ANNO LXII - N. 3 LUGLIO-SETTEMBRE 2010 
RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 
PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO
COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Glauco Nori. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - 
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Getano Scoca. 
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Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Antonio Palatiello - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. 
CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - 
Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Maria Vittoria 
Lumetti - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - 
Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 
SEGRETERIA DI REDAZIONE: Antonella Quirini 
HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Ignazio Francesco Caramazza, Vincenzo 
Cardellicchio, Monica De Angelis, Chiara Di Seri, Enza Faracchio, Flavio Ferdani, Wally 
Ferrante, Gianfrancesco Fidone, Fabrizio Gallo, Giorgio Gasparri, Michele Gerardo, Lidia La 
Rocca, Giovanni Palatiello, Gabriella Palmieri, Morena Pirollo, Marina Russo, Francesco 
Scaglione, Adele Cecilia Tedeschi. 
E-mail: 
giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 
maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829597 
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AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
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Stampato in Italia - Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966
INDICE - SOMMARIO 
TEMI ISTITUZIONALI 
Patrocinio dell�Agenzia Nazionale per l�amministrazione e la destinazione 
dei beni sequestrati e confiscati alla criminalit� organizzata. Circolare 
A.G.S. n. 37 del 15 luglio 2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Direttiva del Consiglio 2004/80/CE relativa all�indennizzo delle vittime 
di reato. Cause risarcitorie. Circolare A.G.S. n. 41 del 23 luglio 2010. . 
Gestione del contenzioso del lavoro. Circolare A.G.S. n. 43 del 29 luglio 
2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Protocollo d�intesa con l�Agenzia delle Entrate per il triennio 2010-2013 
sottoscritto il 13 maggio 2010. Circolare A.G.S. n. 46 del 9 settembre 
2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 
Chiara Di Seri, Le conseguenze dell�inesatta trasposizione di direttive 
�attuative� di principi generali del diritto comunitario . . . . . . . . . . . . . 
1.- Le decisioni della Corte di giustizia Ue 
Marina Russo, Le recenti pronunce della Corte in tema di farmacie (C. 
giustizia, Grande Sezione, sent. 1� giugno 2010 in cause riunite C-570/07 
e C-571/07; C. giustizia, I Sez., sent. 1� luglio 2010 in causa C-393/08) 
Adele Cecilia Tedeschi, I poteri urbanistici e la nozione di appalto pubblio 
di lavori (C. giustizia, III Sez., sent. 25 marzo 2010 nella causa C- 
451/08) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
2.- I giudizi in corso alla Corte di giustizia Ue 
Marina Russo, Agricoltura, causa C-229/09 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Wally Ferrante, Previdenza sociale dei lavoratori migranti, cause riunite 
C-286/09 e C-287/09 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Wally Ferrante, Unione doganale, causa C-495/09 . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Wally Ferrante, Politica sociale, causa C-20/10 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Marina Russo, Ambiente e consumatori, causa C-50/10 . . . . . . . . . . . . . 
Marina Russo, Spazio di libert�, sicurezza e giustizia, causa C-145/10 . 
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CONTENZIOSO NAZIONALE 
Morena Pirollo, Profili di costituzionalit� e questioni interpretative della 
legge Pinto in punto di �durata irragionevole�. La prassi interna e 
l�orientamento della Corte di Strasburgo (Cass. civ., Sez. Un., sent. 26 
gennaio 2004 n. 1340; Cass. civ., Sez. Un., sent. 26 gennaio 2004 n. 1339; 
Cass., Sez. I civ., sent. 19 novembre 2007 n. 23844; C. cost., sent. 24 ottobre 
2007 n. 348). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Maurizio Borgo, In materia di elezioni comunali e provinciali (C. cost., 
sent. 7 luglio 2010 n. 236; C. cost., sent. 15 luglio 2010 n. 257; Cons. 
Stato, Sez. V, sent. 10 settembre 2010 n. 6526) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Enza Faracchio, Il reclamo nel giudizio cautelare nel rito lavoro: considerazioni 
in merito allo ius postulandi dei funzionari delegati ai sensi 
dell�art. 417 bis (Trib. di Vallo della Lucania, ord. 12 novembre 2009). 
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 
Vincenzo Cardellicchio e Fabrizio Gallo, Stazione Unica Appaltante: tenuta 
di un impinato e nuovi contesti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Monica De Angelis, Sull�acccesso ai servizi sanitari. Un nodo per le liste 
di attesa: attuazione delle norme e responsabilit� . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Michele Gerardo, Sull�Avvocatura dello Stato. Organizzazione e prospettive 
di riforma nel quadro istituzionale in trasformazione. . . . . . . . . . . . 
Flavio Ferdani, La cessione dei crediti di impresa. Con particolare riferimento 
alla disciplina dettata dalla normativa di cui alla legge 21 febbraio 
1991, n. 52 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Gianfrancesco Fidone, Procedure per l�affidamento di concessioni di lavori 
pubblici con prelazione per il promotore. Casi e problematicit� nella 
disciplina della finanza di progetto successiva al terzo correttivo . . . . . 
Giorgio Gasparri, La Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob. 
Quadro normativo d�insieme e sintesi applicativa . . . . . . . . . . . . . . 
Lidia La Rocca, �Rassegna giurisprudenziale sul diritto dell�energia. Le 
recenti decisioni riguardanti il PEARS. Intervento al Seminario di aggiornamento 
tenutosi a Palermo il 14 e 15 maggio 2010 su �L�evoluzione 
del diritto dell�ambiente: novit� giurisprudenziali e rapporti con il diritto 
dell�energia�. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 145 
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Riccardo Montagnoli, Un bilancio a vent�anni dalla L. 241/90. Il diritto 
di accesso nella prassi amministrativa, l�intenzione del legislatore e l�accesso 
�partecipativo� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Francesco Scaglione, L�espropriazione per pubblica utilit�. Atti emessi 
in carenza sopravvenuta di potest� ablatoria e pregiudiziale amministrativa 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
RECENSIONI 
Simona Briccola, Libert� religiosa e �Res Publica�, Casa editrice 
CEDAM, 2009. Recensione di Gabriella Palmieri . . . . . . . . . . . . . . . . . 
. 
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T E M I I S T I T U Z I O N A L I 
Patrocinio dell�Agenzia Nazionale per l�amministrazione e la 
destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalit� 
organizzata* 
Come � noto, il D.L. 4 febbraio 2010, n. 4, convertito con modificazioni, 
in legge 31 marzo 2010, n. 50, ha istituito l�Agenzia Nazionale per l�amministrazione 
e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalit� organizzata. 
L�Agenzia, cui l�art. 1, comma 2, D.L. conferisce �personalit� 
giuridica di diritto pubblico� e autonomia organizzativa e contabile, � affidata 
al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato (art. 8 D.L.: si noti che la norma fa 
espresso richiamo all�art. 1 R.D. n. 1611/1933, e non all�art. 43, sicch� si tratta 
di patrocinio �necessario�). 
Le competenze in materia dei beni di cui si tratta, gi� esercitate dall�Agenzia 
del Demanio, sono state immediatamente trasferite alla nuova Agenzia, 
che dunque � inmediatamente subentrata nella gestione dei relativi rapporti, 
sostanziali e processuali, con il pieno accordo dell�Agenzia del Demanio e 
con l�avallo di questa Avvocatura Generale, che, con parere del 16 aprile 2010, 
n. 130714, ha ritenuto detto trasferimento di competenze, funzioni e situazioni 
giuridiche non condizionato all�adozione dei regolamenti di cui all�art. 4 D.L. 
Ci� premesso, occorre ritenere che per la validit� della costituzione in 
giudizio, nei procedimenti pendenti, della nuova Agenzia, con il �patrocinio 
necessano� dell�Avvocatura dello Stato, non sia richiesto il previo interpello 
dell�Ente. Questo, peraltro, ha rappresentato all�Avvocatura Generale di dover 
rinunciare ai preavvisi di cortesia che, peraltro opportunamente in un quadro 
di correntezza e di collaborazione, gli Uffici dell�Avvocatura inviano per ottenere 
una presa d�atto della costituzione in giudizio; chiarisce l�Agenzia che 
a tale rinuncia � costretta per l�eccessiva ristrettezza dei �tempi che non con- 
(*) Circolare n. 37 - 15 luglio 2010 prot. 231342 - dell�Avvocato Generale.
2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
sentono, almeno nell�attuale fase organizzativa, di rispondere nei termini processuali 
previsti�. L�Agenzia ha sottolineato, con nota del 1� luglio 2010, n. 
1905, che comunque, per quanto possa occorrere, essa �esprime fomalmente 
il consenso a che le varie Avvocature Distettuali dello Stato si costituiscano 
in giudizio, per conto di questa Agenzia, in tutti i procedimenti giudiziari ... 
sia pendenti con la costituzione dell�Agenzia del Demanio sia da incardinare 
con costituzione non ancora eseguita�. 
Con la predetta nota l�Agenzia Nazionale ha infine evidenziato che in 
base ad intese raggiunte con la Direzione Generale dell�Agenzia del Demanio, 
quest�ultima continuer� a curare, per conto di questa Agenzia, gli adempimenti 
istruttori, riservandosi quest�ufficio la possibiIit� di integrazione e modifica 
ove ritenuto opportuno. Naturalmente comunicazioni e richieste riguardanti 
procedimenti giudiziari dovranno pervenire oltre che alla scrivente, anche alle 
filiali ad alla Direzione - Beni Confiscati dell�Agenzia del Demanio�. 
Le SS.LL. vorranno prendere atto di quanto procede ed assumere i consenguenti 
comportamenti. 
L�AVVOCATO GENERALE 
Avv. Ignazio Francesco Caramazza
TEMI ISTITUZIONALI 3 
Direttiva del Consiglio 2004/80/CE relativa all�indennizzo delle 
vittime di reato. Cause risarcitorie* 
Con una recente sentenza, il Tribunale di Torino ha accolto la domanda 
risarcitoria della parte privata (vittima di violenza sessuale da parte di stranieri 
nullatenenti), ritenendo che lo Sato Italiano non avrebbe correttamente recepito 
la direttiva in oggetto, omettendo di prevedere specifici sistemi di indennizzo 
per le vittime dei reati intenzionali violenti. 
Cause analoghe pendono dinanzi al Tribunali di Roma e, si ha ragione di 
ritenere, dinanzi agli altri fori erariali; presumibilmente altre verranno promosse 
a breve, sulla scorta dei principi affermati dal Tribunale di Torino nella 
suddetta �causa pilota�. 
Tale nuovo contenzioso riveste notevole importanza per l�Erario che, ove 
si consolidasse l�orientamento del Tribunale torinese, verrebbe condannato al 
pagamento di ingenti somme di denaro, con evidenti riflessi negativi sulla finanza 
pubblica. 
Questo Generale ufficio ha investito in via informale della questione la 
Presidenza del Consiglio � Dipartimento per le Politiche Comunitarie, affinch� 
valuti se sia necessario un ulteriore adeguamento del diritto interno alla direttiva 
2004/80/CE, alla luce degli orientamenti che si stanno formando in giurisprudenza. 
Ci� non di meno, in attesa di conoscere le determinazioni in merito della 
Presidenza, tutte le Avvocatura distrettuali dovranno trattare tali controversie 
con la massima cura, provvedendo, nel caso di soccombenza, a proporre appello 
con istanza di inibitoria. 
Ai fini del coordinamento dell�attivit� difensiva, si trasmette copia delle 
difese predisposte in subiecta materia da questa Avvocatura Generale, evidenziando, 
altres�, che alla data odierna, il Tribunale di Roma ha emesso almeno 
due sentenze (Trib. Roma, Sez. II, 29 marzo 2010, n.7009; id., 21 aprile 2010, 
n. 8696) favorevoli alle ragioni erariali, anch�esse allegate. 
L�Avvocatura distrettuale di Torino � pregata di far qui pervenire, non appena 
possibile, copia della su citata pronuncia sfavorevole del locale Tribunale. 
L�AVVOCATO GENERALE 
Avv. Ignazio Francesco Caramazza 
(*) Circolare n. 41 - 23 luglio 2010 prot. 240170 - dell�Avvocato Generale.
4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Ct 31313/09 � Avv. G. Palatiello 
TRIBUNALE CIVILE DI ROMA 
Sezione II � R.G. 62440/09 
G.I. Dott. Salvati 
Prima Udienza del 18 marzo 2010 
COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA 
per 
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica, 
e per il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, entrambi rapp.ti e difesi 
dall�Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ex lege in Roma via dei 
Portoghesi, 12 
convenuti 
contro 
G.G. e G. A.M. con gli Avv.ti Claudio Defilippi e Debora Bosi, 
attori 
* * * 
Con atto di citazione notificato in data 11 settembre 2009, i sig.ri G.G. e G. A.M. - allegando 
che Z. J. (rispettivamente nipote e figlia di essi attori), in data 29 aprile 2006 (mentre si trovava 
al nono mese di gravidanza ed era, pertanto, prossima al parto), fu barbaramente uccisa 
dal N.L. - hanno convenuto in giudizio le Amministrazioni dello Stato in epigrafe al fine di 
sentir accertare la responsabilit� delle stesse per il mancato recepimento della direttiva 
2004/80/CE, e conseguentemente condannarle al risarcimento del danno morale iure proprio, 
biologico iure proprio, non patrimoniale da uccisione del congiunto, esistenziale e patrimoniale, 
per la somma complessiva di � 500.000,000; in subordine, accertare la responsabilit� 
ex artt. 2043 e 2059 c.c. delle medesime amministrazioni e conseguentemente condannarle al 
risarcimento dei danni subiti, sempre nella misura di � 500.000,00. 
Con la presente comparsa si costituiscono le Amministrazioni in epigrafe, rilevando l�inammissibilit� 
e l�infondatezza delle avverse domande per le seguenti ragioni in 
DIRITTO 
1. In via pregiudiziale si eccepisce il difetto di legittimazione passiva del Ministero della 
Giustizia. 
La domanda risarcitoria di parte attrice trova fondamento nell�asserito mancato recepimento 
della Direttiva 2004/80/CE e nella Convenzione europea del 24 novembre 1983, entrambe in 
materia di indennizzo delle vittime dei reati violenti. 
Orbene, al riguardo, al Ministero della Giustizia non � imputata, n� imputabile, alcuna delle 
condotte esposte nell�atto di citazione, non avendo lo stesso alcuna competenza riguardo all�adozione 
delle misure di recepimento della Direttiva 2004/80/CE o in merito alla Convenzione. 
Il mancato recepimento di norme comunitarie, quale fatto complessivamente imputabile allo 
Stato, � un illecito che trova passivamente legittimata la sola Presidenza del Consiglio quale 
organo di vertice dell�intero apparato amministrativo statale. 
2. La domanda �, comunque, palesemente infondata nel merito. 
2 a) Va preliminarmente osservato che la Convenzione europea del 24 novembre 1983, invocata 
da controparte, non ha alcun rilievo nella presente causa perch� non sottoscritta n�, tantomeno, 
ratificata dall�Italia. 
2 b) Quanto alla Direttiva 2004/80/CE, contrariamente a quanto ex adverso dedotto, la stessa
TEMI ISTITUZIONALI 5 
ha trovato pieno recepimento nel nostro ordinamento con il D.lgs. n. 204/2007, emanato nell�esercizio 
della delega contenuta nella l. n. 29/2006 - Legge comunitaria 2005, ossia della 
legge con cui l�Italia, annualmente, provvede all�adempimento degli obblighi derivanti dall�appartenenza 
all�Unione Europea. 
Riguardo a ci�, parte attrice si limita ad affermare, nelle sole conclusioni, che tale Decreto legislativo 
non costituirebbe attuazione della Direttiva invocata, senza, tuttavia, fornire alcun 
chiarimento di tale generica ed apodittica asserzione. 
Dunque, se con ci� parte attrice ha inteso denunciare il non corretto recepimento della Direttiva 
2004/80/CE, l�avverso atto di citazione sarebbe da considerasi nullo per mancata indicazione 
della causa petendi. 
2 c) N� le avverse domande possono trovare fondamento diretto nella normativa comunitaria. 
E� noto che la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunit� europee, a partire dalla 
celebre sentenza �Francovich� (cfr. Corte giust. 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C- 
9/90), ha chiarito che i presupposti indispensabili affinch� possa configurarsi, in capo allo 
Stato membro, la responsabilit� civile per il mancato recepimento, nei termini stabiliti, delle 
direttive comunitarie non self executing sono che la Direttiva non recepita attribuisca in via 
diretta ai singoli un diritto e che vi sia un nesso causale tra il mancato recepimento e il danno 
lamentato dall�interessato. 
Ai fini del risarcimento �, dunque, necessario che la direttiva, seppur non autoesecutiva, ovvero 
non dotata di efficacia diretta, attribuisca diritti ai singoli, e che tali diritti siano chiaramente 
desumibili dal contenuto della stessa; inoltre, deve sussistere il nesso di causalit� tra 
violazione dell�obbligo e danno lamentato, ci� che si verifica ogni qual volta il danno discenda 
in via diretta dal fatto che la direttiva non � stata recepita tempestivamente; ovverosia, che il 
diritto attribuito al singolo in sede comunitaria non possa essere tutelato in altro modo. (cfr. 
Corte giust. 5 marzo 1996, cause riunite C-46 e 48/93; Corte giust. 8 ottobre 1996, cause riunite 
C-178/94, C-179/94 e da C-188/94 a C-190/94; Corte giustizia CE 15 giugno 1999 causa 
C-140/97; Corte giust. 30 settembre 2003, causa C-224/01). 
Entrambe queste condizioni difettano nel caso di specie. 
Lo scopo della Direttiva in esame � chiarito nei �considerando� che precedono l�articolato; si 
legge, in particolare, che uno degli obiettivi della Comunit� europea � l�eliminazione di ogni 
ostacolo alla libera circolazione delle persone (1� considerando), di cui la tutela dell�integrit� 
personale dei cittadini che si recano in un altro Stato membro costituisce un corollario (2� 
considerando); a tal fine, il 7� considerando precisa che �La presente direttiva stabilisce un 
sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l�accesso all�indennizzo nelle 
situazioni transfrontaliere, che dovrebbe operare sulla base dei sistemi degli Stati membri in 
materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori�. 
Ed infatti l�art. 1 prevede proprio che gli Stati membri debbano assicurare che, se un reato intenzionale 
violento � commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui il richiedente 
risiede abitualmente, il richiedente ha diritto di presentare la domanda presso un�autorit� o 
qualsiasi altro organismo di quest�ultimo Stato, ossia di quello di residenza. 
Dunque, scopo della direttiva � disciplinare l�accesso all�indennizzo delle vittime di reati 
violenti nelle situazioni c.d. �trasfrontaliere� e non attribuisce alcun diritto ai residenti 
verso il proprio Stato di residenza. 
E ci� in quanto, come noto, il diritto comunitario non disciplina le �situazioni meramente in-
6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
terne�, tanto che l�art. 12 della direttiva prevede che le disposizioni riguardanti l�accesso all�indennizzo 
nelle situazioni trasfrontaliere si applicano all�interno degli Stati membri sulla 
base dei rispettivi sistemi, quindi entro i limiti nei quali un sistema di indennizzo sia stato 
previsto. 
Il legislatore comunitario, quindi, nell�ambito dei rapporti tra i singoli Stati membri ed i loro 
residenti rimette alla discrezionalit� del legislatore interno la scelta della tipologia dei sistemi 
di indennizzo da prevedere. 
Nell�ambito del nostro ordinamento esistono una serie di leggi speciali che prevedono sistemi 
di indennizzo (1) in relazione ad alcune specifiche tipologie di reati (associazione mafiosa, 
usura), individuate per il particolare allarme sociale che suscitano e per la loro pervasivit�, 
ma non esiste alcun sistema di indennizzo per le vittime dei reati legati alla criminalit� comune. 
Dunque, la direttiva in esame non costituisce fonte di alcun diritto direttamente azionabile 
dai residenti nei confronti del loro Stato di appartenenza. 
(1) Nel nostro ordinamento sono, presenti, numerose norme settoriali che disciplinano l�erogazione 
di speciali elargizioni a favore di particolari categorie di vittime di reato, indicate nel seguente elenco: 
1) legge 13 agosto 1980, n. 466, articoli 3 e 4, recante norme in ordine a speciali elargizioni a favore di 
categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche; 
2) legge 20 ottobre 1990, n. 302, articoli 1, 3, 4 e 5, recante norme a favore delle vittime del terrorismo 
e della criminalit� organizata; 
3) decreto legge 31 dicembre 1991, n. 419 - convertito dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172 - articolo 1, 
di istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive; Manuale 80/2004 - ITALIA (it) 
2; 
4) legge 8 agosto 1995, n. 340, articolo 1 - nel quale sono richiamati gli articoli 4 e 5 della legge 
n.302/1990 - recante norme per l�estensione dei benefici di cui agli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990, 
ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica; 
5) legge 7 marzo 1996, n. 108, articoli 14 e 15 recante disposizioni in materia di usura; 
6) legge 31 marzo 1998, n. 70 articolo 1 - nel quale sono richiamati gli articoli 1 e 4 della legge n. 
302/1990 - recante benefici per le vittime della cosiddetta �Banda della Uno bianca�; 
7) legge 23 novembre 1998, n. 407, articolo 2, recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo 
e della criminalit�; 
8) legge 23 febbraio 1999, n. 44 articoli 3, 6 , 7 e 8 recante norme in materia di elargizioni a favore dei 
soggetti danneggiati da attivit� estorsiva; 
9) D.P.R. 28 luglio 1999, n. 510, art. 1, regolamento recante nuove norme in favore delle vittime del 
terrorismo e della criminalit� organizzata; 
10) legge 22 dicembre 1999, n. 512, articolo 4, recante istituzione del Fondo di rotazione per la solidariet� 
alle vittime dei reati di tipo mafioso; 
11) decreto legge 4 febbraio 2003, n. 13 - convertito con modificazioni dalla legge n.56/2003 - recante 
disposizioni urgenti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalit� organizzata; 
12) decreto legge 28 novembre 2003, n. 337 - convertito con modificazioni dalla l.n. 369/2003 - articolo 
1, recante disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all�estero; 
13) legge 3 agosto 2004, n. 206, articolo 1, recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo 
e delle stragi di tale matrice; 
14) Legge 23 dicembre 2005, n. 266, finanziaria 2006, che all�articolo 1 commi 563, 564 e 565, detta 
disposizioni per la corresponsione di provvidenza alle vittime del dovere, ai soggetti equiparati ed ai 
loro familiari; 
15) Legge 20 febbraio 2006, n. 91 norme in favore dei familiari dei superstiti degli aviatori italiani vittime 
dell�eccidio avvenuto a Kindu l�11 novembre 1961; 
16) D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 regolamento concernente termini e modalit� di corresponsione delle 
provvidenze alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati.
TEMI ISTITUZIONALI 7 
2 d) Peraltro, la Direttiva si limita a tutelare i soli cittadini comunitari che si spostino da uno 
Stato membro ad un altro e che per questo subiscano un reato: essa quindi esclude un diritto 
proprio all�indennizzo a favore di soggetti (come per esempio i congiunti) diversi da chi � 
stato la diretta vittima del reato. 
Anche sotto tale profilo, le avverse domande risultano sprovviste di fondamento nella parte 
in cui attengono a pretese avanzate iure proprio da soggetti danneggiati, diversi dalla vittima 
del reato. 
2 e) Ulteriore causa di infondatezza delle domande attoree � da individuarsi nella previsione 
di cui all�art. 18 della Direttiva che, al paragrafo 2, stabilisce che �Gli Stati membri possono 
prevedere che le disposizioni necessarie per conformarsi alla presente direttiva si applichino 
unicamente ai richiedenti le cui lesioni derivino da reati commessi dopo il 30 giugno 2005�. 
Ci� significa che il legislatore comunitario ha rimesso alla discrezionalit� degli Stati membri 
la scelta se rendere o meno (e fino a quale momento) retroattive le disposizioni sull�indennizzo. 
Ci�, oltre a dimostrare ulteriormente l�inesistenza di qualsivoglia diritto derivante direttamente 
dalla direttiva, rende ragione della piena legittimit� della previsione dell�art. 6 del D.lgs. 
204/2007, con il quale, il legislatore nazionale, avvalendosi della facolt� concessa dall�art. 
18 n. 2 della direttiva, ha disposto all�art. 6 che �Le disposizioni del presente decreto si applicano 
alle procedure per erogazione dei benefici economici conseguenti ai reati commessi 
dopo il 30 giugno 2005�. 
2 f) Ulteriore dimostrazione del fatto che la direttiva non costituisce fonte di alcun diritto in 
capo ai residenti nei confronti dei loro Stati di residenza � da rinvenirsi nel disposto dell�art. 
12 par. 2 della Direttiva, che si limita a stabilire che le normative nazionali garantiscano �un 
indennizzo equo e adeguato� (art. 12 par. 2), senza, tuttavia, prevedere le condizioni al cui 
verificarsi � subordinato il diritto all�indennizzo, n� tantomeno, come gi� detto, che a chiunque 
abbia subito un reato intenzionale violento spetta, per ci� solo, un risarcimento a carico dello 
Stato. 
Dunque, la discrezionalit� che il legislatore comunitario lascia agli Stati membri nel determinare 
il modello di tutela indennitaria � amplissima, potendo la stessa � comՏ avvenuto in 
Italia � essere limitata solo ad alcune tipologie di reati ovvero essere subordinata a determinate 
condizioni (ad esempio, alla verifica del comportamento della vittima, che non deve avere, 
neppure colposamente, agevolato o provocato la commissione del reato, alla dimostrata insolvenza 
del responsabile del reato; e cos� via). 
Ci� dimostra, inoltre, che la Direttiva non detta disposizioni sufficientemente specifiche e tali 
da escludere ogni discrezionalit� degli Stati membri nel recepirle, con conseguente mancanza 
di entrambe le condizioni di responsabilit� dello Stato, ossia l�esistenza di un diritto derivante 
direttamente dalla direttiva e il nesso di causalit� tra il mancato recepimento e il danno lamentato. 
Ed infatti, anche qualora lo Stato italiano non avesse recepito la direttiva (cosa che invece, 
come detto, ha fatto), considerati gli amplissimi margini di discrezionalit� lasciati al legislatore 
interno, non risulterebbe mai dimostrabile che il recepimento della direttiva avrebbe necessariamente 
comportato l�insorgenza del diritto azionato nell�odierna sede. 
E� quindi palesemente infondata anche la domanda proposta a titolo di applicazione diretta 
della Direttiva. 
2 g) Il nesso causale che potrebbe giustificare pretese basate sulla Direttiva in questione � poi 
insussistente anche sotto l�aspetto dell�impossibilit� di ottenere il risarcimento dal responsabile
8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
del fatto, che costituisce condizione di accesso all�indennizzo. 
La sig.ra G. A. M., come la stessa riferisce nell�atto di citazione, si � costituita parte civile 
nel processo penale che ha visto la condanna del sig. N. L. per l�omicidio di J. Z.. 
Nella sede penale N. L. � stato condannato anche al risarcimento dei danni nei confronti delle 
parti civili costituite, da quantificarsi in separata sede, oltre che ad una provvisionale di � 
80.000, per quanto riguarda G. A. M.. 
Riguardo a quest�ultima provvisionale, parte attrice si limita genericamente ad affermare di 
non essere riuscita ad ottenerne il pagamento, senza specificare che tipo di azioni a tal fine 
siano state intraprese. 
Non �, poi, fornita alcuna notizia circa l�avvio del procedimento civile per la quantificazione 
integrale dei danni subiti. 
3. La domanda risarcitoria �, sotto altro profilo, infondata innanzitutto perch� � configurata 
come una domanda di ristoro integrale dei danni che l�attore avrebbe subito direttamente in 
conseguenza del delitto. 
Essa �, cio�, configurata nei medesimi termini in cui lo sarebbe stata una domanda indirizzata 
nei confronti del responsabile civile delle lesioni. 
Ma la ratio della normativa nazionale e comunitaria in tema di indennizzo delle vittime di 
reati violenti non � certo quella di sostituire (o aggiungere) lo Stato all�autore del delitto nella 
responsabilit� verso le vittime. 
L�obbligo che la Direttiva pone agli Stati membri � solo quello di predisporre �un indennizzo 
equo e adeguato�. 
I criteri di liquidazione di tale indennizzo (e, quindi, del presunto danno conseguente al mancato 
recepimento della Direttiva) dovrebbero pertanto essere del tutto autonomi rispetto ai 
parametri di liquidazione del risarcimento ordinario dovuto dal responsabile del fatto. 
3.1.) N� lo Stato, in base al diritto interno, pu� essere chiamato a rispondere dell�omicidio 
commesso da N. L., non ricorrendo alcuna delle fattispecie di responsabilit� (diretta e/o indiretta) 
dello Stato per il fatto altrui ai sensi degli artt. 185 cod. pen. e 2043 e 2047 e ss. cod. 
civ.. 
4. Per completezza si osserva che, in ogni caso, la domanda attrice appare del tutto sfornita 
di prova circa i titoli e l�entit� del �risarcimento� richiesto. 
Esaminando le singole voci di danno richieste � fermo restando quanto gi� precisato in ordine 
all�infondatezza delle pretese risarcitorie avanzate iure proprio da soggetti danneggiati, diversi 
dalla vittima del reato - si osserva che: 
a) Quanto alle varie voci di danno non patrimoniale richieste iure proprio (ossia il danno morale, 
il danno biologico, il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, ed il danno 
esistenziale), � da osservare, in primo luogo, che, nell�avversa citazione, si rinviene soltanto 
l�allegazione da parte dell�attrice della sua qualit� di soggetto che avrebbe subito lesioni, e la 
trascrizione di principi dottrinali e giurisprudenziali in materia. 
Manca ogni indicazione delle circostanze concrete che dovrebbero condurre ad ipotizzare la 
lesione della sfera psico-fisica di parte attrice in conseguenza dell�illecito. 
E�, poi, da osservare che la pi� recente giurisprudenza della Suprema Corte, ha evidenziato 
che sebbene il risarcimento del danno non patrimoniale alla salute debba essere liquidato in 
modo da tenere conto di tutti i pregiudizi patiti, non risulta, tuttavia, possibile duplicare il risarcimento 
attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, quale la congiunta attribuzione del 
danno morale, del danno alla vita di relazione e del danno esistenziale, categoria, quest�ultima, 
priva nel nostra ordinamento di configurazione autonoma (v. Cass. SS.UU. n. 26972/2008).
TEMI ISTITUZIONALI 9 
b) Si contesta, comunque, la quantificazione di tutte le voci di danno, effettuata senza l�aggancio 
ad alcun parametro di valutazione. 
* * * 
Sulla base di quanto dedotto, le Amministrazioni in epigrafe rassegnano le seguenti 
CONCLUSIONI 
�Voglia il Tribunale adito dichiarare inammissibili o, comunque, infondate le avverse domande. 
Con ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese di lite�. 
Con riserva di ulteriori deduzioni e/o produzioni nei termini di rito. 
Salvis Iuribus 
Roma, 15 febbraio 2010 
L�Avvocato dello Stato 
Giovanni Palatiello 
Ct 37724/09 � Avv. G. Palatiello 
TRIBUNALE CIVILE DI ROMA 
Sezione II � R.G. 74650/09 
G.I. Dott. Scalia - udienza 23 febbraio 2011 
MEMORIA ex art. 183, comma 6, n.1 
Nell�interesse di: Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero della Giustizia con 
l�Avvocatura Generale dello Stato; 
convenuti 
contro 
P. M., rappr. e dif. come in atti; 
attore 
* * * 
L� omicidio per cui � causa fu commesso in data 19 maggio 1985, per cui l�attore non pu� 
vantare alcun diritto derivante direttamente dalla Direttiva 2004/80/CE, applicabile esclusivamente 
ai fatti commessi dopo il 30 giugno 2005 (cfr. art. 18, par. 2 della direttiva, nonch� 
l�art. 6 del D.lgs 204/2007): in tale senso si veda Trib. Roma, sezione II, 29 marzo 2010, n. 
7009 (est. dott. Pontecorvo, resa nella causa n. 77163/2007 di r.g.). 
In ogni caso, la disposizione dell�art. 12, par. 2 - a mente del quale �tutti gli Stati membri 
provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo 
delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un 
indennizzo equo ed adeguato delle vittime� - non pu� essere estrapolata dal testo della direttiva 
2004/80/CE e deve essere interpretata alla luce dei �considerando� in essa contenuti, in 
particolare, ai numeri 1, 2, 6, 7, 11, 12 e 14, dai quali si evince il chiaro intento del legislatore 
europeo di creare e disciplinare un sistema di collaborazione transfrontaliera in ordine all�avvio 
ed all�istruttoria della procedura di concessione dell'indennizzo, volto a rendere pi� agevole 
il suo ottenimento per le vittime che risiedano in uno Stato membro diverso da quello 
ove hanno patito le conseguenze dannose del reato. 
Cos� come si legge nel considerando n. 7, la �direttiva stabilisce un sistema di cooperazione 
volto a facilitare alle vittime di reato l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere,
10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
che dovrebbe operare sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle 
vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. Dovrebbe essere pertanto 
istituito in tutti gli Stati membri un meccanismo di indennizzo�. 
La Corte di Giustizia, chiamata ai sensi dell�art. 234 del Trattato a fornire la corretta interpretazione 
della direttiva 80/2004/CE, ha confermato che quest�ultimo atto normativo disciplina 
le situazioni transfrontaliere, chiarendo, al punto 57 della pronuncia resa, che �la 
direttiva istituisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l'accesso 
all'indennizzo in situazioni transfrontaliere. Essa intende assicurare che, se un 
reato intenzionale violento � stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in 
cui la vittima risiede abitualmente, quest'ultima sia indennizzata da tale primo Stato� 
(Cfr. Corte di Giustizia CE, Sent. n. 467 del 28 giugno 2007). 
�La direttiva non disciplina, invece, l�indennizzo per le vittime di reati <<interni>> allo Stato 
membro, come � sicuramente nel caso presente�: cos� Trib. Roma, sezione II, 21 aprile 2010, 
n. 8696 (est. dott. Cricenti, resa nella causa n. 2028/2008 di r.g.). 
La direttiva 2004/80/CE, dunque, impone agli Stati membri di attuare misure di collaborazione 
transfrontaliera al fine di eliminare discriminazioni tra cittadini europei con riferimento al godimento 
dei diritti di indennizzo conseguenti a reati violenti di cui i medesimi cittadini siano 
rimasti vittima in uno Stato diverso da quello di residenza. 
Imprescindibile presupposto di tale collaborazione transfrontaliera � l'esistenza, in ogni Stato 
membro, di una normativa volta ad assicurare forme di indennizzo a carico dello Stato stesso 
in favore delle vittime dei reati violenti: tale indispensabile condizione � prevista dall�art. 12, 
par. 1, secondo cui �Le disposizioni della presente direttiva riguardanti l'accesso all'indennizzo 
nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia 
di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. 
(par. 1). 
Come si � detto, il secondo paragrafo dell�art. 12 soggiunge che: �Tutti gli Stati membri provvedono 
a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo 
delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un 
indennizzo equo ed adeguato delle vittime�. 
Il secondo paragrafo della norma non pu� che essere interpretato alla luce del primo, nel senso 
che l�art. 12, mentre nel paragrafo primo rimanda ai sistemi di indennizzo gi� previsti dai 
singoli Stati membri, nel secondo paragrafo prescrive agli altri Stati membri, che ne siano 
sprovvisti, di predisporre un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti 
commessi nei rispettivi territori, 
Il secondo paragrafo dell�art. 12 non si applica, dunque, agli Stati membri (come l�Italia) che, 
all�entrata in vigore della direttiva, si fossero gi� muniti di un tale sistema di indennizzo (v. 
nota 1 alle pagine 6 e 7 della comparsa di risposta, ove � stato riportato l�elenco puntuale delle 
leggi italiane che prevedono indennizzi per i reati pi� disparati, anche violenti, come i reati 
di tipo mafioso, i reati di terrorismo ed i reati di estorsione). 
N� � possibile ritenere che il legislatore europeo abbia voluto imporre a tutti gli Stati membri 
(anche a quelli, come l�Italia, i cui ordinamenti gi� prevedessero un adeguato sistema di indennizzo 
delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori) di introdurre, 
con legge, una ulteriore ipotesi di indennizzo (rispetto a quelle gi� esistenti de iure 
condito) in favore delle vittime del reato di omicidio volontario, come ex adverso supposto. 
Ed invero, la concreta tipologia di reato rispetto al quale introdurre l�indennizzo � questione 
meramente interna che non � disciplinata dal diritto europeo al quale, in funzione della coo-
TEMI ISTITUZIONALI 11 
perazione transfrontaliera nelle procedure indennitarie, interessa solo che un qualche sistema 
di indennizzo sia previsto nei singoli Stati membri, a prescindere dall�ampiezza di tale sistema 
e dalle singole ipotesi di reato ivi contemplate. 
A ben vedere, infatti, la direttiva, che nell'impianto complessivo risulta sufficientemente precisa 
e analitica con riferimento alla predisposizione delle misure organizzative volte ad ottenere 
una migliore cooperazione tra gli Stati membri, utilizza, invece, nell�art. 12 in esame, la 
generica e ampia categoria dei �reati intenzionali violenti�, per i quali � sancito l'obbligo di 
provvedere alla predisposizione di sistemi di indennizzo (obbligo che, come si � visto, l�Italia 
ha gi� adempiuto), ma non menziona mai espressamente il delitto di omicidio, ad ulteriore 
dimostrazione dell�insussistenza, in capo agli Stati, dell�obbligo di prevedere l�indennizzo 
anche per tale reato. 
Un ulteriore argomento a sostegno della tesi qui patrocinata si ricava dalla previsione, nel 
corpo dell�art. 18, par. 1, della direttiva, di due diversi termini per l'attuazione della stessa: un 
primo termine, fissato al 1� luglio 2005, entro il quale gli Stati membri (sprovvisti di un sistema 
di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti) avrebbero dovuto dare attuazione 
alla disposizione contenuta nell'art. 12, par. 2, dando immediata comunicazione alla 
Commissione delle norme approvate al riguardo; ed un secondo, e successivo termine, fissato 
al 1� gennaio 2006, entro il quale, sulla base dei sistemi di indennizzo introdotti ex art. 12, 
par. 2, cit., �mettere in vigore� �le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative 
necessarie per conformarsi alla presente direttiva�. 
Il termine del 1� luglio 2005 per l'attuazione dell'art. 12, comma 2, �, dunque, stabilito per i 
soli Stati membri che, sprovvisti di sistemi di indennizzo per le vittime di reati violenti, debbano 
introdurli ex novo nei rispettivi ordinamenti, onde, poi, potersi conformare, nel successivo 
termine del 1� gennaio 2006, alle altre norme della direttiva, di natura organizzativa e 
procedurale, poste a tutela delle situazioni transfrontaliere. 
Ne � riprova il fatto che la Commissione Europea ha contestato alla Repubblica Italiana unicamente 
il mancato adempimento, entro il secondo termine menzionato nell'art. 18, par. 1, 
(1� gennaio 2006), dell'obbligo di adottare �le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative 
necessarie per conformarsi alla direttiva�, e non anche l'inadempimento del par. 
2 dell�art. 12; e ci�, evidentemente, perch� la Repubblica Italiana, come si � visto, era gi� 
munita di un articolato sistema di indennizzo per varie categorie di reati intenzionali violenti 
(cfr. Corte di Giustizia CE, Sent. 112 del 29 novembre 2007), non imponendo, viceversa, la 
direttiva alcun obbligo di prevedere forme di indennizzo anche per il reato di omicidio volontario. 
In via ulteriormente subordinata, nella denegata ipotesi in cui si ritenesse di non condividere 
gli argomenti che precedono, vorr� codesto Tribunale, data la notevole rilevanza della questione, 
rivolgere alla Corte di Giustizia dell�UE ex art. 234 Trattato il seguente quesito pregiudiziale: 
�dica codesta Corte di Giustizia se l�art. 12, par. 2, della Direttiva 2004/80/CE, a 
mente del quale�tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano 
l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei 
rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime�, debba essere 
interpretato nel senso che gli Stati membri hanno lo specifico obbligo di introdurre, nei rispettivi 
ordinamenti, norme nazionali che istituiscano forme di indennizzo in favore delle vittime 
del delitto di omicidio volontario, o se, invece, tale secondo paragrafo del predetto art. 
12 si limiti ad imporre agli Stati membri che ne siano sprovvisti l�obbligo di predisporre un 
sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi terri-
12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
tori, a prescindere dall�ampiezza di tale sistema e dalle singole ipotesi di reato ivi contemplate, 
di talch� il predetto art. 12, par. 2 non si applica agli Stati membri che, come l�Italia, 
gi� prevedessero, alla data di entrata in vigore della direttiva, un adeguato sistema di indennizzo 
delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori�. 
Con riserva di ulteriori deduzioni e/o produzioni nei termini di rito. 
Roma, 20 luglio 2010 
L�Avvocato dello Stato 
Giovanni Palatiello 
REPUBBLICA ITALIANA N. 7009 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
IL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA 
SEZIONE SECONDA 
In composizione monocratica in persona del giudice dr. Lorenzo Pontecorvo ha emesso la seguente 
SENTENZA 
Nella causa civile di primo grado iscritta al n. 77163 del R.G.A.C.C. dell�anno 2007, trattenuta 
in decisione nell�udienza del 17.12.2009 e vertente 
TRA 
V. P. e S. E. elett.te dom.ti in Roma, via Licia n. 44, presso lo studio dell�avv.to Lauricella 
M. Federica rappresentati e difesi dall�avv. Claudio Defilippi per delega a margine della citazione. 
ATTORI 
E 
Presidenza del Consigli� di Ministri, Ministero della Giustizia e Ministero dell�Interno 
elett.te dom.ti in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l�Avvocatura Generale dello Stato, che 
li rappresenta e difende per legge 
CONVENUTI 
CONCLUSIONI 
All�udienza di precisazione delle conclusioni del 17.12.2009 i procuratori delle parti hanno 
come da verbale. 
Svolgimento del processo 
Con citazione ritualmente notificata V. P. e S. E. , genitori di A. V., uccisa durante una 
rapina avvenuta in data 9 agosto 2002 alla periferia di Livorno, hanno convenuto in giudizio 
la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Ministero della Giustizia ed il Ministero dell�Interno 
per sentire dichiarare loro responsabili per non avere attuato, nei termini stabiliti, la direttiva 
del Consiglio CEE 2004/80 che impone agli Stati membri di introdurre norme che prevedano 
un risarcimento a favore di vittime di reato. 
A sostengo della pretesa azionata hanno esposto che la legge nazionale di recepimento n. 
29/2006, entrata in vigore il 23.2.2006, delega il Governo ad adottare entro il termine di diciotto 
mesi alla data della sua entrata in vigore i decreti legislativi recanti le norme occorrenti
TEMI ISTITUZIONALI 13 
per dare concreta attuazione alla direttiva comunitaria. 
Hanno, altres�, chiesto il risarcimento dei danni �per motivi di cui in narrativa�. In tale narrativa 
gli esponenti hanno riassunto le diverse indagini che avevano portato all�individuazione 
ed al rinvio a giudizio di un soggetto al quale � stato imputato l�omicidio di A. V. ed hanno 
imputato al Ministero della Giustizia di non essersi prontamente adoperato per dar corso ad 
una rogatoria internazionale nei confronti di un cittadino inglese sospettato dell�omicidio con 
ci� violando l'art. 2 CEDU nella parte in cui prevede che lo Stato, nel garantire la protezione 
del diritto alla vita, deve anche protare avnati indagini con lo scopo di individuare le singole 
responsabilit�. 
Si sono costituite le Ammisnirazioni i convenute escludendo l�esistenza di ritardi imputabili 
nonch� la mancanza delle condizioni stabilite per il riconoscimento del risarcimento. 
La causa � stata trattenuta in decisione sulle conclusioni precisate dalle parti alla udienza in 
epigrafe indicata. 
Motivi della decisione 
La direttiva del Consiglio CEE 2004/80 all�art. 12 dispone che gli Satti membri debbano provvedere 
a che le loro normative nazionali introducano misure che garantiscano un indennizzo 
equo ed adeguato in favore delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispetti 
territori. 
Il successivo art. 18 consente agli Stati membri di prevedere che le disposizioni necessarie 
per conformarsi alla direttiva si appicchino unicamente ai richiedenti le cui lesioni derivino 
da reati commessi dopo il 30 giugno 2005. 
E�, quindi, intervenuto il DL n. 204/2007, adottato in attuazione della direttiva comunitaria 
che, all�art. 6, prevede che le disposizioni attributive dei benefici economici si applicano alle 
procedure conseguenti ai reati commessi dopo il 30 giugno 2005. 
Considerando pertanto nel caso concreto la fattispecie criminosa si � consumata il 9 agosto 
2002 � da escludersi che gli attori possano aspirare all�attribuzione dei benefici invocati. Per 
lo stesso motivo gli istanti non hanno titolo per potersi dolere della tardiva attuazione della 
direttiva comunitaria. 
Gli attori, ad ulteriore supporto della pretesa risarcitoria, sostengono di aver subito danni in 
qualche modo riferibili alle indagini effettuate a seguito del delitto della loro figlia assumendo 
che il Ministero della Giustizia non si sarebbe prontamente adoperato per dar corso ad una 
rogatoria internazionale nei confronti di un cittadino inglese sospettato dell�omicidio. 
Una tale prospettazione non � condivisibile. Ed, invero � pur volando prescindere dalla assoluta 
adeguatezza delle indagini, come desumibile dalle stesse pressanti attivit� investigative 
evidenziate in citazione, hanno portato, non sola alla individuazione di un imputato ma anche 
alla sua condanna come da sentenza della Corte di Assise di Livorno emessa in data 12.2.2008 
� non � dato in alcun modo desumere in quali termini la parte istante avrebbe subito un danno 
in relazione ad un presunto (non dimostrato) tardivo adempimento di una rogatoria nei confronti 
di un soggetto che, come evidenziato dagli stessi attori, sarebbe risultato estraneo ai 
fatti. 
La particolare natura della controversia giustifica la integrale compensazione delle spese di 
lite. 
PQM 
Il Tribunale definitivamente pronunciando cos� provvede: 
- rigetta le domande proposte da V. P. e S. E. nei confronti della Presidenza del Consiglio 
dei Ministri, del Ministero della Giustizia e del Ministero dell�Interno;
14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
- compensa interamente tra le parti le spese del giudizio. 
Cos� deciso in Roma il 24.3.2010 
IL GIUDICE 
(Lorenzo Pontecorvo) 
Depositato in Cancelleria 
Roma, l� 29 MAR. 2010 
TRIBUNALE DI ROMA N. 8696 
Seconda sezione civile 
REPUBBLICA ITALIANA 
In nome del popolo italiano 
Il TRIBUNALE DI ROMA, sezione seconda civile, in persona del giudice dott. Giuseppe 
Cricenti, ha pronunciato la seguente 
SENTENZA 
Nel procedimento civile di primo grado, recante nr. 2028/2008 vertente tra: 
M.D., G.D., M.T. D., (Avv. Debors Bosi) 
ATTORE 
E 
Ministero Interno, Ministero Economica, Ministero Giustizia (Avv. Avvocatura Stato). 
CONVENUTO 
OGGETTO: Responsabilit� per omessa attuazione direttiva 
Conclusioni dell�attore: come da atto introduttivo 
Conclusioni del convenuto: come da comparsa. 
Motivi della decisione 
Gli attori agiscono quali eredi di G.D.. Essi premettono che il loro fratello (per l�appunto G. 
D.), � stato ucciso a colpi di arma da fuoco da un tale D.R., condannato pi in via definitiva 
per tale omicidio. 
Gli attori ritengono che lo stato avrebbe dovuto recepire la direttiva 2004/80/CE la quale impegna 
gli Stati membri ad una disciplina di indennizzo per le vittime dei reati violenti. 
In particolare, gli attori sostengono che il ritardo con la quale lo Stato italiano ha recepito 
questa direttiva ha comportato l�esclusione dal novero dei beneficiari del fratello ucciso, e 
dunque dei suo eredi. 
Chiedono pertanto la condanna dei Ministeri convenuti per la violazione del diritto comunitario, 
o meglio, per non avere recepito in tempo (o non averlo fatto adeguatamente) la direttiva 
suddetta. 
Si sono costituiti i Ministeri, i quali hanno svolto alcune eccezioni che sono del tutto condivisibili. 
Innanzitutto, non � provata la legittimazione attiva degli attori. E� pacifico che il defunto D. 
aveva coniuge e figli, mentre gli attori sono fratelli e sorelle. 
Si badi che gli attori agiscono, al contrario di quanto vorrebbero sostenere, non gi� iure pro-
TEMI ISTITUZIONALI 15 
prio, ma iure hereditatis. Che sia cos�, � evidente, il congiunto agisce iure proprio per l�uccisione 
del parente nei confronti dell�autore del fatto. Se il congiunto vuol fare valere un danno 
proprio derivante dalla morte del parente deve agire nei confronti dell�autore del fatto illecito. 
Qui, invece, gli attori non fanno valere un diritto proprio, ma agiscono come eredi del defunto. 
Il diritto all�indennizzo spetta alla vittima del reato violento, non ai suoi parenti, qualunque 
sia l�ordine ed il grado, e si trasferisce per successione ai suo eredi. I parenti della vittima non 
possono invocare il diritto all�indennizzo come diritto proprio, perch� il diritto � della vittima, 
ma lo possono invocare come diritto ereditato da chi era il titolare. 
Ed infatti, pende altra causa nella quale agiscono gli eredi (coniuge e figli) della vittima. 
Inoltre difetta la legittimazione passiva dei Ministeri convenuti. Gli attori infatti lamentano 
una responsabilit� dello Stato per la omessa o tardiva violazione della direttiva. 
Se la causa petendi � questa (come pare che sia) allora il soggetto legittimato � la Presidenza 
del Consiglio, quale organo di vertice dello Stato apparato. Non � compito dei Ministeri attuare 
il diritto comunitario. 
Infine, la domanda � infondata nel merito. 
Infatti, la direttiva di cui si lamenta la mancata (o tardiva attuazione) (2004/80/CE) � riferita 
ai reati transfrontalieri, ossia ai casi in cui un cittadino di uno stato membro � vittima di reato 
in altro stato membro (art.1). Non disciplina l�indennizzo per le vittime di reati �interni� allo 
stato membro, come � sicuramente nel caso presente. 
La direttiva non si applica quindi alla fattispecie in esame. 
Inoltre, anche se fosse, la direttiva ha lasciato discrezionalit� agli stati membri circa il dies a 
quo della sua efficacia, ossia ha lasciato discrezionalit� di escludere i reati commessi prima 
del 30.6.2005 (art. 18 par. 2). 
Lo Stato italiano ha attuato la direttiva con il decreto legislativo n. 204 del 2007, al cui art. 6 
� previsto che, in ottemperanza all�art. 18 della direttiva, l�indennizzo riguarda i reati commessi 
dopo il 30.6.2005. 
L�esclusione temporale del caso in esame � dunque non gi� dovuta ad un illecito, ma ad un 
potere discrezione dello Stato italiano esercitato conformemente alla direttiva europea. 
La domanda va pertanto respinta e le spese seguono la soccombenza. 
P.Q.M. 
Il Giudice cos� provvede: 
1. Rigetta la domanda 
2. Condanna gli attori al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in complessive 3000,00 
�, oltre IVA E CPA. 
Roma, 15.4.2010 
Depositato in Cancelleria 
Roma, l� 21 APR. 2010
16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Sulla gestione del contenzioso del lavoro 
La circolare sul contenzioso del lavoro n. 43 del 2010 ribadisce, in termini 
netti, una prassi gi� in uso, per necessit� oltre che per scelta, presso l�Avvocatura 
Generale dello Stato, dove le controversie individuali di lavoro 
(anche se introdotte con rito monitorio o d�urgenza) restano affidate in primo 
grado per la quasi totalit� alla difesa diretta delle amministrazioni interessate, 
siano esse a �patrocinio obbligatorio� che a �patrocinio facoltativo� . 
L�aspetto nuovo � che si introducono raccomandazioni e modalit� operative 
con l�obiettivo di indirizzare �dall�esterno� le amministrazioni nella 
difficile attivit� di difesa giudiziale. In altri termini l�Avvocatura dello Stato 
si assume il compito di aiutare gli uffici del contenzioso delle amministrazioni 
a svolgere meglio il compito di legali d�azienda che l�art. 417 bis c.p.c. sembra, 
limitatamente al primo grado (1), voler loro attribuire: � di tutta evidenza, 
infatti, che tale giudizio, con le preclusioni previste dal rito del lavoro, � decisivo 
per il buon esito delle cause e che gli enti a patrocinio facoltativo spesso 
non hanno alcuna alternativa tra l�Avvocatura dello Stato ed il ricorso a liberi 
professionisti esterni. In sintesi tutto ci� che le amministrazioni non avranno 
in termini di difesa in primo grado sar� fornito � ed � questo il senso della 
circolare dell�Avvocato Generale � in termini di assistenza tecnica e coordinamento. 
G. F. 
Circolare n. 43 - 29 luglio 2010 prot. 245983 
In seguito alla devoluzione al Giudice ordinario delle controversie relative 
al cd. �pubblico impiego privatizzato�, ed in particolare alla introduzione, nel 
codice di rito, dell�art. 417 bis concernente la difesa in giudizio delle Amministrazioni 
pubbliche, vennero fornite in sede di prima applicazione direttive 
interpretative con la Circolare n. 38 del 17 ottobre 1998. Fu inoltre reso un 
parere da parte del Comitato Consultivo in data 18 ottobre 1999 n. 99204. 
In particolare, �sotto l�aspetto archivistico�, nella citata Circolare si raccomodava 
alle Avvocature Distrettuali di evitare �di attribuire un numero di 
Cs o di Ct alle pratiche trasmesse all�amministrazione per la trattazione da 
parte di questa in primo grado, riservandosi l�incardinazione del fascicolo 
solo al momento dell�assunzione dell�affare ai fini dell�eventuale appello o in 
resistenza all�appello avversario�. 
Nessuna specifica indicazione relativa alle dette controversie risulta in- 
(1) V. nota a sentenza su questa Rass., pp. 193-199, Il reclamo nel giudizio cautelare nel rito lavoro: 
considerazioni in merito allo ius postulandi dei funzionari delegati ai sensi dell�art. 417 bis.
TEMI ISTITUZIONALI 17 
vece contenuta, quanto ai criteri di impianto, nella Circolare n. 68 del 4 dicembre 
2006 - che fa generico riferimento alla necessit� di classificare �come 
affari contenziosi quelli che presuppongono un rapporto processuale in atto 
nel quale l�Amministrazione assuma la posizione di parte �-, di tal che l�unica 
menzione delle controversie stesse � contenuta nella Circolare n. 7/2007, ove, 
�ai fini della stima aggiornata dei carichi di lavoro�, le Avvocatura Distrettuali 
sono invitate tra l'altro a �precisare quali, tra gli affari contenziosi che risultato 
impiantati, siano direttamente trattati da codeste Avvocature, distinguendoli 
da quelli affidati alle cure dei funzionari delle Amministrazioni, con particolare 
riguardo alle controversie in materia di lavoro�. 
Alla luce della prassi affermatasi in questi anni e del consolidarsi della 
giurisprudenza, atteso anche che si � riscontrata difformit� nell�applicazione 
dei criteri a suo tempo indicati, a fini di uniformit� di trattamento degli affari 
concernenti il contenzioso del lavoro �privatizzato� - tanto nella fase dell�impianto 
quanto in quella di svolgimento dell�attivit� professionale -, si rende 
ora necessario impartire le seguenti direttive in materia. 
1. Va in primo luogo ribadito che l�art. 417 bis c.p.c., laddove dispone 
che, nelle controversie relative ai rapporti di lavoro, �limitatamente al giudizio 
di primo grado le Amministrazioni� possono stare in giudizio avvalendosi 
direttamente di propri dipendenti�, prevede quale regola generale che, nel 
detto grado, siano le Amministrazioni a provvedere alla difesa giudizio. Ci� 
appare d�altro canto perfettamente coerente con la previsione (art. 12 D.Lgs 
n. 165/2001) della costituzione di �uffici del contenzioso� in seno alle Amministrazioni 
per curare �l�efficace svolgimento di tutte le attivit� stragiudiziali 
e giudiziali inerenti alle controversie�, uffici menzionati anche nella norma 
processuale in discorso. 
E� da ritenere pertanto infondata l�interpretazione � sostenuta inizialmente 
da talune Amministrazioni � che, valorizzando un argomento puramente letterale 
(��possono��), intendeva rimettere alla Amministrazione la scelta finale 
sulla difesa in giudizio. Una tale lettura, peraltro in evidente contrasto 
con il disposto del comma successivo, � agevolmente superata dalla considerazione 
che la norma intende piuttosto conferire � eccezionalmente, e in deroga 
ai principi posti dall�art. 82 dello stesso codice � lo ius postulandi in capo a 
soggetti sprovvisti dei necessari requisti professionali. 
E� da sottolineare � avendo la ormai pressoch� costante giurisprudenza 
di merito recepito le argomentazioni sviluppate al n. 1 del parere del Comitato 
Consultivo sopra richiamato � che nel �grado� va ricompresa anche la eventuale 
fase cautelare ante causam e quella in sede di revoca, modifica (art. 669 
decies c.p.c.) o reclamo (art. 669 terdecies c.p.c.) del provvedimento di urgenza. 
2. La costituzione e lo svolgimento di attivit� difensiva da parte dell�Avvocatura 
dello Sato costituisce pertanto circostanza assolutamente eccezionale,
18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
legata al ricorrere di �questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici�. 
L�individuazione testuale � evidentemente generica, il che consente alle 
singole Avvocature � pur nel rispetto del su richiamato principio generale, al 
quale tutte le Sedi dovranno uniformarsi, di difesa diretta da parte delle Amministrazioni 
� di tenere conto, nell�applicare i criteri indicati ai numeri 3., 4. 
e 5. della Circolare n. 38/98 e qui confermati, di eventuali specifiche e significative 
realt� locali. 
Conformemente agli indirizzi giurisprudenziali, va confermato che la 
scelta operata dall�Avvocatura di cui al secondo comma della disposizione citata 
costituisce atto interno, la cui ostensione in udienza non � necessaria e 
non pu� essere richiesta dal Giudice e dalla controparte, e che non � in alcun 
modo sindacabile giudizialmente in quanto implicante valutazioni organizzative 
e/o di opportunit� (ci� in analogia con quanto ritenuto da Cass., SSUU, 
26 maggio 2004, n. 10138). 
3. Va, inoltre pi� esattamente precisato quanto indicato nella circolare del 
1998 (cfr. n. 2), al secondo comma, con riferimento ai soggetti ai quali si applica 
il meccanismo di valutazione da parte dell�Avvocatura in ordine alla difesa 
nel primo grado, soggetti dalla norma individuati nelle �Amministrazioni 
statali o ad esse equiparate�. 
Se � pur vero che tale indicazione deve essere correttamente riferita agli 
Enti muniti di patrocinio necessario, deve ritenersi incontestabile � come gi� 
si evidenzia nella precedente circolare � che lo stesso procedimento pu� e deve 
trovare applicazione � in sede interpretativa � anche nei confronti di tutti gli 
altri soggetti difesi ex art. 43 T.U. n. 1611/33. 
A tale inevitabile conclusione deve giungersi � laddove ovviamente il 
coinvolgimento dell�Istituto discenda da una richiesta in tal senso da parte 
dell�Ente patrocinato, non essendo in tali casi di norma l�atto introduttivo notificato 
all�Avvocatura dello Stato � ad evitare un�interpretazione della norma 
scorretta sotto il profilo sistematico. 
Considerato, infatti, che: all�Ente con patrocinio autorizzato trova applicazione 
il solo primo comma dell�art. 417 bis, e che lo stesso, pertanto, secondo 
la regola generale, dovrebbe difendersi in giudizio da solo; atteso che 
detto Soggetto ben potrebbe tuttavia � come gi� si osservava nella circolare 
n. 38/98, al n. 2 � richiedere all�Avvocatura di essere difeso (principio generale, 
come noto, laddove non ricorrano le eccezioni indicate nei commi 3 e 4 
dell�art. 43); se in tal caso l�Avvocatura, a semplice richiesta, fosse tenuta a 
concedere il patrocinio, essa finirebbe con l�accordare all�Ente non difeso �necessariamente�
un trattamento potiore rispetto a quello riconosciuto alle �amministrazioni 
statali o ad esse equiparate�; conclusione, questa, che non 
appare evidentemente ragionevole. 
Deve pertanto ritenersi, scongiurando una inaccettabile lettura della disposizione, 
che l�Ente a patrocino autorizzato ben possa provvedere alla pro-
TEMI ISTITUZIONALI 19 
pria difesa secondo quanto previsto dall�art. 417 bis primo comma (difesa diretta, 
e non a mezzo di avvocato del libero foro, salvo che sia in presenza 
delle peculiari situazioni sopra richiamate di cui ai commi 3 e 4 dell�art. 43 
del Testo Unico); ma, laddove intenda richiedere la difesa in giudizio da parte 
dell�Avvocatura fin dal primo grado, non possa che sottostare, come le Amministrazioni 
statali indicate al secondo comma, alla valutazione da parte 
dell�Avvocatura sul rilevo delle questioni in trattazione. 
Ferme restando le valutazioni di opportunit� proprie del singolo caso concreto, 
derivanti anche dalla natura del contensto e del soggetto richiedente, a 
fronte della richiesta di patrocinio in primo grado si vorr� pertanto manifestare 
tale orientamento alle Amministrazioni difese ai sensi dell�art. 43 T.U. n. 
1611/33, evidenziando come sia applicabile nella fattispecie, quanto meno in 
via estensiva, la revisione dell�art. 417 bis comma 2. 
4. Nel caso in cui il patrocinio sia rimesso all�Amministrazione, nel trasmettere 
alla stessa il ricorso introduttivo sar� utile evidenziare alla stessa: 
a) che � opportuno che l�incarico di difesa (impropriamente definita quale 
�procura� dalla Suprema Corte nella sentenza che si cita qui di seguito) sia 
formalmente conferito (preferibilmente a funzionario dell�ufficio per il contenzioso 
del lavoro) dai dirigenti preposti (cfr. Cass. 13 settembre 2006, n. 
19558) e sia fatto constare per iscritto. In ci� si ritiene allo stato prudente discostarsi 
dall�opinione espressa dal Comitato Consultivo nel richiamato parere 
dell�ottobre 1999, alla luce della pur contestabile opinione espressa in obiter 
dictum dalla richiamata pronuncia del Supremo Collegio. A nulla rileva invece 
la connotazione soggettiva del dipendente designato; 
b) che, all�atto della costituzione, si vorr� espressamente eleggere domicilio 
presso l�ufficio del contenzioso, ovvero, in caso di controversia fuori 
sede, presso altro ufficio locale dell�Amministrazione, al fine di evitare notifiche 
presso la Cancelleria del Tribunale, con possibili anche rilevanti pregiudizi;
c) che � bench� nulla osti formalmente in senso contrario � appare in 
linea di principio preferibile tenere distante la designazione di un funzionario 
dipendente quale �difensore� da quella di �rappresentate dell�Amministrazione� 
� a conoscenza dei fatti di causa � ai fini dell�interrogatorio libero delle 
parti; il rappresentate deve essere indicato con atto formale (procura) proveniente 
dal capo dell�uffio che ha il potere di transigere la controversia, e deve 
contenere il conferimento di detto potere. Ci� al fine di evitare una possibile 
confusione nei ruoli dei soggetti che partecipano all�udienza; 
d) che � indispensabile che tutte le sentenze, ove notificate direttamente 
all�Amministrazione (notifica utile a far decorrere il termine breve di impugnazione: 
Cass., 22 febbraio 2008, n. 4690) vengano immediatamente trasmesse 
all�Avvocatura in una con il fascicolo di parte, copia dei verbali di 
udienza e una puntuale relazione sui fatti di causa contenente anche una valu-
20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
tazione sull�opportunit� dell�impugnazione da parte dell�organo competente, 
eventualmente anticipata per via telematica. Eccezione a tale principio � costituita 
dalle sentenze di contenuto identico ad altre gi� trasmesse (�cause ripetitite�), 
per le quali sia gi� stata esclusa la necessit� di impugnazione. 
5. L�Avvocatura potr� invece ritenere di trattare la causa anche in primo 
grado per la sua �rilevanza di massima� o per i notevoli �riflessi economici�. 
Come gi� si ipotizzava nella Circolare n. 38/98, � opportuno che una tale valutazione 
sia accentrata nella persona dell�Avvocato Distrettuale o altro Avvocato 
all�uopo dallo stesso designato. Nell�ipotesi che la controversia non 
involga questioni strettamente locali, la scelta dovr� inoltre essere segnalata 
all�Avvocato Generale aggiunto, all�uopo designato, per garantire unit� di indirizzo 
su tutto il territorio nazionale. 
In tali casi la difesa dovr� essere in linea di principi� estesa a tutte le cause 
similari, al fine di evitare la frantumazione �in una pluralit� di impostazioni 
difensive, che pu� risolversi in pregiudizio� (cos� la Circolare n. 38/98). All�invitabile 
aggravio nello svolgimento della funzione difensiva si potr� sopperire 
� nel caso di controversie fuori sede � ricorrendo allo strumento della 
delega alla p.A. ex art. 2 T.U. n. 1611/33 (diversa dall�ipotesi di cui all�art. 
417 bis). 
Anche nei casi di controversie similari a quelle in cui il patrocinio � stato 
assunto dall�Avvocatura come illustrato al comma prencedente sar� inoltre seriamente 
da considerare la possibilit� che l�Amministrazione si difenda in giudizio 
ai sensi del comma 1 dell�art. 417 bis nei nuovi giudizi proposti: 
a) laddove per dette cause l�Avvocatura � costituita in precedenti giudizi 
� abbia gi� predisposto esaurienti difese in diritto; 
b) laddove si sia in presenza di un orientamento oramai consolidato della 
giurisprudenza (in linea di massima, in senso favorevole). 
In embrambi i casi sar� cura dell�Avvocatura trasmettere all�Amministrazione 
copia degli atti difensivi svolti nelle cause precedentemente trattate, affinch� 
gli stessi siano utilizzati nella predisposizione delle relative memorie. 
In ogni caso, quando si evidenzi la presenza di cause ripetitive, atteso che 
simili controversie per loro natura possono essere pendenti davanti a autorit� 
giudiziarie di tutti i Distretti di Corte d�Appello, l�Avvocato Distrettuale avr� 
cura di segnalare senza indugio l�esistenza delle controversie, le difese adottate 
ed eventuali orientamenti giurisprudenziali gi� manifestati in sede locale all�Avvocatura 
Generale dello Stato, ai fini della diffusione a tutte le Avvocature 
delle necessarie informazioni e della adozione di linee comuni di azione previa 
eventuale sottoposizione della questione al Comitato Consultivo. 
6. In coerenza con quanto fin qui disposto si vorr� pertanto provvedere, 
all�atto della notifica del ricorso e all�esito della valutazione di assunzione o 
meno del patrocinio da parte dell�Avvocatura, all�impianto dell�affare secondo 
le seguenti modalit�:
TEMI ISTITUZIONALI 21 
a) se la difesa � assunta dall�Avvocatura l�affare verr� impiantato con le 
ordinarie modalit� e con attribuzione del relativo �codice-materia�; 
b) in caso contrario, verr� impiantato un affare contenzioso, al quale verr� 
per� attribuito apposito codice materia secondo le indicazioni tecniche che saranno 
fornite agli Uffici archivio; 
c) nel caso b), qualora si pervenga in un secondo momento all�assunzione 
della difesa da parte dell�Avvocatura, ovvero nell�ipotesi di prosecuzione del 
giudizio in secondo grado, il codice di cui alla lettera b) dovr� essere esser sostituito 
dal �codice-materia� relativo al merito della controversia di cui alla 
lettera a). 
L�AVVOCATO GENERALE 
Avv. Ignazio Francesco Caramazza
22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Protocollo d�intesa con l�Agenzia delle Entrate per il triennio 
2010-2013 sottoscritto il 13 maggio 2010* 
In data 13 maggio 2010 � stato sottoscritto con l�Agenzia delle Entrate il 
Protocollo di intesa, allegato in copia (e gi� diffuso in pari dati con messaggio 
di posta elettronica) (1). Alle previsioni della stessa occorre attenersi nei rapporti 
con gli Uffici della stessa Agenzia. 
Poich� taluni suoi aspetti innovativi hanno suscitato perplessit� applicative, 
sembra opportuno fornire di seguito alcune precisazioni. 
Con riguardo ai ricorsi per cassazione in materia tributaria (e di lavoro), 
va richiamata l�attenzione: 
a) sul necessario rispetto dei termini di cui ai punti 2.4.3. e 2.4.10 del 
Protocollo (12 giorni prima della scadenza per i ricorsi; 5 giorni prima per i 
ricorsi incidentali), per la comunicazione del parere negativo sulla proposta 
di impugnazione della sentenza e sulla esigenza di evitare comunque decadenze 
pregiudizievoli per l�Agenzia, in ipotesi di reiterata richiesta di impugnazione 
da parte della Direzione Regionale di questa (punti n. 2.4.5 e 2.4.6.); 
b) sulla utilizzazione prioritaria della notifica a mezzo posta da Roma, 
salvo i casi in cui, eccezionalmente, si ritenga indispensabile avvalersi degli 
Uffici dell�Agenzia (in tali ipotesi il ricorso stesso dovr� pervenire all�Ufficio 
competente almeno tre giorni liberi prima della scadenza: punto 2.1.7); 
c) sulla necessit� di avvalersi degli uffici dell�Agenzia (e non di avvocati 
del libero loro), ai sensi dell�art. 2 del R.D. n. 1611/1933, per le cause che si 
svolgono davanti ad autorit� guidiziaria avente sede diversa da quella dell�Avvocatura, 
salvo diversa preventiva intesa con l�Agenzia (punto 2.1.6); 
d) sulla necessit� che le sentenze emesse dalla Corte di Cassazione siano 
prontamente trasmesse alle competenti Direzioni regionali, per quanto di ulteriore 
loro competenza. 
Nel caso di cassazione con rinvio alla CTR, alla comunicazione va allegata 
� ove la Suprema Corte non abbia provveduto alla liquidazione delle 
spese della fase di legittimit� ex art. 385 comma 3 cp.c. � la nota delle spese 
relative alla stessa fase, con invito espresso per l�Ufficio di provvedere al suo 
deposito nell�eventuale giudizio di rinvio ed alla richiesta della relativa liquidazione, 
nonch� di inviare alla Avvocatura Generale la copia della sentenza 
una volta emessa da quel Giudice (punto 2.5). 
Le Avvocature Distrettuali dovranno tempestivamente informare l�Avvocato 
Generale dei casi particolari di conflitto d�interessi tra l�Agenzia ed altre 
Amministrazioni patrocinate (punto 2.1.9). 
(*) Circolare n. 46 - 9 settembre 2010 prot. 275256 - dell�Avvocato Generale. 
(1) Gi� pubblicato su questa Rass., 2010, II, 1-6.
TEMI ISTITUZIONALI 23 
Gli Avvocati Distrettuali vorranno, da ultimo, comunicare alla Segreteria 
particolare il nominativo dell�Avvocato referente per i i rapporti con l�Agenzia 
(Punto 5). 
L�AVVOCATO GENERALE 
Avv. Ignazio Francesco Caramazza
I L C O N T E N Z I O S O 
C O M U N I TA R I O E D 
I N T E R N A Z I O N A L E 
Le conseguenze dell�inesatta trasposizione 
di direttive �attuative� di principi generali 
del diritto comunitario 
Chiara Di Seri* 
IN ALLEGATO: Sentenza della Corte di giustizia dell�Unione europea, 19 gennaio 2010 , 
in causa C-557/07, Swedex. 
Con la sentenza 19 gennaio 2010, la Corte di giustizia si � pronunciata 
sulle questioni pregiudiziali proposte nell�ambito di una controversia tra una 
dipendente (la sig.ra K�c�kdeveci) ed il suo datore di lavoro (la societ� Swedex) 
in merito al criterio di calcolo della durata del preavviso del licenziamento. 
Il datore di lavoro aveva calcolato il termine di preavviso come se la dipendente 
avesse avuto un�anzianit� di 3 anni - bench� fosse alle sue dipendenze 
da 10 anni - in applicazione di una disposizione del diritto nazionale 
tedesco che prevede di non tenere conto, per il calcolo della durata del preavviso 
di licenziamento, del periodo di servizio svolto in azienda prima del compimento 
del venticinquesimo anno di et� del lavoratore. 
Il giudice tedesco, dubitando della compatibilit� di tale disparit� di trattamento 
collegata all�et� con il diritto comunitario - ed, in particolare con la 
direttiva 2000/78/CE, recepita da una legge del 2006 sulla parit� di trattamento 
(Allgemeines Gleichbehandlungsgesetz) - anche alla luce dei principi enunciati 
nella sentenza Mangold (1), ha chiesto alla Corte di chiarire: 
(*) Dottore di ricerca in Diritto amministrativo, Universit� degli Studi di Roma Tre, ha svolto la 
pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
(1) Corte di giustizia delle Comunit� Europee, 22 novembre 2005, C-144/04, Mangold, con nota 
di MASSA PINTO, La Corte di Giustizia ricorda (involontariamente) alla Corte costituzionale lo strumento
26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
- se la normativa nazionale determini una disparit� di trattamento in base 
all�et� vietata dal diritto dell�Unione, in particolare dal diritto primario o dalla 
direttiva 2000/78; 
- se il giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, per 
poter disapplicare una normativa nazionale che ritenga contraria al diritto 
dell�Unione, a fini di tutela del legittimo affidamento, debba previamente adire 
la Corte di giustizia in forza dell�art. 267 TFUE, affinch� quest�ultima confermi 
l�incompatibilit� di tale normativa con il diritto dell�Unione. 
A questo proposito, il giudice remittente ha inoltre sottolineato come la 
Costituzione tedesca impedisca di disapplicare una legge nazionale in assenza 
di una dichiarazione di incostituzionalit�, escludendo che, secondo la sentenza 
Mangold, i giudici nazionali si vedano comunque attribuire tale potere di disapplicazione 
allo scopo di dare attuazione ai principi generali del diritto comunitario. 
La Corte, nell�affrontare la prima questione, ha precisato come il parametro 
di riferimento per valutare la compatibilit� comunitaria della disposizione 
di diritto nazionale richiamata fosse il principio di non discriminazione 
in base all�et�, principio generale che trova una sua �espressione concreta� 
nella direttiva 2000/78/CE. 
Si tratta infatti di un principio che non discende �direttamente� dalla direttiva 
ma trova la sua fonte nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati 
membri ed � ribadito nella Carta dei diritti fondamentali dell�Unione Europea. 
La Corte ha poi ricordato come, in virt� delle stessa direttiva, gli Stati 
membri dispongano di un margine di valutazione discrezionale nella scelta 
delle misure atte a realizzare i loro obiettivi in materia di politica sociale e di 
occupazione, purch� i mezzi apprestati siano �appropriati e necessari�. 
La Corte ha tuttavia escluso che gli scopi del legislatore evidenziati dal 
giudice di rinvio - maggiore flessibilit� nella gestione del personale e rafforzamento 
della tutela dei lavoratori in ragione del tempo trascorso nell�impresa 
- siano adeguatamente perseguiti con l�adozione di una disciplina differenziata 
per il computo del termine di preavviso del licenziamento. 
Pertanto, la disparit� di trattamento tra lavoratori aventi la medesima anzianit� 
di servizio a seconda dell�et� in cui siano stati assunti � ritenuta priva 
di giustificazione. 
Con riferimento alla seconda questione proposta, viene innanzitutto richiamata 
la giurisprudenza, ormai consolidata, che esclude l��efficacia orizper 
riappropriarsi, almeno in parte, della competenza a giudicare in ordine alla conformit� delle fonti 
statali all�ordinamento comunitario?, in www.costituzionalismo.it, CALVANO, Il caso �Mangold�: la 
Corte di giustizia afferma (senza dirlo) l�efficacia orizzontale di una direttiva comunitaria non scaduta?, 
in www.associazionedeicostituzionalisti.it, e PATERNITI, La Corte di Giustizia apre al �sindacato diffuso 
di legittimit� comunitaria�?, in www.forumcostituzionale.it.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 27 
zontale� delle direttive a seguito della loro mancata o inesatta attuazione (2) 
e quella in tema di obbligo di �interpretazione conforme� (3). 
La Corte ha quindi ribadito la centralit� del ruolo del giudice nazionale 
nel dare attuazione al principio generale di non discriminazione alla luce del 
(2) Secondo la giurisprudenza comunitaria ormai risalente, le direttive c.d. self-executing, in caso 
di mancato od inesatto recepimento, sono direttamente applicabili. Tale efficacia diretta � stata ammessa 
solo in senso �verticale�, nel senso cio� di consentire ai singoli di far valere un diritto verso lo Stato 
inadempiente, e non anche in senso �orizzontale� fra i privati. 
Muovendo infatti dal principio enunciato nella sentenza 26 febbraio 1986, in causa C-152/84, Marshall, 
secondo cui una direttiva non pu� di per s� creare obblighi a carico di un singolo e non pu� quindi essere 
fatta valere in quanto tale nei suoi confronti, la Corte di giustizia ha successivamente precisato che �la 
possibilit� di far valere una direttiva nei confronti degli enti statali � fondata sulla natura cogente attribuita 
a tale atto dall�art. 189 (ora 249) del trattato, natura cogente che esiste solo nei confronti dello 
Stato membro cui la direttiva � rivolta e mira ad evitare che uno Stato possa trarre vantaggio dalla sua 
trasgressione del diritto comunitario. Sarebbe infatti inaccettabile che lo Stato al quale il legislatore comunitario 
prescrive l�adozione di talune norme volte a disciplinare i suoi rapporti, o quelli degli enti 
statali, con i privati e a riconoscere a questi ultimi il godimento di taluni diritti potesse far valere la mancata 
esecuzione dei suoi obblighi al fini di privare i singoli di detti diritti. Estendere detta giurisprudenza 
all�ambito dei rapporti tra singoli significherebbe riconoscere in capo alla Comunit� il potere di emanare 
norme che facciano sorgere con effetti immediati obblighi a carico di questi ultimi, mentre tale competenza 
le spetta solo laddove le sia attribuito il potere di adottare regolamenti. Ne consegue che, in assenza 
di provvedimenti di attuazione entro i termini prescritti, un privato non pu� fondare su una direttiva un 
diritto nei confronti di un altro privato, n� pu� farlo valere innanzi a un giudice nazione� (Corte di giustizia 
delle Comunit� Europee, 14 luglio 1994, in causa C-91/92, Faccini Dori). 
L�efficacia verticale � �unidirezionale�: sono i privati che possono invocare l�operativit� di una direttiva 
inattuata nei confronti della Stato, ma non lo Stato a suo vantaggio nei confronti dei privati. La giurisprudenza 
comunitaria � infatti consolidata nel ritenere che una direttiva non pu� di per s� creare obblighi 
a carico di un singolo e non pu� quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (da ultimo, 
Corte di giustizia delle Comunit� Europee, 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer). 
Nel contesto specifico di una situazione in cui una direttiva viene invocata nei confronti di un soggetto 
dalle autorit� di uno Stato membro nell'ambito di procedimenti penali, la Corte, anche di recente, 
ha ribadito che una direttiva non pu� avere come effetto, di per s� e indipendentemente da una legge interna 
di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilit� 
penale di coloro che agiscono in violazione delle dette disposizioni (Corte di giustizia delle Comunit� 
Europee, 3 maggio 2005, cause riunite C-387/02, C-391/02, C-403/02, Dell'Utri e a.). 
(3) L�obbligo di interpretazione conforme al diritto comunitario � stato esplicitamente affermato 
dal giudice comunitario a partire dalla sentenza, 10 aprile 1984, in causa C-14/83, Von Colson, e poi 
diffusamente nella sentenza 13 novembre 1990, in causa C-106/89, Marleasing SA, secondo cui �l�obbligo 
degli stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, 
come pure l�obbligo, loro imposto dall�art. 5 (ora 10) del Trattato, di adottare tutti i provvedimenti generali 
o particolari atti a garantire l�adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati 
membri, ivi compresi, nell�ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali. Ne consegue che, nell�applicare 
il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla 
direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello 
scopo della direttiva, onde conseguire il risultato perseguito da quest�ultima e conformarsi pertanto all�art. 
189 (ora 249), comma 3, del Trattato�. 
Si cfr., in argomento, CAFARI PANICO, Per un�interpretazione conforme, in Dir. pubbl. Comp. Eu., 1999, 
383 e segg.; PALLOTTA, Interpretazione conforme e inadempimento dello Stato, in Riv. It. Dir. pubbl. 
Com., 2005, 253 e segg.; PINELLI, Interpretazione conforme (rispettivamente, a Costituzione e al diritto 
comunitario) e giudizio di equivalenza, in Giur. Cost., 2008, 1364 e segg.; RUVOLO, Interpretazione 
conforme e situazioni giuridiche soggettive, in Europa e Dir. Priv., 2006, 1407 e segg.
28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
�primato� del diritto comunitario. 
Infatti, come in precedenza affermato nella sentenza Mangold, il giudice 
nazionale, investito di una controversia in cui sia invocato il principio di non 
discriminazione in ragione dell�et�, � tenuto ad assicurare �la tutela giuridica 
che il diritto dell�Unione attribuisce ai soggetti dell�ordinamento, garantendone 
la piena efficacia e disapplicando, ove necessario, ogni contraria disposizione 
di legge nazionale�. 
Il giudice comunitario ha inoltre escluso che l�obbligo di disapplicazione 
sia subordinato alla declaratoria di �incompatibilit� comunitaria�, pronunciata 
a seguito di un rinvio pregiudiziale. 
Ad avviso della Corte, la facolt� �riconosciuta dall�art. 267, secondo 
comma, TFUE di chiedere alla Corte un�interpretazione pregiudiziale prima 
di disapplicare la norma nazionale contraria al diritto dell�Unione non pu� tuttavia 
trasformarsi in obbligo per il fatto che il diritto nazionale non consente 
a tale giudice di disapplicare una norma interna che egli ritenga contraria alla 
Costituzione, se tale disposizione non sia stata previamente dichiarata incostituzionale 
dalla Corte costituzionale�. 
Primaut� e principi generali del diritto comunitario 
La decisione offre spunti interessanti sotto vari profili: nell�affermare il 
principio della primaut� in relazione ai principi generali del diritto comunitario, 
lambisce il tema degli �effetti orizzontali� delle direttive, della �comunitarizzazione
� delle norme della Carta di Nizza e mette in evidenza la 
distinzione tra il controllo accentrato di legittimit� costituzionale ed il sindacato 
di compatibilit� comunitaria, svolto a livello diffuso dai giudici nazionali 
in funzione di giudici comunitari. 
Il giudice comunitario ha posto al centro delle proprie argomentazioni il 
divieto di discriminazione nella sua veste di principio generale. 
In tale prospettiva, la Corte di giustizia ha evitato di fornire i chiarimenti, 
auspicati dall�Avvocato generale Bot nelle sue conclusioni (4), sul problema 
Ove non sia possibile procedere ad un�interpretazione del diritto interno in conformit� al diritto comunitario, 
il giudice nazionale ha l�obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di tutelare i 
diritti che questo attribuisce ai singoli, eventualmente disapplicando la disposizione nazionale, la cui 
applicazione, date le circostanze del caso, condurrebbe ad un risultato contrario al diritto comunitario 
(si vedano, in proposito, Corte di giustizia delle Comunit� Europee, 4 febbraio 1988, in causa C-157/86, 
Murphy e Id., 28 settembre 1994, in causa C-200/91, Coloroll). 
Il giudice comunitario ha inoltre precisato che �nel caso in cui il risultato prescritto dalla direttiva inattuata 
dal legislatore nazionale non possa essere conseguito mediante l�interpretazione conforme del giudice 
nazionale il diritto comunitario impone agli Stati membri di risarcire il danno da essi causati ai 
singoli in conseguenza della mancata attuazione della direttiva� (cos�, Corte giustizia delle Comunit� 
Europee, 14 luglio 1994, in causa C-91/92, Faccini Dori). 
(4) Conclusioni, 19 luglio 2009.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 29 
della scissione tra l��effetto diretto orizzontale� delle direttive e la loro invocabilit� 
al fine di escludere l�applicazione del diritto nazionale incompatibile 
nell�ambito di una controversia tra privati. 
L�Avvocato generale, infatti, muovendo dal presupposto che la norma di 
riferimento rispetto alla quale doveva essere stabilita la sussistenza o meno di 
una discriminazione fondata sull�et� fosse la direttiva 2000/78/CE, aveva 
adombrato la possibilit� di una specificazione della tradizionale ricostruzione 
sull��efficacia orizzontale� delle direttive. 
Al riguardo, aveva invitato la Corte a riconoscere che la direttiva 
2000/78/CE potesse essere invocata ai fini della disapplicazione, ancorch� nell�ambito 
di una controversia tra singoli, e a non limitarsi ad indicare il �palliativo
� dell�azione di responsabilit� nei confronti dello Stato per l�inesatta 
trasposizione. 
Secondo l�impostazione dell�Avvocato generale, la �specificit� delle direttive 
che combattono le discriminazioni� e la �gerarchia delle norme dell�ordinamento 
giuridico comunitario� permetterebbero di configurare 
un��efficacia orizzontale sui generis�, considerato che una �direttiva adottata 
al fine di agevolare l�attuazione del principio generale di uguaglianza e di non 
discriminazione non pu� diminuirne la portata� (5). 
Viene tuttavia precisato che l�accoglimento di tale tesi non porterebbe comunque 
�la Corte a ritornare sulla sua giurisprudenza relativa all�assenza di 
effetto diretto orizzontale delle direttive� (6): ad avviso dell�Avvocato generale, 
infatti, anche se la Corte persistesse nell�opinione di �non riconoscere in 
modo generale la scissione tra l�effetto diretto cosiddetto �di sostituzione� e 
l�invocabilit� di esclusione�, la particolarit� delle direttive volte a combattere 
la discriminazione le consentirebbe �di adottare una soluzione con una portata 
pi� ridottala quale, allo stesso tempo, ha il merito di essere coerente con la 
giurisprudenza da essa formulata in merito al principio generale di uguaglianza 
e di non discriminazione. In tale ottica, � in quanto essa applica tale principio, 
nella sua dimensione che vieta le discriminazioni in ragione dell�et�, che la 
direttiva 2000/78 si vede attribuire una invocabilit� rafforzata nelle controversie 
tra singoli�. 
La Corte di giustizia non ha accolto l�invito dell�Avvocato generale. Tut- 
(5) Conclusioni, 19 luglio 2009, punto 70. 
(6) Conclusioni, 19 luglio 2009, punto 88: �infatti, la presente causa ha come oggetto solo l�esclusione 
di una disposizione nazionale incompatibile con la direttiva 2000/78, in questo caso l�art. 622, n. 
2, ultima frase, del BGB, per consentire al giudice nazionale di applicare le restanti disposizioni di tale 
articolo, nella fattispecie i termini di preavviso determinati sulla base della durata del rapporto di lavoro. 
Non si tratta quindi, in questo caso, di applicare direttamente la direttiva 2000/78 ad un comportamento 
privato autonomo che non segue alcuna particolare normativa statale come, ad esempio, la decisione 
che adotti un datore di lavoro di non assumere i lavoratori con pi� di 45 anni di et� o con meno di 35 
anni di et�. Solo tale situazione porterebbe ad interrogarsi sull�opportunit� di riconoscere a tale direttiva 
un vero effetto diretto orizzontale�.
30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
tavia, pur non soffermandosi sui profili problematici sollevati dal tema degli 
�effetti orizzontali�, � giunta alla medesima conclusione, valorizzando l�assunto 
che anche i principi generali del diritto comunitario, come il principio 
di non discriminazione, godono della primaut�. 
Merita, inoltre, qualche considerazione il richiamo operato nella sentenza 
alla Carta di Nizza (7). 
La Corte, nel ribadire l�appartenenza del principio di non discriminazione 
alla categoria dei principi generali del diritto comunitario, sottolinea che il divieto 
di discriminazione � enunciato anche nell�art. 21 della Carta dei diritti 
fondamentali dell�Unione europea, cui l�art. 6 TUE attribuisce lo stesso valore 
giuridico dei Trattati (8). 
La �comunitarizzazione� della Carta costituisce l�epilogo del dibattito, 
iniziato all�indomani della sua adozione, sulla natura giuridicamente vincolante 
delle disposizioni in essa contenute (9). 
Come � stato fatto notare (10), si � determinato un �mutamento di paradigma�: 
la Carta da documento esterno al diritto dell�Unione � divenuta parte 
di esso. 
Sebbene la Corte, nella decisione in esame, non vi faccia pi� accenno 
quando viene affermato il �primato� del diritto dell�Unione con riferimento 
al principio di non discriminazione, il parallelismo �principio fondamentale 
della Carta - principio generale� evocato dall�incorporazione della Carta nell�ordinamento 
dell�Unione sembra legittimare la conclusione della diretta applicabilit� 
della stessa al pari del diritto comunitario, con le relative 
conseguenze in termini di disapplicazione del diritto interno antinomico (11). 
(7) Punto 22 della decisione. Come � stato evidenziato in una nota a prima lettura alla sentenza 
(CONTI, La prima volta della Corte di Giustizia sulla Carta di Nizza �vincolante�, in www.ipsoa.it), si 
tratta della prima volta in cui la Corte di giustizia ha avuto modo di riferirsi alla Carta dei diritti fondamentali 
dell�Unione Europea dopo l�entrata in vigore del Trattato di Lisbona. 
(8) L�art. 6 del Trattato di Lisbona prevede che l��Unione riconosce i diritti, le libert� e i principi 
sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 
2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non 
estendono in alcun modo le competenze dell�Unione definite nei trattati. I diritti, le libert� e i principi 
della Carta sono interpretati in conformit� delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano 
la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento 
nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni�. 
(9) Su tale dibattito si vedano CELOTTO, PISTORIO, L�efficacia della Carta dei diritti fondamentali 
dell�Unione europea (rassegna giurisprudenziale 2001-2004), in Giur. It., 2005, 427 e segg. e CARTABIA, 
CELOTTO, La giustizia costituzionale dopo la Carta di Nizza, in Giur. Cost, 2002, 4477 e segg. 
(10) Cos�, SANDRO, Alcune aporie e un mutamento di paradigma nel nuovo articolo 6 del Trattato 
sull�Unione europea, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2009, 903 e segg., il quale prospetta un�inversione 
dei rapporti tra la Carta e la CEDU all�indomani dell�entrata in vigore del Trattato di Lisbona. 
(11) Sul punto, l�Avvocato generale Bot aveva evidenziato che �riguardo all�intromissione sempre 
maggiore del diritto comunitario nei rapporti tra privati, la Corte sar�, a mio parere, inevitabilmente 
confrontata ad altre ipotesi che sollevano il problema dell�invocabilit� di direttive che contribuiscono a 
garantire i diritti fondamentali nell�ambito di controversie tra singoli. Tali ipotesi aumenteranno vero-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 31 
In questa prospettiva, potrebbe consolidarsi, nel nostro ordinamento, l�interpretazione 
secondo cui il giudice deve sempre applicare le disposizioni della 
Carta, disapplicando all�occorrenza - senza necessit� di una previa sentenza 
della Corte costituzionale - le norme interne contrastanti (12). 
L�assimilazione della Carta di Nizza e della CEDU nell�ambito del diritto 
dell�Unione potrebbe inoltre comportare un mutamento nei rapporti tra le 
Corti, con prevalenza delle pronunce delle Corti sovranazionali (Corte di giustizia 
e Corte Europea dei Diritti dell�Uomo) su quelle delle Corti costituzionali 
nazionali. 
Il riconoscimento della primaut� dei principi generali, che trovano loro 
espressa enunciazione anche nella Carta di Nizza, assume infatti notevole rilevanza 
anche alla luce dell�affermazione, contenuta in un�altra recente sentenza 
della Corte di giustizia, secondo cui l�interpretazione di tali principi 
fornita in sede di rinvio pregiudiziale � in grado di prevalere su quella resa 
dalle Corti costituzionali nazionali, che siano state chiamate a pronunciarsi su 
analoghi principi generali (13). 
Un ulteriore profilo di interesse della decisione � rappresentato, come si 
� detto, dalla distinzione tra controllo accentrato di legittimit� costituzionale 
e sindacato diffuso di compatibilit� comunitaria. 
Al riguardo, la Corte, nel prendere atto della �coesistenza� dei due sistemi, 
ne sottolinea, ancora una volta, l��indipendenza�. 
Ad avviso del giudice comunitario, �il giudice nazionale, investito di una 
controversia tra privati, non � tenuto, ma ha la facolt� di sottoporre alla Corte 
similmente se la Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea acquisir� in futuro una forza giuridica 
vincolante, poich� tra i diritti fondamentali ripresi in tale Carta, un determinato numero compare nell�esperienza 
comunitaria sotto forma di direttive. In tale prospettiva, la Corte deve, a mio avviso, riflettere 
fin da oggi se l�identificazione di diritti garantiti da direttive come costituenti dei diritti fondamentali 
permetta o meno di rafforzare l�invocabilit� di questi nell�ambito di controversie tra singoli� (Conclusioni, 
punto 90). 
(12) Si tratta di un orientamento, gi� elaborato dalla giurisprudenza di merito con riferimento all�efficacia 
della CEDU, nonostante la diversa ricostruzione offerta sul punto dalla Corte costituzionale. 
Per dei riferimenti pi� puntuali si rinvia a MONTANARI, Giudici comuni e Corti sovranazionali: rapporti 
tra sistemi, Torino 2002, 130 e segg. e GUAZZAROTTI, I giudici comuni e la Convenzione alla luce del 
nuovo art. 117 della Costituzione, in Quad. cost., 2003, 25 e segg. 
(13) L�affermazione � contenuta nella sentenza della Corte di giustizia delle Comunit� Europee, 
7 settembre 2006, in causa C-81/05, Anacleto Cordero Alonso v. Fondo de Garanc�a Salarial, adottata 
nell�ambito di rinvio pregiudiziale relativo all�interpretazione della stessa direttiva oggetto della storica 
sentenza Francovich, ossia la direttiva 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni 
degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro. 
In tale occasione, il giudice comunitario � giunto alla conclusione che le istituzioni amministrative e 
giurisdizionali spagnole, nell�applicare la citata normativa comunitaria, sono vincolate al rispetto del 
principio dell�eguaglianza dinanzi alla legge e di non discriminazione �risultante dal diritto comunitario, 
nella portata dell�interpretazione fornitane dalla Corte�, precisando altres� che ci� vale anche �quando 
la normativa nazionale di cui trattasi, secondo la giurisprudenza costituzionale dello Stato membro interessato, 
� conforme a un diritto fondamentale analogo riconosciuto dall�ordinamento giuridico nazionale
�.
32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
una questione pregiudiziale sull�interpretazione del principio di non discriminazione 
in base all�et�, quale espresso concretamente dalla direttiva 2000/78, 
prima di disapplicare una disposizione nazionale che ritenga contraria a tale 
principio. Il carattere facoltativo di tale adizione � indipendente dalle modalit� 
che si impongono al giudice nazionale, nel diritto interno, per poter disapplicare 
una disposizione nazionale che ritenga contraria alla Costituzione�. 
Occorre tuttavia evidenziare che, nonostante l�enfasi da sempre posta 
sull�essenzialit� del ruolo dei giudici nazionali, la Corte non ha mancato in altre 
occasioni di valorizzare la propria �funzione nomofilattica�. 
Infatti, fin dagli albori del processo di integrazione europea, alla �funzione 
interpretativa� svolta dalla Corte di giustizia � stato attribuito un ruolo fondamentale 
nel raggiungimento dell�obiettivo di garantire l�uniforme ed effettiva 
applicazione del diritto europeo da parte degli Stati membri ed, in particolare, 
da parte dei loro organi giurisdizionali. 
Tale posizione di �privilegio ermeneutico� discende innanzitutto dal riconoscimento 
dell�esclusivit� delle competenze attribuite alla Corte dal Trattato. 
A norma dell�art. 19 TUE, la Corte di giustizia � l�istituzione che assicura 
�il rispetto del diritto comunitario nell�interpretazione e nell�applicazione dei 
trattati�. 
L�attivit� di interpretazione � dunque riservata al giudice comunitario in 
via esclusiva. 
Tale esclusivit� si proietta sia all�esterno dell�ordinamento comunitario 
che all�interno dello stesso. 
Quanto al primo profilo, infatti, l�art. 344 TFUE (ex art. 292 TCE) dispone 
che �gli Stati membri si impegnano a non sottoporre una controversia relativa 
all�interpretazione o all�applicazione dei trattati a un modo di composizione 
diverso da quelli previsti dal trattato stesso�. 
La risoluzione delle controversie tra gli Stati membri va quindi ricondotta 
nell�ambito del quadro istituzionale comunitario, mediante la rimessione delle 
questioni interpretative alla Corte di giustizia, che ha delineato l�ambito delle 
sue attribuzioni in termini limitativi per l�esercizio della giurisdizione da parte 
di altre Corti chiamate a giudicare controversie di �rilevanza comunitaria� (14). 
(14) Sul tema della possibile concorrenza della giurisdizione della Corte di Giustizia con quella 
degli altri giudici internazionali si veda la completa analisi di SHANY The Competing Jurisdictions of 
International Courts and Tribunals, Oxford, 2004 e ID., Regulating Jurisdictional Relations between 
National and International Courts, Oxford, 2007, il quale analizza rispettivamente i rapporti tra ordini 
giuridici globali e le relazioni tra ordinamenti statali e sovranazionali, considerando ambedue i tipi di 
�judicial interaction�, dal punto di vista della sovrapposizione e dei conflitti di giurisdizione. 
In giurisprudenza, si cfr. Corte di giustizia delle Comunit� Europee, 30 maggio 2006, in causa C-459/03, 
MOX Plant, ed i relativi commenti di CASOLARI, La sentenza Mox: la Corte di Giustizia delle Comunit� 
europee torna ad occuparsi dei rapporti tra ordinamento comunitario ed ordinamento internazionale, 
in Il diritto dell�Unione Europea, 2007, 355 e segg. e LAVRANOS, The scope of the exclusive jurisdiction 
of the Court of Justice, in European Law Review, 2007, 83 e segg..
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 33 
Quanto, invece, alla manifestazione dell�esclusivit� della potest� interpretativa 
all�interno dell�ordinamento comunitario, occorre riferirsi alla sussistenza 
dell�obbligo di rinvio pregiudiziale (15), gravante ai sensi dell�art. 267 TFUE 
(ex art. 234 TCE), 3� comma, sui giudici nazionali di ultima istanza. 
In proposito, la Corte di giustizia ha avuto modo di affermare, in molte 
sue decisioni, che l�obbligo di rinvio �rientra nell�ambito della cooperazione 
istituita al fine di garantire la corretta applicazione e l�interpretazione uniforme 
del diritto comunitario, nell�insieme degli Stati membri, fra i giudici nazionali, 
in quanto incaricati dell�applicazione delle norme comunitarie, e la Corte di 
giustizia. L�art. 177 (ora 234) mira, pi� in particolare ad evitare che si producano 
divergenze giurisprudenziali all�interno della Comunit� su questioni di 
diritto comunitario. La portata di tale obbligo va pertanto valutata tenendo conto 
di tali finalit� in funzione delle competenze rispettive dei giudici nazionali e 
della Corte di giustizia� (16). 
In quest�ottica, il sistema del rinvio pregiudiziale si configura come �dialogo 
tra giudici�, in cui risulta assegnato al giudice comunitario un ruolo di 
�interprete qualificato�, chiamato a statuire in termini generali, in virt� delle 
particolari conoscenze che il diritto comunitario richiede (17). 
La principale originalit� del meccanismo del rinvio pregiudiziale si so- 
Negli ultimi anni, inoltre, si sono moltiplicati gli scritti che hanno approfondito l�emersione del fenomeno 
di judicial globalization: si vedano, in particolare, CASSESE, La funzione costituzionale dei giudici non 
statali. Dallo spazio giuridico globale all�ordine giuridico globale, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2007, 609 
e segg. e ID., Quando gli ordinamenti giuridici si scontrano. Dal dialogo alla cooperazione tra le Corti, 
in www.irpa.eu, DE BURCA, GERSTENBERG, The Denationalization of Constitutional Law, in Harvard International 
Law Journal, 2006, 243 e segg., FONTANELLI, MARTINICO, Alla ricerca della coerenza: le 
tecniche del �dialogo nascosto� fra i giudici nell�ordinamento costituzionale multi-livello, in Riv. Trim. 
Dir. Pubbl., 2008, 351 e segg., TREVES, Fragmentation of International Law: the Judicial Perspective, 
in Comunicazioni e Studi, 2008, 42 e segg. 
(15) Sul meccanismo del rinvio pregiudiziale, si vedano, tra i contributi pi� autorevoli, FERRARIBRAVO, 
Commento sub art. 177, in Commentario Cee, a cura di Quadri, Monaco, Trabucchi, Milano, 
1965, 1310 e segg., SCHWARZE, Art. 234 EGV, in EU-Kommentar, Baden Baden, 2000, 2009 e segg., 
ID., The role of the European Court of Justice (ECJ) in the interpretation of uniform law among the 
member States of the European Communities, Baden-Baden, 1988 e WEILER, The European Court, National 
Courts and References for Preliminary Rulings � the Paradox of Success: A revisionist View of 
Article 177 EEC, in AA. VV., Article 177 EEC: Experiences and Problems, 1987, 366 e segg. 
(16) Corte di giustizia delle Comunit� Europee, 6 ottobre 1982, in causa C-283/81, Cilfit, nonch� 
in precedenza Id., 27 marzo 1980, in causa C-61/79, Denkavit Italiana e Id., 27 marzo 1980, in cause 
riunite C-66, 127 e 128/79, Salumi. 
(17) Si cfr.no al riguardo le Conclusioni dell�Avvocato generale Jacobs, 21 marzo 2002, in causa 
C-136/00, Danner, punto 38, secondo cui �il primo compito della Corte nelle pronunce pregiudiziali 
non � risolvere controversie specifiche sulla base di fatti scarsamente definiti, o risolvere un problema 
per il giudice nazionale in una particolare causa, ma stabilire chiaramente e con coerenza, a beneficio 
di tutti nella Comunit�, la corretta interpretazione del diritto, ed emanare pronunce di portata generale. 
Solo tale pi� ampia funzione giustifica il sistema delle domande di pronuncia pregiudiziale e spiega tale 
procedimento unico in cui gli Stati membri e la Commissione sono sistematicamente invitati a presentare 
osservazioni e appunto il perch� la sentenza della Corte e le conclusioni dell'avvocato generale in ogni 
causa vengano pubblicate in non meno di undici lingue�.
34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
stanzia quindi nella �cooperazione�, dando vita ad un sistema di controllo unitario 
dal punto di vista funzionale, senza creare alcun legame gerarchico tra le 
autorit� giudiziarie nazionali e la Corte di giustizia: �al contrario la posizione 
di quest�ultima nei suoi rapporti con i giudici degli Stati membri � quella di un 
primus inter pares� (18). 
Infatti, come � stato ulteriormente osservato, la disposizione sull�obbligo 
di rinvio non prevede uno strumento processuale per ovviare alle ipotesi in cui 
i giudici di ultima istanza si astengano dall�adempiere a tale obbligo (19), con 
la conseguenza che l�attuazione dei principi stabiliti nelle sentenze rese dai giudici 
del Lussemburgo viene rimessa alla libera scelta dei giudici nazionali (20). 
Si pu� cos� comprendere il motivo per il quale la Corte non abbia mai cessato 
- nel corso della sua attivit� e, da ultimo, nella sentenza in epigrafe - di 
sottolineare il ruolo decisivo dei giudici nazionali nell�attuazione del diritto comunitario, 
elaborando progressivamente una vera e propria �etica giurisdizionale 
comunitaria� (21). 
La �funzione nomofilattica� viene comunque garantita �indirettamente� 
attraverso altri istituti, alcuni dei quali frutto dell�elaborazione giurisprudenziale 
della Corte: il riconoscimento della responsabilit� degli Stati membri per violazione 
dell�obbligo di rinvio commessa dagli organi giurisdizionali di ultima 
istanza (22), la sospensione dell�efficacia degli atti legislativi nazionali di cui 
(18) La considerazione � di WEILER, Il contesto istituzionale dell�Unione Europea, in CARTABIA, 
WEILER, L�Italia in Europa. Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, 2000, 55 e segg. 
(19) In proposito si veda MANCINI, Le sfide costituzionali alla Corte di Giustizia europea, in Democrazia 
e costituzionalismo nell�Unione europea, Bologna, 2004, 63, il quale osserva come �la parte 
che intenda invocare il diritto comunitario, ma la cui richiesta di rinvio obbligatorio non venga accolta 
dalle Corti nazionali di ultima istanza, non ha accesso diretto alla Corte di giustizia di Lussemburgo e 
si trova nella disgraziata posizione di essere titolare di un diritto non giustiziabile�. 
(20) Sul punto, MANCINI, op. ult. cit., 63-64, il quale sottolinea che �la caratteristica pi� saliente 
della procedura disciplinata dall�art. 177 (ora 234, nds) del Trattato Ce consiste nel fatto che essa � interamente 
dipendente dalla buona volont� delle Corti nazionali�: �anche nel caso in cui la Corte nazionale 
recalcitrante venga persuasa ad effettuare un sia pur riluttante rinvio pregiudiziale e la Corte di 
giustizia si pronunci solennemente, riconoscendo i diritti attribuiti alle parti dall�ordinamento comunitario, 
non cՏ modo di assicurare che la sentenza sia poi applicata dai giudici nazionali. Questi ultimi, 
infatti, potrebbero non avere dimestichezza con l�ormai consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia 
sulla natura vincolante delle pronunce in via pregiudiziale, o rifiutare di applicarla, oppure semplicemente, 
potrebbero interpretare erroneamente la sentenza e applicarla in modo scorretto�. 
L�esigenza di una volont� di collaborazione dei giudici nazionali nell�applicare i principi enunciati dalla 
giurisprudenza comunitaria � sottolineata anche da BARAV, La pl�nitude de comp�tence du juge national 
en sa qualit� de juge communautaire, in AA.VV. L�Europe et le droit. M�langes en hommage � Jean 
Boulouis, Par�s, 1991, 1. 
(21) Per questa considerazione, GREVISSE, BONICHOT, Les incidences du droit communautaire sur 
l�organization et l�exercice de la function juridictionelle dans l��tats members, in AA. VV., L�Europe 
et le droit, cit., 297 e segg. 
(22) Corte di giustizia delle Comunit� Europee, 30 settembre 2003, in causa C-224/01, K�bler, 
in Foro It., 2004, IV, 4, con nota di SCODITTI �Francovich� presa sul serio: la responsabilit� dello Stato 
per violazione del diritto comunitario derivante da provvedimento giurisdizionale.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 35 
si contesti la legittimit� in sede comunitaria (23) ed, infine, l�affermazione 
dell�autorit� dell�interpretazione resa dal giudice comunitario, in grado di prevalere 
sul giudicato nazionale (24). 
Corte di giustizia (Grande Sezione) sentenza del 19 gennaio 2010 - Pres. V. Skouris, 
Rel. P. Lindh , Avv. gen. Y. Bot - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landesarbeitsgericht 
D�sseldorf (Germania) - Seda K�c�kdeveci/Swedex GmbH & Co. KG. 
�Principio di non discriminazione in base all�et� � Direttiva 2000/78/CE � Legislazione 
nazionale in materia di licenziamento che, ai fini del calcolo dei termini di preavviso, non 
tiene conto del periodo di lavoro svolto prima che il dipendente abbia raggiunto l�et� di 
25 anni � Giustificazione della norma � Normativa nazionale contraria alla direttiva � 
Ruolo del giudice nazionale� 
(Omissis) 
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione del principio di 
non discriminazione in base all�et� e della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 
2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parit� di trattamento in materia di 
occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16). 
2 Tale domanda � stata presentata nell�ambito di una controversia tra la sig.ra K�c�kdeveci 
e il suo ex datore di lavoro, la Swedex GmbH & Co. KG (in prosieguo: la �Swedex
�), in ordine al calcolo dei termini di preavviso applicabili al suo licenziamento. 
(23) Nell�ambito del controllo sulla validit� degli atti comunitari, l�art. 278 TFUE (ex art. 242 
TCE) stabilisce che �i ricorsi proposti alla Corte di giustizia non hanno effetto sospensivo. Tuttavia, la 
Corte pu�, quando reputi che le circostanze lo richiedano, ordinare la sospensione dell�esecuzione dell�atto 
impugnato�. Analogo potere di adottare provvedimenti sospensivi � stato riconosciuto anche in 
capo ai giudici nazionali con riferimento ai provvedimenti nazionali di esecuzione degli atti comunitari 
di cui risulta contestata la validit�. 
Oltre alla sospensione degli atti delle Istituzioni, la Corte pu� disporre provvedimenti provvisori atipici. 
Infatti, in virt� del successivo art. 279 TFUE (ex art. 243 TCE), la Corte di giustizia �negli affari che le 
sono proposti, pu� ordinare i provvedimenti provvisori necessari�. 
(24) Si veda sul punto Corte di giustizia delle Comunit� Europee, 18 luglio 2007, in causa C- 
119/05, Lucchini. Per un esame approfondito della decisione, si cfr.no, tra i tanti, CONSOLO, La sentenza 
Lucchini della Corte di Giustizia: quale possibile adattamento degli ordinamenti processuali interni e 
in specie del nostro?, in Riv. Dir. Proc., 2008, 225 e segg., FONTANA, Qualche osservazione in margine 
al caso Lucchini. Un tentativo di spiegazione, in Dir. Comm. Internaz., 2008, 193, NEGRELLI, I1 primato 
del diritto comunitario e il giudicato nazionale: un confronto che si poteva evitare o risolvere altrimenti. 
(Brevi riflessioni a margine alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunit� Europee, 18 luglio 
2007, in causa C-119/05), in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2008, 1217 e segg., PICARDI, Eventuali conflitti 
fra principio del giudicato e principio della superiorit� del diritto comunitario, in Giust. civ., 2008, 559 
e segg., SCODITTI, Giudicato nazionale e diritto comunitario, in Foro It., 2007, 533 e segg., STILE, La 
sentenza Lucchini sui limiti del giudicato: un traguardo inaspettato?, in Dir. Com. Scambi Internaz., 
2007, 733 e segg., ZUFFI, Il caso Lucchini infrange l�autorit� del giudicato nazionale nel campo degli 
aiuti statali, in Giur. It., 2008, 382.
36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Contesto normativo 
La normativa dell�Unione 
3 La direttiva 2000/78 � stata adottata sul fondamento dell�art. 13 CE. I �considerando� 
primo, quarto e venticinquesimo della direttiva sono del seguente tenore: 
� (1) Conformemente all�articolo 6 del trattato sull�Unione europea, l�Unione europea si 
fonda sui principi di libert�, democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libert� fondamentali 
e dello Stato di diritto, principi che sono comuni a tutti gli Stati membri e rispetta 
i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia 
dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali[, firmata a Roma il 4 novembre 1950,] e 
quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi 
generali del diritto comunitario. 
(...) 
(4) Il diritto di tutti all�uguaglianza dinanzi alla legge e alla protezione contro le discriminazioni 
costituisce un diritto universale riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei 
diritti dell�uomo, dalla convenzione delle Nazioni Unite sull�eliminazione di ogni forma 
di discriminazione nei confronti della donna, dai patti delle Nazioni Unite relativi rispettivamente 
ai diritti civili e politici e ai diritti economici, sociali e culturali e dalla Convenzione 
europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali di 
cui tutti gli Stati membri sono firmatari. La Convenzione n. 111 dell�Organizzazione internazionale 
del lavoro proibisce la discriminazione in materia di occupazione e condizioni 
di lavoro. 
(...) 
(25) Il divieto di discriminazione basata sull�et� costituisce un elemento essenziale per il 
perseguimento degli obiettivi definiti negli orientamenti in materia di occupazione e la 
promozione della diversit� nell�occupazione. Tuttavia in talune circostanze, delle disparit� 
di trattamento in funzione dell�et� possono essere giustificate e richiedono pertanto disposizioni 
specifiche che possono variare secondo la situazione degli Stati membri. � quindi 
essenziale distinguere tra le disparit� di trattamento che sono giustificate, in particolare, 
da obiettivi legittimi di politica dell�occupazione, mercato del lavoro e formazione professionale, 
e le discriminazioni che devono essere vietate�. 
4 Ai sensi del suo art. 1, la direttiva 2000/78 mira a stabilire un quadro generale per 
la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, 
l�et� o le tendenze sessuali, per quanto concerne l�occupazione e le condizioni di lavoro 
al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parit� di trattamento. 
5 L�art. 2 di tale direttiva � del seguente tenore: 
�1. Ai fini della presente direttiva, per �principio della parit� di trattamento� si intende 
l�assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all�articolo 
1. 
2. Ai fini del paragrafo 1: 
a) sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all�articolo 
1, una persona � trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe 
trattata un�altra in una situazione analoga; 
(...) �. 
6 L�art. 3, n. 1, di tale direttiva precisa che: 
�1. Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunit�, la presente direttiva si applica a tutte le 
persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 37 
pubblico, per quanto attiene: 
(...) 
c) all�occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e 
la retribuzione; 
(�) �. 
7 L�art. 6, n. 1, della stessa direttiva cos� dispone: 
�Fatto salvo l�articolo 2, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che le disparit� 
di trattamento in ragione dell�et� non costituiscano discriminazione laddove esse siano 
oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell�ambito del diritto nazionale, da una 
finalit� legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro 
e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalit� siano appropriati 
e necessari. 
Tali disparit� di trattamento possono comprendere in particolare: 
a) la definizione di condizioni speciali di accesso all�occupazione e alla formazione professionale, 
di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, 
per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, onde favorire 
l�inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi; 
b) la fissazione di condizioni minime di et�, di esperienza professionale o di anzianit� di 
lavoro per l�accesso all�occupazione o a taluni vantaggi connessi all�occupazione; 
c) la fissazione di un�et� massima per l�assunzione basata sulle condizioni di formazione 
richieste per il lavoro in questione o la necessit� di un ragionevole periodo di lavoro prima 
del pensionamento�. 
8 Ai sensi dell�art. 18, primo comma, della stessa direttiva, la sua trasposizione nell�ordinamento 
giuridico degli Stati membri doveva avvenire al pi� tardi entro il 2 dicembre 
2003. Tuttavia, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo: 
�Per tener conto di condizioni particolari gli Stati membri possono disporre se necessario 
di tre anni supplementari, a partire dal 2 dicembre 2003 ovvero complessivamente di sei 
anni al massimo, per attuare le disposizioni relative alle discriminazioni basate sull�et� o 
sull�handicap. In tal caso essi informano immediatamente la Commissione. (...)�. 
9 La Repubblica federale di Germania si � avvalsa di tale facolt�, di modo che il recepimento 
delle disposizioni della direttiva 2000/78, relative alla discriminazione in base 
all�et� e sull�handicap, doveva essere effettuato in tale Stato membro entro il 2 dicembre 
2006. 
La normativa nazionale 
La legge generale sulla parit� di trattamento 
10 Gli artt. 1, 2 e 10 della legge generale 14 agosto 2006, sulla parit� di trattamento 
(Allgemeines Gleichbehandlungsgesetz; BGBl. 2006 I, pag. 1897), che ha trasposto la direttiva 
2000/78, cos� recitano: 
�Art. 1 � Finalit� della legge 
La presente legge ha l�obiettivo di impedire o di eliminare qualsiasi trattamento sfavorevole 
basato sulla razza o sull�origine etnica, sul sesso, sulla religione o sulle convinzioni 
personali, sull�handicap, sull�et� o sull�identit� sessuale. 
Art. 2 � Ambito di applicazione 
(...) 
4) zAi licenziamenti si applicano esclusivamente le disposizioni relative alla tutela generale 
e particolare contro i licenziamenti.
38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
(...) 
Art. 10 � Ammissibilit� di talune disparit� di trattamento collegate all�et� 
Fatto salvo l�art. 8, � ammissibile una disparit� di trattamento collegata all�et� laddove 
essa sia oggettiva, ragionevole e giustificata da una finalit� legittima. I mezzi per il conseguimento 
di tale finalit� devono essere appropriati e necessari. Tali disparit� di trattamento 
possono comprendere in particolare: 
1. la definizione di condizioni speciali di accesso all�occupazione e alla formazione professionale, 
di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di retribuzione e di licenziamento, 
per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, onde 
favorire l�inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi; 
(�)�. 
La normativa relativa al termine di preavviso di licenziamento 
11 L�art. 622 del codice civile tedesco (B�rgerliches Gesetzbuch, in prosieguo: il 
�BGB�) cos� recita: 
�1) Il rapporto di lavoro di un operaio o di un impiegato (lavoratore) pu� essere risolto rispettando 
un preavviso di quattro settimane, con effetto al quindicesimo o all�ultimo giorno 
del mese. 
2) Per il licenziamento da parte del datore di lavoro, si applicano i seguenti termini di preavviso: 
� se il rapporto di lavoro nell�azienda o nell�impresa � durato 2 anni: 1 mese, con effetto 
alla fine di un mese di calendario; 
� se � durato 5 anni: 2 mesi, con effetto alla fine di un mese di calendario; 
� se � durato 8 anni: 3 mesi, con effetto alla fine di un mese di calendario; 
� se � durato 10 anni: 4 mesi, con effetto alla fine di un mese di calendario; 
� se � durato 12 anni: 5 mesi, con effetto alla fine di un mese di calendario; 
� se � durato 15 anni: 6 mesi, con effetto alla fine di un mese di calendario; 
� se � durato 20 anni: 7 mesi, con effetto alla fine di un mese di calendario. 
Nel calcolo della durata dell�impiego non vanno considerati i periodi di lavoro svolti prima 
del compimento del venticinquesimo anno di et� del lavoratore�. 
Causa principale e questioni pregiudiziali 
12 La sig.ra K�c�kdeveci � nata il 12 febbraio 1978. Essa lavorava dal 4 giugno 1996, 
ossia dall�et� di 18 anni, alle dipendenze della Swedex. 
13 Con lettera 19 dicembre 2006, la Swedex ha licenziato la dipendente, con effetto, 
considerato il termine di preavviso legale, al 31 gennaio 2007. Il datore di lavoro ha calcolato 
il termine di preavviso come se la dipendente avesse avuto un�anzianit� di 3 anni, 
bench� essa fosse alle sue dipendenze da 10 anni. 
14 La sig.ra K�c�kdeveci ha contestato il suo licenziamento dinanzi all�Arbeitsgericht 
M�nchengladbach. Dinanzi a tale organo giurisdizionale essa ha sostenuto che il termine 
di preavviso nei suoi confronti avrebbe dovuto essere di 4 mesi a decorrere dal 31 dicembre 
2006, vale a dire fino al 30 aprile 2007, e ci� in applicazione dell�art. 622, n. 2, primo 
comma, punto 4, del BGB. Tale termine corrisponderebbe ad un�anzianit� di dieci anni. 
La causa principale vede quindi opposti questi due privati, vale a dire, da un lato, la sig.ra 
K�c�kdeveci e, dall�altro, la Swedex. 
15 A parere della sig.ra K�c�kdeveci, l�art. 622, n. 2, secondo comma, del BGB, nella 
parte in cui prevede che per il calcolo della durata del termine di preavviso non sono presi 
in considerazione i periodi di lavoro svolti prima del compimento del venticinquesimo
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 39 
anno di et�, costituisce una misura di discriminazione in base all�et� contraria al diritto 
dell�Unione e va disapplicata. 
16 Il Landesarbeitsgericht D�sseldorf, pronunciandosi in appello, ha constatato che 
alla data in cui � avvenuto il licenziamento il termine per la trasposizione della direttiva 
2000/78 era scaduto. Tale giudice ha considerato del pari che l�art. 622 del BGB contiene 
una disparit� di trattamento direttamente collegata all�et�, della cui incostituzionalit� non 
� convinto, ma di cui sarebbe invece discutibile la conformit� al diritto dell�Unione. Tale 
giudice si chiede, in proposito, se l�eventuale esistenza di una discriminazione diretta connessa 
all�et� debba essere valutata sulla base del diritto primario dell�Unione, come sembra 
suggerire la sentenza 22 novembre 2005, causa C.144/04, Mangold (Racc. pag. I.9981), 
oppure alla luce della direttiva 2000/78. Sottolineando che la disposizione nazionale di 
cui trattasi � chiara e non potrebbe essere, eventualmente, interpretata in un senso conforme 
a detta direttiva, il giudice del rinvio si chiede del pari se, per poter disapplicare tale disposizione 
in una controversia tra privati, esso debba, al fine di garantire la tutela del legittimo 
affidamento dei destinatari delle norme, sottoporre una questione pregiudiziale 
alla Corte affinch� quest�ultima confermi l�incompatibilit� di tale disposizione con il diritto 
dell�Unione. 
17 � sulla scorta di tali premesse che il Landesarbeitsgericht D�sseldorf ha deciso di 
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
�1) a) Se una normativa nazionale, secondo la quale i termini di preavviso di licenziamento 
che il datore di lavoro deve rispettare si prolungano progressivamente con l�aumentare 
della durata dell�impiego, senza tuttavia che siano presi in considerazione i periodi di lavoro 
svolti dal lavoratore prima di aver raggiunto il venticinquesimo anno di et�, sia contraria 
al divieto di discriminazione in ragione dell�et� sancito dal diritto comunitario, e 
segnatamente dal diritto primario della CE o dalla direttiva (...) 2000/78 (...); 
b) se una ragione giustificativa del fatto che un datore di lavoro debba rispettare soltanto 
un termine di preavviso di base per il licenziamento dei lavoratori pi� giovani possa essere 
ravvisata nella circostanza che al datore di lavoro viene riconosciuto un interesse economico 
ad una gestione flessibile del personale � il quale verrebbe pregiudicato da termini 
di preavviso di licenziamento pi� lunghi � e che ai giovani lavoratori non viene accordata 
la tutela dei diritti quesiti e delle aspettative (garantita ai lavoratori pi� anziani attraverso 
termini di preavviso pi� estesi), ad esempio perch� si presume una loro maggiore mobilit� 
e flessibilit� professionale e personale in ragione dell�et� e/o dei minori obblighi sociali, 
familiari e privati su di essi incombenti. 
2) In caso di soluzione affermativa della questione sub 1 a) e negativa della questione sub 
1 b): 
Se il giudice di uno Stato membro investito di una causa tra privati debba disapplicare una 
normativa contraria al diritto comunitario ovvero se debba tenere conto della fiducia riposta 
dai destinatari delle norme nell�applicazione delle leggi nazionali vigenti, in modo tale 
per cui l�inapplicabilit� sopravvenga soltanto in seguito ad una decisione della Corte di 
giustizia delle Comunit� europee sulla normativa contestata o su una normativa sostanzialmente 
analoga�. 
Sulle questioni pregiudiziali 
Sulla prima questione 
18 Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una normativa 
nazionale come quella controversa nella causa principale � la quale prevede che i periodi
40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
di lavoro compiuti dal dipendente prima del raggiungimento del suo venticinquesimo anno 
di et� non sono presi in considerazione ai fini del calcolo del termine di preavviso di licenziamento 
� costituisca una disparit� di trattamento in base all�et� vietata dal diritto 
dell�Unione, in particolare dal diritto primario o dalla direttiva 2000/78. Tale giudice 
chiede, in particolare, se una normativa siffatta sia giustificata dalla circostanza che occorrerebbe 
rispettare unicamente un termine di preavviso di base nel caso di licenziamento 
di giovani lavoratori, da un lato, per consentire ai datori di lavoro una gestione flessibile 
del personale, ci� che non sarebbe possibile con termini di preavviso pi� lunghi, e, dall�altro, 
in quanto sarebbe ragionevole esigere dai giovani lavoratori una mobilit� personale 
e professionale maggiore di quella richiesta ai lavoratori pi� anziani. 
19 Per risolvere tale questione, occorre anzitutto precisare, come invita a fare il giudice 
del rinvio, se essa debba essere affrontata alla luce del diritto primario dell�Unione o della 
direttiva 2000/78. 
20 In proposito, va inizialmente ricordato che il Consiglio dell�Unione europea, fondandosi 
sull�art. 13 CE, ha adottato la direttiva 2000/78 in merito alla quale la Corte ha 
dichiarato che non sancisce essa stessa il principio della parit� di trattamento in materia 
di occupazione e di lavoro, principio che trova la sua fonte in vari strumenti internazionali 
e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, ma che essa ha il solo obiettivo 
di stabilire, in dette materie, un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate 
su diversi motivi, tra i quali rientra l�et� (v. sentenza Mangold, cit., punto 74). 
21 In tale contesto, la Corte ha riconosciuto l�esistenza di un principio di non discriminazione 
in base all�et� che deve essere considerato un principio generale del diritto dell�Unione 
(v., in questo senso, sentenza Mangold, cit., punto 75). La direttiva 2000/78 d� 
espressione concreta a tale principio (v., per analogia, sentenza 8 aprile 1976, causa 43/75, 
Defrenne, Racc. pag. 455, punto 54). 
22 Va del pari rilevato che l�art. 6, n. 1, TUE enuncia che la Carta dei diritti fondamentali 
dell�Unione europea ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Ai sensi dell�art. 21, n. 1, di 
tale Carta, �[�] vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, (...) 
[sul]l�et��. 
23 Affinch� il principio di non discriminazione in base all�et� possa applicarsi in una 
fattispecie come quella di cui alla causa principale, � anche necessario che tale fattispecie 
rientri nell�ambito di applicazione del diritto dell�Unione. 
24 A tal proposito, e a differenza della causa conclusasi con la sentenza 23 settembre 
2008, causa C.427/06, Bartsch (Racc. pag. I.7245), il presunto comportamento discriminatorio 
adottato nella presente fattispecie in base alla normativa nazionale controversa ha 
avuto luogo successivamente alla data limite del termine impartito allo Stato membro per 
trasporre la direttiva 2000/78, termine che, per quanto riguarda la Repubblica federale di 
Germania, � scaduto il 2 dicembre 2006. 
25 In tale data, la direttiva ha avuto l�effetto di far entrare nell�ambito di applicazione 
del diritto dell�Unione la normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale che affronta 
una materia disciplinata dalla stessa direttiva, vale a dire, nella fattispecie, le condizioni 
di licenziamento. 
26 In effetti, una disposizione nazionale quale l�art. 622, n. 2, secondo comma, del 
BGB, per il fatto di prevedere che, ai fini del calcolo del termine di preavviso di licenziamento, 
non siano presi in considerazione i periodi di lavoro compiuti dal dipendente prima 
di aver raggiunto il venticinquesimo anno d�et�, incide sulle condizioni di licenziamento
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 41 
dei dipendenti. Si deve pertanto considerare che una legislazione siffatta detti norme relative 
alle condizioni di licenziamento. 
27 Da tali considerazioni risulta che � in base al principio generale di diritto dell�Unione 
vietante qualsiasi discriminazione in base all�et�, come specificato dalla direttiva 2000/78, 
che va esaminato se il diritto dell�Unione osti ad una normativa nazionale come quella di 
cui trattasi nella causa principale. 
28 Relativamente, poi, alla questione se la normativa controversa nella causa principale 
contenga una disparit� di trattamento in base all�et�, va ricordato che, ai sensi dell�art. 2, 
n. 1, della direttiva 2000/78, ai fini di quest�ultima, per �principio della parit� di trattamento
� si intende l�assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno 
dei motivi di cui all�art. 1 della medesima direttiva. L�art. 2, n. 2, lett. a), della direttiva in 
questione precisa che, ai fini dell�applicazione del suo n. 1, sussiste discriminazione diretta 
quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all�art. 1 della direttiva in parola, una 
persona � trattata in modo meno favorevole di un�altra in una situazione analoga (v. sentenze 
16 ottobre 2007, causa C.411/05, Palacios de la Villa, Racc. pag. I.8531, punto 50, 
e 5 marzo 2009, causa C.388/07, Age Concern England, non ancora pubblicata nella Raccolta, 
punto 33). 
29 Nella fattispecie, l�art. 622, n. 2, secondo comma, del BGB riserva un trattamento 
meno favorevole ai dipendenti che sono entrati in servizio presso il datore di lavoro prima 
dei 25 anni di et�. Tale normativa nazionale crea quindi una disparit� di trattamento tra 
persone aventi la medesima anzianit� a seconda dell�et� in cui esse sono state assunte. 
30 Cos�, per due dipendenti aventi ciascuno 20 anni di anzianit�, quello assunto all�et� 
di 18 anni avr� diritto ad un termine di preavviso di licenziamento pari a cinque mesi, 
mentre tale termine sar� pari a sette mesi per colui che � stato assunto all�et� di 25 anni. 
Inoltre, come ha osservato l�avvocato generale al paragrafo 36 della sue conclusioni, la 
normativa nazionale considerata nella causa principale tratta, in generale, in modo pi� sfavorevole 
i giovani lavoratori rispetto ai lavoratori pi� anziani, in quanto i primi � come illustrato 
dalla situazione della ricorrente nella causa principale � possono essere esclusi, 
malgrado un�anzianit� di servizio nell�impresa di diversi anni, dal poter beneficiare di un 
aumento progressivo dei termini di preavviso di licenziamento in funzione della durata 
del rapporto di lavoro, di cui possono invece giovarsi i lavoratori pi� anziani aventi un�anzianit� 
equiparabile. 
31 Ne consegue che la normativa nazionale considerata contiene una disparit� di trattamento 
fondata sul criterio dell�et�. 
32 Occorre, in una terza fase, esaminare se tale disparit� di trattamento sia atta a costituire 
una discriminazione vietata dal principio di non discriminazione in base all�et� cui 
ha dato espressione concreta la direttiva 2000/78. 
33 Al riguardo, l�art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78 enuncia che una disparit� 
di trattamento in base all�et� non costituisce discriminazione laddove essa sia oggettivamente 
e ragionevolmente giustificata, nell�ambito del diritto nazionale, da una 
finalit� legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro 
e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalit� siano appropriati 
e necessari. 
34 Tanto dalle informazioni fornite dal giudice del rinvio, quanto dalle spiegazioni date 
in udienza dal governo tedesco risulta che l�art. 622 del BGB trae la sua origine in una 
legge del 1926. La fissazione della soglia di 25 anni ad opera di tale legge sarebbe il frutto
42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
di un compromesso tra, in primo luogo, il governo dell�epoca che auspicava una proroga 
uniforme di tre mesi del termine di preavviso di licenziamento per i lavoratori di et� superiore 
ai 40 anni, in secondo luogo, i fautori di una proroga graduale di tale termine per 
tutti i lavoratori e, infine, i sostenitori di una proroga graduale della durata del preavviso, 
che non tenesse per� conto del periodo lavorato, avendo tale regola lo scopo di sollevare 
parzialmente i datori di lavoro dall�onere dei termini di preavviso prolungati per i lavoratori 
di et� inferiore ai 25 anni, 
35 Secondo il giudice del rinvio, l�art. 622, n. 2, secondo comma, del BGB rispecchia 
la valutazione del legislatore secondo cui i giovani lavoratori, in genere, reagiscono pi� 
facilmente e pi� rapidamente alla perdita del loro impiego e ci si pu� attendere da loro 
una maggiore flessibilit�. Infine, un termine di preavviso pi� breve per i giovani lavoratori 
ne favorirebbe l�assunzione aumentando la flessibilit� della gestione del personale. 
36 Finalit� del tipo di quelle menzionate dal governo tedesco e dal giudice del rinvio 
appaiono rientrare in una politica in materia di occupazione e del mercato del lavoro, ai 
sensi dell�art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78. 
37 Va per� verificato, secondo il tenore stesso di tale disposizione, se i mezzi apprestati 
per conseguire siffatta finalit� legittima siano �appropriati e necessari�. 
38 Si deve, in proposito, ricordare che gli Stati membri dispongono di un ampio margine 
di valutazione discrezionale nella scelta delle misure atte a realizzare i loro obiettivi in 
materia di politica sociale e di occupazione (v. citate sentenze Mangold, punto 63, e Palacios 
de la Villa, punto 68). 
39 Il giudice del rinvio indica che l�obiettivo del provvedimento di cui trattasi � quello 
di offrire al datore di lavoro una maggiore flessibilit� nella gestione del personale, alleviando 
l�onere per tale datore di lavoro per quanto attiene al licenziamento dei giovani lavoratori, 
dai quali sarebbe ragionevole attendersi una pi� elevata mobilit� personale e 
professionale. 
40 Nondimeno, tale provvedimento non � appropriato per il conseguimento di detto 
obiettivo giacch� si applica a tutti i dipendenti assunti dall�impresa prima del venticinquesimo 
anno di et�, indipendentemente dalla loro et� al momento del licenziamento. 
41 Per quanto riguarda l�obiettivo, perseguito dal legislatore nell�adottare la normativa 
nazionale di cui trattasi nella causa principale e ricordato dal governo tedesco, di rafforzare 
la tutela dei lavoratori in funzione del tempo trascorso nell�impresa, risulta che, in forza 
di tale normativa, l�allungamento del termine di preavviso di licenziamento a seconda 
dell�anzianit� del dipendente � ritardato per qualsiasi lavoratore assunto dall�impresa prima 
dei 25 anni di et�, anche laddove l�interessato vanti, al momento del licenziamento, una 
lunga anzianit� di servizio in tale impresa. Tale normativa non pu� pertanto essere considerata 
idonea a realizzare la finalit� dichiarata. 
42 Va aggiunto che la normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale, come 
ricordato dal giudice del rinvio, incide sui giovani dipendenti in modo diseguale, in quanto 
colpisce i giovani che si impegnano presto nella vita attiva, senza formazione professionale, 
o dopo una breve formazione professionale, e non coloro che iniziano a lavorare pi� 
tardi, dopo una lunga formazione professionale. 
43 Risulta da tutte queste considerazioni che la prima questione va risolta dichiarando 
che il diritto dell�Unione, in particolare il principio di non discriminazione in base all�et�, 
quale espresso concretamente nella direttiva 2000/78, deve essere interpretato nel senso 
che osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nella causa principale, che
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 43 
prevede che, ai fini del calcolo del termine di preavviso di licenziamento, non vanno presi 
in considerazione i periodi di lavoro compiuti dal dipendente prima del raggiungimento 
dei 25 anni di et�. 
Sulla seconda questione 
44 Con la seconda questione il giudice del rinvio si chiede se, allorch� � investito di 
una controversia tra privati, per poter disapplicare una normativa nazionale che ritenga 
contraria al diritto dell�Unione, egli debba previamente, a fini di tutela del legittimo affidamento 
dei soggetti di diritto, adire la Corte di giustizia in forza dell�art. 267 TFUE, affinch� 
quest�ultima confermi l�incompatibilit� di tale normativa con il diritto dell�Unione 
45 Per quanto riguarda, in primo luogo, il ruolo del giudice nazionale chiamato a dirimere 
una controversia tra privati nella quale la normativa nazionale appaia contraria al diritto 
dell�Unione, la Corte ha statuito che spetta ai giudici nazionali assicurare ai singoli 
la tutela giurisdizionale derivante dalle norme del diritto dell�Unione e garantirne la piena 
efficacia (v., in questo senso, sentenze 5 ottobre 2004, cause riunite da C.397/01 a 
C.403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I.8835, punto 111, nonch� 15 aprile 2008, causa 
C.268/06, Impact, Racc. pag. I.2483, punto 42). 
46 A questo proposito, con riferimento a controversie tra privati, la Corte ha dichiarato 
in maniera costante che una direttiva non pu� di per s� creare obblighi a carico di un singolo 
e non pu� quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (v., in particolare, 
sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punto 48; 14 luglio 
1994, causa C.91/92, Faccini Dori, Racc. pag. I.3325, punto 20, nonch� Pfeiffer e a., cit., 
punto 108). 
47 Tuttavia, l�obbligo per gli Stati membri, derivante da una direttiva, di raggiungere 
il risultato previsto da quest�ultima, e il loro dovere di adottare tutti i provvedimenti generali 
o particolari atti a garantire l�adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi 
dei detti Stati, ivi compresi, nell�ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali 
(v., in particolare, in questo senso, sentenze 10 aprile 1984, causa 14/83, von Colson e Kamann, 
Racc. pag. 1891, punto 26; 13 novembre 1990, causa C.106/89, Marleasing, Racc. 
pag. I.4135, punto 8; Faccini Dori, cit., punto 26; 18 dicembre 1997, causa C.129/96, 
Inter-Environnement Wallonie, Racc. pag. I.7411, punto 40; Pfeiffer e a., cit., punto 110, 
nonch� 23 aprile 2009, cause riunite da C.378/07 a C.380/07, Angelidaki e a., non ancora 
pubblicata nella Raccolta, punto 106). 
48 Ne consegue che, nell�applicare il diritto interno, il giudice nazionale chiamato ad 
interpretare tale diritto deve procedere per quanto pi� possibile alla luce della lettera e 
dello scopo di tale direttiva, onde conseguire il risultato perseguito da quest�ultima e conformarsi 
pertanto all�art 288, terzo comma, TFUE (v., in tal senso, sentenze citate von Colson 
e Kamann, punto 26; Marleasing, punto 8; Faccini Dori, punto 26, nonch� Pfeiffer e 
a., punto 113). L�esigenza di un�interpretazione conforme del diritto nazionale � inerente 
al sistema del Trattato, in quanto permette al giudice nazionale di assicurare, nel contesto 
delle sue competenze, la piena efficacia del diritto dell�Unione quando risolve la controversia 
ad esso sottoposta (v., in questo senso, sentenza Pfeiffer e a., cit., punto 114). 
49 Secondo il giudice del rinvio, tuttavia, per la sua chiarezza e precisione, l�art. 622, 
n. 2, secondo comma, del BGB non si presta ad un�interpretazione conforme alla direttiva 
2000/78. 
50 A tal proposito, occorre ricordare, da un lato, che, come gi� si � detto al punto 20 
della presente sentenza, la direttiva 2000/78 si limita a dare espressione concreta � senza
44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
sancirlo � al principio di parit� di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di 
lavoro e, d�altro lato, che il principio di non discriminazione in base all�et� � un principio 
generale del diritto dell�Unione, in quanto rappresenta un�applicazione specifica del principio 
generale della parit� di trattamento (v., in questo senso, sentenza Mangold, cit., punti 
74.76). 
51 Ci� considerato, � compito del giudice nazionale, investito di una controversia in 
cui � messo in discussione il principio di non discriminazione in ragione dell�et�, quale 
espresso concretamente nella direttiva 2000/78, assicurare, nell�ambito delle sue competenze, 
la tutela giuridica che il diritto dell�Unione attribuisce ai soggetti dell�ordinamento, 
garantendone la piena efficacia e disapplicando, ove necessario, ogni contraria disposizione 
di legge nazionale (v., in questo senso, sentenza Mangold, cit., punto 77). 
52 Per quel che riguarda, in secondo luogo, l�obbligo che graverebbe sul giudice nazionale, 
investito di una controversia tra privati, di chiedere alla Corte di pronunciarsi in 
via pregiudiziale sull�interpretazione del diritto dell�Unione prima di poter disapplicare 
una norma nazionale che ritenga contraria a tale diritto, si deve rilevare che dalla decisione 
di rinvio risulta che tale aspetto della questione � motivato dal fatto che, in forza del diritto 
nazionale, il giudice del rinvio non pu� disapplicare una disposizione vigente della legislazione 
nazionale se essa non sia stata previamente dichiarata incostituzionale dal Bundesverfassungsgericht 
(Corte costituzionale federale). 
53 In proposito, occorre sottolineare che la necessit� di garantire piena efficacia al principio 
di non discriminazione in base all�et�, quale espresso concretamente nella direttiva 
2000/78, comporta che il giudice nazionale, in presenza di una norma nazionale, rientrante 
nell�ambito di applicazione del diritto dell�Unione, che ritenga incompatibile con tale principio 
e per la quale risulti impossibile un�interpretazione conforme a quest�ultimo, deve 
disapplicare detta disposizione, senza che gli sia imposto n� gli sia vietato di sottoporre 
alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale. 
54 La facolt� cos� riconosciuta dall�art. 267, secondo comma, TFUE di chiedere alla 
Corte un�interpretazione pregiudiziale prima di disapplicare la norma nazionale contraria 
al diritto dell�Unione non pu� tuttavia trasformarsi in obbligo per il fatto che il diritto nazionale 
non consente a tale giudice di disapplicare una norma interna che egli ritenga contraria 
alla Costituzione, se tale disposizione non sia stata previamente dichiarata 
incostituzionale dalla Corte costituzionale. Infatti, in virt� del principio del primato del 
diritto dell�Unione, di cui gode anche il principio di non discriminazione in ragione dell�et�, 
una normativa nazionale contraria, rientrante nell�ambito di applicazione del diritto 
dell�Unione, deve essere disapplicata (v., in questo senso, sentenza Mangold, cit., punto 
77). 
55 Risulta da queste considerazioni che il giudice nazionale, investito di una controversia 
tra privati, non � tenuto, ma ha la facolt� di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale 
sull�interpretazione del principio di non discriminazione in base all�et�, quale 
espresso concretamente dalla direttiva 2000/78, prima di disapplicare una disposizione nazionale 
che ritenga contraria a tale principio. Il carattere facoltativo di tale adizione � indipendente 
dalle modalit� che si impongono al giudice nazionale, nel diritto interno, per 
poter disapplicare una disposizione nazionale che ritenga contraria alla Costituzione. 
56 In considerazione di tutto quel che precede, la seconda questione va risolta dichiarando 
che � compito del giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, garantire 
il rispetto del principio di non discriminazione in base all�et�, quale espresso
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 45 
concretamente dalla direttiva 2000/78, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione 
contraria della normativa nazionale, indipendentemente dall�esercizio della facolt� di cui 
dispone, nei casi previsti dall�art 267, secondo comma, TFUE, di sottoporre alla Corte una 
questione pregiudiziale sull�interpretazione di tale principio. 
Sulle spese 
57 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce 
un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. 
Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar 
luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 
1) Il diritto dell�Unione, in particolare il principio di non discriminazione in base 
all�et�, quale espresso concretamente nella direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 
2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parit� di trattamento in materia 
di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che osta 
ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nella causa principale, che 
prevede che, ai fini del calcolo del termine di preavviso di licenziamento, non sono 
presi in considerazione i periodi di lavoro compiuti dal dipendente prima del raggiungimento 
dei 25 anni di et�. 
2) � compito del giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, garantire 
il rispetto del principio di non discriminazione in base all�et�, quale espresso 
concretamente dalla direttiva 2000/78, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione 
contraria della normativa nazionale, indipendentemente dall�esercizio della 
facolt� di cui dispone, nei casi previsti dall�art. 267, secondo comma, TFUE, di sottoporre 
alla Corte una questione pregiudiziale sull�interpretazione di tale principio.
46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Le recenti pronunce della Corte in tema di farmacie 
(Corte di giustizia dell�Unione europea, Grande Sezione, sentenza del 1� giugno 2010 
nelle cause riunite C-570/07 e C-571/07; Corte di giustizia dell�Unione europea, 
Prima Sezione, sentenza del 1� luglio 2010 nella causa C-393/08) 
Ad un anno dal rigetto del ricorso proposto dalla Commissione delle Comunit� 
Europee contro la Repubblica italiana, con l�intento di fare affermare 
che quest�ultima avesse violato gli obblighi di cui agli artt. 43 e 56 del Trattato, 
mantenendo in vigore una normativa che riserva il diritto di gestire una farmacia 
al dettaglio privata alle sole persone fisiche laureate in farmacia ed alle 
societ� di gestione composte di soli farmacisti, nonch� disposizioni legislative 
che sanciscono l�impossibilit� per le imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici 
di acquisire partecipazione nelle societ� di gestione di farmacie comunali 
(causa C-531/06 Commissione delle Comunit� europee/Repubblica 
italiana*), la Corte torna ancora una volta ad occuparsi delle farmacie. 
I principi elaborati nella causa C-531/06 tornano - quindi - di attualit�, 
innanzi tutto nella sentenza che definisce le cause riunite C-570/07 e C-571/07 
(Blanco P�rez e Chao G�mez), aventi ad oggetto una questione pregiudiziale 
relativa all�interpretazione dell�art. 49 TFUE. 
La Corte viene chiamata, in particolare, a valutare se la libert� di stabilimento 
codificata in detto articolo osti ad una disciplina nazionale che condiziona 
l�apertura di nuove farmacie al rilascio di una licenza concessa in 
relazione ad una pianificazione su base territoriale. 
Il punto di partenza del ragionamento seguito dalla Corte viene tratto proprio 
dalla sentenza C-531/06, che aveva a suo tempo ricondotto le farmacie 
nell�ambito dei servizi sanitari, il cui livello e la cui organizzazione sono riservati 
alla competenza degli Stati membri, con salvezza dei soli limiti imposti 
dal diritto comunitario. 
Anche in questo caso, dunque, si tratta di valutare se una limitazione alla 
libert� di stabilimento, qual � indubbiamente la subordinazione delle licenze 
ad un sistema di pianificazione territoriale, costituisca misura giustificata da 
un�apprezzabile finalit� di interesse pubblico, idonea allo scopo e ad essa proporzionata. 
La conclusione cui giunge la Corte � positiva, sia pure con qualche pre- 
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 
(*) V. Rass., 2009, III, 74-124. 
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 47 
cisazione. 
In effetti, lo scopo della misura � il medesimo che � nella causa C-531/06 
� era stato individuato come ratio della normativa italiana in quella sede censurata 
dalla Commissione: assicurare � cio� � un elevato standard qualitativo 
del servizio, che ciascuno Stato membro � libero di stabilire al livello che reputa 
corretto. 
La Corte, poi, non dubita dell�idoneit� e proporzionalit� a detto scopo di 
un sistema fondato sulla pianificazione territoriale e, nello specifico, di una 
pianificazione che tenga conto non solo delle aree geografiche, ma anche di 
altri parametri, calibrandoli fra loro: la pianificazione territoriale �, infatti, nel 
caso in esame correlata a distanze minime e �moduli di popolazione�, cos� da 
garantire la diffusione adeguata del servizio di distribuzione dei farmaci, anche 
in zone economicamente poco attraenti che rischierebbero � in difetto di regolamentazione 
� di restare sguarnite. Non mancano, inoltre, sistemi di �aggiustamento� 
tali da garantire al meccanismo una ragionevole flessibilit� 
rispetto a situazioni particolari. 
Il giudizio finale viene reso, quindi, nel senso che l�art. 49 TFUE non 
osta ad un sistema come quello descritto, purch� esso non si risolva - paradossalmente, 
per zone con caratteristiche demografiche particolari - in un impedimento 
all�apertura di un numero di farmacie sufficiente ad assicurare un 
servizio adeguato, ci� che spetta peraltro al giudice nazionale valutare. 
Al tempo stesso, la Corte puntualizza che l�art. 49 TFUE osta - invece - 
ad una disciplina in cui i criteri di selezione per l�accesso alle licenze siano 
(comՏ nel caso di specie) discriminatori, in quanto privilegiano gli aspiranti, 
direttamente o meno, sulla base della cittadinanza. 
Nella causa 393/08 (Sbarigia), si � posta la questione della compatibilit� 
dei principi comunitari di tutela della libera concorrenza e della libera prestazione 
dei servizi con l�assoggettamento delle farmacie al divieto di rinuncia 
alle ferie annuali, di apertura oltre i limiti di massimi di orario attualmente 
consentiti, e con il necessario assoggettamento - per poter ottenere nel Comune 
di Roma la deroga ai divieti suddetti - alla previa discrezionale valutazione 
dell�Amministrazione della specificit� dell�ambito comunale di ubicazione 
delle Farmacie richiedenti; si � sollevata, inoltre, la questione della compatibilit� 
con gli artt 152 e 153 del Trattato dell�Unione Europea dell�assoggettamento 
del servizio pubblico farmaceutico, a condizioni di limitazione o divieto 
della possibilit� di incremento orario. 
La difesa del Governo italiano nel suddetto giudizio � stata incentrata 
sull�argomento della strumentalit� di tali divieti alla realizzazione dell�interesse 
pubblico ad una capillare diffusione del servizio farmaceutico sul territorio, 
anche nelle zone economicamente non appetibili, finalizzato ad 
assicurare un elevato standard qualitativo, secondo l�apprezzamento del singolo 
Stato membro. 
48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Ci si attendeva pertanto - dopo che la sentenza Blanco P�rez ha valorizzato 
un interesse sostanzialmente analogo, quale giustificazione per la restrizione 
alla libert� di stabilimento realizzata da un sistema di licenze correlato 
alla pianificazione territoriale - che la Corte si orientasse in analoga direzione 
anche per il caso Sbarigia, il cui esito pareva - alla luce della sentenza del 1 
giugno 2010 - ragionevolmente prevedibile. 
In questo caso, tuttavia, la Corte manca l�occasione, arrestandosi ad una 
pronuncia di irricevibilit� del ricorso. 
Nel caso in esame, in effetti, la questione � limitata ad un solo Stato membro 
e non coinvolge cittadini di altri Stati. 
Nel corso del giudizio, si � fatto pertanto riferimento a quella giurisprudenza 
(richiamata anche nella causa Blanco P�rez, in quel caso per pervenire 
ad un giudizio positivo sulla ricevibilit� ) che riconosce l�utilit� di una pronuncia 
della Corte nei casi in cui il diritto nazionale imponga di riconoscere 
ad un cittadino gli stessi diritti di cui, in base al diritto dell�Unione, godrebbe 
un cittadino di altro Stato membro, nella medesima situazione. 
Tuttavia, nella causa Sbarigia il diritto azionato ha ad oggetto un�istanza 
che - senza mettere in discussione il sistema generale di regolamentazione 
degli orari e delle chiusure feriali delle farmacie - mira solo a conseguirne una 
deroga. 
Alla Corte � apparsa pertanto evidente l�impossibilit� di ricondurre la fattispecie 
all�ambito applicativo degli artt. 49 e 43 CE (quest�ultimo, a dire il 
vero, nemmeno indicato dal giudice a quo), come pure in quello delle altre, 
numerose disposizioni richiamate (peraltro in maniera quanto mai generica) 
nell�ordinanza di rimessione, risultate del tutto estranee alla fattispecie. 
Avv. Marina Russo* 
Corte di Giustizia (Grande Sezione) sentenza de1 1� giugno 2010 nelle cause riunite C- 
570/07 e C-571/07 - Pres. V. Skouris, Rel. J. Malenovsk., Avv. gen. M. Poiares Maduro - Domande 
di pronuncia pregiudiziale proposte dal Tribunal Superior de Justicia de Asturias - - 
Spagna - Jos� Manuel Blanco P�rez, Mar�a del Pilar Chao G�mez/Consejer�a de Salud y Servicios 
Sanitarios (C-570/07), Principado de Asturias (C-571/07) - Intervento Governo italiano 
(avv. Stato G. Fiengo). 
�Art. 49 TFUE � Direttiva 2005/36/CE � Libert� di stabilimento � Sanit� pubblica � Farmacie 
� Vicinanza � Approvvigionamento della popolazione in medicinali � Licenze � Ripartizione 
territoriale delle farmacie � Introduzione di limiti fondati sul criterio della densit� demografica 
� Distanza minima tra le farmacie � Candidati che hanno svolto attivit� professionale su 
una parte del territorio nazionale � Priorit� � Discriminazione� 
(*) Avvocato dello Stato.
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 49 
(Omissis) 
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull�interpretazione dell�art. 49 TFUE. 
2 Tali domande sono state presentate nell�ambito di due distinti procedimenti tra il sig. 
Blanco P�rez e la sig.ra Chao G�mez, da un lato, e � rispettivamente � la Consejer�a de Salud 
y Servicios Sanitarios (Ministero della Salute e dei Servizi sanitari) (causa C.570/07) e il Principado 
de Asturias (causa C.571/07), dall�altro, in merito ad un bando di concorso per l�assegnazione 
di licenze per l�apertura di nuove farmacie nella Comunit� autonoma delle Asturie. 
Contesto normativo 
La normativa dell�Unione 
3 A termini del �considerando� 26 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 
7 settembre 2005, 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (GU 
L 255, pag. 22), che sostanzialmente riprende il secondo �considerando� della direttiva del 
Consiglio 16 settembre 1985, 85/432/CEE, concernente il coordinamento delle disposizioni 
legislative, regolamentari e amministrative riguardanti talune attivit� nel settore farmaceutico 
(GU L 253, pag. 34): 
�La presente direttiva non coordina tutte le condizioni per accedere alle attivit� nel campo 
della farmacia e all�esercizio di tale attivit�. In particolare, la ripartizione geografica delle farmacie 
e il monopolio della dispensa dei medicinali dovrebbero continuare ad essere di competenza 
degli Stati membri. La presente direttiva non modifica le norme legislative, 
regolamentari e amministrative degli Stati membri che vietano alle societ� l�esercizio di talune 
attivit� di farmacista o sottopongono tale esercizio a talune condizioni�. 
4 L�art. 1 di detta direttiva enuncia quanto segue: 
�La presente direttiva fissa le regole con cui uno Stato membro (�), che sul proprio territorio 
subordina l�accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio al possesso di determinate 
qualifiche professionali, riconosce, per l�accesso alla professione e il suo esercizio, le 
qualifiche professionali acquisite in uno o pi� Stati membri (�) e che permettono al titolare 
di tali qualifiche di esercitarvi la stessa professione�. 
5 L�art. 45 della medesima direttiva, rubricato �Esercizio delle attivit� professionali di 
farmacista�, dispone che: 
�1. Ai fini della presente direttiva le attivit� di farmacista sono quelle il cui accesso ed esercizio 
� subordinato, in uno o pi� Stati membri, a condizioni di qualificazione professionale e 
che sono aperte ai titolari di uno dei titoli di formazione di cui all�allegato V, punto 5.6.2. 
2. Gli Stati membri fanno s� che i possessori di un titolo di formazione in farmacia, a livello 
universitario o a livello considerato equivalente, che soddisfi le condizioni dell�articolo 44, 
siano autorizzati ad accedere e a esercitare almeno le seguenti attivit�, con l�eventuale riserva 
di un�esperienza professionale complementare: 
a) preparazione della forma farmaceutica dei medicinali; 
b) fabbricazione e controllo dei medicinali; 
c) controllo dei medicinali in un laboratorio di controllo dei medicinali; 
d) immagazzinamento, conservazione e distribuzione dei medicinali nella fase di commercio 
all�ingrosso; 
e) preparazione, controllo, immagazzinamento e distribuzione dei medicinali nelle farmacie 
aperte al pubblico; 
f) preparazione, controllo, immagazzinamento e distribuzione dei medicinali negli ospedali; 
g) diffusione di informazioni e consigli nel settore dei medicinali.
50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
(�) 
5. Se, alla data del 16 settembre 1985, in uno Stato membro esisteva un concorso per esami 
per scegliere, fra i titolari di cui al paragrafo 2, coloro che diverranno i titolari delle nuove 
farmacie di cui � stata decisa l�apertura nel quadro di un regime nazionale di ripartizione geografica, 
tale Stato membro pu�, in deroga al paragrafo 1, mantenere il concorso e sottoporre 
ad esso i cittadini degli Stati membri in possesso di uno dei titoli di formazione di farmacista 
di cui all�allegato V, punto 5.6.2 o che beneficiano del disposto dell�articolo 23 [relativo ai 
diritti acquisiti]�. 
6 I nn. 2 e 5 dell�art. 45 della direttiva 2005/36 riprendono, in sostanza, i nn. 1-3 dell�art. 
1 della direttiva 85/432. 
La normativa nazionale 
7 Dall�art. 103, n. 3, del testo unico delle leggi sanitarie 14/1986 (Ley General de Sanidad 
del 25 aprile 1986, n. 14; BOE n. 102 del 29 aprile 1986, pag. 15207) risulta che le farmacie 
sono soggette alla pianificazione sanitaria alle condizioni stabilite dalla normativa speciale 
sui medicinali e sulle farmacie. 
8 L�art. 2 della legge del 25 aprile 1997, n. 16, sul riordino dei servizi farmaceutici (Ley 
de Regulaci�n de los Servicios de las Oficinas de Farmacia; BOE n. 100 del 26 aprile 1997, 
pag. 13450), prevede quanto segue: 
�1. (�) [A]l fine di organizzare i servizi farmaceutici per la popolazione, le comunit� autonome, 
cui compete assicurare tali servizi, pianificano l�autorizzazione all�apertura di farmacie 
secondo criteri specifici. 
(�) 
2. La pianificazione delle farmacie tiene conto della densit� demografica, delle caratteristiche 
geografiche e della dispersione della popolazione in modo da assicurare l�accessibilit� e la 
qualit� del servizio, nonch� una fornitura sufficiente di medicinali, secondo le necessit� sanitarie 
di ciascun territorio. 
La ripartizione territoriale degli stabilimenti tiene conto del numero di abitanti per farmacia 
e della distanza tra le farmacie, che le comunit� autonome avranno stabilito conformemente 
ai criteri generali di cui sopra. Le regole di ripartizione territoriale devono garantire, in ogni 
caso, un servizio farmaceutico adeguato a tutta la popolazione. 
3. La popolazione minima ai fini dell�apertura di una farmacia �, di regola, di 2 800 abitanti 
per stabilimento. In funzione della concentrazione della popolazione le comunit� autonome 
possono fissare moduli di popolazione superiori, con il limite di 4 000 abitanti per farmacia. 
Solo quando tale soglia � superata, pu� essere aperta una nuova farmacia e comunque per 
moduli superiori a 2 000 abitanti. 
Fatte salve le disposizioni del paragrafo precedente, le comunit� autonome possono fissare 
moduli di popolazione inferiori per le zone rurali, turistiche, di montagna o per le zone dove, 
a causa delle loro caratteristiche geografiche, demografiche o sanitarie, non � possibile assicurare 
il servizio farmaceutico applicando i criteri generali. 
4. La distanza minima tra le farmacie, tenuto conto dei criteri geografici e di dispersione della 
popolazione, �, di regola, di 250 metri. In funzione della concentrazione della popolazione le 
comunit� autonome possono autorizzare distanze inferiori; allo stesso modo, le comunit� autonome 
possono limitare l�apertura di farmacie in prossimit� di un presidio sanitario�. 
9 In applicazione delle suddette norme, la Comunit� autonoma delle Asturie ha adottato, 
il 19 luglio 2001, il decreto 72/2001, sull�apertura e sull�esercizio di farmacie e dispensari 
nel Principato delle Asturie (Decreto 72/2001 regulador de las oficinas de farmacia y boti-
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 51 
quines en el Principado de Asturias; BOPA n. 175 del 28 luglio 2001, pag. 10135). 
10 A termini dell�art. 1, n. 1, primo comma, di tale decreto: 
�Il territorio della Comunit� autonoma � suddiviso in zone farmaceutiche che coincidono, di 
massima, con le zone sanitarie di base quali stabilite nell�ambito della pianificazione sanitaria 
del Principato delle Asturie�. 
11 Secondo le indicazioni fornite dalla Consejer�a de Salud y Servicios Sanitarios e dal 
Principado de Asturias, la Comunit� autonoma delle Asturie � suddivisa in 68 zone sanitarie 
di base che coincidono, di massima, con le zone farmaceutiche. 
12 L�art. 2 di questo stesso decreto dispone quanto segue: 
�1. Per ogni zona farmaceutica il numero delle farmacie � stabilito in modo che vi sia una 
farmacia ogni 2 800 abitanti. Quando tale rapporto � superato, una nuova farmacia pu� essere 
aperta in ragione di moduli superiori a 2000 abitanti. 
2. In tutte le zone base del sistema sanitario e in tutti i distretti pu� essere istituita almeno una 
farmacia�. 
13 L�art. 3 del decreto 72/2001 cos� recita: 
�Ai fini del presente decreto la popolazione � computata sulla base dei dati risultanti dall�ultimo 
censimento comunale�. 
14 L�art. 4 di detto decreto dispone: 
�1. La distanza tra le farmacie non pu�, di norma, essere inferiore a 250 metri, in qualunque 
zona farmaceutica esse siano ubicate. 
2. La distanza di 250 metri andr� osservata anche rispetto ai presidi sanitari delle zone farmaceutiche, 
sia pubblici sia privati convenzionati per l�assistenza extraospedaliera o ospedaliera, 
dotati di ambulatori o di Pronto soccorso, gi� in funzione o in costruzione. 
Non valgono distanze minime tra i presidi sanitari nelle zone farmaceutiche con un�unica farmacia 
n� nelle localit� dove esiste attualmente un�unica farmacia e nelle quali, considerate le 
caratteristiche del luogo, non � da prevedere l�apertura di nuovi stabilimenti. 
(�)�. 
15 La procedura per il rilascio delle licenze di apertura � disciplinata dagli artt. 6-17 del 
decreto 72/2001. 
16 Ai sensi di tali disposizioni, la Comunit� autonoma delle Asturie � tenuta ad avviare 
d�ufficio, almeno una volta all�anno, una procedura di assegnazione di licenze per l�apertura 
di nuove farmacie, per tener conto dell�evoluzione della densit� demografica. 
17 Il bando di concorso indica la zona farmaceutica ed eventualmente il comune e la localit� 
di stabilimento. Una volta pubblicato il bando, i farmacisti interessati presentano le loro domande 
e i documenti comprovanti i rispettivi titoli. Successivamente, una commissione composta 
da personale amministrativo, professionisti e associazioni di categoria si riunisce per 
valutare i candidati. 
18 Ottenuta la licenza, il farmacista aggiudicatario � tenuto ad indicare i locali in cui eserciter� 
la propria attivit�. Le autorit� competenti verificano se i criteri di pianificazione territoriale 
imposti dalla normativa siano rispettati. 
19 Il decreto 72/2001 reca, poi, in allegato, una tabella dei criteri di selezione, nella procedura 
summenzionata, di quanti si candidano alla titolarit� di una nuova farmacia. 
20 Detta tabella tiene conto, in particolare, della formazione dei candidati nonch� della 
loro esperienza professionale e didattica. 
21 Il decreto 72/2001 enuncia, inoltre, ai punti 4-7 dell�allegato, quanto segue: 
�4. Non vengono presi in considerazione l�esperienza di farmacista titolare o contitolare di
52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
farmacia n� altri titoli di merito allorch� sono gi� valsi ad ottenere un�autorizzazione all�installazione. 
(�) 
6. Il punteggio per meriti professionali attribuito per l�attivit� svolta nel territorio del Principato 
delle Asturie � maggiorato del 20%. 
7. Nel caso in cui, in applicazione della presente tabella, si ottenga parit� di punteggio, le autorizzazioni 
sono rilasciate secondo il seguente ordine di priorit�: 
a) i farmacisti che non sono mai stati titolari di farmacia; 
b) i farmacisti che sono stati titolari di farmacie in zone farmaceutiche o in distretti con meno 
di 2 800 abitanti; 
c) i farmacisti che abbiano svolto attivit� professionale nel Principato delle Asturie; 
(�)�. 
Procedimenti principali e questioni pregiudiziali 
22 Nel 2002 la Comunit� autonoma delle Asturie decideva di avviare, conformemente agli 
artt. 6-17 del decreto 72/2001, una procedura di assegnazione di licenze per l�apertura di 
nuove farmacie. 
23 Con decisione 14 giugno 2002 la Consejer�a de Salud y Servicios Sanitarios bandiva 
una gara per il rilascio di licenze per l�apertura di farmacie nella Comunit� autonoma delle 
Asturie (BOPA n. 145 del 24 giugno 2002, pag. 8145; in prosieguo: la �decisione del 14 giugno 
2002�). 
24 Il bando di gara prevedeva l�apertura di 24 nuove farmacie in funzione, segnatamente, 
della densit� demografica, della dispersione della popolazione, della distanza tra le farmacie 
e dei moduli minimi di popolazione. 
25 I ricorrenti nei procedimenti principali, farmacisti laureati, intendevano aprire una nuova 
farmacia nella Comunit� autonoma delle Asturie senza, tuttavia, vedersi applicare il sistema 
di pianificazione territoriale istituito dal decreto 72/2001. 
26 Per questo motivo, nell�ambito del primo procedimento principale, essi hanno impugnato 
la decisione del 14 giugno 2002 e quella del Consejo de Gobierno del Principado de Asturias, 
datata 10 ottobre 2002, che la confermava. 
27 Nel secondo procedimento principale i medesimi ricorrenti hanno adito il Tribunal Superior 
de Justicia de Asturias impugnando la decisione implicita di rigetto del reclamo proposto 
contro il decreto 72/2001, segnatamente contro i suoi artt. 2, 4, 6 e 10 e contro la tabella 
dei criteri di selezione ad esso acclusa. 
28 In queste due controversie i ricorrenti hanno contestato la legittimit� delle decisioni 
summenzionate e del decreto 72/2001 perch� avrebbero avuto l�effetto di ostacolare l�accesso 
dei farmacisti alle nuove farmacie nella Comunit� autonoma delle Asturie. Detto decreto 
avrebbe previsto, inoltre, criteri inaccettabili di selezione dei titolari delle nuove farmacie. 
29 In tale contesto il giudice del rinvio si domanda se il sistema istituito dal decreto 72/2001 
costituisca una restrizione alla libert� di stabilimento incompatibile con l�art. 49 TFUE. 
30 Per questo il Tribunal Superior de Justicia de Asturias ha deciso di sospendere il procedimento 
e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale nella causa C.570/07: 
�Se l�art. [49 TFUE] osti a quanto stabilito agli artt. 2-4 del [decreto 72/2001] nonch� ai punti 
4, 6 e 7 dell�allegato a tale decreto�. 
31 Nella causa C.571/07 il Tribunal Superior de Justicia de Asturias ha deciso di sospendere 
il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Se l�art. [49 TFUE] osti alle disposizioni normative della Comunit� autonoma (�) delle
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 53 
Asturie in materia di autorizzazione all�apertura di farmacie�. 
32 Con ordinanza del presidente della Corte del 28 febbraio 2008, i procedimenti C.570/07 
e C.571/07 sono stati riuniti ai fini della fase scritta e orale del procedimento nonch� della 
sentenza. 
Sulla ricevibilit� 
33 Il Consejo General de Colegios Oficiales de Farmac�uticos de Espa�a nonch� i governi 
ellenico, francese, italiano e spagnolo contestano la ricevibilit� delle domande di pronuncia 
pregiudiziale. 
34 Il giudice del rinvio anzitutto non preciserebbe la situazione di fatto dei ricorrenti nei 
procedimenti principali. Non indicherebbe, poi, con chiarezza le disposizioni nazionali pertinenti 
n� esporrebbe in maniera adeguata i motivi che lo hanno indotto a interrogarsi sulla 
compatibilit� di tali disposizioni con l�art. 49 TFUE. Infine, le questioni sollevate sarebbero 
ipotetiche, giacch� le controversie di cui trattasi vedrebbero coinvolti solo cittadini spagnoli. 
In assenza di elementi transfrontalieri, le questioni non presenterebbero, cos�, alcun nesso con 
il diritto dell�Unione. 
35 Ebbene, si deve rammentare che spetta soltanto al giudice nazionale cui � stata sottoposta 
la controversia e che deve assumersi la responsabilit� dell�emananda decisione giurisdizionale 
valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessit� di una pronuncia 
pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle 
questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l�interpretazione 
del diritto dell�Unione, la Corte �, in via di principio, tenuta a pronunciarsi (v., 
in tal senso, sentenze 13 marzo 2001, causa C.379/98, PreussenElektra, Racc. pag. I.2099, 
punto 38, e 10 marzo 2009, causa C.169/07, Hartlauer, Racc. pag. I.1721, punto 24). 
36 Ne consegue che le questioni relative all�interpretazione del diritto dell�Unione godono 
di una presunzione di rilevanza. Il rigetto, da parte della Corte, di una domanda proposta da 
un giudice nazionale � possibile, cos�, soltanto qualora appaia in modo manifesto che l�interpretazione 
del diritto dell�Unione richiesta non ha alcun rapporto con l�effettivit� o con l�oggetto 
della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la 
Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile 
alle questioni che le sono sottoposte (v., in tal senso, sentenze 5 dicembre 2006, cause riunite 
C.94/04 e C.202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I.11421, punto 25, e 7 giugno 2007, cause riunite 
da C.222/05 a C.225/05, van der Weerd e a., Racc. pag. I.4233, punto 22). 
37 Tenuto conto di questa giurisprudenza, si deve osservare, in primo luogo, che nelle ordinanze 
di rinvio il giudice nazionale ha motivato la sua decisione di formulare questioni pregiudiziali 
rilevando che la legittimit� della normativa in questione nei due procedimenti 
principali dipende dall�interpretazione che la Corte offrir� per l�art. 49 TFUE. 
38 In secondo luogo, non appare in modo manifesto che l�interpretazione richiesta non 
abbia alcun rapporto con l�effettivit� o con l�oggetto dei procedimenti principali o che la questione 
sia di tipo ipotetico. 
39 Certamente, � pacifico che i ricorrenti principali sono cittadini spagnoli e che tutti gli 
elementi dei procedimenti a quibus sono limitati al territorio di un unico Stato membro. Tuttavia, 
come risulta dalla giurisprudenza, anche in tale circostanza la risposta della Corte pu� 
risultare utile al giudice del rinvio, in particolare nell�ipotesi in cui il diritto nazionale gli imponga 
di far beneficiare un cittadino spagnolo degli stessi diritti di cui godrebbe, in base al 
diritto dell�Unione, un cittadino di uno Stato membro diverso dal Regno di Spagna nella medesima 
situazione (v., in particolare, sentenze 30 marzo 2006, causa C.451/03, Servizi Ausi-
54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
liari Dottori Commercialisti, Racc. pag. I.2941, punto 29, e Cipolla e a., cit., punto 30). 
40 Inoltre, se una normativa nazionale come quella oggetto dei procedimenti principali, 
che si applica indistintamente ai cittadini spagnoli e ai cittadini degli altri Stati membri, deve, 
di regola, risultare conforme alle disposizioni relative alle libert� fondamentali garantite dal 
Trattato solo in quanto si applica a situazioni che hanno un collegamento con gli scambi fra 
gli Stati membri, non si pu� tuttavia escludere che cittadini di Stati membri diversi dal Regno 
di Spagna siano stati o siano interessati ad aprire una farmacia nella Comunit� autonoma delle 
Asturie (v., in tal senso, sentenza 11 marzo 2010, causa C.384/08, Attanasio Group, non ancora 
pubblicata nella Raccolta, punti 23 e 24 nonch� la giurisprudenza ivi citata). 
41 In terzo luogo, occorre constatare che le decisioni di rinvio descrivono a sufficienza il 
contesto normativo e di fatto dei procedimenti principali e che le indicazioni fornite dal giudice 
nazionale permettono di determinare la portata delle questioni sottoposte. Tali decisioni hanno, 
dunque, offerto agli interessati una possibilit� effettiva di presentare osservazioni conformemente 
all�art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell�Unione europea, come testimonia 
del resto il contenuto delle osservazioni formulate nei presenti procedimenti. 
42 Ci� osservato, le domande di pronuncia pregiudiziale devono essere considerate ricevibili. 
Nel merito 
Osservazioni preliminari 
43 In primo luogo, occorre ricordare che, conformemente all�art. 168, n. 7, TFUE, come 
precisato tanto dalla giurisprudenza della Corte quanto dal ventiseiesimo �considerando� della 
direttiva 2005/36, il diritto dell�Unione non restringe la competenza degli Stati membri ad 
impostare i loro sistemi di previdenza sociale e ad adottare, in particolare, norme destinate 
all�organizzazione di servizi sanitari come le farmacie. Tuttavia, nell�esercizio di tale competenza, 
gli Stati membri sono tenuti a rispettare il diritto dell�Unione, in particolare le disposizioni 
del Trattato relative alle libert� fondamentali, le quali comportano il divieto per gli 
Stati membri di introdurre o di mantenere ingiustificate restrizioni all�esercizio di tali libert� 
nell�ambito delle cure sanitarie (v., in tal senso, sentenze Hartlauer, cit., punto 29; 19 maggio 
2009, causa C.531/06, Commissione/Italia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 35, 
nonch� cause riunite C.171/07 e C.172/07, Apothekerkammer des Saarlandes e a., non ancora 
pubblicata nella Raccolta, punto 18). 
44 Nel valutare il rispetto di tale obbligo � necessario tener conto del fatto che la salute e 
la vita delle persone occupano una posizione preminente tra i beni e gli interessi protetti dal 
Trattato e che spetta agli Stati membri stabilire il livello al quale intendono garantire la tutela 
della sanit� pubblica e il modo in cui tale livello deve essere raggiunto. Poich� detto livello 
pu� variare da uno Stato membro all�altro, si deve riconoscere agli Stati membri un margine 
discrezionale (v., in tal senso, sentenze 11 settembre 2008, causa C.141/07, Commissione/Germania, 
Racc. pag. I.6935, punto 51, e Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit., punto 19). 
45 In secondo luogo, occorre rilevare che n� la direttiva 2005/36 n� alcun altro atto che 
dia attuazione alle libert� fondamentali enunciano regole di accesso alle attivit� del settore 
farmaceutico che intendano porre condizioni per l�apertura di nuove farmacie nel territorio 
degli Stati membri. 
46 � vero che, l�art. 45, n. 5, della direttiva 2005/36 stabilisce che, se, in uno Stato membro, 
alla data del 16 settembre 1985, era bandito un concorso per esami per selezionare i farmacisti 
che sarebbero diventati titolari delle nuove farmacie la cui creazione era stata decisa nel contesto 
di un sistema nazionale di ripartizione geografica, tale Stato membro pu� mantenere
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 55 
questo concorso e sottoporvi anche i cittadini degli altri Stati membri. 
47 Ebbene, � pacifico che a quella data in Spagna esisteva un tale concorso e che � proprio 
di esso che si tratta nei procedimenti principali. Di conseguenza, detto Stato membro pu� 
mantenere tale procedura di concorso e sottoporvi tutti i farmacisti, sempre che le norme che 
la disciplinano siano conformi al diritto dell�Unione. 
48 Ci� non vuol dire, per�, che le norme che disciplinano la procedura di cui trattasi siano 
sottratte alle disposizioni del Trattato per quanto riguarda i requisiti relativi alla ripartizione 
territoriale delle farmacie, giacch� questo elemento rimane estraneo all�ambito di applicazione 
della direttiva 2005/36. 
49 La direttiva in questione, infatti, ha come oggetto, conformemente al suo art. 1, di fissare 
le regole in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali per permettere ai titolari 
delle stesse di esercitare una professione regolamentata, come lavoratori autonomi o subordinati. 
Per contro, essa non contiene regole che disciplinino lo stabilimento delle farmacie o 
le condizioni di gestione delle stesse n�, pi� specificamente, la loro ripartizione territoriale 
50 Tale constatazione � peraltro corroborata dal ventiseiesimo �considerando� della direttiva 
2005/36, a termini del quale quest�ultima non coordina tutte le condizioni per accedere alle 
attivit� nel campo della farmacia e lascia, in particolare, la ripartizione territoriale delle farmacie 
alla competenza degli Stati membri. 
51 Ci� considerato, le disposizioni del diritto nazionale qui in causa, relative alla ripartizione 
territoriale, devono essere esaminate alla luce delle disposizioni del Trattato, in particolare 
alla luce del suo art. 49. 
Sulla prima parte delle questioni pregiudiziali, attinente alle condizioni base relative alla 
densit� demografica e alla distanza minima fra le farmacie 
52 Con la prima parte delle questioni il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l�art. 49 
TFUE osti a una normativa nazionale, come quella in causa, che pone limiti al rilascio delle 
licenze per l�apertura di nuove farmacie prevedendo che: 
� in ciascuna zona farmaceutica possa essere aperta, in linea di principio, una sola farmacia 
ogni 2 800 abitanti; 
� un�ulteriore farmacia possa essere aperta solo quando tale soglia � superata e comunque 
per moduli superiori a 2 000 abitanti, e 
� ogni farmacia debba rispettare una distanza minima dalle farmacie gi� esistenti che, per regola 
generale, � di 250 metri. 
Sull�esistenza di una restrizione alla libert� di stabilimento 
53 Secondo una giurisprudenza costante, ogni provvedimento nazionale che possa ostacolare 
o scoraggiare l�esercizio, da parte dei cittadini dell�Unione, della libert� di stabilimento 
garantita dal Trattato costituisce una restrizione ai sensi dell�art. 49 TFUE, pure se applicabile 
senza discriminazioni in base alla cittadinanza (v., in tal senso, sentenze 14 ottobre 2004, 
causa C.299/02, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I.9761, punto 15, e 21 aprile 2005, 
causa C.140/03, Commissione/Grecia, Racc. pag. I.3177, punto 27). 
54 Costituisce una tale restrizione, in particolare, una normativa nazionale che subordini 
lo stabilimento di un�impresa di un altro Stato membro al rilascio di un�autorizzazione preventiva, 
poich� essa pu� ostacolare l�esercizio, da parte di questa impresa, della libert� di stabilimento, 
impedendole di esercitare liberamente le proprie attivit� tramite una stabile 
organizzazione. Infatti, da un lato, detta impresa rischia di sopportare gli oneri amministrativi 
ed economici aggiuntivi che qualunque rilascio di un�autorizzazione simile comporta. Dall�altro, 
il sistema di autorizzazione preventiva esclude dall�esercizio di un�attivit� autonoma
56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
gli operatori economici che non rispondano a requisiti predeterminati al cui rispetto � subordinato 
il rilascio di detta autorizzazione (v., in tal senso, sentenza Hartlauer, cit., punti 34 e 
35). 
55 Una normativa nazionale costituisce una restrizione alla libert� di stabilimento altres� 
quando subordini l�esercizio di un�attivit� ad una condizione connessa ai bisogni economici 
o sociali che tale attivit� deve soddisfare, in quanto mira a limitare il numero dei prestatori di 
servizi (v., in tal senso, sentenza Hartlauer, cit., punto 36). 
56 Nei procedimenti principali si deve osservare, in primo luogo, che la normativa nazionale 
subordina l�apertura di una nuova farmacia al rilascio di una previa autorizzazione amministrativa, 
la quale pu� peraltro essere accordata solo ai vincitori di concorso. 
57 In secondo luogo, tale normativa permette, in ciascuna zona farmaceutica, l�apertura di 
un�unica farmacia per moduli di popolazione di 2 800 abitanti; un�ulteriore farmacia pu� essere 
aperta solo quando tale soglia � superata e comunque per moduli di almeno 2 000 abitanti. 
58 In terzo luogo, la detta normativa osta a che i farmacisti possano esercitare un�attivit� 
economica indipendente nei locali di loro libera scelta, poich� impone loro di rispettare, come 
regola generale, una distanza minima di 250 metri dalle farmacie gi� esistenti. 
59 Regole come queste hanno pertanto l�effetto di ostacolare e di scoraggiare l�esercizio 
in forma stabile, da parte dei farmacisti degli altri Stati membri, delle loro attivit� nel territorio 
spagnolo. 
60 Di conseguenza, una normativa nazionale come quella oggetto dei procedimenti principali 
costituisce una restrizione alla libert� di stabilimento ai sensi dell�art. 49 TFUE. 
Sulla giustificazione della restrizione alla libert� di stabilimento 
61 Secondo una giurisprudenza costante, le restrizioni alla libert� di stabilimento, che siano 
applicabili senza discriminazioni basate sulla cittadinanza, possono essere giustificate da motivi 
imperativi di interesse generale, a condizione che siano atte a garantire la realizzazione 
dell�obiettivo perseguito e non vadano oltre quanto necessario al raggiungimento dello stesso 
(v. citate sentenze Hartlauer, punto 44, e Apothekerkammer des Saarlandes e a., punto 25). 
62 Nei procedimenti principali si deve constatare, in primo luogo, che la normativa nazionale 
controversa � applicabile senza discriminazioni basate sulla cittadinanza. 
63 In secondo luogo, risulta dall�art. 52, n. 1, TFUE che la tutela della sanit� pubblica pu� 
giustificare restrizioni alle libert� fondamentali garantite dal Trattato come la libert� di stabilimento 
(v., in particolare, citate sentenze Hartlauer, punto 46, e Apothekerkammer des Saarlandes 
e a., punto 27). 
64 Pi� precisamente, restrizioni alla libert� di stabilimento possono essere giustificate dall�obiettivo 
di garantire alla popolazione una fornitura di medicinali sicura e di qualit� (v. citate 
sentenze Commissione/Italia, punto 52, e Apothekerkammer des Saarlandes e a., punto 28). 
65 L�importanza di tale obiettivo � confermata dagli artt. 168, n. 1, TFUE e 35 della Carta 
dei diritti fondamentali dell�Unione europea, a termini dei quali, in particolare, nella definizione 
e nell�attuazione di tutte le politiche ed attivit� dell�Unione europea � garantito un livello 
elevato di protezione della salute umana. 
66 Ne consegue che l�obiettivo di assicurare alla popolazione una fornitura di medicinali 
sicura e di qualit� pu� giustificare una normativa nazionale come quella oggetto dei procedimenti 
principali. 
67 In terzo luogo, occorre esaminare se tale normativa sia idonea a garantire questo obiettivo.

LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 57 
68 Al riguardo si deve rilevare, per prima cosa, che, tenuto conto del potere discrezionale 
ricordato al punto 44 della presente sentenza, il fatto che uno Stato membro imponga norme 
pi� rigide in materia di tutela della sanit� pubblica di quelle stabilite da un altro Stato membro 
non significa necessariamente che tali norme siano incompatibili con le disposizioni del Trattato 
relative alle libert� fondamentali (v., in tal senso, sentenza 10 febbraio 2009, causa 
C.110/05, Commissione/Italia, Racc. pag. I.519, punto 65 e la giurisprudenza ivi citata). 
69 Di conseguenza, per la soluzione della presente controversia non � determinante la circostanza 
che gli Stati membri prevedano normative differenti in tale settore e, pi� specificamente, 
che taluni di essi lascino aperto il numero di farmacie che possono essere create nel 
territorio nazionale, mentre altri contingentino tale numero assoggettandole a norme di pianificazione 
geografica. 
70 Si deve ricordare, per seconda cosa, che, secondo la giurisprudenza della Corte, stabilimenti 
ed infrastrutture sanitarie possono essere oggetto di una pianificazione. Tale pianificazione 
pu� comprendere una previa autorizzazione per l�installazione di nuovi prestatori di 
cure se questa si riveli indispensabile per colmare eventuali lacune nell�accesso alle prestazioni 
sanitarie e per evitare una duplicazione nell�apertura delle strutture, in modo che sia garantita 
un�assistenza medica adeguata alle necessit� della popolazione, che copra tutto il territorio e 
tenga conto delle regioni geograficamente isolate o altrimenti svantaggiate (v., per analogia, 
sentenze 12 luglio 2001, causa C.157/99, Smits e Peerbooms, Racc. pag. I.5473, punti 76- 
80; 16 maggio 2006, causa C.372/04, Watts, Racc. pag. I.4325, punti 108-110, nonch� Hartlauer, 
cit., punti 51 e 52). 
71 Orbene, tale conclusione pu� essere pienamente trasposta ai prestatori di servizi sanitari 
di farmacia. 
72 Per terza cosa, occorre rilevare che esistono agglomerati che possono apparire a numerosi 
farmacisti particolarmente redditizi, e per questo pi� attraenti, come quelli situati nelle 
zone urbane, ed altre parti del territorio nazionale che invece potrebbero essere considerate 
meno attraenti, come le zone rurali, geograficamente isolate o altrimenti svantaggiate. 
73 Ci� considerato, non si pu� escludere che, se non ci fosse alcuna regolamentazione, le 
farmacie sarebbero concentrate in localit� reputate attraenti, mentre in alcune localit� meno 
attraenti si ritroverebbe un numero di farmacie insufficiente ad assicurare un servizio farmaceutico 
sicuro e di qualit�. 
74 Per quarta cosa, si deve ricordare che, qualora sussistano incertezze sull�esistenza o 
sulla portata di rischi per la salute delle persone, lo Stato membro pu� adottare misure di protezione 
senza dover attendere che la realt� di tali rischi sia pienamente dimostrata (v. sentenza 
Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit., punto 30). 
75 In un contesto siffatto uno Stato membro pu� ritenere che sussista un rischio di penuria 
di farmacie in talune parti del suo territorio e, conseguentemente, un rischio di inadeguato 
approvvigionamento di medicinali quanto a sicurezza e a qualit�. 
76 Tenuto conto di questo rischio, uno Stato membro pu� allora adottare una normativa 
che preveda l�apertura di non pi� di una farmacia per un certo numero di abitanti (v. punto 57 
della presente sentenza). 
77 Ed invero una tale condizione pu� sortire l�effetto di canalizzare l�insediamento di farmacie 
verso parti del territorio nazionale dove l�accesso al servizio farmaceutico � lacunoso, 
poich�, impedendo ai farmacisti di impiantarsi in zone gi� dotate di un numero sufficiente di 
farmacie, li invita a stabilirsi in zone nelle quali le farmacie scarseggiano. 
78 Detta condizione � quindi idonea a ripartire in maniera equilibrata le farmacie nel ter-
58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
ritorio nazionale, ad assicurare cos� a tutta la popolazione un accesso adeguato al servizio farmaceutico 
e, conseguentemente, ad aumentare la sicurezza e la qualit� dell�approvvigionamento 
della popolazione in medicinali. 
79 Occorre inoltre rilevare che da sola la condizione relativa ai moduli di popolazione pu� 
non consentire di evitare una concentrazione di farmacie, all�interno di un�area geografica 
determinata secondo tale condizione, in alcune localit� attraenti di tale zona. Orbene, una tale 
concentrazione di farmacie potrebbe comportare una duplicazione delle strutture, mentre altre 
parti della medesima area potrebbero mancare di farmacie. 
80 Ci� considerato, � lecito che uno Stato membro preveda condizioni supplementari che 
mirino ad impedire tale concentrazione, adottando, per esempio, una condizione come quella 
di cui trattasi nei procedimenti principali, che impone distanze minime tra le farmacie. 
81 Tale condizione permette, infatti, per sua stessa natura di evitare una simile concentrazione 
e risulta, cos�, idonea a ripartire le farmacie in maniera pi� equilibrata all�interno di una 
determinata area geografica. 
82 La condizione relativa alla distanza minima accresce anche, di conseguenza, la certezza 
per i pazienti che disporranno di una farmacia nei paraggi e, per ci� stesso, che disporranno 
di un accesso facile e rapido ad un servizio farmaceutico adeguato. 
83 Un tale accesso potrebbe essere ritenuto necessario ove si consideri, da un lato, che la 
somministrazione di medicinali pu� rivelarsi urgente e, dall�altro, che tra i clienti delle farmacie 
vi sono persone a mobilit� ridotta, come gli anziani e i malati gravi. 
84 Cos�, la condizione relativa alla distanza minima risulta complementare a quella collegata 
ai moduli di popolazione e pu�, pertanto, contribuire alla realizzazione dell�obiettivo di 
ripartire in maniera equilibrata le farmacie nel territorio nazionale, di assicurare in tal modo 
a tutta la popolazione un accesso adeguato al servizio farmaceutico e, di conseguenza, di aumentare 
la sicurezza e la qualit� dell�approvvigionamento della popolazione in medicinali. 
85 Occorre rilevare, infine, che il raggiungimento dell�obiettivo perseguito dalle due condizioni 
summenzionate � rafforzato da taluni criteri che intervengono, a termini del decreto 
72/2001, al momento della selezione dei titolari delle nuove farmacie. 
86 Infatti, conformemente al punto 7, lett. b), dell�allegato a tale decreto, a parit� di punteggio 
tra i candidati all�assegnazione delle nuove farmacie, le autorizzazioni sono accordate 
di preferenza, dopo i farmacisti di cui al punto 7, lett. a), a quelli che sono stati titolari di farmacie 
in zone o in distretti con meno di 2 800 abitanti. 
87 Siccome le aree geografiche con meno di 2 800 abitanti sono generalmente considerate 
dai farmacisti come meno attraenti (v. punto 72 della presente sentenza), detto criterio di assegnazione 
della licenza tende ad incoraggiare i farmacisti ad installarsi in tali zone con la 
prospettiva di essere ricompensati in futuro al momento della concessione di nuove licenze 
per l�apertura di farmacie. 
88 Tuttavia, i ricorrenti nei procedimenti principali e la Plataforma para la Libre Apertura 
de Farmacias fanno valere che il sistema in discussione non potrebbe essere considerato idoneo 
a raggiungere l�obiettivo addotto, perch� comporterebbe che taluni farmacisti siano privati di 
qualunque accesso all�attivit� professionale indipendente, mentre quelli gi� presenti sul mercato 
beneficerebbero di profitti sproporzionati. 
89 Tale argomento non pu� essere accolto. 
90 Occorre rilevare infatti, innanzitutto, che la libert� di stabilimento degli operatori economici 
deve essere bilanciata con le esigenze di tutela della sanit� pubblica e che la gravit� 
degli obiettivi perseguiti in tale settore pu� giustificare restrizioni che abbiano conseguenze
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 59 
negative, anche gravi, per taluni operatori (v., in tal senso, sentenza 17 luglio 1997, causa 
C.183/95, Affish, Racc. pag. I.4315, punti 42 e 43). 
91 Risulta, poi, dal fascicolo che le autorit� competenti organizzano almeno una volta all�anno 
una procedura di concorso per il rilascio delle autorizzazioni all�apertura di nuove farmacie 
in funzione dell�evoluzione demografica. Infatti, con la decisione del 14 giugno 2002, 
la Comunit� autonoma delle Asturie ha bandito un concorso per l�assegnazione di autorizzazioni 
all�installazione di 24 nuove farmacie nel proprio territorio a partire dall�anno 2002. 
92 Infine, secondo il punto 4 dell�allegato al decreto 72/2001, non vengono in considerazione 
n� l�esperienza professionale di farmacista titolare o contitolare di una farmacia n� altro 
titolo di merito quando siano gi� serviti per ottenere una licenza. Nello stesso senso, il punto 
7, lett. a), del medesimo allegato enuncia che, a parit� di punteggio secondo i criteri della tabella, 
le autorizzazioni sono accordate prioritariamente ai farmacisti che non siano gi� stati 
titolari di una farmacia. 
93 Una normativa nazionale basata su criteri del genere privilegia, nei suoi effetti, i farmacisti 
che ancora non hanno ottenuto un�autorizzazione all�installazione e mira, pertanto, a 
garantire a pi� farmacisti l�accesso all�attivit� professionale indipendente. 
94 Se emerge da quanto precede che una normativa nazionale come quella oggetto dei 
procedimenti principali � in linea di principio atta a realizzare l�obiettivo di garantire alla popolazione 
un approvvigionamento di medicinali sicuro e di qualit�, occorre pure che il modo 
in cui essa persegue il detto obiettivo non sia incoerente. Infatti, secondo la giurisprudenza 
della Corte, le singole disposizioni, come anche la normativa nazionale nel suo insieme, sono 
atte a garantire la realizzazione dell�obiettivo fatto valere solo qualora rispondano effettivamente 
all�intento di realizzarlo in modo coerente e sistematico (v., in tal senso, citate sentenze 
Hartlauer, punto 55, e Apothekerkammer des Saarlandes e a., punto 42). 
95 Pertanto si deve esaminare se il decreto 72/2001 persegua in maniera coerente e sistematica 
l�obiettivo di garantire alla popolazione un approvvigionamento di medicinali sicuro 
e di qualit� allorch� fissa il numero minimo di abitanti per farmacia, in principio, in 2 800 
ovvero 2 000 e la distanza minima tra le farmacie, come regola generale, in 250 metri. Al riguardo 
occorre tener conto altres� della legge 16/1997, visto che il decreto 72/2001 le d� esecuzione. 
96 Sul punto occorre constatare che si presume che le due condizioni previste da detto decreto, 
applicabili all�intero territorio in questione, garantiscano alla popolazione un approvvigionamento 
in medicinali sicuro e di qualit� sulla base di indicazioni forfetarie che tengono 
necessariamente conto degli elementi demografici ordinari, considerati come medi. Ne consegue 
che l�applicazione uniforme delle condizioni cos� concepite rischia di non assicurare 
un accesso adeguato al servizio farmaceutico in zone che presentano talune particolarit� demografiche. 
97 Pu� essere il caso, innanzitutto, di talune zone rurali dove la popolazione � generalmente 
sparpagliata e poco numerosa. Tale particolarit� pu� avere l�effetto che, se la condizione del 
numero minimo di 2 800 abitanti fosse applicata sempre e comunque, parte della popolazione 
interessata si troverebbe fuori della ragionevole portata locale di una farmacia e mancherebbe, 
cos�, di un accesso adeguato al servizio farmaceutico. 
98 Al riguardo si deve rilevare che la normativa nazionale prevede taluni meccanismi di 
adeguamento che permettono di attenuare le conseguenze dell�applicazione della regola di 
base dei 2 800 abitanti. Ai sensi, infatti, dell�art. 2, n. 3, secondo comma, della legge 16/1997, 
le comunit� autonome possono stabilire moduli di popolazione inferiori a 2 800 abitanti per
60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
farmacia per le zone rurali, turistiche, di montagna o per le zone in cui, a causa delle loro caratteristiche 
geografiche, demografiche o sanitarie, l�applicazione dei criteri generali non consente 
di assicurare il servizio farmaceutico, e rendere cos� una farmacia situata in una tale 
zona particolare pi� accessibile al segmento della popolazione che vive nei dintorni. 
99 D�altro lato, una stretta applicazione dell�altra condizione posta dal decreto 72/2001, 
relativa alla distanza minima tra le farmacie, pu� non essere sufficiente ad assicurare un accesso 
adeguato al servizio farmaceutico in talune zone geografiche densamente popolate. In 
tali zone, infatti, la densit� di popolazione attorno ad una farmacia pu� superare nettamente 
il numero di abitanti fissato in via forfetaria. In queste specifiche circostanze l�applicazione 
della condizione della distanza minima di 250 metri tra le farmacie rischierebbe di condurre 
ad una situazione in cui il perimetro previsto per una sola farmacia includerebbe pi� di 2 800 
abitanti o addirittura pi� di 4 000 nell�ipotesi di cui all�art. 2, n. 3, della legge 16/1997. Non 
si pu� escludere, pertanto, che gli abitanti delle zone con queste caratteristiche possano trovare 
difficolt�, in conseguenza della rigida applicazione della regola sulla distanza minima, ad accedere 
ad una farmacia in condizioni che permettano di assicurare un servizio farmaceutico 
adeguato. 
100 Ci� detto, anche in tale ipotesi queste conseguenze possono essere attenuate dalla misura 
di flessibilit� prevista all�art. 2, n. 4, della legge 16/1997, in base al quale la distanza minima 
tra le farmacie � fissata come �regola generale� in 250 metri, ma le comunit� autonome possono 
autorizzare, in funzione della concentrazione della popolazione, una distanza inferiore 
e aumentare, cos�, il numero di farmacie disponibili nelle zone ad altissima densit� demografica. 
101 Al riguardo si deve rilevare che, al fine di raggiungere in modo coerente e sistematico, 
in un caso come quello descritto al punto 99 della presente sentenza, l�obiettivo di assicurare 
un servizio farmaceutico adeguato, le autorit� competenti potrebbero perfino essere indotte 
ad interpretare la regola generale nel senso che � possibile autorizzare l�apertura di una farmacia 
a distanza inferiore ai 250 metri non solo in casi del tutto eccezionali, ma ogni volta 
che la rigida applicazione della regola generale dei 250 metri rischi di non garantire un accesso 
adeguato al servizio farmaceutico in talune zone geografiche densamente popolate. 
102 In tali circostanze spetta al giudice nazionale verificare se le autorit� competenti facciano 
uso, nel senso descritto ai punti 98, 100 e 101 della presente sentenza, della facolt� concessa 
da disposizioni siffatte in ogni zona geografica con particolari caratteristiche demografiche 
nella quale l�applicazione rigida delle regole di base dei 2 800 abitanti e dei 250 metri rischierebbe 
di impedire l�apertura di un numero di farmacie sufficiente ad assicurare un servizio 
farmaceutico adeguato. 
103 Alla luce di quanto precede si deve constatare che, salvo quanto considerato ai punti 
94-100 della presente sentenza, la normativa controversa � idonea a realizzare lo scopo perseguito. 
104 Resta da esaminare, in quarto luogo, se la restrizione alla libert� di stabilimento non 
ecceda quanto necessario per raggiungere lo scopo invocato, vale a dire se non esistano misure 
meno restrittive per realizzarlo. 
105 Sul punto i ricorrenti nella causa principale, la Plataforma para la Libre Apertura de 
Farmacias e la Commissione europea fanno valere, in particolare, che sarebbe sufficiente prevedere 
un numero minimo di farmacie in zone geografiche determinate (in prosieguo: il sistema 
�de minimis�). In un tale sistema non potrebbe essere autorizzata l�apertura di nessuna 
nuova farmacia � come nel sistema attuale � nelle zone gi� dotate di un numero sufficiente di
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 61 
farmacie fino a quando ciascuna delle zone geografiche individuate disponga del numero minimo 
di farmacie richiesto. Viceversa, l�apertura di nuove farmacie sarebbe libera a partire 
dal momento in cui ciascuna di queste zone raggiunga tale numero minimo di farmacie. 
106 A tale riguardo occorre, tuttavia, osservare che, tenuto conto del potere discrezionale di 
cui beneficiano gli Stati membri in materia di tutela della sanit� pubblica, menzionato al punto 
44 della presente sentenza, uno Stato membro pu� ritenere che il sistema �de minimis� non 
permetta di raggiungere, con la stessa efficacia di quello attuale, l�obiettivo di assicurare un 
approvvigionamento in medicinali sicuro e di qualit� nelle zone poco attraenti. 
107 Anzitutto si deve ricordare che, nel sistema attuale, il fattore che spinge i farmacisti ad 
installarsi nelle zone sprovviste di farmacie risulta essere quello che non possono installarsi 
in zone gi� dotate di un numero sufficiente di farmacie, e ci� in virt� di un criterio demografico 
oggettivo, vale a dire fino al momento in cui la popolazione di queste zone superi la soglia 
fissata. Questo sistema non lascia cos�, in linea di principio, alcun�altra scelta ai farmacisti 
desiderosi di esercitare un�attivit� professionale indipendente che quella di installarsi in zone 
prive di farmacie, dove l�approvvigionamento della popolazione in medicinali � insufficiente 
e dove l�installazione di farmacie � dunque autorizzata. 
108 Occorre, poi, constatare che uno Stato membro, come il Regno di Spagna, pu� legittimamente 
decidere un sistema di ripartizione territoriale su scala regionale, ovverosia conferire 
alle diverse regioni il compito di organizzare la ripartizione delle farmacie tra le aree geografiche 
dei rispettivi territori. 
109 Orbene, per quanto riguarda l�installazione dei farmacisti la situazione pu� cambiare 
notevolmente da una regione all�altra. 
110 Pi� precisamente, � possibile che, all�interno di talune regioni, esistano una o pi� zone 
geografiche in cui il numero minimo di farmacie prescritto non sia stato ancora raggiunto. 
Sar�, dunque, solo in queste zone deficitarie che potranno essere aperte nuove farmacie. 
111 Al contrario, in altre regioni pu� succedere che tutte le zone geografiche siano gi� dotate 
del numero minimo richiesto di farmacie e che pertanto, nel sistema alternativo �de minimis� 
descritto al punto 105 della presente sentenza, l�intero loro territorio sia aperto alla libera installazione 
dei farmacisti, comprese le zone pi� attraenti. Ebbene, questa situazione potrebbe 
pregiudicare l�obiettivo nazionale, quale sancito dalla legge 16/1997, di canalizzare i farmacisti 
verso zone prive di farmacie in qualsiasi regione. Infatti, non si pu� escludere che i farmacisti 
interessati preferiscano aggiungersi ai farmacisti gi� stabiliti nelle regioni sature, e 
dunque aperte alla libera installazione, anzich� prevedere di insediarsi nelle zone prive di farmacie 
delle regioni non sature. 
112 Ci� considerato, non si pu� ritenere che la normativa in causa ecceda quanto necessario 
per raggiungere l�obiettivo perseguito. 
113 Tenuto conto di quanto precede, occorre rispondere alla prima parte delle questioni sottoposte 
dichiarando che l�art. 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta, in 
linea di principio, a una normativa nazionale, come quella oggetto dei procedimenti principali, 
che pone limiti al rilascio delle licenze per l�apertura di nuove farmacie prevedendo che: 
� in ciascuna zona farmaceutica possa essere aperta, in linea di principio, una sola farmacia 
ogni 2 800 abitanti; 
� un�ulteriore farmacia possa essere aperta solo quando tale soglia � superata e comunque 
per moduli superiori a 2 000 abitanti, e 
� ogni farmacia debba rispettare una distanza minima dalle farmacie gi� esistenti che, per regola 
generale, � di 250 metri.
62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
114 L�art. 49 TFUE osta, tuttavia, a una normativa nazionale siffatta se le regole di base di 
2800 abitanti o di 250 metri impediscono, nelle zone geografiche con caratteristiche demografiche 
particolari, l�apertura di un numero di farmacie sufficiente per assicurare un servizio 
farmaceutico adeguato, cosa che spetta al giudice nazionale verificare. 
Sulla seconda parte delle questioni pregiudiziali, attinente ai criteri di selezione dei titolari 
delle nuove farmacie enunciati ai punti 4, 6 e 7, lett. a)-c), dell�allegato al decreto 72/2001 
115 Con la seconda parte delle questioni il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l�art. 
49 TFUE osti ai criteri di selezione dei titolari di nuove farmacie enunciati ai punti 4, 6 e 7, 
lett. a)-c), dell�allegato al decreto 72/2001. 
116 Per quanto concerne i criteri previsti ai punti 4 e 7, lett. a) e b), di tale allegato, dalle 
considerazioni esposte ai punti 86, 87, 92 e 93 della presente sentenza risulta che essi contribuiscono, 
in conformit� con l�art. 49 TFUE, a realizzare l�obiettivo di interesse generale invocato. 
117 Ci� considerato, resta da esaminare se l�art. 49 TFUE osti ai criteri previsti ai punti 6 e 
7, lett. c), dell�allegato summenzionato, atteso che tale articolo impone, in particolare, che i 
criteri applicabili nell�ambito di un regime di autorizzazioni amministrative non siano discriminatori 
(v. sentenza Hartlauer, cit., punto 64). 
118 A tale proposito occorre ricordare che il principio della parit� di trattamento vieta non 
soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi discriminazione 
dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga al medesimo risultato 
(v. sentenze 26 giugno 2001, causa C.212/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I.4923, punto 
24, e 19 marzo 2002, causa C.224/00, Commissione/Italia, Racc. pag. I.2965, punto 15). 
119 Cos�, a meno che non sia obiettivamente giustificata e adeguatamente commisurata allo 
scopo perseguito, una disposizione di diritto nazionale dev�essere giudicata indirettamente 
discriminatoria quando, per sua stessa natura, tende ad incidere pi� sui cittadini di altri Stati 
membri che su quelli nazionali e, di conseguenza, rischia di essere sfavorevole in modo particolare 
ai primi (sentenza 18 luglio 2007, causa C.212/05, Hartmann, Racc. pag. I.6303, 
punto 30). 
120 Nel caso di specie, il punto 6 dell�allegato al decreto 72/2001 stabilisce che il punteggio 
attribuito per meriti professionali � maggiorato del 20% se la professione � stata esercitata 
nel territorio della Comunit� autonoma delle Asturie. 
121 Risulta, poi, dal punto 7, lett. c), dello stesso allegato che, a parit� di punteggio secondo 
i criteri fissati nella tabella, le autorizzazioni sono accordate di preferenza, dopo i farmacisti 
delle categorie descritte al detto punto 7, lett. a) e b), ai farmacisti che hanno esercitato la loro 
attivit� professionale nella Comunit� autonoma delle Asturie. 
122 Tali due criteri privilegiano, dunque, nel procedimento di selezione, i farmacisti che 
hanno esercitato la loro attivit� su una parte del territorio nazionale. Orbene, � ovviamente 
pi� facile che soddisfino un simile criterio i farmacisti nazionali, i quali esercitano la loro attivit� 
economica il pi� delle volte nel territorio nazionale, che i farmacisti cittadini di altri 
Stati membri, i quali esercitano tale attivit� pi� frequentemente in un altro Stato membro (v., 
per analogia, sentenza Hartmann, cit., punto 31). 
123 La Consejer�a de Salud y Servicios Sanitarios e il Principado de Asturias sostengono 
nondimeno che la differenza di trattamento pu� essere giustificata dalla necessit� di mantenere 
un livello di qualit� del servizio farmaceutico, visto che tale livello sarebbe pi� basso se i farmacisti 
installati non fossero immediatamente capaci di fornire il servizio farmaceutico. Effettivamente, 
per essere subito operativi i farmacisti dovrebbero, in particolare, conoscere i
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 63 
programmi sanitari decisi dall�amministrazione regionale nonch� il funzionamento delle farmacie 
in tale regione. 
124 Tale argomento non pu� essere accolto, in quanto l�art. 1, nn. 1 e 2, della direttiva 
85/432 e l�art. 45, n. 2, lett. e) e g), della direttiva 2005/36 richiedono che i possessori di un 
titolo di formazione universitaria in farmacia siano autorizzati ad accedere alle attivit� di preparazione, 
controllo, immagazzinamento e distribuzione dei medicinali nelle farmacie aperte 
al pubblico nonch� alle attivit� di diffusione di informazioni e consigli nel settore dei medicinali. 
Alla luce di ci�, i requisiti menzionati al punto precedente non possono valere a giustificare 
una disparit� di trattamento come quella oggetto dei procedimenti principali 
125 Tenuto conto di quanto precede, occorre rispondere alla seconda parte delle questioni 
sottoposte dichiarando che l�art. 49 TFUE, in combinato disposto con l�art. 1, nn. 1 e 2, della 
direttiva 85/432 e con l�art. 45, n. 2, lett. e) e g), della direttiva 2005/36, deve essere interpretato 
nel senso che osta a criteri di selezione dei titolari di nuove farmacie come quelli enunciati 
ai punti 6 e 7, lett. c), dell�allegato al decreto 72/2001. 
Sulle spese 
126 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un 
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese 
sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 
1) L�art. 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, 
a una normativa nazionale, come quella oggetto dei procedimenti principali, che pone 
limiti al rilascio delle licenze per l�apertura di nuove farmacie prevedendo che: 
� in ciascuna zona farmaceutica possa essere aperta, in linea di principio, una sola farmacia 
ogni 2 800 abitanti; 
� un�ulteriore farmacia possa essere aperta solo quando tale soglia � superata e comunque 
per moduli superiori a 2 000 abitanti, e 
� ogni farmacia debba rispettare una distanza minima dalle farmacie gi� esistenti che, 
per regola generale, � di 250 metri. 
L�art. 49 TFUE osta, tuttavia, a una normativa nazionale siffatta se le regole di base di 
2 800 abitanti o di 250 metri impediscono, nelle zone geografiche con caratteristiche demografiche 
particolari, l�apertura di un numero di farmacie sufficiente per assicurare 
un servizio farmaceutico adeguato, cosa che spetta al giudice nazionale verificare. 
2) L�art. 49 TFUE, in combinato disposto con l�art. 1, nn. 1 e 2, della direttiva del 
Consiglio 16 settembre 1985, 85/432/CEE, concernente il coordinamento delle disposizioni 
legislative, regolamentari e amministrative riguardanti talune attivit� nel settore 
farmaceutico, e con l�art. 45, n. 2, lett. e) e g), della direttiva del Parlamento europeo e 
del Consiglio 7 settembre 2005, 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche 
professionali, deve essere interpretato nel senso che osta a criteri di selezione dei titolari 
di nuove farmacie come quelli enunciati ai punti 6 e 7, lett. c), dell�allegato al decreto 19 
luglio 2001, 72/2001, sull�apertura e sull�esercizio di farmacie e dispensari nel Principato 
delle Asturie (Decreto 72/2001 regulador de las oficinas de farmacia y botiquines en el 
Principado de Asturias).
64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Corte di giustizia (Prima Sezione) sentenza del 1� luglio 2010 nella causa C-393/08 - Pres. 
A. Tizzano, Rel. E. Levits, Avv. gen. N. J��skinen - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta 
dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Emanuela Sbarigia / Azienda 
USL RM/A, Comune di Roma, Assiprofar - Associazione Sindacale Proprietari Farmacia, Ordine 
dei Farmacisti della Provincia di Roma - Intervento Governo italiano (avv. Stato M. 
Russo). 
�Legislazione nazionale che disciplina gli orari di apertura e i giorni di chiusura delle farmacie 
� Esenzione � Potere decisionale delle autorit� competenti� 
(Omissis) 
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione degli artt. 49 CE, 81 
CE . 86 CE, 152 CE e 153 CE. 
2 Tale domanda � stata presentata nell�ambito di una controversia tra la sig.ra Sbarigia, 
titolare di una farmacia, e l�Azienda USL �Roma A� (in prosieguo: l��ASL RM/A�), autorit� 
competente per il Comune di Roma, in merito alla decisione dell�ASL RM/A che respinge le 
istanze della sig.ra Sbarigia ai fini dell�autorizzazione a rinunciare agli orari e ai periodi di 
chiusura, in particolare alla chiusura annuale per ferie nell�estate 2006. 
Contesto normativo 
3 La legislazione applicabile nella causa principale � la legge regionale del Lazio 30 
luglio 2002, n. 26, sulla disciplina dell�orario, dei turni e delle ferie delle farmacie aperte al 
pubblico (Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 23, Supplemento ordinario n. 5 del 20 
agosto 2002, e GURI n. 24, Serie speciale n. 3 del 14 giugno 2003; in prosieguo: la �L.R. 
26/02�). 
4 Gli artt. 2.8 della L.R. 26/2002 fissano gli orari di apertura, il servizio volontario di 
guardia, il riposo settimanale e le ferie delle farmacie. Vengono imposti in particolare orari 
massimi di apertura, l�obbligo di chiusura nei giorni di domenica e, settimanalmente, per una 
mezza giornata nonch� nei giorni festivi e una durata minima delle ferie. 
5 L�art. 10 della L.R. 26/02 ha il seguente tenore: 
�1. Per il Comune di Roma ciascuna [azienda sanitaria locale; in prosieguo: l��ASL�)] adotta 
i provvedimenti di propria competenza previsti dalla presente legge previa intesa con le altre 
ASL interessate. 
2. Per specifici ambiti comunali l�orario settimanale di apertura al pubblico, le ferie delle farmacie 
urbane e la mezza giornata di riposo settimanale (...) possono essere modificati, con 
deliberazione della ASL territorialmente competente, d�intesa con il sindaco del comune interessato, 
dell�ordine provinciale dei farmacisti e delle organizzazioni sindacali provinciali 
delle farmacie pubbliche e private maggiormente rappresentative�. 
Causa principale e questioni pregiudiziali 
6 La sig.ra Sbarigia � titolare di una farmacia, situata in una zona del centro storico di 
Roma detta del �Tridente�. Tale quartiere, interamente pedonale, si trova nel cuore turistico 
della citt�. 
7 In ragione di tale ubicazione e del rilevante aumento del numero di clienti durante i 
mesi di luglio e agosto, la ricorrente della causa principale in data 31 maggio 2006 ha presentato, 
presso l�ASL RM/A, competente per territorio, un�istanza basata sull�art. 10, comma 2, 
della L.R. 26/02, finalizzata a ottenere l�autorizzazione a rinunciare al periodo estivo di chiusura 
per ferie per il 2006. Tale istanza � stata respinta con decisione del 22 giugno 2006, im-
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 65 
pugnata dalla sig.ra Sbarigia dinanzi al giudice del rinvio. 
8 Nelle more dell�esito di tale ricorso, con una seconda istanza del 18 ottobre 2006, la 
sig.ra Sbarigia ha ampliato la sua richiesta nel senso dell�esenzione dalla chiusura per ferie 
annuali nonch� dalla chiusura nei giorni festivi e dell�estensione dell�orario settimanale di 
apertura per tutto l�anno. A tal riguardo, la sig.ra Sbarigia ha invocato il fatto che un�autorizzazione 
simile era stata concessa, in data 8 settembre 2006, ad un�altra farmacia, situata nei 
pressi della stazione ferroviaria �Termini�, con la stessa particolare utenza della sua farmacia. 
9 Anche tale istanza � stata respinta dall�ASL RM/A, con decisione del 22 marzo 2007, 
n. 119945/P, rispetto alla quale la sig.ra Sbarigia ha dedotto motivi aggiunti di impugnativa, 
formulando altres� richiesta di sospensiva. 
10 Con ordinanza 22 giugno 2007, il giudice del rinvio ha accolto l�istanza cautelare di sospensione 
dell�esecuzione della decisione del 22 marzo 2007, ai fini del suo riesame, da parte 
dell�ASL RM/A. 
11 Di conseguenza, l�ASL RM/A ha adottato la decisione del 1� agosto 2007, n. 40249, 
con cui, su parere sfavorevole del Comune di Roma, dell�Ordine dei Farmacisti della Provincia 
di Roma nonch� delle associazioni professionali Assiprofar � Associazione Sindacale Proprietari 
Farmacia (in prosieguo: l��Assiprofar�) e Confservizi, ha respinto nuovamente 
l�istanza della ricorrente della causa principale, sulla base dell�art. 10, n. 2, della L.R. 26/02. 
12 La sig.ra Sbarigia ha impugnato quest�ultima decisione deducendo motivi aggiunti di 
ricorso nell�ambito del procedimento pendente dinanzi al giudice del rinvio. 
13 Secondo il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, la connotazione del servizio 
farmaceutico come servizio pubblico a tutela della salute degli utenti non � sufficiente a giustificare 
le norme dirigistiche in tema di modalit� di apertura delle farmacie. Una liberalizzazione 
degli orari e dell�apertura di tutti gli esercizi � peraltro raccomandata in una segnalazione 
del 1� febbraio 2007 dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato � consentirebbe 
un ampliamento in generale dell�offerta a favore dell�utenza (considerato che le piante organiche 
assicurano una capillarit� delle farmacie). 
14 Le disposizioni della L.R. 26/02 sembrerebbero, inoltre, eccessive ed ingiustificate. Infatti, 
l�interesse pubblico e le esigenze sottese al servizio farmaceutico sarebbero certamente 
meglio garantiti dalla liberalizzazione delle modalit� di apertura delle farmacie, utili allo sviluppo 
della concorrenza. 
15 Il giudice del rinvio dubita, pertanto, della compatibilit� delle restrizioni in questione, 
da una parte, con i principi del diritto comunitario in materia di libera concorrenza delle imprese 
nonch�, dall�altra, con l�azione dell�Unione europea diretta al miglioramento e alla tutela 
della salute. In particolare, a suo giudizio, in contrasto con tale obiettivo, il quadro legislativo 
relativo all�organizzazione del servizio farmaceutico attualmente in vigore nella Regione 
Lazio osta ad un contributo efficace alla tutela della salute pubblica. 
16 Alla luce di quanto sopra, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha deciso 
di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le due questioni pregiudiziali seguenti: 
�1) Se sia compatibile con i principi comunitari di tutela della libera concorrenza e della libera 
prestazione dei servizi, di cui, tra l�altro, agli artt. 49 [CE] e 81 [CE . 86 CE], l�assoggettamento 
delle farmacie ai sopra specificati divieti di poter rinunciare alle ferie annuali e di poter 
rimanere liberamente aperte anche oltre i limiti di apertura massima attualmente consentiti 
dalle disposizioni sopra specificate di cui alla [L.R. 26/02], e il necessario assoggettamento
66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
altres�, ai sensi dell�art. 10 comma 2 della stessa L.R., per poter ottenere nel Comune di Roma 
la deroga ai divieti suddetti, alla previa discrezionale valutazione dell�Amministrazione (effettuata 
d�intesa con gli enti e organismi specificati nel medesimo articolo) della specificit� 
dell�ambito comunale di ubicazione delle farmacie richiedenti. 
2) Se sia compatibile con gli artt. 152 [CE] e 153 [CE] l�assoggettamento del servizio pubblico 
farmaceutico, bench� finalizzato alla tutela della salute degli utenti, a condizioni di limitazione 
o divieto, come quelle stabilite dalla L.R. n. 26/2002, della possibilit� di incremento orario, 
giornaliero, settimanale ed annuale del periodo di apertura dei singoli esercizi farmaceutici�. 
Sulla ricevibilit� della domanda di pronuncia pregiudiziale 
17 Nelle loro osservazioni scritte, i governi italiano ed ellenico mettono in dubbio la ricevibilit� 
della presente domanda di pronuncia pregiudiziale. All�udienza, l�Assiprofar e, implicitamente, 
l�Ordine dei Farmacisti della Provincia di Roma hanno espresso la stessa 
opinione. 
18 In particolare, il governo italiano sostiene che il giudice del rinvio non fornisce alcuna 
precisazione in merito agli elementi in fatto e in diritto che l�hanno portato a interrogarsi sulla 
compatibilit� della disposizione nazionale pertinente con le disposizioni del Trattato CE da 
esso menzionate. Il governo ellenico, l�Assiprofar e l�Ordine dei Farmacisti della Provincia 
di Roma affermano, da parte loro, che, in mancanza di elementi transfrontalieri, le questioni 
pregiudiziali non presentano alcun legame con il diritto dell�Unione. 
19 Va ricordato a tale proposito che spetta soltanto ai giudici nazionali cui � stata sottoposta 
la controversia e che devono assumersi la responsabilit� dell�emananda decisione giurisdizionale 
valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessit� di 
una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza 
delle questioni che sottopongono alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano 
l�interpretazione del diritto dell�Unione, la Corte, in via di principio, � tenuta a pronunciarsi 
(v., in particolare, sentenza 10 marzo 2009, causa C.169/07, Hartlauer, Racc. pag. 
I.1721, punto 24 e giurisprudenza ivi citata). 
20 Ne consegue che le questioni relative al diritto dell�Unione godono di una presunzione 
di rilevanza. Il rigetto, da parte della Corte, di una domanda proposta da un giudice nazionale 
� quindi possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l�interpretazione del diritto 
dell�Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realt� effettiva o l�oggetto della causa principale, 
qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli 
elementi in fatto e in diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono 
sottoposte (v., in tal senso, sentenze 5 dicembre 2006, cause riunite C.94/04 e C.202/04, Cipolla 
e a., Racc. pag. I.11421, punto 25, nonch� 7 giugno 2007, cause riunite da C.222/05 a 
C.225/05, van der Weerd e a., Racc. pag. I.4233, punto 22). 
21 Ebbene, con riferimento all�eccezione di irricevibilit� sollevata dal governo italiano, 
occorre constatare che la decisione del giudice del rinvio descrive a sufficienza il contesto 
normativo e di fatto del procedimento principale, e che le indicazioni fornite dal giudice del 
rinvio permettono di determinare la portata delle questioni sollevate. Questa decisione ha, 
dunque, offerto agli interessati una possibilit� effettiva di presentare osservazioni conformemente 
all�art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia, come testimonia del resto il contenuto 
delle osservazioni sottoposte alla Corte. 
22 Ne consegue che l�eccezione in esame non pu� essere accolta 
23 Quanto poi agli argomenti invocati dall�Assiprofar, dall�Ordine dei Farmacisti della 
Provincia di Roma e dal governo ellenico, a giudizio dei quali tutti gli elementi della causa
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 67 
principale sono limitati ad un solo Stato membro, occorre ricordare che da una giurisprudenza 
costante della Corte emerge che la risposta di quest�ultima pu� risultare utile al giudice del 
rinvio anche in simili circostanze, in particolare nell�ipotesi in cui il diritto nazionale gli imponga 
di riconoscere ad un cittadino gli stessi diritti di cui godrebbe un cittadino di un altro 
Stato membro, in base al diritto dell�Unione, nella medesima situazione (v., in particolare, 
sentenze 30 marzo 2006, causa C.451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, Racc. pag. 
I.2941, punto 29; Cipolla e a., cit., punto 30, nonch� 1� giugno 2010, cause riunite C.570/07 
e C.571/07, Blanco P�rez e Chao G�mez, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 36). 
24 Nel caso di specie, l�ipotesi evocata nella giurisprudenza citata al precedente punto 
della presente sentenza riguarda, nell�ambito della causa principale, i diritti di cui un cittadino 
di uno Stato membro potrebbe godere in base al diritto dell�Unione se si trovasse nella stessa 
situazione della sig.ra Sbarigia, quale gestore di una farmacia in un�area municipale specifica 
del Comune di Roma e destinatario di una decisione dell�amministrazione nazionale competente 
che applica l�art. 10, comma 2, della L.R. 26/02 in merito ad un�istanza che non mette 
assolutamente in discussione il sistema generale della regolamentazione degli orari di apertura 
e delle ferie delle farmacie disciplinato da tale legge nazionale, ma che � finalizzata unicamente 
ad ottenere l�autorizzazione a rinunciare a qualsiasi periodo di chiusura, a titolo di deroga 
rispetto al suddetto regime generale. 
25 In tal senso, alla luce delle specifiche circostanze della causa principale, risulta evidente 
che l�interpretazione dell�art. 49 CE, richiesta dal giudice del rinvio nella sua decisione, non 
� pertinente ai fini della soluzione della causa principale. 
26 Difatti, come l�avvocato generale ha osservato ai paragrafi 72 e 73 delle sue conclusioni, 
da una giurisprudenza costante emerge che un cittadino di uno Stato membro che, in maniera 
stabile e continua, esercita un�attivit� professionale in un altro Stato membro � soggetto al 
capo del Trattato CE relativo al diritto di stabilimento e non a quello relativo ai servizi (v., in 
particolare, sentenze 21 giugno 1974, causa C.2/74, Reyners, Racc. pag. 631, punto 21, e 30 
novembre 1995, causa C.55/94, Gebhard, Racc. pag. I.4165, punto 28). 
27 Del resto, relativamente proprio alla libert� di stabilimento � bench� il Tribunale amministrativo 
regionale per il Lazio non abbia espressamente chiesto alla Corte di interpretare 
l�art. 43 CE � � manifesto che nemmeno l�interpretazione di tale articolo � pertinente nel contesto 
della causa pendente dinanzi al giudice del rinvio. 
28 Infatti, nel caso di specie, come gi� sottolineato al punto 23 della presente sentenza, la 
farmacia interessata � una struttura stabile nell�area pedonale del centro della citt� di Roma, 
il cui titolare, per ipotesi cittadino di un altro Stato membro, si troverebbe gi� ad esercitare 
un�attivit� lavorativa continua. Pertanto, con tutta evidenza l�esercizio del diritto di stabilimento 
sancito dall�art. 43 CE non � in questione nella causa principale. 
29 Ci� premesso, va constatato che le altre disposizioni del diritto comunitario in materia 
di concorrenza di cui il giudice del rinvio chiede l�interpretazione, in particolare gli artt. 81 
CE . 86 CE, risultano, del pari, manifestamente inapplicabili in un contesto quale quello del 
procedimento principale. 
30 Infatti, in primo luogo, va constatato che gli artt. 83 CE . 85 CE sono del tutto inconferenti 
nel contesto della controversia di cui il giudice del rinvio � stato investito, poich� si 
tratta o di disposizioni con carattere meramente procedurale (artt. 83 CE e 85 CE) o di disposizioni 
transitorie (art. 84 CE). 
31 In secondo luogo, quanto agli artt. 81 CE e 82 CE, se � pur vero che essi riguardano 
esclusivamente la condotta delle imprese e non disposizioni legislative o regolamentari ema-
68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
nate dagli Stati membri, resta il fatto che tali articoli, letti in combinato disposto con l�art. 10 
CE, che instaura un dovere di collaborazione, obbligano gli Stati membri a non adottare o a 
mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad 
eliminare l�effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese (v. sentenza Cipolla 
e a., cit., punto 46 e giurisprudenza ivi citata). 
32 A tal proposito, risulta tuttavia manifesto che la normativa nazionale in esame nella 
causa principale, relativa all�eventuale concessione di una deroga per quanto concerne i periodi 
di apertura di una farmacia situata in una specifica zona municipale del Comune di Roma, 
non � idonea, di per s� o con la sua applicazione, a pregiudicare il commercio tra Stati membri 
ai sensi degli artt. 81 CE e 82 CE (v., ex contrario, sentenze 17 ottobre 1972, causa 8/72, Vereniging 
van Cementhandelaren/Commissione, Racc. pag. 977, punto 29; 10 dicembre 1991, 
causa C.179/90, Merci convenzionali porto di Genova, Racc. pag. I.5889, punti 14 e 15, nonch� 
19 febbraio 2002, causa C.35/99, Arduino, Racc. pag. I.1529, punto 33). 
33 Conseguentemente, si deve considerare che, con riferimento ai citati artt. 81 CE e 82 
CE, la prima questione sollevata dal giudice del rinvio � irricevibile. 
34 In terzo luogo, il fatto che tali disposizioni del diritto dell�Unione in materia di concorrenza 
non siano applicabili nella causa principale comporta che non lo � nemmeno l�art. 86 
CE. 
35 Per quanto riguarda l�art. 28 CE, evocato da alcuni interessati che hanno presentato osservazioni 
dinanzi alla Corte, si deve constatare, per completezza, che, per i motivi evocati al 
punto 32 della presente sentenza, vanno senz�altro esclusi anche un pregiudizio al commercio 
tra Stati membri e, pertanto, un eventuale ostacolo alla libera circolazione delle merci. 
36 Ne consegue, pertanto, che l�interpretazione dell�art. 28 CE non � pertinente ai fini 
della soluzione della controversia di cui � stato investito il giudice del rinvio. 
37 Quanto, infine, agli artt. 152 CE e 153 CE, richiamati dal giudice del rinvio nella sua 
seconda questione, basta rilevare che, come affermato dall�avvocato generale ai paragrafi 
48.51 delle sue conclusioni, nonch� sottolineato da quasi tutti gli interessati che hanno sottoposto 
osservazioni nel presente procedimento, tali articoli sono rivolti agli organi dell�Unione 
e agli Stati membri, ed � evidente che non possono essere invocati al fine di far esaminare la 
conformit� di misure nazionali al diritto dell�Unione. 
38 Dall�insieme delle considerazioni che precedono risulta che la domanda di pronuncia 
pregiudiziale in esame dev�essere ritenuta irricevibile. 
Sulle spese 
39 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un 
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese 
sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: 
La domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dal Tribunale amministrativo regionale 
per il Lazio con decisione 21 maggio 2008 � irricevibile. 
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 69 
I poteri urbanistici e la nozione di 
appalto pubblico di lavori 
(Corte di giustizia dell�Unione europea, Terza Sezione, sentenza del 25 marzo 2010 
nella causa C-451/08) 
Con la decisione in commento, la Corte di Giustizia fornisce chiarimenti 
sulla corretta interpretazione della nozione di �appalto pubblico di lavori�, 
cos� come definita dalla direttiva 2004/18/CE; sulla sua distinzione rispetto 
alle attivit� di disciplina urbanistica esercitate dai pubblici poteri; nonch�, infine, 
sulla applicabilit�, o meno, di tali istituti ad una fattispecie specifica posta, 
in via pregiudiziale, da un giudice tedesco. 
In sintesi, la vicenda sottostante, sollevata dal giudice del rinvio, riguardava 
la vendita di un terreno da una pubblica amministrazione (comune tedesco) 
ad un soggetto privato (GSSI) che, successivamente, avrebbe dovuto 
eseguire alcuni lavori finalizzati a perseguire obiettivi di sviluppo urbanistico 
definiti dall�amministrazione stessa. Un�altra impresa (Muller) interessata all�acquisto, 
aveva ritenuto che la vendita non dovesse essere considerata valida 
proprio perch� in violazione delle norme comunitarie sull�appalto. Infatti, non 
vi era stato alcun procedimento di aggiudicazione regolare del terreno, mentre 
la vendita di tale bene, per la sua natura pubblica, avrebbe dovuto essere sottoposta 
al diritto degli appalti pubblici. Inoltre, la vendita era nulla, visto che 
la ricorrente non era stata informata in tempo utile quale candidata all�acquisto. 
Il giudice tedesco, investito della controversia, solleva numerose questioni 
innanzi la Corte di Giustizia evidenziando i presupposti da cui esse muovono. 
In base alla sua visione, alla GSSI sarebbe stata affidata una concessione di 
lavori pubblici (con la quale, secondo tale giudice, non sarebbe in contrasto 
l�acquisizione del diritto di propriet� da parte della GSSI medesima) e quindi, 
si sarebbero dovute applicare le pertinenti disposizioni del diritto comunitario. 
Difatti, la preoccupazione maggiore � che alcuni soggetti possano acquisire 
una posizione di vantaggio senza essere stati prima collocati in una situazione 
di parit� rispetto ad altri soggetti potenzialmente interessati ad acquisire tale 
posizione. Nel caso in esame, poi, la posizione di vantaggio sarebbe avvalorata 
dall�aumento di valore del terreno derivante dal permesso, dato dalla pubblica 
amministrazione stessa, a realizzare alcune attivit� edilizie. Sembra chiaro ci� 
che si chiede il giudice tedesco, ossia �se altera o meno la concorrenza, una 
scelta urbanistica che, privilegiando alcuni terreni e non altri, consente ad 
un determinato operatore economico un apporto di ricchezza che favorisce 
oggettivamente il suo programma di investimenti� (1). 
(1) Il corsivo � tratto dalle osservazioni presentate dall�Avvocatura Generale dello Stato nell�interesse 
del Governo italiano.
70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Appare altres� evidente, tuttavia, come accettare tale posizione significa 
ammettere l�ipotesi, per quanto assurda, di sottoporre alle regole della direttiva 
ogni attivit� di disciplina urbanistica: per definizione, infatti, i provvedimenti 
che disciplinano le possibilit� di realizzare opere edilizie modificano, in maniera 
anche sostanziale, il valore dei terreni ai quali fanno riferimento. Se tutti 
tali provvedimenti fossero configurati come delle concessioni ovviamente ci� 
comporterebbe delle conseguenze non irrilevanti. 
Ad ogni modo, la Corte adita ha esaminato minuziosamente ogni singola 
questione pregiudiziale posta dal giudice del rinvio. 
Con la prima e la seconda questione il giudice tedesco chiede se, affinch� 
si configuri appalto pubblico ex direttiva 2004/18, sia necessario che l�oggetto 
dell�appalto sia un bene materialmente acquisito dalla p.a. e rappresenti per 
essa un�utilit� economica diretta e se, in caso di risposta affermativa, tale acquisizione 
possa essere ravvisata nel semplice perseguimento di un fine pubblico 
(come ad esempio la regolamentazione in materia urbanistica). Al di l� 
delle diverse posizioni delle parti intervenute in giudizio (Governo tedesco ed 
austriaco, Commissione, Governo dei Paesi Bassi, Avvocato Generale) senz�altro 
interessanti, ma per le quali si fa rinvio, � importante rammentare le 
conclusioni chiare della Corte. Secondo il giudice comunitario �il semplice 
esercizio delle competenze di regolamentazione in materia urbanistica� non 
ha ad oggetto l�ottenimento di una prestazione contrattuale n� la soddisfazione 
dell�interesse economico diretto dell�amministrazione aggiudicatrice, come 
richiesto dall�art. 1 n. 2 lett. a) della direttiva 2004/18 � (secondo cui, ricordiamo, 
gli appalti pubblici sono contratti a titolo oneroso). Inoltre, l�esercizio 
di competenze di regolamentazione in materia urbanistica non configura un 
perseguimento dell�interesse e conomico diretto dell�amministrazione (quindi 
non si concretizza la condizione di cui all�art. 1 n.2 lett. b) direttiva 2004/18) 
e quindi non si realizza l�ipotesi di sussumere la regolamentazione in materia 
urbanistica nelle fattispecie previste dall�art. 1 n. 2 lett. a) e b) della direttiva 
2004/18 che identificano rispettivamente le peculiarit� degli appalti pubblici 
e degli appalti pubblici di lavori. 
Con la terza e la quarta questione il giudice del rinvio chiede se sia essenziale, 
nell�appalto pubblico di lavori, il fatto che l�appaltatore si obblighi 
alla realizzazione delle opere e dei lavori e che tale obbligo sia esigibile in 
sede giurisdizionale. A tale interrogativo la Corte d� risposta affermativa specificando 
che l�esigibilit� in sede giurisdizionale dipende dalle �modalit� stabilite 
dal diritto nazionale�. 
La quinta e sesta questione pregiudiziale sono relative alla sola terza �variante� 
della nozione di appalto di lavori (esecuzione con qualsiasi mezzo di 
un�opera rispondente ad esigenze specificate dell�amministrazione aggiudicatrice). 
In particolare si chiede se le �esigenze specificate dall�amministrazione 
aggiudicatrice� consistano nel fatto che la p.a. ha il potere di garantire
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 71 
che le opere da realizzare rispondano ad un interesse pubblico oppure nel potere 
riconosciuto alla p.a. di esaminare ed approvare i progetti edilizi. Tali questioni 
traggono origine dal fatto che nella causa principale la p.a. aggiudicatrice 
(il comune tedesco) si � limitata ad esprimere la propria disponibilit� ad esaminare 
il progetto proposto dall�impresa (GSSI) e ad avviare un procedimento 
allo scopo di redigere un piano regolatore corrispondente. Alla luce della normativa 
in esame, la Corte ha per� stabilito che le esigenze di cui sopra �non 
possono consistere nel semplice fatto che un�autorit� pubblica esamini taluni 
progetti di costruzione che le sono sottoposti ovvero assuma una decisione 
nell�esercizio delle sue competenze in materia di regolamentazione urbanistica� 
dando cos� risposta negativa al quesito. 
Con la settima questione, viene sollevata dall�Oberlandesgericht Dusseldorf 
una problematica molto interessante. Si chiede, infatti, se si possa configurare 
una concessione di lavori pubblici ai sensi della direttiva 2004/18 
qualora il �concessionario� sia titolare di un diritto di propriet� che gi� di per 
s� gli conferisce il diritto di utilizzare il bene oggetto della concessione. 
Quindi, pi� in generale si chiede l�ammissibilit�, in base al diritto comunitario, 
di una concessione di durata illimitata e della compatibilit� del diritto di propriet� 
con una concessione di lavori pubblici. Sul punto diverse sono state le 
posizioni assunte dalle parti intervenute in giudizio. La conclusione a cui 
giunge il giudice comunitario, dopo un�accurata disamina degli elementi peculiari 
della concessione e del diritto di propriet�, � di ritenere che �in circostanze 
quali quelle della causa principale, � escluso che ricorra una 
concessione di lavori pubblici� (quindi vi � incompatibilit� tra l�esistenza di 
un diritto di propriet� ed una concessione) e che �l�attribuzione di concessioni 
senza limiti temporali sarebbe contraria all�ordinamento giuridico dell�Unione�. 
Infine, con le ultime due questioni (l�ottava e la nona) si chiede se la disciplina 
della direttiva 2004/18 debba trovare applicazione gi� a partire dal 
momento in cui la p.a., pur non avendo ancora formalmente deciso di procedere 
all�aggiudicazione di un appalto pubblico, cede un terreno con l�intenzione 
di aggiudicare poi un appalto relativo ad esso. Inoltre, si chiede se � 
possibile considerare come un tutt�uno, sotto il profilo giuridico, la cessione 
del terreno e la successiva aggiudicazione. Nel caso di specie, le circostanze 
della causa principale non confermano, secondo il Giudice comunitario, l�esistenza 
dei presupposti per una simile applicazione della detta direttiva. Infatti, 
come rilevato dal governo francese, intervenuto in giudizio, �le parti della 
causa principale non hanno assunto alcun obbligo giuridicamente vincolante� 
e le intenzioni assunte non rappresentano obblighi vincolanti, n� possono in 
alcun modo soddisfare il requisito di contratto scritto richiesto dalla nozione 
stessa di appalto pubblico. Alla luce di ci� la Corte di Giustizia ha risolto la 
questione dichiarando che �in circostanze quali quelle della causa principale,
72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
le disposizioni della direttiva 2004/18 non trovano applicazione in una situazione 
in cui un�autorit� pubblica venda un terreno ad un�impresa, laddove 
un�altra autorit� pubblica abbia intenzione di indire un appalto di lavori su 
detto terreno, pur non avendo ancora formalmente deciso di procedere all�aggiudicazione 
di tale appalto�. 
Il caso in esame ha fornito l�opportunit� alla giurisprudenza europea di 
analizzare un�ipotesi giuridica che, se fosse stata accettata secondo la visione, 
assolutamente notabile, acuta e lungimirante, del giudice del rinvio, avrebbe, 
di certo, smosso non di poco gli equilibri, anche nazionali, in tema di appalti 
pubblici e in tema di concessioni da parte della p.a. Le soluzioni a cui giunge 
la Corte sono state precise e di certo hanno il merito, non solo di fornire una 
lettura pi� chiara e facilitata della normativa in esame (direttiva 2004/18), ma 
soprattutto di ridare il giusto equilibrio alle argomentazioni giuridiche senza 
permettere un�alterazione dello status quo normativo. 
Dott.ssa Adele Cecilia Tedeschi* 
Corte di giustizia (Terza Sezione) sentenza del 25 marzo 2010 nella causa C-451/08 - 
Pres. e Rel. J.N. Cunha Rodrigues, Avv. gen. P. Mengozzi - Domanda di pronuncia pregiudiziale 
proposta dall�Oberlandesgericht D�sseldorf (Germania) - Helmut M�ller GmbH/Bundesanstalt 
f�r Immobilienaufgaben - Intervento Governo italiano (avv. Stato G. Fiengo). 
�Procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori � Appalti pubblici di lavori � 
Nozione � Vendita da parte di un ente pubblico di un terreno su cui l�acquirente intende eseguire 
successivamente taluni lavori � Lavori rispondenti ad obiettivi di sviluppo urbanistico 
definiti da un ente pubblico territoriale� 
(Omissis) 
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione della nozione di �appalto 
pubblico di lavori� ai sensi della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 
marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli 
appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114). 
2 Tale domanda � stata presentata nell�ambito di una controversia che oppone la Helmut 
M�ller GmbH (in prosieguo: la �Helmut M�ller�) alla Bundesanstalt f�r Immobilienaufgaben 
(amministrazione federale per le questioni immobiliari, in prosieguo: la �Bundesanstalt�), 
vertente sulla vendita da parte di quest�ultima di un terreno sul quale l�acquirente doveva eseguire 
successivamente taluni lavori tesi a perseguire obiettivi di sviluppo urbanistico definiti 
da un ente pubblico territoriale, nella fattispecie il Comune di Wildeshausen. 
(*) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato.
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 73 
Contesto normativo 
La normativa dell�Unione 
3 Ai sensi del secondo �considerando� della direttiva 2004/18: 
�L�aggiudicazione degli appalti negli Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici 
territoriali e di altri organismi di diritto pubblico � subordinata al rispetto dei principi del trattato 
[CE] ed in particolare ai principi della libera circolazione delle merci, della libert� di stabilimento 
e della libera prestazione dei servizi, nonch� ai principi che ne derivano, quali i 
principi di parit� di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento reciproco, di proporzionalit� 
e di trasparenza. Tuttavia, per gli appalti pubblici con valore superiore ad una 
certa soglia � opportuno elaborare disposizioni di coordinamento comunitario delle procedure 
nazionali di aggiudicazione di tali appalti fondate su tali principi, in modo da garantirne gli 
effetti ed assicurare l�apertura degli appalti pubblici alla concorrenza. Di conseguenza, tali 
disposizioni di coordinamento dovrebbero essere interpretate conformemente alle norme e ai 
principi citati, nonch� alle altre disposizioni del trattato�. 
4 L�art. 1, nn. 2 e 3, della citata direttiva cos� recita: 
�2. a) Gli �appalti pubblici� sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o pi� 
operatori economici e una o pi� amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l�esecuzione 
di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva. 
b) Gli �appalti pubblici di lavori� sono appalti pubblici aventi per oggetto l�esecuzione o, 
congiuntamente, la progettazione e l�esecuzione di lavori relativi a una delle attivit� di cui all�allegato 
I o di un�opera, oppure l�esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un�opera rispondente 
alle esigenze specificate dall�amministrazione aggiudicatrice. Per �opera� si intende il risultato 
di un insieme di lavori edilizi o di genio civile che di per s� esplichi una funzione economica 
o tecnica. 
(...) 
3. La �concessione di lavori pubblici� � un contratto che presenta le stesse caratteristiche di 
un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste 
unicamente nel diritto di gestire l�opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo�. 
5 Ai sensi dell�art. 16, lett. a), della direttiva 2004/18: 
�La presente direttiva non si applica agli appalti pubblici di servizi: 
a) aventi per oggetto l�acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalit� finanziarie, 
di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni; (...)�. 
La normativa nazionale 
6 L�art. 10, n. 1, del codice delle costruzioni (Baugesetzbuch) del 23 settembre 2004 
(BGBl. 2004 I, pag. 2414; in prosieguo: il �BauGB�) cos� dispone: 
�Il Comune adotta il piano regolatore con decreto�. 
7 L�art. 12 del BauGB � cos� formulato: 
�1) Il Comune pu� determinare, mediante un piano regolatore in relazione a determinati lavori, 
la ricevibilit� di un progetto qualora il promotore, sulla base di un piano d�esecuzione 
di un progetto concordato con il Comune nonch� sulla base di misure di sviluppo (piano di 
progetto e di sviluppo), sia disposto a impegnarsi, e effettivamente si impegni, ad attuarlo 
entro un certo termine e a sostenerne, in tutto o in parte, le spese di pianificazione e di sviluppo 
prima della decisione ai sensi dell�art. 10, n. 1 (contratto d�esecuzione). (...) 
(...) 
3 a) Laddove un piano regolatore relativo a determinati lavori stabilisca, attraverso la determinazione 
di un�area edificabile (...) o in altro modo una destinazione delle opere (...), � ne-
74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
cessario (...) prevedere che, nell�ambito delle destinazioni stabilite, sono autorizzati esclusivamente 
i progetti alla cui realizzazione il promotore si � impegnato nell�ambito del contratto 
di esecuzione. (...) 
(...)�. 
Causa principale e questioni pregiudiziali 
8 La Bundesanstalt era proprietaria di un immobile denominato �caserma Wittekind�, di 
una superficie pari a quasi 24 ettari, sito a Wildeshausen (Germania). 
9 Nell�ottobre 2005 il Consiglio municipale del Comune di Wildeshausen ha deciso, nella 
prospettiva di una riutilizzazione civile dei terreni in questione � che rappresentano circa il 
3% delle superfici edificate e non edificate di detto comune � di avviare lo studio di un progetto 
di sviluppo urbano. 
10 Nell�ottobre 2006 la Bundesanstalt ha reso noto, mediante Internet e la stampa quotidiana, 
che era sua intenzione vendere la caserma Wittekind. 
11 Il 2 novembre 2006 la Helmut M�ller, un�impresa operante nel settore immobiliare, ha 
presentato un�offerta d�acquisto per un prezzo di EUR 4 milioni, subordinandola, tuttavia, 
alla stesura di un piano urbanistico basato sul suo progetto d�utilizzo dei terreni. 
12 La caserma Wittekind � stata smantellata all�inizio del 2007. 
13 Nel gennaio 2007 la Bundesanstalt ha formulato un bando di gara d�appalto allo scopo 
di cedere quanto prima tale immobile nello stato in cui si trovava. 
14 Il 9 gennaio 2007 la Helmut M�ller ha presentato un�offerta pari a EUR 400 000, che 
� stata portata a EUR 1 milione il 15 gennaio 2007. 
15 Un�altra impresa immobiliare, la Gut Spascher Sand Immobilien GmbH (in prosieguo: 
la �GSSI�), all�epoca in corso di formazione, ha presentato un�offerta pari a EUR 2,5 milioni. 
16 Sono state presentate due ulteriori offerte. 
17 Secondo una perizia prodotta dalla Bundesanstalt dinanzi al giudice del rinvio, il valore 
dei terreni in questione era pari, al 1� maggio 2007, ad EUR 2,33 milioni. 
18 Secondo la decisione di rinvio, il Comune di Wildeshausen si � fatto presentare i progetti 
degli offerenti, in presenza della Bundesanstalt, e ne ha discusso con questi ultimi. 
19 Nel frattempo, la Bundesanstalt avrebbe valutato i progetti della Helmut M�ller nonch� 
della GSSI e avrebbe manifestato la propria preferenza per il progetto di quest�ultima per ragioni 
urbanistiche, considerando che tale progetto implicasse una crescita di attrattiva per il 
Comune di Wildeshausen, e l�avrebbe comunicato alla GSSI stessa. 
20 Sarebbe stato quindi deciso di cedere il bene solo dopo che il Consiglio municipale del 
Comune di Wildeshausen avesse approvato progetto. La Bundesanstalt avrebbe affermato che 
intendeva rimettersi alla decisione del Comune di Wildeshausen. 
21 Sempre secondo la decisione di rinvio, il Consiglio municipale del Comune di Wildeshausen 
si � pronunciato in favore del progetto della GSSI e, in data 24 maggio 2007, ha 
deciso segnatamente quanto segue: 
�Il Consiglio del Comune di Wildeshausen � disposto a esaminare il progetto presentato dal 
sig. R. [l�amministratore della GSSI] e ad avviare un procedimento ai fini della formulazione 
di un piano regolatore corrispondente (...). 
La legge non conferisce alcun diritto ad ottenere la formulazione di un piano regolatore (eventualmente 
collegato ad un progetto). 
La legge vieta [al Comune di Wildeshausen] di assumere impegni vincolanti in materia di 
edificabilit� o di vincolare il proprio potere discrezionale (che � peraltro giuridicamente circoscritto) 
prima della conclusione di un regolare procedimento di pianificazione urbanistica.
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 75 
Le decisioni precedenti non vincolano dunque in alcun modo il piano urbanistico del [Comune 
di Wildeshausen]. 
Il promotore e gli altri soggetti interessati al progetto assumono i rischi collegati alle spese di 
pianificazione e di altro genere�. 
22 Subito dopo tale decisione del 24 maggio 2007, il Consiglio municipale del Comune di 
Wildeshausen ha ritirato la decisione da esso assunta, nell�ottobre 2005, riguardante l�avvio 
di studi preliminari urbanistici. 
23 Con contratto stipulato in forma notarile in data 6 giugno 2007 la Bundesanstalt, con il 
consenso del Comune di Wildeshausen, ha venduto alla GSSI la caserma Wittekind. Essa ne 
ha informato la Helmut M�ller il 7 giugno 2007. Nel gennaio 2008 la GSSI � stata iscritta nel 
registro immobiliare quale proprietaria del bene in oggetto. Con contratto stipulato in forma 
notarile il 15 maggio 2008 la Bundesanstalt e la GSSI hanno confermato il contratto di vendita 
del 6 giugno 2007. 
24 La Helmut M�ller ha proposto ricorso dinanzi alla Vergabekammer (giudice competente 
in primo grado in materia di appalti pubblici) sostenendo che non vi era stato alcun procedimento 
di aggiudicazione regolare, bench� la vendita di tale caserma fosse sottoposta al diritto 
degli appalti pubblici. La Helmut M�ller ha affermato che il contratto di vendita era nullo dal 
momento che essa non era stata informata in tempo utile quale candidata all�acquisto del terreno. 
25 La Vergabekammer ha dichiarato il ricorso irricevibile in quanto, in sostanza, alla GSSI 
non era stato attribuito alcun appalto di lavori. 
26 La Helmut M�ller ha interposto appello avverso tale decisione di rigetto dinanzi all�Oberlandesgericht 
D�sseldorf adducendo che, date le circostanze, si doveva ritenere che la 
GSSI avesse ottenuto un appalto di lavori sotto forma di una concessione di lavori. Secondo 
la Helmut M�ller, le decisioni rilevanti erano state assunte consensualmente dalla Bundesanstalt 
e dal Comune di Wildeshausen. 
27 L�Oberlandesgericht D�sseldorf � incline ad ammettere tale argomentazione. Detto giudice 
ritiene che, in un futuro non troppo lontano, ma che non pu� ancora essere precisato, il 
Comune di Wildeshausen eserciter� il suo potere discrezionale redigendo un piano regolatore 
in relazione a determinati lavori ai sensi dell�art. 12 del BauGB e aggiudicando alla GSSI un 
contratto d�esecuzione ai sensi di questo stesso articolo, attribuendo in tal modo alla GSSI un 
appalto pubblico di lavori. 
28 Posto che il Comune di Wildeshausen non sar� tenuto a versare alcuna remunerazione, 
detto giudice ritiene che tale appalto pubblico di lavori dovrebbe essere aggiudicato nella 
forma giuridica di una concessione di lavori pubblici e che la GSSI dovrebbe sostenere il rischio 
economico inerente a tale operazione. Per questo stesso giudice, il trasferimento della 
propriet� del terreno e l�attribuzione di un appalto pubblico di lavori dovrebbero essere considerati 
come un tutt�uno dal punto di vista del diritto degli appalti pubblici. Le incombenze 
spettanti alla Bundesanstalt e al Comune di Wildeshausen sarebbero semplicemente spostate 
nel tempo. 
29 L�Oberlandesgericht D�sseldorf aggiunge di aver assunto la stessa posizione in altre 
controversie di cui � stato investito, e segnatamente nella sua decisione 13 giugno 2007 riguardante 
il terreno d�aviazione di Ahlhorn (Germania). La sua analisi non sarebbe stata tuttavia 
unanimemente condivisa, dal momento che le concezioni prevalenti tra i giudici tedeschi 
vanno in un�altra direzione. Inoltre, secondo la decisione di rinvio, il governo federale tedesco 
era sul punto di modificare la legislazione tedesca in senso contrario alla posizione prospettata
76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
da detto giudice. 
30 Il progetto di legge evocato dal giudice del rinvio prevedeva di apportare alcune precisazioni 
alla definizione della nozione di �appalti pubblici di lavori� di cui all�art. 99, n. 3, 
della legge sulle restrizioni alla concorrenza (Gesetz gegen Wettbewerbsbeschr�nkungen), 
del 15 luglio 2005 (BGBl. 2005 I, pag. 2114) nei seguenti termini, ove le modifiche previste 
sono riportate in corsivo: 
�Gli appalti di lavori sono contratti aventi ad oggetto l�esecuzione, ovvero la progettazione e 
l�esecuzione insieme, per l�amministrazione aggiudicatrice, di lavori o di un�opera che sia il 
risultato di lavori edilizi o di genio civile che di per s� esplichi una funzione economica o tecnica, 
o di un�opera che presenti un interesse economico diretto per l�amministrazione aggiudicatrice 
e che sia eseguita da terzi in conformit� alle esigenze da questa precisate�. 
31 Sarebbe stato altres� previsto di completare l�art. 99 di tale legge con un nuovo n. 6, 
contenente la seguente definizione della concessione di lavori pubblici: 
�Una concessione di lavori � un contratto avente ad oggetto l�esecuzione di un appalto di lavori 
in cui il corrispettivo dei lavori consiste non gi� in una remunerazione, bens� nel diritto 
di gestire l�installazione per un periodo determinato o, eventualmente, in tale diritto accompagnato 
da un prezzo�. 
32 Poco tempo dopo la proposizione della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, 
simili modifiche sono state adottate nell�ambito della legge sulla modernizzazione del diritto 
degli appalti pubblici (Gesetz zur Modernisierung des Vergaberechts) del 20 aprile 2009 
(BGBl. 2009 I, pag. 790). 
33 In tale contesto, l�Oberlandesgericht D�sseldorf ha deciso di sospendere il procedimento 
e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
�1) Se ai fini della sussistenza di un appalto pubblico di lavori ai sensi dell�art. 1, n. 2, lett. 
b), della [direttiva 2004/18], occorra che l�opera, intesa in senso oggettivo o materiale, sia acquisita 
dall�amministrazione aggiudicatrice e costituisca per essa un vantaggio economico diretto. 
2) Nel caso in cui la definizione dell�appalto pubblico di lavori di cui all�art. 1, n. 2, lett. b), 
della direttiva 2004/18 non consenta di prescindere dall�elemento dell�acquisizione: se, nell�ambito 
della seconda variante di tale disposizione, debba ammettersi che si ha un�acquisizione 
allorch� per l�amministrazione aggiudicatrice i lavori siano funzionali al 
soddisfacimento di un determinato scopo pubblico (per esempio, contribuiscono allo sviluppo 
urbanistico di una parte del territorio comunale) e dall�appalto scaturisca per l�amministrazione 
aggiudicatrice la facolt� di assicurare che lo scopo pubblico sia raggiunto e che l�opera 
permanga in futuro al servizio di tale scopo. 
3) Se la nozione di appalto pubblico di lavori, nella prima e seconda variante di cui all�art. 1, 
n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18, richieda che l�imprenditore si obblighi direttamente o 
indirettamente all�esecuzione delle opere, e, eventualmente, che si tratti di un obbligo giuridicamente 
esigibile. 
4) Se la nozione di appalto pubblico di lavori, nella terza variante di cui all�art. 1, n. 2, lett. 
b), della direttiva 2004/18, richieda che l�imprenditore si obblighi all�esecuzione di opere oppure 
che queste ultime costituiscano l�oggetto dell�appalto. 
5) Se rientrino nella nozione di appalto pubblico di lavori di cui alla terza variante dell�art. 
1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18 gli appalti attraverso i quali, tramite le esigenze specificate 
dall�amministrazione aggiudicatrice, deve essere garantito che l�opera da realizzare sia 
al servizio di uno scopo pubblico, e attraverso i quali viene conferita all�aggiudicatrice (in
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 77 
forza di una clausola contrattuale) la facolt� di assicurare (nel proprio interesse indiretto) la 
destinazione pubblica dell�opera. 
6) Se la condizione delle �esigenze specificate dall�amministrazione aggiudicatrice� di cui 
all�art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18 sia soddisfatta quando i lavori devono essere 
eseguiti conformemente a progetti esaminati ed approvati dall�amministrazione aggiudicatrice. 
7) Se debba escludersi la sussistenza di una concessione di lavori pubblici ai sensi dell�art. 1, 
n. 3, della direttiva 2004/18 qualora il concessionario sia o divenga proprietario dell�immobile 
sul quale l�opera deve essere realizzata, oppure qualora la concessione di lavori venga rilasciata 
a tempo indeterminato. 
8) Se la direttiva 2004/18 debba applicarsi � con il conseguente obbligo per l�amministrazione 
aggiudicatrice di indire una gara � anche nel caso in cui la cessione di un immobile ad opera 
di un terzo e l�aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori avvengono in forma differita, 
qualora al momento della stipulazione del negozio giuridico concernente l�immobile l�appalto 
pubblico di lavori non sia stato ancora aggiudicato, ma l�amministrazione aggiudicatrice si 
sia gi� prefissata l�obiettivo di aggiudicare tale appalto. 
9) Se due negozi giuridici, aventi ad oggetto rispettivamente la cessione di beni immobili e 
un appalto pubblico di lavori, che sono distinti tra loro, eppure connessi, debbano essere valutati 
come un insieme unitario dal punto di vista della normativa sugli appalti nel caso in cui, 
al momento della stipulazione del contratto di cessione di beni immobili, l�aggiudicazione di 
un appalto pubblico di lavori fosse gi� prevista, e le parti contraenti avessero consapevolmente 
messo in atto una stretta connessione tra i contratti dal punto di vista materiale e, eventualmente, 
temporale (v. sentenza 10 novembre 2005, causa C.29/04, Commissione/Austria, Racc. 
pag. I.9705)�. 
Sulle questioni pregiudiziali 
Osservazioni preliminari 
34 Nella maggior parte delle versioni linguistiche della direttiva 2004/18 la nozione di 
�appalti pubblici di lavori� prevista dall�art. 1, n. 2, lett. b), della stessa, comprende tre ipotesi. 
La prima consiste nell�esecuzione, eventualmente accompagnata dalla progettazione, di lavori 
di costruzione rientranti in una delle categorie di cui all�allegato I della direttiva stessa. La 
seconda ipotesi riguarda l�esecuzione, eventualmente accompagnata dalla progettazione, di 
un�opera. La terza ipotesi consiste nell�esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un�opera rispondente 
alle esigenze specificate dall�amministrazione aggiudicatrice. 
35 Per �opera�, ai sensi della stessa disposizione, si intende il �risultato di un insieme di 
lavori edilizi o di genio civile che di per s� esplichi una funzione economica o tecnica�. 
36 Mentre la maggior parte delle versioni linguistiche utilizza il termine �opera� sia per 
la seconda che per la terza ipotesi, la versione tedesca utilizza due termini distinti, vale a dire 
�Bauwerk� (opera) per la seconda ipotesi e �Bauleistung� (attivit� edilizia) per la terza. 
37 Inoltre, la versione tedesca del citato art. 1, n. 2, lett. b), � l�unica che prevede che l�attivit� 
cui alla terza ipotesi debba essere realizzata non solo �con qualsiasi mezzo�, ma anche 
�ad opera di terzi� (�durch Dritte�). 
38 Secondo una giurisprudenza consolidata, la formulazione utilizzata in una delle versioni 
linguistiche di una disposizione del diritto dell�Unione non pu� essere l�unico elemento a sostegno 
dell�interpretazione di questa disposizione n� si pu� attribuire ad essa a tal riguardo 
un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Infatti, tale modo di procedere 
sarebbe in contrasto con la necessit� di applicare in modo uniforme il diritto dell�Unione. In
78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
caso di difformit� tra le diverse versioni linguistiche, la disposizione di cui trattasi deve essere 
intesa in funzione del sistema e della finalit� della normativa di cui fa parte (v. sentenze 27 
marzo 1990, causa C.372/88, Cricket St Thomas, Racc. pag. I.1345, punti 18 e 19; 12 novembre 
1998, causa C.149/97, Institute of the Motor Industry, Racc. pag. I.7053, punto 16, 
nonch� 9 ottobre 2008, causa C.239/07, Sabatauskas e a., Racc. pag. I.7523, punti 38 e 39). 
39 � alla luce di tali considerazioni che occorre risolvere le questioni sollevate dal giudice 
del rinvio. 
Sulla prima e sulla seconda questione 
40 Con le sue due prime questioni, che devono essere esaminate congiuntamente, il giudice 
del rinvio chiede, in sostanza, se la nozione di �appalti pubblici di lavori�, ai sensi dell�art. 1, 
n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18, esiga che i lavori oggetto dell�appalto siano eseguiti materialmente 
o fisicamente per l�amministrazione aggiudicatrice e nell�interesse economico diretto 
di quest�ultima, ovvero se sia sufficiente che tali lavori soddisfino un obiettivo pubblico, 
quale lo sviluppo urbanistico di una parte di un comune. 
41 Si deve precisare anzitutto che la vendita ad un�impresa, da parte di un�autorit� pubblica, 
di un terreno non edificato o contenente immobili gi� costruiti non rappresenta un appalto 
pubblico di lavori ai sensi dell�art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18. Infatti, per un verso, 
nell�ambito di un simile appalto, l�autorit� pubblica deve assumere una posizione di acquirente 
e non di venditrice. Per altro verso, l�oggetto di un tale appalto deve consistere nell�esecuzione 
di lavori. 
42 Il tenore letterale dell�art. 16, lett. a), della citata direttiva avvalora tale analisi. 
43 Pertanto � escluso che una vendita, quale, nella causa principale, la vendita della caserma 
Wittekind da parte della Bundesanstalt alla GSSI, possa rappresentare di per s� stessa un appalto 
pubblico di lavori ai sensi dell�art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18. 
44 Tali questioni proposte dal giudice del rinvio non vertono tuttavia su questo rapporto 
tra venditore e acquirente, bens� piuttosto sui rapporti tra il Comune di Wildeshausen e la 
GSSI, vale a dire tra l�autorit� pubblica competente in materia urbanistica e l�acquirente della 
caserma Wittekind. Tale giudice intende sapere se siffatti rapporti possono costituire un appalto 
pubblico di lavori ai sensi della disposizione citata. 
45 Occorre rilevare in proposito che, ai sensi dell�art. 1, n. 2, lett. a), della direttiva 2004/18, 
gli appalti pubblici sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto. 
46 La nozione di contratto � essenziale nell�ambito della definizione dell�ambito d�applicazione 
della direttiva 2004/18. Come sancito dal secondo �considerando� della direttiva medesima, 
questa ha ad oggetto l�applicazione delle norme del diritto dell�Unione 
all�aggiudicazione degli appalti per conto dello Stato, degli enti pubblici territoriali e di altri 
organismi di diritto pubblico. Altre categorie di attivit� gravanti sulle autorit� pubbliche non 
sono prese in considerazione nella citata direttiva. 
47 Inoltre, solo un contratto stipulato a titolo oneroso pu� rappresentare un appalto pubblico 
che ricade nell�ambito della direttiva 2004/18. 
48 Il carattere oneroso del contratto implica che l�amministrazione aggiudicatrice che abbia 
stipulato un appalto pubblico di lavori riceva, in base allo stesso, una prestazione a fronte di 
una contropartita. Tale prestazione consiste nella realizzazione dei lavori che l�amministrazione 
aggiudicatrice intende ottenere (v. sentenze 12 luglio 2001, causa C.399/98, Ordine 
degli Architetti e a., Racc. pag. I.5409, punto 77, nonch� 18 gennaio 2007, causa C.220/05, 
Auroux e a., Racc. pag. I.385, punto 45). 
49 Una simile prestazione, in ragione della sua stessa natura nonch� in ragione del sistema
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 79 
e degli obiettivi della direttiva 2004/18, deve implicare un interesse economico diretto per 
l�amministrazione aggiudicatrice. 
50 Detto interesse economico � chiaramente accertato ove si preveda che l�amministrazione 
aggiudicatrice divenga proprietaria dei lavori o dell�opera oggetto dell�appalto. 
51 Un siffatto interesse economico pu� altres� essere riscontrato qualora sia previsto che 
l�amministrazione aggiudicatrice disponga di un titolo giuridico che le garantisca la disponibilit� 
delle opere che sono oggetto dell�appalto, in vista della loro destinazione pubblica (v., 
in tal senso, sentenza Ordine degli Architetti e a., cit., punti 67, 71 e 77). 
52 L�interesse economico pu� inoltre risiedere nei vantaggi economici che l�amministrazione 
aggiudicatrice potr� trarre dal futuro utilizzo o dalla futura cessione dell�opera, nel fatto 
che essa abbia partecipato finanziariamente alla realizzazione dell�opera o nei rischi che essa 
assume in caso di fallimento economico dell�opera (v., in tal senso, sentenza Auroux e a., cit., 
punti 13, 17, 18 e 45). 
53 La Corte ha gi� dichiarato che una convenzione con cui una prima amministrazione aggiudicatrice 
affidi ad una seconda amministrazione aggiudicatrice la realizzazione di un�opera 
pu� costituire un appalto pubblico di lavori, indipendentemente dal fatto che sia o meno previsto 
che la prima amministrazione aggiudicatrice sia o divenga proprietaria in tutto o in parte 
di tale opera (sentenza Auroux e a., cit., punto 47). 
54 Risulta da quanto precede che la nozione di �appalti pubblici di lavori�, ai sensi dell�art. 
1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18, impone che i lavori oggetto dell�appalto siano eseguiti 
nell�interesse economico diretto dell�amministrazione aggiudicatrice, senza che sia necessario, 
tuttavia, che la prestazione assuma la forma dell�acquisizione di un oggetto materiale o fisico. 
55 Si pone la questione se tali condizioni siano soddisfatte ove i lavori progettati mirino a 
realizzare un obiettivo pubblico di interesse generale di cui l�amministrazione aggiudicatrice 
abbia l�obbligo di garantire il rispetto, quale lo sviluppo o la coerenza urbanistica di una parte 
di un comune. 
56 Negli Stati membri dell�Unione europea, l�esecuzione di lavori edili, quanto meno laddove 
si tratti di lavori di una certa portata, devono normalmente costituire oggetto di un�autorizzazione 
preliminare dell�autorit� pubblica competente in materia urbanistica. Tale autorit� 
� chiamata a verificare, nell�esercizio delle sue competenze di regolamentazione, se l�esecuzione 
dei lavori sia conforme all�interesse pubblico. 
57 Orbene, il semplice esercizio delle competenze di regolamentazione in materia urbanistica, 
volte alla realizzazione dell�interesse generale, non ha ad oggetto l�ottenimento di una 
prestazione contrattuale n� la soddisfazione dell�interesse economico diretto dell�amministrazione 
aggiudicatrice, come richiesto dall�art. 1, n. 2, lett. a), della direttiva 2004/18. 
58 Di conseguenza, la prima e la seconda questione devono essere risolte nel senso che la 
nozione di �appalti pubblici di lavori�, ai sensi dell�art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18, 
non esige che i lavori oggetto dell�appalto siano eseguiti materialmente o fisicamente per 
l�amministrazione aggiudicatrice, ove tali lavori siano eseguiti nell�interesse economico diretto 
di tale amministrazione. L�esercizio, da parte di quest�ultima, di competenze di regolamentazione 
in materia urbanistica non � sufficiente a soddisfare quest�ultima condizione. 
Sulla terza e sulla quarta questione 
59 Con la sua terza e quarta questione, che devono essere esaminate congiuntamente, il 
giudice del rinvio chiede in sostanza se la nozione di �appalti pubblici di lavori�, ai sensi dell�art. 
1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18, esiga che l�aggiudicatario assuma direttamente
80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
o indirettamente l�obbligo di realizzare i lavori che sono oggetto dell�appalto e che tale obbligo 
sia esigibile in sede giurisdizionale. 
60 Come rammentato ai punti 45 e 47 di questa sentenza, l�art. 1, n. 2, lett. a), della direttiva 
2004/18 definisce l�appalto pubblico di lavori come un contratto a titolo oneroso. Tale nozione 
si basa sull�idea che l�aggiudicatario si impegni a realizzare la prestazione che � oggetto del 
contratto a fronte di un corrispettivo. Stipulando un appalto pubblico di lavori, l�aggiudicatario 
si impegna quindi ad eseguire o a far eseguire i lavori che ne rappresentano l�oggetto. 
61 � irrilevante che l�aggiudicatario esegua i lavori direttamente ovvero ricorrendo a subappaltatori 
(v., in tal senso, citate sentenze Ordine degli Architetti e a., punto 90, nonch� Auroux 
e a., punto 44). 
62 Posto che gli obblighi derivanti dall�appalto sono giuridicamente vincolanti, la loro 
esecuzione deve poter essere esigibile in sede giurisdizionale. In mancanza di una disciplina 
prevista dal diritto dell�Unione, e in conformit� al principio di autonomia procedurale, le modalit� 
di esecuzione di simili obblighi sono lasciate al diritto nazionale. 
63 Di conseguenza, la seconda e la terza questione vanno risolte affermando che la nozione 
di �appalti pubblici di lavori�, ai sensi dell�art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18, richiede 
che l�aggiudicatario assuma direttamente o indirettamente l�obbligo di realizzare i lavori che 
sono oggetto dell�appalto e che l�esecuzione di tale obbligo sia esigibile in sede giurisdizionale 
secondo le modalit� stabilite dal diritto nazionale. 
Sulla quinta e sulla sesta questione 
64 Con la quinta e la sesta questione, da esaminarsi congiuntamente, il giudice del rinvio 
chiede, in sostanza, se le �esigenze specificate dall�amministrazione aggiudicatrice�, ai sensi 
della terza ipotesi contemplata dall�art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18, possano consistere 
o nel fatto che l�amministrazione aggiudicatrice eserciti la competenza di assicurarsi 
che l�opera da realizzare risponda a un interesse pubblico, ovvero nell�esercizio della competenza 
riconosciuta all�amministrazione aggiudicatrice di verificare ed approvare i progetti di 
costruzione. 
65 Tali questioni traggono origine dal fatto che, nella causa principale, la presunta amministrazione 
aggiudicatrice, vale a dire il Comune di Wildeshausen, non ha redatto alcun capitolato 
d�oneri riguardante un�opera da realizzarsi sui terreni della caserma Wittekind. Ai sensi 
della decisione di rinvio, tale Comune si � limitato ad affermare di essere disposto ad esaminare 
il progetto proposto dalla GSSI e ad avviare un procedimento allo scopo di redigere un 
piano regolatore corrispondente. 
66 Orbene, nell�ambito della terza ipotesi enunciata dall�art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 
2004/18, si prevede che gli appalti pubblici di lavori abbiano ad oggetto la realizzazione di 
un��opera rispondente alle esigenze specificate dall�amministrazione aggiudicatrice�. 
67 Per potersi ammettere che un�amministrazione aggiudicatrice abbia specificato le proprie 
esigenze ai sensi di tale disposizione, � necessario che quest�ultima abbia adottato provvedimenti 
allo scopo di definire le caratteristiche dell�opera o, quantomeno, allo scopo di esercitare 
un�influenza determinante sulla progettazione della stessa. 
68 Il semplice fatto che un�autorit� pubblica, nell�esercizio delle sue competenze in materia 
di regolamentazione urbanistica, esamini taluni progetti di costruzione che le sono sottoposti 
o che assuma una decisione in applicazione di competenze in tale materia non soddisfa il requisito 
relativo alle �esigenze specificate dall�amministrazione aggiudicatrice �, ai sensi di 
tale disposizione. 
69 Pertanto, la quinta e la sesta questione devono essere risolte dichiarando che le �esigenze
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 81 
specificate dall�amministrazione aggiudicatrice�, ai sensi della terza ipotesi contemplata dall�art. 
1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18, non possono consistere nel semplice fatto che 
un�autorit� pubblica esamini taluni progetti di costruzione che le sono sottoposti ovvero assuma 
una decisione nell�esercizio delle sue competenze in materia di regolamentazione urbanistica. 
Sulla settima questione 
70 Con la sua settima questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se una concessione 
di lavori pubblici, ai sensi dell�art. 1, n. 3, della direttiva 2004/18, sia da escludersi qualora 
l�unico operatore cui la concessione pu� essere attribuita sia gi� proprietario del terreno su 
cui l�opera deve essere edificata o qualora la concessione sia stata attribuita senza limiti temporali. 
71 Ai sensi dell�art. 1, n. 3, della direttiva 2004/18, la concessione di lavori pubblici Ǐ un 
contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione 
del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l�opera o in 
tale diritto accompagnato da un prezzo�. 
72 Affinch� un�amministrazione aggiudicatrice possa trasferire alla sua controparte il diritto 
di gestire un�opera ai sensi di tale disposizione, � necessario che tale amministrazione possa 
disporre della gestione dell�opera stessa. 
73 Ci� non avviene, di norma, qualora il diritto di gestione abbia come unica origine il diritto 
di propriet� dell�operatore interessato. 
74 Infatti, il proprietario di un terreno ha il diritto di gestirlo nel rispetto delle norme giuridiche 
vigenti. Fintantoch� un operatore disponga del diritto di gestire il terreno di cui � il 
proprietario, risulta essere esclusa, in linea di principio, la possibilit� che un�autorit� pubblica 
attribuisca una concessione avente ad oggetto la gestione stessa. 
75 Si deve inoltre rilevare che l�elemento essenziale della concessione risiede nel fatto che 
il concessionario sopporta esso stesso il rischio economico principale o, in ogni caso, sostanziale, 
collegato alla gestione (v. in tal senso, in materia di concessione di servizi pubblici, sentenza 
10 settembre 2009, causa C.206/08, Eurawasser, non ancora pubblicata nella Raccolta, 
punti 59 e 77). 
76 La Commissione delle Comunit� europee sostiene che tale rischio pu� consistere nell�incertezza 
dell�imprenditore quanto alla questione se il servizio urbanistico dell�ente territoriale 
in questione approver� o meno i suoi progetti. 
77 Tale argomento non pu� essere accolto. 
78 In una situazione quale quella evocata dalla Commissione, il rischio sarebbe collegato 
alle competenze di regolamentazione dell�amministrazione aggiudicatrice in materia urbanistica 
e non al rapporto contrattuale derivante dalla concessione. Di conseguenza, il rischio 
non sarebbe collegato alla gestione. 
79 In ogni caso, per quanto riguarda la durata delle concessioni, seri motivi � tra i quali vi 
�, in particolare, il mantenimento della concorrenza � inducono a ritenere che l�attribuzione 
di concessioni senza limiti temporali sarebbe contraria all�ordinamento giuridico dell�Unione, 
come rilevato dall�avvocato generale ai paragrafi 96 e 97 delle sue conclusioni (v., nello stesso 
senso, sentenza 19 giugno 2008, causa C.454/06, pressetext Nachrichtenagentur, Racc. pag. 
I.4401, punto 73). 
80 Si deve quindi risolvere la settima questione nel senso che, in circostanze quali quelle 
della causa principale, � escluso che ricorra una concessione di lavori pubblici ai sensi dell�art. 
1, n. 3, della direttiva 2004/18.
82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Sull� ottava e sulla nona questione 
81 L�ottava e la nona questione del giudice del rinvio sono da esaminarsi congiuntamente. 
Tale giudice, con la sua ottava questione, chiede in sostanza se le disposizioni della direttiva 
2004/18 trovino applicazione qualora un�autorit� pubblica venda un terreno ad un�impresa, 
mentre un�altra autorit� pubblica abbia intenzione di indire un appalto di lavori su detto terreno, 
pur non avendo ancora formalmente deciso di procedere all�aggiudicazione di tale appalto. 
La nona questione verte sulla possibilit� di considerare come un tutt�uno, dal punto di 
vista giuridico, la vendita del terreno e l�aggiudicazione successiva di un appalto di lavori riguardante 
il terreno stesso. 
82 A tal proposito, � corretto non escludere ab initio l�applicazione della direttiva 2004/18 
ad un procedimento d�attribuzione in due fasi, caratterizzato dalla vendita di un terreno che 
sar� successivamente oggetto di un appalto di lavori, considerando tali operazioni come un 
tutt�uno. 
83 Tuttavia, le circostanze della causa principale non confermano l�esistenza dei presupposti 
per una simile applicazione della detta direttiva. 
84 Come rilevato dal governo francese nelle sue osservazioni scritte, le parti nella causa 
principale non hanno assunto alcun obbligo giuridicamente vincolante. 
85 Anzitutto, il Comune di Wildeshausen e la GSSI non hanno sottoscritto alcun obbligo 
di tale natura. 
86 Inoltre, la GSSI non ha assunto alcun obbligo di realizzare il progetto di ripristino del 
terreno acquistato. 
87 Infine, i contratti di vendita in forma notarile non contengono alcun elemento dell�aggiudicazione 
che sia assimilabile a un appalto pubblico di lavori. 
88 Le intenzioni desumibili dal fascicolo non rappresentano obblighi vincolanti e non possono 
in alcun modo soddisfare il requisito di contratto scritto richiesto dalla nozione stessa di 
appalto pubblico, ai sensi dell�art. 1, n. 2, lett. a), della direttiva 2004/18. 
89 L�ottava e la nona questione devono quindi essere risolte dichiarando che, in circostanze 
quali quelle della causa principale, le disposizioni della direttiva 2004/18 non trovano applicazione 
in una situazione in cui un�autorit� pubblica venda un terreno a un�impresa, laddove 
un�altra autorit� pubblica abbia intenzione di indire un appalto di lavori su detto terreno, pur 
non avendo ancora formalmente deciso di procedere all�aggiudicazione di tale appalto. 
Sulle spese 
90 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un 
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese 
sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara: 
1) La nozione di �appalti pubblici di lavori�, ai sensi dell�art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 
del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al 
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture 
e di servizi, non esige che i lavori oggetto dell�appalto siano eseguiti materialmente 
o fisicamente per l�amministrazione aggiudicatrice, ove tali lavori siano eseguiti nell�interesse 
economico diretto di tale amministrazione. L�esercizio, da parte di quest�ultima, 
di competenze di regolamentazione in materia urbanistica non � sufficiente a soddisfare 
quest�ultima condizione. 
2) La nozione di �appalti pubblici di lavori� ai sensi dell�art. 1, n. 2, lett. b), della di-
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 83 
rettiva 2004/18 richiede che l�aggiudicatario assuma direttamente o indirettamente l�obbligo 
di realizzare i lavori che sono oggetto dell�appalto e che l�esecuzione di tale obbligo 
sia esigibile in sede giurisdizionale secondo le modalit� stabilite dal diritto nazionale. 
3) Le �esigenze specificate dall�amministrazione aggiudicatrice�, ai sensi della terza 
ipotesi contemplata dall�art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18, non possono consistere 
nel semplice fatto che un�autorit� pubblica esamini taluni progetti di costruzione 
che le sono sottoposti ovvero assuma una decisione nell�esercizio delle sue competenze 
in materia di regolamentazione urbanistica. 
4) In circostanze quali quelle della causa principale, � escluso che ricorra una concessione 
di lavori pubblici ai sensi dell�art. 1, n. 3, della direttiva 2004/18. 
5) In circostanze quali quelle della causa principale, le disposizioni della direttiva 
2004/18 non trovano applicazione in una situazione in cui un�autorit� pubblica venda 
un terreno a un�impresa, laddove un�altra autorit� pubblica abbia intenzione di indire 
un appalto di lavori su detto terreno, pur non avendo ancora formalmente deciso di procedere 
all�aggiudicazione di tale appalto.
84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Causa C-229/09 - Materia trattata: agricoltura - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Bundespatentgericht (Germania) il 24 
giugno 2009 - Rechtsanwaltssoziet�t Lovells/Bayer CropScience AG (avv. 
Stato M. Russo - AL 29076/09). 
LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 
Se, ai fini dell�applicazione dell�art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) 
del Parlamento europeo e del Consiglio 23 luglio 1996, n. 1610, sull�istituzione 
di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari, rilevi 
esclusivamente un�autorizzazione di immissione in commercio a norma 
dell�art. 4 della direttiva 91/414/CEE , o se un certificato possa essere rilasciato 
anche sulla base di un�autorizzazione di immissione in commercio ai 
sensi dell�art. 8, n. 1, della direttiva 91/414/CEE. 
LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA 
A. All�origine del presente contenzioso sta la normativa di cui al Regolamento 
n. 1610/96, sull�istituzione di un certificato protettivo complementare 
per i prodotti fitosanitari. 
In particolare, l�art. 3 n. 1 lett. b) di tale regolamento prevede: �Il certificato 
viene rilasciato se, nello Stato membro nel quale � presentata la domanda 
di cui all'articolo 7, e alla data di tale domanda: �b) per il prodotto, in quanto 
prodotto fitosanitario, � stata rilasciata un'autorizzazione, in vigore, di immissione 
in commercio a norma dell'articolo 4 della direttiva 91/414/CEE 
o di una disposizione equivalente di diritto nazionale� (enfasi aggiunta); 
A sua volta, l�art. 4 della Direttiva 91/414/CE disciplina i requisiti alla 
cui esistenza gli Stati membri devono subordinare la concessione di un�autorizzazione 
di immissione in commercio definitiva, segnatamente prevedendo: 
�Gli Stati membri prescrivono che un prodotto fitosanitario possa essere autorizzato 
soltanto se: a) le sue sostanze attive sono elencate nell'allegato I...�; 
lo stesso articolo prosegue prevedendo che debbano essere soddisfatti anche 
una serie di requisiti, individuati nelle successive lettere da b) ad f) (che qui 
non si riproducono per brevit�); 
B. Il giudizio a quo ha ad oggetto la pretesa, avanzata dalla societ� ricorrente, 
di annullamento del certificato complementare rilasciato ad altra societ� 
per la sostanza attiva �iodosulfuron�. La domanda di annullamento si fonda 
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 85 
sulla considerazione che detta sostanza non era coperta, all�epoca della concessione 
del certificato complementare, n� da un�autorizzazione di immissione 
in commercio rilasciata a norma dell�art. 4 della Direttiva 91/414/CE, n� da 
un�autorizzazione a norma di una disposizione equivalente di diritto nazionale, 
bens� da un�autorizzazione di immissione in commercio provvisoria, rilasciata 
a mente dell�art. 8 della citata Direttiva. Tale ultima norma consente il rilascio 
di un�autorizzazione di immissione in commercio provvisoria, stabilendo: �In 
deroga all'articolo 4, gli Stati membri possono, allo scopo di permettere una 
valutazione graduale delle propriet� delle nuove sostanze attive e facilitare 
la disponibilit� per l'agricoltura di nuovi preparati, autorizzare, per un periodo 
provvisorio non superiore a 3 anni, l'immissione in commercio di prodotti 
fitosanitari contenenti una sostanza attiva non compresa nell'allegato 
I�� (enfasi aggiunta), purch� siano soddisfatti una serie di requisiti indicati 
dalla norma stessa; 
C. Il giudice a quo dubita del fatto che tale ultimo tipo di autorizzazione 
di immissione in commercio �provvisoria� possa costituire presupposto per 
la concessione di un certificato complementare, apparentemente ostandovi il 
tenore letterale dell�art. 3 n. 1 lett. b), il quale allude solo ad un�autorizzazione 
a norma dell�art. 4. 
Tuttavia, sempre a detta del giudice rimettente, sussistono anche argomenti 
a sostegno della tesi contraria: di qui, la decisione di sottoporre alla 
Corte la questione interpretativa [suesposta]. 
** ** ** 
Il Governo italiano ritiene che un certificato protettivo complementare a 
mente del Regolamento n. 1610/96, possa essere rilasciato anche sulla base 
di un�autorizzazione di immissione in commercio ai sensi dell�art. 8 n. 1 della 
Direttiva 91/414. 
Ad illustrazione di tale posizione, si svolgono le seguenti osservazioni. 
I. Il V^ Considerando del Regolamento n. 1610/96 recita: �� il periodo 
che intercorre tra il deposito di una domanda di brevetto per un nuovo prodotto 
fitosanitario e l'autorizzazione di immissione in commercio dello stesso 
riduce la protezione effettiva conferita dal brevetto ad una durata insufficiente 
ad ammortizzare gli investimenti effettuati nella ricerca e a generare 
le risorse necessarie per mantenere una ricerca efficiente� (enfasi aggiunta). 
Il VI^ Considerando evidenzia che le circostanze esposte al Considerando 
precedente �� determinano una protezione insufficiente che penalizza la ricerca 
fitosanitaria e la competitivit� in questo settore�; il VII^ Considerando 
recita infine : �� uno degli obiettivi essenziali del certificato protettivo complementare 
� quello di porre l�industria europea nelle medesime condizioni 
di competitivit� delle omologhe industrie nordamericana e giapponese�. Ebbene, 
volendo realmente garantire il recupero di competitivit� indispensabile
86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
ad ammortizzare gli investimenti e mantenere la ricerca, cos� da superare il 
problema della riduzione della tutela brevettuale conseguente ai tempi di rilascio 
dell�autorizzazione di immissione in commercio - il certificato complementare 
dovr� - s� - garantire al titolare del brevetto una tutela aggiuntiva 
rispetto a quella assicurata dal brevetto stesso ma, soprattutto, dovr� assicurare 
una tutela che sia non solo nominale, ma effettiva. Tale considerazione fornisce 
un utile parametro di interpretazione della norma oggetto del quesito pregiudiziale, 
come meglio si illustrer� infra, al punto IV; 
II. L�VIII^ Considerando del Regolamento n. 1610/96 recita: �� il rafforzamento 
della protezione dell'ambiente impone � di mantenere la competitivit� 
economica dell'industria; � il rilascio di un certificato complementare 
di protezione pu� essere dunque considerato come una misura positiva a favore 
della protezione dell'ambiente� (enfasi aggiunta). 
Da tale statuizione sembra potersi evincere che - in quanto il certificato 
complementare costituisce �una misura positiva a favore dell�ambiente� - la 
relativa concessione debba essere (sia pure, ovviamente, nei limiti consentiti 
dalle norme vigenti) ispirata ad una logica non eccessivamente restrittiva o 
penalizzante per il richiedente, posto che la tutela dell�ambiente rappresenta 
comunque un obiettivo privilegiato, a mente dell�art. 2 del Trattato CE: �La 
Comunit� ha il compito di promuovere � un elevato livello di protezione dell'ambiente 
e il miglioramento di quest'ultimo ��. 
III. L�interpretazione restrittiva dell�art. 3 n. 1 lett. b), sostenuta dalla ricorrente 
(nel senso che un�autorizzazione di immissione in commercio �provvisoria� 
non possa costituire presupposto per la concessione di un certificato 
complementare) oltre ad essere - in linea di principio - difficilmente conciliabile 
con la natura di �misura positiva a favore dell�ambiente� propria del certificato, 
come illustrato al precedente punto, contrasta peraltro anche con una 
lettura sistematica delle norme del Regolamento n. 1610/96. 
Infatti, l�art. 13 del Regolamento in questione, nel disciplinare la durata 
del certificato, prevede, ai punti 1 e 3: �1.Il certificato ha efficacia a decorrere 
dal termine legale del brevetto di base per una durata uguale al periodo intercorso 
tra la data del deposito della domanda del brevetto di base e la data 
della prima autorizzazione di immissione in commercio nella Comunit�, ridotto 
di cinque anni. � 3. Per il calcolo della durata del certificato si tiene 
conto di una prima autorizzazione provvisoria di immissione in commercio 
soltanto se essa � direttamente seguita da un'autorizzazione definitiva relativa 
allo stesso prodotto�. La norma, dunque, nel computo della durata del certificato, 
prende in considerazione la prima autorizzazione di immissione in commercio 
e, per tale, intende anche quella provvisoria, cos� lasciando intendere 
che anche quest�ultima sia idonea a fondare il rilascio del certificato stesso. 
IV. La rilevanza dell�autorizzazione provvisoria ai fini dell�ottenimento 
del certificato, del resto, appare giustificata anche in considerazione di quanto
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 87 
si � detto al punto I, e cio� che tra le finalit� del certificato complementare vi 
� quella di offrire al titolare del brevetto una tutela aggiuntiva a quella assicurata 
dal brevetto stesso, tutela che � per avere un senso � deve essere effettiva. 
Se cos� �, allora non pu� ignorarsi che l�interesse economico del richiedente 
ad ottenere tale tutela sussiste fin dal momento della prima autorizzazione di 
immissione in commercio, anche se soltanto provvisoria, posto che l�inizio 
dello sfruttamento economico della sostanza coincide, appunto, con il rilascio 
di tale autorizzazione. Non sarebbe effettiva e reale una tutela che venisse assicurata, 
non gi� a partire dal primo sfruttamento economico sul mercato, bens� 
solo a partire dal momento (successivo) dell�ottenimento di un�autorizzazione 
di immissione in commercio definitiva. 
V. Ancora, sarebbe illogico prendere in considerazione la prima autorizzazione 
(anche se provvisoria e, come tale, cronologicamente anteriore alla 
definitiva) ai fini della determinazione della durata del certificato (art. 13 del 
Regolamento: �1.Il certificato ha efficacia a decorrere dal termine legale del 
brevetto di base per una durata uguale al periodo intercorso tra la data del 
deposito della domanda del brevetto di base e la data della prima autorizzazione 
di immissione in commercio �, ridotto di cinque anni� - enfasi aggiunta), 
e poi non considerarla anche ai fini dell�inizio della decorrenza della 
protezione economica accordata dal certificato: in sostanza, la prima autorizzazione 
provvisoria rileverebbe solo in malam partem per il richiedente, avvicinando 
il dies ad quem del termine di efficacia del certificato al relativo 
dies a quo (quindi abbreviando la durata della protezione), ma non comportando 
la contestuale anticipazione dell�inizio della tutela economica. 
VI. Si osserva ancora che, di fatto, il rilascio dell�autorizzazione definitiva 
spesso richiede tempi lunghi: ancorare ad esso il rilascio del certificato significherebbe 
esporre il titolare del brevetto di base al rischio che questo scada 
nelle more del procedimento autorizzatorio. Il richiedente ha interesse a conseguire 
il certificato prima che il brevetto venga a scadenza: diversamente, 
egli rischia di non poter pi� conseguire il certificato, che presuppone la titolarit� 
di un brevetto di base in vigore al momento di presentazione della domanda, 
ex art. 3 n. 1 lett. a) del Regolamento, il che contrasta con il fine del 
Regolamento 1610/96 individuato al punto I. 
VII. Da ultimo, preme sottolineare che - anche accedendo all�interpretazione 
estensiva dell�art. 3 n. 1 lett.b) fin qui sostenuta - sarebbe comunque 
salvo l�obiettivo di tutela dell�ambiente, dell�uomo e degli animali sotteso alla 
Direttiva 91/414/CE, concernente l�immissione in commercio di prodotti fitosanitari. 
Infatti, anche l�art. 8 di detta Direttiva � nel disciplinare l�autorizzazione 
provvisoria � esige un livello di garanzia elevato, posto che comunque 
trattasi di un livello ritenuto dal legislatore comunitario sufficiente a permettere 
la diffusione di sostanze attive sul mercato. 
VIII. Non sembra, infine, che possa rappresentare un ostacolo alla tesi
88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
sostenuta dal Governo italiano l�eventualit� che l�autorizzazione provvisoria 
non dovesse essere seguita dal rilascio di quella definitiva. Lo stesso giudice 
a quo, al penultimo paragrafo dell�ordinanza, individua la strada per il superamento 
di ogni dubbio al riguardo, suggerendo che � in un caso del genere � 
l�autorizzazione ex art. 8 Dir. 91/414/CE vada revocata e che, di conseguenza 
� in applicazione analogica dell�art. 14 lett. d) del Regolamento n. 1610/96, il 
certificato debba estinguersi. Peraltro, anche a voler prescindere dalla soluzione 
prospettata (si ritiene, correttamente) dal giudice a quo, non pu� non rilevarsi 
come in ogni caso l�impossibilit� di immettere sul mercato la sostanza, 
ormai priva di autorizzazione, varrebbe di per s� stessa a privare di ogni pratico 
effetto il certificato complementare. 
** ** ** 
Il Governo italiano propone pertanto di rispondere come segue al quesito 
sollevato dal giudice a quo: �ai fini dell�applicazione dell�art. 3 n. 1 lett. b) 
del Regolamento n. 1610/96, non rileva esclusivamente un�autorizzazione 
di immissione in commercio a norma dell�art. 4 della Direttiva 91/414; al 
contrario un certificato pu� essere rilasciato anche sulla base di un�autorizzazione 
di immissione in commercio ai sensi dell�art. 8 n. 1 della Direttiva 
91/414�. 
Avv. Marina Russo 
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 89 
Cause C-286/09 e C-287/09 - Materia trattata: previdenza sociale dei 
lavoratori migranti - Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dalla 
Corte d'appello di Roma (Italia) il 24 luglio 2009 - Convenuto: Istituto nazionale 
della previdenza sociale (INPS) (avv. Stato W. Ferrante - AL 
38848/09). 
LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 
Si chiede di statuire in via pregiudiziale ai sensi dell'art. 234 del Trattato 
CEE se gli artt. 17, 39 e 42 del Trattato e le normepertinenti del Regolamento 
n. 1408/71 non debbano essere interpretate nel senso che il principio della 
totalizzazione di tutti i periodi di assicurazione per l'apertura, il conseguimento 
ed il mantenimento del diritto alle prestazioni - principio attuato con 
l'adozione, da parte del Consiglio, del Regolamento n. 1408/71 - trovi applicazione 
in tutti i casi in cui � necessario ricorrere al sistema della totalizzazione 
e proratizzazione per il riconoscimento del diritto ad una data 
prestazione, con la conseguenza che si debbano prendere in considerazione a 
tale fine sia i periodi di assicurazione compiuti sotto la legislazione di ciascuno 
Stato membro, che i periodi di assicurazione compiuti nel regime previdenziale 
applicabile ai dipendenti delle Istituzioni comunitarie. 
LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA 
1. Con le due ordinanze [del 29 aprile 2009 della Corte d�appello di Roma 
- sezione lavoro - Italia], di analogo contenuto, � stato chiesto alla Corte di 
Giustizia delle Comunit� europee di pronunciarsi, ai sensi dell�art. 234 del 
Trattato CE, sulla [suesposta] questione pregiudiziale. 
Fatti di causa 
2. La domanda pregiudiziale trae origine da due controversie tra l�Istituto 
Nazionale Previdenza Sociale (di seguito INPS) e due ricorrenti che hanno 
prestato attivit� lavorativa in Italia dal 1 giugno 1951 al 31 maggio 1958 e, rispettivamente, 
dal 1 dicembre 1953 al 1 agosto 1959, maturando una contribuzione 
assicurativa presso l�INPS e, successivamente, hanno lavorato presso 
una Istituzione europea (rispettivamente presso il Comitato Economico e Sociale 
Europeo e presso la Commissione dell�Unione Europea) dal 1 marzo 
1960 al 31 agosto 1999 e, rispettivamente, dal 16 settembre 1975 al 30 giugno 
2001.
3. Entrambi sono titolari di pensione di anzianit� a carico del regime pensionistico 
comunitario e, nell�ottobre 2001, hanno chiesto all�INPS la liquidazione 
di un pro rata di pensione di vecchiaia rapportato al periodo lavorativo 
svolto in Italia.
90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
4. L�INPS ha respinto la domanda, assumendo che l�ente erogatore della 
pensione di anzianit� comunitaria non rientra tra gli enti erogatori di fondi 
esclusivi, esonerativi o sostitutivi dell�assicurazione generale obbligatoria e 
che pertanto non troverebbe applicazione il principio della totalizzazione dei 
contributi ai fini del diritto alla pensione a carico del sistema previdenziale 
italiano. 
5. Il Tribunale di primo grado ha ritenuto infondato il ricorso in quanto 
l�art. 42 del Trattato CE invocato in giudizio fa riferimento, ai fini della totalizzazione, 
ai contributi versati ai singoli Stati membri e non alle Istituzioni 
comunitarie. 
6. La Corte d�appello rileva che i dipendenti delle istituzioni dell�Unione 
Europea sono cittadini lavoratori i cui diritti devono essere tutelati al pari di 
quelli degli altri lavoratori comunitari. 
7. Osserva inoltre il giudice del rinvio che il Consiglio, adottando il Regolamento 
n. 1408/1971 in attuazione dell�art. 42 del Trattato ed estendendone 
successivamente l�applicazione ai regimi speciali per i dipendenti pubblici, in 
forza del regolamento n. 1606/98, ha inteso assicurare a tutti i lavoratori migranti 
il cumulo dei periodi lavorativi presi in considerazione dalle diverse legislazioni 
nazionali per il sorgere del diritto alle prestazioni previdenziali. 
8. Secondo il giudice del rinvio, l�esclusione dei dipendenti delle istituzioni 
comunitarie dal campo di applicazione della normativa comunitaria in 
materia previdenziale, comportando la perdita dei diritti pensionistici acquisiti 
in uno Stato membro prima della loro entrata in servizio presso una istituzione 
comunitaria, costituirebbe una disparit� di trattamento incompatibile con gli 
articoli 17, 39 e 42 del Trattato. 
9. La Corte d�appello richiama in proposito la giurisprudenza della Corte 
di giustizia che ha stabilito che il complesso delle norme del Trattato relative 
alla libera circolazione delle persone � volto ad agevolare i cittadini comunitari 
nell�esercizio di attivit� lavorative di qualsiasi natura nell�intero territorio della 
Comunit� ed osta ai provvedimenti che potrebbero sfavorirli qualora intendano 
svolgere un�attivit� lavorativa nel territorio di un altro Stato membro. 
10. In particolare, una normativa nazionale che non tenga conto, ai fini 
del conseguimento del diritto alla pensione, dei periodi di assicurazione compiuti 
in affiliazione al regime pensionistico della Comunit� europea sarebbe 
idonea a dissuadere i cittadini di uno Stato membro dall�abbandonare tale Stato 
per esercitare un�attivit� professionale nell�ambito di un�Istituzione dell�Unione 
europea, in quanto accettando un�occupazione presso tale Istituzione, 
essi perderebbero la possibilit� di beneficiare, in base alla normativa nazionale, 
di una prestazione pensionistica alla quale avrebbero avuto diritto se non avessero 
accettato tale lavoro (Corte di Giustizia, 16 febbraio 2006, causa C- 
137/04, Amy Rockler e causa C-185/04, Ulf Oberg).
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 91 
La normativa comunitaria rilevante 
11. Per quanto concerne la normativa comunitaria primaria, il giudice del 
rinvio invoca gli articoli 17, 39 e 42 del Trattato. 
12. L�art. 17 CE istituisce la cittadinanza dell�Unione e prevede che i 
cittadini dell�Unione godano dei diritti e siano soggetti ai doveri previsti dal 
Trattato. A tal proposito, la Corte di giustizia ha osservato che tale norma non 
pu� ricevere un�applicazione autonoma rispetto alle disposizioni specifiche 
del Trattato che disciplinano i diritti ed i doveri dei cittadini dell�Unione (sentenza 
del 16 dicembre 2004, causa 293/03, My, punto 32) come, per quanto 
qui interessa, l�art. 39 CE e l�art. 42 CE. 
13. L�art. 39 CE garantisce la libera circolazione dei lavoratori all�interno 
della Comunit�, precisando che essa implica l�abolizione di qualsiasi discriminazione, 
fondata sulla nazionalit�, tra i lavoratori degli Stati membri, per 
quanto riguarda l�impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. 
14. L�art. 42 CE detta poi disposizioni specifiche in materia di sicurezza 
sociale sancendo che �il Consiglio (�) adotta in materia di sicurezza sociale 
le misure necessarie per l�instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, 
attuando in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori 
migranti e ai loro aventi diritto: a) il cumulo di tutti i periodi presi in 
considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione 
del diritto alle prestazioni, sia per il calcolo di queste; b) il pagamento 
delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri� 
(evidenza nostra). 
15. Nulla dice la predetta norma per il caso di lavoro prestato, oltre che 
in uno o pi� Stati membri, anche presso una Istituzione comunitaria. 
16. Quanto alla normativa secondaria, in attuazione dell�art. 39 CE, il 
Consiglio ha adottato il regolamento n. 1612/68 del 15 ottobre 1968 relativo 
alla libera circolazione dei lavoratori all�interno della Comunit�, il cui art. 7 
prevede che �1. Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non pu� ricevere 
sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un 
trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne 
le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, 
licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato. 
2. Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali.� 
17. In attuazione dell�art. 42 CE, � stato adottato il regolamento del Consiglio 
n. 1408/71 del 14 giugno 1971 relativo all�applicazione dei regimi di 
sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano 
all�interno della Comunit�, il cui art. 2 stabilisce che �1. Il presente regolamento 
si applica ai lavoratori subordinati o autonomi che sono o sono stati 
soggetti alla legislazione di uno o pi� Stati membri e che sono cittadini di uno 
degli Stati membri, oppure apolidi o profughi residenti nel territorio di uno 
degli Stati membri, nonch� ai loro familiari e ai loro superstiti. 2. Inoltre il
92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
presente regolamento si applica ai superstiti dei lavoratori che sono stati soggetti 
alla legislazione di uno o pi� Stati membri, indipendentemente dalla cittadinanza 
dei detti lavoratori, quando i loro superstiti siano cittadini di uno 
degli Stati membri oppure apolidi o profughi residenti nel territorio di uno 
degli Stati membri. 3. Il presente regolamento si applica agli impiegati pubblici 
ed al personale che, in base alla legislazione applicabile, � ad essi assimilato, 
nella misura in cui siano o siano stati soggetti alla legislazione di uno 
Stato membro cui � applicabile il presente regolamento.� 
18. Anche tale norma non fa alcun riferimento ai lavoratori che hanno lavorato 
alle dipendenze di un�Istituzione comunitaria, oltre che di uno o pi� 
Stati membri. 
19. Il paragrafo 3 del predetto articolo 2 � stato peraltro soppresso dall�art. 
1, par. 2) del regolamento n. 1606/98 del 29 giugno 1998 che ha disciplinato 
ex novo il regime previdenziale applicabile ai dipendenti pubblici. 
20. In particolare, l�ottavo considerando del predetto regolamento n. 
1606/98 precisa che, per tener conto delle peculiarit� dei regimi pensionistici 
speciali per i dipendenti pubblici, � giustificata una deroga limitata al principio 
generale del cumulo, cosicch� nell�ambito di tali regimi i periodi compiuti 
in un regime speciale in un altro Stato membro, pur non dovendo essere 
presi in considerazione, non vanno perduti, poich� si richiede che essi siano 
presi in considerazione nel regime generale del primo Stato membro, anche 
quando l�interessato non ha completato un periodo in tale regime. 
21. Tale regime derogatorio non sembra applicabile alla fattispecie, atteso 
che, pur non essendo specificato nelle ordinanze di rimessione se i ricorrenti 
abbiano lavorato in Italia in qualit� di lavoratori privati o di lavoratori pubblici, 
la prima soluzione sembra derivare dal fatto che la prestazione previdenziale 
viene fatta valere nei confronti dell�INPS e non gi� dell�INPDAP, ente previdenziale 
competente per i dipendenti pubblici. 
22. Il principio della totalizzazione dei periodi di occupazione previsto 
dall�art. 72 del regolamento n. 1408/71 � in base al quale �l�istituzione competente 
di uno Stato membro la cui legislazione subordina l�acquisizione del 
diritto alle prestazioni al compimento di periodi d�occupazione, tiene conto a 
tal fine, nella misura necessaria, dei periodi d�occupazione compiuti nel territorio 
di ogni altro Stato membro, come se si trattasse di periodi compiuti 
sotto la legislazione ch�essa applica� � pu� quindi incontrare delle deroghe. 
23. Si tratta quindi di stabilire se lo stesso sia applicabile ai dipendenti 
delle istituzioni comunitarie. 
Sul quesito posto alla Corte 
24. Il giudice del rinvio chiede nella sostanza alla Corte di chiarire se il 
principio della totalizzazione dei periodi contributivi debba trovare applicazione 
anche nei confronti dei dipendenti delle istituzioni comunitarie.
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 93 
25. Occorre ricordare che il diritto comunitario non pregiudica la competenza 
degli Stati membri a organizzare i propri regimi di previdenza sociale 
e che in mancanza di un�armonizzazione a livello comunitario, spetta alla legislazione 
di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti per la concessione 
delle prestazioni di previdenza sociale nonch� l�importo e la durata delle 
stesse. Nell�esercizio di tale competenza gli Stati membri devono tuttavia rispettare 
il diritto comunitario e, in particolare, le disposizioni del Trattato CE 
relative alla libera circolazione dei lavoratori o relative alla libert� riconosciuta 
a ogni cittadino dell�Unione europea di circolare e di soggiornare sul territorio 
degli Stati membri (Corte di giustizia, sentenza 21 febbraio 2008, causa C- 
507/06, Kl�ppel, punto 16; sentenza 23 novembre 2000, causa C-135/99, 
Elsen, punto 33). 
26. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte infatti (sentenze 
24 ottobre 1975, Petroni, causa C-24/75, punto 13; 23 febbraio 1986, De Jong, 
causa C-254/84, punto 15 e 14 dicembre 1989, Dammer, causa C-168/88, 
punto 21), lo scopo degli articoli 39-42 del Trattato non potrebbe essere perseguito 
se, in conseguenza dell'esercizio del diritto di libera circolazione, i lavoratori 
dovessero perdere vantaggi previdenziali loro garantiti, in ogni caso, 
dalla sola normativa di uno Stato membro. 
27. E� inoltre pacifico che una normativa nazionale che svantaggia taluni 
cittadini di uno Stato per il solo fatto che essi hanno esercitato la loro libert� 
di circolare e soggiornare in un altro Stato membro rappresenta una restrizione 
delle libert� riconosciute dagli artt. 18 e 39 CE a tutti i cittadini dell�Unione 
(Corte di giustizia, sentenza, 11 luglio 2002, causa C-224/98, D�Hoop, punto 
31; sentenza 29 aprile 2004, causa C-224/02, Pusa, punto 19). 
28. In tale quadro, il regolamento n. 1408/71 mira a realizzare l�obiettivo 
stabilito dall�art. 42 CE attraverso la prevenzione di possibili effetti negativi 
che l�esercizio della libert� di circolazione dei lavoratori potrebbe avere sul 
godimento, da parte dei lavoratori e delle loro famiglie, delle prestazioni previdenziali, 
in particolare per quanto riguarda la carriera dei lavori migranti 
che hanno versato contributi a vari sistemi di previdenza sociale e quindi a offrire 
loro la certezza giuridica che manterranno i diritti a pensione derivanti 
dai loro contributi a sistemi previdenziali in modo analogo ad un lavoratore 
che non ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione all�interno della Comunit� 
(Corte di giustizia, sentenza 3 aprile 2008, causa C-331/06, Chuck, 
punto 32). 
29. Ci� premesso, va sottolineato che le sentenze della Corte di giustizia 
citate nelle ordinanze di rinvio (16 febbraio 2006, causa C-137/04, Amy Rockler 
e causa C-185/04, Ulf Oberg), si riferiscono ad un caso - contrario rispetto 
a quello oggetto delle due cause principali - di lavoratori che sono stati alle 
dipendenze di Istituzioni comunitarie per brevi periodi (rispettivamente un 
anno e cinque anni) che, successivamente, hanno lavorato presso uno Stato
94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
membro e che hanno invocato da tale Stato membro prestazioni previdenziali 
� nella specie assegni familiari � che tenessero conto del periodo contributivo 
svolto presso l�Istituzione comunitaria. 
30. La Corte ha correttamente concluso che tale periodo dovesse essere 
preso in considerazione. 
31. Nei casi oggetto delle cause principali invece si tratta di due ricorrenti 
che hanno lavorato per brevi periodi (rispettivamente sette anni e sei anni) 
presso uno Stato membro (l�Italia) e successivamente hanno svolto tutto il 
resto della loro carriera lavorativa (rispettivamente 39 anni e 26 anni) 
presso un�istituzione comunitaria. 
32. Gli stessi percepiscono una pensione di vecchiaia a carico del regimo 
pensionistico comunitario e pretendono il riconoscimento, dallo Stato italiano, 
di una liquidazione pro rata di pensione di vecchiaia per il periodo di lavoro 
svolto in detto Stato membro. 
33. La cronologia dei fatti � rilevante per la soluzione del quesito. 
34. Infatti, lo Statuto del personale delle Comunit� europee (di seguito 
lo Statuto), adottato con regolamento n. 31 (C.E.E.) 11 (C.E.E.A.) relativo allo 
statuto dei funzionari e al regime applicabile agli altri agenti della Comunit� 
Economica Europea e della Comunit� Europea dell�Energia Atomica (GU 45 
del 14 giugno 1962, pag. 1385), in esecuzione dell�art. 283 CE, prevede una 
specifica disciplina del trattamento pensionistico dei dipendenti di istituzioni 
comunitarie. 
35. In particolare, l�art. 11, nn. 1 e 2 dell�allegato VIII dello Statuto, nella 
versione vigente all�epoca dei fatti di cui alle cause principali, distingue due 
distinte ipotesi, disponendo che: �1. Il funzionario che cessa dalle sue funzioni 
per: 
� entrare al servizio di un'amministrazione ovvero organizzazione nazionale 
o internazionale che abbia concluso un accordo con le Comunit�, 
� esercitare un'attivit� subordinata o autonoma per la quale egli maturi dei 
diritti a pensione in un regime i cui organismi di gestione abbiano concluso 
un accordo con le Comunit�, 
ha diritto di far trasferire alla cassa pensioni di tale amministrazione ed organizzazione, 
ovvero alla cassa presso la quale il funzionario maturi dei diritti 
a pensione di anzianit� per la sua attivit� subordinata o autonoma, l'equivalente 
attuariale dei suoi diritti alla pensione di anzianit� maturati nelle Comunit�. 
2. Il funzionario che entra al servizio delle Comunit� dopo: 
� aver cessato di prestare servizio presso un'amministrazione, un'organizzazione 
nazionale o internazionale, ovvero 
� aver esercitato un'attivit� subordinata o autonoma, 
ha facolt�, all'atto della sua nomina in ruolo, di far versare alle Comunit� 
sia l'equivalente attuariale sia il forfait di riscatto dei diritti alla pensione di
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 95 
anzianit� maturati per le attivit� suddette. In tal caso l'istituzione, presso 
cui il funzionario presta servizio, determina, tenuto conto del grado di inquadramento, 
le annualit� che computa, secondo il proprio regime, a titolo 
di servizio prestato in precedenza sulla base dell'importo dell'equivalente attuariale 
o del forfait di riscatto� (evidenza nostra). 
36. Da tale norma si evince che il principio della totalizzazione dei contributi 
contemplato dal regolamento n. 1408/71 non � applicabile ai dipendenti 
di istituzioni comunitarie, il cui regime pensionistico � espressamente disciplinato 
dallo Statuto e si fonda sul principio del trasferimento dei diritti 
pensionistici dal regime comunitario al regime nazionale e viceversa . 
37. Lo Statuto prevede, da un lato, il trasferimento al sistema pensionistico 
dello Stato membro presso il quale il dipendente ha successivamente 
lavorato delle contribuzioni e delle posizioni previdenziali precedentemente 
maturate presso l�istituzione comunitaria (art. 11, n. 1 dell�allegato VIII dello 
Statuto), dall�altro, il trasferimento al sistema pensionistico comunitario 
delle contribuzioni precedentemente maturate nei confronti di uno Stato membro, 
nel caso ricorrente nella fattispecie in esame, in cui il lavoratore abbia lavorato 
in un istituzione comunitaria in un momento successivo (art. 11, n. 2 
dell�allegato VIII dello Statuto). 
38. Come statuito dalla Corte di giustizia (sentenza 3 ottobre 2000, causa 
C-411/98, Ferlini, punto 41; sentenza del 16 dicembre 2004, C-293/03, My, 
punto 35) i dipendenti delle Comunit� europee non possono essere considerati 
lavoratori ai sensi del regolamento n. 1408/71. Essi non sono infatti assoggettati 
ad una normativa previdenziale nazionale, come richiesto dall�art. 2, n. 1 
del regolamento medesimo. 
39. Per contro, lo status di lavoratore migrante di un dipendente delle Comunit� 
europee non pu� dar luogo ad alcun dubbio. Infatti, secondo una giurisprudenza 
costante, un cittadino comunitario che lavori in uno Stato membro 
diverso dal suo Stato di origine non perde la qualit� di lavoratore ai sensi dell�art. 
39 n. 1 del Trattato per il fatto di occupare un impiego all�interno di 
un�organizzazione internazionale, anche se le condizioni per il suo ingresso e 
il suo soggiorno nel paese in cui � occupato sono specialmente disciplinate da 
una convenzione internazionale (Corte di giustizia, sentenza Ferlini cit., punto 
42; sentenza My cit., punto 37; sentenza 15 marzo 1989, cause riunite C- 
389/87 e C-390/87, Echternach e Moritz, punto 11; sentenza 27 maggio1993, 
causa C-310/91, Schimd, punto 20). 
40. Il principio di libera circolazione dei lavoratori di cui all�art. 39 CE 
viene per� tutelato, nel caso dei dipendenti di Istituzioni comunitarie, non gi� 
dal regolamento n. 1408/71 bens� dallo Statuto. 
41. Il sistema di trasferimento dei diritti pensionistici previsto dall�art. 
11, n. 2 dell�allegato VIII dello Statuto, consentendo un coordinamento tra i 
regimi pensionistici nazionali e quello comunitario, mira ad agevolare il pas-
96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
saggio dagli impieghi nazionali, pubblici o privati, all�amministrazione comunitaria 
e a garantire in tal modo alle Comunit� le maggiori possibilit� 
di scelta di personale qualificato che abbia gi� un�adeguata esperienza professionale 
(sentenza My cit. punto 44; sentenza 20 ottobre 1981, causa C- 
137/80, Commissione/Belgio, punti 11 e 12). 
Conclusioni 
42. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il quesito 
affermando che gli articoli 7, 39 e 42 del Trattato e le norme pertinenti del 
Regolamento n. 1408/71 debbano essere interpretate nel senso che il principio 
della totalizzazione di tutti i periodi contributivi per il conseguimento 
ed il mantenimento del diritto alle prestazioni previdenziali non trovi applicazione 
per i dipendenti delle Istituzioni comunitarie, per i quali vige il 
principio del trasferimento dei diritti previdenziali dal regime nazionale a 
quello comunitario e vice versa, previsto dallo Statuto del personale delle 
Comunit� europee, altrettanto idoneo a garantire il diritto alla libera circolazione 
dei lavoratori all�interno dell�Unione. 
Roma, 4 dicembre 2009 Avv. Wally Ferrante
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 97 
Causa C-495/09 - Materia trattata: unione doganale - Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (England 
& Wales) (Civil Division) il 2 dicembre 2009 - Nokia Corporation/Her 
Majesty's Commissioners of Revenue and Customs (avv. Stato W. Ferrante 
- AL 6804/2010 - Poteri delle autorit� doganali in caso di transito di 
merce con marchio contraffatto proveniente e diretto ad un paese terzo, a 
prescindere dalla possibile imissione in commercio nel territorio dell�Unione). 
LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 
Se merci non comunitarie recanti un marchio comunitario, soggette 
alla vigilanza doganale in uno Stato membro e in transito da uno Stato 
terzo ad un altro Stato terzo, siano in grado di costituire �merci contraffatte
� ai sensi dell�art. 2, n. 1, lett. a), del regolamento n. 1383/2003/CE, 
qualora non esistano elementi idonei a provare che tali merci saranno immesse 
in commercio nell�UE, che sia in conformit� ad una procedura doganale 
o per mezzo di una diversione illegittima. 
LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA 
1. Con l�ordinanza [26 novembre 2009, depositata il 2 dicembre 2009 
della Court of Appeal of England and Wales - Regno Unito] � stato chiesto 
alla Corte di Giustizia dell�Unione europea di pronunciarsi, ai sensi dell�art. 
234 del Trattato CE, sulla [suesposta] questione pregiudiziale. 
Fatti di causa 
2. La domanda pregiudiziale trae origine dal rinvenimento, durante 
dei controlli aeroportuali, da parte dell�autorit� doganale del Regno Unito 
(Her Majesty�s Commissioners of Revenue and Customs � HMRC), di una 
partita di merci - telefoni cellulari ed accessori - spedite da Hong Kong e 
dirette in Colombia, contrassegnate da marchio (NOKIA) pacificamente 
contraffatto. 
3. Accertata la contraffazione del marchio, le autorit� doganali inglesi 
non hanno accolto la richiesta della societ� titolare del marchio contraffatto 
di sequestrare le merci in applicazione del regolamento (CE) n. 1383/2003 
del 22 luglio 2003, relativo all�intervento dell�autorit� doganale nei confronti 
di merci sospettate di violare taluni diritti di propriet� intellettuale 
e alle misure da adottare nei confronti di merci che violano tali diritti. 
4. Le autorit� doganali inglesi hanno infatti ritenuto di non poter applicare 
tali disposizioni comunitarie in assenza di elementi attestanti il fatto 
che i prodotti sarebbero stati immessi in commercio nell�Unione Europea.
98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
La normativa comunitaria rilevante 
5. La normativa comunitaria di riferimento, costituita dal citato regolamento 
n.1383/2003 e dal regolamento n.1891/2004, recante disposizioni di 
applicazione del predetto regolamento n. 1383/2003, si pone l�obiettivo di 
consentire alle autorit� doganali di bloccare le spedizioni contenenti merce 
contraffatta in tutti i regimi doganali (immissione in libera pratica, esportazione, 
riesportazione, regimi sospensivi). 
6. Tale impostazione, che mira a bloccare il commercio internazionale di 
merci contraffatte, si evince non solo dai considerando dei due regolamenti 
ma anche dalle relative disposizioni. 
7. Al riguardo il terzo considerando del regolamento n.1383/2003 testualmente 
recita: �Nei casi in cui le merci contraffatte o usurpative e, in genere, 
le merci che violano un diritto di propriet� intellettuale sono originarie o provengono 
dai paesi terzi, occorrerebbe vietarne l�introduzione, compreso il 
trasbordo, nel territorio doganale della Comunit�, l�immissione in libera pratica 
nella Comunit�, il vincolo ad un regime sospensivo, il collocamento in 
zona franca o in deposito franco, e istituire una procedura adeguata che consenta 
l�intervento delle autorit� doganali per assicurare, il pi� efficacemente 
possibile, il rispetto di tale divieto� (evidenza aggiunta). 
8. Difatti, l�art. 1, n. 1, lett. b) del regolamento n.1383/2003 stabilisce le 
condizioni di intervento dell�Autorit� doganale anche nei casi in cui le merci 
contraffatte siano scoperte in occasione di un controllo effettuato su merci 
vincolate ad un regime sospensivo. 
9. L�introduzione della possibilit� per le autorit� doganali di intervenire 
anche nei regimi sospensivi � giustamente motivata dalla gravit� che ha assunto, 
a livello mondiale, il commercio di prodotti contraffatti e dalla conseguente 
necessit� di dotare le Autorit� doganali di adeguati strumenti di 
intervento. 
10. Pertanto, a livello comunitario, � stato stabilito che in presenza di una 
spedizione di merce contraffatta, non solo in caso di transito ma addirittura 
anche in caso di trasbordo, debba essere prevista la possibilit� di tale intervento; 
la connessa e sottostante esigenza � proprio quella di bloccare tale commercio 
illecito, che costituisce comunque una violazione di un diritto di 
propriet� intellettuale, a prescindere dal regime doganale sottostante. 
11. Pertanto, tale normativa, in un certo senso, ha assimilato, quanto a 
gravit�, il traffico illecito di merce contraffatta al traffico illecito di sostanze 
stupefacenti, al traffico di armi ed al traffico di T.L.E. (tabacchi lavorati esteri), 
settori nei quali � stata originariamente prevista la possibilit� per le dogane di 
intervenire anche nei regimi sospensivi. 
12. Ai sensi del quarto considerando del regolamento n. 1383/2003, �l�intervento 
dell�autorit� doganale dovrebbe essere applicato anche alle merci 
contraffatte o usurpative e alle merci che violano taluni diritti di propriet� in-
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 99 
tellettuale, che sono in procinto di essere esportate, riesportate o in uscita 
dal territorio doganale della Comunit��(evidenza aggiunta). 
13. Il quinto considerando precisa inoltre che �l�intervento dell�autorit� 
doganale dovrebbe consistere o nella sospensione dell�immissione in libera 
pratica, dell�esportazione e della riesportazione delle merci sospettate di essere 
contraffatte o usurpative o di violare taluni diritti di propriet� intellettuale, 
o nel blocco di tali merci quando siano vincolate ad un regime 
sospensivo, in zona franca o in deposito franco, in procinto di essere riesportate 
previa notifica, introdotte nel territorio doganale o di lasciare tale territorio 
per tutto il tempo necessario ad accertare se si tratti effettivamente di 
merci siffatte�(evidenza aggiunta). 
14. D�altro canto, l�ottavo considerando stabilisce che �le procedure avviate 
per determinare se vi sia stata violazione di un diritto di propriet� intellettuale 
ai sensi della normativa nazionale, si svolgono in base ai criteri 
utilizzati per determinare se le merci prodotte nello Stato membro interessato 
violino i diritti di propriet� intellettuale �� (evidenza aggiunta). 
15. Dall�esame delle predette disposizioni emerge che l�intervento dell�Autorit� 
doganale non � condizionato dalla circostanza che sussistano elementi 
idonei a provare che le merci acquisteranno la posizione di merci 
comunitarie. 
16. Tale condizione non � richiesta, n� esplicitamente, n� implicitamente 
dalle disposizioni del regolamento n. 1383/2003. 
17. Argomentando �a contrario� e, cio�, subordinando l�intervento da 
parte delle dogane all�esistenza di indizi che facciano presupporre la volont� 
da parte del proprietario di immettere in commercio i prodotti contraffatti in 
uno degli Stati membri (nel quale il marchio gode di tutela), si finirebbe, in 
sostanza, per legittimare tale traffico illecito, che � poi proprio quello che la 
disciplina comunitaria intende contrastare. 
18. L�Autorit� doganale britannica ha tratto tale convincimento dalla definizione 
contenuta nell�art. 2, par. 1, lettera a) del regolamento n. 1383/2003, 
in base al quale sono �merci contraffatte� i) merci, compreso il loro imballaggio, 
su cui sia stato apposto senza autorizzazione un marchio di fabbrica 
o di commercio identico a quello validamente registrato per gli stessi tipi di 
merci, o che non possa essere distinto nei suoi aspetti essenziali da tale marchio 
di fabbrica o di commercio e che pertanto violi i diritti del titolare del 
marchio in questione ai sensi della normativa comunitaria, quali previsti dal 
regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio 
comunitario o ai sensi della legislazione dello Stato membro in cui � presentata 
la domanda per l�intervento delle autorit� doganali� (evidenza aggiunta) 
nonch� ii) qualsiasi segno distintivo� e iii) gli imballaggi recanti marchi delle 
merci contraffatte presentati separatamente� che si trovino nella stessa situazione 
di cui al punto i).
100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
19. A loro volta, l�art. 9 del regolamento (CE) n. 40/94 sul marchio comunitario 
e l�art. 5 della direttiva 89/104/CEE sul riavvicinamento delle legislazioni 
degli Stati membri in materia di marchi di impresa (di analogo 
contenuto) prevedono che il titolare di un marchio registrato ha il diritto di 
vietare a terzi di usare tale marchio nel commercio. 
20. Secondo l�impostazione dell�autorit� doganale britannica, dal momento 
che le merci in transito non vengono poste in commercio, viene applicato 
il conseguente sillogismo che non sarebbero, in quanto tali, neanche 
contraffatte. 
Sul quesito posto alla Corte 
21. Il giudice remittente ha sollevato la questione pregiudiziale dando 
atto dell�esistenza di due diversi orientamenti interpretativi della Corte di Giustizia 
in materia. 
22. Infatti, in alcune pronunce (sentenza 6 aprile 2000, causa C-383/98 
Polo/Lauren e sentenza 7 gennaio 2004, causa C-60/02 Montres Rolex), la 
Corte di giustizia ha affermato che il previgente regolamento n. 3295/94 del 
Consiglio del 22 dicembre 1994 relativo all�intervento dell�autorit� doganale 
nei confronti di merci sospettate di violare taluni diritti di propriet� intellettuale 
(precedente rispetto a quello ora vigente ma sostanzialmente analogo nei contenuti) 
doveva considerarsi applicabile anche alle merci in transito, con riferimento 
alle quali non vi fossero elementi specifici attestanti la possibile 
�immissione in commercio� nel territorio dell�UE, mentre in altre decisioni 
(sentenza del 9 novembre 2006, causa C-281/05 Montex; sentenza del 18 ottobre 
2005, causa C-405/03, Class International e sentenza del 23 ottobre 
2003, causa C-115/02, Rioglass) la Corte ha affermato l�applicabilit� del previgente 
regolamento, con conseguente potere di sequestrare le merci contraffatte, 
solo nell�ipotesi in cui il prodotto fosse suscettibile di essere immesso 
in commercio nello Stato membro nel quale era assicurata tutela. 
23. Al riguardo, deve essere evidenziato che nella causa C-383/98, 
Polo/Lauren, le merci contraffatte, rinvenute in Austria, provenivano da un 
Paese terzo (Indonesia) ed erano destinate ad altro Stato allora terzo (Polonia), 
senza che dalla lettura dei fatti di causa, possa emergere che la Corte di giustizia 
abbia fondato la propria decisione sulla possibilit� di immissione in commercio 
delle merci all�interno dell�U.E.. 
24. Anzi al punto 26 della richiamata sentenza, la Corte si � espressamente 
occupata della possibilit� di applicare il regolamento comunitario a merci contraffatte 
�in transito� da e per paesi terzi, chiarendo che l�espressione �regime 
sospensivo delle merci� indica in particolare il transito esterno, cio� un regime 
doganale che consente la circolazione da un punto ad un altro del territorio 
doganale della Comunit� di merci non comunitarie senza che queste merci 
siano assoggettate a dazi all�importazione e agli altri tributi del codice doga-
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 101 
nale comunitario. 
25. La Corte ha espressamente affermato l�applicazione delle disposizioni 
comunitarie in tale ipotesi (punto 27), in quanto �il transito esterno di merci 
non comunitarie non � un�attivit� esterna al mercato interno� e �questa operazione 
pu� aver un�incidenza sul mercato interno in quanto merci contraffatte 
vincolate al regime di transito esterno rischiano di essere fraudolentemente 
introdotte nel mercato comunitario�(punto 34). 
26. Tale principio � a maggior ragione applicabile alla fattispecie se si 
considera che il titolare del diritto di propriet� intellettuale, che nel caso 
Polo/Lauren era non comunitario, nel caso della causa principale � comunitario, 
essendo la NOKIA una societ� finlandese. 
27. Anche nella sentenza Montres Rolex (causa C-60/02) la Corte ha affermato 
che il previgente regolamento era applicabile al caso in cui merci in 
transito fra due Stati che non sono membri della Comunit� europea sono provvisoriamente 
bloccate dalle autorit� doganali di uno Stato membro (punto 64), 
facendo salva tuttavia la legislazione nazionale in materia di sanzioni penali, 
rette dal principio della certezza del diritto e della irretroattivit� (punto 61) 
28. Nelle sentenze in cui sembra essere stato affermato un principio contrario, 
in particolare nella causa C-281/05, Montex, dalla lettura dei fatti di 
causa, emerge che le merci lesive di un diritto di marchio nello Stato membro 
nel quale erano state rinvenute (Germania), erano pacificamente dirette in un 
diverso Stato membro (Irlanda) nel quale il titolare del marchio non poteva 
godere di un analogo diritto di esclusiva. 
29. Quanto alla causa C-405/03, Class International, risulta che, in quel 
caso, le merci provenienti dal Sud Africa ed in transito in Olanda, dopo essere 
state sospettate di contraffazione, si erano poi rivelate originali. 
30. Analoga situazione � rinvenibile nella causa C-115/02, Rioglass in 
cui la Corte si � occupata di merci legalmente fabbricate in uno Stato membro 
(Spagna) e destinate, dopo essere transitate nel territorio di un altro Stato membro 
(Francia), ad essere immesse in commercio in un Paese all�epoca terzo 
(Polonia). 
31. La fattispecie della causa principale riguarda invece un caso di accertata 
contraffazione e sembra essere piuttosto riconducibile al caso analizzato 
nella causa C-383/98, Polo/Lauren. 
32. Deve, inoltre, rilevarsi che se la ratio del regolamento n. 1383/2003 
� quella di vietare l�introduzione, compreso il trasbordo, nel territorio doganale 
della Comunit�, l�immissione in libera pratica nella Comunit�, il vincolo ad 
un regime sospensivo, di merci contraffatte o usurpative (terzo considerando) 
assicurando l�intervento dell�autorit� doganale anche sulle merci contraffatte 
o usurpative e sulle merci che violano taluni diritti di propriet� intellettuale, 
che sono in procinto di essere esportate, riesportate o in uscita dal territorio 
doganale della Comunit� (quarto considerando), una interpretazione della di-
102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
sciplina comunitaria, che richieda l�accertamento del rischio che le merci contraffatte 
vengano immesse nel territorio comunitario per applicare il blocco 
delle merci stesse, non garantirebbe il perseguimento delle finalit� della norma. 
33. Peraltro, deve essere rilevato che la commercializzazione anche in 
paesi terzi di merci contraffatte � comunque idonea a ledere il mercato interno, 
se si considera che la immissione in commercio di tali merci sar� presumibilmente 
causa di una diminuzione della domanda di merci originali, con intuibili 
conseguenze sulla produzione e diffusione delle merci originali. 
34. Infatti, solo un�interpretazione non restrittiva della disciplina comunitaria, 
pu� costituire un valido deterrente alla commercializzazione di merci 
contraffatte e garantire il pieno conseguimento degli obiettivi esposti nei considerando 
del regolamento. 
35. A tale proposito, non pu� che ribadirsi come il carattere contraffatto 
o meno di una merce non pu� derivare dalla possibilit� che la stessa sia messa 
in commercio, essendo invece necessario attenersi alla definizione di merce 
contraffatta contenuta nei regolamenti n.1383/2003 e n.1891/2004. 
36. Come si � visto, dalla lettura del terzo considerando del regolamento 
n. 1383/2003, si evince che la ratio del regolamento � quella di attribuire all�autorit� 
doganale il potere di bloccare e sequestrare le merci contraffatte sia 
quando esse siano immesse in libera pratica, sia in caso di mero transito attraverso 
uno Stato membro. 
37. Non � essenziale ai fini del sequestro, pertanto, l�esistenza di elementi 
idonei a provare che le merci in transito acquisteranno la posizione di merci 
comunitarie in quanto il transito delle merci contraffatte attraverso Stati membri, 
per essere esportate verso un altro Paese terzo, comporta il rischio generalizzato 
che tali merci siano fraudolentemente introdotte nel mercato 
comunitario. 
38. Occorre sottolineare, inoltre, che l�ottavo considerando del citato regolamento 
sancisce il principio del �Manufacturing Fiction� (finzione della 
produzione), in base al quale l�autorit� doganale e, di conseguenza i tribunali, 
al fine di valutare se le merci violino o meno diritti di propriet� intellettuale, 
devono considerarle come se fossero prodotte nel territorio dello Stato in cui 
sono state sottoposte a fermo. 
39. Pertanto il Governo italiano ritiene che il regolamento n. 1383/2003 
sia applicabile anche qualora non esistano elementi idonei a provare che le 
merci contraffatte, in transito da un Paese terzo ad altro Paese terzo, saranno 
immesse nel commercio UE. 
Conclusioni 
40. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il quesito 
affermando che merci non comunitarie recanti un marchio comunitario, soggette 
alla vigilanza doganale in uno Stato membro e in transito da uno Stato
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 103 
terzo ad un altro Stato terzo, costituiscono �merci contraffatte� ai sensi dell�art. 
2 n. 1, lett. a), del regolamento n. 1383/2003/CE, anche qualora non esistano 
elementi idonei a provare che tali merci saranno immesse in commercio nell�UE, 
che sia in conformit� ad una procedura doganale o per mezzo di una diversione 
illegittima. 
Roma, 31 marzo 2010 Avv. Wally Ferrante
104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Causa C-20/10 - Materia trattata: politica sociale - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Tribunale di Trani (Italia) il 13 gennaio 
2010 -Vino Cosimo Damiano/Poste Italiane SpA (avv. Stato W. Ferrante - AL 
18447/10). 
LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 
1) Se la clausola n. 8.3 dell'Accordo Quadro recepito dalla Direttiva 
1999/70/CE osta ad una disciplina interna (come quella dettata dall'art. 2, 
comma 1 bis, del D.Lgs. 368/2001), che, in attuazione della direttiva 
1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro 
sul lavoro a tempo determinato concluso dalla CES, dall'UNICE e dal CEF, 
abbia introdotto nell'ordinamento interno una fattispecie �acausale� per l'assunzione 
a termine dei dipendenti della s.p.a. Poste Italiane; 
2) se per giustificare una reformatio in peius della precedente normativa 
in tema di contratto a tempo determinato e perch� non operi il divieto di cui 
alla clausola n. 8.3 dell'accordo quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE 
sia sufficiente il perseguimento � da parte del legislatore interno � di un 
qualsiasi obiettivo, purch� diverso da quello di dare attuazione alla richiamata 
Direttiva, o se sia necessario che questo obiettivo non solo sia meritevole di 
una tutela quantomeno equivalente a quello penalizzato, ma sia anche espressamente 
�dichiarato�; 
3) se la clausola n. 3.1 dell'Accordo Quadro recepito dalla Direttiva 
1999/70/CE osta ad una disciplina interna (come quella dettata dall'art. 2, 
comma 1 bis, del D.Lgs. 368/2001), che, in attuazione della direttiva 
1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro 
sul lavoro a tempo determinato concluso dalla CES, dall'UNICE e dal CEP 
abbia introdotto nell'ordinamento interno una fattispecie �acausale� per l'assunzione 
a termine dei dipendenti della S.p.a. Poste Italiane; 
4) se il principio generale di non discriminazione e di uguaglianza comunitario 
osta ad una disciplina interna (come quella dettata dall'art. 2, 
comma 1 bis, del D.Lgs. 368/2001), che, in attuazione della direttiva 
1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro sul 
lavoro a tempo determinato concluso dalla CES, dall'UNICE e dal CEP abbia 
introdotto nell'ordinamento interno una fattispecie �acausale� che penalizzi 
i dipendenti della S.p.a. Poste Italiane, nonch�, rispetto a questa Societ�, 
anche altre imprese dello stesso o di altro settore; 
5) se gli artt. 82, comma 1, e 86, commi 1 e 2, del Trattato CE ostano ad 
una disciplina interna (come quella dettata dall'art. 2, comma 1 bis, del D. 
Lgs. 368/2001), che, in attuazione della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, 
del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato 
concluso dalla CES, dall'UNICE e dal CEP ha introdotto nell�ordina-
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 105 
mento interno una fattispecie �acausale� a beneficio della sola S.p.a. Poste 
Italiane (impresa con capitale interamente pubblico), realizzando un�ipotesi 
di sfruttamento di posizione dominante; 
6) nel caso in cui le precedenti questioni vengano risolte affermativamente, 
se il Giudice nazionale sia tenuto a disapplicare (o a non applicare) 
la normativa interna contrastante con il diritto comunitario. 
LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA 
1. Con l�ordinanza [del 23 novembre 2009, depositata il 25 novembre 
2009 del Tribunale di Trani in funzione del Giudice del lavoro - Italia] � stato 
chiesto alla Corte di Giustizia dell�Unione europea di pronunciarsi, ai sensi 
dell�art. 267 TFUE, sulle [suesposte] questioni pregiudiziali. 
Fatti di causa 
2. La domanda pregiudiziale trae origine da una controversia instaurata 
nel 2009 da un lavoratore nei confronti di Poste italiane S.p.A. avente ad oggetto 
l�accertamento dell�illegittimit� del termine apposto al contratto di lavoro 
sottoscritto il 28 marzo 2008 ai sensi dell�art.2, comma 1 bis del d.lgs. n. 
368/2001. 
3. In forza di detto contratto, il lavoratore ha lavorato con la qualifica di 
portalettere junior dal 1 aprile 2008 al 31 maggio 2008. 
La normativa comunitaria rilevante 
4. La direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all�accordo 
quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato premette, 
nel suo terzo considerando: �il punto 7 della Carta comunitaria dei diritti sociali 
fondamentali dei lavoratori stabilisce tra l'altro che la realizzazione del 
mercato interno deve portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e 
di lavoro dei lavoratori nella Comunit� europea. Tale processo avverr� mediante 
il ravvicinamento di tali condizioni, che costituisca un progresso, soprattutto 
per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo 
indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale, 
il lavoro interinale e il lavoro stagionale� (evidenza nostra). 
5. Al quinto considerando, la predetta direttiva, ricorda che le conclusioni 
del Consiglio europeo di Essen hanno sottolineato la necessit� di provvedimenti 
per �incrementare l'intensit� occupazionale della crescita, in particolare 
mediante un'organizzazione pi� flessibile del lavoro, che risponda sia 
ai desideri dei lavoratori che alle esigenze della competitivit�� (evidenza nostra).
6. Il sesto considerando della citata direttiva sottolinea inoltre che la risoluzione 
del Consiglio del 9 febbraio 1999 relativa agli orientamenti in ma-
106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
teria di occupazione per il 1999 invita le parti sociali a tutti i livelli appropriati 
a negoziare accordi �per modernizzare l'organizzazione del lavoro, comprese 
forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive 
e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilit� e la sicurezza� 
(evidenza nostra). 
7. L�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 
1999 (in prosieguo, l�accordo quadro), che figura in allegato alla direttiva 
1999/70/CE, prevede, nel suo preambolo: �il presente accordo stabilisce i 
principi generali e i requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato, 
riconoscendo che la loro applicazione dettagliata deve tener conto delle realt� 
specifiche delle situazioni nazionali, settoriali e stagionali� (evidenza 
nostra). 
8. La clausola 3 dell�accordo quadro prevede che l'apposizione del termine 
deve essere determinata "da condizioni oggettive, quali il raggiungimento 
di una certa data, il completamento di un compito specifico o il 
verificarsi di un evento specifico". 
9. La clausola 8 dell�accordo quadro dispone che "gli Stati membri possono 
mantenere o introdurre disposizioni pi� favorevoli per i lavoratori", ma 
"che l'applicazione dell'accordo non costituisce un motivo valido per ridurre 
il livello di tutela offerto al lavoratore nell'ambito coperto dall'accordo". 
10. Ai sensi dell�art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70/CE, gli Stati 
membri erano tenuti a mettere in atto le disposizioni legislative, regolamentari 
e amministrative necessarie per conformarsi ad essa entro il 10 luglio 2001. 
La normativa nazionale 
11. Con legge 29 dicembre 2000, n. 422, recante disposizioni per l�adempimento 
degli obiettivi derivanti dall�appartenenza dell�Italia alle Comunit� 
europee � legge comunitaria 2000, il legislatore nazionale ha delegato il governo 
italiano ad emanare i decreti legislativi necessari per recepire le direttive 
comunitarie di cui agli allegati A e B di tale legge. Nell�allegato B � in particolare 
menzionata la direttiva 1999/70/CE. 
12. L�art. 2, n. 1, lett. b), della legge n. 422 del 2000 dispone in particolare 
che, �per evitare disarmonie con le discipline vigenti per i singoli settori interessati 
dalla normativa da attuare, saranno introdotte le occorrenti modifiche 
o integrazioni alle discipline stesse ��, e la stessa disposizione, alla lett. 
f), prevede che �i decreti legislativi assicureranno in ogni caso che, nelle materie 
trattate dalle direttive da attuare, la disciplina disposta sia pienamente 
conforme alle prescrizioni delle direttive medesime�. 
13. La delega � stata attuata dal Governo italiano con l�adozione del decreto 
legislativo 6 settembre 2001, n. 368, recante attuazione della direttiva 
1999/70/CE relativa all�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso 
dall�UNICE (Unione delle confederazioni delle industrie della Comunit�
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 107 
europea), dal CEEP (centro europeo dell�impresa a partecipazione pubblica) 
e dal CES (Confederazione europea dei sindacati). 
14. L�art. 1, n. 1, del decreto legislativo n. 368 del 2001 dispone che ҏ 
consentita l�apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato 
a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o 
sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attivit� del datore di lavoro� (la 
parte in evidenza � stata aggiunta dall�art. 21 del decreto-legge 25 giugno 
2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 recante disposizioni 
urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione 
della finanza pubblica e la perequazione tributaria). L�art. 1, 
comma 2 prevede che �l�apposizione del termine � priva di effetto se non risulta, 
direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate 
le ragioni di cui al comma 1�. Al comma 1 � stato premesso dall�art. 1, comma 
39 della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (legge finanziaria 2008) il seguente 
periodo: �Il contratto di lavoro subordinato � stipulato di regola a tempo indeterminato�. 
15. L'art. 2 del d.lgs. n. 368 stabilisce che "E' consentita l'apposizione di 
un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato quando l'assunzione 
sia effettuata da aziende di trasporto aereo o da aziende esercenti i servizi aeroportuali 
ed abbia luogo per lo svolgimento dei servizi operativi di terra e 
di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci, per un periodo massimo 
complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro 
mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore 
al quindici per cento dell'organico aziendale che, al 1� gennaio dell'anno a 
cui le assunzioni si riferiscono, risulti complessivamente adibito ai servizi 
sopra indicati. Negli aeroporti minori detta percentuale pu� essere aumentata 
da parte delle aziende esercenti i servizi aeroportuali, previa autorizzazione 
della direzione provinciale del lavoro, su istanza documentata delle aziende 
stesse. In ogni caso, le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono 
comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende di 
cui al presente articolo�. 
16. La previsione riportata ripete pedissequamente la formula gi� usata 
nella lettera f) del c. 2, dell'art. 1 della legge n. 230/1962, introdotta dall'articolo 
unico della legge 25 marzo 1986, n. 84 che elencava le condizioni legittimanti 
l'assunzione a termine nelle aziende di trasporto aereo o esercenti i 
servizi aeroportuali. 
17. Si deve anche rilevare come la previsione di cui all'articolo 2 del d.lgs. 
368/2001 non sia l'unica nella quale viene consentito il ricorso al lavoro a termine 
indipendentemente dalla prova di una ragione di carattere tecnico, produttivo, 
organizzativo o sostitutivo. 
18. Altre ipotesi sono: 
- le assunzioni a termine nel settore del turismo e dei pubblici esercizi,
108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
per l'esecuzione di speciali servizi non superiori a tre giorni ai sensi dell'art. 
10, c. 3 d.lgs. 368/2001; 
- le assunzioni di dirigenti, ammesse con il limite massimo di durata di 
cinque anni e senza obbligo di forma scritta in quanto fattispecie contrattuali 
unicamente soggette alle disposizioni degli artt. 6 e 8 (art. 10, c. 4 d.lgs. 
368/2001); 
- la prosecuzione del lavoro del personale dipendente che abbia differito 
il pensionamento di anzianit� ai sensi della legge n. 388/2000 art. 75 (art. 10, 
e 6 d.lgs. 368/2001); 
- le assunzioni di lavoratori in mobilit�, ex art. 8 c. 2,1. n. 223/1991; 
- le assunzioni dei disabili ex art. 11 legge n. 68/1999. 
19. Il comma 1 bis dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 368/2001 
estende il campo di applicazione del primo comma. Esso stabilisce, infatti, 
che: "le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche quando l'assunzione 
sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste per 
un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre 
di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella 
percentuale non superiore al 15 per cento dell'organico aziendale, riferito al 
1� gennaio dell'anno cui le assunzioni si riferiscono. Le organizzazioni sindacali 
provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di assunzione 
da parte delle aziende di cui al presente comma". 
20. Per quanto riguarda la disciplina del settore postale in Italia, occorre 
precisare che, inizialmente, i servizi di cui all'art. 1 del codice postale erano 
forniti dall'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni; l'art. 1 del 
decreto legge 1� dicembre 1993, n. 487 (Trasformazione dell'Amministrazione 
delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione 
del Ministero), convertito in legge, con modificazioni, con la legge 
29 gennaio 1994, n. 71, ha trasformato l'Amministrazione in un ente pubblico 
economico denominato "Ente Poste Italiane". 
21. Successivamente, in base alla previsione gi� contenuta nel c. 2 dello 
stesso art. 1 del decreto legge n. 487 del 1993, con la deliberazione del Comitato 
interministeriale per la programmazione economica 18 dicembre 1997, n. 
244, l'Ente Poste Italiane � stato trasformato, a decorrere dal 28 febbraio 1998, 
in una societ� per azioni denominata "Poste Italiane Spa". Tutte le azioni di 
quest'ultima sono state attribuite al Ministero del Tesoro, del Bilancio e della 
Programmazione economica. 
22. Pur dopo la privatizzazione, la societ� Poste Italiane ha continuato a 
svolgere - in ossequio agli obblighi imposti dalla legge 29 gennaio 1994, n. 
71 - determinate funzioni eminentemente pubblicistiche, e cio� servizi non 
oggettivamente postali. 
23. L'art. 2 della legge n. 71/94, relativo all'attivit� di Poste Italiane, prevede 
che questa svolga le attivit� e i servizi determinati nello statuto e nel con-
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 109 
tratto di programma che deve essere concluso tra il Ministro delle Poste e delle 
Telecomunicazioni ed il Presidente di Poste Italiane. 
24. L'art. 6 del contratto di programma concluso nel 1995 stabilisce: 
"Ferma la garanzia da parte [di Poste Italiane] di assicurare lo svolgimento 
dei servizi universali, riservati o non, [...] su tutto il territorio nazionale, [Poste 
Italiane] individuer� i piccoli uffici postali periferici operanti in zone remote 
che non garantiscono condizioni di equilibrio economico, predisponendo per 
essi interventi di razionalizzazione della gestione tali da garantire la progressiva 
riduzione della perdita di gestione imputabile a ciascuno. Sulla base del 
principio di distinzione fra le funzioni imprenditoriali e le funzioni sociali [di 
Poste Italiane], le parti determineranno entro 3 mesi dalla chiusura di ciascun 
esercizio, l'entit� degli obblighi di servizio universale derivanti dal mantenimento 
degli uffici predetti. A tal fine dovranno essere considerati per ciascun 
piccolo ufficio esclusivamente i costi diretti o indiretti, determinati su base 
consuntiva, di univoca imputabilit� all'ufficio stesso a fronte dei quali non risultino 
ricavi derivanti dall'attivit� del medesimo [...] Ove lo Stato stabilisca 
a carico [di Poste Italiane] comportamenti da cui scaturiscano oneri impropri 
ovvero l'applicazione di tariffe particolari esso provveder� comunque ad assicurare 
la copertura delle spese o dei mancati ricavi [di Poste Italiane]". 
25. Al fine di garantire "eque condizioni di concorrenza rispetto alle tariffe 
praticate per analoghi servizi dalle aziende concorrenti", Poste Italiane 
si � impegnata, all'art. 11 dello stesso contratto di programma, ad adottare un 
sistema di contabilit� su conti separati destinato a "consentire in particolare 
la verifica dell'insussistenza di sussidi incrociati tra i servizi riservati a favore 
di quelli non riservati nonch� di pratiche discriminatorie". 
26. Tale obbligo � stato confermato dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662, 
relativa a misure di razionalizzazione delle finanze pubbliche, il cui art. 2, n. 
19, ultimo periodo, stabilisce: "� fatto obbligo all'ente di tenere registrazioni 
contabili separate, isolando in particolare i costi e i ricavi collegati alla fornitura 
dei servizi erogati in regime di monopolio legale da quelli ottenuti dai 
servizi prestati in regime di libera concorrenza". 
27. L'art. 41 del codice postale � stato abrogato dal decreto legislativo 22 
luglio 1999, n. 261, che � entrato in vigore il 6 agosto 1999 e che ha dato attuazione 
nell'ordinamento italiano alla direttiva del Parlamento europeo e del 
Consiglio 15 dicembre 1997, 97/67/CE, concernente regole comuni per lo sviluppo 
del mercato interno dei servizi postali comunitari ed il miglioramento 
della qualit� del servizio. 
28. In base all�art. 1 della direttiva 97/67/CE, "La presente direttiva fissa 
le regole comuni concernenti: 
- la fornitura di un servizio postale universale nella Comunit�; 
- i criteri che definiscono i servizi che possono essere riservati ai fornitori 
del servizio universale e le condizioni relative alla fornitura dei servizi non
110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
riservati; 
- i principi tariffari e la trasparenza contabile per la fornitura del servizio 
universale; 
- la fissazione di norme di qualit� per la fornitura del servizio universale 
e la creazione di un sistema che garantista il rispetto di queste norme; 
- l'armonizzazione delle norme tecniche; 
- la creazione di autorit� nazionali di regolamentazione indipendenti�. 
29. L'art. 9, n. 4, della direttiva 97/67/CE prevede che, per garantire la 
salvaguardia del servizio universale come definito all'art. 3, gli Stati membri 
possono istituire un fondo di compensazione, che � destinato a indennizzare 
il fornitore del servizio universale per gli oneri finanziari non equi che ad esso 
derivano dalla fornitura di tale servizio. Tale fondo pu� essere finanziato mediante 
contributi di operatori autorizzati a fornire servizi non riservati, indipendentemente 
dalla loro appartenenza o meno al servizio universale. 
30. Inoltre, l'art. 14 della direttiva 97/67/CE obbliga gli Stati membri ad 
adottare le misure necessarie per garantire che, entro due anni dalla data della 
sua entrata in vigore, i fornitori del servizio universale operino, nella loro contabilit� 
interna, una separazione tra i diversi servizi riservati ed i servizi non 
riservati. 
31. Come risulta dal ventottesimo considerando della direttiva 97/67/CE, 
questa separazione contabile ha come finalit� di rendere trasparenti i costi effettivi 
dei vari servizi e di evitare che sovvenzioni incrociate dal settore riservato 
al settore non riservato possano alterare sfavorevolmente le condizioni 
di concorrenza in quest'ultimo settore. 
32. Occorre poi evidenziare che, con l'art. 23 comma 2, d.lgs. 261/1999, 
� stato formalizzato l'affidamento a Poste Italiane della concessione relativa 
al Servizio Universale di durata quindicinale (decorrente dal 6 agosto 1999), 
con successiva conferma da parte del Decreto Ministeriale 17 aprile 2000. 
33. Il quadro sin qui delineato gi� lascia intendere la rilevanza pubblicistica 
e sociale delle funzioni affidate alla societ� Poste Italiane e quindi la posizione 
peculiare rivestita, nel sistema, dalla stessa, sia per l'aspetto soggettivo 
(esclusiva partecipazione statale), sia per l'innegabile rilevanza pubblica del 
servizio postale universale reso. 
34. In particolare, quanto a quest'ultimo profilo, gli attributi di necessaria 
continuit�, capillarit�, qualit� ed economicit� del servizio affidato connotano, 
in maniera decisiva ed esclusiva il medesimo, ben giustificando un trattamento 
normativo a s� stante nel contesto ordinamentale. 
35. Si consideri, infatti, che l'art. 1 della legge 12 giugno 1990, n. 146, 
recante norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali 
e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, 
alla lett. e) del c. 2, inserisce nel proprio ambito applicativo anche i servizi relativi 
alle "poste", in quanto riguardanti "la libert� di comunicazione".
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 111 
36. Inoltre, come si � visto, Poste Italiane � tenuta a mantenere strutture 
organizzative periferiche anche se diseconomiche, in adempimento delle proprie 
"funzioni sociali". 
37. Non pu� negarsi, allora, che ci trova dinanzi ad un soggetto in posizione 
non equiparabile ad ogni altro imprenditore privato operante sul mercato, 
con la conseguente razionalit�, ed anzi necessit�, di una sottodisciplina mirata. 
38. Nel contesto ora delineato, il ricorso ai contratti a termine, storicamente, 
� stato determinato dalla necessit� di mantenere inalterato il flusso dei 
servizi postali, anche durante i periodi di ferie o di assenza a qualsiasi titolo 
del personale, come del resto avveniva nel corso del previgente regime pubblicistico, 
senza per� determinare quel permanente appesantimento di bilancio 
e quella rigidit� gestionale derivanti da un eventuale aumento, non necessario 
ma definitivo, dell'organico. 
39. La ratio del comma 1 bis dell'art. 2 del decreto legislativo n. 368/2001 
in esame risiede evidentemente, in primo luogo, in ragioni di contenimento e 
razionalizzazione della spesa pubblica, come attesta la stessa collocazione 
nella legge finanziaria 2006 (Legge 23 dicembre 2005, n. 266), cio� in una 
legge contenente istituzionalmente "Disposizioni per la formazione del bilancio 
annuale e pluriennale dello Stato". 
40. Nella stessa legge, peraltro, sono contenute altre disposizioni che, parallelamente 
e per altri profili, proprio in considerazione dell'essenza pubblicistica 
della propriet� e delle funzioni attribuite, si preoccupano di 
salvaguardare l'equilibrio finanziario e gestionale della societ� Poste Italiane. 
41. In particolare, al comma 31, del medesimo art. 1 si prevede che "Il 
Ministero dell'economia e delle finanze e Poste italiane Spa determinano con 
apposita convenzione i parametri di mercato e le modalit� di calcolo del tasso 
da corrispondere a decorrere dal 1 � gennaio 2005 sulle giacenze dei conti 
correnti in essere presso la tesoreria dello Stato sui quali affluisce la raccolta 
effettuata tramite conto corrente postale, in modo da consentire una riduzione 
di almeno 150 milioni di euro rispetto agli interessi a tale titolo dovuti a Poste 
italiane Spa dall'anno 2005". 
42. Inoltre, al successivo comma 96 si dispone che "ai fini dell'applicazione 
del contratto di programma 2003-2005 tra il Ministero delle comunicazioni, 
di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze per quanto 
attiene gli aspetti finanziari, e Poste italiane Spa, in relazione agli obblighi 
del servizio pubblico universale per i recapiti postali, il Ministero dell'economia 
e delle finanze � autorizzato a corrispondere a Poste italiane Spa l'ulteriore 
importo di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008". 
L'intenzione di fondo della Finanziaria 2006, sul punto, � stata quella di predisporre 
misure di supporto finanziario o di contenimento di spesa, convergenti 
verso l'obiettivo di preservare, mediante interventi statali diretti, l'equilibrio
112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
di bilancio di Poste Italiane. 
43. Quanto alla genesi storico-politica contingente del comma 558 dell'articolo 
1 della Finanziaria 2006 (che ha appunto introdotto il comma 1 bis 
dell'articolo 2 del d.lgs. 368/2001), sistematicamente correlato con le norme 
test� riportate, vanno tenuti presenti i seguenti dati storici: 
- l'esistenza di un vastissimo contenzioso in tema di assunzioni a termine 
da parte di Poste Italiane, con insorgenza di costi non preventivati ed incertezze 
gestionali; 
- la perdurante oggettiva necessit� di risorse umane, pur quantitativamente 
limitate, ma comunque disponibili ratione temporis (punte o assenteismo stagionali) 
o per flessibilit� pura, in connessione con la natura dei servizi; 
- l�insostenibilit� finanziaria dell'aggravio di quei costi fissi conseguenti 
all'eventuale ridimensionamento incrementativo in via definitiva della pianta 
stabile; 
- la non necessariet� di aumento fisso del personale, col pericolo (gi� concretizzatosi 
nella fase di trasformazione) di eccedenze ed esuberi. 
44. Invero, le peculiari condizioni, non completamente comparabili con 
quelle di un normale imprenditore privato, in cui le Poste sono chiamate ad 
operare, sia per quanto riguarda il contenuto dei servizi sia per quanto riguarda 
l'autonomia e l'ambito delle scelte, ben giustificano sottodiscipline di settore; 
queste ultime, peraltro, in quanto rispondenti ad obiettive esigenze di interesse 
pubblico e sociale, portano ad escludere la lesione del principio di eguaglianza 
(che viene paventata con il quesito sub d) della ordinanza di rimessione del 
Giudice del Lavoro di Trani), con riguardo alla diversit� di trattamento introdotta 
sia tra i lavoratori di Poste Italiane e gli altri lavoratori del settore privato, 
sia tra i lavoratori della predetta societ� assunti con le diverse clausole utilizzabili. 
45. La Corte costituzionale, chiamata gi� in passato a pronunciarsi su questioni 
di legittimit� costituzionale riguardanti norme che ponevano limitate 
deroghe ai principi della legge n. 230 del 1962 ha affermato che "rientra nella 
discrezionalit� del legislatore, insindacabile se non risulti esercitata in modo 
irrazionale ed arbitrario, la scelta di quei settori relativamente ai quali, stanti 
le loro peculiari caratteristiche ed esigenze nonch� la necessit� di soddisfazione 
delle pi� impellenti e pressanti finalit� occupazionali specie giovanili, 
possa ragionevolmente disporsi una deroga al principio sancito dalla l. n. 230 
del 1962" (ordinanza n. 347 del 1988). 
46. La legittimit� costituzionale di discipline differenziate del lavoro a 
termine, giustificate dalle peculiari caratteristiche dei singoli rapporti di lavoro, 
� stata quindi gi� riconosciuta dalla Corte costituzionale italiana (sentenza n. 
80 del 1994, ordinanza n. 347 del 1988, cit.) ed ha costituito, in particolare, 
uno dei fulcri argomentativi della ritenuta legittimit� costituzionale dell�art. 
9, comma 21, ultimo periodo, del decreto legge 1� ottobre 1996, n. 510 (Di-
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 113 
sposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno 
del reddito e nel settore previdenziale), convertito nella legge 28 novembre 
1996, n. 608, secondo cui "le assunzioni di personale con contratto di lavoro 
a tempo determinato effettuate dall'ente Poste Italiane, a decorrere dalla data 
della sua costituzione e comunque non oltre il 30 giugno 1997, non possono 
dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato e decadono allo scadere 
del termine finale di ciascun contratto". 
47. In tale occasione, la Corte costituzionale osserv� appunto che "� sufficiente 
osservare che l'ente Poste Italiane ha operato in regime di concorrenza 
limitatamente ai servizi di tipo non universale e non riservato, restando peraltro 
obbligato - in base all'art. 1, c. 3, del contratto di programma del 17 
gennaio 1995 - ad assicurare la prestazione, espressamente qualificata nello 
stesso Contratto di programma come prioritaria, di tutti i servizi universali e 
riservati, gi� svolti dall'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni. 
Non sussistendo, dunque, nell'ambito dei servizi postali, una situazione di 
piena concorrenza, deve conseguentemente escludersi che la deroga apportata 
dalla norma denunciata alla disciplina dei contratti di lavoro a termine, limitatamente 
a quelli stipulati dall'ente Poste Italiane, possa considerarsi in contrasto 
con la libert� di iniziativa economica privata sancita dall'art. 41 Cost". 
Quesito sub 1): In merito alla asserita "acausalit�" dell'art. 2, comma 
1 bis, del d.lgs. n. 368/2001 
48. L'ordinanza del Tribunale remittente � fondata sul presupposto per 
cui il legislatore italiano, abbia introdotto con il decreto legislativo n. 368/2001 
- anzi, pi� correttamente, con la legge 23 dicembre 2005, n. 266 che ha novellato 
il citato decreto legislativo n. 368 - "una fattispecie 'acausale' per l'assunzione 
a termine dei dipendenti della s.p.a. Poste Italiane". 
49. In proposito, si deve evidenziare come la disposizione in esame introdotta 
dalla Finanziaria 2006 sia giustificata da evidenti esigenze produttive 
di carattere eccezionale, pur se riferite all'attivit� ordinaria del settore postale. 
50. La tipizzazione di una causale valida di assunzione a termine non fa 
altro che cristallizzare nel diritto positivo fenomeni riconosciuti come consolidati 
ed ineliminabili nella realt� dei rapporti giuridici e nelle pronunce giurisprudenziali 
che, gi� sotto il vigore della legge n. 230/1962, erano giunte a 
ritenere sussistenti in concreto certe causali di assunzione a termine sulla base 
della "comune esperienza" (ex multis, Corte di cassazione n. 276/1990). 
51. Infatti, oltre alle citate e contingenti esigenze finanziarie, si deve prendere 
atto che per Poste Italiane S.p.a. � necessario, in maniera ineludibile, poter 
disporre di un certo numero di risorse umane a tempo determinato per fronteggiare 
l'imprevedibilit� delle concrete vicende gestionali, e ci� durante tutto 
il corso dell'anno e massimamente nel periodo estivo. 
52. La scelta legislativa, risulta, dunque, in radice assolutamente giusti-
114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
ficata, ed anzi apprezzabile, sul piano del senso comune e della logica, rispondendo 
a criteri di razionalizzazione dell'assetto complessivo dell'impresa, risultando 
realmente funzionale a scongiurare, nell'immediato e per singoli 
settori, scompensi contingenti cui potrebbe essere contraddittorio, diseconomico 
ed irragionevole provvedere con assunzione a tempo indeterminato di 
nuovo personale, e ci� sempre rimarcando la rilevanza sociale delle funzioni 
assicurate dalla societ�. 
53. Pertanto, mentre nell'articolo 1, con l'uso di una categoria riassuntiva 
(clausola generale), la legge ha lasciato all'autonomia contrattuale dei privati 
la concretizzazione delle ragioni per la contingente assunzione a termine, nell'art. 
2, all'opposto, la stessa ha tipizzato una volta per tutte un'ipotesi, qualificata 
in via astratta e generale come giustificativa dell'apposizione di un 
termine finale. 
54. In tale direzione, all'art. 2 sono fissati, in maniera rigida e tassativa, 
requisiti soggettivi (qualit� del soggetto datore di lavoro) ed oggettivi (sia di 
tipo teleologico/mansionistico. sia di tipo temporale e quantitativo), che servono 
a tratteggiare una fattispecie astratta gi� qualificata come giustificativa 
dell'assunzione a termine. Corollario ne � che, quando ricorrono i presupposti 
indicati, � automaticamente e certamente "consentita l'apposizione di un termine". 
55. In realt�, le ipotesi di lavoro a termine dell'art. 1 e dell'art. 2 si differenziano 
non per il requisito causalistico (in ambedue presente), ma solo per 
la tecnica normativa utilizzata: nell'articolo 1 l'uso di categorie riassuntive e 
concetti giuridici indeterminati, quindi l'atipicit� delle fattispecie, � controbilanciata 
dal controllo giudiziale intrinseco veicolato attraverso oneri formali 
specifici e pregnanti; nell'articolo 2, l'uso di formule normative tassative e dettagliate 
limita il ruolo del giudice al controllo esteriore della mera sussumibilit� 
del caso concreto nell�ambito della fattispecie normativa e rende, quindi, 
superflui ulteriori oneri formali. 
56. Infatti, a differenza dei casi atipici di cui all'art. 1, dove la indeterminatezza 
delle ipotesi richiede la correlata "specificazione" scritta delle ragioni 
contingenti investite (per consentire il controllo giudiziale causalistico), nel 
caso che interessa le ragioni sono in realt� gi� contenute nella norma di legge. 
57. Pertanto, in sede contrattuale, non � assolutamente necessaria l'indicazione 
di ulteriori causali concrete, rimanendo ben sufficiente il mero richiamo 
alla fattispecie di legge. 
58. Detta soluzione - in relazione all'altra ipotesi contemplata dall'articolo 
2 del d.lgs. 368/2001 e cio� in relazione al trasporto aereo - � stata immediatamente 
sposata anche dal Ministero del Lavoro il quale nella Circolare 1 agosto 
2002, n. 42 (in G.U. 13 agosto 2002, n. 189) ha chiarito che, nel caso del 
trasporto aereo, "non � richiesta la sussistenza di specifiche ragioni n�, ovviamente, 
la relativa indicazione nel contratto".
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 115 
59. In particolare, osserva il Ministero "le imprese di quel settore possono 
utilizzare tale tipologia contrattuale nei limiti di tempo prescritti dalla legge 
senza pur tuttavia essere tenute a specificarne le motivazioni. Ci� si spiega in 
ragione del fatto che il settore in esame e caratterizzato da ciclici e ricorrenti 
incrementi di produttivit� che il legislatore ha inteso codificare. Non � escluso, 
peraltro, che le stesse imprese si avvalgano della norma generale di cui all'art. 
1 per ulteriori necessit� di implementazione temporanea dell'organico in periodi 
diversi e/o maggiori di quelli stabiliti dalla disposizione in esame, la 
quale - � opportuno rilevarlo - non opera in via esclusiva ma � limitata a sopperire 
alle sole implementazioni stagionali del settore che sono ritenute strutturali". 
60. La chiusura e la tenuta del sistema sono, poi, assicurate dal controllo 
sindacale finale, veicolato attraverso gli obblighi di informazione prescritti 
dalla norma, nel rispetto della clausola di contingentamento. 
61. La correttezza di tali argomentazioni � stata confermata, da ultimo, 
dalla stessa Corte Costituzionale che, con la sentenza 19 luglio 2009. n. 214 
ha giudicato infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'articolo 
2, comma 1 bis del decreto legislativo n. 368/2001. 
62. La Corte Costituzionale ha in proposito affermato che "la norma censurata 
costituisce la tipizzazione legislativa di un'ipotesi di valida apposizione 
del termine. Il legislatore, in base ad una valutazione - operata una volta per 
tutte in via generale e astratta - delle esigenze delle imprese concessionarie 
di servizi postali di disporre di una quota (15 per cento) di organico flessibile, 
ha previsto che tali imprese possano appunto stipulare contratti di lavoro a 
tempo determinato senza necessit� della puntuale indicazione, volta per volta, 
delle ragioni giustificatrici del termine. Tale valutazione preventiva ed astratta 
operata dal legislatore non � manifestamente irragionevole. Infatti, la garanzia 
alle imprese in questione, nei limiti indicati, di una sicura flessibilit� dell'organico, 
� direttamente funzionale all'onere gravante su tali imprese d� 
assicurare lo svolgimento dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, 
al trasporto ed alla distribuzione degli invii postali, nonch� la realizzazione 
e l'esercizio della rete postale pubblica i quali �costituiscono attivit� di preminente 
interesse generale�, ai sensi dell'art. 1, comma 1, del decreto legislativo 
22 luglio 1999, n. 261 (Attuazione della direttiva 1997/67/CE 
concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali 
comunitari e per il miglioramento della qualit� del servizio). In particolare, 
poi, in esecuzione degli obblighi di fonte comunitaria derivanti dalla 
direttiva 1997/67/CE, l'Italia deve assicurare lo svolgimento del ed. "servizio 
universale" (cio� la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione 
degli invii postali fino a 2 chilogrammi; la raccolta, il trasporto, lo smistamento 
e la distribuzione dei pacchi postali fino a 20 chilogrammi; i servizi relativi 
agli invii raccomandati ed agli invii assicurati: art. 3, comma 2, del
116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
d.lgs. n. 261 del 1999); tale servizio universale �assicura le prestazioni in 
esso ricomprese, di qualit� determinata, da fornire permanentemente in tutti 
i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori 
e delle zone rurali e montane, a prezzi accessibili a tutti gli utenti� (art. 
3, comma 1); l'impresa fornitrice del servizio deve garantire tutti i giorni lavorativi, 
e come minimo cinque giorni a settimana, salvo circostanze eccezionali 
valutate dall'autorit� di regolamentazione, una raccolta ed una 
distribuzione al domicilio di ogni persona fisica o giuridica (art. 3, comma 
4); il servizio deve esser prestato in via continuativa per tutta la durata dell'anno 
(art. 3, comma 3). Non �, dunque, manifestamente irragionevole che 
ad imprese tenute per legge all'adempimento di simili oneri sia riconosciuta 
una certa flessibilit� nel ricorso (entro limiti quantitativi comunque fissati inderogabilmente 
dal legislatore) allo strumento del contratto a tempo determinato. 
Si aggiunga che l'art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001 
impone alle aziende di comunicare ai sindacati le richieste di assunzioni a 
termine, prevedendo cos� un meccanismo di trasparenza che agevola il controllo 
circa l'effettiva osservanza, da parte datoriale, dei limiti posti dalla 
norma�. 
63. Pertanto, l'ordinanza di rimessione del Tribunale di Trani si fonda sull'erroneo 
presupposto che il legislatore italiano abbia introdotto (con il comma 
588 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 che ha novellato l'art. 
2 del d.lgs. 368/2001 inserendovi il comma 1 bis) una fattispecie "acausale". 
64. Non si tratta affatto - come ha chiarito la Corte Costituzionale - di 
una fattispecie acausale, bens� di una ragione obiettiva che giustifica il ricorso 
al lavoro a termine tipizzata dallo stesso legislatore una volta per tutte, tenendo 
conto delle esigenze delle imprese del settore di disporre di una quota (15%) 
di organico sicuramente flessibile. 
65. Fra la norma in questione e l'articolo 1 del decreto legislativo n. 
368/2001 v'� quindi l'unica differenza che - secondo una legittima scelta del 
legislatore - nel caso in esame si impone al giudice di verificare solo la ricorrenza 
in concreto di tutti gli elementi della dettagliata fattispecie legale, laddove 
invece l'articolo 1 impone un controllo giudiziale sulla sussistenza caso 
per caso di una ragione oggettiva giustificante il termine da specificarsi per 
iscritto nel contratto proprio in funzione di tale controllo. 
66. La clausola 3.1 dell'Accordo Quadro ("ai fini del presente accordo, il 
termine "lavoratore a tempo determinato " indica una persona con un contratto 
o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il 
lavoratore e il cui termine � determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento 
di una certa data, il completamento di un compito specifico o il 
verificarsi di un evento specifico") non imponeva, come scelta necessaria, una 
normativa, come quella poi adottata dal legislatore italiano, che prevedesse la 
legittimazione del contratto a termine con la "clausola generale" stabilita dal-
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 117 
l'articolo 1 del decreto legislativo n. 368/2001. 
67. E' una opzione, quella adottata dal legislatore italiano, che certo ben 
si conforma allo spirito antifraudolento della disciplina del lavoro a termine 
in quanto impone alle parti di esplicitare in anticipo, e cio� in sede di stipulazione 
del contratto, la specifica causale obiettiva (di tipo tecnico, organizzativo, 
produttivo o sostitutivo), di modo che la effettivit� di tale causale (e la 
stessa congruit� del termine) siano poi verificabili ex post in caso di contenzioso 
giudiziale; ovvero (verificabili) anche ex ante, qualora le parti decidano 
di avvalersi della procedura di certificazione del contratto introdotta dalla 
legge n. 30/2003 e dal successivo decreto legislativo di attuazione n. 276/2003 
(legge Biagi), ottenendo cos� una asseverazione in via amministrativa (con effetti 
di certezza del rapporto) della genuinit� della qualificazione del contratto. 
68. La clausola n. 3 dell'Accordo Quadro non vieta per� certo al legislatore 
di prevedere ex ante la legittimit� di contratti a termine in ragione di specifiche 
condizioni, cos� come ha appunto fatto le legge italiana in ragione della 
valutazione delle esigenze delle imprese che operano nel settore del trasporto 
aereo, dei servizi aeroportuali e delle imprese concessionarie di servizi postali.
69. D'altra parte, il diritto vivente nella magistratura italiana che si � occupata 
del tema delle assunzione a termine nel settore postale in base all'art. 
2 del d.lgs. n. 368/2001 � proprio nel senso qui prospettato. L'assunzione a 
termine � cio� consentita non in maniera acausale, bens� previa valutazione 
dei requisiti soggettivi del datore di lavoro (che, per le peculiarit� ritenute dal 
legislatore legittimano il ricorso a questa tipologia contrattuale), dei limiti 
quantitativi e dei limiti temporali dettati dalla legge (cfr., ex multis, da ultimo: 
Trib. Trapani 14 ottobre 2009, Corte d'Appello di Torino 11 ottobre 2007, n. 
1103, Trib. Milano 8 ottobre 2007, n. 3231). 
70. Come ha ribadito il Tribunale di Milano nella sentenza n. 3231/2007 
ora richiamata: "Come gi� sostenuto da precedenti di questo Tribunale (tra 
gli altri sentenza 2996/07) con il citato articolo 2 comma 1 bis il legislatore 
ha introdotto una ipotesi tipizzata in analogia con quanto gi� previsto dall'articolo 
2 comma 1 dello stesso decreto legislativo 368/01 [...] In buona sostanza 
il legislatore ha ritenuto opportuno estendere anche al settore postale 
una normativa pi� snella che non indaga sulla singola ragione giustificatrice 
del termine in relazione a contratti comunque stipulati in un periodo che normalmente 
giustifica da un lato un incremento di attivit� (traffico di persone e 
merci) e dall'altro una maggiore assenza del personale in pendenza delle 
ferie". 
71. La stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 214/2009 gi� richiamata, 
ha affermato che la norma in questione "si limita a richiedere, per la 
stipula di contratti a termine da parte delle imprese concessionarie di servizi 
nei settori delle poste, requisiti diversi rispetto a quelli valevoli in generale
118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
(non gi� l'indicazione di specifiche ragioni temporali, bens� il rispetto di una 
durata massima e di una quota percentuale dell'organico complessivo). Pertanto 
il giudice ben pu� esercitare il proprio potere giurisdizionale al fine di 
verificare la ricorrenza in concreto di tutti gli elementi di tale dettagliata fattispecie 
legale". 
Quesito sub 2): In merito alla asserita violazione della clausola di non 
regresso 
72. Non condivisibile � altres� la tesi del Giudice del Lavoro del Tribunale 
di Trani in merito alla asserita violazione della clausola di non regresso stabilita 
al punto 8, comma 3, dell'Accordo Quadro (l'applicazione del presente 
accordo non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela 
offerto ai lavoratori nell'ambito coperto dall'accordo stesso). 
73. La disposizione dell'Accordo inibisce ai legislatori nazionali di recepire 
la fonte comunitaria in modo tale da introdurre discipline peggiorative rispetto 
a quelle gi� vigenti in ciascuno Stato dell'Unione Europea. 
74. La normativa italiana di recepimento della direttiva comunitaria non 
ha comportato un regresso del livello generale di tutela dei lavoratori con contratto 
a termine. 
75. Sotto un primo profilo, il concetto di "ambito coperto dall'accordo 
stesso" espresso nella clausola di non regresso deve essere interpretato in maniera 
restrittiva in quanto si riferisce esclusivamente alla materia espressamente 
disciplinata dalle parti sociali. 
76. Per espressa previsione di cui alla clausola 2, paragrafo 1, l'accordo 
quadro si applica, infatti, ai "lavoratori a tempo determinato con contratto di 
assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi 
o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro" e non certo alla platea 
indistinta dei soggetti potenzialmente interessati ad una assunzione a termine. 
77. Stando alla lettera dell'articolo 8, paragrafo 3, ci� che si dovr� valutare 
�, a ben vedere, non la disciplina sul lavoro a termine in generale, ma unicamente 
quei profili che sono direttamente e specificatamente disciplinati dall'accordo 
stesso, di modo che il giudizio sulla eventuale violazione della 
clausola di non regresso andr� compiuto unicamente rispetto alle disposizioni 
in tema di parit� di trattamento e in tema di proroga e rinnovazione del contratto, 
non rientrando infatti le ipotesi di apposizione del termine al contratto 
di lavoro nell'ambito coperto dall'accordo. 
78. Pertanto, poich� la direttiva si occupa esclusivamente di regolare il 
rispetto del principio di non discriminazione e di prevenire gli abusi derivanti 
dalla successione di rapporti a termine, � in riferimento a queste materie che 
deve essere valutata la nuova normativa nazionale, che, per questi temi, certamente 
non viola la fonte comunitaria. 
79. La questione delle ipotesi di legittima apposizione del termine, per
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 119 
contro, esula dagli obiettivi e dall'ambito coperto dall'accordo quadro, come 
espressamente stabilito dalla clausola 1, che parla di un quadro di garanzie 
volte a rendere effettivo il principio di non discriminazione rispetto ai lavoratori 
assunti con contratto a tempo indeterminato, da un lato, e a creare un quadro 
normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una 
successione di contratti a termine, dall'altro lato. 
80. Per altro verso si pu� sottolineare come la disposizione contenuta nell'Accordo 
Quadro si limita a stabilire che l'applicazione della direttiva non 
deve costituire un "motivo valido per ridurre il livello generale di tutela... ". 
In sostanza il recepimento della fonte europea non pu� diventare il "pretesto" 
per interventi regolatori che peggiorino la protezione garantita ai lavoratori 
dalla disciplina nazionale. 
81. Nel 14� considerando della direttiva e nel preambolo dell'accordo, si 
dispone "il presente accordo stabilisce i principi generali e i requisiti minimi 
relativi al lavoro a tempo determinato, riconoscendo che la loro applicazione 
dettagliata deve tener conto delle realt� specifiche delle situazioni nazionali, 
settoriali e stagionali. Esso indica la volont� delle parti sociali di stabilire un 
quadro generale che garantisca la parit� di trattamento ai lavoratori a tempo 
determinato, proteggendoli dalle discriminazioni, e un uso dei contratti di lavoro 
a tempo determinato accettabile sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori". 
82. Dunque il legislatore europeo afferma espressamente la sua volont� 
di stabilire dei minimi di regolamentazione, lasciando gli Stati membri liberi, 
a fronte di situazioni nazionali particolari, di introdurre regole di dettaglio 
anche diversificate: l'accordo quadro � infatti un mero accordo cornice. Dunque, 
anche in questa prospettiva, la clausola di non regresso non pare violata. 
83. Sul punto si deve richiamare la stessa giurisprudenza della Corte di 
giustizia che, con la sentenza del 22 novembre 2005, Grande Sezione, causa 
C-144/04, Mangold, affronta espressamente il problema della clausola di non 
regresso prevista dall'articolo 8 dell'accordo quadro in materia di contratto a 
termine. 
84. La sentenza afferma che la clausola di non regresso non riguarda soltanto 
la normativa che recepisce la direttiva che contiene la clausola, ma anche 
le altre disposizioni legislative nazionali successive a quella che implementa 
la fonte comunitaria e che completano o modificano le norme nazionali gi� 
adottate. 
85. Si sottolinea, per� che una riforma peggiorativa "della protezione offerta 
dei lavoratori del settore dei contratti a tempo determinato non �, in 
quanto tale, vietata dall'accordo quadro quando non � in alcun modo collegata 
con l'applicazione di questo'' (punto 52). 
86. Peraltro, � degno di rilievo che nelle conclusioni dell'Avvocato Generale 
nella predetta causa, viene riconosciuto che "non si � qui in presenza
120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
di una clausola di stand-still che vieti in assoluto un abbassamento del livello 
di protezione esistente nel diritto nazionale [...] si tratta invece [...] di una 
clausola di trasparenza [...] ci� emerge anzitutto dalla lettera della clausola, 
la quale non preclude in generale la riduzione del livello di protezione assicurato 
ai lavoratori, ma esclude che l'applicazione della direttiva possa essa 
stessa costituire un motivo valido per operare tale riduzione. A ben vedere 
una diversa interpretazione non solo contraddirebbe la lettera, assai chiara 
della clausola, ma contrasterebbe anche con il sistema di ripartizione delle 
competenze voluto dal Trattato, il quale nel campo della politica sociale riserva 
alla Comunit� il compito di "sostenere e completare l'azione degli Stati 
membri" in specifici settori". 
87. Nella specie, la legislazione tedesca sottoposta alla valutazione della 
Corte non � stata ritenuta introdotta per la necessit� di applicare l'accordo quadro 
ma per realizzare la diverse finalit� "di incentivare l'occupazione delle 
persone anziane in Germania"; pertanto, l'eventuale riforma peggiorativa doveva 
considerarsi legittima. Pertanto, una legge nazionale motivata da ragioni 
diverse dall'applicazione di una direttiva all'interno di uno Stato membro pu� 
anche peggiorare lo standard di tutela preesistente purch� vi sia una valida ragione 
giustificativa. 
88. Si deve poi ricordare anche la sentenza della Corte di giustizia, Terza 
sezione, del 23 aprile 2009 cause riunite da C-378/07 a 380/07, Angelidaki 
che ha affermato che � compito del Giudice nazionale verificare l'esistenza di 
un regresso del "livello generale" della tutela dei lavoratori. 
89. Al riguardo, le sentenza precisa che: 
"140. Per quanto concerne, in secondo luogo, la condizione secondo cui 
la reformatio in peius deve riguardare il �livello generale di tutela� dei lavoratori 
a tempo determinato, essa implica che soltanto una reformatio in peius 
di ampiezza tale da influenzare complessivamente la normativa nazionale in 
materia di contratti di lavoro a tempo determinato pu� rientrare nell'ambito 
applicativo della clausola 8, n. 3, dell 'accordo quadro. 
141. Tuttavia, nel caso di specie, per quanto riguarda la modifica derivante 
dall'esclusione dei lavoratori che hanno stipulato un primo o unico contratto 
di lavoro a tempo determinato dall'ambito di applicazione del decreto 
presidenziale 164/2004, sembra che detta modifica non incida su tutti i lavoratori 
con un contratto di lavoro a tempo determinato, ma soltanto su quelli 
che, da un lato, operano nel settore pubblico, e, dall'altro, non sono parti contraenti 
di contratti di lavoro a tempo determinato successivi. 
142. Fintanto che questi ultimi lavoratori non rappresentano una porzione 
significativa dei lavoratori impiegati a tempo determinato nello Stato 
membro in questione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, 
la riduzione della tutela di cui gode una siffatta, ristretta, categoria di lavoratori 
non � di per s� tale da influenzare complessivamente il livello di tutela
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 121 
applicabile nell'ordinamento giuridico interno ai lavoratori con un contratto 
di lavoro a tempo determinato". 
90. Secondo quanto si evince dalla giurisprudenza comunitaria ora richiamata, 
pertanto: 
- la normativa nazionale non pu� essere considerata contraria alla clausola 
di non regresso nel caso in cui la reformatio in peius che essa comporta non 
sia in alcun modo collegata con l'applicazione dell'accordo quadro. Ci� avverrebbe 
qualora detta reformatio in peius fosse giustificata non gi� dalla necessit� 
di applicare l'accordo quadro, bens� da quella di promuovere un altro 
obiettivo, da essa distinto (sentenza Mangold, punto 52); 
- al fine di verificare la violazione della clausola di non regresso, si deve 
verificare altres� se sia avvenuta una regressione del "livello generale" della 
tutela dei lavoratori, tenendo conto anche del dato numerico dei lavoratori 
coinvolti dalla applicazione della norma in questione e cio� se essi rappresentano 
una porzione significativa dei lavoratori impiegati a tempo determinato 
nello Stato membro (sentenza Angelidaki, punto 142). 
91. Ora, applicando i canoni ermeneutici tracciati, deve ribadirsi il rispetto 
della clausola di non regresso. In primo luogo, non solo non si individuano 
margini di effettivo deterioramento delle condizioni giuridiche dei lavoratori, 
alla luce degli argomenti sopra spesi, ma, in ogni caso, sussistono, come spiegato, 
plurime ragioni oggettive pienamente giustificative dell'assetto voluto. 
92. Come si � gi� ampiamente sostenuto, la legge Finanziaria 2006 � intervenuta 
a motivo delle peculiari esigenze del settore e le ragioni dell�intervento 
sono senza dubbio valide. 
93. Inoltre, i dipendenti con contratto a termine del settore dei servizi postali 
(21.732, come risulta dall�ordinanza di rimessione) non rappresentano 
certo una porzione maggioritaria dei lavoratori impiegati a tempo determinato 
in Italia. 
Quesito sub 3): In merito alla asserita violazione della clausola 3.1. 
dell'Accordo Quadro 
94. La tesi del Tribunale di Trani - secondo cui la disposizione introdotta 
dalla Finanziaria 2006 in tema di assunzioni a termine nel settore dei servizi 
postali sarebbe contraria alla clausola n. 3.1 dell' Accordo Quadro - � infondata 
sotto diversi profili. 
95. Il risultato imposto dalla direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato 
� chiaramente sancito dall'articolo 1 della medesima, che recita: 
"scopo della presente direttiva � attuare l'accordo quadro sui contratti a tempo 
determinato". 
96. L'accordo quadro, a sua volta, alla clausola n. 1, titolata "obiettivo" 
dispone: "l'obiettivo del presente accordo quadro � 
a) migliorare la qualit� del lavoro a tempo determinato garantendo il ri-
122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
spetto del principio di non discriminazione; 
b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti 
dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato". 
97. Tali scopi sono ripetuti anche nel 14� considerando della direttiva e 
nel preambolo dell'accordo, dove in aggiunta si dispone "il presente accordo 
stabilisce i principi generali e i requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato, 
riconoscendo che la loro applicazione dettagliata deve tener conto 
delle realt� specifiche delle situazioni nazionali, settoriali e stagionali. Esso 
indica la volont� delle parti sociali di stabilire un quadro generale che garantisca 
la parit� di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli 
dalle discriminazioni, e un uso dei contratti di lavoro a tempo 
determinato accettabile sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori". 
98. La direttiva � quindi incentrata essenzialmente sulla volont� di prevenire 
abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti a tempo 
determinato: la ratio legis � polarizzata sull'intento di controllare, limitandolo, 
l'uso continuato nel tempo dello schema tipologico in esame. Ci� � tanto vero 
che nella clausola n. 5 rubricata "misure per prevenire gli abusi", si introduce 
una disciplina specifica, proprio volta a delimitare con requisiti causalistici o 
con limiti massimi di durata, i casi di rinnovo o successione di pi� contratti a 
termine. 
99. All'opposto, per la diversa ipotesi del primo ed unico contratto a 
tempo determinato, le previsioni comunitarie sono molto meno incisive, 
limitandosi, la clausola n. 3 a prevedere che il termine sia "determinato da 
condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento 
di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico". 
100. A conferma di ci� si ricordi che la nota sentenza della Corte di Giustizia 
del 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adelener non � assolutamente riferita 
alle causali del primo contratto a tempo determinato, ma soltanto alle ragioni 
obiettive previste nella direttiva 1999/70/CE che giustificano i rinnovi contrattuali. 
101. Il risultato abusivo che la direttiva vuole scongiurare, come confermato 
dalla giurisprudenza comunitaria in materia, � quindi l'utilizzo plurimo 
di contratti a termine. 
102. Pertanto, si coglie la volont� del legislatore comunitario (14� considerando) 
di ridurre l'intervento regolativo a quel minimum di tutela ritenuto 
necessario e comune a tutte le tipologie lavorative, riconoscendosi la possibilit� 
ed anzi la necessit� ("deve tener conto") di una modulazione delle tutele 
di dettaglio, declinata nel particolare, secondo gli specifici ambiti interessati, 
sul piano nazionale (quindi politico-�ordinamentale), sul piano settoriale 
(quindi aziendale-produttivo) e sul piano stagionale (cio� temporale-organizzativo).

I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 123 
103. Sul punto si richiama la pronuncia gi� sopra citata del Tribunale di 
Milano n. 3231/2007, a conferma dell'interpretazione della norma da parte 
della magistratura italiana. "N� a conclusioni diverse si pu� pervenire sulla 
base delle definizioni contenute nella clausola 3 del accordo quadro ovvero 
in relazione alla definizione di lavoratore a tempo determinato contraddistinto 
dalla sussistenza di un contratto nel quale il termine sia determinato da condizioni 
oggettive quali il raggiungimento di una certa data, il completamento 
di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico. Anche questa 
clausola non richiede affatto una indicazione specifica della causa giustificativa 
della apposizione del termine ma richiede unicamente la sussistenza 
di condizioni oggettive derivanti proprio dal raggiungimento di una certa 
data, requisito assolutamente presente nell'articolo 2 citato allorch� si fa riferimento 
a contratti a termine da stipularsi tra l'aprile e l'ottobre". 
104. Ed ancora, motiva il Tribunale di Milano: "d'altro canto dal "considerando" 
numero 10 dell'accordo medesimo si evince come sia stata demandata 
agli Stati membri e alle parti sociali la formulazione di disposizioni 
volte all'applicazione dei principi generali, dei requisiti minimi e delle norme 
in esso contenuti al fine di tener conto della situazione di ciascuno Stato 
membro e delle circostanze relative a particolari settori e occupazioni, comprese 
le attivit� di tipo stagionale: l'articolo 2 del decreto legislativo 368/01 
non � altro che la realizzazione di una normativa specifica appunto a due particolari 
settori�. 
105. L'articolo 2 del d.lgs. 368/2001 � dunque una norma che rispetto alla 
prima ed unica assunzione a termine tipizza in astratto un'adeguata e oggettiva 
ragione di assunzione a tempo determinato, con l'aggiunta di concorrenti 
sistemi delimitativi. Dunque, si � nel pieno rispetto dei dettami della 
direttiva. 
106. In questa direzione, avvalendosi di concetti propri della teoria generale 
del diritto, la norma del c. 1 bis non � affatto una norma eccezionale, 
cio� derogatoria rispetto ad un canone generale, del quale definirebbe una stortura 
regolativa; la stessa, al contrario, concretizza una norma che riflette e rispetta 
il criterio normativo generale, realizzando nel contempo un adattamento, 
sottotipologico, rispetto a fattispecie peculiari. 
Quesito sub 4): In merito alla asserita violazione del principio generale 
di non discriminazione e di eguaglianza 
107. I principi di eguaglianza e di non discriminazione comunitari trovano 
sostanziale analogia con i principi sanciti dall'articolo 3 della Costituzione italiana.
108. L'articolo 3 della Costituzione - secondo cui tutti i cittadini, senza 
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di 
condizioni sociali e personali, sono uguali davanti alla legge e devono essere
124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
in grado di sviluppare pienamente la loro personalit� sul piano economico, sociale 
e culturale - comporta, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte 
costituzionale, la illegittimit� delle norme che apportino irragionevoli discriminazioni. 
109. Quanto alla asserita violazione del principio di non discriminazione 
e di eguaglianza, si deve allora richiamare integralmente la sentenza della 
Corte Costituzionale n. 214/2009 gi� sopra citata, che ha escluso espressamente 
la illegittimit� dell'articolo 2, comma 1 bis, del d.lgs. n. 368/2001 rispetto 
all'articolo 3 della Costituzione. 
110. Come sopra si � ampiamente sostenuto la norma in questione non 
pone una irragionevole discriminazione di situazioni giuridiche simili; semplicemente, 
il legislatore - con ragionevole esercizio della propria discrezionalit� 
politica - ha tenuto conto delle peculiari esigenze del settore postale. 
Quesito sub 5): In merito all'asserito sfruttamento di posizione dominante 
111. Infondata, infine, la tesi del Tribunale remittente circa un presunto 
sfruttamento di posizione dominante. 
112. Gli articoli del Trattato asseritamente violati sarebbero gli articoli 
82 ed 86, commi 1 e 2. 
113. L�art. 82 dispone che: 
�E' incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui 
possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento 
abusivo da parte di una o pi� imprese di una posizione dominante sul mercato 
comune o su una parte sostanziale di questo. 
Tali pratiche abusive possono consistere in particolare: 
a) nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita 
od altre condizioni di transazione non eque, 
b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno 
dei consumatori, 
c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni 
dissimili per prestazioni equivalenti, determinando cos� per questi ultimi 
uno svantaggio per la concorrenza, 
d) nel subordinare la conclusione di contratti all� accettazione da parte 
degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo 
gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti 
stessi�. 
114. I primi due commi dell'art. 86 prevedono quanto segue: 
�1. Gli Stati membri non emanano n� mantengono, nei confronti delle 
imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, 
alcuna misura contraria alle norme del presente trattato, specialmente a 
quelle contemplate dagli articoli 12 e da 81 a 89 inclusi.
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 125 
2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico 
generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme 
del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in 
cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto 
e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi 
non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunit��.
115. La tesi che il Tribunale remittente pare voler sostenere si fonderebbe 
sul presupposto che la norma considerata consentirebbe a Poste Italiane S.pA. 
di utilizzare uno strumento di flessibilit� nell'individuazione del personale da 
impiegare a termine con un'ampiezza e una possibilit� operativa negate alle 
altre imprese che operano nel settore dei servizi postali, cui si applica (per non 
essere imprese "concessionarie") la pi� rigida normativa generale prevista dall'art. 
1 del d.lgs. n. 368/2001. 
116. L'assunto non � condivisibile. E' necessario tener presente infatti che, 
ai sensi dell'art. 90, n. 1, del Trattato, gli Stati membri non emanano n� mantengono, 
nei confronti delle imprese pubbliche o delle imprese cui riconoscono 
diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del Trattato, in 
particolare all'art. 86. 
117. L'art. 86 del Trattato vieta, qualora possa essere pregiudizievole per 
il commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante 
sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo. 
118. Per quanto qui interessa, la giurisprudenza comunitaria, assolutamente 
concorde, ritiene applicabile la norma in parola alle seguenti condizioni: 
- l'impresa detiene una posizione dominante, tenendo conto della sua 
quota di mercato nonch� di altri fattori, quali la presenza di concorrenti credibili, 
l'esistenza di una rete di distribuzione propria, l'accesso privilegiato alle 
materie prime e cos� via, fattori che complessivamente consentono all'impresa 
di sottrarsi alle normali regole della concorrenza; 
- l'impresa domina il mercato comune europeo o una sua "parte sostanziale"; 
- l'impresa abusa della propria posizione dominante, ad esempio praticando 
prezzi troppo elevati o prezzi troppo bassi per escludere dal mercato i 
concorrenti o i nuovi operatori o accordando a taluni clienti vantaggi discriminatori. 
119. La Corte di giustizia ha gi� in passato analizzato la posizione di Poste 
Italiane S.p.A., escludendo gli estremi di violazione delle norme del trattato 
in materia di concorrenza. 
120. Si tratta dell'importante sentenza della Corte di giustizia, Sesta Sezione 
del 17 maggio 2001, Causa C-340/99, TNT Traco S.p.A. contro Poste 
Italiane S.p.A.
126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
121. L�autorevolezza, completezza e persuasivit� degli argomenti spesi 
nella predetta pronuncia inducono semplicemente a ripercorrerne i tratti motivazionali 
salienti, assolutamente aderenti alla fattispecie in esame in questa 
sede.
122. La Corte sottolinea, innanzi tutto, che "� indiscutibile che Poste Italiane, 
che � titolare dei diritti speciali o esclusivi indicati, detiene una posizione 
dominante ai sensi dell'art. 86 del Trattato, in quanto risulta dalla 
giurisprudenza della Corte di giustizia che il territorio di uno Stato membro, 
al quale si estende una posizione dominante, pu� costituire una parte sostanziale 
del mercato comune (v., in tal senso, sentenza 25 giugno 1998, causa C- 
203/96, Dusseldorp e a., Race, pag. 1-4075, punto 60; 26 novembre 1998, 
causa C-7/97, Bronner, Race. pag. 1-7791, punto 36, e 21 settembre 1999, 
causa C-67/96, Albany, Race. pag. 1-5751, punto 92)". 
123. La medesima ritiene per� "importante ricordare, in secondo luogo, 
che, secondo la giurisprudenza comunitaria il semplice fatto di creare una 
posizione dominante mediante la concessione di diritti speciali o esclusivi non 
�, di per s�, incompatibile con l'art. 86 del Trattato; tuttavia, uno Stato membro 
viola i divieti posti dal combinato disposto dell'art. 90, n. 1, e dell'art. 86 del 
Trattato quando adotta una misura legislativa, regolamentare o amministrativa 
che crea una situazione in cui un'impresa alla quale ha conferito diritti 
speciali o esclusivi � necessariamente indotta ad abusare della propria posizione 
dominante" (v. in tal senso, in particolare, sentenze 17 luglio 1997, causa 
C-242/95, GT-Link, Race, pag. 1-4449, punto 33, e Dusseldorp e a., sopra 
menzionata, punto 61). 
124. La Corte di giustizia spiega anche che esiste sfruttamento abusivo 
di una posizione dominante quando l'impresa detentrice di quest'ultima esige 
per i suoi servizi un corrispettivo iniquo o sproporzionato rispetto al valore 
economico della prestazione fornita (v., in particolare, sentenze 5 ottobre 1994, 
causa C-323/93, Centre d'ins�mination de la Crespelle, punto 25, e GT-Link, 
sopra menzionata, punto 39). 
125. La Corte rileva altres�, che, come risulta dalla formulazione dell'art. 
86 del Trattato, tale normativa � vietata ai sensi degli artt. 86 e 90, n. 1, del 
Trattato solo in quanto pu� essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri. 
126. A tale riguardo nella decisione in esame si riconosce "che in effetti 
dal combinato disposto dei nn. 1 e 2 dell'art. 90 del Trattato risulta che il n. 
2 di tale norma pu� essere fatto valere per giustificare la concessione, da parte 
di uno Stato membro, ad un'impresa incaricata della gestione di servizi di interesse 
economico generale, di diritti speciali o esclusivi contrari, in particolare, 
all'art. 86 del Trattato, qualora l'adempimento della specifica missione 
affidatale possa essere garantito unicamente grazie alla concessione di tali 
diritti e purch� lo sviluppo degli scambi non risulti compromesso in misura
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 127 
contraria agli interessi della Comunit� (v. in tal senso, in particolare, sentenza 
23 maggio 2000, causa C-209/98, Sydhavnens Sten & Grus, punto 74)". 
127. Al punto 53 della decisione si legge "Occorre constatare, in secondo 
luogo, che un'impresa quale Poste Italiane, incaricata in forza della normativa 
di uno Stato membro di assicurare il servizio postale universale, il che implica 
l'obbligo di raccogliere, trasportare e distribuire corrispondenza su tutto il 
territorio dello Stato membro interessato indipendentemente dalla redditivit� 
del settore in cui viene fornito il servizio, costituisce un'impresa incaricata 
della gestione di un servizio di interesse economico generale ai sensi dell'art. 
90, n. 2, del Trattato". 
128. Ed ancora: "In terzo luogo, dalla giurisprudenza della Corte risulta 
che non � necessario, affinch� siano soddisfatte le condizioni di applicazione 
dell'art. 90, n. 2, del Trattato, che risulti minacciato l'equilibrio finanziario o 
la redditivit� economica dell'impresa incaricata della gestione di un servizio 
di interesse economico generale. E' sufficiente che, in mancanza dei diritti 
controversi, possa risultare compromesso l'adempimento delle specifiche funzioni 
assegnate all'impresa, quali precisate dagli obblighi e dai vincoli impostile, 
o che il mantenimento dei diritti di cui trattasi sia necessario per 
consentire al loro titolare di adempiere le funzioni di interesse economico generale 
affidategli in condizioni economicamente accettabili (v., in particolare, 
sentenza Albany, soprammenzionata, punto 107)". 
129. A tal fine la Corte ritiene che possa addirittura risultare necessario 
prevedere non solo la possibilit� di una compensazione tra i settori di attivit� 
redditizi e i settori meno redditizi del titolare della "missione d'interesse generale" 
costituita dalla gestione del servizio universale (v., in tal senso, sentenza 
Corbeau, sopra menzionata, punto 17), ma anche l'obbligo per i fornitori 
di servizi postali che non rientrano in tale servizio universale di contribuire, 
mediante il pagamento di un diritto postale, al finanziamento di questo servizio 
universale e di consentire cos� al titolare di tale missione di interesse generale 
di adempierla in condizioni economicamente equilibrate nei limiti dell'importo 
necessario per compensare le eventuali perdite che la gestione del servizio postale 
universale causa all'impresa che ne � incaricata. 
130. Dunque, in totale aderenza alle considerazioni della Corte, deve 
escludersi che Poste Italiane, attraverso la norma del c. 1 bis, realizzi un abuso 
di posizione dominante. 
131. Difatti, in sintesi: 
- tale norma non crea una situazione in cui l'impresa alla quale ha conferito 
diritti speciali o esclusivi � "necessariamente indotta ad abusare della propria 
posizione dominante"; 
- tale norma non risulta pregiudizievole al commercio tra Stati membri; 
- tale norma si giustifica comunque perch� riguarda un'impresa incaricata 
della gestione di un servizio di interesse economico generale ai sensi dell'art.
128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
90, n. 2, del Trattato; 
- il mantenimento dei diritti di cui trattasi appare necessario per consentire 
al loro titolare di adempiere le funzioni di interesse economico generale 
affidategli in condizioni economicamente accettabili. 
132. Dunque, anche per l'aspetto da ultimo considerato le assunzioni a 
termine avvenute ai sensi dell'art. 2, c. 1 bis, d.lgs. n. 368/2001, sono compatibili 
con l'ordinamento comunitario. 
Quesito sub 6): In merito al potere del giudice nazionale di disapplicare 
la normativa interna contrastante con il diritto comunitario 
133. Avendo risposto negativamente alle precedenti questioni, il Governo 
italiano non ritiene necessario rispondere al quesito sub 6). 
Conclusioni 
134. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il quesito 
sub 1) nel senso che la clausola n. 8.3 dell'Accordo Quadro non osta 
ad una disciplina interna (come quella dettata dall'art. 2, comma 1 bis, del 
d.lgs. n. 368/2001), che, in attuazione della direttiva 1999/70/CE, abbia introdotto 
nell'ordinamento interno una disciplina particolare per l'assunzione 
a termine dei dipendenti della s.p.a. Poste Italiane; 
135. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il quesito 
sub 2) nel senso che per giustificare una reformatio in pejus della precedente 
normativa in tema di contratto a tempo determinato e perch� non 
operi il divieto di cui alla clausola n. 8.3 dell'accordo quadro � sufficiente 
il perseguimento - da parte del legislatore interno - di un obiettivo meritevole 
di una tutela quantomeno equivalente a quello penalizzato; 
136. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il quesito 
sub 3) nel senso che la clausola n. 3.1 dell'Accordo Quadro non osta 
ad una disciplina interna (come quella dettata dall'articolo 2, comma 1 bis 
del d.lgs. 368/2001) che, in attuazione della direttiva 1999/70/CE, abbia introdotto 
nell'ordinamento interno una disciplina particolare per l'assunzione 
a termine dei dipendenti della s.p.a. Poste Italiane; 
137. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il quesito 
sub 4) nel senso che il principio generale di non discriminazione e di 
uguaglianza comunitario non osta ad una disciplina interna (come quella 
dettata dall'art. 2, comma 1 bis, del d.lgs. 368/2001) che, in attuazione della 
direttiva 1999/70/CE, abbia introdotto nell'ordinamento interno una disciplina 
particolare per i dipendenti della s.p.a. Poste Italiane rispetto a quella 
di altre imprese dello stesso o di altro settore; 
138. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il quesito 
sub 5) nel senso che gli articoli 82, comma 1, e 86, commi 1 e 2, del 
Trattato CE non ostano ad una disciplina interna (come quella dettata dal-
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 129 
l'art. 2, comma 1 bis, del d.lgs. 368/2001) che, in attuazione della direttiva 
1999/70/CE, ha introdotto nell'ordinamento interno una disciplina particolare 
a beneficio della sola S.p.a. Poste Italiane (impresa con capitale interamente 
pubblico); 
139. Avendo risposto negativamente alle precedenti questioni, il Governo 
italiano non ritiene necessario rispondere al quesito sub 6). 
Roma, 4 giugno 2010 Avv. Wally Ferrante 
130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Causa C-50/10 - Materia trattata: ambiente e consumatori - Ricorso 
presentato il 29 gennaio 2010 - Commissione europea/Repubblica 
italiana (avv. Stato M. Russo - AL 6807/10). 
IL CONTRORICORSO DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA 
Con ricorso proposto ai sensi dell�art. 258 II comma del Trattato sul 
funzionamento dell�Unione Europea, notificato in data 11 febbraio 2010, 
la Commissione Europea ha adito la Corte di Giustizia dell�Unione Europea 
allo scopo di far constatare che �non avendo adottato le misure necessarie 
affinch� le autorit� competenti controllino, attraverso autorizzazioni 
rilasciate a norma degli artt. 6 e 8, ovvero nei modi opportuni, mediante 
il riesame e, se del caso, l�aggiornamento delle prescrizioni, che tutti gli 
impianti esistenti ai sensi dell�art. 2 paragrafo 4 della direttiva 2008/1/CE, 
del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, sulla prevenzione 
e la riduzione integrate dell�inquinamento, funzionino secondo i 
requisiti di cui agli artt. 3, 7, 9, 10 e 13, all�art. 14, lettere a) e b) ed all�art. 
15 paragrafo 2, della stessa direttiva, la Repubblica italiana � venuta 
meno agli obblighi imposti dall�art. 5 paragrafo 1 della suddetta direttiva�. 
1) La normativa comunitaria 
1.1. La Direttiva n. 2008/1/CE del Parlamento e del Consiglio (d�ora 
in poi, la Direttiva IPPC) reca norme �sulla prevenzione e la riduzione integrate 
dell�inquinamento�. Essa reca altres�, �a fini di razionalit� e chiarezza�, 
(I^ Considerando�) la codificazione, della direttiva 96/61/CE del 
Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate 
dell�inquinamento. 
1.2. L�art. 2 paragrafo 4 della Direttiva IPPC, reca la definizione di 
�impianto esistente� �� un impianto che al 30 ottobre 1999, nell�ambito 
della legislazione vigente anteriormente a tale data, era in funzione o era 
autorizzato o che abbia costituito oggetto, a giudizio dell�autorit� competente, 
di una richiesta di autorizzazione completa, purch� sia poi entrato 
in funzione non oltre il 30 ottobre 2000�; 
1.3 All�art. 5 paragrafo 1 della stessa Direttiva, � stabilito: �Gli Stati 
membri adottano le misure necessarie affinch� le autorit� competenti controllino, 
attraverso autorizzazioni rilasciate a norma degli articoli 6 e 8, 
ovvero, nei modi opportuni, mediante il riesame e, se del caso, l�aggiornamento 
delle prescrizioni, che entro il 30 ottobre 2007 gli impianti esistenti 
funzionino secondo i requisiti di cui agli articoli 3, 7, 9, 10 e 13, 
all�articolo 14, lettere a) e b) ed all�articolo 15, paragrafo 2, fatte salve 
altre disposizioni comunitarie specifiche�.
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 131 
2) La normativa nazionale 
2.1 Con Decreto legislativo 18 febbraio 2005 n. 59, � stata disposta l� 
�Attuazione integrale della Direttiva 96/61/CE�. L�art. 5 comma 18 del 
medesimo D.lgs., nel suo testo originario, stabiliva: �Ogni autorizzazione 
integrata ambientale deve includere le modalit� previste per la protezione 
dell'ambiente nel suo complesso di cui al presente decreto, secondo quanto 
indicato all'articolo 7, nonch� l'indicazione delle autorizzazioni sostituite. 
L'autorizzazione integrata ambientale concessa agli impianti esistenti prevede 
la data, comunque non successiva al 30 ottobre 2007, entro la quale 
tali prescrizioni debbono essere attuate. Nel caso in cui norme attuative 
di disposizioni comunitarie di settore dispongano date successive per l'attuazione 
delle prescrizioni, l'autorizzazione deve essere comunque rilasciata 
entro il 30 ottobre 2007. L'autorizzazione integrata ambientale 
concessa a impianti nuovi, gi� dotati di altre autorizzazioni ambientali all'esercizio 
alla data di entrata in vigore del presente decreto, pu� consentire 
le deroghe temporanee di cui al comma 5, dell'articolo 9�; 
2.2 Con Decreto legge n. 180 del 30 ottobre 2007, convertito in legge 
n. 243 del 19 dicembre 2007, � stato disposto il differimento del termine 
di cui al precedente punto al 31 marzo 2008. Infatti, all�art. 1 del Decreto 
Legge stesso si legge: �All�art. 5 comma 18 del decreto legislativo 18 febbraio 
2005 n. 59, le parole �30 ottobre 2007� sono sostituite dalle seguenti: 
�31 marzo 2008��; 
2.3 All�art. 2 del medesimo decreto legge 180/07, di cui al precedente 
punto, come integrato e modificato dalla legge di conversione, � prevista 
la seguente norma transitoria: �1. Fino alla data del rilascio dell�autorizzazione 
integrata ambientale, gli impianti esistenti di cui al decreto legislativo 
18 febbraio 2005, n. 59, per i quali sia stata presentata nei termini 
previsti la relativa domanda, possono proseguire la propria attivit�, nel 
rispetto della normativa vigente e delle prescrizioni stabilite nelle autorizzazioni 
ambientali di settore rilasciate per l�esercizio e per le modifiche 
non sostanziali degli impianti medesimi; tali autorizzazioni restano valide 
ed efficaci fino alla scadenza del termine fissato per l�attuazione delle relative 
prescrizioni, ai sensi dell�articolo 5, comma 18, del citato decreto 
legislativo n. 59 del 2005, come modificato dall�articolo 1, comma 1, del 
presente decreto. 1-bis. Le autorit� che hanno rilasciato le autorizzazioni 
di settore di cui al comma 1 provvedono, anche su segnalazione del gestore, 
ove ne rilevino la necessit� al fine di garantire il rispetto della normativa 
vigente, nonch� degli articoli 3, 7, come modificato dall�articolo 
2-bis del presente decreto, e 8 del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 
59, all�adeguamento di tali autorizzazioni, nelle more del rilascio dell�autorizzazione 
integrata ambientale. In mancanza del rilascio dell'autorizzazione 
integrata ambientale entro il 31 marzo 2008, in sede di prima
132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
applicazione, per le domande di autorizzazione integrata ambientale relative 
ad impianti esistenti, regolarmente presentate entro i termini, i gestori possono 
procedere all'esecuzione degli interventi proposti finalizzati all'adeguamento 
dell'impianto alle migliori tecniche disponibili, con le modalit� e i termini indicati 
nella domanda, qualora gli stessi interventi non siano soggetti a valutazione 
di impatto ambientale o, se a questa soggetti, per essi sia gi� stato 
emanato provvedimento favorevole di conformit� ambientale, dando contestualmente 
pieno avvio alle attivit� di monitoraggio e controllo indicate nella 
domanda medesima. Le competenti Agenzie per la protezione dell'ambiente 
possono verificare, con oneri a carico del gestore, l'attuazione degli interventi 
e del piano di monitoraggio e controllo, riferendo, entro tre mesi dall'ultimazione 
degli interventi, all'autorit� competente in ordine alle verifiche effettuate 
e all'efficacia degli interventi stessi rispetto a quanto dichiarato dal gestore. 
Le risultanze delle verifiche possono costituire causa di riesame del provvedimento 
di autorizzazione, di esse dovendosi comunque tenere conto nell'emanazione 
del provvedimento medesimo. 1-ter. Al fine di assicurare il rispetto 
dei termini di cui all�articolo 5, comma 18, del decreto legislativo 18 febbraio 
2005, n. 59, come modificato dall�articolo 1, comma 1, del presente decreto, 
il Governo � autorizzato ad esercitare il potere sostitutivo di cui all�articolo 
5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ove necessario applicando 
immediatamente la procedura d�urgenza di cui al comma 3 del medesimo articolo 
5�. 
3) La procedura precontenziosa 
3.1. Nel corso della procedura precontenziosa, la Commissione ha contestato 
al Governo italiano di essere venuta meno agli obblighi di cui all�art. 
5 paragrafo 1 della Direttiva IPPC, segnatamente: 
- per non aver tempestivamente adottato tutte le autorizzazioni richieste 
e non aver concluso, al 30 ottobre 2007, tutte le procedure di autorizzazione 
in corso; 
- per non aver fornito dati attendibili e completi relativamente allo stato 
di attuazione della Direttiva IPPC; 
3.2 La Commissione ha quindi notificato parere motivato a mente dell�art. 
226 T.C.E., assegnando al Governo italiano un termine per conformarvisi di 
due mesi, decorrenti dalla data della notifica del parere stesso. Detto termine 
� scaduto il 2 aprile 2009. Il Governo ha risposto al parere con nota del 14 
aprile 2009 (prodotta dalla Commissione in allegato 10 al proprio ricorso), ma 
la Commissione stessa, ritenute insoddisfacenti le argomentazioni addotte dal 
Governo, ha proceduto a notificare ricorso a mente dell�art. 258 TFUE. 
3.3 Secondo i dati forniti dal Governo italiano con la nota del 14 aprile 
2009, menzionata al precedente punto, a fine 2008 l�85% degli impianti era 
dotato di autorizzazione integrata ambientale (d�ora in avanti, A.I.A.). Per il
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 133 
7% degli impianti esistenti, il rispetto della disciplina di cui alla Direttiva IPPC 
era stato garantito tramite l�adeguamento delle preesistenti autorizzazioni, in 
base al D.L. 180/07 conv. in l. 243/07. Per il restante 8% degli impianti, non 
era stata rilevata, da parte delle autorit� competenti, la necessit� di modificare 
le autorizzazioni preesistenti nelle more del rilascio delle A.I.A.. 
3.4 Il Governo italiano, con successiva nota del 18 novembre 2009 (prodotta 
dalla Commissione in allegato 11 al proprio ricorso), forniva elementi 
integrativi precisando i dati di cui al precedente punto, secondo le informazioni 
aggiornate disponibili alla data del 30 ottobre 2009, come segue: il 79% degli 
impianti esistenti � dotato di A.I.A.. Per tutti i rimanenti, il rilascio dell� A.I.A. 
� in corso. Per il 10% degli stessi impianti, le autorizzazioni preesistenti sono 
state riesaminate e, in qualche caso, aggiornate dopo il recepimento della disciplina 
IPPC. Per l�11% degli impianti, le autorit� competenti non hanno rilevato 
la necessit� di riesaminare le autorizzazioni preesistenti per garantirne 
la conformit� alla disciplina IPPC nelle more del rilascio delle A.I.A.. 
** ** ** 
Il Governo italiano, alla luce di tutto quanto fin qui esposto, ritenendo di 
aver rispettato gli obblighi di cui all�art. 5 paragrafo 1 della Direttiva IPPC, 
svolge le seguenti osservazioni. 
4) Nel ricorso della Commissione, ai punti da 28 a 30, si sostiene in sintesi 
che: 
- il Governo italiano non avrebbe tempestivamente adempiuto agli obblighi 
di cui all�art. 5 paragrafo 1 della Direttiva IPPC; 
- tale inadempimento persisterebbe alla data (2 aprile 2009) di scadenza 
del termine indicato nel parere motivato della Commissione, nonch� alla data 
di introduzione del presente giudizio; 
- i dati forniti dal Governo italiano sarebbero inattendibili; 
4.1 Il Governo italiano ritiene che gli assunti di cui al precedente punto 
siano infondati. 
Innanzi tutto, preme evidenziare come � in base ai dati da ultimo forniti 
(punto 3.4.) � per il 79% degli impianti sia stata ormai rilasciata l�A.I.A, mentre 
per un altro 10% sia stato effettuato il riesame delle autorizzazioni esistenti. 
Il contestato inadempimento consisterebbe dunque, ad oggi, nel fatto che 
� secondo i dati forniti dal Governo - una percentuale (l�11%) degli impianti 
esistenti non sarebbe stata sottoposta n� a rilascio di una nuova autorizzazione 
conforme alla direttiva, n� al rinnovo delle autorizzazioni esistenti, per renderle 
conformi alla Direttiva. 
A ben considerare, tuttavia, l�inadempimento contestato dalla Commissione 
non corrisponde esattamente agli obblighi istituiti dall�articolo 5, paragrafo 
1, della direttiva IPPC 2008/01/CE. 
� proprio questa norma, infatti, ad ammettere - oltre al rilascio di A.I.A.
134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
- altres� il semplice riesame, senza aggiornamento, delle prescrizioni preesistenti, 
ove non si rilevi la necessit� di altre azioni: �Gli Stati membri adottano 
le misure necessarie affinch� le autorit� competenti controllino, attraverso 
autorizzazioni rilasciate a norma degli articoli 6 e 8, ovvero, nei modi opportuni, 
mediante il riesame e, se del caso, l�aggiornamento delle prescrizioni, 
che entro il 30 ottobre 2007 gli impianti esistenti funzionino secondo i 
requisiti �� (enfasi aggiunta). 
I seicentonove impianti (rappresentanti l�11% del totale) cui fa riferimento 
la Commissione nel suo ricorso, erano appunto in tale situazione al 30 ottobre 
2009: le autorit� competenti ad avviare procedimenti di riesame ed eventuale 
aggiornamento delle autorizzazioni di settore non avevano, cio�, rilevato la 
necessit� di intervenire su tali autorizzazioni per garantire il rispetto degli elementi 
fondamentali della disciplina IPPC, anche in considerazione delle nuove 
prescrizioni medio tempore introdotte dalla normativa ambientale, entrata in 
vigore dopo l�emanazione della direttiva 96/61/CE e, tra l�altro, dal D.Lgs. 
152/06 recante �Norme in materia ambientale�. 
Ad ogni modo, si ribadisce che, come detto al punto 4.1, per i seicentonove 
impianti in questione, � attualmente in corso di attuazione un �cronoprogramma� 
(cui si fa riferimento gi� negli �Elementi integrativi di risposta� 
allegati alla nota del Governo italiano del 18 novembre 2009 di cui al punto 
3.4.) per garantire, entro il prossimo mese di Giugno, il rilascio di tutte le 
A.I.A.. 
4.2 La Commissione contesta, poi (punto 31 del ricorso) che � anche per 
quanto attiene a quegli impianti per i quali � stato effettuato il riesame - non 
vi sarebbe prova alcuna dell�effettiva conformit� delle autorizzazioni ai requisiti 
della direttiva IPPC. 
In proposito, si osserva che l�Italia ha gi� chiarito (pag. 3 ultimo paragrafo 
e 4 I e II paragrafo degli �Elementi di risposta� forniti con la nota del 14.4.09, 
citata al precedente punto 3.2.) che gli elementi essenziali della disciplina IPPC 
non possono non essere stati rispettati nei procedimenti di riesame ai sensi, 
tra l�altro, dell�articolo 2, comma 1-bis, del D.L. 180/07: �Le autorit� che 
hanno rilasciato le autorizzazioni di settore di cui al comma 1 provvedono, 
anche su segnalazione del gestore, ove ne rilevino la necessit� al fine di garantire 
il rispetto della normativa vigente, nonch� degli articoli 3, 7, come 
modificato dall�articolo 2-bis del presente decreto, e 8 del decreto legislativo 
18 febbraio 2005, n. 59, all�adeguamento di tali autorizzazioni, nelle more 
del rilascio dell�autorizzazione integrata ambientale. ��. 
4.3 La Commissione, ai punti 33 e 34 del ricorso, stigmatizza �� i costanti 
mutamenti dei dati forniti dalle autorit� italiane nel corso della procedura 
precontenziosa �� e sostiene che � � tali mutamenti non hanno 
contribuito e non contribuiscono a garantire l�affidabilit� dei dati forniti ��. 
In proposito, il Governo italiano fa presente che le variazioni dei dati sono
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 135 
state, in sintesi, determinate dalle circostanze qui di seguito esposte. 
- Fino al novembre 2007 non tutte le domande di autorizzazione erano 
state ancora presentate alle autorit� competenti, pertanto i dati relativi al numero 
e impianti ed alle attivit� da essi svolte era affetto da incertezze strutturali. 
- Dal 2008 a met� 2009, le due maggiori autorit� competenti (Regione 
Veneto e Regione Lombardia) hanno fornito alcune delle informazioni con ritardi 
ed approssimazioni, tali da far variare di alcune centinaia di unit� i totali 
(come esposto negli �Elementi di risposta� di cui alle note del 14 aprile 2009 
e del 18 novembre 2009 in allegato 10 e 11 al ricorso della Commissione). 
- Esiste infine un�ulteriore, minima, variazione del numero di impianti 
esistenti, nell�ordine di un centinaio di unit� (2-3% del totale), che � da considerarsi 
fisiologica al sistema, in conseguenza di dinieghi di A.I.A., chiusura 
di impianti, divisione di impianti in pi� ragioni sociali, individuazione di impianti 
non precedentemente censiti ecc... 
In ogni caso, i dati da ultimo forniti alla Commissione, aggiornati al 30 
ottobre 2009, sono quelli ottenuti a seguito della raccolta di informazioni programmata 
ai sensi della direttiva IPPC per la predisposizione del questionario 
2006-2008. 
Tale circostanza appare sufficiente a garantire la dovuta affidabilit� dei 
dati da ultimo trasmessi, la cui correttezza e completezza qui si ribadisce. 
5 Si fa, ora, riferimento all�argomento della Commissione esposto al 
punto 35 del ricorso, ove si individua nell�art. 1 del D.L. 180/07 un ulteriore 
sicuro indice dell�inadempienza dell�Italia agli obblighi di cui all�art. 5 paragrafo 
1 della direttiva IPPC. 
Ci� in quanto la norma introdotta con il citato D.L. 180/07, prorogando 
dal 30 ottobre 2007 al 31 marzo 2008 il termine di cui all�art. 5 comma 18 del 
D.lgs 59/05, avrebbe violato la previsione di cui all�art. 5 paragrafo 1 della 
Direttiva �Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinch� le autorit� 
competenti controllino, attraverso autorizzazioni rilasciate a norma degli articoli 
6 e 8, ovvero, nei modi opportuni, mediante il riesame e, se del caso, 
l�aggiornamento delle prescrizioni, che entro il 30 ottobre 2007 gli impianti 
esistenti funzionino secondo i requisiti di cui agli articoli 3, 7, 9, 10 e 13, all�articolo 
14, lettere a) e b) ed all�articolo 15, paragrafo 2, fatte salve altre 
disposizioni comunitarie specifiche� (enfasi aggiunta). 
5.1 Anche questo argomento non persuade, in quanto parte da un evidente 
errore prospettico. 
Il termine del 30 ottobre 2007, stabilito dall�art. 5 comma 18 del D.lgs 
59/05, prorogato al 31 marzo 2008 dal D.L. 180/07, non � riferito al medesimo 
obbligo recato dall�articolo 5, paragrafo 1, della direttiva IPPC: il combinato 
disposto del D.lgs 59/05 e del D.L. 180/07, convertito con modifiche dalla 
legge 243/07, fa infatti riferimento all�obbligo di dotare ogni impianto esi-
136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
stente di autorizzazione integrata ambientale: �Ogni autorizzazione integrata 
ambientale deve includere le modalit� previste per la protezione dell'ambiente 
nel suo complesso di cui al presente decreto, secondo quanto indicato all'articolo 
7, nonch� l'indicazione delle autorizzazioni sostituite. L'autorizzazione 
integrata ambientale concessa agli impianti esistenti prevede la data, comunque 
non successiva al 31 marzo 2008, entro la quale tali prescrizioni debbono 
essere attuate. Nel caso in cui norme attuative di disposizioni comunitarie di 
settore dispongano date successive per l'attuazione delle prescrizioni, l'autorizzazione 
deve essere comunque rilasciata entro il 31 marzo 2008.� (enfasi 
aggiunta). 
La Direttiva IPPC (art. 5, paragrafo 1) fa, invece, riferimento all�obbligo 
di controllare, attraverso autorizzazioni integrate ambientali ovvero, nel modi 
opportuni, mediante il riesame e se del caso l�aggiornamento delle prescrizioni, 
che gli impianti funzionino secondo i requisiti IPPC: �Gli Stati membri adottano 
le misure necessarie affinch� le autorit� competenti controllino, attraverso 
autorizzazioni rilasciate a norma degli articoli 6 e 8, ovvero, nei modi 
opportuni, mediante il riesame e, se del caso, l�aggiornamento delle prescrizioni, 
che entro il 30 ottobre 2007 gli impianti esistenti funzionino secondo 
i requisiti di cui �� (enfasi aggiunta).. 
Il sistema costruito dal D.L. 180/07, dunque, non fa che garantire � nelle 
more del completamento del rilascio delle A.I.A., come disciplinato dall�art. 
5 comma 18 del D.lgs 59/08 � proprio il rispetto degli obblighi individuati 
dall�art. 5 della Direttiva, per assicurare che � � attraverso autorizzazioni rilasciate 
a norma degli articoli 6 e 8, ovvero, nei modi opportuni, mediante il 
riesame e, se del caso, l�aggiornamento delle prescrizioni, � gli impianti 
esistenti funzionino secondo i requisiti�� (enfasi aggiunta), e ci� fa attraverso 
la norma transitoria di cui all�art.2, riportata ai precedenti punti 2.3 e 
4.2. 
Il D.L. 180/07 �, dunque, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione, 
proprio lo strumento che assicura piena attuazione agli obblighi di 
cui alla Direttiva IPPC, art. 5 paragrafo 1, nelle more del rilascio delle A.I.A.. 
6 In relazione a quanto sostenuto dalla Commissione (punto 36 del ricorso) 
circa la mancanza di dimostrazione dell�equivalenza fra le autorizzazioni 
ambientali esistenti e le A.I.A. ai sensi della direttiva, dal che deriverebbe 
che non vi � prova del rispetto dell�art. 5 paragrafo 1 della Direttiva IPPC, si 
osserva quanto segue. 
6.1 L�equivalenza tra i requisiti delle autorizzazioni integrate ambientali 
in corso di definizione e le prescrizioni definite dalle autorizzazioni ambientali 
preesistenti, come integrate dalle prescrizioni operanti ex lege in forza della 
normativa ambientale emanata dal 1996, � oggetto di specifica valutazione da 
parte delle autorit� che hanno rilasciato le autorizzazioni preesistenti, ai sensi 
dell�articolo 2, comma 1-bis del D.L. 180/07, convertito con modifiche dalla
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 137 
legge 243/07, articolo che richiama puntualmente la trasposizione nazionale 
degli articoli 3, 7, 9, 10, 13, 14 (a, b) e 15 (2) della direttiva IPPC. 
In molti casi (circa il 10% degli impianti esistenti all�ottobre 2009, come 
detto al punto 3.4) tale equivalenza non � apparsa evidente, pertanto sono stati 
condotti procedimenti di riesame delle autorizzazioni preesistenti, che in alcuni 
casi (circa il 4%) hanno portato ad aggiornamento delle autorizzazioni. 
In altri casi (circa l�11 % degli impianti esistenti all�ottobre 2009) non 
cՏ stata alcuna evidenza di contrasto tra requisiti IPPC e prescrizioni in base 
alle quali gli impianti erano eserciti, pertanto le competenti autorit� non hanno 
rilevato la necessit�, nelle more del rilascio dell�autorizzazione integrata, di 
alcun aggiornamento delle preesistenti autorizzazioni e conseguentemente non 
hanno avviato specifici procedimenti di riesame. 
7 La Commissione ha � da ultimo, al punto 37 del ricorso � evidenziato 
che l�esistenza di situazioni particolari locali, richiamata dall�Italia nella fase 
precontenziosa, non pu� costituire esimente rispetto ad un eventuale inadempimento 
degli obblighi e dei termini temporali derivanti da una direttiva. Sul 
punto, ci si limita a precisare che il Governo ha inteso il suddetto richiamo 
alle descritte situazioni locali con finalit� meramente descrittive, per illustrare 
le difficolt� pratiche incontrate nel dare attuazione alla direttiva IPPC. 
** ** ** 
Alla luce di quanto esposto, il Governo italiano conclude affinch� il ricorso 
sia rigettato, non sussistendo � alla scadenza del termine assegnato con 
il parere motivato di cui al punto 4 � una situazione di inadempimento agli 
obblighi di cui all�art. 5 paragrafo 1 della Direttiva 2008/1/CE. In ogni caso, 
si riserva � nel prosieguo del giudizio � di aggiornare ulteriormente i dati e 
rendere noti gli sviluppi del �cronoprogramma� di cui al punto 4.1, con il 
quale sar� completato il rilascio delle A.I.A.. 
Avv. Marina Russo 
138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Causa C-145/10 - Materia trattata: spazio di libert�, sicurezza e giustizia 
- Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall�Handelsgerichts 
Wien (Austria) il 22 marzo 2010 - Eva-Maria Painer/Standard VerlagsGmbH, 
Axel Springer AG, S�ddeutsche Zeitung GmbH, SPIEGEL-Verlag Rudolf 
AUGSTEIN GmbH & Co KG, Verlag M. DuMont Schauberg Expedition der 
K�lnischen Zeitung GmbH & Co KG (avv. Stato M. Russo - AL 26019/10). 
LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 
1) Se l�art. 6, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, 
n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e 
l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale debba essere interpretato 
nel senso che non osta alla sua applicazione e, quindi, ad una trattazione 
unica, il fatto che domande formulate nei confronti di una pluralit� di 
convenuti per violazioni del diritto d�autore di contenuto identico siano basate 
su fondamenti normativi differenti a livello nazionale, ma identici negli elementi 
essenziali del contenuto, come si verifica per tutti gli Stati europei relativamente 
al diritto all�inibitoria indipendentemente dalla colpa, al diritto ad un congruo 
indennizzo per le infrazioni del diritto d�autore e al diritto al risarcimento del 
danno cagionato dall�utilizzo illecito. 
2) a) Se l�art. 5, n. 3, lett. d), in combinato disposto con l�art. 5, n. 5, della 
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, 2001/29/CE, 
sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi 
nella societ� dell'informazione, debba essere interpretato nel senso che non 
osta alla sua applicazione il fatto che un resoconto giornalistico che citi 
un�opera o altri materiali protetti non sia un�opera del linguaggio protetta dal 
diritto d�autore. 
b) Se l�art. 5, n. 3, lett. d), in combinato disposto con l�art. 5, n. 5, della 
direttiva 2001/29 debba essere interpretato nel senso che non osta alla sua applicazione 
il fatto che l�opera citata o gli altri materiali protetti non siano corredati 
dal nome dell�autore o dell�interprete o esecutore. 
3) a) Se l�art. 5, n. 3, lett. e), in combinato disposto con l�art. 5, n. 5, della 
direttiva 2001/29, debba essere interpretato nel senso che la sua applicazione 
nell�interesse della giustizia penale, da tutelare nel contesto della sicurezza 
pubblica, presuppone un appello concreto, attuale ed esplicito delle autorit� 
di pubblica sicurezza a pubblicare ritratti, ossia la pubblicazione di ritratti finalizzata 
alle ricerche deve essere indotta dalle autorit�, pena la violazione 
delle norme. 
b) In caso di soluzione in senso negativo della questione 3a): se i mass 
media possano invocare per s� l�art. 5, n. 3, lett. e), della direttiva 2001/29 
anche quando decidano motu proprio, senza una corrispondente richiesta di 
ricerche da parte dell�autorit�, se le pubblicazioni di ritratti abbiano luogo
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 139 
�nell�interesse della sicurezza pubblica�. 
c) In caso di soluzione in senso affermativo della questione 3b): se sia sufficiente 
in questo caso che i mass media ritengano a posteriori che la pubblicazione 
di un ritratto abbia giovato alle ricerche o se sia comunque necessario 
un avviso concreto di ricerche per chiedere la collaborazione dei lettori a far 
luce su un reato che abbia un nesso diretto con la pubblicazione della fotografia. 
4) Se l�art. 1, n. 1, in combinato disposto con l�art. 5, n. 5, della direttiva 
2001/29 e l�art. 12 della Convenzione di Berna per la protezione delle opere 
letterarie ed artistiche (Atto di Parigi del 24 luglio 1971), nella versione risultante 
dalla modifica del 28 settembre 1979, in considerazione soprattutto dell�art. 
1 del protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione europea per la 
salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali (�CEDU�) del 
20 marzo 1952 e dell�art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione 
europea , debbano essere interpretati nel senso che le opere fotografiche e/o le 
fotografie, in particolare i ritratti fotografici, non godono di alcuna tutela o di 
una tutela �affievolita� del diritto d�autore rispetto all�elaborazione in quanto, 
in considerazione della �riproduzione realistica�, presentano una potenzialit� 
creativa troppo limitata 
LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA 
Il giudizio a quo 
A. Il presente giudizio trae origine da un procedimento pendente innanzi 
all�Handelsgericht austriaco, riguardante l�avvenuta pubblicazione, da parte di 
societ� editrici che pubblicano riviste e giornali sia in Austria e Germania che 
sul web (d�ora in poi, �le convenute�), di alcune fotografie realizzate da una 
fotografa free lance (d�ora in poi �la ricorrente�). Tali foto ritraggono una giovane, 
rimasta vittima di un sequestro di persona protrattosi per lungo tempo. 
La pubblicazione delle foto � avvenuta senza il consenso dell�autrice, 
senza l�indicazione del nome della stessa, ovvero con l�indicazione di un autore 
diverso. Oltre alle foto realizzate dalla ricorrente, � stata anche pubblicata 
un�elaborazione grafica (cosiddetto �identikit�) di una di dette foto, volta ad 
attualizzare il ritratto, adeguandolo alle presunte attuali sembianze della persona 
ritratta. 
B. In particolare, nel giudizio a quo, la ricorrente ha proposto un�istanza 
urgente volta ad ottenere l�interdizione della riproduzione o diffusione delle 
foto, nonch� una domanda di condanna delle convenute al pagamento di un indennizzo 
e di un risarcimento del danno. 
C. Con ordinanza dell�8 marzo 2010, il giudice rimettente ha chiesto alla 
Corte di Giustizia dell�Unione Europea di pronunciarsi sui [suesposti] quesiti. 
** ** **
140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Il Governo italiano svolge le seguenti osservazioni, che si concentreranno 
peraltro esclusivamente sui quesiti n. 2 lett. a) e b) e n. 4. 
I. Sul quesito n. 2 lett. a) 
Il giudice a quo intende conoscere se l�art. 5, n. 3, lett. d), in combinato 
disposto con l�art. 5, n. 5, della Direttiva 2001/29/CE, debba essere interpretato 
nel senso che non osta alla sua applicazione il fatto che un resoconto giornalistico 
che citi un�opera o altri materiali protetti non sia un�opera del linguaggio 
protetta dal diritto d�autore. 
A tale quesito, il Governo italiano ritiene debba darsi risposta negativa, 
per i motivi che qui di seguito si esporranno. 
I.1 Il primo criterio da prendere in considerazione ai fini dell�interpretazione 
di una norma � quello letterale. 
Nel caso di specie, il tenore della norma di cui all�art. 5 n. 3 lett. d) � sufficientemente 
chiaro, in quanto esige � ai fini delle deroga ai diritti di cui ai 
precedenti artt. 2 e 3 - che �� si tratti di citazioni, per esempio a fini di critica 
o di rassegna, semprech� siano relative a un'opera o altri materiali protetti 
�� (enfasi aggiunta). 
L�eccezione ai diritti di cui agli artt. 2 e 3 della stessa Direttiva, quindi, 
pu� operare solo qualora la citazione di immagine acceda ad un�opera protetta 
dal diritto d�autore. 
I.2 Quanto si � sostenuto al precedente punto, sulla base del tenore letterale 
della norma, non � senza ragione: infatti, anche leggendo la norma alla luce 
della ratio legis sottesa alla Direttiva 2001/29/CE, non si potrebbe pervenire a 
conclusioni diverse. 
Tale ratio � desumibile, in particolare, dai Considerando 9, 10 e 45, i quali 
prevedono, rispettivamente: �Ogni armonizzazione del diritto d'autore e dei diritti 
connessi dovrebbe prendere le mosse da un alto livello di protezione ��, 
�Per continuare la loro attivit� creativa e artistica, gli autori e gli interpreti o 
esecutori debbono ricevere un adeguato compenso per l'utilizzo delle loro 
opere �� �Le eccezioni e limitazioni di cui all'articolo 5, paragrafi 2, 3 e 4 
non dovrebbero tuttavia ostacolare la definizione delle relazioni contrattuali 
volte ad assicurare un equo compenso ai titolari dei diritti �� (enfasi aggiunta). 
Ebbene, se lo scopo della Direttiva � quello di assicurare la valorizzazione 
della propriet� intellettuale, tramite un alto livello di protezione ed anche attraverso 
la garanzia di un adeguato compenso agli autori di opere protette, � 
evidente che l�eccezione al diritto d�autore per �citazione� si pu� giustificare 
solo in quanto la citazione stessa abbia funzione �servente� rispetto ad un�altra 
opera protetta, completandola ed illustrandola. 
L�eccezione non si giustificherebbe, invece, nel caso opposto, cio� se 
un�opera non protetta (qual �, nella specie, il resoconto giornalistico � art. 2
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 141 
comma VII della Convenzione di Berna �La protezione della presente convenzione 
non si applica alle notizie del giorno od a fatti di cronaca che abbiano 
carattere di semplici informazioni di stampa�) recasse citazione di un�opera o 
altro materiale (come un�immagine) protetta. 
Infatti, in tale ultima ipotesi, il diritto d�autore verrebbe svilito in modo 
incompatibile con la ratio della Direttiva, perch� l�immagine citata servirebbe 
non gi� a corredare e completare un�altra opera tutelata dal diritto d�autore, 
bens� unicamente a dare valore ad uno scritto, di per s� non meritevole della 
protezione riservata alla propriet� intellettuale. 
I.3 Le ragioni esposte ai precedenti punti I.1 e I.2 sono, a parere del Governo 
italiano, di per s� sufficienti a sostenere una risposta negativa al quesito 
2.a). 
Tuttavia, per completezza, appare opportuno evidenziare che anche altri 
argomenti depongono in favore di una risposta negativa al quesito. 
In effetti, spostando l�angolo visuale del problema ad una prospettiva pi� 
ampia, si perviene comunque ad escludere che un caso come quello descritto 
dal giudice a quo possa ricadere nell�ambito di applicazione dell�art. 5 n. 3 lett. 
d) in combinato disposto con il n. 5 dello stesso articolo. Ci�, peraltro, anche a 
prescindere dalla questione se la citazione sia relativa ad un�opera non protetta 
dal diritto d�autore. Vi sono, infatti, motivi di ordine pi� ampio e generale atti 
a suffragare la tesi dell�inapplicabilit� della norma. 
Come gi� detto pi� volte, nel caso di specie si tratta della citazione, nell�ambito 
di un resoconto giornalistico, di immagini protette da diritto d�autore, 
non accompagnata dalla corretta indicazione dell�autore. 
Al riguardo, giova ricordare quanto affermato nelle conclusioni dell�Avvocato 
Generale rassegnate nella causa C-5/08 (Infopaq), con riferimento all�art. 
5 n. 5 della Direttiva 2001/29. 
In particolare (al punto 134), l�Avvocato Generale rileva: �Risulta dall�art. 
5, n. 5, della direttiva 2001/29 che le eccezioni e limitazioni fissate all�art. 5 
della direttiva 2001/29 si applicano, in primo luogo, esclusivamente in determinati 
casi speciali, i quali, in secondo luogo, non siano in contrasto con lo 
sfruttamento normale dell�opera e, in terzo luogo, non arrechino ingiustificato 
pregiudizio agli interessi legittimi del titolare. Tali condizioni sono cumulative. 
Le condizioni di cui all�art. 5, n. 5, della direttiva 2001/29, spesso 
chiamate in dottrina �test in tre fasi�, sono state introdotte sul modello di trattati 
internazionali � . Come risulta dal quarantaquattresimo �Considerando� 
della direttiva 2001/29, la facolt� di applicare le eccezioni e le limitazioni previste 
nella presente direttiva deve essere esercitata nel rispetto degli obblighi 
internazionali. Ne consegue che l�art. 5, n. 5, della direttiva 2001/29 dev�essere 
interpretato nel rispetto di tali trattati internazionali� (enfasi aggiunta). 
I.4 Si tratta, allora, di verificare se � nel caso di una citazione come quella 
descritta dal giudice rimettente � la deroga ai diritti di cui agli artt. 2 e 3 della
142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Direttiva resista o meno al �test in tre fasi�. In caso negativo, se ne dovr� necessariamente 
desumere che la deroga di cui all�art. 5 n. 3 lett. d) non si applica 
ad un caso come quello descritto nell�ordinanza. 
Ad avviso del Governo italiano, la risposta al suddetto �test� � negativa, 
quanto meno con riferimento agli ultimi due parametri. 
Infatti, se le deroghe di cui all�art. 5 n. 3 si giustificano sotto il profilo della 
ricorrenza di un �caso speciale�, esse non sembrano altrettanto ammissibili 
sotto il profilo del contrasto con lo �sfruttamento normale dell�opera� e 
dell��ingiustificato pregiudizio ai legittimi interessi dei titolari dei diritti�. 
La finalit� speciale che giustifica il diritto di citazione, infatti, � ravvisabile 
nel diritto di critica, di speculazione intellettuale o di informazione. 
Quanto, invece, allo sfruttamento normale dell�opera, � evidente che questo 
� costituito dalla vendita: prova ne sia il fatto che la ricorrente aveva � a 
suo tempo - corredato le foto del proprio indirizzo professionale e le aveva vendute.
La pubblicazione delle stesse foto su riviste e giornali ed addirittura sul 
web (con conseguente agevole riproduzione da parte di chiunque vi acceda) 
incide negativamente sullo sfruttamento commerciale dell�opera, in quanto ne 
riduce sensibilmente (o ne annulla) le possibilit� di vendita in futuro. 
Proprio da ci�, inevitabilmente, consegue il pregiudizio all�interesse legittimo 
della titolare del diritto d�autore. 
Non essendo � pertanto � compresenti le condizioni cumulative di cui all�art. 
5 n. 5 della Direttiva, si deve escludere l�applicabilit� dell�eccezione di 
cui all�art. 5 n. 3 lett. d) al caso in esame. 
** ** ** 
Il Governo italiano propone pertanto di rispondere al quesito n. 2 lett. a) 
nel seguente modo: �L�art. 5, n. 3, lett. d), in combinato disposto con l�art. 5, 
n. 5, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, 
2001/29/CE, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti 
connessi nella societ� dell'informazione, deve essere interpretato nel senso 
che osta alla sua applicazione il fatto che un resoconto giornalistico che citi 
un�opera o altri materiali protetti non sia un�opera del linguaggio protetta dal 
diritto d�autore�. 
** ** ** 
II. Sul quesito n. 2 lett. b) 
Con il presente quesito, il giudice a quo mira a conoscere se l�art. 5 n. 3 
lett. d) in combinato disposto con l�art. 5 n.5 della Direttiva possa interpretarsi 
nel senso che non osta alla relativa applicazione il fatto che l�opera o il materiale 
citato non siano accompagnati dal nome dell�autore. 
La soluzione �, anche in questo caso, negativa. 
Infatti, la norma � molto chiara nell�esigere �� che si indichi, salvo in
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 143 
caso di impossibilit�, la fonte, incluso il nome dell'autore�� (enfasi aggiunta). 
Posto che la sola deroga all�obbligo di indicazione del nome dell�autore � 
rappresentata dall��impossibilit��, il giudice a quo dovr� valutare se quest�ultima 
sussista nel caso di specie, il che non sembra. 
Infatti, la tesi delle convenute (punto 17 dell�ordinanza) � che � avendo 
ottenuto le foto da agenzie � esse non avrebbero potuto risalire all�autrice. Inoltre, 
le convenute avrebbero fatto affidamento sul fatto che la concessione delle 
foto all�agenzia implicasse anche la cessione dei relativi diritti. 
Poich�, tuttavia, chi acquista una fotografia da un�agenzia non pu� non 
avere contezza dell�esatta portata dei diritti che gli vengono trasferiti contrattualmente, 
� da escludere che ricorra nella specie un caso di vera e propria impossibilit� 
di risalire all�autore, salva restando la responsabilit� per eventuali 
condotte illegittime delle agenzie nei confronti delle convenute. 
** ** ** 
La risposta al quesito 2 lett. b) che il Governo italiano propone �, pertanto, 
la seguente: �L�art. 5, n. 3, lett. d), in combinato disposto con l�art. 5, n. 5, 
della direttiva 2001/29 deve essere interpretato nel senso che osta alla sua applicazione 
il fatto che l�opera citata o gli altri materiali protetti non siano corredati 
dal nome dell�autore o dell�interprete o esecutore�. 
** ** ** 
III. Sul quesito n. 4 
Il presente quesito attiene alla possibilit� di accordare una tutela ridotta o 
� addirittura � nessuna tutela al ritratto fotografico rispetto alla relativa elaborazione, 
nel presupposto che esso presenti, rispetto a quest�ultima, una minor 
potenzialit� creativa. 
Il Governo italiano esclude che, alla luce della normativa indicata nel quesito, 
una simile possibilit� sussista. 
Preliminarmente, deve rilevarsi che l�affermazione secondo cui il ritratto 
fotografico presenterebbe un minor potenziale creativo rispetto alla sua elaborazione, 
� assolutamente opinabile, atteso che l�elaborazione stessa �, in realt�, 
un�operazione piuttosto banale, realizzabile tramite programmi informatici di 
agevole utilizzo. 
Va poi osservato che, tanto l�art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla 
CEDU, quanto l�art. 17 delle Convenzione di Berna, nel riconoscere e tutelare 
la propriet� ivi compresa quella intellettuale, non recano indicazioni tali da legittimare 
una tutela diversificata o minore in ragione del (preteso) minor potenziale 
creativo del ritratto fotografico. 
Le norme in questione riconoscono � al contrario � in termini assai ampi 
il diritto di godimento, utilizzo e disposizione della propriet�. 
Non sembra plausibile, poi, che un affievolimento (o addirittura un�esclusione) 
della tutela della propriet� intellettuale del ritratto fotografico possa es-
144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
sere legittimata in base al comma II^ dell�art. 1 del protocollo addizionale n. 1 
alla CEDU, che fa salvo il potere degli Stati di introdurre leggi finalizzate a 
controllare che l�uso della propriet� sia conforme all�interesse generale. 
Non � infatti possibile teorizzare la sussistenza di un interesse generale a 
che il ritratto fotografico riceva una tutela minore o nessuna tutela rispetto alla 
relativa elaborazione: innanzi tutto, come gi� detto, la tesi della minore potenzialit� 
creativa del primo rispetto alla seconda � del tutto indimostrata; inoltre 
- atteso che al proprietario dell�opera artistica � espressamente attribuito il diritto 
esclusivo di autorizzare adattamenti, variazioni e trasformazioni (art. 17 
della Convenzione di Berna) - � evidente che tale diritto verrebbe svuotato di 
contenuto nel momento in cui proprio all�opera originaria (il ritratto) non si accordasse 
alcuna tutela o, comunque, se ne accordasse una inferiore rispetto alla 
trasformazione compiuta con un�elaborazione grafica. 
Infine, con riferimento a quanto illustrato al punto 29 dell�ordinanza di rimessione, 
si osserva che una limitazione del diritto di propriet� intellettuale sul 
ritratto fotografico, quale quella ipotizzata nel quesito, non si giustifica neanche 
alla stregua del �test in tre fasi� ex art. 5 n. 5 della Direttiva 2001/29, di cui si 
� detto al precedente punto I.3. 
Al punto 135 delle conclusioni dell�Avvocato Generale della causa C-5/08 
(citata al punto I.3), si afferma, infatti, che le eccezioni e limitazioni al diritto 
di propriet� intellettuale devono essere �chiaramente definite e trovare la propria 
ragion d�essere in determinate finalit� speciali�. 
Non si comprende, per�, a quali �finalit� speciali� corrisponderebbe la minorata 
tutela della propriet� di ritratti fotografici. 
Quanto alle ulteriori condizioni (mancanza di contrasto con lo sfruttamento 
normale dell�opera e mancanza di ingiustificato pregiudizio agli interessi legittimi 
dell�autore), valgono le stesse considerazioni gi� esposte al punto I.4. 
** ** ** 
Il Governo italiano propone pertanto di rispondere al quesito nei seguenti 
termini: �L�art. 1, n. 1, in combinato disposto con l�art. 5, n. 5, della direttiva 
2001/29 e l�art. 12 della Convenzione di Berna per la protezione delle opere 
letterarie ed artistiche (Atto di Parigi del 24 luglio 1971), nella versione risultante 
dalla modifica del 28 settembre 1979, in considerazione soprattutto dell�art. 
1 del protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione europea per la 
salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali (�CEDU�) del 
20 marzo 1952 e dell�art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione 
europea, non debbono essere interpretati nel senso che le opere fotografiche 
e/o le fotografie, in particolare i ritratti fotografici, non godono di alcuna tutela 
o di una tutela �affievolita� del diritto d�autore rispetto all�elaborazione� 
Avv. Marina Russo
I L C O N T E N Z I O S O 
N A Z I O N A L E 
Profili di costituzionalit� e questioni interpretative 
della legge Pinto in punto di �durata irragionevole� 
La prassi interna e l�orientamento della Corte di Strasburgo 
(Cass. civ., Sez. Un., sentenza 26 gennaio 2004 n. 1340; Cass. civ., Sez. Un., sentenza 26 
gennaio 2004 n. 1339; Cass., Sez. I civ., sentenza 19 novembre 2007 n. 23844; 
Corte costituzionale, sentenza 24 ottobre 2007 n. 348) 
Premessa 
La Corte Europea di Strasburgo, con le non pi� recenti, ma certamente 
decisive sentenze emesse a carico dell'Italia il 10 novembre 2004 (1), ha 
espressamente statuito che il superamento del limite della ragionevole durata 
di un procedimento giudiziario colora di illegittimit� l�intero svolgimento dello 
stesso, con il conseguente obbligo per i giudici competenti di quantificare 
l�equa riparazione da corrispondersi alla vittima della violazione dell�art. 6, 
par. 1, C.E.D.U. sulla base dell�intera durata del procedimento presupposto, e 
non del solo periodo di ritardo (rispetto al termine da ritenersi ragionevole) 
per la sua definizione. I giudici europei hanno cos� sostituito al concetto di 
danno da irragionevole durata, quello di danno da durata, che ha come pre- 
(1) Tra queste, in particolare, si segnalano le pronunce sul ricorso n. 62361/00, proposto da Riccardi 
Pizzati c. Italia e sul ricorso n. 64897/01 proposto da Zullo c. Italia. Ivi, dopo avere ricordato che 
ogni sentenza che accerta una violazione obbliga lo Stato convenuto a porre termine alla violazione 
stessa e ad eliminarne le conseguenze e che, se la normativa nazionale non prevede altro che una parziale 
eliminazione, l'art. 41 C.E.D.U. consente alla Corte di accordare al ricorrente una soddisfazione in via 
equitativa, ritenuto che il risarcimento concesso in sede nazionale non costituisse una riparazione appropriata 
e sufficiente, la Corte Europea di Strasburgo, in applicazione del citato art. 41, ha condannato 
lo Stato Italiano al pagamento di ulteriori somme, prendendo quale base per la liquidazione del danno 
morale l�intera durata del procedimento e non il periodo di ritardo (rispetto al termine da ritenersi ragionevole) 
per la sua definizione.
146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
supposto, pur sempre, l�accertamento della perpetrata violazione dell�art. 6, 
par. 1, C.E.D.U. 
In tutte le sentenze in questione, la Corte Europea non mancava di evidenziare 
l'esistenza in Italia di una prassi contraria alle disposizioni della Convenzione 
(per la verit� gi� in passato denunciata), comportante, secondo i 
giudici di Strasburgo, una stridente violazione dell�art. 6 della C.E.D.U. 
Ed in effetti, nonostante la Convenzione, una volta superato il limite della 
ragionevolezza, imponga di considerare ai fini della liquidazione dell�indennizzo 
l�intera durata del procedimento, tanto non � consentito al giudice italiano, 
posto che secondo il disposto dell�art. 2, c. 3, lett. a), della legge n. 
89/2001, ai fini dell�equa riparazione da corrispondersi per l�eccessiva durata 
dei processi � rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine 
ragionevole�. 
L�evidente discordanza tra il consolidato orientamento della Corte Europea 
e la disciplina legislativa nazionale in ordine alla base di calcolo da assumersi 
per il ristoro del danno morale ha creato terreno fertile all�inoltro di 
numerose eccezioni di incostituzionalit� della citata L. n. 89 del 2001, art. 2, 
da parte di molti privati, nel punto in cui essa ammette l'indennizzo solo per 
gli anni eccedenti la durata ragionevole, non potendo, a detta di costoro, il legislatore 
nazionale con legge ordinaria derogare alla Costituzione, al Diritto 
Comunitario ed alle Convenzioni Internazionali. 
2. La funzione ermeneutica della Corte Europea e la potenziale vincolativit� 
della C.E.D.U. 
Sin dalla nota sentenza sul caso Scordino c. Italia (2), la Corte Europea 
ha affermato il principio in forza del quale il giudice del merito, chiamato a 
riparare le conseguenze dannose derivanti dalla violazione delle norme convenzionali, 
� vincolato al rispetto dei principi espressi dalla giurisprudenza 
della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo. In tale pronuncia, in particolare, i 
giudici di Strasburgo hanno sancito l�obbligo fondamentale per �i Giudici Nazionali 
di applicare le norme della Convenzione Europea dei Diritti dell�Uomo 
secondo i principi ermeneutici espressi nella giurisprudenza della Corte Eu- 
(2) Corte Europea dei Diritti dell�Uomo, Grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino c. 
Italia (ricorso n. 36813/1997). Nella sentenza in questione, al capo II, par. 63, i giudici europei richiamano 
le quattro sentenze rese dalla Corte di Cassazione il 27 novembre 2003 (nn. 1338, 1339, 1340, 
1341), i cui testi furono depositati in cancelleria il 27 gennaio 2004, nelle quali la Corte Suprema italiana 
aveva affermato che �la giurisprudenza della Corte di Strasburgo s�impone ai giudici italiani per quanto 
concerne l�applicazione della legge n. 89/2001�. In particolare, si riporta il principio declamato nella 
sentenza n. 1340, secondo cui �la liquidazione del danno non patrimoniale effettuata dalla Corte d�appello 
a norma dell�art. 2 della Legge n. 89/2001, pur conservando la sua natura equitativa, � tenuta a 
muoversi entro un ambito che � definito dal diritto, perch� deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in 
casi simili dalla Corte di Strasburgo, da cui � consentito discostarsi purch� in misura ragionevole�.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 147 
ropea dei Diritti dell�Uomo �. 
La Corte Europea, in buona sostanza, ha riconosciuto a se stessa il compito 
di interpretare la C.E.D.U. e di attualizzarne il contenuto in modo tale da 
garantire una uniforme ed efficace tutela dei diritti umani, cos� che ogni norma 
della C.E.D.U., arricchita e specificata contenutisticamente dagli interventi 
giurisprudenziali della Corte Europea, � vincolante per gli stati aderenti, ed in 
particolare per i giudici nazionali chiamati a darne concreta applicazione, non 
solo nel suo tenore letterale, ma anche nell�interpretazione che della stessa 
offre la Corte Europea. 
La Convenzione, infatti, vede come suo connaturale completamento la 
giurisprudenza dell�organo di tutela da esso costituito, che, attraverso una costante 
elaborazione, individua quello che potrebbe definirsi il diritto vivente 
europeo. Tanto � indubbio l� dove si consideri che, in virt� delle modifiche 
introdotte dal Protocollo n. 11 (3), non esiste pi� ad oggi la possibilit� per uno 
Stato di siglare la Convenzione rifiutando al contempo la giurisdizione della 
Corte Europea. In questa prospettiva, la Corte di Strasburgo sarebbe da assimilare 
� almeno su un piano funzionale � ad una Corte Costituzionale e svolgerebbe 
una funzione �d�orientation generale vis-a-vis del Etats en mati�re 
des droits de l�homme �, come plasticamente osservato. 
Orbene, con ferimento alla riparazione delle conseguenze dannose derivanti 
dalla violazione delle norme convenzionali, � stata proprio la Corte Europea 
a prevedere che alle vittime delle violazioni suddette sia dovuta un�equa 
soddisfazione ex art. 41 della C.E.D.U. Infatti, la citata norma prevede unicamente 
che �se la Corte dichiara che vi � stata violazione della Convenzione 
o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell�Alta Parte contraente non permette 
che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, 
la Corte accorda, quando � il caso, un�equa soddisfazione alla parte lesa�, 
senza stabilire modalit�, criteri e parametri alla cui stregua l�equa soddisfazione 
debba essere valutata. 
E� stata, dunque, la Corte di Strasburgo, nella sua incessante opera di interpretazione 
della Convenzione Europea, ad aver individuato e precisato, con 
riferimento alla violazione di ogni singola norma convenzionale sottoposta al 
suo scrutinio, criteri e parametri di liquidazione dell�equa soddisfazione ex 
art. 41. Tanto � avvenuto anche con riferimento all�equa soddisfazione da ri- 
(3) Il Protocollo n. 11, entrato in vigore il 1� novembre 1998 (ratificato dall�Italia con L. 28 agosto 
1997, n. 296), ha trasformato radicalmente il sistema di controllo della tutela dei diritti dell�uomo delineato 
dalla Convenzione di Roma, procedendo alla fusione della Commissione (organo istruttorio) e 
della Corte (organo d�istanza) in un unico organo: la Corte unica. 
Tale riforma si � resa indispensabile in seguito alla constatazione che l�ormai accresciuto numero di ricorsi 
pendenti innanzi alla Commissione (frutto anche del moltiplicarsi degli Stati aderenti) non poteva 
pi� essere esaminato speditamente con le precedenti procedure. Dopo un lungo dibattito, durato oltre 
dieci anni, � stato deciso di procedere ad una completa revisione dei meccanismi varati nel 1950.
148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
conoscere per le violazioni dell�art. 6, par. 1, della C.E.D.U. Con le note sentenze 
del 10 novembre 2004, in particolare, la Corte Europea ha stabilito che 
alla vittima dell�accertata violazione del termine di ragionevole durata del processo 
debba essere riconosciuta un�equa soddisfazione ex art. 41 CEDU pari 
ad una somma compresa tra i 1000 e i 1500 euro per ogni anno di durata dell�intero 
processo. 
Orbene, si pone con ogni evidenza la questione se l�orientamento espresso 
in sede europea sia da considerarsi vincolante per il giudice nazionale chiamato, 
esso stesso, a conoscere dell�istanza indennitaria connessa al danno da 
irragionevole durata, come gli avvocati delle parti private tendono a sostenere, 
rilevando, in proposito, che un eventuale scostamento del giudice nazionale � 
chiamato a riconoscere un�equa soddisfazione ex art. 41 in combinato disposto 
con la norma convenzionale che si assume violata, nella specie l�art. 6, par. 1 
� rispetto all�interpretazione che delle stesse norme offre la Corte Europea, 
realizzerebbe una ulteriore e doppiamente illegittima violazione della Convenzione, 
colorando l�intera procedura ex lege n. 89/2001 di inefficacia ai 
sensi dell�art. 13 CEDU. 
Tale posizione � stata recepita anche dalla Suprema Corte di Cassazione, 
nelle gi� citate sentenze a Sezioni Unite del 26 gennaio 2004, ove si legge: 
�deve, allora, concordarsi con la detta Corte Europea la quale, nella citata 
decisione sul ricorso Scordino (relativo all�incompletezza della tutela accordata 
al giudice italiano in applicazione della legge n. 89/2001), ha 
affermato che deriva dal principio di sussidiariet� che le giurisdizioni nazionali 
devono, per quanto possibile, interpretare ed applicare il diritto nazionale 
conformemente alla Convenzione� (4). 
Con fermezza ancora maggiore, nella sentenza n. 1339, cit., si afferma 
ancora: 
Ǐ certo che l�applicazione diretta nell�ordinamento italiano di una 
norma della CEDU, sancita dalla legge n. 89/2001 (e cio� dell�art. 6, par. 1, 
nella parte relativa al �termine ragionevole�), non pu� discostarsi dall�interpretazione 
che della stessa d� il giudice europeo. 
L�opposta tesi, diretta a consentire una sostanziale diversit� tra l�applicazione 
che la Legge 89/2001 riceve nell�ordinamento nazionale e l�interpretazione 
data dalla Corte di Strasburgo al diritto alla ragionevole durata del 
processo, renderebbe priva di giustificazione la detta legge n. 89/2001 e comporterebbe 
per lo Stato italiano la violazione dell�art. 1 della CEDU, secondo 
cui �le Parti contraenti riconoscono ad ogni persona soggetta alla loro giu- 
(4) Corte di Cassazione, Sez. Un. Civ., sent. n. 1340/04 � In senso conforme, Corte di Cassazione, 
Sez. Un. Civ., sent. nn. 1338/04, 1339/04, 1341/04.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 149 
risdizione i diritti e le libert� definiti al titolo primo della presente Convenzione� 
(in cui � compreso il citato art. 6, che prevede il diritto alla definizione 
del processo entro un termine ragionevole). 
Le ragioni che hanno determinato l'approvazione della legge n. 89/2001 
si individuano nella necessit� di prevedere un rimedio giurisdizionale interno 
contro le violazioni relative alla durata dei processi, in modo da realizzare la 
sussidiariet� dell'intervento della Corte di Strasburgo, sancita espressamente 
dalla CEDU (art. 35: �la Corte non pu� essere adita se non dopo l'esaurimento 
delle vie di ricorso interne�). Sul detto principio di sussidiariet� si 
fonda il sistema europeo di protezione dei diritti dell'uomo. 
(�). 
La tesi secondo cui, nell'applicare la legge n. 89/2001, il giudice italiano 
pu� seguire un'interpretazione non conforme a quella che la Corte europea 
ha dato della norma dell'art. 6 CEDU (la cui violazione rappresenta il fatto 
costitutivo del diritto all'indennizzo attribuito dalla detta legge nazionale), 
comporta che la vittima della violazione, qualora riceva in sede nazionale 
una riparazione ritenuta incompleta dalla Corte Europea, ottenga da quest'ultimo 
Giudice l'equa soddisfazione prevista dall'art. 41 CEDU. Il che renderebbe 
inutile il rimedio predisposto dal legislatore italiano con la legge n. 
89/2001 e comporterebbe una violazione del principio di sussidiariet� dell'intervento 
della Corte di Strasburgo. 
Deve, allora, concordarsi con la Corte Europea dei diritti dell'uomo la 
quale, nella citata decisione sul ricorso Scordino (relativo alla incompletezza 
della tutela accordata dal giudice italiano in applicazione della legge n. 
89/2001), ha affermato che "deriva dal principio di sussidiariet� che le giurisdizioni 
nazionali devono, per quanto possibile, interpretare ed applicare il 
diritto nazionale conformemente alla Convenzione�. 
Ancora pi� espliciti sono, poi, i lavori preparatori della legge n. 89/2001. 
Nella relazione al disegno di legge del sen. Piceo (atto Senato n. 3813 del 16 
febbraio 1999) si afferma che il meccanismo riparatorio proposto con l'iniziativa 
legislativa (e poi recepito dalla legge citata) assicura al ricorrente "una 
tutela analoga a quella che egli riceverebbe nel quadro della istanza internazionale", 
poich� il riferimento diretto all'art. 6 della CEDU consente di trasferire 
sul piano interno � i limiti di applicabilit� della medesima disposizione 
esistenti sul piano internazionale, limiti che dipendono essenzialmente dallo 
stato e dalla evoluzione della giurisprudenza degli organi di Strasburgo, specie 
della Corte europea dei diritti dell'uomo, le cui sentenze dovranno quindi 
guidare (�) il giudice interno nella definizione di tali limiti�. 
La tesi esposta presenta, ad avviso di chi scrive, due aspetti di debolezza. 
Il primo � da ravvisarsi nel dato pacifico che la CEDU, anche per l�ipotesi 
della durata irragionevole del processo, non introduce norme di diritto interno,
150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
cogenti per i giudici nazionali, ma accorda alla parte lesa, a mezzo del proprio 
organo giurisdizionale, una tutela di tipo suppletivo o sussidiario, invocabile 
al posto di quella mancante o ad integrazione di quella inadeguata offerta dai 
singoli ordinamenti (art. 41 della Convenzione). Ora, sebbene l�art. 2 della l. 
n. 89/2001, con l�obiettivo di apprestare una tutela interna tendenzialmente 
pari a quella concessa dalla Convenzione, faccia esplicito riferimento alle violazioni 
del citato art. 6, par. 1, e per il loro verificarsi stabilisca il diritto ad 
un�equa riparazione, ove si sia prodotto un danno patrimoniale o non patrimoniale 
in dipendenza del perdurare della causa oltre il tempo ragionevole, 
da tale esplicito richiamo non pu� giungersi a negare la presenza, nello stesso 
articolo, di una propria disciplina circa i parametri cui correlare la durata ragionevole 
del processo. 
D�altra parte, se non vՏ dubbio che le norme della CEDU non costituiscono 
vincoli diretti in capo agli Stati aderenti, tanto pi� si potr� obiettare che 
le pronunce della Corte Europea � ancorch� dotate di valore di precedente, di 
cui non si pu� non tener conto, ai fini dell�interpretazione del contenuto dell�art. 
2, L. n. 89/2001, nella misura in cui questo richiama l�art. 6, par. 1, della 
stessa Convenzione � siano da ritenersi vincolanti per il Giudice italiano. Diversamente 
dalle sentenze della Corte di Giustizia Europea di Lussemburgo � 
che, al pari dei regolamenti del Consiglio CE, hanno (per i profili dell'interpretazione 
della normativa comunitaria) diretta efficacia nell�ordinamento interno 
ai sensi dell�art. 189 del Trattato CEE (5) e, se pronunciate in sede di 
rinvio pregiudiziale, vincolano espressamente il giudice rimettente � per le 
sentenze della Corte EDU non sussistono, nel quadro delle fonti, analoghi 
meccanismi normativi che ne prevedano la diretta vincolativit� per il giudice 
interno (6). 
Sembra, quindi, a chi scrive che la presenza di una disciplina interna unitamente 
all�assenza di disposizioni che conferiscano carattere cogente alle decisioni 
della Corte europea dei diritti dell�uomo, porti a ritenere che il giudice 
italiano, chiamato ad attribuire l�equa riparazione per la durata irragionevole 
del processo, non sia vincolato alle pronunce della Corte europea (anche se 
debba tenerne conto, quali autorevoli orientamenti giurisprudenziali e linee 
direttive per definire la nozione di ragionevole durata del processo (7)) e sia, 
(5) Cfr., sul punto, Corte Cost. n. 113/85 in relazione a n. 170/84. 
(6) In questi termini si � espressa anche Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 11987 dell�8 agosto 2002. 
(7) In tal senso si � espressa la Corte di Cassazione, Sez. I, nella sentenza n. 16262 del 19 novembre 
2002: �Al fine di ricostruire i lineamenti del diritto all'equa riparazione in caso di violazione del 
termine ragionevole del processo, introdotto nel nostro ordinamento ad opera della legge 24 marzo 
2001, n. 89, le sentenze della Corte di Strasburgo in tema di interpretazione dell'art. 6, paragrafo 1, 
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali, pur non avendo 
efficacia direttamente vincolante per il giudice italiano, nondimeno costituiscono la prima e pi� importante 
guida ermeneutica�.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 151 
viceversa, tenuto a riscontrare esclusivamente sulla scorta dell�ordinamento 
interno il verificarsi dell�evento dannoso, quale concorrente requisito della nascita 
del diritto esercitato in giudizio (cfr. Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 5664 del 
10 aprile 2003). 
Se ne deve dedurre, in conclusione, che il dovere per il giudice italiano, 
chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, di interpretare detta legge 
in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della 
Corte europea, operi solo nei limiti in cui detta interpretazione conforme sia 
resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001, alla quale egli � pur sempre 
soggetto, non potendo certo violarne il disposto (8). 
Semmai, come appresso si vedr�, un eventuale contrasto tra la L. n. 89 
del 2001 e la CEDU porrebbe una questione di conformit� della stessa con la 
Costituzione che all�art. 111 tutela lo stesso bene della ragionevole durata del 
processo, oltre a garantire i diritti inviolabili dell'uomo (art. 2). Occorre, allora, 
accertare se possa darsi alla detta legge un�interpretazione che sia conforme 
alla CEDU, in applicazione del canone ermeneutico secondo cui va preferita 
l'interpretazione della legge che la renda conforme alla Costituzione. 
3. La questione della tutela �effettiva� 
Il sistema di tutela posto in essere dalla Convenzione ed accentrato intorno 
alla Corte Europea dei Diritti dell�Uomo, si fonda sul principio di sussidiariet�, 
sancito espressamente dall�art. 35 CEDU, il quale recita: �la Corte 
non pu� essere adita se non dopo l�esaurimento delle vie di ricorso interne�. 
Da esso deriva il dovere degli Stati aderenti di garantire agli individui la protezione 
dei diritti riconosciuti dalla CEDU innanzitutto nel proprio ordinamento 
interno e di fronte agli organi della giustizia nazionale. E tale protezione 
deve essere "effettiva" (art. l3 della CEDU), e cio� tale da porre rimedio alla 
doglianza, senza necessit� che si adisca la Corte di Strasburgo. 
Dalla natura sussidiaria dell�intervento della Corte di Strasburgo � disceso 
l�obbligo, per ciascuno Stato aderente alla Convenzione, di istituire una via 
di ricorso interna percorribile dai cittadini al fine di porre rimedio alle conseguenze 
dannose derivanti dalla violazione delle norme convenzionali, anche 
attraverso la corresponsione di un�equa soddisfazione ex art. 41 CEDU, potendo 
� nell�ipotesi contraria � i cittadini adire direttamente la Corte di Strasburgo 
affinch� conosca essa stessa dell�azione riparatoria. 
Orbene, la legge n. 89/2001 costituisce la via di ricorso interno che la 
"vittima della violazione" (cos� sfinita dall'art. 34 della CEDU) dell'art. 6 (sotto 
il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole) deve adire prima di 
potersi rivolgere alla Corte Europea per chiedere la "equa soddisfazione" pre- 
(8) Cos� Cass., Sez. Un., sentenza 26 gennaio 2004, n. 1340.
152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
vista dall'art. 41 della CEDU (9) , la quale, quando sussista la violazione, viene 
accordata dalla Corte soltanto "se il diritto interno dell'Alta Parte contraente 
non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione". 
La legge n. 89/2001 ha, pertanto, consentito alla Corte Europea di 
dichiarare irricevibili i ricorsi ad essa presentati (anche prima dell'approvazione 
della stessa legge) e diretti ad ottenere l'equa soddisfazione prevista dall'art. 
41 CEDU per 1a lunghezza del processo (sentenza 6 settembre 2001, 
Brusco c. Italia). 
Secondo un orientamento ormai assai diffuso in ambiente giurisprudenziale 
(10) , tuttavia, il meccanismo di attuazione della CEDU e di rispetto del 
principio di sussidiariet� dell'intervento della Corte Europea di Strasburgo, 
per�, non opera nel caso in cui essa ritenga che le conseguenze della accertata 
violazione della CEDU non siano state riparate dal diritto interno o lo siano 
state "in modo incompleto", perch�, in siffatte ipotesi, il citato art. 41 prevede 
l'intervento della Corte Europea a tutela della "vittima della violazione". In tal 
caso il ricorso individuale alla Corte di Strasburgo ex art 34 della CEDU sarebbe 
ricevibile (sentenza 29 marzo 2006, Scordino c. Italia) e la Corte provvede 
a tutelare direttamente il diritto della vittima che essa ha ritenuto non 
completamente tutelato dal diritto interno. 
Si � evidenziato (11), in buona sostanza, che l�intervento della Corte Europea 
dovrebbe attuarsi anche laddove lo strumento di tutela predisposto in 
ambito nazionale non presenti il crisma della effettivit�, ai sensi dell�art. 13 
CEDU. Tale norma stabilisce che la forma di protezione istituita sul piano interno 
deve essere �effettiva�, tale, cio�, da porre rimedio alla lamentata violazione 
della norma convenzionale, eliminandone tutte le conseguenze dannose. 
Ove ci� non si verifichi (12), la via di ricorso interna istituita a livello nazio- 
(9) Le ragioni che hanno determinato l'approvazione della legge n. 89/2001 si individuano, per 
l�appunto, nella necessit� d� prevedere un rimedio giurisdizionale interno contro le violazioni relative 
alla durata dei processi, in modo da realizzare la sussidiariet� dell'intervento della Corte di Strasburgo. 
Il rimedio interno introdotto dalla legge n. 89/2001, in precedenza, non esisteva nell'ordinamento italiano, 
con la conseguenza che i ricorsi contro l'Italia per la violazione dell'art. 6 della CEDU avevano "intasato" 
(� il termine usato dal relatore Follieri nella seduta del Senato del 28 settembre 2000) il giudice europeo. 
Rilevava la Corte di Strasburgo, prima della legge n. 89/2001, che �le dette inadempienze dell'Italia riflettono 
una situazione che perdura, alla quale non si � ancora rimediato e per la quale i soggetti a 
giudizio non dispongono di alcuna via di ricorso interna. Tale accumulo di inadempienze �, pertanto, 
costitutivo di una prassi incompatibile con la Convenzione" (quattro sentenze della Corte in data 28 luglio 
1999, su ricorsi di Bottazzi, Di Mauro, Ferrari e A.P. c. Italia). 
(10) Vedi, in proposito, Cass. Civ., Sez. Un., sentenza n. 1339 del 26 gennaio 2004. 
(11) Cos�, tra molti, l�Avv. Giovanni Romano, nel ricorso incidentale avverso il decreto della 
Corte d�Appello di Potenza, Sez. Civile, del 28 aprile 2009, R.G. n. 95/2009, in materia di equa riparazione 
ex lege n. 89 del 24 marzo 2001. 
(12) Il giudice della completezza o meno della tutela che la vittima ha ottenuto secondo il diritto 
interno �, ovviamente, la Corte Europea, alla quale spetta di fare applicazione dell'art. 41 CEDU per accertare 
se, in preserva della violazione della norma della CEDU, il diritto interno abbia permesso di riparare 
in modo completo le conseguenze della violazione stessa.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 153 
nale non vale a sottrarre al ricorrente la qualit� di vittima ex art. 34 CEDU, 
imponendo per conseguenza la necessit� di un intervento, per cos� dire, suppletivo, 
integrativo o correttivo della Corte Europea. 
L�effettivit�, in questi termini, si traduce nell�affermazione in base alla 
quale al ricorrente, in sede nazionale, deve essere riconosciuta un�equa soddisfazione 
idonea a ripararlo delle conseguenze dannose patite per effetto della 
violazione della norma convenzionale, pari a quella che egli avrebbe conseguito 
ove avesse investito la Corte di Strasburgo della cognizione della medesima 
domanda (13). L�effettivit� del rimedio interno, cos� intesa, imporrebbe 
una sostanziale equivalenza dell�equa riparazione/soddisfazione concessa in 
sede nazionale, rispetto a quella conseguibile innanzi alla Corte di Strasburgo. 
Secondo i pi� convinti sostenitori di quest�orientamento, affinch� tale risultato 
si realizzi concretamente, � indispensabile che il rimedio predisposto 
sul piano interno sia costruito, dal legislatore, ed applicato, dai giudici nazionali, 
in sintonia e nel pieno e rigoroso rispetto delle norme convenzionali (14), 
cos� come interpretate ed �arricchite� dalla giurisprudenza della Corte Europea, 
la cui vincolativit� (15) sarebbe, pertanto, da considerarsi condizione necessaria 
a garantire l�effettivit� del rimedio interno. 
E pertanto, se ne fa discendere che l�attribuzione da parte dei giudici nazionali 
� chiamati, ex legge Pinto, a riparare le conseguenze dannose derivanti 
dalla violazione dell�art. 6, par. 1, CEDU � di un�equa soddisfazione/riparazione 
quantificata in difformit� dai parametri elaborati dalla Corte Europea 
non integri il requisito di effettivit� del rimedio interno alla stregua del disposto 
di cui all�art. 13 CEDU, lasciando permanere in capo all�individuo la qualifica 
di vittima della violazione ex art. 34 CEDU. 
In verit�, chi scrive dubita che il principio di effettivit� di cui all�art. 13 
cit. si traduca nella necessaria equivalenza dei rimedi azionabili nella sede nazionale 
ed in quella comunitaria a tutela del diritto ad un processo di durata 
ragionevole. L�ordinamento italiano, con la riformulazione dell�art. 111 della 
Costituzione ad opera dell�art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999, 
(13) La sussidiariet�, collegata al �principio di effettivit�� ex art. 13, CEDU, non significa che il 
livello statale, a fronte di una via di ricorso interna non effettiva, perda le sue competenze a favore della 
Corte di Strasburgo, ma piuttosto che questa pu� essere chiamata ad entrare in azione soltanto quando 
si alleghi che l�autorit� statale non ha esercitato le sue competenze nel modo dovuto. 
(14) Naturalmente, spetta alla Corte Europea ogni valutazione circa il rispetto della effettivit� del 
rimedio interno alla stregua dei parametri convenzionali. 
(15) La vincolativit� dei precedenti della Corte di Strasburgo opererebbe, secondo l�orientamento 
de quo, su due piani: nei confronti del legislatore, che gi� in astratto deve ricostruire la via di ricorso interna 
in maniera tale che sia conforme alle norme convenzionali cos� come interpretate dalla Corte Europea; 
nei confronti del giudice nazionale, che parimenti deve applicare il rimedio interno utilizzando 
quegli stessi criteri e parametri � di accertamento della violazione della norma convenzionale e di liquidazione 
dell�equa soddisfazione ex art. 41 CEDU � elaborati dalla Corte Europea con riferimento a casi 
simili.
154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
n. 2, ha recepito il canone della durata ragionevole del processo, demandando 
alla legge il compito di assicurarla. Ne deriva la presenza, nella norma in 
esame, di una propria disciplina interna circa i parametri cui correlare la durata 
ragionevole del processo, ed anche dell�espressa previsione del danno, patrimoniale 
o non patrimoniale, quale elemento costitutivo del diritto all'equa riparazione. 
Per quanto, infatti, la CEDU, una volta superato il limite della ragionevolezza, 
consideri ai fini della liquidazione dell�indennizzo l�intera durata del 
procedimento, tanto non � consentito al giudice italiano, posto che l�art. 2, c. 
3, lett. a), della legge n. 89/2001, espressamente sancisce che, ai fini della liquidazione 
dell�indennizzo riconosciuto dal nostro diritto interno per l�eccessiva 
durata dei processi, � rileva solamente il danno riferibile al periodo 
eccedente il termine ragionevole�, onde finch� il legislatore non riterr� di modificare 
tale dato normativo (che non contrasta con le norme di diritto internazionale 
generalmente riconosciute � art. 10 Cost. � n� con i principi 
fondamentali dell�ordinamento comunitario � art. 11 Cost. � e, come gi� rilevato, 
non contrasta neppure con la Convenzione, ma solo con un orientamento 
ermeneutico con la Corte di Strasburgo, che non pu� prevalere su di 
un�espressa disposizione di legge), i giudici italiani dovranno attenervisi. Questo 
parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata "ordinario" 
e "ragionevole", valorizzato invece dalla Corte di Strasburgo, non esclude la 
complessiva attitudine della legge n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro 
per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea 
nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, proposto da 
Scordino c. Italia (16). 
E sull�argomento, la stessa Corte Europea di Strasburgo ha affermato che 
il principio di protezione effettiva posto dall�art. 13 della Convenzione non 
giunge a consentire che si denunzi innanzi ai giudici nazionali la contrariet� 
delle leggi dello Stato ai principi della Convenzione (sentenza del 26 ottobre 
2000, Kudla c. Polonia). 
I Giudici della Corte Europea, infatti, hanno solamente riconosciuto, in 
alcuni casi, l�inadeguatezza dell�indennizzo, che pu� essere liquidato dal giudice 
nazionale, facendo applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, senza per� 
escludere la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001, a garantire un serio 
ristoro per la lesione del diritto in questione, avendola, anzi, espressamente 
riconosciuta nella gi� citata sentenza 27 marzo 2003, Scordino c. Italia, ed 
avendo questi affermato, addirittura nella sentenza Zullo c. Italia, resa sul ricorso 
n. 64897/01, che vari tipi di ricorso possono correggere la violazione in 
modo adeguato: uno tendente ad accelerare la procedura e l�altro di natura in- 
(16) Cfr., sull�argomento, Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 16936 del 29 novembre 2002; Sez. I, sent. n. 
8603 del 26 aprile 2005; Sez. I, sent. n. 23844 del 19 novembre 2007.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 155 
dennitaria (cfr. par. 79); che gli Stati possono anche scegliere di dare vita soltanto 
al ricorso per indennizzo, come ha fatto l�Italia, senza che questo ricorso 
possa essere considerato come mancante di efficacia (cfr. par. 80); che, quando 
uno Stato ha fatto un passo significativo introducendo un ricorso per indennizzo, 
la Corte deve lasciargli un pi� grande margine di valutazione, perch� 
possa organizzare questo ricorso interno in modo coerente con il suo sistema 
giuridico e le sue tradizioni e in conformit� con il tenore di vita del paese (cfr. 
par. 82). Sotto altro aspetto, poi, occorre tener conto che la L. n. 89 del 2001, 
citato art. 2, comma 3, lett. a), costituisce particolare applicazione dell�art. 111 
Cost., il quale, dopo aver recepito pienamente i canoni del giusto processo fissati 
dall�art. 6, p. 1, della Convenzione, dispone che �la legge ne assicura la 
ragionevole durata �, cos� sancendo che, nello stabilire quale durata debba ritenersi 
ragionevole, non si possa prescindere da quella minima imposta da una 
corretta applicazione, da parte del giudice, della disciplina che lo struttura. 
Sembra, quindi, logico dedurre che il diverso parametro di calcolo dell�equa 
riparazione, introdotto dalla Corte Europea produca il solo effetto di 
aprire, alla "vittima" della violazione, la via sussidiaria dell�applicabilit� dell�art. 
41 della CEDU sull�equa soddisfazione, il quale dispone che �Se la Corte 
dichiara che vi � stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se 
il diritto interno dell�Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto 
di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando 
� il caso, un�equa soddisfazione alla parte lesa�. 
4. Il rispetto degli obblighi internazionali 
Non sono mancate censure nel complesso tese a sostenere che l�asserito 
contrasto dell�art. 2, comma 3, lett. a) della legge L. 89/2001 con gli artt. 41 
e 13 CEDU, come interpretati dalla Corte Europea, si tradurrebbe nell�illegittimit� 
costituzionale della norma stessa per contrasto con l�art. 117, comma 
1, Cost., il quale vincola la potest� legislativa statale al rispetto degli obblighi 
internazionali, tra i quali sarebbero inclusi quelli derivanti dall�adesione alla 
CEDU, cos� come interpretata ed attualizzata dalla Corte Europea. 
Sulla questione, peraltro, si � fatto notare che la Corte Costituzionale, con 
la sentenza n. 348/2007, ha dichiarato l�illegittimit� costituzionale dell�art. 5 
bis, commi 1 e 2, del D.L. 11 luglio 1992, n. 333 (conv. con modif. dalla Legge 
8 agosto 1992, n. 359) e dell�art. 37, commi 1 e 2, del d.P.R. 8 giugno 2001, 
n. 327, proprio per contrasto con l�art. 117 Cost. con riferimento all�art. 1 Prot. 
1 della CEDU cos� come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Europea 
(17) e che, nel procedere in tal senso, i giudici della Consulta hanno posto dei 
(17) Si �, infatti, asserito che tale norma � stata �oggetto di una progressiva focalizzazione interpretativa 
da parte della Corte di Strasburgo, che ha attribuito alla disposizione un contenuto ed una 
156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
principi fondamentali di indubbia rilevanza in relazione alla questione di legittimit� 
della previsione contenuta nell�art. 2, comma 3, lett. a) della Legge 
n. 89/2001. 
Essi, infatti, hanno evidenziato che � l�art. 117, primo comma, Cost. condiziona 
l�esercizio della potest� legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto 
degli obblighi internazionali, tra i quali indubbiamente rientrano quelli 
derivanti dalla Convenzione europea per i diritti dell�uomo� ed ancora che 
�il nuovo testo dell�art. 117, primo comma, Cost., se da una parte rende inconfutabile 
la maggior forza di resistenza delle norme CEDU rispetto a leggi 
ordinarie successive, dall�altra attrae le stesse nella sfera di competenza di 
questa Corte, poich� gli eventuali contrasti non generano problemi di successione 
delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica 
delle norme in contrasto, ma questioni di legittimit� costituzionale� 
(Corte Costituzionale, sent. n. 348/2007). 
Alla luce dei principi affermati nelle richiamate sentenze, sembra che 
l�art. 117 Cost. presenti una struttura simile a quella di altre norme costituzionali, 
che sviluppano la loro concreta operativit� solo se poste in stretto collegamento 
con altre norme, di rango sub-costituzionale, destinate a dare 
contenuti ad un parametro che si limita ad enunciare in via generale una qualit� 
che le leggi in esso richiamate devono possedere. Le norme finalizzate a tale 
scopo finiscono, quindi, per essere di rango subordinato s� a quello delle norme 
costituzionali, ma maggiore delle leggi ordinarie. 
In definitiva, secondo i Giudici della Consulta, �l�art. 117, primo comma, 
Cost. diventa concretamente operativo solo se vengano determinati quali siano 
gli �obblighi internazionali� che vincolano la potest� legislativa dello Stato 
e delle Regioni [�] Nel senso specifico sottoposto alla valutazione di questa 
Corte, il parametro viene integrato e reso operativo dalle norme della CEDU, 
la cui funzione � quindi di concretizzare nella fattispecie la consistenza degli 
obblighi internazionali dello Stato� (Corte Costituzionale, sent. n. 348/2007). 
Sembrerebbe, quindi, alla luce di tali dicta, che le norme della CEDU, 
nell�interpretazione offertane dalla Corte Europea, vincolino il Legislatore nazionale 
ex art. 117 Cost. Infatti, come evidenziato dalla Consulta, �la CEDU 
presenta, rispetto agli altri trattati internazionali, la caratteristica peculiare 
di aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte Europea 
per i diritti dell�uomo, cui � affidata la funzione di interpretare le norme della 
Convenzione stessa. Difatti l�art. 32, par. 1, stabilisce: �La competenza della 
Corte si estende a tutte le questioni concernenti l�interpretazione e l�applicazione 
della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa alle 
condizioni previste negli art. 33, 34 e 47� (�)� (Corte Costituzionale, sent. 
portata ritenuti dalla stessa Corte incompatibili con la disciplina italiana dell�indennit� di espropriazione
� (Corte Costituzionale, sent. n. 348/2007).
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 157 
n. 348/2007). In conseguenza, secondo l�intendimento di detta Corte, �poich� 
le norme giuridiche vivono nell�interpretazione che ne danno gli operatori di 
diritto, i giudici in primo luogo, la naturale conseguenza che deriva dall�art. 
32, par. 1, della Convenzione � che tra gli obblighi internazionali assunti dall�Italia 
con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU vi � quello di adeguare 
la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito 
dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione. 
Non si pu� parlare quindi di una competenza giurisdizionale che si 
sovrappone a quella degli organi giudiziari dello Stato italiano, ma di una 
funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto 
alla Corte europea, contribuendo con ci� a precisare i loro obblighi internazionali 
nella specifica materia� (Corte Costituzionale, sent. n. 348/2007). 
Non � certamente dubitabile che nella citata sentenza la Corte Costituzionale 
abbia inteso dettare una serie di principi volti a precisare con chiarezza, 
per un verso, la portata applicativa dell�art. 117 Cost., per l�altro, il valore da 
attribuirsi alle norme della CEDU, cos� come interpretate dalla Corte Europea. 
Per espressa affermazione della Suprema Corte, infatti, tali norme costituiscono 
un vincolo alla potest� legislativa statale (e regionale), alla quale, pertanto, 
non � dato esprimersi con l�adozione di una normativa contrastante con 
il dettato in esse contenuto, specificato ed attualizzato attraverso i precedenti 
della Corte di Strasburgo. 
Orbene, il portato letterale dell�art. 2, comma 3, lett. a) della L. n. 
89/2001, nella parte in cui prevede che: �Il giudice determina la riparazione 
a norma dell'articolo 2056 del codice civile, osservando le disposizioni seguenti: 
a) rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine 
ragionevole di cui al comma 1�, e la prassi giurisprudenziale interna, rigorosamente 
conforme ai parametri di computo dettati dalla normativa nazionale, 
sembrano tratteggiare una sfacciata profanazione dell�art. 117, comma 1�, 
Cost. ed il principio del rispetto degli obblighi internazionali in esso richiamato. 
Questo rombante contrasto � stato denunciato dai pi� avveduti giuristi 
con risonanti cori di sdegno e censure che si rivelano, ad avviso di chi scrive, 
frettolose e superficiali, nei sensi che tra poco si vedranno. 
La previsione del rimedio indennitario a riparazione del solo lasso di 
tempo eccedente la durata ragionevole del processo presupposto ex L. n. 89 
del 2001, art. 2, comma 3�, lett. a), non pu� dirsi confliggente con il disposto 
del richiamato art. 117, comma 1�, Cost., non potendo darsi alla giurisprudenza 
della CEDU, in questione, diretta applicazione nell�ordinamento giuridico italiano, 
a differenza di quanto accade con riguardo alla normativa comunitaria. 
La Corte Costituzionale ha infatti chiarito, con le gi� richiamate sentenze n. 
348 e n. 349 del 2007, altres� che la Convenzione non crea un ordinamento 
giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili 
negli Stati contraenti. Essa, infatti, � configurabile come un trattato interna-
158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
zionale multilaterale, da cui derivano "obblighi" per gli Stati contraenti (e 
quindi anche quello dei giudici nazionali di uniformarsi ai parametri CEDU, 
esclusi i casi, come quello di specie, in cui siano tenuti a rispettare una norma 
nazionale, della cui legittimit� costituzionale non si possa dubitare), ma non 
l�incorporazione dell�ordinamento giuridico italiano in un sistema pi� vasto, 
dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omesso 
medio, per tutte le autorit� interne degli Stati membri. 
Ci� per la semplice ed intuitiva ragione che un procedimento di incorporazione 
automatica ad hoc si rivelerebbe inadeguato e mal funzionante in relazione 
alle norme non self-executing contenute nella Convenzione de qua, la 
cui piena attuazione nel nostro ordinamento necessita di appositi interventi 
normativi nazionali, tesi ad integrare le norme di adattamento prodotte per il 
tramite dell�ordine di esecuzione. 
D�altra parte, l�art. 117, primo comma, non potrebbe operare quale �incorporatore 
automatico permanente� di tutte le norme contenute nei trattati 
internazionali cui lo Stato Italiano aderisce, giacch� �un�applicazione che implicasse 
la costituzionalizzazione generalizzata di tutti gli accordi internazionali, 
a prescindere dal modo d�introduzione degli stessi nell�ordinamento 
interno, si porrebbe in contrasto con il principio della sovranit� popolare, potendo 
portare a riconoscere l�esistenza di vincoli alla potest� legislativa derivanti 
da atti non sottoposti al parlamento�. 
Le norme della CEDU, sotto altro aspetto, in quanto norme pattizie, restano 
escluse anche dall'ambito di operativit� dell'art. 10, primo comma, Cost., 
in conformit� alla costante giurisprudenza della Corte Costituzionale sul punto. 
La citata disposizione costituzionale, con l'espressione �norme del diritto internazionale 
generalmente riconosciute�, si riferisce soltanto alle norme consuetudinarie 
e dispone l'adattamento automatico, rispetto alle stesse, 
dell'ordinamento giuridico italiano. Le norme pattizie, ancorch� generali, contenute 
in trattati internazionali bilaterali o multilaterali, esulano pertanto dalla 
portata normativa del suddetto art. 10. Di questa categoria fa parte la CEDU, 
con la conseguente �impossibilit� di assumere le relative norme quali parametri 
del giudizio di legittimit� costituzionale, di per s� sole (sentenza n. 188 
del 1980), ovvero come norme interposte ex art. 10 della Costituzione� (18). 
Dott.ssa Morena Pirollo* 
(18) Corte Cost., ordinanza n. 143 del 1993; conformi, ex plurimis, sentenze n. 153 del 1987, n. 
168 del 1994, n. 288 del 1997, n. 32 del 1999, ed ordinanza n. 464 del 2005. 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 159 
Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 26 gennaio 2004 n. 1340 - Pres. Ianniruberto, 
Rel. Lupo, P.M. Esposito - C.L. (avv. G. Romano) c. Ministero della giustizia (avv. Stato G. 
Palatiello). 
(Omissis) 
Motivi della decisione 
1.- I due motivi di ricorso sono strettamente connessi perch� censurano il quantum del danno 
non patrimoniale liquidato dalla decisione impugnata. 
Con il primo motivo il ricorrente deduce "violazione e mancata applicazione dell'art. 2 della 
legge n. 89 del 2001. Contestuale violazione e mancata applicazione degli artt. 1223, 1226, 
1227 e 2056 c.c. Contestuale violazione e mancata applicazione dell'art. 6 p. 1 e dell'art. 13 
della CEDU. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo 
della controversia: in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5". Il ricorrente premette che la violazione 
del termine di durata ragionevole del processo determina la violazione di un diritto 
costituzionalmente ed internazionalmente tutelato, posto a presidio di un bene inviolabile, il 
cui valore non � immediatamente valutabile in termini pecuniari e la cui compressione, pertanto, 
determina ex se un danno non patrimoniale; e rileva che il bene costituito dal diritto 
alla ragionevole durata del processo � identico per chiunque sia parte di un processo e per 
ogni tipo di processo. Secondo il ricorrente, la decisione impugnata ha male utilizzato il parametro 
della "posta in gioco", dato che esso � adoperato dalla giurisprudenza della Corte di 
Strasburgo al fine di riconoscere con maggiore facilit�, in ipotesi delicate, l'esistenza della lesione, 
mentre la Corte di appello vi ha fatto ricorso per arginare la pretesa del danneggiato. 
In tal modo il danno non patrimoniale � stato determinato in misura "manifestamente iniqua 
in relazione ai parametri costantemente utilizzati dalla Corte di Strasburgo". 
Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e mancata applicazione dell'art. 2, 
commi 1 e 3, della legge n. 89 del 2001 e dell'art. 13 della CEDU. Premesso che i diritti 
protetti dalla CEDU devono trovare anzitutto attuazione e tutela in sede nazionale, con il ricorso 
agli strumenti apprestati dai singoli ordinamenti, rileva che con l'impugnato decreto si 
� stravolto il rimedio della legge n. 89 del 2001, pervenendosi ad una liquidazione del danno 
non patrimoniale "chiaramente violativa dei parametri e standards valutativi elaborati dalla 
Corte europea". 
2.- La questione di massima posta dal presente ricorso concerne l'ambito del sindacato della 
Corte di Cassazione sui decreti della Corte di appello che determinano il quantum dell'equa 
riparazione spettante al ricorrente a titolo di danno non patrimoniale; in particolare, se possa 
costituire vizio della liquidazione del danno la mancanza di relazione ragionevole della somma 
accordata dalla Corte di appello ai parametri di commisurazione della equa soddisfazione (art. 
41 CEDU) utilizzati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in casi simili. 
La soluzione della questione di massima richiede che si precisi quale effetto giuridico debba 
attribuirsi, nella liquidazione del danno non patrimoniale da indennizzare in applicazione della 
legge n. 89 del 2001, ai criteri seguiti dalla Corte europea nella riparazione dello stesso tipo 
di danno, e quindi alle pronunzie della stessa Corte sulle conseguenze della violazione del 
termine ragionevole di durata del processo. 
Il che, a sua volta, esige la considerazione della lettera e delle finalit� della legge n. 89 del 
2001. 
3.- Come chiaramente si desume dall'art. 2, comma 1, della detta legge, il fatto giuridico che 
fa sorgere il diritto all'equa riparazione da essa prevista � costituito dalla "violazione della
160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali, ratificata 
ai sensi della legge 4 agosto 1955 n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole 
di cui all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione". La legge n. 89 del 2001, cio�, 
identifica il fatto costitutivo del diritto all'indennizzo per relationem, riferendosi ad una specifica 
norma della CEDU. Questa Convenzione ha istituito un giudice (Corte europea dei 
diritti dell'uomo, con sede a Strasburgo) per il rispetto delle disposizioni in essa contenute 
(art. 19), onde non pu� che riconoscersi a detto giudice il potere di individuare il significato 
di dette disposizioni e perci� di interpretarle. 
Poich� il fatto costitutivo del diritto attribuito dalla legge n. 89 del 2001 consiste in una determinata 
violazione della CEDU, spetta al Giudice della CEDU individuare tutti gli elementi 
di tale fatto giuridico, che pertanto finisce con l'essere "conformato" dalla Corte di Strasburgo, 
la cui giurisprudenza si impone, per quanto attiene all'applicazione della legge n. 89 del 2001, 
ai giudici italiani. 
Non � necessario, allora, porsi il problema generale dei rapporti tra la CEDU e l'ordinamento 
interno, su cui si � ampiamente soffermato il Procuratore Generale in udienza. Qualunque sia 
l'opinione che si abbia su tale controverso problema, e quindi sulla collocazione della CEDU 
nell'ambito delle fonti del diritto interno, � certo che l'applicazione diretta nell'ordinamento 
italiano di una norma della CEDU, sancita dalla legge n. 89/2001 (e cio� dall'art. 6, p. 1, nella 
parte relativa al "termine ragionevole"), non pu� discostarsi dall'interpretazione che della 
stessa norma da il giudice europeo. 
L'opposta tesi, diretta a consentire una sostanziale diversit� tra l'applicazione che la legge n. 
89 del 2001 riceve nell'ordinamento nazionale e l'interpretazione data dalla Corte di Strasburgo 
al diritto alla ragionevole durata del processo, renderebbe priva di giustificazione la detta 
legge n. 89 del 2001 e comporterebbe per lo Stato italiano la violazione dell'art. 1 della CEDU, 
secondo cui "le Parti Contraenti riconoscono ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione 
i diritti e le libert� definiti al titolo primo della presente Convenzione" (in cui � compreso il 
citato art. 6, che prevede il diritto alla definizione del processo entro un termine ragionevole). 
Le ragioni che hanno determinato l'approvazione della legge n. 89 del 2001 si individuano 
nella necessit� di prevedere un rimedio giurisdizionale interno contro le violazioni relative 
alla durata dei processi, in modo da realizzare la sussidiariet� dell'intervento della Corte di 
Strasburgo, sancita espressamente dalla CEDU (art. 35: "la Corte non pu� essere adita se non 
dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne"). Da esso deriva il dovere degli Stati che hanno 
ratificato la CEDU di garantire agli individui la protezione dei diritti riconosciuti dalla CEDU 
innanzitutto nel proprio ordinamento interno e di fronte agli organi della giustizia nazionale. 
E tale protezione deve essere "effettiva" (art. 13 della CEDU), e cio� tale da porre rimedio 
alla doglianza, senza necessit� che si adisca la Corte di Strasburgo. 
Il rimedio interno introdotto dalla legge n. 89 del 2001, in precedenza, non esisteva nell'ordinamento 
italiano, con la conseguenza che i ricorsi contro l'Italia per la violazione dell'art. 6 
della CEDU avevano "intasato" (� il termine usato dal relatore Follieri nella seduta del Senato 
del 28 settembre 2000) il giudice europeo. Rilevava la Corte di Strasburgo, prima della legge 
n. 89 del 2001, che le dette inadempienze dell'Italia "riflettono una situazione che perdura, 
alla quale non si � ancora rimediato e per la quale i soggetti a giudizio non dispongono di alcuna 
via di ricorso interna. Tale accumulo di inadempienze �, pertanto, costitutivo di una 
prassi incompatibile con la Convenzione" (quattro sentenze della Corte in data 28 luglio 1999, 
su ricorsi di Bottazzi, Di Mauro, Ferran e A.P.). 
La legge n. 89 del 2001 costituisce la via di ricorso interno che la "vittima della violazione"
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 161 
(cos� definita dall'art. 34 della CEDU) dell'art. 6 (sotto il profilo del mancato rispetto del termine 
ragionevole) deve adire prima di potersi rivolgere alla Corte europea per chiedere la 
"equa soddisfazione" prevista dall'art. 41 della CEDU, la quale, quando sussista la violazione, 
viene accordata dalla Corte soltanto "se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette 
che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione". La legge n. 89 
del 2001 ha, pertanto, consentito alla Corte europea di dichiarare irricevibili i ricorsi ad essa 
presentati (anche prima dell'approvazione della stessa legge) e diretti ad ottenere l'equa soddisfazione 
prevista dall'art. 41 CEDU per la lunghezza del processo (sentenza 6 settembre 
2001, Brusco c. Italia). 
Tale meccanismo di attuazione della CEDU e di rispetto del principio di sussidiariet� dell'intervento 
della Corte europea di Strasburgo, per�, non opera nel caso in cui essa ritenga che le 
conseguenze della accertata violazione della CEDU non siano state riparate dal diritto interno 
o lo siano state "in modo incompleto", perch�, in siffatte ipotesi, il citato art. 41 prevede l'intervento 
della Corte europea a tutela della "vittima della violazione". In tal caso il ricorso individuale 
alla Corte di Strasburgo ex art. 34 della CEDU � ricevibile (sentenza 27 marzo 2003, 
Scordino ed altri c. Italia) e la Corte provvede a tutelare direttamente il diritto della vittima 
che essa ha ritenuto non completamente tutelato dal diritto interno. 
Il giudice della completezza o meno della tutela che la vittima ha ottenuto secondo il diritto 
interno �, ovviamente, la Corte europea, alla quale spetta di fare applicazione dell'art. 41 
CEDU per accertare se, in presenza della violazione della norma della CEDU, il diritto interno 
abbia permesso di riparare in modo completo le conseguenze della violazione stessa. 
La tesi secondo cui, nell'applicare la legge n. 89 del 2001, il giudice italiano pu� seguire un'interpretazione 
non conforme a quella che la Corte europea ha dato della norma dell'art. 6 CEDU 
(la cui violazione costituisce il fatto costitutivo del diritto all'indennizzo attribuito dalla detta 
legge nazionale), comporta che la vittima della violazione, qualora riceva in sede nazionale 
una riparazione ritenuta incompleta dalla Corte europea, ottenga da quest'ultimo Giudice l'equa 
soddisfazione prevista dall'art. 41 CEDU. Il che costringerebbe l'interessato ad un duplice 
giudizio, uno davanti al giudice nazionale per chiedere l'indennizzo previsto dalla legge n. 89 
del 2001 e l'altro davanti alla Corte europea per ottenere l'integrazione della riparazione che 
il diritto interno ha consentito, in ipotesi, in modo soltanto incompleto (secondo il giudizio 
della stessa Corte europea). In tal modo il rimedio predisposto dal legislatore italiano con la 
legge n. 89 del 2001 diverrebbe sostanzialmente mutile e si realizzerebbe una violazione del 
menzionato principio di sussidiariet� dell'intervento della Corte di Strasburgo. 
Deve, allora, concordarsi con la detta Corte europea la quale, nella citata decisione sul ricorso 
Scordino (relativo alla incompletezza della tutela accordata dal giudice italiano in applicazione 
della legge n. 89 del 2001), ha affermato che "deriva dal principio di sussidiariet� che le giurisdizioni 
nazionali devono, per quanto possibile, interpretare ed applicare il diritto nazionale 
conformemente alla Convenzione". 
Nella stessa decisione Scordino si � precisato, con specifico riferimento alla riparazione del 
danno non patrimoniale, che il giudice nazionale "pu� allontanarsi da un'applicazione rigorosa 
e formale dei criteri adottati dalla Corte" europea, ma, pure conservando un "margine di valutazione", 
non pu� liquidare somme che non siano in "relazioni ragionevoli con la somma 
accordata dalla Corte negli affari simili", restando quindi fermo il suo dovere di "conformarsi 
alla giurisprudenza della Corte cos� accordando somme conseguenti". 
La legge n. 89 del 2001 non pone alcun ostacolo a tale dovere di prendere a punto di riferimento 
dell'equa riparazione del danno non patrimoniale la giurisprudenza della Corte europea,
162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
perch� detta legge richiama, attraverso l'art. 2056 c.c., l''art. 1226 c.c., che prevede una valutazione 
con criteri equitativi, i quali possono essere commisurati, in linea generale, all'equa 
soddisfazione prevista dall'art. 41 CEDU. 
Consegue che i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte 
europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, anche se questi pu� discostarsi in 
misura ragionevole dalle liquidazioni effettuate a Strasburgo in casi simili. 
Tale regola di applicazione della legge n. 89 del 2001, per quanto attiene alla riparazione del 
danno non patrimoniale, ha natura giuridica, perch� inerisce ai rapporti tra la detta legge e la 
CEDU, onde il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di 
violazione di legge denunziabile a questa Corte di legittimit�. Occorre, cio�, precisare che, 
mentre, in linea generale, il criterio adottato dal giudice del merito per la liquidazione equitativa 
del danno, in applicazione dell'art. 1226 c.c., non � censurabile in cassazione, quando 
il relativo potere di scelta � stato esercitato in maniera logica (v., ex plurimis, Cass. 5 giugno 
1996 n. 5265; 10 aprile 1996 n. 3341), la liquidazione del danno non patrimoniale effettuata 
dalla Corte di appello a norma dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001, pur conservando la sua 
natura equitativa, � tenuta a muoversi entro un ambito che � definito dal diritto, perch� deve 
riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, da cui � consentito 
discostarsi purch� in misura ragionevole. L'ambito giuridico della riparazione equitativa del 
danno non patrimoniale �, in altri termini, segnato dal rispetto della CEDU, per come essa 
vive nelle decisioni, da parte di detta Corte, di casi simili a quello portato all'esame del giudice 
nazionale. 
L'accertamento dei casi simili e delle eque soddisfazioni del danno non patrimoniale in essi 
operate dalla Corte di Strasburgo, pur rientrando nei doveri di ufficio del giudice, pu� giovarsi 
della collaborazione delle parti, ed in particolare dell'attore, che ha interesse a fornire al giudicante 
ogni elemento utile alla determinazione del quantum del danno nella misura da lui 
chiesta, anche nelle ipotesi in cui non sia configurabile a suo carico un onere probatorio (in 
senso analogo v. l'art. 14 della legge 31 maggio 1995 n. 218, per quanto attiene allo "aiuto 
delle parti" nell'accertamento della legge straniera, che pure � compiuto di ufficio dal giudice). 
Va, infine, avvertito che, in ogni caso, nella determinazione del quantum dell'indennizzo, il 
giudice � vincolato, sul piano processuale, al rispetto della domanda e della corrispondenza 
tra il chiesto ed il pronunciato, onde egli non pu� mai liquidare un ammontare superiore a 
quello chiesto dall'attore. 
4.- Applicando i principi espressi nel precedente paragrafo, si rileva che la decisione impugnata 
ha liquidato come danno non patrimoniale, causato da un giudizio di primo grado in 
cui essa ha ravvisato un ritardo ingiustificato di otto anni, la somma di L. 1.000.000. La Corte 
europea, in due recenti decisioni emanate il 19 febbraio 2002 e relative a ritardi della giustizia 
italiana, ha determinato l'equa soddisfazione per il danno non patrimoniale nella somma di 
Euro 10.000 per un giudizio di primo grado che � durato poco pi� di otto anni (Sardo c. Italia) 
e nella somma di Euro 8.000 per un giudizio che � durato sette armi ed undici mesi (Donato 
c. Italia). 
La decisione impugnata ha liquidato, quindi, una somma che � meno di un decimo di quella 
accordata in casi simili dalla Corte europea, onde si ha, nel presente caso, un divario analogo 
a quello gi� censurato dalla Corte europea nella citata decisione Scordino. 
La Corte di appello, a giustificazione della riparazione da essa effettuata, ha fatto richiamo 
ad altre due pronunzie della Corte europea del 19 febbraio 1991: quella sul caso Manzoni, in
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 163 
cui � stata liquidata la somma di L. 1.000.000 per un tempo di oltre sette anni e quella sul 
caso Pugliese in cui non � stata riconosciuta alcuna somma per un tempo di oltre cinque anni 
(essendosi la Corte limitata al riconoscimento dell'avvenuta violazione). Va, per�, rilevato 
che, come ha esattamente osservato il ricorrente, non vi � alcuna somiglianza tra i due casi richiamati 
dalla decisione impugnata e la situazione posta a base del presente giudizio. In detti 
due casi si tratta di processi penali protrattisi per pi� gradi di giudizio ed in cui la Corte ha 
emanato decisioni non recenti, mentre vanno preferite come punti di riferimento, in linea generale, 
decisioni recenti della Corte europea e, con riferimento al caso di specie, pronunce su 
ritardi verificatisi in giudizi non penali (come le due decisioni del 19 febbraio 2002 che si 
sono in precedenza qui richiamate). 
N� la liquidazione esigua pu� trovare giustificazione nella entit� degli "interessi in gioco" nel 
processo presupposto. Tale entit� pu� determinare una riduzione significativa dell'indennizzo, 
ma non pu� ridurlo a meno di un decimo di quanto normalmente venga liquidato dalla Corte 
europea in casi simili. 
5.- In conclusione, la decisione impugnata, avendo fissato una riparazione del danno non patrimoniale 
in misura notevolmente ed irragionevolmente difforme dalla normativa della 
CEDU, per come essa vive nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, � viziata per violazione 
di legge, onde essa va cassata. 
La causa va rinviata alla Corte di appello di Roma, che, in diversa composizione, determiner� 
nuovamente l'indennizzo da corrispondere al ricorrente per la riparazione del danno non patrimoniale 
derivante dal mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, adeguandosi 
ai criteri adottati in casi simili dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, pure se con 
un margine di valutazione che sia ragionevole. 
Il giudice di rinvio si pronunzier� anche sulle spese del giudizio di Cassazione. 
P.Q.M. 
La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello 
di Roma, anche per le spese del giudizio di Cassazione. 
Cos� deciso in Roma, il 27 novembre 2003. 
Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 26 gennaio 2004 n. 1339 - Pres. Ianniruberto, 
Rel. Lupo, P.M. Esposito - (omissis) (avv. Romano) c. Ministero della giustizia (avv. Stato G. 
Palatiello). 
(Omissis) 
Motivi della decisione 
(�) 
2.- Il presente ricorso pone la questione di massima di quale effetto giuridico debba attribuirsi 
- nell'applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, ed in particolare nella identificazione del 
danno non patrimoniale derivante da violazione del termine ragionevole del processo - alle 
pronunzie della Corte europea dei diritti dell'uomo, sia considerate in linea generale come 
orientamenti interpretativi che tale Corte ha elaborato in ordine alle conseguenze di detta violazione, 
sia con riferimento all'ipotesi specifica in cui la Corte europea abbia avuto gi� modo 
di pronunziarsi sul ritardo verificatosi nella decisione di un determinato processo. 
(�)
164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
3.- La soluzione della questione di massima posta alle Sezioni unite esige la considerazione 
della lettera e delle finalit� della L. n. 89 del 2001. 
Come chiaramente si desume dall'art. 2, comma 1, della L. n. 89 del 2001, il fatto giuridico 
che fa sorgere il diritto all'equa riparazione da essa prevista e' costituito dalla "violazione della 
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali, ratificata 
ai sensi della L. 4 agosto 1955 n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole 
di cui all'arto, paragrafo 1, della Convenzione". La L. n. 89 del 2001, cio�, identifica 
il fatto costitutivo del diritto all'indennizzo per relationem, riferendosi ad una specifica norma 
della CEDU. Questa Convenzione ha istituito un giudice (Corte europea dei diritti dell'uomo, 
con sede a Strasburgo) per il rispetto delle disposizioni in essa contenute (art. 19), onde non 
pu� che riconoscersi a detto giudice il potere di individuare il significato di dette disposizioni 
e perci� di interpretarle. 
Poich� il fatto costitutivo del diritto attribuito dalla L. n. 89 del 2001 consiste in una determinata 
violazione della CEDU, spetta al Giudice della CEDU individuare tutti gli elementi di 
tale fatto giuridico, che pertanto finisce con l'essere "conformato" dalla Corte di Strasburgo, 
la cui giurisprudenza si impone, per quanto attiene all'applicazione della L. n. 89 del 2001, ai 
giudici italiani. 
Non e' necessario, allora, porsi il problema generale dei rapporti tra la CEDU e l'ordinamento 
interno, su cui si e' ampiamente soffermato il Procuratore Generale in udienza. Qualunque sia 
l'opinione che si abbia su tale controverso problema, e quindi sulla collocazione della CEDU 
nell'ambito delle fonti del diritto interno, e' certo che l'applicazione diretta nell'ordinamento 
italiano di una norma della CEDU, sancita dalla L. n. 89 del 2001 (e cio� dall'art. 6, p. 1, nella 
parte relativa al "termine ragionevole"), non pu� discostarsi dall'interpretazione che della 
stessa norma d� il giudice europeo. 
L'opposta tesi, diretta a consentire una sostanziale diversit� tra l'applicazione che la L. n. 89 
del 2001 riceve nell'ordinamento nazionale e l'interpretazione data dalla Corte di Strasburgo 
al diritto alla ragionevole durata del processo, renderebbe priva di giustificazione la detta L. 
n. 89 del 2001 e comporterebbe per lo Stato italiano la violazione dell'art. 1 della CEDU, secondo 
cui "le Parti Contraenti riconoscono ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione i 
diritti e le libert� definiti al titolo primo della presente Convenzione" (in cui e' compreso il 
citato art. 6, che prevede il diritto alla definizione del processo entro un termine ragionevole). 
Le ragioni che hanno determinato l'approvazione della L. n. 89 del 2001 si individuano nella 
necessit� di prevedere un rimedio giurisdizionale interno contro le violazioni relative alla durata 
dei processi, in modo da realizzare la sussidiariet� dell'intervento della Corte di Strasburgo, 
sancita espressamente dalla CEDU (art. 35: "la Corte non pu� essere adita se non 
dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne"). Sul detto principio di sussidiariet� si fonda 
il sistema europeo di protezione dei diritti dell'uomo. Da esso deriva il dovere degli Stati che 
hanno ratificato la CEDU di garantire agli individui la protezione dei diritti riconosciuti dalla 
CEDU innanzitutto nel proprio ordinamento interno e di fronte agli organi della giustizia nazionale. 
E tale protezione deve essere "effettiva" (art. 13 della CEDU), e cio� tale da porre rimedio 
alla doglianza, senza necessit� che si adisca la Corte di Strasburgo. 
Il rimedio interno introdotto dalla L. n. 89 del 2001, in precedenza, non esisteva nell'ordinamento 
italiano, con la conseguenza che i ricorsi contro l'Italia per la violazione dell'art. 6 della 
CEDU avevano "intasato" (e' il termine usato dal relatore Follieri nella seduta del Senato del 
28 settembre 2000) il giudice europeo. Rilevava la Corte di Strasburgo, prima della L. n. 89 
del 2001, che le dette inadempienze dell'Italia "riflettono una situazione che perdura, alla
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 165 
quale non si e' ancora rimediato e per la quale i soggetti a giudizio non dispongono di alcuna 
via di ricorso interna. Tale accumulo di inadempienze e', pertanto, costitutivo di una prassi 
incompatibile con la Convenzione" (quattro sentenze della Corte in data 28 luglio 1999, su 
ricorsi di Bottazzi, Di Mauro, Ferrari e A.P.). 
La L. n. 89 del 2001 costituisce la via di ricorso interno che la "vittima della violazione" (cos� 
definita dall'art. 34 della CEDU) dell'art. 6 (sotto il profilo del mancato rispetto del termine 
ragionevole) deve adire prima di potersi rivolgere alla Corte europea per chiedere la "equa 
soddisfazione" prevista dall'art. 41 della CEDU, la quale, quando sussista la violazione, viene 
accordata dalla Corte soltanto "se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette che 
in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione". 
La L. n. 89 del 2001 ha, pertanto, consentito alla Corte europea di dichiarare irricevibili i ricorsi 
ad essa presentati (anche prima dell'approvazione della stessa legge) e diretti ad ottenere 
l'equa soddisfazione prevista dall'art. 41 CEDU per la lunghezza del processo (sentenza 6 settembre 
2001, Brusco c. Italia). 
Tale meccanismo di attuazione della CEDU e di rispetto del principio di sussidiariet� dell'intervento 
della Corte europea di Strasburgo, per�', non opera nel caso in cui essa ritenga che 
le conseguenze della accertata violazione della CEDU non siano state riparate dal diritto interno 
o lo siano state "in modo incompleto", perch�, in siffatte ipotesi, il citato art. 41 prevede 
l'intervento della Corte europea a tutela della "vittima della violazione". In tal caso il ricorso 
individuale alla Corte di Strasburgo ex art. 34 della CEDU e' ricevibile (sentenza 27 marzo 
2003, Scordino ed altri c. Italia) e la Corte provvede a tutelare direttamente il diritto della vittima 
che essa ha ritenuto non completamente tutelato dal diritto interno. 
Il giudice della completezza o meno della tutela che la vittima ha ottenuto secondo il diritto 
interno e', ovviamente, la Corte europea, alla quale spetta di fere applicazione dell'art. 41 
CEDU per accertare se, in presenza della violazione della norma della CEDU, il diritto interno 
abbia permesso di riparare in modo completo le conseguenze della violazione stessa. 
La tesi secondo cui, nell'applicare la L. n. 89 del 2001, il giudice italiano pu� seguire un'interpretazione 
non conforme a quella che la Corte europea ha dato della norma dell'art. 6 CEDU 
(la cui violazione costituisce il fatto costitutivo del diritto all'indennizzo attribuito dalla detta 
legge nazionale), comporta che la vittima della violazione, qualora riceva in sede nazionale 
una riparazione ritenuta incompleta dalla Corte europea, ottenga da quest'ultimo Giudice l'equa 
soddisfazione prevista dall'art. 41 CEDU. Il che renderebbe inutile il rimedio predisposto dal 
legislatore italiano con la L. n. 89 del 2001 e comporterebbe una violazione del principio di 
sussidiariet� dell'intervento della Corte di Strasburgo. 
Deve, allora, concordarsi con la Corte europea dei diritti dell'uomo la quale, nella citata decisione 
sul ricorso Scordino (relativo alla incompletezza della tutela accordata dal giudice italiano 
in applicazione della L. n. 89 del 2001), ha affermato che "deriva dal principio di 
sussidiariet� che le giurisdizioni nazionali devono, per quanto possibile, interpretare ed applicare 
il diritto nazionale conformemente alla Convenzione". 
Questo dovere per il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, di 
interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza 
della Corte europea, opera "per quanto possibile", e quindi solo nei limiti in cui detta interpretazione 
conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001, non potendo 
certo il giudice violare quest'ultima legge, alla quale egli e' pur sempre soggetto (concetto 
esattamente sottolineato nella memoria del Ministero della giustizia). 
Ma un eventuale contrasto tra la L. n. 89 del 2001 e la CEDU porrebbe una questione di con-
166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
formit� della stessa con la Costituzione che, come si e' visto, tutela lo stesso bene della ragionevole 
durata del processo, oltre a garantire i diritti inviolabili dell'uomo (art. 2). Occorre, allora, 
accertare se possa darsi alla detta legge un�interpretazione che sia conforme alla CEDU, 
in applicazione del canone ermeneutico secondo cui va preferita l'interpretazione della legge 
che la renda conforme alla Costituzione. 
(�) 
P.Q.M. 
La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello 
di Roma, anche per le spese del giudizio di Cassazione. 
Cos� deciso in Roma, il 27 novembre 2003. 
Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 19 novembre 2007 n. 23844 - Pres. Panebianco, Rel. 
Giusti, P.M. Schiavon - M.C. (avv. Mindopi) c.Ministero della giustizia. 
(Omissis) 
Svolgimento del processo 
Che la Corte d'appello di Milano, adita da M.C. con ricorso ritualmente depositato al fine di 
conseguire l'equa riparazione per la lamentata irragionevole durata di un procedimento penale 
per i reati di cui agli artt. 594, 595 e 612 c.p., svoltosi dinanzi al Giudice di Tortona e durato 
dal 21 febbraio 1997 al 15 dicembre 2003, con Decreto del 22 ottobre 2004 ha condannato il 
Ministero al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 1.920,00, nonch� al 
rimborso della met� delle spese processuali; 
che la Corte d'appello ha stimato in tre anni la durata ragionevole del procedimento ed ha ritenuto 
pertanto che il periodo eccedente la durata ragionevole era complessivamente pari a 
tre anni e dieci mesi, giudicando questo il periodo rilevante per determinare l'equa riparazione 
di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3; 
che per tale periodo la Corte territoriale ha quantificato il danno morale in via equitativa nella 
somma di Euro 1.920,00; 
che per la Cassazione di tale decreto la M. ha proposto ricorso, al quale l'intimato Ministero 
della giustizia non ha resistito. 
Motivi della decisione 
Che nel ricorso vengono denunciati come illegittimi la modestia della somma liquidata a titolo 
di danno non patrimoniale, in violazione dei parametri derivanti dalla giurisprudenza della 
Corte di Strasburgo, e il mancato riconoscimento del diritto all'indennizzo con riferimento 
alla intera durata del processo presupposto (e non al solo periodo eccedente il termine ragionevole); 
che deve essere dichiarata manifestamente infondata la censura afferente alla necessit� di liquidare 
l'indennizzo con riferimento alla durata dell'intero processo, posto che la legge nazionale 
(L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lettera a), con una chiara scelta di tecnica 
liquidatoria non incoerente con le finalit� sottese all'art. 6 della CEDU, impone di correlare 
il ristoro al solo periodo di durata irragionevole (Cass., Sez. 1, 13 aprile 2006, n. 8714); 
che detta modalit� di calcolo non tocca la complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 
ad assicurare l'obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 167 
processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilit� di tale norma con gli impegni 
internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea 
e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all'art. 6, paragrafo 
1, della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla Legge 
Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), dovendosi perci� dichiarare manifestamente infondata 
l'eccezione di legittimit� costituzionale sollevata dalla parte (in termini: Cass., Sez. 1, 
13 aprile 2006, n. 8714, cit.); 
che, viceversa, manifestamente fondato, per quanto di ragione, � il motivo attinente alla quantificazione 
del danno non patrimoniale, giacch� la somma liquidata per anno di ritardo dalla 
Corte d'appello di Milano (Euro 500,00) si discosta in misura significativa dai parametri elaborati 
dalla Corte europea e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte; 
che, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell'indennizzo 
per danno non patrimoniale resti soggetta - a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. 
n. 89 del 2001, art. 2 - all'art. 6 Convenzione, nell'interpretazione giurisprudenziale resa dalla 
Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate 
in casi similari dal Giudice europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente 
formalistico, con la facolt� di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, 
purch� in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n, 1340); 
che, in particolare, detta Corte, con decisioni adottate a carico dell'Italia il 10 novembre 2004 
(v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Fizzati e sul ricorso 
n. 64897/01 Zullo), ha individuato nell'importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 
per anno la base di partenza per la quantificazione dell'indennizzo, ferma restando la possibