Stati di appartenenza. Tutto ci� finalizzato al perseguimento 
dello scopo pi� generale di eliminare il deficit democratico che, 
nel settore dell�accesso come in altri settori, caratterizza l�apparato istituzionale 
comunitario (4). 
La difficolt� della dottrina di rintracciare nell�ordinamento comunitario 
le basi giuridiche del diritto di accesso agli atti delle Istituzioni comunitarie, 
ed in particolare a quelli contenenti informazioni sullo stato dell�ambiente, 
costituisce il principale ostacolo alla qualificazione giuridica dello stesso (5). 
Si � osservato come il dibattito fiorito nella dottrina italiana tra coloro che attribuiscono 
al diritto di accesso natura giuridica di diritto soggettivo pieno e 
coloro che invece lo qualificano in termini di interesse legittimo, non pu� esnovit� 
del Trattato di Amsterdam in materia di politica ambientale comunitaria, in Riv. Giur. Ambiente, 
1999, pag. 151; CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela dell�ambiente, Milano, 2000; CARAVITA, 
Diritto dell�ambiente, Bologna, 2001; LANDI, L�ambiente nel diritto comunitario, in Manuale di diritto 
ambientale, a cura di MEZZETTI, Padova, 2001, pag. 39; CHITI, Ambiente e <<costituzione>> europea: 
alcuni nodi problematici, in Ambiente e diritto, a cura di GRASSI-CECCHETTI-ANDRONICO, Firenze, 1999, 
pag. 131. 
(2) MIGLIAZZA, Commentario breve ai trattati della Comunit� e dell�Unione europea, a cura di 
POCAR, Padova, 2001, pag.782 e ss. 
(3) CARINGELLA-GAROFALI-SEMPREVIVA, L�accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali 
e processuali, Milano, 2003, pag 671 e ss. 
(4) Rileva infatti Santini in Principio di trasparenza nell�ordinamento dell�Unione, Milano, 2004, 
che <<Ancora all�inizio degli anni Novanta, non era previsto un generale diritto di accesso del pubblico 
ai documenti delle istituzioni (e degli altri organi) delle Comunit� europee. In questa situazione, si pu� 
ben comprendere come i funzionari comunitari fossero di regola indotti a trattare con grande cautela 
le richieste di accesso a documenti in loro possesso, tanto pi� essendo tenuti dal proprio statuto ad osservare 
la massima discrezione sui fatti e le notizie appresi nell�esercizio delle proprie funzioni e, in 
particolare, a non comunicare a persone non qualificate ad averne conoscenza documenti o informazioni 
non ancora resi pubblici>>. 
(5) C. DI SAN LUCA, Diritto di accesso e interesse pubblico, Jovene Editore, Pubblicazioni della 
Facolt� di Giurisprudenza Seconda Universit� degli Studi di Napoli, Napoli, 2006, pag. 78 e ss.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 61 
sere riproposto in ambito comunitario, poich� tale distinzione � ad esso sconosciuta 
(6). Nell�ordinamento europeo, il diritto all�informazione ambientale 
deve riconoscersi certamente come diritto soggettivo perfetto e non un mero 
interesse legittimo (7). 
Gi� con l�entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, infatti, � maturata 
la convinzione che l�accesso debba essere qualificato alla stregua di un principio 
generale, fondato su una norma di diritto comunitario primario, l�art. 
255 TCE (8). Il Trattato di Lisbona ha successivamente recepito le indicazioni 
provenienti dal TCE e dalle politiche ambientali dei singoli Stati membri, integrandole 
nel Titolo XX, nel quale sono racchiusi i punti principali della politica 
ambientale comunitaria (9). Secondo l�art. 191 (10), che riprende quasi 
(6) GAROFOLI, in I profili comunitari del diritto di accesso, in Riv. It. dir. pubbl. com., 1998, pag. 
1292, nota n. 15, evidenzia che <<la questione dell�indifferenza comunitaria per gli schemi classificatori 
delle situazioni soggettive in uso nei singoli ordinamenti nazionali ed in specie nel nostro, ha assunto, 
del resto, particolare rilievo allorch� si � dovuto stabilire se possa e debba riconoscersi la tutela risarcitoria 
delle posizioni soggettive di origine europea: ed invero, la Corte di Giustizia, nel garantire una 
tutela risarcitoria generalizzata alle posizioni soggettive create in ambito comunitario, fa riferimento 
a tutte le situazioni giuridiche soggettive che abbiano la loro fonte normativa a livello comunitario, 
quale che sia la qualificazione ad esse in concreto riconosciuta, nel momento del trasferimento nell�ordinamento 
nazionale, alla stregua dei criteri di classificazione propri di quest�ultimo. La Corte, quindi, 
non si preoccupa della definizione delle situazioni soggettive comunitarie - problema per il quale rinvia 
integralmente ai criteri di classificazione interna all�ordinamento nazionale - ma si prefigge il solo ed 
esclusivo obbiettivo di garantire che, nel sostanziale rispetto dei meccanismi di riparto della giurisdizione 
basati su quei criteri di qualificazione, sia assicurata una protezione adeguata e piena delle situazioni 
stesse>>. 
(7) GRAZIA, Il diritto all�informazione ambientale: tra situazioni soggettive e interessi pubblici, 
Rimini, 1998. 
(8) In questi termini FRANCHINI, Il diritto di accesso tra l�ordinamento comunitario e quello nazionale, 
in Giorn. Dir, amm., 1996, pag 826, il quale ancor prima dell�entrata in vigore del Trattato, 
aveva suggerito un�interpretazione delle conclusioni a cui era giunta la Corte di Giustizia nella causa 
Paesi Bassi contro Consiglio nel senso di un riconoscimento della <<valenza universale del diritto di 
accesso, inteso come principio cardine del procedimento amministrativo>>. Dopo l�introduzione nel 
panorama giuridico comunitario dell�art. 255 TCE, si � espresso in questi termini anche PULVIRENTI, 
Brevi note sulla natura giuridica del diritto di accesso, in Dir. pubb. comp. eur., 2002, pag. 1743. 
(9) Testo integrale del Trattato sul Funzionamento dell�Unione Europea, www. eur-lex.europa.eu. 
(10) Art. 191: <<1. La politica dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti 
obiettivi: 
� salvaguardia, tutela e miglioramento della qualit� dell'ambiente, 
� protezione della salute umana, 
� utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, 
� promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello 
regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici. 
2. La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della 
diversit� delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa � fondata sui principi della precauzione e 
dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, 
nonch� sul principio �chi inquina paga�. 
In tale contesto, le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell'ambiente comportano, 
nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per 
motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo
62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
integralmente quanto gi� sancito dall�art. 174 TCE, l�Unione Europea mira, attraverso 
una solida politica ambientale, a salvaguardare, tutelare e migliorare 
la qualit� dell�ambiente, a proteggere la salute umana, a sfruttare in modo accorto 
e razionale le risorse e a promuovere le misure idonee a fronteggiare i 
problemi ambientali, sia a livello regionale sia a livello mondiale. La politica 
ambientale comunitaria � basata, prosegue la norma, sui dati scientifici e tecnici 
disponibili, sulle peculiarit� ambientali delle varie regioni, sui vantaggi e gli 
oneri che possono conseguire ad un comportamento attivo o inattivo e, pi� in 
generale, sullo sviluppo socio-economico della Comunit�. Si evince, da una 
lettura della norma sopra menzionata, che i Trattati non danno una definizione 
specifica del diritto di accesso alle informazioni sullo stato dell�ambiente, inserendolo 
allo stesso tempo tra le finalit� perseguite dall�Unione (11). L�interpretazione 
generale della normativa sopracitata, tuttavia, � ad oggi concorde 
nel ricondurre tale diritto all�informazione ad un <<diritto pubblico soggettivo>>(
12), che genera una pretesa diretta e immediata in chiunque voglia accedere 
agli atti e ai documenti contenenti informazioni di carattere ambientale 
in possesso dell�autorit� pubblica (13). 
dell'Unione. C 115/132 IT Gazzetta ufficiale dell�Unione europea 9 maggio 2008. 
3. Nel predisporre la sua politica in materia ambientale l'Unione tiene conto: 
� dei dati scientifici e tecnici disponibili, 
� delle condizioni dell'ambiente nelle varie regioni dell'Unione, 
� dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall'azione o dall'assenza di azione, 
� dello sviluppo socioeconomico dell'Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle su singole 
regioni. 
4. Nell'ambito delle rispettive competenze, l'Unione e gli Stati membri collaborano con i paesi terzi e 
con le competenti organizzazioni internazionali. Le modalit� della cooperazione dell'Unione possono 
formare oggetto di accordi tra questa ed i terzi interessati. 
Il comma precedente non pregiudica la competenza degli Stati membri a negoziare nelle sedi internazionali 
e a concludere accordi internazionali. 
(11) ALIBERTI, Diritto di accesso e divulgazione dell�informazione ambientale nell�ordinamento 
comunitario, in Informazione ambientale e diritto di accesso, ALIBERTI-COLACINO-FALLETTA, a cura di 
GIORGIO RECCHIA, Padova, Cedam, 2007; CORSETTI-FERRARA-FRACCHIA-OLIVETTI RASON, Diritto dell�ambiente, 
Roma-Bari, 2005; CORDINI, Diritto ambientale comparato, Padova, 2002; PILLITU, Ambiente, 
in Commentario breve ai Trattati della Comunit� europea, a cura di POCAR, Padova, 2001, pag. 661; 
ANNIBALE, Le comunit� europee e la tutela ambientale, in Regioni e comunit� locali, 1996, pag. 51; 
PRIEUR, Il controllo e la tutela dell�ambiente in ambito europeo ed internazionale, in Diritto pubblico 
dell�ambiente, a cura di DOMENICHELLI-OLIVETTI RASON-POLI, Padova, 1996, pag. 59 e ss. 
(12) Significativa in questo senso la pronuncia della Corte dei Conti (Sez. II, 14 dicembre 1987, 
n. 191, in Foro amm., 1987, pag. 1193), nella quale non solo riconosce che <<uno degli strumenti di 
prevenzione (dell�ambiente) � proprio quello della responsabilizzante informazione dell�opinione pubblica 
sulle problematiche di tutela del bene ambiente, ma, inteso nella sua accezione unitaria di ariaacqua-
suolo>>, ma sancisca anche l�esistenza di un <<diritto soggettivo degli amministrati 
all�informazione ambientale>>. 
(13) In questo senso, POSTIGLIONE, Lo spazio giuridico dell�informazione, partecipazione e azione 
del cittadino e delle associazioni in relazione all�ambiente in Italia, in Diritti dell�uomo e dell�ambiente, 
Padova, 1990, pag. 112; LABRIOLA, Diritto di accesso del cittadino e doveri della pubblica amministrazione 
nella legge istitutiva del Ministero dell�ambiente, in Scritti in onore di M.S. Giannini, vol. II, Mi-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 63 
Anche la Giurisprudenza ha consolidato tale orientamento. La Corte di 
Giustizia Europea ha tentato a sua volta di contribuire alla definizione dello 
status del diritto di accesso alle informazioni sullo stato dell�ambiente, ed in 
particolare dell�oggetto di tale diritto, avvicinandolo anch�essa ai principi generali 
dell�ordinamento comunitario (14). In numerose pronunce, la Corte ha 
ridimensionato la natura del diritto di accesso attibuendogli portata generale, 
in quanto ha riconosciuto, in corrispondenza di tale diritto, quello complementare 
alla difesa in giudizio avverso eventuali violazioni (15), nonostante rimetta 
la disciplina sostanziale dell�accesso alle regolamentazioni interne. Ferme restando 
queste considerazioni di base (16), la Corte di Giustizia ha affermato, 
in relazione alle questione della tutela ambientale e della salute dei cittadini, 
l�imperativit� delle norme che l�ordinamento comunitario ha predisposto a tutela 
dei <<diritti dei cittadini>> (17) alla salubrit� dell�ambiente in cui vivono. 
La direttiva 313/90 (18), considerata il sostrato normativo fondamentale 
di ogni azione legislativa rivolta alla tutela dell�ambiente e all�accesso alle informazioni 
ad esso inerenti, da parte dei cittadini, legittima ogni persone fisica 
o giuridica, che ne faccia richiesta, ad esercitare tali diritti, senza dover dimostrare 
il proprio interesse (19). 
� irrilevante la circostanza che altre direttive in materia non siano state 
fonti di diritti immediati, a causa del deficit dei requisiti di incondizionatezza 
e sufficiente precisione (20). La mancanza di requisiti per l�efficacia diretta 
lano, pag. 269; LIBERTINI, Il diritto all�informazione in materia ambientale, Riv. Cri. Dir. priv., 1989, 
pag. 639; VIRGA, Attivit� istruttoria primaria e processo amministrativo, Milano, 1990, pag 119; DE 
FRANCESCHI, La libert� di accesso alle informazioni ambientali: verso un nuovo diritto civico?, in Riv. 
Giur. Pol. Loc., 1992, pag 287. 
(14) Relativamnete al contributo della Corte di Giustizia nella definizione del diritto di accesso 
allo stato dell�ambiente, si vedano gli approfondimenti di CORDINI, Diritto ambientale comparato, op. 
cit., pag. 202; FONDERICO, La giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di ambiente, in Diritto 
ambientale comunitario, a cura di Cassese, Milano, 1995. 
(15) C. DI SAN LUCA �Diritto di accesso e interesse pubblico�, op. cit., 2006, pag. 79 e ss. 
(16) CARANTA, Giustizia amministrativa e diritto comunitario, Napoli, 1992, pag. 180 e ss.; dello 
stesso autore, Nuove questioni su diritto comunitario e forme di tutela giurisdizionale, in Giur. It., 1993, 
pag. 662 e ss. 
(17) Sentenza 30 maggio 1991, Causa 361/881, riguardante le disposizioni della direttiva 
80/779/CEE sui valori limite sugli indicatori guida della salubrit� dell�aria. 
(18) Concernete �Libert� di accesso all�informazione in materia ambientale�, in G.U.C.E. L 158 
del 23 giugno 1990, pag. 56. 
(19) Art. 3 della direttiva 90/313/CEE. 
(20) Emblematico � il caso dell�art. 4 della direttiva 75/442/CEE in tema di rifiuti secondo il quale 
<<gli stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti 
senza pericolo per la salute dell�uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizi 
all�ambiente>>, in relazione al quale la Corte ha espressamente negato l�idoneit� a conferire diritti 
ai cittadini comunitari, presentandosi privo delle caratteristiche di incondizionatezza e sufficiente 
precisione (Sentenza 23 febbraio 1994, Causa 236-92, in Riv. trim. dir. pubbl., 1994, pag. 978 e ss. con 
nota di CARANTA, Intorno al problena dell�individuazione delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino 
comunitario, in Riv Giur. Amb, 1994, pag 401 e ss.).
64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
delle disposizioni di una determinata direttiva nell�ambito degli ordinamenti 
dei vari Stati membri, � ravvisabile anche nelle direttive concernenti altre materie, 
non incidendo quindi nella qualificazione giuridica del diritto di accesso 
alle informazioni sullo stato dell�ambiente quale diritto soggettivo pieno, 
anche se la direttiva definisce tale pretesa come semplice �libert��, e non specificamente 
diritto, avendo voluto il legislatore rispettare la specificit� degli 
ordinamenti nazionali nell�individuazione di quale posizione giuridica soggettiva 
potesse meglio rispondere alla peculiarit� della materia ambientale 
(21). L�art. 2 chiarisce, in senso ampio, il concetto di �informazione ambientale�, 
riconducendo a tale espressione <<qualsiasi informazione disponibile 
in forma scritta, visiva, sonora, o contenuta nelle basi di dati in merito allo 
stato delle acque, dell�aria, del suolo, della fauna, della flora, del territorio 
degli spazi naturali, nonch� alle attivit� o misure destinate a tutelarli, ivi compresi 
misure amministrative e programmi di gestione dell�ambiente>>. Il dovere 
di soddisfare le istanze di accesso incombe su tutte le autorit� pubbliche 
degli Stati membri e su tutti i soggetti di diritto da esse controllati, in capo ai 
quali incombono responsabilit� in materia ambientale (22). Le informazioni 
devono essere divulgate a chi ne ha fatto richiesta nel pi� breve tempo possibile 
e comunque entro due mesi dall�istanza. L�eventuale rifiuto deve essere 
motivato ed avverso il rigetto ritenuto ingiusto, o un non pieno soddisfacimento 
della richiesta, l�interessato ha il diritto di chiedere il riesame della domanda, 
prima in sede amministrativa e, quindi, eventualmente, in quella 
giurisdizionale, in conformit� con le forme di tutela preposte dall�ordinamento 
dello Stato membro di appartenenza. 
La direttiva prevede, infine, tassativamente i casi in cui l�esercizio di tale 
diritto pu� essere limitato. Si tratta di circostanze particolari, inerenti alle relazioni 
internazionali e alla sicurezza pubblica, alle informazioni relative ad 
attivit� investigative, alla riservatezza commerciale ed industriale, alla privacy 
dei soggetti terzi pubblici e privati ed, infine, alle informazioni che, se divulgate, 
potrebbero arrecare un danno all�ambiente, proprio in virt� del loro contenuto 
(23). 
I principi ai quali la Comunit� si ispira nel perseguimento degli obbiettivi 
posti in materia di tutela dell�ambiente sono molteplici: il principio della correzione, 
dei danni creati all�ambiente, quello del �chi inquina paga�, quello 
(21) ALIBERTI, Informazione ambientale e diritto di accesso, op. cit., pag. 143. 
(22) Art. 2 e 6 della dierttiva 90/313/CEE. Quest�ultimo specifica quali siano le �autorit� pubbliche� 
a cui si riferisce la direttiva, identificandole in <<qualsiasi amministrazione pubblica che abbia responsabilit� 
a livello nazionale, regionale o locale e che sia in possesso di informazioni relative 
all�ambiente, tranne gli organismi che esercitano competenze giudiziarie o legislative>>. 
(23) In dottrina, sui caratteri della direttiva 90/313/CEE, MONTINI, Il diritto di accesso all�informazione 
in materia ambientale: la mancata attuazione della direttiva CE 90/313, in Riv. Giur. Ambiente, 
1997, pag. 325 e ss.; ALIBERTI, Informazione ambientale e diritto di accesso, op. cit., pag. 143.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 65 
dell�integrazione delle esigenze connesse alla protezione dell�ambiente con 
altre esigenze derivanti dalle altre politiche comunitarie, in particolare con la 
politica industriale perseguita dall�Unione, quello dell�elevato livello di tutela 
e quello precauzionale (24), ed infine, il principio dell�azione preventiva, che 
ha finito per assumere un ruolo di centro gravitazionale intorno al quale ruota 
ogni iniziativa comunitaria in materia di ambiente (25). Ed � in un�ottica che 
prevede l�accesso alle informazioni sullo stato dell�ambiente, in possesso delle 
Istituzioni comunitarie, come strumento prioritario ai fini di una adeguata difesa 
dell�ambiente, e l�informazione quale fondamento dell�educazione collettiva 
al rispetto dello stesso, che si inserisce la direttiva 7 giugno 1990, n. 
313 CEE (26). Il diritto di accesso assume, in questa ottica di prevenzione, la 
veste di strumento efficace nel prevenire le cause del degrado ambientale, consentendo 
la diffusione delle informazione tra i cittadini (27), i principali attori 
della politica ambientale. E� ormai pacifico che l�intervento del diritto deve 
essere orientato a preservare la stabilit� dell�ambiente, prevenendo il verificarsi 
dell�evento dannoso piuttosto che rifarsi ai tradizionali strumenti repressivi e 
risarcitori, che risultano comunque inutili di fronte a talune attivit� cos� dannose 
da eccedere qualsiasi possibilit� riparatoria. 
Tale consapevolezza � stata tradotta in una normativa puntuale nel 1986 
con L�Atto Unico Europeo, che ha dato impulso, inserendo il primo titolo specificamente 
dedicato all�ambiente ed una serie di interventi legislativi a livello 
comunitario, recepiti successivamente, anche se non sempre in modo pieno, 
dagli ordinamenti nazionali. La politica ambientale comunitaria si � quindi 
sviluppata attraverso una serie di Programmi d�azione, che hanno determinato 
la linea di condotta comunitaria sull�argomento ambiente (28). Fino ad oggi 
sono stati approvati ben sei Programmi contenenti le linee guida della politica 
(24) Art. 1914, p.to 2 del Trattato di Lisbona. 
(25) CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela dell�ambiente, op. cit, pag. 169; DELL�ANNO, 
Il ruolo dei principi del diritto ambientale europeo: norme di azione o di relazione?, in Gazzetta ambiente, 
2003, pag. 131; ALIBERTI, Diritto di accesso e divulgazione dell�informazione ambientale nell�ordinamento 
comunitario, op. cit., pag. 95. 
(26) In particolare GRASSI, Considerazioni introduttive su libert� di informazione e tutela dell�ambiente, 
in Nuove dimensioni dei diritti di libert�, Scritti in onore di Paolo Barile, 1990, sostiene 
che per nessun altro bene, come per l�ambiente, � indispensabile al fine di identificare gli oggetti e le 
modalit� della tutela, l�acquisizione e la diffusione delle informazione e delle conoscenze. Negli stessi 
termini anche PELOSI, L�accesso all�informazione ambientale tra fonti normative e tutela dell�ambiente. 
Considerazioni, in Quaderni della Rassegna dell�Ordine degli Avvocati di Napoli, 2003. 
(27) Il IV considerando della direttiva 90/313 si esprime proprio in questi termini, sancendo che 
<<l�accesso alle informazioni relative all�ambiente in possesso delle autorit� pubbliche contribuir� a 
migliorare la protezione dell�ambiente>>. 
(28) Per un approfondimento in merito ai Programmi d�azione comunitario in ambito ambientale, 
si vedano tra gli altri: BIANCHI-CORDINI, Comunit� europea e protezione dell�ambiente, op. cit., pag. 59; 
RECCHIA, La tutela dell�ambiente in Italia, Dai principi comunitari alle discipline nazionali di settore, 
in I <<nuovi diritti>> nello Stato sociale in Trasformazione, a cura di FERRARA e VIPIANA, Padova, 
2002, pag. 30; DACLON-TAMBURRINO, L�Europa e l�ambiente, Rimini, 1989.
66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
ambientale comunitaria, in un lasso di tempo che va dal 1973 al 2010. Essi 
hanno la natura di atti giuridicamente non vincolanti ma rientranti nell�ambito 
delle Soft Law (29), atti di indirizzo a carattere politico che determinano il 
modus operandi dell�Unione in un certo ambito, successivamente recepiti in 
norme vere e proprie dai Trattati. 
Il Primo Programma d�azione comunitaria in materia ambientale (30), 
cha ha regolato gli interventi finalizzati alla tutela dell�ambiente per il periodo 
dal 1973 al 1977 introduce il concetto di un�espansione sostenibile dall�uomo, 
che procuri il migliore ambiente di vita possibile e che preservi l�ambiente 
naturale, prevenendo l�inquinamento, mantenendo l�equilibrio ecologico, evitando 
lo sfruttamento delle risorse ed una organizzazione del territorio che 
possa alterarlo. Si prefigge altres� di ricercare soluzioni ai problemi ecologici 
a livello internazionale. Gli obbiettivi primari individuati dal programma 
sono, in generale, la riduzione dell�inquinamento e degli inconvenienti ambientali 
da esso derivanti. In quest�ottica, il ruolo dell�accesso all�informazione 
� quello di far aderire agli obbiettivi di salvaguardia e prevenzione le 
decisioni tanto degli operatori economici e politici, quanto quelle dei comuni 
cittadini. 
Esso incentiva la conclusione di accordi di scambio di informazioni tecnologiche 
e tecniche, relative alla prevenzione di danni ambientali causati 
dai processi industriali inquinanti, ed impegna le Istituzioni comunitarie ad 
operare un confronto tra le legislazioni nazionali e la loro efficacia, allo scopo 
di favorire la circolazione di notizie sui sistemi di controllo e sulle misure, 
adottate negli ordinamenti dei singoli Stati, contro l�inquinamento e le sue 
conseguenze (31). Le informazioni devono essere raccolte e organizzate in 
modo sistematico e completo, auspicando il Programma la creazione di un 
sistema europeo di documentazione, finalizzato all�elaborazione e alla divulgazione 
dei dati riguardanti la protezione dell�ambiente. 
Il Secondo Programma, relativo agli anni dal 1977 al 1981, si sviluppa 
sulla scia del primo, in un�ottica protezionistica stavolta perseguita attraverso 
(29) DE BERNARDINI, Soft Law, in Dizionario di diritto pubblico, a cura di CASSESE, Vol. I, Milano, 
2006, pag. 5605; SNYDER, Soft Law e prassi istituzionale della Comunit� europea, in Sociologia dir., 
1993, pag. 79; WELLENS-BORCHARDT, Soft Law in European Community Law, in European Law Rewiew, 
1989, pag. 267; GRUCHALLA-WISIERSKI, A framework for Understanding <<Soft Law>>, in McGill Law 
Journal, 1984, pag. 37. 
(30) In G.U.C.E., C 112, 20 dicembre 1973. 
(31) In tale prospettiva � stato concluso l�Accordo del 5 marzo 1973 (G.U.C.E. C9 del 15 marzo 
1973, pag. 3), che instaura una procedura di informazione della Commissione e degli Stati per l�armonizzazione 
dei provvedimenti urgenti in materia ambientale, assicurando una costante acquisizione delle 
informazioni ed essi relative. Successivamente, � stato stipulato un secondo Accordo, il 15 marzo 1974 
(G.U.C.E. C9 del 20 luglio 1974, pag. 2), al fine di rafforzare i propositi del primo attraverso l�estenzione 
dei casi e delle procedure in esso previste anche ai progetti di disposizioni legislative, regolamentari e 
amministrative dei singoli Stati in materia ambientale, volte alla realizzazione del programma di azione. 
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 67 
un�efficacie lotta all�inquinamento (32). 
� con il Terzo Programma che si giunge ad una evoluzione rispetto al 
periodo precedente, affermandosi progressivamente, nel perido dal 1982 al 
1986, il principio dell�azione preventiva, che sarebbe diventato il cardine di 
tutta la politica ambientale comunitaria (33). Da questo momento in poi la 
politica ambientale europea si connota di un carattere non solo protettivo, 
volto alla riduzione dei fattori inquinati fonte di alterazioni dello stato ambientale, 
ma acquisisce una funzione propulsiva di incentivo ad una crescita 
economica che integri la prospettiva della salvagardia dell�ambiente. In questo 
quadro, la diffusione delle informazioni appare condizione necessaria affinch� 
possa essere realizzato l�intento preventito espresso nel Programma 
(34): � proprio la diffusione delle informazioni ambientali a consentire la prevenzione 
delle condizioni inquinanti. 
Il miglioramento dell�accesso alle informazioni in materia ambientale � 
riconosciuto come uno dei settori principali, cui rivolgere l�azione comunitaria 
di stampo preventivo, dal Quarto Programma di azione delle comunit� 
europee in materia ambientale, cha abbraccia il periodo dal 1987, proclamato 
�anno europeo dell�ambiente�, al 1992 (35). La sottoscrizione dell�Atto 
Unico europeo ha inserito ufficialmente l�ambiente nei Trattati comunitari, 
dando un sostrato normativo chiaro all�azione comunitaria ambientale (36). 
Rientra in questo programma la Direttiva 90/313/CEE, del 7 giugno 1990, 
l�atto normativo sull�ambiente sicuramente pi� rilevante adottato dall�Unione 
Europea, nonch� quello che per primo ha riconosciuto l�esistenza di un diritto 
di accesso alle informazioni in materia ambientale (37). 
Il Quinto programma d�azione (1993/2000) si allinea a quanto emerso 
nel programma precedente, evidenziando come il presupposto ad una effettiva 
tutela dell�ambiente debba essere rintracciato in un accesso sia quantitativo 
che qualitativo alle informazioni esistenti relative all�ambiente e alla sua tutela. 
Il Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992, introduce come obbiettivo 
principale una crescita sostenibile e rispettosa dell�ambiente, uno 
sviluppo economico e sociale che non danneggi l�equilibrio naturale (38). 
Per la prima volta, con il Trattato di Maastricht, la politica ambientale diventa 
(32) Il XXI considerando del Programma ribadisce nuovamente come l�accesso alle informazioni 
sia necessario per ottenere il contributo di tutta la popolazione e delle varie forze sociali della Comunit� 
alla protezione e al miglioramento dell�ambiente (G.U.C.E. C 139 del 13 giugno 1977). 
(33) ALIBERTI, Informazione ambientale e diritto di accesso, op. cit, pag. 107. 
(34) FROSINI, Sul nuovo diritto all�informazione ambientale, in Giur. Cost., 1992, pag. 4465. 
(35) G.U.C.E. C 328 del 7 dicembre 1987. 
(36) ALIBERTI, Informazione ambientale e diritto di accesso, op. cit, pag. 110. 
(37) Sul punto, MONTINI, Informazione, partecipazione ed accesso alla giustizia nel diritto ambientale: 
profili comparatistici ed internazinalistici, in Studi Senesi, 1996, Vol. I, pag. 37. 
(38) FALOMO, L�incidenza del Trattato di Maastricht sul diritto comunitario ambientale, in Rivista 
di diritto europeo, 1992, pag. 587.
68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
una vera e propria politica dell�Unione, nel senso che si passa dal concepire 
la tematica ambientale non pi� come un�azione comunitaria, ma come uno 
degli obbiettivi specifici per i quali la Comunit� � costituita (39). 
Il Sesto Programma, valido per il periodo 2000/2012, ribadisce come il 
perseguimento degli obbiettivi dell�Unione in materia ambientale necessiti 
di maggiore attenzione alla prevenzione, introducendo, a supporto di questo 
principio, ormai radicatosi grazie agli interventi normativi precedenti, il principio 
di precauzione (40). Con esso, l�intervento a tutela dell�ambiente diventa 
obbligatorio anche qualora l�evento lesivo � prospettato solo come 
eventuale, senza che occorrano certezze scientifiche del suo verificarsi. La 
legislazione conferma, quale punto di partenza necessario per qualsivoglia 
azione comunitaria di carattere ambientale, la completa e corretta attuazione 
della normativa ambientale da parte dei membri della Comunit� (41). L�integrazione 
delle politiche ambientali tra le altre politiche perseguite dall�Unione 
� avvenuta con il Trattato di Amsterdam, che codifica il tema ambiente tra i 
principi generali dell�ordinamento comunitario (art. 6 del Trattato), modificando 
la sua orginaria collocazione che lo relegava esclusivamente al capo 
specificamente dedicato all�ambiente. L�informazione si riconferma, anche 
nel Sesto Programma, lo strumento fondamentale per l�attuazione di efficaci 
politiche ambientali. La diffusione delle notizie relative all�ambiente viene 
considerata sotto molteplici profili, dall�acquisizione dei dati esistenti, da 
parte delle sedi decisionali, alla diffusione delle stesse in chiave preventiva, 
fino al riconoscimento in capo ai cittadini del diritto di accedere alle nozioni 
ambientali. 
2. L�accesso alle informazioni ambientali nell�ordinamento interno 
Anche a livello nazionale il diritto di accesso all�informazione ambientale 
� stato oggetto di una peculiare normatizzazione. L�analisi delle principali 
disposizioni vigenti nell�ordinamento interno sul tema evidenzia come il diritto 
di accesso sia stato qualificato come una <<prestazione dovuta da parte 
dell�amministrazione pubblica>> (42). La legittimazione all�esercizio di tale 
diritto � riconosciuta in capo a chiunque ne faccia richiesta, a fronte di un potere 
discrezionale della pubblica amministrazione fortemente limitato, riguardo 
la definizione dei casi, le modalit� e i tempi di rilascio delle notizie 
(39) CHITI, Ambiente e <<costituzione>> europea: alcuni nodi problematici, op. cit, pag. 138. 
(40) G.U.C.E. L 242 del 10 settembre 2002. Si legga, in particolare, il V considerando. 
(41) ALIBERI, Informazione ambientale e diritto di accesso, op. cit., pag. 127; CARAVITA, Diritto 
dell�ambiente, op. cit., pag. 95; CORDINI, Diritto ambientale comparato, op. cit., pag 172. 
(42) LABRIOLA, Diritto di accesso del cittadino e doveri della pubblica amministrazione nella 
legge istitutiva del Ministero dell�ambiente, op. cit, pag 271. 
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 
richieste (43). Il primo atto normativo relativo alla tematica ambientale � dato 
dalla legge 349/86, istitutiva del Ministrero per l�ambiente (44). E� significativo 
osservare che l�ordinamento italiano ha riconosciuto la necessit� di 
garantire l�accesso alle informazioni, in funzione della tutela ambientale, anticipatamente 
rispetto alla Comunit� Europea. Il diritto comunitario, infatti, 
traduce in una disposizione normativa vera e propria quanto emerso dai programmi 
d�azione europei in materia ambientale, solo con l�emanazione della 
direttiva n. 90/313 CEE del 1990, che ha dato impulso allo sviluppo della 
normativa in materia di accesso ambientale, accogliendo, quindi, a notevole 
distanza di tempo, quanto sancito nella Dichiarazione di Stoccolma del 1972, 
in merito all�importanza di tale fattispecie particolare di accesso, quale strumento 
essenziale per la tutela e la valorizzazione dell' ambiente umano (45). 
E� apparsa immediatamente anche al legislatore nazionale la connessione 
tra la tutela dell�ambiente e la diffusione delle informazioni ad esso relative. 
Collocando il diritto di accesso all�informazione ambientale nell�ambito 
della trasparenza amministrativa, di cui � maggior espressione il pi� generale 
diritto di accesso agli atti delle pubbliche amministrazioni, si osserva, rispetto 
a quest�ultimo, una caratteristica ulteriore. L�accesso ai documenti della pubblica 
amministrazione, soddisfa in generale le esigenze di trasparenza nell�esercizio 
del potere amministrativo, al fine di verificarne imparzialit� (46). 
Nell�accesso alle informazioni ambientali, il momento conoscitivo � altres� 
finalizzato all�applicazione del principio di prevenzione e di conservazione 
dell�equilibrio naturale, alla luce della grande rilevanza riconosciuta oggi alla 
protezione dell�ecosistema (47). 
L�art. 14 della legge n. 349/86 secondo il quale <<Qualsiasi cittadino 
da diritto di accesso alle informazioni sullo stato dell�ambiente disponibili, 
(43) GRAZIA, Diritto all�informazione ambientale: tra situazioni soggettive e interessi pubblici, 
op. cit, pag. 74. 
(44) G.U. n. 172 del 15 luglio 1986. 
(45) CUTILLO FAGIOLI, Il diritto di accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico ai 
processi decisionali in materia ambientale nel diritto internazionale, in Riv. giur. amb., 1996, pag. 535. 
(46) Sulla trasparenza dell�attivita amministrativa, si rinvia tra i tanti: ARENA, La trasparenza amministrativa 
e il diritto di accesso ai documenti amministrativi, in L�accesso ai documenti amministrativi, 
Bologna, 1991, pag. 24; MATTARELLA, Informazione e comunicazione amministrativa, in Riv. Trim. Dir. 
Pubbl., 2005; SANDULLI, Accesso alle notizie ed ai documenti amministrativi, in Enc. Dir., agg., vol. 
IV, Milano, 2000; CARINGELLA-GAROFALI-SEMPREVIVA, L�accesso ai documenti amministrativi. Profili 
sostanziali e processuali, op. cit.; DIANA, Il diritto di accesso e la tutela dell�interesse qualificato del 
cittadino verso la P.A, CEDAM, 2000. 
(47) Corte Cost., Sent. 22 maggio 1987, n. 183. La Corte Costituzionale ha individuato il contenuto 
della protezione dell�ambiente, in relazione all�assetto del territorio e dello sviluppo sociale e civile di 
esso, da una parte, nel rispetto e nella valorizzazione delle caratteristiche proprie di ogni zona geografica 
e, dall�altra, nella preservazione della qualit� e delle condizioni oggettive del suolo, dell�aria, e delle 
acque, a fronte delle varie forme di inquinamento che attentano alla loro conservazione, quali inquinamento 
atmosferico, idrico, termico ed acustico.
70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
in conformit� con le leggi vigenti, presso gli uffici della Pubblica Amministrazione�>>, 
individua nei cittadini i legittimati a richiedere le notizie in 
possesso dell�autorit� pubblica, non ravvisando limitazioni all�esercizio di tale 
diritto soggettivo, se non nell�assunto, oltremodo generico, ��in conformit� 
con le leggi vigenti�(48). Tuttavia, le evidenti imperfezioni dovute al tenore 
ambiguo della disposizione, alla limitazione della legittimazione all�accesso 
ai soli cittadini, con apparente esclusione delle personalit� giuridiche che 
spesso li rappresentano, all�assenza di riferimenti alla procedura per l�esercizio 
del diritto in oggetto e di un�esplicita previsione di una forma specifica di tutela, 
hanno negato la natura precettiva della disposizione, riducendola ad una 
norma programmatica (49). 
La legge n. 349/86 � stata cos� nel concreto scarsamente applicata, considerata 
come una norma quadro che, pur avendo sancito l�esistenza di un diritto 
di accesso alle informazioni sullo stato dell�ambiente, ha subordinato 
l�effettivo esercizio di tale diritto all�emanazione di una normativa di dettaglio. 
Alla legge istitutiva del Ministero dell�ambiente fece immediatamente 
seguito una cospiqua legislazione sia statale (50) che regionale. In particolare, 
� stato rilevato (51) come le leggi regionali in materia di accesso alle informazioni 
ambientali perseguono la finalit� di estendere il principio del libero 
accesso agli atti di competenza regionale, ispirandosi all�art. 14 della legge 
349/86 e alla direttiva comunitaria 90/313 (52). La pi� innovativa ed incisiva 
(48) MONTINI, Il diritto all�informazione ambientale: la mancata attuazione della direttiva CE 
90/313, op. cit., pag. 328 e ss.; GRASSI, Considerazioni introduttive su libert� di informazione e tutela 
dell�ambiente, op. cit, pag. 319. 
(49) PELOSI, L�accesso all�informazione ambientale tra fonti normative e tutela dell�ambiente. 
Considerazioni, op. cit., pag 14. 
(50) A titolo di esempio, si ricordi la legge 36/94, inserita nella riforma complessiva dei servizi 
idrici e recante disposizioni in materia di risorse idriche. L�art. 23, comma 2, obbliga i gestori dei servizi 
a garantire <<l�accesso dei cittadini alle informazioni inerenti ai servizi gestiti nell�ambito della propria 
competenza, alle tecnologie impiegate, al funzionamento degli impianti, alla qualit� e alla quantit� 
delle acque fornite e trattate>>. Ed inoltre il programma triennale per gli anni 1994-96 per la tutela ambientale, 
il quale al punto 2.1.6 pone tra gli obbiettivi da seguire l�informazione e l�educazione dei cittadini 
sui problemi dell�ambiente, attraverso inziative di sensibilizzazione. 
(51) GRAZIA, Il diritto all�informazione ambientale: tra situazioni soggettive e interessi pubblici, 
op. cit., pag . 60. Per un ulteriore approfondimento sull�accesso ambientale come disciplinato nelle leggi 
regionali, si veda BORGONOVO RE-NESPOR, Qualit� ed efficacia delle informazioni effettivamente fornite 
ai destinatari delle azioni ecologiche, in Confronti, 1991. 
(52) La legge regionale Lazio n. 43, del 12 settembre 1986, denominata �Norme per il libero accesso 
alle informazioni ambientali�, riconosce a tutti i cittadini il diritto di accesso agli atti amministrativi 
relativi ad <<attivit� di modificazione dell�assetto del territorio o le attivit� che possono provocare l�inquinamento 
dell�acqua, dell�aria e del suolo>>. Significativa � anche legge regionale Emilia Romagna 
n. 15/96, la quale stabilisce che la Regione, in conformit� alle indicazioni fornite dalla legge n. 349/86 
e seguenti, in materia ambientale, predispone una serie di strumenti atti a favorire il concreto esercizio 
del diritto di accesso ambientale, come un programma di informazione ed educazione ambientale, centri 
di informazione ed educazione ambientale, sportelli ambientali e relazioni periodiche della Regione 
sullo stato dell�ambiente nel suo territorio.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 
normativa emanata a livello regionale � la legge regionale del Lazio 12 settembre 
1996, n. 15. Oltre a costituire la prima legge regionale in materia ambientale, 
si preoccupa che l�accesso alle informazioni richieste sia effettivamente 
soddisfatto entro i tempi previsti. Tale norma prevede infatti un procedimento 
disciplinare per il funzionario che, tenuto a fornire le informazioni ambientali, 
provochi un ritardo nell�acquisizione delle stesse, superiore a quindici giorni 
dal ricevimento della richiesta scritta. 
Resta il fatto che in assenza di una disciplina specifica relativa all�esercizio 
concreto del diritto di accesso in materia ambientale, divengono automaticamente 
operative anche in questo ambito le regole generali sull�accesso 
alle informazioni amministrative, contenute nel capo V della legge n. 241/90 
(53). Gli articoli dal 22 al 28 della legge disciplinano dettagliatamente la materia 
dell�accesso. Legittimato ad accedere alle informazioni contenute negli 
atti amministrativi � �chiunque� vi abbia interesse, abbracciando cos� ogni 
persona fisica e giuridica presente nel territorio dello Stato. Il diritto di accesso 
si esercita non solo nei confronti delle amministrazioni pubbliche propriamente 
dette, ma anche delle aziende autonome, degli enti pubblici e dei cessionari 
di pubbici servizi. I casi di esclusione dall�accesso sono tassativamente 
previsti dall�art. 24 della suddetta legge e sono dovuti alla soccombenza della 
pretesa conoscitiva del richiedente di fronte ad interessi di rango superiore 
(54) . Per la tutela del cittadino avverso il diniego all�accesso alle informazioni 
richieste, l�art. 25 predispone un rito ad hoc, abbreviato e semplificato, azionabile 
di fronte al giudice amministrativo autonomamente rispetto al giudizio 
relativo alla posizione giuridica soggettiva alla cui difesa � sottesa la richiesta 
dell�istanza di accesso respinta. 
Alla legge 241/90 � stata data attuazione attraverso il Regolamento contenuto 
nel D.P.R. 352/92, con il quale sono state integrate le norme della legge 
sul procedimento amministrativo in materia di accesso agli atti, con particolare 
riguardo alle modalit� di esercizio dello stesso e di gestione delle istanze di 
accesso, da parte delle pubbliche amministrazioni. 
Le questioni pi� rilevanti rispetto alla compatibilit� tra la legge 349/86 
in materia di accesso ambientale e la legge n. 241/90, che detta regole generali 
sul diritto all�informazione, riguardano la natura del diritto di accesso ambientale 
e l�autorit� competente a tutelarne l�esercizio. 
(53) L�art. 22 della legge 241/90 dispone che: <<Al fine di assicurare la trasparenza dell�attivit� 
amministrativa e di favorire lo svolgimento imparziale � riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per 
la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo 
le modalit� stabilite dalla presente legge>>. 
(54) I casi di esclusione riguardano infatti la sicurezza nazionale e le questioni ad essa affini, l�ordine 
pubblico e la prevenzione e repressione della criminalit�, la tutela della privacy, prevalendo per�, 
in ogni caso, su questi ultimi il diritto di accesso, qualora appaia strumentale all�esercizio del diritto di 
difesa di una propria posizione giuridica soggettiva.
72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Relativamente alla prima problematica, parte della dottrina (55) ritiene 
che il diritto di accesso ai dati relativi allo stato dell�ambiente non sia esercitabile 
incondizionatamente, ma che la sua azionabilit� dipenda dalla previa 
dimostrazione di un interesse personale ad ottenere l�informazione richiesta. 
L�art. 14 della legge 349/86, ed in particolare la fumosa espressione �in conformit� 
delle leggi vigenti�(56), � da interpretarsi come una norma che conferisce 
al diritto di accesso ambientale un generale riconoscimento, rinviando 
alle norme generali, contenute nell�art. 22 della legge 241/90, la disciplina 
procedurale relativa al suo esercizio. Nessuna specialit� dunque � data al diritto 
all�informazione sullo stato dell�ambiente: la legge 349/86 � solamente una 
una norma programmatica, intesa a riconoscere in termini generali un diritto 
del cittadino alla conoscenza delle notizie sull�ambiente, da esercitarsi in conformit� 
con le leggi vigenti. 
Altra parte della dottrina (57) sostiene, invece, che la legge n. 349/86 
identifichi quale titolare del diritto di accesso alle informazioni ambientali 
�qualsiasi cittadino�. Il fondamento di tale assunto risiede nel carattere diffuso 
degli interessi ambientali. Le informazioni raccolte in materia dalle autorit� 
pubbliche sono tanto pi� utili al raggiungimento dell�obbiettivo della prevenzione 
e della salvaguardia dell�ambiente, quanto pi� ampia � la partecipazione 
dei cittadini alla loro conoscenza (58). Concorda chi scrive con l�affermazione 
che un�interpretazione riduttiva dei soggetti legittimati all�esercizio del diritto 
all�informazione sullo stato dell�ambiente, che li identifica unicamente nei 
portatori di un interesse qualificato dalla finalit� di tutela di un�altra situazione 
giuridica soggettiva, � un retaggio di una amministrazione ancorata al principio 
del segreto, che fatica ad adeguarsi al generale riconoscimento della peculiarit� 
del tema ambientale, come pure della disciplina dell�accesso alle informazioni 
ad esso relative, la cui maggior diffusione possibile appare necessaria per l�ap- 
(55) MONTINI, Il diritto all�informazione ambientale: la mancata attuazione della direttiva CE 
90/313, op. cit., pag. 332; LANDI, La tutela processuale del diritto di accesso, Padova, 1990, pag. 164 e 
ss., il quale sostiene cha la disciplina speciale in materia di accesso ambientale contenuta nella legge n. 
349/86, sia da ritenersi implicitamente abrogata dalla legge n. 241/90, la quale avrebbe assorbito anche 
la normativa del settore ambientale ad essa precedente, dando luogo ad una disciplina generale ed onnicomprensiva 
in materia di accesso ai documenti della pubblica amministrazione. 
(56) GRASSI, Considerazioni introduttive su libert� di informazione e tutela dell�ambiente, op. 
cit, pag. 319; LIBERTINI, Il diritto all�informazione in materia ambientale, op. cit, pag. 638; VIRGA, Attivit� 
istruttoria primaria e processo amministrativo, op. cit., pag. 120, secondo il quale l�assunto rinvia 
alle varie categorie di segreto; nello stesso senso, DELL�ANNO, La ponderazione degli interessi ambientali, 
in Riv. Trim. dir. pubbl., 1990, pag. 99 e ss., secondo il quale <<la formulazione dell�art. 14 non ha 
costituito una svolta nei procedimenti amministrativi, i quali restano di norma riservati, se non addirittura 
coperti, dal segreto d�ufficio>>. 
(57) IACOVONE, Diritto all�informazione ambientale dopo la legge 241/90, Bari, 1996, dagli atti 
del Convegno su �L�accesso ai documenti amministrativi�, 5-6 maggio, 1995, pag. 11 e ss.; LANDI, La 
tutela processuale del diritto di accesso, op. cit., pag. 164 e ss. 
(58) LIBERTINI, Il diritto all�informazione in materia ambientale, op. cit., pag. 633.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 
plicazione dei riconosciuti principi di prevenzione e salvaguardia (59). La specialit� 
della disciplina ad hoc dell�accesso in materia ambientale deriva infatti 
anche dalla legittimazione a proporre istanza di accesso alle informazioni sullo 
stato dell�ambiente, dalla particolare rilevanza del bene in questione, in virt� 
della quale � riconosciuta la prevalenza dell�interesse all�informazioni sulle 
condizioni ambientali, consentendo, in tal modo, il controllo diffuso su tali 
beni (60). 
Quanto al problema dell�individuazione del foro competente a dirimere 
le controversie relative all�accesso alle informazioni sullo stato dell�ambiente, 
nessuna indicazione particolare � data dalla legge n. 349/86. Da ci�, la soluzione 
non � univoca, ma dipende dal criterio interpretativo adottato relativamente 
all�art. 14 della legge sopra menzionata. Se infatti, conformemente alla 
prima delle pozioni dottrinali esaminate, si ritiene che l�art. 14 riconosca in 
termini generali il diritto di conoscere le informazioni sullo stato dell�ambiente, 
ponendosi come norma programmatica in materia, e che l�esercizio di 
tale diritto � disciplinato dalle regole generali sull�accesso date dalla legge n. 
241/90, la tutela applicabile al diritto di accesso ambientale � quella dettata 
dall�art. 25 della legge sul procedimento amministrativo, e il tribunale competente 
� quello amministrativo. Se invece si abbraccia la tesi della seconda 
parte della dottrina analizzata, e si ritiene che l�art. 14 della legge istitutiva 
del Ministero dell�Ambiente conferisca a chiunque un diritto soggettivo incondizionato 
ad accedere alle notizie relative all�ambiente, il giudice civile 
sar� l�organo competente a trattare le questioni relative al diniego alle istanze 
di accesso. Per i principi generali dell�ordinamento, infatti, quest�ultimo � 
competente a conoscere le controversie conseguenti la violazione di diritti soggettivi, 
e pertanto anche del diritto all�informazione ambientale. 
La successiva evoluzione normativa consiste nel decreto legislativo n. 
39 del 24 febbraio 1997, che si affianca alla visione pi� ampia del diritto di 
accesso in materia ambientale da ultimo osservata, rispetto ai dettami in materia 
contenuti nella legge n. 241/90. Con esso viene data attuazione ai principi 
comunitari riguardanti l�accesso all�informazione ambientale, insiti nella direttiva 
90/313. L�emanazione di questo decreto legislativo ha segnato, relativamente 
all�ambito dell�accesso alle informazioni sullo stato dell�ambiente, 
(59) La specialit� della disciplina contenuta nella legge n. 349/86 si evince inoltre dall�art. 6 della 
stessa, che prevede la partecipazione dei cittadini alle istruttorie sulla valutazione dell�impatto di singoli 
progetti sull�ambiente (come approfondito da SCOVAZZI, La partecipazione del pubblico alle decisioni 
sui progetti che incidono sull�ambiente, in Riv. Giur. Amb., 1989, pag. 496 e ss., il quale evidenzia come 
purtroppo nel concreto tale partecipazione sia decisamente marginale), nonch� da una serie di norme ad 
essa successive, come la legge n. 183/89, relativa alla tutela del suolo: l�art. 9, comma 4, lett. c, sancisce 
che i Servizi tecnici nazionali hanno, tra le altre, la funzione di fornire dati, pareri e consulenze, �a 
chiunque ne faccia richiesta�. 
(60) TORTORA, Informazione ambientale e diritto di accesso: normativa in ambito nazionale e comunitario, 
in www.filodiritto.com.
74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
e delle corrispondenti forme di tutela predisposte dall�ordinamento, l�implicita 
abrogazione del tormentato art. 14 della legge n. 349/86 (61). 
3. Riflessi del diritto di accesso alle informazioni ambientali nella Costituzione 
L�inquadramento costituzionale del diritto di accesso ambientale e la sua 
collocazione su un piano gerarchico rispetto agli altri valori espressi nella Costituzione 
(62) ha richiesto un particolare sforzo del legislatore, alla luce dellenovit� 
che ancora rappresentano i c.d. �diritti civici� (63). Essi rappresentano 
un tertium genus nella tradizionale distinzione tra c.d �diritti di libert�� e �diritti 
sociali�, all�interno di un processo evolutivo, intrapreso da numerose costituzioni 
occidentali, a fronte dell�affermazione sempre pi� forte della bioetica 
nel panorama legislativo mondiale (64). Superando il tradizionale dualismo 
cittadino-pubblica amministrazione, i diritti civici rappresentano una nuova 
espressione dei diritti di libert�, in quanto consistono nella pretesa della predisposizione 
delle condizioni strutturali e istituzionali, da parte delle autorit� 
pubbliche, che consentano <<il pieno sviluppo del sistema delle libert�>> (65). 
Il diritto all�accesso alle informazioni detenute dalle pubbliche autorit� pu� 
essere qualificato come un diritto civico, nel senso che non consiste solo nella 
pretesa dei cittadini di visionare documenti contenenti informazioni ambientali, 
ma anche nell�esigenza che le stesse pubbliche amministrazioni provvedano 
alla pi� ampia diffusione delle stesse. 
Nel tentativo di ricondurre il diritto di accesso ambientale ad un sostrato 
normativo costituzionale, il primo riferimento � all�art. 9, comma 2, della Costituzione, 
secondo il quale <<la Repubblica tutela il paesaggio� della Nazione>>, 
essendo riconosciuto il valore della diffusione della conoscenza in 
materia ambientale per la sua salvaguardia. Un secondo collegamento � ravvisabile 
altres� con l�art. 41, comma 2, della Carta Fondamentale, che vincola 
l�iniziativa economica a garantire <<�la sicurezza, la dignit� e la libert� 
umana>>, nelle quali si riflette la tutela dell�ambiente. Il fondamento costituzionale 
della normativa sull�accesso ambientale � per� riscontrabile nell�art. 
97, comma 1, della Costituzione. In tale articolo sono sanciti i principi fondamentali 
intorno ai quali ruota l�attivit� amministrativa, il principio di impar- 
(61) PELOSI, L�accesso all�informazione ambientale tra fonti normative e tutela dell�ambiente. 
Considerazioni, op. cit., pag. 16. 
(62) GRAZIA, Il diritto di accesso all�informazione ambientale: tra situazioni soggettive e interessi 
pubblici, op. cit., pag. 74. 
(63) FOIS, Nuovi diritti di libert�, in Nuove dimensioni dei diritti di libert�, in Scritti in onore di 
Paolo Barile, Padova, 1990. 
(64) GRASSI, Considerazioni introduttive su libert� di informazione e tutela dell�ambiente, op. 
cit., pag. 308. 
(65) In questi termini si � espresso GRASSI, op. cit., pag. 308.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 
zialit� e del buon andamento, il rispetto dei quali vincola l�amministrazione - 
nel caso specifico - a raccogliere, coordinare e mettere a disposizione dei cittadini, 
in modo adeguato, le informazioni sullo stato dell�ambiente, predisponendo 
al suo interno un apparato idoneo al raggiungimento di tale scopo. Solo 
in questo modo pu� diventare effettivo l�esercizio del diritto di accesso alle 
informazioni ambientali. 
La Corte Costituzionale � intervenuta nel definire la portata del valore 
ambiente e nel collocarlo all�interno della Costituzione nella seconda met� 
degli anni Ottanta, iniziando con il promuovere il paesaggio, secondo l�art. 9 
della Costituzione, a <<valore primario dell�ordinamento (66) >>, giungendo 
a definire ogni questione legata alla materia ambientale <<diritto ed interesse 
fondamentale della persona e della collettivit� (67) >>. 
Le successive pronunce della Suprema Corte hanno affermato la necessit� 
di modernizzare l�approccio normativo alla materia ambientale, elevando la 
propria giurisprudenza in materia al rango di principi integrativi della Costituzione, 
considerando equivalenti i concetti di vincolo paesaggistico, gi� sottoposti 
ad una disciplina esaustiva, e di vincolo ambientale (68). Tale 
orientamento della Corte � giustificabile alla luce della considerazione del diritto 
ambientale quale diritto primario, con la conseguente impossibilit� di subordinarlo 
a qualsiasi altro. Si osserva l�accoglimento di una visione 
dell�ambiente in senso �forte�, come un �minimun ethicum� (69) di riferimento 
per ogni azione dei pubblici poteri potenzialmente confliggente con esso. 
L�ambiente assurge non a valore tra i valori, in riferimento ad una scala 
gerarchica rigida, ma a valore trasversale rispetto agli altri principi ritenuti 
primari dalla Costituzione, in modo da piegare la realizzazione di questi ultimi 
alla piena attuazione delle politiche ambientali. Ed � in questa prospettiva che 
va letto il diritto di accesso alle informazioni ambientali dal punto di vista costituzionale, 
come un diritto che non pu� soccombere di fronte ad altri, in 
quanto strumentale al compimento della tutela dell�ambiente. 
Il vero problema da risolvere, alla luce del giudizio di primariet� attribuito 
al tema ambiente, � la fisiologica lentezza della riflessione giuridica, del confronto 
politico e della produzione legislativa che contribuisce a rendere irraggiungibili 
i ritmi e la velocit� della ricerca scientifica e tecnologica e della 
conseguente individuazione di sempre nuove ipotesi da disciplinare (70). 
(66) Corte Cost., 21 dicembre 1985, n. 359, in Foro It., 1986, Vol. I, pag. 1196 e ss. 
(67) Corte Cost., 28 maggio 1987, n. 210, Foro It., 1998, Vol. I, pag. 329 e ss. 
(68) Corte Cost., 10 marzo 1988, n. 302, in Foro It. 1988, Vol. I, 1017 e ss. Per una riflessione 
della dottrina si rinvia a DALFINO, Per un diritto procedimentle dell�ambiente (vecchie frontiere e nuove 
vie del diritto), in Amministrazione e politica, 1992. 
(69) IACOVONE, Diritto all�informazione ambientale dopo la L. 241/90, op. cit., pag. 9. 
(70) PALAZZANI, Introduzione alla biogiuridica, Torino, 2002, pag. 7; CASONATO, Bietica e pluralismo 
nello Stato costituzionale, in www.forumcostituzionale.it.
76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
4. Riflessioni sulle modalit� di attuazione della direttiva 90/313/CEE 
La specialit� della disciplina sopra descritta nella sommaria analisi del 
contenuto della direttiva comunitaria 90/313, tuttavia, non � stata accolta immediatamente 
in tutta Europa. Allo scadere del termine per il recepimento 
della direttiva 90/313, infatti, il 31 dicembre 1992, l�Italia non aveva ancora 
provveduto a dare ad essa efficacia, avvenuta solo a sette anni dall�adozione 
dell�atto comunitario, con il D.lgs n. 39 del 1997, mantenedo quindi la poca 
chiarezza della legislazione nazionale in materia di accesso ambientale, dovuta 
principalmente all�incertezza dell�interpretazione dell�art. 14 della legge 
349/86, che introduce nel nostro ordinamento una disciplina per l�accesso alle 
informazioni ambientali, ma anche allo scarso contributo della giurisprudenza 
(71). 
Quest�ultima circostanza conferma la reticenza dei giudici amministrativi 
ad applicare la normativa europea, circostanza che nel caso specifico ha prodotto 
una soluzione singolare. Infatti, il giudice italiano ha riconosciuto la specialit� 
della disciplina sull�accesso alle informazioni ambientali rispetto a 
quella pi� generale ricavabile dalla legge sul procedimento amministrativo, 
ma nel farlo, non ha tenuto conto del pi� significativo contributo normativo 
esistente, cio� del contenuto della direttiva 90/313. Emerge da quanto appena 
detto uno dei profili di problematicit� della mancata applicazione da parte 
dell�ordinamento, fino al 1997, della suddetta direttiva in materia di accesso 
ambientale (72). 
In generale, il dibattito relativo al problema del coordinamento della disciplina 
speciale sull�accesso ambientale con i contenuti della legge n. 241/90, 
recante disposizioni generali relative all�accesso ai documenti amministrativi, 
ha trovato nella direttiva 90/313 un indirizzo risolutivo che, ancor prima del 
recepimento, attraverso il D.lgs. n. 39/97, ha consentito ai giudici nazionali, 
con l�accoglimento della tesi del c.d. �effetto diretto�, di riconoscere nelle loro 
pronunce la diretta applicabilit� dei contenuti della suddetta direttiva, consentendo 
un�interpretazione corretta e piena dei contenuti della legge n. 349/86, 
che all�art. 14, con ampio anticipo rispetto al diritto comunitario (73), aveva 
disciplinato specificamente l�ipotesi dell�accesso alle informazioni ambientali. 
(71) FALLETTA, Informazione ambientale e diritto di accesso, op .cit., pag. 226 e ss., il quale rileva 
in proposito che <<le uniche due pronunce del giudice amministrativo in materia di legittimazione alle 
informazioni ambientali (T.a.r. Sicilia, sent. n. 118/91 e T.a.r. Emilia Romagna, sent. n. 78/92) ignorano 
del tutto la normativa comunitaria, e risolvono le incertezze sollevate dalla disciplina generale di cui 
alla legge n. 241/90, solo attraverso la sopraevidenziata interpretazione ampliativa dell�art. 14, comma 
3, l. n. 349/86>>. 
(72) FALLETTA, op. cit., pag. 227. 
(73) PRESTA, ll diritto di accesso all�informazione ambientale, 2008, in www.lexambiente.it.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 77 
Altro profilo di questa problematicit� (74), emerge poi dalle affermazioni 
contenute nella XI Relazione annuale al Parlamento europeo sul controllo dell�applicazione 
del diritto comunitario del 1993, nella quale si afferma che: 
<<In assenza di provvedimenti di attuazione emenati nei termini prescritti, i 
privati possono usufruire direttamente del diritto di accesso all�informazione 
in materia ambientale, invocando dinanzi alle giurisdizioni nazionali le disposizioni 
della citata direttiva 90/313, poich� queste sono munite di efficacia 
diretta>>. La Commissione � ritornata sul punto anche l�anno successivo, ribadendo 
l�obbligo per i Tribunali nazionali, seppur in caso di mancata conformit� 
del diritto nazionale alla direttiva sopracitata, di applicare interamente 
le disposizioni della direttiva che hanno efficacia diretta, cio� quelle che appaiono 
incondizionate e dotate di sufficiente precisione (75). Il riconoscimento 
giunto da varie fonti dell�immediata applicabilit� dei precetti contenuti nelle 
direttive, � probabilmente all�origine della scelta della Commissione di non 
adire la Corte di giustizia affinch� sanzionasse il perdurare della mancata attuazione 
della direttiva da parte dello Stato italiano (76). 
Il giudicato dei Tribunali nazionali italiani, tuttavia, � stato indirizzato 
dall�applicazione dei principi generali in tema di risoluzione delle controversie 
tra norme comunitarie e norme interne, in particolare della c.d. �dottrina dell�effetto 
diretto delle direttive comunitarie� (77). Questa tesi sostiene che una 
(74) MONTINI, op. cit., pag. 327. 
(75) Posizione che sar� riconosciuta poi dal Consiglio di Stato nel 1995, nella sentenza n. 498, 
nella quale ha affermato la diretta applicabilit� <<indipendentemente dalla legge dello Stato>> delle 
direttive comunitarie che <<abbiano requisiti di sufficiente determinatezza di contenuti precettivi>>. In 
dottrina, DELL�ANNO, L�attuazione del diritto comunitario tra supremazia delle fonti e disapprovazione 
amministrativa, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1994, pag. 364, il quale ha affermato che la <<diretta applicabilit�>> 
delle direttive � riferibile alle disposizioni normative che presentano i seguenti connotati distintivi: 
linearit� e puntualit� dei concetti, mancanza di condizioni sospensive, immediata efficacia anche 
senza l�intervento del legislatore nazionale con norme di recepimento. 
(76) In ogni caso, nel 1994, la Commissione ha emesso nei confronti dello Stato italiano un parere 
motivato sul mancato recepimento della direttiva, per poi riaffermare, nella XII Relazione annuale al 
Parlamento europeo sull�applicazione del diritto comunitario (G.U.E.C.E. C 154/44 del 6 giugno 1994), 
che << nel quadro della non conformit� del diritto nazionale alla direttiva 313/90 o di un�attuazione 
inadeguata della direttiva, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (causa C-103/88, fratelli Costanzo) 
si evince che le amministrazioni e i tribunali nazionali hanno l�obbligo di applicare pienamente 
le disposizioni delle direttive che hanno efficacia diretta e di disapplicare le disposizioni di diritto nazionale 
incompatibili con la medesima>>. 
(77) PICOZZA, Diritto amministrativo e diritto comunitario, Torino, 2004, pag. 73 e ss., il quale 
aderisce a quanto espresso nella sentenza Van Gend e Loos, 5 febbraio 1963, causa C-26/62, nel riconoscere 
che <<il diritto comunitario, indipendentemente dalle norme emanate dagli Stati membri, nello 
stesso modo in cui impone ai singoli obblighi, attribuisce loro dei diritti soggettivi. Tali diritti sorgono 
non soltanto allorch� il Trattato espressamnete li menziona, ma anche quale contropartita a precisi obblighi 
che il Trattato impone ai singoli, agli Stati membri e alle Istituzioni comunitarie>>. Egli osserva 
che anche l�ordinamento italiano si sia allineato all�indirizzo europeo, come dimostrato dalla giurisprudenza 
della Corte Costituzionale italiana che, con la sentenza n. 64/90, ha sancito l�effetto diretto delle 
direttive self-executing. Inoltre prosegue segnalando, come conseguenza del recepimento della tesi del-
78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
norma di diritto comunitario ha effetto diretto se si intende conferire ai cittadini 
europei, sulla base di suoi contenuti normativi dettagliati e non sottoposti a 
condizioni, un diritto che debba essere fatto valere dal giudice nazionale, anche 
in assenza di una specifica disposizione di attuazione, allo scadere del termine 
a disposizione dello Stato per conferirgli efficacia interna. Nel caso della direttiva 
90/313/CEE, la dottrina (78) a ritenuto che sussistessero le condizioni 
appena menzionate, permettendo che il suo contenuto fosse considerato immediatamente 
applicabile nell�ordinamento italiano. Gi� a decorrere quindi 
dal 31 dicembre 1992, termine ultimo per il recepimento della direttiva, le disposizioni 
della stessa dotate dei requisiti di sufficiente precisione e incondizionatezza, 
potevano ritenersi produttive di effetti nell�ordinamento interno (79). 
La Corte di Giustizia ha infatti chiarito che in generale, non � sempre richiesta 
l�emanazione, da parte del legislatore nazionale, di disposizioni di 
legge che formalmente riproducano le norme di una direttiva quando <<nel 
caso in cui la disposizione in parola sia diretta a creare diritti per i singoli, la 
situazione giuridica risultante da tali principi sia sufficientemente precisa e 
chiara e che i beneficiari siano messi in grado di conoscere la pienezza dei 
loro diritti e, se del caso, di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali (80)>>. 
Ci� � quello che la Corte stessa ha ritenuto si configurasse nel caso specifico 
della direttiva 90/313, relativamente all�art. 3, secondo paragrafo, della quale 
ha rinvenuto uno specifico obbligo per gli Stati membri di consentire l�accesso 
a quelle informazioni rispetto alle quali risulta chiara l�assenza di eccezioni 
legate alla tutela della riservatezza e del segreto, disciplinando <<direttamente 
la situazione giuridica dei singoli che beneficiano cos� del diritto di ottenere 
comunicazione delle informazioni alle condizioni enunciate da quest�ultimo 
comma (81) >>. 
Nonostante l�accertata efficacia diretta delle disposizioni prive di incertezze 
o condizioni nell�ordinamento interno, nonostante una specifica normativa 
di attuazione della direttiva 313/90/CEE, alcuni Tribunali amministrativi 
regionali hanno emesso sentenze contraddittorie con i contenuti della medesima. 
l�effetto diretto, che <<non solo il giudice, ma anche tutti i pubblici poteri hanno l�obbligo di disapplicare 
le norme interne di qualsiasi livello, incompatibili con le disposizioni originarie o derivate del 
Trattato>> (pag 75). Anche DELL�ANNO, L�attuazione del diritto comunitario tra supremazia delle fonti 
e disapprovazione amministrativa, op. cit., 1994, pag. 364, sostiene che la <<diretta applicabilit�>> 
delle direttive � riferibile alle disposizioni normative che presentano i seguenti connotati distintivi: linearit� 
e puntualit� dei concetti, mancanza di condizioni sospensive, immediata efficacia anche senza 
l�intervento del legislatore nazionale con norme di recepimento. 
(78) FALLETTA, op. cit., pag. 228 e ss.; MONTINI, op. cit., pag. 339 e ss. 
(79) GRAZIA, Il diritto all�informazione ambientale: tra situazioni soggettive e interessi pubblici, 
op. cit, pag. 56. 
(80) Corte Giust. Com. Eu., Sent. 26 giugno 2003, n. 233/00. 
(81) Corte Giust. Com. Eu., Sent. 9 settembre 1999, n. 217/97.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 
Il Tar Campania, in una pronuncia del 1995 (82), ha dichiarato legittimo 
il rigetto dell�istanza di accesso avanzata da una associazione ambientalista 
non riconosciuta, basando tale decisione sull�art. 13 della legge n. 349/86, dimostrando 
di non aderire al contenuto della direttiva che amplia il novero dei 
soggetti legittimati a richiedere informazioni in materia ambientale, anche alle 
persone giuridiche. Nello stesso senso si � pronunciato il TAR Toscana, che 
nella sentenza 21 luglio 1994 n. 443, asserisce che una associazione ambientalista 
non inclusa nell�elenco ministeriale previsto dalla legge n. 349/86 non 
ha diritto di partecipare ai procedimenti in materia ambientale n� di prendere 
visione degli atti relativi. Tale decisione contraddice indiscutibilemnte la previsione 
della direttiva secondo la quale �chiunque� � legittimato ad accedere 
alle informazioni sullo stato dell�ambiente. 
Il recepimento della direttiva nel D.lgs 39/97 ha risolto, in ambito soggettivo, 
il problema del riconoscimento formale della specialit� della disciplina 
dell�accesso ambientale. La disciplina della legittimazione in esso contenuta, 
infatti risulta coerente alla ratio della direttiva appena menzionata, riconoscendo 
la titolarit� del diritto alla conoscenza delle informazioni sullo stato 
dell�ambiente a <<chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dimostrare 
il proprio interesse (83)>>. Si giunge cos� al superamento di una 
delle pi� aspre problematiche relative al rapporto tra la normativa generale 
sull�accesso, contenuta nella legge n. 241/90, e quella specifica in materia di 
accesso ambientale data dall�art. 14 della legge 349/86, della quale ora � possibile 
una interpretazione chiara e conforrme alla direttiva comunitaria, nel 
senso di un riconoscimento indifferenziato, in ambito soggettivo, della titolarit� 
del diritto all�informazione sulle condizioni dell�ambiente (84). Come le 
persone fisiche, anche le persone giuridiche, per effetto della c.d. �tutela desoggettivata� 
prevista dall�art. 3 del D.lgs. 39/97, non devono pi� dimostrare 
l�esistenza di uno specifico interesse all�accesso, n� di uno stabile collegamento 
con l�ambiente, che ne giustifichi l�iniziativa (85). L�unico onere a ca- 
(82) TAR Campania, Salerno, 3 maggio 1995, n. 268, in Foro amm., 1996, pag. 239. 
(83) Art. 3 D.lgs. n. 39/97. 
(84) In questo senso si sono orientate le successive pronunce dei tribunali amministrativi nazionali: 
T.A.R. Lombardia, Brescia, Sent. 30 aprile 1999, n. 397 (nota di BELTRAME, Informazioni sull�ambiente. 
L�accesso ai documenti amministrativi � incondizionato, in Ambiente, 1999, pag. 647) nella quale si afferma 
che il D.lgs. n. 39/97 <<appresta, sulla fasariga della disciplina comunitaria, una tutela desoggettivata, 
che prescinde, cio�, da qualunque limitazione di ordine soggettivo all�accesso e, dunque, 
dall�accertamento di qualsivoglia posizione di interesse instaurando una sorta di controllo sociale diffuso 
sulla qualit� del bene ambiente>> . 
(85) Anche il Consiglio di Stato, in una recente pronuncia (Cons. St., Sez. IV, 7 settembre 2004, 
n. 5795), ha confermato la specialit� della disciplina dell�accesso ambientale, asserendo che il D.lgs. n. 
39/97, emanato in attuazione della direttiva 90/313/CEE, ha introdotto una fattispecie speciale di accesso 
in materia ambientale, che si distingue rispetto a quella generale contenuta al capo V della legge sul 
procedimento amministrativo per due significative novit�: l�ampliamento dei soggetti legittimati a richiedere 
le informazioni e l�oggetto dell�istanza stessa. Il primo profilo di novit� consiste nel supera-
80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
rico del richiedente � quello della propria identificazione, finalizzato al soddisfacimento 
delle sigenze di documentazione interna della pubblica amministrazione 
e per perseguire eventuali usi illeciti delle informazioni da parte del 
richiedente. 
Anche in ambito oggettivo, ossia relativamente ai documenti che possono 
essere oggetto di una richiesta da parte del cittadino, il decreto legislativo da 
ultimo citato � conforme al contenuto della direttiva 90/313: l�art. 2 del D.lgs. 
39/97 ripropone la definizione di �informazione relativa all�ambiente� tracciata 
dalla direttiva comunitaria, particolarmente ampia e completa, sancendo 
l�avvenuta formalizzazione, anche dal punto di vista oggettivo, del recepimento 
della direttiva (86), superando totalmente la genericit� che aveva contraddistinto 
l�art. 14 della legge n. 349/86. In tale definizione rientrano non 
solo i diversi settori che compongono l�ambiente nella sua complessit�, ma 
anche tutte le attivit�, comprese quelle nocive, che possono incidere negativamente 
sullo stato degli stessi, e in contrapposizione ad esse, quelle previste 
per garantirne la tutela (87). Inoltre, l�oggetto dell�accesso ambientale non � 
pi� limitato alle informazioni contenute in un �documento� amministrativo, 
ma � esteso ad ogni dato, contenuto o meno in un atto, purch� riconducibile 
ad una attivit� della amministrazione ed attinente alla materia ambientale (88). 
5. Prospettive de iure condendo 
La necessit� di porre fine ai contrasti interpretativi e applicativi delle 
mento dell�esistenza di un interesse effettivo, quale requisito per proporre l�istanza di accesso alle informazioni 
ambientali, e l�estensione di tale innovazione anche alle persone giuridiche. 
(86) In proposito, il T.A.R. Lombardia, nella sentenza n. 397/99 ha precisato che, qualora si riconosca 
il diritto di accedere a determinate notizie relative a <<misure che incidono negativamente>> 
sullo stato dell�ambiente, con tale espressione si devono intendere <<non solo l�atto amministrativo comunemente 
inteso, ma anche qualsiasi atto ed attivit� della p.a. che in qualche modo possa pregiudicare 
lo stato dei settori indicati nella direttiva (acque, aria, suolo�) >>. 
Anche il Consiglio di Stato, in una recente pronuncia (Cons. St., Sez. IV, 7 settembre 2004, n. 5795), ha 
confermato la specialit� della disciplina dell�accesso ambientale, asserendo che il D.lgs. n. 39/97, emanato 
in attuazione della direttiva 90/313/CEE, ha introdotto una fattispecie speciale di accesso in materia 
ambientale, che si distingue rispetto a quella generale contenuta al capo V della legge sul procedimento 
amministrativo per due significative novit�: l�ampliamento dei soggetti legittimati a richiedere le informazioni 
e l�oggetto dell�istanza stessa. Il primo profilo di novit� consiste nel superamento dell�esistenza 
di un interesse effettivo, quale requisito per proporre l�istanza di accesso alle informazioni ambientali, 
e l�estensione di tale innovazione anche alle persone giuridiche. Come per le persone fisiche, anche le 
persone giuridiche, per effetto della c.d. �tutela desoggettivata� prevista dall�art. 3 del D.lgs. 39/97, non 
devono pi� dimostrare l�esistenza di uno specifico interesse all�accesso, n� di uno stabile collegamento 
con l�ambiente, che ne giustifichi l�iniziativa. 
(87) PELOSI, L�accesso all�informazione ambientale tra fonti normative e tutela dell�ambiente. 
Considerazioni, op. cit., pag. 17 e ss. 
(88) CIAMMOLA, Il diritto di accesso dalla legge istitutiva del ministero dell�ambiente al dl. g. n. 
195 del 2005, in Foro Amm. C.d.S., 2007, pag. 675; CARINGELLA-GAROFALI-SEMPREVIVA, L�accesso ai 
documenti amministrativi, Milano, Giuffr�, 2007, pag. 57 e ss.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 81 
norme contenute nel D.lgs 39/97, con l�esigenza di adeguare la disciplina in 
materia con quanto specificato nella Convenzione di Aarthus del 1998 e con 
la successiva direttiva 2003/4/CEE sull�accesso del pubblico alle informazioni 
ambientali, ha portato all�emanazione del decreto legislativo 19 agosto 2005, 
n. 195. 
Esso costituisce attualmente il testo pi� evoluto di regolamentazione del 
diritto di accesso alle informazioni ambientali, in considerazione degli sviluppi 
delle tecnologie per la diffusione delle informazioni, per la loro raccolta e organizzazione. 
Tale decreto legislativo conferma l�ampiezza riconosciuta alla legittimazione 
ad invocare la violazione del diritto di accesso all�informazione ambientale, 
di fronte al diniego apposto all�istanza che �chiunque� pu� presentare 
alla pubblica amministrazione, la quale non deve indagare le ragioni alla base 
di tale domanda. Dispone infatti l�art. 4 del D.lgs. n. 195/2005 che: <<L'autorit� 
pubblica rende disponibile, secondo le disposizioni del presente decreto, 
l'informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che 
questi debba dichiarare il proprio interesse>>. L�informazione ambientale, 
alla luce della direttiva 2003/35/CE, non � pi� inquadrata come oggetto di un 
diritto di accesso agli atti in materia, ma viene ora intesa come partecipazione 
attiva dei cittadini ai processi decisionali dell�autorit� pubblica relativi all�ambiente. 
In ci� consiste uno dei maggiori riflessi delle conclusioni a cui � giunta 
la Convenzione di Aarthus (89). 
Quanto alla legittimazione passiva, ha ridefinito il ruolo della pubblica 
amministrazione (90) stessa, che da soggetto passivo destinatario delle istanza 
di accesso da parte del cittadino, ruolo assegnatole dalla legge n. 241/90, contenente 
la disciplina generale relativa al diritto di accesso, diviene organo propulsore 
della diffusione delle informazioni (91) sullo stato dell�ambiente. L�art. 
3 regola il procedimento dell�accesso ambientale, disponendo che l�amministrazione 
si attivi nei confronti dell�istanza, ad essa sottoposta dal cittadino, 
entro trenta giorni dal suo recepimento, <<ovvero entro 60 giorni dalla stessa 
data nel caso in cui l'entit� e la complessit� della richiesta sono tali da non 
consentire di soddisfarla entro il predetto termine di 30 giorni. In tale ultimo 
caso l'autorit� pubblica informa tempestivamente e, comunque, entro il predetto 
termine di 30 giorni il richiedente della proroga e dei motivi che la giu- 
(89) Art. 6, in materia di partecipazione ai processi decisionali relativi ad attivit� specifiche: art. 
9, paragrafi 2 e 4, relativi all�accesso alle procedure giudiziarie. 
(90) L�art. 2, primo comma, lettera b) del decreto in esame definisce inoltre �autorit� pubblica� 
<<le amministrazioni pubbliche statali, regionali, locali, le aziende autonome e speciali, gli enti pubblici 
ed i concessionari di pubblici servizi, nonch� ogni persona fisica o giuridica che svolga funzioni pubbliche 
connesse alle tematiche ambientali o eserciti responsabilit� amministrative sotto il controllo di 
un organismo pubblico>>. 
(91) TORTORA, op. cit.
82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
stificano>>. 
Prosegue il quarto comma disciplinando la fattispecie in cui il contenuto 
della domanda di accesso risulta essere troppo generico. Prima di respingere 
l�istanza, <<l'autorit� pubblica pu� chiedere al richiedente, al pi� presto e, 
comunque, entro 30 giorni dalla data del ricevimento della richiesta stessa, 
di specificare i dati da mettere a disposizione, prestandogli, a tale scopo, la 
propria collaborazione, anche attraverso la fornitura di informazioni sull'uso 
dei cataloghi pubblici di cui all'articolo 4, comma 1>> (92). 
Un aspetto importante, su cui si misura l�effettiva partecipazione del cittadino 
nella prospettiva evolutiva in materia di informazione ambientale determinata 
dalla normativa in esame, � la disciplina dei casi di esclusione 
dell�accesso alle informazioni ambientali. Il d.lgs n. 195/2005 non consente 
l�accesso nelle ipotesi in cui l�autorit� non detiene l�informazione richiesta, 
fermo restando l�obbligo di quest�ultima di inoltrarla a quella competente, se 
conosciuta, o di comunicarlo al richiedente, oppure se la richiesta � irragionevole 
o generica, o quando la domanda riguarda dati, documenti, o materiali, 
non ancora completi oppure concerne comunicazioni interne all�ente stesso. 
Ricompare anche in questa sede l�ipotesi in cui la divulgazione delle informazioni 
provoca una lesione del diritto alla riservatezza dell�amministrazione 
riguardo alle sue deliberazioni interne, o, pi� in generale, alle relazioni 
internazionali, alla difesa nazionale, all�ordine e alla sicurezza pubblica, ma 
anche al sereno svolgimento dei procedimenti giudiziari e delle attivit� d�indagine, 
nonch� alla riservatezza commerciale o industriale e della propriet� 
intellettuale. Inoltre la disciplina si sofferma sull�ipotesi in cui il titolare del 
diritto alla privacy sia un soggetto terzo, controinteressato alla divulgazione 
di determinate informazioni ambientali, secondo quanto disciplinato in generale 
dalla legge n. 196/2003, ed in infine sulla necessit� della tutela della persona 
che abbia fornito spontaneamente delle informazioni. 
In questi casi, la dottrina e la giurisprudenza (93), concordano nel riconoscere 
la supremazia del diritto di accesso, anche nel caso di informazioni 
(92) La Commissione per l�accesso ai documenti della pubblica amministrazione (nella �Relazione 
per l�anno 2007 sulla trasparenza dell�attivit� della pubblica amministrazione�, pag. 27) ha specificato, 
in relazione alla �generalit��, che non � necessaria la puntuale indicazione degli atti � sufficiente una 
generica richiesta di informazioni sulle condizioni di una determinato contesto, che deve essere specificato, 
per costituire in capo all�amministrazione l�obbligo di acquisire tutte le notizie relative allo stato 
della conservazione e della salubrit� dei luoghi interessati dall�istanza, elaborarle e comunicarle al richiedente. 
In dottrina, PRESTA, Il diritto di accesso all�informazione ambientale, gi� cit., ha ravvisato 
nella previsione dei cataloghi a cui si fa riferimento nell�art. 3, nei quali si da notizia delle informazioni 
ambientali in possesso di quella particolare amministrazione pubblica, un preciso obbligo, in capo a 
quest�ultima, di assistenza al cittadino richiedente nell�esercizio del suo diritto. 
(93) PRESTA, gi� cit. Dello stesso pensiero anche FRANZOSO, Il diritto di accesso alle informazioni 
ambientali, in Riv. Giur. Amb., 2006, pag. 635. In giurisprudenza, T.A.R. Lazio, Sez. III, sent. n. 
934/2004.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 83 
epersonali relative a terzi, purch� la conoscenza sia rilevante ai fini della tutela 
della situazione giuridica soggettiva a cui l�accesso � funzionale. 
La tutela del diritto di accesso ambientale, invece, non � oggetto nemmeno 
nella nuova disciplina predisposta dal D.lgs. n. 195/2005 di una disciplina 
ad hoc (94). Tale decreto legislativo rinvia in proposito alle regole 
generali sul procedimento speciale dinanzi al giudice amministrativo, contenute 
nell�art. 25, comma 5, della legge n. 241/90. A garanzia della effettiva 
partecipazione del cittadino all�attivit� amministrativa concernente l�ambiente, 
� prevista anche la possibilit� di ricorrere, avverso il supposto illegittimo diniego, 
al difensore civico, secondo le modalit� previste dalla legge generale 
sul procedimento amministrativo (95), nonch� alla Commissione per l�accesso 
ai documenti della pubblica amministrazione, in relazione alla provenienza 
dell�atto. Ci� garantisce all�istante cos� la possibilit� di opporsi alle illegittime 
frustrazioni del suo diritto all�informazione, sia con l�esperimento della tutela 
giurisdizionale, sia con i rimedi alternativi di natura giustiziale (96). 
Ulteriori evoluzioni sono state recentemente apportate alla disciplina in 
materia di informazione ambientale con il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, �Norme 
in materia ambientale�, e il d.lgs 16 gennaio 2008, n. 4, �Ulteriori disposizioni 
correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, recante norme in materia 
ambientale�, i quali rappresentano la conclusione dell�opera di riordino e di 
razionalizzazione della materia fin qui descritta. L�art. 3 del decreto legislativo 
da ultimo citato, secondo il punto di vista (97) della Commissione per l�acceso 
ai documenti amministrativi, rafforza il principio del diritto di accesso alle informazioni 
ambientali e il principio di partecipazione all�attivit� amministrativa 
in materia, da parte dei cittadini, a scopo collaborativo, stabilendo che 
<<In attuazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, 
(94) LIPARI, Il processo in materia di accesso ai documenti (dopo la l. 11 febbraio 2005 n. 15), al 
punto �l�accesso ambientale�, in www.giustizia.amministrativa.it, Speciale sulla riforma della l. n. 
241/90. Negli stessi termini anche POZZANI, Nuovo profili del diritto di accesso dopo la l. 15/05, in 
www.giustizia-amministrativa.it. 
(95) SARCONTE, La specialit� del diritto all�informazione ambientale, in Foro Amm. Tar, 2004, 
pag. 95. 
(96) Dispone, infatti, l�art. 6 del decreto legislativo n. 195/2005, che: <<Contro le determinazioni 
dell'autorit� pubblica concernenti il diritto di accesso e nel caso di mancata risposta entro i termini di 
cui all'articolo 3, comma 2, il richiedente pu� presentare ricorso in sede giurisdizionale secondo la procedura 
di cui all'articolo 25, commi 5, 5-bis e 6 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero pu� chiedere 
il riesame delle suddette determinazioni, secondo la procedura stabilita all'articolo 25, comma 4, della 
stessa legge n. 241 del 1990, al difensore civico competente per territorio, nel caso di atti delle amministrazioni 
comunali, provinciali e regionali, o alla Commissione per l'accesso di cui all'articolo 27 
della citata legge n. 241 del 1990, nel caso di atti delle amministrazioni centrali o periferiche dello 
Stato>>. Per un approfondimento in dottrina, NESPOR, L�accesso alla giustizia nelle controversie giudiziarie 
in materia ambientale: considerazioni su due recenti volumi, in Riv giur. Ambiente, 2004, pag. 
861. 
(97) Commissione per l�acceso ai documenti amministrativi, �Relazione per l�anno 2007 sulla 
trasparenza dell�attivit� della pubblica amministrazione�, pag. 26.
84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
e delle previsioni della Convenzione di Aarhus, ratificata dall�Italia con la 
legge 16 marzo 2001, n. 108, e ai sensi del decreto legislativo 19 agosto 2005, 
n. 195, chiunque, senza essere tenuto a dimostrare la sussistenza di un interesse 
giuridicamente rilevante, pu� accedere alle informazioni relative allo 
stato dell�ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale>>. 
Il recepimento, seppur graduale, del tema ambiente come valore costituzionale 
negli ordinamenti interni successivo all�inserimento dello stesso tra i 
principi primari dei Trattati comunitari, dimostra come le moderne societ� post 
industriali abbiano compreso il valore centrale che le politiche ambientali rivestono 
nel contesto attuale. La sempre pi� attenta legislazione in materia mira 
alla preservazione delle risorse naturali senza le quali � inconcepibile un progresso 
equilibrato, non concepito ormai se non nell�ottica dello <<sviluppo 
sostenibile>>. Le politiche ambientali sono mutate sia livello comunitario che 
a livello nazionale: non pi� come finalizzate alla riparazione dei danni provocati 
dalle attivit� umane all�ambiente, ma basate sui concetti di prevenzione e 
di salvaguardia, alla base dei quali risulta fondamentale la diffusione delle informazioni 
sullo stato dell�ambiente. Consentire l�accesso alle informazioni 
ambientali equivale a far crescere sempre di pi� la coscienza sociale del problema 
ambientale nei cittadini, destinatari ultimi dell�ambiente stesso. 
Bibliografia: 
ALIBERTI, Diritto di accesso e divulgazione dell�informazione ambientale nell�ordinamento comunitario, 
in Informazione ambientale e diritto di accesso, ALIBERTI-COLACINO-FALLETTA, a cura di GIORGIO RECCHIA, 
Padova, Cedam, 2007; 
ANNIBALE, Le comunit� europee e la tutela ambientale, in Regioni e comunit� locali, 1996, pag. 51;
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 85 
ARENA, La trasparenza amministrativa e il diritto di accesso ai documenti amministrativi, in L�accesso 
ai documenti amministrativi, Bologna, 1991, pag. 24; 
BIANCHI-CORDINI, Comunit� Europea e protezione dell�ambiente, Padova, 1983; CORDINI, Tutela dell�ambiente 
nel diritto delle Comunit� Europee, in Dig. disc. pubbl., Torino, 1991; 
BORGONOVO RE-NESPOR, Qualit� ed efficacia delle informazioni effettivamente fornite ai destinatari 
delle azioni ecologiche, in Confronti, 1991; 
CAPRIA, Direttive ambientali CEE e stato di attuazione in Italia, in Quaderni della rivista giuridica ambientale, 
Milano, 1992; 
CARANTA, Giustizia amministrativa e diritto comunitario, Napoli, 1992, pag. 180 e ss.; dello stesso autore, 
Nuove questioni su diritto comunitario e forme di tutela giurisdizionale, in Giur. It., 1993, pag. 
662 e ss; 
CARANTA, Intorno al problema dell�individuazione delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino 
comunitario, in Riv Giur. Amb., 1994, pag. 401 e ss.; 
CARAVITA, Diritto dell�ambiente, Bologna, 2001; LANDI, L�ambiente nel diritto comunitario, in Manuale 
di diritto ambientale, a cura di MEZZETTI, Padova, 2001, pag. 39; 
CARINGELLA-GAROFALI-SEMPREVIVA, L�accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e processuali, 
Milano, 2003, pag. 671 e ss.; 
CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela dell�ambiente, Milano, 2000; 
CIAMMOLA, Il diritto di accesso dalla legge istitutiva del ministero dell�ambiente al d.lgs. n. 195 del 
2005, in Foro Amm. C.d.S., 2007, pag. 675; 
CHITI, Ambiente e <<costituzione>> europea: alcuni nodi problematici, in Ambiente e diritto, a cura 
di GRASSI- CECCHETTI-ANDRONICO, Firenze, 1999, pag. 131; 
DIANA, Il diritto di accesso e la tutela dell�interesse qualificato del cittadino verso la P.A., CEDAM, 
2000; 
C. DI SAN LUCA, Diritto di accesso e interesse pubblico, Jovene Editore, Pubblicazioni della Facolt� di 
Giurisprudenza Seconda Universit� degli Studi di Napoli, Napoli, 2006, pag. 78 e ss.; 
CORDINI, Diritto ambientale comparato, Padova, 2002; 
CORSETTI-FERRARA-FRACCHIA-OLIVETTI RASON, Diritto dell�ambiente, Roma-Bari, 2005; 
CUTILLO FAGIOLI, Il diritto di accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali 
in materia ambientale nel diritto internazionale, in Riv. giur. amb., 1996, pag. 535; 
DACLON-TAMBURRINO, L�Europa e l�ambiente, Rimini, 1989; 
DE BERNARDINI, Soft Law, in Dizionario di diritto pubblico, a cura di CASSESE, Vol. I, Milano, 2006, 
pag. 5605; 
DE FRANCESCHI, La libert� di accesso alle informazioni ambientali: verso un nuovo diritto civico?, in 
Riv. Giur. Pol. Loc., 1992, pag 287; 
DELL�ANNO, L�attuazione del diritto comunitario tra supremazia delle fonti e disapprovazione amministrativa, 
in Riv. Trim. dir. pubbl., 1994, pag. 364; 
DELL�ANNO, La ponderazione degli interessi ambientali, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1990, pag. 99 e ss.; 
DELL�ANNO, Il ruolo dei principi del diritto ambientale europeo: norme di azione o di relazione?, in 
Gazzetta ambiente, 2003, pag. 131; 
FALOMO, L�incidenza del Trattato di Maastricht sul diritto comunitario ambientale, in Rivista di diritto 
europeo, 1992, pag. 587; 
FOIS, Il diritto ambientale nell�ordinamento dell�Unione europea, in Diritto ambientale. Profili internazionali 
europei e comparati, a cura di CORDINI-FOIS-MARCHISIO, Torino, 1995; 
FOIS, Nuovi diritti di libert�, in Nuove dimensioni dei diritti di libert�, in Scritti in onore di Paolo Barile, 
Padova, 1990; 
FONDERICO, La giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di ambiente, in Diritto ambientale comunitario, 
a cura di CASSESE, Milano, 1995; 
FRANCHINI, Il diritto di accesso tra l�ordinamento comunitario e quello nazionale, in Giorn. Dir, amm., 
1996, pag 826; 
FRANZOSO, Il diritto di accesso alle informazioni ambientali, in Riv. Giur. Amb., 2006, pag. 635; 
FROSINI, Sul nuovo diritto all�informazione ambientale, in Giur. Cost., 1992, pag., 4465; 
GARABELLO, Le novit� del Trattato di Amsterdam in materia di politica ambientale comunitaria, in Riv. 
Giur. Ambiente, 1999, pag. 151;
86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
GAROFOLI, I profili comunitari del diritto di accesso, in Riv. It. dir. pubbl. com., 1998, pag. 1292; 
GRASSI, Considerazioni introduttive su libert� di informazione e tutela dell�ambiente, in Nuove dimensioni 
dei diritti di libert�, Scritti in onore di Paolo Barile, 1990; 
GRAZIA, Il diritto all�informazione ambientale: tra situazioni soggettive e interessi pubblici, Rimini, 
1998; 
GRUCHALLA-WISIERSKI, A framework for Understanding <<Soft Law>>, in McGill Law Journal, 1984, 
pag. 37; 
IACOVONE, Diritto all�informazione ambientale dopo la legge 241/90, Bari, 1996, dagli atti del Convegno 
su �L�accesso ai documenti amministrativi�, 5-6 maggio, 1995, pag. 11 e ss.; 
LABRIOLA, Diritto di accesso del cittadino e doveri della pubblica amministrazione nella legge istitutiva 
del Ministero dell�ambiente, in Scritti in onore di M.S. Giannini, vol. II, Milano, pag. 269; 
LANDI, La tutela processuale del diritto di accesso, Padova, 1990, pag. 164 e ss.; 
LIBERTINI, Il diritto all�informazione in materia ambientale, Riv. Cri. Dir. priv., 1989, pag. 639; 
LIPARI, Il processo in materia di accesso ai documenti (dopo la l. 11 febbraio 2005 n. 15), al punto 
�l�accesso ambientale�, in www.giustizia.amministrativa.it, Speciale sulla riforma della l. n. 241/90; 
MATTARELLA, Informazione e comunicazione amministrativa, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2005; 
MIGLIAZZA, Commentario breve ai trattati della Comunit� e dell�Unione europea, a cura di POCAR, Padova, 
2001, pag.782 e ss.; 
MONTINI, Il diritto di accesso all�informazione in materia ambientale: la mancata attuazione della direttiva 
CE 90/313, in Riv. Giur. Ambiente, 1997, pag. 325 e ss.; 
MONTINI, Informazione, partecipazione ed accesso alla giustizia nel diritto ambientale: profili comparatistici 
ed internazinalistici, in Studi Senesi, 1996, Vol. I, pag. 37; 
PALAZZANI, Introduzione alla biogiuridica, Torino, 2002, pag. 7; CASONATO, Bietica e pluralismo nello 
Stato costituzionale, in www.forumcostituzionale.it; 
PELOSI, L�accesso all�informazione ambientale tra fonti normative e tutela dell�ambiente. Considerazioni, 
in Quaderni della Rassegna dell�Ordine degli Avvocati di Napoli, 2003; 
PICOZZA, Diritto amministrativo e diritto comunitario, Torino, 2004, pag. 73 e ss.; 
PILLITU, Ambiente, in Commentario breve ai Trattati della Comunit� europea, a cura di POCAR, Padova, 
2001, pag . 661; 
POSTIGLIONE, Lo spazio giuridico dell�informazione, partecipazione e azione del cittadino e delle associazioni 
in relazione all�ambiente in Italia, in Diritti dell�uomo e dell�ambiente, Padova, 1990, pag. 112; 
POZZANI, Nuovi profili del diritto di accesso dopo la l. 15/05, in www.giustizia-amministrativa.it.; 
PRESTA, Il diritto di accesso all�informazione ambientale, 2008, in www.lexambiente.it; 
PRIEUR, Il controllo e la tutela dell�ambiente in ambito europeo ed internazionale, in Diritto pubblico 
dell�ambiente, a cura di DOMENICHELLI-OLIVETTI RASON-POLI, Padova, 1996, pag. 59 e ss.; 
PULVIRENTI, Brevi note sulla natura giuridica del diritto di accesso, in Dir. pubb. comp. eur., 2002, pag. 
1743; 
RECCHIA, La tutela dell�ambiente in Italia, Dai principi comunitari alle discipline nazionali di settore, 
in I <<nuovi diritti>> nello Stato sociale in Trasformazione, a cura di FERRARA e VIPIANA, Padova, 
2002, pag. 30; 
SANDULLI �Accesso alle notizie ed ai documenti amministrativi� in Enc. Dir., agg., vol. IV, Milano, 
2000; 
SANTINI, Principio di trasparenza nell�ordinamento dell�Unione, Milano, 2004; 
SARCONTE, La specialit� del diritto all�informazione ambientale, in Foro Amm. Tar, 2004, pag. 95; 
SCOVAZZI, La partecipazione del pubblico alle decisioni sui progetti che incidono sull�ambiente, in Riv. 
Giur. Amb., 1989, pag 496 e ss.; 
SNYDER, Soft Law e prassi istituzionale della Comunit� europea, in Sociologia dir., 1993, pag. 79; 
TORTORA, Informazione ambientale e diritto di accesso: normativa in ambito nazionale e comunitario, 
in www.filodiritto.com;. 
VIRGA, Attivit� istruttoria primaria e processo amministrativo, Milano, 1990, pag 119; 
WELLENS-BORCHARDT, Soft Law in European Community Law, in European Law Rewiew, 1989, pag. 
267;
C O N T E N Z I O S O 
N A Z I O N A L E 
La censura della Consulta sulla �acquisizione 
sanante� dell�art. 43 del T.U. Espropri 
(Corte costituzionale, sentenza dell�8 ottobre 2010 n. 293) 
L�art. 43 del D.P.R. n. 327/01 (T.U. espropri) � incostituzionale per eccesso 
di delega. 
Questa � la lapidaria e un po� sorprendente affermazione compiuta dalla 
Consulta nella sentenza n. 293/10, pubblicata in data 8 ottobre. 
Queste, in sintesi, le motivazioni del Giudice di legittimit�. 
�La legge-delega aveva conferito, sul punto, al legislatore delegato il potere 
di provvedere soltanto ad un coordinamento �formale� relativo a disposizioni 
�vigenti�. L�istituto previsto e disciplinato dalla norma impugnata, 
viceversa, � connotato da numerosi aspetti di novit�, rispetto sia alla disciplina 
espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla 
legge-delega, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale. 
In primo luogo, non � dato ravvisare nelle leggi indicate nel citato allegato 
I, alla legge n. 59 del 1997, alcuna norma che potesse giustificare un intervento 
della pubblica amministrazione, in via di sanatoria, sulle procedure 
ablatorie previste. 
Inoltre, neppure pu� farsi riferimento al contesto degli orientamenti giurisprudenziali 
sopra richiamati, in quanto pi� profili della cosiddetta �acquisizione 
sanante�, cos� come disciplinata dalla norma censurata, eccedono con 
tutta evidenza dagli istituti della occupazione appropriativa e della occupazione 
usurpativa, cos� come delineati da quegli orientamenti. 
Il citato art. 43, infatti, ha anzitutto assimilato le due figure, introducendo 
la possibilit� per l�amministrazione e per chi utilizza il bene di chiedere al 
giudice amministrativo, in ogni caso e senza limiti di tempo, la condanna al 
risarcimento in luogo della restituzione. Peraltro, esso estende tale disciplina
88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
anche alle servit�, rispetto alle quali la giurisprudenza aveva escluso l�applicabilit� 
della cosiddetta occupazione appropriativa, trattandosi di fattispecie 
non applicabile all�acquisto di un diritto reale in re aliena, in quanto difetta 
la non emendabile trasformazione del suolo in una componente essenziale 
dell�opera pubblica. 
Infine, la norma censurata differisce il prodursi dell�effetto traslativo al 
momento dell�atto di acquisizione. 
Si tratta di elementi di sicuro rilievo e qualificanti, i quali dimostrano 
che la norma in esame non solo � marcatamente innovativa rispetto al contesto 
normativo positivo di cui era consentito un mero riordino, ma neppure � coerente 
con quegli orientamenti di giurisprudenza che, in via interpretativa, 
erano riusciti a porre un certo rimedio ad alcune gravi patologie emerse nel 
corso dei procedimenti espropriativi. Siffatto carattere della norma impugnata 
trova conferma significativa nella circostanza che, secondo la giurisprudenza 
di legittimit�, in materia di occupazione di urgenza, la sopravvenienza di un 
provvedimento amministrativo non poteva avere un�efficacia sanante retroattiva, 
determinata da scelte discrezionali dell�ente pubblico o dai suoi poteri 
autoritativi. Nel regime risultante dalla norma impugnata, invece, si prevede 
un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione 
che ha commesso l'illecito, a dispetto di un giudicato che dispone il ristoro in 
forma specifica del diritto di propriet� violato. 
Il legislatore delegato, in definitiva, non poteva innovare del tutto ed al 
di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalit� esplicitamente individuato 
dalla legge-delega. Questa Corte ha in proposito affermato, infatti, che, per 
quanta ampiezza possa riconoscersi al potere di riempimento del legislatore 
delegato, �il libero apprezzamento� del medesimo �non pu� mai assurgere a 
principio od a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione 
vincolata, quale �, per definizione, la legislazione su delega� (sentenze n. 340 
del 2007 e n. 68 del 1991)�. 
Si apre, adesso, soprattutto per le amministrazioni, il fondamentale capitolo 
di come risolvere l�assetto proprietario delle aree illegittimamente occupate; 
urge un intervento legislativo che, attesa la situazione, dovrebbe avvenire 
nelle forme di un decreto-legge e dovrebbe avere carattere retroattivo attesa 
la necessit� di dare una copertura normativa a tante fattispecie che, fino alla 
pronuncia in commento, avrebbero trovato definizione merc� l�applicazione 
dell�art. 43 del T.U. espropri. 
M.B.
CONTENZIOSO NAZIONALE 89 
Corte costituzionale, sentenza dell�8 ottobre 2010 n. 293, Ud. Pubbl. del 7 luglio 2010 - 
Pres. Amirante, Red. Tesauro - Giudizi di legittimit� costituzionale dell�articolo 43 del decreto 
del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative 
e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilit�), promossi dal Tribunale 
amministrativo regionale della Campania con due ordinanze del 28 ottobre e con una 
ordinanza del 18 novembre 2008, rispettivamente iscritte ai nn. 114, 115 e 116 del registro 
ordinanze 2009 - Avv. Guerriero e Sasso per N.D. ed altri, Sasso per M.R.P. ed altri, Vittoria 
per il Comune di Casapesenna e l�avv. Stato Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
(Omissis) 
Ritenuto in fatto 
1. � Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con tre ordinanze di identico tenore, 
pronunciate in altrettanti giudizi, le prime due del 28 ottobre 2008 (r.o. n. 114 e n. 115 
del 2009) e la terza del 18 novembre 2008 (r.o. n. 116 del 2009), ha sollevato, in riferimento 
agli articoli 3, 24, 42, 76, 97, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimit� 
costituzionale dell�articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 
2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione 
per pubblica utilit�). 
1.1.� Le prime due ordinanze (r.o. n. 114 e n. 115 del 2009), relative ad identiche fattispecie, 
espongono che i ricorrenti sono tutti proprietari di un fondo in Casapesenna, oggetto di procedura 
ablatoria, in ordine alla quale il medesimo TAR, con sentenze rispettivamente n. 73 e 
n. 74 del 2008, aveva annullato gli atti impugnati e condannato il Comune di Casapesenna a 
restituire il terreno, previo ripristino dello stato dei luoghi. Gli attori, con distinti ricorsi, poi 
riuniti dal TAR, hanno proposto ricorso per l�esecuzione del giudicato, chiedendo la restituzione 
del fondo, ed hanno impugnato la delibera del Consiglio comunale con la quale il Comune 
ha disposto, ex art. 43, comma 2, del citato d.P.R., l�acquisizione al patrimonio 
indisponibile delle aree in questione, corrispondendo una somma a titolo di risarcimento dei danni. 
1.2.� I rimettenti premettono ancora, in fatto, che la vicenda era stata oggetto di una prima 
pronuncia dello stesso tribunale (sentenza 23 gennaio 2003, n. 387) con la quale era stato censurato 
l�operato dell�amministrazione in ragione del mancato compimento dell�iter previsto 
per la formazione della variante urbanistica, e per violazione del contraddittorio con i soggetti 
interessati. Nel procedimento di cui all�ordinanza r.o. n. 114 del 2009, con successive sentenze 
veniva poi annullata una nota del comune di diniego di restituzione del suolo occupato e disposta 
la restituzione dello stesso con ripristino dello stato dei luoghi (sentenza 5 giugno 2003, 
n. 7290), ed ancora veniva accolto il ricorso per l�esecuzione del relativo giudicato con nomina 
di un commissario ad acta. In seguito il Consiglio di Stato, con sentenza 3 maggio 2005, n. 
2095, dichiarava che sull�amministrazione gravava l�obbligo di restituire l�area occupata. 
Successivamente, con le gi� indicate sentenze del medesimo TAR (n. 73 e n. 74 del 2008), 
erano stati annullati per incompetenza gli atti inerenti alla procedura ex art. 43 del d.P.R. n. 
327 del 2001, con condanna del comune alla restituzione del terreno previo ripristino dello 
stato dei luoghi. Infine, era intervenuto il provvedimento di acquisizione sanante ai sensi del 
citato art. 43. 
1.3.� La terza ordinanza (r.o. n. 116 del 2009) espone, in fatto, che il ricorrente, proprietario 
di un fondo sito nel Comune di San Giuseppe Vesuviano (Napoli), ne aveva subito da parte 
di detto comune l�occupazione, senza alcun procedimento espropriativo. 
Dopo alterne vicende in punto di giurisdizione, il Tribunale di Nola, ritenendo la propria giu-
90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
risdizione, radicandola per la natura usurpativa dell�occupazione, aveva, infine, negato l�acquisto 
della propriet� in capo alla pubblica amministrazione. 
In seguito, era stato adottato da parte del responsabile del Servizio lavori pubblici ed urbanistica 
ed Ufficio espropriazioni del Comune di San Giuseppe Vesuviano, il decreto n. prot. 
2006 0020376, impugnato nel giudizio principale, con il quale veniva disposta l�acquisizione 
coattiva al patrimonio indisponibile comunale dell�area, prevedendo, altres� in favore del proprietario 
�oltre l�indennizzo, il risarcimento del danno nonch� il computo degli interessi moratori 
a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo�. 
In particolare, il ricorrente deduceva la violazione degli artt. 43 e 57, comma l, del d.P.R. n. 
327 del 2001, lamentando l�inapplicabilit� al caso di specie del procedimento ex art. 43 ed 
invocando l�applicazione del regime transitorio ex art. 57, comma 1, con obbligo di restituzione 
dell�immobile e risarcimento del danno ex art. 2043 del codice civile per l�illegittima, 
ulteriore occupazione. 
1.4.� Ci� posto, i giudici a quibus ricordano che, in caso di annullamento giurisdizionale degli 
atti relativi alla procedura di espropriazione per pubblica utilit�, il proprietario pu� chiedere 
� mediante il giudizio di ottemperanza � la restituzione del bene piuttosto che il risarcimento 
del danno per equivalente monetario, anche se l�area sia stata irreversibilmente trasformata 
in conseguenza dell�esecuzione dell�opera pubblica. Inoltre, l�unico rimedio per evitare la restituzione 
dell�area sarebbe l�emanazione di un provvedimento di acquisizione cosiddetto �sanante
� ex art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, in assenza del quale l�amministrazione non pu� 
addurre la intervenuta realizzazione dell�opera pubblica quale causa di impossibilit� oggettiva 
e, quindi, come impedimento alla restituzione. 
1.5. � Il TAR Campania, dopo aver ricordato la giurisprudenza di legittimit� relativa alla cosiddetta 
occupazione �appropriativa�, assume che tale ricostruzione sarebbe incompatibile 
con la disciplina normativa introdotta dal d.P.R. n. 327 del 2001 ed entrata in vigore il 30 giugno 
2003, in quanto la disposizione oggi censurata subordina all�adozione di apposito provvedimento 
discrezionale il trasferimento di propriet� dei beni immobili utilizzati per scopi di 
interesse pubblico, a seguito di trasformazione, determinatasi in assenza del valido ed efficace 
provvedimento espropriativo o dichiarativo della pubblica utilit�. Inoltre, non potrebbe ritenersi 
che l�art. 43 disponga solo per il futuro, trattandosi di disposizione, avente natura processuale 
riferita a tutti i casi di occupazione sine titulo, anche gi� sussistenti alla data di entrata 
in vigore del testo unico (a conforto, richiama: Cons. Stato, IV, 21 maggio 2007, n. 2582; 
A.P., 29 aprile 2005, n. 2; TAR. Emilia-Romagna, Bologna, I, 27 ottobre 2003, n. 2160). 
1.6.� I rimettenti, quanto alla giurisdizione, ritengono di doversi conformare al consolidato 
orientamento giurisprudenziale secondo cui, in materia di procedimenti di espropriazione per 
pubblica utilit�, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie 
nelle quali si faccia questione, anche a fini risarcitori, di attivit� di occupazione e 
trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilit� e con essa congruenti, 
anche in presenza di atti poi dichiarati illegittimi. 
1.7.� Ci� posto, con riferimento alla delibera di acquisizione delle aree, il Tribunale richiama 
la giurisprudenza secondo cui tale atto persegue una finalit� di sanatoria di situazioni prive di 
procedure legittime di esproprio, senza che rilevi la causa della illegittimit� del comportamento: 
sia essa conseguente all�assenza di una dichiarazione di pubblica utilit� od all�annullamento 
di essa oppure determinata da altre cause, risultando in proposito rilevante il solo 
fatto che l�interesse pubblico non potrebbe essere soddisfatto se non con il mantenimento 
della situazione ablativa. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 91 
In punto di rilevanza i rimettenti assumono che, aderendo a tale orientamento, nella specie il 
ricorso in ottemperanza dovrebbe essere dichiarato improcedibile, in virt� dell�atto formale 
di acquisizione sanante, mentre il ricorso avverso la delibera consiliare dovrebbe essere rigettato, 
perch� il provvedimento oggetto di impugnazione deve ritenersi conforme al modello 
astratto di cui al citato art. 43. 
1.8.� Il Tribunale amministrativo campano dubita, tuttavia, della legittimit� costituzionale di 
tale norma, per violazione degli artt. 3, 24, 42, 76, 97, 113 e 117, Cost.. 
In particolare, quanto agli artt. 3, 24, 42, 97 e 113 Cost., il Tribunale evidenzia come l�esercizio 
del potere autoritativo di acquisizione dell�area, attraverso l�adozione di un atto amministrativo, 
che consente di evitare la restituzione del bene e di sanare la pregressa illegalit�, avrebbe 
assunto la natura di strumento �ordinario�, attraverso il quale �si legalizza l�illegale�, rimuovendo 
l�illecito aquiliano attraverso l�atto di acquisizione. In tal modo risulterebbe capovolta 
la garanzia costituzionale del diritto di propriet� di cui all�art. 42, Cost., nella misura in cui la 
norma �consente alla pubblica amministrazione, anche deliberatamente, [�] di eludere gli 
obblighi procedimentali della instaurazione del contraddittorio, delle tre fasi progettuali e 
della verifica delle norme di conformit� urbanistica�, norme peraltro imposte non soltanto 
dall�autorit� comunale, ma anche da quelle preposte alla tutela di ulteriori e distinti vincoli. 
L�abuso di tale strumento imporrebbe, invece, una lettura restrittiva della disposizione, dal 
momento che ben difficilmente nella pratica sarebbe possibile immaginare ipotesi in cui l�Amministrazione 
non possa giustificare il proprio operato, con la necessit� di perseguire uno 
scopo pubblico. 
Per altro verso, a giudizio dei rimettenti, non si potrebbe prescindere dai principi costituzionali 
e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, 
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione 
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali firmata 
a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a 
Parigi il 20 marzo 1952), (infra: anche CEDU o Convenzione europea), in base ai quali il diritto 
di propriet� potrebbe essere acquistato dall�Amministrazione soltanto attraverso l�emanazione 
di un formale provvedimento amministrativo. 
Inoltre, si precisa, la questione di legittimit� costituzionale viene appunto sollevata, prendendo 
atto che, di fatto, la sentenza che ha dichiarato l�illegittimit� della procedura si pone come 
�una sorta di atto presupposto del procedimento che si perfeziona con l�atto di acquisizione�, 
con conseguente �grave lesione del principio generale dell�intangibilit� del giudicato amministrativo
� [�] sostanzialmente �vanificato da un atto amministrativo di acquisizione per utilizzazione 
senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico�. Del resto, andrebbe pure 
considerato che l�acquisizione sanante ben potrebbe essere �reiterata all�infinito�, divenendo 
non pi� uno strumento straordinario, ma ordinario, con conseguente �vanificazione dei principi 
di certezza giuridica e di tutela delle posizioni giuridiche�. 
In questo contesto, il Tribunale specifica di aver esperito inutilmente ogni tentativo di interpretazione 
adeguatrice, al fine attribuire alla norma un significato costituzionalmente corretto. 
1.9.� Con riferimento, poi, all�art. 117, primo comma, Cost., il Tribunale, dopo aver richiamato 
la sentenza di questa Corte n. 349 del 2007, con riguardo al rapporto fra norma statale ed obblighi 
derivanti dalla CEDU, assume che la norma censurata non sarebbe conforme ai principi 
della Convenzione europea ed all�art. 6 (F) del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato 
di Amsterdam), in base al quale �l�Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti 
dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamen-
92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
tali, [...] in quanto principi generali del diritto comunitario�. In questo senso deporrebbe la 
costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell�uomo (20 aprile 2006; 15 novembre 
2005; 17 maggio 2005), la quale avrebbe pi� volte affermato la non conformit� all�art. 1, prot. 
1, della Convenzione, della prassi sulla cosiddetta �espropriazione indiretta�, secondo cui 
l�amministrazione diventerebbe proprietaria del bene in assenza di un atto ablatorio. 1.10.� 
Infine, i rimettenti censurano l�art. 43 anche con riferimento all�art. 76, Cost., in quanto l�art. 
7, comma 2, lettera d) della legge-delega 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di 
norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998) avrebbe 
delegato al Governo il mero �coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, 
nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza 
logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio 
normativo�. La norma in questione, invece, non troverebbe �riferimento o principi e criteri 
direttivi in norme preesistenti�, non potendosi sostenere che l�acquisizione sanante fosse una 
modifica necessaria per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa. 
2.� Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti i ricorrenti dei giudizi principali (N.D. 
ed altri, quanto all�ordinanza r.o. n. 114 del 2009 e M.R.P. ed altri, quanto all�ordinanza r.o. 
n. 115 del 2009), con atti di identico tenore in diritto, chiedendo che la questione sia accolta. 
2.1.� La difesa delle parti private, dopo aver ripercorso le motivazioni sottese all�ordinanza 
di rimessione, assume, in primo luogo, che l�atto acquisitivo previsto dalla disposizione impugnata, 
in quanto finalizzato a �sanare� un�attivit� posta in essere dalla pubblica amministrazione 
contra ius, determinando la perdita della propriet�, violerebbe gli artt. 3, 24, 42, 97 
e 117, Cost., conducendo a �legalizzare� l�illegale, consentendo l�illecito aquiliano. 
I ricorrenti, riportando peraltro ampi brani di sentenze della Corte di cassazione sul fenomeno 
dell�occupazione acquisitiva, ritengono che il censurato art. 43 si porrebbe al di fuori dei �canoni 
di legittimit� costituzionale�, dal momento che attribuisce alla pubblica amministrazione 
il potere di disporre l�acquisizione del bene, anche nell�ipotesi in cui non vi sia stata alcuna 
preventiva dichiarazione di pubblica utilit�, o la medesima sia stata annullata o resa inefficace 
ex tunc. 
In definitiva, la norma censurata determinerebbe uno squilibrato vantaggio per il soggetto 
pubblico, pregiudicando la certezza dei rapporti giuridici e sacrificando l�affidamento dei soggetti 
nella possibilit� di far valere le proprie ragioni sulla base di condizioni normative �operanti 
nell�ordinamento vigente in un determinato periodo storico�. 
2.2.� Quanto alla violazione dell�art. 117, primo comma, Cost., le parti assumono che la norma 
si porrebbe in conflitto �con i principi che sorreggono la Convenzione europea su diritti dell�uomo 
(CEDU), aventi diretta rilevanza nell�ordinamento interno, nonch� con l�articolo 6 
del Trattato di Maastricht, modificato dal Trattato di Amsterdam�. 
Tale contrasto sarebbe evidente, alla luce del costante orientamento della Corte Europea dei 
diritti dell�uomo in materia di espropriazione cosiddetta �indiretta�. 
In particolare, si ricordano alcune decisioni di quella Corte nelle quali � stato affermato che 
l�espropriazione indiretta tende a stabilizzare una situazione di fatto derivante dalle illegalit� 
commesse dall�amministrazione e che, �sia in virt� di un principio giurisprudenziale o di un 
testo di legge come l�art. 43 del testo unico, l�espropriazione indiretta non dovrebbe costituire 
un mezzo alternativo all��espropriazione operata in forma corretta�. 
I ricorrenti ricordano altres�, come �l�anomalia italiana� abbia formato oggetto anche di una 
risoluzione interinale, in data 14 febbraio 2007, da parte del Comitato dei ministri del Consiglio 
d�Europa, con cui le Autorit� nazionali sono state �incoraggiate� �... a proseguire i loro
CONTENZIOSO NAZIONALE 93 
sforzi e ad adottare rapidamente tutte le misure necessarie addizionali al fine di rimediare in 
maniera definitiva alla pratica della �espropriazione indiretta��. 
In tale contesto europeo, poi, le Autorit� governative italiane avrebbero expressis verbis ammesso 
che la norma dettata dall�art. 43 t.u. in materia di espropriazione per pubblica utilit� � 
ex se non coerente con i principi della Convenzione, tantՏ che ne viene suggerita un�applicazione 
ed interpretazione �correttiva�. 
2.3.� Infine, le parti private, citando giurisprudenza di questa Corte, aderiscono alla censura 
formulata con riguardo all�art. 76, Cost., in quanto l�ipotesi dell�acquisizione, introdotta dall�art. 
43 d.P.R. n. 327 del 2001, sarebbe �priva di addentellati con la vigente normativa�, nel 
mentre il legislatore delegato non era stato autorizzato ad integrare o correggere le previsioni 
vigenti, ma semplicemente a riordinarle, attraverso un intervento di mero coordinamento. 
3.� Nel giudizio relativo alle ordinanze r.o. n. 114 e n. 115 del 2009, si � costituito il Comune 
di Casapesenna, criticando le argomentazioni sottese ai provvedimenti del giudice a quo. In 
primo luogo, il Tribunale campano, affermando che l�istituto in questione �nelle intenzioni 
del legislatore doveva conservare una natura eccezionale�, nel mentre avrebbe �assunto la 
natura di strumento ordinario�, confonderebbe l�ipotetica applicazione �scorretta� della norma 
in questione, con la sua illegittimit� costituzionale. Inoltre, non sarebbe neppure corretto affermare 
che l�art. 43 consentirebbe l�illecito aquiliano, in quanto, al contrario, la norma in 
questione avrebbe proprio escluso in radice che l�eventuale illecito aquiliano possa in s� determinare, 
come accadeva in passato, l�acquisto della propriet� da parte della pubblica amministrazione. 
Il giudice a quo non coglierebbe nel segno neppure con riguardo alla pretesa elusione degli 
obblighi procedimentali, in quanto il provvedimento di acquisizione deve dare conto specificamente 
degli interessi in conflitto, compiendo un�esaustiva comparazione dei medesimi, attraverso 
una congrua motivazione della �sussistenza attuale di un interesse pubblico specifico 
e concreto�. In questo senso, dunque, lo stringente obbligo di motivazione consente, proprio 
al giudice amministrativo, di valutarne la �logicit� e ragionevolezza�. 
3.1.� Quanto, poi, al contrasto con la giurisprudenza di Strasburgo, il Comune di Casapesenna 
ritiene che, diversamente da quanto opinato dai rimettenti, gli arresti della CEDU non hanno 
avuto ad oggetto l�applicazione dell�art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, ma la pratica dell�accessione 
invertita, della quale proprio l�art. 43 costituirebbe la soluzione legislativa. 
3.2.� Infondata sarebbe pure la censura di violazione del giudicato amministrativo, in quanto 
la norma in esame non sarebbe in grado di mettere in discussione n� l�annullamento degli atti 
preordinati all�esproprio, n� il diritto al risarcimento del privato illegittimamente spossessato, 
limitandosi piuttosto a consentire alla pubblica amministrazione di optare per il risarcimento 
monetario, piuttosto che per quello in forma specifica. Anzi, il citato art. 43, piuttosto che ledere 
il precedente giudicato, ne garantirebbe una pi� piena esecuzione, in quanto limiterebbe 
a singoli casi ed alla ricorrenza di specifici presupposti la facolt� della pubblica amministrazione 
di optare per il risarcimento monetario, in luogo di quello in forma specifica. 
3.3.� Da ultimo, con riferimento alla violazione dell�art. 76 Cost., si rileva che il t.u. sulle 
espropriazioni, in quanto volto al riordino normativo ed alla semplificazione delle norme procedurali 
ed organizzative, avrebbe natura innovativa e non meramente compilativa, potendo 
apportare, in sede di coordinamento delle disposizioni vigenti, �le modifiche necessarie per 
garantire la coerenza logica e sistematica della normativa�. 
4.� In tutti i giudizi promossi � intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato 
e difeso dall�Avvocatura generale dello Stato, che, nei distinti atti, di contenuto so-
94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
stanzialmente identico, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile ed infondata. 
4.1.� La difesa dello Stato eccepisce, in primo luogo, l�inammissibilit� della questione per 
difetto di rilevanza, ricordando che questa Corte, nella sentenza n. 191 del 2006, ha espressamente 
escluso che la norma censurata abbia valore di norma processuale, sicch� i rimettenti 
avrebbero dovuto chiedersi se essa fosse o meno applicabile alla fattispecie concreta. Il tema 
dell�applicabilit� dell�art. 43 del t.u. in materia di espropriazioni alle occupazioni sine titulo, 
perfezionatesi prima dell�entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001, rappresenterebbe, infatti, 
uno dei temi pi� dibattuti sia in dottrina che in giurisprudenza. Oltre all�orientamento richiamato 
dall�ordinanza di rimessione, infatti, sarebbe dato riscontrare, in senso contrario, in 
primo luogo quello della Corte di cassazione che, con le sentenze 22 settembre 2008, n. 23943 
e 19 dicembre 2007, n. 26732, ne ha escluso l�applicabilit� in considerazione del fatto che 
l�art. 57 del d.P.R. n. 327 del 2001, nel disciplinare l�applicabilit� della nuova disciplina (e 
non soltanto delle norme di natura sostanziale), ha introdotto un criterio fondato esclusivamente 
sul dato temporale del primo atto del procedimento espropriativo, a prescindere dalle 
sue successive vicende e dai successivi provvedimenti che l�espropriante potesse emanare. 
Inoltre, lo stesso Consiglio di Stato, con la sentenza 26 settembre 2008 n. 4660, avrebbe negato 
l�applicazione del citato art. 43 ad una fattispecie perfezionatasi, come quella in esame oggi, 
anteriormente all�entrata in vigore del t.u. 
4.2.� La questione sarebbe, ancora, inammissibile perch� i rimettenti non avrebbero sperimentato 
un�interpretazione costituzionale della norme censurata. Ci� in quanto il Tribunale 
muoverebbe da un�applicazione della disposizione da parte delle amministrazioni e da parte 
del diritto vivente, che a suo giudizio avrebbe condotto a risultati abnormi, quali quello relativo 
all�operativit� dell�art. 43 in sede di ottemperanza, suscettibile di caducare l�accertamento del 
diritto alla restituzione del fondo e di travolgere la forza del giudicato. 
Ad avviso dell�Avvocatura dello Stato, tuttavia, nulla avrebbe impedito ai giudici rimettenti 
di valutare alla stregua di un�interpretazione costituzionalmente orientata l�illegittimit� dell�atto 
acquisitivo, nel corso del giudizio di ottemperanza, per le medesime ragioni che sono 
state poste a sostegno della questione di costituzionalit�. 
4.3. � Nel merito, la difesa dello Stato precisa in primo luogo che lo strumento della cosiddetta 
acquisizione sanante, lungi dall�essere uno strumento ordinario, si sostanzierebbe invece come 
una �legale via d�uscita� dalle situazioni di illegalit�, verificatesi nel corso degli anni. 
Quanto, poi, al rapporto con il giudicato relativo alla restituzione del fondo, si sottolinea che 
la disposizione in esame non costituisce, di per s�, uno strumento di elusione del giudicato, 
ma sarebbe semmai l�uso non funzionale della norma da parte dell�Amministrazione, che potrebbe 
determinare tale conseguenza. Sarebbe, quindi, compito del giudice amministrativo 
verificare con rigore quella comparazione di interessi sottesa al provvedimento, secondo i criteri 
della ragionevolezza e proporzionalit�. 
Il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia, poi, come nel caso di specie il giudice ben 
avrebbe potuto dichiarare, ai sensi dell�art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove 
norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), 
la nullit� del provvedimento di acquisizione adottato dall�amministrazione comunale, 
per violazione del giudicato. 
4.4.� In ordine alla questione relativa alla violazione dell�art. 117, primo comma, Cost., per 
violazione della CEDU, l�Avvocatura dello Stato, nonostante i dubbi di legittimit� costituzionale 
paventati da alcune decisioni della Corte di cassazione (sentenza n. 26732 del 2007, 
cit.), premette che la questione della compatibilit� dell�art. 43 non sarebbe mai stata affrontata
CONTENZIOSO NAZIONALE 95 
dalla Corte di Strasburgo. Ci� posto, il giudice rimettente avrebbe potuto, comunque praticare 
un�interpretazione conforme ai �canoni CEDU�, prima ancora di sollevare la questione di legittimit� 
costituzionale. Del resto la giurisprudenza amministrativa si sarebbe pi� volte 
espressa nel senso della piena compatibilit� dell�art. 43 con le disposizioni CEDU, come interpretate 
dalla Corte europea dei diritti dell�uomo. 
4.5.� Infine, con riferimento al denunciato vizio di eccesso di delega, il Presidente del Consiglio 
dei ministri ricorda, ancora, la giurisprudenza del giudice amministrativo che avrebbe 
negato la sussistenza di tale vizio. 
4.6.� Da ultimo l�Avvocatura dello Stato sottolinea come l�eventuale �caducazione� della 
norma impugnata avrebbe come inevitabile conseguenza il �ritorno in auge� degli istituti di 
creazione pretoria dell�occupazione �acquisitiva� ed �usurpativa�, che esporrebbero lo Stato 
ad ulteriori e numerosissime condanne da parte della Corte di Strasburgo. 
Considerato in diritto 
1.� Le questioni sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con tre 
distinte ordinanze di contenuto in larga misura coincidente (r.o. n. 114, n. 115 e n. 116 del 
2009), riguardano l�articolo 43 del decreto del Presidente della Repubbica 8 giugno 2001, n. 
327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione 
per pubblica utilit�), con il quale viene disciplinata la �Utilizzazione senza titolo di un bene 
per scopi di interesse pubblico�. 
1.1.� I giudizi hanno ad oggetto la stessa norma, censurata con riferimento agli stessi parametri, 
sotto gli stessi profili e in gran parte con le stesse argomentazioni; ponendo, pertanto, 
un�identica questione, vanno riuniti e decisi con un�unica pronuncia. 
2.� La norma censurata ha ad oggetto la disciplina dell�utilizzazione senza titolo di un bene 
per scopi di interesse pubblico e consente all�autorit� che abbia utilizzato a detti fini un bene 
immobile in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della 
pubblica utilit�, di disporne l�acquisizione al suo patrimonio indisponibile, con l�obbligo di 
risarcire i danni al proprietario. La disposizione regola, inoltre, tempo e contenuto dell�atto 
di acquisizione, l�impugnazione del medesimo, la facolt� della pubblica amministrazione di 
chiedere che il giudice amministrativo �disponga la condanna al risarcimento del danno, con 
esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo�, fissando i criteri per la quantificazione 
del risarcimento del danno. 
Secondo il Tribunale rimettente, in punto di rilevanza, l�applicazione della disciplina di cui 
al citato art. 43 determinerebbe l�improcedibilit� dei ricorsi in ottemperanza, in considerazione 
dell�atto formale di acquisizione sanante; nello stesso tempo, i ricorsi avverso la delibera di 
acquisizione dovrebbero essere rigettati, perch� il provvedimento oggetto di impugnazione 
dovrebbe ritenersi conforme al modello astratto disegnato dall�intera disposizione, nonostante, 
in questo caso, fosse gi� intervenuta una pronuncia di restituzione (in particolare nei giudizi 
iscritti al r.o. n. 114 e n. 115 del 2009, a seguito dell�annullamento gli atti inerenti alla procedura 
ex art. 43). 
La norma si porrebbe in contrasto anzitutto con gli articoli 3, 24, 42, 97 e 113 della Costituzione, 
in quanto essa consentirebbe, secondo l�interpretazione assunta come diritto vivente, 
la sanatoria di espropriazioni illegittime, a causa della mancanza della dichiarazione di pubblica 
utilit�, dell�annullamento degli atti ovvero per altra causa. In tal modo, sarebbe prefigurato 
l�esercizio di un potere autoritativo di acquisizione dell�area che impedirebbe la 
restituzione del bene, rimuovendo l�illecito aquiliano anche a dispetto di un giudicato ammi-
96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
nistrativo, consentendo �alla pubblica amministrazione, anche deliberatamente, � di eludere 
gli obblighi procedimentali della instaurazione del contraddittorio, delle tre fasi progettuali e 
della verifica delle norme di conformit� urbanistica� con �grave lesione del principio generale 
dell�intangibilit� del giudicato amministrativo�, sostanzialmente �vanificato da un atto amministrativo 
di acquisizione per utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse 
pubblico�. 
3.� Ad avviso del TAR, la norma impugnata si porrebbe, inoltre, in contrasto con l�art. 117, 
primo comma, Cost., in quanto non sarebbe conforme ai principi della Convenzione europea 
dei diritti dell�uomo, come interpretati dalla Corte di Strasburgo, che ha ritenuto in contrasto 
con l�art. 1, prot. 1, la prassi della cosiddetta �espropriazione indiretta�; violando peraltro 
anche l�art. 6 (F) del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato di Amsterdam), in base 
al quale �l�Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea 
per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, [...] in quanto principi 
generali del diritto comunitario�. 
4.� I rimettenti, infine, ritengono che il citato art. 43 impugnato recherebbe vulnus all�art. 76, 
Cost., in quanto sarebbe stato emanato in violazione dei criteri della legge-delega 8 marzo 
1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi 
� Legge di semplificazione 1998). 
5.� L�Avvocatura dello Stato ha eccepito l�inammissibilit� delle questioni, per difetto di rilevanza 
nel giudizio a quo, in quanto questa Corte, la Corte di cassazione ed il Consiglio di 
Stato avrebbero escluso l�applicabilit� del citato art. 43 alle occupazioni appropriative verificatesi 
prima del 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001. 
5.1.� L�eccezione non � fondata. La questione dell�applicabilit� della norma in esame non � 
stata risolta in modo univoco dalla giurisprudenza. La Corte di cassazione esclude, infatti, 
l�ammissibilit� dell�adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 con riguardo 
alle occupazioni appropriative verificatesi prima dell�entrata in vigore del d.P.R. n. 
327 del 2001 (sentenze 22 settembre 2008, n. 23943, 28 luglio 2008 n. 20543, 19 dicembre 
2007, n. 26732). Diversamente, nella giurisprudenza del Consiglio di Stato � ormai prevalente 
il principio secondo cui �la procedura di acquisizione in sanatoria di un�area occupata sine titulo, 
descritta dal citato articolo 43, trova una generale applicazione anche con riguardo alle 
occupazioni attuate prima dell�entrata in vigore della norma� (Cons. Stato, Sez. IV, 26 marzo 
2010, n. 1762, Sez. IV, 8 giugno 2009, n. 3509, inoltre: Ad. Plen. 29 aprile 2005, n. 2; Sez. 
IV, 16 novembre 2007, n. 5830, esaminata senza rilievi sulla giurisdizione da Cass., SS.UU., 
16 aprile 2009, n. 9001). 
In presenza di tale contrasto, le ordinanze di rimessione hanno motivato in maniera non implausibile 
in ordine all�applicabilit� della norma, richiamando la giurisprudenza assolutamente 
prevalente ed il �diritto vivente� del Consiglio di Stato. 
6.� Nel merito, vanno esaminate in via preliminare le censure riferite all�art. 76, della Costituzione. 
Spetta, infatti, a questa Corte �valutare il complesso delle eccezioni e delle questioni 
costituenti il thema decidendum devoluto al suo esame� e �stabilire, anche per economia di 
giudizio, l�ordine con cui affrontarle nella sentenza e dichiarare assorbite le altre� (da ultimo, 
sentenze n. 181 del 2010 e n. 262 del 2009), quando si � in presenza di �questioni tra loro autonome 
per l�insussistenza di un nesso di pregiudizialit�� (sentenza n. 262 del 2009). 
Nella specie, � palese la pregiudizialit� logico-giuridica delle censure riferite all�art. 76 Cost., 
giacch� esse investono il corretto esercizio della funzione legislativa e, quindi, la loro eventuale 
fondatezza eliderebbe in radice ogni questione in ordine al contenuto precettivo della
CONTENZIOSO NAZIONALE 97 
norma in esame. 
6.1.� I rimettenti denunciano la violazione dell�art. 76 Cost., deducendo che l�art. 43 non troverebbe 
�riferimento o principi e criteri direttivi in norme preesistenti�, in quanto la leggedelega 
n. 50 del 1999 prevedeva il mero coordinamento formale del testo delle disposizioni 
vigenti, e consentiva, nei limiti di tale coordinamento, le sole modifiche necessarie per garantire 
la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare 
il linguaggio. 
7.� La questione � fondata. 
8.� La norma impugnata disciplina l�istituto cosiddetto della �acquisizione sanante�. In particolare 
essa dispone, fra l�altro, al comma 1, che, �valutati gli interessi in conflitto, l�autorit� 
che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido 
ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilit�, pu� disporre che 
esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i 
danni�. Viene, poi, precisato, al comma 2, che l�atto di acquisizione �...a) pu� essere emanato 
anche quando sia stato annullato l�atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all�esproprio, 
l�atto che abbia dichiarato la pubblica utilit� di un�opera o il decreto di esproprio;�. 
Si tratta, dunque, della possibilit� di acquisire alla mano pubblica un bene privato, in precedenza 
occupato e modificato per la realizzazione di un�opera di interesse pubblico, anche nel 
caso in cui l�efficacia della dichiarazione di pubblica utilit� sia venuta meno, con effetto retroattivo, 
in conseguenza del suo annullamento o per altra causa, o anche in difetto assoluto 
di siffatta dichiarazione (�assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo 
della pubblica utilit��). 
8.1.� La norma censurata � contenuta nel testo unico, in materia di espropriazioni, redatto in 
attuazione della legge n. 50 del 1999, a sua volta collegata alla legge 15 marzo 1997 n. 59 
(Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la 
riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), che aveva 
previsto un generale strumento permanente di semplificazione e di delegificazione. 
In particolare, la delega riguardava il �riordino� delle norme elencate nell�allegato I alla legge 
n. 59 del 1997 (nel testo risultante a seguito dell�art. 1, legge 24 novembre 2000, n. 340 � Disposizioni 
per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi 
� Legge di semplificazione 1999), che contemplava, quale oggetto, il �procedimento 
di espropriazione per causa di pubblica utilit� e altre procedure connesse: legge 25 giugno 
1865, n. 2359; legge 22 ottobre 1971, n. 865�. 
8.2.� Il chiaro tenore delle norme richiamate rende palese che la delega oggetto delle medesime 
concerneva esplicitamente il tessuto normativo costituito dalle leggi n. 2359 del 1865 e 
n. 865 del 1971. 
Il sistema dell�espropriazione per pubblica utilit� risultante da dette leggi era articolato, in 
sintesi, in un procedimento che presupponeva il provvedimento dichiarativo della pubblica 
utilit� dell�opera e la fissazione di termini, con la connessa disciplina dei casi di indifferibilit� 
ed urgenza. In seguito, la legge n. 865 del 1971 aveva previsto la concentrazione del procedimento 
in un�unica fase, ricollegando la dichiarazione di pubblica utilit�, unitamente alla dichiarazione 
di indifferibilit� ed urgenza delle opere pubbliche, all�approvazione dei progetti 
delle opere da parte degli organi competenti. 
Successivamente, ed in presenza di una nutrita serie di patologie dei procedimenti amministrativi 
di espropriazione, consistenti nell�accertamento dell�occupazione sine titulo da parte 
della pubblica amministrazione, la giurisprudenza di legittimit� aveva elaborato gli istituti
98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
dell�occupazione �appropriativa� ed �usurpativa�. 
In sintesi, la prima era caratterizzata da una anomalia del procedimento espropriativo, a causa 
della sua mancata conclusione con un formale atto ablativo, mentre la seconda era collegata 
alla trasformazione del fondo di propriet� privata, in assenza di dichiarazione di pubblica utilit�. 
Nel primo caso (il cui leading case si rinviene nella sentenza delle Sezioni Unite 26 febbraio 
1983, n. 1464), l�acquisto della propriet� conseguiva ad un�inversione della fattispecie 
civilistica dell�accessione di cui agli artt. 935 ss. cod. civ., in considerazione della trasformazione 
irreversibile del fondo. Secondo questa ricostruzione, la destinazione irreversibile del 
suolo privato illegittimamente occupato comportava l�acquisto a titolo originario, da parte 
dell�ente pubblico, della propriet� del suolo e la contestuale estinzione del diritto di propriet� 
del privato. La successiva sentenza delle Sezioni Unite 10 giugno 1988, n. 3940, precis� poi 
la figura della �occupazione acquisitiva�, limitandola al caso in cui si riscontrasse una valida 
dichiarazione di pubblica utilit� che permetteva di far prevalere l�interesse pubblico su quello 
privato. 
L��occupazione usurpativa�, invece, non accompagnata da dichiarazione di pubblica utilit�, 
ab initio o per effetto dell�intervenuto annullamento del relativo atto o per scadenza dei relativi 
termini, in quanto tale non determinava dunque l�effetto acquisitivo a favore della pubblica 
amministrazione. 
8.3.� E� questo, in sostanza, il contesto normativo in cui � stato inserito il citato art. 43, comprensivo 
anche dei ricordati istituti di origine giurisprudenziale, i quali hanno nel tempo disciplinato 
la materia. 
Nella redazione del testo unico il legislatore delegato era tenuto ad osservare i seguenti principi 
e criteri direttivi, contenuti nell�art. 7, comma 2, della citata legge n. 50: la puntuale individuazione 
del testo vigente delle norme (lettera b dell�art. 7 cit.); l�indicazione delle norme 
abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni (lettera c); il coordinamento �formale
� del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le 
modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al 
fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo (lettera d). 
La legge-delega imponeva, poi, l�indicazione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, 
che restavano comunque in vigore (lettera e) e l�esplicita abrogazione di tutte le rimanenti disposizioni, 
non richiamate, che regolavano la materia oggetto di delegificazione, con espressa 
indicazione delle stesse in apposito allegato al testo unico (lettera f). 
8.4.� Occorre verificare, pertanto, se il legislatore delegato abbia osservato i suindicati principi 
e criteri direttivi. 
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il sindacato di costituzionalit� sulla 
delega legislativa si esplica attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici 
paralleli. Il primo riguarda le norme che determinano l�oggetto, i principi e i criteri direttivi 
indicati dalla delega, tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e 
si individuano le ragioni e le finalit� poste a fondamento della legge di delegazione. Il secondo 
riguarda le norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile 
con i principi ed i criteri direttivi della delega (ex plurimis, sentenze n. 230 del 2010, n. 98 
del 2008, n. 54 del 2007, n. 280 del 2004, n. 199 del 2003). 
Pertanto, da un lato, deve farsi riferimento alla ratio della delega; dall�altro, occorre tenere 
conto della possibilit�, insita nello strumento della delega, di introdurre norme che siano un 
coerente sviluppo dei principi fissati dal legislatore delegato; dall�altro ancora, sebbene rientri 
nella discrezionalit� del legislatore delegato emanare norme che rappresentino un coerente
CONTENZIOSO NAZIONALE 99 
sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore (sentenza 
n. 199 del 2003; ordinanza n. 213 del 2005), � nondimeno necessario che detta discrezionalit� 
sia esercitata nell�ambito dei limiti stabiliti dai principi e criteri direttivi. 
Inoltre, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, qualora la delega abbia ad oggetto, 
come nella specie, la revisione, il riordino ed il riassetto di norme preesistenti, queste finalit� 
giustificano un adeguamento della disciplina al nuovo quadro normativo complessivo, conseguito 
dal sovrapporsi, nel tempo, di disposizioni emanate in vista di situazioni ed assetti diversi. 
L�introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo 
previgente �, tuttavia, ammissibile soltanto nel caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi 
idonei a circoscrivere la discrezionalit� del legislatore delegato (sentenza n. 170 del 
2007 e n. 239 del 2003). 
8.5.� Alla luce di questi principi, risulta chiara la fondatezza delle censure svolte dai giudici 
rimettenti. 
La legge-delega aveva conferito, sul punto, al legislatore delegato il potere di provvedere soltanto 
ad un coordinamento �formale� relativo a disposizioni �vigenti�. L�istituto previsto e 
disciplinato dalla norma impugnata, viceversa, � connotato da numerosi aspetti di novit�, rispetto 
sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate 
dalla legge-delega, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale. 
In primo luogo, non � dato ravvisare nelle leggi indicate nel citato allegato I, alla legge n. 59 
del 1997, alcuna norma che potesse giustificare un intervento della pubblica amministrazione, 
in via di sanatoria, sulle procedure ablatorie previste. 
Inoltre, neppure pu� farsi riferimento al contesto degli orientamenti giurisprudenziali sopra 
richiamati, in quanto pi� profili della cosiddetta �acquisizione sanante�, cos� come disciplinata 
dalla norma censurata, eccedono con tutta evidenza dagli istituti della occupazione appropriativa 
e della occupazione usurpativa, cos� come delineati da quegli orientamenti. 
Il citato art. 43, infatti, ha anzitutto assimilato le due figure, introducendo la possibilit� per 
l�amministrazione e per chi utilizza il bene di chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso 
e senza limiti di tempo, la condanna al risarcimento in luogo della restituzione. Peraltro, esso 
estende tale disciplina anche alle servit�, rispetto alle quali la giurisprudenza aveva escluso 
l�applicabilit� della cosiddetta occupazione appropriativa, trattandosi di fattispecie non applicabile 
all�acquisto di un diritto reale in re aliena, in quanto difetta la non emendabile trasformazione 
del suolo in una componente essenziale dell�opera pubblica. 
Infine, la norma censurata differisce il prodursi dell�effetto traslativo al momento dell�atto di 
acquisizione. 
Si tratta di elementi di sicuro rilievo e qualificanti, i quali dimostrano che la norma in esame 
non solo � marcatamente innovativa rispetto al contesto normativo positivo di cui era consentito 
un mero riordino, ma neppure � coerente con quegli orientamenti di giurisprudenza 
che, in via interpretativa, erano riusciti a porre un certo rimedio ad alcune gravi patologie 
emerse nel corso dei procedimenti espropriativi. Siffatto carattere della norma impugnata 
trova conferma significativa nella circostanza che, secondo la giurisprudenza di legittimit�, 
in materia di occupazione di urgenza, la sopravvenienza di un provvedimento amministrativo 
non poteva avere un�efficacia sanante retroattiva, determinata da scelte discrezionali dell�ente 
pubblico o dai suoi poteri autoritativi. Nel regime risultante dalla norma impugnata, invece, 
si prevede un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione che ha 
commesso l'illecito, a dispetto di un giudicato che dispone il ristoro in forma specifica del diritto 
di propriet� violato. 
100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Il legislatore delegato, in definitiva, non poteva innovare del tutto ed al di fuori di ogni vincolo 
alla propria discrezionalit� esplicitamente individuato dalla legge-delega. Questa Corte ha in 
proposito affermato, infatti, che, per quanta ampiezza possa riconoscersi al potere di riempimento 
del legislatore delegato, �il libero apprezzamento� del medesimo �non pu� mai assurgere 
a principio od a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, 
quale �, per definizione, la legislazione su delega� (sentenze n. 340 del 2007 e n. 68 del 1991). 
In contrario, non giova dedurre, come sostenuto dall�Avvocatura dello Stato, che il legislatore 
delegato abbia inteso tenere conto delle censure mosse dalla giurisprudenza di Strasburgo alla 
pratica delle espropriazioni �indirette�. 
Indipendentemente sia da ogni considerazione relativa al fatto che ci� non era contemplato 
nei principi e criteri direttivi di cui al pi� volte citato art. 7 della legge n. 50 del 1999, sia dal 
legittimo dubbio quanto alla idoneit� della scelta realizzata con la norma di garantire il rispetto 
dei principi della CEDU, che in questa sede non � possibile sciogliere, quella prefigurata costituisce 
soltanto una delle molteplici soluzioni possibili. Il legislatore avrebbe potuto conseguire 
tale obiettivo e disciplinare in modi diversi la materia, ed anche espungere del tutto la 
possibilit� di acquisto connesso esclusivamente a fatti occupatori, garantendo la restituzione 
del bene al privato, in analogia con altri ordinamenti europei. E neppure � mancato qualche 
rilievo in questo senso della Corte di Strasburgo, la quale, infatti, sia pure incidentalmente, 
ha precisato che l�espropriazione indiretta si pone in violazione del principio di legalit�, perch� 
non � in grado di assicurare un sufficiente grado di certezza e permette all�amministrazione 
di utilizzare a proprio vantaggio una situazione di fatto derivante da �azioni illegali�, e ci� 
sia allorch� essa costituisca conseguenza di un�interpretazione giurisprudenziale, sia allorch� 
derivi da una legge � con espresso riferimento all�articolo 43 del t.u. qui censurato �, in quanto 
tale forma di espropriazione non pu� comunque costituire un�alternativa ad un�espropriazione 
adottata secondo �buona e debita forma� (Causa Sciarrotta ed altri c. Italia � Terza Sezione � 
sentenza 12 gennaio 2006 � ricorso n. 14793/02). 
Anche considerando la giurisprudenza di Strasburgo, pertanto, non � affatto sicuro che la mera 
trasposizione in legge di un istituto, in astratto suscettibile di perpetuare le stesse negative 
conseguenze dell�espropriazione indiretta, sia sufficiente di per s� a risolvere il grave vulnus 
al principio di legalit�. 
Alla stregua dei rilievi svolti, va dichiarata l�illegittimit� costituzionale dell�intero art. 43 del 
d.P.R. n. 327 del 2001, poich� la disciplina inerente all�acquisizione del diritto di servit�, di 
cui al comma 6 bis, appare strettamente ed inscindibilmente connessa con gli altri commi, sia 
per espresso rinvio alle norme fatte oggetto di censura, sia perch� ne presuppone l�applicazione 
e ne disciplina ulteriori sviluppi applicativi (cfr. sentenza n. 18 del 2009). 
9.� La pronuncia di illegittimit� costituzionale con riferimento all�art. 76 Cost., determina 
l�assorbimento delle questioni poste con riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97, 113 e 117, primo 
comma, Cost. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
dichiara l�illegittimit� costituzionale dell�articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 
8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia 
di espropriazione per pubblica utilit�). 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 ottobre 
2010.
CONTENZIOSO NAZIONALE 101 
Un duplice commento alla decisione 22 gennaio 
2010 n. 1170 della Cassazione tributaria 
Litisconsorzio necessario in caso di contenzioso 
a carico di una societ� di persone 
Procedimento tributario � Accertamento in rettifica delle dichiarazioni dei redditi di societ� di 
persone � Ricorso proposto da un socio � Ricorso fondato su eccezione personale � Litisconsorzio 
necessario originario nel processo tributario � Insussistenza � Ragioni (D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 
917, art. 5; D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 40; D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 14, 29). 
1.- In lite relativa ad accertamento IRPEF, consequenziale ad accertamento ILOR nei confronti di societ� 
di persone, promossa dal socio, se il socio non contesta l�accertamento societario ma si limiti ad eccepire 
la propria estraneit� (perch� prestanome di terzi) alla compagine sociale tale eccezione � personale e 
non comporta l�applicazione del litisconsorzio necessario. 
1.- La presente sentenza si segnala all�attenzione, in primo luogo, per aver 
aderito all�ormai consolidato orientamento giurisprudenziale espresso, per la 
prima volta, dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 14815 
del 4 giugno 2008, secondo cui: �la unitariet� dell�accertamento che � (o deve 
essere) alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle societ� ed 
associazioni di cui all�art. 5 TUIR e dei soci delle stesse (Decreto del Presidente 
della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 40) e la conseguente automatica 
imputazione dei redditi della societ� a ciascun socio 
proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili, indipendentemente 
dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso proposto da uno dei soci 
o dalla societ�, anche avverso un solo avviso di rettifica, riguarda inscindibilmente 
la societ� ed i soci (salvo che questi prospettino questioni personali), 
i quali tutti devono essere parte nello stesso processo, e la controversia non 
pu� essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi (Decreto Legislativo 
n. 546 del 1992, articolo 14, comma 1), perch� non ha ad oggetto la singola 
posizione debitoria del o dei ricorrenti, bens� la posizione inscindibilmente 
comune a tutti i debitori rispetto all�obbligazione dedotta nell�atto autoritativo 
impugnato, cio� gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell�obbligazione 
(Cass. SS.UU. 1052/2007); trattasi pertanto di fattispecie di litisconsorzio 
necessario originario, con la conseguenza che: 
- il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati, destinatario 
di un atto impositivo, apre la strada al giudizio necessariamente collettivo 
ed il giudice adito in primo grado deve ordinare l�integrazione del 
contraddittorio (a meno che non si possa disporre la riunione dei ricorsi proposti 
separatamente, ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 
29); 
- il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti ne-
102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
cessari � nullo per violazione del principio del contraddittorio di cui all�articolo 
101 c.p.c. e articolo 111 Cost., comma 2, e trattasi di nullit� che pu� e 
deve essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento, anche d�ufficio�. 
(conformi Cassazione civile, sez. tributaria, 6 aprile 2009, n. 8253; Cassazione 
civile, sez. tributaria, 4 dicembre 2009, n. 25567). 
La sentenza oggetto della presente disamina concerne l�accertamento di 
un maggior reddito sociale tassabile ai fini ILOR, da cui deriva necessariamente 
l�accertamento, relativamente al periodo d�imposta considerato, di un 
reddito di partecipazione tassabile ai fini IRPEF a carico dei soci di una societ� 
di persone (art. 5 D.P.R. n. 917/1986 e art. 40 D.P.R. n. 600/1973). Il Collegio, 
nel caso di specie, pur richiamando il principio di diritto sopra esposto, ne ha 
escluso l�operativit� poich� �rispetto a tale contestazione, il socio ha sollevato 
la questione dell�interposizione di persona, al fine di negare la propria legittimazione 
passiva in ordine alla pretesa erariale. Pertanto, trattandosi di eccezione 
personale relativa alla persona del socio, contribuente, che non pone 
in discussione n� l�esistenza n� la quantificazione del maggior reddito della 
societ� personale, non � operante nella specie il principio affermato nella sentenza 
delle Sezioni Unite di questa Corte n. 14815 del 4 giugno 2008 �. 
Il principio di diritto esposto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 
nella sent. n. 14815 del 4 giugno 2008 ha costituito una coraggiosa e opportuna 
scelta di campo a favore della semplificazione del contenzioso tributario, in 
caso di accertamento di maggiori redditi a carico degli enti di cui all�art. 5 del 
D.P.R. 917/1986. Prima di tale pronuncia, infatti, dottrina e giurisprudenza 
non avevano mai dubitato che, poich� la societ� e i singoli soci sono distinti 
debitori d�imposta, portatori di distinti interessi, potessero sia collettivamente 
(ossia con un unico atto) che separatamente (ossia con una pluralit� di atti) 
impugnare in sede contenziosa gli atti di accertamento ognuno per il profilo 
che lo riguardasse. Nessun problema si poneva nel caso in cui i soci e la societ� 
proponevano un ricorso cumulativo. In tali casi, infatti, il giudice adito doveva 
semplicemente accertare il reddito della societ� per l�anno in contestazione e 
determinare, in conseguenza di quanto accertato nei confronti della societ�, 
quale fosse, ai fini IRPEF, il reddito di partecipazione dei singoli soci. La difficolt� 
nasceva qualora, come � costante nella pratica del contenzioso tributario, 
i vari atti di accertamento fossero oggetto di distinti atti di impugnazione. 
Posto che i vari ricorsi, salvo il caso in cui il singolo socio prospetti questioni 
personali, quali ad esempio la propria qualit� di socio o la propria quota di 
partecipazione alla societ�, sono volti all�accertamento dei medesimi fatti, si 
era palesata la necessit� di una regola generale che fosse in grado di disciplinare 
il concorso tra i vari rimedi giurisdizionali proposti. La precedente giurisprudenza 
di legittimit� era solita ritenere che tra il contenzioso relativo 
all�accertamento a carico della societ� e quello relativo ai singoli soci esistesse 
un vincolo di consequenzialit� necessaria << in virt� del quale, nel caso di
CONTENZIOSO NAZIONALE 103 
autonoma e distinta instaurazione delle relative vertenze dinanzi al giudice 
tributario, si rende inevitabile che la decisione intervenuta nel primo dei suddetti 
contenziosi si rifletta sulla pronuncia afferente al secondo, il che impone 
al giudice chiamato a statuire su quest�ultimo di prendere atto della decisione 
intervenuta nella prima controversia, anche se, in ragione dei limiti soggettivi 
stabiliti dall�articolo 2909 cod. civ., il giudicato che si formi nei rapporti tra 
la societ� e l�erario in relazione all�ILOR non � opponibile al socio, che non 
sia stato parte in detto contenzioso, per l�IRPEF da lui dovuta sui redditi posseduti 
nel periodo, compreso il reddito di partecipazione alla societ� >>. Secondo 
tale giurisprudenza, dunque, in tali casi non ricorreva una situazione di 
litisconsorzio necessario tra la societ� e i soci n� sarebbe stato altrimenti ravvisabile 
un rapporto di pregiudizialit� che imponesse la necessaria sospensione 
del giudizio relativo ai soci, in attesa della definizione di quello avente ad oggetto 
l�accertamento del reddito della societ�; nei confronti dei soci, infatti, 
non era opponibile il giudicato relativo al reddito della societ�, formatosi senza 
la partecipazione degli stessi al processo (Cass. 14417/2005; conf. 9446/2006). 
Allo stesso modo, la societ� non poteva considerarsi parte necessaria del giudizio 
relativo all�opposizione proposta dal socio contro l�accertamento del 
proprio reddito di partecipazione, non ricorrendo, nemmeno in tale specifica 
ipotesi, una situazione di litisconsorzio necessario (Cass. sent. 25 giugno 2005 
n. 13814). I giudici di merito, per non contraddire tale orientamento della giurisprudenza 
di legittimit�, da un lato, non sospendevano i giudizi promossi dai 
singoli soci, in attesa della definizione, con sentenza passata in giudicato, di 
quelli promossi dalla societ�, dall�altro, per�, risolvevano le cause introdotte 
dai soci facendo propria la sentenza emessa dai giudici di primo grado nei 
confronti delle societ�, fingendo di aver valutato in modo autonomo i medesimi 
elementi gi� vagliati dalla precedente pronuncia. Una simile prassi non 
solo implicava il moltiplicarsi del contenzioso ma non escludeva, che per tale 
via, si giungesse a giudicati tra loro contrastanti. E� evidente che, tale essendo 
lo stato delle cose, spettava al legislatore intervenire, determinando una puntuale 
disciplina della materia. A fronte del silenzio normativo, le Sezioni Unite 
della Cassazione con il principio di diritto espresso attraverso la sent. n. 14815, 
che, lungi dal rimanere una pronuncia isolata, � stata alla base di numerose 
altre sentenze della Corte di Cassazione, si sono sostituite al legislatore, rivoluzionando 
la precedente giurisprudenza in materia. (Corte di Cassazione, Sezioni 
Unite civili, sent. 4 giugno 2008, n. 14815, Guida al diritto 2008, 34, 
pp. 69-71, con nota di M. FINOCCHIARO, Una coraggiosa scelta di campo in 
favore della semplificazione). 
** *** **
104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Procedimento di prevenzione nella legislazione 
antimafia e sua opponibilit� al Fisco 
Giudizio civile e penale (rapporto) � Cosa giudicata penale � Autorit� nel processo tributario � 
Sentenza emessa a seguito di procedimento di prevenzione ex l. 575/65 � Oggetto � Confisca di 
quote di societ� di persone ritenute nella disponibilit� di soggetto terzo indiziato di mafia � Valore 
di giudicato in ordine alla estraneit� dell�intestatario al rapporto societario � Esclusione � Ragioni. 
(L. 575/1965, art. 2 ter; Cod. Civ. art . 2909; Cod. Proc. Civ. art. 654; D.P.R. 600/73 art. 37). 
2.- Non sono opponibili al Fisco i giudicati resi in procedimenti di prevenzione, che dispongono la confisca 
di un bene ai sensi della normativa antimafia, anche ove tali giudicati accertino la fittizia intestazione 
di un bene ad altro soggetto, di conseguenza per il Fisco, obbligati al pagamento dei tributi 
derivanti da quel bene sono gli intestatari formali, salvo il rimborso di quanto pagato, ex art. 37 DPR 
600/73, una volta accertata in via definitiva anche dal Fisco la fittizia intestazione. 
2.- Ci� che pi� interessa, per�, � il nucleo centrale della sentenza, sul 
quale si fonda la seconda massima sopra esposta e secondo cui: alla sentenza 
emessa a seguito del procedimento di prevenzione, disciplinato dalla legge 
n. 575 del 1965, avente ad oggetto la confisca di quote sociali ritenute nella 
disponibilit� di una persona diversa dall�intestatario, indiziata di appartenenza 
ad associazione di tipo mafioso, non pu� essere riconosciuto valore di giudicato 
nel processo tributario promosso dal titolare formale delle quote sociali, 
al fine di dimostrare la propria estraneit� rispetto al rapporto societario e, 
quindi, evitare l�imputazione dei redditi di partecipazione secondo quanto dispone 
l�art. 5 del D.P.R. n. 917/86. Il presupposto per l�adozione della misura 
di prevenzione antimafia, infatti, consiste nell�esistenza di un rapporto con il 
bene che include situazioni giuridiche anche formalmente non riconducibili 
alla categoria dei diritti reali, risultando, invece, sufficiente la possibilit�, da 
parte del terzo appartenente alla consorteria mafiosa, dell�utilizzo di fatto di 
un bene intestato ad altri (Corte di Cassazione, sent. 22 gennaio 2010, n. 1166, 
CED Cassazione 2010, Il Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex 24). 
Ma vediamo come la Corte di Cassazione ha nello specifico argomentato 
per giustificare la non opponibilit�, al Fisco, del giudicato formatosi nel procedimento 
di prevenzione. La struttura portante del ragionamento giudiziale 
poggia essenzialmente su due assunti. Il primo, che il Collegio ritiene di poter 
dedurre dalla preventiva disamina della giurisprudenza di legittimit�, coincide 
con la tesi in base alla quale << in materia di prevenzione non � applicabile 
il principio dell�intangibilit� della decisione, in quanto non pu� verificarsi 
una situazione di �cosa giudicata� in senso proprio >>. Il secondo assunto, 
che si fonda sui limiti soggettivi ed oggettivi del giudicato di prevenzione, 
secondo quanto disposto dall�articolo 2909 del codice civile, si risolve nella 
seguente presa d�atto: << sotto il profilo soggettivo, il soggetto che si assume 
interponente non � parte del presente giudizio. Quanto ai limiti oggettivi, la 
legislazione antimafia di cui alla L. n. 575 del 1965 prevede la confisca dei
CONTENZIOSO NAZIONALE 105 
beni che, bench� appartenenti a terzi, si trovino comunque nella disponibilit� 
del soggetto �proposto�, al fine di evitare che vengano eluse le misure patrimoniali 
che si intendono infliggere e l�organizzazione criminale o l�affiliato 
possano godere di illeciti proventi. L�unico requisito richiesto dalla citata 
legge, ai fini dell�applicazione delle misure di prevenzione del sequestro e 
della confisca, � che l�associato disponga, direttamente o indirettamente del 
bene, a nulla rilevando che ne sia o meno giuridicamente il proprietario. Vi 
�, dunque, una dilatazione del concetto civilistico di �appartenenza�, che 
viene esteso sino ad includere nella figura anche situazioni giuridiche non 
formalmente riconducibili alla categoria dei diritti reali, risultando sufficiente 
che il soggetto possa di fatto utilizzare il bene, anche se apparentemente 
appartenente a terzi>>. Secondo la Corte, per�, la controversia in 
esame riguarda una fattispecie diversa da quella appena esposta, riguarda, 
cio�, l�accertamento, relativamente al periodo d�imposta considerato, di un 
reddito di partecipazione tassabile ai fini IRPEF a carico dei soci di una societ� 
di persone. La questione dell�interposizione di persona, dunque, rispetto 
al presente thema decidendum, � stata introdotta da contribuente al solo scopo 
di negare la propria legittimazione passiva rispetto al rapporto tributario in 
questione. Una simile eccezione, quindi, a vista della Corte, non risulta pertinente, 
non essendo in discussione un accertamento ai sensi del D.P.R. n. 
600 del 1973, art. 37, comma 3, la cui disciplina risulta invocabile dagli interposti 
solo qualora, diversamente da quanto avvenuto nel caso di specie, 
<< provino di aver pagato imposte in relazione a redditi successivamente imputati 
ad altro contribuente e l�amministrazione procede al rimborso solo 
dopo che l�accertamento nei confronti dell�interponente sia divenuto definitivo 
ed in misura non superiore all�imposta effettivamente percepita a seguito 
di tale accertamento >>. Da qui la conclusione che, stante l�oggettiva differenza 
dei rapporti giuridici controversi nelle rispettive sedi, soggetto passivo 
del rapporto tributario, oggetto di tale giudizio, � il preteso interposto, il quale, 
difettando dei requisiti sopra menzionati, non pu� invocare la disciplina prevista 
dall�art. 37, commi 3 e 4 del D.P.R. n. 600/73. 
Quanto al primo assunto, � giurisprudenza costante che il principio dell�intangibilit� 
del giudicato operi, in tema di misure di prevenzione, nei limiti 
della condizione rebus sic stantibus (L. FILIPPI, Il procedimento di prevenzione 
patrimoniale. Le misure �antimafia� tra sicurezza pubblica e garanzie 
individuali, Cedam, 2002, p. 589). A tal fine � opportuno richiamare quanto 
disposto dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione nella sentenza del 7 
febbraio 2000, Madonia, richiamata nella motivazione della presente sentenza 
dalla stessa Corte. Nella causa Madonia, la Suprema Corte ha affermato che 
i provvedimenti relativi alle misure di prevenzione danno luogo ad una preclusione 
processuale tale da impedire a qualsiasi giudice di prendere cognizione 
della questione gi� decisa, in mancanza di deduzione di fatti nuovi
106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
modificativi della situazione definita allo stato degli atti. La Corte, attraverso 
tale sentenza, ha chiarito che la preclusione ha, in questo ambito, una efficacia 
pi� ristretta di quella propria del giudicato perch� include solo le questioni 
dedotte e non anche quelle deducibili, restando condizionata alla situazione 
di fatto che, solo se immutata, rende applicabile il principio del ne bis in idem. 
Secondo le Sezioni unite, dunque, i provvedimenti relativi alle misure di prevenzione 
hanno natura sostanziale di sentenza e acquistano un�intangibilit� 
relativa, divenendo suscettibile di costituire un ostacolo all�istaurarsi di un 
analogo procedimento. Nel caso di specie, la Corte ha precisato che nessuna 
preclusione deriva da un precedente rigetto della richiesta di sequestro dei 
beni dell�indiziato di appartenere ad una associazione mafiosa, in quanto nessuno 
sbarramento pu� derivare dall�esercizio di poteri cautelari del tribunale, 
essendo quello in esame un provvedimento non suscettibile di passare in cosa 
giudicata. Le Sezioni unite hanno trovato una conferma normativa di tale tesi 
nell�art. 7, comma 2, della l. 27 dicembre 1956, n. 1423, il quale dispone che 
il provvedimento applicativo delle misure di prevenzione, su istanza dell�interessato 
e sentita l�autorit� di pubblica sicurezza che lo ha proposto, pu� essere 
revocato o modificato dall�organo che lo ha emanato, quando sia cessata 
o mutata la causa che lo ha determinato. Ci�, secondo la Cassazione, costituisce 
conferma dei limiti preclusori del << giudicato di prevenzione>>, essendo 
relativa l�immutabilit� del provvedimento definito rebus sic stantibus 
che, accertando la pericolosit� sociale di una persona, non ha il crisma della 
definitivit�, poich� gli elementi non presi in considerazione sfuggono alla 
preclusione. La Corte prosegue affermando che la misura di prevenzione, poich� 
finalizzata al contenimento della pericolosit� sociale e quindi alla prevenzione 
dei reati, vista anche la sua affinit� con le misure cautelari, ha 
carattere strumentale e, dunque, ha insita la provvisoriet�. La conclusione 
alla quale le Sezioni unite giungono in materia di prevenzione ҏ l�inapplicabilit� 
del principio dell�intangibilit� della decisione, in quanto non pu� 
verificarsi una situazione di << cosa giudicata>> in senso proprio�(Cass. 
Sez. un., 7 febbraio 2001, Madonia, in Cass. pen., 2001, p. 2050; conformi 
Cass. Sez. un., 3 luglio 1996, Simonelli ed altri, in Cass. pen., 1996, p. 3609; 
Cass., sez. I, 31 marzo 1995, Seccia, in Cass. pen., 1996, p. 921; Cass., sez. 
I, 3 dicembre 1993, Labate ed altri, Cass. pen., 1995, p. 163; Cass., sez. V, 3 
febbraio 1998, Damiani, Cass. pen. 1999, p. 1599; Cass., sez II, 21 marzo 
1997, Nobile ed altri, Cass. pen. 1997, p. 3170; Cass., sez. I, 29 luglio 1993, 
Alula, Cass. pen., 1995, p. 164). 
Le teorie della giurisprudenza e della dottrina, fino ad oggi dominanti, 
per�, sono destinate a cadere di fronte alle modifiche apportate alla L. 575/65 
con la L. 25 luglio 2009 n. 94, prima, e con la L 31 marzo 2010 n. 50, poi. La 
legge 15 luglio 2009 n. 94, infatti, al comma 6 bis dell�art. 2, L. 575/65, ha 
disposto che: �le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono es-
CONTENZIOSO NAZIONALE 107 
sere richieste e applicate disgiuntamente e, per le misure di prevenzione patrimoniali, 
indipendentemente dalla pericolosit� sociale del soggetto proposto 
per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di 
prevenzione�. Ora, se le misure di prevenzione patrimoniale possono essere 
applicate a prescindere dalla pericolosit� sociale del soggetto, � chiaro che la 
tesi della Corte di Cassazione, secondo cui la sentenza resa al termine di un 
procedimento di prevenzione ha insito il carattere della provvisoriet� poich� 
accerta la pericolosit� sociale del soggetto, non pu� pi� essere condivisa. Dal 
tenore letterale della norma, difatti, si evince che, al termine di un procedimento 
di prevenzione, il giudice pu� emettere una sentenza, che disponga la 
confisca di beni, indipendentemente dalla pericolosit� sociale o meno del soggetto 
proposto. In attesa che la Suprema Corte si pronunci al riguardo e a prescindere 
dalla copiosa giurisprudenza prima riportata, la sentenza resa al 
termine del procedimento di prevenzione non potrebbe, comunque, essere 
opponibile al Fisco, come gi� disposto dal giudice di seconde cure, poich� il 
giudicato penale � opponibile al Fisco solo ove quest�ultimo si sia, ai sensi 
dell�art. 654 c.p.p., costituito parte civile nel processo penale, costituzione, 
per�, non ricorrente nel caso di specie. Ma come pu� il Fisco divenire parte 
del procedimento di prevenzione? Ai sensi dell�art. 2 ter, comma 5, della 
legge 575 del 1965 �se risulta che i beni sequestrati appartengano a terzi, 
questi sono chiamati dal tribunale, con decreto motivato, ad intervenire nel 
procedimento e possono, anche con l�assistenza di un difensore, nel termine 
stabilito dal tribunale, svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni e 
chiedere l�acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla 
confisca�. Sulla scorta di tale disposizione, si potrebbe dedurre che il terzo, 
formale intestatario dei beni, possa, nello svolgere le proprie difese, chiamare 
in causa il Fisco. Si deve per� considerare che, secondo l�interpretazione dominante, 
non solo la presenza dei terzi, formali proprietari dei beni, nel procedimento 
di prevenzione � meramente eventuale, per cui la loro mancata 
citazione non comporta la nullit� del procedimento ma una mera irregolarit� 
che, in quanto tale, non inficia n� il medesimo procedimento n� l�applicazione 
della misura di prevenzione patrimoniale, ma soprattutto, si deve considerare 
che, anche qualora il terzo fosse chiamato ad intervenire in causa e una volta 
intervenuto decidesse di chiedere l�intervento del Fisco, l�istanza da lui proposta 
potrebbe essere respinta. A ci� si deve aggiungere che la L. 31 marzo 
2010 n. 50, modificando l�art. 2 sexies, ha introdotto, attraverso il comma 15, 
la seguente statuizione: �Nelle ipotesi di confisca dei beni, aziende o societ� 
sequestrati, i crediti erariali si estinguono per confusione ai sensi dell�articolo 
1253 del codice civile�. Ora, � lecito chiedersi come i giudici, tanto di 
merito quanto di legittimit�, interpreteranno tale norma. Invero, se i crediti 
erariali si estinguono, ex art. 2 sexies, comma 15, potrebbe addirittura non 
porsi il problema dell�opponibilit� della sentenza al Fisco al quale pi� nulla
108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
� dovuto ma, poich� l�estinzione dei crediti erariali deriva dalla �confisca dei 
beni, aziende o societ� confiscati�, e, quindi, scaturisce dalla sentenza emessa 
a seguito del procedimento di prevenzione, i giudici potrebbero, ancora una 
volta, decidere per la non opponibilit� al Fisco della sentenza e, di conseguenza, 
dell�estinzione dei crediti, nel caso in cui il Fisco non avesse preso 
parte al procedimento di prevenzione. Allo stato degli atti, dunque, non esiste 
una puntuale disciplina che assicuri una piena tutela del terzo, che gli consenta, 
nello specifico, di far intervenire il Fisco nel procedimento di prevenzione, 
cos� da rendergli opponibile la decisione resa al termine del 
procedimento di prevenzione. A nostro avviso se il decreto di prevenzione � 
destinato a estinguere per confusione i crediti dell�Erario, le svariate amministrazioni 
titolari di tali crediti devono essere chiamate in giudizio, pena la 
violazione dei principi costituzionali di cui all�art. 111 della Carta. Il momento 
della chiamata in causa va individuato nella fase di merito successiva 
al sequestro di prevenzione, su rapporto dell�amministratore nominato in 
quella cautelare sede. 
Passando alla disamina del secondo assunto, sul quale la Suprema Corte 
ha fondato la motivazione della sentenza oggetto di studio, l�art. 2 ter, comma 
2 della l. 575 del 1965 richiede, ai fini dell�adozione del sequestro e della 
successiva confisca, che �risulti � che il proposto sia nella disponibilit� diretta 
o indiretta del bene, esigendo, quindi, la prova, e non semplici indizi, di tale 
disponibilit�. Siffatto presupposto non richiede che la persona nei cui confronti 
� stato iniziato un procedimento di prevenzione risulti titolare del diritto 
sul bene; la legge, infatti, richiede un requisito assai meno pregnante, quello 
cio� della disponibilit� diretta o indiretta sulla res, ossia un potere di fatto, 
sintomatico dell�effettiva appartenenza uti dominus sulla cosa. In dottrina si 
� precisato che il concetto di disponibilit� non deve necessariamente concretarsi 
in tipici istituti giuridici, essendo sufficiente che il proposto utilizzi, di 
fatto, i beni, anche se formalmente appartenenti ad altri, come se ne fosse il 
proprietario (L. FILIPPI Il procedimento di prevenzione patrimoniale. Le misure 
�antimafia� tra sicurezza pubblica e garanzie individuali, cit., p. 213 � 
214; A. GIORDA e G. SPANGHER, Codice di procedura penale commentato, 
Ipsoa 2007, p. 7610). Questo rapporto di disponibilit�, invero, si impernia su 
di una situazione di mero fatto, in virt� della quale si abbia un�utilizzazione 
autonoma del bene purch�, ai fini dell�applicazione della presente disciplina, 
non occasionale o temporanea (C. TAORMINA, Il procedimento di prevenzione 
nella legislazione antimafia, Giuffr� 1988, p. 253). In tale contesto, dunque, 
il concetto di �disponibilit� � si avvicina alla nozione civilistica di possesso, 
che si realizza anche attraverso la detenzione dei beni di propriet� altrui. Infatti, 
l�art. 2 ter, comma 5, l. 575/1965 prevede che la confisca sia possibile 
anche nel caso in cui risulti che i beni sequestrati appartengano a terzi. �Appartenenza�, 
dunque, non � sinonimo di �disponibilit��, ma sta ad indicare
CONTENZIOSO NAZIONALE 109 
la mera titolarit� formale del diritto di propriet� o di altri diritti reali o relativi 
sulla cosa, che solo apparentemente implicano la disponibilit� del bene. Pertanto, 
la formale intestazione dei beni a terzi non preclude la possibilit� del 
sequestro e della successiva confisca di prevenzione poich� il concetto di �disponibilit�� 
di cui all�art. 2 ter, comma 2, l. 575/1965, � previsto anche nella 
forma indiretta che, in concreto, consiste nella fittizia intestazione del bene 
a terzi. Ai fini del sequestro e della confisca � dunque sufficiente provare che 
il soggetto proposto possa in qualsiasi maniera determinare la destinazione o 
l�impiego del bene (L. FILIPPI Il procedimento di prevenzione patrimoniale. 
Le misure �antimafia� tra sicurezza pubblica e garanzie individuali, cit., p. 
214 � 218). 
Il Collegio, una volta trattato il tema della disponibilit� del bene, ha concluso 
sostenendo che la questione della disponibilit� diretta e indiretta del 
bene e quella relativa dell�interposizione di persona esulano dal thema decidendum 
della presente causa poich� sono state introdotte dal ricorrente al solo 
fine di escludere la legittimazione passiva rispetto al rapporto tributario in 
questione. La Corte, come gi� sopra menzionato, ha dunque negato che una 
simile eccezione possa risultare pertinente, non essendo in discussione un accertamento 
ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37. Ora, se � vero che il 
terzo interposto non possa invocare la norma ora citata nella parte in cui dispone 
che �le persone interposte, che provino di aver pagato imposte in relazione 
a redditi successivamente imputati, a norma del comma terzo, ad altro 
contribuente, possono chiederne il rimborso�, in quanto il terzo non afferma, 
n� prova di aver pagato imposte su redditi imputati ad altro contribuente, non 
� sufficientemente motivata la non applicazione, nel caso di specie, del 
comma 3 dell�art. 37 D.P.R. 600/73, il quale ordina che �in sede di rettifica 
o di accertamento d'ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono 
titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni 
gravi, precise e concordanti, che egli ne � l'effettivo possessore per 
interposta persona�. Orbene, volendo escludere l�efficacia di giudicato alla 
sentenza emessa in seguito al procedimento di prevenzione e la sua opponibilit� 
al Fisco, � possibile che una sentenza, che provi che un determinato 
bene sia nell�effettiva disponibilit� del soggetto proposto, non possa nemmeno 
configurare gli estremi di quelle presunzioni gravi, precise e concordanti, 
richieste dall�art. 37 D.P.R. 600/73, allo scopo di dimostrare che un 
determinato contribuente sia l�effettivo possessore di un bene per interposta 
persona e dunque il soggetto passivo del rapporto tributario? 
Da tutto quanto detto emerge come il terzo interposto, formale titolare 
dei beni, non goda di una piena tutela e di un pieno diritto alla difesa. E� evidente 
che il vuoto normativo � una scelta del legislatore che riflette istanze e 
preoccupazioni politico-criminali. A ben vedere, anche nelle decisioni dei 
giudici gioca un ruolo non affatto secondario l�interferenza di giudizi di va-
110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
lore, relativi al carattere illecito e moralmente riprovevole del contesto-base 
in cui la condotta si inserisce. La Corte, infatti, nel motivare la propria decisione, 
ha chiarito come il criterio della �disponibilit�� sia utilizzato �al fine 
di evitare che vengano eluse le misure patrimoniali che si intendono infliggere 
e l�organizzazione criminale o l�affiliato possano godere di illeciti proventi�. 
Sebbene i terzi intestatari di beni, siano essi estranei o parenti 
dell�effettivo possessore, possano essersi resi titolari dei beni anche volontariamente 
e fruire di questi, determinando, cos�, una concatenazione di interessi 
e, dunque, l�agevolazione dell�associazione illecita, l�intestazione di 
beni, non infrequentemente, non costituisce indice di connivenza con l�indiziato. 
Spesso, infatti, l�intestazione fittizia, si tratti di estranei o di soggetti 
di cui all�art. 2 bis, comma 2, � in pratica subita o imposta dal terzo. In questi 
casi, anche in ragione del principio dell�effettiva capacit� contributiva ex art. 
53 della Costituzione, non sembra legittimo che a pagare i tributi sui beni oggetto 
del presente studio siano i terzi che, bench� risultino i formali titolari, 
dispongano del bene solo apparentemente. E� evidente che, al fine di evitare 
che la fittizia intestazione di beni costituisca un troppo comodo marchingegno 
per eludere il sequestro prima e la confisca poi di tali beni, l�intervento preventivo 
di tipo patrimoniale sia irrinunciabile, ma, d�altra parte, non si pu� 
continuare a non tener conto di come esista una zona grigia costituita da tutti 
coloro che, bench� intestatari del bene, non solo non ne abbiano mai goduto 
ma abbiano subito l�imposizione di tale intestazione. In tal senso, un importante 
passo avanti � stato fatto con la legge 31 marzo 2010, n. 50 che, in sede 
di conversione del D.L. 4 febbraio 2010, n. 4, all�art. 2 ter, comma 5, L. 
575/65, ha aggiunto che �per i beni immobili sequestrati in quota indivisa, o 
gravati da diritti reali di godimento o di garanzia, i titolari dei diritti stessi 
possono intervenire nel procedimento con le medesime modalit� al fine dell�accertamento 
di tali diritti, nonch� della loro buona fede e dell�inconsapevole 
affidamento nella loro acquisizione�. Sebbene il limitato ambito di 
applicazione, che si estende ai soli beni immobili sequestrati in quota indivisa, 
o gravati da diritti reali di godimento o garanzia, piuttosto che, come sarebbe 
auspicabile, a tutti i beni indistintamente gravati da diritti di terzi, la norma, 
finalmente, sancisce la possibilit� per i terzi titolari di tali diritti di prender 
parte al procedimento di prevenzione, anzich� far valere i propri diritti attraverso 
incidente di esecuzione. L�art. 2 ter, comma 5, inoltre, dispone che �con 
la decisione di confisca, il tribunale pu�, con il consenso dell�amministrazione 
interessata, determinare la somma spettante per la liberazione degli 
immobili dai gravami ai soggetti per i quali siano state accertate le predette 
condizioni�. Posto che uno dei motivi principali del mancato riutilizzo dei 
beni immobili confiscati sia proprio quello della presenza su tali beni di diritti 
reali di garanzia o di godimento, la modifica introdotta permette che i beni 
immobili, una volta confiscati, possano essere destinati ad una delle finalit�
CONTENZIOSO NAZIONALE 111 
di cui all�art. 2 undecies, L. 575/65, a prescindere dal riconoscimento o meno 
dei diritti dei terzi, cui spetter� eventualmente una mera tutela risarcitoria. 
Ci� che sembra condurre ad una concreta svolta, in realt�, � la parte 
dell�art. 2 ter che oggi prevede che �quando accerta che taluni beni sono 
stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, con la sentenza che dispone la 
confisca il giudice dichiara la nullit� dei relativi atti di disposizione. Ai fini 
di cui al comma precedente, fino a prova contraria si presumono fittizi: 
a) i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei 
due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti 
dell'ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente 
convivente, nonch� dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il 
quarto grado; 
b) i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati 
nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione�. 
Orbene, qualora la sentenza emessa al termine di un procedimento di 
prevenzione, con cui il giudice abbia accertato che taluni beni confiscati siano 
stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi e attraverso la quale abbia dichiarato 
la nullit� dei relativi atti di disposizione, fosse opponibile al Fisco, 
non si porrebbero problemi di sorta circa l�individuazione del soggetto al 
quale imputare i redditi derivanti da tali beni. Alla luce delle recenti modifiche 
apportate alla L. 575/65, � chiaro che lo stato di incertezza generato dall�indeterminatezza 
della vigente normativa in materia, sarebbe superato solo attraverso 
ulteriori e mirati interventi del legislatore, il quale, tra l�altro, 
potrebbe inserire nell�art. 37 del D.P.R. 600 del 1973 un ulteriore periodo che 
specifichi che la sentenza emessa al termine di un procedimento di prevenzione 
che accerti che il bene sia nella disponibilit� di un soggetto diverso da 
quello che appare il legittimo proprietario, costituisca piena prova ai fini di 
quanto � disposto dall�art. 37, comma 3, del D.P.R. 600/73. Insomma, in sede 
di rettifica o di accertamento d'ufficio dovrebbero essere imputati al contribuente 
i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, 
al termine di un procedimento di prevenzione, che egli ne � l'effettivo possessore 
per interposta persona, salvo che, durante il procedimento di prevenzione, 
non sia dimostrato che anche il terzo interposto abbia effettivamente 
goduto della disponibilit� del bene e quindi dei redditi che da esso derivano. 
Un�ultima notazione. L�art. 53 Cost. non consente di colpire una capacit� 
contributiva fittizia, quale quella dell�apparente titolare dei beni. Pertanto, 
poich� questi non ha che la possibilit� di segnalare all�ufficio delle Entrate 
le circostanze di cui all�art. 37 co. 3 D.P.R. 600/73, mentre l�Ufficio potrebbe 
non emettere l�accertamento per un ventaglio di ragioni (prima la decadenza) 
contro il vero titolare, cos� consentendo all�apparente titolare il rimborso ex 
art. 37 co. 4, va concluso, che, a seguito della disposizione che dispone la 
estinzione dei crediti erariali sui cespiti confiscati, l�interposto possa giovarsi
112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
di tale forma di estinzione dell�obbligazione, in quanto assume la posizione 
sostanziale di garante delle obbligazioni tributarie derivate dalle situazioni 
in cui figura, cos� ottenendo il rimborso. 
Dott.ssa Sara Lucia* 
Avv. Roberto De Felice** 
Corte di cassazione, Sez. Tributaria, sentenza del 22 gennaio 2010 n. 1170 - Pres. Plenteda, 
Rel. Giacalone, P.M. Apice - R.A. (avv. Rossi Lucio Modesto Maria) c. Agenzia delle entrate, 
Ministero dell�economia e delle finanze (avv. gen. Stato). Sent. Comm.Trib. Reg. Napoli n. 
149/2004. 
(Omissis) 
Svolgimento del processo 
La controversia ha ad oggetto l'impugnativa proposta dal contribuente sopra indicato avverso 
l'avviso di accertamento in rettifica dei redditi di partecipazione IRPEF per il periodo d'imposta 
in contestazione, determinati D.P.R. n. 917 del 1988, ex art. 5 a seguito di rettifica operata 
a carico della societ� di persone di cui era socio, assumendo di essere estraneo 
all'accertamento in forza di sentenza in procedimento di prevenzione che aveva riconosciuto 
la totale disponibilit� delle quote in capo ad altra persona, effettivo possessore del reddito per 
interposte persone, costituite da tutti gli altri soci. 
La C.T.P. rigettava il ricorso; la C.T.R., con la sentenza in epigrafe, respingeva l'appello del 
contribuente, affermando che l'invocata sentenza non poteva avere alcuna efficacia probatoria, 
neanche indiziante, nel presente giudizio, posto che il procedimento di prevenzione comporta 
una valutazione a carattere essenzialmente sintomatico circa la pericolosit� sociale del proposto, 
che si fonda su indizi di qualsiasi specie idonei a sorreggere il convincimento dei giudici. 
Avverso tale decisione, la parte privata propone ricorso per cassazione, con due motivi; la 
parte erariale resiste con controricorso. 
Motivi della decisione 
Va dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero, il quale non � 
stato parte del giudizio di appello, instaurato dopo il 1 gennaio 2001 (Cass. S.U. n. 3116 e 
3118/06). 
Col primo motivo, la parte ricorrente deduce violazione dell'art. 2909 c.c., art. 654 c.p.p., 
D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 perch� la C.T.R. 
avrebbe in modo inconferente interpretato ed applicato l'art. 654 c.p.p., dato che nella specie, 
caratterizzata da confisca delle quote sociali a seguito di procedimento di prevenzione ai sensi 
della L. n. 575 del 1965, avrebbe dovuto applicarsi l'art. 2909 c.c., essendosi il Tribunale pronunciato, 
con sentenza definitiva, non sulla sussistenza di comportamenti penalmente rilevanti, 
(*) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
(**) Avvocato dello Stato.
CONTENZIOSO NAZIONALE 113 
ma sulla titolarit� di un diritto su un bene (quote sociali) con gli effetti civilistici della cosa 
giudicata; dovendosi imputare il reddito all'effettivo possessore e non al titolare meramente 
apparente e considerare, ove si voglia ricondurre la fattispecie all'art. 654 c.p.p., la contraddittoriet� 
che emergerebbe dal giudizio di prevenzione e da quello tributario in ordine alla figura 
dello Stato, non potendo l'efficacia della sentenza di accertamento della titolarit� dei beni 
confiscati essere "ripudiata" e contraddetta nel procedimento di accertamento tributario. 
La decisione impugnata resiste alle censure mosse con tale motivo. 
Invero, la controversia concerne l'accertamento di un maggior reddito sociale tassabile ai fini 
ILOR, da cui deriva necessariamente l'accertamento, relativamente al periodo d'imposta considerato, 
di un reddito di partecipazione tassabile ai fini IRPEF a carico dei soci di una societ� 
di persone (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40). Rispetto a tale 
contestazione, il socio ha sollevato la questione dell'interposizione di persona, al fine di negare 
la propria legittimazione passiva in ordine alla pretesa erariale. Pertanto, trattandosi di eccezione 
personale relativa alla posizione del socio, contribuente, che non pone in discussione 
n� l'esistenza n� la quantificazione del maggior reddito della societ� personale, non � operante 
nella specie il principio affermato nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 14815 
del 4 giugno 2008, secondo cui l'unitariet� dell'accertamento che � (o deve essere) alla base 
della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle societ� ed associazioni di cui all'art. 5 TUIR 
e dei soci delle stesse (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40) e la conseguente automatica imputazione 
dei redditi della societ� a ciascun socio proporzionalmente alla quota di partecipazione 
agli utili, indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso proposto 
da uno dei soci o dalla societ�, anche avverso un solo avviso di rettifica, riguarda inscindibilmente 
la societ� ed i soci (salvo che questi prospettino questioni personali), i quali tutti devono 
essere parte nello stesso processo, e la controversia non pu� essere decisa limitatamente ad 
alcuni soltanto di essi (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1), perch� non ha ad oggetto 
la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bens� la posizione inscindibilmente comune 
a tutti i debitori rispetto all'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, cio� gli elementi 
comuni della fattispecie costitutiva dell'obbligazione; 
trattasi pertanto di fattispecie di litisconsorzio necessario originario, con la conseguenza che 
il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti � nullo per violazione del 
principio del contraddittorio di cui all'art. 101 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 2. 
Quanto al nucleo centrale della censura, si osserva che, riguardo alla controversia in esame, 
come sopra qualificata, non � opponibile il "giudicato" che si assume derivante da Cass. Pen. 
sez. 2^, n. 1773 dep. 12.5.1999, riguardante la conferma della confisca di prevenzione nei 
confronti di R.S.. 
In primo luogo, si deve ribadire che, secondo la giurisprudenza penale di questa S.C., in materia 
di prevenzione non � applicabile il principio dell'intangibilit� della decisione, in quanto 
non pu� verificarsi una situazione di "cosa giudicata" in senso proprio (Cass. pen. S.U., 13 
dicembre 2000 n. 36, Madonia, che ha escluso proprio riguardo a misure di prevenzione patrimoniali 
la non configurabilita di un "giudicato" in senso stretto; Cass. Pen. 5^, 24 febbraio 
2003 n. 13358). 
N� pu� fondatamente invocarsi l'applicazione dell'art. 2909 c.c., ostandovi gli intuitivi limiti 
soggettivi ed oggettivi dell'assunto "giudicato" di prevenzione. 
Sotto il profilo soggettivo, il soggetto che si assume interponente non � parte del presente giudizio. 
Quanto ai limiti oggettivi, la legislazione antimafia di cui alla L. n. 575 del 1965 prevede la
114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
confisca dei beni che, bench� appartenenti a terzi, si trovino comunque nella disponibilit� del 
soggetto "proposto", al fine di evitare che vengano eluse le misure patrimoniali che si intendono 
infliggere e l'organizzazione criminale o l'affiliato possano godere di illeciti proventi. 
L'unico requisito richiesto dalla citata legge, ai fini dell'applicazione delle misure di prevenzione 
del sequestro e della confisca, � che l'associato disponga, direttamente o indirettamente 
del bene, a nulla rilevando che ne sia o meno giuridicamente il proprietario. Vi �, dunque, una 
dilatazione del concetto civilistico di "appartenenza", che viene esteso sino ad includere nella 
figura anche situazioni giuridiche non formalmente riconducibili alla categoria dei diritti reali, 
risultando sufficiente che il soggetto possa di fatto utilizzare il bene, anche se apparentemente 
appartenente a terzi. 
La controversia in esame, invece, riguarda, come si � visto, la diversa fattispecie dell'accertamento, 
relativamente al periodo d'imposta considerato, di un reddito di partecipazione tassabile 
ai fini IRPEF a carico dei soci di una societ� di persone. Rispetto al thema decidendum 
della presente controversia la questione dell'interposizione di persona � stata introdotta esclusivamente 
dal contribuente, al fine di negare la propria legittimazione; ma essa non si rivela 
pertinente, non essendo in discussione un accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, 
art. 37, comma 3. Invero, la disciplina di cui a detta disposizione risulta invocabile dagli "interposti" 
solo allorch� diversamente da quanto avvenuto nel caso di specie - provino di aver 
pagato imposte in relazione a redditi successivamente imputati ad altro contribuente e l'amministrazione 
procede al rimborso solo dopo che l'accertamento nei confronti dell'interponente 
sia divenuto definitivo ed in misura non superiore all'imposta effettivamente percepita a seguito 
di tale accertamento. 
Soggetto passivo del rapporto tributario oggetto del presente giudizio �, quindi, il preteso interposto, 
il quale, in difetto dei relativi presupposti, non pu� invocare la disciplina di cui al 
citato art. 37, commi 3 e 4 (disposizione, quest'ultima, applicabile ratione temporis all'accertamento 
in lite). Nessuna contraddizione �, quindi, prospettabile tra quanto accertato ai fini 
della misura di prevenzione patrimoniale ed il thema decidendum del presente giudizio, stante 
l'oggettiva differenza dei rapporti giuridici controversi nelle rispettive sedi. 
Con il secondo motivo, denunciando ulteriore violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 
e vizio di motivazione, la parte ricorrente lamenta che la C.T.R., pur non avendo applicato 
alla specie i principi della coerenza giuridica dei giudicati, avrebbe dovuto applicare quelli 
della coerenza logica degli stessi; avrebbe, inoltre, omesso l'esame degli argomenti dedotti 
nei motivi di appello e non avrebbe considerato che la titolarit� delle quote in capo al possessore 
effettivo si fondava su oggettivi elementi patrimoniali che hanno portato ad escluderne 
la titolarit� da parte dei soci apparenti; l'illegittima posizione assunta dalla C.T.R. le avrebbe 
impedito di effettuare quel doveroso esame e valutazione degli elementi acquisiti nel giudizio 
di prevenzione, ancorch� quali elementi presuntivi, alla quale era stata chiamata attraverso il 
ricorso in appello e che avrebbe dovuto trovare espressine in una motivazione sufficiente e 
coerente. 
La censura si rivela inammissibile, in quanto formulata in violazione del requisito dell'autosufficienza 
del ricorso per cassazione. 
Infatti, ove venga dedotto - come nella quasi totalit� dell'esposizione di tale motivo - il vizio 
della motivazione della sentenza impugnata per mancata o insufficiente od erronea valutazione 
di risultanze processuali (nella specie, contenuto degli elementi acquisiti al giudizio di prevenzione 
ed argomentazioni formulate nei motivi di appello), � imprescindibile, al fine di 
consentire alla Corte di effettuare il richiesto controllo, specialmente in ordine alla relativa
CONTENZIOSO NAZIONALE 115 
decisivit�, che il ricorrente precisi - pure mediante integrale trascrizione delle medesime nel 
ricorso (non solo con la generica indicazione di risultanza che sarebbero contrarie a quelle 
puntualmente rilevate nell'impugnata sentenza) - le risultanze che asserisce decisive e insufficientemente 
o erroneamente valutate, in quanto per il principio di autosufficienza del ricorso 
per cassazione il controllo deve essere consentito sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, 
alle cui lacune non � possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la S.C. 
accesso agli atti del giudizio di merito (Cass. 31 maggio 2006 n. 12984; Cass. 18 aprile 2007 
n. 9245; Cass. 17 luglio 2007 n. 15952, secondo cui il ricorrente che denuncia, sotto il profilo 
di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, l'omessa o erronea valutazione 
delle risultanze istruttorie ha l'onere di indicarne specificamente il contenuto). Allo stesso 
modo, quando � denunziata violazione e falsa applicazione della legge - come nel presente 
motivo rispetto al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 - e non risultano indicate anche le argomentazioni 
in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le medesime 
o con l'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimit� o dalla prevalente 
dottrina, il motivo � inammissibile, in quanto non consente alla Corte di cassazione di adempiere 
al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione. 
Non � infatti sufficiente un'affermazione apodittica (nella specie, il semplice e generico richiamo 
alla possibilit� d'imputare i redditi al contribuente effettivo - che, come si � detto, non 
� parte del presente giudizio - anche su base presuntiva, senza alcun aggancio al contenuto 
dell'impugnata sentenza) e non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa 
porre la Corte in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di 
censurare la pronunzia impugnata (v. giurisprudenza sopra citata). 
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. 
P.Q.M. 
Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero e rigetta quello contro 
l'Agenzia. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che 
liquida complessivamente in favore di entrambi i resistenti in Euro 700,00, di cui Euro 500,00 
per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge. 
Cos� deciso in Roma, il 2 dicembre 2009.
116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Alloggio di servizio e �casa coniugale� 
(Tribunale di Bari, Sez. distaccata di Altamura, ordinanza 11 maggio 2010; 
Tribunale di Bari, Sez. II civ., ordinanza 11 maggio 2009) 
Le ordinanze Tribunale di Bari, Sezione distaccata di Altamura, 11 maggio 
2010 e Tribunale di Bari, Sezione II, 11 maggio 2009, oggetto della presente 
disamina, vertono in tema di rilascio coattivo dell�alloggio di servizio. 
Entrambe dichiarano il difetto di giurisdizione del G.O. per la giurisdizione 
del G.A. e avallano l�interpretazione secondo cui l�alloggio di servizio non 
pu� assurgere a �casa coniugale�. Infatti, solo in presenza dei presupposti della 
permanenza delle esigenze di servizio - in virt� delle quali l�alloggio � concesso 
al militare - e del vincolo matrimoniale il coniuge del militare ha titolo 
alla fruizione dell�alloggio. 
Ne deriva che allorch� venga meno uno dei due presupposti (cessazione 
dell�incarico che legittima l�occupazione dell�alloggio o separazione legale 
e/o divorzio) decadono le condizioni che consentono al coniuge del militare 
di fruire dell�alloggio. La permanenza nell�alloggio di servizio da parte del 
coniuge, che non ha alcun rapporto con l�Amm.ne, ha titolo solo ed esclusivamente 
nel vincolo coniugale che lo lega al dipendente militare. Venuto meno 
il titolo dell�avente diritto all�alloggio cessa automaticamente il diritto del coniuge 
di quest�ultimo a permanere nell�unit� abitativa. 
In tale contesto si comprende come, in sede di separazione, l�alloggio di 
servizio non possa assumere rilevanza quale casa coniugale: la sentenza di separazione 
consensuale, che dovesse disporre in ordine all�assegnazione dell�alloggio 
di servizio come casa familiare, pur costituendo un assetto di 
interessi omologato da un giudice, non sarebbe comunque opponibile all�Amministrazione 
(1). 
Si tratta di un tema ancora poco affrontato dalla giurisprudenza che, considerato 
il numero dei militari assegnatari, �, tuttavia, significativamente rilevante 
anche alla luce dei nuovi scenari ermeneutici ed applicativi che l�entrata 
in vigore del codice dell�ordinamento militare sembra prefigurare. 
1. Fatto 
I casi oggetto delle due pronunce, una in sede di art. 700 c.p.c., l�altra in 
sede di opposizione a sfratto, sono similari. 
Con atto di concessione era stato affidato ad un militare l�alloggio di servizio, 
sito nella caserma sede della Compagnia dei Carabinieri e da lui occu- 
(1) Non si rinvengono precedenti editi.
CONTENZIOSO NAZIONALE 117 
pato, insieme con la propria moglie e i figli, in relazione all�incarico ricoperto 
in tale sede. 
Significativa appare la previsione espressa nell�atto di concessione che 
l�alloggio fosse concesso �nell�interesse esclusivo della Pubblica Amministrazione 
e quale elemento accessorio dell�incarico�. Inoltre l�art. 1 dell�atto di 
concessione testualmente disponeva �la concessione � sottoposta alla condizione 
risolutiva, accettata dal beneficiario, della cessazione dall�incarico o comando�; 
l�art. 2 stabiliva che l�alloggio risultava concesso �per uso esclusivo 
di abitazione propria� dell�assegnatario �e delle persone costituenti il nucleo 
familiare�; l�art. 3 prevedeva che �una volta decaduto dal diritto ad occupare 
l�alloggio, lo stesso deve essere lasciato libero entro 20 giorni� e alla lettera 
b) era sancito che l�assegnatario dell�alloggio �per tutti gli impegni assunti 
con il presente atto, obbliga in ogni pi� ampia forma di legge, se stesso e le 
persone costituenti il nucleo familiare, che hanno titolo ad occupare l�alloggio 
in questione�. 
Successivamente il carabiniere chiedeva ed otteneva il trasferimento in 
un�altra citt� (2). 
L�Amministrazione, nel frattempo, avendo interesse ad acquisire la disponibilit� 
del bene, emetteva ordinanza di rilascio dell�alloggio. 
In entrambi i casi insorgeva contro il provvedimento, ai sensi dell�art. 
700 c.p.c. nel caso esaminato dal Tribunale di Altamura e ai sensi dell�art. 624 
c.p.c. nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Bari, la coniuge separata del 
militare vantando pretese sull�alloggio che, nel secondo caso, risultava, in sede 
di separazione consensuale, assegnato alla medesima. 
Si costituiva in giudizio il Ministero della difesa eccependo il difetto di 
giurisdizione del G. O. per la giurisdizione del G. A. in sede esclusiva, il difetto 
di legittimazione attiva della ricorrente, l�inammissibilit� del ricorso e l�infondatezza 
di esso per difetto dei presupposti della tutela cautelare (3). 
In entrambi i casi il giudice ordinario ha accolto l�eccezione di difetto di 
giurisdizione. 
Nell�ordinanza del Tribunale di Altamura il giudice ha argomentato facendo 
riferimento alla natura dell�alloggio, che era stato assegnato �al coniuge 
[ �] in quanto militare in servizio [ �] per agevolare lo svolgimento delle 
sue mansioni ed assicurare una sua maggiore presenza e migliore reperibilit� 
nel luogo di prestazione della propria attivit� lavorativa�(4). 
L�ordinanza del Tribunale di Bari ha dichiarato il difetto di giurisdizione, 
(2) Nel caso deciso con l�ordinanza del Tribunale di Bari il militare otteneva anche l�assegnazione 
di un altro alloggio di servizio nella nuova sede di lavoro. 
(3) Nel caso esaminato dal Tribunale di Altamura il Ministero della difesa eccepiva altres� l�incompetenza 
territoriale della sede distaccata di Altamura in favore della competenza della sede centrale 
del Tribunale di Bari. 
(4) Trib. Bari, Sez. distaccata di Altamura, ord. 11 maggio 2010.
118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
ritenendo che �la opposizione attiene a sfratto disposto in via amministrativa 
sulla base di provvedimento di revoca dell�assegnazione dell�alloggio di servizio� 
ovvero che �il rapporto di godimento dell�alloggio trae origine da concessione 
amministrativa all�uso di beni pubblici�, rigettando l�istanza di 
sospensione dell�esecuzione in quanto �la revoca della concessione ha efficacia 
nei confronti di qualunque occupante l�alloggio�; inoltre �non � individuabile 
un titolo autonomo di godimento in capo al coniuge separato, per effetto 
del subingresso nel rapporto di godimento dell�alloggio di servizio�, e comunque 
�tale sub ingresso non potrebbe avere effetto oltre la cessazione dello 
stesso rapporto di servizio� (5). 
Il godimento dell�alloggio di servizio in tanto pu� essere mantenuto in 
quanto lo stesso spetti in dipendenza delle funzioni esercitate: la ratio � quella 
di assicurare gli alloggi al personale appartenente ai corpi militari in ragione 
delle esigenze di servizio e giammai per soddisfare mere esigenze personali, 
per cui l�alloggio � concesso nell�interesse esclusivo della Pubblica Amministrazione 
e quale elemento accessorio dell�incarico e solo in subordine come 
abitazione del dipendente e della sua famiglia (v. art. 2 D.M. 3 giugno 1989). 
La particolare natura dell�alloggio di servizio, che � bene demaniale, strumentale 
alle esigenze di difesa militare dell�Amministrazione, nonch� la natura 
concessoria dell�atto amministrativo, col quale viene assegnato ai dipendenti 
militari che prestano l�incarico relativamente ad un determinato luogo, consentono 
di ritenere che il coniuge legalmente separato non abbia alcun titolo 
autonomo per continuare a detenere l�alloggio allorch� il beneficiario che vi 
risiedeva sia assegnato ad una nuova sede di servizio incompatibile con la permanenza 
nella sede precedente. 
Sotto ulteriore profilo, si pu� affermare che l�eventuale assegnazione 
dell�alloggio come casa coniugale, nell�ambito di un procedimento di separazione 
consensuale, al coniuge del militare non � opponibile all�Amministrazione, 
atteso che l�alloggio di servizio non pu� rientrare nella nozione di casa 
coniugale, o meglio pu� considerarsi tale solo in virt� del rapporto di pubblico 
impiego che lega il militare all�Amministrazione dello Stato e solo finch� permangono 
gli obblighi derivanti dal vincolo matrimoniale (v. art. 143) . 
Quando vengono meno il legame di servizio che unisce l�alloggio al militare 
nonch� gli obblighi derivanti dal vincolo matrimoniale il coniuge e comunque 
i familiari non hanno pi� alcun titolo autonomo per continuare ad 
occuparlo. 
L�Amm.ne ha pertanto il diritto di conseguire la disponibilit� dell�alloggio 
per consentirne l�assegnazione al nuovo avente titolo, anche in virt� di quanto 
sancito dall�art. 823 c.c. che statuisce l�inalienabilit� dei beni del demanio 
(5) Trib. Bari, sez. II, ord. 15 aprile 2009.
CONTENZIOSO NAZIONALE 119 
pubblico e l� impossibilit�, in linea di principio, di formare oggetto di diritti a 
favore di terzi. 
Non a caso l�art. 306 del D.Lgs 15 marzo 2010 n. 66, codice dell�ordinamento 
militare, rubricato dismissione degli alloggi di servizio del Ministero 
della Difesa, riguarda solo �gli alloggi di servizio... non realizzati su aree ubicate 
all�interno di basi, impianti, istallazioni militari o posti al loro diretto e 
funzionale servizio� e dispone che gli stessi siano ritenuti �transitabili in regime 
di locazione ovvero alienabili anche mediante riscatto�. 
2. La natura giuridica dell�alloggio di servizio 
Secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato tutte le opere 
eseguite all�interno di basi, impianti o installazioni militari sono considerate, 
ai sensi dell�art. 5 della legge 497 del 1978, infrastrutture militari (6), quindi 
opere destinate alla difesa militare, compresi gli alloggi di servizio per il personale 
militare, essendo strutture logistiche operative funzionali all�espletamento 
delle funzioni assegnate (7) per cui esse sono soggette ad un regime 
speciale (8). 
La giurisprudenza ha contribuito a definire le opere destinate alla difesa 
militare che sono quelle cos� qualificate da una norma definitoria ovvero per 
le quali � intervenuto un formale atto di riconoscimento o di destinazione (9). 
Il problema � che non si rinviene una definizione legislativa di opera destinata 
alla difesa nazionale. 
Infatti l�art. 822 c.c. non contiene una elencazione tassativa dei beni compresi 
nel demanio militare (10). 
In particolare l�art. 2 comma 9, 10, 11 e 12 del d.p.r. 19 aprile 2005 n. 
170 contiene una elencazione esemplificativa delle infrastrutture rientranti 
nella definizione di opera destinata alla difesa militare. 
Sulla scorta di quanto affermato dalla Corte Costituzionale sulla necessit� 
di procedere all�individuazione dei criteri di qualificazione dell�opera quale 
(6) V. G. MATTEO, Art. 51. L�espropriazione per opere militari, in �Codice dell�espropriazione 
forzata�, (a cura di) R. GAROFOLI e G. FERRARI, Roma, 2008, pp. 811-32; PASTORE, Difesa (Beni destinati 
alla difesa militare), in �Enc. Dir.�, Milano, 1944, XII. 
(7) V. Cons. St., sez. IV, 28 agosto 2001, n. 4543, in �Giornale dir. Amm.�, 2001, II, 59; Cons. 
St., 28 ottobre 1999, n. 2638; Cons. St. 25 giugno 1983, n. 470, in �Foro amm.�, 1983, 1, 1318; Cons. 
St., comm. Spec., 11 maggio 2009, 1096, in �Foro amm. CDS�, 2009, 5, 1378. 
(8) V. legge n. 97 del 1978; d.m.1 marzo 1980; legge n. 831 del 1936; legge n. 472 del 1987; d. l. 
3 giugno 1989; Corte Cost., 1 aprile 1992, n. 150, in �Giur. It.�, 1993, I, 1, 1182. Per un approfondimento 
sulla natura militare degli alloggi di servizio si veda G. MATTEO, Art. 51- Espropriazione per opere militari, 
cit., 811. 
(9) Cons. St., sez. VI, 3 novembre 1999, n. 1712. 
(10) V. art. 5, l. 18 agosto 1978, n. 497; art. 1, comma 5, d.l. C.M. 10 agosto 1988; art. 2, D.P.R. 
18 aprile 1994, n. 383; art. 7, comma 1, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; art. 2, commi 9, 10, 11, 12; D.P.R. 
19 aprile 2005, n. 170.
120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
bene destinato alla difesa militare (11) � stata proposta l�applicazione cumulativa 
di criteri sia soggettivi (natura militare dell�amministrazione) sia oggettivi 
(caratteristiche e finalit� dell�opera). In particolare � stato affermato il 
principio secondo il quale �tutte le opere eseguite all�interno di basi, impianti, 
installazioni militari sono opere militari e quindi destinate alla difesa nazionale�(
12) se sono destinate, in modo esclusivo o prevalente, ad uso militare. 
Per quanto riguarda gli alloggi di servizio, l�art. 3 della legge 6 febbraio 
1985 n. 16 equipara alle opere destinate alla difesa militare le sole sedi di servizio 
e relative pertinenze necessarie a soddisfare le esigenze logistiche operative 
dell�Arma dei Carabinieri, in quanto forza permanentemente 
accasermata. 
Il problema � allora valutare le effettive esigenze di difesa e sicurezza in 
relazione alle varie tipologie destinate alla difesa militare. 
In ordine alla natura degli alloggi destinati ai militari la giurisprudenza � 
approdata a soluzioni non uniformi soprattutto relativamente alla applicabilit� 
della disciplina urbanistica ed edilizia (13). 
Si � cos� affermato, ad esempio, che gli alloggi per i militari a servizio 
delle istallazioni militari sono infrastrutture militari ai sensi dell�art. 5 della 
legge 18 agosto 1978 n. 497 solo se sono posti a diretto servizio delle istallazioni 
militari (14). 
Infatti l�alloggio di servizio situato all�interno della caserma � innanzitutto 
una struttura logistica operativa funzionale all�espletamento delle funzioni 
d�istituto ed in secondo luogo � concesso al militare per s� e la propria famiglia. 
Non a caso l�art. 2 D.M. 3 giugno 1989 testualmente riconduce la ratio 
dell�assegnazione dell�alloggio, per quanto riguarda l�Arma dei Carabinieri, 
all�esigenza di assicurare la costante ed immediata disponibilit� del titolare 
dell�incarico, nonch� l�efficienza dei servizi e la sicurezza delle caserme. Il 
G.A. ha affermato che �la ratio complessiva del sistema � quella di riconoscere 
il beneficio del godimento dell�alloggio a personale in <attivit� di servizio> 
sia per alleviare le difficolt� abitative che per salvaguardare le esigenze di 
buon funzionamento dell�amministrazione assicurando un pronto ed efficace 
utilizzo dei dipendenti nelle rispettive sedi di servizio; in ragione della stessa 
ratio della normativa in materia l�esistenza del rapporto di servizio e le esigenze 
ad esso connesse sono il presupposto per la concessione del beneficio 
dell�alloggio, ne deriva, pertanto, che qualsiasi modifica intervenga in capo 
al dipendente si riverbera sul godimento dell�alloggio che deve tornare nella 
disponibilit� dell�Amministrazione; in definitiva, la giurisprudenza ha pi� 
(11) Corte Cost., 1 aprile 1992, n. 150. 
(12) V. Cons. St., sez. IV, 16 novembre 1998, n. 1531; Cons. St., sez. V, 21 luglio 1995, n. 1112. 
(13) V. Tar Liguria, sez. I, 7 aprile 2006, n. 339. 
(14) Cons. St., sez. IV, 25 giugno 1983, n. 470.
CONTENZIOSO NAZIONALE 121 
volte ritenuto che � legittima la revoca degli alloggi da parte dell�Amministrazione 
quando vengano meno le esigenze di servizio (cfr. Cons. St., sez. IV, 13 
marzo 1998, n. 417)�(15). 
3. L�incompatibilit� intrinseca della natura dell�alloggio di servizio con la 
nozione di �casa familiare� 
Per comprendere le ragioni sottese alle pronunce in esame � necessario 
procedere ad una analisi, seppur breve, della nozione di �casa coniugale o familiare�. 
Si tratta di un istituto giuridico (16) al quale il legislatore fa espressamente 
riferimento negli artt. 155 quater c.c. e 6, 6� c. l. div. e che assume rilevanza 
nel momento in cui � acclarata, giuridicamente, la crisi del vincolo matrimoniale.
Secondo l�orientamento giurisprudenziale consolidato la casa familiare 
costituisce un insieme di beni, immobile e mobili, finalizzati all�esistenza domestica 
della comunit� familiare e all�esigenza di conservare, anche nelle fasi 
patologiche, l�habitat domestico (17), inteso quale centro di affetti e di interessi 
in cui si esprime e si articola la vita familiare (18), e deve essere intesa 
in ci� che era lo �stato duraturo e prevalente nella convivenza familiare�(19). 
Recentemente la casa familiare � stata intesa quale �bene con vincolo di 
(15) V. Tar Lazio Roma, sez. I, 1 febbraio 2008, n. 873, in �Foro amm. Tar 2008�, 2, 486. 
(16) V. E. QUADRI, L�affidamento dei figli e l�assegnazione della casa familiare: la recente riforma, 
in �Famiglia�, 2006, pp. 397 ss; E. ZANETTI VITALI, La separazione personale dei coniugi. Artt. 
155-158, in �Il Codice Civile. Commentario fondato da Piero Schlesinger e diretto da Francesco Donato 
Busnelli, App. di agg., Milano, 2006; M. DELL�UTRI, L�affidamento condiviso nel sistema dei rapporti 
familiari, in �Giur. it.�, 2006, pp. 1554 ss.; G. FREZZA, La casa (gi�) familiare, in �Trattato di diritto di 
famiglia, Agg. (2003-2006)�, Milano, 2006, pp. 209 ss., II; L. A. SCARANO, Coabitazione e casa familiare, 
Milano, 2006; M.G. CUBEDDU, L�assegnazione della casa familiare, in �L�affidamento condiviso�, 
(a cura di) S. PATTI, L. ROSSI CARLEO, Milano, 2006, pp. 181 ss.; M.G. CUBEDDU, La casa familiare, 
Milano, �Suppl. di Giustizia civile� n. 12/2005; G. FREZZA, I luoghi della famiglia, Torino, 2004; G. 
GABRIELLI, I problemi dell�assegnazione della casa familiare al genitore convivente con i figli dopo la 
dissoluzione della coppia, in �Riv. Dir. Civ.�, 2003; G. GABRIELLI, L�assegnazione della casa familiare: 
evoluzione legislativa e attuali orientamenti giurisprudenziali, in �N. giur. civ. comm.�, 1998, II; M. 
FINOCCHIARO, Casa familiare (attribuzione della), in �Enc. giur.�, Agg., vol. I, Milano, 1987, pp. 271 
ss; ; M. DI NARDO, La casa familiare nella crisi del matrimonio, in �N. giur. Civ. comm.�, 1986, II, pp. 
339 ss.
(17) G. FREZZA, Casa familiare (attribuzione della), in �Enc. giur. Dir. del Sole24ore�, Agg. Aprile, 
2009. 
(18) V. Cass., 12 gennaio 1995, n. 334, in �Giur. Civ. mass. App.�, 1995; Cass., 20 marzo 1993, 
n. 5793, in �Giur. It.�, I, 1, p. 242; Cass., 28 agosto 1993, n. 9157, �Matrimonio�, in �Foro it. Rep.�, 
1993, n. 16; Cass., 5 giugno 1990, n. 5384, in �Giust. civ.�, 1990, I, p. 2900. 
(19) Cass., 9 settembre 2002, n. 13065, in �Giust. civ. mass. App.�, 2002; Cass., 29 ottobre 1998, 
n. 10797, in �Giust. civ. mass. App.�, 1998; Cass, 17 luglio 1997, n. 6559, in �Dir. Fam.�, 1998, p. 52; 
Cass., 22 marzo 1993, n. 5793, in �Giust. civ. mass. App.�, 1993; Cass., 16 luglio 1992, n. 8667, in 
�Giust. civ.�, 1992, I, 3002; Trib. Bari, 12 luglio 1978, in �Dir. Fam.�, 1979, p. 745.
122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
finalizzazione�, �bene destinato ad uno scopo�, �vincolo di destinazione dell�immobile� 
finalizzato �alle esigenze abitative familiari�(20) . 
La specifica funzione del provvedimento di assegnazione della casa familiare 
� quella di assicurare al nucleo familiare che origina dalla separazione 
(coniuge assegnatario e figli) la conservazione dello stesso ambiente di vita 
domestica, dello stesso standard e qualit� di vita gi� goduti nel corso del matrimonio. 
Alla luce di ci�, ben si comprende, quindi, come la giurisprudenza civile 
sia concorde nell�escludere l�assegnazione della casa familiare tutte le volte 
in cui l�immobile, al momento della separazione, abbia cessato, per qualunque 
motivo, di svolgere la funzione di casa coniugale, per essersi i coniugi, uno 
solo o entrambi, gi� trasferiti altrove. 
� significativo, sotto questo profilo, il principio espresso dalla Corte di 
Cassazione nella sentenza del 9 settembre 2002 n. 13065: �Per la corretta interpretazione 
dell�art. 155, 4� comma, c.c., occorre distinguere fra due diverse 
accezioni dell�espressione casa familiare, la prima delle quali connota materialmente 
il bene immobile in cui si svolse, per un certo periodo storicamente 
concluso, la vita coniugale e familiare; la seconda significa, invece, il centro 
di aggregazione della famiglia durante la convivenza (...), ossia l�ambiente fisico 
in cui persiste, nonostante la separazione dei coniugi, l�insieme organizzato 
dei beni che costituisce, o ha costituito, anche in senso psicologico, 
l�habitat domestico che deve continuare a svolgere, preferibilmente e se possibile, 
la funzione di abitazione del nucleo composto da uno dei genitori separati 
e dalla prole. La norma in esame fa riferimento a questa seconda 
accezione�; quindi �non vՏ ragione di ricorrere all�assegnazione della casa 
ai sensi dell�art. 155, 4� comma, c.c. allorquando, per un qualsiasi motivo, al 
momento della separazione la casa familiare nel senso sopra accolto non esista 
pi��. 
L�abitualit� e la stabilit� nel godimento dell�immobile costituiscono i criteri 
cui ispirarsi nell�identificare la cosiddetta �casa familiare�, in quanto il 
provvedimento di assegnazione della casa �non pu� assolvere alla funzione 
sua propria di preservare la continuit� delle abitudini e delle relazioni domestiche 
dei figli nell'ambiente nel quale durante il matrimonio esse si sviluppavano 
in ogni caso in cui, a seguito della separazione, la casa familiare abbia 
cessato di essere tale e la prole si sia gi� definitivamente sradicata dal luogo 
in cui la sua vita domestica si svolgeva�(21). 
Ne consegue, pertanto, che pu� costituire oggetto di assegnazione esclusivamente 
�quell�immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della 
famiglia durante la convivenza, con esclusione di ogni altro immobile di cui i 
(20) Cass., S.U., 21 luglio 2004, n. 13603, in �Dir. Fam.�, p. 53. 
(21) Cass., 18 settembre 2003, n. 13736.
CONTENZIOSO NAZIONALE 123 
coniugi avessero la disponibilit� e che comunque usassero in via temporanea 
o saltuaria�(22). 
In tale quadro di riferimento si colloca l�alloggio di servizio la cui disponibilit� 
sia stata concessa ad uno dei coniugi in ragione delle specifiche funzioni 
prestate da questi in qualit� di dipendente pubblico. 
Infatti gli immobili adibiti ad alloggi di servizio non possono costituire 
oggetto di provvedimento di assegnazione della casa, attesa la peculiare natura 
giuridica dell�alloggio di servizio (che �, giova ribadirlo, bene appartenente 
al demanio militare) e la particolare connessione funzionale che lo lega al suo 
assegnatario e quest�ultimo, a sua volta, alle funzioni d�istituto che ne hanno 
determinato la necessit� di essere facilmente reperibile. 
Pertanto l�alloggio di servizio pu� essere considerato casa familiare solo 
nella fisiologia del vincolo matrimoniale, in virt� del rapporto di pubblico impiego 
che lega il militare all�Amministrazione dello Stato in ragione dell�incarico 
prestato in quella determinata sede e soltanto finch� sussistono i 
presupposti dell�atto di concessione, ovvero finch� permangono le esigenze 
che hanno precedentemente richiesto la costante presenza del dipendente nella 
sede di servizio (23). 
Allorquando venga meno, per qualunque motivo, quel legame di servizio 
che unisce l�alloggio al militare e quindi la famiglia di questi all�alloggio, il 
coniuge e comunque i familiari non hanno pi� alcun titolo autonomo per continuare 
ad occuparlo. 
In definitiva, le ordinanze che si annotano si pongono in linea, sebbene 
in termini di obiter dictum, con i principi affermati dalla giurisprudenza in ordine 
alla natura di bene demaniale dell�alloggio di servizio, optando per un�interpretazione 
funzionale dell�alloggio di servizio, che lo rende incompatibile 
con l�istituto della casa coniugale. 
4. Le controversie relative al rilascio coatto dell� alloggio di servizio 
La natura di opera destinata alla difesa militare, quindi di bene appartenente 
al demanio militare costituisce la ratio del principio, ormai consolidato 
nella giurisprudenza, circa l�attribuzione delle controversie relative al rilascio 
dei locali costituenti alloggi di servizio alla giurisdizione esclusiva del G.A.. 
� noto infatti come l�art. 5 della legge 1034 del 1971, nel devolvere alla 
competenza dei tribunali amministrativi regionali, in sede di giurisdizione 
esclusiva, i ricorsi contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione 
di beni pubblici, fa salva la giurisdizione dell�autorit� giudiziaria ordinaria 
solo relativamente alle controversie concernenti indennit�, canoni ed altri cor- 
(22) Cass., 16 luglio 1992, n. 8667. 
(23) Cons. St., sez. IV, 1 marzo 2010, n. 1167.
124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
rispettivi. 
Tale disposizione � ora riprodotta fedelmente anche nell�art. 133 comma 
1 del nuovo codice del processo amministrativo, decreto legislativo n. 104 del 
2 luglio 2010, che recita testualmente: �Sono devolute alla giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: �. b) le 
controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione 
di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennit�, 
canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque 
pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche�. 
Ne deriva che le condizioni di uso e di revoca dell�assegnazione, disciplinate 
da una specifica normativa (quale era il Decreto interministeriale del 
3 giugno 1989), sono devolute senz�altro alla giurisdizione esclusiva del G.A. 
La giurisprudenza civile e amministrativa non ha mai dubitato della pertinenza 
alla cognizione del G.A. delle controversie relative al rilascio coatto 
di alloggio di servizio precedentemente assegnato al dipendente per agevolarne 
lo svolgimento delle mansioni e assicurarne una maggiore presenza ed una 
migliore reperibilit� nel luogo di prestazione dell�attivit� lavorativa, poich� si 
tratta di questioni inerenti ad un trattamento connesso con il rapporto di pubblico 
impiego. 
In particolare la Cassazione con sentenza n. 12341 del 1995 ha affermato 
testualmente: �con riguardo ad un alloggio di servizio (nella specie, appartamento 
sito in un fabbricato di propriet� di un ente previdenziale, locato dalla 
p.a. e destinato a caserma dei carabinieri e ad alloggi per le famiglie di ufficiali 
e sottoufficiali dell�arma), assegnato in godimento al pubblico dipendente al 
fine di agevolarne lo svolgimento delle mansioni e di assicurarne una maggiore 
presenza ed una migliore reperibilit� nel luogo della prestazione dell�attivit� 
lavorativa, la controversia concernente il rilascio dell�alloggio in questione 
(promossa nell�ipotesi, dal militare per invalidare il provvedimento di revoca 
della concessione, adottato dalla p.a. a seguito di sospensione cautelare dal 
servizio del militare medesimo) rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo, in quanto inerente ad un trattamento connesso con il rapporto 
di pubblico impiego�(24). 
La stessa Corte ricorda altres� come �Questo Supremo Collegio ha gi� 
affermato (S.U. del 5 giugno 1975 n. 2236; 7 maggio 1981 n. 2953; 7 novembre 
1981 n. 5886; 15 ottobre 1982 n. 5353; 14 febbraio 1983 n. 1107; 25 gennaio 
1989 n. 425; 9 giugno 1989 n. 2781; 18 ottobre 1990 n. 10181) che 
�l�alloggio di servizio costituisce parte integrante del trattamento spettante, 
nell�ambito del rapporto di pubblico impiego, al dipendente che svolga determinate 
funzioni o sia destinato in determinate localit��, per cui l�assegnazione 
di tale alloggio �risponde al pubblico interesse del migliore svolgimento delle 
(24) Cass. S.U., 29 novembre 1995, n. 12341, in �Giust. civ. Mass.�, 1995, 11.
CONTENZIOSO NAZIONALE 125 
mansioni perseguito dall� Amministrazione con l�assicurare una maggiore presenza 
in sede ed una migliore reperibilit� del dipendente�. 
Si tratta di un costante e consolidato orientamento giurisprudenziale che 
non � venuto meno neppure a seguito del nuovo riparto di giurisdizione delineato 
dal d.lgs. 80/1998 e dalla legge n. 205 del 2000, come interpretato dalla 
Corte Costituzionale nella nota sentenza del 6 luglio 2004 n. 204; d�altra parte 
il rapporto di lavoro dei Carabinieri non � stato privatizzato (art. 3 del d.lgs. 
165/2001). 
In particolare, gi� prima della legge n. 497 del 1978, che ha dettato una 
prima regolamentazione della materia, si riteneva che nel caso di controversie 
aventi ad oggetto alloggi di servizio per il personale militare la giurisdizione 
spettasse al G.A., a meno che non si trattasse di controversie aventi ad oggetto 
indennit�, canoni o corrispettivi. 
Tuttavia in alcune pronunce era stato affermato che rientrano nella giurisdizione 
del G.A. persino le controversie in cui la misura del canone sia meramente 
consequenziale rispetto alla questione principale, vertente sulla 
qualificazione giuridica o sulla natura intrinseca dell�atto concessorio (Cons. 
St., sez. IV,. 7 dicembre 1994, n. 1741). 
Dalla novella di cui al d.lgs. 80/1998 e alla legge 205/2000 e dalla natura 
degli alloggi concessi ai militari per esigenze di servizio come beni demaniali 
e patrimoniali indisponibili deriva che spetta necessariamente all�Amministrazione 
della Difesa il potere di autotutela sugli atti di assegnazione e al G.A. la 
giurisdizione sulle controversie relative alla tutela della situazione soggettiva 
del concessionario di fronte all�esercizio di tale potere (25), qualificabile come 
interesse legittimo. In termini si richiama l�orientamento del G.A secondo cui 
l�interesse a godere dell�alloggio concesso �assume i contorni dell�interesse 
legittimo nei rapporti con l�Amministrazione, dotata del potere di disporre la 
revoca dell�originaria assegnazione per ragioni di preminente interesse pubblico� 
(v. Tar Sardegna Cagliari, 1 dicembre 1998, n. 1202; Tar Lazio Roma, 
sez. I, 10 maggio 2006, n. 3432 (26)). 
Pertanto, qualora non sussistano pi� i presupposti per la concessione 
dell�alloggio di servizio, il quale risulti occupato senza titolo, l�Amministrazione 
ha il diritto di riacquistarne la disponibilit� ai fini dell�assegnazione ad 
altri militari aventi titolo. 
La ragione dell�attribuzione della cognizione di tali controversie alla giurisdizione 
del G.A. pu� essere rintracciata anche nella genesi della procedura 
(25) V. Cons. St., sez. IV, 2 marzo 2007, n. 1382, in �Foro amm. CDS�, 2007, 3, 877; Tar Liguria 
n. 857 del 2005; Tar Campania Napoli, sez. VI, 14 gennaio 2005, n. 8, in �Foro amm. TAR�, 2005, 1, 
207; Tar Lazio, sez. I, 1 giugno1983, n. 477. 
(26) Tar Sardegna Cagliari, 1 dicembre 1998, n. 1202, in �Massima redazionale�, Giuffr�, 1999, 
Tar, 1999; Tar Lazio Roma, sez. I, 10 maggio 2006, n. 3432, in �Foro amm. Tar 2006�, 5, 1692.
126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
per il rilascio coatto di un alloggio di servizio che � riconducibile anche alla 
materia del pubblico servizio. 
In definitiva deve ritenersi ormai consolidato in giurisprudenza l�orientamento 
che riconosce la giurisdizione del G.A., giurisdizione esclusiva, sulle 
controversie attinenti al rilascio degli alloggi di servizio (27). 
5. Il decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010: orientamenti esegetici ed 
applicativi alla luce del codice dell�ordinamento militare 
Il 15 marzo 2010 sono stati emanati il d.lgs. 66, recante il codice dell�ordinamento 
militare, e il D.P.R. n. 90, T.U. delle disposizioni regolamentari, 
destinati a sostituire le numerose leggi primarie e i vari regolamenti finora applicabili. 
Il Governo ha cos� recepito le indicazioni provenienti dal Consiglio di 
Stato (28) e dal Presidente del Consiglio dei Ministri (29) e orientate verso la 
necessit� di un riordino della normativa esistente in materia di ordinamento 
militare, costituita da un elevato numero di fonti, alcune delle quali risalenti 
addirittura all�Ottocento. 
Il codice dell�ordinamento militare � costituito da nove libri e disciplina 
aspetti che spaziano dall�organizzazione dell�ordinamento militare alla disciplina 
dei beni, dall�amministrazione alla contabilit�, dal personale militare, 
civile e ausiliario, al trattamento economico, assistenziale e previdenziale (la 
stessa articolazione la si ritrova nel testo unico regolamentare). 
Nonostante la nobile intenzione del legislatore di semplificare la normativa 
dell�ordinamento militare, inserendola appunto in un unico corpus, il codice 
� comunque costituito da un notevole numero di articoli (2.272). 
Il risultato raggiunto pu� essere comunque considerato soddisfacente, 
poich� la complessit� propria dell�ordinamento militare, che � un �ordinamento 
normativo multilivello�, caratterizzato da un elevato grado di dettaglio 
(30), imponeva un atteggiamento prudente nella ridefinizione della disciplina. 
D�altra parte l�adozione di un codice dell�ordinamento militare costituisce 
una scelta legislativa perfettamente in linea con i principi costituzionali in ma- 
(27) V. Tar Lazio Roma, 9 febbraio 2009, n. 1313, in �Foro amm. TAR�, 2009, 2, 428; Cons. St., 
sez. IV, 22 marzo 2007, n. 1382, in �Foro amm. CDS�, 2007, 3, 877; Tar Sicilia Palermo, sez. II, 7 aprile 
2004, n. 639, in �Foro amm.�, 2004, 1190; Tar Sicilia Catania, 20 gennaio 2004, n. 45, in �Foro amm. 
TAR�, 2004, 204; Tar Sardegna Cagliari, 17 ottobre 2003, n. 1276; Cass. civ., S.U., 16 gennaio 2003, 
n. 594; Cons. St., sez. IV, 31 marzo 1999, n. 1999; Tar Puglia Lecce, sez. II, 14 settembre 1998, n. 626. 
(28) Cons. St., sez. normativa, parere 21 maggio 2007, n. 2024/07, in �Foro it.�, Rep. 2007, voce 
Amministrazione dello Stato, nn. 178, 181, 211 e �Giurisdiz. Amm.�, 2007, I, 868. 
(29) Relazione concernente la ricognizione della legislazione statale vigente, presentata al Parlamento 
il 14 dicembre 2007. 
(30) V. POLI, Il codice dell�ordinamento militare e il t.u. delle disposizioni regolamentari in materia 
di ordinamento militare, in �Il Foro it. �, 2010, pp. 245 a 250.
CONTENZIOSO NAZIONALE 127 
teria, soprattutto con l�art. 52 comma 3 della Costituzione, secondo il quale 
�L�ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della 
Repubblica�. 
Criteri ordinatori della disciplina in esame sono l�autonomia dell�ordinamento 
militare rispetto agli altri settori dell�ordinamento giuridico e il riconoscimento 
delle specifiche esigenze funzionali proprie degli strumenti 
militari. 
Entrambi i principi sono rinvenibili nella nuova disciplina specifica degli 
alloggi di servizio del personale militare, i cui articoli, cos� come formulati, 
recepiscono pienamente le conclusioni alle quali era gi� pervenuta la giurisprudenza 
in materia di giurisdizione. La regola � quella, ora codificata nell�art. 
231 commi 1 e 4, che �tutti gli alloggi di servizio per il personale militare 
realizzati su aree ubicate all�interno di basi, impianti, installazioni militari o 
posti al loro diretto e funzionale servizio�, essendo �infrastrutture militari� 
destinate alla difesa nazionale, appartengono al demanio militare. 
Passando all�esame degli articoli del codice relativi agli alloggi di servizio, 
deve farsi riferimento innanzitutto alla sezione I intitolata �Alloggi di tipo 
economico �, in particolare al capo VII. 
L�art. 279 distingue varie classi di alloggi di servizio di tipo economico, 
tra le quali vengono espressamente individuati gli alloggi di servizio gratuito 
per consegnatari e custodi (ASGC), connessi all�incarico, con o senza annessi 
locali di rappresentanza (ASIR-ASI), e gli alloggi di servizio di temporanea 
sistemazione per le famiglie dei militari (AST). 
Il carattere della temporaneit� � testualmente richiamato in relazione ai 
terzi: �gli alloggi di servizio di temporanea sistemazione per le famiglie dei 
militari di cui al comma 1, lettera c), dell�articolo 279, sono assegnati in base 
a criteri di rotazione e secondo modalit� stabilite con il regolamento, al personale 
che presta servizio nella localit� in cui � situato l�alloggio� (art. 283). 
Gli alloggi di servizio connessi all�incarico, invece, sono assegnati al personale 
militare dipendente cui sono affidati incarichi che �richiedono l�obbligo 
di abitare presso la localit� di servizio�, e la concessione decade �con la cessazione 
dall�incarico dal quale l�utente trae titolo� (art. 281 comma 1 e 4). 
Anche la concessione degli alloggi di servizio gratuito per consegnatari e custodi 
�scade con la cessazione dell�incarico dal quale l�utente trae titolo� (art. 
280). 
Dunque anche per queste tue tipologie di alloggi permane il carattere 
della temporaneit�, seppur dipendente e connessa al permanere dell�incarico 
specificatamente qualificato. 
Relativamente al regime cui � assoggettata l�assegnazione degli alloggi 
� sancito che �per tutto quanto non previsto nella presente sezione e nelle relative 
norme regolamentari, l�assegnazione degli alloggi � assoggettata al regime 
delle concessioni amministrative� (art. 290). 
128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
La disciplina della costituzione, classificazione e destinazione degli alloggi 
di servizio di tipo economico trova una regolamentazione pi� dettagliata 
nelle disposizioni del Capo I, Titolo III, del D.P.R. n. 90. 
In particolare la sezione IV � dedicata alla cessazione, decadenza e revoca 
delle concessioni, alle proroghe e al recupero degli alloggi. 
Infatti l�art. 329 prevede espressamente che �la concessione di qualsiasi 
tipo di alloggio cessa con la perdita del titolo del quale la stessa abbia avuto 
luogo�. Costituiscono motivo di perdita del titolo, tra l�altro, la cessazione 
dell�incarico per il quale � stato concesso l�alloggio ASGC, ASIR e ASI e, limitatamente 
al concessionario di alloggio AST, il trasferimento in altra sede, 
fatte salve le movimentazioni nell�ambito della stessa circoscrizione alloggiativa, 
o l�imbarco su unit� navale ascritta ad altra sede, ottenuto a domanda, 
previa acquisizione del parere tecnico della competente commissione di controllo 
per gli alloggi (art. 331 commi 1, 4 e 5). 
Nell�ambito degli alloggi di servizio per il personale militare dell�Arma 
dei Carabinieri vengono individuate ulteriori specifiche categorie (v. art. 295 
comma 1): gli alloggi di servizio gratuiti connessi all�incarico, la cui concessione 
decade �con la cessazione dell�incarico�, ASGI, e gli alloggi di servizio 
in temporanea concessione, ASTC (v. art. 295 comma 2). Viene nuovamente 
ribadita, quindi, la natura temporanea della concessione, espressamente oppure 
in relazione funzionale alla durata dell�incarico. 
La disciplina attuativa degli alloggi di servizio dei carabinieri si ritrova 
nel Capo II del D.P.R. n. 90, dagli artt. 362 a 397, i quali regolamentano la 
classificazione delle due tipologie di alloggi proprie dell�Arma dei Carabinieri. 
Gli alloggi ASGI, i quali sono assegnati �ai titolari degli incarichi al fine di 
assicurare la loro costante e immediata disponibilit�, nonch� l�efficienza dei 
servizi e la sicurezza delle caserme� (art. 363). 
La concessione degli alloggi ASTC dura 8 anni, � rinnovabile per una 
sola volta e in caso di trasferimento in comune limitrofo al comune di sede 
dell�alloggio, la concessione cessa al termine del novantesimo giorno dalla 
data di effettuazione del movimento del militare, o dalla data in cui avrebbe 
dovuto effettuarsi ed � prorogata fino al termine dell�anno scolastico in corso 
in caso di trasferimento del concessionario con figli a carico aventi obblighi 
di studio (art. 371). La concessione cessa con la perdita del titolo in virt� del 
quale la stessa ha avuto luogo; costituiscono motivi di perdita del titolo, tra 
l�altro, il termine della durata della concessione di alloggi di servizio in temporanea 
concessione, la cessazione dal servizio attivo e il trasferimento in altra 
sede.
Sotto ulteriore profilo, in relazione alla previsione di un programma pluriennale 
per la costruzione, ristrutturazione e acquisto degli alloggi di servizio 
costituenti infrastrutture militari e opere destinate alla difesa nazionale, si distinguono 
tre tipi di alloggi: gli alloggi da assegnare al personale per il periodo
CONTENZIOSO NAZIONALE 129 
di tempo in cui si svolgono particolari incarichi di servizio richiedenti la costante 
presenza del titolare nella sede di servizio; gli alloggi da assegnare per 
una durata determinata e rinnovabile in ragione delle esigenze di mobilit� e 
abitative; gli alloggi da assegnare con possibilit� di opzione di acquisto mediante 
riscatto (v. art. 297). 
Pertanto, la temporaneit� caratterizza anche queste tipologie di alloggi, 
essendo esplicitamente richiamata per le prime due categorie, le quali richiamano 
quelle di cui agli artt. 279, 281 e 283 del codice dell�ordinamento militare. 
Infine, l�art. 306, rubricato �Dismissione degli alloggi di servizio del Ministero 
della difesa�, (capo I, titolo IV �Valorizzazione e dismissione di beni 
immobili e mobili�), riferendosi agli alloggi di servizio �non realizzati su aree 
ubicate all�interno di basi, impianti, installazioni militari o posti al loro diretto 
e funzionale servizio�, quindi non necessari (cio� ad una ipotesi residuale rispetto 
all�oggetto dell�intera disciplina ex art. 231), consente che, nella misura 
in cui tali alloggi sono ritenuti inutili dalla pubblica amministrazione (tanto 
da poter essere locati o alienati), su questi possa essere mantenuta, in relazione 
a parametri reddituali da individuare, la conduzione in capo agli utenti degli 
alloggi di servizio, ancorch� si tratti di personale in quiescenza o di coniuge 
superstite non separato n� divorziato, ovvero, se legalmente separato o divorziato, 
ovvero titolare, in virt� del provvedimento di separazione o di divorzio, 
ovvero del provvedimento giudiziale provvisorio, del diritto all�assegnazione 
dell�alloggio adibito a residenza familiare, purch� non siano proprietari di altro 
alloggio di certificata abitabilit� (per una disciplina pi� dettagliata si veda l�art. 
403 del D.P.R. n. 90) 
Il dato positivo incontrovertibile � l�espressa qualificazione degli alloggi 
di servizio di cui all�art. 231 del d.lgs. 66/2010 come appartenenti al demanio 
militare in virt� della loro peculiare natura funzionale, e soggetti, quindi, ad 
una concessione amministrativa caratterizzata dalla temporaneit�, per espressa 
previsione legislativa o per connessione funzionale con lo specifico incarico. 
In altri termini il dato positivo conferma l�inconciliabilit� dell�alloggio di servizio 
con l�istituto dell�assegnazione della casa coniugale. 
Avv. Grazia Matteo* 
Dott.ssa Mariagiovanna Zubbo** 
(*) Avvocato dello Stato. 
(**) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato.
130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Tribunale di Bari, Sezione distaccata di Altamura, ordinanza dell�11 maggio 2010 - Giudice 
monocratico Errede. 
(Omissis) 
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato il 20.10.2009 A. G. chiedeva all'intestato Tribunale 
di voler "disporre alla Amministrazione della Difesa, Al Comando Regionale dei Carabinieri 
Puglia ed al Comandante della Stazione dei Carabinieri di Altamura quei provvedimenti opportuni 
e necessari per la tutela dei diritti della parte ricorrente in particolare rinviando l'eventuale 
rilascio dell'alloggio all'esito dell'udienza presidenziale e dei conseguenti provvedimenti 
urgenti ed indifferibili in ordine alla casa coniugale ed all'affido dei figli. Con termine per 
l'avvio del procedimento di merito nei confronti del coniuge S. O. teso all'ottenimento del risarcimento 
dei danni morali e materiali che il suo comportamento sta causando all'istante ed 
ai suoi figli. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio". Deduceva la ricorrente 
che aveva contratto matrimonio concordatario il 12.08.1989 con S. O., brigadiere dei carabinieri, 
dal quale erano nati due figli, V. e A., quest'ultimo minore, che il proprio coniuge dal 
14.12.2008 si era allontanato dalla casa coniugale costituita dall'alloggio di servizio sito in 
Altamura alla via (omissis) chiedendo ed ottenendo il trasferimento al (omissis) e l'assegnazione 
di un nuovo alloggio di servizio nella nuova sede di lavoro, che in data 29.09.2009 le 
era stato notificato ricorso per separazione giudiziale con addebito nel quale il S. chiedeva 
l'assegnazione dell'alloggio occupato dalla ricorrente e dai figli, che il Comando Interregionale 
dei Carabinieri aveva disposto il rilascio di quell'alloggio di servizio disponendo a richiesta 
del S. un differimento del rilascio sino al 01.09.2009, ci� dedotto la ricorrente prospettandone 
i presupposti del fumus, relativamente al diritto di occupare l'alloggio quale casa coniugale, 
e del periculum in mora, derivante dal rilascio dell'alloggio specie per il figlio minore, invocava 
tutela cautelare urgente al fine di rinviare l'eventuale rilascio dell'alloggio. 
Resisteva il Ministero della difesa eccependo il difetto di giurisdizione del Tribunale adito 
per essere la relativa controversia devoluta alla cognizione del giudice amministrativo in sede 
esclusiva, l'incompetenza territoriale della sezione distaccata di Altamura in favore della competenza 
della sede centrale del Tribunale di Bari, quale giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio 
dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, il difetto di legittimazione attiva della ricorrente, 
l'inammissibilit� del ricorso e l'infondatezza di esso per difetto dei presupposti della cautela, 
concludendo per la declaratoria del difetto di giurisdizione, dell'incompetenza territoriale, di 
inammissibilit�, improponibilit� del ricorso ovvero per il suo rigetto, il tutto con vittoria di 
spese, competenze ed onorari. 
Resisteva, inoltre, S. O. eccependo l'inammissibilit� del ricorso, difettando il presupposto 
della residualit� del rimedio ex art. 700 c.p.c per avere l'ordinamento predisposto nell'ambito 
del procedimento di separazione i rimedi tipici rappresenti dai provvedimenti presidenziali, e 
nel merito l'infondatezza del ricorso di cui chiedeva il rigetto. 
L'eccezione preliminare di difetto di giurisdizione del Tribunale adito sollevata dal Ministero 
resistente � fondata. 
Rileva il giudicante, infatti, nel caso di specie trattasi di controversia relativa al rilascio dell'alloggio 
di servizio assegnato al coniuge S. O. in quanto militare in servizio presso i CC di 
Altamura per agevolare lo svolgimento delle sue mansioni ed assicurare una sua maggiore 
presenza e migliore reperibilit� nel luogo di prestazione della propria attivit� lavorativa, con 
atto di concessione del Comando Regione Carabinieri Puglia del 1 dicembre 2003 (cfr. doc. 
3 fascicolo Ministero resistente).
CONTENZIOSO NAZIONALE 131 
Ne deriva che rilevando una questione inerente un rapporto di concessione di uso di beni pubblici 
e non avendo la ricorrente titolo autonomo per continuare ad usare il bene, essendo venuti 
meno i presupposti di cui al Decreto interministeriale dell'interno e della difesa datato 
03.06.1989 (relativo alla disciplina dell'assegnazione degli alloggi di servizio gratuiti connessi 
all'incarico del S.), n� avendo la ricorrente prospettato una carenza di potere in astratto o in 
concreto relativamente all'intimato rilascio dell'alloggio, deve affermarsi la giurisdizione del 
giudice amministrativo. 
La particolarit� della vicenda e delle questioni interpretative trattate impone la totale compensazione 
delle spese di questo giudizio. 
PQM 
Visti gli artt. 700 e 669 septies c.p.c, dichiara il proprio difetto di giurisdizione in favore del 
giudice amministrativo competente a conoscere della domanda cautelare presentata con ricorso 
depositato il 20.10.2009 da A. G. 
Spese compensate per intero. 
Manda alla cancelleria per le comunicazioni di rito 
Altamura, 08.05.2010 
Tribunale di Bari, II Sezione civile, ordinanza dell�11 maggio 2009 - Giudice dell�esecuzione 
Di Lalla. 
(Omissis) 
II Giudice della Esecuzione, 
letti gli atti relativi del procedimento promosso da D. L. nei confronti della Amministrazione 
della Difesa; 
rilevato che la opposizione attiene a sfratto disposto in via amministrativa sulla base di provvedimento 
di revoca della assegnazione dell'alloggio di servizio; 
considerato che il rapporto di godimento dell'alloggio trae origine da concessione amministrativa 
dell'uso di beni pubblici, si che ogni controversia in ordine al rilascio, in dipendenza 
di eventuali vizi del provvedimento di revoca della concessione, rientra nella giurisdizione 
del giudice amministrativo; 
ritenuto che non residui spazio per la giurisdizione del giudice ordinario, atteso che: a) la revoca 
della concessione ha efficacia nei confronti di qualunque occupante l'alloggio; b) non � 
configurabile, n� viene prospettata, ipotesi di carenza assoluta di potere nella adozione del 
provvedimento; e) non � individuabile un titolo autonomo di godimento in capo al coniuge 
separato, per effetto del subingresso nel rapporto di godimento dell'alloggio di servizio; d) 
comunque tale subingresso non potrebbe avere effetto oltre la cessazione dello stesso rapporto 
di servizio; 
ritenuto che, per le stesse ragioni, non possano essere adottati da parte del giudice ordinario 
provvedimenti di differimento dell'esecuzione in applicazione dei benefici previsti in materia 
dalla disciplina delle locazioni urbane; 
PQM 
rigetta la istanza di sospensione della esecuzione e per l'effetto revoca il decreto di sospensione 
del 25 marzo 2009; 
fissa il termine di giorni trenta per la instaurazione del giudizio di opposizione. 
Bari, 15 aprile 2009
132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Ammissibilit� della costituzione di parte civile 
nei confronti dell�ente imputato ex d.lgs. n. 231/01 
(Tribunale di Milano, Sezione IV Pen., ordinanza 16 settembre 2010) 
Per la prima volta, con la pronuncia che si pubblica di seguito, il Tribunale 
di Milano ha ammesso al dibattimento la costituzione di parte civile nei confronti 
dell�ente chiamato a rispondere ex d.lgs. n. 231 del 2001. 
L�ordinanza � stata emessa nel procedimento, noto per l�interesse che ha 
destato sugli organi di informazione, relativo alle c.d. quote latte. 
Gli imputati persone fisiche venivano tratti a giudizio ex artt. 110, 640 II 
c. e 314 c.p. perch�, ricoprendo cariche apicali nelle societ� imputate ai sensi 
del d.lgs. n. 231 del 2001, si appropriavano di somme e aggiravano gli obblighi 
di versamento del prelievo supplementare, inducendo in errore gli enti pubblici 
preposti alla gestione e al controllo del regime delle quote latte, procurando a 
loro stessi e alle citate societ�, nonch� ai produttori che a queste avevano conferito 
latte, un ingiusto profitto costituito dall�importo di prelievo non versato 
pari a una somma complessiva particolarmente cospicua. 
La difesa erariale, nell�interesse di Agea, chiedeva la costituzione di parte 
civile nei confronti delle persone fisiche e delle societ� imputate. 
Giova soffermarsi, seppure sinteticamente, sulle ragioni dedotte a sostegno 
della richiesta costituzione di parte civile nei confronti degli enti collettivi. 
L�art. 185 c.p. vincola alla responsabilit� civile chi abbia commesso un 
reato dal quale scaturiscano conseguenze patrimoniali o non patrimoniali. 
E� stato sostenuto in giurisprudenza che, siccome il d.lgs. n. 231 del 2001 
non introduce un illecito penale, l�ente non potr� essere chiamato a rispondere 
delle conseguenze civilistiche di un illecito penale che non pu� commettere. 
Pertanto potr� essere citato esclusivamente in qualit� di responsabile civile ai 
sensi degli artt. 83 s. c.p.p. 
L�assunto non persuade dal momento che la qualificazione dell�illecito 
come amministrativo non � di per s� stringente n� vincolante. A sostegno di 
ci�, � spontanea l�invocazione alle misure di sicurezza definite amministrative 
dal codificatore, ma sulla cui natura penalistica non si dubita. 
Come per le misure di sicurezza, al di l� del nomen juris, assumono rilievo 
le regole del processo e l�autorit� competente a emettere la decisione. 
Inoltre, nella fattispecie, il quid tutelato � costituito dal bene giuridico del 
reato-presupposto della responsabilit� dell�ente. 
Il sistema di imputazione della responsabilit� in capo alla persona morale, 
tendenzialmente a rimbalzo, opera nella conclamata ipotesi di commissione 
di un illecito penale nell�interesse o vantaggio dell�ente collettivo. E� pertanto
CONTENZIOSO NAZIONALE 133 
imprescindibile, sotto il profilo della lesione del bene giuridico tutelato, un 
rapporto di pregiudizialit� fra il reato e l�illecito dell�ente. 
Coincidendo i beni giuridici tutelati, non vi � fondata giustificazione per 
ritenere che il legislatore individui nella condotta umana un reato e, di contro, 
un�infrazione amministrativa per l�ente collettivo. 
Ma anche nell�ipotesi in cui si volesse ritenere che il d.lgs. cit. introduce 
una responsabilit� amministrativa (e non penale) dell�impresa, si ritiene che 
la costituzione di parte civile nei confronti dell�ente collettivo sia ammissibile. 
Il provvedimento di riforma del 2001 configura indubbiamente una nuova 
ipotesi di illecito che pu� essere fonte di responsabilit� civile. 
E� il combinato disposto dell�art. 2043 c.c. e del d.lgs. n. 231 del 2001 ad 
ammettere l�esercizio dell�azione civile che potr� proporsi nelle forme del giudizio 
civile oppure nel processo a carico della societ� davanti al giudice penale. 
La costituzione di parte civile non costituisce altro che l�esperimento della 
pretesa civilistica di tipo aquiliano nascente da un illecito per il quale � competente 
il giudice penale. A ci� non si oppone l�art. 185 c.p., specificazione 
dell�art. 2043 c.c., per il quale certamente non � invocabile il divieto di analogia 
giacch� non viene a costituire norma penale, pur essendo prevista dal 
Codice Rocco, ma civile in quanto disciplina la responsabilit� risarcitoria. 
A sostegno della tesi proposta si fa richiamo alle norme di chiusura del 
mini-codice della responsabilit� dell�ente che prevedono, nel procedimento 
relativo a illeciti amministrativi dipendenti da reato, l�osservanza delle disposizioni 
del codice di procedura penale (art. 34 d.lgs. cit.) nonch� l�applicazione 
delle disposizioni relative all�imputato in quanto compatibili (art. 35). 
A fronte della richiesta presentata da Agea, e altres� dalla Regione Lombardia, 
il Tribunale ha ammesso la costituzione di parte civile con motivazione 
convincente che fa richiamo alla natura della �responsabilit� da reato�, introdotta 
dal d.lgs. n. 231/01 per igli enti collettivi, e alle esigenze di tutela della 
vittima cui � preposto altres� il superamento del principio societas delinquere 
non potest. 
Per scrupolo difensivo, l�Agenzia chiedeva in giudizio la citazione delle 
societ� imputate indicate in epigrafe in qualit� di responsabili civili. 
Citazione del responsabile civile e costituzione di parte civile nei confronti 
delle societ� sopra indicate non sono incompatibili giacch� presuppongono 
responsabilit� differenti. L�una indiretta, ai sensi dell�art. 2049 c.c., in 
ragione del rapporto che lega l�imputato all�ente; la seconda diretta con riguardo 
all�autonoma responsabilit� del soggetto collettivo a titolo di illecito 
amministrativo dipendente da reato. 
Potrebbe in ipotesi configurarsi, essendo autonomi gli illeciti contestati 
a societ� e imputati, l�assoluzione dei secondi e la responsabilit� dell�impresa. 
E� dunque giustificata la richiesta contestuale di costituzione di parte civile e
134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
citazione del responsabile civile nei confronti delle sopra menzionate societ�. 
Il Tribunale ha escluso la citazione in qualit� di responsabile civile con 
motivazione non del tutto convincente. 
Ad avviso del Collegio citazione del responsabile e costituzione di parte 
civile costituirebbero una sorte di duplicazione. 
L�affermazione pu� essere condivisa in ossequio al principio di concentrazione, 
ma non per le ragioni addotte dal Tribunale. 
Secondo i giudici di merito, va escluso che �il medesimo soggetto sia 
chiamato a rispondere civilisticamente oltre per fatto proprio (come si � ritenuto), 
anche per fatto altrui�. 
La motivazione, ove interpretata letteralmente, rischia di rappresentare 
un passo avanti rispetto alla precedenza giurisprudenza, nell�ammettere la costituzione 
di parte civile, e contestualmente un pericoloso passo indietro, nell�escludere 
la responsabilit� indiretta dell�ente. 
Vi � motivo di ritenere che la pronuncia vada interpretata nel senso che 
la esclusione della citazione di parte civile sia dettata dall�esigenza di rispettare 
il principio di ragionevole durata del giudizio, ossia volta a non ritardare l�inizio 
del dibattimento con riguardo a un soggetto che � gi� in causa. Pertanto, 
viene consentito alla parte civile di dispiegare, al contempo, con la predetta 
costituzione, tanto l�azione risarcitoria per la dedotta responsabilit� autonoma 
dell�ente ex art. 2043 c.c., quanto quella per responsabilit� indiretta dell�ente, 
ai sensi dell�art. 2049 c.c. 
Si realizza cos� una esigenza di concentrazione finalizzata ad assicurare 
la pi� ampia gamma di tutela alla persona offesa. 
Avv. Francesco Vignoli* 
Tribunale di Milano, Sezione IV penale, ordinanza del 16 settembre 2010 - Pres. Magi. 
(Omissis) 
OSSERVA 
1) La richiesta di esclusione della costituzione di parte civile nei confronti delle persone giuridiche 
poggia sull'osservazione della assenza di tale istituto nel corpo sistematico del d.l.vo. 
231/2001. A sostegno della presente istanza, le parti hanno richiamato l'ordinanza del GUP 
dr.ssa Di Censo in data 01.03.2010 che ha concluso per l'inammissibilit� della costituzione di 
parte civile nei confronti delle persone giuridiche. 
Ritiene il Collegio che gli argomenti spesi nella suddetta ordinanza, seppure pregevoli, non 
siano condivisibili. E ci� in forza di un'interpretazione sistematica e parallela delle norme che 
disciplinano la responsabilit� amministrativa dell'ente e delle norme processualpenalistiche 
Si tratta di profilo che - a parere del Tribunale - non involge alcuna analogia in malam partem 
(*) Avvocato dello Stato, presso l�Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano.
CONTENZIOSO NAZIONALE 135 
limitandosi a toccare aspetti ermeneutici. 
Come � noto, la questione � stata trattata ormai in varie pronunce di merito, con risultati contrastanti. 
L'orientamento seguito da questo Tribunale poggia sulla formulazione del giudizio 
di compatibilit� delle norme relative alla costituzione di parte civile rispetto al sistema di responsabilit� 
delle persone giuridiche introdotto dal ben noto d.l.vo 231/2001. Giudizio l� cui 
formulazione � richiesta dal combinato disposto degli artt. 34 e 35 del suddetto D.L.vo. Il richiamo 
alla applicabilit� delle norme del codice di procedura penale in quanto compatibili 
viene ad introdurre il ventaglio degli istituti processualpenalistici nel corpo dell'apparato normativo 
di cui al D.L.vo 231/2001, con il filtro del giudizio di compatibilit�. 
Orbene il richiamo dell'art. 34 rimanda direttamente al contenuto dell'art. 74 cpp e da qui, 
pare potersi altrettanto affermare, al contenuto dell'art. 185 cp. 
In altre parole, ritiene questo Tribunale che il tracciato dell'art. 185 cp, vale a dire il concetto 
di "responsabilit� da reato" sia direttamente collegabile alla nozione di "responsabilit� dipendente 
da reato" di cui all'art. 1 d.l.vo 231/2001. Si tratta di titolo di responsabilit� per fatto 
proprio, causalmente collegato alla commissione del fatto reato con la sola peculiarit� di promanare 
dalla complessiva condotta di un soggetto avente personalit� giuridica. Peculiarit� 
che � comunque temperata dal richiamo operato dall'art. 35 d.l.vo 231/2001 che dispone l'applicabilit� 
all'Ente delle norme processuali previste per l'imputato (in quanto compatibili). 
Il giudizio di compatibilit� deve, inoltre, tener conto della ratio sottostante al sistema del 
d.l.vo 231/2001, che prevede la diretta sollecitazione di condotte "virtuose" tramite l'introduzioni 
di effetti premiali per l'ente. Tra tutti giova qui ricordare la significativa pregnanza dell'integrale 
risarcimento del danno e della eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose 
del reato, laddove tali condotte siano state tenute dall'ente prima dell'apertura del dibattimento 
(artt. 12 e 17 d.l.vo cit). 
Al di l� degli aspetti pi� strettamente premiali, non pu� non rilevarsi un chiaro e significativo 
interesse del legislatore per il momento risarcitorio che verrebbe fortemente compromesso 
dalla prospettiva della non azionabilit� della pretesa civile in questa sede. 
Non ultimi, poi, vanno richiamati i principi di concentrazione e di economia processuale che 
pu� affermarsi sottendano all'intero sistema processualpenalistico (secondo una lettura costituzionalmente 
orientata), tanto pi� laddove si ricordi che l'accertamento della responsabilit� 
di cui al D.L.vo 231/2001 � devoluto al solo giudice penale. 
Gli argomenti sopra svolti portano pertanto il Tribunale a ritenere ammissibile la costituzione 
di parte civile nei confronti delle persone giuridiche qui imputate, dovendosi pertanto rigettare 
la richiesta di esclusione qui formulata; 
2) Deve invece qui trovare accoglimento l'istanza svolta in via subordinata dalla difesa della 
(omissis), in relazione alla richiesta di citazione delle medesime persone giuridiche quali responsabili 
civili. In effetti la ritenuta ammissibilit� della costituzione di parte civile nei confronti 
delle persone giuridiche esclude in via logica ancor prima che giuridica che il medesimo 
soggetto sia chiamato a rispondere civilisticamente oltre per fatto proprio (come si � ritenuto), 
anche per fatto altrui; (omissis) 
P.Q.M. 
AMMETTE 
la costituzione delle parti civili che ne hanno fatto richiesta anche nei confronti di.... 
Milano, 16.9.2010
P A R E R I D E L C O M I TAT O 
C O N S U LT I V O 
A.G.S. - Parere del 28 aprile 2010 prot. 144637 - avv. Stato Gabriella 
Palmieri - AL 46391/08. 
�Accise sui tabacchi. Il depositario, che fruisce del regime di sospensione 
dall�accisa, � responsabile in caso di ammanco, da equiparare alla immissione 
in consumo� 
1. Codesta Amministrazione ha chiesto a questa Avvocatura un parere 
circa il particolare regime della responsabilit� del soggetto distributore (rectius 
depositario fiscale di destinazione) con riferimento alla disciplina giuridica 
dei depositi fiscali di tabacchi lavorati. 
Nella richiesta di parere si richiama la normativa comunitaria e nazionale 
di riferimento, in particolare, la direttiva 92/12/CEE del 25 febbraio 1992 e la 
legge di recepimento, il decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito con 
modificazioni dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427. 
Si ricordano, inoltre, le modalit� di trasferimento nel territorio nazionale 
dei tabacchi lavorati, con riguardo alla DAA (documento amministrativo di 
accompagnamento) e si fa, quindi, riferimento alla fattispecie concreta rappresentata 
dall'ipotesi in cui, presso un deposito fiscale situato in Italia, risultino 
mancanti, successivamente alla presa in carico, tabacchi lavorati spediti 
da altro deposito fiscale. 
Codesta Amministrazione ritiene che, in applicazione dei principi regolanti 
la materia delle accise, in tale ipotesi specifica, sia il titolare del deposito 
di destinazione a dover rispondere dell'accisa corrispondente. 
Alcuni depositari ritengono, invece, che, nell'ipotesi in cui si accertino, 
dopo la presa in carico del prodotto spedito, mancanze all'interno delle confezioni 
perfettamente sigillate, non si possa applicare la presunzione di immissione 
in consumo, perch� non potrebbe ritenersi immesso, nemmeno 
irregolarmente, ci� che non � mai pervenuto; e, riterrebbero, quindi, pi� corretto 
imputare tali mancanze al deposito produttivo di spedizione.
138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
2. Acquisiti chiarimenti anche per le vie brevi, si osserva quanto segue. 
Nel caso in esame occorre, preliminarmente, ricordare che, come precisato 
anche da codesta Amministrazione, per �mancanza all'origine� si intende 
il caso in cui il deposito destinatario di una spedizione di tabacchi (depositario 
fiscale autorizzato), dopo aver preso in carico il quantitativo di prodotto indicato 
nel documento amministrativo di accompagnamento, all'atto dell'apertura 
di una confezione integra, riscontri una mancanza di prodotto. 
In base alle disposizioni vigenti in materia (direttiva 92/12/CEE, recepita 
con il citato decreto-legge n. 331/93, convertito nella citata legge n. 427/93 e 
direttiva 2008/118/CE del 18 dicembre 2008, recentemente recepita con il decreto 
legislativo 29 marzo 2010 n. 48), con la presa in carico del prodotto da 
parte del destinatario, il deposito mittente � esonerato da qualsiasi responsabilit� 
di natura fiscale. 
Codesta Amministrazione ha, quindi, ritenuto che della mancanza riscontrata 
debba rispondere il depositario fiscale di destinazione, sul quale, pertanto, 
incombe l�onere di versare, in applicazione del principio per il quale lo svincolo 
irregolare da un regime sospensivo � equiparato all'immissione in consumo, 
l'accisa gravante sui tabacchi mancanti. 
Codesta Amministrazione, pertanto, riscontrata la mancanza del prodotto, 
ha chiesto al deposito di destinazione di versare l'accisa corrispondente. 
Attesa la peculiarit� della fattispecie in esame (l'integrit� dei pallettes o 
delle stecche lascia presumere che non ci sia stato un furto durante il trasporto), 
codesta Amministrazione, nel 2003, aveva predisposto una procedura in base 
alla quale il depositario di destinazione versava l'accisa gravante sul prodotto 
mancante, soltanto dopo che il deposito mittente, interessato al riguardo, 
avesse comunicato che presso il proprio deposito non era stata accertata una 
corrispondente eccedenza o che la mancanza del prodotto non era dipesa da 
un difetto di condizionamento (note circolari dell'Amministrazione in tema di 
identificazione dei depositi fiscali). 
Si procedeva, quindi, allo scarico della partita contabile con debito d'accisa. 
Come osservato da codesta Amministrazione, per�, tale procedura ha presentato 
una serie di criticit� dovute al fatto che il deposito mittente e quello di 
spedizione hanno finito per far ricadere l'uno sull'altro la responsabilit� della 
mancanza del prodotto, con la conseguenza che, per le mancanze di prodotto 
riscontrate nell'arco temporale 2001 - maggio 2008, risultano ancora non versate 
all'Erario, a titolo di accisa, cospicue somme di denaro. 
Riferisce codesta Amministrazione di aver attivato, pertanto, dal 1� giugno 
2008 una procedura pi� restrittiva, in base alla quale il deposito di distribuzione, 
dopo il riscontro della mancanza di prodotto, debitamente annotata 
sui registri contabili, � tenuto a versare immediatamente, a prescindere dalla 
dichiarazione del deposito mittente, l'accisa corrispondente.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 139 
La societ�, attualmente titolare della quasi totalit� della rete distributiva 
dei tabacchi lavorati, non si � attenuta alle disposizioni impartite da codesta 
Amministrazione ed ha posto in evidenza la opportunit� di individuare una 
procedura che, nel rispetto degli indubbi interessi sottostanti, coinvolga anche 
i produttori (deposito mittente) che, rispetto alle mancanze di prodotto all'origine 
hanno, a suo avviso, la maggiore responsabilit�, considerato che i suddetti 
eventi avvengono proprio all'interno dei siti produttivi. 
3. Occorre ricordare che la citata direttiva 2008/118/CE del Consiglio, 
relativa al regime generale delle accise, ha abrogato la precedente direttiva 
92/12/CE, e che ad essa � stata data attuazione con il citato decreto legislativo 
n. 48/2010. 
La predetta direttiva 2008/118/CE non ha, per�, modificato la disciplina 
previgente con riferimento all�individuazione dell�"immissione in consumo". 
All'art. 7, comma 1, infatti, ha ribadito che "l'accisa diviene esigibile al 
momento e nello Stato membro dell'immissione in consumo"; e, al comma 2, 
che "ai fini della presente direttiva per immissione al consumo" si intende, in 
base alla lettera a), "lo svincolo, anche irregolare, dei prodotti sottoposti ad 
accisa da un regime di sospensione dell'accisa". 
La direttiva ha, quindi, confermato l'equiparazione dell'immissione in 
consumo allo svincolo irregolare prevista dall'art. 6 della previgente direttiva 
e disciplinata, con una norma di identico tenore, dall'art. 2, comma 2, lett. b), 
del decreto-legge n. 331/1993 citato. 
Tale equiparazione �, poi, corroborata dal successivo art. 8 della direttiva 
2008/118/CE, che individua, alla lettera a), il debitore dell'accisa avvenuta esigibile, 
nell�ipotesi in questione, art. 7, paragrafo 2, lettera a), al punto i), �il 
depositario autorizzato�. 
D'altronde, la Corte di Cassazione (Sez. Penale, a settembre 2006, n. 
31404), in fattispecie analoga, ha statuito, in relazione al reato di sottrazione 
di prodotti al pagamento dell'accisa previsto dall'art. 43 D.Lgs. 26 ottobre 1995 
n. 504, che devono considerarsi soggetti obbligati al pagamento: a) nel caso 
di regime sospensivo (che consente la fabbricazione, la detenzione e la circolazione 
dei prodotti in condizione di esenzione fino al momento in cui l'accisa 
diventa esigibile e, cio�, fino al momento dell�immissione in consumo del prodotto 
nel territorio dello stato; immissione che comprende anche lo svincolo 
dal regime sospensivo o la fabbricazione o la importazione avvenuta al di fuori 
di un regime sospensivo), gli esercenti di depositi fiscali autorizzati dai quali 
avviene l'immissione in consumo, oppure gli operatori professionali, registrati 
o non registrati che ricevono prodotti in regime sospensivo o infine, i rappresentanti 
fiscali designati da depositari autorizzati di altro stato comunitario 
che esportino nel territorio nazionale; b) solo nel caso di circolazione del prodotto 
al di fuori del regime sospensivo, invece, i soggetti che procedono alla 
fabbricazione o all'importazione del prodotto.
140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Ha chiarito la Cassazione, dal �sistema normativo complesso per il pagamento 
dell�accisa�, analogo a quello vigente nella materia in questione, risulta 
che �il debito tributario diventa esigibile al momento dell�immissione in 
consumo del prodotto�; che la circolazione in regime sospensivo � consentita 
solo fra depositi fiscali autorizzati e che, in caso di circolazione in regime sospensivo, 
�soggetti obbligati al pagamento sono gli esercenti di depositi fiscali 
autorizzati dai quali avviene l�immissione in consumo�. 
Deve, quindi, concludersi nel senso che, in relazione alla titolarit� degli 
obblighi e della conseguente responsabilit� fiscale, quest�ultima incombe sul 
titolare del deposito fiscale sino a quando il prodotto non viene consegnato ad 
altro deposito fiscale: la responsabilit� dell�esercente il deposito fiscale mittente, 
pertanto, cessa con l�avvenuta conclusione dell�operazione di trasporto 
(v. in tal senso, circolare n. 48/D dell�Agenzia delle Dogane in data 26 luglio 
2002). 
D�altronde, proprio in tema di pagamento di dazi doganali e di obbligazione 
tributaria doganale per le merci, la Corte di Giustizia CE, Sezione III, 
con la sentenza in data 5 ottobre 1983, nelle cause riunite 186 e 187/82, ha 
statuito che, secondo le norme comunitarie vigenti in materia doganale, la sottrazione, 
anche senza colpa del debitore, di merce soggetta a dazio doganale, 
non estingue la relativa obbligazione. 
Successivamente, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 373/1988, 
sulla base anche di un esame comparato degli altri ordinamenti e delle convenzioni 
internazionali (Kioto 1973), ha sottolineato, in linea con la citata decisione 
della Corte di Giustizia, in considerazione del tributo doganale (art. 
37 D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 e successive modificazioni), come sia non 
obbligata e appartenga al contribuente la scelta di tenere in deposito le merci 
destinate alla circolazione commerciale, �sicch� il rischio che dipende dalla 
sua scelta, deve essere da lui sopportato senza che sia possibile addossarlo 
all�Amministrazione finanziaria�. 
Non pu�, infatti, sottacersi che la disciplina dei rapporti fra mittente produttore 
(deposito mittente) e distributore fiscale (depositario fiscale di destinazione) 
attiene a un rapporto privatistico al quale codesta Amministrazione 
� e deve restare estranea; che pu� essere regolato da specifiche modalit� della 
custodia e/o con la previsione di idonee garanzie accessorie, in applicazione 
del criterio generale dell�ordinaria diligenza e in correlazione dell�assunzione 
del rischio d�impresa da parte del depositante. 
4. Va, in conclusione, ribadito che, in base alla normativa comunitaria e 
alla normativa nazionale di recepimento vigenti, il produttore mittente � liberato 
dalla responsabilit� per il pagamento dell�accisa corrispondente al prodotto 
con la consegna al depositario fiscale, il quale � tenuto, dalla consegna 
del prodotto, al pagamento dell�accisa relativa, che diventa esigibile nel momento 
dell�immissione in consumo alla quale � equiparato lo svincolo irrego-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 141 
lare da un regime sospensivo dell�accisa. 
La questione � stata esaminata dal Comitato Consultivo che si � espresso 
in conformit� nella seduta del 14 aprile 2010 . 
A.G.S. - Parere del 12 giugno 2010 prot. 197534 - avv. Stato Agnese 
Soldani* - AL 38942/09. 
�Rito del lavoro: sulle conseguenze non decadenziali della notifica effettuata 
oltre il termine ordinatorio di 10 giorni prescritto dall�art. 435, comma 
2, c.p.c. (ma entro il termine a comparire di 25 giorni prescritto dal comma 
3) per la notifica del ricorso in appello e del decreto di fissazione dell�udienza
� 
L�Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano ha investito questo G.U. 
della questione relativa all�oggetto, in considerazione del fatto che la Direzione 
regionale delle Entrate di Milano, su sollecitazione della Direzione Centrale 
del Personale dell�Agenzia delle Entrate, l�ha invitata, in una serie di appelli 
pendenti relativi a cause di lavoro nei quali l�Amministrazione � parte appellata, 
a sollevare eccezione di tardivit� della notifica del ricorso in appello di 
controparte perch� effettuata oltre il termine di 10 giorni prescritto dall�art. 
435, comma 2, c.p.c., sulla scorta del principio di diritto affermato nella sentenza 
delle SSUU n. 20604 del 30 luglio 2008, a tenore del quale �nel rito del 
lavoro l�appello pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge 
� improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione 
dell�udienza non sia avvenuta non essendo consentito - alla stregua 
di una interpretazione costituzionalmente orientata (art. 111 Cost., comma 2) 
- al giudice di assegnare ex art. 421 c.p.c. all�appellante, previa fissazione di 
un�altra udienza di discussione, un termine perentorio per provvedere ad una 
nuova notifica a norma dell�art. 291 c.p.c.�. 
Si concorda con l�avviso dell�Avvocatura Distrettuale circa il carattere di 
massima della questione, attesa l�esigenza di adottare un indirizzo unitario, 
sia nei casi in cui l�amministrazione difesa dall�Avvocatura dello Stato � parte 
appellata sia in quelli in cui � appellante. 
Si tratta perci� di stabilire se il principio affermato dalle Sezioni Unite 
nella sentenza menzionata debba ritenersi estensibile, dall�ipotesi di omessa 
notifica espressamente vagliata dal Collegio, a quella della notifica dell�appello 
effettuata oltre il predetto termine di 10 giorni, per giungere alla conse- 
(*) Nella stesura del parere la Relatrice si � avvalsa della collaborazione del dott. Daniele Spuri, 
ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato.
142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
guenza che anche la notifica tardiva importerebbe decadenza e conseguente 
improcedibilit� del ricorso in appello. 
Al fine di fornire esauriente risposta al quesito posto due sono i passaggi 
logici che sembra opportuno affrontare, in quanto si tratta di stabilire: 
1) quali siano le ragioni che hanno indotto le Sezioni Unite a ritenere che 
la omessa notifica dell�appello e del decreto di fissazione dell�udienza (e dunque 
la totale inerzia dell�appellante) comporti l�improcedibilit� dell�appello; 
2) se tali ragioni possano essere spese anche per stabilire quali siano le 
conseguenze della diversa ipotesi della tardiva notifica dell�appello e del decreto 
di fissazione dell�udienza, vale a dire della notifica effettuata oltre il termine 
di 10 giorni stabilito dall�art. 435, comma 2 c.p.c. 
Non sembra tuttavia inutile premettere, all�esame delle cennate questioni, 
una precisazione riguardo alla decorrenza del termine di cui all�art. 435, 
comma 2 c.p.c.. 
La Corte Costituzionale, con la sentenza del 4 gennaio 1977 n. 15 ha dichiarato 
l�incostituzionalit� di detta norma - per violazione degli artt. 3 e 24 
della Costituzione - nella parte in cui prevedeva che il decreto giudiziale dovesse 
essere notificato, unitamente al ricorso in appello, entro il termine di 10 
giorni decorrenti dal deposito del decreto medesimo, anzich� dalla sua comunicazione 
all�appellante. 
Il Giudice delle Leggi ha infatti chiarito che �nel quadro della garanzia 
costituzionale della difesa, ove un termine sia prescritto per il compimento di 
una certa attivit�, la cui omissione si risolva in un pregiudizio della situazione 
tutelata, deve essere assicurata all�interessato la conoscibilit� del momento 
di iniziale decorrenza, onde poter utilizzare, nella sua interezza, il termine assegnatogli. 
Con siffatto principio, appunto, contrasta la disposizione impugnata, 
giacch� ricollega il dies a quo del termine per la notificazione del 
decreto presidenziale di fissazione dell�udienza ad un evento (quale il deposito 
del provvedimento) di cui � ben possibile che la parte non abbia tempestiva 
conoscenza�. 
Tale premessa sintetizza i risultati maturati, seppur con riferimento ad 
altre norme, nella precedente giurisprudenza costituzionale e, in particolare, 
nelle sentenze 12 dicembre 1967 n. 139, 26 febbraio 1970 n. 34, 28 giugno 
1971 n. 159, 7 novembre 1974 n. 255 e 4 gennaio 1977 n. 14 (1). 
Secondo la Corte il principio affermato deve ritenersi valido sia se si ritenga 
che il termine in questione ha natura perentoria, sia se ritenga che detto 
(1) La sentenza n. 139/67 ha dichiarato l�incostituzionalit� dell�art. 305 c.p.c. (vecchio testo) in 
relazione all�art. 301 c.p.c.; la sentenza n. 34/70 ha dichiarato l�incostituzionalit� dell�art. 297, primo 
comma, c.p.c. (vecchio testo); la sentenza n. 159/71 ha dichiarato l�incostituzionalit� dell�art. 305 c.p.c. 
(vecchio testo) in relazione all�art. 299 c.p.c.; la sentenza n. 255/74 ha dichiarato l�incostituzionalit� 
degli artt. 131, primo e terzo comma, l.f. (vecchio testo) e 183, primo ed ultimo comma, l.f. (vecchio 
testo); la sentenza n. 14/77 ha dichiarato l�incostituzionalit� degli artt. 426 c.p.c. e 20 l. n. 533/73.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 143 
termine ha natura ordinatoria (cos� privando di rilevanza, ai fini della soluzione 
della questione di costituzionalit�, l�indagine sulla effettiva natura del termine 
in questione), in quanto anche a voler avallare la tesi della natura ordinatoria 
del termine, non ogni conseguenza pregiudizievole per il diritto di difesa sarebbe 
stata superata. Invero, �la ritenuta non perentoriet� del termine consentirebbe, 
infatti, di escludere, che pur dopo il suo decorso, resti all�appellante 
preclusa la notificazione del decreto, ma non lo porrebbe al riparo dalle conseguenze 
che � con particolare riguardo al procedimento di impugnazione � 
possono riconnettersi alla violazione del termine a comparire che � proprio 
in dipendenza della non tempestiva conoscenza del decreto � l�appellante non 
fosse stato in grado di rispettare. Il pregiudizio della difesa (nel senso sopra 
indicato) neppure pu� essere, d�altra parte, (sempre) evitato con l�uso della 
normale diligenza da parte del procuratore dell�appellante. Basta considerare 
l�ipotesi in cui il Presidente del tribunale abbia (come gli � consentito dal 
comma primo dell�art. 435 cit.) fissato l�udienza di discussione in coincidenza 
con la scadenza del termine (di 35 giorni) risultante dall�esatto computo di 
dieci giorni previsti per la notifica del ricorso (ex comma secondo) e dei 25 
giorni stabiliti come termine minimo di comparizione (ex comma terzo art. 
435 cit.). Con riferimento a tale ipotesi, la diligenza dovrebbe, infatti, spingersi 
(con ci� superando il limite della normalit�) fino al punto di un controllo 
giornaliero: anche oltre il termine (meramente ordinatorio) di giorni cinque 
(dal deposito del ricorso) per la emanazione del decreto presidenziale di fissazione 
d�udienza�. 
Dal principio enunciato dalla Corte Costituzionale, discende che si � costituito 
in capo alla cancelleria un vero e proprio obbligo di comunicazione 
del decreto di fissazione dell�udienza e che solo dalla data di tale comunicazione 
possa validamente decorrere il termine di 10 giorni - a prescindere dalla 
sua ritenuta natura ordinatoria o perentoria - per la notifica all�appellato, a 
cura dell�appellante, del ricorso in appello e del decreto medesimo. 
Ulteriore corollario di tale principio, poi, � la considerazione che, nel caso 
di omessa comunicazione da parte della cancelleria, la parte che non provveda 
alla notifica non incorre in alcuna decadenza, perch� il relativo termine non 
ha mai iniziato a decorrere. 
Pare tuttavia opportuno precisare che costituisce senz�altro strumento 
equipollente alla comunicazione de qua il rilascio, a richiesta dell�appellante, 
di copia del decreto di fissazione dell�udienza, sicch� in tale ipotesi il termine 
decorrer� dalla data di tale rilascio. 
Tanto premesso, chiarito che il problema delle conseguenze della inosservanza 
del termine per notificare l�appello si pone solo nell�ipotesi in cui la 
omessa o tardiva notifica non sia stata causata da una mancata comunicazione 
del decreto di fissazione dell�udienza da parte della cancelleria, si possono affrontare 
nella corretta prospettiva le questioni che pi� direttamente investono
144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
la problematica all�esame di questo G.U. 
1) La sentenza delle Sezioni Unite del 30 luglio 2008 n. 20604: le 
ragioni della non concedibilit� di un nuovo termine per notificare l�appello 
in caso di omessa notifica all�appellato, da parte dell�appellante, 
del ricorso in appello e del decreto di fissazione dell�udienza 
1.1 
L�evoluzione giurisprudenziale precedente alla sentenza 20604/2008 
Il problema della rinnovabilit� del termine per la notifica dell�appello 
in caso di omessa notifica da parte dell�appellante � oggetto di vexata quaestio 
date le ondivaghe pronunce dei giudici di legittimit� - � stato, da ultimo, 
risolto nella sentenza 30 luglio 2008 n. 20604 delle Sezioni Unite della 
Corte di Cassazione adottando conclusioni che si discostano profondamente 
dai precedenti arresti giurisprudenziali delle stesse Sezioni Unite. 
Il laitmotiv della pronuncia � costituito dalla rilettura dell�impianto 
normativo concernente la corretta procedura di instaurazione dell�appello 
nel rito del lavoro (in particolare, gli artt. 153, 154 e 291 c.p.c. in relazione 
all�art. 435 c.p.c.), alla luce del �nuovo� principio costituzionale della �ragionevole 
durata del processo�. 
Prima di procedere all�esame della pronuncia, e al fine di comprenderne 
a pieno la portata, non sembra inutile tracciare un sintetico excursus 
storico che delinei i due indirizzi che nel tempo si sono maggiormente accreditati. 
La Cassazione, con pronunce speculari relative a casi di omessa notifica, 
aveva affermato, ora che l�appello doveva essere dichiarato improcedibile, 
ora che doveva essere attribuita efficacia sanante alla rinnovazione 
del termine per la notifica ex art. 291, primo comma, c.p.c., a tenore del 
quale �Se il convenuto non si costituisce e il giudice istruttore rileva un 
vizio che importi nullit� nella notificazione della citazione, fissa all�attore 
un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza. 
Se il convenuto non si costituisce neppure all�udienza fissata a 
norma del comma precedente, il giudice provvede a norma dell�articolo 
171 ultimo comma�. 
A sostegno della tesi dell�improcedibilit� dell�appello si era rilevato 
che l�inesistenza in fatto o in diritto della notifica produceva inevitabilmente 
una situazione definitiva di carenza del contraddittorio - non emendabile 
ai sensi dell�art. 291, primo comma, c.p.c. che poteva essere 
applicato solo al diverso caso della nullit� della notifica - tale da imporre 
la definizione del giudizio di gravame con una pronuncia dichiarativa di 
improcedibilit�. 
In senso contrario, a favore dell�efficacia sanante della rinnovazione 
del termine per la notifica ex art. 291, primo comma, c.p.c., altro orientamento 
giurisprudenziale (inaugurato con la sentenza delle Sezioni Unite
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 145 
del 1� marzo 1988 n. 2166) aveva posto l�accento sulle differenze, tra rito 
ordinario e rito del lavoro, della fattispecie introduttiva del giudizio di secondo 
grado: nelle cause di lavoro la fattispecie introduttiva del giudizio 
d�appello (editio actionis) si esaurisce con il deposito del ricorso in cancelleria, 
mentre resta estranea al suo perfezionamento (diversamente da quanto 
avviene nel rito ordinario) la fase della notifica che, nel rito speciale del lavoro, 
ha la mera funzione di vocatio in ius. Ne consegue che �tanto la nullit� 
radicale o inesistenza giuridica, oppure la omissione della notificazione 
del ricorso introduttivo e del decreto con cui il giudice fissa l�udienza, 
quanto la nullit� dovuta al mancato rispetto del termine minimo per la comparizione 
(artt. 415 comma 5� e 435 comma 3�) sono vizi passibili di sanatoria 
mediante costituzione del convenuto o appellato o mediante 
rinnovazione disposta dal giudice, in ogni caso, soltanto con effetto ex 
nunc, con salvezza, cio�, dei diritti quesiti�. 
A tale contrasto giurisprudenziale avevano (apparentemente) posto fine 
le sentenze delle Sezioni Unite 29 luglio 1996 n. 6841 e 25 ottobre 1996 n. 
9331, identiche nella parte motiva, che hanno sposato il secondo dei due 
orientamenti sopra citati, in virt� della considerazione che l�autonomia formale 
e strutturale, nel rito del lavoro, tra la fase della editio actionis e quella 
della vocatio in ius, impedisce che i vizi relativi alla seconda fase, quella 
dell�instaurazione del contraddittorio, possano produrre conseguenze sulla 
prima, quali l�affermazione della inammissibilit� del gravame. La nullit� o 
insistenza della notifica � un vizio che attiene alla instaurazione del contraddittorio, 
sanabile ai sensi dell�art. 421, comma 1, c.p.c. - dettato in tema 
di rito del lavoro - per il quale il giudice indica alle parti in ogni momento 
le irregolarit� degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando 
un termine per provvedervi. 
Secondo la Corte tale ragionamento doveva valere sia per il caso di 
nullit� della notifica che per l�ipotesi di mancanza o inesistenza (giuridica 
o di fatto) della stessa, in quanto �la notificazione della vocatio in ius si 
presenta sia come fattispecie autonoma che come elemento di una fattispecie 
complessa, composta dalla combinazione di pi� atti elementari, quali 
il decreto del giudice di fissazione della prima udienza, la comunicazione 
all�appellante dell�avvenuto deposito del provvedimento e la notificazione 
all�appellato del ricorso e del decreto� sicch� se manca la notifica, manca 
solo uno degli elementi di tale fattispecie, il che rende la vocatio in ius nulla 
e non inesistente, con conseguente possibilit� di disporne la rinnovazione. 
1.2 
La sentenza delle SSUU n. 20604/2008 
Venendo alla pronuncia delle Sezioni Unite del 30 luglio 2008 n. 
20604, la sentenza deve essere contestualizzata, anzitutto, nel nuovo panorama 
normativo, di rango costituzionale, che ne ha fortemente condizionato
146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
il contenuto. 
Invero, l�introduzione, da parte della legge costituzionale 23 novembre 
1999 n. 2, del comma 2 dell�art. 111 Cost. (2) � vista, dagli stessi giudici di 
legittimit�, come un nuovo riferimento normativo verso cui orientare l�ermeneutica 
delle norme processuali, in primis quelle concernenti i termini. 
Invero, secondo le Sezioni Unite, �a fronte di una interpretazione del dettato 
costituzionale di carattere riduttivo - che ha portato a sostenere che l�art. 111 
Cost., comma 2, contiene "una indicazione programmatica dal valore meramente 
esortativo", essendosi in presenza di una norma di "mero indirizzo", 
capace di incidere poco sulla lentezza del giudizio per avere esplicitato ci� 
che gi� costituiva un presupposto implicito del nostro sistema giudiziario, risultando 
autenticamente nuove solo le disposizioni contenute nei commi 4 e 5 
del testo novellato relative al processo penale - autorevole dottrina ha invece 
riconosciuto una portata espansiva al nuovo dettato costituzionale, sottolineando 
come sebbene non possa riconoscersi alla norma costituzionale efficacia 
immediatamente precettiva ci� non toglie che detto principio costituisca ora 
"un preciso parametro costituzionale ai fini della conformit� a costituzione di 
tutte le norme che direttamente o indirettamente determinano una ingiustificata 
durata del processo, fornendo agli addetti ai lavori, ed in primo luogo al 
giudice, uno strumento per verificare la tenuta e la portata delle singole norme 
del codice di rito e per garantirne una interpretazione costituzionalmente 
orientata". Nella giurisprudenza di legittimit� il principio della "ragionevole 
durata" del processo � divenuto punto costante di riferimento nell�ermeneutica 
delle norme processuali e nell�individuazione del loro ambito applicativo�. 
Anche il recepimento attraverso norma ordinaria (legge 24 marzo 2001 
n. 89) dell�art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell�Uomo � disciplinante 
la ragionevole durata del processo ed i criteri liquidatori dell�equo indennizzo 
in caso di violazione della suddetta disposizione � depone a favore 
della natura precettiva e non meramente programmatica dell�art. 111, comma 
2, Cost. (ex multis, Sezioni Unite 26 gennaio 2004, n. 1338). 
Pertanto, la fattispecie dell�omessa notifica dell�appello nel rito del lavoro, 
nel mutato quadro normativo ora descritto, ha sollecitato una rimeditazione 
delle norme che la disciplinano (artt. 153, 154 e 291 c.p.c. in relazione 
all�art. 435 c.p.c.), soggette adesso ad una necessitata interpretazione costituzionalmente 
orientata. 
La pronuncia delle Sezioni Unite 30 luglio 2008 n. 20604 � che ora si 
andr� ad esaminare - supera quindi definitivamente l�orientamento giurisprudenziale 
precedentemente consolidatosi con le Sezioni Unite 29 luglio 1996 
(2) Articolo 111, commi 1 e 2, Cost.: �La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato 
dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parit�, davanti 
a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 147 
n. 6841 e 25 ottobre 1996 n. 9331, in virt� dell�esigenza di una rilettura costituzionalmente 
orientata della tematica alla luce dell�art. 111, comma 2 Cost. 
Nella motivazione si legge che �la mancata tenuta dell�orientamento ora 
ricordato emerge solo che si consideri che la novella dell�art. 111 Cost., 
comma 2, rende doverosa una rinnovata e maggiore attenzione alla lettera 
delle norme codicistiche al fine di dedurre che n� l�espressione di cui all�art. 
291 c.p.c., comma 1, ("Se...il giudice istruttore rileva un vizio che importi la 
nullit� della citazione fissa all�attore un termine perentorio per rinnovarla. 
La rinnovazione impedisce ogni decadenza") e tanto meno quella dell�art. 421 
c.p.c., comma 1, ("il giudice indica alle parti in ogni momento le irregolarit� 
degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando un termine 
per provvedervi, salvo gli eventuali diritti quesiti") possono offrire alcuna copertura 
giuridica al suddetto orientamento, data l�impossibilit� concettuale 
di rinnovare e tanto meno di rettificare l�inesistente (giuridico o di fatto). Per 
di pi� osta a che venga adottata nella problematica in oggetto una soluzione 
che, in violazione del principio della "ragionevole durata del processo" - e 
con riflessi di indubbia incoerenza dell�intero sistema processuale - finisca 
per penalizzare rispetto al processo ordinario il rito del lavoro con un ingiustificato 
allungamento dei tempi di giustizia con contestuale disapplicazione 
dei principi chiovendani della oralit�, concentrazione ed immediatezza, che 
hanno inspirato il legislatore del 1973 e che caratterizzano il processo cadenzando 
i tempi del giudizio su un reticolato di preclusioni e di decadenze, sicuramente 
pi� rigido e severo di quello riscontrabile nel giudizio ordinario�. 
Ora, per quanto concerne il punto di forza del precedente orientamento 
giurisprudenziale delle Sezioni Unite del 1996, ossia la distinzione strutturale 
delle fattispecie introduttive dei riti ordinario e del lavoro, la Corte aggiunge: 
�n� per andare in contrario avviso ed avallare una penalizzazione, in termini 
di durata del processo del lavoro rispetto al rito ordinario, vale il richiamo 
alla duplice fase della editio actionis e della vocatio in ius, per sostenerne la 
reciproca autonomia nonch� l�insensibilit� degli atti della prima fase, una 
volta perfezionatisi, rispetto ai vizi che ne inficiano la seconda. Nel processo 
del lavoro si � indubbiamente in presenza di un sistema, caratterizzato da una 
propria fase iniziale, incentrata sul deposito del ricorso, che � suscettibile di 
effetti prodromici e preliminari, suscettibili per� di stabilizzarsi solo in presenza 
di una valida vocatio in ius, cui non pu� pervenirsi attraverso l�applicazione 
degli artt. 291 e 415 c.p.c., giacch� non � pensabile la rinnovazione 
di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente, non esistendo una disposizione 
che consenta al giudice di fissare un termine per la notificazione, 
mai effettuata, del ricorso e del decreto presidenziale, e non essendo consentito, 
nel silenzio normativo, allungare - con condotte omissive prive di valida 
giustificazione e talvolta in modo sensibile, come nel caso in esame - i tempi 
del processo s� da disattendere il principio della sua "ragionevole durata".
148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Corollario di quanto ora detto � che il ricorso dell�appellante, anche se valido, 
perde la sua efficacia di fronte alla invalidit� degli atti successivi che non sia 
possibile risanare sicch� l�appello stesso va dichiarato improcedibile�. 
In pratica, la tesi della non rinnovabilit� dell�atto inesistente e dunque 
della definitiva irrimediabilit� dell�omessa notifica dell�appello, che sembrava 
definitivamente superata a seguito delle pronunce delle Sezioni Unite del 1996, 
torna alla ribalta perch� considerata l�unica compatibile con il principio costituzionale 
della ragionevole durata del processo. 
Pertanto, in applicazione del nuovo (anzi, rivitalizzato) principio di diritto, 
nel rito del lavoro all�omessa notifica, da parte dell�appellante, del ricorso in 
appello e del decreto di fissazione dell�udienza all�appellato, consegue la sanzione 
processuale dell�improcedibilit� dell�appello � con conseguente definizione 
del giudizio con decisione in rito � e dunque la preclusione per il giudice 
della possibilit� di assegnare all�appellante, previa fissazione di un�altra 
udienza di discussione, un termine perentorio per provvedere ad una nuova 
notifica a norma dell�art. 291, primo comma, c.p.c. 
Ma la motivazione della sentenza si spinge oltre, e qui si giunge al punto 
nevralgico della pronuncia ai fini che in questa sede interessano. 
Le Sezioni Unite infatti, si soffermano specificamente sulla natura e sul 
conseguente regime del termine di 10 giorni entro il quale, ai sensi dell�art. 
435, secondo comma, c.p.c. l�appello deve essere notificato, affermandone, 
s�, la natura ordinatoria (in coerenza con l�orientamento pressoch� unanime 
di dottrina e giurisprudenza), ma affermando anche (e in questo senso la pronuncia 
costituisce un vero e proprio inedito) la necessit� di superare il tradizionale 
criterio di distinzione tra termini processuali perentori e ordinatori, 
che la dottrina pi� autorevole aveva sempre individuato nella diversa conseguenza 
correlata alla loro inosservanza: i termini perentori sono infatti stabiliti 
a pena di decadenza, quelli ordinatori no (3). 
In sintesi, il concetto espresso dalla Corte � che, invece, tutti i termini, 
siano essi ordinatori o perentori, se non osservati importano decadenza: 
�Anche se in dottrina si � sostenuto che la scadenza del termine ordinatorio 
non possa mai di per s� determinare alcuna decadenza, finendosi per� 
in tal modo per giungere alla conclusione che si sia in presenza di un termine 
sostanzialmente "innocuo", la chiara formulazione degli artt. 153 e 154 c.p.c. 
e una interpretazione "costituzionalmente orientata" anche di tali norme nel 
rispetto della "ragionevole durata" del processo, portano a condividere l�assunto 
che la differenza tra termini "ordinatori" e termini "perentori" risieda 
(3) S. SATTA � C. PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, Cedam, 2000, pag. 238; L. MONTESANO 
� G. ARIETA, Diritto processuale civile, vol. I, Torino, Giappichelli, 1999, pagg. 330 e ss.; con specifico 
riferimento alla fattispecie in epigrafe, C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Vol. I, Torino, 
Giappichelli, 2009, pagg. 212 e 257.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 149 
nella prorogabilit� o meno dei primi, perch� mentre i termini perentori non 
possono in alcun caso "essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull�accordo 
delle parti" (art. 153 c.p.c.), in relazione ai termini ordinatori � consentito, di 
contro, al giudice la loro abbreviazione o proroga, finanche d�ufficio, sempre 
per� "prima della scadenza" (art. 154 c.p.c.). Una volta, pertanto, scaduto il 
termine ordinatorio senza che si sia avuta una proroga si determinano, per il 
venir meno del potere di compiere l�atto, conseguenze analoghe a quelle ricollegabili 
al decorso del termine perentorio�. 
Di conseguenza, l�inosservanza del termine di 10 giorni fissato per la notifica 
dell�appello nel rito del lavoro dall�art. 435, secondo comma, c.p.c. � 
sia pure qualificato come ordinatorio � comporterebbe, qualora dopo la sua 
scadenza il giudice concedesse a torto all�appellante che non ha provveduto 
alla notifica un nuovo termine a tal fine, il compimento di un atto (notifica 
tardiva) in carenza di potere, con conseguente sua inefficacia. 
La ratio di una simile sanzione, secondo la Corte, � da rinvenirsi nella 
considerazione che, omettendo la notifica, l�appellante ha dilazionato irragionevolmente 
(nel senso letterale di �senza una valida ragione�) i tempi del processo, 
in palese violazione del principio espresso dall�art. 111, secondo 
comma, Cost. 
2) La non estensibilit� del principio di diritto affermato dalle Sezioni 
Unite alla diversa ipotesi della tardiva notifica all�appellato, da parte 
dell�appellante, del ricorso in appello e del decreto di fissazione dell�udienza, 
effettuata dopo il termine di 10 giorni ex art. 435, comma 2, 
c.p.c. ma prima del termine a comparire di 25 giorni ex art. 435, comma 
3, c.p.c. 
Il caso concreto vagliato dalla Sezioni Unite nella sentenza 30 luglio 2008 
n. 20604 riguarda un�ipotesi di omessa notifica. 
Si tratta a questo punto di stabilire se il principio di diritto affermato da 
quella pronuncia sia estensibile dall�ipotesi della radicale omessa notifica a 
quella � non specificamente vagliata dalla sentenza - della tardiva notifica 
dell�appello. 
In particolare, l�estensione tout court del suddetto principio di diritto comporterebbe 
che qualora la notifica del ricorso in appello sia stata fatta nel pieno 
rispetto del termine a comparire di 25 giorni prima del�udienza stabilito dall�art. 
435, comma 3, ma dopo la scadenza del termine di 10 giorni dalla comunicazione 
del deposito del decreto di fissazione dell�udienza di cui al 
comma 2 dello stesso articolo, l�appello dovrebbe essere dichiarato comunque 
improcedibile. 
Tale soluzione non sembra tuttavia condivisibile per un duplice ordine di 
ragioni: 2.1) la considerazione che l�efficacia di una notifica effettuata dopo 
lo scadere dei 10 giorni (ma pur sempre entro il termine a comparire) non incide 
sulla durata complessiva del processo e, quindi, non viola l�art. 111,
150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
comma 2 della Costituzione; 2.2) la peculiarit� del termine di 10 giorni previsto 
dall�art. 435, comma 2 c.p.c., che si presenta come un �termine intermedio�, 
nella procedura della instaurazione del contraddittorio nel rito del lavoro, 
rispetto al �termine finale� di 25 giorni prima dell�udienza, fissato dal terzo 
comma della stessa norma. 
2.1) 
Quanto al primo profilo, all�ipotesi della tardiva notifica non pu� essere 
applicato il ragionamento delle SSUU alla stregua del quale una lettura costituzionalmente 
orientata dell�art. 154 c.p.c., compatibile con il principio della 
ragionevole durata del processo, imporrebbe di affermare che anche il termine 
ordinatorio, se non osservato, importa decadenza. Invero, la notifica effettuata 
successivamente al termine di cui all�art. 435, comma 2, c.p.c. - ma nel rispetto 
del termine a comparire - non incide in alcun modo sulla durata complessiva 
del processo (n�, tantomeno, sulla costituzione del rapporto processuale, sul 
contraddittorio o sul diritto di difesa). 
Per meglio chiarire il concetto baster� fare un esempio: se il giudice fissa 
l�udienza di discussione il 25 maggio (cos� che la notifica, dovendo giungere 
l�atto al destinatario almeno 25 giorni prima dell�udienza, dovr� perfezionarsi 
entro il 30 aprile), il rilievo che l�appellante notifichi entro 10 giorni dalla data 
della comunicazione del deposito del decreto giudiziale ovvero successivamente 
- ma sempre entro il 30 aprile - non ha concreti effetti pregiudizievoli 
sulla durata del processo, atteso che tale tardiva notifica non provoca n� un�anticipazione 
n� un differimento dell�udienza gi� fissata al 25 maggio. Inoltre, 
poich� la suddetta notifica � comunque intervenuta 25 giorni prima dell�udienza 
fissata dal giudice, non viene leso n� il diritto di difesa dell�appellato, 
che ha tutto il tempo di predisporre le sue difese in modo da arrivare �preparato� 
all�udienza fissata per la discussione (a questo del resto serve il c.d. termine 
a comparire), n� tantomeno il contraddittorio tra le parti, atteso che tale 
udienza sar� regolarmente celebrata senza che a queste ultime ovvero al giudice 
siano precluse le attivit� processuali previste per tale udienza dal codice 
di procedura civile. 
In questo senso si � del resto di recente espressa la Corte Costituzionale, 
che con ordinanza n. 60 del 22 febbraio 2010 ha dichiarato manifestamente 
infondata la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 435, comma 2 c.p.c. 
sollevata dalla Corte d�Appello di Genova. 
Ebbene la Corte Costituzionale � pervenuta alla declaratoria di manifesta 
infondatezza proprio sulla base della considerazione che il principio affermato 
dalle Sezioni Unite nella sentenza 20604/2008 riguardava un�ipotesi di radicale 
omessa notifica (e dunque di inosservanza non solo del termine di 10 
giorni stabilito dall�art. 435, comma 2 c.p.c., ma anche del termine a comparire 
di 25 giorni stabilito dal successivo comma 3) e che tale principio non pu� essere 
esteso anche al caso di notifica tardiva rispetto al primo termine, ma tem-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 151 
pestiva con riferimento al secondo, perch� il rispetto di tale secondo termine 
comporta �la conseguente astratta possibilit� dello svolgimento dell�udienza 
di discussione e della realizzazione del diritto di difesa dell�appellato�. 
2.2) 
Quanto al secondo profilo, connesso alla particolare natura del termine 
di 10 giorni stabilito dall�art. 435, comma 2 c.p.c., si � detto che le Sezioni 
Unite hanno affermato che la distinzione tra termini ordinatori e perentori risiederebbe 
esclusivamente nel fatto che, prima della loro scadenza, i primi 
sono prorogabili, i secondi no. Invece sotto il profilo delle conseguenze della 
loro inosservanza, una volta che il termine sia scaduto, la disciplina � la medesima, 
nel senso che tanto l�inosservanza del termine ordinatorio quanto 
l�inosservanza del termine perentorio comporta decadenza ed esclude pertanto 
la sua rinnovabilit�. 
Con ci� la Cassazione ha ritenuto di superare la tradizionale distinzione 
dottrinale tra termini ordinatori e perentori che invece si era sempre basata 
sulla considerazione che la conseguenza decadenziale, derivante dalla inosservanza, 
fosse riferibile esclusivamente a quelli perentori. 
Per la verit�, tale impostazione tradizionale trovava conforto normativo 
nella lettera dell�art. 154 c.p.c. che, rubricato �Prorogabilit� del termine ordinatorio
�, dispone che �Il giudice, prima della scadenza, pu� abbreviare o 
prorogare, anche d�ufficio, il termine che non sia stabilito a pena di decadenza. 
La proroga non pu� avere una durata superiore al termine originario. 
Non pu� essere consentita proroga ulteriore, se non per motivi particolarmente 
gravi e con provvedimento motivato�. 
Dal dettato di tale norma (ed in particolare dalla lettura combinata della 
rubrica e del corpo della stessa) sembra dunque chiaramente evincersi la regola 
di equivalenza �termine ordinatorio = termine non stabilito a pena di decadenza�, 
nel senso che la scelta del legislatore del �42 sembrava essere stata 
quella di utilizzare indifferentemente, in modo fungibile, le espressioni �ordinatorio� 
(rubrica) e �che non sia stabilito a pena di decadenza� (corpo della 
norma). 
Ma anche a voler prescindere dal dato letterale della norma contenuta nell�art. 
154 c.p.c., in virt� della invocata esigenza di una interpretazione costituzionalmente 
orientata dell�originario impianto normativo del codice del �42 
che risulti compatibile con il principio della ragionevole durata del processo, 
il percorso argomentativo delle Sezioni Unite deve comunque essere �completato� 
alla luce della riforma del processo civile intervenuta con la legge 18 
giugno 2009 n. 69, della quale peraltro le Sezioni Unite non hanno certo potuto 
tenere conto perch� emanata successivamente alla sentenza qui in esame. 
Nell�ambito di tale riforma il legislatore ha aggiunto all�art. 153 c.p.c. un 
secondo comma che recita: �La parte che dimostra di essere incorsa in decadenza 
per causa ad essa non imputabile pu� chiedere al giudice di essere ri-
152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
messa in termini. Il giudice provvede a norma dell�articolo 294, secondo e 
terzo comma�. 
Con tale norma si � inteso generalizzare l�istituto della rimessione in termini, 
prima confinato dall�art. 184 bis c.p.c. all�ambito della sola fase istruttoria 
del processo. 
Tale generalizzazione, per�, non � assoluta. 
L�art. 153 c.p.c. resta infatti rubricato �Improrogabilit� dei termini perentori�: 
dunque l�istituto generale della rimessione in termini � stato collocato 
nell�ambito di una norma che si riferisce esclusivamente alla disciplina dei 
termini perentori. 
Analoga disposizione non � stata introdotta nell�art. 154 c.p.c., che � rubricato 
come gi� si � detto �prorogabilit� del termine ordinatorio� � disciplina 
invece questi ultimi. 
Atteso che la rimessione in termini costituisce l�unico rimedio processuale 
previsto per la decadenza, se la decadenza � - come affermato dalla Sezioni 
Unite prima della riforma - la sanzione processuale comminata all�inosservanza 
tanto dei termini ordinatori quanto di quelli perentori, il legislatore della 
riforma avrebbe a rigore dovuto novellare anche l�art. 154 c.p.c., che disciplina 
i termini ordinatori, o quanto meno creare un articolo ad hoc sull�istituto della 
rimessione in termini, concernente tutti indistintamente i termini processuali. 
Diversamente ragionando, ne deriverebbe che mentre la parte decaduta 
potrebbe essere rimessa in termini se non ha osservato, per causa non imputabile, 
un termine perentorio, non potrebbe invece essere rimessa in termini 
se non ha osservato un termine ordinatorio. 
Con la illogica conseguenza che alla violazione �pi� grave� (quale � 
l�inosservanza di un termine perentorio) potrebbe porsi rimedio, mentre a 
quella �meno grave� (quale � l�inosservanza di un termine ordinatorio) no, il 
che porrebbe evidenti problemi di legittimit� costituzionale del sistema sotto 
il profilo della ragionevolezza. 
Dunque delle due l�una: o la decadenza � istituto che appartiene per natura 
ai soli termini perentori (e allora si spiegherebbe la scelta del legislatore di 
prevedere l�istituto generale della rimessione in termini con esclusivo riferimento 
ai termini perentori, in coerenza con la gi� menzionata regola di equivalenza 
�termine ordinatorio = termine non stabilito a pena di decadenza�), 
oppure il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite (secondo il quale 
tutti i termini, siano essi perentori o ordinatori, se non osservati implicano decadenza) 
comporta la necessit� di una lettura costituzionalmente orientata degli 
artt. 153 e 154 c.p.c., nel senso che l�istituto della rimessione in termini, 
espressamente previsto solo per i termini perentori, deve essere ritenuto applicabile 
anche a quelli ordinatori. 
Va precisato a questo punto che, ai sensi dell�art. 58, primo comma della 
legge di riforma il neo introdotto art. 153, secondo comma, c.p.c. si applica
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 153 
solo ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore (4 luglio 2009) e non 
anche a quelli pendenti a tale data. 
Ci� tuttavia non toglie che la tematica non sia di immediata applicazione 
anche per i processi in corso: del resto la generalizzazione dell�istituto della 
rimessione in termini, ben oltre i confini della sola fase istruttoria del processo, 
era gi� avvenuta a livello di prassi giurisprudenziale, sicch� in questo senso 
la novella legislativa non � altro che una codificazione di un principio gi� affermato 
dal diritto vivente. 
In conclusione, dall�esigenza di completamento del percorso argomentativo 
inaugurato dalle Sezioni Unite con la successiva novella legislativa che 
ha interessato l�istituto della rimessione in termini, consegue, in linea generale, 
che: 
a) se, con colpa, non viene osservato un termine, sia esso ordinatorio o 
perentorio, il Giudice non pu� concedere un nuovo termine e fissare una nuova 
udienza perch� ci� implicherebbe un allungamento ingiustificato della durata 
complessiva del processo; 
b) se, senza colpa, non viene osservato un termine, sia esso ordinatorio o 
perentorio, la rimessione in termini � sempre possibile, anche a costo di una 
dilazione del processo e dunque anche se ci� comporta la necessit� di fissare 
una nuova udienza (perch� in tal caso si tratterebbe di una dilazione giustificata);
c) i termini ordinatori, prima della scadenza, sono sempre prorogabili, 
quelli perentori no, a meno che la necessit� della proroga non derivi da causa 
non imputabile alla parte che la richiede e che ha gi� reso, prima della scadenza 
del termine, definitivamente impossibile la sua osservanza (perch� all�evidenza 
non avrebbe senso non consentire la proroga prima della scadenza ma 
consentire poi la rimessione in termini dopo la scadenza). 
I principi generali appena enunciati, per�, a ben vedere non riguardano 
la fattispecie concreta in questa sede esaminata, perch� qualora la parte appellante 
nel rito del lavoro notifichi l�appello dopo la scadenza del termine di 
dieci giorni dalla comunicazione del decreto di fissazione dell�udienza previsto 
dall�art. 435, comma 2 c.p.c., ma osservando il termine di 25 giorni dalla prima 
udienza di comparizione stabilito dal successivo comma 3, non si pone n� un 
problema di proroga n� un problema di rimessione in termini. 
Ci� in quanto il termine di dieci giorni fissato dall�art. 435, comma 2 
c.p.c. presenta la particolarit� di costituire, nell�ambito della procedura di instaurazione 
del contraddittorio nel rito del lavoro (vocatio in ius) un �termine 
intermedio� rispetto a un �termine finale� (quello del successivo comma 3). 
Tale termine finale, nella sequenza procedimentale descritta dall�art. 435 c.p.c. 
� in realt� l�unico termine che corrisponda effettivamente ad un interesse della 
parte appellata, l�interesse cio� a conoscere con sufficiente anticipo i motivi 
di gravame per poter predisporre le proprie difese e, dunque, perch� sia ga-
154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
rantito il contraddittorio sostanziale. 
La notifica dell�appello effettuata dopo dieci giorni dalla comunicazione 
del decreto di fissazione dell�udienza non pregiudica alcun concreto ed effettivo 
interesse della parte se tale notifica � comunque effettuata nel rispetto del 
termine a comparire di 25 giorni dall�udienza. 
Se dunque non � pregiudicato alcun concreto interesse processuale dalla 
sua inosservanza, detta inosservanza non pu� certo essere sanzionata con la 
decadenza (con conseguente affermazione che la notifica tardiva sarebbe compiuta 
in carenza di potere e quindi sarebbe nulla), perch� ci� implicherebbe 
l�introduzione di un vuoto formalismo, sganciato dall�esigenza di protezione 
di uno specifico e concreto interesse meritevole di tutela nel processo. 
La stessa Corte Costituzionale ha del resto in molteplici occasioni affermato 
che sono illegittime le disposizioni legislative che frappongono ostacoli 
non giustificati da un preminente interesse pubblico ad uno svolgimento del 
processo civile adeguato alla funzione ad esso assegnata, nell'interesse generale, 
a protezione di diritti soggettivi dei cittadini (si vedano le sent. Nn. 
113/1963, 520/2002, 98/2004) e che il sistema processuale deve essere volto 
a garantire la tutela delle parti in posizioni di parit�, evitando irragionevoli 
sanzioni di inammissibilit� in danno del soggetto che si intende tutelare (sent. 
n. 189/2000). 
A tali principi si � informata la giurisprudenza della Cassazione, che ha 
riconosciuto l�esigenza di ricercare la ratio giustificatrice delle prescrizioni 
codicistiche, al fine di ridurre al minimo l�area delle inammissibilit� alla luce 
di una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, rispettosa 
dell�art. 24 della Costituzione (cfr. Cass. SSUU 22641/2007). 
Applicando tali principi al caso di specie, la notifica dell�appello effettuata 
dopo la scadenza del termine di 10 giorni fissato dall�art. 435, comma 2 
c.p.c., ma comunque osservando il termine a comparire di 25 giorni stabilito 
dal comma 3, non pu� comportare decadenza e conseguente improcedibilit� 
dell�impugnazione, perch� ci� significherebbe comminare una sanzione processuale 
che pregiudica irrimediabilmente e definitivamente la posizione processuale 
di una delle parti (l�appellante), senza che ci� corrisponda ad un 
concreto ed effettivo interesse meritevole di tutela dell�altra parte (l�appellato).
Non vi �, dubbio, infatti, che nella fase processuale della vocatio in ius, 
l�interesse dell�appellato meritevole di tutela � rappresentato dall�esigenza che 
venga garantita l�instaurazione di un contraddittorio non solo formale ma 
anche sostanziale, e questo interesse � protetto e soddisfatto dal rispetto del 
termine di 25 giorni stabilito dal comma 3 dell�art. 435 c.p.c. 
Parimenti, come gi� si � ampiamente argomentato, non viene nemmeno 
intaccato l�interesse pubblico alla rapida celebrazione del processo in quanto, 
proprio perch� la notifica � stata effettuata 25 giorni prima dell�udienza di
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 155 
comparizione, non vi � alcuna necessit� di differire ulteriormente la trattazione 
di quella udienza, alla quale tanto le parti che il Giudice sono messi in condizioni 
di arrivare preparati. 
Diverso sarebbe invece il discorso se la notifica fosse tardiva anche rispetto 
al termine di 25 giorni fissato dall�art. 435, comma 3 c.p.c., in quanto 
il mancato rispetto di quel termine comporterebbe, invece, qualora l�appellato 
non si costituisca, la necessit� per il Giudice di fissare una nuova udienza. La 
possibilit� di vedersi concedere un nuovo termine per la notifica in caso di 
mancata costituzione dell�appellato potrebbe per� essere ritenuta incompatibile 
con il principio della ragionevole durata del processo, con la conseguenza 
che in questo caso potrebbe non a torto ritenersi che tale possibilit� possa essere 
concessa solo ove l�appellante dimostri che l�inosservanza del termine 
sia dipesa da causa non imputabile (cos� fruendo dell�istituto della rimessione 
in termini ai sensi dell�art. 153, comma 2 c.p.c.). 
Ma questo problema � legato all�inosservanza del termine finale di 25 
giorni di cui al comma 3 e non all�inosservanza, in s�, del termine di 10 giorni 
di cui al comma 2 dell�art. 435. 
Quindi, ai fini della notifica dell�appello nel rito del lavoro, l�inosservanza 
del termine di 10 giorni dalla comunicazione dell�avviso di fissazione dell�udienza 
comporta improcedibilit� del ricorso solo se essa si manifesti sub 
specie di radicale omessa notifica dell�appello e non anche di notifica tardiva 
(ma tempestiva rispetto al termine a comparire). 
E la ragione di tale differente disciplina risiede nella considerazione che 
solo nell�ipotesi di radicale omessa notifica persiste la necessit� di coordinare 
la disciplina codicistica con il principio costituzionale della ragionevole durata 
del processo, principio che invece, come si � visto, non viene inciso dalla notifica 
tardiva, purch� effettuata entro il termine a comparire. 
* ** * 
In conclusione, alla luce delle esposte considerazioni, questo G.U. 
esprime l�avviso che il principio affermato dalla Cassazione sia compatibile 
con una lettura costituzionalmente orientata delle norme codicistiche solo se 
inteso nel senso che il mancato ed ingiustificato rispetto di un termine ordinatorio 
non pu� ritardare lo svolgimento del processo e quindi non autorizza il 
giudice a concedere un �nuovo� termine, con conseguente differimento dell�udienza 
gi� fissata ed allungamento dei tempi del processo. Ma se tale mancato 
rispetto non incide sulla durata del processo, come nel caso della notifica 
dell�appello nel rito del lavoro effettuata oltre il termine ordinatorio di 10 
giorni prescritto dall�art. 435, comma 2 c.p.c. (ma nel rispetto del termine a 
comparire di 25 giorni prescritto dal comma 3), non si produce alcuna conseguenza 
decadenziale. 
Tale principio � applicabile, per identit� di disciplina codicistica, anche
156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
al termine stabilito dall�art. 415, comma 4 c.p.c. per la notifica del ricorso di 
primo grado nel rito del lavoro, il che rileva soprattutto in caso di opposizione 
a decreto ingiuntivo, atteso che la ritenuta conseguenza decadenziale della notifica 
tardiva porterebbe ad una pronuncia di improcedibilit� dell�opposizione, 
con conseguente passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto. 
Pertanto, mentre ovvie ragioni di cautela processuale consigliano di effettuare 
le notifiche attenendosi al rispetto del termine di 10 giorni (decorrente 
dalla data dell�avviso di deposito del decreto di fissazione dell�udienza o dalla 
equipollente data di rilascio delle copie dell�appello e del decreto di fissazione 
dell�udienza per la notifica), qualora per qualsiasi ragione il predetto termine 
risulter� non essere stato rispettato si insister� nelle sedi giudiziarie nella tesi 
espressa nel presente parere. 
Ci� allo stesso tempo rende inopportuno, per evidenti ragioni di coerenza, 
sollevare la questione della eventuale tardivit� della notifica del ricorso in appello 
quando l�amministrazione risulti invece parte appellata, questione che 
peraltro � comunque rilevabile d�ufficio dal Giudice. 
Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo che si � espresso in 
conformit�. 
A.G.S. - Parere del 10 luglio 2010 prot. 226686 - avv. Stato Stefano 
Varone - AL 42048/09. 
�Sull�assunzione del patrocinio da parte dei docenti universitari a tempo 
definito in controversie contro le amministrazioni di appartenenza� 
Si riscontra la richiesta di parere in ordine alla legittimit� dell�assunzione 
del patrocinio in controversie contro l�amministrazione di appartenenza da 
parte dei professori universitari a tempo definito. 
( ... ) 
Passando all�esame del merito del quesito occorre considerare che la 
legge 25 novembre 2003 n. 339, che detta norme in materia di incompatibilit� 
dell'esercizio della professione di avvocato, esclude che per l'iscrizione agli 
albi degli avvocati si applichino le ordinarie disposizioni previste per i dipendenti 
pubblici dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662. 
In particolare la norma prevede che �Le disposizioni di cui all'articolo 1, 
commi 56, 56-bis e 57, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, non si applicano 
all'iscrizione agli albi degli avvocati, per i quali restano fermi i limiti e i divieti 
di cui al regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successive modificazioni�. 
Risulta pertanto espressamente inapplicabile alla professione di avvocato
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 157 
anche l�art. 56 bis della legge 662/1996 che, per quel che qui interessa, prevedeva 
che �Ai dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino 
attivit� professionale non possono essere conferiti incarichi professionali dalle 
amministrazioni pubbliche; gli stessi dipendenti non possono assumere il patrocinio 
in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione�. 
L�intento del legislatore appare d�altronde chiaro l� dove ritiene di assoggettare 
la regolamentazione della fattispecie ai �limiti e i divieti di cui al regio 
decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578�. 
Ci� significa che per i professori universitari (a tempo definito ex art. 11 
DPR 382/1980) da un lato non vige alcuna incompatibilit� con l�esercizio della 
professione di avvocato, dall�altro che risulta inapplicabile il divieto di assumere 
il patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione 
previsto per gli altri pubblici dipendenti dall�art. 56-bis della legge 
662/1996. 
Tale ricostruzione della vigente normativa pare d�altronde suffragata dalla 
specifica regolamentazione concernente lo svolgimento di attivit� extrauniversitaria 
da parte dei docenti a tempo definito dettata dall�art. 53 d.lgs 
165/2001, per pi� aspetti assimilati ai liberi professionisti nello svolgimento 
dell�attivit� in questione. 
Non � infatti richiesta la specifica autorizzazione da parte dell�amministrazione 
di appartenenza, (si esclude in tal modo il preventivo vaglio del se 
l�adempimento dell�incarico sia conciliabile con l�assolvimento dei doveri 
d�ufficio e con l�effettivo rispetto degli orari di lavoro) e l�attivit� � pienamente 
assimilata a quella svolta da liberi professionisti privati sotto il profilo fiscale 
dell�IVA. 
Tali indici sembrano pertanto suffragare, anche sotto il profilo della ricostruzione 
sistematica della figura, le forti differenze rispetto agli altri dipendenti 
pubblici, differenze che legittimano una diversa regolamentazione del 
regime delle incompatibilit�. 
Su queste basi � possibile concludere che sul piano della costituzione del 
rapporto processuale nessuna invalidit� � ipotizzabile nel caso in cui un docente 
a tempo definito assuma il patrocinio in cause contro l�Universit� di appartenenza, 
trattandosi piuttosto di profilo da analizzare in sede di rapporti 
interni fra docente e amministrazione, nonch� sotto il profilo deontologico. 
Ci� implica che la predetta assunzione di patrocinio, analizzate le peculiarit� 
di ogni singola fattispecie, potr� concretizzare la violazione di norme 
interne o comunque dei doveri lealt� e fedelt� nei confronti dell�amministrazione 
di appartenenza, che potranno rilevare, sempre in ragione dell�esame 
della fattispecie concreta, ai fini dell�applicazione di una sanzione disciplinare 
da parte dell�Universit�, previa adozione del previsto iter procedurale. 
Parallelamente � da considerare che la predetta assunzione di patrocinio 
contro l�universit� pu� essere giudicata contrastante con i doveri professionali
158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
ed etici, come delineati dall�art. 37 del Codice Deontologico Forense nella 
parte in cui prevede che �L'avvocato ha l'obbligo di astenersi dal prestare attivit� 
professionale quando questa determini un conflitto con gli interessi di 
un proprio assistito o interferisca con lo svolgimento di altro incarico anche 
non professionale�. In tali fattispecie evidentemente occorrer� dare pronta comunicazione 
della situazione di conflitto di appartenenza al consiglio dell�Ordine 
per l�adozione delle iniziative di competenza. 
Il presente parere � stato reso su delibera del Comitato Consultivo. 
A.G.S. - Parere del 12 luglio 2010 prot. 228103 - avv. Stato Carmela 
Pluchino - AL 15682/10. 
�Applicabilit� della normativa in materia di Documento Unico di Regolarit� 
Contributiva (DURC) alle acquisizioni in economia di beni, servizi e 
lavori ai sensi dell�art. 125 D.lgs 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti 
pubblici)� 
Codesta Avvocatura Distrettuale ha sottoposto alla valutazione della Scrivente 
la richiesta di parere avanzata dall�Universit� degli Studi di (omissis), 
relativamente alla necessit� del D.U.R.C. anche per le acquisizioni in economia 
di beni, servizi e lavori di cui all�art. 125 del D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 
163, effettuate mediante procedure di �cottimo fiduciario�. 
Al riguardo si osserva quanto segue. 
L�Universit�, premesso che �sta ottemperando agli adempimenti in tema 
di DURC risultanti dal combinato disposto: dell�art. 2, comma 1, D.L. 25 settembre 
2002 n. 210, convertito dalla L. 22 novembre 2002 n. 266; dell�art. 
38, c. 2 (rectius 1) lett. �i� e c. 3, dell�art. 118, c. 6, D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 
163; dell�art. 16 bis, c. 10, D.L. 29 novembre 2008 n. 185, convertito dalla L. 
28 gennaio 2009 n. 2; attenendosi all�interpretazione dell�applicabilit� di tali 
norme anche alle fattispecie contrattuali di cui all�oggetto avanzata � limitatamente 
al cottimo fiduciario � dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle 
Politiche Sociali con nota prot. n. 25/I/0002599 del 20 febbraio 2009 in risposta 
a istanza di interpello n. 10/2009 avanzata dall�Universit� degli Studi 
di (omissis)�; evidenziando l�allungamento dei tempi dei procedimenti di 
spesa anche di modesta entit� causato dai suddetti adempimenti, a scapito 
dell�esigenza di maggiore celerit� di cui all�art. 9, co. 1, del D.L. 1 luglio 2009 
n.78, convertito dalla L. 3 agosto 2009 n. 102, ha chiesto parere in ordine all�applicabilit� 
del succitato art. 38, co. 1 lett. �i� e co. 3, anche alle acquisizioni 
in economia di beni, servizi e lavori effettuate mediante procedura di �cottimo 
fiduciario�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 159 
Il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, con la nota 
del 20 febbraio 2009 sopra richiamata, ha chiarito che �per quanto riguarda i 
contratti sotto soglia comunitaria, tra i quali rientrano le acquisizioni in economia, 
l�art. 121 dispone che si applicano, se non derogate, le norme della 
parte II del Codice. L�art.125 � che disciplina per l�appunto le acquisizioni 
in economia � non contiene alcuna deroga espressa all�art. 38, comma 3 (contenuto 
nella parte II del Codice), secondo il quale �resta fermo per l�affidatario, 
l�obbligo di presentare la certificazione di regolarit� contributiva di cui 
all�articolo 2, del decreto-legge 25 settembre 2002, n.210, convertito dalla 
legge 22 novembre 2002, n. 266 e di cui all�articolo 3, comma 8, del decreto 
legislativo 14 agosto 1996, n. 494 e successive modificazioni e integrazioni�; 
� Tutto ci� premesso si ritiene che il DURC debba essere richiesto, senza alcuna 
eccezione, per ogni contratto pubblico e, dunque, anche nel caso degli 
acquisti in economia o di modesta entit�. Rispetto a tali acquisti, evidentemente, 
il DURC sar� richiesto solo nel caso di cottimo fiduciario ex art. 125, 
comma 1 lett. b), D.Lgs. n.163/2006 � attraverso il quale le prestazioni avvengono 
mediante affidamento a terzi � e non anche nel caso di ricorso all�amministrazione 
diretta, attraverso la quale le acquisizioni �sono effettuate 
con materiali e mezzi propri o appositamente acquistati o noleggiati e con personale 
proprio delle stazioni appaltanti, o eventualmente assunto per l�occasione 
(�)�. 
La Scrivente ritiene condivisibile l�interpretazione offerta dal Ministero 
succitato per le considerazioni che seguono. 
Innanzitutto, l�importo del contratto � irrilevante ai fini della verifica dei 
requisiti di ordine generale relativi alla materia previdenziale e consente solo 
una semplificazione della procedura di individuazione del contraente rispetto 
a quella ordinaria. 
La ratio della normativa in materia di DURC � invero di verificare che le 
imprese che operano nel settore pubblico rispettino la normativa previdenziale, 
a prescindere dall�importo del contratto e dalla procedura di selezione adottata, 
nonch� la trasparenza e la parit� di condizioni tra i concorrenti. 
D�altra parte, nella Circolare INPS n. 92 del 26 luglio 2005 viene espressamente 
ribadito che il DURC riguarda tutti gli appalti pubblici nonch� i lavori 
privati in edilizia soggetti al rilascio di concessione ovvero a denuncia di inizio 
attivit� (DIA). 
Il Consiglio di Stato (cfr. sez. V, sentenza n. 4273 del 1� agosto 2007) ha 
ulteriormente sottolineato l�ampia portata del requisito di �regolarit� contributiva� 
chiarendo che �Non si pu� ritenere che il requisito di regolarit� contributiva 
di cui all�art. 2 D.L. n. 210/2002 possa coincidere con quello di cui 
all�art. 75, comma 1, lett. e), del D.P.R. n. 554/1999. Quest�ultimo, infatti, facendo 
unicamente riferimento a gravi infrazioni debitamente accertate risultanti 
dai dati in possesso dell�Osservatorio dei lavori pubblici, fa emergere
160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
un concetto di irregolarit� legata solo ad infrazioni contributive che hanno 
dato luogo a contenzioso e che siano state portate a conoscenza dell�Osservatorio. 
Il requisito, invece, previsto dall�art. 2 D.L. n. 210/2002, dispone un 
pi� ampio ambito di applicazione, prevedendo l�assenza di qualsiasi inadempienza 
agli obblighi previdenziali (iniziando dal mancato tempestivo pagamento 
delle somme dovute a seguito di dichiarazioni e denunce da parte del 
medesimo soggetto interessato). Tale requisito, quindi, non riferendosi solo a 
quelle evenienze in cui, soprattutto a seguito di accertamenti o rettifiche da 
parte degli enti previdenziali, possano sorgere contenziosi di non agevole e 
pronta definizione ovvero alle (non frequenti) ipotesi in cui si tratta di verificare 
le condizioni per un condono o per una rateizzazione, determina l�esclusione, 
dalla contrattazione con le amministrazioni, di quelle imprese che non 
siano corrette in relazione agli obblighi previdenziali, anche con riferimento 
alle ipotesi in cui non si adempia ad obblighi rispetto ai quali non vi siano 
ragionevoli motivi per non effettuare o comunque ritardare il pagamento�. 
N� pu� ritenersi che tale obbligo contrasti con la ratio dell�articolo 125 
del Codice dei contratti pubblici, volta ad introdurre elasticit� nel sistema, per 
far fronte a situazioni di imprevedibilit�, indifferibilit� ed urgenza; in quanto 
ci� non pu� comunque consentire di prescindere dall�accertamento dei requisiti 
prescritti in materia previdenziale, pena un evidente �vulnus� alle finalit� 
perseguite dalla relativa disciplina. 
D�altra parte, il richiamo contenuto nel comma 12 del suddetto articolo 
125 ai �requisiti di idoneit� morale, capacit� tecnico-professionale ed economico-
finanziaria prescritta per prestazioni di pari importo affidate con le procedure 
ordinarie di scelta del contraente�, richiesti all�affidatario di lavori, 
servizi, forniture in economia � da intendersi come comprensivo anche del requisito 
di �regolarit� contributiva�, al lume delle considerazioni che di seguito 
si espongono. 
Come sottolineato dal TAR Lazio sez. II, nella sentenza del 5 novembre 
2009, n.10877, �Sotto un profilo sistematico, va osservato che la regolarit� 
contributiva - contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente - � requisito 
indispensabile non solo per la partecipazione alla gara ma anche per la stipulazione 
del contratto (cfr. TAR Umbria 12 aprile 2006, n. 221; TAR Abruzzo, 
Pescara, 7 aprile 2005, n. 173; Consiglio di Stato, sez. IV, 27 dicembre 2004, 
n. 8215). Per conseguenza, l�impresa deve essere in regola con i relativi obblighi 
fin dalla presentazione della domanda e conservare tale regolarit� per 
tutto lo svolgimento della procedura di gara� La regolarit� contributiva nei 
confronti degli enti previdenziali costituisce, infatti, indice rivelatore della 
correttezza dell�impresa nei rapporti con le proprie maestranze e deve, pertanto, 
poter essere apprezzata in relazione a tutti i periodi durante i quali l�impresa 
stessa era tenuta ad effettuare i relativi versamenti (TAR Basilicata, 
Potenza, 27 agosto 2001, n. 667). Giova ulteriormente precisare che (cfr. TAR
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 161 
Veneto sez. I 17 maggio 2007, n. 1507) soltanto l�accertamento della regolarit� 
nel tempo del versamento dei contributi previdenziali e assistenziali e, 
quindi, della capacit� dell�impresa di far fronte alle relative obbligazioni � 
idoneo a soddisfare l�interesse pubblico �primario� che viene in rilievo nelle 
gare d�appalto, incentrato sull�affidabilit� dell�impresa concorrente attraverso 
l�indice rivelatore della sua pi� efficiente ed efficace gestione economico-
produttiva (con il conseguente condivisibile rilievo secondo il quale la 
regolarit� contributiva ��non rileva quale espressione di un mero rapporto 
obbligatorio tra due soggetti, ma come qualificazione soggettiva dell�impresa 
in termini di rispetto degli obblighi normativi e, dunque, espressione di affidabilit�, 
costituente presupposto per la partecipazione alla procedura concorsuale�: 
cfr. TAR Campania, Salerno, sez. I, 7 marzo 2001, n. 227). 
Trasparente �, nello stesso tempo, il coordinamento della disposizione 
comunitaria e nazionale all�interesse pubblico secondario relativo alla pi� 
piena e penetrante tutela della posizione assicurativa previdenziale e assistenziale 
dei lavoratori dipendenti delle imprese assicurate alla partecipazione 
alle gare d�appalto, anche in una chiave volta ad assicurare l�effettivit� della 
concorrenza, che sarebbe frustrata qualora talune di esse potessero �giovarsi� 
della propria posizione d�irregolarit� contributiva per proporre prezzi 
pi� bassi rispetto alle altre in regola, conseguendo �economie� di spese generali 
e gestionali proprio attraverso la violazione degli obblighi contributivi 
e assistenziali��. 
D�altro canto, la regolarizzazione successiva non elimina l�irregolarit� riscontrata 
e le sue conseguenze sul piano della correttezza ed affidabilit� dell�impresa 
aggiudicataria (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 22 maggio 2007 n. 
5574). 
Per quanto riguarda la prospettata esigenza di celerit�, si rappresenta che 
la recente L. n. 2/2009, all�art. 16 bis, co. 10 ha previsto che, in tutti i casi in 
cui � richiesto dalla legge, il DURC debba essere acquisito d�ufficio dalle stazioni 
appaltanti pubbliche. L�acquisizione pu� avvenire anche attraverso strumenti 
informatici, che dovrebbero consentire una maggiore rapidit� 
nell�espletamento dei suddetti adempimenti. 
Diversamente opinando, ossia ritenendo la non necessit� del DURC nel 
caso delle acquisizioni in economia mediante procedura di �cottimo fiduciario�, 
si esporrebbe la stazione appaltante al rischio di travolgimento �successivo� 
delle procedure espletate, in quanto per giurisprudenza consolidata le 
irregolarit� contributive dell�aggiudicatario, seppure rilevate in epoca successiva 
alla presentazione della domanda di partecipazione alla gara, costituiscono 
elemento impeditivo per l�affidamento dell�appalto; sicch�, l�eventuale accertamento 
di una pendenza di carattere previdenziale o assistenziale in capo all�impresa, 
pur dichiarata aggiudicataria dell�appalto, emessa in epoca 
successiva alla scadenza del termine per partecipare alla procedura selettiva,
162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
non pu� che implicare, a seconda dei casi, l�impossibilit� per la stazione appaltante 
di stipulare il contratto con l�impresa medesima e la conseguente 
esclusione, ovvero la risoluzione del contratto gi� stipulato (cfr. Consiglio di 
Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006 n. 288). 
Si ritiene pertanto, secondo un interpretazione sistematica e letterale delle 
disposizioni succitate, necessaria l�acquisizione e verifica del DURC anche 
per le acquisizioni in economia di beni, servizi e lavori, mediante procedure 
di �cottimo fiduciario�. 
Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo che si � espresso in 
conformit� in data 8 luglio 2010. 
Si invita a darne comunicazione all�Amministrazione interessata. 
A.G.S. - Parere del 14 luglio 2010 prot. 230688 - avv. Stato Massimo 
Salvatorelli - AL 24626/10. 
�Patrocinio extra districtum degli avvocati e procuratori dello Stato. Proposta 
per l� autorizzazione alla trattazione di giudizio incidentale dinanzi alla 
Corte costituzionale� 
1. Con nota 3 giugno 2010, nel trasmettere copia dell�ordinanza 25 maggio 
2010 con la quale il TAR per l�Umbria ha sollevato questione di legittimit� 
costituzionale dell�art. 2 comma 1 e dell�art. 3 comma 1 del DPR n.1032/1973 
nonch� dell�art. 9 comma 1 del D.Lgs. n. 207/1947, codesto Ufficio, considerato 
che la controversia di merito nella quale la questione di costituzionalit� � 
stata posta � stata trattata da Avvocato dello Stato in servizio presso la locale 
Avvocatura Distrettuale dello Stato, richiede se sia possibile autorizzare detto 
Avvocato, ai sensi dell�art. 9 della L. n. 103/79, alla trattazione della fase incidentale 
di legittimit� costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale. 
La formulazione del quesito deve essere intesa quale �proposta� ai sensi 
del comma 3 della richiamata disposizione. 
2. In linea generale, quanto al patrocinio avanti la Corte Costituzionale, 
si osserva quanto segue. 
Il citato art. 9, nell�identificare nella Circoscrizione territoriale l�elemento 
in base al quale procedere al riparto della competenza nella trattazione dei giudizi 
e delle questioni consultive sottoposte all�Avvocatura Generale e alle Avvocature 
Distrettuali dello Stato, precisa in particolare (comma 1) che 
�l�Avvocatura generale dello Stato provvede alla rappresentanza e difesa delle 
amministrazioni nei giudizi davanti alla Corte costituzionale, alla Corte di 
cassazione, al Tribunale superiore delle acque pubbliche, alle altre supreme 
giurisdizioni, anche amministrative, ed ai collegi arbitrali con sede in Roma,
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 163 
nonch� nei procedimenti innanzi a collegi internazionali o comunitari�. 
Il comma 3 dispone, poi, che �gli avvocati ed i procuratori dello Stato 
possono essere incaricati della rappresentanza e difesa delle amministrazioni 
in cause che si svolgono fuori della circoscrizione del loro ufficio�. Attesa il 
generale tenore della norma, nel diritto vivente si � ritenuto che essa consenta, 
in via di principio, che un Avvocato dello Stato in servizio in un Ufficio distrettuale 
possa patrocinare l�Amministrazione anche presso le Autorit� giurisdizionali 
superiori menzionate dal primo comma sopra riportato. Tuttavia 
la disposizione non ha mai trovato applicazione con riferimento ai giudizi dinanzi 
alla Corte Costituzionale, nei quali l�Avvocatura non assiste un�Amministrazione 
�parte� di un giudizio di merito, bens� il Presidente del Consiglio 
dei Ministri, interveniente ai sensi dell�art. 25 della L. n. 87/53. 
La partecipazione dell�Avvocatura dello Stato al giudizio incidentale di 
costituzionalit�, nei casi in cui sia deliberato l�intervento, � regolata dall�art. 
4 delle �Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale�, 
che prevede (comma 1) che �l�intervento in giudizio del Presidente del Consiglio 
dei ministri ha luogo con il deposito delle deduzioni, comprensive delle 
conclusioni, sottoscritte dall�Avvocato generale dello Stato o da un suo sostituto�. 
La norma, interpretata nella sua originale stesura (anteriore alla riforma 
dell�Istituto contenuta nella L. n. 103/79) come riferita al �sostituto avvocato 
generale�, specifica qualifica oggi corrispondente a quella di Avvocato dello 
Stato alla terza classe di stipendio, � stata successivamente ricollegata, in termini 
pi� generici, ad un Avvocato dello Stato designato dall�Avvocato generale. 
Nessuna altra previsione specifica � posta per quanto riguarda il deposito 
di memorie (art. 10 delle Norme integrative) e la partecipazione all�udienza 
pubblica (art. 16). 
3. Tale essendo il quadro normativo, non vi � ragione di ritenere inapplicabile 
in linea di principio la generale previsione dell�art. 9 comma 3 della L. 
n. 103/79 alle ipotesi di intervento in giudizio in rappresentanza del Presidente 
del Consiglio dei Ministri dinanzi alla Corte Costituzionale. 
4. Diverso problema �, ovviamente, la valutazione che dovr� essere svolta 
in punto di opportunit� in ordine al miglior perseguimento dell�interesse pubblico 
nel caso concreto. 
Sulla questione va osservato che l�abituale trattazione delle cause dinanzi 
alla Corte Costituzionale da parte di Avvocati in forza all�Avvocatura Generale 
dello Stato - all�uopo designati dall�Avvocato Generale quali suoi �sostituti� 
- risponde a fondamentali esigenze defensionali. Per un verso, essa garantisce 
uniformit� di difesa in un giudizio contraddistinto da caratteristiche forme in 
rito e da specifiche particolarit�; per altro verso, discende dalla necessit� di 
un costante contatto con gli uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 
ai quali spetta di comunicare, anche in tempi ristrettissimi, quanto deliberato
164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
in ordine all�intervento in giudizio, ovvero alla impugnazione di leggi regionali, 
o ancora alla resistenza in caso di impugnazione di legge statale. Ci� suggerisce 
che, in via di regola, risponda alla miglior tutela dell�interesse pubblico 
e a principi di �economicit�� la circostanza che a detti giudizi l�Avvocatura 
intervenga a mezzo di Avvocati dell�Avvocatura Generale. 
5. Poich�, tuttavia, come in precedenza illustrato, nessun ostacolo normativo 
sembra sussistere in astratto a che nella redazione degli atti defensionali 
ovvero nella partecipazione alla pubblica udienza intervenga un Avvocato appartenente 
ad Avvocatura Distrettuale, si ritiene che, in circostanze eccezionali, 
ad esempio con riferimento alla natura delle questioni trattate - in ipotesi riferite 
a specifiche tematiche, anche di carattere tecnico, ovvero a normative particolari 
riguardanti peculiari realt� locali - o ad altri elementi oggettivi e 
soggettivi rilevanti, che non possono essere individuati nella semplice circostanza 
che la questione di costituzionalit� � stata sollevata in un giudizio nel 
quale l�Avvocatura Distrettuale � costituita, possa farsi luogo da parte del competente 
Avvocato Distrettuale ad una richiesta specificamente motivata che illustri 
le particolari ragioni che rendano preferibile, nel perseguimento 
dell�interesse pubblico della miglior difesa in giudizio, l�esercizio del patrocinio 
extra districtum. 
Dette richieste saranno pertanto sottoposte all�Avvocato Generale con la 
procedura di cui all�art. 9, comma 3, della L. n. 103/79. 
6. Tanto premesso in linea di principio, nella specifica questione di cui 
alla nota in riscontro, si ritiene che manchi allo stato la richiesta motivata di 
cui al numero che precede, che consenta una piena valutazione dell�interesse 
pubblico al fine dell�autorizzazione richiesta. 
Si rimane pertanto in attesa dell�invio da parte di codesta Avvocatura distrettuale 
della documentazione necessaria ai fini della definitiva statuizione 
di competenza. 
Sui profili di massima della questione � stato sentito il Comitato Consultivo 
dell�Avvocatura dello Stato, il quale, nella seduta del 13 luglio 2010, si � 
espresso in conformit�. 
A.G.S. - Parere del 20 settembre 2010 prot. 285549 - avv. Stato Barbara 
Tidore - AL 29102/10. 
�Legge-quadro per l'assistenza, l�integrazione sociale e i diritti delle persone 
handicappate: applicazione delle agevolazioni previste dall�articolo 33 
comma 3 della legge 104/92� 
Nella nota in riferimento si descrive una prassi, sino ad oggi seguita da
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 165 
codesta Autorit�, in base alla quale sono stati accordati i permessi previsti 
dall�articolo 33 comma 3 della legge 104/92, in favore di dipendenti che si 
trovavano in situazioni nelle quali veniva in rilievo una condizione di handicap 
non definibile come �grave� secondo la dizione di cui al terzo comma dell�articolo 
3 della stessa L. 104. 
Tali situazioni, originariamente circoscritte ai casi in cui l�handicap riguardava 
lo stesso dipendente o un familiare affidato alla sua cura (genitore o 
figlio), sono state successivamente ravvisate anche laddove veniva prospettata 
la necessit� di assistenza ad altri familiari del dipendente. 
Come correttamente osservato nella richiesta di parere, la distinzione tra 
situazioni gravi e non gravi si rinviene nella lettura comparata del primo e del 
terzo comma dell�articolo 3 cit., dai quali si evince che il tratto distintivo della 
condizione di gravit� risiede nella necessit�, propria della persona portatrice 
di handicap, di ricevere un intervento assistenziale permanente, continuativo 
e globale. 
La previsione di cui all�articolo 33 comma 3 (�Agevolazioni�) individua 
espressamente l�avente diritto alla concessione dei permessi nel dipendente 
�che assiste una persona con handicap in situazione di gravit��, con esso convivente. 
Il quadro normativo rilevante include, infine, le disposizioni contenute 
nell�articolo 4 della L. 104, secondo cui �gli accertamenti relativi alla minorazione, 
alle difficolt�, alla necessit� dell�intervento assistenziale permanente 
e alla capacit� complessiva individuale residua, di cui all�articolo 3, sono effettuati 
dalle unit� sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui 
all�articolo 1 della legge 15 ottobre 1990 n. 295, che sono integrate da un 
operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le 
unit� sanitarie locali�. 
Tale ultima disposizione � interpretata dalla giurisprudenza, con orientamento 
univoco e consolidato, nel senso della inderogabilit� e non sostituibilit� 
degli accertamenti medici in questione, in quanto �strumento specifico indicato 
dalla legge� (cos� Cass. sez lav. sent. 8068/98, 8436/03, 4623/10-par. 3.1, Sez. 
Unite n. 16102/09). 
Il sistema complessivo si regge pertanto, ai fini che qui rilevano, sui due 
seguenti principi: 
a) solo le situazioni di handicap gravi, in quanto comportanti la necessit� 
di assistenza continuativa, possono dare luogo alla concessione di permessi 
ex art. 33 comma 3, che rappresentano dei benefici indiretti in favore della 
persona portatrice di handicap; 
b) qualora si renda necessario, a qualsiasi fine (ivi incluso quello di ottenere 
un permesso ex art. 33 comma 3 cit.), rappresentare ufficialmente una situazione 
di handicap grave, questa deve emergere dalla certificazione medica 
rilasciata dai competenti organi di verifica delle unit� sanitarie locali secondo
166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
la previsione di cui all�art. 4, costituente una vera propria �condizione indefettibile� 
per la concessione del beneficio (cos� Cass. 8436/03 cit.). E� stato 
infatti escluso espressamente che la condizione di gravit� possa essere documentata 
mediante certificazione di diversa provenienza o accertamenti effettuati 
da organi diversi dalle apposite commissioni (Cass. 8068 cit.). 
Per quanto precede, si ritiene pertanto che la legge non consenta di estendere 
in via applicativa l�istituto del permesso previsto dall�art. 33 comma 3 
(al pari delle altre agevolazioni per le quali sono previste analoghe condizioni, 
come ad es. quella di cui al comma 5 dello stesso art. 33), al di fuori dei casi 
in cui sia addotta e comprovata, unicamente mediante la certificazione medica 
rilasciata dalle competenti commissioni secondo quanto previsto dall�art. 4, 
l�esistenza di una situazione di handicap grave, intendendosi per tale esclusivamente 
quella rispondente alla definizione normativa contenuta nell�art. 3 
comma 3 della stessa legge. 
Rispetto al caso concreto prospettato, in assenza della condizione di gravit� 
in capo al familiare convivente (ovvero, come sembra di capire, della certificazione 
medica che attesti tale gravit�), il beneficio non potr� dunque essere 
riconosciuto. 
Sul presente parere, in quanto involgente profili di massima, � stato sentito 
il Comitato Consultivo che nella seduta del 17 settembre 2010 si � espresso 
in conformit�. 
A.G.S. - Parere del 20 settembre 2010 prot. 301334 - avv. Stato Dorian 
De Feis - AL 33552/10. 
�Transazioni commerciali: non pu� considerarsi usuraio il tasso d�interesse 
direttamente stabilito dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231; per 
le cessioni di beni e servizi allo Sato l�obbligo del pagamento dell�IVA diviene 
esigibile all�atto dei relativi pagamenti; la parte soccombente in giudizio non 
� tenuta al rimborso dell�IVA sull�onorario legale ove la parte vittoriosa assistita 
sia a sua volta soggetto I.V.A.� 
Con la nota in riscontro, l�intestata Amministrazione ha richiesto alla Scrivente 
Avvocatura dello Stato un parere in ordine ai seguenti quesiti: 
1) Se possa configurarsi un conflitto tra la disposizione di cui all�art. 5, 
primo comma, del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 (�Attuazione della 
direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle 
transazioni commerciali�), ai sensi del quale,�salvo diverso accordo tra le 
parti, il saggio degli interessi, ai fini del presente decreto, � determinato in 
misura pari al saggio d'interesse del principale strumento di rifinanziamento
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 167 
della Banca centrale europea applicato alla sua pi� recente operazione di rifinanziamento 
principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre 
in questione, maggiorato di sette punti percentuali. Il saggio di riferimento in 
vigore il primo giorno lavorativo della Banca centrale europea del semestre 
in questione si applica per i successivi sei mesi�, e la normativa dettata, in 
tema di usura, dalla legge 7 marzo 1996, n. 108, la quale ha modificato l�art. 
644 del codice penale ed inciso sull�art. 1815 del codice civile. 
2) Se siano dovuti gli interessi moratori su quanto dovuto dal creditore 
all�Erario a titolo di I.V.A. 
3) Se la parte soccombente nel processo, condannata al pagamento delle 
spese processuali e dell�onorario spettante al difensore della parte vittoriosa, 
sia tenuta a rimborsare anche l�I.V.A. relativa all�onorario, qualora la parte 
vittoriosa sia un soggetto passivo I.V.A. (esercente attivit� d�impresa, professione 
o arte) e la vertenza inerisca l�esercizio della propria attivit� d�impresa, 
professione o arte. 
1) Con riferimento al primo quesito, si osserva quanto segue. 
L�introduzione, nel nostro ordinamento, di un tasso d�interesse che, sia 
pure con il dichiarato scopo di incentivare il tempestivo pagamento del corrispettivo 
di beni e servizi nelle transazioni commerciali, pu� assumere valori 
superiori a quello ordinariamente previsto in tema di obbligazioni pecuniarie 
dall�art. 1284 del codice civile, come integrato, da ultimo, dal D.M. 4 dicembre 
2009, ha indotto taluni operatori ad interrogarsi sulla compatibilit� tra i due 
complessi normativi. 
In particolare, si � posto il problema di risolvere l�apparente conflitto che 
si verifica nell�ipotesi in cui il tasso di interesse, calcolato in via automatica 
sulla base dei criteri previsti dal primo comma dell�art. 5 del decreto legislativo 
9 ottobre 2002, n. 231, superi la �soglia�, anch�essa stabilita ex lege, oltre la 
quale il tasso di interesse viene considerato usurario. 
Sul punto, si ritiene che la compatibilit� rispetto ai limiti del tasso previsto 
dal gi� citato art. 5, primo comma, del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 
231, con le norme dettate in tema di usura, sia ex ante assicurata dalla sua previsione 
normativa, non potendo, pertanto, in alcun caso porsi un problema di 
usurariet� di un tasso espressamente individuato, anche in maniera indiretta, 
dalla legge. 
In primis, infatti, si evidenzia che sia l�art. 644 del codice penale, sia l�art. 
1815, secondo comma, del codice civile, come integrati dall�art. 2 della legge 
7 marzo 1996, n. 108, appaiano tassativamente collegabili alla sola pattuizione 
o promessa di interessi della cui usurariet� si discute, avendo quale substrato 
e presupposto di applicabilit� la fonte convenzionale del tasso d�interesse da 
valutare. 
Nell�ipotesi del saggio previsto dall�art. 5, primo comma, del decreto legislativo 
9 ottobre 2002, n. 231, all�opposto, il tasso, salvo sue deroghe, � sta-
168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
bilito per legge, e non convenzionalmente, e non pu�, in quanto tale, considerarsi 
usurario. 
In secondo luogo, si osserva che la stessa fonte sovranazionale e la natura 
di normativa di adeguamento ad obblighi comunitari assunti dal nostro ordinamento 
fa, dell�articolato in commento, una fonte c.d. rinforzata, in quanto 
tale prevalente su disposizioni interne eventualmente contrastanti od incompatibili, 
anche al fine di assicurare quella soglia di tutela minima dei debitori 
nell�ambito delle transazioni commerciali. 
2) Con riguardo al secondo quesito, si ritiene di poter condividere quanto 
sostenuto da codesta Amministrazione, argomentando in base al disposto di 
cui all�art. 6, quinto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ai sensi del 
quale �� per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi � fatte allo Stato � 
l�imposta diviene esigibile all�atto del pagamento dei relativi corrispettivi ��. 
Infatti, posto che, come correttamente osservato dall�intestata Amministrazione, 
l�I.V.A., nei confronti del soggetto passivo non consumatore finale, 
costituisce una mera partita di giro, in quanto la stessa viene da questi versata 
all�Erario nell�identico importo ricevuto dal committente e, comunque, soltanto 
al momento del pagamento da parte del committente medesimo, non pu� 
ritenersi sussistente alcun �danno� da risarcire, in via forfettaria, con il pagamento 
di interessi moratori sulla somma originariamente dovuta. 
A ci� deve aggiungersi che, come chiarito dalla giurisprudenza della 
Corte di cassazione (ex multis, Corte di cassazione, Sez. I, 2 giugno 2000, n. 
7308), �deve escludersi l'esistenza nell'ordinamento di un principio secondo 
cui i pagamenti da parte dello Stato (nella specie, per corrispettivi di opere 
in appalto pubblico) siano subordinati alla previa fatturazione. Tale principio 
non pu� desumersi, infatti, n� dall'art. 277 del r.d. n. 827 del 1924 (regolamento 
sulla contabilit� dello Stato), che non fa alcun riferimento n� implicito, 
n� esplicito alla necessit� della fatturazione quale condizione di esigibilit� 
dei crediti verso lo Stato, n� dagli art. 6 e 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, per i 
quali ultimi l'obbligo della fatturazione [da parte del soggetto che effettua la 
cessione del bene o la prestazione del servizio, n.d.r.] non sorge prima del pagamento 
del compenso�. 
Pertanto, non essendovi alcun obbligo di fatturazione, da parte del soggetto 
che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio, prima del 
pagamento del compenso da parte del committente, sembra evidente come 
non sorga, sino a quel momento, alcun obbligo, da parte del soggetto che effettua 
la cessione del bene o la prestazione del servizio, nei confronti dell�Erario. 
3) Con riguardo, infine, al terzo ed ultimo quesito prospettato a questo 
Legale Ufficio, si osserva che, con circolare n. 203/E del 6 dicembre 1994, il 
Dipartimento delle Entrate dell�allora Ministero delle Finanze, conformandosi 
ad un parere reso dalla Scrivente Avvocatura dello Stato, ha chiarito che alla
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 169 
parte vittoriosa nel processo spetta il diritto di conseguire dal soccombente, 
condannato al pagamento delle spese processuali, anche il pagamento dell�onorario 
spettante al proprio difensore. 
Ha, altres�, specificato che l�I.V.A. relativa all�onorario non dovr� essere 
rimborsata dalla parte soccombente qualora la controparte sia, come nel caso 
di specie, un soggetto passivo I.V.A. (esercente attivit� d�impresa, professione 
o arte) e la vertenza inerisca all�esercizio della propria attivit� d�impresa, professione 
o arte. 
In tal caso, infatti, non � dovuto il rimborso dell�imposta perch� la parte 
vittoriosa potr� esercitare il diritto di rivalsa di detrazione dell�imposta (art. 
19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) e potr�, quindi, portare in detrazione 
l�imposta medesima, pagata al difensore, in sede di liquidazione periodica. 
Ci� trova conferma nel consolidato orientamento giurisprudenziale in 
forza del quale �il credito del difensore antistatario nei confronti della parte 
soccombente, a seguito del provvedimento di distrazione delle spese giudiziali, 
comprende, oltre agli onorari non riscossi ed alle spese anticipate, il correlativo 
importo dell�I.V.A., quando la parte vittoriosa non sia autorizzata a portare 
in detrazione tale imposta, atteso che il suddetto credito ha la medesima 
natura e consistenza di quello spettante al cliente nei confronti della controparte 
per la rifusione delle spese processuali, le quali includono quanto si � 
corrisposto o si dovr� corrispondere al proprio difensore a titolo di rivalsa 
dell�I.V.A. (senza possibilit� di riversare il relativo carico su altri soggetti), e 
che inoltre la disciplina dell�I.V.A., identificante in via esclusiva nel cliente 
del professionista il soggetto passivo dell�obbligazione di rivalsa, non osta a 
che, in forza dell�autonomo e distinto obbligo nascente dalla pronuncia di 
condanna alle spese, il denaro occorrente alla attuazione della rivalsa venga 
fornito da un terzo estraneo al rapporto professionale, fermo restando l�obbligo 
del difensore distrattario di emettere la fattura sempre nell�ambito di 
tale ultimo rapporto, cio� nei confronti del cliente, indicando nella fattura 
stessa l�I.V.A. percepita ed il suo pagamento da parte del soccombente, in base 
al provvedimento di distrazione� (Corte di cassazione, S.U., 12 giugno 1982, 
n. 3544). 
Il presente parere � stato sottoposto all�esame del Comitato Consultivo 
di cui all�art. 26 della legge n. 103/1979 nella seduta del 17 settembre 2010, 
il quale si � espresso in conformit�.
170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
A.G.S. - Parere del 21 settembre prot. 294165/86 - avv. Stato Giuseppe 
Albenzio - AL 90/06. 
�Pubblico impiego contrattualizzato. Restitutio in integrum relativa a periodi 
di sospensione obbligatoria dal servizio conseguente all�adozione di misure 
restrittive della libert� personale� 
1. L�Agenzia delle Dogane chiede di rivedere o di confermare il parere 
reso da questa Avvocatura Generale al Ministero in indirizzo in data 12 maggio 
2006, concernente la pretesa di ricostruzione economica della carriera per il 
periodo di sospensione cautelare dal servizio disposta dall�Amministrazione 
nei confronti del dipendente sottoposto a misure restrittive della libert� personale 
nell�ambito di procedimenti penali conclusisi poi con sentenza di assoluzione 
con formula piena. 
Ai fini del riesame della questione l�Agenzia richiama le disposizioni del 
CCNL del Comparto Ministeri 2002, riprodotte nel CCNL del Comparto 
Agenzie fiscali 2004, ed osserva che il principio generale desumibile anche 
da Cass. 19169/2006 potrebbe portare al riconoscimento del diritto alla restitutio 
in integrum per il dipendente sospeso obbligatoriamente dal servizio in 
seguito a misura restrittiva della sua libert� personale ma, poi, assolto con formula 
piena con sentenza definitiva. 
2. Riesaminando la questione, la Scrivente osserva quanto segue. 
La giurisprudenza sopravvenuta al parere del 2006 ha confermato l�orientamento 
prevalente della giurisprudenza amministrativa (v. Tar Liguria, sez. 
I, 12 agosto 1996 n. 285; Tar Lombardia, sez. I, 10 febbraio 2003 n. 229; Tar 
Lazio, sez. III, 21 maggio 1993 n. 835, oltre le decisioni menzionate nel detto 
parere), nel senso che la sospensione del sinallagma contrattuale dovuta a 
causa non imputabile all�amministrazione (quale, appunto, in seguito a sospensione 
obbligatoria dal servizio per restrizione in carcere del dipendente) 
non comporta in linea di principio il diritto del dipendente che non abbia effettuato 
la prestazione lavorativa alla restitutio in integrum in seguito ad assoluzione 
in sede penale: �Ai fini della restitutio in integrum in favore del 
dipendente disciplinarmente sanzionato, deve essere dedotto il periodo di 
tempo in cui la prestazione lavorativa non vi � stata per effetto della eventuale 
misura interdittiva di sospensione dal servizio inflitta ai sensi dell�art. 289 
c.p.p., trattandosi di misura cautelare penale (che evidentemente interrompe 
il sinallagma contrattuale)�. (C. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2009, n. 575); �� 
ai fini della restitutio in integrum deve essere dedotto il periodo di tempo in 
cui la prestazione lavorativa non vi � stata per effetto della misura interdittiva 
di sospensione dal servizio inflitta ai sensi dell�art. 289 c.p.p., trattandosi di 
misura cautelare penale, che evidentemente interrompe il sinallagma contrattuale� 
(C. Stato, sez. IV, 12 luglio 2007, n. 3986). 
Peraltro, precedenti decisioni dello stesso Consiglio di Stato si esprimono
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 171 
in termini che paiono aprire alla possibilit� di eccezioni al principio sopra delineato 
[�L�art. 97 d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, che prevede espressamente 
l�ipotesi in cui l�impiegato sospeso dal servizio sia assolto con formula piena 
nel procedimento penale e nei suoi confronti sia stata disposta la restitutio in 
integrum, ha natura eccezionale, in quanto volutamente derogatoria del principio 
fondamentale di sinallagmaticit� delle due prestazioni (obbligo retributivo 
e prestazione lavorativa)�, C. Stato, sez. VI, 26 giugno 2003, n. 3827], 
mentre dalla citata sentenza della Cassazione n. 19169/2006 si pu� dedurre a 
contrario il diverso principio secondo cui, quando la mancata prestazione (e 
conseguente interruzione del rapporto sinallagmatico) non sia imputabile al 
lavoratore, questi non deve sopportare gli effetti sfavorevoli (in riferimento, 
in particolare, alla retribuzione), indipendentemente dalla �colpa� del datore 
di lavoro. 
3. In questa situazione di incertezza sul piano giurisprudenziale interviene 
(per il comparto che ci interessa) il CCNL che, negli art. 15, commi 7-8, 
(CCNL 2002) e 70, commi 7-8, (CCNL 2004) disciplina il caso in esame, cos� 
disponendo: �il dipendente che sia colpito da misura restrittiva della libert� 
personale � sospeso d�ufficio dal servizio con privazione della retribuzione 
per la durata (�) dello stato restrittivo della libert�� � �al dipendente sospeso 
ai sensi dei commi da 1 a 5 sono corrisposti un�indennit� pari al 50% 
della retribuzione (�) nonch� gli assegni del nucleo familiare e la retribuzione 
individuale di anzianit�, ove spettanti� � �nel caso di sentenza definitiva di 
assoluzione o proscioglimento (�) quanto corrisposto nel periodo di sospensione 
cautelare a titolo di indennit� verr� conguagliato con quanto dovuto al 
lavoratore se fosse rimasto in servizio, escluse le indennit� o compensi per 
servizi speciali o per prestazioni di carattere straordinario�. 
La giurisprudenza sulla quale si era basato il precedente parere di questa 
Avvocatura concerneva casi nati sotto la vigenza del dpr 3/1957, mentre quella 
citata nel precedente paragrafo non ha preso in considerazione le clausole del 
CCNL sopra riportate, o clausole analoghe, che invece, ad avviso della Scrivente, 
vanno valorizzate con conseguente riesame del precedente parere reso 
al Ministero. 
Si potrebbe, pertanto, ritenere che i casi segnalati da codesta Agenzia debbano 
essere regolati secondo le disposizioni del CCNL vigente, in ossequio al 
principio generale per i rapporti di pubblico impiego contrattualizzato; il testo 
contrattuale da tenere presente dovr� essere quello del momento in cui, con 
l�assoluzione in sede penale, � maturato per il dipendente il diritto alla restitutio 
in integrum, in considerazione della validit� temporale dei contratti per 
i periodi negli stessi indicati e della necessit� di tenere presente, come gi� 
detto, il momento in cui si riespande il diritto del dipendente, altrimenti precluso 
dalla obbligatoriet� della sospensione a suo tempo disposta (si veda, a 
conforto, la giurisprudenza della Cassazione in ordine al momento in cui con-
172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
siderare compiuto il presupposto per la determinazione dell�indennit� per ingiusta 
detenzione: Cass. pen., sez. IV, 18 dicembre 2000 e 11 maggio 1993; 
sez. I, 20 gennaio 1992). 
Le disposizioni del CCNL sopra citate (e vigenti all�epoca della maturazione 
del diritto) sono chiare nel senso di riconoscere al dipendente il diritto 
alla restitutio nei termini ivi indicati, in ossequio al principio che il rischio retributivo 
non resta a carico del lavoratore qualora l�interruzione del sinallagma 
contrattuale non sia allo stesso imputabile. 
La soluzione proposta non � supportata da pronunzie giurisprudenziali 
specifiche per il comparto de quo e, quindi, il presente parere � suscettibile di 
riesame in relazione ad una diversa interpretazione della norma contrattuale 
che dovesse sopravvenire in sede giudiziaria. 
Il parere � stato sottoposto all�esame del Comitato Consultivo che si � 
espresso in conformit� nella seduta del 17 settembre 2010. 
A.G.S. - Parere del 1� ottobre 2010 prot. 299933/49/61 - avv. Stato 
Marina Russo - AL 6569/10. 
�Testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la 
cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni. 
Pagamenti nei confronti delle societ� cessionarie in caso di fallimento 
della societ� cedente: spettanza dei crediti ceduti� 
Viene nuovamente sottoposta all�attenzione della Scrivente la questione 
in oggetto, relativamente alla quale � stato gi� reso parere con nota prot. 
170250 del 20 maggio 2010. 
In detto parere, la Scrivente esprimeva avviso favorevole a che l�Amministrazione 
desse corso ai pagamenti nei confronti delle societ� cessionarie, 
salvi alcuni adempimenti prudenziali, segnatamente la richiesta al curatore 
fallimentare di rendere nota l�eventuale pendenza di azione revocatoria ovvero 
la sua imminente proposizione. 
L�Amministrazione in indirizzo segnala, ora, di non aver ancora dato 
corso ai pagamenti nei confronti delle societ� cessionarie, e ci� in considerazione 
di quanto qui di seguito si sintetizza: 
a) la Direzione di Amministrazione dell�Esercito, in situazione analoga 
a quella che interessa l�Arma dei Carabinieri, ha ritenuto di continuare ad eseguire 
i pagamenti nei confronti delle societ� cedenti, medio tempore fallite; 
b) la curatela dei fallimenti non ha dato formale riscontro alla richiesta 
di informazioni circa eventuali azioni revocatorie, ma � in un caso � ha informalmente 
suggerito di attendere una statuizione del giudice fallimentare, da
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 173 
adottarsi auspicabilmente nell�ambito di una prossima udienza, fissata per il 
24 novembre 10 (peraltro, non si conosce lo specifico incombente processuale 
per il quale detta udienza � fissata, sicch� la possibilit� che - in quella sede - 
il giudice affronti la questione della revocabilit� della cessione appare dubbia);
c) uno dei dipendenti mutuanti � stato nelle more segnalato alla Centrale 
dei rischi come �cattivo pagatore� dalla societ� cessionaria (ci� che ben potrebbe 
verificarsi prossimamente anche in danno di molti altri), sicch� l�Amministrazione 
in indirizzo chiede anche di conoscere se sia possibile diffidare 
la suddetta Centrale dei rischi dall�adottare analoghe iniziative in futuro. 
****** 
Tanto premesso, con la presente nota si espone quanto segue. 
Occorre innanzi tutto procedere ad un chiarimento preliminare: la questione 
dell�efficacia nei confronti dell�Amministrazione della cessione dei crediti 
aventi ad oggetto il quinto dello stipendio va tenuta ben distinta rispetto 
alla questione del sopravvenuto fallimento delle societ� mutuanti che detta 
cessione hanno effettuato. 
Infatti � una cessione che fosse rispettosa delle forme di cui all�art. 69 
del R.D. 2440/1923, ed alla quale, in ipotesi, non ostasse (sul che ci si diffonder� 
infra) la norma di cui all�art. 42 III comma del D.P.R. 180/50 � non potrebbe 
perdere efficacia solo per effetto della dichiarazione di fallimento del 
cedente. 
La cessione perderebbe infatti efficacia unicamente nel caso in cui il curatore 
agisse in revocatoria, ottenendo sentenza favorevole. 
In mancanza, il debitore ceduto non potrebbe che dar corso ai pagamenti 
nei confronti del cessionario, e ci� indipendentemente dalla sopravvenuta dichiarazione 
di fallimento del cedente. 
Pertanto il suggerimento, di cui al parere reso il 20 maggio 2010, di acquisire 
informazioni dai curatori fallimentari circa l�eventuale pendenza di 
azioni revocatorie, deve intendersi finalizzato ad acquisire conoscenza dell�esistenza 
di un contenzioso in sede giudiziale tra il fallimento della societ� 
cedente ed il cessionario, avente ad oggetto la spettanza dei crediti ceduti, essenzialmente 
in quanto - in presenza di tale contenzioso - l�Amministrazione 
potrebbe fare ricorso alla procedura del sequestro liberatorio, onde mettere i 
crediti contestati a disposizione di chi, all�esito dell�azione revocatoria, ne risultasse 
titolare. 
Tuttavia, poich� i curatori fallimentari, pur richiestine, non hanno comunicato 
la pendenza o l�imminente avvio di azioni revocatorie, non resta che 
verificare se alla cessione de qua osti la norma di cui al menzionato art. 42 III 
comma, o se - invece - la cessione stessa sia efficace nei confronti dell�Amministrazione 
e questa debba pertanto pagare il dovuto ai cessionari. 
Quanto sopra, fermo restando che - ove la proposizione di azioni revoca-
174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
torie dovesse constare in futuro - il sequestro liberatorio delle somme ancora 
dovute potr� comunque essere richiesto in tal sede. 
Venendo, quindi, all�esame dell�art. 42 III comma cit., si osserva quanto 
segue. 
La norma, come noto, recita: �Sono inefficaci rispetto allo Stato ed agli 
altri enti dai quali i cedenti dipendono, i sequestri, i pignoramenti e le alienazioni 
delle quote di stipendio o di salario cedute�. 
Volendo ricostruire la ratio della norma, sembra che l�inefficacia dei pignoramenti 
e dei sequestri sia finalizzata a tutelare l�interesse, tanto del dipendente 
quanto del mutuante, a che iniziative di terzi non compromettano 
l�esecuzione del contratto di mutuo. 
Quanto al divieto di alienazione delle quote di stipendio cedute, la norma 
sembra assai meno chiara: prova ne sia il fatto che la Ragioneria Generale 
dello Stato, nella nota del 20 aprile 2010 n. 32216 richiamata nel parere del 
20 maggio 2010, ha auspicato un intervento normativo. 
Ed invero, deve innanzi tutto escludersi che le �alienazioni� cui si riferisce 
la norma siano quelle poste in essere dallo stesso dipendente mutuatario (la 
norma sarebbe in tal caso superflua, atteso che il dipendente non potrebbe in 
nessun caso � anche indipendentemente da quanto afferma l�art. 42 III comma 
� legittimamente disporre della quota di stipendio di cui ha gi� in precedenza 
disposto con la cessione). 
Si tratta, allora, di verificare quale possa essere una ragionevole giustificazione 
al divieto di alienazioni (che costituisce peraltro deroga al principio 
generale della libera cedibilit� dei crediti), nell�assunto che le alienazioni in 
questione si identifichino con quelle poste in essere da parte del mutuante. 
Ritiene al riguardo la Scrivente che una giustificazione al divieto di alienazione 
delle quote cedute potrebbe essere ravvisata unicamente nell�esigenza 
di evitare che, tramite la cessione, il diritto alla quota di stipendio possa essere 
trasferito a soggetti diversi da quelli che - soli - a mente dell�art. 15 del D.P.R. 
180/50 sono ammessi a concedere prestiti e che, per l�effetto, da una parte 
hanno titolo a ricevere il periodico pagamento delle quote dall�Amministrazione 
e, dall�altra, possono essere (e frequentemente sono) convenzionalmente 
tenuti a corrispondere alla stessa eventuali indennizzi, a copertura delle spese 
di accredito. 
Analoga ratio ricorreva, ad esempio, nel caso dei limiti alla sequestrabilit� 
e cedibilit� dei crediti per corrispettivo di contratti in corso di cui all�art. 9 
dell�All. E alla legge 2248/1865 (�Sul prezzo dei contratti in corso non potr� 
avere effetto alcun sequestro, n� convenirsi cessione, se non vi aderisca l'amministrazione 
interessata�). 
I cessionari diversi dai soggetti di cui all�art. 15, infatti, potrebbero non 
garantire le stesse caratteristiche di affidabilit� ed onorabilit� di questi ultimi, 
sicch� � cos� come l�art. 15 mira ad evitare che i dipendenti pubblici assumano
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 175 
obbligazioni nei confronti di soggetti la cui seriet� non pu� essere certa - � altres� 
opportuno evitare che l�Amministrazione si trovi, a sua volta, di fatto costretta 
ad interagire - a seguito di atti dispositivi delle quote di stipendio cedute 
- con soggetti che non assicurino lo �standard� di affidabilit� di quelli enumerati 
all�art. 15. 
Ci� premesso - l�interpretazione letterale dell�art. 42 III comma cit. dovrebbe 
condurre alla conclusione che nessuna alienazione delle quote di stipendio 
cedute, operata dal mutuante, pu� essere opposta all�Amministrazione, 
in linea con quanto previsto dall�art. 1260 c.c. �Il creditore pu� trasferire � 
il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purch�� il trasferimento 
non sia vietato dalla legge�. 
Tuttavia, una lettura del richiamato articolo che tenga conto della ratio 
legis come sopra ricostruita, ben pu� indurre a ritenere, in via di interpretazione 
adeguatrice, e come sostenuto dalla Scrivente nel parere del 20 maggio 
2010, che � in un caso come quello che ne occupa � la soluzione possa essere 
diversa, allorch� la modifica soggettiva del creditore risulta di fatto ininfluente. 
Pi� precisamente, il mutamento della persona del creditore � indifferente, 
allorquando i cessionari (nella specie Barclays Bank e Neos Finance) sono, a 
loro volta, istituti esercenti il credito e rientrano, come tali, nella previsione 
dell�art. 15 del D.p.r. 180/50. 
Tale circostanza - unitamente alla non secondaria considerazione, valorizzata 
anche dalla Ragioneria Generale dello Stato nella citata nota del 20 
aprile 2010 n. 32216, dei possibili pregiudizi (gi� effettivamente insorti) che 
una diversa soluzione implica per gli incolpevoli dipendenti che hanno �sub�to� 
la vicenda, ritrovandosi sostanzialmente inadempienti nei confronti dei 
soggetti cessionari del credito - induce la Scrivente a confermare il parere gi� 
reso in data 20 maggio 2010 con nota n. 170250. 
Quanto, infine, alla possibilit� di indirizzare una formale diffida alla Centrale 
dei rischi, come meglio illustrato al punto c), si rappresenta che eventuali 
iniziative in tal senso competono unicamente al diretto interessato. 
Per parte sua, tuttavia, l�Amministrazione, in un�ottica di collaborazione, 
potrebbe per� contribuire a chiarire la vicenda alla Centrale stessa con apposita 
nota, illustrando in particolare come le somme siano state finora versate ai fallimenti, 
in ragione delle incertezze interpretative del caso e nelle more del necessario 
approfondimento ai fini di una corretta interpretazione normativa. 
Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo, che si � espresso 
in conformit�.
176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
A.G.S. - Parere del 12 ottobre 2010 prot. 311287 - avv. Stato Enrico 
De Giovanni - AL 36023/10. 
�Istanze di rimborso delle spese legali ex art. 18 D.L. n. 67/97. Proscioglimento 
ex art. 425 comma 3 cod. proc. pen. Spettanza� 
L�Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli pone, per l�eventuale sottoposizione 
al Comitato Consultivo, un quesito in merito alla spettanza del 
rimborso delle spese legali richiesto da dipendenti di Amministrazioni statali 
ex art. 18 D.L. n. 67 del 1997 a fronte di sentenze penali di non luogo a procedere 
emesse ex art. 425 comma 3 del c.p.p. dal giudice dell�udienza preliminare. 
Come � noto il citato comma 3 cos� recita: �3. Il giudice pronuncia sentenza 
di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano 
insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l�accusa in giudizio�. 
L�Avvocatura Distrettuale di Napoli, con due schemi di parere, riguardanti 
fattispecie analoghe sotto i profili che saranno approfonditi, esaminati ed approvati 
a maggioranza come posizione della medesima Avvocatura Distrettuale 
in riunione collegiale dell�11 agosto 2010, ritiene (si prende qui a riferimento 
il CS 950/09) che nel caso di specie dalla lettura della sentenza di non luogo 
a procedere si evince che �la responsabilit� del prevenuto non risulta affatto 
esclusa, con riguardo alle ipotizzate fattispecie penali�. Anzi, �dalla predetta 
sentenza emergono significativi elementi di sospetto� nonch� �rilevanti elementi 
indiziari�. Pertanto, prosegue l�Avvocatura distrettuale, giacch� il G.U.P. 
�ha ritenuto una situazione processuale di insufficienza degli elementi di accusa 
�non � possibile, in relazione al �perentorio disposto dell�art. 18 D.L. 
67/97, superare l�argine del formale proscioglimento� che quella norma richiede 
per la concessione del rimborso; non vi � in sentenza, infatti, la dimostrazione 
della �totale mancanza di responsabilit� dell�imputato�. 
Analoghe considerazioni valgono per l�altro schema di parere predisposto 
dall�Avvocatura distrettuale. 
Va immediatamente segnalato che nessun atto processuale � stato allegato 
alla richiesta di parere; non si dispone pertanto neanche delle sentenze di non 
luogo a procedere: si ritiene comunque di poter rendere un parere di massima, 
che, senza inerire specificamente a tutti i profili dei casi di specie, riguardi la 
generale possibilit� che il rimborso in questione venga disposto in presenza 
di sentenza emessa ex art. 425 c. 3 c.p.p. 
In sostanza, volendo estrapolare un principio di ordine generale dal contenuto 
dello schema di parere sopra riassunto, nonch� dell�altro di analogo 
contenuto che per brevit� si intende cognito, pu� affermarsi che l�Avvocatura 
napoletana opina che il rimborso non pu�, in quel caso, essere concesso, tranne 
che dalla lettura della sentenza non emergano circostanze che consentano di
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 177 
escludere la responsabilit� penale del richiedente il rimborso. 
Siffatta conclusione, pur se pregevolmente e ampiamente argomentata, 
non pu� essere condivisa per le ragioni di seguito esposte. 
****** 
La sentenza ex art. 425 c. 3 nel testo introdotto dall�art. 23 L. 16 dicembre 
1999, n. 479, costituisce, secondo la condivisibile lettura della giurisprudenza 
della Suprema Corte, decisione che attesta la circostanza che l�insufficienza o 
contraddittoriet� degli elementi probatori acquisiti a carico dell�imputato non 
appaiono ragionevolmente superabili nel dibattimento, con conseguente prognosi 
dell�inutilit� del dibattimento in senso favorevole all�accusa (cfr. Cass. 
Pen. VI, sent. 45275/01; Cass. Pen. II, sent. 14034/08; Cass. pen. IV, sent. 
46403/08); non vi � dubbio che qualora il giudice possa invece pervenire ad 
un giudizio prognostico di innocenza dell�imputato la sentenza di non luogo 
a procedere debba emettersi ex art. 425 comma 1. 
In generale, in merito alla genesi della disposizione, giova ricordare che 
la norma contenente la regola di giudizio in questione, volta a guidare il passaggio 
dalla fase dell�udienza preliminare a quella del dibattimento, ha formato 
oggetto di discussione fin dal 1988, anno di entrata in vigore del codice di rito. 
Se si considerano, poi, gli effetti della triplice interpolazione di cui l�art. 425 
c.p.p. � stato fatto oggetto (vedi l. 8 aprile 1993, n. 105; l. 16 dicembre 1999, 
n. 479 e d.l. 7 aprile 2000, n. 82, convertito con modificazioni nella l. 5 giugno 
2000, n. 114), ben si comprende la complessit� della regolamentazione che ne 
� scaturita, caratterizzata da formule normative eterogenee e ambivalenti: le 
conseguenti difficolt� interpretative, tuttavia, a giudizio di questo G.U. possono 
essere affrontate e risolte con particolare attenzione al rispetto dei principi 
costituzionali applicabili in subiecta materia e ad una corretta 
collocazione sistematica della singole norme. 
Appare utile al riguardo rammentare anche talune posizioni manifestatesi 
in dottrina in merito alla ricordata produzione normativa. In particolare 
si � affermato che il comma 3 dell�art. 425 c.p.p., introdotto dall�art. 23 della 
Legge 16 dicembre 1999, n. 479, appare ricollegabile a due diversi criteri di 
giudizio rinvenibili altrove nel codice di rito (Cfr. AMODIO, Lineamenti della 
riforma, in AA.VV., Giudice unico e garanzie difensive. La procedura penale 
riformata, Milano 2000, 30-31): da un lato, al criterio di �insufficienza probatoria
� previsto nell�art. 530 comma 2 c.p.p. in relazione all�assoluzione 
dibattimentale (in base al quale il giudice pronuncia l�assoluzione �anche 
quando manca, � insufficiente o � contraddittoria la prova�); dall�altro, il criterio 
di �inidoneit� probatoria� (l�espressione � di GREVI, Archiviazione per 
�inidoneit� probatoria� ed obbligatoriet� dell�azione penale, in Riv. dir. 
proc. pen. 1990, 1274) previsto nell�art. 125 disp. att. per l�archiviazione (secondo 
cui �il pubblico ministero presenta al giudice la richiesta di archiviazione 
quando ritiene l�infondatezza della notizia di reato perch� gli elementi
178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l�accusa in 
giudizio�). 
Nel caso di specie ci si muove, evidentemente, nell�ambito del primo 
dei due criteri di giudizio. La sentenza di non luogo a procedere resa ex art. 
425 comma 3 costituisce decisione che attesta la circostanza per cui l�insufficienza 
o conflittualit� degli elementi probatori acquisiti a carico dell�imputato, 
non appaiono ragionevolmente superabili nel dibattimento, con 
conseguente prognosi dell�utilit� nel dibattimento in senso favorevole all�accusa 
(di nuovo cfr. Cass. Pen., VI sez., sent. 45275/2001; Cass. Pen., II sez., 
sent. 14034/2008; Cass. Pen., IV sez., sent. 46403/2008). 
Presupposti per emettere sentenza di non luogo a procedere ai sensi della 
prima parte del comma 3 sono dunque non soltanto l�insufficienza o contraddittoriet� 
delle prove, ma un giudizio prognostico del G.U.P. sugli sviluppi 
dibattimentali. La situazione di insufficienza o contraddittoriet� in quanto 
tale non implica, dunque, pronuncia di non luogo a procedere in ogni caso, 
ma esclusivamente quando vi � la convinzione che l�incertezza non potr� essere 
risolta in dibattimento, perch� il materiale presentato ha esaurito tutta la 
sua potenzialit� (Cfr. APRILE, Giudice unico e processo penale. Commento 
alla legge �Carotti� 16 dicembre 1999, n. 479, Milano 2000, 115 ss.). 
Dunque, se da un lato la sentenza di non luogo a procedere non accerta 
in modo definitivo che l�imputato non � colpevole del reato ascrittogli (tanto 
che � suscettibile di revoca, ex art. 434 c.p.p., nell�ipotesi in cui vengano scoperte 
nuove prove a carico), va altres� considerato che essa non concreta nemmeno 
un semplice provvedimento di tipo �processuale��, destinato null�altro 
che a paralizzare la domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero� 
(contra Corte Cost. 27 giugno 1997 n. 206). La dottrina ha infatti sottolineato 
che, a rigore, ci� vale unicamente nell�ipotesi in cui la sentenza de qua contenga 
un puro accertamento di rito, ossia quando il g.u.p. emani il proscioglimento 
poich� sussiste una causa �per la quale l�azione penale non doveva 
essere iniziata o non deve essere proseguita�. In tutti gli altri casi, il non 
luogo a procedere impedisce la piena cognizione sul merito sulla base di una 
valutazione che, tuttavia, ha ad oggetto il fatto addebitato all�imputato (cos�, 
CARRERI, Il giudice dell�udienza preliminare: giudice di rito o giudice di merito?, 
in Cass. pen. 1994, 2834 ss.). 
Si aggiunga che, in seguito alla riforma del 1999, larga parte della dottrina 
� giunta ad affermare che i nuovi poteri conferiti al g.u.p. hanno trasformato 
la sentenza di non luogo a procedere in un vero e proprio 
provvedimento di merito (ex multiis BASSI, I rapporti fra il giudizio di gravit� 
in materia cautelare e il decreto che dispone il giudizio all�indomani della 
riforma del giudice unico, in Cass. pen. 2001, 353). La stessa Corte costituzionale, 
mettendo in evidenza come l�esigenza di completezza delle indagini, 
il potere di integrazione probatoria in capo al g.u.p. e le nuove cadenze delle
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 179 
investigazioni difensive siano �tutti elementi di novit� che postulano, all�interno 
dell�udienza preliminare, da un lato, un contraddittorio pi� esteso rispetto 
al passato, e, dall�altro, un incremento degli elementi valutativi, cui 
necessariamente corrisponde � quanto alla determinazione conclusiva � un 
apprezzamento del merito ormai privo di quei caratteri di �sommariet�� che 
prima della riforma erano tipici di una delibazione tendenzialmente circoscritta 
allo ��stato degli atti���. In particolare, significativamente, la Corte rileva 
che �l�alternativa decisoria che si offre al giudice quale epilogo 
dell�udienza preliminare, riposa, dunque, su una valutazione del merito della 
causa ormai non pi� distinguibile � quanto ad intensit� e completezza del panorama 
delibativo � da quella propria di altri momenti processuali� (vedi 
Corte cost. n. 224 del 2001). 
Questa prospettiva appare confortata da autori come V. GAROFOLI, 
(Udienza preliminare e regole minime per evitare inutili dibatittimenti, in 
Diritto penale e processo, n. 5/2005, 533 ss.), il quale parla, in forza delle 
modifiche apportate con la legge c.d. Carotti, di �diversa e maggiore pregnanza� 
dell�udienza preliminare, di una �nuova fisionomia� tale da avvicinarla 
sempre di pi� ad un giudizio di merito, finalizzato a tracciare il 
discrimen tra colpevolezza e innocenza (l�autore considera, in particolare, i 
nuovi poteri istruttori consegnati al G.U.P. ai sensi dell�art. 421-bis e 422 
c.p.p.). 
****** 
Alle considerazioni finora svolte altre due se ne devono aggiungere, di 
estrema rilevanza. 
Argomento di fondamentale importanza che spinge a sostenere la tesi 
della esclusione della responsabilit� del dipendente prosciolto ai sensi del terzo 
comma dell�art. 425 c.p.p. prima parte, � la lettura di tale disposizione all�interno 
del sistema delle sentenze di non luogo a procedere messe dal GUP. 
� del tutto logico, infatti, equiparare la suddetta ipotesi alle altre delineate 
dal comma 1 dell�art. 425, come uno dei casi, ex multiis, di esclusione della 
responsabilit�, se si presta la dovuta attenzione al contesto ordinamentale, che 
comunque, � bene ribadirlo, � retto dal principio costituzionale di presunzione 
di non colpevolezza di cui all�art. 27 Cost.. 
La sentenza di non luogo a procedere, resa ex art. 425 comma 3, � senz�altro 
sentenza di non accertata colpevolezza, e, letta in combinato disposto 
con l�art. 27 della Costituzione, sentenza di non accertata responsabilit�. Si 
tratta, come � agevole intuire, di una fattispecie per pi� versi differente da 
quella rappresentata da una sentenza che, pur affermando la responsabilit�, 
neghi, poi, la punibilit�, come accadrebbe ad esempio se il reato in questione 
fosse prescritto o la querela rimessa. 
A nulla servirebbe obbiettare a ci� che la sentenza di non luogo a procedere 
� ricorribile per cassazione da parte dell'imputato, salvo che con la sen-
180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
tenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha 
commesso (lett. b, comma 1, dell�art. 428, rubricato �impugnazione della sentenza 
di non luogo a procedere�, cos� sostituito dall�art. 4 della L. 20 febbraio 
2006, n. 46). 
Dal tenore di questa norma si ravvisa infatti il diritto dell�imputato a vedersi 
prosciolto con una assoluzione piena, dal momento che si nega l�impugnabilit� 
solamente nei casi del comma 1 dell�art. 425; pertanto, poich� anche 
all�interno del comma 1 si ritrovano formule che esprimono una assoluzione 
vera e propria (se il fatto non costituisce reato o non � previsto dalla legge 
come reato) e danno comunque luogo a impugnabilit�, evidentemente con la 
norma di cui alla lett. b, comma 1, dell�art. 428 il legislatore ha inteso equiparare, 
o comunque assimilare, la sentenza ex art. 425 c. 3 a queste ultime. 
****** 
Altro argomento che appare comunque decisivo ex se scaturisce dalla 
constatazione che il rimborso ex art. 18 d.l. 67/97 spetta, senza dubbio alcuno, 
ai dipendenti di Amministrazioni statali che siano stati assolti in sede dibattimentale 
dopo aver subito un rinvio a giudizio da parte del g.u.p.; negando il 
rimborso nei casi previsti dall�art. 425 co. 3 c.p.p. ci si troverebbe dinanzi all�incongrua 
e illogica situazione di concedere il beneficio a chi abbia tenuto 
una condotta rispetto alla quale erano emersi elementi idonei a sostenere l�accusa 
in giudizio e di negarlo a coloro nei cui confronti tale situazione non si 
era neanche verificata, finendo con il cagionare una disparit� di trattamento 
in danno di soggetto pi� meritevole di essere tenuto indenne dalle spese legali. 
****** 
Ad abundantiam si sottolinea ancora che la decisione ex comma 3 art. 
425 in parola appare ontologicamente connessa ad una valutazione che non 
giunge ad affermare l�innocenza dell�imputato, cosicch� l�indagine, pur acutamente 
svolta dall�Avvocatura Distrettuale, in merito agli specifici contenuti 
della sentenza non appare necessaria: lo schema normativo, infatti, � tale da 
escludere in radice, a fronte di una decisione ex comma 3 art. 425, la possibilit� 
di rinvenire in motivazione affermazioni di piena esclusione della responsabilit� 
penale dell�imputato. 
****** 
Tutto ci� premesso si ritiene che la norma in parola debba necessariamente 
essere interpretata ed applicata alla luce dell�art. 27, secondo comma 
della Costituzione, in virt� del quale �l�imputato non � considerato colpevole 
sino alla condanna definitiva�. 
La presunzione di innocenza si riverbera dunque sul significato e valore 
da attribuire alla decisione di non doversi procedere ex art. 425, comma 3; poich� 
o si � innocenti o colpevoli (dopo la condanna definitiva), la circostanza 
che venga meno la pendenza di un giudizio penale poich� non vi sono elementi
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 181 
idonei a sostenere l�accusa in giudizio non pu� che determinare la conseguenza 
che il prosciolto debba essere considerato innocente, il che significa che tale 
decisione � idonea ad escludere la responsabilit� dell�agente concretandosi, 
cos�, il presupposto richiesto dall�art. 18 D.L. 67/97 per la concessione del 
rimborso delle spese legali. 
In tal senso si � espresso il Comitato Consultivo nella seduta del 30 settembre 
2010. 
A.G.S. - Parere del 2 novembre 2010 prot. 335322 - avv. Stato Marco 
Stigliano Messuti - AL 12531/10. 
�Responsabilit� esclusiva del Dirigente per le sanzioni amministrative 
irrogate per violazione della normativa in materia di �tutela della salute dei 
non fumatori�. Non addebitabilit� all�Amministrazione di appartenenza� 
Si chiede a questo Generale Ufficio se possano essere addebitate a codesta 
Autorit� le sanzioni amministrative inflitte al dott. (omissis), Direttore del Servizio 
del Personale e delle Risorse Finanziarie, per il mancato aggiornamento 
dei cartelli "VIETATO FUMARE", cos� come invece previsto dalla l. 16 gennaio 
2003, n. 3, art. 51, dal d.p.c.m. di attuazione n. 12753 del 23 dicembre 
2003, dalla l. 30 dicembre 2004, n. 311. 
Il Dirigente ha addotto a suo favore: 
a) che l'adeguamento dei cartelli di divieto di fumo concreta una attivit� 
di indirizzo politico-normativo, nella disponibilit� dell'organo collegiale e non 
anche della Dirigenza Generale ai sensi dell'art. 12, commi 2 e 4 lett. d), della 
delibera 316/02/CONS del 9 ottobre 2002: d'altra parte il modello di riferimento 
� contenuto nell'all. B) alla delibera 188/04/CONS del 9 giugno 2004, 
avente natura precettiva e non meramente esemplificativa del disposto legislativo 
e regolamentare; 
b) che con riferimento alla condotta in esame, sussiste un rapporto di immedesimazione 
organica tra Dirigenza Generale e Autorit�: il comportamento 
contestato si assume come "compiuto nell�esercizio delle attribuzioni affidate 
[�], cos� che vi sia stato un nesso di strumentalit� tra l�adempimento del dovere 
e il compimento dell�atto"; in altre parole, "il dipendente non avrebbe assolto 
ai suoi compiti se non ponendo in essere quella determinata" azione, 
donde la addebitabilit� a carico della amministrazione delle sanzioni irrogate 
durante lo svolgimento delle dovute mansioni; 
c) che l'onere di adeguamento dei cartelli grava sull'Autorit�, la quale 
avrebbe dovuto modificare la delibera 188/04, rendendola compatibile con la 
l. 16 gennaio 2003, n. 3, art. 51, il d.p.c.m. di attuazione n. 12753 del 23 di-
182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
cembre 2003, e la l. 30 dicembre 2004, n. 311; al contrario, il Direttore del 
Personale ha il solo dovere di sollecitare l'Autorithy a conformarsi rispetto 
alle determinazioni legislative, come opportunamente fatto il 18 novembre 
2004 ed il 12 gennaio 2005; 
d) che l'adozione di un cartello difforme rispetto ai requisiti di legge � 
avvenuta ad opera del precedente Capo del Servizio del Personale: questa violazione 
non sarebbe dunque imputabile all'attuale dirigenza. 
Tali obiezioni appaiono infondate. 
In primo luogo non si pu� considerare la delibera 188/04 come uno strumento 
di indirizzo politico-normativo, di competenza esclusiva di codesta Autorit� 
ai sensi dell'art. 2, co. 10, della l. 14 novembre 1995, n. 481. 
Un atto politico � di necessit� "un atto o provvedimento emanato dal governo, 
nell�esercizio del potere politico, anzich� di attivit� meramente amministrativa"(
C. Stato, sez. V; 7 ottobre 2009, n. 6167). Un atto, che ambisce ad 
esser ritenuto "politico", nonch� fonte di un rapporto di identit� funzionale tra 
pubblico dipendente ed Amministrazione, deve addurre novit� rispetto alle vigenti 
prescrizioni e non rispecchiare fedelmente queste ultime. La qualcosa, 
tuttavia, non si ravvisa con riferimento alla delibera 188, che non importa alcuna 
innovazione rispetto al d.p.c.m. del 23 dicembre 2003. 
Tutt� al pi� essa si pone come "traduzione interna" per gli uffici dell'Autorit� 
delle prescrizioni gi� vigenti in materia di divieto di fumo nei locali delle 
amministrazioni pubbliche: recita infatti l'art. 1, co. 1, della delibera 
188/04/CONS: "L�Autorit� per le garanzie nelle comunicazioni, di seguito denominata 
Autorit�, con il presente regolamento si impegna a far rispettare il 
divieto di fumo stabilito dalle norme vigenti, in particolare, la legge 11 novembre 
1975, n. 584 e successive modifiche ed integrazioni e la Direttiva del 
Presidente del Consiglio dei ministri 14 dicembre 1995". 
Ne consegue l'assoluta specularit� tra le previsioni del d.p.c.m. del 2003, 
punto 7, e quelle della delibera 188, art. 2 co. 4, in tema di caratteristiche generali 
del cartello "VIETATO FUMARE". 
A ci� si aggiunge che l'obbligo di conformazione rispetto alla vigente 
normativa deriva direttamente da quest'ultima e non anche dalla delibera collegiale. 
Cos� il TAR Lazio ha recentemente sostenuto che "la necessit� di un 
adeguamento dei locali ai parametri tecnici indicati nel d.p.c.m. 23 dicembre 
2003 non discende" dall�atto amministrativo impugnato, "ma direttamente 
dalla l. 16 gennaio 2003 n. 3 (art. 51)" (TAR Lazio, ord., 17 febbraio 2005, n. 
841). 
Dunque, con riferimento al caso di specie, i dirigenti sono immediatamente 
tenuti a conformarsi rispetto alle disposizioni del legislatore, senza attendere 
ulteriori interventi da parte delle autorit� sovraordinate. Specularmente 
non possono invocare la necessit� di intervento da parte dei predetti organi 
per giustificare le proprie manchevolezze rispetto agli obblighi di legge. N�
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 183 
si pu� obiettare la sussistenza di un rapporto di immedesimazione organica 
tra dirigente ed Amministrazione di appartenenza, cosicch� alla stessa siano 
addebitate le sanzioni per illeciti amministrativi connessi alla attivit� lavorativa 
del primo: questi � tenuto ad agire in base alla normativa, legislativa e regolamentare, 
vigente, ancor di pi� se gli obblighi di comportamento e buona amministrazione 
sono dettati da quest'ultima. 
Infine, si rappresenta che la responsabilit� amministrativa del dirigente 
non � "intuitu personae" e quindi riferibile a chi ricopriva l'incarico al tempo 
della condotta illecita. 
Al contrario, vige il principio funzionalistico in materia. Il punto 7 del 
d.p.c.m. del 2003 e l'art. 2, co. 4, della delibera 188/04/CONS impongono al 
Direttore del Servizio del Personale e Risorse Finanziarie, indipendentemente 
dal momento in cui questi abbia assunto l'incarico, un adeguamento del cartello 
"VIETATO FUMARE", indicando nello stesso il responsabile per l'accertamento 
delle sanzioni ed il suo sostituto, la normativa di legge vigente, le sanzioni 
attualizzate. 
Spetta al dirigente generale avente funzione di capo del personale "ogni 
attivit� di gestione" dello stesso (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, 
n. 3546), ivi inclusa l'attuazione di direttive del legislatore, immediatamente 
esecutive ed efficaci, volte a regolare la vita lavorativa negli uffici pubblici. 
D'altra parte il Direttore del Servizio Amministrazione e Personale di codesta 
Autorit� � individuato dal regolamento interno come il responsabile dell' "organizzazione 
del lavoro, in attuazione delle norme regolamentari" (comb. disp. 
art. 21, co. 1 lett. d) e co. 2, e art. 23, co. 1, delibera 316/02/CONS). Relativamente 
al periodo in cui gli illeciti, amministrativi e disciplinari sono accertati, 
questi � responsabile di tutto quanto accade negli uffici, nulla importa l'origine 
del comportamento non conforme alla legge. La responsabilit� del dirigente � 
funzionale e non personale, dacch� il medesimo � tenuto a verificare la corrispondenza 
dei suoi uffici rispetto alle "prescrizioni contrattuali", alle "regole 
deontologiche previste per i dipendenti pubblici", alle "prescrizioni formali 
previste dal legislatore" (Direttiva del Ministro per le Riforme e le Innovazioni 
nella Pubblica Amministrazione del 6 dicembre 2007, n. 8). 
Da ultimo va osservato, sotto un profilo di natura processuale, che la legittimazione 
passiva del Dirigente, si � consolidata per effetto dell'acquiescenza 
al provvedimento di rigetto del ricorso amministrativo dallo stesso 
proposto dinanzi al Prefetto di Roma. 
Ne consegue che in via di rivalsa nessuna legittimazione passiva (obbligo 
di rimborso), fa capo a codesta Autorit�. 
In conclusione, con riferimento all'obbligo di adeguamento dei cartelli 
"VIETATO FUMARE" rispetto alle vigenti prescrizioni legislative e regolamentari, 
si ritiene che tale condotta � richiesta ai capi degli uffici direttamente 
dal legislatore, mentre non necessita un intervento ulteriore dell'organo colle-
184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
giale. Per di pi� i dirigenti devono immediatamente conformarsi alla pi� recente 
normativa in quanto ci� pretende un corretto svolgimento del loro incarico. 
La loro responsabilit� non � personale, ma funzionale: essa � legata al 
periodo dell'accertata violazione e non pure della condotta contestata. 
Sul presente parere si � espresso in conformit� il Comitato consultivo 
nella seduta del 28 ottobre 2010.
D O T T R I N A 
Indagine sul processo civile in Italia 
Irragionevole durata del processo 
e possibili �ragionevoli� linee di intervento 
Michele Gerardo e Adolfo Mutarelli* 
SOMMARIO: 1.- Introduzione. Metodo di lavoro 2.- Sintesi delle fonti del processo civile 
3.- Brevi cenni sull�organizzazione ed amministrazione giudiziaria, con particolare riferimento 
al processo civile 4.-Analisi del carico di lavoro dei giudici ordinari 5.- Durata dei 
giudizi civili: analisi dei tempi eccessivi del loro svolgimento 6.- Proposte di modifica. Aspetti 
generali 7.- Proposte di modifiche ordinamentali 8.- Proposte di modifiche procedimentali 
9.- Conclusioni. 
1. Introduzione. Metodo di lavoro 
� osservazione condivisa sia dagli �utenti� del servizio giustizia che dagli 
addetti ai lavori che la giustizia civile in Italia versa in uno stato di grave crisi 
a causa dell�eccessiva ed intollerabile � in via generale � durata dei processi. 
Altrettanto diffusa � l�opinione secondo cui il processo civile debba essere 
riformato al fine di assicurare una maggiore efficacia e funzionalit� della giustizia 
civile. 
Del resto, la preoccupazione di ogni Governo in queste ultime legislature 
� stata proprio quella di proporre �novelle� processuali mirate a modificare 
singoli aspetti � di volta in volta individuati come critici � del processo civile. 
Con il presente lavoro si intende proporre delle riflessioni alfine di enucleare 
una possibile linea di riforma sistematica del processo civile in Italia, 
evidenziando come la ragionevole durata del processo deve costituire la ine- 
(*) Avvocati dello Stato.
186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
ludibile ricaduta sul piano giudiziario dell�adeguatezza processuale e costituzionale 
degli interventi normativi proposti. 
La proposte formulate nel presente lavoro, traggono spunto da diversificati 
stimoli: 
a) esistenza di incongruenze sistematiche delle attuali norme processuali; 
b) analisi delle esperienze del processo civile in Italia e verifica se il processo 
civile italiano possa essere �contaminato� - ed in che modo - da soluzioni 
processuali di altri sistemi giuridici. Quanto precede nella consapevolezza che 
singoli istituti possono essere del tutto peculiari di un ordinamento processuale 
rinvenendo la propria funzionalit� solo in quanto inquadrabili in quel sistema. 
E� infatti sin troppo evidente che prendere acriticamente a modello istituti di 
altri ordinamenti potrebbe condurre a delle aporie sistematiche e non conseguire 
i dichiarati obiettivi di funzionalit� e accelerazione. Si � ritenuto pertanto 
di procedere alla analisi � in modo sintetico � di taluni sistemi giuridici di riferimento, 
al fine di verificare se in relazione agli specifici istituti esaminati 
possa ritenersi conseguito un equo contemperamento tra una giusta durata del 
processo e garanzia del diritto di difesa �a parit� di armi� (art. 24 Cost.) in 
presenza di un giudice terzo; 
c) proposte di riforme, numerose ed articolate, formulate in sede legislativa 
o dalla dottrina. L�atteggiamento cui � informato il presente lavoro pu� 
essere riassunto con le parole di un illustre Autore (1), componente della cd. 
Commissione Tarzia, il quale, nell�illustrare la conclusione dei lavori in ordine 
al processo di primo grado, dichiar�: �Noi... non abbiamo fatto altro che tentare 
di sviluppare con ordine e sistematicit� un atteggiamento comune a tutti 
quanti siamo che studiamo e pratichiamo diritto, un atteggiamento che nasce 
appunto dalla pratica, la quale fa sorgere in ciascuno l�aspirazione ad essere 
legislatore. Quante volte, trovandoci insieme tra avvocati, ci si mette a parlare 
di lavoro, ed uno dice: <<Questa norma � sbagliata, io la scriverei cos�, adotterei 
quest�altra soluzione, rimprovero il legislatore di non aver previsto questo 
inconveniente�>> ed un collega gli risponde condividendo, contrastando, 
controproponendo, ma sempre con lo stesso interesse e spirito di ricerca del 
meglio! � da questo atteggiamento diffuso in tutti che nasce l�aspirazione a 
farsi legislatori, ed � incomprimibile, anche se noi siamo saturi di riforme. 
Ad un certo punto, a forza di tentare e di insistere (<<� bussate, bussate e vi 
sar� aperto �>>) qualche idea entra in circolo, qualche norma buona finalmente 
si afferma; ed � con questo spirito, partendo dall�esistente, cercando 
ogni possibile spazio di miglioramento, dalle semplici ripuliture verbali fino 
anche a scelte drastiche e coraggiose dove lo consentiva il tessuto normativo 
(1) S. LA CHINA, in G.TARZIA (a cura di), Il progetto di riforma organico del processo civile, Giuffr� 
ed., Milano, 1998, p. 31.
DOTTRINA 187 
preesistente, che [si � tentato di operare] �. 
2. Sintesi delle fonti del processo civile 
Come � noto, il processo civile in Italia trova la sua disciplina nella Costituzione, 
in norme del diritto internazionale, nel codice di procedura civile e 
in numerose leggi speciali. Disciplina solo mediata si rinviene nella normativa 
scaturente dall�Unione Europea. 
Costituzione 
La Costituzione, sulla materia, enuncia le seguenti regole: 
�Tutti i cittadini� sono eguali davanti alla legge� (art. 3 comma 1); 
�Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi 
legittimi� (art. 24, comma 1); 
�La difesa � un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento� 
(art. 24, comma 2); 
�Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e 
difendersi davanti ad ogni giurisdizione� (art. 24, comma 3); 
�La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori 
giudiziari� (art. 24, comma 4); 
�Il Consiglio di Stato � organo� di tutela della giustizia nell�amministrazione� 
(art. 100, comma 1); �Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia 
amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della 
pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate 
dalla legge, anche dei diritti soggettivi� (art. 103, comma 1); �La Corte 
dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilit� pubblica e nelle altre 
specificate dalla legge� (art. 103, comma 2); 
�La giustizia � amministrata in nome del popolo� (art. 101, comma 1); 
�I giudici sono soggetti soltanto alla legge� (art. 101, comma 2); 
�La funzione giurisdizionale � esercitata da magistrati ordinari istituiti 
e regolati dalle norme sull�ordinamento giudiziario� (art. 102, comma 1); 
�Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono 
soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate 
per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei 
alla magistratura� (art. 102, comma 2); �La legge regola i casi e le forme 
della partecipazione diretta del popolo all�amministrazione della giustizia� 
(art. 102, comma 3); �La legge sull�ordinamento giudiziario pu� ammettere 
la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite 
a giudici singoli� (art. 106, comma 2); �Su designazione del Consiglio superiore 
della magistratura possono essere chiamati all�ufficio di consigliere di 
cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di universit� in materie giuridiche 
e avvocati che abbiano quindici anni d�esercizio e siano iscritti negli
188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
albi speciali per le giurisdizioni superiori� (art. 106, comma 3); 
�La legge assicura l�indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, 
del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all�amministrazione 
della giustizia� (art. 108, comma 2); 
�La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla 
legge� (art. 111, comma 1); �Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra 
le parti, in condizioni di parit�, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge 
ne assicura la ragionevole durata� (art. 111, comma 2); 
�Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati� (art. 111, 
comma 6); 
�Contro le sentenze� pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari 
e speciali, � sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge� 
(art. 111, comma 7); �Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte 
dei conti il ricorso in Cassazione � ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione� 
(art. 111, comma 8); 
�Contro gli atti della Pubblica Amministrazione � sempre ammessa la tutela 
giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di 
giurisdizione ordinaria o amministrativa� (art. 113, comma 1); �Tale tutela 
giurisdizionale non pu� essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione 
o per determinate categorie di atti� (art. 113, comma 2); �La legge 
determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della Pubblica 
Amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa� (art. 
113, comma 3). 
La sintesi delle richiamate regole �: processo ad armi pari tra i litiganti, 
titolari del diritto di difesa, dinanzi ad un giudice indipendente ed imparziale 
il quale deve decidere in tempi ragionevoli. 
Norme del diritto internazionale 
Norme del diritto internazionale incidenti sulla materia del processo civile 
sono contenute nei seguenti testi: 
� Dichiarazione Universale dei diritti dell�uomo 
Approvata dall�Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 
10 dicembre 1948, costituente � cos� il suo Preambolo � un �ideale comune 
da raggiungere da tutti i popoli e da tutte le nazioni�: 
�Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, 
ad un'eguale tutela da parte della legge� (art. 7); 
�Ogni individuo ha diritto ad un'effettiva possibilit� di ricorso a competenti 
tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti 
dalla costituzione o dalla legge� (art. 8); 
�Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una 
equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, 
al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri� � (art. 10).
DOTTRINA 189 
Si osserva che �La Dichiarazione universale dei diritti dell�uomo pu� essere 
considerata la pi� grande prova storica del consensus omnium gentium 
in ordine a un determinato sistema di valori�(2) e �Le successive evoluzioni 
giurisprudenziali consentono, ormai, di qualificare la Dichiarazione come appartenente 
ai principi generali del diritto internazionale�(3). 
� Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� 
fondamentali 
Firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955 
n. 848, nell�art. 6, comma 1: �Ogni persona ha diritto ad un�equa e pubblica 
udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e 
imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti 
e dei suoi doveri di carattere civile� La sentenza deve essere resa pubblicamente, 
ma l�accesso alla sala d�udienza pu� essere vietato alla stampa e al 
pubblico durante tutto o parte del processo nell�interesse��. 
Tale Convenzione ha istituito una Corte Europea dei Diritti dell�uomo 
(artt. 19-51) al fine di assicurare il rispetto degli impegni derivanti alle Alte 
Parti contraenti della Convenzione e dei suoi protocolli (art. 19 della Convenzione). 
�La Corte Europea� ha pi� volte ribadito l�esigenza di una corretta 
amministrazione della giustizia; e ne ha tratto la conclusione che il diritto 
alla celerit� del giudizio deve essere contemperato con il diritto al contraddittorio; 
o pi� in generale con il diritto di difesa�(4). 
� Patto internazionale sui diritti civili e politici 
Adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo con L. 25 ottobre 
1977 n. 881: 
�Tutti sono eguali dinanzi ai tribunali e alle corti di giustizia. Ogni individuo 
ha diritto ad un'equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, 
indipendente e imparziale, stabilito dalla legge, allorch� si tratta di� 
accertare i suoi diritti ed obblighi mediante un giudizio civile�� (art. 14, 
comma 1); 
�Tutti gli individui sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza 
alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge�� (art. 26). 
Le norme citate, all�evidenza, enunciano principi e precetti gi� ampiamente 
garantiti dalla nostra Costituzione. 
Codice di procedura civile 
L�attuale codice di procedura civile � contenuto nel R.D. 28 ottobre 1940 
n. 1443, in vigore dal 21 aprile 1942. Constava di 831 articoli ed � diviso in 
(2) C. ZANGHI., voce �Dichiarazione Universale dei diritti dell�uomo�, in Il diritto. Enciclopedia 
giuridica, Corriere della sera, Il sole 24Ore, Milano, 2007, vol. V, p. 49. 
(3) C. ZANGHI, op. ult. cit., p. 51. 
(4) A. NAPPI , Guida al Codice di procedura penale, Giuffr� ed., Milano, 2007, pp. 26-27.
190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
quattro libri: Disposizioni generali (artt. 1-162), Del processo di cognizione 
(artt. 163-473), Del processo di esecuzione (artt. 474-632) e Dei procedimenti 
speciali (artt. 633-831). 
Il processo � disciplinato nel codice con norme dalla forma rigorosa. 
�Checch� si voglia concludere intorno alla bont� di certe soluzioni e di certi 
compromessi, va riconosciuto che tale codice costituisce il cosciente epilogo 
di almeno trent�anni di studi e dispute, di fecondo lavoro della scienza processualistica 
italiana, della quale certo non ignora i risultati� (5). 
Nel processo di cognizione, come concepito dal legislatore del 1942, dinanzi 
al Tribunale si prevedono le figure del giudice istruttore � che istruisce 
la causa al fine di renderla matura per la decisione � e del Collegio, che in una 
fase successiva decide la causa. Il giudice istruttore era dotato di notevoli poteri, 
quali quello di fissare la prima udienza e di consentire alle parti di sollevare 
nuove eccezioni e chiedere nuovi mezzi di prova dopo la prima udienza. 
Furono previsti moltissimi termini perentori, la cui inosservanza comportava 
preclusioni processuali. L�appello era una mera revisio prioris istantiae. 
Il descritto originario assetto processuale ha subito, nel corso degli anni, 
ampie modifiche. Tra queste citiamo: 
� L. 14 luglio 1950 n. 581 che ripristin� la citazione a udienza fissa e 
abrog� la disciplina delle preclusioni, in specie si ebbe la totale abolizione 
della preclusione delle allegazioni e prove durante tutto il corso del primo 
grado; 
� L. 11 agosto 1973 n. 533 di riforma del processo del lavoro, con la quale 
si assegnarono le cause di lavoro alla competenza per materia del pretore, con 
la previsione di rigide preclusioni in capo alle parti, si vietarono le udienze di 
mero rinvio, si dispose che il giudice dovesse leggere in udienza il dispositivo, 
che la sentenza di primo grado dovesse essere esecutiva e che l�appello fosse 
una mera revisio; 
� L. 26 novembre 1990 n. 353 di riforma del processo civile, reintroducente, 
tra l�altro, varie preclusioni, l�esecutivit� della sentenza di primo grado, 
l�appello quale revisio e il cd. procedimento cautelare uniforme; 
� L. 21 novembre 1991 n. 374 sull�istituzione del Giudice di Pace; 
� L. 20 dicembre 1995 n. 534 di conversione del D.L. 18 ottobre 1995 n. 
432, che ha diluito le preclusioni introdotte con la L. n. 353/90; 
� D.Lgs. 19 febbraio 1998 n. 51 introduttiva del giudice unico togato di 
1� grado; 
� D.L. 14 marzo 2005 n. 35 conv. in L. 14 maggio 2005 n. 80, L. 28 dicembre 
2005 n. 263, L. 8 febbraio 2006 n. 54 e D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 
(5) Cos� E. FAZZALARI, voce �Codice di procedura civile� in Novissimo Digesto, Appendice, ACOD, 
1980, UTET ed., Torino, p. 1296; analogamente, S. SATTA, voce �Codice di procedura civile�, in 
Enc. del Diritto, vol. VIII, Giuffr� ed., Milano, 1960, pp. 279-283.
DOTTRINA 191 
modificativi del regime della fase iniziale del processo di cognizione, del giudizio 
in Cassazione (con l�introduzione del quesito di diritto ex art. 366 bis 
c.p.c.), del processo esecutivo e dell�arbitrato. 
� D.L. 25 giugno 2008 n. 112, conv. L. 6 agosto 2008 n. 133, modificativo 
degli artt. 181 c.p.c, 421 c.p.c. e 429 c.p.c. 
� L. 18 giugno 2009 n. 69 che, tra l�altro, ha disposto: accorciamento di 
vari termini procedimentali e dimezzamento del cd. termine lungo per l�impugnazione 
delle sentenze ex art. 327 c.p.c., snellimento della cd. forma-contenuto 
della sentenza, abrogazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. 
e riforma dell�iter per la dichiarazione della inammissibilit� del ricorso per 
cassazione, introduzione dell�art. 614 bis prevedente cd. astraintes nel caso 
della inosservanza degli obblighi di fare infungibili o di non fare, introduzione 
degli artt. 702 bis, 702 quater c.p.c. disciplinanti il procedimento sommario 
di cognizione, delega al governo per la riduzione e semplificazione dei procedimenti 
civili (da attuare entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della 
legge), delega al governo in materia di mediazione e di conciliazione delle 
controversie civili e commerciali (attuata con D.L.vo n. 28 del 4 marzo 2010). 
In ampie parti la novella ha ripreso, con adattamenti, spunti contenuti nel d.d.l. 
1524/S/XV, presentato nell�aprile 2007 redatto su iniziativa del Ministro della 
Giustizia e poi decaduto per la fine anticipata della legislatura (6). 
Gli interventi processuali attuati dal 2005 al 2009 si connotano per essere 
stati adottati senza un adeguato approfondimento, in assenza di dialogo con il 
mondo accademico e delle professioni (7), nonch� per l�assenza di investimenti 
nel settore giustizia (c.d. leggi a costo zero) ed, infine, per la repentinit� 
dei ripensamenti in ordine alla funzionalit� di taluni istituti (emblematica � la 
vicenda (8) del quesito di diritto in cassazione, introdotto nel 2005 ed eliminato 
nel 2009); da ultimo tali interventi di �rimaneggiamento� del codice di procedura 
civile appaiono attuati in modo puntinistico, senza una visione sistematica 
del modello di processo proposto. 
Pi� ampie, nel corso del tempo, le proposte legislative di modifica del 
codice di rito. 
(6) Sull�ampia novella del 2009 vedi: L. P . COMOGLIO, Ideologie consolidate e riforme contingenti 
del processo civile in Riv. dir. proc. 2010, pp. 521-543; A. PROTO PISANI, La riforma del processo civile: 
ancora una legge a costo zero (note a prima lettura) in Foro It. 2009,V, cc. 221-227; AA.VV., Le novit� 
per il processo civile (l. 18 giugno 2009 n. 69), in Foro It. 2009, cc. 249-361; C. PUNZi, Le riforme del 
processo civile e degli strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie in Riv. dir. proc. 2009, 
pp. 1197-1239. 
(7) cfr. C. PUNZI, op.ult.cit. p. 1238; per A. PROTO PISANI op. ult. cit. c. 226 nota 1: �La qualit� e 
la quantit� degli svarioni... � tale da dare l�impressione che n� l�ufficio legislativo del ministero della 
Giustizia, n� gli uffici tecnici delle Commissioni Giustizia della Camera dei Deputati e del Senato si 
siano avvalsi della consulenza di processualcivilisti di una qualche levatura�. 
(8) Costituente un caso di �schizofrenia legislativa� e di �rapida obsolescenza di nuovi istituti 
processuali� per C. PUNZI, op. ult. cit., rispettivamente, p. 1199 e p. 1221.
192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
In estrema sintesi, possiamo ricordare la proposta per una riforma del processo 
civile di cognizione (9) predisposta dalla Commissione presieduta dal 
prof. Enrico Tullio Liebman, insediatasi su incarico del Ministro della Giustizia, 
le cui conclusioni (nuovo testo dell�intero libro II del c.p c., esclusa la disciplina 
del processo del lavoro e l�intera disciplina delle prove in uno a breve 
relazione illustrativa) furono rimesse al Ministro in data 25 luglio 1977. In 
tale lavoro si proponeva: a) l�adozione di un giudice unico di prima istanza; 
b) proposizione della domanda nella forma del ricorso con le modalit� adottate 
per il processo del lavoro; c) udienza preliminare con la funzione di preparare 
l�udienza principale di istruzione e dibattimento. Nell�udienza preliminare vՏ 
il controllo della regolarit� del contraddittorio, la decisione immediata delle 
questioni processuali (testo dell�art. 172), l�interrogatorio delle parti e tentativo 
di conciliazione, la trattazione della causa, la decisione della lite se la causa 
pu� essere definita senza l�assunzione di mezzi di prova, adozione dell�ordinanza 
ammissiva dei mezzi di prova e assunzione delle prove oppure � ove 
non possibile � fissazione all�uopo di nuova udienza; d) riunione in un unico 
testo di tutta la disciplina delle prove prevedendo: l�abolizione del giuramento 
decisorio, il principio della libert� del convincimento del giudice e la limitazione 
della prova legale alla materia della prova documentale; e) abolizione 
del regolamento di competenza e trasformazione del regolamento di giurisdizione 
in mezzo di impugnazione; f) eliminazione, tra i motivi di ricorso per 
Cassazione, della previsione di cui al n. 5 dell�art. 360 c.p.c. 
Altra proposta modificativa � contenuta nel �Testo del disegno di legge 
delega�(10) redatto dalla Commissione presieduta dal prof. Giuseppe Tarzia, 
insediata su incarico del Ministro della Giustizia e ad esso trasmesso in data 
28 giugno1996. Con tale testo si proponeva una ampia revisione dell�intero 
codice di procedura civile razionalizzando l�esistente con modifiche, non radicali, 
del processo civile. Tra le direttive rilevanti, tra le cinquantadue proposte, 
possono ricordarsi: a) soppressione del regolamento facoltativo di 
competenza e di quello d�ufficio (direttiva n. 5); b) attribuzione della legittimazione 
processuale ai minori, inabilitati e agli interdetti per la tutela dei diritti 
della personalit�, sulla base della loro effettiva capacit� (direttiva n. 9); c) limitazione 
della compensazione delle spese ai casi di soccombenza reciproca, 
di complessit� della causa o di novit� delle questioni decise (direttiva n. 11); 
d) pronuncia del dispositivo della sentenza in pubblica udienza (direttiva n. 
16); e) ammissibilit� di rimessione in termini per inosservanza dovuta a causa 
non imputabile (direttiva n. 17); f) previsione della cessazione della materia 
(9) Proposte per una riforma del processo civile di cognizione, in Riv. dir. proc. 1977, II, 452- 
499 (premessa, relazione e schema del testo). 
(10) Il �Testo di legge delega�, in uno alla Relazione, in Riv. dir. proc., 1996, II, 945-1029 ed in 
G. TARZIA (a cura di), Il progetto di riforma organica del processo civile, Giuffr� ed., Milano, 1998.
DOTTRINA 193 
del contendere (direttiva n. 22); g) potere del giudice, che accerti la violazione 
di un obbligo di fare o di non fare o di un obbligo di consegna o rilascio, di 
fissare una somma dovuta al creditore, oltre al risarcimento del danno, per 
ogni giorno di ritardo nell�esecuzione dell�obbligo inadempiuto (direttiva n. 
25); h) esonero del lavoratore, che abbia un reddito inferiore al triplo della 
pensione sociale, dal pagamento delle spese processuali conseguenti alla soccombenza 
in processi previdenziali e assistenziali, salvo che la pretesa sia manifestamente 
infondata (direttiva n. 30); i) forti poteri di indagine del G. E. al 
fine della ricerca dei beni da pignorare (direttiva n. 35); l) estensione del procedimento 
di ingiunzione a tutela dei diritti al rilascio di beni immobili e a 
prestazioni fungibili di facere (direttiva n. 39); m) esclusione dell�onere della 
parte istante in procedimento ex art. 700 c.p.c., di promuovere la causa di merito 
(direttiva n. 43); n) distinzione tra procedimenti unilaterali e procedimenti 
bilaterali o plurilaterali in ordine ai procedimenti di volontaria giurisdizione 
(direttiva n. 46). 
Ulteriore modello organico di riforma del codice di procedura civile � 
stato elaborato dalla Commissione Ministeriale presieduta dal prof. Romano 
Vaccarella, posto poi a base del disegno di legge delega per la riforma del codice 
di procedura civile, presentato alla Camera dei Deputati il 19 dicembre 
2003 con il n. 4578 dai Ministri Castelli e Tremonti �e di cui ha costituito anticipazione 
e banco di prova il testo del d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 per la definizione 
dei procedimenti in materia di diritto societario� (11). 
I citati progetti, nel loro complesso, non sono sfociati in testi normativi 
di riforma del codice di rito. Singole specifiche proposte, in particolare quelle 
contenute nei cd. progetti Liebman e Tarzia, nel tempo sono state viceversa 
recepite nelle varie �novelle� al codice di procedura civile (12). 
Deve infine registrarsi pi� di recente la articolata proposta dottrinale di 
riforma del codice di rito elaborata da autorevole dottrina (13) che sintetizza 
in modo sistematico le idee di riforma gi� formulate nel corso del tempo. Nella 
disciplina del processo a cognizione piena l�Autore, tra l�altro, propone l�introduzione 
del processo con ricorso, la chiusura semplificata del processo in 
prima udienza nel caso di contumacia o non contestazione o riconoscimento 
del diritto da parte del convenuto, la previsione di fasi preparatorie (relative a 
repliche, controrepliche e indicazione delle prove) differenziate a seconda che 
il giudice nel corso della prima udienza qualifichi la controversia come semplice 
o complessa. 
(11) C. PUNZI, op. ult. cit. p. 1198. 
(12) F. CIPRIANI, voce �Codice di procedura civile�, in Il diritto. Enciclopedia giuridica, Corriere 
della sera, Il sole 24Ore, Milano, 2007, vol. III, p. 240 auspica �che sia varato un c.p.c. in linea con i 
valori della nostra Costituzione�. 
(13) A. PROTO PISANI, Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro It. 2009, V, cc. 1-104.
194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Leggi speciali 
Sempre pi� spesso leggi speciali incidono sul processo civile disciplinando, 
su specifiche materie, il procedimento giurisdizionale con deviazioni 
rispetto a quello ordinario (14). 
Tra i provvedimenti pi� significativi si citano: 
� T.U. 14 aprile 1910, n. 639 relativo al giudizio di opposizione avverso 
l�ingiunzione fiscale, tuttora utilizzabile per la riscossione delle entrate patrimoniali 
dello Stato (15); 
� L.16 giugno 1927, n.1766 disciplinante il procedimento sulla definizione 
delle controversie in materia di usi civici; 
� R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, contenente il T. U. delle leggi sulle 
acque e sugli impianti elettrici, che istituisce il Tribunale delle Acque, giudice 
specializzato, con la partecipazione al collegio giudicante di un esperto della 
materia. Il rito previsto nel T.U. deve essere integrato, per quanto non previsto, 
dalle regole ordinarie contenute nel c.p.c. in virt� dell�art. 208 T.U. che fa rinvio, 
pel caso che manchino norme espresse, alle norme della procedura civile 
(16). Il rito � connotato da rapidit� e presenta, rispetto al codice di procedura 
civile, delle particolarit� che, talora, costituiscono piccole insidie processuali 
(ad es. non � ammesso il rinvio ex art. 309 c.p.c.); 
� R.D. L. 20 luglio 1934, n. 1404 conv. in L. 27 maggio 1935 n. 835 sull�Istituzione 
e funzionamento del Tribunale per i minorenni; 
� R.D. 16 marzo 1942, n. 267, in tema di procedimenti giurisdizionali 
germinati nel corso della procedura concorsuale; 
� L. 13 giugno 1942, n. 794 che per la liquidazione degli onorari di avvocato 
per prestazioni giudiziarie in materia civile prevede (art. 29) un processo 
speciale caratterizzato da estrema sommariet�; 
� L. 2 marzo 1963, n. 320 sul processo agrario che si caratterizza per la 
peculiarit� dell�applicazione del rito del lavoro da parte di un giudice collegiale 
quali le sezioni specializzate agrarie (art. 47 L. 3 maggio 1982, n. 203) (17); 
� T.U. 20 marzo 1967, n. 223 relativo ai giudizi nelle controversie in ma- 
(14) �� noto come il progressivo aumento della durata del processo ordinario di cognizione sia 
la causa principale del proliferare dei riti speciali a cognizione piena. Si pu� dire che non vi � stata riforma 
importante del diritto sostanziale che non abbia indotto il legislatore a sottrarre le relative controversie 
al rito ordinario prevedendo l�introduzione di riti speciali a cognizione piena� (cos� PROTO 
PISANI A., Dai riti speciali alla differenziazione del rito ordinario, in Foro It., 2006, V, p. 87). 
(15) A seguito della emanazione del d.p.r. 28 gennaio 1988 n. 43 la quasi totalit� delle tasse ed 
imposte indirette (artt. 67 e 68) e inoltre importanti entrate di diritto pubblico non tributarie e le entrate 
patrimoniali (art. 69) sono riscosse dal Concessionario del servizio della riscossione. 
(16) �Operando un radicale mutamento rispetto alla precedente giurisprudenza, la Corte di cassazione 
ha affermato, in una sentenza del 1981, che il codice di procedura da applicare � quello vigente, 
e non pi� quello del 1865 in vigore al tempo della istituzione dei tribunali in questione�: cos� A. M SANDULLI, 
Manuale di diritto amministrativo, Jovene ed., Napoli, 1989, vol. II, p. 1342. 
(17) C. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, Giappichelli ed., Torino, 2007, vol. III, p. 
308.
DOTTRINA 195 
teria di elettorato attivo e T.U. 16 maggio 1960, n. 570 relativo ai giudizi sulle 
questioni di eleggibilit� a consigliere comunale e provinciale (e anche regionale 
in virt� della L. 17 febbraio 1968, n. 108). Il rito � molto rapido con termini 
decadenziali per proporre l�azione e con termini processuali abbreviati; 
� Art. 35 L. 23 dicembre 1978, n. 833 relativo ai giudizi in materia di ricovero 
obbligatorio di infermi di mente; 
� L. 24 novembre 1981, n. 689 in tema di giudizio avverso le sanzioni 
amministrative pecuniarie (artt. 22-23); 
� L. 13 aprile 1988, n. 117, sul rito relativo ai giudizi sulla responsabilit� 
dei magistrati; 
� L. 24 marzo 2001, n. 89, in tema di riparazione in caso di violazione 
del termine ragionevole di durata del processo; 
� Art. 54 D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 che disciplina il procedimento di 
opposizione alla liquidazione dell�indennit� di espropriazione operata in via 
amministrativa. Il procedimento � caratterizzato dal fatto che il giudizio di 
merito si svolge in unico grado davanti alla Corte di Appello e deve essere instaurato 
entro un breve termine decadenziale; 
� D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, il quale all�art. 170 disciplina il rito sulle 
controversie relative al compenso dell�ausiliario del magistrato; 
� D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati 
personali). Il rito per le controversie che concernono l�applicazione delle disposizioni 
del Codice, comprese quelle inerenti ai provvedimenti del Garante 
in materia di protezione dei dati personali o alla loro mancata adozione, � pressoch� 
analogo a quello relativo all�opposizione avverso le sanzioni amministrative 
pecuniarie ex L. n. 689/81 ed � disciplinato nell�art. 152 del predetto 
Codice (18); 
� D.Lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, in tema di processo sulla materia della 
propriet� industriale (artt. 117 e ss.). 
� D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 205 (cd. Codice delle Assicurazioni). Il Codice 
contiene norme processuali (art. 140: concorso di una pluralit� di danneggiati 
e supero del massimale; art. 141: risarcimento del terzo trasportato; 
art. 149: procedura di risarcimento diretto) ispirate alla semplificazione, con 
la previsione di condizioni di procedibilit� e rigorose preclusioni (19); 
� L. 1 marzo 2006, n. 67 che promuove la piena attuazione del principio 
di parit� di trattamento e delle pari opportunit� nei confronti delle persone con 
disabilit� al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, 
(18) Sul punto, M. GIORGETTI, La tutela della privacy e i dati giudiziari, in Riv. dir. proc. 2007, 
pp. 325-348, per una sintesi, ove si evidenzia che il rito ha carattere di speditezza e semplificazione procedurale 
(pp. 335, op. ult. cit.) e si conclude con sentenza impugnabile unicamente con ricorso in Cassazione. 
(19) Cfr., sul punto, T. M. PEZZANI, Le norme processuali del nuovo codice delle assicurazioni, 
in Riv. dir. proc. 2007, pp. 683-697.
196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
politici, economici e sociali. L�azione individuale contro la discriminazione � 
disciplinata dall�art. 3 della legge mediante il rinvio all�art. 44 commi da 1 a 
6 e 8 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell�immigrazione 
e norme sulla condizione dello straniero di cui al D.Lgs. 25 luglio 
1998 n. 286 e si conclude con un�ordinanza (20); 
� D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici), che disciplina 
il procedimento arbitrale per i contratti pubblici (21). 
� pertanto da condividere la critica secondo cui: �Occorre opporsi alla 
aggravata tendenza di forgiare nuovi e svariati riti in corrispondenza dei tipi 
di rapporti sostanziali (vecchi e nuovi): la tutela giurisdizionale civile deve 
volgere all�unit� e la cd. tutela �differenziata� (equivoca espressione � la 
page), lungi dal proliferare come escogitazione di conditores impreparati, va 
circoscritta a pochissimi modelli, disciplinati una volta per tutte (dal Codice 
di rito, intendo, con fisionomie chiare e munite), mettendo in ordine nell�attuale 
congerie e prevenendo future improvvisazioni� (22). 
Tali considerazioni sono particolarmente pregnanti tenuto conto che gi� 
nel codice di procedura civile sono presenti riti differenziati, come quello del 
lavoro, delle locazioni, dei procedimenti camerali, dei procedimenti di separazione 
e divorzio, monitorio, possessorio. 
Su tale quadro intende incidere la citata legge n.69/2009. Questa legge 
(art. 54) ha delegato il Governo ad adottare, entro 2 anni, provvedimenti normativi 
rivolti ad inglobare i riti previsti nella legislazione speciale � nell�ambito 
della giurisdizione ordinaria � in tre modelli: 
a) ordinario, davanti al Tribunale o al Giudice di Pace; 
b) rito del lavoro, al quale vanno ricondotti i procedimenti in cui sono 
prevalenti esigenze di concentrazione processuale ovvero di officiosit� dell�istruzione; 
c) rito sommario di cognizione (con esclusione della conversione del rito 
ex art. 702 ter comma terzo c.p.c.) al quale vanno ricondotti i procedimenti, 
anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione 
della trattazione o dell�istruzione della causa. 
Va evidenziato che restano esclusi dalla delega i riti differenziati disciplinati 
dal codice di rito (23). 
(20) Cfr. R. MARUFFI, Le nuove norme sulla tutela giudiziaria delle persone con disabilit� vittime 
di discriminazione, in Riv. dir. proc. 2007, pp. 123-132. 
(21) G. DALEFFE, C. SPACCAPELO, Le disposizioni processuali del nuovo codice dei contratti pubblici, 
in Riv. dir. proc. 2007, pp. 949-967. 
(22) E. FAZZALARI, voce �Codice di procedura civile�, cit., p. 1298. 
(23) Osservazioni critiche sulla delega sono formulate da L. SALVANESHI, La riduzione dei tempi 
del processo nella nuova riforma dei primi due libri del codice di rito in Riv. dir. proc. 2009, pp. 1564- 
1565.
DOTTRINA 197 
Norme comunitarie 
L�Unione europea non produce norme direttamente operative nel processo 
civile. Il Trattato istitutivo della Comunit� Europea, firmato a Roma il 25 
marzo 1957, cos� come modificato dal Titolo II del Trattato di Maastricht firmato 
il 7 febbraio 1992, contiene disposizioni relative alla cooperazione nel 
settore della giustizia, dalle quali scaturiscono solo poteri di indirizzo e di controllo 
nelle materie, che si estrinsecano in studi, indagini conoscitive, rapporti, 
memorandum, risoluzioni, pareri, raccomandazioni, regolamenti. 
Il Trattato dell�Unione europea ha introdotto, accanto al sistema comunitario 
propriamente detto, il nuovo settore della cooperazione nel settore della 
giustizia. Tale settore � principalmente governato dalla cooperazione intergovernativa, 
anche se non mancano una serie di collegamenti tra le istituzioni e 
le politiche comunitarie ed il settore or indicato (24). 
In specie, mediante lo strumento dei regolamenti � fonti dotate di immediata 
efficacia prevalente sulle norme dei singoli Stati membri � la Comunit� 
ha avviato l�attuazione di un programma di elaborazione di un nucleo comune 
di diritto processuale europeo coesistente e da coordinare con i singoli ordinamenti 
nazionali nell�obiettivo di una graduale e reciproca armonizzazione. 
Questi orientamenti hanno a loro base l�art. 65 del Trattato CEE, contenente i 
criteri direttivi nella adozione delle misure comunitarie nel settore della cooperazione 
giudiziaria in materia civile che presenta implicazioni transfrontaliere 
(25). 
In armonia con tali presupposti sono stati adottati, tra l�altro: il reg. C.E. 
28 maggio 2001 n. 1206 in materia di cooperazione per l�assunzione delle 
prove; il reg. C.E. 29 maggio 2000 n. 1348 in materia di notificazione; il reg. 
C.E. 22 dicembre 2001 n. 44 sulla competenza e il riconoscimento delle sentenze; 
il reg. C.E. 21 aprile 2004 n. 805 istitutivo del titolo esecutivo europeo 
per i crediti non contestati; il reg. C.E. 12 dicembre 2006 n. 1896 istitutivo 
del procedimento europeo di ingiunzione; il reg. C.E. 11 luglio 2007 n. 861 
sul procedimento europeo per le controversie di modesta entit� (26); la dir. 21 
maggio 2008/52/CE relativa a determinati aspetti della mediazione in materia 
civile e commerciale (27). 
(24) M. P. CHITI, Diritto amministrativo europeo, Giuffr� ed., Milano, 1999, pp. 180-182. 
(25) C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Giappichelli ed., Torino, 2007, I, pp. 506-507. 
(26) Su tale regolamento M. BINA, Il procedimento europeo per le controversie di modesta entit� 
(Reg. CE n. 861/2007) in Riv. dir. proc. 2008 pp. 1629-1643. 
(27) Sulla quale M. F. GHIRGA, Strumenti alternativi di risoluzione della lite: fuga dal processo o 
dal diritto? (riflessioni sulla mediazione in occasione della pubblicazione della Direttiva 2008/52/CE) 
in Riv. dir. proc. 2009 pp. 357-379.
198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
3. Brevi cenni sull�organizzazione ed amministrazione giudiziaria, con particolare 
riferimento al processo civile (28) 
Ai sensi dell�art. 110 della Costituzione: �Ferme le competenze del Consiglio 
superiore della magistratura, spettano al Ministro della giustizia l'organizzazione 
e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia�. 
Le risorse stanziate per la Giustizia nell�anno 2006 sono state di euro 
8.928.518.542, ossia il 2,1% della spesa pubblica statale (29). 
Le funzioni giurisdizionali sono espletate da magistrati professionali, cd. 
togati, e da magistrati onorari. 
I magistrati professionali esercitano funzioni giudicanti o inquirenti (Ufficio 
del P.M. che ha un ruolo marginale nel civile con l�eccezione del P.M. in 
Cassazione). Il numero complessivo dei magistrati professionali (sia nel civile 
che nel penale, sia esercenti funzioni giudicanti che inquirenti) � � all�attualit� 
� di 10.109 (cfr. pianta organica della magistratura ordinaria, riportata quale 
allegato 1 del D.L.vo 23 gennaio 2006 n. 24). Nel corso del �900 il numero, 
nel ruolo organico, dei cd. togati � progressivamente aumentato: n. 4967 nel 
1947 (D.L. 21 dicembre 1947 n. 1634), n. 6882 nel 1963 (L. 4 gennaio 1963 
n. 1 sull�ingresso delle donne in magistratura), n. 7202 nel 1973 (L. 11 agosto 
1973, n. 533) e n. 8509 nel 1991 (D.L. 20 novembre 1991, n. 363 conv. in L. 
20 gennaio 1992, n. 8). 
I magistrati onorari esercitano funzioni giudicanti (Giudice di Pace e Giudice 
Onorario di Tribunale) o inquirenti (Vice Procuratore Onorario, operante 
solo nel penale). Contributo significativo all�esercizio della giurisdizione civile 
� dato dal Giudice di Pace (il cui numero complessivo nella pianta organica � 
di 4.700) che opera in prevalenza nel civile. 
Il personale ausiliario dell�amministrazione giudiziaria � composto da 
49.652 persone (30). 
Gli organi esercenti le funzioni giudiziali sono: 
a) Corte di Cassazione (31), unica nell�intero territorio nazionale con sei 
sezioni che si occupano della materia civile a cui sono addetti circa 130 consiglieri 
(32). 
b) 26 Corti di Appello, oltre a 3 sezioni distaccate, a cui sono addetti 400 
(28) Una sintesi sull�organizzazione della giustizia in Italia si rinviene in GUARNIERI C., La giustizia 
in Italia, 2001, Il Mulino ed., Bologna. 
(29) Dati riportati in Il sistema amministrativo italiano a cura di L. TORCHIA, Il Mulino, Bologna 
2009, pp. 76-77. 
(30) Tanto risulta dalla Tabella A allegata al D.P.C.M. del 20 dicembre 2001. 
(31) Sull�organico della Corte di Cassazione D.P.R. 15 luglio 1982 n. 549 e D.M. 20 gennaio 
1994. 
(32) Dati desunti da A. PROTO PISANI, Principio d�eguaglianza e ricorso per cassazione in Foro 
It. 2010, V, c. 65.
DOTTRINA 199 
giudici (33); 
c) 165 Tribunali, oltre a 220 sezioni distaccate, a cui sono addetti 2.200 
giudici (34); 
d) 848 Giudici di Pace, con un organico di 4700 giudici (art. 3 comma 1 
L. 21 novembre 1991 n. 374). 
4. Analisi del carico di lavoro dei giudici ordinari 
Il carico di lavoro � costituito dalla somma delle cause sopravvenute e 
delle cause pendenti rispetto all�arco di tempo considerato (35). Appare pertanto 
utile ai fini della presente indagine riportare, con riferimento a taluni 
anni, il carico di lavoro registrato presso gli uffici giudiziari. 
Numero dei procedimenti di cognizione di primo grado sopravvenuti per ufficio giudiziario, 
ossia dinanzi al Giudice Conciliatore funzionante fino al 1995, sostituito poi dal Giudice di Pace, 
dinanzi al Pretore (fino alla soppressione nel 1998), dinanzi al Tribunale e dinanzi alla Corte di 
Appello 
Nell�anno 1900 il numero era di 1.991.512 dinanzi al Conciliatore, di 224.168 dinanzi al Pretore, di 
74.335 dinanzi al Tribunale e di 2.725 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1912 il numero era di 1.349.891 dinanzi al Conciliatore, di 252.013 dinanzi al Pretore, di 
102.587 dinanzi al Tribunale e di 1.614 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1924 il numero era di 733.155 dinanzi al Conciliatore, di 388.067 dinanzi al Pretore, di 
226.623 dinanzi al Tribunale e di 678 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1936 il numero era di 751.148 dinanzi al Conciliatore, di 230.786 dinanzi al Pretore, di 
127.919 dinanzi al Tribunale e di 322 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1948 il numero era di 108.207 dinanzi al Conciliatore, di 175.760 dinanzi al Pretore, di 
117.344 dinanzi al Tribunale e di 297 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1960 il numero era di 112.722 dinanzi al Conciliatore, di 205.930 dinanzi al Pretore, di 
174.483 dinanzi al Tribunale e di 2.450 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1972 il numero era di 44.013 dinanzi al Conciliatore, di 265.115 dinanzi al Pretore, di 240.346 
dinanzi al Tribunale e di 1.582 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1984 il numero era di 7.195 dinanzi al Conciliatore, di 441.555 (dei quali 99.332 in materia 
di lavoro e 89.973 in materia di previdenza e assistenza) dinanzi al Pretore, di 395.653 dinanzi al Tribunale 
e di 2.677 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1996 il numero era di 278.171 dinanzi al Giudice di Pace, di 861.704 (dei quali 209.193 in 
materia di lavoro e 336.514 in materia di previdenza e assistenza) dinanzi al Pretore, di 285.765 dinanzi 
al Tribunale e di 3.725 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 2000 il numero era di 438.866 dinanzi al Giudice di Pace, di 794.142 (dei quali 162.006 in 
materia di lavoro e 239.659 in materia di previdenza e assistenza) dinanzi al Tribunale e di 2.536 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 2007 il numero era di 441.990 dinanzi al Giudice di Pace, di 828.101 (dei quali 145.046 in 
materia di lavoro e 293.514 in materia di previdenza e assistenza) dinanzi al Tribunale e di 3.007 dinanzi 
(33) Dati desunti da F. CIPRIANI, Il problema dell�arretrato in Foro it., 1995, V, c. 279. 
(34) Dati desunti da F. CIPRIANI, op. ult. cit., c. 279. 
(35) I dati relativi sono facilmente reperibili sui siti del Ministero della Giustizia e dell� ISTAT 
dedicati alle statistiche giudiziarie. Una ampia analisi con dati completi, � contenuta nel libro di S. PELLEGRINI, 
La litigiosit� in Italia, Giuffr� ed., Milano, 1997. Puntuali analisi e statistiche sono altres� riportate 
in svariati interventi di F. CIPRIANI e A. PROTO PISANI sulle colonne del Foro Italiano degli ultimi 
venti anni.
200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
alla Corte di Appello. 
Numero dei procedimenti di cognizione di primo grado pendenti per ufficio giudiziario, ossia 
dinanzi al Giudice Conciliatore funzionante fino al 1995, sostituito poi dal Giudice di Pace, dinanzi 
al Pretore (fino alla soppressione nel 1998), dinanzi al Tribunale e dinanzi alla Corte di Appello 
Nell�anno 1900 il numero era di 107.031 dinanzi al Conciliatore, di 33.371 dinanzi al Pretore, di 23.248 
dinanzi al Tribunale e di 124 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1912 il numero era di 127.551 dinanzi al Conciliatore, di 70.908 dinanzi al Pretore, di 53.197 
dinanzi al Tribunale e di 432 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1924 il numero era di 81.236 dinanzi al Conciliatore, di 119.838 dinanzi al Pretore, di 89.783 
dinanzi al Tribunale e di 186 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1936 il numero era di 365.165 dinanzi al Conciliatore, di 145.396 dinanzi al Pretore, di 
100.856 dinanzi al Tribunale e di 109 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1948 il numero era di 11.077 dinanzi al Conciliatore, di 29.841 dinanzi al Pretore, di 36.688 
dinanzi al Tribunale e di 66 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1960 il numero era di 71.142 dinanzi al Conciliatore, di 224.167 dinanzi al Pretore, di 296.824 
dinanzi al Tribunale e di 1873 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1972 il numero era di 51.153 dinanzi al Conciliatore, di 386.479 dinanzi al Pretore, di 538.076 
dinanzi al Tribunale e di 1472 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1984 il numero era di 5.317 dinanzi al Conciliatore, di 499.993 (dei quali 93.377 in materia 
di lavoro e 150.217 in materia di previdenza e assistenza) dinanzi al Pretore, di 1.001.336 dinanzi al 
Tribunale e di 7.604 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1996 il numero era di 152.499 dinanzi al Giudice di Pace, di 1.721.388 (dei quali 333.708 in 
materia di lavoro e 864.183 in materia di previdenza e assistenza) dinanzi al Pretore, di 1.426.665 dinanzi 
al Tribunale e di 13.402 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 2000 il numero era di 463.875 dinanzi al Giudice di Pace, di 2.545.000 ca. (dei quali 317.303 
in materia di lavoro e 800.000 ca. in materia di previdenza e assistenza) dinanzi al Tribunale e di 8.290 
dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 2007 il numero era di 558.698 dinanzi al Giudice di Pace, di 1.896.206 (dei quali 273.401 in 
materia di lavoro e 650.250 in materia di previdenza e assistenza ) dinanzi al Tribunale e di 13.506 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Numero dei procedimenti di cognizione di secondo grado sopravvenuti per ufficio giudiziario, 
ossia dinanzi al Pretore (fino alla soppressione nel 1998), dinanzi al Tribunale e dinanzi alla 
Corte di Appello 
Nell�anno 1900 il numero era di 7.813 dinanzi al Pretore, di 15.430 dinanzi al Tribunale e di 19.782 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1912 il numero era di 8.053 dinanzi al Pretore, di 17.968 dinanzi al Tribunale e di 16.750 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1924 il numero era di 3.746 dinanzi al Pretore, di 21.442 dinanzi al Tribunale e di 24.894 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1936 il numero era di 3.388 dinanzi al Pretore, di 22.931 dinanzi al Tribunale e di 22.587 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1948 il numero era di 8.165 dinanzi al Pretore, di 11.662 dinanzi al Tribunale e di 10.500 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1960 il numero era di 1.135 dinanzi al Pretore, di 12.162 dinanzi al Tribunale e di 22.045 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1972 il numero era di 384 dinanzi al Pretore, di 11.159 dinanzi al Tribunale e di 32.048 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1984 il numero era di 772 dinanzi al Pretore, di 40.524 dinanzi al Tribunale e di 22.539 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1996 il numero era di 70.674 (dei quali 22.077 in materia di lavoro e 38.487 in materia di 
previdenza e assistenza) dinanzi al Tribunale e di 27.382 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 2000 il numero era di 6.524 dinanzi al Tribunale e di 81.280 (dei quali 16.168 in materia di 
lavoro e 29.190 in materia di previdenza e assistenza) dinanzi alla Corte di Appello.
DOTTRINA 201 
Nell�anno 2007 il numero era di 26.038 dinanzi al Tribunale e di 108.389 (dei quali 27.334 in materia 
di lavoro e 35.172 in materia di previdenza e assistenza) dinanzi alla Corte di Appello. 
Numero dei procedimenti di cognizione di secondo grado pendenti per ufficio giudiziario, 
ossia dinanzi al Pretore (fino alla soppressione nel 1998), dinanzi al Tribunale e dinanzi alla Corte 
di Appello 
Nell�anno 1900 il numero era di 416 dinanzi al Pretore, di 4.606 dinanzi al Tribunale e di 6.239 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1912 il numero era di 1.159 dinanzi al Pretore, di 7.867 dinanzi al Tribunale e di 11.387 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1924 il numero era di 922 dinanzi al Pretore, di 11.510 dinanzi al Tribunale e di 18.298 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1936 il numero era di 2.092 dinanzi al Pretore, di 18.641 dinanzi al Tribunale e di 13.160 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1948 il numero era di 3.261 dinanzi al Pretore, di 892 dinanzi al Tribunale e di 1.850 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1960 il numero era di 1.994 dinanzi al Pretore, di 18.602 dinanzi al Tribunale e di 32.633 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1972 il numero era di 710 dinanzi al Pretore, di 19.960 dinanzi al Tribunale e di 63.493 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1984 il numero era di 1.007 dinanzi al Pretore, di 57.656 dinanzi al Tribunale e di 52.078 dinanzi 
alla Corte di Appello. 
Nell�anno 1996 il numero era di 183.449 (dei quali 63.117 in materia di lavoro e 76.991 in materia di 
previdenza e assistenza) dinanzi al Tribunale e di 83.758 dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 2000 il numero era di 27.000 ca. dinanzi al Tribunale e di 174.000 ca. (dei quali 12.893 in 
materia di lavoro e 80.000 ca. in materia di previdenza e assistenza) dinanzi alla Corte di Appello. 
Nell�anno 2007 il numero era di 51.081 dinanzi al Tribunale e di 329.848 (dei quali 61.814 in materia 
di lavoro e 90.031 in materia di previdenza e assistenza) dinanzi alla Corte di Appello. 
Numero dei procedimenti sopravvenuti, definiti e pendenti presso la Corte di Cassazione 
Nell�anno 1900 ne sono sopravvenuti 2.600, ne sono stati definiti 1.905 e ne erano pendenti 3.628. 
Nell�anno 1912 ne sono sopravvenuti 2.843, ne sono stati definiti 2.669 e ne erano pendenti 3.338. 
Nell�anno 1924 ne sono sopravvenuti 7.089, ne sono stati definiti 2.175 e ne erano pendenti 4.914. 
Nell�anno 1936 ne sono sopravvenuti 3.776, ne sono stati definiti 3.617 e ne erano pendenti 5.167. 
Nell�anno 1948 ne sono sopravvenuti 2.983, ne sono stati definiti 2.213 e ne erano pendenti 770. 
Nell�anno 1960 ne sono sopravvenuti 4.625, ne sono stati definiti 3.845 e ne erano pendenti 6.531. 
Nell�anno 1972 ne sono sopravvenuti 4.962, ne sono stati definiti 4.216 e ne erano pendenti 14.057. 
Nell�anno 1984 ne sono sopravvenuti 8.404, ne sono stati definiti 7.551 e ne erano pendenti 28.467. 
Nell�anno 1994 ne sono sopravvenuti 14.642, ne sono stati definiti 13.555 e ne erano pendenti 36.194. 
Nell�anno 1998 ne sono sopravvenuti 22.664, ne sono stati definiti 15.519 e ne erano pendenti 45.834. 
Nell�anno 2002 ne sono sopravvenuti 33.332, ne sono stati definiti 19.929 e ne erano pendenti 82.791. 
Nell�anno 2007 ne sono sopravvenuti 32.278, ne sono stati definiti 29.776 e ne erano pendenti 102.588. 
Nell�anno 2008 ne sono sopravvenuti 30.406, ne sono stati definiti 32.928 e ne erano pendenti 99.066. 
I dati riportati consentono di avere una significativa base per l�analisi 
del lavoro che sostanzialmente grava sui giudici impegnati nel settore civile. 
Non si � tenuto conto del numero dei procedimenti diversi da quelli di 
cognizione ordinaria e di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie, atteso 
che l�impegno richiesto non � comparabile � con l�eccezione della materia 
fallimentare e societaria � con quello richiesto nei procedimenti a 
cognizione ordinaria e nel rito lavoro; trattasi comunque di procedimenti che 
impegnano l�intera struttura giudiziaria (giudici e soprattutto amministrativi).
202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Per avere un�idea del numero di tali diversi procedimenti si rileva che nell�anno 
giudiziario 2005/2006 dinanzi al Giudice di Pace a fronte della sopravvenienza 
di 420.139 procedimenti di cognizione ordinaria sono 
sopravvenuti 365.585 procedimenti speciali (in buona parte procedimenti ingiuntivi), 
667.286 opposizioni alle sanzioni amministrative, 6.455 conciliazioni 
non contenziose e 14.461 ricorsi in materia di immigrazione. Nello 
stesso anno giudiziario dinanzi al Tribunale a fronte della sopravvenienza di 
486.239 procedimenti di cognizione ordinaria (ai quali aggiungere 146.245 
in materia di lavoro e 259.922 in materia di previdenza) sono sopravvenuti, 
tra i pi� significativi, 185.242 procedimenti in materia di famiglia, 11.532 in 
materia di fallimento, 380.032 procedimenti esecutivi mobiliari, 42.915 procedimenti 
esecutivi immobiliari, 577.508 procedimenti speciali, 10.825 in 
materia societaria e 340.396 procedimenti di volontari giurisdizione (36). 
Dalla ricognizione effettuata emerge che nel primo cinquantennio del 
�900 il numero delle cause sopravvenute annuali in primo grado, in termini 
assoluti, � lentamente diminuito (da ca. 2.300.000 cause a ca. 400.000 cause). 
La maggior parte del contenzioso - con punte anche dell� 80% - era assorbito 
dal Giudice Conciliatore. Nel tempo il numero delle cause proposte dinanzi 
al Giudice Conciliatore - causa il mancato adeguamento dei limiti di competenza 
per valore del giudice onorario, sintomo della scarsa attenzione del legislatore 
sul punto - si � progressivamente ridotto (si � passati da 1.991.512 
sopravvenute al Giudice Conciliatore - su un totale di 2.292.740 - nell�anno 
1900, a 108.207 sopravvenute al Giudice Conciliatore - su un totale di 
401.608 - nell�anno 1948). Nello stesso periodo il numero delle cause sopravvenute 
annuali in secondo grado si � mantenuto, nella sostanza, stabile. 
Nel secondo cinquantennio del �900 il contenzioso in primo grado, sempre 
in termini assoluti, � progressivamente aumentato (da ca. 400.000 cause 
sopravvenute nel 1948 a ca. 1.300.000 cause sopravvenute nel 2000); si � 
confermata la progressiva riduzione delle cause sopravvenute al Giudice Conciliatore, 
fino alla cessazione dello stesso. Il Giudice Conciliatore � stato sostituito 
dal Giudice di pace che ha assorbito un 20-30% dell�intero 
contenzioso. L�evidenziato aumento progressivo ha riguardato anche - nello 
stesso periodo - le cause sopravvenute annuali in secondo grado: si � passati 
dai 35.000 ca. giudizi del 1960 agli 88.000 ca. del 2000. 
Deve registrarsi inoltre l�incremento notevole del contenzioso in materia 
di previdenza e assistenza; nel 1984 il cd. contenzioso previdenziale costituiva 
il 10% della globalit� delle cause sopravvenute, mentre nel 1996 lo 
stesso saliva al 23% della globalit� delle cause sopravvenute e tale si � mantenuto 
anche nel 2007. 
(36) I dati relativi sono stati ricavati da A. PROTO PISANI, Intervento sconsolato sulla crisi dei processi 
civili a cognizione piena, in Foro It. 2008, V, cc. 15-18.
DOTTRINA 203 
Ancora, va posto l�accento sull�esplosione del contenzioso dinanzi alla 
Corte di Cassazione. Nei primi ottanta anni del �900 il numero delle cause annuali 
sopravvenute � sempre stato inferiore a 10.000, passando da n. 2.600 nel 
1900 a n. 8.404 nel 1984 con un aumento progressivo, ma lieve. Nel decennio 
1985-1994 il numero delle cause annuali sopravvenute ha oscillato sulle 
11.000 unit�. Nell�ultimo quindicennio il numero delle cause annuali sopravvenute 
� aumentato a dismisura attestandosi � negli ultimi anni � a ca. 30.000 
unit�. 
Infine, va rilevato � per tutto il periodo preso in esame � il costante aumento 
delle cause pendenti, ossia la formazione del cd. arretrato. Le cause 
pendenti in primo grado erano 163.774 nel 1900, 594.006 nel 1960, 1.514.250 
nel 1984 e 2.468.410 nel 2007; le cause pendenti in secondo grado erano 
11.261 nel 1900, 53.229 nel 1960, 110.741 nel 1984 e 380.929 nel 2007; le 
cause pendenti in cassazione erano 3.628 nel 1900, 6.531 nel 1960, 28.467 
nel 1984 e 102.588 nel 2007. 
Tale fenomeno ha riguardato, all�evidenza, tutti gli uffici giudiziari e costituisce 
sintomo della incapacit� del sistema a esaurire la totalit� del lavoro; 
l�arretrato � altres� sintomo di notevole lavoro in capo ai giudici in quanto questi 
in uno alle cause nuove (sopravvenute) devono smaltire anche le �vecchie� 
(l�arretrato). 
In conclusione, a far data dal secondo dopoguerra, il contenzioso �, nel 
tempo, progressivamente aumentato. Rispetto a tale andamento deve osservarsi 
che la popolazione italiana, nel 2000, � quasi raddoppiata rispetto a quella 
dell�inizio del XX secolo. 
Le cause dell�aumento del contenzioso sono molteplici. 
a) Notevole contributo all�aumento del contenzioso � stato determinato 
dalla accresciuta maggiore tutela giurisdizionale dei sempre pi� diversificati 
diritti riconosciuti ai cittadini. In tale prospettiva appare confermata l�osservazione 
secondo cui: �I processi aumentano perch� aumentano i diritti� (37); 
b) Rilevante fattore dell�aumento del contenzioso � costituito dalla non 
applicazione rigorosa del principio di soccombenza nel governo delle spese 
di lite. Una applicazione rigorosa del principio avrebbe funzionato e funzionerebbe 
da deterrente rispetto a pretese giudiziarie opinabili (se non addirittura 
di chiara marca speculativa), specie se di non elevato valore; 
c) Ulteriore causa � individuabile nella �diffusa ed atavica tendenza alla 
litigiosit��, quale �difetto insito nel carattere degli italiani�; �a differenza 
degli omologhi europei il cittadino italiano sembra faticare ad instaurare un 
sereno e umile rapporto di convivenza con gli altri. Stenta a reprimere le sue 
(37) F. CIPRIANI, Giudice di pace e riparto della competenza (ovvero come distribuire quattro milioni 
di procedimenti civili all�anno), in Foro it., 1995, I, c. 3020; ID., Per un nuovo processo civile, in 
Foro it. 2001, V, c. 321.
204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
passioni e pulsioni, il suo scontento, la sua frustrazione verso l�altro�, �ci si 
pone in contrapposizione, pronto allo scontro frontale, oppure si litiga per 
inezie, per bagattelle, per riaffermare se stesso agli altri. Questa litigiosit� 
repressa, latente nel corpo della societ� civile� si manifesta in plurime situazioni; 
in automobile e sulle strade, nei luoghi pubblici, in famiglia, nella 
scuola, sui campi sportivi, nelle relazioni di vicinato, negli organismi associativi, 
nei condomini� (38); 
d) Sull�aumento del contenzioso incidono anche le fasi di recessione 
dell�economia italiana. All�esito di un�attenta analisi sociologico-giuridica si 
� avanzata l�ipotesi che �ad uno sviluppo dell�economia potrebbe corrispondere 
un calo della litigiosit�, mentre in un periodo di recessione potrebbe verificarsi 
un aumento del contenzioso� (39); e inoltre �alla luce degli studi in 
materia possiamo giungere alla conclusione che in periodi di sviluppo economico 
vi � maggiore circolazione di denaro e quindi i soggetti hanno maggior 
possibilit� di rispettare i rapporti commerciali e persino di essere solubili� 
(40); 
e) Proliferazione di riti speciali che assorbono e disperdono energie professionali 
dell�apparato giudiziario; 
f) Causa non trascurabile del fenomeno � - come si illustrer� ampiamente 
al paragrafo 7 - costituita dall� �elevatissimo numero di avvocati presenti nel 
nostro Paese� (41); 
g) Insoddisfacente funzionamento - con particolare riguardo al cd. contenzioso 
previdenziale - della fase amministrativa strutturata come condizione 
di procedibilit� dell�azione giurisdizionale. 
5. Durata dei giudizi civili: analisi dei tempi eccessivi del loro svolgimento 
Si riportano taluni individuati dati statistici significativi (42) idonei per 
individuare diacronicamente la durata media dei giudizi civili. 
Negli anni �30 e �40 la durata dei giudizi � stata di 100 gg. in primo grado e di 150 gg. in appello (43). 
Negli anni �50 e �60 la durata � stata di 350 gg. in primo grado e di 450 gg. in appello (44). 
(38) R. MASONI, La ragionevole durata del �giusto processo� nell�applicazione giurisprudenziale, 
Giuffr� ed., Milano, 2006, p. 42. 
(39) S. PELLEGRINI, La litigiosit� in Italia, Giuffr� ed., Milano, p. 164. 
(40) S. PELLEGRINI, op. ult. cit., p. 165. 
(41) Cos� B. CAPONI, Giustizia civile: nuovi modelli verso l�Europa, in Foro It., 1993, V, c. 227, 
il quale evidenzia nel luogo citato, alla nota 44, che il rapporto tra numero di giudici e numero di avvocati 
� di 3,4 in Germania Federale [prima della riunificazione], 4,7 in Francia, 3,8 in Olanda e 7,3 
in Italia. Contrario alla tesi secondo cui in Italia ci sarebbe un eccessivo numero di avvocati � F. CIPRIANI, 
Troppi avvocati?, in Foro It., 1997, V, cc. 241-245. 
(42) Desunti dalle medesime fonti riportate alla precedente nota 35. 
(43) A. PROTO PISANI Appunti sull�arretrato, in Foro It., 1995, V, c. 284. 
(44) A. PROTO PISANI, op. ult. cit.
DOTTRINA 205 
Negli anni �70 la durata dei procedimenti civili � stata di 652 gg. in primo grado (597 gg. per le cause 
di lavoro e 586 gg. per quelle di previdenza e assistenza) e 547 gg. in appello (462 gg. per le cause di 
lavoro e 525 gg. per quelle di previdenza e assistenza). 
Negli anni 1981-1985 la durata media dei processi � stata di 618 gg. in primo grado (289 gg. per le 
cause di lavoro e 400 gg. per quelle di previdenza e assistenza) e 525 gg. in appello (278 gg. per le cause 
di lavoro e 339 gg. per quelle di previdenza e assistenza). 
Negli anni 1986-1990 la durata media dei processi � stata di 748 gg. in primo grado (363 gg. per le 
cause di lavoro e 416 gg. per quelle di previdenza e assistenza ) e 665 gg. in appello (456 gg. per le 
cause di lavoro e 488 gg. per quelle di previdenza e assistenza). 
Negli anni 1991-1994 la durata media dei processi � stata di 1.208 gg. in primo grado (523 gg. per le 
cause di lavoro e 527 gg. per quelle di previdenza e assistenza) e 966 gg. in appello (867 gg. per le cause 
di lavoro e 606 gg. per quelle di previdenza e assistenza). 
Dinanzi al Giudice di Pace la durata media delle controversie � stata di 165 gg. nel 1996, di 387 gg. nel 
2000, di 411 gg. nel 2002, di 425 gg. nel 2005 e di 460 gg. nel 2007. 
Dinanzi al Tribunale la durata media delle controversie civili di cognizione ordinaria di primo grado � 
stata di 1.641 gg. nel 1996, di gg. 1.024 nel 2000, di 979 gg. nel 2002, di 873 gg. nel 2005 e di 904 gg. 
nel 2007. 
Dinanzi alla Corte di Appello la durata media delle controversie civili di cognizione ordinaria di primo 
grado � stata di 1.189 gg. nel 1996, di 1.125 gg. nel 2000, di 994 gg. nel 2002, di 652 gg. nel 2005 e di 
1.524 gg. nel 2007. 
Dinanzi al Tribunale la durata media delle controversie civili di cognizione ordinaria di secondo grado 
� stata di 1.489 gg. nel 1996, di 959 gg. nel 2000, di 972 gg. nel 2002, di 892 gg. nel 2005 e di 822 gg. 
nel 2007. 
Dinanzi alla Corte di Appello la durata media delle controversie civili di cognizione ordinaria di secondo 
grado � stata di 1.098 gg. nel 1996, di 858 gg. nel 2000, di 879 gg. nel 2002, di 1.179 gg. nel 2005 e di 
1.501 gg. nel 2007. 
La durata media delle controversie in materia di lavoro e in materia di previdenza e assistenza in primo 
grado � stata, rispettivamente, di 818 gg. e 969 gg. nel 2000, di 847 gg. e di 935 gg. nel 2002, di 779 gg. 
e di 911 gg. nel 2005 , di 786 gg. e di 813 gg. nel 2006; in secondo grado la stessa � stata, rispettivamente, 
di 864 gg. e di 898 gg. nel 2000, di 1.018 gg. e di 904 gg. nel 2002, di 749 gg. e di 848 gg. nel 2005, di 
701 gg. e di 834 gg. nel 2006. 
La durata media del procedimento dinanzi alla Corte di Cassazione � stata di 821 gg. nel 1998, di 866 
nel 2002, di 966 gg. nel 2005 e di 909 gg. nel 2006. 
Da quanto precede emerge che nel corso del tempo la durata del procedimento 
si � progressivamente dilatata. Tale dato riguarda tutti i giudici e tutti i 
gradi di giurisdizione. Nell�arco temporale 2006-2007, la durata media dei 
procedimenti si � attestata - tanto in primo grado, quanto in secondo grado che 
in Cassazione - intorno ai 3 anni, con l�eccezione del Giudice di Pace (presso 
il quale la durata delle liti � di un anno e poco pi�) e delle cause con il rito lavoro 
(la cui durata � lievemente inferiore a quella delle cause a cognizione ordinaria 
in primo grado e sensibilmente inferiore a quella delle cause a 
cognizione ordinaria in secondo grado). 
Nell�attuale momento storico si registra, quindi, una eccessiva durata del 
processo civile italiano, circostanza evidenziata dalla Corte Europea dei diritti 
dell�Uomo che per tale ragione ha ripetutamente condannato l�Italia. A giudizio 
della Corte il tempo massimo di durata del processo affinch� la durata sia 
non eccessiva � di tre anni per un grado di giudizio e di sei anni per la durata 
dell�intero processo da ritenersi concluso solo con la definitivit� della sentenza
206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
(45). Dalla giurisprudenza della Corte Europea (46) si evince che un processo 
il cui primo grado, non abbia superato il limite di tre anni, non pu� essere ritenuto 
di durata irragionevole. Per i processi aventi ad oggetto lo stato delle 
persone, fallimenti, diritti pensionistici, materia di lavoro, e diritti primari in 
generale, ossia diritti fondamentali della persona, la durata del processo non 
� stata ritenuta ragionevole se superiore al minor termine di due anni e sette 
mesi. Deve, infine, considerarsi di durata ragionevole un giudizio che in tutte 
le sue fasi (Cassazione compresa) non abbia impiegato pi� di sei anni, ovvero 
otto anni se ne � seguito un giudizio di rinvio, ed undici anni in caso di secondo 
rinvio. 
Costituisce orientamento oramai ampiamente consolidato della Cassazione 
rifarsi ai criteri in ordine alla ragionevole durata del processo fissati 
dalla Corte Europea. E� infatti massima tralaticia quella secondo cui �la nozione 
di non irragionevole durata del processo va considerata in concreto, 
con riferimento al singolo processo, in base ai criteri stabiliti dall� art. 2, 
comma 2, della L. n. 89 del 2001, tenendo presenti i parametri cronologici 
elaborati dalla giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo, le cui sentenze, 
pur non avendo efficacia direttamente vincolante per il giudice italiano, 
nondimeno costituiscono la prima e pi� importante guida ermeneutica� (47). 
�L�Italia � il Paese dell�Unione Europea in cui i procedimenti civili, considerando 
i tre gradi di giudizio, hanno maggiore durata (in media 116 mesi, 
il 68% in pi� rispetto alla media UE)�(48). 
Diverse le cause della dilatazione della durata del processo: 
a) Aumento progressivo del numero dei processi, con forte accelerazione 
a seguito dell�introduzione del cd. processo del lavoro (49); 
b) Effetto cumulativo dell�arretrato. Si � rilevato che �se osserviamo il 
rapporto tra procedimenti sopravvenuti e procedimenti esauriti nel corso degli 
anni, ci rendiamo subito conto che, nel secondo dopoguerra, il numero dei 
procedimenti esauriti ogni anno � costantemente, seppur non di molto, al di 
sotto del numero dei procedimenti sopravvenuti. Il fenomeno comporta un effetto 
devastante sulla durata processuale, perch� determina, man mano che 
il tempo passa, un aumento senza fine del numero di cause che giacciono sul 
ruolo del singolo giudice. Facciamo un esempio banale. Se un giudice che 
inizia senza arretrato esaurisce l�80% delle controversie sopravvenute ogni 
(45) C. RECCHIA, Il danno da non ragionevole durata del processo ed equa riparazione, Giuffr� 
ed., Milano, 2006, pp. 5-6 e pp. 171-172. 
(46) Riportata in C. RECCHIA, cit., pp. 5-6. 
(47) cfr. Cass., 2 marzo 2004, n. 4207. 
(48) BANCA D�ITALIA, Relazione economica per l�anno 2000, 2001, Roma, 110 (citata in Foro It., 
2002, V, c. 252). 
(49) S. PROTO PISANI, Il processo del lavoro a diciotto anni dalla sua riforma, in Foro It., 1992, 
V, c. 83.
DOTTRINA 207 
anno, diciamo 240 su 300, si trover� dopo vent�anni con 1.200 cause sul 
ruolo!�(50). 
c) Riduzione del contenzioso affidato a giudici onorari. �Il rapporto tra 
controversie devolute al giudice togato e controversie devolute a giudici onorari 
era come impazzito: a fronte del 67% delle controversie devolute a giudici 
onorari negli anni �30 si passava al 7% negli anni �70. Il dato faceva e fa riflettere 
perch� dimostra con l�evidenza dei numeri che la giustizia civile aveva 
funzionato in Italia solo in periodi storici in cui il 70% o 80% delle controversie 
erano devolute ai giudici onorari� (51); 
d) Vuoti nell�organico della magistratura. Dal sito del C.S.M. emerge che 
nella magistratura togata sono vacanti 1.220 posti (su un organico, come visto 
sopra, di ca.10.100 posti), mentre in quella onoraria su ca. 10.220 circa posti 
ne sono scoperti 4.153. Ossia le vacanze in organico sono del 26%. All�evidenza 
nessuna struttura privata o pubblica pu� funzionare bene con un tale carenza 
di organico. 
e) Insufficienza del numero dei magistrati togati (52) in uno allo svolgimento 
di attivit� extragiudiziarie ad opera dei magistrati togati (quali la partecipazione 
ad attivit� di concorsi nella qualit� di commissari, incarichi di 
insegnamento universitario, incarichi arbitrali). Numerosi giudici ordinari sono 
impegnati in un numero elevato di attivit� sociali, politiche ed economiche 
che esulano dalla loro attivit� giudiziaria (53). 
f) �Tendenza a pi� elevati tassi di litigiosit�: crisi dei tradizionali apparati 
di mediazione e composizione dei conflitti (famiglia, istituzioni religiose 
e politico-sindacali); complessit�, instabilit�, spesso inconoscibilit� della 
legge�(54); 
g) Condotta di una data parte del ceto forense. Una parte degli avvocati 
che tratta cause relative al recupero credito ed infortunistica stradale ricava le 
fonti del proprio sostentamento da un contenzioso di massa a basso tenore normativo 
e svolge un �ruolo talvolta realmente parassitario, privilegiando il 
guadagno del professionista agli interessi del cliente. Ci� vale in particolare 
per i professionisti di piccolo e medio livello che, avendo spesso poche cause, 
hanno l�interesse a farle durare di pi� o ad incoraggiare la presentazione di 
(50) S. CHIARLONI, La giustizia civile e i suoi paradossi, in Storia d�Italia. Annali 14, Legge Diritto 
Giustizia, Giulio Einaudi ed., Torino,1998, p. 419. 
(51) Cos� A. PROTO PISANI, Giuristi e legislatori: il processo civile, in Foro It., 1997, V, c. 20; 
analogamente F. CIPRIANI Il problema dell�arretrato, in Foro it., 1995, V, c. 276. 
(52) �Il problema della durata del processo civile in Italia deriva innanzi tutto dal sovraccarico 
dei giudici togati che sono chiamati a gestire i processi a cognizione piena, i processi esecutivi, i processi 
sommari e cautelari, ecc.�: A. PROTO PISANI, I modelli di fase preparatoria dei processi a cognizione 
piena in Italia dal 1940 al 2006, in Foro It., 2006, V, c. 384. 
(53) Sul punto, S. PELLEGRINI, La litigiosit� in Italia, cit., pp. 220-221. 
(54) Cos� G. CARRIERO, Crisi del processo civile e giustizia stragiudiziale: l�<<ambudsman>> 
bancario, in Foro It., 2002, V, c. 250.
208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
domande per controversie altrimenti risolvibili in maniera stragiudiziale. 
Inoltre, il processo ordinario come � strutturato ancora oggi (scritto, privo 
di preclusioni e con lunghi rinvii) � funzionale all�organizzazione del lavoro 
nei medi e grandi studi legali che sono strutturati in organizzazioni gerarchiche 
e accentrate dove il lavoro quotidiano e di routine � svolto nella maggioranza 
dei casi da comparsisti o praticanti. Un processo rapido, basato 
sull�oralit�, scardinerebbe questa organizzazione impedendo di fatto l�assunzione 
di un maggior numero di cause e la facilit� di programmazione 
dell�ufficio dettata dai lunghi rinvii�(55). 
h) Ingresso delle donne in magistratura con conseguente occasionale 
effetto del cd. congelamento dei ruoli per congedi per maternit�. 
6. Proposte di modifica. Aspetti generali 
E� di tutta evidenza che la grave crisi in cui versa il processo civile comporta 
una pluralit� di costi per i cittadini. Oltre, infatti, al costo �etico� di 
una giustizia che garantisca una tendenziale tutela dei diritti azionati in giudizio 
deve registrarsi il costo �economico� che i ritardi dei tempi giudiziari 
comporta. La crisi del processo genera ulteriore contenzioso gravante sulle 
Corti di Appello con significativo aggravio degli oneri per il bilancio statale 
che deve far fronte a crescenti costi per il pagamento dell�indennizzo per la 
riparazione della ingiusta durata del processo attualmente disciplinata dalla 
L. 24 marzo 2001 n. 89 (previsione di equa riparazione in caso di violazione 
del termine ragionevole di durata del processo). Ed infatti all�attualit� secondo 
gli orientamenti della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo - come 
evidenziato sopra - la giusta durata del processo civile, di ordinaria complessit�, 
in primo grado � di tre anni nella sua globalit� (fino alla definizione 
con decisione definitiva) � di sei anni. Superata la giusta durata del processo 
per ogni anno di durata in pi� (56) spetta alle parti (a prescindere dalla ragione 
e dal torto) un indennizzo che ristori le lesione del bene giuridico dell�interesse 
ad essere giudicati entro un termine ragionevole. La somma annua 
di indennizzo oscilla � secondo i parametri della Corte Europea � tra 1.000 
e 1.500 euro. Inoltre l�importo � nel caso di posta in gioco considerevole � 
pu� essere aumentato fino ad euro 2.000 (ad esempio, nelle cause concernenti 
il diritto del lavoro, lo stato e la capacit� civile delle persone e le pensioni 
o i procedimenti particolarmente gravi relativi alla salute o alla vita 
(55) Cos� O. VIDONI GUIDONI, Quale giustizia per il Giudice di pace?, Giuffr� ed., Milano, 2006, 
p. 93; sul punto, con ampie argomentazioni, CHIARLONI S., La giustizia civile�, cit., pp. 442-446. 
(56) Va evidenziato sul punto un contrasto tra Corte Europea e Giudice di legittimit� nazionale. 
Per la Corte Europea la somma annua va attribuita per anno di durata del procedimento (e non per anno 
di ritardo), laddove la Corte nazionale, seguendo la lettera della legge Pinto, continua a considerare il 
solo periodo eccedente la ragionevole durata.
DOTTRINA 209 
degli individui) (57). Una riduzione dell�importo � applicata in funzione del 
comportamento delle parti (precisamente nel numero di mesi o di anni dovuti 
ai rinvii ingiustificati imputabili alle parti), della posta in gioco � per esempio, 
se l�aspetto patrimoniale ha scarsa importanza per il ricorrente � ed in 
funzione del livello di vita del Paese (58). 
Alla luce di quanto illustrato in tema di durata media del processo civile 
in Italia, nell�attuale momento storico, emerge che pressoch� la totalit� dei 
processi dinanzi al giudice togato - ove si articolino nei tre gradi di giurisdizione 
- superano la giusta durata. Pertanto, ove tutti gli interessati proponessero 
domanda di ristoro ex L. n. 89/2001, la somma da erogare da parte 
dello Stato italiano ammonterebbe a miliardi di euro. �Il Ministro della Giustizia, 
nell�audizione tenutasi il 27 giugno 2006 davanti alla Commissione 
Giustizia del Senato� ha riferito i termini dell�incremento �notevolissimo� 
degli esborsi sopportati dallo Stato a causa delle condanne subite in questi 
anni. Il Ministro, ha riferito che, nel 2002, i decreti di condanna pronunciati 
sono stati 2681, con un esborso economico ammontante a 1.266.356,84 
euro; nel 2003, 1.654 decreti con un esborso pari a 5.478.871,69 euro; nel 
2004, i decreti sono stati 2.014 con condanne per 6.627.975 euro; l�anno 
successivo, i decreti hanno raggiunto i 2.494, con un onere economico di 
8.921,525� (59). Il trend delle cause in materia di leggi �Pinto� � in costante 
ascesa: nel 2005 sono sopravvenuti 12.130 ricorsi, nel 2006 il numero � di 
20.633, nel 2007 il numero � di 20.135 e nel 2008 il numero � di 28.383. La 
situazione � cos� grave che all�inizio del luglio 2010 � stato presentato dal 
Governo un emendamento, alla manovra economica sulla quale � stata posta 
la fiducia, che prevedeva la creazione della figura del giudice ausiliario (da 
attingere in un albo formato da avvocati, giudici onorari e notai anche in 
pensione, Avvocati dello Stato, giudici ordinari, contabili e amministrativi 
a riposo, docenti e ricercatori universitari di materie giuridiche) per smaltire 
le cause pendenti. Arretrato giunto � secondo la dichiarazione resa il 22 luglio 
2010 dal Ministro della Giustizia dinanzi alla Giunta della Confindustria 
(60) � a 5.600.000 di giudizi pendenti. L�emendamento � stato subito ritirato 
per le vibranti proteste della classe forense anche se � sensazione diffusa nel 
(57) Corte Europea 10 novembre 2004, Riccardi Pizzati c/Italia; Corte Europea 21 ottobre 2004, 
Zullo c/Italia. 
(58) Corte Europea 10 novembre 2004, Pizzati c/Italia. Su tali dati, ricognitivamente, C. RECCHIA, 
op. cit., pp. 124-131. Va, peraltro, evidenziato che la Corte Europea �ha sempre tenuto a precisare che 
eventuali comportamenti dilatori non escludono in assoluto la responsabilit� dello Stato, giacch�, anche 
in un processo impostato sul principio dispositivo come il nostro, il giudice resta sempre titolare del diritto/
dovere di indirizzo e direzione del processo, pertanto ha sempre l�obbligo di garantire il sollecito 
svolgimento del processo stesso� cos� C. RECCHIA, op. cit., p. 7. 
(59) Cos� R. MASONI, La durata ragionevole del �giusto processo� nell�applicazione giurisprudenziale, 
Giuffr� ed., Milano, 2006, p. 195. 
(60) Riportata su Il Sole 24 ore del 23 luglio 2010 p. 23.
210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
predetto ordine professionale che il provvedimento � destinato a riemerge in 
un prossimo futuro. 
Risorse della collettivit� interamente bruciate per effetto della eccessiva 
durata del processo civile. Miliardi di euro � ove la durata del processo fosse 
�ragionevole� � diversamente e utilmente spendibili per rendere efficiente il 
processo civile o da utilizzare per la soddisfazione di altri interessi pubblici. 
Conseguenza logica, obbediente ad una pacata analisi dei dati, � la necessaria, 
imperativa e non eludibile riforma del processo civile, a tutti i livelli normativi, 
anche costituzionali, onde pervenire ad una giustizia che risponda in tempi ragionevoli 
alle domande dei cittadini. 
Un efficace intervento postula necessariamente la modifica tanto degli 
aspetti ordinamentali quanto dell�iter del processo civile. L�un aspetto si coniuga 
con l�altro. 
� osservazione pacifica, infatti, che alcuna riforma del rito civile potr� 
sortire effetti ove il processo civile non sia dotato di uomini e di mezzi per 
poter funzionare. �Un�idea fissa che assumono i lavori preparatori di ogni riforma 
in materia di procedura civile: quella di riassorbire l�arretrato e di accelerare 
il corso dei processi� Un giorno bisogner� pur ammettere che le 
regole di procedura non sono tutto. Fintanto che l�apparato giudiziario non 
sar� dotato di mezzi che sono richiesti dalla proliferazione delle cause, � vano 
sperare che i ritardi possano essere seriamente ridotti. E ancora� oltre i mezzi 
sufficienti e ad una procedura efficace, ci vorr� sempre la buona volont�, se 
non l�abnegazione degli operatori di giustizia, avvocato, magistrato, cancelliere. 
Come dire che l�obiettivo di una giustizia pi� efficace, nei limiti in cui � 
realizzabile, non pu� che essere il prodotto di una sapiente mescolanza di differenti 
ingredienti�. � significativo osservare come il brano ora riportato non 
si riferisca alla giustizia civile in Italia, bens� alla giustizia civile in Lussemburgo 
(61). E questo in quanto la eccessiva durata dei processi � un problema 
che interessa pressoch� tutti gli Stati membri dell�Unione Europea (62), anche 
se in modo molto pi� marcato l�Italia. 
7. Proposte di modifiche ordinamentali 
Modificazione della geografia giudiziaria 
� osservazione condivisa che il carico di lavoro tra gli uffici giudiziari 
non � equamente ripartito. Nel tempo si � assistito alla conservazione, per motivi 
storici e/o campanilistici, di Uffici giudiziari con ridotti bacini di utenza 
(61) M. ELVINGER, La giustizia civile in Lussemburgo, in E. FAZZALARI (a cura di), La giustizia 
civile nei Paesi comunitari, CEDAM ed., Padova, vol. I, 1994, pp. 313-314. 
(62) Cos� B. CAPONI, La giustizia civile: nuovi modelli verso l�Europa, in Foro it., 1993, V, c. 
222, nota 17.
DOTTRINA 211 
ed alla proliferazione di nuovi uffici giudiziari istituiti talora per la non sempre 
ponderata motivazione di sgravare uffici giudiziari di pi� grosse dimensioni 
(Roma, Napoli, Milano) e talora in conseguenza della creazione di nuovi enti 
territoriali (nuove province). � pertanto evidente che l�efficienza dell�apparato 
giudiziario (come ogni altro �servizio� reso �all�utenza�) postula una geografia 
giudiziaria coerente con i bacini di fruizione del servizio dovendosi abbandonare 
ogni altro elemento di valutazione. Ne consegue la necessit� (63) della 
verifica dell�attuale assetto al fine di modificare le circoscrizioni (accorpando 
uffici, separandone altri, eliminando sezioni distaccate) in modo da pervenire 
ad un razionale rapporto tra il numero dei giudici e il numero della popolazione 
residente nelle circoscrizioni giudiziarie ponderato con il tasso di litigiosit�. 
Alla luce dei dati statistici (numero della popolazione, circoscrizioni giudiziarie 
con i giudici assegnati, tasso di litigiosit�, etc.) occorrer� modificare 
la geografia giudiziaria. La soppressione di uffici giudiziari con poco carico 
di lavoro permetter� una migliore gestione delle risorse (magistrati, personale 
ausiliario, spese di amministrazione ordinaria e straordinaria degli uffici giudiziari) 
e la riduzione di individuati costi (ad es. costo per gli immobili adibiti 
a sedi giudiziarie). 
La linea tendenziale di una revisione della geografia giudiziaria dovrebbe 
essere quella della concentrazione degli uffici. 
E del resto una capillare articolazione territoriale degli uffici giudiziari 
aveva senso nel 1800, allorch� le non agevoli vie di comunicazione (carrozze, 
cavalli o, pi� tardi, treni per determinate tratte) rendevano opportuna la creazione 
di uffici giudiziari anche per piccoli centri in modo da garantire una effettivit� 
di tutela giurisdizionale. Nel momento attuale, in cui le linee di 
comunicazione sono tendenzialmente agevoli e soprattutto in vista del futuribile 
processo telematico, non si appalesa pi� come razionale un�intensa articolazione 
territoriale degli uffici allorch� dalla stessa consegua altres� una 
evidente diseconomia del servizio giustizia. 
Alla luce di tale criterio non appaiono condivisibili le proposte (64), pur 
adeguatamente motivate, di garantire la prossimit� territoriale del Giudice di 
pace nelle grandi citt� ossia il decentramento degli uffici del Giudice di pace 
delle grandi citt� nei quartieri, utilizzando uffici comunali e circoscrizionali, 
per garantire una giustizia capillare, pi� diffusa. Proposte che comporterebbero 
la polverizzazione di risorse di uomini e mezzi con costi aggiuntivi e non un 
efficace coordinamento dell�esercizio della funzione giurisdizionale. 
Analogamente andrebbero soppresse le sezioni distaccate di Tribunale, 
la cui esistenza determina la dispersione di dotazione organica del personale 
(63) Da ultimo evidenziata da A. PROTO PISANI, Intervento sconsolato sulla crisi dei processi 
civili a cognizione piena in Foro It. 2008, V, c. 12. 
(64) VIDONI GUIDONI O., Quale giustizia per il Giudice di pace?, cit., p. 83.
212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
togato e amministrativo, nell�obiettivo di pervenire ad una geografia giudiziaria 
che preveda la esistenza di Tribunali che coincidano con le sedi della Provincia 
ove il bacino di utenza e di litigiosit� lo consenta. 
Riforma della dirigenza degli uffici giudiziari 
Da pi� parti si avverte l�esigenza di intervenire per il riordino della dirigenza 
amministrativa negli uffici giudiziari. In particolare, viene proposta l�applicazione 
del cd. principio della doppia dirigenza (65): competenza in tema 
tabellare e di organizzazione del lavoro giudiziario attribuita ad un magistrato 
e competenza amministrativa attribuita ad un tecnico, selezionato tramite concorso 
di secondo grado (cui potrebbero partecipare anche i magistrati). 
Di recente � intervenuto in materia il D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 240 con 
cui si � inteso valorizzare il ruolo dei dirigenti amministrativi e introdurre il 
decentramento del Ministero della Giustizia trasferendo alcune funzioni decisionali 
(in materia di organizzazione giudiziaria) ad organi periferici; l�intervento 
normativo si muove sempre nell�ambito del distinguo tra competenza 
dei magistrati capi degli uffici e dirigenti amministrativi. Difatti l�art. 1 del 
decreto prevede l�attribuzione al magistrato capo dell�Ufficio giudiziario, tra 
l�altro, della �competenza ad adottare i provvedimenti necessari per l�organizzazione 
dell�attivit� giudiziaria�, laddove l�art. 2 del decreto conferisce al 
dirigente amministrativo la responsabilit� della �gestione del personale amministrativo�; 
i due dirigenti ora indicati, poi, redigono, per ciascun anno, il 
programma delle attivit� da svolgere nel corso dell�anno secondo la disciplina 
contenuta nell�art. 4 del decreto. 
In realt� sia l�intervento legislativo che le proposte formulate in dottrina 
postulano quale presupposto che l�organizzazione del lavoro giudiziario debba 
essere riservato al personale togato, con l�evidente conseguenza che professionalit� 
acquisite in campo giudiziale (di solito agli apici di carriera) vengono 
utilizzate per funzioni di carattere rigorosamente organizzativo rispetto a cui 
i magistrati non hanno maturato alcuna idonea e specifica professionalit� . 
Parrebbe pertanto pi� corretto ricondurre nell�alveo della dirigenza amministrativa, 
secondo il modello contenuto nel D.Lgs. 165/01, tutte le funzioni 
riconducibili all�amministrazione della giustizia intesa quale organizzazione 
del lavoro. In tal modo si otterrebbe un duplice effetto: richiamare a funzioni 
di coordinamento delle sezioni giurisdizionali il magistrato che ha maturato 
la massima esperienza, liberando capi degli uffici e vicari da funzioni non propriamente 
giurisdizionali e, dall�altro, realizzare un assetto organizzativo nei 
Tribunali secondo omogenei, riconosciuti e consolidati criteri di continuit� 
manageriale (evitandosi in tal modo la personificazione di assetti organizzativi 
(65) F. CIPRIANI, M. G. CIVININI, A. PROTO PISANI, Una strategia per la giustizia civile nella XIV 
legislatura, in Foro It., 2001, V, c. 83.
DOTTRINA 213 
che dovrebbero essere uniformi all�interno del pianeta �giustizia�). 
Composizione degli organi giurisdizionali di merito 
Attualmente organi giurisdizionali collegiali (collegio di tre giudici) sono 
costituiti dal Tribunale in composizione collegiale su specifiche materie (art. 
50 bis c.p.c.) e dalla Corte d�Appello. Il principio della pi� completa ponderazione 
delle questioni giuridiche che milita in favore della composizione collegiale 
dell�organo giurisdizionale � un principio assoluto e, come tale, 
potrebbe ritenersi ineludibile per ogni organo giudiziale. E tuttavia costituisce 
valutazione politica quella � attuata nell�odierno sistema � di applicarlo solo 
alle controversie presumibilmente pi� complesse e difficili. La politicit� della 
scelta � in assenza di una norma costituzionale che imponga la composizione 
collegiale degli organi giurisdizionali � non esclude una composizione monocratica 
di ogni organo giudicante nel merito nell�evidente fine di liberare risorse 
umane da destinare allo svolgimento di altri processi in termini 
ragionevoli (66). 
E� auspicabile, quindi, una riforma legislativa che stabilisca la composizione 
monocratica del Tribunale e della Corte di Appello. Ove venisse accolta 
la proposta delle composizione monocratica di ogni organo giudicante nel merito, 
al fine del maggior possibile coordinamento giurisdizionale potrebbe prevedersi 
che, su specifica e motivata richiesta del giudice monocratico 
designato, il Presidente dell�Ufficio (o il Presidente di Sezione, ove l�Ufficio 
si articoli in sezioni) possa disporre la trattazione collegiale del giudizio nelle 
limitate ipotesi che vengano in rilievo questioni di massima di particolare importanza 
(ex art. 374 c.p.c.) o aventi notevole rilievo economico (ex art. 417 
bis c.p.c.). 
Snellimento della composizione della Corte di Cassazione 
All�attualit� i collegi giudicanti presso la Suprema Corte sono composti 
da cinque giudici. Il numero dei giudici (che era di sette) � stato cos� ridotto 
dalla L. 8 agosto 1977 n. 532. Quando la Suprema Corte pronuncia a sezioni 
unite, il Collegio giudicante � composto da nove giudici. Presso la Corte di 
Cassazione vi � la Procura generale, che interviene all�udienza, esponendo 
motivatamente il suo punto di vista circa le censure sollevate (art. 379 c.p.c.). 
Tale struttura pu� essere utilmente snellita senza pregiudicare le garanzie 
di adeguata ponderazione dei giudizi. 
Potrebbe prevedersi la riduzione a tre dei componenti il collegio giudicante 
ed individuare in sette la composizione della Corte a Sezioni Unite. Sem- 
(66) Il modello sopra suggerito � stato adottato negli anni �80 nel processo belga (STORME M., 
Sintesi del diritto processuale belga, in La giustizia civile nei Paesi comunitari, cit., vol. I, p. 7) ed � 
ampiamente diffuso negli Stati Uniti d�America (HAZARD G. C., TARUFFO M., La giustizia civile negli 
Stati Uniti, Il Mulino ed., Bologna, 1993, pp. 52, 55-56).
214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
bra potersi ritenere che in tal modo la avvertita esigenza di collegialit� sia adeguatamente 
tutelata. 
� auspicabile anche l�eliminazione dell�istituto del Pubblico Ministero 
(67) presso la Corte di Cassazione. 
Difatti nell�attuale ordinamento costituzionale, sono venute meno le ragioni 
della presenza del P.M. in Cassazione. Ragioni illo tempore costituite 
dalla necessit� di un controllo politico sulla Corte di Cassazione al fine di evitare 
che il supremo giudice di legittimit� travalicasse le proprie competenze. 
Tale intervento avrebbe un doppio benefico effetto: da un lato di eliminare un 
passaggio del procedimento presso il giudice di legittimit�, snellendo lo stesso 
e, dall�altro, liberare risorse umane (il numero dei giudici addetti alla Procura 
Generale presso la Corte di Cassazione presenta un organico di 68 unit�) da 
destinare alla composizione dei collegi giudicanti. 
La partecipazione del P.M. in sede di legittimit� verrebbe cos� circoscritta 
alle limitate ipotesi in cui la partecipazione di tale organo � prevista anche per 
le fasi di merito. 
Meccanismi di riduzione del contenzioso 
A fronte del dato della inidoneit� dell�attuale sistema giudiziario a giudicare 
in tempi ragionevoli le domande di giustizia appaiono percorribili due 
strade: o ridurre il numero del contenzioso o aumentare il numero dei giudici. 
� evidentemente scelta di politica legislativa seguire l�una o l�altra strada. 
In ordine ai meccanismi di riduzione del contenzioso si osserva quanto 
segue. 
A Costituzione invariata si appalesa difficile l�introduzione di efficaci 
meccanismi selettivi o di filtro dei giudizi, al fine di pervenire ad una riduzione 
del contenzioso. 
Meccanismi deflattivi del contenzioso sono stati sinora individuati in: 
a) Mediazione 
La mediazione � istituto creato negli Stati Uniti (Mediation) � � uno degli 
strumenti per l�Alternative dispute resolution (A.D.R.), �caratterizzato dal 
fatto che l�intervento di un terzo tende solo a facilitare un accordo diretto delle 
stesse parti� (68); �nella mediazione l�intervento di un terzo �esperto� � di 
mero ausilio per favorire il raggiungimento di un accordo ,le cui condizioni 
devono essere negoziate e accettate dalle parti. Quindi, mediazione come attivit� 
delle stesse parti ,sia pure con l�ausilio del terzo esperto, finalizzata al 
(67) Secondo una proposta di F. CIPRIANI, Nuovi presidenti e vecchi problemi�, cit., c. 1875 e F. 
CIPRIANI, M. G. CIVININI, A. PROTO PISANI, Una strategia�, cit., c. 83, nel contesto di una proposta di 
riforma mirante all�abrogazione dell�intervento obbligatorio del P. M. nel processo civile; analogamente, 
in quest�ultimo senso, F. CIPRIANI, Per un nuovo processo civile, in Foro It. 2001, V, c. 325. 
(68) Cos� C. PUNZI, Mediazione e conciliazione in Riv. dir. proc. 2009, p. 845.
DOTTRINA 215 
raggiungimento del loro �accordo� diretto� (69). 
E� prevista nell�art. 342 ter, comma 2, cod. civ. a proposito del contenuto 
degli ordini di protezione contro gli abusi familiari e nell�art. 155 sexies, 
comma 2, cod. civ. in ordine ai poteri del giudice e ascolto del minore nelle 
situazioni di crisi della famiglia coniugale (70). 
La mediazione si distingue dalla conciliazione perch� in quest�ultima vi 
� l�intervento di un terzo che svolge un ruolo attivo, formulando una proposta, 
che le parti sono libere di accettare, perfezionando, con l�accettazione della 
proposta, la conciliazione (71). 
Alla luce di tale criterio discretivo la mediazione finalizzata alla conciliazione 
di cui al D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28 non pu� ritenersi tecnicamente 
riconducibile alla mediazione �strictu sensu�, ma � come si illustrer� tra breve 
� all�area della conciliazione, atteso che l�intervento del terzo � il quale media 
e formula una proposta � altro non � che un tentativo di conciliazione. 
b) Tentativo facoltativo di conciliazione 
E� un procedimento liberamente attivabile dalle parti mediante il quale 
queste, alla presenza di un terzo, compongono una controversia tra loro insorta; 
nella conciliazione il terzo �deve valutare le contrapposte posizioni delle parti 
e individuarne la giusta composizione e, su questa base, deve offrire alle parti 
il suo consilium e provocarne il concilium , cio� l�aggregazione e l�incontro 
e, quindi, la conciliazione�(72). 
L�istituto pu� trovare spazio nelle controversie su diritti disponibili. 
�Nella spinta verso metodi di ADR il legislatore italiano guarda in questi ultimi 
anni con crescente favore alla conciliazione amministrata da istituzioni. 
In tale ruolo spiccano le camere di commercio, alle quali l�art. 2, comma 4, 
della L. 580/93, nel quadro del loro riordinamento, riconosce il potere di promuovere 
la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per le controversie 
tra imprese, nonch� tra imprese e consumatori�(73). 
Coerente con le indicate direttrici � il citato D.L.vo n. 28/10 sulla �mediazione 
finalizzata alla conciliazione�, nel quale il termine mediazione, come 
gi� evidenziato, identifica il procedimento per giungere alla conciliazione. Il 
procedimento di mediazione per la conciliazione di una controversia civile o 
commerciale vertente su diritti disponibili � attivabile da chiunque (art. 2 
D.L.vo cit.). In tal senso � un tentativo facoltativo di conciliazione (ed ha una 
disciplina identica all�ipotesi in cui la mediazione � condizione di procedibilit� 
dell�azione giudiziaria); tuttavia chi viene convenuto nel procedimento non � 
(69) Op. ult. cit. p. 859. 
(70) L. P. COMOGLIO, La durata ragionevole del processo e le forme alternative di tutela, in Riv. 
dir. proc. 2007, p. 615. 
(71) Cos� C. PUNZI, op.ult.cit. p. 853. 
(72) C. PUNZI, op. ult. cit. p. 849. 
(73) Cos� R. CAPONI, La conciliazione�, cit., c. 169. 
216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
libero di rifiutarlo, deve subirlo; sicch� dal punto di vista di quest�ultimo � 
obbligatorio. 
Va evidenziato che, in esperienze ben distinte dalla nostra, quale quelle 
del processo statunitense (ossia in un Paese di common law) pi� del 90% delle 
controversie viene conciliato prima del dibattimento (74), in specie �meno del 
cinque per cento delle cause arriva davvero al dibattimento�(75). 
c) Tentativo obbligatorio di conciliazione 
E� il procedimento sopradescritto al punto b) da attivare obbligatoriamente 
dalle parti (o da subire dalla parte evocata) prima di instaurare una lite 
giudiziaria; una disciplina completa dell�istituto era contenuta negli artt. 410 
e ss. c.p.c., trasformato in facoltativo con la novella di cui alla L. 4 novembre 
2010 n. 183. Il tentativo obbligatorio di conciliazione � presente, altres�, nelle 
controversie agrarie (art. 46 della L. 3 maggio 1982, n. 203), nelle controversie 
sui licenziamenti nelle unit� produttive minori (art. 5 della L. 11 maggio 1990, 
n. 108), nelle controversie previdenziali (art. 443 c.p.c.), nelle controversie in 
materia di lavori pubblici (art. 240 d.L.vo 12 aprile 2006 n. 163), nelle controversie 
in tema di subfornitura (art. 10 della L. 18 giugno 1998 n. 192); � 
contemplato un tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi alle Camere di 
Commercio nelle controversie tra operatori e tra operatori e utenti in materia 
di telecomunicazioni (art. 1 della L. n. 249/1997). 
Forte impulso al tentativo de quo � stato impresso dal D.L.vo 4 marzo 
2010 n. 28 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie 
civili e commerciali vigente dal 20 marzo 2010 (ad eccezione del 
tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 5 che acquister� efficacia il 20 
marzo 2011) (76). Tale testo recepisce indicazioni provenienti dal diritto comunitario 
� da ultimo: direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008 relativa a determinati 
aspetti della mediazione in materia civile e commerciale � ed � in 
linea di continuit� con alcune soluzioni contenute nello schema di disegno di 
legge concernente la �Disciplina della conciliazione in sede non contenziosa� 
redatto da una Commissione nominata con D.M. 15 febbraio 1993 dal Ministro 
di Grazia e Giustizia e presieduta da Elio Fazzalari con conclusione dei lavori 
il 18 marzo 1994 (77). 
(74) G. C. HAZARD, M. TARUFFO, La giustizia civile negli Stati Uniti, cit., p. 122. 
(75) G. C. HAZARD, M TARUFFO, La giustizia civile negli Stati Uniti, cit., p. 253. 
(76) Su tali temi: L. DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel D.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010 
in Riv. dir. proc. 2010 pp. 575-594; G. CANALE, Il decreto legislativo in materia di mediazione in Riv. 
dir. proc. 2010 pp. 616-630; R. CAPONI - G. ARMONE - P. PORRECA - D. DALFINO, La giustizia civile alla 
prova della mediazione (a proposito del d.leg. 4 marzo 2010 n. 28) in Foro It. 2010, V, cc. 89-107; A. 
PROTO PISANI, Appunti su mediazione e conciliazione in Foro It. 2010, V, cc. 142-146; G. SCARSELLI, 
La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno in Foro It. 2010, V, cc. 146-151. 
(77) La relazione e lo schema di disegno di legge sono pubblicati sul Foro Italiano 1994, V, cc. 
285-292, sotto il titolo sulla �disciplina della conciliazione in sede non contenziosa�.
DOTTRINA 217 
Per il decreto legislativo n. 28/2010 la mediazione � l�attivit�, comunque 
denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o pi� 
soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una 
controversia (conciliazione), sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione 
della stessa (art. 1). Come pi� volte evidenziato, la mediazione � il 
procedimento mentre la conciliazione � un possibile sbocco del procedimento. 
Il procedimento di mediazione � attivabile ad iniziativa di parte in due 
distinte ipotesi : 
a) liberamente da chiunque intenda promuovere una controversia civile 
e commerciale vertente su diritti disponibili (art. 2). Va ricordato per� che il 
soggetto evocato deve sottostare alla disciplina del procedimento, non pu� rifiutarlo. 
Onde stimolare la diffusione della mediazione finalizzata alla conciliazione 
� stato previsto (art. 4) che l�avvocato � all�atto del conferimento 
dell�incarico � deve informare l�assistito della possibilit� di avvalersi del procedimento 
di mediazione de qua e delle agevolazioni fiscali collegate; 
b) obbligatoriamente,quale condizione di procedibilit� della domanda 
giudiziaria, da chi intende promuovere una controversia in materia di condominio, 
diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, 
comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione 
di veicoli e natanti, da responsabilit� medica e da diffamazione con il 
mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicit�, contratti assicurativi, bancari 
e finanziari (art. 5). 
In ambedue i casi il procedimento � uguale. La domanda di mediazione 
� presentata mediante deposito di un�istanza presso un organismo � ente pubblico 
o privato � individuato dall�istante (art. 4); il procedimento ha una durata 
non superiore a 4 mesi (art. 6), si svolge senza formalit� e dalla mancata partecipazione 
senza giustificato motivo il giudice pu� desumere argomenti di 
prova nel successivo giudizio ai sensi dell�art. 116 c.p.c. (art. 8). E� prevista 
una disciplina a tutela del riserbo (aa. 9-10). Tutti gli atti, documenti e provvedimenti 
relativi al procedimento sono esenti da tributo, spesa o diritto; il 
procedimento � tuttavia oneroso per le parti le quali devono pagare un�indennit� 
all�organismo di mediazione per l�attivit� prestata (art. 17) anche se possono 
beneficiare � entro dati limiti e con dimezzamento se la mediazione non 
ha successo � di un credito d�imposta commisurato all�indennit� liquidata (art. 20). 
Se viene raggiunto un accordo amichevole il mediatore forma un processo 
verbale (art. 11) che in seguito ad omologa giudiziaria su istanza dell�interessato, 
costituisce titolo esecutivo per l�espropriazione forzata, per l�esecuzione 
in forma specifica e per l�iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 12); il verbale 
di accordo � esente dall�imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 
euro, altrimenti l�imposta � dovuta per la parte eccedente (art.17). 
Se non � raggiunto l�accordo il mediatore pu� formulare una proposta di 
conciliazione ed � tenuto a formularla a seguito di concorde richiesta delle
218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
parti (art.11); ove nell�eventuale successivo giudizio la parte vincitrice che ha 
rifiutato la proposta ottenga una decisione che corrisponde interamente al contenuto 
della proposta viene previsto (art.13) che il giudice: a) escluda la ripetizione 
delle spese sostenute dalla parte vincitrice � inclusa l�indennit� di 
mediazione � riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa; b) 
condanni la parte vincitrice al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente, 
inclusa l�indennit� di mediazione, relative allo stesso periodo, nonch� 
al versamento all�erario di una ulteriore somma di importo corrispondente 
al contributo unificato dovuto; invece ove la decisione non corrisponde interamente 
al contenuto della proposta il giudice pu� escludere � ricorrendo gravi 
ed eccezionali ragioni � la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice 
per l�indennit� di mediazione (art. 13). 
Questa in sintesi la disciplina della mediazione introdotta con il D.L.vo 
n. 28/10. 
Deve ritenersi, con i correttivi di seguito indicati, che la mediazione de 
qua in presenza di organismi di conciliazione qualificati e indipendenti e della 
disponibilit� della classe forense ad investire professionalit� nello strumento 
pu� contribuire a definire in via stragiudiziale i contrasti con effetto evidentemente 
deflattivo del contenzioso. 
La disciplina, al fine di diffondere il meccanismo, contiene incentivi (fiscali) 
e conseguenze sanzionatorie in caso di ingiustificato fallimento del tentativo. 
La disciplina ha per�, a nostro giudizio, bisogno dei seguenti correttivi 
al fine di renderla funzionale allo scopo: 
a) l�attivazione libera e facoltativa del procedimento di mediazione ad 
opera dell�interessato (art. 2) deve trovare il consenso della controparte evocata. 
Con la attuale disciplina la parte evocata � obbligata a subire un procedimento 
� con tempi, impegni e costi � che potrebbe essere non gradito; 
b) eliminazione in capo alle parti del carico dell�indennit� all�organismo 
di mediazione. Al fine di incentivare il procedimento potrebbe prevedersi che 
l�onere delle spese � a carico dello Stato; in tal caso vi sarebbe una sicura - intuitiva 
- collaborazione delle parti. E� ragionevole ritenere che tale onere delle 
spese, a disciplina invariata, contribuisca a dissuadere le parti ad attivare facoltativamente 
il procedimento. Tale eliminazione andrebbe prevista � in favore 
della parte che ha ragione � almeno nel caso in cui il procedimento � 
obbligatorio. Difatti con la disciplina attuale ove un soggetto abbia ragione in 
toto e l�organismo di conciliazione favorisca un accordo bonario che accolga 
le richieste della parte che ha ragione, quest�ultima vede limitata la tutela dei 
propri diritti: la limitazione � dovuta al fatto di sopportare parte delle spese 
della mediazione. In parte qua la disciplina attuale sul punto presenta profili 
di dubbia costituzionalit� per contrasto con l�art. 24 comma 1 della Costituzione;

DOTTRINA 219 
c) ridurre le materie dove � obbligatoria ex art. 5 la mediazione. Le materie, 
all�attualit�, ricomprese nel citato art. 5 sono del tutto eterogenee. E� osservazione 
diffusa che i tentativi di conciliazione possono avere un loro spazio 
in ordinamenti settoriali, quali quelli dei servizi pubblici, ovvero nel rapporto 
tra consumatori e imprese, e comunque in quei settori in cui, si registra una 
omogeneit� dei contrapposti interessi coinvolti ed un rapporto diuturno e continuo 
tra le parti che fa sorgere l�interesse reciproco a �conservare buoni rapporti� 
nel tempo. Con l�ulteriore conseguenza che, nell�attuale assetto 
normativo, appare difficilmente perseguibile l�obiettivo di formazione di mediatori 
per tutto il contenzioso in quanto l�eterogeneit� delle controversie (e 
quindi delle materie trattate) finirebbe con il provocare un inefficace appesantimento 
burocratico, non idoneo a realizzare n� il mirato obiettivo deflattivo 
n� una adeguata formazione professionale dei mediatori. Sembrerebbe pertanto 
auspicabile che il ricorso all�istituto della mediazione venga circoscritto 
de iure condendo a settori specifici individuando altres� una meditata corrispondenza 
tra blocchi di materie e professionalit� degli organismi preposti alla 
mediazione al fine di garantire non solo la concreta efficacia deflattiva dell�istituto 
ma anche l�efficienza e la professionalit� nell�espletamento della funzione 
assegnata ai singoli organismi. 
Nella delineata prospettiva andrebbe eliminata l�obbligatoriet� della mediazione 
quantomeno nelle cause di responsabilit� aquiliana, in cui, come noto, 
il rapporto tra le parti � del tutto accidentale e non connotato certo dall�esistenza 
di rapporti iterativi; 
d) eliminare la disciplina delle spese ex art. 13 comma 1 prevista nel caso 
che nel giudizio il vincitore consegua interamente il contenuto della proposta, 
rifiutata in sede di mediazione fallita. Lo spirito della norma � chiaro: creare 
conseguenze sanzionatorie in caso di ingiustificato fallimento della mediazione. 
Tuttavia la disciplina presenta numerose aporie: pone il carico delle 
spese in capo alla parte vincitrice con dubbio di costituzionalit� in chiave di 
tutela dei diritti ex art. 24 comma 1 della Costituzione; � doppiamente squilibrata 
a carico del vincitore, perch� � in primo luogo � la condanna al rimborso 
delle spese sostenute dalla parte soccombente prescinde dalla circostanza che 
la proposta di mediazione sia stata accettata da quest�ultima e perch� � in secondo 
luogo � alcun meccanismo sanzionatorio � previsto in capo al soccombente 
che in sede di mediazione abbia rifiutato la relativa proposta (il cui 
contenuto sia stato poi accolto nel giudizio). Per realizzare l�obiettivo avuto 
di mira dal legislatore potrebbe esser sufficiente una norma secondo cui (sulla 
falsariga dell�art. 92 comma 1 seconda parte c.p.c.) �il giudice pu�, indipendentemente 
dalla soccombenza ,condannare una parte al rimborso delle spese, 
anche non ripetibili, che, per l�inosservanza dell�onere di partecipare e comportarsi 
con lealt� nel procedimento di mediazione, essa ha causato all�altra 
parte�.
220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
d)Tentativo obbligatorio di conciliazione conducente alla formazione 
eventuale di un titolo esecutivo stragiudiziale 
In funzione deflattiva ed al fine di ricondurre a tempi di ragionevolezza 
la durata del processo civile autorevole dottrina (78), nell�ambito di una strategia 
complessiva di proposte di riforma del processo civile, ha suggerito 
l�adozione di uno strumento molto efficace (massimo conseguibile, a Costituzione 
invariata) costituito dalla formazione di un titolo esecutivo stragiudiziale 
sul modello dell�art. 18 della L. 24 novembre 1981 n. 689. 
L� Autore citato osserva testualmente: �Orbene, un intervento possibile 
sarebbe a mio avviso questo: prevedere che con riferimento ad alcune, determinate, 
categorie di controversie relative a diritti disponibili, individuate in 
ragione della materia (ad es. controversie di lavoro e previdenziali, controversie 
locatizie, controversie da infortunistica stradale, controversie successorie), 
sia introdotto, in via legislativa, quale condizione di procedibilit� del 
processo o come condizione di proponibilit� della domanda, il preventivo tentativo 
obbligatorio di conciliazione innanzi ad un terzo imparziale (notaio o 
altro pubblico ufficiale, funzionari specializzati delle camere di commercio, 
ex avvocati dello Stato, giudici onorari o giudici di pace, funzionari della pubblica 
amministrazione, ecc.). 
Perch� un simile istituto abbia successo e possa incidere sui grandi numeri 
che affliggono la giustizia civile, occorre per� prevedere: 
a) in primo luogo, che il tentativo di conciliazione sia effettuato da un 
collegio di conciliazione costituito dal terzo imparziale che lo presiede e da 
due rappresentanti delle parti (che ben potrebbero essere gli stessi difensori) 
appositamente designati dalle parti stesse; 
b) in secondo luogo: che la richiesta del tentativo di conciliazione debba 
contenere, a pena di inammissibilit�, l�esposizione sommaria dei termini della 
controversia, dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa; che 
debba essere preventivamente comunicata alla controparte e che questa debba 
depositare osservazioni scritte tramite le quali prendere posizione specifica 
sui fatti posti dall�istante a fondamento della sua pretesa; allo scopo di rendere 
effettiva questa presa di posizione specifica si potrebbe sanzionare la sua mancanza 
con il valore di ammissione legale (ficta confessio) dei fatti posti dall�istante 
a fondamento della sua richiesta, ammissione legale che avrebbe 
per� valore solo nella fase cd. precontenziosa; 
c) in terzo luogo, che davanti al collegio di conciliazione debbano comparire 
personalmente le parti per essere interrogate liberamente; 
(78) A. PROTO PISANI, Per un nuovo titolo esecutivo di formazione stragiudiziale, in Foro It., 
2003, V, c. 117 ss.; ID., Verso la residualit� del processo a cognizione piena?, in Foro it., 2006, V, c. 53 
ss.; ID., Per un nuovo codice di procedura civile, citato, cc. 103-104 ove vi � una proposta di articolato 
normativo nei punti da 6.1 a 6.7.
DOTTRINA 221 
d) in quarto luogo, che in caso di mancato accordo il collegio di conciliazione, 
anzich� limitarsi a formulare una proposta per la bonaria composizione 
della controversia, una volta fallita anche quest�ultima possibilit� di 
accordo, debba redigere un verbale contenente tale accertamento, ove sia nel 
senso di accoglimento dell�istanza, abbia ex lege valore a tutti gli effetti di titolo 
esecutivo stragiudiziale, senza determinare per� preclusione alcuna nel 
futuro eventuale processo a cognizione piena instaurato. Si tratterebbe, nella 
sostanza, in ipotesi di accoglimento dell�istanza, di creare una nuova ipotesi 
di titolo esecutivo di formazione stragiudiziale alla stessa stregua di quanto 
ad es. effettuato dall�art. 18 L. 689/81 riguardo all�ordinanza irrogatrice della 
sanzione amministrativa. Vi � di pi�. Con un poco di immaginazione si potrebbe 
pensare che l�accertamento allo stato degli atti sia idoneo a costituire 
non solo ex lege titolo esecutivo di formazione stragiudiziale, ove sia nel senso 
di accoglimento dell�istanza, ma, indipendentemente dal se l�accertamento 
sia positivo o negativo, sia anche destinato a divenire immutabile ove nessuna 
delle parti instauri un processo a cognizione piena di primo grado entro un 
determinato termine perentorio. Anche qui il regime dell�ordinanza irrogatrice 
della sanzione amministrativa sta ad indicare quanto meno la possibilit� di 
una tale scelta �(79). 
La proposta, condivisibile nell�impianto, richiede delle puntualizzazioni 
ed integrazioni. Andrebbe, in primo luogo, previsto un limite di valore fino al 
quale � praticabile il tentativo di cui si discute. 
Appare infatti apprezzamento prudente di comune esperienza evitare che 
titoli esecutivi per liti di rilevante valore vengano formati in via stragiudiziale. 
Sotto convergente profilo dovrebbe inoltre prevedersi il massimo rigore 
formale a presidio della formazione del titolo esecutivo stragiudiziario con 
previsione che il titolo debba essere notificato a norma degli artt. 137 e ss. 
c.p.c., esclusa la notificazione al domicilio eletto e che dalla data di notifica 
decorra un termine dilatorio congruo � ad esempio non inferiore a 120 gg. � 
per contestare dinanzi all�A.G.O. l�ingiunzione. Sar� opportuno prevedere che 
l�opposizione sospenda ex lege l�efficacia esecutiva del titolo stragiudiziale 
nonch� una pena pecuniaria � a carico dell�opponente che risulta integralmente 
soccombente nel giudizio � in rapporto percentuale al valore della condanna. 
La prospettata opzione appare un equo bilanciamento degli interessi in 
conflitto. Da un lato l�istante ottiene un titolo esecutivo immediatamente azionabile 
in caso di mancata opposizione e la previsione della pena pecuniaria 
scoraggia la promozione di opposizioni palesemente infondate e, dall�altro, la 
previsione della sospensione ex lege dell�esecutivit� del titolo pone al riparo 
l�opponente non pretestuoso da pregiudizi per un�esecuzione ingiusta. 
(79) A. PROTO PISANi, Verso la residualit� del processo a cognizione piena?, cit., cc. 54-55.
222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Infine, per ragioni che saranno illustrate di seguito, andrebbe espunta l�efficacia 
di ficta confessio alla condotta di inerzia dei partecipanti al procedimento. 
e) Arbitrato facoltativo (artt. 806-840 c.p.c.) 
L�esperienza insegna che tale meccanismo ha contribuito solo in modo 
molto limitato a realizzare un effetto deflattivo. Il ricorso a tale istituto � stato 
pressoch� circoscritto a liti tra parti cd. forti (P.A., imprese), mentre alcun seguito 
ha avuto negli altri giudizi e in particolare in quelli seriali in cui vi sono 
per lo pi� contrapposizioni tra parti �ineguali�, ad es. le liti che coinvolgono 
i consumatori. Pertanto la possibilit� di un incremento del ricorso a tale istituto, 
che presuppone la comune volont� delle parti, potrebbe essere ottenuto prevedendo 
delle agevolazioni fiscali in favore delle parti in lite, anche se sembra 
di dover escludere che l�incentivo fiscale sia in grado da solo di conseguire 
l�effetto sperato. All�incentivo fiscale dovrebbe sommarsi un significativo impulso 
delle organizzazioni di categoria. Del resto va rilevata la diffusione � 
ancorch� limitata ovvero nella forme di progetti pilota � di modelli di conciliazione 
ed arbitrato provenienti dagli interessati nel settore dei servizi pubblici 
con il contributo attivo della classe forense (che ha predisposto camere di conciliazione 
presso i consigli dell�ordine); �la stessa avvocatura � al tempo 
stesso concausa efficiente e vittima dello stato di degrado in cui versa l�amministrazione 
della giustizia � sta prendendo atto che la sua funzione professionale 
e sociale si sviluppa (anche) mediante la risoluzione dei conflitti e la 
diffusione della �nuova� conciliazione, a tutto vantaggio logica di servizio di 
cui l�avvocatura deve rendersi interprete, in sede sia istituzionale che sindacale�(
80). 
f ) Arbitrato obbligatorio 
L�arbitrato obbligatorio �, a costituzione invariata, inammissibile. Vi osta 
il dettato dell�art. 24 della Cost. in virt� del quale �Tutti possono agire in giudizio 
per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi� (81) . 
In proposito in dottrina non si � mancato di evidenziare come: �da tempo 
ripeto che sarebbe auspicabile, per le controversie di tipo seriale, la predisposizione 
di metodi di composizione delle liti con ampio ricorso agli arbitrati 
e alle conciliazioni. Ma, se gli uni e le altre dovessero sfociare in provvedimenti 
di natura decisoria, come riterrei necessario per rendere efficace il ricorso 
a tali strumenti, sarebbe difficile evitare il giudizio di incostituzionalit� 
(80) Cos� B. CAPPONI, cit., c. 233. In ordine alla giustizia stragiudiziale, agli Alternative dispute 
resolution, Methods cd. ADR, brevi sintesi sono contenute, oltrech� nell�or citato scritto di CAPPONI, 
anche in G. CARRIERO, Crisi del processo civile e giustizia stragiudiziale: l�<<ambudsman>> bancario, 
in Foro It. 2002, V, c. 249 ss. e in R. CAPONI, La conciliazione stragiudiziale con metodo di ADR (<<Alternative 
dispute resolution>>), in Foro It. 2003, V, cc. 165 ss. 
(81) Sull�incostituzionalit� dell�arbitrato obbligatorio: Corte Costituzionale, sentenza 27 dicembre 
1991 n. 488.
DOTTRINA 223 
per contrasto con l�art. 102 Cost., che pone divieto alla introduzione di giudici 
speciali... Ritengo che su queste garanzia occorra fare una riflessione. Le posizioni 
intransigenti sono le pi� facili da argomentare. Ma la stagione della 
intransigenza, nel campo giudiziario, � alle nostre spalle. Si � ormai aperta 
la stagione delle compatibilit�, per cui il meglio non sta nella soluzione in 
astratto pi� conforme ai nostri ideali, ma nella soluzione capace di offrire i 
risultati migliori nella situazione storica nella quale ci troviamo ad operare�(
82). 
All�uopo sarebbe necessaria una modifica della Costituzione che consenta, 
specie per le cause cd. bagatellari, la previsione dell�arbitrato obbligatorio 
nel primo grado di giudizio. L�ordinamento potrebbe intervenire altres� 
con la disciplina di esperti (iscritti in un apposito albo presso ogni Tribunale) 
designabili come arbitri. 
Misura concorrente potrebbe essere quella, previo adeguamento dell�art. 
24 della Costituzione, di consentire il diritto di agire in sede giudiziaria solo 
per le liti non bagatellari (con un�eccezione che si illustrer�), con un valore 
superiore ad un minimo da determinarsi; ci� nell�evidente obiettivo di evitare 
che qualsivoglia pretesa giunga nelle aule di giustizia. 
Un ordinamento giuridico in grado di far fronte a qualsiasi istanza di giustizia 
pu� permettersi che tutti possano agire in giudizio per portarvi tutte le 
possibili istanze. Un tale ordinamento per� probabilmente non esiste e sicuramente 
non � attualmente vigente nel nostro Paese. Il consentire tutto a tutti 
conduce a quello che attualmente vi � in Italia: sensibile e sostanziale diniego 
di giustizia per tutte le cause. Difatti decidere qualsiasi controversia in un 
tempo irragionevole anche se non implica un formale diniego di giustizia, sicuramente 
compromette in modo eccessivo il diritto alla tutela giurisdizionale. 
Sicch� misura razionale � quella del diniego di giustizia per le liti di 
scarso valore. Tale misura, inevitabilmente, condurr� gli interessati alla ricerca 
e alla attuazione di necessarie alternative di giustizia. 
Eccezione alla regola del diniego di giustizia per le cause cd. bagatellari 
� quella di consentire - previa autorizzazione dell�A.G.O. in sede di volontaria 
giurisdizione - l�azione in giudizio ove vengano in rilievo questioni di massima 
o aventi notevoli riflessi economici (arg. ex art. 417 bis, comma 2, c.p.c.). 
Per le cause che potremmo definire, convenzionalmente, sottosoglia 
l�azione giudiziaria sarebbe condizionata dalla preventiva autorizzazione 
dell�A.G.O. 
Aumento del numero dei giudici 
Per conseguire un aumento del numero dei giudici, rectius dei giudicanti, 
si potrebbe ricorrere alle seguenti misure: 
(82) Cos� G. VERDE, In favore di un processo normale, in Foro It. 2002, V, c. 57.
224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
� Aumento del numero dei giudici togati 
Tale misura ovvia ed evidente sconta tuttavia diversi ostacoli (83). In 
prima analisi, concreti limiti di bilancio. L�aumento del numero dei giudici 
implica inoltre l�aumento del personale ausiliario, delle infrastrutture, di mezzi 
e quindi � in definitiva � aumento notevole dei costi del servizio giustizia. 
Anche di recente l�orientamento politico-legislativo non � mai dimostrato concretamente 
propenso a prevedere un aumento dei costi della giustizia. Viene, 
tra l�altro, al riguardo opposto il rilievo che negli altri Paesi europei il numero 
dei giudici in relazione alla popolazione � grosso modo corrispondente a quello 
italiano. Tuttavia non sembrano questi motivi plausibili per sottrarsi all�investimento 
nel settore della giustizia auspicandosi quantomeno, a ruoli invariati, 
un abbassamento dell�et� pensionabile del personale togato tenuto conto anche 
che l�attuazione e la concreta efficacia dell�incombente processo telematico 
passa anche per un ricambio generazionale. 
� Aumento del numero dei giudici non togati 
Tale aumento dovrebbe riguardare tanto il numero dei Giudici di Pace 
(attualmente di 4.700), quanto il numero dei giudici onorari addetti agli organi 
giurisdizionali togati (ad es. i Giudici onorari di tribunale disciplinati negli 
artt. 42 bis, 42 ter, 42 quater, 42 quinquies, 42 sexies, 42 septies, 43 bis del 
R.D. 30 gennaio 1941 n. 12). Tale misura implica, intuitivamente, costi minori 
rispetto all�aumento dei giudici togati. Il carattere temporaneo che pu� essere 
impresso alla stessa consente inoltre di adeguare costantemente il �ruolo� dei 
giudici �non togati� in modo elastico rispetto alle esigenze di bilancio. 
Unificazione delle giurisdizioni 
Attualmente accanto alla giurisdizione ordinaria vi sono numerose giurisdizioni 
speciali. In specie: 
a) giurisdizione amministrativa, affidata a giudici speciali ai quali la legge 
attribuisce, in via generale, la cognizione degli interessi legittimi e, in determinati 
casi, la cognizione anche dei diritti soggettivi nelle controversie la cui 
particolarit� sta nel fatto che la tutela � chiesta nei confronti della P.A. Tale 
giurisdizione � esercitata da vari giudici: 
1. Giudici ordinari amministrativi (TAR, Consiglio di Stato); 
2. Giudici speciali amministrativi, quali il Tribunale Superiore delle 
Acque pubbliche con riguardo all�impugnazione di atti amministrativi in materia 
di acque pubbliche (R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775, art. 143); 
b) giurisdizione contabile (Corte dei conti), in materia di contabilit� pubblica, 
comprensiva dei giudizi di conto e di responsabilit� amministrativa e contabile; 
(83) Si evidenzia in A. PROTO PISANI, Attualit� e prospettive per il processo civile, in Foro It. 
2002, V, c. 5: �Un aumento dei magistrati professionali � auspicabile, ma sarebbe illusorio pensare che 
si tratti di un traguardo risolutivo e raggiungibile in tempi brevi�.
DOTTRINA 225 
c) giurisdizione tributaria (Commissione tributaria provinciale - Commissione 
tributaria regionale); 
d) altre giurisdizioni speciali con cognizione sui diritti soggettivi, quali: 
Commissari Regionali liquidatori degli usi civici ai quali l�art. 29, comma 2, 
L. 16 giugno 1927 n. 1766 attribuisce giurisdizione in materia di controversie 
di usi civici. 
Al fine di una razionale ed efficiente amministrazione della giustizia civile 
potrebbe stabilirsi - con le opportune modifiche costituzionali - l�unificazione 
di tutte le giurisdizioni speciali a quella ordinaria con la previsione, in 
via esclusiva, di un�unica giurisdizione, ossia di �magistrati ordinari istituiti 
e regolati dalle norme sull�ordinamento giudiziario� (art. 102, comma 1, Cost.). 
Con tale modifica si opererebbe un razionale ed ottimale utilizzo di mezzi 
per il corretto funzionamento della giurisdizione eliminando duplicazioni e 
questioni pregiudiziali che rallentano il corso della giustizia. In misura non 
trascurabile sovente il procedimento dinanzi alla giurisdizione ordinaria si definisce, 
dopo alcuni anni, con la pronuncia di carenza di giurisdizione a favore 
di un giudice speciale e viceversa. 
Con l�unificazione delle giurisdizioni troverebbero soluzione anche diverse 
aporie collegate alle giurisdizioni speciali. 
In specie: 
a) con l�eliminazione della giurisdizione speciale attribuita alla Corte dei 
Conti e al Consiglio di Stato si garantirebbe il ricorso in Cassazione per violazione 
di legge nelle liti attribuite a questi giudici attualmente ammesso avverso 
le sentenze pronunciate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, 
ma escluso (ad eccezione dei motivi inerenti la giurisdizione) avverso le decisioni 
della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato; 
b) con l�eliminazione della giurisdizione attribuita alla Corte dei Conti e 
al Consiglio di Stato si porrebbe fine ai dubbi sulla imparzialit� ed indipendenza 
di questi organi. 
Dubbi costituenti la conseguenza delle modalit� di nomina politica (ad 
opera del Governo e in pi�, come accade per la Corte dei Conti, ad opera del 
Consiglio regionale e del Consiglio delle autonomie locali) di una significativa 
aliquota dei componenti ed altres� - per il Consiglio di Stato - dell�esercizio 
anche di funzione consultiva e della circostanza che numerosi componenti rivestono 
incarichi extragiudiziari presso i Ministeri (capo di gabinetto, capo 
dell�ufficio legislativo, etc.) (84). La ratio della specificit� che giustifica le 
(84) Dubbi chiaramente evidenziati da G. SCARSELLI, La terziet� e l�indipendenza dei giudici del 
Consiglio di Stato, in Foro It., 2001, III, cc. 269-273, in ordine ai quali si � avuta la replica di C. CALABR�, 
A proposito di indipendenza del Consiglio di Stato, in Foro It., 2001, III, cc. 555-556, con successiva 
controreplica di R. ROMBOLI, A. PROTO PISANI, G. SCARSELLI, Ancora sull�indipendenza dei giudici del 
Consiglio di Stato, in Foro It., 2001, III, cc. 556-558.
226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
giurisdizioni speciali, costituita dalla creazione di un organo particolarmente 
versato e preparato sulla materia da giudicare, potr� essere agevolmente garantita 
con la creazione di sezioni specializzate per determinate materie istituite 
presso gli organi giudiziari ordinari (in aderenza a quanto previsto nell�art. 
102, comma 2, Cost.)(85). 
Del resto il problema della unit� o meno delle giurisdizioni dipende anche 
da scelte di politica del diritto. Nei Paesi di civil law �, difatti, dato constatare 
una pluralit� di giurisdizioni; in quelli di common law, invece, � �sostanzialmente 
realizzato il principio dell�unit� delle giurisdizioni�(86). 
L�unificazione delle giurisdizioni dovrebbe arrecare anche un sensibile 
contributo ad abbreviare i tempi del processo. � noto che la durata dei processi 
dinanzi ai TAR e alla Corte dei Conti � eccessiva ed � vieppi� superiore a 
quella dei processi svolgentisi dinanzi ai giudici ordinari e si evidenzia che 
�da anni il numero dei ricorsi sopravvenuti dinanzi ai tribunali amministrativi 
regionali supera di oltre il dieci - venti per cento il numero dei ricorsi esauriti 
fino a giungere nel dicembre 1999 alla pendenza di circa 900.000 ricorsi a 
fronte degli 83.000 sopravvenuti e dei 57.000 definiti. Sempre nel 1999, 281 
giudici del TAR hanno esaurito (non deciso) 57.000 ricorsi, cio� 204 ricorsi 
ciascuno a fronte della capacit� dei 2.200 giudici di merito togati ordinari di 
esaurire 1.030.000 processi, con 408 processi ciascuno�(87). Non � un caso 
che il gran numero delle cause attivate dinanzi alla Corte di Appello mirante 
a conseguire l�indennit� ex cd. Legge Pinto trae genesi da ricorsi attivati e non 
decisi in tempi congrui dai TAR: tale situazione � gravissima e determina un 
notevole �esodo� di risorse pubbliche. 
Peraltro l�evoluzione legislativa delle giurisdizioni speciali, come testimoniato 
da ultimo dall�introduzione del c.d. nuovo processo amministrativo 
(D.Lvo 2 luglio 2010, n. 104) e lo stesso istituto della translatio hanno scolorito 
le ragioni storiche giustificative dell�esistenza di peculiari giudici speciali. 
Tale evoluzione ha comportato - da un lato - l�attribuzione al giudice speciale 
di strumenti istruttori e cognitori un tempo propri del solo giudice ordinario. 
Emblematico � in tal senso il giudizio pensionistico dinanzi alla Corte 
dei Conti omogeneizzato al rito lavoro dinanzi al giudice ordinario, in virt� 
dell�art. 5 comma 2 L. 21 luglio 2000 n. 205 secondo il quale �Innanzi al giudice 
unico delle pensioni si applicano gli articoli 420, 421, 429, 430 e 431 del 
codice di procedura civile�. 
La descritta evoluzione - dall�altro lato - ha determinato l�espansione 
(85) Sulla perdita di giustificazione della giurisdizione speciale amministrativa, specie in seguito 
alla novella contenuta nel D. Lgs. 80/98 e nella L. 205/00, e sulla necessit� dell�introduzione di una giurisdizione 
unica, si veda A. PROTO PISANI, Verso il superamento della giurisdizione amministrativa?, in 
Foro It., 2001, V, cc. 21-29, spec. cc. 26-27. 
(86) A. PIZZORUSSO, Corso di diritto comparato, 1983, Giuffr� ed., Milano, p. 177. 
(87) Cos� A. PROTO PISANI, Verso il superamento della giurisdizione amministrativa?, cit., c. 27.
DOTTRINA 227 
dell�ambito in cui viene riconosciuta al giudice speciale la giurisdizione su 
�diritti�, tendendosi alla attribuzione a quest�ultimo di �blocchi� di materie. 
I dati ora delineati convergono nel senso di rendere concepibile la prospettata 
misura di unificazione delle giurisdizioni, che solo trenta anni or sono 
sarebbe stata bollata come meramente provocatoria . 
N� pu� dimenticarsi che per effetto del T.U. 1775/1933 opera da tempo 
una Autorit� Giudiziaria che riassume in s� la qualit� di giudice dei diritti e 
degli interessi. Ed infatti il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sedente 
in Roma - oltre a costituire giudice di secondo grado per le sentenze 
emesse dai Tribunali Regionali delle Acque - � investito della giurisdizione 
in unico grado per i ricorsi con i quali si deduce la illegittimit� dei provvedimenti 
concernenti la utilizzazione delle acque (con competenza di legittimit� 
e di merito) e con applicazione degli �istituti tipici del processo 
civile�(88). 
Proprio partendo dalla trasversalit� dei principi che devono presidiare il 
processo in quanto tale (a prescindere cio� se abbia ad oggetto diritti od interessi), 
il Tribunale Superiore della Acque � giunto a ritenere - ribaltando la 
propria monolitica giurisprudenza - che avverso il diniego della misura cautelare 
� ammissibile il reclamo al collegio in applicazione dell�art. 669 terdecies 
c.p.c. (89). 
Limitare il numero degli avvocati 
Tra le cause dell�aumento del contenzioso viene di consuento anche annoverato 
l�eccessivo numero degli avvocati esistenti in Italia �in Italia abbiamo 
pi� di 230 mila iscritti all�albo degli avvocati, un numero che non ha 
paragoni in alcun paese europeo e cresce ogni anno di circa 15 mila nuovi 
praticanti� (90). Nel 2008 in Spagna vi erano 154.953 avvocati, in Gran Bretagna 
ve ne erano 139.789, in Francia ve ne erano 47.765 e in Germania ve ne 
erano 146.910 (91). 
La distribuzione geografica del numero degli avvocati non � uniforme 
sull�intero territorio nazionale. La maggiore densit� � data rinvenirla nel Meridione 
d�Italia. Non a caso quindi le statistiche giudiziarie registrano una maggiore 
percentuale del contenzioso diffuso nel Sud. Si � evidenziato in un 
recente, attento, studio che �un ruolo importante nella distribuzione del carico 
di lavoro � svolto dalla Regione Campania, dove, per truffe legate alle assi- 
(88) P. VIRGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della P.A., Giuffre ed., Milano, 2003, p. 300, 
osserva come �poich� tuttavia il rito speciale innanzi al Tribunale Superiore delle Acque comporta l�applicazione 
degli istituti tipici del processo civile, le norme del T.U. del Consiglio di Stato debbono essere 
necessariamente integrate dalle norme del codice di procedura civile�. 
(89) T.S.A.P., 28 maggio 2001, in Foro it., 2002, III, c. 462. 
(90) Cos� G. ALPA, S.O.S avvocati su L�Espresso n. 16 del 22 aprile 2010 p. 49. 
(91) Dati riportati su L�Espresso, cit., p. 49.
228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
curazioni e modalit� di gestione e moltiplicazioni delle cause a scopi economici 
da parte di alcuni giudici, i dati sulla litigiosit� appaiono abnormi. Si 
pensi che da quella Regione, nel 2003, sono arrivati il 30% dei procedimenti 
ordinari iscritti davanti al giudice di pace, mentre la popolazione � pari all�8% 
del totale nazionale�(92). Dalle statistiche ISTAT in tema di �Procedimenti di 
cognizione ordinaria sopravvenuti presso l�ufficio del giudice di pace per tipo 
di procedimento� per l�anno 2007 � dato evincere che nelle regioni del Nord 
Italia il numero delle cause di risarcimento danni per circolazione dei veicoli 
e natanti � costantemente inferiore al numero delle cause relative a beni mobili 
fino a 2.582,28 euro. Nelle regioni del Sud Italia (ad eccezione della Basilicata) 
il rapporto � invece rovesciato con un numero di cause per incidenti stradali 
pari al triplo (es. Puglia e Sicilia) o oltre il quadruplo (es. Campania) delle 
cause relative ai beni mobili. Nel 2007 in Campania sono sopravvenute 24.762 
cause relative a beni mobili e 121.554 cause relative ad incidenti stradali, tenendo 
conto che il numero totale in Italia delle cause relative ad incidenti stradali 
� stato, nel 2007, di 252.577. Tale trend, in Campania � stato ancora pi� 
accentuato (ad eccezione dell�anno 2004) nel periodo 2000-2006. 
Tale fenomeno al Sud Italia ha un�aggravante. L�attivit� dell�avvocato al 
Sud appare privilegiare la via giudiziaria rispetto a quella stragiudiziaria (consulenze, 
conciliazioni, transazioni, etc.). La predilezione per la via giudiziaria 
comporta, quale intuibile corollario, la frammentazione di cause seriali bagatellari 
e la moltiplicazione delle procedure esecutive (conseguita la condanna 
della controparte e la distrazione delle spese si attivano due procedure esecutive: 
una per la sorta capitale, l�altra per le spese di giudizio). L�eccessivo numero 
di avvocati ha determinato quindi uno svilimento della professione liberale. Rimedio 
alla riduzione del numero degli avvocati non � il numero chiuso (peraltro 
presente in altre professioni liberali, ad esempio, nella professione medica), in 
quanto ci� contrasterebbe con il diritto al lavoro costituzionalmente garantito 
e con il precetto comunitario della libert� di circolazione dei servizi. 
In tale contesto sembra rimedio praticabile una adeguata selezione e una 
formazione obbligatoria e continua della classe professionale. Tale risultato 
non pu� conseguirsi con il mero inasprimento degli esami di abilitazione (gi� 
rigorosi se confrontati a quelli previsti per altri ordini professionali). 
In tal senso � necessario incidere significativamente a monte sia orientando 
i corsi di laurea in funzione della preparazione per la professione forense 
sia modificando l�accesso all�abilitazione prevedendo, quale requisito di partecipazione 
alla prova abilitante, l�aver superato individuati esami universitari 
quantomeno con la media di 25/30 (cos� come dovrebbe avvenire per la partecipazione 
al concorso in magistratura ed ad altri equivalenti) e la partecipa- 
(92) Cos�, O. VIDONI GUIDONI, Quale giustizia�, cit., p. 108.
DOTTRINA 229 
zione con profitto a Scuole autorizzate (universitarie e non) per la formazione 
dei laureati in giurisprudenza alle professioni legali. Lo studente in tal modo 
sarebbe consapevole che l�impegno profuso nel corso di laurea costituisce ineludibile 
presupposto per il suo futuro professionale. Consapevolezza che oggi 
� assolutamente latitante in quanto gli studenti rinviano al post-laurea la verifica 
della propria disponibilit� alla professione. 
Potrebbe in tale prospettiva prevedersi un corso di laurea quinquennale 
mirato all�esercizio dell�attivit� forense che, dopo uno studio istituzionale, 
nella seconda parte del corso abbia un taglio teorico-pratico, forense. 
Atteso l�attuale fase di profonda evoluzione sociale in un quadro di economia 
globale e di �europeizzazione� del diritto appare inoltre necessaria una 
formazione permanente degli addetti ai lavori, con l�obbligo di frequentare 
corsi di aggiornamento per tutta la carriera. 
Controllo sulla produttivit� dell�attivit� dei magistrati 
La magistratura costituisce �un ordine autonomo e indipendente da ogni 
potere� (art. 104 Cost.). Nel rispetto delle predette guarentigie costituzionali, 
ciascun magistrato, quale pubblico impiegato, deve esercitare la propria funzione 
in modo tale da assicurare definiti (rectius: definibili) standard di efficienza. 
La preminente ed assoluta esigenza di tutela della indipendenza e 
l�autonomia dei giudici rende non agevole l�elaborazione di criteri di valutazione 
oggettivi alla luce dei quali verificare la diligenza professionale profusa 
dal singolo e valutabile in termini di laboriosit�. 
Allo stato non vi � omogeneit� nel modo di svolgimento dell�attivit� giurisdizionale. 
� necessario quindi che sia conseguita una produttivit� omogenea 
e adeguata. Con la L. 30 luglio 2007 n. 111 (cd. Riforma Mastella) � stato previsto 
che i magistrati sono sottoposti a valutazioni di professionalit� ogni quattro 
anni, valutazione che si fa verificando la capacit�, la laboriosit�, la 
diligenza e l�impegno; la valutazione � riservata al C.S.M. sulla base del parere 
espresso dal consiglio giudiziario e della relativa documentazione, nonch� 
sulla base dei risultati delle ispezioni ordinarie. Il C.S.M. pu� anche assumere 
ulteriori elementi di conoscenza. 
Si dovr� attendere l�applicazione della legge sul punto onde verificare se 
l�esercizio del potere di valutazione verr� effettuato in modo efficace. All�uopo 
si � evidenziato che �la riforma Mastella ha� il pregio di riaffermare il valore 
insopprimibile dell�indipendenza della magistratura da ogni altro potere dello 
Stato, ma anche il difetto di escludere, o fortemente limitare, ogni possibilit� 
di controllo esterno dell�operato dei giudici� (93) da parte di organi non facenti 
parte dell�organizzazione giudiziaria. 
(93) Cos� G. SCARSELLI, voce �Ordinamento giudiziario (Dir. proc. civ)�, in Il diritto. Enciclopedia 
giuridica, Corriere della sera, Il sole 24Ore, Milano, 2007, vol. X, pp. 442-443.
230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
8. Proposte di modifiche procedimentali 
Verranno ora illustrate le proposte di modifiche del procedimento giurisdizionale 
e dei soggetti che intervengono nello stesso, individuati quali mezzi 
per garantire le giusta durata del processo nel rispetto degli altri principi costituzionali 
ricordati nel paragrafo primo. Nell�illustrare le modifiche si seguir� 
- per la prima parte - la sistematica dell�attuale codice di procedura civile. 
8.1. Primo libro del c.p.c. (artt. 1-162) 
� Abrogazione del regolamento di giurisdizione e competenza 
Con tali strumenti viene adita in via immediata la Corte di Cassazione 
perch� dia la parola ultima su dubbi in tema di giurisdizione e competenza. 
Nell�attuale momento storico la Corte di Cassazione � gi� gravata - come noto 
- da un ampio contenzioso. Con l�eliminazione dei regolamenti si darebbe un 
seppur modesto contributo deflattivo del carico di lavoro della Suprema Corte. 
Nella relazione del disegno di legge Mastella sulla riforma della giustizia civile 
del 2007 si legge che l�abolizione del regolamento di competenza esperibile 
ad istanza di parte comporta una riduzione del carico di lavoro complessivo 
della Corte di Cassazione stimato nella misura pari al 10% circa del totale. 
Del resto autorevole dottrina ha evidenziato come il regolamento di giurisdizione 
sia �un istituto ontologicamente facoltativo, del quale le parti non 
hanno alcunissimo bisogno� (94), e come il regolamento di competenza sia 
un altro strumento inessenziale perch� �quello necessario pu� ben essere sostituito 
dall�appello e dal ricorso ordinario, che non producono alcuna sospensione; 
quello facoltativo � gi� per definizione non necessario�(95) . 
� Applicazione del principio di soccombenza, senza eccezioni, nel governo 
delle spese di lite coniugata � come si illustrer� in seguito � con la 
previsione obbligatoria del preavviso dell�atto introduttivo del giudizio, 
avente contenuto di atto di costituzione in mora; riduzione delle esenzioni 
nel pagamento del contributo unificato di iscrizione a ruolo 
L�applicazione del principio di soccombenza - quale strumento finalizzato 
a conseguire un effetto deflattivo del contenzioso - conduce, ora, all�esame 
del rapporto con la previsione codicistica della compensazione delle spese per 
�gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione� ex 
art. 92 comma 2 c.p.c., come novellato con la legge n. 69/09. La previsione 
originaria prevedeva la compensazione concorrendo �giusti motivi�. 
(94) Cos� F. CIPRIANI, Nuovi presidenti e vecchi problemi della Corte di Cassazione, in Foro it. 
1999, I, c. 1874. 
(95) Cos� F. CIPRIANI, op. ult. cit., c. 1875. Analogamente, e in sintesi, per la proposta di abrogazione 
dei due istituiti, cfr.: F. CIPRIANI, M. G. CIVININI, A. PROTO PISANI, Una strategia per la giustizia 
civile nella XIV legislatura, cit., c. 83; e ancora F. CIPRIANI, Per un nuovo processo civile, in Foro it. 
DOTTRINA 231 
Gli osservatori hanno evidenziato che, nella sostanza, la novella non modifica 
significativamente l�ambito della previsione originaria (96). 
Per realizzare un concreto effetto modificativo del regime della compensazione 
- orientato nel senso dell�applicazione del principio di soccombenza, 
senza eccezioni, nel governo delle spese di lite - sembra sufficiente procedere 
all�abrogazione dell�inciso �o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, 
esplicitamente indicate nella motivazione� contenuto nell�art. 92, comma 2, 
c.p.c. e dell�art. 152 d.a.c.p.c. ad eccezione dell�ultimo periodo aggiunto ex l. 
n. 69/09. 
Come correttamente rilevato in dottrina (97), non vi sono vincoli costituzionali, 
ma solo scelte politiche in ordine alla sopportazione definitiva del carico 
delle spese di lite. Nella Relazione ministeriale sul primo libro del progetto 
di Codice di procedura civile, presentato il 26 novembre 1863, al punto 298, 
si evidenzia altres� che �un principio di ragion naturale proclama che la parte 
soccombente debba essere condannata alle spese del giudizio� (98). L�attuale 
previsione della possibilit� del giudice di disporre la compensazione delle 
spese di lite ricorrendo �gravi ed eccezionali ragioni� pu� venire incontro a 
persuasive ragioni per derogare al principio della soccombenza (ragioni costituite 
dalla obiettiva opinabilit� ed incertezza della normativa regolante la 
materia, dalla novit� o particolarit� delle questioni, dalla condizione sociale 
delle parti in lite, etc.). Tuttavia tale possibilit� pu� allentare - ed ha allentato 
nella prassi - i freni inibitori, la adeguata ponderazione del caso ad opera dell�attore. 
La circostanza che il giudice - al lume dei costanti orientamenti giurisprudenziali 
- possa disporre la compensazione delle spese in caso di rigetto 
della domanda, ancorch� essa potesse ritenersi ab inizio di dubbia fondatezza 
costituisce un sicuro incentivo ad agire in giudizio. 
L�eccessivo ricorso alla compensazione delle spese ha finito inevitabilmente 
per costituire incentivo alla litigiosit� e spesso odiosa punizione per la 
parte vittoriosa. 
Nel processo previdenziale vi � un esonero (di recente temperato dalla 
circostanza che l�esenzione � collegata al possesso di un reddito inferiore a un 
certo ammontare) dalla condanna alle spese di lite nel caso di soccombenza, 
che �diventa motivo di abuso del processo�(99). Nell�attuale momento storico 
della giustizia civile caratterizzata da una eccessiva durata del processo e dalla 
(96) G. SCARSELLI, Le novit� del processo civile (l.18 giugno 2009) � III Le modifiche in tema di 
spese in Foro It. 2009, V, c. 262. 
(97) MANDRIOLI C., Diritto processuale civile, XIX ed., Giappichelli Ed., Torino, 2007, vol. I, pp. 
357-359. 
(98) Codice di procedura civile del Regno d�Italia 1865, in N. PICARDI e A. GIULIANi, Testi e documetni 
per la storia del processo, Giuffr� ed., Milano, 2004, p. 152. 
(99) Cos�, IANNIRUBERTO G., Contenzioso previdenziale e ruolo della giurisdizione, in Foro it. 
2001, V, c. 100.
232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
piaga dei processi cd. bagatellari, il principio della compensazione per gravi 
ed eccezionali ragioni � un istituto che l�ordinamento giuridico non pu� permettersi. 
Un�applicazione meccanica del principio di soccombenza determinerebbe 
una adeguata igiene sociale, come osservato da Francesco Carnelutti 
(100) il quale evidenziava che la soluzione tendenzialmente accolta nel nostro 
ordinamento giuridico in ordine al governo delle spese processuali � quello 
della causa che rende necessario il servizio, ossia la spesa deve essere sopportata 
non dalle parti in genere, ma da una di queste, cio� dalla parte che con il 
suo contegno ha dato causa al processo. Tale soluzione, secondo l�illustre Autore, 
�corrisponde insieme a un principio di giustizia distributiva e a un principio 
di igiene sociale: da un lato � giusto che chi ha reso necessario il servizio 
ne sopporti il carico; dall�altro � opportuno perch� la previsione di questo 
carico reagisce nel suo contegno nel senso di renderlo pi� cauto. Cos� la responsabilit� 
della parte, che ha dato causa al processo, per le spese mostra 
fin da ora quella funzione di controstimolo dell�azione, per cui essa rientra 
nell�ampia nozione del rischio processuale� (101). L�interessato, prima di instaurare 
un�azione giudiziaria, dovr� ponderare adeguatamente i pro e i contro, 
mettendo in conto che ove risultasse soccombente nella instauranda lite dovr� 
pagare oltre che il proprio avvocato, anche le spese di giudizio e il compenso 
dell�avvocato della controparte: �La regola della soccombenza impone attenta 
riflessione a colui che intende promuovere un processo, perch� deve calcolare 
la probabilit� di successo. Il rischio di essere responsabile per le spese scoraggia 
molte persone che non hanno reale probabilit� di successo�(102). Si 
� consapevoli che tale soluzione potrebbe non risultare conforme, a volte, alla 
giustizia del caso concreto. Tuttavia, nella materia, occorre ponderare costi e 
benefici della attuale regola della compensazione delle spese. I benefici sono 
costituiti dalla maggiore capacit� di adattamento al caso concreto; i costi sono 
formati dalla incentivazione del contenzioso in giudizio anche grazie alla tendenza 
dei giudici a compensare per determinate ragioni con motivazioni talora 
anodine anche in cause dove non vi sarebbe nessuna ragione per compensare 
le spese di lite. Pur nella consapevolezza che la Corte costituzionale (103), 
chiamata a giudicare sulla novella dell�art. 152 d.a.c.p.c. (che aveva eliminato 
(100) Citato da ANDRIOLI V., Diritto processuale civile, Jovene editore, 1979, vol. I, p. 422. 
(101) Op. loc. ult. cit. 
(102) Cos� U. JACOBSSON, La giustizia civile nei Paesi comunitari, vol. II, p. 120, a proposito del 
processo civile in Svezia, dove vige il principio �tutto o niente� ossia che le spese seguono la soccombenza.
(103) Sentenza del 13 aprile 1994 n. 134, in Foro it. 1994, I, c.1303 e ss., enunciante: �� illegittimo, 
per violazione degli artt. 3, 24 e 38 Cost., l�art. 4, 2� comma, D.L. 19/09/1992 n. 384, convertito, 
con modificazioni, in L. 14/11/1992 n. 438, perch� indifferenziatamente (senza tener conto della speciale 
esigenza di tutela dei non abbienti) abroga la disciplina dell�esonero del lavoratore soccombente dal 
pagamento delle spese nel processo previdenziale, quale prevista dagli artt. 152 disp. Att. C..p. c. e 57 
L. 30/04/1969 n. 153�.
DOTTRINA 233 
il diniego di condanna alle spese di lite nei confronti dell�interessato soccombente) 
ha ritenuto incostituzionale la nuova disciplina, pu� fondatamente ritenersi 
che tale precedente non sia vincolante in quanto la Consulta, nel caso di 
specie, sovrappose due piani da tenere ben distinti: a) quello del carico delle 
spese in ordine al quale � rimesso alle scelte politiche del legislatore graduare 
il peso definitivo; b) quello delle condizioni economiche precarie dell�interessato 
che pu� implicare la concessione del gratuito patrocinio, non l�inammissibilit� 
del carico delle spese in applicazione del principio di soccombenza. 
Anche l�attuale versione dell�art. 152 disp. att. c.p.c. (104) (diretta conseguenza 
delle censure rilevate della Corte costituzionale) sovrappone i due 
piani confondendoli. 
Ove nel concetto costituzionale di patrocinio dei non abbienti ex art. 24, 
comma 3, Cost. voglia inglobarsi anche la sopportazione delle spese di lite nel 
caso di soccombenza, principio armonico � quello di fare rientrare integralmente 
nel patrocinio a spese dello Stato la conseguenza della soccombenza e 
non, invece, prevedere la compensazione delle spese di lite. Una razionale disciplina 
del governo delle spese della lite nelle cause previdenziali � la seguente: 
a) Abrogare l�art. 152 disp. att. c.p.c. ad eccezione � come detto � dell�ultimo 
periodo; 
b) Prevedere l�operativit� del principio di soccombenza in tali cause; 
c) L�interessato che abbia i requisiti di legge pu� essere ammesso al gratuito 
patrocinio il cui ambito riguarda anche la conseguenza della soccombenza 
nel governo delle spese di lite. Il patrocinio a spese dello Stato � 
assicurato nel processo civile al cittadino non abbiente le cui �ragioni risultino 
non manifestamente infondate� (art. 74, comma 2, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 
115). Se il cittadino � non abbiente non pu� permettersi i costi del processo e 
quindi pu� beneficiare del gratuito patrocinio; se non � abbiente il cittadino 
non ha neppure la possibilit� di pagare, in caso di soccombenza in relazione 
(104) Art. 152 �Esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni 
previdenziali. 1. Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte 
soccombente, salvo comunque quanto previsto dall'articolo 96, primo comma, del codice di procedura 
civile, non pu� essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari quando risulti titolare, 
nell'anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante 
dall'ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l'importo del reddito stabilito ai sensi degli articoli 
76, commi da 1 a 3, e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di 
spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della repubblica 30 maggio 2002, n. 115. L'interessato 
che, con riferimento all'anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni 
indicate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni 
dell'atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni 
rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell'anno precedente. Si applicano i commi 2 e 3 dell'articolo 
79 e dell'articolo 88 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della repubblica n. 115 del 
2002. Le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali 
non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio�.
234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
ad una lite valutata ex ante �non manifestamente infondata�, le spese processuali 
alla controparte. � quindi giusto che il gratuito patrocinio copra le conseguenze 
della soccombenza. 
In uno alla applicazione del principio di soccombenza, senza eccezioni, 
nel governo delle spese di lite � opportuno ridurre � per la analoga ratio � le 
ipotesi delle esenzioni nel pagamento del contributo unificato di iscrizione a 
ruolo. Difatti anche l�esenzione dal pagamento delle spese di giustizia � una 
circostanza che non induce a ponderare in modo attento la proposizione della 
lite e quindi non ha funzione deterrente del contenzioso. Solo nei processi ad 
interesse oggettivo - come quelli di volontaria giurisdizione - occorrerebbe 
conservare l�attuale regime di esenzione. 
� Previsione di criteri di redazione della forma-contenuto della sentenza 
di cui all�art. 132 c.p.c. 
� un�osservazione diffusa che una delle ragioni di allungamento dei tempi 
del processo � costituito dalla fase di redazione delle sentenze (105). 
Invero, sul punto, notevoli novit� sono state introdotte dalla l. n. 69/09. 
Il n. 4 dell�art. 132 c.p.c. - disciplinante il contenuto della sentenza - � stato 
sostituito con il precetto �la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto 
della decisione�, con la specificazione che �la motivazione della sentenza� 
consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e 
delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti 
conformi� (art. 118, comma 1 d.a.c.p.c., anch�esso novellato nel 2009) (106). 
E� necessario tuttavia che vengano previsti altres� puntuali criteri, tecniche 
per conseguire una motivazione snella, in modo da ridurre i tempi del procedimento. 
All�uopo almeno due sono le vie percorribili: 
a) utilizzo della tecnica del �considerato che�(107); 
(105) �Chi ha esperienza del lavoro del giudice civile sa che il momento pi� costoso in termini di 
tempo � dato dallo studio della controversia e dalla redazione delle sentenze� cos� in A. PROTO PISANI, 
Attualit� e prospettive per il processo civile, in Foro It. 2002, V, c. 4. 
(106) Peraltro in dottrina si evidenzia che quelle introdotte �siano novit� abbastanza modeste� � 
cos� R. RORDORF, Nuove norme in tema di motivazione della sentenza e di ricorso per cassazione in Riv. 
dir .proc. 2010 p. 136 � rispetto alla disciplina preesistente. 
(107) Secondo la tradizione francese ove le sentenze �sono per lo pi� formulate mediante una 
serie di proposizioni subordinate, introdotte ciascuna dell�espressione <<ATTENDU QUE>> od altra 
analoga, in modo da costruire sintatticamente una frase unica (eccetto il dispositivo)�, cos� A. PIZZORUSSO, 
cit., p. 172. Auspica l�utilizzo di tale tipo di motivazione E. LUPO, Il funzionamento della Cassazione 
civile, in Foro It. 1999, V, c. 202, nel sistema attuale in relazione alla sentenza della Corte di 
Cassazione; l�utilizzo di tale motivazione � definita dall�Autore �a forma contratta�, in alternativa a 
quella tradizionale di tipo discorsivo, dovrebbe essere frutto di una scelta del Collegio giudicante in ordine 
alla decisione di ricorsi che deducono vizi di motivazione (sul giudizio di fatto) e alle decisioni di 
ricorsi che propongono questioni giuridiche sulle quali esistono precedenti della Corte che non vengono 
seriamente messi in discussione e, pertanto, la motivazione pu� limitarsi ad un rinvio ai precedenti (cfr. 
op. ult. cit., c. 203); l�Autore evidenzia, altres�, che grazie soprattutto al diverso stile delle proprie deci-
DOTTRINA 235 
b) potrebbe essere previsto, recependo quanto previsto nel processo civile 
germanico (108), la non necessit� della motivazione se le parti vi hanno rinunciato 
entro un dato termine. � vero che tutti i provvedimenti giurisdizionali 
devono essere motivati (art. 111, comma 6, della Cost.), ma � anche vero che 
la tutela giurisdizionale dei propri diritti � disponibile (art. 24, comma 1, della 
Cost.); orbene, se � disponibile il diritto di azione, a fortiori sar� disponibile 
il diritto alla motivazione del provvedimento che decide sull�azione esercitata. 
� Semplificazione del procedimento notificatorio 
Anche le notifiche possono essere semplificate. Accogliendo il suggerimento 
di un autorevole studioso, �si pu� consentire alle parti le notificazioni 
a mezzo posta senza rivolgersi all�ufficiale giudiziario, come del resto � gi� 
previsto dagli art. 16 e 20 D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, per il processo 
tributario. Altra semplificazione pu� ottenersi consentendo agli avvocati di 
notificare direttamente ad altri avvocati: ma bisognerebbe consentirlo senza 
la sterile diffidenza che � sottesa alla l. 21 gennaio 1994 n. 53, non a caso miseramente 
fallita� (109). Inoltre, andrebbe consentita � nell�ipotesi di notifica 
a mezzo di ufficiale giudiziario � la facolt� di notifica a mezzo del servizio 
postale, da parte di qualunque ufficiale giudiziario, senza distinzione di competenza 
territoriale, sullo stimolo delle proposte (punto 16) del cd. �Progetto 
Tarzia�. 
8.2 Secondo Libro del c.p.c. (artt. 163-447 bis) 
� Preavviso dell�atto introduttivo del giudizio, avente contenuto di atto 
di costituzione in mora 
Al fine di evitare un precipitoso sbocco giudiziario di ogni pretesa e in 
conformit� a principi di correttezza e buona fede, potrebbe rivelarsi utile prevedere 
che colui che intenda agire in giudizio sia tenuto a costituire preventivamente 
in mora la controparte, ossia richieda in via stragiudiziale quanto 
preteso con l�avvertimento che, elasso un termine anche minimo (30 gg.), si 
agir� in via giudiziaria per il conseguimento del dovuto, con aggravio di spese. 
Ovviamente tale misura sarebbe assorbita, ove prevista, in determinate materie 
dal tentativo obbligatorio di conciliazione. Con tale istituto si d�, quindi, valore 
al comportamento pre-processuale delle parti con riguardo alla necessit� della 
lite e si giustifica � in via sistematica � la proposta generalizzata applicazione 
del principio di soccombenza nel governo delle spese di lite. E� evidente, infatti, 
che un debitore, pu� ad esempio non avere adempiuto per semplice disioni, 
la Corte di Cassazione francese, con un numero di magistrati di gran lunga inferiore a quello della 
nostra Corte di Cassazione, ha emanato, nel 1998, 19.815 pronunce, di cui 13.776 sentenze (arrets) e 
6.039 ordinanze, laddove in Italia le sentenze emanate sono state, invece, 12.908 (op. ult. cit., c. 102). 
(108) W. J. HABSCHEID, La giustizia civile nei Paesi comunitari, cit., vol. I, p. 120. 
(109) Cos� F. CIPRIANI, Per un nuovo processo civile, in Foro It. 2001, V, c. 326.
236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
menticanza. In tale evenienza, ricevendo la previa messa in mora, potr� adempiere 
pagando il dovuto. Ove lo stesso debitore, inadempiente, non paghi il 
dovuto, nonostante la previa messa in mora, subir� il preannunciato giudizio 
all�esito del quale, in caso di soccombenza, dovr� sopportare anche le spese 
di lite al creditore vittorioso. 
La proposta tiene conto della rilevanza riconosciuta per prassi dalla giurisprudenza 
al comportamento pre-processuale delle parti ai fini della configurazione 
dei �giusti motivi� o (a partire dal 2009) delle �gravi ed eccezionali 
ragioni� di compensazione delle spese di lite ex art. 92, comma 2, c.p.c. (110). 
� Contenuto degli atti processuali di ingresso della parte nel processo 
(atto di citazione, comparsa di risposta, comparsa di intervento) 
A livello organizzativo, tenuto conto che nel processo vengono introdotte 
ogni anno centinaia di migliaia di cause, anche modifiche nella forma degli 
atti (contenuto-forma; stringatezza del contenuto) possono contribuire ad una 
migliore funzionalit� del processo. 
Potrebbe in proposito prevedersi che il codice di rito contenga lo schematipo 
dell�atto processuale di ingresso, quasi una sorta di formulario con delle 
parti in bianco da riempire in via obbligatoria e da completare con punti ben 
definiti nello schema dell�atto ove esporre i requisiti dello stesso. Tale modello 
� operante per vari settori dell�ordinamento: nel diritto commerciale, il bilancio 
deve essere redatto seguendo, ex art. 2424 cod. civ., uno schema ben delineato, 
nell�evidente intento di facilitare la leggibilit� ad opera dell�interessato. Si 
pensi ancora nel diritto comunitario agli atti procedimentali delle procedure 
di selezione dei contraenti negli appalti che debbono seguire uno schema vincolato. 
Tale modello, nello specifico ambito del processo civile, � gi� operante 
anche in alcuni Paesi comunitari. Il writ, atto introduttivo della procedura di 
prima istanza in Inghilterra e Galles, ҏ un modulo pre-stampato che l�attore 
pu� acquistare da qualsiasi rivenditore autorizzato. Oltre ad elementi formali 
ed ai nomi delle parti in causa, il writ deve contenere l�esposizione della domanda 
dell�attore, pur se in modo strigliato e non dettagliato� (111); caratteristiche 
analoghe ha il summons, atto introduttivo della procedura di prima 
istanza in Scozia (112). Anche nel procedimento europeo per le controversie 
di modesta entit� � previsto che l�attore (art. 4 del Reg. CE n. 861/2007) introduca 
l�iter compilando il modulo di domanda standard ed � previsto che il 
convenuto (art. 5 del Reg. CE n. 861/2007) risponda compilando un modulo 
di replica standard. 
(110) Su cui C. MANDRIOLI, cit., vol. I , pp. 363-364. 
(111) Cos� J. A. JOLOWICZ, in La giustizia civile nei Paesi comunitari, cit., I, p. 153. 
(112) I. WILLOCK, in La giustizia civile nei Paesi comunitari, cit., I, p. 181.
DOTTRINA 237 
Tale proposta di modifica pu� avere varie ricadute positive a livello organizzativo: 
a) adeguata leggibilit� degli atti ad opera degli operatori giudiziari; 
b) tentativo di stringatezza del contenuto; prevedendo (sul modello degli 
schemi del diritto comunitario in tema di appalti) limiti massimi nel contenuto 
di determinate parti (ad es. gli elementi di diritto costituenti le ragioni della 
domanda ex art. 163, comma 3 n. 4, c.p.c.). Nel diritto nord americano, vi � la 
previsione che gli atti di parte non possano superare un determinato numero 
di pagine (normalmente 30 pagine in appello e dinanzi alla Corte Suprema 
degli Stati Uniti (113)). 
� Modifica del processo di cognizione di primo grado dinanzi al Tribunale 
I criteri che presiedono al riparto della competenza in primo grado tra 
Giudice di Pace e Tribunale (od anche Corte di Appello quale giudice di unico 
grado) fanno riferimento alla �presumibile� importanza della causa (per valore 
ovvero per materia). Il procedimento dinanzi al Giudice di Pace (artt. 311-321 
c.p.c.) � snello e consente uno svolgimento del processo in tempi ragionevoli. 
Dalla analisi, invece, della durata media dei processi dinanzi al Tribunale 
emerge che la disciplina normativa (artt. 163-310 c.p.c.) non si � rilevata idonea 
ad assicurare la sollecita definizione del processo nel rispetto del diritto 
di difesa della parti. 
Il procedimento di cognizione ordinaria dinanzi al Tribunale � sia nella 
composizione collegiale che in quella monocratica (che non appaiono, invero, 
diversificarsi significativamente nella scansione dei tempi processuali) � in 
estrema sintesi si articola come segue: 
1. Atto introduttivo costituito dalla citazione a comparire a udienza fissa 
(prima udienza di comparizione) con un termine a comparire di almeno 90 gg. 
e preclusioni nell�attivit� assertivo-deduttiva dell�attore. 
2. Costituzione del convenuto almeno 20 gg. prima dell�udienza con preclusioni 
nell�attivit� assertivo-deduttiva. 
3. Udienza di prima comparizione ex art.183 c.p.c., per controlli sulla regolarit� 
del contraddittorio, per la trattazione e per lo svolgimento del tentativo 
di conciliazione. Solo in assenza di specifiche irregolarit� e di appendici di 
trattazione, o non dovendosi assumere mezzi di prova, o mancando la richiesta 
anche di una sola delle parti della concessione del triplice termine ex art. 183 
comma 6 c.p.c., vi � la possibilit� della rimessione della causa in decisione ex 
art. 80 bis d.a.c.p.c., previa precisazione delle conclusioni. 
4. Ulteriore udienza di prima comparizione ove sia necessario regolarizzare 
il procedimento o esperire il tentativo di conciliazione ex art.185 c.p.c. 
(113) Si veda G. HAZARD, M. TARUFFO, cit., pp. 212-217.
238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
5. Udienza (o udienze) per l�assunzione dei mezzi di prova all�esito dell�udienza 
di prima comparizione o delle richieste formulate nei termini ex 
art.183 commi 6 e 7 c.p.c. con rimessione della causa in decisione, previa precisazione 
delle conclusioni. 
6. Termine di 60 gg. dalla rimessione della causa in decisione � riducibile 
a 20 � onde consentire alla parti di depositare la comparsa conclusionale. 
7. Successivo termine di 20 gg. per le repliche. 
8. Successivo termine di 60 gg. (o di 30 gg. ove il giudice sia monocratico) 
per il deposito della sentenza. 
Tra una udienza e l�altra dovrebbe intercorrere un termine massimo di 15 
gg. (art. 81 d.a.c.p.c.) che nella pratica - per varie ragioni - non viene di fatto 
(quasi) mai rispettato. 
In alternativa al procedimento ora delineato, dinanzi al Tribunale in composizione 
monocratica, a scelta dell�attore � attivabile il processo di cognizione 
con rito sommario (artt. 702 bis - 702 quater c.p.c. introdotti con la l. n. 69/09) 
che in estrema sintesi presenta il seguente iter: 
1. L�atto introduttivo � il ricorso all�esito del quale il giudice ad�to fissa 
l�udienza di comparizione delle parti (nella norma non vengono fissati termini, 
tra l�altro, entro il quale stabilire l�udienza) con un termine a comparire di almeno 
40 gg. e preclusioni nell�attivit� assertivo-deduttiva in capo al ricorrente. 
2. Costituzione del convenuto non oltre 10 gg. prima dell�udienza con 
preclusioni nell�attivit� assertivo-deduttiva. 
3. Udienza di comparizione all�esito della quale ove �le difese svolte dalle 
parti richiedano un�istruzione non sommaria, il giudice, con ordinanza non 
impugnabile, fissa l�udienza ex art. 183. In tal caso si applicano le disposizioni 
del libro II�; altrimenti �il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalit� non 
essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene pi� opportuno agli 
atti di istruzione rilevanti in relazione all�oggetto del provvedimento richiesto 
e provvede con ordinanza all�accoglimento o al rigetto delle domande�. 
4. Il provvedimento definitorio della lite � costituito da una ordinanza 
(che � dotata degli stessi effetti della sentenza (114)) appellabile entro 30 gg. 
dalla sua comunicazione o notificazione. 
5. In appello sono ammessi nuovi mezzi di prova nei limiti previsti dall�art. 
702 quater c.p.c.. 
Il procedimento di cognizione ordinario dinanzi al Tribunale, cos� come 
sopra delineato, presenta talune aporie. 
In primo luogo � un procedimento che talora assicura alle parti termini 
pi� ampi rispetto alle esigenze processuali e, comunque, non compatibili con 
(114) G. OLIVIERI, Il procedimento sommario di cognizione, in Le norme sul processo civile nella 
legge per lo sviluppo economico, la semplificazione e la competitivit�, a cura di F. AULETTA, S. BOCCAGNA, 
G. P. CALIFANO, G. DELLA PIETRA, G. OLIVIERI e N. RASCIO, Jovene ed., Napoli, 2009, p . 94. 
DOTTRINA 239 
l�esigenza di realizzare un processo ragionevole per durata. Alcuni passaggi 
non sono strettamente funzionali ed �, peraltro, un procedimento poco elastico 
e non modulabile sulla concreta complessit� del singolo giudizio in quanto la 
disciplina � dettata prescindendo del tutto dal concreto carattere della lite 
(anche ove vengano in rilievo questioni di puro diritto il giudice, a richiesta 
anche di una sola delle parti in causa, � tenuto a concedere il triplice termine 
ex 6 comma dell�art. 183 c.p.c. e gli � inibito decidere statim la lite). 
Nell�obiettivo di rendere pi� agile l�ordinario �percorso� processuale 
(nell�implicito presupposto che venga in rilievo una controversia di natura 
semplice (115)) � stato introdotto il procedimento sommario di cognizione. 
Proprio in virt� di tale rito sommario gi� nell�udienza di comparizione � 
possibile decidere subito controversie ad istruttoria assente o semplificata 
come quelle: a) di mero diritto; b) che non presentano fatti controversi in 
quanto pacifici o non contestati o nelle ipotesi di riconoscimento della domanda; 
c) che presentano fatti dimostrabili solo con prove precostituite (documenti, 
presunzioni, etc.); d) che pur presentando fatti controversi richiedano 
prove costituende non complesse con il loro esaurimento in un tempo ragionevolmente 
breve (116); e) che costituiscono fase di merito di un precedente 
provvedimento cautelare, anticipatorio o conservativo, in quanto le parti gi� 
conoscono le rispettive posizioni processuali. 
Con il procedimento sommario di cognizione viene conferito al giudice 
il potere discrezionale di dettare � attesi i connotati della specifica controversia 
� i tempi del procedimento, individuando le forme pi� adatte alla causa. Ci� 
in armonia con l�esigenza che �il principio della �trattazione con giustizia� 
implichi che le controversie siano definite in modo proporzionato all�ammontare 
del valore in contesa, all�importanza del caso, alla complessit� delle questioni 
coinvolte ed alla posizione finanziaria di ciascuna delle parti, ed 
implichi cos� che a ciascuna lite venga destinata una parte adeguata delle risorse 
del �sistema giudiziario�, tenendo presente la necessit� di riservare una 
altrettanto adeguata porzione di risorse a tutte le altre controversie che richiedano 
l�intervento giudiziale� (117). 
(115) Sull�ambito di applicazione del rito sommario vedi: C. FERRI, Il procedimento sommario di 
cognizione in Riv. dir. proc. 2010, p. 94; M. BINA, Il procedimento sommario di cognizione in Riv. dir. 
proc. 2010, p. 123-124. G. OLIVIERI, Il procedimento sommario di cognizione, cit., 81 e ss. 
(116) Nel Protocollo dell�osservatorio valore prassi di Verona, in Foro It. 2010, V, cc. 86-88 che 
recepisce, tra l�altro, indicazione del presidente del Tribunale di Verona si precisa : �le cause che richiedano 
l�acquisizione di prove costituende devono ritenersi compatibili con il rito sommario, ove l�istruttoria 
sia breve ed agevole (come, ad esempio, le cause in cui l�istruttoria testimoniale sia limitata a 
poche circostanze di fatto o a poche testimonianze, ovvero a quelle che implichino una c.t.u. limitata 
nel contenuto ed espletabile in tempi brevi, ovvero ancora le cause che richiedano l�acquisizione di documenti 
o prove tramite gli strumenti di cui agli art. 118, 210, 213 c.p.c.� (c. 88). 
(117) Cos� M. DE CRISTOFARO, Case management e riforma del processo civile, tra effettivit� 
della giurisdizione e diritto costituzionale al giusto processo, in Riv. dir. proc. 2010, p. 290.
240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Modelli in tal senso sono rinvenibili in dottrina (118) ed altres� in sistemi 
procedurali stranieri (119). 
E� opinione diffusa che l�introdotto procedimento sommario nell�attuale 
disciplina sia inidoneo ad assicurare una durata pi� celere del processo (120). 
Difatti: 
1. la scelta del procedimento sommario � rimessa, ad libitum, all�attore e 
non � in alcun modo circoscritta alle ipotesi che ricorrano liti di particolare 
natura (ovverosia a istruttoria assente o semplificata). La valutazione della 
sommariet� � dunque rimessa al ricorrente ed � idonea a porre il convenuto in 
una situazione di soggezione processuale in conseguenza dei ritmi serrati del 
procedimento. 
Per il pi� efficace perseguimento degli obiettivi di funzionalit� dell�istituto 
parrebbe opportuno prevedere - in sede di modifica normativa - che per 
le controversie individuate normativamente come �semplici� l�attore � tenuto, 
a pena di inammissibilit�, ad avvalersi del procedimento sommario ovvero 
prevedere (con opzione che sembra preferibile) che all�esito di un unico modello 
di fase introduttiva del giudizio sia il giudice a dover stabilire se il procedimento 
debba proseguire in via di cognizione ordinaria o sommaria. 
Il rischio avvertito con l�attuale procedimento sommario di cognizione � 
che una parte, anche in ipotesi di controversie ad istruttoria complessa, attivi 
tale procedimento sommario per strozzare i tempi di difesa del convenuto. La 
decisione del giudice di fissare l��udienza di cui all�art. 183� non salva comunque 
il convenuto dalle preclusioni non istruttorie gi� eventualmente maturate; 
2. depositato il ricorso non vi sono termini rigorosi � quantomeno presi- 
(118) All�uopo nella proposta di A. PROTO PISANI, Per un nuovo codice di procedura civile, cit, 
vi �, dai punti 2.14 ai punti 2.21, la previsione della chiusura semplificata del processo in prima udienza 
in caso di contumacia, non contestazione o riconoscimento del diritto da parte del convenuto ed altres� 
in caso di prova documentale dei fatti controversi; vi � altres�, dai punti 2.22. a.2.30 la previsione di fasi 
preparatorie differenziate a seconda che il giudice nel corso della prima udienza qualifichi la controversia 
come semplice o complessa, tenendo conto che �la semplicit� o complessit� della controversia � determinata 
dal giudice in base alla entit� e qualit� dei fatti controversi, o comunque da provare e alle 
esigenze di trattazione� (punto 2.22 dell�articolato). 
(119) �Le CPR inglesi consentono al giudice di scegliere tra diversi tracks, con un livello crescente 
di articolazione delle forme procedimentali (small claim tracks, fast tracks e multi tracks) in funzione 
del valore della controversia e della sua complessit�.... Analoghi sono i poteri che l�ordinamento 
francese attribuisce al Presidente del Tribunale che, in relazione alla complessit� della causa, pu� scegliere 
se la causa deve essere trattata secondo il circuit cort (applicabile alle cause che sembrano pronte 
per essere decise ...), il circuit moyen (rito intermedio senza la nomina di un giudice istruttore... ), o il 
circuit long (che prevede la nomina del juge de al mise en �tat,affinch� provveda all�istruttoria... ) in 
M. BINA, op.ult.cit., p. 120 nota 10; una sintesi di tali modelli � rinvenibile anche in M. DE CRISTOFARO, 
op. cit. p. 282 e ss.. 
(120) Talune anomalie del procedimento sommario erano state anticipate gi� con riferimento al 
disegno di legge: M. GERARDO - A.MUTARELLI, Prime riflessioni intorno al procedimento sommario di 
cui al disegno di legge 1082, in Lexitalia.it, marzo 2009.
DOTTRINA 241 
diati da illecito disciplinare � in capo al giudice per la fissazione dell�udienza 
di comparizione (121). Pertanto il giudice pu� discrezionalmente fissare 
l�udienza ben al di l� di quello che costituisce l�ordinario termine di vocatio 
in ius nel giudizio ordinario e, tuttavia, l�attore con �sapiente� notifica alla 
scadenza ottiene pur sempre l�effetto di mettere alle corde il convenuto. Quasi 
inevitabilmente nei grandi uffici giudiziari con sovraccarico di lavoro (ad 
esempio: Tribunale di Roma o Napoli) il giudice sar� costretto a fissare 
l�udienza a lungo. Del resto all�attualit�, per il sovraccarico di lavoro, presso 
il Tribunale di Napoli nel rito lavoro viene fissata in primo grado l�udienza di 
comparizione dopo 9-12 mesi dal deposito del ricorso e viene fissata in secondo 
grado l�udienza di comparizione dopo 3-4 anni dal deposito dell�appello. 
Intuitivamente, presso il predetto Tribunale, nel caso di attivazione 
�massiccia� del procedimento sommario, dopo una prima fase di solerte novit�, 
venendo in rilievo un rito diverso da quello del lavoro i tempi di fissazione 
dell�udienza di comparizione saranno comparativamente maggiori di quelli 
patologicamente correnti nel rito lavoro; 
3. violazione del principio di proporzionalit� nella disciplina dei termini 
concessi al convenuto per articolare le proprie difese. 
Nel rito sommario il termine a comparire � di 40 gg. (art. 702 bis comma 
3 c.p.c.) con un termine per la difesa di 30 gg. (atteso l�onere � per evitare le 
preclusioni non istruttorie � della costituzione 10 giorni prima dell�udienza: 
702 bis commi 3 e 4 c.p.c.), laddove dinanzi al Giudice di Pace (preposto alla 
trattazione di giudizi di minor rilievo giudiziario) il termine a comparire � di 
45 gg. (art. 318 comma 2 c.p.c.) con un termine per la difesa di 45 gg. (attesa 
la possibilit� � senza preclusioni � della costituzione in udienza ex art. 319 
c.p.c.). Non sembra coerente che siano garantiti dinanzi al Giudice di Pace 
termini proporzionalmente piu� ampi di quelli assicurati dal procedimento 
sommario �nelle cause in cui il Tribunale giudica in composizione monocratica� 
(art. 702 bis comma 1 c.p.c.); 
4. alla rigorosa previsione di preclusioni assertivo-deduttive si accompagna, 
poco coerentemente, l�assenza di preclusioni istruttorie (122), con possi- 
(121) Nel citato Protocollo dell�osservatorio valore prassi di Verona, si tenta di delineare una disciplina 
integrativa della materia - ҏ opportuna la determinazione di un termine per la notifica del decreto 
di fissazione dell�udienza quando questa sia fissata ben oltre il termine minimo ... al fine di 
assicurare al convenuto un periodo di tempo maggiore per preparare la propria difesa,con la precisazione 
che si tratta di un termine ordinatorio, la cui violazione pu� solo giustificare la richiesta del convenuto 
di differimento della prima udienza sempre allo scopo di meglio preparare la propria difesa� (c. 
87) -, la quale si palesa, a sua volta fonte di lungaggini processuali. 
(122) Rilevano tale circostanza: L. DITTRICH, Il nuovo procedimento sommario di cognizione in 
Riv. dir. proc. 2009, p. 1592; C. FERRI, op. cit. p. 96; G. BALENA Le novit� per il processo civile (l. 18 
giugno 2009 n. 69). III, Il procedimento sommario di cognizione in Foro It. 2009, V, c. 326; R. CAPONi, 
Le novit� per il processo civile (l. 18 giugno 2009 n. 69). XVII, Un modello ricettivo delle prassi migliori: 
il procedimento sommario di cognizione in Foro It. 2009, V, c. 335. 
242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
bile frammentazione della prima udienza; 
5. alla sommariet� del primo grado del giudizio si accompagna, ancora 
poco coerentemente, la cognizione piena dell�appello con la possibilit� della 
prova libera, senza le preclusioni previste dall�art. 345 c.p.c. nel caso del rito 
ordinario; difatti viene previsto che �sono ammessi nuovi mezzi di prova e 
nuovi documenti quando il collegio li ritiene rilevanti ai fini della decisione� 
(art. 702 quater c.p.c.) (123). 
Alla luce delle illustrate considerazioni appare seriamente dubitabile ritenere 
che il modello del rito sommario possa arrecare, a parit� di armi delle 
parti, un apprezzabile vantaggio alla durata complessiva del processo (124). 
Se, pertanto, la previsione di una pluralit� di riti processuali non sembra 
sin qui idonea ex se alla compressione dei tempi di giustizia appare ragionevole 
verificare se tale obiettivo possa essere meglio �avvicinato� con l�intervento 
su specifiche fasi del processo e delineando un modello unico di procedimento. 
In particolare : 
a) Adozione del ricorso quale unico schema di atto introduttivo del processo
Dalle norme del codice di rito l�atto introduttivo del processo a volte assume 
la forma dell�atto di citazione (secondo lo schema dell�art. 163 c p.c., 
con l�evocazione del convenuto in giudizio ad udienza fissa mediante atto notificatogli 
e poi prodotto dinanzi al giudice con l�iscrizione a ruolo) e, a volte, 
assume la forma del ricorso (125) (secondo lo schema, ad es., dell�art. 414 
(123) Aspetto evidenziato da C. PUNZI Le riforme del processo civile... cit. p. 1206 secondo il 
quale tale aspetto �spinger� inevitabilmente chi � rimasto soccombente nella fase sommaria a proporre 
appello, appello che, svolgendosi... sul modello tipico dell�appello ordinario, finisce con il vanificare 
l�intento di semplificazione e di accelerazione del processo, che ha portato all�introduzione del nuovo 
modello di procedimento�; A. PROTO PISANI, La riforma del processo civile ancora una legge a costo 
zero.. .cit., cc. 223-224 il quale rileva che �con la previsione del �procedimento sommario di cognizione� 
si grava la corte di appello (cio� l�ufficio giudiziario pi� in crisi del nostro ordinamento) dello svolgimento 
del primo ed unico grado a cognizione piena con assunzione di nuove prove (ovviamente purch� 
rilevanti). Non mi sembra che si sentiva proprio la necessit� di una simile novit��; R.CAPONI op. ult. 
cit., c. 336. 
(124) L. DITTRICH, op. ult. cit., p. 1600 il quale precisa: �Pu� servire questo nuovo rito a rendere 
pi� celere il processo civile? E dunque, � consigliabile il suo utilizzo ad un avvocato, in luogo del rito 
ordinario? Se la valutazione dovesse essere oggettiva, l�esito di tale analisi sarebbe negativa. In realt�, 
l�attuale rito civile ordinario sarebbe perfettamente idoneo a veicolare decisioni in tempi ragionevolmente 
brevi; certo,il termine minimo di comparizione � eccessivo... e le memorie ex art. 183, comma 6 
c.p.c., richiedono qualche mese; ma anche cos� il processo ordinario di cognizione potrebbe di regola 
concludersi entro l�anno, senza la necessit� di riti alternativi pi� o meno deformalizzati. Come � noto, 
se il processo italiano � eccessivamente lento ci� avviene sia a causa delle scarse risorse, sia della pessima 
organizzazione degli uffici:ma non vՏ motivo per cui tali endemici mali non contagino anche il 
neonato processo sommario�; A. PROTO PISANI, op. ult. cit., c. 223; G. BALENA op. ult. cit., c. 334. 
(125) Del tutto peculiare � il ricorso per Cassazione, atto che viene prima notificato alla controparte 
(senza l�indicazione di una data udienza per la quale citare la controparte) e poi depositato presso 
il Giudice che fissa l�udienza di comparizione delle parti.
DOTTRINA 243 
c.p.c., con la domanda di giustizia proposta al giudice il quale fissa l�udienza 
di comparizione delle parti e successiva notifica del ricorso e del decreto di 
fissazione dell�udienza alla controparte). 
Deve ritenersi sostanzialmente inesistente una diversit� ontologica tra la 
forma dell�atto introduttivo mediante �citazione� o mediante �ricorso�; la adozione 
del ricorso implica solo che il thema decidendum viene conosciuto prima 
dal giudice e poi dalla controparte. 
Difatti all�attualit� non � previsto che il giudice ad�to con ricorso, prima 
di fissare l�udienza di comparizione delle parti, possa gi� svolgere un�attivit� 
istruttoria (ad es. disporre C.T.U., cosa che peraltro - nella prassi - avviene 
contra legem, ad esempio nel processo previdenziale), o addirittura decisoria 
(ad es., rigettare inaudita altera parte il ricorso se le pretese ivi contenute 
siano manifestamente infondate). 
Al fine di uniformit� delle procedure, si propone l�adozione dell�atto di 
ricorso quale unico schema di atto introduttivo del processo, con la previsione 
di un�attivit� giurisdizionale antecedente all�evocazione del contraddittorio, 
rispettando - nella sostanza - il diritto di difesa delle parti. 
In tale prospettiva sembra praticabile l�opzione di prevedere che il ricorso 
(prima della sua notificazione alla parte convenuta) debba essere preventivamente 
delibato dal giudice designato e che allo stesso, gi� in sede di provvedimento 
di fissazione di udienza di comparizione, sia riservata la possibilit� 
di esercitare talune individuate attivit� istruttorie e/o decisorie su questioni 
pregiudiziali (mai evidentemente di merito della lite). 
Quale attivit� decisoria in sede delibativa pu� pensarsi, esemplificativamente 
alle ipotesi in cui il giudice riscontri la carenza di un presupposto processuale 
o di una condizione dell�azione o la mancata integrazione da parte 
del ricorrente degli elementi mancanti di una domanda incompleta (sempre 
che l�irregolarit� non sia tale da rendere improcedibile il giudizio) secondo le 
modalit� ed i termini fissati dal giudice (126). 
In tali ipotesi il giudice dovr� dichiarare inammissibile la domanda con 
una sentenza impugnabile dal ricorrente (con idoneit�, quindi, a divenire res 
iudicata in capo al ricorrente). 
Ove il giudice abbia emesso il decreto di fissazione dell�udienza di comparizione 
- in quanto ha ritenuto sussistenti le condizioni per la pronuncia di 
merito sulla domanda - ed il ricorso sia stato notificato alla controparte la sentenza 
conclusiva del procedimento potr�, evidentemente, essere impugnata dal 
convenuto soccombente anche in ordine ai capi relativi alla sussistenza dei 
presupposti e delle condizioni processuali ritenuti esistenti nella fase inaudita 
altera parte. 
(126) Come previsto in Finlandia � H.TOIVIAINEL, in La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., 
vol. II, p. 59 � tra le ipotesi di decisione senza dibattimento.
244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Il modello introduttivo cos� concepito imporrebbe al giudice l�immediata 
delibazione del thema decidendum (e non la sola mera adozione di un provvedimento 
organizzatorio del carico delle udienze di comparizione) evitando 
la prassi che il contatto con la questione oggetto della controversia sia relegata 
in occasione dell�udienza di comparizione (127). 
Accogliendo la prospettiva di riforma sopra delineata la possibile disciplina 
normativa potrebbe assumere quale modello il primo comma dell�art. 
702 bis c.p.c. - eliminando l�inciso �Nelle cause in cui il tribunale giudica in 
composizione monocratica�, sostituendo l�inciso �pu� essere� con ҏ� e aggiungendo 
il seguente periodo �A pena di decadenza va fatta l�indicazione di 
cui al citato numero 5)� - e il secondo comma dell�art. 702 bis c.p.c., disciplinando 
altres� l�attivit� delibativa che compete al giudice nella fase inaudita 
altera parte. 
b) Delineare in modo preciso i termini a comparire 
E�opportuno che l�attuale termine a comparire nel procedimento ordinario 
di cognizione (90 giorni) sia abbreviato a 60 giorni (come previsto sino al 
2005). La proposta riduzione del termine nella misura prospettata appare idonea 
a coniugare il diritto di difesa del convenuto con l�esigenza di ridurre i 
tempi di giustizia. 
Del resto � significativo rilevare come la dottrina ha da tempo evidenziato 
che gi� il termine a comparire di 60 gg. � il pi� lungo rispetto agli altri ordinamenti 
(che concedono dai quattordici ai venti giorni al convenuto per difendersi) 
osservando che se � indiscutibile che: �il convenuto ha diritto di 
difendersi, il suo diritto � inviolabile, ma non sembra che concedendogli venti 
� venticinque giorni si menomi la sua difesa� (128). 
Evidenziamo che, dalla comparazione con vari ordinamenti giuridici, si 
evince che l�attuale termine di 90 gg. minimo concesso al convenuto � eccessivo. 
Nel diritto nordamericano �il convenuto ha un periodo di tempo determinato, 
solitamente di 30 gg., per rispondere� (129). Peraltro un breve termine 
a comparire � previsto, nel nostro ordinamento giuridico, nel procedimento 
sommario di cognizione (art. 702 bis, comma 3 c.p.c.: 40 gg.) e nel rito del lavoro 
(art. 415, comma 5, c.p.c.: 30 gg.). 
Andrebbe altres� ridotto a 30 giorni l�attuale termine a comparire di 45 
giorni previsto per i giudizi dinanzi al Giudice di Pace atteso che il convenuto 
conserva integra la sua capacit� difensiva, potendo costituirsi � senza preclusioni 
� direttamente in udienza ex art. 319 c.p.c.. 
La disciplina normativa potrebbe avere quale modello il terzo comma - 
(127) Per l�analisi di analogo modello di schema introduttivo in Austria cfr. B. KONING, in La giustizia 
civile nei paesi comunitari, cit., II, p. 14. 
(128) F .CIPRIANI, Per un nuovo processo civile in Foro It. 2001, V, c. 323. 
(129) Cos� G. C. HAZARD, M.TARUFFO, cit, p. 125.
DOTTRINA 245 
sostituendo l�inciso �trenta� con �cinquanta�, al fine di garantire al convenuto 
un termine a comparire di almeno sessanta giorni - dell�art. 702 bis c.p.c. , con 
un�integrazione che disciplini il termine entro il quale il giudice fissa l�udienza 
di comparizione e il termine massimo che deve intercorrere tra il deposito del 
ricorso e la data dell�udienza di comparizione. Parrebbe altres� opportuno prevedere 
un termine perentorio per la notificazione del ricorso e decreto di fissazione 
dell�udienza di comparizione al fine di evitare, ottenuto il 
provvedimento, che parte ricorrente ritardi la notifica al convenuto attendendo 
�saggiamente� (ma poco eticamente) di curare la notificazione allo spirare del 
rispetto del termine a comparire. 
c) Disciplina della costituzione del convenuto e ruolo della contumacia 
La disciplina della costituzione del convenuto potrebbe essere rinvenuta 
nel quarto comma dell�art. 702 bis c.p.c., inserendo tra le parole �indicare� e 
�i mezzi� l�inciso �a pena di decadenza� (al fine di disciplinare le preclusioni 
istruttorie) ed altres� nel quinto comma di tale articolo, sostituendo la parola 
�garanzia� con �causa� (eliminando tout court ogni incertezza in ordine alle 
restrizioni della chiamata in causa del terzo (130) ). 
Al fine di ridurre i tempi del processo in dottrina si � proposto di riconoscere 
valore di ammissione dei fatti alla contumacia del convenuto in modo 
da pervenire subito alla decisione, senza istruttoria, sulla base dei fatti costitutivi 
attorei non contestati. In specie si propone di �prevedere � in materia di 
diritti disponibili � l�introduzione dell�istituto della ficta confessio (o dell�esonero 
dell�attore dall�onere di provare i fatti costitutivi) in caso di contumacia 
del convenuto; il tutto con gli adeguati correttivi idonei a garantire il diritto 
di difesa� (131). 
Sempre in relazione alla condotta in concreto osservata dal convenuto - 
con pi� ampio respiro - si � altres� proposto quanto segue: �Un ulteriore congegno 
se non di esclusione, di certo di eccezionale semplificazione del processo 
a cognizione piena, � dato dall�introduzione di un processo semplificato 
con decisione in prima udienza (o con immediata entrata in fase decisoria in 
prima udienza) allorch�, riguardo ai soli processi relativi a diritti disponibili, 
il convenuto regolarmente citato: a) non si costituisca e non compaia neanche 
in prima udienza ovvero b) pur essendosi costituito non contesti i fatti costitutivi 
posti dall�attore a fondamento della domanda e non sollevi eccezioni 
(contestando eventualmente solo il fondamento della domanda in diritto), ovvero 
c) riconosca addirittura il diritto fatto valere in giudizio dall�attore. In 
(130) G. OLIVIERI, Il procedimento sommario di cognizione, cit., p. 89 osserva come �sebbene 
l�art. 702 bis c.p.c. enunci soltanto la chiamata in garanzia � da ritenere � pena l�irragionevolezza della 
disposizione � possibile l�istanza di parte per l�intervento del terzo in tutti i casi concessi dall�art. 106 
c.p.c. (esemplare la contestazione della c.d. legittimazione attiva o passiva)�. 
(131) Cos� F. CIPRIANI, M. G. CIVININI, A. PROTO PISANI, Una strategia... , cit., c. 82; analogamente 
F. CIPRIANI, Per un nuovo processo civile, cit., c. 326.
246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
tutte e tre queste ipotesi fare svolgere il processo nelle forme auliche del processo 
a cognizione piena, forme che presuppongono una controversia effettiva 
in fatto e in diritto, sarebbe un inutile spreco. a) Di qui l�opportunit� da sempre 
sentita di attribuire ex lege alla contumacia del convenuto il valore di ammissione 
legale dei fatti costitutivi (ficta confessio) consentendo al giudice la 
sola valutazione in iure della fondatezza della domanda con conseguente possibilit� 
di risolvere la controversia in prima udienza con sentenza semplificata 
dettata a verbale o stesa in calce all�atto di citazione. In Italia tale tecnica, 
da tempo utilizzata a favore del locatore nel cd. procedimento di convalida di 
sfratto, � in via di estensione riguardo a tutti i processi relativi a diritti disponibili 
(v. art. 13 D.Lgs. 5/03 relativo al processo societario e punto 23 del disegno 
di legge delega di riforma del processo civile n. 4578 del 19 dicembre 
2003). b) Analogamente sarebbe da prevedere � anche qui conformemente a 
quanto da sempre disposto a favore del locatore nel cd. procedimento di convalida 
di sfratto � in ipotesi di non opposizione (cio� di non contestazione dei 
fatti costitutivi e di non proposizione di eccezioni) del convenuto costituitosi 
e/o comparso. c) Quanto, infine, all�ipotesi di riconoscimento del diritto dell�attore 
da parte del convenuto costituitosi (ipotesi da sempre prevista dal � 
307 della ZPO tedesca) egualmente si dovrebbe prevedere una conclusione 
semplificata in prima udienza del processo, salvo l�approfondimento dommatico 
in ordine al valore negoziale o no della figura del riconoscimento della 
domanda� Un prolungamento della sola fase decisoria del processo potrebbe 
aversi unicamente nell�ipotesi sub b) ove il convenuto contesti in diritto il fondamento 
della domanda dell�attore e le questioni giuridiche da risolvere siano 
di particolare delicatezza�; ci� in conseguenza della ragionevole osservazione 
�dato che per le controversie in via atipica soggette al rito ordinario non � 
possibile sapere prima dell�inizio dello svolgimento della fase preparatoria 
se la singola controversia � complessa o no, non resta che prevedere una differenziazione 
della conclusione della fase preparatoria a seconda della complessit� 
o no della controversia, complessit� o no verificata dal giudice nel 
contraddittorio delle parti (di cui andrebbe prevista la obbligatoria partecipazione 
alla prima udienza) e dei loro difensori dopo lo scambio degli atti introduttivi 
del giudice al termine della prima udienza (effettiva) di trattazione� 
(132). 
Taluni ordinamenti dei Paesi comunitari attribuiscono alla contumacia 
valore ammissivo dei fatti allegati dall�attore o di riconoscimento delle pretese 
(132) Cos� A. PROTO PISANI, Dai riti speciali alla differenziazione del rito ordinario, in Foro It., 
2006, V, cc. 56-57 e 88; all�uopo nella proposta di A. PROTO PISANI, Per un nuovo codice di procedura 
civile, cit., vi �, dai punti 2.16 ai punti 2.21, la previsione - come gi� evidenziato - della chiusura semplificata 
del processo in prima udienza in caso di contumacia, non contestazione o riconoscimento del 
diritto da parte del convenuto ed altres� in caso di prova documentale dei fatti controversi.
DOTTRINA 247 
ex adverso azionate: cos� nel processo civile tedesco secondo cui �in caso di 
contumacia del convenuto: si presume che questi abbia ammesso l�esistenza 
dei fatti allegati dall�attore. L�assunzione delle prove si rende pertanto superfluo. 
Se le allegazioni dell�attore sostengono la domanda, questa viene accolta 
con una sentenza contumaciale. In caso contrario, cio� se la domanda � infondata, 
il rigetto della domanda avviene mediante <<normale>> sentenza 
di merito� Il contumace pu� fare opposizione alla sentenza contumaciale 
entro quattordici giorni� Questo rimedio giuridico si rivolge allo iudex a 
quo, che riapre la trattazione della causa. La sentenza contumaciale viene 
<<messa da parte>> e la trattazione orale porta ad una sentenza che conferma 
la sentenza contumaciale oppure la annulla e respinge la domanda 
dell�attore�(133). 
Anche in Inghilterra e in Galles � con un modello analogo a quello tedesco 
� nel caso di contumacia del convenuto l�attore pu� ottenere una sentenza 
in proprio favore salvo la possibilit� di revoca della sentenza contumaciale su 
richiesta del convenuto (134). Simile, tranne che su alcune materie, � la soluzione 
accolta anche in Scozia (135); cos� pure in Irlanda (136) e Austria (137) 
ove la disciplina processuale ricorda quella inglese. In Grecia �la mancata 
comparizione del convenuto equivale a un sostanziale riconoscimento della 
pretesa, risolvendosi nell�emissione di una pronuncia a favore dell�attore, 
sempre che vi siano i presupposti processuali e sussista un titolo idoneo� 
(138), con limitata possibilit� di riapertura del processo contumaciale nelle 
sole ipotesi in cui la parte non � stata regolarmente convocata all�udienza o 
non � potuta comparire per forza maggiore (139). 
Nel nostro attuale ordinamento giuridico, in continuit� con la disciplina 
contenuta nel codice di procedura civile del 1865 (140), la contumacia � considerata 
neutra rispetto alla posizione processuale della parte. �Nel nostro sistema, 
la contumacia del convenuto non impedisce lo svolgimento unilaterale 
(eremodiciale) del rapporto processuale, e come essa non modifica sostanzialmente 
la serie delle attivit� processuali necessarie per l�accertamento dei 
fatti. Nel nostro sistema la contumacia del convenuto non � considerata n� 
come una reazione al potere del giudice e come tale punita; n� come una rinuncia 
alla difesa; n� come una remissione alla gestione del magistrato; n� 
(133) Cos� W. J. HABSCHEID, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I, p. 115. 
(134) Cos� A. J. JOLOWICZ, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I, p. 159-160. 
(135) Cos� I. WILLOCH, La giustizia civile nei paesi comunitari,cit., I, p. 182. 
(136) Cos� A.WHELAN, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I, p .245. 
(137) Cos� B. KONIG, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit.,II, p. 19. 
(138) Cos� K. D. KERAMEUS, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., II, p. 207. 
(139) K. D. KERAMEUS, op. ult. cit., p. 213. 
(140) Su cui G. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Jovene ed., Napoli, 1923, pp. 
757-758.
248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
come una presunta ignoranza dell�esistenza della lite: ma per quello che � in 
ogni caso: una completa inattivit� alla udienza. A differenza del sistema secondo 
cui la semplice contumacia del convenuto importa soccombenza� ; a 
differenza del sistema secondo cui la contumacia del convenuto importa ammissione 
dei fatti dedotti dall�attore� ; il nostro giudice� deve esaminare se 
i fatti sono provati dall�attore: la contumacia per se stessa non dispensa l�avversario 
dalla prova. Per ottenere l�effetto della ficta confessio si deve deferire 
anche al contumace un espresso interrogatorio� (141). 
Eccezione al sistema, cos� come riassunto, si ha nel procedimento per 
convalida di sfratto in cui l�inattivit� dell�intimato comporta soccombenza 
(art. 663 c.p.c.). � invece caduta la regola secondo cui la contumacia del convenuto 
nel processo societario comporta l�ammissione dei fatti dedotti dall�attore, 
ossia la ficta confessio. Difatti, l�art. 13, comma 2 (dell�oramai abrogato) 
D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, contenente tale precetto, venne dichiarato incostituzionale 
per eccesso di delega dalla Corte Costituzionale con sentenza 12 
ottobre 2007, n. 340 (142). 
Alla luce dell�illustrato breve excursus deve ritenersi non condivisibile 
l�orientamento diretto a riconoscere natura di ficta confessio alla contumacia 
del convenuto. Appare incongruo pretendere che, a fronte di una pretesa attrice 
manifestamente infondata e, come tale, meritevole di rigetto (es. fatti costitutivi 
posti dall�attore alla base di un dedotto credito pecuniario in ordine ai quali 
vi sono, oggettivamente, fatti estintivi e/o modificativi oppure l�inesistenza 
dei fatti stessi) il convenuto debba vedersi pressocch� costretto ad attivarsi per 
difendersi (con anticipo di spese, fastidi, perdita di tempo). Non appare giustificabile 
attribuire alla contumacia valore di riconoscimento tout-court della 
pretesa attrice esonerando la stessa dall�onere della prova dei fatti allegati (art. 
2697 c.c). Del resto la contumacia costituisce, al pari della costituzione in giudizio, 
un contegno processuale espressivo del diritto di difesa. N� appare auspicabile 
che parte attrice possa confidare pi� nella contumacia del convenuto 
che nella autonoma fondatezza della azione proposta. Tale orientamento potrebbe 
costituire un incentivo alla litigiosit� nei casi in cui l�attore � a conoscenza 
di circostanze che rendano improbabile la costituzione del convenuto. 
La ficta confessio pone, peraltro, dubbi di compatibilit� costituzionale 
per contrasto sia con l�art. 24 comma 2 della Costituzione in quanto, a fronte 
del riconoscimento del diritto di difesa, vi sarebbe in capo al convenuto - nel 
caso di specie - l�obbligo (rectius: onere) di difesa sia con l�art.111, 2� comma 
della Costituzione in quanto verrebbe alterata la parit� di armi delle parti in 
causa. Da ultimo aggiungasi che l�ipotizzato �risparmio� di tempi processuali 
(141) Cos� G. CHIOVENDA, op. ult. cit., pp. 757-758; analogamente C. MANDRIOLI, Diritto processuale 
civile, vol. II, Giappichelli ed., Torino, 2007 p. 324. 
(142) Corte costituzionale, sentenza 12 ottobre 2007 n. 340 in Foro It. 2008, I, cc. 721 e ss. 
DOTTRINA 249 
potrebbe rivelarsi effimero in ipotesi di fondata impugnazione della sentenza 
emessa nel procedimento contumaciale. 
d) Modello unico della udienza di comparizione delle parti 
Evidenti esigenze di concentrazione consigliano che, sulla falsariga di 
quanto � attualmente previsto negli attuali artt. 183 e 420 c.p.c., il giudice in 
occasione della udienza di comparizione svolga le seguenti attivit�: 
- verifichi d�ufficio la regolarit� del contraddittorio (art. 183 commi 1 e 
2, con la fissazione di una nuova udienza di comparizione), 
- interroghi liberamente le parti presenti e tenti la conciliazione della lite 
(art. 420 commi 1 - tranne l�ultimo periodo - , 2 e 3), 
- richieda alle parti - sulla base dei fatti allegati - i chiarimenti necessari 
e indichi le questioni rilevabili d�ufficio delle quali ritenga opportuna la trattazione 
(art. 183 comma 4), 
- valuti, ove proposte, l�ammissibilit� e la rilevanza delle richieste di 
prove costituende, 
- ove disposti d�ufficio mezzi di prova, assegnazione alle parti di un termine 
perentorio di 10 gg. per dedurre i mezzi di prova che si rendano necessari 
in relazione a quelli disposti e fissazione, con ordinanza emanata fuori udienza 
da pronunciare nei successivi 30 gg., di una o pi� udienze (secondo il calendario 
del processo all�uopo predisposto) per l�assunzione dei mezzi di prova 
ritenuti ammissibili e rilevanti . 
Andrebbe inoltre previsto il diritto dell�attore di proporre difese consequenziali 
a quelle articolate dalla controparte, con la fissazione di una nuova 
udienza di comparizione per chiamare un terzo se l�esigenza � sorta dalle difese 
del convenuto, e il diritto delle parti di operare la emendatio libelli (art.183 
comma 5 c.p.c.). 
e) Definizione immediata del procedimento all�esito dell�espletamento 
degli incombenti della udienza di comparizione delle parti 
Espletate le attivit� proprie dell�udienza di comparizione la causa, seppur 
in ipotesi circoscritte, pu� essere gi� matura per la decisione. Tali ipotesi sono 
quelle per le quali � stato pensato il procedimento sommario ex artt. 702 bis e 
ss. c.p.c.. Ossia, in particolare: 
a) questione pregiudiziale di rito o questione di merito avente carattere 
preliminare, quando la decisione di esse pu� definire il giudizio; 
b) causa involgente esclusivamente profili di diritto; 
c) riconoscimento della domanda di controparte; 
d) mancata richiesta di prove costituende o non ammissione delle chieste 
prove costituende o mancata disposizione d�ufficio di mezzi di prova. 
In tali ipotesi occorre prevedere la doverosit�, previo invito alle parti alla 
discussione nel corso della quale precisare le conclusioni, della riserva in decisione 
immediata della lite. 
Riserva in decisione immediata al termine dell�udienza di comparizione,
250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
senza possibilit� per le parti di chiedere un rinvio del procedimento per le ragioni 
che si illustreranno nella successiva lettera. 
f) Assunzione delle prove costituende e conseguente definizione immediata 
del procedimento 
Ove all�esito dell�espletamento degli incombenti della udienza di comparizione, 
non si possa procedere alla riserva in decisione della lite (in quanto 
il giudice � valutata l�ammissibilit� e la rilevanza � abbia ammesso prove costituende) 
la causa andr� rinviata ad una o pi� udienze successive, secondo il 
calendario del processo all�uopo predisposto, per l�assunzione dei mezzi di 
prova. 
Esaurita l�assunzione delle prove occorre prevedere la doverosit�, previo 
invito alle parti alla discussione nel corso della quale precisare le conclusioni, 
della riserva in decisione immediata della lite. 
Non ha senso la prassi attuale che spesso consente, espletata l�istruttoria, 
il rinvio richiesto dalle parti e concesso dal giudice, per esame della prova testimoniale 
escussa, per esame della depositata C.T.U., etc. Tale prassi � probabilmente 
contra legem atteso il tenore dell�art. 188 c.p.c., secondo cui: �il 
giudice istruttore provvede all�assunzione dei mezzi di prova e, esaurita 
l�istruzione, rimette le parti al collegio per la decisione a norma dell�articolo 
seguente�. 
� necessario che il tenore della disposizione escluda in radice la ammissibilit� 
di tali rinvii potendo ogni attivit� difensiva essere svolta ancora in sede 
di scritti difensivi successivi alla rimessione della causa in decisione. 
Quindi decisione immediata, senza spazi per le parti di chiedere un rinvio 
del procedimento. 
Va evidenziato che in ordine al diritto delle parti ad ottenere un rinvio, 
autorevole dottrina ha sostenuto quanto segue: �Quanto ai rinvii, alla luce 
dell�art. 24, comma 2�, Cost., sembra doveroso stabilire che ogni parte, per 
esercitare la difesa, ha diritto ad un rinvio: infatti, se viene in considerazione 
la difesa, che � inviolabile, il rinvio non pu� essere rimesso alla discrezione 
del giudice, ma deve essere un diritto della parte. Il problema si pone diversamente 
per i rinvii che le parti concordemente chiedono perch� pendono 
trattative di bonario componimento o, comunque, perch� preferiscono che 
per il momento non si giudichi. A me sembra che tale problema vada risolto 
tenendo presente che le parti, se sono d�accordo, devono potere in linea di 
massima disporre dei tempi del processo. Pi� precisamente, le parti devono 
avere diritto a qualche rinvio, ma, dopo un certo numero di rinvii, il giudice 
deve poter cancellare la causa dal ruolo d�ufficio e anche contro la concorde 
volont� delle parti. Ci� significa che sembra opportuno prevedere l�istituto 
della cancellazione della causa dal ruolo per eccesso di rinvii, che un tempo 
ebbe grande successo nel processo civile italiano e che di recente � stato riproposto 
all�attenzione degli studiosi sia in sede ministeriale, sia in sede
DOTTRINA 251 
scientifica� (143). 
Deve rilevarsi che, alla luce del principio della ragionevole durata del 
processo, tale diritto al rinvio non pu� essere ammesso. La fase introduttiva 
del processo si caratterizza per prevedere specifiche cadenze per articolare in 
via definitiva il thema decidendum ed il thema probandum ed una eventuale 
fase centrale di assunzione di prove costituende. La lite va, quindi, decisa. 
Vuol dirsi che un potere generalizzato di rinvio non � strumentale ad un 
efficiente servizio giustizia. Il processo, una volta introdotto esige un impegno 
attento dei difensori onerati a comparire ad ogni udienza adeguatamente edotti 
sullo stato del giudizio. Sicch�, ove all�esito dell�escussione dei testimoni, una 
parte intenda deferire all�altro il giuramento decisorio � deferibile �in qualunque 
stato della causa� ex art. 233, primo comma, c.p.c. � sar� tenuta a chiederlo 
alla fine dell�udienza di escussione. Non razionale � l�attribuzione di un 
diritto al rinvio al fine di valutare il risultato probatorio in vista di possibili 
future richieste istruttorie. 
Sempre sul tema dei tempi dei processi, altra dottrina evidenzia: �� vero 
che le garanzie devono avere dei limiti, poich� altrimenti il sistema rischia la 
paralisi, per� � anche vero (a mio parere): � In primo luogo che i tempi del 
processo devono essere rimessi alla libera determinazione delle parti e non 
all�autorit� del giudice, poich� la ragionevole durata del processo � regola 
che va garantita senz�altro se almeno uno dei litiganti la chiede ma non anche 
imposta quando nessuno la vuole. Sono pertanto fermamente contrario (ad 
esempio) all�abolizione dell�art. 309 c.p.c., oppure il divieto di udienze di mero 
rinvio� o a qualunque limite si pensi di introdurre alla determinazione consensuale 
dei litiganti alla durata del processo, poich� non sussiste un diritto 
pubblico superiore da garantire contro le parti; soprattutto se si pensa che 
queste sopportano dei tributi giudiziari ingiusti e non dovuti�, e in ogni caso 
(presumibilmente) in grado di coprire i costi della giustizia civile� ; cosicch�, 
contenere o vietare i rinvii chiesti concordemente da tutti i litiganti � da considerare 
un atto di prepotenza pi� che uno di giustizia� (144). 
Non si ritiene di poter aderire alla riferita prospettiva. Deve ritenersi, infatti, 
che l�art. 111, comma 2 della Costituzione ha introdotto quale nuovo interesse 
di rilevanza costituzionale quello della giusta durata del processo in s� 
e per s�. Messo in moto il processo, questo deve definirsi in tempi ragionevoli 
con sentenza sul rito o di merito. Deve considerarsi che, rispetto al carico di 
lavoro dei magistrati, l�adesione a semplici rinvii comporta lo slittamento di 
altri giudizi sul ruolo dei singoli giudici con evidente diseconomia organizzativa. 
In ordine alla considerazione che il processo riguarda pur sempre inte- 
(143) F. CIPRIANI, Per un nuovo processo civile, cit., cc. 324. 
(144) Cosi G. SCARSELLI, La ragionevole durata del processo civile, in Foro It. 2003, V, cc. 129. 
252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
ressi privati delle parti, si osserva che i litiganti possono incidere sul processo 
rinunciando all�azione processuale (non mediante il riconoscimento del diritto 
ad udienze di mero rinvio) oppure prevedere che, ove le parti chiedano concordemente 
un mero rinvio dell�udienza, le esse parti debbano accollarsi, secondo 
parametri da stabilirsi normativamente, l�onere economico del 
disservizio procurato. 
g) fase decisoria 
Riservata la causa in decisione - con o senza istruttoria - � opportuno prevedere,
onde consentire alle parti di argomentare in fatto e in diritto le richieste 
fatte,che le parti possano depositare memorie illustrative entro 30 gg. dal introito 
della causa a sentenza. Quindi la sentenza dovr� essere depositata in 
cancelleria entro 40 gg. dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie 
illustrative. 
� Abbreviazione dei termini di impugnazione della sentenza 
Come � noto il codice prevede che le parti possono entro sei mesi dalla 
data della pubblicazione (cd. termine lungo) � in assenza della decorrenza del 
termine breve ex art. 325 c.p.c. � impugnare la sentenza (definitiva o meno). 
L�influsso dei principi internazionali e la costituzionalizzazione del principio 
della giusta durata del processo dall�atto introduttivo al giudicato, comporta 
che tale termine (peraltro di un anno fino alla novella del 2009) non pu� 
ritenersi piu� funzionale ad un ordinato svolgimento dei tempi del processo. 
Va evidenziato che in numerosi ordinamenti di Paesi comunitari � sconosciuto 
il cd. termine lungo per impugnare le sentenze. Ad es., in Danimarca 
per l�appello avverso le sentenze delle Corti cittadine � giudice di prima 
istanza in via normale � il termine normale � di quattro settimane (145); in 
Olanda il termine per impugnare � di tre mesi dopo l�adozione della sentenza 
(146); in Finlandia, il termine per proporre l�appello � di trenta giorni dalla 
pronuncia della sentenza (147). 
E� il tempo dunque (e le esigenze di celerit� della giustizia lo impongono) 
di ridurre il termine di impugnazione delle sentenze intervenendo sulla relativa 
disciplina. Sembra possibile fissare in 90 giorni il termine di impugnazione 
con abolizione del cd. termine breve ex art. 325 c.p.c.. 
Il dies a quo del termine per impugnare le sentenze potr� farsi decorrere 
� sulla falsariga di quanto avviene nel processo penale (art. 585 c.p.p.) � dalla 
scadenza del termine stabilito dalla legge per il deposito della sentenza ovvero 
� quando la sentenza non � depositata entro il termine stabilito dalla legge � 
(145) E. SMITH, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I, p. 54 ove si evidenzia altres� che 
il Ministro della Giustizia pu�, in via eccezionale, concedere il termine di un anno a partire dall�emissione 
della sentenza. 
(146) N. S. SNIJDERS, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I, p. 344. 
(147) H. TOIVIAINEN, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., II, p. 63. 
DOTTRINA 253 
dal giorno in cui � stata eseguita la comunicazione dell�avvenuto deposito. 
Corollario di tale scelta � che il ritardo nel deposito della sentenza dovr� essere 
giustificato sul piano disciplinare. 
� Mantenimento, generalizzandolo, del doppio grado di giurisdizione 
Sovente in dottrina viene formulata la proposta di introdurre nel nostro 
sistema giuridico un unico grado di giurisdizione nel merito con �l�abolizione 
del secondo grado per lasciare alle attuali corti di appello (da trasformarsi 
in sezioni distaccate della Corte di cassazione per ottemperare al disposto 
dell�art. 111 Cost.) la funzione di un appeal in senso angloamericano, ossia 
di un giudizio di tipo lato sensu cassatorio, consistente nella riparazione di 
errori non solo di diritto�(148). Ci� sulla base dell�assunto della non utilit� 
del doppio grado di giurisdizione. E� di solare evidenza che l�accoglimento di 
una tale proposta contribuirebbe all�abbreviazione dei tempi del processo. Di 
recente tale opzione � stata riproposta (149) quale strumento per risolvere la 
grave crisi di operativit� nella quale versa la Corte di cassazione. 
Il doppio grado di giurisdizione sul merito, in assenza di prescrizione 
nella nostra Grundnorm, non trova fondamento nella Costituzione (150). A livello 
operativo, onde garantire una ragionevole durata del processo, si � proposta 
l�eliminazione o la riduzione dell�appello onde le sentenze sarebbero 
inimpugnabili salvo il ricorso per cassazione. La scelta di porre limite all�appello 
� operante altres� in diversi Paesi comunitari nei quali il limite si presenta 
in due diverse vesti: 
a) Inappellabilit� della sentenza in cause di non elevato valore o anche 
di media importanza. Nel processo belga l�appello � proponibile se la domanda 
eccede, a seconda dei casi, 50.000 o 75.000 franchi belga del 1994 (151); nel 
processo francese, l�appello � proibito ove vengano in rilievo cause di media 
importanza, in base al valore della domanda (152), in Germania l�appello � 
ammesso se il valore dell�oggetto del gravame supera i 1.500�DM del 1994 
(153); in Grecia l�appello non � ammesso riguardo alle controversie di scarso 
valore, ossia fino a 150.000 dracme del 1994 (154); nel processo olandese la 
sentenza � inappellabile per cause di valore non superiore a 2.500 fiorini del- 
(148) Opinione di Cappelletti riportata in C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Giappichelli 
ed.,Torino 2009, vol. II, p. 402, nota 1. 
(149) Da A. PROTO PISANI, Principio d�eguaglianza e ricorso per cassazione, in Foro It. 2010, V, 
c. 67. 
(150) Tale affermazione � stata fatta dalla Corte Costituzionale, sent. 15 aprile 1981 n. 62, in Foro 
It. 1981, I, c. 1497 e ribadita dalla Corte Costituzionale con le sentenze 3 aprile 1982 n. 69, in Foro It. 
1982, I, c. 1293 e sent. 31 dicembre 1986 n. 301, in Foro It. 1987, I, c. 2962. 
(151) M. STORME, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I, p. 7. 
(152) J. NORMAND, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I, pp. 81-82. 
(153) W. J. HARSCHEID, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I., p. 125. 
(154) K. D. KERAMEUS, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I., p. 213.
254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
l�anno 1994 (155); nel processo portoghese la decisione impugnata deve avere 
pronunciato su controversia di valore eccedente la �alcada� del giudice a quo, 
ossia il limite di valore della decisione non soggetta ad appello (156); in Spagna 
l�appello non � ammesso contro le sentenze emesse in giudizi di valore 
non eccedente 80.000 pesetas del 1994 (157); 
b) Appellabilit� solo previa autorizzazione di una Autorit� amministrativa 
o giurisdizionale. Questo � un criterio molto diffuso nei Paesi di common law, 
il cui prototipo � individuabile nella giustizia civile in Inghilterra e in Galles, 
ove �in molti casi l�appello � possibile solo se colui che intende appellare ha 
precedentemente ottenuto un <<leave to appeal>>, cio� un�autorizzazione 
ad appellare, che pu� essere concessa sia dalla Corte a qua che dalla Corte 
ad quam� (158). Nel processo danese, se la causa � di valore non superiore a 
� 2.500.000 circa del 1994, la sentenza pu� essere appellata solo previa autorizzazione 
del Ministro di Grazia e Giustizia (159); in Svezia �nelle controversie 
aventi ad oggetto diritti disponibili, il cui valore non eccede la somma 
base (che nel 1995 era di 35.770 sek), e nelle controversie di scarso valore � 
richiesta l�autorizzazione all�appello. Essa pu� essere concessa quando ricorrono 
determinati presupposti: se la soluzione della controversia � ritenuta 
importante come indirizzo per le future decisioni delle Corti inferiori; se sussistono 
ragioni per modificare la sentenza: se ci sono altre ragioni straordinarie 
per riconsiderare il caso� (160). 
Nell�ordinamento giuridico processuale italiano attuale, in linea tendenziale, 
vige il doppio grado di giurisdizione di merito con appellabilit� delle 
sentenze di primo grado senza necessit� di autorizzazioni. L�inappellabilit� � 
l�eccezione (prevista, ad es., nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi). 
La scelta tra il doppio grado (mantenendo l�attuale regime, magari estendendolo 
per singole eccezioni) e l�unico grado � una scelta di politica del diritto 
in assenza di vincoli costituzionali. 
Si � del parere della scelta del doppio grado di giurisdizione nel merito 
senza bisogno di autorizzazione per almeno due ragioni: 
a) Necessit� di un nuovo esame sul merito della causa ad opera di un altro 
giudice onde pervenire ad una sentenza ponderata e oggetto di controllo; 
b) Sgravare la Corte di Cassazione della immediata impugnabilit� della 
sentenza di primo grado al fine di evitare il definitivo oscuramento del ruolo 
di giudice di terza istanza di legittimit�. Occorre recuperare alla Corte di Cassazione 
il ruolo di terza istanza di legittimit�. All�uopo si evidenzia in dottrina 
(155) H. J. SNIDJDERS, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I., p. 345. 
(156) A. VAREUA, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I., p. 377. 
(157) V. F. GUILLEN, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I., p. 397. 
(158) J. A. JOLOWICZ, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I., p. 163. 
(159) E. SMITH, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I., p. 53. 
(160) Cos� U. JACOBSSON, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., II., p. 124. 
DOTTRINA 255 
� nel criticare proposte miranti alla previsione di una fase di giudizio di merito 
in unico grado � che l�appello ҏ uno strumento indispensabile per assicurare 
l�unico filtro attualmente� praticabile rispetto al ricorso per cassazione. Sopprimere 
il giudizio di appello significa inevitabilmente dirottare tutte le esigenze 
di garanzia soggettiva dell�impugnazione verso il giudizio di cassazione, 
con un aumento inevitabile del numero dei ricorsi in cassazione� (161). Tali 
osservazioni formulate dieci anni fa sono ancor pi� pregnanti nel momento 
attuale nel quale il numero dei ricorsi per cassazione pendenti si aggira � come 
visto sopra � sulle centomila unit�. 
Appare quindi opportuno conservare l�attuale regime del doppio grado 
di giurisdizione nel merito, con generalizzazione del principio fissato nell�art. 
339 comma 1 c.p.c. eliminando le ipotesi speciali di inappellabilit� della sentenza. 
� Attribuzione all�appello di un effetto sospensivo della efficacia della 
sentenza 
Obiettivo ineludibile � quello di far s� che il giudizio si svolga secondo 
una durata ragionevole (dal momento della proposizione della domanda alla 
adozione di una sentenza irrevocabile). In tale prospettiva la sentenza di primo 
grado �, pertanto, solo un momento intermedio del procedimento. Recuperata 
la complessiva ragionevole durata del processo civile non sembra giustificabile 
il mantenimento della esecutivit� ex lege della sentenza di primo grado. 
Una delle ragioni ispiratrici della novella dell�art. 282 c.p.c. (operata mediante 
la l. 26 novembre 1990, n. 353), con previsione della esecutivit� ex lege 
della sentenza di primo grado in luogo della precedente previsione di segno 
opposto, fu quella di attribuire una tutela alla parte vittoriosa tenendo conto 
della eccessiva durata del processo, ossia un palliativo ad una patologia. Tale 
novella pu� moltiplicare - come � accaduto - il contenzioso. Difatti a fronte 
della riforma della sentenza di primo grado di condanna al pagamento di 
somme di danaro spesso germina un nuovo contenzioso per il recupero di 
quanto pagato ove il vincitore di primo grado non restituisca spontaneamente 
il dovuto. Ricordiamo che altra ragione della novella dell�art. 282 c.p.c. citata 
fu quella di evitare impugnazioni con la finalit� di procrastinare il momento 
della formazione del giudicato, attribuendo in via immediata al creditore 
l�azione esecutiva. Tale effetto pu� essere superato - ove si reintroduca l�effetto 
sospensivo dell�impugnazione - con la ricordata applicazione automatica del 
principio di soccombenza nel governo delle spese di lite e dall�accorciamento 
dei tempi del processo. La sospensione dell�esecutivit�, nel caso di appello, � 
(161) A. PROTO PISANI, La giustizia del lavoro dopo il D.Lgs. 80/98, in Foro It. 1999, V, c. 64; 
analogamente F. CIPRIANI, M. G. CIVININI, A. PROTO PISANI, Una strategia... cit., c. 83 e F. CIPRIANI, 
Per un nuovo... cit., c. 327.
256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
operante in vari Paesi comunitari, quali la Danimarca (162), il Lussemburgo 
(163), l�Olanda (164), l�Austria (165). 
� Eliminazione della translatio della lite al giudice inferiore (166) 
Il codice di rito prevede: 
a) La rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione (art. 353 
c.p.c.) e per �altri motivi� (art. 354 c.p.c.), ad opera del giudice di appello; 
b) La cassazione della sentenza con rinvio, cd. proprio ad effetto prosecutorio 
(art. 383, commi 1 e 2, c.p.c.) ovvero con rinvio cd. improprio ad effetto 
restitutorio (art. 383, comma 3, c.p.c.). 
Tenuto conto - come evidenziato - che il principio del doppio grado di 
giurisdizione non ha rilievo costituzionale, costituisce una scelta squisitamente 
di politica del diritto prevedere un rigoroso doppio grado di giurisdizione sul 
merito (alla base dell�istituto del �rinvio�) oppure un doppio grado di giurisdizione 
attenuato, ossia che ammetta una statuizione nel merito anche in un 
solo grado di giudizio (con la conseguente abolizione di ogni possibilit� di 
rinvio). 
� sempre la stella polare della giusta durata del processo che ovviamente 
milita a favore della eliminazione degli istituti della rimessione della causa al 
primo giudice e la cassazione con rinvio (167). Con la proposta eliminazione 
il giudice dovr� giudicare il merito della lite (in cassazione allo stato degli 
atti).
� Meccanismi selettivi per il ricorso per cassazione 
Nel precedente paragrafo 4 si � rilevato che nel corso degli ultimi anni � 
aumentato enormemente il numero dei ricorsi per la cassazione. Ci� ha determinato 
un sovraccarico di lavoro per il giudice di legittimit� ed altres�, una 
difficolt� ad esaurire le cause con la formazione di un enorme arretrato. 
Inevitabilmente la qualit� delle pronunce del supremo giudice � calata. 
La mole di lavoro non consente al meglio la funzione nomofilattica della cassazione. 
Sicch� da tutti � sentita la necessit� di riformarne la disciplina al fine 
di rendere funzionale il controllo di legittimita. Si propongono interventi tesi 
a limitare il numero di ricorsi che pervengono in cassazione. 
Con la novella del 2009 � stato inserito l�art. 360 bis nel codice di rito in 
modo da creare un �filtro� che possa limitare il lavoro e recuperare l�efficienza 
(162) E. SMITH, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I, p. 55. 
(163) M. ELVINGER, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I, p. 307. 
(164) H. L. SNIJDERS, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., I, p. 344. 
(165) B. KONIG, La giustizia civile nei paesi comunitari, cit., II, p. 20. 
(166) Analogamente F. CIPRIANI, M. G. CIVININI, A. PROTO PISANI, Una strategia... , cit., c. 83. 
(167) In termini F. CIPRIANI, Contro la cassazione con rinvio, in Foro It. 2002, I, cc. 2522-2523 
e S. CAPORUSSO, Struttura del giudizio civile di cassazione e ragionevole durata del processo, in Foro 
It. 2005, I, c. 527. 
DOTTRINA 257 
della Corte di cassazione, potenziandone la funzione di nomofilachia (168). 
Recita la norma introdotta: �Il ricorso � inammissibile: 1) quando il provvedimento 
impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla 
giurisprudenza della Corte e l�esame dei motivi non offre elementi per confermate 
o mutare l�orientamento della stessa; 2) quando � manifestamente infondata 
la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto 
processo�. La pronuncia dell�inammissibilit� avviene in camera di consiglio. 
Sennonch�, da pi� parti, si � osservato in dottrina che il bersaglio mirato 
non � stato in realt� centrato (169). 
Ci� in quanto nell�ipotesi di cui al numero 1 dell� art. 360 bis c.p.c. viene 
disciplinata la fattispecie della manifesta infondatezza sostanziale nel merito 
dei motivi di ricorso (170). Mentre nell�ipotesi di cui al successivo numero 2 
viene disciplinata la fattispecie della manifesta infondatezza delle censure di 
rito del ricorso; l�intera gamma, quindi, degli errores in procedendo atteso che 
tutte le violazioni della legge processuale valgono contemporaneamente come 
violazione ai �principi regolatori del giusto processo� (171). Ossia ipotesi gi� 
disciplinate nel codice dal vecchio art. 375 c.p.c.. Vuol dirsi che ove l�infondatezza 
fosse stata manifesta, i ricorsi rientranti nelle previsioni dell�attuale 
art. 360 bis c.p.c. avrebbero potuto essere avviati alla trattazione in camera di 
consiglio gi� a tenore dell�art. 375 c.p.c. ante novella del 2009. 
La novella del 2009 ha solo imposto l�adozione di una maggiore attenzione, 
ponderazione ed impegno professionale nel redigere il ricorso. Sicuramente 
questo costituisce un effetto apprezzabile ma non � certo l�obiettivo che 
la legge 69/2009 si era proposto. 
Non � stato infatti introdotto un �vero� filtro per limitare le ipotesi nelle 
quali, a termini dell�art. 360 c.p.c., � possibile proporre ricorso per cassazione. 
La previsione della limitazione de qua avrebbe imposto la modifica dell�art. 
111, 7� comma della Costituzione secondo cui �Contro le sentenze� pronunciati 
dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, � sempre ammesso ricorso 
(168) Su tale novella G. RAITI, Brevi note sul �filtro� in Cassazione secondo la legge di riforma 
al codice di rito civile 18 giugno 2009 n. 69 in Riv. dir .proc. 2009, pp.1601-1614; G. F. RICCI, Ancora 
insoluto il problema del ricorso per cassazione in Riv. dir. proc. 2010, pp. 102-116; R. RORDORF Nuove 
norme in tema di motivazione delle sentenze e di ricorso per cassazione in Riv. dir. proc. 2010, pp.134- 
145; R. POLI Il c.d. filtro di ammissibilit� del ricorso per cassazione in Riv. dir. proc. 2010, pp. 363- 
384; G. SALME� Il nuovo giudizio di cassazione in Foro It. 2009, V, cc. 437-444; G. COSTANTINO Le 
novit� per il processo civile (l. 18 giugno 2009 n. 69)XII. Il nuovo processo in Cassazione in Foro It. 
2009, V, cc. 301-310; G. SCARSELLI Le novit� per il processo civile (l. 18 giugno 2009 n. 69). XIII. Il 
processo in Cassazione riformato in Foro It. 2009, V, cc. 310-314. 
(169) In tali termini A. PROTO PISANI, Principio d�eguaglianza e ricorso per cassazione, cit., c. 
66; G. SALME�, op. ult. cit, c. 439; G. SCARSELLI Le novit� per il processo civile (l. 18 giugno 2009 n. 
69)..., cit., c. 311. 
(170) In tali termini R. POLI, op. ult. cit., p. 365. 
(171) Aspetto evidenziato da G. RAITI, op. cit., p. 1609; in tal senso, analogamente, R. RORDORF, 
cit., p. 142.
258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
in Cassazione per violazione di legge�. 
Non pu� pertanto condividersi l�orientamento dottrinario per il quale �gi� 
il diritto costituzionale vigente (in via del bilanciamento tra il valore del ricorso 
per violazione di legge e il valore della ragionevole durata del processo) 
consente di limitare i ricorsi alle sole ipotesi che coinvolgono una questione 
di carattere generale o che sia stata risolta dal giudice di merito in contrasto 
con gli orientamenti della Corte di cassazione�(172). Secondo tale impostazione 
(173) il 7� comma dell�art. 111 Cost. deve essere coniugato con il principio 
di eguaglianza (art. 3 Cost.) certamente violato allorch� la Corte di 
Cassazione - a causa dell�attuale carico di lavoro causato dall�assenza di limiti 
al ricorso - non riesce a svolgere il ruolo ad essa assegnato. 
L�illustrato orientamento � tuttavia isolato e appare obiettivamente in contrasto 
con il dato testuale dell�art. 111, 7� comma della Cost. Deve infatti condividersi 
l�osservazione (174) che �la funzione di nomofilachia � fissata 
dall�art. 65 r.d. n. 12 del 1941, mentre il diritto dei cittadini al controllo di legalit� 
dei provvedimenti giurisdizionali che incidono su diritti � stabilito dall�art. 
111 Cost. Fuori da ogni retorica, credo debba esser affermato che il 
compito primo della Cassazione � proprio quest�ultimo, e solo in tale occasione 
essa, anche, assicura l�uniforme interpretazione della legge e l�unit� 
del diritto oggettivo nazionale�. 
A Costituzione invariata al fine di migliorare la funzionalit� della Suprema 
Corte occorre, pertanto, intraprendere percorsi alternativi rispetto ai 
�filtri� di ammissibilit�. Tra questi si indicano: 
a) Aumento del numero dei giudici che siedono in Cassazione (175). Nel 
precedente paragrafo 7 si � rilevato che gi� con gli attuali organici un contributo 
pu� essere realizzato abolendo l�ufficio del P.M. in Cassazione; 
b) individuazione di rigorosi criteri professionali per l�inserimento nell�albo 
degli avvocati abilitati a patrocinare in Cassazione (176); 
c) previsione di una specifica ipotesi di responsabilit� aggravata allorch� 
la Corte dichiara che il ricorso proposto era manifestamente inammissibile. 
(172) Cos� A. PROTO PISANI, Per un nuovo codice di procedura civile, cit., c. 3, il quale al punto 
2.178 n. 1) dell�articolato propone la seguente disciplina, tra i casi di impugnazione con ricorso per cassazione: 
�per violazione di norme di diritto sostanziale o processuale,... quando la violazione involga 
una questione di rilievo generale o sia stata risolta in contrasto con orientamenti costanti della cassazione, 
ovvero sussistano orientamenti difformi della Corte di cassazione negli ultimi cinque anni anteriori 
alla proposizione del ricorso� (c. 51). 
(173) A. PROTO PISANI, Principio d�eguaglianza e ricorso per cassazione, cit., cc. 68-69. 
(174) G. SCARSELLI, Le novit� per il processo civile (l. 18 giugno 2009 n. 69)..., cit., c. 313. 
(175) Cos� G. F. RICCI, op. ult. cit., p. 114 e G. SCARSELLI, Le novit� per il processo civile (l. 18 
giugno 2009 n. 69)..., cit., c. 314. 
(176) Cos� G. F. RICCI, op. ult. cit., p. 115, il quale evidenzia che attualmente in Italia vi sono 
oltre 40.000 cassazionisti, a fronte di valori inferiori a 100, rispettivamente per la Francia e per la Germania 
(quest�ultima nel 2007 ne aveva 44).
DOTTRINA 259 
� Riforma del procedimento amministrativo di previdenza con effetto 
deflattivo del cd. processo previdenziale (artt. 442 - 447 c.p.c.) 
Il procedimento amministrativo volto all�erogazione di una prestazione 
previdenziale o assistenziale, come allo stato disciplinato, prevede che: l�interessato 
proponga una domanda all�Ente previdenziale o assistenziale al fine 
di vedersi riconosciuto il beneficio di legge. L�Ente valuta l�esistenza dei presupposti 
giuridici e medico-sanitari richiesti dalla legge per ottenere la invocata 
erogazione (ossia lo stato di salute al fine del riconoscimento dell�assegno 
di invalidit�, della pensione di inabilit�, dell�indennit� di accompagnamento, 
etc). Per l�accertamento di questi ultimi, l�interessato viene sottoposto a visita 
medica da organi riconducibili all�Ente. 
Ove la domanda non venga accolta l�interessato potr� proporre ricorso 
dinanzi all�Autorit� Giudiziaria (giudice del lavoro) al fine di conseguire in 
via giudiziaria quanto non conseguito in via amministrativa, previo � ove previsto 
ex art. 443 c.p.c. � ricorso amministrativo (costituente presupposto di 
procedibilit� del ricorso). Proposto il ricorso, il giudice del lavoro - tranne i 
casi, invero rari, in cui il ricorso sia privo dei presupposti processuali o delle 
condizioni dell�azione o della prova del requisito economico richiesto per beneficiare 
della prebenda - nella stragrande maggioranza dei casi dispone la 
C.T.U. al fine di accertare la sussistenza del requisito sanitario. Espletata la 
consulenza la causa viene decisa. 
E� comune esperienza che la lite in questi casi si risolve sostanzialmente 
alla luce della consulenza e le sentenze � anche come dato statistico � si limitano 
a recepire le risultanze della consulenza con abusate formule di stile. La 
sentenza si riduce per lo pi� in un cd. �stampone� nel quale occorre inserire 
solo gli estremi del ricorrente e qualche altro dato formale. Aggiungasi che il 
costo della C.T.U. viene accollato all�Ente previdenziale. 
Dalla fotografia dell�esistente consegue: 
a) il fallimento sostanziale della fase amministrativa (e in sede di domanda 
del beneficio e in sede � ove presente � di ricorso amministrativo); 
b) la indebita traslazione all�A.G.O. di un�attivit� sostanzialmente amministrativa 
(quale l�accertamento del requisito sanitario) sebbene con caratteristiche 
di imparzialit� atteso che l�accertamento medico � affidato ad un 
consulente individuato dell�A.G.O. e non dalla P.A. tenuta ad erogare il beneficio. 
L�A.G.O. si � � nella sostanza � sostituita alla P.A. nell�accertamento 
del beneficio. 
Tale situazione comporta gravi problemi: 
a) dilatazione, per l�interessato, dei tempi per ottenere l�erogazione del 
beneficio; 
b) costi complessivi onerosi in capo all�Ente previdenziale, dovendo sopportare 
le spese del giudizio e della C.T.U. anche nella fase amministrativa 
c) abnorme aggravio del carico di lavoro dei giudici togati - come evi-
260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
denziato sopra nel paragrafo 4 - a causa dell�inefficacia della fase amministrativa, 
che non assicura una reale e significativa funzione deflattiva. 
Per deflazionare il carico di lavoro derivante dalle controversie previdenziali 
sarebbe auspicabile prevedere che nella fase amministrativa dinanzi al 
richiesto Ente previdenziale l�accertamento del cd. requisito sanitario venga 
attribuito ad un consulente designato dall�A.G.O. in sede di volontaria giurisdizione. 
La prospettata misura appare idonea ad operare una crasi tra il procedimento 
amministrativo (in cui il requisito sanitario viene accertato da un 
medico non imparziale in quanto individuato dall�Ente previdenziale) e il procedimento 
giurisdizionale (in cui il processo si esaurisce di fatto nello svolgimento 
e nel rinvio alle risultanze di una accertamento medico ad opera di un 
consulente designato dal giudice). 
Nella delineata prospettiva nella fase amministrativa l�Ente erogatore accerta 
i requisiti legali per godere del beneficio all�esito di un istruttoria che, 
in ordine al requisito sanitario, recepisce le risultanze della consulenza affidata 
ad un esperto designato dall�A.G.O. Il medico scelto dall�A.G.O. � quindi in 
posizione di imparzialit� e sar� cos� in grado di meglio dialogare con i consulenti 
di parte (del ricorrente e dell�Ente). Dovr� ovviamente istituirsi presso 
l�A.G.O. un albo di esperti ai quali attingere nella nomina dei C.T.U. in sede 
di volontaria giurisdizione prevedendo un vincolo di incompatibilit� per gli 
stessi che non potranno assumere la qualit� di consulenti di parte in procedimenti 
amministrativi e controversie in materia previdenziale e assistenziale. 
� prevedibile che l�interessato, a fronte del mancato accoglimento della 
propria richiesta conseguenza del recepimento da parte dell�Ente delle risultanze 
istruttorie di un medico designato dall�A.G.O., difficilmente adir� la via 
giurisdizionale Per ottenere l�effetto deterrente sperato la misura andrebbe 
inoltre coniugata con una meccanica applicazione del principio di soccombenza 
nel governo delle spese di lite. 
Dovrebbe in tal modo ottenersi il drastico calo delle cd. controversie previdenziali 
e assistenziali in quanto i ricorsi giurisdizionali si circoscriveranno 
alle ipotesi di eventuali errori valutativi oggettivi dell�accertamento effettuato 
dal consulente nominato dal Tribunale senza che sulla propensione al ricorso 
incida, come allo stato, l�intimo convincimento che l�accertamento sanitario 
sia stato pregiudizialmente inquinato dalla politica gestionale e dal bilancio 
dell�Ente tenuto all�erogazione. 
8.3 Terzo Libro del c.p.c. (artt. 474-632) 
� Trust in sede esecutiva 
Il processo esecutivo, in epoca recente, ha avuto profonde modificazioni 
al fine di renderlo pi� funzionale e idoneo a soddisfare la parte creditrice in 
tempi ragionevoli. Una linea di tendenza che le evidenziate riforme hanno privilegiato 
� quella di delegare a professionisti varie fasi del processo esecutivo,
DOTTRINA 261 
specie in ordine alla liquidazione dell�attivo (su tutti: art. 591 bis c.p.c. �Delega 
delle operazioni di vendita�). 
Tale linea di tendenza sembra suscettibile di ulteriore potenziamento. Un 
utile strumento potrebbe essere l�utilizzo del trust � recepito nel nostro ordinamento 
giuridico in virt� della L. 16 ottobre 1989 n. 364 (Ratifica ed esecuzione 
della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro 
riconoscimento, adottata a L�Aja il 1� luglio 1985) � in fase esecutiva. Potrebbe 
essere prevista la facolt� per il giudice dell�esecuzione di attribuire i 
beni esecutati in trust a professionisti al fine di accelerare i �tempi esecutivi� 
e conseguire una pi� remunerativa liquidazione dei beni per il maggior soddisfacimento 
dell�interesse dei creditori. 
� Misure compulsive dirette a stimolare l�esecuzione spontanea delle 
sentenze di condanna 
Ulteriore misura per accrescere l�efficienza del processo esecutivo potrebbe 
essere quella del ricorso a misure compulsive, quali astraintes del diritto 
francese, al fine di stimolare il debitore ad adempiere senza la necessit� di 
espletare l�intero procedimento esecutivo. Ad es., nell�ipotesi il debitore sia 
un imprenditore e non adempia i propri debiti, potrebbe prevedersi la misura 
compulsiva di inibirgli temporaneamente lo svolgimento dell�attivit� di impresa. 
Applicando cio� una sorta di sanzione afflittiva di natura amministrativa 
non pecuniaria. 
Con la recente novella di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69 � stato introdotto 
l�art. 614 bis c.p.c. che, a presidio dell�attuazione degli obblighi di fare 
infungibile o di non fare, oggetto di un provvedimento di condanna, prevede 
la fissazione di somma di danaro (astraintes) �dovuta dall�obbligato per ogni 
violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell�esecuzione 
del provvedimento�. 
La norma introdotta � per� timida rispetto allo scopo in quanto esclude 
dalla sfera di azione degli obblighi di fare o di non fare tutte le controversie di 
lavoro subordinato pubblico e privato e i rapporti di collaborazione coordinata 
e continuativa di cui all�art. 409 c.p.c.. 
Se pu� condividersi l�esclusione dell�obbligo di fare del lavoratore � al 
fine del rispetto della libert� e dignit� della persona � non altrettanto si giustifica 
l�esclusione dell�obbligo di fare del datore di lavoro. Inoltre, la norma 
non abbraccia anche l�attuazione degli obblighi di dare e di fare fungibile. 
Andrebbero altres� indagati i margini di compatibilit� e di adattabilit� 
della misura compulsiva cd. �contempt of court� del common law al nostro 
ordinamento. 
Nel sistema nordamericano una sanzione a disposizione del giudice �per 
ottenere l�esecuzione della sentenza � di dichiarare che la parte che non ottempera 
sia contempt of court. L�espressione designa in termini generali il ri-
262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
fiuto di obbedire ad un ordine diretto di una corte. In conseguenza di tale rifiuto, 
il convenuto pu� subire una sanzione pecuniaria o detentiva� la sentenza 
di contempt civile condanna la parte responsabile alla detenzione oppure 
alternativamente alla detenzione ed una sanzione pecuniaria, fino a che la 
parte accetta di obbedire all�ordine della Corte. Lo scopo � di costringere la 
parte ad eseguire l�ordine� La premessa necessaria perch� una parte possa 
essere responsabile di contempt civile� � che esista un ordine diretto che impone 
specificamente alla parte di fare o astenersi dal fare qualcosa� Per contro, 
le sentenze a contenuto pecuniario non sono una premessa sufficiente per 
il contempt of court� Questa limitazione all�area di applicazione del contempt 
si fonda sul principio stabilito da lungo tempo per cui il debitore non pu� essere 
imprigionato per l�incapacit� di pagare i suoi debiti�(177). 
� Abrogazione (o quantomeno riduzione) delle previsioni normative che 
sanciscono l�impignorabilit� del denaro della P.A. 
Altra misura opportuna pu� essere quella di eliminare (o almeno ridurre) 
le numerose fattispecie normative di impignorabilit� del denaro della P. A.. 
Tali ipotesi �esentive� non si conciliano con la tendenziale parificazione dell�attivit� 
svolta dalla P.A. in regime di diritto privato rispetto all�attivit� dei 
privati cittadini. 
N�, sul piano teorico, le ricorrenti necessit� di bilancio e/o la giustificazione 
che tali norme tendono a garantire il corretto svolgimento della funzione 
pubblica appaiono poter legittimare la perpetuit� di tale privilegio. 
Impignorabilit� sono previste, tra l�altro dalle seguenti norme: 
a) art. 159 del D.Lgs. n. 267 del 18 agosto 2000 che pone gravi limiti all�esecuzione 
forzata contro Enti locali; 
b) art. 1 del D.L. n. 313 del 25 maggio 1994, conv. L. n. 460 del 22 luglio 
1994, che prevede l�impignorabilit� di varie contabilit� speciali di organi dello 
Stato. 
Tali ipotesi di impignorabilit�, provocano una �situazione indecorosa� 
(178), e meritano di essere eliminate perch� determinano una diseguaglianza 
tra i debitori; il titolo esecutivo va onorato, a maggior ragione in quanto vengono 
amministrate risorse della collettivit�, da un debitore pubblico. Le giuste 
ragioni di ordine contabile in capo all�Ente ben possono essere soddisfatte con 
il gi� esistente termine dilatorio ex art. 14 D.L. 31 dicembre 1996 n. 669 conv. 
L. 28 febbraio 1997 n. 30 concesso alla P.A. per provvedere alla provvista 
delle risorse. 
A quanto precede aggiungasi l�effetto boomerang per i conti dello Stato 
che consegue ai regimi di impignorabilit�. Difatti, a fronte delle procedure 
(177) Cos� G. C. HAZARD, M. TARUFFO, op.cit., pp. 240-241. 
(178) C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, IV, cit., p. 82.
DOTTRINA 263 
esecutive attivate dagli interessati, l�opponibilit� ex art. 615 c.p.c dell�impignorabilit� 
determina la proliferazione di controversie giudiziarie con aggravio 
del carico pendente degli uffici giudiziari per liti che non sarebbero mai nate 
in caso di tempestiva adempimento da parte della P.A. debitrice; il tutto con 
lievitazione dei costi del contenzioso per le parti (di volta in volta onerate dalle 
spese). 
8.4. Libro IV del Codice di procedura civile (artt. 633-840 c.p.c.) 
Una deflazione del contenzioso potrebbe conseguirsi anche ampliando la 
possibilit� di utilizzo del procedimento per decreto ingiuntivo che, da un punto 
di vista quantitativo, � � all�attualit� � il pi� importante dei procedimenti speciali 
(179). 
E� al riguardo condivisibile la proposta (180) di estendere il procedimento 
monitorio ad altre categorie di crediti pecuniari. Si pensi ai crediti vantati da: 
a) lavoratori autonomi, sulla base di prezziari delle prestazioni pubblicamente 
consultabili; 
b) lavoratori subordinati, sulla base di un conteggio vistato dal sindacato. 
8.5. Unificazione dei riti mediante la previsione di un modello standard
Si � gi� posto l�accento sulla circostanza che l�attuale ordinamento giuridico 
prevede, accanto al rito di cognizione ordinario e sommario, una molteplicit� 
di riti speciali, disciplinati nel codice di procedura civile (ad es. il rito 
del lavoro e locatizio), nel codice civile e in varie leggi speciali. Oltre a riti 
sommariamente individuati nel precedente paragrafo 2 e contenuti in leggi 
speciali, vi sono gli ulteriori riti contenuti nel codice di procedura civile, tra 
cui, solo per citare i pi� rilevanti e pi� diffusi: 
a) il processo del lavoro e previdenziale (artt. 409 - 447 c.p.c.); 
b) il processo locatizio (art. 447 bis c.p.c.). 
La ratio della creazione dei riti speciali � duplice: quella, in determinate 
materie e a fronte della lentezza del rito ordinario, di abbreviare i tempi di definizione 
del giudizio, e quella, in presenza di interessi superindividuali, di 
conferire incisivi poteri ufficiosi al giudice (ad es. processo di divorzio e di 
separazione personale dei coniugi). 
Al fine di ridurre e semplificare i riti speciali la citata legge n. 69/2009, 
all�art. 54, ha delegato il Governo ad adottare, entro 2 anni, provvedimenti 
normativi rivolti ad inglobare i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente 
regolati dalla legislazione speciale in tre modelli: 
(179) �Ogni anno si emanano in Italia molti pi� decreti ingiuntivi che sentenze nei processi ordinari 
(617.179 contro 350.936 nel 1992)�, cos� S. CHIARLONI, La giustizia civile e i suoi paradossi, cit., 
p. 429.
(180) S. CHIARLONI, op. ult. cit., p. 430.
264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
a) ordinario, davanti al Tribunale o al Giudice di Pace; 
b) rito del lavoro, al quale vanno ricondotti i procedimenti in cui sono 
prevalenti caratteri di concentrazione processuale ovvero di officiosit� dell�istruzione; 
c) rito sommario di cognizione - esclusa la conversione del rito ex art. 
702 ter comma terzo c.p.c. - al quale vanno ricondotti i procedimenti, anche 
se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione 
della trattazione o dell�istruzione della causa. 
Dalla analisi della delega si pu� evincere che la programmata semplificazione 
dei riti � di portata limitata (181). Restano, in prima battuta, esclusi 
dalla delega i riti differenziati disciplinati dal codice di rito e dal codice civile 
nonch� i procedimenti di volontaria giurisdizione ed, infine, sono espressamente 
esclusi determinati procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente 
regolati dalla legislazione speciale (tra gli altri: procedure 
concorsuali, di famiglia e minori). La legge delega individua, inoltre, quale 
modelli il rito ordinario, quello del lavoro e quello sommario di cognizione 
finendo, in concreto, per postulare la mera riduzione della pluralit� dei riti esistenti. 
Pu� ragionevolmente ritenersi che l�attuazione di tale limitata delega non 
arrecher� un contributo dirompente alla razionalizzazione dei riti speciali. 
Parrebbe viceversa auspicabile proporsi il coraggioso obiettivo della �tendenziale� 
eliminazione dei riti speciali. Una pluralit� di esigenze sembrano 
militare a favore del pi� radicate intervento semplificativo proposto: 
a) nell�attuale momento storico vi � il principio della giusta durata del 
processo, il quale impone di prevedere che tutti i processi pervengano ad una 
rapida definizione. Non si giustifica, pertanto, che per alcuni processi vi sia 
una procedura differenziata che meglio contribuisca alla pi� celere definizione 
del giudizio (questa � la prima ratio evidenziata di previsione di riti speciali 
nella legislazione); 
b) la necessit� di attribuire poteri ufficiosi al giudice (la seconda ratio 
evidenziata di previsione di riti speciali nella legislazione ed a tal proposito 
sono emblematici i casi del rito lavoro e del processo divorzile) pu� essere 
realizzata con previsione normativa del tipo di potere attribuito al giudice nel 
corso del processo, senza necessit� di ricorrere alla configurazione di un rito 
ad hoc (182); 
(181) Circostanza evidenziata, tra gli altri, da G. BALENA, Le novit� per il processo civile (l. 18 
giugno 2009 n. 69). La delega per la riduzione e semplificazione dei riti, in Foro It. 2009, V, c. 352 e L. 
SALVANESCHI, La riduzione del tempo del processo nella nuova riforma dei primi due libri del codice di 
rito, in Riv. dir. proc. 2009, p. 1564. 
(182) Nel pi� volte citato progetto di riforma elaborato da PROTO PISANI Per un nuovo codice di 
procedura civile, - che dai punti 2.226 ai punti 2.268 contiene un articolato nel segno della unificazione 
dei riti - l�illustre Autore (c. 3) cos� precisa �Disciplinato il processo (ordinario) a cognizione piena, �
DOTTRINA 265 
c) l�unificazione dei riti � opportuna in quanto ad un modello standard 
consegue l�instaurazione di prassi consolidate alle quali le parti possono fare 
affidamento con velocizzazione dei tempi del processo; 
d) se � indiscutibile che la previsione di riti differenziati non � in quanto 
tale incostituzionale essendo riconosciuta al legislatore la potest� di predisporre 
apposite e differenziate discipline (sempre che siffatta differenziazione 
sia ragionevole (183)), tuttavia non � dubitabile che la molteplicit� dei riti (talora 
con significative divaricazioni di disciplina) non agevola il funzionamento 
della macchina giudiziaria. 
Per il primo grado di giudizio si propone, con carattere di estrema sintesi, 
l�adozione dei seguenti modelli: 
a) Giudice di pace. Il procedimento dinanzi allo stesso � quello delineato 
nel titolo II del libro II del c.p.c. artt. 311-321 (�Del procedimento davanti al 
Giudice di pace�). 
b) Tribunale ordinario di primo grado. Il procedimento dinanzi allo stesso 
� quello delineato nel titolo I del libro II del c.p.c. artt. 163-310 (�Del procedimento 
davanti al Tribunale�). Tale rito, integrato da disposizioni che tengano 
conto delle peculiarit� della materia, andr� assunto anche per le sezioni speciali 
create nell�ambito del giudice ordinario. 
Tenendo conto poi della tipologia delle liti, sar� opportuno prevedere la 
modifica dell�attuale disciplina codicistica secondo le direttive gi� illustrate 
nei precedenti punti da 8.1 a 8.4. 
8.6. Conseguenza di quanto detto sopra in ordine all�unificazione dei 
riti �, quindi, l�abrogazione degli artt. 409-447 bis c.p.c. sul cd. rito del lavoro 
e rito locatizio 
Devono ritenersi venute meno le ragioni che storicamente hanno determinato 
la previsione del cd. rito del lavoro, differenziato rispetto a quello ordinario, 
e individuabili nella: 
a) Rapidit� del procedimento determinata dalla circostanza che a giudicare 
vi � un giudice monocratico, dalla previsione di rigide preclusioni in capo 
alle parti nonch� dalla circostanza che la sentenza � esecutiva ex lege. Orbene 
a partire dall�anno 1998 la regola per l�intero processo ordinario � che il giudice 
- di regola - � monocratico. Inoltre a partire dall�anno 2005 il regime delle 
preclusioni del processo ordinario � stato sensibilmente adeguato al modello 
stato agevole sopprimere tutti i riti speciali a cognizione piena oggi esistenti ed introdurre soltanto, ove 
effettivamente necessario, norme processuali speciali riguardo ai processi dinanzi al giudice di pace, 
alle controversie di lavoro e previdenza, alle controversie di locazione, alle opposizioni avverso ordinanze 
irrogatrici di sanzioni amministrative, alle controversie relative alla potest� parentale e al suo 
esercizio, ecc.�. 
(183) Sul punto L. P. COMOGLIO, Tutela differenziata e pari effettivit� nella giustizia civile, in Riv. 
dir. proc. 2008, p. 1526.
266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
del processo del lavoro. Infine a partire dal 1990 anche per il processo ordinario 
� stato generalizzato il principio della esecutivit� ex lege delle sentenze. 
In ordine, poi, alla rapidit� del processo del lavoro si � evidenziato che �in effetti 
il bilancio, dopo vent�anni di applicazione del nuovo rito, � tutt�altro che 
positivo. � ormai ricorrente la diagnosi del fallimento totale del processo del 
lavoro�(184); 
b) peculiarit� di disciplina divergente da quella ordinaria, quale la pronuncia 
sugli accessori ex art. 429, ultimo comma, c.p.c. Ove, in sede di riforma 
del codice, si intenda mantenere tale peculiare disciplina, la stessa potr� essere 
contenuta nel diritto sostanziale (ad esempio, emendando e integrando il codice 
civile), senza la necessit� della previsione di un rito speciale. Egualmente 
la previsione della necessit� del tentativo obbligatorio di conciliazione potrebbe 
essere contenuta in norme sostanziali, come avviene attualmente per il 
cd. pubblico impiego privatizzato. 
Sul punto un autorevole autore (185) evidenzia: �Ci� su cui dovrebbe riflettersi, 
semmai, � la sopravvivenza della dicotomia rito ordinario-rito del 
lavoro, dopo che la distanza tra i due modelli processuali � profonda ed evidentissima 
nel 1973 � si � andata drasticamente attenuando alla luce della 
pi� recente evoluzione normativa del processo ordinario; cos� come � andata 
parallelamente sfumando, del resto, l�iniziale illusione circa le capacit� intrinsecamente 
�acceleratorie� del processo del lavoro. I tempi dovrebbero essere 
ormai maturi, insomma, per superare ogni pregiudizio �ideologico� e 
chiedersi serenamente ad es., se il sistema del ricorso sia davvero preferibile 
a quello della citazione, quando l�esperienza ha dimostrato ch�esso consente 
al giudice di fissare la prima udienza della causa (e dunque di far cominciare, 
di fatto, il processo) finanche a qualche anno di distanza dalla proposizione 
della domanda; se davvero sia logico precludere all�attore � lavoratore il diritto 
di adattare le proprie richieste e produzioni istruttorie al contenuto dell�avversa 
memoria difensiva, per poter concretamente sfruttare i fatti in essa 
non contestati dal convenuto; se il paternalismo sotteso alle disposizioni che 
attribuiscono al giudice ampi poteri istruttori ufficiosi � nella realt� utilizzati 
in ipotesi del tutto eccezionali, e dunque per ci� stesso particolarmente invisi 
ai litiganti � meriti o no di prevalere rispetto al principio di legalit� cui � invece 
ispirato l�art. 2697 c.c. 
All�esito di una siffatta disamina ci si potrebbe accorgere, se non erro, 
che questi due modelli processuali ben si prestano, oggi, ad essere ricondotti 
ad unit�; preferendo, beninteso, il rito ordinario, che a me sembra complessivamente 
pi� razionale ed eventualmente conservando per le cause di lavoro 
(184) Cos� S. PELLEGRINI, La litigiosit� in Italia, cit., p. 204. 
(185) G. BALENA, Le novit� per il processo civile (l. 18 giugno 2009 n. 69). La delega per la ri 
duzione e semplificazione dei riti, in Foro It. 2009, V, cc. 353-354.
DOTTRINA 267 
le sole peculiarit� normative che dovessero ritenersi davvero utili ed irrinunciabili�. 
9. Conclusioni 
Il quadro complessivo illustrato rivela che, al di l� di lodevoli eccezioni 
di magistrati e/o uffici giudiziari virtuosi, il funzionamento della giustizia civile 
in Italia �, nonostante il progresso tecnico e l�informatizzazione degli uffici, 
ancora ben lungi dal raggiungere uno stato di ragionevole efficienza. 
E� tuttora ricorrente esperienza verificare che - presso taluni uffici giudiziari 
- l�udienza di comparizione nei giudizi di impugnazione con rito lavoro 
viene fissata a distanza di quattro anni dalla data del deposito del ricorso in 
appello. E� intuitivo l�effetto frustrante e la disaffezione verso lo Stato che tale 
situazione provoca per le parti litiganti e, pi� in generale, per i cittadini. 
Le soluzioni sopra delineate vogliono costituire modesto contributo per 
una pi� ampia riflessione sul processo civile e, in tale, chiave, spunto di dibattito 
non solo sulla bont� di singole misure organizzative e scelte processuali 
(e/o istituzionali) proposte ma sulla necessit� che qualsiasi intervento normativo 
tenga conto sinergicamente e contemporaneamente di tutti i profili organizzativi, 
ordinamentali e di bilancio che rendono un processo costituzionalmente 
ragionevole. Nella riferita prospettiva vanno privilegiate scelte che, anche arditamente 
(o addirittura a costo di sembrar provocatorie), siano disposte a sacrificare 
alla funzionalit� del processo opzioni ricostruttive o istituzionali pur 
se consolidate. 
Nota degli Autori: 
Nell�assemblare i dati statistici potremmo aver commesso degli errori di trascrizione e/o di calcolo e 
ce ne scusiamo sin d�ora. Ringraziamo la dott.ssa Tiziana Cattedra per il prezioso ausilio nelle ricerche 
dottrinali.
268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
La possibile deflazione 
delle controversie amministrative 
Transazione e altri mezzi di prevenzione e/o risoluzione. 
Premesse ad uno studio sull�arbitrato nel diritto amministrativo 
Jacopo Polinari* 
SOMMARIO: 1.- Premessa 2.- Individuazione delle �controversie amministrative� 3.- La 
transazione 4.- La disponibilit� del potere amministrativo e suoi limiti 5.- La disponibilit� 
dell�interesse legittimo 6.- La transigibilit� delle situazioni giuridiche soggettive di diritto 
pubblico 7.- La conciliazione 8.- La conciliazione e la pubblica amministrazione 9.- L�arbitraggio 
10.- La perizia arbitrale. 
1. Premessa 
Il fenomeno dei mezzi alternativi di risoluzione delle controversie viene 
tradizionalmente ricollegato all�esigenza di decongestionare i tribunali al fine 
di porre rimedio al �peccato originale� della irragionevole durata dei processi 
e del deficit di effettivit� della tutela che questa situazione porta in dote. Un 
sistema che preveda l�utilizzo di strumenti che consentano alle parti di addivenire 
ad una rapida ed economica definizione dei conflitti, vuoi prevenendone 
l�insorgere, vuoi componendoli quando siano gi� scoppiati, � sembrato a numerose 
voci in dottrina (1) il metodo migliore per contrastare la lentezza dei 
processi e recuperare effettivit� alla tutela (non) giurisdizionale dei diritti. 
Si � peraltro osservato che paradossalmente, sarebbe proprio l�efficienza 
del sistema giurisdizionale a costituire il maggior incentivo alla utilizzazione 
di strumenti alternativi di soluzione delle controversie (2). Se infatti la parte 
che ritiene di avere torto non ha nulla da temere dall�esercizio dell�azione, 
perch� sa che l�inefficienza della macchina giudiziaria gli consentir� di vedere 
posticipato di diversi anni il momento della condanna, non sar� per nulla attratta 
da strumenti rapidi ed efficienti di soluzione delle controversie, n� sar� 
indotta ad aderire ai tentativi di conciliazione pre-processuali (3). 
(*) Avvocato e dottore di ricerca. 
(1) COMOGLIO L.P., La durata ragionevole del processo e le forme alternative di tutela, in Riv. 
dir. proc. 2007, 591 ss.; TARUFFO M., Adeguamenti delle tecniche di composizione dei conflitti di interesse, 
in Riv. trim. dir. proc. civ. 1999, 779 ss.; PICARDI N., Manuale del processo civile, Milano 2006, 
598 s.; BENVENUTI F., L�arbitrato tra Stato e societ�, in AA.VV., Arbitrato e pubblica amministrazione, 
Milano 1991, 22. 
(2) Cos� COSTANTINO G., Il processo civile tra riforme ordinamentali, organizzazione e prassi 
degli uffici (una questione di metodo), in Riv. trim. dir. proc. civ. 1999, 77 ss., spec. 86. 
(3) Cfr. sempre COSTANTINO G., op. loc. ult. cit.
DOTTRINA 269 
L�importanza degli strumenti alternativi per la soluzione delle controversie, 
da un altro punto di vista, viene anche colta nella logica di �sussidiariet�� 
della giurisdizione, secondo la quale l�intervento autoritativo del giudice deve 
essere visto come �l�ultima delle chances a disposizione, alla quale si deve ricorrere 
quando le altre non riescono allo scopo� (4). 
Sotto una prospettiva completamente diversa, anche se sempre connessa 
con il principio di effettivit� della tutela, il fenomeno pu� anche essere ricondotto 
alle esigenze che sorgono con riferimento a controversie dal forte carattere 
tecnico, o afferenti a settori estremamente particolari dell�economia, 
rispetto alle quali la giurisdizione sovente non � in grado di offrire una risposta 
adeguata n� effettiva (5). La figura del giudice generalista, infatti, entra in crisi 
davanti a controversie ad alto contenuto tecnico e/o scientifico, che richiedono 
sempre di pi� una dose elevata di competenza tecnica (quando non anche di 
specifica competenza giuridica) che spesso difettano nel giudice o nella persona 
che � chiamata a dare il suo contributo nel superamento della controversia (6). 
La istituzione, presso i tribunali e le corti d�appello, di sezioni specializzate 
che vedono l�organo giudicante integrato da tecnici estranei alla magistratura, 
come le sezioni specializzate agrarie e quelle in materia di propriet� 
industriale, costituisce certamente una validissima risposta alle esigenze di 
tecnicit� che il mercato richiede in chi giudica (7), ma si tratta di un rimedio 
(4) Cos� LUISO F.P., La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ. 
2004, 1201, spec. 1205: prosegue l�Autore �ebbene, in questa ottica la priorit� della giurisdizione costituisce 
un antico retaggio, che oggi mal si concilia con una realt� che si fonda essenzialmente sul principio 
di sussidiariet�, in base al quale l�intervento autoritativo giurisdizionale � che resta pur sempre 
possibile e costituzionalmente dovuto � deve essere considerato come l�ultima delle chances a disposizione, 
alla quale si deve ricorrere quando le altre non riescono allo scopo. 
Un pi� corretto ed attuale approccio al tema della tutela dei diritti, infatti, richiede che, al sorgere del 
bisogno di tutela: a) le parti cerchino di risolvere da sole la controversia, attraverso gli strumenti negoziali 
che l�ordinamento pone loro a disposizione; b) se non vi riescono, che tentino sempre la risoluzione negoziale 
mediante l�intervento di un terzo, che funga da catalizzatore di una reazione chimica che non si 
� spontaneamente verificata. Se gli strumenti consensuali non funzionano, allora � necessario ricorrere 
a quelli �aggiudicativi�: c) all�arbitrato anzitutto; d) ed infine, ma solo infine, se le parti non riescono 
neppure a raggiungere quell�accordo strumentale che � il patto compromissorio, vi �, garantita costituzionalmente, 
la giurisdizione statale. 
Dunque, la conciliazione e pi� in generale i mezzi alternativi di risoluzione delle controversie non devono 
essere considerati un ripiego a fronte di una situazione drammatica della giurisdizione statale: quasi che, 
se quest�ultima funzionasse bene, dei mezzi alternativi si potrebbe benissimo fare a meno. E non devono 
essere considerati neppure uno strumento deflattivo di una richiesta di tutela giurisdizionale, cui l�apparato 
pubblico non riesce a far fronte (anche se, di riflesso, ogni conciliazione significa una controversia 
giurisdizionale in meno). Al contrario, conciliazione e arbitrato sono essenziali anche quando la giurisdizione 
statale offre un �servizio� di buon livello: per la stessa logica, in virt� della quale l�intervento 
pubblico � opportuno solo ove si renda necessario�. 
(5) Si esprime cos� BENVENUTI F., op. cit., 23, 27 ss., nonch� TARUFFO M., op. loc. ult. cit.; PICARDI 
N., op. cit., 590. 
(6) TARUFFO M., op. cit., 788. 
(7) TARUFFO M., op. loc. ult. cit.
270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
che pecca di flessibilit�, e certamente non � idoneo a far fronte ad esigenze 
estemporanee del mercato. Lo stesso dicasi per i processi a rito speciale disegnati 
in base alle particolarit� del rapporto sostanziale controverso, come il 
rito del lavoro o il rito di cui all�art. 23 bis della l. 1034/71. 
Inoltre non si pu� certamente pensare che, fermo restando il diritto di tutti 
ad una tutela effettiva, l�organizzazione complessiva della giustizia si prenda 
carico delle particolarit� di controversie relative a settori di impatto tutto sommato 
modesto. 
Ecco allora che in dottrina si � iniziato a parlare di Alternative Dispute 
Resolution (ADR), mutuate dal mondo anglosassone (8), vale a dire strumenti 
alternativi per la risoluzione o prevenzione delle controversie, ritenuti generalmente 
pi� adeguati dei canali tradizionali, perch� consentirebbero di pervenire 
ad una soluzione di giustizia della questione in tempi pi� rapidi ma 
soprattutto maggiormente confacenti alle caratteristiche dell�oggetto controverso 
(9). 
Tuttavia, pur non volendo aderire a posizioni estremistiche (10), � comunque 
opportuno ricondurre il fenomeno alla sua giusta misura, osservando 
che da un lato le ADR, anche nell�ordinamento di origine, non hanno dimostrato 
di essere effettivamente la vera panacea dei mali della giustizia togata 
ed attraversano anzi una parabola discendente, e dall�altro che si tratta, generalmente, 
di variazioni rispetto a modelli di strumenti non sconosciuti (o addirittura 
connaturali) al nostro ordinamento, come la conciliazione, 
l�arbitraggio, la perizia arbitrale, e addirittura l�arbitrato, o taluni strumenti di 
deflazione processuali. 
In altre parole, se di ADR si vuole parlare, si deve tenere presente che 
non si tratta di un concetto a s� stante, di un modello �nuovo� di prevenzione 
o soluzione delle controversie, ma di un concetto riassuntivo nel quale ricadono 
strumenti ben riconducibili al nostro ordinamento, che non hanno affatto 
il sapore �esotico� che parte della dottrina gli riconosce (11). Anzi, la stessa 
(8) Ovvero, nelle aree di influenza francese, Modes alternatifs de reglement des conflits (MARC). 
(9) La dottrina in tema di ADR � ormai vastissima. Senza pretesa di completezza si vedano CHIARLONI 
S., Nuovi modelli processuali, in Riv. dir. civ. 1993, I, 269 ss.; CHITI M.P., Le forme di risoluzione 
delle controversie con la pubblica amministrazione alternative alla giurisdizione, in Riv. it. dir. pubbl. 
comunitario 2000, 1 ss.; COMOGLIO L.P., La durata ragionevole del processo e le forme alternative di 
tutela, in Riv. dir. proc. 2007, 591 ss.; DANOVI R., Le Adr (alternative dispute resolutions) e le iniziative 
dell�Unione europea, in Giur. it. 1997, IV, 326 ss.; DE FELICE S., Le A.D.R. (alternative disputes resolution) 
nei confronti della pubblica amministrazione, in www.giustizia-amministrativa.it 2004; NAZZINI 
R., Modelli conciliativi interni al processo (analisi comparativa e tests strutturali), in Riv. dir. proc. 
2002, 844 ss.; PUNZI C., Relazioni fra l�arbitrato e le altre forme non giurisdizionali di soluzione delle 
liti, in Riv. arb. 2003, 385 ss.; SILVESTRI E., Osservazioni in tema di strumenti alternativi per la risoluzione 
delle controversie, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1999, 321 ss.; TARUFFO M., Adeguamenti delle tecniche 
di composizione dei conflitti di interesse, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1999, 779 ss. 
(10) Quale � quella che vede nelle ADR una �moda� per tutto ci� che � nuovo e americano, come 
l�importazione della Coca Cola e dei Blu Jeans� SILVESTRI E., op. loc. ult. cit..
DOTTRINA 271 
categoria delle ADR altro non sarebbe, ad un�osservazione con occhi disincantati, 
che la categoria dei cd. �equivalenti giurisdizionali� (12) � nella quale 
Carnelutti (13) faceva confluire rinuncia, riconoscimento, conciliazione e transazione, 
espungendo in un primo momento l�arbitrato, dal momento che �con 
l�arbitrato siamo ormai sul terreno del processo� � o se si vuole i �negozi di 
prevenzione o composizione delle controversie giuridiche� descritti da Montesano 
(14). 
Ci� � tanto vero che, di fatto, le questioni che maggiormente hanno interessato 
la dottrina non riguardano tanto l�in s� delle ADR, ma piuttosto la loro 
definizione (15), le loro potenzialit� applicative e la possibilit� di una loro importazione 
nel nostro ordinamento, mentre al momento di individuare la disciplina 
applicabile ci si rif� agli istituti consueti. 
Ci� � ancora pi� evidente quando si fa riferimento ai mezzi alternativi 
per la soluzione e/o prevenzione delle controversie con la pubblica amministrazione. 
Al di l� della transazione e dell�arbitrato � strumenti gi� di per s� 
oggetto di una disciplina piuttosto analitica, soprattutto nel settore dei contratti 
pubblici � il legislatore ha previsto e prevede diversi strumenti volti a definire 
o prevenire situazioni di contenzioso con i privati o con altre amministrazioni, 
che la dottrina tende a ricondurre nell�incerta categoria delle ADR. In realt�, 
se si conduce un�indagine con occhi disincantati, ci si avvede che si tratta sempre 
di strumenti pienamente riconducibili � sul piano sistematico � vuoi allo 
schema conciliativo, vuoi all�arbitrato, vuoi ancora all�arbitraggio o alla perizia 
contrattuale. 
Col presente contributo si intende fornire una panoramica dei mezzi di 
risoluzione delle controversie amministrative alternativi alla giurisdizione e 
all�arbitrato, in modo da verificarne le potenzialit� applicative e comprenderne 
la corretta collocazione sistematica. 
(11) Ecco perch� non sembrano giustificate le remore (pur comprensibili) di parte della dottrina 
secondo cui la �moda� delle ADR dovrebbe confrontarsi con la specificit� degli ordinamenti di common 
law di provenienza nonch� con l�osservazione che detti strumenti, in particolare in nord America, si sarebbero 
dimostrati inefficienti, tanto che la �saga americana delle alternative al processo� sarebbe nella 
sua parabola discendente (SILVESTRI E., Op. loc. ult. cit.): strumenti analoghi a quelli americani sono 
gi� ben conosciuti nel nostro ordinamento. 
(12) PUNZI C., Relazioni fra l�arbitrato e le altre forme non giurisdizionali di soluzione delle liti, 
cit., 386; Id., Disegno sistematico dell�arbitrato, Padova 2000, vol. I, 33 ss. 
(13) CARNELUTTI F., Istituzioni del processo civile italiano, 5a ed., Roma 1956, vol. I, 60. 
(14) MONTESANO L., La tutela giurisdizionale dei diritti, 2a ed., Torino 1994, 41. 
(15) Si occupa con dovizia di particolari di trovare una condivisa definizione di ADR NAZZINI R., 
Modelli conciliativi interni al processo (analisi comparativa e tests strutturali), in Riv. dir. proc. 2002, 
844 ss., spec. 847 ss.
272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
2 Individuazione delle �controversie amministrative� 
Prima di procedere alla disamina delle questioni appena accennate, � opportuno 
chiarire cosa possa intendersi per �controversie amministrative�, intendendosi 
per tali quelle controversie in cui la natura della pubblica 
amministrazione � o meglio la rilevanza del pubblico potere � possono influire 
sulla disciplina dei mezzi alternativi di risoluzione delle controversie, diminuendo 
la disponibilit� delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte, ovvero 
incidendo sulle regole procedimentali o processuali. Ci si deve preoccupare, 
infatti, di perseguire un disegno sistematico delle possibilit� che nel diritto 
amministrativo hanno gli strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie, 
ci� che si pu� fare solamente collocando, appunto in maniera sistematica, 
le diverse ipotesi di liti che vedono come parte la pubblica 
amministrazione, al fine di evitare di incorrere nell�errore di accomunare casi 
e questioni diverse, ovvero al contrario di non riconoscere tratti comuni in casi 
simili. 
Secondo la definizione tradizionale, sarebbero controversie amministrative 
quelle nelle quali almeno una delle parti sia un soggetto pubblico o una 
pubblica amministrazione (16). Detto criterio �soggettivo� non pare tuttavia 
dirimente. In senso lato, infatti, che la pubblica amministrazione sia semplicemente 
parte in una controversia non crea di per s� questioni particolari, se 
non l�applicazione delle disposizioni riguardanti la rappresentanza in giudizio 
e il foro competente (17). Inoltre una definizione meramente soggettiva lascia 
fuori dal novero delle controversie amministrative tutte quelle liti tra privati 
in cui rilevi un provvedimento amministrativo o la spendita di un pubblico potere, 
nonch� quelle controversie in cui un soggetto privato � chiamato ad applicare 
disposizioni di diritto pubblico (18). 
Ebbene, in primo luogo non sono controversie amministrative propriamente 
dette quelle in cui la pubblica amministrazione non � distinguibile sul 
piano dell�agire sostanziale da un soggetto di diritto privato. 
Da un punto di vista estremamente ampio, la pubblica amministrazione 
(rectius le singole pubbliche amministrazioni) � infatti una persona giuridica 
di diritto pubblico (art. 11 c.c.) che, al di fuori dei suoi scopi e delle sue funzioni 
istituzionali previsti per legge, agisce, ma prima di tutto Ǐ�, in un contesto 
regolato dal diritto privato. 
Ad esempio la pubblica amministrazione � proprietaria di beni mobili 
(16) CAIA G., Arbitrati e modelli arbitrali nel diritto amministrativo, cit., 1 e 31, che riprende la 
definizione di LA TORRE M., L�arbitrato nel diritto amministrativo, cit., 327. 
(17) Si veda sull�argomento AMORTH G., TOMASICCHIO T., Il giudizio civile con lo stato, Padova 
1963, passim. 
(18) GASPARINI CASARI V., in AA.VV., L�arbitrato. Profili sostanziali, cit., 1010.
DOTTRINA 273 
(anche animali) e immobili; detti beni possono a loro volta essere soggetti a 
particolari regimi a seconda della loro natura di bene demaniale, bene rientrante 
nel patrimonio indisponibile o disponibile dello Stato, di enti pubblici 
o di enti locali, regimi che ne limitano la disponibilit� e/o li vincolano al perseguimento 
dell�interesse pubblico. In ogni modo per� il regime giuridico cui 
detti beni sono sottoposti non muta la disciplina della responsabilit� del proprietario 
o del custode ai sensi degli artt. 2051, 2052, 2053 e 2054 c.c. Ed 
allora qualora un cittadino lamenti nei confronti di una pubblica amministrazione 
di avere subito un danno a causa del dissesto di una strada o di un marciapiede, 
la relativa lite non sar� soggetta a regole diverse da quelle ordinarie, 
salvo, in caso di amministrazione statale, il rispetto delle regole circa la rappresentanza 
in giudizio e il foro erariale (19). 
E ci� vale per la stessa pubblica amministrazione che potr� esperire verso 
i privati (o altre pubbliche amministrazioni) tutte le azioni a difesa della propriet� 
che spettano al privato, oltre ai rimedi in via amministrativa (art. 823 
c.c.). 
Ancora, la pubblica amministrazione pu� disporre degli immobili di cui 
� proprietaria e che non siano connessi all�espletamento di fini istituzionali o 
non siano altrimenti vincolati, decidendo di venderli a terzi ovvero di concederli 
in locazione allo scopo di trarne profitto nell�ambito della sua capacit� 
eminentemente privatistica (20). 
Quando la pubblica amministrazione esercita �attivit� pericolose� � soggetta, 
come ogni altra persona fisica o giuridica, al regime di presunzione di 
colpevolezza dell�art. 2050 c.c. (21), salvo che le attivit� fossero �svolte per 
soddisfare imprescindibili esigenze della collettivit�, nelle quali si identificano 
le sue stesse finalit� istituzionali�, nel qual caso non opera la presunzione di 
(19) In tal senso vedi, da ultimo, Cass. 6 giugno 2008, n. 15042, in Foro it. 2008, I, 2823, con 
nota di PALMIERI A., Custodia di beni demaniali e responsabilit�: dopo il tramonto dell�insidia ancora 
molte incertezze sulla disciplina applicabile; Id., sez. un., 20 ottobre 2006, n. 22521, in Corriere giur. 
2007, 41 ss., con nota di DE LUCAA.M., I �comportamenti� non sorretti da alcun potere. Ancora dubbi 
sulla giurisdizione, secondo la quale la domanda di risarcimento danni dovuto a dissesto del suolo pubblico 
(nella specie l�incuria dell�amministrazione aveva favorito uno smottamento che aveva seriamente 
danneggiato un edificio del ricorrente) deve essere proposta davanti al giudice ordinario giacch� �la domanda 
non investe scelte o atti autoritativi dell�amministrazione, ma attivit� soggetta al principio del 
neminem laedere�. Nello steso senso v. anche Cass., sez. un., 14 gennaio 2005, n. 599; Id., 18 ottobre 
2005, n. 20117; Id., 21 ottobre 2005, n. 20346; Id., 28 novembre 2005, n. 25035. 
(20) V. DELSIGNORE M., La compromettibilit� in arbitrato nel diritto amministrativo, Milano 2007, 
204 s. In tal senso anche Cons. Stato, 1 ottobre 2002 n. 5121, in Foro amm. CDS 2002, 2403, che precisa 
che l�amministrazione, nell�ambito di un�attivit� meramente privatistica che pure deve riconoscersi legittimamente 
attribuibile ed esercitabile, pu� svolgere liberamente la propria attivit� negoziale senza 
dover applicare quelle metodologie procedimentali che la legge impone nell�ambito delle attivit� pubblicistiche-
istituzionali, avendo come soli limiti (derivatigli dalla sua natura pubblica) di cedere il bene 
alle migliori condizioni di mercato, tenendo conto del valore dello stesso secondo le stime dei propri 
organi tecnici. 
(21) Cass. 27 febbraio 1984, n. 1393, in Foro it. 1984, I, 1280 ss.
274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
colpa di cui alla norma citata (22). Ma nel caso in cui l�amministrazione eserciti 
un�attivit� pericolosa al di fuori dei suoi fini istituzionali, allora risorgono 
i principi di cui all�art. 2050 c.c. e le eventuali controversie non si differenzieranno 
in nulla da quelle tra privati. 
In questi casi la pubblica amministrazione non esercita i poteri che le sono 
attribuiti dalla legge per il perseguimento dell�interesse pubblico, ma sconta 
la propria responsabilit� per essere e agire nell�ambito della vita di relazione 
alla stregua di ogni altro soggetto, che sia persona fisica o ente; e quindi se il 
suo �essere� e la sua attivit� non si differenziano da quelli di ogni altro soggetto 
le relative controversie non seguiranno regole diverse da quelle che coinvolgono 
privati (23). 
Detti principi altro non sono che il risvolto sostanziale di quelli enunciati 
dalla Corte Costituzionale e dalla Suprema Corte nel corso degli ultimi anni 
in tema di riparto di giurisdizione e pregiudizialit� amministrativa, che hanno 
scardinato il sistema del riparto fondato su �blocchi di materie�, da poco inaugurato, 
ed hanno aperto la via ad una assimilazione �di fatto� delle questioni 
di giurisdizione alle questioni competenza (24). Lo snodo centrale attorno al 
(22) Cass. 30 novembre 2006, n. 25479, in Danno e resp. 2007, 679 ss. 
(23) Nello stesso senso GASPARINI CASARI V., op. loc. ult. cit.; CASSESE S., L�arbitrato nel diritto 
amministrativo, cit., 312, secondo il quale �� ove le amministrazioni pubbliche sono sottoposte al 
diritto comune, non vi sar� neppure spazio per un vero e proprio arbitrato amministrativo, applicandosi 
alla pubblica amministrazione (�) l�istituto arbitrale di diritto comune� �; AMORTH G., Annotazioni 
sull�arbitrato nelle controversie amministrative, cit., 2163 s.; SCOCA F.C., La capacit� della pubblica 
amministrazione di compromettere in arbitri, in AA.VV., Arbitrato e pubblica amministrazione, cit. 
1991, 103. 
(24) � difficile sintetizzare in poche battute un revriment giurisprudenziale che da un lato ha scardinato 
il sistema del riparto di giurisdizione basato sui cd. �blocchi di materie� inaugurato dal legislatore 
verso la fine degli anni novanta, e dall�altro ha dato la stura ad un ripensamento generale non solo sul 
riparto di giurisdizione, ma addirittura sui rapporti tra giudici appartenenti a diversi ordini, che sempre 
pi� viene ad assomigliare ad un rapporto di competenza, tanto da far sorgere il dubbio �se ha pi� senso 
l�esistenza di un giudice diverso per sindacare l�attivit� dell�amministrazione� e �se non sia pi� corretto 
ipotizzare un giudice specializzato �dell�amministrazione�� (VERDE G., � ancora in vita l�art. 103, 
primo comma, Cost.?, cit.). 
Con la sentenza 6 luglio 2004, n. 204 (in Foro it. 2004, I, 2594, con note di BENINI S., TRAVI A., FRACCHIA 
F.; in Corriere giur. 2004, 1167 ss.; in Nuove autonomie 2004, 545 ss., con nota di TERESI F.; in Urb. e 
app. 2004, 1031, con nota di CONTI R.; in Riv. giur. edilizia 2004, I, 1211, con nota di SANDULLI A.M.; 
in Dir. proc. amm. 2004, 799, con note di CERULLI IRELLI V. e VILLATA R.; in Giust. civ. 2004, I, 2207, 
con note di SANDULLI A.M. e DELLE DONNE C.; in Giur. it. 2004, 2255) la Corte Costituzionale ha ritenuto 
non conforme all�art. 103 Cost. l�attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di 
controversie �per blocchi di materie�, senza che si faccia questione dell�esercizio del pubblico potere, 
non bastando a tal fine che la lite sia pervasa di pubblico interesse (nella specie � stato dichiarato incostituzionale 
l�art. 33, comma 1, d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, come sostituito dall�art. 7, lett. a), l. 21 luglio 
2000 n. 205): perch� l�art. 103 Cost. non sia violato il legislatore pu� �indicare particolari materie nelle 
quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe anche diritti soggettivi�, e rimetterle 
alla giurisdizione del giudice amministrativo in ossequio ai principi di concentrazione e di effettivit� 
della tutela (si badi peraltro che il pregnante significato della congiunzione �anche� nell�art. 103 Cost., 
venne gi� messo chiaramente in risalto da LUIGI MONTESANO in Magistrature - ordinarie e speciali - e
DOTTRINA 275 
arbitri nella giustizia civile secondo la costituzione, in Riv. dir. proc. 1996, 646). Con la successiva sentenza 
11 maggio 2006, n. 191 (in Foro it. 2006, I, 1625, con note di TRAVI A. e DEMARZO G.; in Corriere 
giur. 2006, 922, con nota di DIMAJO A.; in Danno e resp. 2006, 965, con nota di FABBRIZZI G.; in Giust. 
civ. 2006, I, 1107; in Giur. it. 2006, 1729; in Riv. giur. edilizia 2006, I, 465; in Foro amm. CDS 2006, 
1359, con note di FERRERO G. e RISSO F.; in Nuova rass. 2006, 2549; in Dir. proc. amm. 2006, 1005, 
con note di MALINCONICO S. e ALLENA M.) la Corte delle leggi ha specificato che il legislatore non pu� 
attribuire al giudice amministrativo le controversie che afferiscono a �comportamenti� dell�amministrazione 
nemmeno �mediatamente� riconducibili al potere pubblico, quali i comportamenti posti in essere 
�in via di fatto� o in assoluta �carenza di potere�. 
Sempre nel 2006 la Corte di Cassazione con tre ordinanze gemelle (i riferimenti riguardano Cass., sez. 
un., 15 giugno 2006, n. 13911, in Corriere giur. 2006, 1073 ss.; in Foro amm. CDS 2006, 1359, con 
note di FERRERO G. e RISSO F.; in Riv. giur. edilizia 2006, I, 880, con note di SANDULLI A.M. e MARI G.) 
ha sviluppato quanto affermato dal giudice delle leggi precisando che l�azione di risarcimento del danno, 
quando collegata all�esercizio di un potere amministrativo appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo 
e si configura come una forma di tutela dell�interesse legittimo ulteriore e non necessariamente 
collegata pregiudizialmente alla tutela annullatoria del provvedimento. In altre parole il 
risarcimento del danno non sarebbe una posizione giuridica autonoma derivante dalla lesione dell�interesse 
legittimo ma sarebbe una forma di tutela di quello, e potrebbe essere domandata al giudice amministrativo 
a prescindere dalla richiesta di annullamento del provvedimento, contrariamente a quanto 
ritenuto dalla costante giurisprudenza amministrativa. 
Contro questa posizione della Suprema Corte, in aperto conflitto istituzionale, si � schierata l�Adunanza 
Plenaria del Consiglio di Stato 22 ottobre 2007, n. 12 (in Foro it. 2008, III, 1, con nota di TRAVI A.; in 
Corriere giur. 2008, 253, con note di DI MAJO A., PELLEGRINO G.; in Giur. it. 2008, 487; in Contratti 
Stato e enti pubbl., 2008, 97; in Urb. e app. 2008, 339, con nota di GALLO C.E; in Foro amm. CDS 2007, 
2756; in Riv. corte conti 2007, fasc. 5, 265) che ha invece ribadito il carattere consequenziale e ulteriore 
della tutela risarcitoria rispetto a quella annullatoria. Peraltro la Corte di Cassazione, forse prevedendo 
la reazione non favorevole dei giudici di Palazzo Spada nei confronti della caduta della cd. �pregiudiziale 
amministrativa�, nelle tre ordinanze sopra citate si era premurata di precisare che eventuali provvedimenti 
del G.A. che avessero dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento del danno sul presupposto 
della mancata previa impugnazione del provvedimento amministrativo avrebbero potuto essere 
impugnati davanti le stesse Sezioni Unite motivi attinenti alla giurisdizione. 
Ma l�eco della sentenza 204/2004 della Corte Costituzionale avrebbe condotto anche la Suprema Corte 
ad affermare il principio della translatio judicii tra giudice ordinario e giudici speciali (e viceversa) con 
la sentenza a Sezioni Unite del 22 febbraio 2007, n. 4109 (in Foro it. 2007, I, 1009, con nota di ORIANI 
R.; in Urb e app. 2007, 817, con nota di SIGISMONDI G.; in Riv. giur. edilizia 2007, I, 533; in Dir. proc. 
amm. 2007, 796, con nota di SIGISMONDI G.; Giur. it. 2007, 2253; in Riv. dir. proc. 2007, 1577, con nota 
di ACONE M.; in Giurisdiz. amm. 2007, III, 139). Decisione questa in seguito contestata espressamente 
da un�ulteriore sentenza della Corte Costituzionale che, nel non ravvisare nell�ordinamento norme che 
consentano la translatio judicii tra giudici appartenenti ad ordini diversi, ha tuttavia cassato l�art. 30 l. 
6 dicembre 1971 n. 1034, nella parte in cui non prevedeva che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti 
dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di 
giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione, contribuendo all�avvicinamento, 
ormai inesorabile, tra la disciplina delle questioni di giurisdizione a quella delle questioni 
di competenza (Corte cost. 17 marzo 2007, n. 77, in Foro it. 2007, I, 1009, con nota di ORIANI R.; in 
Urb. e app. 2007, 814, con nota di SIGISMONDI G.; in Foro amm. CDS 2007, 753 ss.; in Giust. civ. 2007, 
I, 553 ss.; in Giornale dir. amm. 2007, 958, con nota di PAJNO A.; in Riv. giur. edilizia 2007, I, 487, con 
nota di SANDULLI A.M.; in Dir. proc. amm 2007, 796, con nota di SIGISMONDI G.; in Riv. dir. proc. 2007, 
1577, con nota di ACONE M.). 
Sempre nel solco di un avvicinamento tra le giurisdizioni amministrativa e ordinaria si pone poi Corte 
cost. 27 aprile 2007, n. 140, cit., laddove afferma che, sempre e comunque nel rispetto dei principi esplicitati 
dalle sentt. 204/2004 e 191/2006, nessuna disposizione o principio impone al legislatore di riservare 
al giudice ordinario la tutela dei cd. �diritti fondamentali�, che pertanto ben possono essere rimessi alla 
competenza giurisdizionale del giudice amministrativo. 
Un ulteriore passo verso l�avvicinamento delle questioni di giurisdizione alle questioni di competenza
276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
quale ruota il revriment giurisprudenziale iniziato nel 2004 � culminato nell�art. 
59 l. 18 giugno 2009, n. 69, che disciplina la cd. translatio judicii tra 
giudice ordinario e giudice amministrativo e viceversa � � costituito, se si affronta 
la questione dal lato della giurisdizione, dal �potere amministrativo�: 
la Corte Costituzionale ha affermato che, in ossequio all�art. 103 Cost., non 
ogni materia pu� essere ricompresa nella giurisdizione amministrativa, ma 
soltanto quelle materie che siano almeno �mediatamente� toccate dall�esercizio 
del �potere amministrativo�. 
Quando cio� la pubblica amministrazione agisce al di fuori degli scopi 
che le sono attribuiti dalla legge per il perseguimento dell�interesse pubblico, 
� rappresentato dal pronunciamento delle Sezioni Unite del 9 ottobre 2008, n. 24883 (al momento inedita) 
con la quale la Suprema Corte, promovendo un�interpretazione adeguatrice dell�art. 37 c.p.c. alla 
luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo (asse portante della nuova 
lettura della norma), ha statuito che il difetto di giurisdizione pu� essere eccepito dalle parti in primo 
grado (e solo in primo grado) anche dopo la scadenza dei termini previsti dall�art. 38 c.p.c., e la sentenza 
di primo grado di merito pu� sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione, a prescindere che le 
parti abbiano o meno sollevato la relativa eccezione; viceversa le sentenze di appello sono impugnabili 
per difetto di giurisdizione, e il giudice pu� sollevare d�ufficio la questione, soltanto se sul punto non si 
� formato il giudicato implicito o esplicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimit�. 
Infine, con la sentenza 23 dicembre 2008, n. 30254, ancora inedita, le Sezioni Unite della Suprema 
Corte, dopo aver ribadito che � similemente alle norme sulla competenza � gli artt. 24 e 111 Cost. impongono 
la previsione di congegni che consentano alla parte di riparare l�errore compiuto nella scelta 
del giudice e di superare l�errore di questi nel denegare la giurisdizione, riaffermano � facendo uso del 
potere che si era riservato di conoscere dei casi in cui il giudice amministrativo avesse rifiutato la tutela 
risarcitoria per la mancata previa impugnazione del provvedimento illegittimo � che �proposta al giudice 
amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto 
dall�esercizio illegittimo della funzione amministrativa, � viziata da violazione di norme sulla giurisdizione 
ed � soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo 
che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l�illegittimit� dell�atto 
debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento. Le Sezioni Unite, nel 
dare continuit� all�indirizzo inaugurato nel 2006 (dalle ordinanze n. 13659, 13660 e 13911), danno conto 
dell�evoluzione del concetto di giurisdizione, dovuta a molteplici fattori (il ruolo centrale della giurisdizione 
nel rendere effettivo il primato del diritto comunitario; il canone dell�effettivit� della tutela giurisdizionale; 
il principio di unit� funzionale della giurisdizione nella interpretazione del sistema ad opera 
della giurisprudenza e della dottrina; il rilievo costituzionale del principio del giusto processo; l�ampliarsi 
delle fattispecie di giurisdizione esclusiva, ecc.), e della conseguente mutazione del giudizio sulla giurisdizione 
rimesso alla S.C., tradizionalmente inteso a livello di pura qualificazione della situazione soggettiva 
dedotta, alla stregua del diritto oggettivo. Infatti, giurisdizione, nella Costituzione (artt. 24, 111 
e 113), � termine che va inteso nel senso di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi e, dunque, 
in un senso che comprende le diverse tutele che l�ordinamento assegna ai diversi giudici per assicurare 
l�effettivit� dell�ordinamento. � norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti 
dell�attribuzione del potere giurisdizionale (ripartito tra i diversi ordini di giudici a seconda del tipo di 
situazioni soggettive e di settori di materie), ma anche quella che d� contenuto a quel potere stabilendo 
le forme di tutela attraverso le quali esso si estrinseca. Pertanto, rientra nello schema logico del sindacato 
per motivi inerenti alla giurisdizione, rimesso alle S.U., l�operazione che consiste nell�interpretare la 
norma attributiva di tutela, onde verificare se il giudice amministrativo, ai sensi dell�art. 111, comma 8, 
Cost., la eroghi concretamente, e nel vincolarlo ad esercitare la giurisdizione rispettandone il contenuto 
essenziale� (massima uff.).
DOTTRINA 277 
l�art. 103 Cost. impedisce che eventuali controversie siano attribuite alla giurisdizione 
del giudice amministrativo (25). Quando cio� oggetto della controversia 
sono meri �comportamenti� non distinguibili da quelli di qualunque 
altro soggetto privato e non rileva l�esercizio del pubblico potere attribuito in 
virt� di legge, la giurisdizione su eventuali controversie con l�amministrazione 
appartiene al giudice ordinario (26), n� il legislatore potrebbe attribuirla al 
giudice amministrativo senza violare l�art. 103 Cost. (27). 
Ci� significa, invertendo i termini della questione e privilegiando il punto 
d�osservazione del diritto sostanziale, che quando la pubblica amministrazione 
non agisce esercitando i pubblici poteri nel perseguimento dell�interesse pubblico, 
la sua attivit� e le sue relazioni con gli altri soggetti dell�ordinamento 
sono regolate dal diritto privato (28), le situazioni giuridiche sottostanti sono 
di diritto soggettivo pieno; mancando il pubblico potere nemmeno sono ipotizzabili 
in astratto posizioni di interesse legittimo capaci di giustificare la giurisdizione 
amministrativa. 
Ecco allora che eventuali controversie che potrebbero scaturire dell�essere 
o dall�agire della pubblica amministrazione come un soggetto privato, al di 
fuori delle sue incombenze istituzionali, rientrano tout court nel diritto privato. 
Da questa assimilazione non pu� che discendere che dette controversie sono 
liberamente arbitrabili e transigibili come lo sono quelle tra privati, ferme restando 
tuttavia le disposizioni inerenti la responsabilit� per danno erariale ex 
art. 28 Cost. 
Discorso analogo, in linea con quanto appena riferito, va fatto anche per 
le controversie riguardanti i danni subiti dal privato per causa di un�attivit� 
�reale� dell�amministrazione, ossia quei danni derivanti al privato nell�ambito 
di scelte di mera opportunit� tecnica, al di fuori di ogni valutazione afferente 
a discrezionalit� amministrativa: �vi sono pi� modi per abbattere un edificio 
pericolante, eseguire una disinfezione, eseguire un�analisi chimica e simili. 
Queste scelte non hanno a oggetto la ponderazione di interessi pubblici, ma 
l�applicazione di tecniche. Se l�azione � sbagliata e ha esiti di danno ingiusto, 
l�amministrazione o l�autore della scelta rispondono per fatto illecito civile o 
altro� (penale) (29). Se pertanto ci� che ha prodotto danni al privato � la scelta 
(25) PANZAROLA A., Riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, in 
AA.VV., La giurisdizione nell�esperienza giurisprudenziale contemporanea, a cura di MARTINO R., Milano 
2008, 145 s., 154, 157, 164; SANINO M., Pregiudiziale, risarcimento, translatio. Lo stato della giurisprudenza. 
Spunti di riflessione, in AA.VV., Le nuove frontiere del giudice amministrativo, cit. 47. 
(26) V. ex multis Cass., sez. un., 30 gennaio 2008, n. 2029; Id., 5 marzo 2008, n. 5925; Id., 27 
luglio 2005, n. 15660. 
(27) Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191, cit. 
(28) SANINO M., op. loc. ult. cit.; SCOCA F.C., La capacit� della pubblica amministrazione di compromettere 
in arbitri, in AA.VV., Arbitrato e pubblica amministrazione, cit. 1991, 100. 
(29) Cos� GIANNINI M.S., Istituzioni di diritto amministrativo, IIa ed., Milano 2000, 270.
278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
dell�amministrazione fondata su parametri esclusivi di opportunit�, al di fuori 
dell�esercizio del pubblico potere (ancorch� nell�occasione), le relative controversie, 
sottratte al sindacato di legittimit� del giudice amministrativo (salvi 
i casi tassativi di giurisdizione di merito) avranno ad oggetto diritti soggettivi 
e saranno transigibili e arbitrabili alla stregua del diritto comune (30). 
Parimenti non rientrano strictu sensu tra le controversie amministrative 
quelle che possono venire in essere quando l�amministrazione agisce per l�attuazione 
dei suoi fini istituzionali non gi� avvalendosi della sua posizione di 
supremazia, ma servendosi degli strumenti di diritto privato che danno luogo 
a rapporti contraddistinti da diritti soggettivi perfetti (31). 
Un caso a parte � rappresentato dalle controversie in materia di contratti 
pubblici. Come noto l�art. 244 d.lgs. 163/06 devolve alla giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo tutte le controversie, incluse quelle risarcitorie, 
relative alle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture svolte da 
soggetti (pubblici o privati) comunque tenuti all�applicazione della normativa 
comunitaria ovvero al rispetto delle procedure di evidenza pubblica. Fino a 
che non sia avvenuta la stipulazione del contratto l�intera vicenda � regolata 
dal diritto amministrativo (32), e in particolare dalle norme in tema di evidenza 
pubblica: il contraente pu� vantare nei confronti della stazione appaltante solo 
posizioni di diritto amministrativo ed eventuali liti sono rimesse alla giurisdizione 
di legittimit� del giudice amministrativo (33). 
(30) E cos� se l�amministrazione deve provvedere all�abbattimento di un edificio pericolante, 
ferma la legittimit� del provvedimento, potr� farlo secondo diverse modalit�: esplosivo, ricorso a mezzi 
meccanici ovvero esclusivamente al lavoro degli operai. Detta scelta risponde ad esigenze di mera opportunit�, 
non ha cio� i caratteri della discrezionalit� amministrativa n� � in gioco il pubblico interesse: 
risponde infatti a pubblico interesse l�abbattimento dell�edificio pericolante, mentre la scelta delle modalit� 
operative con cui il pubblico interesse viene perseguito afferisce a meri criteri di opportunit�. 
Semmai la scelta dell�amministrazione sar� orientata dal principio del alterum non laedere di cui all�art. 
2043 c.c. Si tratta in altre parole, anche in questo caso, di meri �comportamenti� della pubblica amministrazione 
che, seppur mediatamente collegati all�esercizio del pubblico potere, danno comunque luogo 
a posizioni di diritto soggettivo rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario, e pertanto transigibili 
e arbitrabili alla stregua del diritto comune. In senso analogo v. Cass., sez. un., 20 ottobre 2006, n. 22521, cit. 
(31) CAPACCIOLI E., L�arbitrato nel diritto amministrativo, cit., 3 ss.; Cass. 2 febbraio 1966, n. 
372, a proposito della compromettibilit� per arbitri delle controversie relative alle forniture. 
(32) Lo spartiacque tra la giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo, 
e prima ancora tra la fase di diritto pubblico e quella disciplinata dalle regole del diritto civile, � rappresentata 
dalla stipulazione del contratto. In dottrina v. DALEFFE G., SPACCAPELO C., Le disposizioni processuali 
del nuovo codice dei contratti pubblici, cit., 955. 
(33) Sembra fare eccezione la posizione dell�aggiudicatario nel caso in cui la stazione appaltante 
rifiuti di stipulare il contratto, al di fuori delle ipotesi di autotutela. Occorre infatti domandarsi, in tale 
situazione, di quale tipo sia la posizione soggettiva dell�aggiudicatario, se interesse legittimo o diritto 
soggettivo. A nostro modo di vedere non sembra seriamente contestabile che la situazione giuridica soggettiva 
che si crea in capo all�aggiudicatario sia un vero e proprio diritto soggettivo (Cass., sez. un., 11 
giugno 1998, n. 5807, in Riv. C. Conti 1998, II, 240). Ritenere infatti che, a fronte dei poteri in capo alla 
amministrazione di non stipulare il contratto in esercizio di autotutela, la posizione dell�aggiudicatario 
presenti la consistenza di un interesse legittimo al corretto uso del potere, pare contrastare, sul piano si-
DOTTRINA 279 
A valle della stipulazione del contratto si entra nella fase privatistica dei 
rapporti tra il contraente e la stazione appaltante; eventuali controversie rientrano 
pertanto nella giurisdizione del giudice ordinario (34), essendo inerenti 
a rapporti di diritto privato. 
Pertanto, se ci� � vero, se ne dovrebbe ricavare che anche le liti in materia 
di contratti pubblici, dal momento che ineriscono a rapporti di diritto privato 
e rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, siano transigibili e arbitrabili 
alla stregua del diritto comune (35). Eppure cos� non �. Infatti, come si 
vedr� nel paragrafo successivo, la disciplina della transazione nella materia 
dei contratti pubblici � soggetta a vincoli formali, procedurali e sostanziali, 
mentre l�arbitrato � stato da sempre oggetto di una disciplina particolarmente 
analitica e � soprattutto in passato � limitativa dell�autonomia delle parti, senza 
contare che pi� volte, l�ultima con l�art. 3, comma 19, l. 24 dicembre 2007, n. 
244 (legge finanziaria per il 2008) il legislatore ne ha espressamente vietato 
l�utilizzo (36). 
stematico, con l�affermata configurabilit� di una responsabilit� precontrattuale della P.A. di fronte al legittimo 
affidamento dell�aggiudicatario alla stipulazione del contratto (v., ex multis, T.A.R. Lazio, sez. 
I, 7 luglio 2003, n. 5991, in Foro Amm. T.A.R. 2003, 2297, con riferimento alla mancata stipula del contratto 
per sopravvenuta carenza di fondi; Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 2005, n. 920, in Foro Amm CDS 
2005, 738; Cons. Stato, Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6, ivi, 2005, 2515). Sull�argomento v., se si 
vuole, POLINARI J., Le fasi della formazione del contratto pubblico: brevi note a prima lettura sugli artt. 
11 e 12 del codice dei contratti pubblici, in Rass. avv. Stato 2006, 185, spec. 189 s. 
(34) Ad eccezione delle controversie relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti e quelle relative 
alla revisione dei prezzi, che restano appannaggio della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 
(35) Cos� precisamente DELSIGNORE M., La compromettibilit�, cit., 208, 212. 
(36) Con un velato eufemismo si pu� dire che la vicenda normativa relativa all�ultimo divieto di 
arbitrato nel settore dei contratti pubblici � �complicata�. Il divieto venne introdotto dall�art. 3, comma 
19, l. 24 dicembre 2007, n. 244. �legge finanziaria per il 2008�, che dett� anche una complicata e difficilmente 
riconducibile a congruit� disciplina transitoria e di entrata in vigore. In ogni modo l�entrata 
effettiva in vigore del divieto � successivamente stata pi� volte rimandata, l�ultima con l�art. 1 ter d.l. 
23 ottobre 2008, n. 162, convertito con modificazioni in l. 22 dicembre 2008, n. 201, che ha differito al 
30 marzo 2009 il termine gi� differito con il d.l. 3 giugno 2008, n. 97, convertito in legge con modificazioni 
da l. 2 agosto 2008, n. 129, che ha anche disciplinato i rapporti conseguenti alla mancata conversione 
in legge del d.l. 30 giugno 2008, n. 113, e che appunto prevedeva il differimento di alcuni 
termini di entrata in vigore di alcune disposizioni normative. Nel frattempo, l�art. 15, d.l. 31 dicembre 
2007, n. 248 ha differito l�entrata in vigore del divieto al 1 luglio 2008 al fine di consentire la devoluzione 
delle liti di oggetto del divieto alle costituende sezioni specializzate in materia di propriet� industriale 
di cui al d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168. 
Sul divieto di arbitrato in materia di contratti pubblici, che richiama alla memoria il precedente divieto 
stabilito dalla prima versione dell�art. 32 l. �Merloni�, si vedano CAPPONI B., La legge finanziaria per 
il 2008 e il divieto di arbitrato, relazione tenuta al convegno IGI in Roma, 17 gennaio 2008, in 
http://www.igitalia.it/doc/12.pdf; LOMBARDINI I., Arbitrato delle opere pubbliche, in AA.VV. Arbitrati 
Speciali, commentario diretto da CARPI F., Bologna 2008, 166 s.; MANFREDI G., Le stagioni dell�arbitrato: 
dall�obbligo al divieto?, in Urb. e app. 2008, 275 ss.; POLINARI J., L�abolizione dell�arbitrato in 
materia di contratti pubblici � Riflessioni a margine di un rapporto controverso, in Appalti e contratti 
2008, fasc. 8-9, 45 ss.; TRAVI A., Arbitrati negli appalti pubblici: nuovi divieti e incertezze persistenti, 
in Corriere giur. 2008, 499 ss.
280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Peraltro va osservato che le cautele che il legislatore ha introdotto nella 
disciplina della transazione, dell�arbitrato e degli altri strumenti di soluzione 
e/o prevenzione delle controversie scompaiono del tutto nel caso in cui la 
medesima lite sia invece devoluta, per quanto di sua competenza, alla giurisdizione 
ordinaria. Le norme del codice dei contratti pubblici, tanto prodighe 
di prescrizioni verso la transazione, l�accordo bonario e l�arbitrato, non 
dettano alcuna disciplina per le liti che si svolgono apud judicem, salvo alcune 
disposizioni in materia cautelare, peraltro applicabili solamente nelle 
controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
(art. 245 d.lgs. 163/06), e norme capitolari che posticipano la risoluzione 
delle riserve a collaudo avvenuto (37). 
L�osservazione che si pu� trarre da questo panorama normativo � che il 
legislatore, pur non disconoscendo affatto la natura eminentemente ed innegabilmente 
privata delle controversie in questione, non ha potuto non rilevare 
che l�intera materia dei contratti pubblici attiene ad un settore 
dell�economia fortemente permeato di interesse pubblico, vuoi perch� il 
committente ha quasi sempre natura pubblica � e cos� anche le risorse impiegate 
� vuoi perch� l�esecuzione del contratto, che si tratti della realizzazione 
di un�opera pubblica ovvero dell�esecuzione di un servizio o di una 
fornitura, risponde sempre e comunque all�esigenza di perseguimento dell�interesse 
pubblico. Ecco allora che sotto questa luce si giustificano non 
solo le limitazioni all�autonomia negoziale delle parti nella costruzione negoziale 
del contratto d�appalto, ma anche le disposizioni in tema di transazione 
e arbitrato. 
Il fatto poi che il legislatore non abbia dettato nessuna norma per le liti 
che si svolgono davanti al giudice ordinario significa solo che non ha ravvisato 
le stesse esigenze di cautela per il caso in cui la lite vada ad incardinarsi 
davanti ad un organo appartenente all�organizzazione giudiziaria, ritenendo 
che la sua posizione istituzionale dia garanzie sufficienti anche con riguardo 
alla salvaguardia dell�interesse pubblico, diversamente da quanto potrebbe 
invece attendersi quando la lite sia affidata all�autonomia privata delle parti. 
Quindi, anche se nelle liti in materia di contratti pubblici, una volta varcato 
il momento dell�aggiudicazione, non si pongono questioni circa l�eser- 
(37) V. l�art. 33 d.m. Ministero dei Lavori Pubblici 19 aprile 2000, n. 145: �1. L�appaltatore che 
intenda far valere le proprie pretese nel giudizio ordinario o arbitrale deve proporre la domanda entro il 
termine di decadenza di sessanta giorni, decorrente dal ricevimento della comunicazione di cui all�articolo 
149, comma 3, del regolamento, o della determinazione prevista dai commi 1 e 2 dell�articolo 32 
del capitolato, oppure dalla scadenza dei termini previsti dagli stessi commi 1 e 2. 
2. Salvo diverso accordo delle parti, e qualora la domanda non abbia ad oggetto questioni la cui definizione 
non � differibile nel tempo, la controversia arbitrale non pu� svolgersi prima che siano decorsi i 
termini di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 32. 
3. Se nel corso dell�appalto sono state proposte pi� domande di arbitrato in relazione a diverse procedure 
di accordo bonario, queste sono decise in un unico giudizio ai sensi del comma 2�.
DOTTRINA 281 
cizio - legittimo o meno - del pubblico potere, il fatto che l�oggetto della 
controversia, e prima ancora del contratto, sia fortemente permeato di pubblico 
interesse, se non muta la natura eminentemente privatistica del rapporto 
sostanziale, non � sufficiente a consentire la devoluzione della controversia 
al giudice amministrativo (38), ma pu� giustificare l�imposizione di una disciplina 
che, per il caso di composizione e/o risoluzione alternativa, limiti 
in qualche modo l�autonomia privata delle parti (39). 
3. La transazione 
La transazione � il negozio col quale le parti, �facendosi reciproche concessioni, 
pongono fine ad una lite gi� cominciata o prevengono una lite che 
pu� insorgere tra loro� (art. 1965 c.c.). 
Presupposti di validit� della transazione sono l�esistenza di un caput 
controversum, di una situazione di incertezza giuridica cui le parti intendono 
porre rimedio, e le reciproche concessioni, l�aliquid dare e l�aliquid retinere, 
che differenziano il negozio di cui ci si occupa dalle ipotesi di abdicazione 
al proprio diritto o riconoscimento dell�altrui, facendone un contratto a prestazioni 
corrispettive. 
I diritti che formano oggetto del negozio non devono essere sottratti, 
per loro natura o per disposizione di legge, alla disponibilit� delle parti, pena 
la nullit� del contratto (art. 1966 c.c.). 
Quanto alla forma, le disposizioni del codice civile non richiedono la 
forma scritta ad substantiam, ma solo quella ad probationem (art. 1967 c.c.), 
salvo che la transazione verta su controversie relative a rapporti giuridici di 
cui all�art. 1350 c.c. � nel qual caso la forma scritta sar� richiesta per la validit� 
dell�atto (art. 1350, n. 12, c.c.) � ovvero sia altrimenti disposto dalla 
legge. 
Si suole distinguere il negozio in due diverse fattispecie: a) transazione 
semplice, che si ha quando le parti si accordano per modificare o integrare 
il preesistente rapporto senza travolgerlo (art. 1965, comma 1, c.c.); b) transazione 
�novativa� o �innovativa�, caratterizzata dall�estinzione del preesistente 
rapporto tra le parti, e dalla sua sostituzione con una diversa fonte 
di regolazione (art. 1976 c.c.). A quest�ultima ipotesi � assimilabile la cosiddetta 
transazione mista, che si ha allorch� oggetto delle reciproche con- 
(38) La Corte Costituzionale, con la sentenza 204/2004, cit., ha infatti stabilito che, perch� l�art. 
103 Cost. sia rispettato, perch� una controversia possa legittimamente essere devoluta al giudice amministrativo 
non � sufficiente che sia pervasa da pubblico interesse. 
(39) Il contratto d�appalto di opere pubbliche � considerato paradigmatico dei �contratti di diritto 
privato speciale� che in dottrina si sono distinti dai �contratti di diritto pubblico� quali concessioni, 
convenzioni urbanistiche, convenzioni in materia sanitaria, servizi: GRECO G., I contratti dell�amministrazione 
tra diritto pubblico e privato, Milano 1986, 105 ss.
282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
cessioni siano rapporti diversi da quello controverso (art. 1965, comma 2, 
c.p.c.) (40). La transazione comporta un superamento del preesistente stato 
dei rapporti tra le parti, sia che l�autonomia negoziale vi abbia solo apportato 
modifiche, come nel caso della transazione semplice, sia che lo abbia sostituito 
totalmente con una diversa fonte di regolazione avente origine negoziale (41). 
Quanto alle pubbliche amministrazioni, la transazione era gi� prevista e 
disciplinata prima che il Codice degli Appalti codificasse, senza peraltro aggiungere 
particolari innovazioni, la facolt� della stazione appaltante e dell�esecutore 
dell�opera pubblica di transigere ogni possibile lite gi� insorta o sul 
punto di insorgere. 
La transazione infatti � istituto a carattere generale, e pu� essere utilizzata 
da tutti i soggetti dell�ordinamento � comprese le pubbliche amministrazioni 
� salvo che non vi sia un�espressa esclusione di legge (42). Peraltro la natura 
pubblica di una delle parti ha imposto la disciplina di determinati aspetti della 
genesi e del modo di essere del contratto ulteriori rispetto a quanto previsto 
dal codice civile. 
In primo luogo la legge si preoccupa di individuare i soggetti titolari del 
potere di approvare le transazioni. Per quanto attiene le amministrazioni statali, 
l�art. 16 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 individua nei dirigenti di uffici dirigenziali 
generali i soggetti titolari del potere di conciliare e di transigere (oltre a 
promuovere e resistere alle liti). Quanto agli altri soggetti pubblici il soggetto 
titolare del potere di concludere transazioni viene di volta in volta individuato 
dalla legge o dal regolamento interno dell�ente. Per quanto riguarda in particolare 
gli enti locali, il potere di stipulare transazioni dovrebbe rientrare tra i 
poteri della Giunta (43), non essendo espressamente menzionata tra le attribuzioni 
del Consiglio di cui all�art. 42 del Testo Unico. 
Con riferimento alle amministrazioni statali e alle Regioni che intendono 
avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, l�art. 13, l. 30 ottobre 
1933, n. 1611 (testo unico sulla difesa in giudizio dello Stato), attribuisce al- 
(40) Sulla transazione in generale vedi TRABUCCHI A., Istituzioni di diritto civile, Padova 2000, 
811 ss.; BONILINI G., Contratti diretti alla composizione e prevenzione delle liti, in Manuale di diritto 
privato, a cura di BESSONE M., Torino 2003, 896 ss.; DEL PRATO E., voce Transazione (diritto privato), 
in Enc. Dir. 1992, vol. XLIV, 813 ss.; MOSCARINI L. V., CORBO N., voce Transazione (diritto privato), 
in Enc. Giur. 1994, vol. XXI; SANTORO PASSARELLI F., La transazione, Napoli 1975; Id., Negozio e giudizio, 
in Riv. trim. dir. proc. civ. 1956, 185 ss. 
(41) In questo senso vedi DEL PRATO E., voce Transazione (diritto privato), cit., 828 ss.; MOSCARINI 
L. V., CORBO N., voce Transazione (diritto privato), cit., 9. 
(42) V. Cons. Stato, sez. VI, 2 agosto 2004, n. 5365; Id., sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3045; T.A.R. 
Bologna 30 ottobre 1984, n. 462; Id. Catanzaro, sez. I, 4 maggio 2006, n. 485. FERRARI G., in AA.VV., 
Codice degli appalti pubblici, a cura di GAROFOLI R. e FERRARI G., Roma 2007, sub art. 239, 1290. 
(43) Arg. ex artt. 48, 107 e 42 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 �testo unico delle leggi sull�ordinamento 
degli enti locali�. Cos� anche Cass. 2 febbraio 2005, n. 2072, nel vigore della l. 8 giugno 1990 n. 
142.
DOTTRINA 283 
l�Avvocatura la funzione di predisporre transazioni d�accordo con le amministrazioni 
interessate o di esprimere parere su quelle redatte in proprio dalle 
amministrazioni medesime (44). 
Da ultimo, le delibere di approvazione di atti transattivi sono sottoposte 
al controllo preventivo della Corte dei Conti (45). 
Quanto alla forma, dal momento che la pubblica amministrazione pu� 
concludere contratti solo per iscritto, la transazione richiede forma scritta ad 
substantiam (46). 
L�art. 239 d.lgs. 13 aprile 2006, n. 163, cd. �codice degli appalti�, detta 
per la prima volta una disciplina espressa della transazione nella materia dei 
contratti pubblici, e la configura come strumento parzialmente alternativo alla 
procedura di �accordo bonario� di cui all�art. 240, fissandone requisiti e sottoponendola 
ad un procedimento ad hoc. Come si � accennato supra, i rapporti 
nascenti da contratti pubblici non si differenziano da quelli che scaturiscono 
da contratti tra privati, se non per la rilevante presenza dell�interesse pubblico, 
che giustifica talune limitazioni alla autonomia privata delle parti (47). In particolare, 
con riferimento alla transazione, il legislatore ha previsto specifici 
adempimenti procedurali, quali la necessit� di acquisire preventivamente il 
parere dell�avvocatura che difende il soggetto pubblico (48). In deroga alla 
disciplina sopra riassunta, l�art. 239 d.lgs. 163/06 richiede il parere dell�avvocatura 
solo qualora il valore degli importi oggetto delle reciproche concessioni 
ecceda la soglia dei 100.000,00 euro, mentre non � necessario per un 
importo pari od inferiore. In caso in cui la difesa in giudizio dell�ente non sia 
(44) Il parere dell�Avvocatura dello Stato, quantomeno con riferimento alle sole amministrazioni 
statali, � ritenuto da costante giurisprudenza della Corte dei Conti sufficiente per escludere la responsabilit� 
contabile del dirigente (C. conti 26 giugno 2002, n. 212/A; Id. 31 maggio 2002, n. 173/A). N� si 
ritiene sufficiente, perch� i dirigenti siano liberi da responsabilit� contabile, un parere dell�avvocatura 
erariale purchessia: la Corte dei Conti ha infatti ritenuto che Ǐ improntato a superficialit� e negligenza 
il comportamento di alcuni amministratori di un ente pubblico che hanno stipulato una transazione sulla 
base di un parere, generico ed apodittico, mentre sarebbe stata necessaria un�approfondita analisi, all�uopo 
chiedendo il parere di un organo a ci� deputato dall�ordinamento quale l�Avvocatura Generale 
dello Stato�. 
(45) L�art. 3, comma 1, lett. g), L. n. 20/1994, il controllo della Corte si esercita sui �decreti che 
approvano contratti delle amministrazioni dello Stato, escluse le aziende autonome; attivi, di qualunque 
importo, ad eccezione di quelli per i quali ricorra l�ipotesi prevista dall�ultimo comma dell�articolo 19 
del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440; di appalto d�opera, se di importo superiore al valore in 
ECU stabilito dalla normativa comunitaria per l�applicazione delle procedure di aggiudicazione dei contratti 
stessi; altri contratti passivi, se di importo superiore ad un decimo del valore suindicato�. 
(46) FERRARI G., op. loc. ult. cit.; Cass. 2 febbraio 2005, n. 2072; Id. 29 novembre 2005, n. 26047; 
Id. 6 giugno 2002, n. 8192, in Nuova giur. civ. 2003, I, 185, con nota di PASSALALPI E.; Id. 30 luglio 
1996, n. 6908, Foro it.1997, I, 891; Id. 23 marzo 1987, n. 2839. 
(47) DALEFFE G., SPACCAPELO C., Le disposizioni processuali del nuovo codice dei contratti pubblici, 
cit., 950. 
(48) Non necessariamente l�Avvocatura dello Stato: qualora presso l�ente sia costituita un�apposita 
avvocatura, come presso certi comuni o certe province, sar� sufficiente il parere di quella.
284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
affidato ad un�apposita avvocatura, � sufficiente il parere del funzionario di 
grado pi� elevato competente per il contenzioso (49). 
Altra deroga rispetto alle disposizioni codicistiche riguarda l�impossibilit� 
di concludere transazioni novative dal momento che le regole comunitarie e 
nazionali in tema di contratti pubblici impediscono che il rapporto tra il soggetto 
aggiudicatore e il privato possa essere modificato a tal punto da dare vita 
ad un rapporto del tutto nuovo (50). 
Venendo ai rapporti propriamente di diritto pubblico, si pu� distinguere 
tra i rapporti in cui viene in gioco il pubblico potere �gi� esercitato�, dai rapporti 
aventi invece ad oggetto proprio l��esercizio� del pubblico potere. 
I primi presuppongono che l�esercizio del potere da parte dell�amministrazione 
si sia esaurito e perfezionato in un provvedimento. Si tratta pertanto 
di rapporti che sorgono quali �effetti� del provvedimento amministrativo e da 
questo promanano; effetti che naturalmente non si esauriscono nell�ambito 
degli effetti desiderati dall�amministrazione che lo ha posto in essere, ma che 
appunto possono dare vita ad una serie di rapporti tra privati dei quali l�amministrazione 
non � parte (51). Generalmente la transazione su questi rapporti 
persegue l�interesse dell�amministrazione alla salvaguardia del provvedimento 
amministrativo e dei suoi effetti dall�impugnazione da parte del privato, che 
viene tacitato dietro il riconoscimento di un bene o, pi� spesso, dietro l�esborso 
di una somma di denaro o altra utilit�. 
Il secondo tipo di rapporti ha invece ad oggetto proprio l�esercizio del 
potere amministrativo. Diversamente dai rapporti che si sono appena descritti, 
in questi l�oggetto non si riduce agli effetti di un potere amministrativo gi� 
(49) Quid juris nel caso in cui presso l�ente non sia costituita un�apposita avvocatura (e l�ente 
non sia rappresentato n� ope legis n� dietro volont� dall�Avvocatura dello Stato) ma disponga al suo interno 
di un servizio di consulenza legale? Sar� comunque obbligatorio rivolgersi all�ufficio legale interno 
o, perch� l�art. 239 sia rispettato, sar� sufficiente il parere del funzionario pi� elevato in grado competente 
per il contenzioso? E il parere dell�ufficio legale sarebbe a sua volta sufficiente? 
Tale aspetto non pu� essere risolto in via generale, dovendosi di volta in volta esaminare le regole che 
disciplinano il funzionamento dell�amministrazione e le competenze del dirigente chiamato a decidere 
sulla transazione: infatti, potrebbe esistere una disposizione dello statuto, ovvero una delibera di Consiglio 
o di Giunta, che obblighino ad acquisire il parere dell�ufficio legale dell�ente, ovvero potrebbe 
verificarsi che la competenza di questi a pronunziarsi derivi dalle attribuzioni allo stesso spettanti in 
base all�assetto organizzativo interno. In mancanza di disposizioni diverse sembrerebbe doversi ritenere 
che, nonostante la presenza di un ufficio di consulenza legale presso l�ente, non si possa prescindere dal 
parere del funzionario all�uopo individuato, cui la norma di legge attribuisce la responsabilit� amministrativa 
e contabile della transazione (arg. ex C. conti 26 giugno 2002, n. 212/A; Id. 31 maggio 2002, n. 
173/A). 
(50) DALEFFE G., SPACCAPELO C., op. loc. ult. cit.; AMORIZZO M.G., La transazione, in AA.VV., 
La tutela in tema di appalti pubblici, Napoli 2007, 634; cos� anche l�Autorit� di Vigilanza per i Contratti 
Pubblici, con deliberazione 13 settembre 2001, n. 308. 
(51) Si pensi al caso, che sar� prospettato pi� oltre, del rapporto che pu� intercorrere tra il privato 
danneggiato dal provvedimento amministrativo, e pertanto interessato al suo annullamento, e il privato 
invece favorito dall�interesse pubblico, e pertanto interessato alla sua conservazione.
DOTTRINA 285 
esaurito e definito. Viceversa qui il potere amministrativo � ancora in potenza, 
e oggetto del rapporto con i privati o le altre amministrazioni consiste proprio 
nelle future modalit� di esercizio (o non esercizio) del potere stesso. Potere 
che spetta all�amministrazione originariamente, ed � ad essa attribuito dalla 
legge in vista della soddisfazione dell�interesse pubblico. La questione dell�ammissibilit� 
di accordi con cui l�amministrazione si vincola, nei confronti 
dei privati o di altre amministrazioni, nell�esercizio (o non esercizio) del pubblico 
potere attiene al dibattito inerente il cd. �contratto di diritto pubblico�, 
inteso come �contratto avente per oggetto proprio lo svolgimento o il non svolgimento 
di funzioni pubbliche�, dibattito essenzialmente rivolto sulla ammissibilit� 
teorica �di una categoria di convenzioni in cui sia dedotto in 
obbligazione l�esercizio stesso della potest� amministrativa� (52). 
Nel primo tipo di rapporti il potere amministrativo si � esaurito e concretizzato 
almeno con riferimento alla soddisfazione dell�interesse speciale e concreto 
che l�edizione dell�atto voleva perseguire. Le situazioni giuridiche 
soggettive in gioco che residuano sono, pertanto, da una parte l�interesse dell�amministrazione 
a che il provvedimento amministrativo che essa assume 
emesso per la tutela dell�interesse pubblico (generale e specifico) non sia rimosso, 
dall�altro l�interesse legittimo del privato eventualmente leso dall�atto 
amministrativo, che egli assume illegittimo, a che questo sia posto nel nulla, 
oltre al risarcimento del danno. 
Nel secondo tipo di rapporti viene in rilievo primariamente la piena sussistenza 
del potere amministrativo che la pubblica amministrazione �deve� 
esercitare per il perseguimento dell�interesse pubblico (generale e speciale), 
oltre all�interesse legittimo del privato a che il potere sia legittimamente esercitato. 
La differenza tra le due situazioni � palese. Nella prima l�esercizio del 
potere si atteggia a presupposto, � gi� avvenuto ed eventuali controversie saranno 
tese ad accertare se tale esercizio sia stato o meno conforme alla legge. 
Non � in discussione la spendita del potere amministrativo, ma il suo corretto 
esercizio nel caso concreto: l�esercizio del potere amministrativo appartiene 
al passato e si tratter� semmai di regolare gli effetti dell�esercizio del potere. 
Nella seconda delle rappresentazioni prospettate invece l�amministrazione non 
ha ancora esercitato il potere. � in discussione proprio l�esercizio in concreto 
di un potere che le � attribuito originariamente e unilateralmente dalla legge. 
Un potere che, come si vedr� subito, non � libero ma � doppiamente vincolato. 
La legge e l�interesse pubblico non sono parametro della correttezza di una 
vicenda del passato ma sono faro per l�esercizio di una potest� per il futuro. 
(52) Cos� NIGRO M., Conclusioni, in AA.VV., L�accordo nell�azione amministrativa, a cura di 
MASUCCI A., in Quaderni Formez, Roma 1988, 86. V. in argomento, per un ampio excursus storico, il 
bel saggio di GRECO G., Accordi amministrativi, tra provvedimento e contratto, Torino 2003.
286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Si potrebbe dire che nel primo dei rapporti descritti ci si trova di fronte 
ad una realt� �statica� e rivolta al passato, nel secondo ad una realt� �dinamica
� e rivolta al futuro. 
4. La disponibilit� del potere amministrativo e suoi limiti 
Tradizionalmente la dottrina, soprattutto quella anteriore alla l. 241/90, 
ha riferito l�indisponibilit� del potere amministrativo, senza peraltro fornire 
una qualsivoglia motivazione a questo assunto quasi dogmatico (53). Il potere 
amministrativo � unilaterale (54), attribuito dalla legge alle pubbliche amministrazioni 
in casi tassativi e tipici (55) per la tutela e il perseguimento dell�interesse 
pubblico. 
Proprio perch� attribuito in vista di uno scopo se ne inferisce che detto 
potere sia �vincolato� e �doveroso�, ossia vincolato alla soddisfazione dell�interesse 
pubblico quando e se viene esercitato, doveroso nel senso che, laddove 
ne ricorrano i presupposti, l�amministrazione ha l�obbligo di esercitare 
il potere per perseguire l�interesse pubblico (56). Ne deriva che l�interesse 
pubblico condiziona doppiamente il potere amministrativo: questo � conferito 
all�amministrazione dalla legge �solo� per la soddisfazione dell�interesse pubblico, 
e pu�, e deve, essere esercitato �solo� per la soddisfazione dell�interesse 
pubblico. Se non fosse in gioco l�interesse pubblico il potere non sarebbe stato 
conferito all�amministrazione, e, una volta conferito, questa non pu� esercitarlo 
che per la soddisfazione di quello; altrimenti l�atto sarebbe viziato di eccesso 
di potere (57). E quindi, ogni volta che si manifesti la necessit� di tutelare 
l�interesse pubblico, l�amministrazione non pu� che esercitare il potere. 
Corollario necessario di queste affermazioni � che l�attribuzione del potere 
� ossia la funzione amministrativa intesa come soddisfazione dell�interesse 
pubblico � � per l�amministrazione assolutamente indisponibile (58). Il 
potere � attribuito per il perseguimento di interessi che non sono �dell�amministrazione
�, ma ne costituiscono il fine istituzionale: applicando quanto si � 
detto sopra a proposito della disponibilit�, in questo caso nemmeno si pu� parlare 
di interessi coincidenti e concorrenti con quelli dell�amministrazione, dal 
(53) CAIA G., Arbitrati e modelli arbitrali, cit., 199; Id., Materia compromettibili in arbitrato, in 
AA.VV., Arbitrato e pubblica amministrazione, cit. 1999, 18; DE LISE P., L�arbitrato nel diritto amministrativo, 
in Riv. trim. dir. proc. civ. 1991, 1196. 
(54) Ossia di fonte non contrattuale: CORSO G., Manuale di diritto amministrativo, Torino 2003, 
140. 
(55) CORSO G., L�attivit� amministrativa, Torino 1999, 122. 
(56) V. ancora CORSO G., Manuale, cit., 140 ss. 
(57) GRECO G., Accordi amministrativi, cit., 144. 
(58) Cos� DE LISE P., DELFINO B., Arbitrato e pubblica amministrazione, in Arch. giur. oo. pp. 
2000, 2053; DE LISE P., L�arbitrato nel diritto amministrativo, cit., 1196; GOISIS F., La giustizia sportiva, 
cit., 261 s.; VERDE G., Nuove riflessioni su arbitrato e pubblica amministrazione, cit., 698.
DOTTRINA 287 
momento che nemmeno viene in rilievo un interesse �proprio� della struttura 
amministrativa; questa infatti � stata creata e si giustifica solo per l�esigenza 
di soddisfare il pubblico interesse tramite l�esercizio del potere. 
Semmai si pu� dire che l�interesse istituzionale dell�amministrazione 
coincida con l�interesse pubblico per il quale � stata posta in essere sul piano 
organizzativo. Il punto fondamentale � per� che l�amministrazione non pu� 
disporre dell�attribuzione del potere amministrativo, dal momento che la rinunzia 
impedirebbe ipso facto la realizzazione dello scopo per cui � stata creata. 
In altre parole l�amministrazione non pu� certamente vincolarsi verso i 
privati spogliandosi del potere, obbligandosi cio� a non farne uso per il futuro 
(59): da un lato violerebbe la legge, dall�altro verrebbero meno i presupposti 
stessi della sua istituzione sul piano dell�organizzazione (60). 
La presenza dell�interesse pubblico e la necessit� della sua soddisfazione, 
�causa� del potere amministrativo (61), lo configurano � dal punto di vista 
dell�attribuzione � come assolutamente indisponibile, dal momento che � proprio 
quella attribuzione di potere a giustificare l�esistenza dell�amministrazione. 
Occorre verificare, per�, se, una volta che il potere � stato attribuito all�amministrazione, 
anche il suo concreto esercizio sia indisponibile. 
La legge si limita ad individuare l�interesse pubblico da perseguire e soddisfare, 
ed attribuire all�amministrazione il potere relativo. Non � infatti possibile 
� scrive Platone nel Politico � che la legge ordini con precisione e per 
tutti �la cosa pi� buona e pi� giusta� indicando ci� che � assolutamente valido: 
le differenziazioni riscontrabili in concreto tra le cose umane, dovute a variabili 
spesso nemmeno facilmente individuabili, non consentono l�individuazione 
di un comando universalmente valido, soprattutto per la disciplina di questioni 
particolari. Ancora pi� preciso � Aristotele nell�Etica Nicomachea: la legge 
statuisce prendendo in considerazione l�id quod plerumque accidit, pur non 
disconoscendo l�errore dell�approssimazione e la necessit� di integrazione e 
adattamento al caso concreto. Nondimeno essa � corretta: la causa dell�errore 
non sta nella legge ma nella natura delle cose. Diviene dunque necessario prevedere 
dei soggetti incaricati di stabilire nel particolare quello che avrebbe 
stabilito il legislatore (62). 
E cos� la legge attribuisce all�amministrazione il potere per il perseguimento 
dell�interesse pubblico, e poi questa concretamente compir� gli atti materiali 
per il suo perseguimento. 
Salvo che la legge stessa preveda analiticamente ogni momento della con- 
(59) GOISIS F., Op. loc. ult. cit.; CHIRULLI P., STELLA RICHTER P., voce Transazione (diritto amministrativo), 
in Enc. dir. 1992, vol. XLIV, 870. 
(60) La norma che attribuisce il potere � infatti norma di organizzazione: v. NIGRO M., Giustizia 
amministrativa, VIa ed., Bologna 2002, 99. 
(61) GRECO G., Accordi, cit., 118, 144. 
(62) Platone e Aristotele sono richiamati anche da CORSO G., Manuale, 146 s.
288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
cretizzazione, per modo che l�amministrazione ha il solo compito di chiudere 
un sillogismo perfetto (63), l�attivit� di perseguimento dell�interesse pubblico 
in concreto � discrezionale, ossia l�amministrazione � lasciata libera di scegliere 
tra diverse modalit� di azione, quella che ritiene pi� opportuna. 
Ebbene, ferma restando l�indisponibilit� dell�interesse pubblico (64), e 
della attribuzione del potere in astratto, che afferiscono a valutazioni di esclusiva 
competenza del legislatore, le concrete modalit� di esercizio del potere 
discrezionale sono invece disponibili per l�amministrazione in virt� dell�espresso 
riconoscimento legislativo della categoria dei �contratti di diritto 
pubblico� (65). 
Come noto infatti l�art. 11 l. 241/90 consente all�amministrazione la conclusione 
di accordi con gli interessati per determinare il contenuto discrezionale 
del provvedimento finale, ovvero in sostituzione di questo. Detti accordi, 
che debbono essere stipulati per iscritto sotto pena di nullit� e sono soggetti ai 
principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili, 
non possono pregiudicare l�interesse di terzi e sono soggetti alla clausola 
rebus sic stantibus, dal momento che, �per sopravvenuti motivi di 
(63) Nel qual caso si ha attivit� vincolata, che taluno ritiene estranea addirittura all�attivit� amministrativa 
propriamente detta (CORSO G., Manuale, cit., 147 s.), dal cui esercizio deriverebbero posizioni 
di diritto soggettivo e non gi� di interesse legittimo. Sarebbe corretto parlare di potere solamente 
se l�amministrazione nell�agire debba compiere una scelta quanto all�assetto degli interessi in gioco; 
viceversa quando � esclusa ogni possibilit� di scelta in relazione a ciascuno degli aspetti del provvedere 
ma siano riscontrabili solamente posizioni di obbligo, l�attivit� dell�amministrazione diverrebbe meramente 
esecutiva di quanto gi� deciso dalla legge. In tal senso v. CAPACCIOLI E., Manuale di diritto amministrativo, 
Padova 1980, 279; ORSI BATTAGLINI A., Attivit� vincolata e situazioni soggettive, in Studi 
in ricordo di E. Capaccioli, Milano 1988, 267. 
In senso contrario altri ha peraltro osservato che da un lato anche l�attivit� vincolata presuppone comunque 
margini valutativi, quantomeno relativamente ai presupposti (CARINGELLA F., Corso di diritto 
amministrativo, vol. II, IVa ed., Milano 2005, 1862 ss., cui si rimanda per l�ampia giurisprudenza rassegnata), 
e dall�altro, in ogni caso, l�effetto non deriverebbe direttamente dalla legge, ma il potere amministrativo 
resterebbe tale ancorch� predeterminato nel contenuto (CASETTA E., Compendio di diritto 
amministrativo, VIIIa ed., Milano 2008, 232). 
Quest�ultima posizione sembra condivisa dalla giurisprudenza: Cons. Stato 10 dicembre 2007, n. 6344, 
in Vita not. 1157 ss.: �anche in relazione a procedimenti finalizzati alla adozione di provvedimenti di 
natura sostanzialmente vincolata, come le autorizzazioni in materia edilizia, sussistono fasi in cui l�amministrazione 
deve esercitare poteri discrezionali, quanto meno sotto il profilo tecnico (attinenti al quantum, 
al quomodo ed al quando degli adempimenti da eseguire); di conseguenza, anche in relazione a 
questi procedimenti � ammissibile la stipulazione di un accordo procedimentale, ai sensi dell�art. 11 l. 
7 agosto 1990 n. 241, atteso che si tratta di uno strumento di semplificazione, idoneo a far conseguire a 
tutte le parti un�utilit� ulteriore rispetto a quella che sarebbe consentita dal provvedimento finale�. 
(64) Non appare pertanto corretta l�affermazione di ANTONIOLI M., Arbitrato e giurisdizione esclusiva, 
cit., 68, secondo il quale il mutato quadro normativo avrebbe reso disponibile l�interesse pubblico, 
e non gi� solo il concreto esercizio del potere. 
(65) Nel senso della disponibilit� del concreto esercizio del potere pubblico, ferma restando l�indisponibilit� 
dell�attribuzione del potere v. VERDE G., Nuove riflessioni su arbitrato e pubblica amministrazione, 
cit., 698; ROMANO TASSONE A., Giurisdizione amministrativa e arbitrato, in Riv. Arb. 2000, 
249 ss.
DOTTRINA 289 
pubblico interesse l�amministrazione recede unilateralmente dall�accordo, 
salvo l�obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione 
agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato�. Inoltre la pubblica 
amministrazione, nel concludere gli accordi, deve sempre tenere in considerazione 
la necessit� del perseguimento del pubblico interesse (66). 
La disposizione ha un�importanza fondamentale nell�economia del discorso 
che si sta affrontando perch� consente di lasciar cadere ogni dubbio 
circa la possibilit� per l�amministrazione di vincolarsi nell�esercizio del suo 
potere, pur con tutti i limiti che la particolarit� dell�oggetto impone (67). Ossia, 
(66) Sulla figura, limitandosi alle opere monografiche, oltre gi� citato saggio di GRECO G., Accordi 
amministrativi, cit., si vedano STICCHI DAMIANI E., Attivit� amministrativa consensuale e accordi di 
programma, Milano 1992; BRUTI LIBERATI E., Consenso e funzione nei contratti di diritto pubblico (tra 
amministrazione e privati), Milano 1996; CIVITARESE M., Contributo allo studio del principio contrattuale 
nell�attivit� amministrativa, Torino 1997; FRACCHIA F., L�accordo sostitutivo, Padova 1998. 
(67) Cos� anche VERDE G., Arbitrato e pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm. 1996, 220: 
�ai nostri fini pu� essere sufficiente rilevare che nel settore in cui � ammessa la rilevanza degli accordi 
non � pi� possibile dire, senza entrare in una vistosa contraddizione con se stessi, che le situazioni coinvolte 
nel contrasto e definite consensualmente rientrano nell�area dell�indisponibile giuridico�. 
Nello stesso senso anche GRECO G., Accordi amministrativi, cit., 293: �orbene, il tradizionale principio 
invocato in passato per escludere la compromettibilit� in arbitrato delle controversie in tema di potest�interesse 
legittimo � sempre stato rinvenuto nella non negoziabilit� e nella correlativa intransigibilit� 
del potere. Ma tale principio non pu� essere pi� fatto valere ora che, con gli accordi � di cui pure gli accordi 
di programma sono espressione � tale negoziabilit� � un dato ormai acquisito�. 
V. ancora GOISIS F., La giustizia sportiva, cit., 246: �pi� di recente, al limite dalla indisponibilit� delle 
controversie pubblicistiche, si � opposto che il dettato dell�art. 11 l. 241/1990 presupporrebbe la normale 
negoziabilit� del potere amministrativo: il che dovrebbe quantomeno indirizzare verso una rimeditazione 
della sua supposta indisponibilit��. 
Nello stesso senso v. anche DOMENICHELLI V., Giurisdizione amministrativa e arbitrato: riflessioni e interrogativi, 
cit., 240; PUGLIESE F., Poteri del collegio arbitrale, in AA.VV., Arbitrato e pubblica amministrazione, 
cit. 1999, 65. 
In giurisprudenza v. TAR Lazio, 3 giugno 2005, n. 4362, in TAR 2005, I, 1779: �Anzitutto, non � vero 
e, anzi, smentito dalla pi� recente formulazione dell�art. 11 della l. 241/1990 � e, pi� in generale, degli 
accordi tra P.A. e privati su questioni attinenti a funzioni autoritative e non soltanto paritetiche � l�assunto 
attoreo secondo cui non sarebbe compromettibile per arbitri la tutela di interessi legittimi. � assodato in 
base ai dati testuali che, pure fuori dalla materia sportiva, l�ordinamento generale non solo non esclude, 
ma anzi incoraggia accordi che coinvolgono siffatte situazioni soggettive, sostituendo la volizione unilaterale 
della P.A. con assetti negoziati che, pur se rivolti a soddisfare interessi privati, mirano comunque 
alla massimizzazione di quello pubblico con risultati di pari dignit� ed efficacia dell�azione amministrativa 
di livello pari a quanto si potrebbe ottenere con un provvedimento. Anzi, tali procedure negoziate, 
gi� assai comuni in materia concessoria o urbanistica, trovano la loro massima utilizzabilit� proprio in 
vicende contenziose, ove la qualit� degli interessi coinvolti, la vasta diffusione delle questioni e la necessit� 
di componimenti ante causam o di risoluzione anche in via equitativa delle stesse impongono 
formule deflattive e/o alternative alla giurisdizione, indipendentemente dal tipo di posizioni soggettive 
fatte valere in via di tutela�. 
In senso contrario v. CHITI M.P. voce Arbitrato, in AA.VV., Dizionario di diritto pubblico, diretto da 
CASSESE S., Milano 2006, 406, e DE LISE P., DELFINO B., Arbitrato e pubblica amministrazione, cit., 
2053, secondo i quali dalle norme in questione non sarebbe possibile ricavare il principio della generale 
disponibilit� del potere amministrativo, se non in una prospettiva evolutiva, mentre le ipotesi in cui gli 
accordi sono possibili sarebbero tassative e di stretta interpretazione. 
290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
qualora l�interesse pubblico per il quale l�amministrazione ha avuto in attribuzione 
il potere possa essere pienamente perseguito secondo diverse modalit�, 
l�amministrazione pu� convenire con l�interessato una modalit� 
determinata di esercizio del potere condivisa, vincolandosi in tal senso, e l�ordinamento 
riconoscer� tale vincolo (68). 
Se pertanto all�amministrazione � riconosciuta questa possibilit� significa 
che il potere amministrativo � comunque situazione giuridica soggettiva disponibile 
�in s�� (69), anche quando l�amministrazione agisce autoritativamente, 
purch� l�interesse pubblico � nel quale l�attribuzione del potere si 
giustifica � sia in concreto perseguito. L�amministrazione �pu�� concludere 
accordi, ma anche qualora non ritenesse di farlo il potere resta comunque nella 
sua disponibilit�, nel senso che non solo ha la possibilit� di determinare �per 
contratto� l�esercizio del suo potere per il futuro, ma anche che � una volta 
esercitato il potere � pu� convenire con l�interessato una nuova sistemazione 
dell�assetto di interessi che ha concretizzato con l�edizione del provvedimento 
(70). In altre parole una volta esercitato il potere questo resta nella signoria 
dell�amministrazione, e non � preclusa la possibilit� di revocarlo, modificarlo 
(68) V. Cons. Stato 20 gennaio 2000, n. 264, in Foro amm. 2000, 114 ss.: �qualora la p.a. utilizzi 
lo strumento contrattuale in luogo di quello provvedimentale, ai sensi della l. 7 agosto 1990 n. 241, art. 
11, comma 1, per determinare il contenuto di proprie determinazioni o per sostituire provvedimenti amministrativi, 
l�amministrazione � vincolata al contratto, salva la possibilit� dell�esercizio del recesso 
unilaterale per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, giusta le indicazioni del 4 comma dell�art. 11 
l. n. 241 cit.�. 
Non � assolutamente condivisibile quanto affermato da DELSIGNORE M., La compromettibilit� in arbitrato 
nel diritto amministrativo, cit., 165, secondo la quale �perch� si realizzi la disposizione del potere, 
� necessario che l�amministrazione riconosca in capo ad un soggetto terzo ed estraneo la capacit� di 
esercitare il potere che le � attribuito�. Come si � visto supra nel testo, infatti, la disponibilit� non si 
concreta in altro se non nel fatto che l�ordinamento riconosca e dia sanzione � vincolando il giudice � 
ad un determinato assetto di interessi che le parti si danno. Che poi detto assetto si inserisca o meno in 
un pi� ampio rapporto non aggiunge nulla alla nozione di disponibilit�. Il potere � disponibile nel senso 
che l�amministrazione pu� vincolarsi a sue determinate esplicazioni, cosa che peraltro � la ratio degli 
accordi di diritto pubblico ex art. 11 l. 241/90. In nessun modo l�amministrazione riconosce ad altri la 
capacit� di esercitare il proprio potere. 
(69) V. cos� anche VERDE G., Arbitrato e pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm. 1996, 215 
ss., e in AA.VV., Diritto dell�arbitrato, cit., 41, il quale afferma che dove � ammessa la rilevanza degli 
accordi nel corso del procedimento amministrativo, in sostituzione del provvedimento finale, ovvero al 
fine di determinarne il contenuto, �non � pi� possibile affermare che le situazioni coinvolte nel contrasto 
rientrino nell�area dell�indisponibile giuridico�, almeno nei casi in cui l�interesse pubblico sia stato interamente 
prevalutato e non siano successivamente sorte situazioni che ne abbiano successivamente imposto 
una nuova valutazione. 
(70) Non cos� PUGLIESE F., Poteri del collegio arbitrale e provvedimenti amministrativi, in AA.
VV., Arbitrato e pubblica amministrazione, cit. 1999, 74 ss., secondo il quale il limite della disponibilit� 
del potere sarebbe dato proprio dal ricorso ai moduli consensuali di esercizio del potere, mentre gi� 
l�esercizio del diritto di recesso �con la sua carica di interesse pubblico sopravvenuto farebbe riemergere 
un provvedimento autoritativo (ormai residuale) e discrezionale, la cui sanzione di illegittimit� (mediante 
l�annullamento) non potrebbe che passare attraverso la valutazione del giudizio amministrativo di legittimit� 
(rimanendo sullo sfondo se si tratti o meno di giurisdizione esclusiva)�. 
DOTTRINA 291 
o integrarlo d�accordo con l�interessato, sempre con i limiti indicati dall�art. 
11 l. 241/90 (71). 
Ecco allora che, per concludere, se certamente l�attribuzione per legge 
del potere amministrativo � indisponibile dal momento che trova la sua ratio 
nel perseguimento dell�interesse pubblico, il concreto esercizio del potere amministrativo 
rientra pienamente nella disponibilit� dell�amministrazione (72), 
che pu� vincolarsi a non esercitarlo, ad esercitarlo in un certo modo piuttosto 
che in un altro, ovvero in un dato momento, purch� � in concreto � l�interesse 
pubblico per il quale il potere era stato attribuito risulti perseguito e soddisfatto. 
Ancora non si vedono ragioni ostative ad accordi tra amministrazioni e 
privati per l�esercizio dei poteri di revoca, annullamento d�ufficio e convalida 
di provvedimenti amministrativi (artt. 21 quinques e nonies l. 241/90). 
Certo il vincolo tra amministrazione e privato non pu� essere identico ad 
un vincolo contrattuale tra privati: la natura del potere amministrativo e il suo 
scopo infatti impediscono che l�accordo possa recare pregiudizio a terzi, e soprattutto 
la necesit� per l�amministrazione di perseguire il pubblico interesse, 
che sta fuori dell�accordo (73), si porr� sempre come condizione risolutiva 
dell�accordo, che cadr� non appena l�assetto di interessi cristallizzato si rilever� 
� per cause sopravvenute � inidoneo al suo perseguimento. 
Ci� peraltro non toglie alcunch� al fatto della disponibilit� del potere amministrativo, 
almeno se disponibilit� significa riconoscibilit� da parte dell�ordinamento 
di una rinuncia o di un vincolo, a prescindere che si inseriscano in 
un contesto negoziale pi� ampio, e a prescindere dal fatto che il riconoscimento 
della loro validit� sia sottoposto ad alcune limitazioni. 
Che questa sia soggetta a limiti specifici e ben individuabili discende dalla 
(71) Attivit� ammessa anche in sede processuale: ROMANO TASSONE A., Giurisdizione amministrativa 
e arbitrato, cit., 261. 
(72) V., PUGLIESE F., Poteri del collegio arbitrale e provvedimenti amministrativi, in AA.VV., Arbitrato 
e pubblica amministrazione, cit. 1999, 77; GRECO G., Contratti e accordi, cit., n. 4; GOISIS F., 
Compromettibilit� in arbitri e transigibilit� delle controversie relative all�esercizio del potere amministrativo, 
in Dir. proc. amm. 2006, 251. 
Condivisibilmente si � notato in CHIRULLI P., STELLA RICHTER P., voce Transazione (diritto amministrativo), 
cit., 870, che non �, di regola, dato, con la transazione, rinunciare all�esercizio del potere anche 
per il futuro, in relazione all�eventuale mutare delle circostanze, ovvero, addirittura, con riguardo a fattispecie 
diverse (seppure connesse a quella oggetto di transazione). L�amministrazione, infatti, non pu� 
spogliarsi delle proprie attribuzioni, ma solo decidere se e come esercitarle in un caso concreto, rebus 
sic stantibus. 
V. anche PAOLANTONIO N., Contributo sul tema della rinuncia nel diritto amministrativo, Napoli 2003, 
95: �quel che � inesauribile, oltre che irrinunciabile, � la funzione non il potere, l�idea della inesauribilit� 
pare riferibile ad entit� puramente oggettive, astratte dalla sfera di disponibilit� del soggetto giuridico 
non potendo comunque estendersi tale attribuzione alla teorica delle situazioni giuridiche soggettive per 
definizione inesauribili� La funzione � correlata non certo ad una situazione soggettiva di potere o potest� 
sibbene a un dovere giuridico vero e proprio�. 
(73) Non � n� causa n� motivo; cfr. GRECO G., Contratti e accordi della pubblica amministrazione 
con funzione transattiva, cit., n. 4.
292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
natura particolare dell�oggetto del potere e dal suo scopo primario, ma ci� non 
intacca minimamente la caratteristica di disponibilit� n� la natura negoziale 
dell�accordo sull�esercizio del potere. 
Del resto la clausola rebus sic stantibus � una clausola abbastanza frequente 
anche nei contratti di diritto privato; si pensi anche all�istituto della 
presupposizione: si tratta di casi in cui, nel diritto privato, il mutare delle circostanze 
giustifica lo scioglimento del vincolo negoziale per una delle parti. 
Ma questo non significa che il vincolo sia meno forte (74). Ci� vale anche per 
i contratti risolutivamente condizionati: non si pu� dire certo che il vincolo 
contrattuale sia meno forte solo perch� destinato a venire meno al verificarsi 
di un evento futuro e incerto. 
5. La disponibilit� dell�interesse legittimo 
�Ogni studio su temi di giustizia amministrativa si imbatte prima o poi 
sullo scoglio dell�interesse legittimo, rispetto alla cui controversa nozione � 
necessario prendere posizione� (75). Si tratta di un�osservazione assolutamente 
vera, alla quale si pu� aggiungere che di interesse legittimo esistano 
tante definizioni quanti sono gli autori che se ne sono occupati, anche perch� 
il dibattito intorno alla figura � inesauribile �perch� � collegato al rapporto fra 
cittadino e p.a., mutevole nel tempo, cos� che ogni concezione dell�interesse 
legittimo finisce con l�essere storicamente determinata� (76). 
Ai nostri fini interessa sapere se tale situazione giuridica soggettiva sia o 
meno disponibile, al fine di verificare se sia possibile che eventuali controversie 
possano essere risolte mediante transazione o arbitrato. Peraltro, come 
si � appena fatto con il potere � che costituisce il contraltare dell�interesse le- 
(74) In senso contrario DELSIGNORE M., La compromettibilit� in arbitrato nel diritto amministrativo, 
cit., 166 ss., il ragionamento della quale, peraltro, prende le mosse da una malintesa nozione del 
concetto di disponibilit� come capacit� di muovere e cedere a terzi la propria situazione giuridica soggettiva. 
Pertanto l�impossibilit�, innegabile, per l�amministrazione di cedere a terzi tout court l�esercizio 
del potere ne esclude la disponibilit�; ulteriore argomento andrebbe individuato proprio nel fatto che i 
poteri dell�amministrazione di svincolarsi unilateralmente dal vincolo sarebbero a loro volta sintomatici 
della indisponibilit� del potere. 
In realt�, come si � visto, dire che il potere amministrativo � disponibile non significa che questa pu� 
spogliarsi del potere attribuito dalla legge, ma che pu� vincolarsi all�atto del suo esercizio accordandosi 
con i privati, purch� l�accordo consenta la miglior realizzazione dell�interesse pubblico. Inoltre che gli 
accordi sull�esercizio del potere siano conclusi rebus sic stantibus non ne diminuisce la validit� e vincolativit�. 
Cos� la gi� citata Cons. Stato 20 gennaio 2000, n. 264, cit.: �qualora la p.a. utilizzi lo strumento 
contrattuale in luogo di quello provvedimentale, ai sensi della l. 7 agosto 1990 n. 241, art. 11, comma 
1, per determinare il contenuto di proprie determinazioni o per sostituire provvedimenti amministrativi, 
l�amministrazione � vincolata al contratto, salva la possibilit� dell�esercizio del recesso unilaterale per 
sopravvenuti motivi di pubblico interesse, giusta le indicazioni del 4 comma dell�art. 11 l. n. 241 cit.�. 
(75) GRECO G., L�accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano 1980, 
109. 
(76) VERDE G., Nuove riflessioni su arbitrato e pubblica amministrazione, cit., 697.
DOTTRINA 293 
gittimo in capo all�amministrazione � per ottenere una risposta che sia soddisfacente 
occorrer� indagare, sia pur brevemente, sulla sua natura (77). 
La definizione tradizionale vede l�interesse legittimo come un interesse 
individuale strettamente connesso con l�interesse pubblico e protetto dall�ordinamento 
attraverso la tutela giuridica di quest�ultimo, protetto cio� non in 
via diretta e specifica ma in via occasionale e indiretta (78). Detta definizione 
ha peraltro il difetto di non analizzare compiutamente il profilo del modo in 
cui avviene la tutela dell�interesse individuale e di considerarla come un mero 
accidente della tutela dell�interesse pubblico. Peraltro sembra difficilmente 
superabile la contraddizione che si ha laddove la tutela dell�interesse legittimo 
viene individuata in norme dettate per la tutela di un diverso interesse, tanto 
che si � potuto affermare che gli interessi legittimi �sorgono in relazione a 
norme che per definizione non si occupano di essi� (79). 
Ecco allora che la dottrina, al fine di individuare un�autonoma rilevanza 
dell�interesse legittimo, ha elaborato nuove nozioni (80). Tra tutte una che ha 
riscosso un particolare successo � quella che vede nell�interesse legittimo un 
potere processuale di azione attribuito al soggetto a tutela del suo interesse 
leso dall�esercizio dell�attivit� amministrativa (81). Ma anche questa defini- 
(77) Le posizioni della dottrina relativamente all�indisponibilit� dell�interesse legittimo sono le 
pi� diverse, come del resto diverse sono le definizioni che se ne danno. La rassegna delle diverse posizioni 
della dottrina in argomento sar� offerta infra, quando si approfondir� l�area della compromettibilit� 
per arbitri nel diritto amministrativo. Per l�intanto bastino AMORTH A., Annotazioni sull�arbitrato nelle 
controversie amministrative, cit., 2173; PANZARINI G., Diritti disponibili, in AA.VV., Arbitrato e pubblica 
amministrazione, cit. 1999, 123; ACQUARONE L., MIGNONE C., voce Arbitrato nel giudizio amministrativo, 
cit. 367; DE LISE P., L�arbitrato nel diritto amministrativo, cit., 1169; CHIRULLI P., STELLA RICHTER 
P., voce Transazione (diritto amministrativo), cit., 867. 
(78) SPAGNUOLO VIGORITA R., Situazioni soggettive private e processo amministrativo: per l�attuale 
difesa dell�interesse pubblico, in Dir. proc. amm. 1988, 319; SATTA S., Diritto processuale civile, 
1947, 5; peraltro il Satta preferisce parlare di interesse occasionalmente �leso� piuttosto che di interesse 
occasionalmente protetto: �La dottrina ha ad un tempo avvertito e misconosciuto questa indissociabile 
correlazione tra interesse pubblico e situazione soggettiva, quando ha creato la formula di interesse occasionalmente 
protetto, l� dove pi� giusto sarebbe dire, come ho accennato altre volte, che l�interesse 
del soggetto � occasionalmente offeso dall�attivit� della p.a. quando questa non rispetta la legge� SATTA 
S., La responsabilit� per lesione di interessi legittimi, in SATTA S., Soliloqui e colloqui di un giurista, 
Nuoro 2004, 333. 
(79) GUARINO G., Potere giuridico e diritto soggettivo, in Rass. dir. pubbl. 1949, 278. 
(80) E cos� lo si � qualificato come �l�interesse alla legittimit� degli atti amministrativi� (TOSATO 
E., Interesse materiale e interesse processuale nella giurisdizione amministrativa di legittimit�, Padova 
1937, 232), l��interesse di fatto che ogni soggetto fa valere contro l�amministrazione in regime di legalit�
� (SATTA F., Giustizia amministrativa, Padova 1997, 152) o come l��interesse dell�amministrato a 
che il potere amministrativo, nel quale si imbatte la sua posizione soggettiva sostanziale, venga esercitato 
nel rispetto delle regole imposte dall�ordinamento all�azione amministrativa� SANDULLI A.M., Manuale 
di diritto amministrativo, Napoli 1980, 107. 
(81) CHIOVENDA G., Princip� di diritto processuale civile, Napoli 1965 (rist.), 50 e 358; GUICCIARDI 
E., Concetti tradizionali e principi ricostruttivi nella giurisprudenza amministrativa, in Arch. 
dir. pub. 1937, 15 ss.; ALLORIO E., Diritto processuale tributario, IVa ed., Torino 1962, 568; NIGRO M., 
L�appello nel processo amministrativo, vol. I, Milano 1960, 28 ss.
294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
zione appare incompleta, perch� non tiene conto dei poteri n� del ruolo che 
l�ordinamento espressamente riconosce ai privati gi� all�interno del procedimento. 
La tutela del privato, infatti, non si esaurisce nella sola possibilit� di impugnare 
innanzi ad un giudice il frutto dell�azione amministrativa: questi pu� 
dare impulso al procedimento, pu� intervenire nel procedimento, presentare 
memorie e osservazioni cooperando alla corretta esplicazione del potere, correggendone 
le deviazioni. L�amministrazione ha l�obbligo di comunicare all�interessato 
l�avvio del procedimento (art. 7 l. 241/90). Addirittura il privato 
pu�, come si � appena visto, concordare con l�amministrazione le modalit� di 
esercizio concreto del potere. 
Ecco allora l�autentica cifra dell�interesse legittimo andrebbe ricercata 
proprio in questa posizione che la legge riconosce al privato nei confronti 
dell�agire amministrativo in generale. 
Posizione che gli d� la possibilit� di non essere mero spettatore e destinatario 
del provvedimento, ma di influire sul corretto esercizio del potere e 
nel perseguimento dell�interesse pubblico, vuoi partecipando al procedimento 
ed ivi esercitando i poteri previsti dalla legge, vuoi chiedendo al giudice un 
sindacato sul corretto esercizio del potere mediante l�impugnazione giudiziale 
del provvedimento, al fine di provocarne l�espunzione dal sistema qualora ne 
venga accertata l�illegittimit�, ma anche provocando l�esercizio dei poteri di 
revoca, annullamento o convalida (82). 
Si tratta in altre parole di una posizione di cui il privato gode fin da 
quando all�amministrazione � dalla legge attribuito il potere e che conserva 
fino a quando lo stesso potere residua e pu� essere esercitato, anche in via di 
autotutela o di ripensamento, in caso di sopravvenuti motivi di interesse pubblico 
o diversa valutazione dell�interesse pubblico originario. 
A far data dalla pronunzia delle Sezioni Unite della Cassazione 22 luglio 
1999, n. 500 (83) alla lesione dell�interesse legittimo si accompagna anche il 
risarcimento del danno. Sulla qualificazione da riconoscere alla tutela risarcitoria, 
come noto, � in atto uno scontro tra la giurisprudenza civile e amministrativa 
[l�art. 30 del codice amministrativo ha scelto una soluzione mediata, 
ndr]: la prima vede nel risarcimento del danno il completamento della tutela 
(82) Cos� NIGRO M., Giustizia amministrativa, VIa ed., Bologna 2002, 103, che muta e perfezione 
il suo precedente avviso: secondo il quale l�interesse legittimo � �la posizione di vantaggio fatta ad un 
soggetto dell�ordinamento in ordine ad una utilit� oggetto di potere amministrativo e consistente nell�attribuzione 
al medesimo soggetto di poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo 
da rendere possibile la realizzazione della pretesa utilit�� (corsivo dell�Autore). 
(83) In Foro it. 1999, I, 2487, con note di PALMIERI A.M. e PARDOLESI R.; Giornale dir. amm. 
1999, 832, con nota di TORCHIA L.; Urb. e app. 1999, 1067, con nota di PROTTO R..; Arch. civ. 1999, 
1107; Danno e resp. 1999, 965, con note di CARBONE V, MONASTERI P.G.; Corriere giur. 1999, 1367, 
con note di DI MAJO A. e MARICONDA V.
DOTTRINA 295 
che l�ordinamento riconosce all�interesse legittimo (84), la seconda invece vi 
riconosce un vero e proprio diritto soggettivo condizionato al previo annullamento 
del provvedimento (85). 
Ma a prescindere da questo scontro istituzionale e della natura da riconoscersi 
al risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo, le riferite 
caratteristiche di questo non possono che far concludere per la sua piena disponibilit� 
(86). 
Si tratta infatti di una posizione di vantaggio che � collegata esclusivamente 
alla salvaguardia degli interessi del titolare, che pu� rinunciarvi senza 
ledere interessi coincidenti o concorrenti. Del resto l�ordinamento riconosce 
e tutela l�interesse legittimo nell�esclusivo interesse del titolare, ben potendo 
l�amministrazione agire efficacemente anche senza riconoscere alcuna rilevanza 
alle posizioni del privato. Nel sistema postunitario, infatti, la preoccupazione 
maggiore del legislatore era proprio nel senso di dettare le 
�guarentigie dell�amministrazione nei confronti dell�amministrato� (87). Con- 
(84) L�orientamento della cassazione prende le mosse dalle citate ordinanze delle sezioni unite 
del 15 giugno 2006. 
(85) L�orientamento del Consiglio di Stato � pi� risalente. � stato ribadito dall�Adunanza Plenaria 
22 ottobre 2007, n. 12 (cit.), proprio in risposta al revriment della Cassazione. 
(86) GOISIS F., La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, cit., 277; Id. Compromettibilit� 
in arbitri e transigibilit� delle controversie relative all�esercizio del potere amministrativo, 
cit., 251; SCOCA F.G, La capacit� della pubblica Amministrazione di compromettere in arbitri, in AA.VV., 
Arbitrato e pubblica amministrazione, cit. 1991, 106: �non cՏ dubbio che l�interesse legittimo sia disponibile. 
Il problema non � se esso sia disponibile, il problema � semmai se sia disponibile la situazione 
soggettiva contrapposta all�interesse legittimo, cio� il potere dell�Amministrazione�; CAIA G., Arbitrati, 
cit., 199; Id., Materie compromettibili in arbitrato con la pubblica amministrazione, in AA.VV., Arbitrato, 
cit. 1999, �il limite � rappresentato dalla esistenza nelle fattispecie di una situazione di potere amministrativo, 
il quale � di per s� inesauribile ed irrinunciabile�; ROMANO TASSONE A., L�arbitrato, in AA.VV., 
Il processo avanti al giudice amministrativo, commento sistematico alla l. 205/2000, IIa ed., Torino 
2004, 525 ss., 532; VILLATA S.A., Controversie di pubblico impiego, arbitrato e disapplicazione degli 
atti amministrativi illegittimi, in Riv. dir. proc. 2000, 803 s. 
In senso contrario, ritiene l�interesse legittimo indisponibile in quanto collegato all�esercizio del potere 
amministrativo AMORTH A., Annotazioni sull�arbitrato nelle controversie amministrative, cit., 2170; 
sempre in senso contrario LARCHENA R., voce Arbitrato, cit., 1, il quale afferma l�indisponibilit� tout 
court delle posizioni di interesse legittimo, senza peraltro offrire la spiegazione alcuna. 
La stessa Cassazione si � espressa ripetutamente nel senso della transigibilit� dell�interesse legittimo 
(inteso come diritto d�azione o comunque di ricorso) in liti �edilizie� tra privati, perch� �nessuna disposizione 
vieta che si possa disporre di detto interesse personale, e che quindi lo stesso possa essere 
oggetto di transazione, qualificandosi o come aliquid datum o aliquid retentum� Cos�, Cass., sez. un., 
22 gennaio 1982, n. 427, in Riv. giur. edilizia, 1982, I, 611 ss. 
Conformemente, Cass. 11 luglio 1978, n. 3479, in Foro it. 1979, I, 820 ss.; Id. 7 maggio 1981, n. 2979; 
Id. 2 aprile 1982, n. 2030; Cass., sez. un., 27 luglio 2004, n. 1409, in motivazione, che pure ritiene l�art. 
6 l. 205/00 preclusivo della arbitrabilit� degli interessi legittimi. 
(87) La scarsa considerazione che il legislatore aveva per gli interessi legittimi � rappresentata 
efficacemente dalle parole di Pasquale Stanislao Mancini, pronunciate nel corso dei lavori parlamentari 
che hanno portato all�approvazione della legge del 1865 di abolizione dei tribunali del contenzioso amministrativo: 
�� sia pure che l�autorit� amministrativa abbia fallito la sua missione, che non abbia provveduto 
con opportunit� e saggezza, sia pure che essa abbia, e forse anche senza motivi, rifiutato ad un
296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
siderazioni di efficienza dell�agire amministrativo hanno consigliato di coinvolgere 
i privati (88) addirittura rendendo eccezionale l�esercizio autoritativo 
del potere (89), ma certo anche senza l�intervento di questi gli scopi dell�amministrazione 
sarebbero comunque perseguibili. 
Va peraltro segnalato che, proprio in virt� della definizione che si � scelta, 
la disponibilit� dell�interesse legittimo non si riduce esclusivamente alla possibilit� 
di rinuncia al ricorso (90), ma anche possibilit� di disporre di tutte le 
prerogative che discendono dall�interesse legittimo nella fase procedimentale 
e, dopo che il provvedimento � stato reso, anche nella fase successiva, finch� 
revoca, annullamento e convalida sono possibili. 
Se pertanto il cittadino rinunciasse alle sue prerogative nel corso del procedimento, 
o si obbligasse nei confronti dell�amministrazione a non impugnare 
un provvedimento che ritiene illegittimo, o magari a rinunziare al giudizio, o 
ancora favorisse la convalida del provvedimento, non si vedono ostacoli al riconoscimento 
della vincolativit� di tale accordo. 
Quanto alla fase procedimentale, le possibilit� di impulso e partecipazione 
che sono riconosciute al privato non sembrano altro che il completamento 
della riconosciuta possibilit� dei �contratti di diritto pubblico�: se l�ordinamento 
riconosce all�amministrazione la possibilit� di vincolarsi nei confronti 
del privato nell�esercizio del suo potere, a fortiori deve riconoscersi a quest�ultimo 
la possibilit� di far valere i suoi interessi nel procedimento anche 
mediante accordi con l�amministrazione. 
� vero poi che l�interesse legittimo trova la sua ragion d�essere nel potere. 
Abbiamo visto infatti che questo sorge come posizione di vantaggio con riferimento 
ad un�utilit� oggetto di potere amministrativo. Ma le sue relazioni col 
potere finiscono in questa coessenzialit�; ossia, l�interesse legittimo come situazione 
giuridica soggettiva sorge solamente se � in gioco il potere amministrativo 
e trova il suo epilogo nell�esaurirsi di questo (91), ma non partecipano 
l�uno dell�altro. 
Ossia, per il resto, si tratta di due posizioni autonome e distinte perch� 
autonoma e distinta ne � la fonte e l�ambito di operativit�. Anche se l�interesse 
cittadino una permissione, un vantaggio, un favore, che ogni ragione di prudenza e di buona economia 
consigliasse di accordargli, sia pure che esso cittadino � stato di conseguenza ferito, e forse anche gravemente, 
nei propri interessi: che perci�? Che cosa ha sofferto il cittadino in tutte le ipotesi test� discorse? 
Semplicemente una lesione degli interessi? Ebbene che vi si rassegni�. 
(88) GASPARINI CASARI V., Arbitrato e controversie amministrative, AA.VV., L�arbitrato, cit., 
1021. 
(89) Cons. Stato 28 febbraio 2005, n. 727. 
(90) GOISIS F., La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, cit., 277. 
(91) Si pensi ad esempio al vincolo espropriativo posto sopra un bene immobile. Fino a che perdura 
il vincolo sul bene il proprietario ha una posizione di interesse legittimo nei confronti dell�autorit� 
espropriante. Ma una volta che il potere amministrativo sia venuto meno per qualunque ragione, e con 
esso il vincolo espropriativo, verr� meno anche l�interesse legittimo del proprietario.
DOTTRINA 297 
legittimo consente al privato di incidere sulla concreta esplicazione del potere, 
ci� rientra solo nelle prerogative che la posizione di interesse legittimo conferisce 
al titolare: significa partecipazione al procedimento e non partecipazione 
alla attribuzione potere (92). 
Questo significa anche che l�interesse legittimo si trova in una posizione 
di alterit� rispetto all�interesse pubblico: certamente � possibile che interesse 
legittimo e interesse pubblico coincidano, ed anzi ci� avviene nella fisiologia 
delle cose, ma l�interesse legittimo � pur sempre una posizione di vantaggio 
riferita ad interessi personali del titolare, che pu� liberamente rinunciarvi senza 
che l�interesse pubblico ne risenta (93). 
6. La transigibilit� delle situazioni giuridiche soggettive di diritto pubblico 
Dopo che si � visto quali sono i rapporti di diritto pubblico, e che si � indagata 
la natura delle situazioni giuridiche soggettive che vi si riferiscono, appare 
indubitabile che la transazione sia ammissibile anche nei rapporti di diritto 
pubblico. 
Vista la disponibilit� delle situazioni giuridiche soggettive che ne vengono 
coinvolte, non pare possa essere un argomento sufficiente il fatto che l�art. 
1966 c.c. faccia riferimento ai soli �diritti� e non anche ad altre situazioni giuridiche 
soggettive. Non pu� infatti essere riconosciuto valore eccessivo ad 
un�espressione �contenuta in un testo (il codice civile) relativo a diritti soggettivi 
e che si occupa esclusivamente o almeno prevalentemente di rapporti 
di diritto privato; � viceversa giustificato ritenere che i diritti soggettivi sono 
considerati riferimento riassuntivo a tutte le situazioni giuridiche soggettive� 
disponibili (94). 
Peraltro appare pure chiaro come sia scorretto parlare della transigibilit� 
dei soli interessi legittimi, senza considerare che oggetto di concessione pu� 
essere anche l�esercizio in concreto del potere amministratrivo, nei limiti in 
cui l�amministrazione pu� vincolarsi nel loro esercizio. 
In particolare se ci si riferisce solamente alla situazione in cui l�ammini- 
(92) V. in proposito GRECO G., Contratti e accordi, cit., n. 4; nonch� GIANNINI M.S., Corso di diritto 
amministrativo, vol. III, 2, Milano 1967, 103, ove si sottolinea che la sola amministrazione � titolare 
del potere/dovere di perseguire l�interesse pubblico. 
(93) Non � pertanto condivisibile, perch� apodittica, l�affermazione di DE LISE P., L�arbitrato nel 
diritto amministrativo, cit., 1196, secondo il quale gli interessi legittimi non sarebbero disponibili �stante 
la stretta connessione tra queste posizioni e l�interesse pubblico. Manca in questo caso il requisito della 
disponibilit� della res litigiosa, non potendosi ritenere disponibile, dalla pubblica amministrazione o 
dal privato, la legittimit� dell�esercizio della pubblica funzione, su cui l�interesse legittimo fonda la propria 
tutela�. 
94 ) SCOCA F.G., La capacit� della pubblica amministrazione di compromettere in arbitri, in AA.
VV., Arbitrato e pubblica amministrazione, cit. 1991, 106; DEL SIGNORE M., La compromettibilit�, 
cit., 120.
298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
strazione abbia gi� concretizzato il suo potere in un provvedimento, si � detto 
sopra che eventuali accordi transattivi sarebbero diretti a salvaguardare l�atto 
amministrativo e i suoi effetti, con rinuncia all�impugnazione da parte del privato, 
che viene tacitato attraverso un sacrificio consistente nella cessione di 
un bene o, pi� spesso, dietro l�esborso di una somma di denaro da parte della 
pubblica amministrazione (95). In questo caso oggetto della concessione � la 
posizione soggettiva del privato, mentre il potere amministrativo � ormai esercitato 
� non rileverebbe nella vicenda transattiva, e le concessioni dell�amministrazione 
consisteranno nel riconoscimento di una somma di denaro o altra 
utilit�. 
Certo l�amministrazione potrebbe, dopo la conclusione della transazione, 
annullare comunque l�atto amministrativo che ne costituiva l�oggetto, ovvero 
sostituirlo con un altro, se ci� � richiesto da un mutamento delle circostanze 
per il perseguimento dell�interesse pubblico, anche assecondando le istanze 
del privato. Ma quanto alla vicenda transattiva le concessioni dell�amministrazione 
non hanno ad oggetto il potere amministrativo. 
Diversamente, nel caso in cui la transazione avvenga quando il potere 
amministrativo non � stato ancora nel concreto esercitato, le rinunzie e le concessioni 
non potranno che riguardare da un lato l�interesse legittimo del privato 
dall�altro l�esercizio (o il non esercizio) del potere amministrativo. Il rapporto 
che scaturisce dal contratto di transazione sar� pertanto un rapporto di diritto 
pubblico, ossia, in altre parole, la transazione sar� �inquadrabile nella categoria 
dei contratti di diritto pubblico� ex art. 11 (e 15) l. 241/90 (96). 
Pertanto pi� corretto � parlare di transazione sui rapporti di diritto pubblico, 
salvo poi specificare quale sia la natura del rapporto di volta in volta 
coinvolto. Rifacendosi a categorie gi� elaborate da autorevole dottrina si pu� 
parlare, nel primo caso, di �transazioni di diritto privato aventi ad oggetto rapporti 
di diritto pubblico� e, nel secondo caso, �transazioni di diritto pubblico� 
(97): nel primo caso la transazione avr� natura di contratto di diritto privato 
dal momento che l�oggetto delle concessioni attiene pienamente al diritto privato; 
nel secondo caso si avr� un vero e proprio contratto di diritto pubblico 
ex art. 11 l. 241/90, dal momento che le concessioni possono avere ad oggetto 
l�esercizio del potere amministrativo (98). 
Ecco allora che pu� finalmente dirsi sciolta la riserva formulata nel precedente 
capitolo circa le effettive potenzialit� della transazione nel diritto amministrativo. 
(95) GRECO G., Contratti e accordi, cit., n. 3, il quale peraltro fa notare che dette situazioni sono 
le uniche prese in considerazione dal Guicciardi proprio perch� questi riteneva inammissibile la possibilit� 
per l�amministrazione di vincolarsi nell�esercizio del potere. 
(96) GRECO G., Contratti e accordi, cit., n. 4 
(97) GRECO G., op. cit., passim. 
(98) T.A.R. Veneto, sez. I, 24 maggio 2000, n. 1107, in Riv. amm. Veneto 2002, 103 ss.
DOTTRINA 299 
Lo stesso sciolta pu� dirsi la riserva che si era formulata a proposito della 
procedura di precontenzioso in sede di gara di cui all�art. 6, comma 7, lettera 
n) del codice degli appalti, ossia se fosse possibile per l�amministrazione cristallizzare 
in un atto avente contenuto transattivo l�assetto di interessi come 
ricostruito dall�Autorit� per i contratti pubblici nel parere non vincolante. 
Anche in quel caso la stazione appaltante e il concorrente ben possono concludere 
un accordo transattivo che vincoli il futuro esercizio del potere amministrativo 
nel corso della gara alla interpretazione offerta dalla autorit�. 
Naturalmente il fatto che la procedura di gara si svolge in confronto di 
pi� soggetti concorrenti detto accordo non potr� risolversi in un danno nei 
confronti di questi (99). 
7. La conciliazione 
La conciliazione pu� essere intesa in due modi: a) come un risultato ovvero 
b) come un�attivit� diretta ad ottenere quel risultato (100). 
Quando la conciliazione � intesa come attivit� si caratterizza per l�intervento 
di un terzo che offre alle parti di un rapporto controverso un consilium 
affinch� queste possano autonomamente giungere al concilium (101), ossia 
(99) E quindi un accordo che consenta all�impresa illegittimamente esclusa di partecipare alle 
successive fasi della gara � certamente ipotizzabile, lo stesso non pu� dirsi di un accordo tra la stazione 
appaltante e un concorrente finalizzato alla esclusione di un altro concorrente determinato. 
N� potrebbe essere ritenuto ammissibile un accordo che abbia l�effetto di rendere maggiormente restrittivi 
(anche solo sul piano interpretativo) i requisiti di partecipazione alla gara o le valutazioni per l�attribuzione 
dei punteggi utili ai fini dell�aggiudicazione. 
Il parere dell�Autorit� reso tra stazione appaltante e concorrente potrebbe essere utilizzato anche al fine 
di raggiungere un accordo transattivo tra due concorrenti alla medesima gara, al fine ad esempio di ottenere 
la rinuncia all�impugnazione del bando o dell�aggiudicazione. In tal caso, peraltro, la transazione 
intercorrendo tra soggetti privati sar� necessariamente avulsa da aspetti pubblicistici e ricadr� in toto 
nella fattispecie dell�art. 1965 c.c.: la transazione sar� novativa rispetto alla controversia ma non rispetto 
al rapporto sostanziale di diritto pubblico che permane immutato, ed anzi risulter� rafforzato (v. Greco 
G., Contratti e accordi, cit., n. 3). 
(100) PICARDI N., Manuale, cit., 593. 
(101) Cos� PUNZI C., Il processo civile, sistema e problematiche, vol. III, I procedimenti speciali 
e l�arbitrato, Torino 2008, 158; Id., Disegno sistematico dell�arbitrato, cit., vol. I, 49 ss.; Id., Arbitrato 
e conciliazione, in Riv. dir. proc. 1995, 1028 ss.; Id., Relazioni fra l�arbitrato e le altre forme non giurisdizio-
nali di soluzione delle liti, cit., 390 ss.; RUBINO SAMMARTANO M., Diritto dell�arbitrato, 5a ed., 
Padova 2006, 5 ss. Sulla conciliazione in generale v., oltre alle opere citate, LUISO F.P., voce Conciliazione, 
in Il diritto-Encicl. giur. Il Sole 24 ore, Milano 2007, vol. III, 498 ss.; Id., La conciliazione nel 
quadro della tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2004, 1201 ss; SOLDATI N., La conciliazione, 
Milano 2007; BARTOLOMUCCI P., voce Conciliazione extragiudiziale, in Dig. civ. (agg.), vol. I, Torino 
2007, 211 ss.; CAPONI R., La conciliazione stragiudiziale come metodo di Adr (�Alternative Didispute 
Resolution�), in Foro it. 2003, V, 165 ss.; DENTI V., I procedimenti non giudiziali di conciliazione come 
istituzione alternativa, in Riv. dir. proc. 1980, 410 ss.; CHIARLONI S., Stato attuale e prospettive della 
conciliazione stragiudiziale, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2000, 447 ss.; SATTA S., Dalla conciliazione alla 
giurisdizione, in Riv. dir. proc. 1939, I, 200 ss.; NICOLETTI C.A., La conciliazione nel processo civile, 
Milano 1963.
300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
comporre la controversia (102). 
Se il ruolo di offrire alle parti il concilium � dalla legge riferito al giudice, 
si parla di conciliazione giudiziale, disciplinata da numerose disposizioni del 
codice di rito e leggi speciali (103). 
Tralasciando la conciliazione giudiziale, e dedicando attenzione alla sola 
conciliazione stragiudiziale, questa � comunemente distinta, sulla base del 
ruolo svolto dal conciliatore, in conciliazione �facilitativa�, in cui il terzo si 
limita a far emergere i reali interessi delle parti astenendosi dal proporre qualunque 
soluzione o consiglio e consentendo alle parti stesse il raggiungimento 
di un accordo; e conciliazione �valutativa�, in cui il terzo, analizzate le rispettive 
pretese delle parti, e la loro fondatezza ed accoglibilit� in sede giudiziaria, 
formula loro una proposta di accordo da esse liberamente valutabile e generalmente 
non utilizzabile nell�eventuale giudizio ordinario (104). 
Sul piano funzionale la conciliazione stragiudiziale viene spesso usata 
dal legislatore quale �filtro�, obbligatorio (105) o facoltativo (106), attraverso 
il quale le parti �possono� giungere ad estinguere la controversia prima di ricorrere 
al giudice (107). 
Quanto all�oggetto, non vi � dubbio che la conciliazione pu� avvenire solamente 
su situazioni giuridiche soggettive disponibili (108), n� deve essere 
contraria ad ordine pubblico e buon costume (109). Quando il legislatore usa 
il termine �conciliazione� con riferimento a situazioni giuridiche indisponibili, 
(102) Accanto alla conciliazione si colloca la �mediazione�. Il termine mediazione viene utilizzato 
dal legislatore solo in rari casi (es. mediazione familiare) anche se in dottrina, in assenza di una sicura 
convenzione terminologica, i due termini vengono spesso utilizzati come equivalenti (PUNZI C., Il processo 
civile, cit., vol III, 158; PICARDI N., Manuale, cit., 593). La differenza fra la mediazione e la conciliazione 
� stata talora individuata in dottrina nella necessaria presenza nella mediazione di un terzo 
qualificato ma diverso dal giudice (PICARDI N., op. loc. ult. cit.) e in altri casi, nel fatto che la conciliazione 
si conclude con un accordo di conciliazione stipulato dalle parti (ancorch� aiutate dal conciliatore), 
mentre la mediazione prevede, invece, la possibilit� che l�accordo venga predisposto dal mediatore ed 
accettato dalle parti (v. PUNZI C., op. ult. loc. cit.). 
(103) Sull�importanza del ruolo del giudice nella conciliazione giudiziale si veda MONTESANO L., 
La tutela giurisdizionale dei diritti, cit., 39. La conciliazione giudiziale pu� presentarsi come conciliazione 
preventiva, in sede non contenziosa e affidata al giudice di pace (art. 322 c.p.c.), o come conciliazione 
successiva, che si svolge all�interno e nel corso del processo (cfr. art. 183, commi 3 e 9, e art. 185, 
comma 1, c.p.c.; nonch� art. 350, comma 3, c.p.c., per ci� che attiene al processo ordinario di cognizione; 
art. 420 c.p.c. per il rito del lavoro; art. 708 c.p.c. per i procedimenti di separazione e divorzio; art. 696 
bis c.p.c. in tema di accertamento tecnico preventivo). 
(104) Cos� PUNZI C., Il processo civile, cit., 159 s. 
(105) Si pensi al tentativo obbligatorio di conciliazione previsto in materia di lavoro dall�art. 410 
c.p.c. 
(106) Non sono rare le clausole contrattuali con le quali le parti si autovincolano ad esperire un 
tentativo di conciliazione prima di adire il giudice. 
(107) PICARDI N., Manuale, cit., 593 s.; RUBINO SAMMARTANO M., Il diritto dell�arbitrato, cit., 4. 
(108) PICARDI N., Manuale, cit. 591; LUISO F.P., La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, 
cit., 1026. 
(109) PICARDI N., Manuale, cit., 590.
DOTTRINA 301 
ad esempio nella cd. �mediazione� in materia familiare, attribuisce al termine 
un significato diverso da quello consueto e che si sta tratteggiando: �non gi� 
quella di favorire un accordo delle parti, idoneo a porre regole di condotta con 
effetti del tutto identici a quelli della sentenza, quanto quello di convincere le 
parti a tenere comportamenti conformi alle prescrizioni normative, o pi� in 
generale idonei a meglio soddisfare gli interessi in gioco. Essa ha quindi la 
funzione di prevenire comportamenti illeciti o comunque inopportuni: non gi� 
quella di porre termine ad una controversia giuridica� (110). 
Quanto al frutto della conciliazione, tendenzialmente quando riesce le 
parti stipulano un accordo negoziale in cui cristallizzeranno le loro volont�, e 
nel quale si identificher� quel �risultato� di conciliazione di cui si parlava ad 
inizio paragrafo (111). 
Salvi i casi espressamente previsti dalla legge, l�accordo conciliativo non 
� assistito da efficacia esecutiva. Questo elemento potrebbe avere effetti dissuasivi 
al ricorso alle procedure conciliative qualora una parte dubiti che l�altra 
mantenga fede agli impegni assunti in sede conciliativa (112); ma vanno a tal 
proposito fatte delle considerazioni. Da un lato infatti il ricorso allo strumento 
conciliativo anzich� alla giurisdizione, e ancor pi� il fatto che la conciliazione 
si sia effettivamente raggiunta, sono di per s� sintomi del fatto che i rapporti 
tra le parti, seppur messi in crisi dalla controversia possibile o attuale si sono 
mantenuti buoni; pertanto, almeno in via tendenziale, sembra doversi escludere 
un inadempimento degli obblighi assunti in sede conciliativa. Dall�altro lato, 
il verbale di conciliazione potrebbe aprire la strada alla via monitoria nel caso 
in cui ne ricorrano i presupposti. Ancora, l�inadempimento in sede conciliativa 
potrebbe essere valutato come un comportamento idoneo, in esito ad un 
procedimento di cognizione, a fondare la responsabilit� aggravata ex art. 96 
c.p.c.
Quando la conciliazione non riesce, si ritiene che l�esito negativo del procedimento 
non produca alcun effetto. In particolare si ritiene che il comportamento 
delle parti costituisca una manifestazione di volont� che assume rilievo 
come proposta contrattuale, e non ha alcun riflesso probatorio in un eventuale 
successivo giudizio (113). 
Il comportamento delle parti, invece, potrebbe avere un importante riflesso 
in tema di ripartizione delle spese di lite dell�eventuale successivo giu- 
(110) LUISO F.P., op. loc. ult. cit. 
(111) L�accordo negoziale che cristallizzer� il cd. �risultato conciliativo� potr� assumere la forma 
della transazione, della rinunzia o del riconoscimento; v. SANTORO PASSARELLI F., Negozio e giudizio, 
in Riv. trim. dir. proc. civ. 1956, 1158. 
(112) LUISO F.P., op. cit., 1030. 
(113) Neppure come comportamento valutabile ai sensi dell�art. 116, secondo comma, c.p.c.: cos� 
� in materia di controversie agrarie � Cass. 22 giugno 2001 n. 8596, in Foro it. 2001, I, 3120 e sostanzialmente 
anche Cass. 1 giugno 2001 n. 7445, in Dir. e giur. agr. 2002, 250.
302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
dizio reso necessario dal rifiuto di una delle parti di una ragionevole proposta 
conciliativa. Se infatti la parte che ha rifiutato una ragionevole proposta conciliativa 
risulter� successivamente soccombente, sar� condannata alla rifusione 
delle spese processuali e potr� anche essere chiamata a rifondere i danni ex 
art. 96 c.p.c. Nel caso in cui, invece, dovesse risultare vittoriosa non potr� essere 
condannata ex art. 96 c.p.c., ma, in applicazione del principio di causalit�, 
dovr� sopportare le spese di lite. Questo principio � stato recepito dal legislatore 
del processo societario: l�art. 16, comma 2, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, 
espressamente dispone che �ove il tentativo non abbia esito positivo, il tribunale 
pu� tenerne conto ai fini della distribuzione delle spese di lite, anche ponendole, 
in tutto o in parte, a carico della parte formalmente vittoriosa che non 
� comparsa o che ha rifiutato ragionevoli proposte conciliative�. A parere di 
chi scrive detta disposizione non rappresenta un�eccezione al criterio della 
soccombenza, ma un�applicazione espressa del criterio della causalit� che sovrintende 
al riparto delle spese processuali nel nostro ordinamento (114). 
(114) � stato giustamente affermato in dottrina che il principio di causalit�, nel nostro ordinamento 
� latente (PAJARDI P., La responsabilit� per le spese ed i danni nel processo civile, Milano 1959, 255; 
VECCHIONE R., voce Spese giudiziali (diritto processuale civile), in Nov. dig. it. 1970, 1128). In effetti 
non � agevole, per chi muova dalla pi� ovvia e letterale interpretazione delle norme degli artt. 91 e 92 
c.p.c. metterne in luce la fondamentale importanza. Ma, ad una pi� attenta meditazione del diritto positivo, 
che deve necessariamente passare per una interpretazione sistematica di tutte le norme che dispongono 
in tema di spese, non si pu� fare a meno di notare, come accaduto a Chiovenda (CHIOVENDA G., 
La condanna nelle spese giudiziali, Torino 1901, 247), che anche de iure condito, il criterio della soccombenza 
formale, se da una lato soffre numerose eccezioni, si presenta del tutto inadeguato a fornire 
una risposta in termini di equit� e giustizia in situazioni in cui o la soccombenza non � ravvisabile, o 
alla soccombenza formale non dovrebbe seguire la condanna alle spese. Risposta che viene necessariamente 
ricercata sul piano frammentario ed empirico della casistica, come � avvenuto con il criterio della 
soccombenza ipotetica o virtuale per la ripartizione delle spese a seguito della dichiarazione di cessazione 
della materia del contendere. 
� da ritenere invece che il criterio generale che il legislatore avrebbe posto a base della disciplina generale 
della ripartizione delle spese di causa sia proprio il principio di causalit�, e non quello meramente 
formale della soccombenza. 
Se veramente si potesse sostenere che il criterio prescelto dal legislatore per la ripartizione delle spese 
di lite non si fondi sul mero dato formale della soccombenza, ma sul principio di causalit�, si potrebbe 
anche ritenere che la soccombenza formale altro non sia che un elemento rivelatore della causalit� stessa, 
nel senso che in genere � la parte soccombente nel merito ad aver dato causa al processo, o ad aver, col 
suo comportamento, indotto l�altra a servirsene (CHIOVENDA G., op. cit., 242 ss.). 
Secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente il criterio della soccombenza impedirebbe in ogni 
caso di addossare totalmente le spese di lite alla parte formalmente vittoriosa (Cass. 18 gennaio 2000 n. 
489, in Mass. Giur. It. 2000; Id. 18 ottobre 1997 n. 9762, in Mass. Giur. It. 1997; Id. 10 giugno 1997 n. 
5174, in Giust. Civ. 1998, I, 493, ss.; Id. 9 luglio 1993 n. 7535, in Mass. Giur. It. 1993; Id. 11 giugno 
1992 n. 7220, in Giur. It. 1993, I,1, 576 ss.). Peraltro non sono mancati casi in cui la Suprema Corte ha 
fatto ricorso al principio di causalit� �puro�: v. Cass. 30 Maggio 2000 n. 7182, in Foro It. 2001, I, 955 
ss., con nota di SCALA A.
DOTTRINA 303 
8. La conciliazione e la pubblica amministrazione 
A giudicare dal dato meramente numerico sembrerebbe che il legislatore 
veda nel settore delle controversie con la pubblica amministrazione il campo 
di elezione dello schema conciliativo. Numerosissime sono infatti le disposizioni 
che si rifanno, peraltro totalmente al di fuori di ogni sistematicit� (115), 
a modelli conciliativi. A titolo di esempio si vedano l�art. 2 l. 14 novembre 
1995, in materia di servizi di pubblica utilit�, l�art. 65-bis d.lgs. 30 marzo 2001 
n. 165, che disciplina il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi ad un 
collegio di conciliazione istituito presso la Direzione provinciale del lavoro 
nella cui circoscrizione si trova l�ufficio cui il lavoratore � addetto, l�art. 11 l. 
31 luglio 1997, n. 249, in tema di soluzione non giurisdizionale delle controversie 
nel campo delle telecomunicazioni; ancora attivit� conciliativa, seppur 
sui generis, � prevista dall�art. 8 l. 12 giugno 1990, n. 146, in materia di esercizio 
del diritto di sciopero nel settore dei servizi pubblici essenziali. 
Un caso del tutto particolare di procedura conciliativa � rappresentato, 
nel settore dei contratti pubblici, dalla procedura di accordo bonario di cui all�art. 
240 codice degli appalti (116). 
In tutte queste ipotesi la conciliazione riguarda sempre posizioni di diritto 
soggettivo, e, ove riesca, il verbale di conciliazione � ad eccezione della conciliazione 
in materia di sciopero nel settore dei servizi pubblici essenziali � 
ha efficacia di titolo esecutivo, o quantomeno viene cristallizzato in un atto 
che vincola le parti. 
Tra tutte, peraltro, la procedura conciliativa sicuramente pi� interessante, 
� quella di cui all�art. 6, comma 7, lettera n), del codice degli appalti. Detta 
disposizione, nell�elencare i compiti di competenza della Autorit� Garante per 
(115) CHITI. M.P., Le forme di risoluzione delle controversie, cit., 3. 
(116) Che detta procedura sia riconducibile al tipo conciliativo, destinato a sfociare in una transazione, 
non possono sorgere dubbi, se non per l�ipotesi in cui alla commissione � rimessa dalle parti la 
possibilit� �di assumere decisioni vincolanti, perfezionando, l�accordo bonario risolutivo delle riserve� 
ove sono chiari i caratteri dell�arbitrato (irrituale?) Cos� GRECO G., Contratti e accordi della Pubblica 
Amministrazione con funzione transattiva (appunti per un nuovo studio), cit., n. 2. 
Eppure non sempre cos� � stato interpretato. Infatti, con riferimento alla disciplina dell�art. 31 bis l. 
109/94, nel testo precedente alle modifiche apportate dalla legge 166/2002, � stato sostenuto che l�accordo 
bonario avrebbe dovuto essere inquadrato tra gli accordi amministrativi, ex art. 11 della legge 
241. STICCHI DAMIANI E., in AA.VV., L�appalto di opere pubbliche, a cura di R. VILLATA, Padova 2001, 
861. Non cos� nella seconda edizione della stessa opera (Padova, 2004, 1006 ss.). Ma, a parte tale discutibile 
inquadramento, se si tien conto dei possibili contenuti dell�accordo bonario risulter� facile 
escludere ogni esercizio di potest� pubbliche, che rappresenta il �proprium� degli accordi ex art. 11 l. 
241. Infatti, attraverso l�accordo bonario, l�Amministrazione riconosce eventuali ulteriori compensi (per 
maggiori oneri sostenuti dall'appaltatore), riconosce eventuali proroghe dei termini contrattuali (evitando 
cos� all�appaltatore i rischi delle penali), concorda eventuali nuovi prezzi e varianti (nei limiti consentiti, 
dall�art. 24 della l. 109/94), ecc.: esercita, cio�, n� pi� n� meno quei poteri negoziali, connessi alla sua 
posizione contrattuale e alle relative obbligazioni. Cos� precisamente, sempre GRECO G., op. loc. ult. 
cit.
304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
i Contratti Pubblici, dispone: �su iniziativa della stazione appaltante e di una 
o pi� delle altre parti, esprime parere non vincolante relativamente a questioni 
insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, eventualmente formulando 
una ipotesi di soluzione�. La norma detta la disciplina della cd. �procedura 
di precontenzioso in sede di gara�, ossia l�attivit� con cui l�Autorit� 
esprime il proprio parere in ordine a questioni che si potrebbero porre in sede 
di gara tra la stazione appaltante e le imprese concorrenti; questioni che potrebbero 
potenzialmente degenerare nella impugnazione del bando di gara ovvero 
dei provvedimenti di esclusione o aggiudicazione. Al fine di prevenire il 
contenzioso le parti possono ricorrere all�Autorit� affinch� questa esprima il 
proprio parere non vincolante sulla vicenda formulando anche un�ipotesi di 
soluzione (117). 
Il provvedimento dell�Autorit� 10 gennaio 2008, che subentra al provvedimento 
10 ottobre 2006, detta la disciplina per il procedimento. L�istanza pu� 
essere presentata dalla stazione appaltante o dalle parti interessate alla procedura, 
congiuntamente o disgiuntamente (118). Il procedimento si conclude in 
tempi strettissimi. � prevista un�attivit� istruttoria ed � garantita ad entrambe 
le parti la possibilit� di partecipazione alla procedura. Qualora il procedimento 
� avviato su istanza della parte privata, la stazione appaltante � invitata a non 
porre in essere atti pregiudizievoli ai fini della risoluzione della questione fino 
alla definizione della stessa da parte dell�Autorit� (119). 
(117) Uno strumento simile venne inserito nello schema di regolamento generale di attuazione 
della �Merloni� su sollecitazione delle commissioni parlamentari. Nella relazione governativa al testo 
si leggeva: �non essendo configurabile allo stato attuale dell�ordinamento � al di la degli aspetti sanzionatori 
� un potere dell�Autorit� di emettere statuizioni vincolanti erga omnes, e nemmeno verso i singoli 
(l�Autorit� infatti non �regola� in senso stretto) si � ritenuto di prevedere un meccanismo che attribuisca 
all�Autorit�, investita del relativo potere dalla volont� consensuale, la regolamentazione della specifica 
fattispecie, attraverso un momento di composizione stragiudiziale e pregiudiziale della possibile vertenza 
che consenta all�Autorit� di dettare la regola per il caso concreto�. Fu la Corte del Conti a negare il 
visto alla disposizione per mancanza dei relativi fondi. Sul punto v. CORSINI M., inAA.VV., Codice degli 
appalti pubblici, cit., sub art. 6, 53. 
Ma un meccanismo di tal fatta esisteva ed era vigente nel nostro ordinamento, anche se poco conosciuto 
e poco applicato: era la procedura di conciliazione prevista dagli artt. 9 ss. Dir. CE 92/93 sui mezzi di 
ricorso, che tendeva a �trovare un accorodo tra le parti nel rispetto del diritto comunitario�. Su detta ultima 
procedura v. GRECO G., Modelli arbitrali e potest� amministrative, in AA.VV., Arbitrato e pubblica 
amministrazione, cit. 1999, 163 ss. 
(118) Diversamente da quanto sembra disporre il codice dei contratti, che invece richiede 
un�istanza congiunta. 
(119) Si ritiene che detto invito non abbia carattere cogente: v. BALDI M., in AA.VV., La disciplina 
dei contratti pubblici. Commentario al Codice appalti, a cura di BALDI M., Tomei R., Milano 2007, sub 
art. 6, 82; VARLARO SINISI A., Fioccano i pareri consultivi dell�Autorit� in tema di cauzione provvisoria, 
subappalto, avvalimento, in Urb. e app. 2007, 420. Detto orientamento non pare condivisibile: quando 
una norma di legge o di altra fonte �invita� l�amministrazione a fare o non fare qualcosa, non significa 
che l�amministrazione sia libera di eseguire o non eseguire l�invito, ossia il fatto che si usi il verbo �invitare
� non intacca la cogenza dell�ordine e l�amministrazione sar� comunque tenuta ad uniformare il 
proprio comportamento alle previsioni della norma. La ragione del verbo �invitare�, infatti, va ad inci-
DOTTRINA 305 
Sulla natura conciliativa del procedimento non possono sorgere dubbi: 
nella eventualit� del sorgere di una controversia in sede di gara un soggetto 
terzo offre il proprio consilium affinch� le parti possano addivenire al concilium. 
Peraltro rispetto a tutte le ipotesi di conciliazione che si sono esaminate 
questa si caratterizza per il suo oggetto. 
Generalmente le ipotesi di conciliazione disciplinate dalla legge hanno 
ad oggetto situazioni di diritto soggettivo, magari fortemente connesse con situazioni 
di interesse legittimo, ma pur sempre di diritto soggettivo. Nel caso 
in esame invece oggetto della controversia (eventuale o gi� insorta) � una situazione 
di interesse legittimo come tale rientrante a pieno titolo nella giurisdizione 
del giudice amministrativo, dal momento che siamo nell�ambito della 
fase a diritto amministrativo (cd. �ad evidenza pubblica�) della contrattazione 
pubblica. Inoltre il parere dell�Autorit� non necessariamente � dato quando 
l�attivit� amministrativa � o, se si preferisce, l�esercizio del potere � si sono 
esauriti, ma la sua pi� importante funzione � di orientare l�esercizio del potere 
provvedimentale della stazione appaltante al fine di evitare l�illegittimit� dell�aggiudicazione: 
ossia, in altre parole, il parere dell�Autorit� ha la funzione 
di indicare all�amministrazione aggiudicatrice eventuali vizi nell�esercizio del 
potere in maniera che questa possa evitare che la procedura di gara, che si conclude 
con l�aggiudicazione, sia viziata e possa venire annullata dal giudice 
amministrativo, ad esempio perch� un concorrente � stato ingiustamente 
escluso dal concorso. 
Ci� non pu� che dar adito ad una serie di considerazioni. In primo luogo 
il legislatore non solo non ha ritenuto lo schema della conciliazione contrastante 
con la soluzione e/o prevenzione di controversie relative a posizioni di 
interesse legittimo, ma ha anche previsto che l�intervento di un soggetto terzo 
possa influire, seppure in maniera non vincolante, sull�esercizio futuro del potere 
amministrativo: nessuna disposizione impedisce l�intervento di un soggetto 
�conciliatore� che, nel corso del procedimento, ponendo in risalto 
eventuali vizi dell�agire dell�amministrazione, proponga comportamenti alternativi 
rispetto a quelli che questa sta seguendo al fine di evitare l�insorgere 
di una controversia probabile, o di porre fine ad una controversia gi� in atto; 
sar� in quest�ultimo caso l�amministrazione che, in esercizio dei suoi poteri 
di autotutela potr� autonomamente scegliere di seguire il consilium e, se � gi� 
stato instaurato in giudizio, far cessare la materia del contendere. 
Altra questione riguarda la possibilit� di cristallizzare in un atto negoziale 
l�eventuale risultato della conciliazione: la normativa tace sul punto, ma non 
dere sul momento della motivazione del provvedimento che si discosta dall�invito: la pubblica amministrazione 
pu� tenere un comportamento diverso da quello al quale � invitata, ma deve dare conto in 
motivazione delle ragioni per cui ha deciso di discostarsi dal parametro normativo. In caso contrario il 
provvedimento sar� annullabile per violazione di legge per difetto di motivazione.
306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
sembra potersi escludere che le parti possano impegnarsi e fissare in un atto 
avente natura lato sensu �transattiva� l�avvenuta conciliazione, ancorch� l�oggetto 
delle reciproche concessioni possa riguardare non la disciplina delle conseguenze 
di un rapporto di diritto amministrativo gi� esaurito, ma addirittura 
l�esercizio stesso del potere. 
La questione peraltro presuppone la dimostrazione della ammissibilit� 
della transazione su rapporti di diritto pubblico che � come ci si � riservati 
supra � sar� affrontata infra (120). 
Ancora, occorre verificare quali effetti il parere dell�Autorit�, espressamente 
definito �non vincolante� dalla legge, pu� produrre nei rapporti tra le parti. 
Se le parti decidessero di adattarvisi, evitando l�insorgere della controversia 
o ponendovi fine, affidando le loro volont� ad un atto negoziale non vi 
sarebbero soverchie questioni, ma poco sopra ci si � riservati di affrontare pi� 
avanti il problema. 
Peraltro, anche qualora le parti non stipulassero nessun accordo, l�esistenza 
del parere dell�autorit� non sarebbe comunque senza effetto. 
Come si � detto sopra parlando della conciliazione in generale, si � ipotizzato 
che, nel caso in cui la conciliazione non fosse consacrata in un accordo 
negoziale, la mancata adesione ad una ragionevole proposta conciliativa � che 
nella specie consisterebbe nella proposta di soluzione della quaestio controversa 
avanzata dall�Autorit� � avrebbe potuto aprire la strada alla responsabilit� 
processuale ex art. 96 c.p.c., ovvero nel caso in cui la ragionevole proposta 
fosse stata rifiutata dalla parte successivamente vittoriosa in giudizio, il principio 
di causalit� avrebbe aperto la strada alla sua condanna nelle spese processuali. 
Ci� vale naturalmente anche nel caso di specie a nulla rilevando che ci si 
trovi di fronte a controversie appartenenti pleno titulo alla giurisdizione amministrativa: 
infatti anche davanti al giudice amministrativo trovano applicazione 
le disposizioni processuali civili in tema responsabilit� in expensis (121), 
nonch� l�art. 96 c.p.c. in tema di responsabilit� aggravata (122). 
Va inoltre considerato un aspetto del tutto peculiare: qualora il funzionario 
amministrativo competente ad esprimere la volont� dell�amministrazione ritenga 
di discostarsi dal parere formulato dall�Autorit� dovr� ben motivare la 
decisione di non seguire il consilium per evitare di incorrere, in caso di successiva 
sconfitta in giudizio dell�amministrazione cui appartiene, nella responsabilit� 
amministrativa ex art. 28 Cost. 
(120) Per alcune considerazioni v. GRECO G., op. loc. ult. cit. 
(121) Cons. Stato, sez. IV, 2 marzo 2001, n. 1171; AA.VV., Giustizia amministrativa, a cura di 
SCOCA F.G., 2a ed., Torino 2006, 165 s. 
(122) C.G.A. Reg. Sic., 21 settembre 2006, n. 518, in Riv. trim. appalti 2007, 527; T.A.R. Veneto, 
sez. I, 19 febbraio 2000, n. 637, in Foro amm. 2000, 1837; Cass. 25 gennaio 1989, n. 429, in Foro it. 
1990, I, 238 ss.
DOTTRINA 307 
Ma l�importanza della disposizione del codice dei contratti va ben al di 
la della sua portata operativa. Essa infatti conferma la possibilit� che lo strumento 
conciliativo possa essere adoperato anche per controversie aventi ad 
oggetto posizioni di interesse legittimo, senza peraltro porre quelle questioni 
che invece parte della dottrina e della giurisprudenza ritengono insuperabili 
con riferimento alla transazione, all�arbitrato, all�arbitraggio o alla perizia arbitrale. 
Con la conciliazione, come si � visto sopra, l�effetto conciliativo non 
si produce grazie ad una imposizione proveniente da un soggetto terzo rispetto 
alle parti, ma consegue ad una loro libera scelta maturata grazie al consilium 
di un soggetto particolarmente affidabile. Consilium che, anche se non si traduce 
in un atto negoziale, produce effetti considerevoli sull�eventuale successivo 
processo in termini di responsabilit� processuale ex art. 96 c.p.c. 
La decisione di mutare il proprio comportamento � presa autonomamente 
dall�amministrazione in base ad una meditata lettura della questione proveniente 
da un soggetto terzo rispetto ad ambo le parti, lettura che non vincola 
certo l�attivit� amministrativa, ma offre gli strumenti per poter ragionevolmente 
prevedere gli esiti di una lite presente, ovvero futura o eventuale. A quel 
punto l�amministrazione potr� prendere autonomamente le sue determinazioni, 
eventualmente anche discostandosi dal consilium del terzo, salvo poi il rischio, 
in caso di sconfitta in giudizio, di sopportare una condanna per le spese processuali, 
oltre alla responsabilit� ex art. 96 c.p.c. e, per il funzionario competente, 
la responsabilit� per danno erariale ex art. 28 Cost. 
9. L�arbitraggio 
L�arbitraggio (123) � disciplinato, al livello privatistico, da diverse disposizioni 
del codice civile, ed � previsto da talune leggi speciali. 
L�art. 1349 c.c. disciplina la figura al livello generale: �se la determinazione 
della prestazione dedotta in contratto � deferita a un terzo e non risulta 
che le parti vollero rimettersi al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con 
equo apprezzamento. Se manca la determinazione del terzo o se questa � manifestamente 
iniqua o erronea, la determinazione � fatta dal giudice. 
La determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo non si pu� impugnare 
se non provando la sua mala fede. Se manca la determinazione del terzo 
(123) Sull�arbitraggio in generale v. CATRICAL� A., voce Arbitraggio, in Enc. giur., vol. II, Roma 
1988; CRISCUOLO F., Arbitraggio e determinazione dell�oggetto del contratto, Napoli 1996; CRISCUOLO 
F., voce Arbitraggio e perizia contrattuale, in Enc. dir., aggiornamento, vol. IV, Milano 2000, 60 ss.; 
MARANI G., In tema di arbitrato, arbitraggio, perizia contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1983, 610 
ss.; SALANDRA V., Arbitrato irrituale, arbitraggio o perizia contrattuale?, in Assicurazioni 1940, 2, 185 
ss.; SCHIZZEROTTO G., Arbitrato improprio e arbitraggio, Milano 1967; VECCHIONE R., Perizia contrattuale, 
arbitrato irrituale e arbitraggio, in Foro pad. 1953, I, 405 ss.; ZUDDAS G., L�arbitraggio, Napoli 
1992.
308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
e le parti non si accordano per sostituirlo, il contratto � nullo. 
Nel determinare la prestazione il terzo deve tener conto anche delle condizioni 
generali della produzione a cui il contratto eventualmente abbia riferimento
�. 
Tra le disposizioni inerenti il contratto di vendita l�art. 1473 c.c. dispone: 
�le parti possono affidare la determinazione del prezzo a un terzo, eletto nel 
contratto o da eleggere posteriormente. 
Se il terzo non vuole o non pu� accettare l�incarico, ovvero le parti non 
si accordano per la sua nomina o per la sua sostituzione, la nomina, su richiesta 
di una delle parti, � fatta dal presidente del tribunale del luogo in cui � stato 
concluso il contratto�. 
Sempre in tema di contratto di vendita, l�art. 82 disp. att. c.c. indica in 
quale modo si pu� supplire alla mancata collaborazione di controparte nella 
nomina del terzo (124). 
Al livello di leggi speciali costituiscono arbitraggio, ad esempio, quello 
che l�art. 37 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 definisce arbitrato (125), nonch� il 
procedimento previsto dall�art. 64, comma 4, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 
per la determinazione dell�equo compenso in caso di invenzioni del dipendente. 
In cosa consista l�arbitraggio, e sui particolari che lo rendono diverso 
dall�arbitrato, la dottrina ha gi� detto molto. Per quanto interessa in questa 
sede � sufficiente accennare che si ha arbitraggio quando le parti di un negozio 
rimettono ad un terzo la determinazione di alcuni elementi del negozio stesso, 
impegnandosi preventivamente ad accettare la determinazione. Che l�istituto 
opera anche nei negozi unilaterali (126) e che se le parti non hanno scelto di 
rimettersi all�arbitrio del terzo questo deve procedere alla scelta con equo apprezzamento. 
Un aspetto che la dottrina mette raramente in risalto, in quanto probabilmente 
appare scontato, ma che � fondamentale ai fini della nostra ricerca, � 
che la determinazione, ancorch� rimessa ad un terzo, appartiene alle parti che 
(124) Sempre nel codice civile altre norme individuano istituti riconducibili al tipo dell�arbitraggio: 
all�art. 630 c.c. si prevede la determinazione ad opera di terzi della individuazione dell�istituto beneficiario, 
e dell�uso da farsi delle disposizioni testamentarie a favore dei poveri; all�art. 631 c.c. la 
scelta del legatario tra pi� persone, famiglie, categorie o enti determinati dal testatore; all�art. 632 c.c. 
la determinazione della quantit� e dell�oggetto del lascito disposto a titolo remunerativo per i servizi 
prestati in vita al testatore; agli artt. 664 e 665 c.c. la scelta della cosa determinata dal testatore soltanto 
nel genere e in caso di lagato alternativo; agli artt. 706 e 733 c.c. la divisione o la stima del progetto di 
divisione del patrimonio ereditario ad opera dell�esecutore testamentario o di persona designata che non 
siano eredi o legatari; e ancora, all�art. 778 c.c. la scelta del donatario tra pi� soggetti indicati e l�oggetto 
tra pi� cose desi-gnate tra o nei limiti stabiliti dal donatore. � pure ammessa la scelta del terzo nella individua-
zione dell�obbligazione alternativa (artt. 1286 e 1287 c.c.) . 
(125) ZUCCONI GALLI FONSECA E., in AA.VV., Arbitrato, cit., sub art. 806, 102. 
(126) CATRICAL� A., voce Arbitraggio, cit., 1.
DOTTRINA 309 
ne assumono pienamente la responsabilit�; in altre parole, salvo che la determinazione 
sia in qualunque modo viziata, e venga perci� posta nel nulla dal 
giudice, questa �appartiene� alle parti, che la fanno propria (127). Il terzo sar� 
responsabile nei confronti delle parti per il suo operato, ma nei confronti di 
tutti gli altri terzi la sua determinazione appare come determinazione delle parti. 
Parte della dottrina ritiene impraticabile per la pubblica amministrazione 
la via dell�arbitraggio dal momento che non sarebbe ammissibile che essa deferisca 
ad un terzo la determinazione �della prestazione dedotta in contratto�; 
le perplessit� che dovrebbero indurre a ritenere l�arbitraggio inammissibile 
sarebbero addirittura pi� evidenti di quelle che, sempre per il medesimo orientamento 
dottrinario, renderebbero impraticabile il ricorso all�arbitrato libero, 
non potendosi nemmeno invocare ad argomento una pretesa univocit� di funzioni 
tra le due forme di arbitrato. La pubblica amministrazione, pertanto, sarebbe 
impedita a ricorrere all�arbitraggio poich� le sarebbe impedito deferire 
a terzi la formazione della sua volont� (128). 
Detta conclusione � per� da un lato apodittica, perch� non sono spiegate 
le ragioni della impossibilit� di deferire a terzi il momento volitivo dell�amministrazione 
pubblica � se non nella formazione della volont� provvedimentale, 
almeno nel momento della formazione della volont� negoziale � e 
soprattutto dall�altro trova smentita in diverse disposizioni di legge che prevedono 
ipotesi in cui la formazione della volont� amministrativa � completata 
dall�intervento di terzi (129). 
Si pensi ad esempio alle commissioni di determinazione di premi e indennit� 
previste da diverse disposizioni del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 
�testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, 
a norma dell�articolo 1 della legge 8 ottobre, n. 352� per il caso in 
cui il privato non accetti la determinazione del Ministro (130). 
(127) �L�arbitratore � autorizzato dalle parti a volere per loro�, nel senso che �la volont� dell�arbitratore 
� volont� accessoria� rispetto a quella delle parti, che �completa il contenuto e determina l�efficacia 
della dichiarazione principale� rispetto alla quale � �un distinto negozio giuridico, con una sua 
propria rilevanza ed efficacia, sebbene di carattere ausiliario� (corsivo dell�Autore); cos� SANTORO PASSARELLI 
F., Negozio e giudizio, cit., 1160. 
(128) CAIA G., Arbitrati e modelli arbitrali nel diritto amministrativo, cit., 27 s.; DE LISE P., L�arbitrato 
nel diritto amministrativo, cit., 1199 s., 
(129) V. infatti LASCHENA R., voce Arbitrato, cit., 7: �L�esistenza di arbitraggi necessari di diritto 
pubblico non � dubbia�, se non peraltro perch� la legge espressamente ne prevede alcune forme. L�Autore 
richiama a titolo di esempio l�art. 2 l. 20 dicembre 1962, n. 1718. 
(130) Si tratta di determinazioni che la dottrina aveva ricondotto ad ipotesi di arbitraggio (CASSESE 
S., L�arbitrato nel diritto amministrativo, cit., 315 ss.). Per la verit� sembrerebbe pi� corretto ricondurre 
dette ipotesi sotto l�egida dell�arbitrato irrituale dal momento che le commissioni sono chiamate a risolvere 
un conflitto relativo al quantum debeatur per il caso di mancata accettazione delle stima del Ministro. 
Resta il fatto che in queste si � ancora nella fase genetica del rapporto del quale occorre 
individuare un elemento; individuazione che � rimessa all�apprezzamento di un soggetto terzo, la cui 
determinazione � fatta propria dall�amministrazione.
310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Non si vede poi per quale ragione all�amministrazione debba essere proibito 
rimettere a terzi la determinazione di taluni elementi di un contratto: si � 
visto supra, infatti, che l�amministrazione quando non esercita la propria attivit� 
istituzionale si configura come una persona giuridica titolare di una capacit� 
di diritto privato identica a quella di qualsiasi altro soggetto (131), e lo 
stesso vale quando esercita attivit� contrattuale, seppure la presenza del pubblico 
interesse giustifica delle limitazioni alla sua autonomia privata; in linea 
generale, quindi, niente impedirebbe all�amministrazione � d�accordo con controparte 
e nei limiti consentiti dalla legge � di affidare a terzi la determinazione 
di taluni elementi contrattuali. 
Ma soprattutto, ci� che rileva maggiormente come argomento a contrario, 
il ricorso allo strumento dell�arbitraggio non significa che �la volont� dell�amministrazione 
sia inammissibilmente rimessa a terzi�. Come si � visto supra, 
infatti, la volont� finale � pure sempre �delle parti�, ancorch� una parte pi� o 
meno importante del contenuto dell�atto finale sia determinata da un terzo. 
Ci� che rileva alla fine non � la volont� del terzo, ma la volont� delle parti, 
che unica appare come determinante il concreto assetto di interessi raggiunto. 
Nei confronti di tutti gli altri terzi non appare che la volont� negoziale delle 
parti, mentre il fatto che detta volont� sia stata in parte determinata da un terzo 
ha rilievo esclusivamente nei rapporti tra le parti, e tra queste e il terzo. La decisione 
finale sul rapporto � comunque delle parti mentre la determinazione 
del terzo si pone in un momento logicamente anteriore rispetto al perfezionamento 
del negozio. 
Inoltre che la determinazione di un elemento di un negozio o atto pi� 
complesso sia rimessa ad un terzo, non significa che questi sostituisca la propria 
volont� a quella delle parti: tutto al contrario sono le parti che fanno propria, 
anticipatamente, la manifestazione di volont� del terzo, il quale ne perde 
la paternit�. 
Quanto all�attivit� provvedimentale della pubblica amministrazione, occorre 
distinguere tra provvedimenti vincolati e provvedimenti a contenuto discrezionale. 
In caso di provvedimento vincolato non pare possa esservi spazio per l�arbitraggio. 
Se si segue l�orientamento pi� restrittivo, secondo il quale sarebbe 
da considerare vincolato soltanto l�atto i cui contenuti siano assolutamente 
predeterminati, in modo che l�esercizio del potere si presenta come una semplice 
formalizzazione di un quid dal contenuto gi� predeterminato, sembrerebbe 
da escludere lo spazio stesso per la determinazione di un terzo su taluni 
aspetti contenutistici del provvedimento. Allo stesso modo, se si segue una diversa 
impostazione e si considera invece vincolato anche quel provvedimento 
(131) BASSI F., Arbitrato irrituale e pubblica amministrazione, in AA.VV., Arbitrato e pubblica 
amministrazione, cit. 1999, 63.
DOTTRINA 311 
il cui contenuto risulti legato all�esito della istruttoria procedimentale, in modo 
che l�atto risulter� vincolato non in virt� di una predeterminazione normativa 
del suo contenuto ma per il combinarsi delle risultanze dell�attivit� istruttoria, 
cui la legge fa corrispondere senza alcuna discrezionalit� degli effetti �necessari
� (132) non vi pu� essere spazio per l�arbitraggio. Al pi� l�amministrazione 
si potr� rivolgere a terzi per svolgere valutazioni inerenti l�attivit� istruttoria, 
ma in tal caso non si tratter� di arbitraggio dal momento che ci� che viene 
chiesto al terzo non � la determinazione vincolante di un elemento del rapporto, 
ma un accertamento ad usum dell�attivit� amministrativa vincolata, 
ossia una semplice consulenza tecnica. 
Del tutto diversa � invece la conclusione con riferimento all�attivit� discrezionale 
che, a norma dell�art. 11 l. 7 agosto 1990, n. 241, pu� essere oggetto 
di accordi tra l�amministrazione e l�interessato al fine di determinare il 
contenuto del provvedimento, ovvero di sostituirlo con una determinazione 
negoziale. Ebbene, per tutto quanto si � detto supra non si vedono motivi per 
escludere la rimessione a terzi della determinazione, con carattere vincolante 
per le parti, di taluni elementi di quello che sar� il provvedimento finale. Provvedimento 
finale che sar� espressione esclusivamente di volont� pattizia (sempre 
nell�ottica del perseguimento del pubblico interesse), mentre in nessun 
modo rilever� all�esterno che taluni suoi elementi siano frutto della determinazione 
di un soggetto terzo. 
Lo stesso ragionamento vale per gli accordi tra pubbliche amministrazioni 
per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attivit� di interesse comune 
di cui all�art. 15 l. 241/90. 
Ecco allora che, salvo che diverse disposizioni di legge o le caratteristiche 
del procedimento rendano impraticabile l�arbitraggio, deve ritenersi che le 
pubbliche amministrazioni possano liberamente farvi ricorso nell�esercizio 
della loro attivit� di diritto privato e sempre con il limite del rispetto e del perseguimento 
del pubblico interesse (133). 
10. La perizia arbitrale 
Venendo alla perizia arbitrale, o perizia contrattuale, la figura � emersa 
nell�esperienza giurisprudenziale come incarico a terzi di svolgere, essenzialmente 
in base alla loro capacit� tecnica, constatazioni o accertamenti che le 
parti si impegnano ad accettare, con riferimento ad una vicenda conclusa. La 
(132) E cos�, ad esempio, se � prima dell�introduzione della �denunzia di inizio attivit�� io avessi 
depositato tutta la documentazione necessaria per ottenere una licenza edilizia, l�amministrazione sarebbe 
stata vincolata a concedermela. Allo stesso modo, se dall�attivit� istruttoria ricorrono tutti i presupposti 
della �guida in stato di ebbrezza�, l�agente accertatore non potr� fare altro che procedere alla 
irrogazione della sanzione. 
(133) Cos� FAZZALARI E., L�arbitrato nell�attivit� della regione, cit., 162 s. 
312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
determinazione del terzo verte su una valutazione eminentemente tecnica con 
esclusione di ogni potere discrezionale o equitativo. Si tratta di uno strumento 
in genere utilizzato nella prassi dei contratti assicurativi contro i danni, nei 
quali sovente � previsto che in caso di contestazione sulla liquidazione del 
danno la determinazione sia affidata ad un collegio di periti (134). 
Sulla natura della perizia contrattuale o arbitrale non vi � univocit� di vedute. 
Secondo un primo orientamento la perizia contrattuale altro non sarebbe 
che un�ipotesi di arbitraggio (135), altri ritengono sia un�ipotesi di arbitrato 
irrituale (136), altri ancora le negano l�autonoma configurabilit� (137) mentre 
altri ne fa un istituto autonomo (138). 
Peraltro a chi scrive sembra che miglior cosa sia indagare caso per caso 
tutte le ipotesi in cui viene rimesso a terzi l�accertamento di un dato prettamente 
tecnico, verificare la ratio di tale rimessione, e quindi individuare la 
natura dell�istituto. Ecco allora che, qualora le parti si siano risolte di rimettere 
a terzi la determinazione di elementi tecnici a completamento di un negozio 
tra di loro nella sua fase genetica non si pu� negare che ci si trovi di fronte ad 
un caso di arbitraggio; qualora invece le parti di un rapporto controverso rimettano 
ad un terzo, scelto per le sue particolari conoscenze, un aspetto prettamente 
tecnico staccandolo dal resto dell�intera vicenda, allora si avr� perizia 
arbitrale, che peraltro si presenta come un arbitrato, seppur ad oggetto limitato 
(139). 
Ecco allora che, se la perizia arbitrale altro non � che una sorta di arbitrato 
(134) Cass. 18 febbraio 1998, n. 1721; Id. 28 agosto 1995, n. 9032; Id. 30 marzo 1995, n. 3791; 
Id. 11 novembre 1994, n. 9459; 16 luglio 1985, n. 4178. In dottrina v. BOVE M., La perizia arbitrale, 
Torino 2001; SCHIZZEROTTO G., Arbitrato improprio e arbitraggio, Milano 1967; DIMUNDO A., L�arbitraggio 
la perizia contrattuale, in AA.VV., L�arbitrato. Profili sostanziali, cit., vol. I, 143 ss., spec. 208 
ss.; VECCHIONE R., Perizia contrattuale, arbitrato irrituale e arbitraggio, in Foro pad. 1953, I, 405 ss.; 
ZUDDAS G., L�arbitraggio, Napoli 1992; CRISCUOLO F., voce Arbitraggio e perizia contrattuale, in Enc. 
dir., aggiornamento, vol. IV, Milano 2000, 60 ss.; Id., Arbitraggio e determinazione dell�oggetto del 
contratto, Napoli 1996. 
(135) Cos� ASCARELLI T., Arbitri e arbitratori, in Riv. dir. proc. 1929, I, 308 ss.; ASCARELLI T., I 
c.d. collegi arbitrali per l�accertamento del danno nell�assicurazione infortuni, in Assicurazioni 1936, 
II, 2 ss.; FURNO C., Appunti in tema di arbitramento e di arbitrato, in Riv. dir. proc. 1951, II, 157 ss., 
spec. 161, 167-168; FAZZALARI E., L�arbitrato, Torino 1997, 29 s.; GABRIELLI G., Arbitrato rituale, arbitrato 
irrituale ed arbitraggio nell�accertamento o nella transazione, in Vita not. 1993, 663 ss., spec. 
665 ss.
(136) SALANDRAV., Arbitrato irrituale, arbitraggio o perizia contrattuale?, in Assicurazioni 1940, 
2, 185 ss., spec. 189; VECCHIONE R., Perizia contrattuale, arbitrato irrituale e arbitraggio, cit., 407. 
(137) ELIA L., In tema di arbitrato irrituale, in Giur. compl. cass. civ. 1948, II, 280 ss.; SCHIZZEROTTO 
G., Dell�arbitrato, 3a ed., Milano 1988, 278 ss.; ZUDDAS G., L�arbitraggio, cit., 219 ss.; DIMUNDO 
A., L�arbitraggio la perizia contrattuale, cit., 214 ss. 
(138) BIAMONTI L., voce Arbitrato (diritto processuale civile), in Enc. dir., vol. II, Milano 1958, 
955 ss.; RECCHIA G., voce Arbitrato irrituale, in Noviss. dig. it. Appendice, vol. I, Torino 1980, 366; 
MARANI G., In tema di arbitrato, arbitraggio, perizia contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1983, 610. 
(139) Cos� LUISO F.P., L�oggetto del processo arbitrale, in Riv. arb. 1996, 669 ss.; BOVE M., La 
perizia arbitrale, cit., passim, spec. 170 ss.
DOTTRINA 313 
�ad oggetto irrituale� per modo che la differenza tra l�arbitrato e la perizia arbitrale 
sarebbe di tipo meramente �quantitativo� (140), detto strumento sar� 
utilizzabile da parte delle pubbliche amministrazioni nei limiti in cui si ritiene 
consentito lo strumento dell�arbitrato (141). 
(140) BOVE M., op. loc. ult. cit. 
(141) Diversamente argomenta CAIA G., Arbitrati e modelli arbitrali, cit., 27 ss., secondo il quale 
la perizia arbitrale consisterebbe nel deferimento a terzi di una questione dal carattere prettamente tecnico. 
Egli stesso la ritiene inammissibile � oltre che per il fatto che l�amministrazione non potrebbe rimettere 
ad un terzo l�esame di questioni tecniche dal momento che istituzionalmente dovrebbe essere 
dotata di un ufficio all�uopo competente (argomento questo invero fantasioso, come ammette del resto 
lo stesso Autore) � esattamente per le medesime ragioni per le quali ritiene inammissibile l�arbitraggio.
314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
Il creditore erariale dissenziente 
al concordato preventivo 
Spunti di riflessione tratti dalla giurisprudenza 
del Tribunale di Monza 
Francesco Vignoli* 
Quando Carnelutti giunse in Lombardia, per esercitare l�insegnamento 
presso l�Universit� di Milano, nella sua prolusione di esordio tenne a rimarcare 
che l�arrivo in una Accademia cos� prestigiosa costituiva motivo di grande 
soddisfazione. 
Le ragioni di tale soddisfazione erano principalmente da ricondurre, secondo 
l�esimio giurista, nella constatazione che, in sintonia con gli insegnamenti 
romanistici, il diritto nasce dai traffici commerciali e si evolve con 
questi. Pertanto non vi era sede migliore di Milano, e della Lombardia, per 
prestare la propria attivit�. 
Prendendo spunto dal grande maestro, si potrebbe dire che esaminare le 
tematiche del concordato preventivo e della transazione fiscale in una sede 
quale quella di Monza significa dibattere di una materia viva e in continua 
evoluzione, perch� viva e in evoluzione � l�attivit� commerciale in questo spicchio 
della nostra Italia. 
Monza � la terza citt� della Lombardia, ha pi� abitanti di comuni capoluogo 
di Regione quali ad esempio Trento, presenta una struttura commerciale 
e industriale che non ha bisogno di presentazioni. E� sufficiente percorrere la 
strada che collega Milano alla Brianza per rimanere sbalorditi dal numero di 
imprese. Per segnalare solo un evento si rileva che, da recentissime stime della 
Camera di Commercio della citt�, il Gran Premio di Monza, celebrato di recente, 
tra turismo e giro d�affari � una �macchina� che muove complessivamente 
oltre 110 milioni di Euro. 
Ve ne � abbastanza per affermare che Monza costituisce un laboratorio 
importante per esaminare la portata applicativa di istituti di recente introduzione, 
la cui interpretazione si presta a una rimeditazione di noti principi. 
�L�art. 53 Cost. dispone che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche 
in ragione della loro capacit� contributiva. L'obbligo di concorrere alle 
spese pubbliche � dettato dalla fondamentale esigenza di reperire i mezzi ne- 
(*) Avvocato dello Stato. 
Relazione al Convegno �Il concordato preventivo: le prassi del Tribunale di Monza�, organizzato 
da Cis�Centro studi di impresa su incarico della Fondazione forense con il patrocinio dell�Ordine 
degli avvocati e dei dottori commercialisti di Monza, tenutosi in Monza il 24 settembre 2010.
DOTTRINA 315 
cessari per consentire allo Stato ed agli altri enti pubblici di poter assolvere i 
loro compiti istituzionali. Tale esigenza fondamentale richiede che detti enti 
possano fare affidamento in tempi brevi su una consistente entit� di risorse finanziarie� 
la cui riscossione quindi deve essere certa�. Cos� si esprimono i 
giudici di legittimit� nella parte motivazionale della sentenza Cass. civ. sez. I, 
1 marzo 2010, n. 4861. 
Nella fattispecie, la Suprema Corte riconosce il privilegio ai crediti Irap 
�anche per il periodo antecedente alla intervenuta modifica dell�art. 2752 c.c, 
dovendosi ritenere la previsione di detto privilegio implicitamente inclusa in 
detta norma in base ad una consentita interpretazione estensiva della stessa�. 
Va evidenziato che la sentenza disattende l�orientamento ancora recentemente 
adottato dal Tribunale di Monza (cfr., da ultimo, la sentenza 4 febbraio 2010, 
n. 446) che ammettendo l�Irap al chirografo si poneva, per il vero, in una posizione 
isolata rispetto agli altri Tribunali del distretto (ex multis, Tribunale di 
Como, sentenza n. 548/07; Tribunale di Milano, Sez. II, 28 maggio 2008, n. 
7038) che avevano anticipato, nelle loro statuizioni, il recente arresto della 
Cassazione. 
La pronuncia del 2010 sopra richiamata ribadisce il tradizionale principio 
della indisponibilit� dell�obbligazione tributaria (cfr. Cass. civ. Sez. V, sent. 
25 gennaio 2008, n. 1605). 
L�inserimento nel corpus della disciplina fallimentare dell�art. 182 ter 
pone l�interprete di fronte a una possibile ipotesi di superamento del suddetto 
principio. 
La norma consente al debitore intenzionato a proporre una domanda di 
ammissione al concordato preventivo di integrare il piano concordatario, che 
sar� sottoposto all�approvazione dei creditori, con la formulazione di una proposta 
nei confronti dell�erario per il pagamento anche parziale dei tributi amministrati 
dalle agenzie fiscali. Sono esclusi dalla falcidia i �tributi costituenti 
risorse proprie dell�Unione europea�, e, con l�inserimento di una specificazione 
dettata da un contrasto esegetico circa la natura comunitaria, l�Iva, nonch�, 
con l�interpolazione operata dal recentissimo d.l. n. 78 del 2010, le 
�ritenute operate e non versate�. 
Il compito della difesa erariale � stato di interpretare la nuova legge fallimentare 
in coerenza, principalmente, con i principi costituzionali di cui agli 
artt. 53 e 97 ed altres� in sintonia con gli istituti tradizionali del diritto civile e 
tributario e, per quanto possibile, con l�art. 49 del R.D. n. 827 del 1924 �Regolamento 
per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilit� generale 
dello Stato� in forza del quale �nei contratti non si pu� convenire esenzione 
da qualsiasi specie di imposte o tasse vigenti all'epoca della loro stipulazione�. 
Lo sforzo sostenuto dalla difesa dell�Agenzia, non certo aiutata da buona 
parte della dottrina spesso professionalmente interessata e, dunque, maggiormente 
incline agli interessi particolaristici del contribuente, si � fondato prin-
316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
cipalmente sulla imprescindibilit� della transazione fiscale in sede di proposta 
di concordato, sulla necessit� di una attenta informazione all�Amministrazione 
da parte del proponente il concordato in ogni fase dello stesso e sul rispetto 
della ratio del concordato, teso a consentire una ripresa dell�attivit� aziendale. 
Il nodo giuridico pi� delicato, per�, riguardava (e riguarda) la nozione di transazione 
fiscale. 
Nelle procedure di omologazione nelle quali l�Agenzia ha manifestato il 
dissenso, � stato sostenuto che l�espressione transazione fiscale, cui fa espressamente 
ricorso l�art. 182 ter L.F., richiama indiscutibilmente il contratto previsto 
dall�art. 1965 c.c., caratterizzato dalla reciprocit� delle concessioni. 
Ci� implica una manifestazione di volont� dell�Amministrazione contraente 
che � l�unica a potere disporre del credito tributario che non pu� essere 
falcidiato dalle unilaterali previsioni del debitore e, tanto meno, dalla deliberazione 
degli altri creditori. 
In altri termini, dapprima, attraverso il procedimento della transazione fiscale, 
viene raggiunto l�accordo tra Amministrazione fiscale e contribuente; 
successivamente, se viene raggiunto l�accordo, detto assenso viene manifestato 
attraverso l�esercizio del voto. 
Si deve prendere atto che il Tribunale di Monza (fra le pi� recenti si segnala 
la pronuncia 10 aprile 2010 - R.G. conc. n. 4/09), in linea con la giurisprudenza 
maggioritaria, ha escluso che la transazione sia un autonomo 
accordo, inquadrandola invece in una fase endoconcorsuale, che si chiude con 
l�adesione o il diniego alla proposta di concordato mediante voto espresso 
nell�adunanza dei creditori. 
Per l�effetto, l�accordo si identifica con il concordato stesso e non pu� 
che condividerne gli effetti e le sorti nelle sue varie fasi fisiologiche (esecuzione) 
e patologiche (risoluzione ed annullamento). 
Dunque, confluendo nel concordato preventivo, la transazione fiscale finisce 
per partecipare a pieno titolo della natura di esso, posto che l�accordo si 
realizza nel concordato preventivo, con conseguente identificazione degli effetti 
e dei rimedi per esso stabiliti dalla legge. 
Per l�effetto, l�avviso dell�Amministrazione finanziaria non pu� avere, 
ex se, effetto preclusivo, anche in virt� della costruzione dell�istituto in commento 
in termini del tutto peculiari rispetto al normale schema civilistico della 
transazione. 
La determinazione dell�Amministrazione deve essere espressa in sede di 
adunanza dei creditori e quest�ultima deve ritenersi soggetta alle regole per la 
formazione della maggioranza in ordine all�approvazione o meno della proposta. 
La transazione fiscale ha cos� una natura dipendente rispetto al piano concordatario 
proposto dall�imprenditore con conseguente soggezione del voto 
espresso dall�Amministrazione alle regole dell�approvazione a maggioranza.
DOTTRINA 317 
La giurisprudenza del Tribunale di Monza aderisce cos� a una nozione 
atecnica di transazione che non � certamente quella civilistica, assenti le reciproche 
concessioni, e che rende disponibile l�obbligazione tributaria anche 
senza il consenso dell�Amministrazione che soggiace alle determinazioni della 
maggioranza concordataria. 
Chi scrive non nasconde una certa perplessit� sulla soluzione adottata dal 
Tribunale, in ragione dell�invocato principio costituzionale di indisponibilit� 
e in considerazione del fatto che � sempre pi� frequente, ma forse sarebbe pi� 
corretto dire che risulta costante, che la societ� proponente il concordato fondi 
la realizzazione del piano mediante la cessione di tutto il proprio patrimonio 
e la chiusura dell�attivit� aziendale. 
E� stato sollevato, dal creditore dissenziente in sede di opposizione al concordato, 
il contrasto con la ragione ispiratrice degli istituti del concordato e 
della transazione fiscale che non sono stati previsti come forma di liquidazione 
della societ�, ma come strumento di continuazione dell�attivit� di impresa. 
L�assunto � stato disatteso dal Tribunale. Si segnala, in particolare, la pronuncia 
10 aprile 2010 sopra richiamata. 
A sostegno delle tesi esposte, la difesa erariale aveva invocato il decreto 
4 agosto 2009 emesso dal Ministero del Lavoro di concerto con il Ministero 
dell�economia e delle finanze. 
Ai sensi dell�art. 4 del predetto decreto �gli enti gestori di forme di previdenza 
e assistenza obbligatorie possono accedere alla proposta di accordo 
nel rispetto dei seguenti parametri valutativi: e) essenzialit� dell�accordo ai 
fini della continuit� dell�attivit� dell�impresa e di ogni possibile salvaguardia 
dei livelli occupazionali�. 
Premesso che la disposizione letteralmente concerne �gli enti gestori di 
forme di previdenza e assistenza obbligatorie�, ma anche ammesso che operi 
per l�Agenzia delle Entrate, il Tribunale ha ritenuto che applicare l�art. 4 cit. 
significherebbe introdurre una conditio sine qua non, peraltro di fonte secondaria, 
che la disciplina fallimentare non prevede. 
Se la ratio ispiratrice del concordato preventivo � - come vi � motivo di 
ritenere e verr� meglio esposto di seguito - quella di consentire una ripresa 
della attivit� imprenditoriale in crisi, in assenza di disposizioni normative inequivoche, 
non � agevole dimostrare de iure condito l�illegittimit� della prassi 
che si va consolidando e che individua nel concordato un strumento anticipato 
di risoluzione delle controversie, consentendo la distribuzione di ogni posta 
attiva ai creditori e la cessazione della attivit� dell�impresa. 
E� su tale profilo che si intende, in questa sede, insistere per precisare 
compiti e strategie assunte. 
Il Tribunale di Monza, con la pronuncia sopra richiamata, con affermazione 
ingenerosa e atecnica, ha enunciato che �l�amministrazione finanziaria 
� costantemente tesa a porre barriere e limiti alla proposta accettabile, tali da
318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2010 
rendere per altri versi inutile l�istituto�, per poi concludere, in maniera piuttosto 
involuta, che �si tratta, in tutta evidenza, di un problema politico e di bilancio�. 
Ad avviso dell�esponente, l�esigenza fondamentale che animava la riforma 
era quella di agevolare l�uscita delle imprese dalla crisi, risolvendo rapidamente 
la situazione di insolvenza, in funzione del salvataggio dell�azienda 
e dei posti di lavoro. Diversamente sarebbe stato poco comprensibile l�asserita 
attenuazione del principio di indisponibilit� del credito tributario se non contemperandolo 
con analoghi principi, sempre di rango costituzionali, tesi a tutelare 
l�iniziativa economica privata e, soprattutto, la protezione del lavoro. 
L�istituto del concordato d�altronde fu introdotto con la legge 24 maggio 
1903, n. 197 al fine di �offrire al debitore onesto, ma sfortunato, il mezzo per 
evitare l�inesorabile distruzione della sua impresa, per se stessa vitale, come 
danno per la pubblica economia�. Per arrivare ai giorni nostri, va soggiunto 
ed evidenziato che, come emerge nella relazione di accompagnamento al d.lgs. 
n. 5 del 2006, l�obiettivo della riforma � quello di �ispirarsi ad una prospettiva 
di recupero delle capacit� produttive dell�impresa, nelle quali non � pi� individuabile 
un esclusivo interesse dell�imprenditore, secondo la ristretta concezione 
del legislatore del 1942, ma confluiscono interessi economici o sociali 
pi� ampi, che privilegiano il ricorso alla via del risanamento e del superamento 
della crisi aziendale�. 
Il concordato preventivo, invece, ha assunto nella prassi una funzione solutoria 
volta a soddisfare celermente i creditori evitando una defatigante procedura 
fallimentare. Si tratta di una soluzione conveniente per l�impresa 
privata che chiude, per i creditori che vengono (pi� o meno) soddisfatti sollecitamente, 
ma non necessariamente per l�erario e certamente non per la continuit� 
aziendale. 
Va soggiunto che l�Agenzia ha lamentato sovente che la proposta concordataria 
non era accompagnata da alcuna garanzia tesa ad assicurare l�effettivo 
adempimento. 
Il Tribunale di Monza ha concentrato nella fase di omologazione il rispetto 
ai profili di legittimit� della proposta riservandosi successivamente di 
intervenire, se sollecitato, in caso di vizio di funzionamento dell�esecuzione 
del concordato. 
Pi� volte il Tribunale di Monza ha rammentato ai creditori dissenzienti 
che il concordato, ancorch� omologato, potr� risolversi, su istanza del creditore 
interessato, ai sensi dell�art. 186 L.F., qualora non venga correttamente adempiuto. 
Pertanto la carenza di seriet� della proposta, ove venisse nei fatti confermata, 
potr� costituire motivo di risoluzione dell�accordo. 
A fronte delle prime applicazioni giurisprudenziali, non propriamente favorevoli 
alle tesi dell�erario, la preoccupazione del legislatore successivo alla
DOTTRINA 319 
riforma � stata quella di eliminare alcuni crediti dalla falcidia. 
Dapprima � intervenuto l�inserimento di una opportuna addenda interpretativa 
relativa all�Iva, dettata da un contrasto esegetico circa la sua natura 
di risorsa comunitaria, poi � stata operata l�interpolazione, con il recentissimo 
d.l. n. 78 del 2010, delle �ritenute operate e non versate�. Non sarebbe sorprendente 
annotare nel futuro ulteriori ritocchi. 
Nell�ambito di una disciplina che pare in divenire, oscillante, a seconda 
del tipo di intervento legislativo, fra la liberalizzazione delle procedure, in 
nome di una pi� rapida definizione della trattazione della crisi, e la preoccupazione 
per i conti pubblici, in attesa che si affermi un consolidato orientamento 
giurisprudenziale, soprattutto di legittimit�, vi � motivo di ritenere che 
non si possa prescindere, dal rispetto della disciplina dell�art. 182 ter L.F. 
Ci� comporta che la falcidia e la dilazione del credito tributario � ammissibile 
soltanto qualora il debitore si attenga puntualmente alle disposizioni che 
disciplinano la transazione fiscale. La transazione fiscale, dunque, non � una 
semplice facolt�. Non inganni il �pu�� contenuto nell�incipit dell�art. 182 ter 
L.F. 
Nel vigilare sul pieno rispetto della normativa, lo sforzo da perseguire 
per il creditore dissenziente, nell�ambito di quella che � stata definita come 
�amministrazione di risultato�, � altres� quello di valutare, in sede di disamina 
della proposta concordataria, il maggiore favore per le entrate dello Stato della 
procedura fallimentare rispetto al concordato. Ossia verificare con una valutazione 
prognostica, che tenga conto anche della maggiore speditezza della 
procedura concordataria, se la via fallimentare possa garantire maggiormente 
la collettivit�. 
Quanto sopra allo scopo di assicurare al cittadino un�amministrazione responsabile 
non solo della legittimit� del proprio operato, ma anche dei risultati 
raggiunti.
Finito di stampare nel mese di dicembre 2010 
Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. 
Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma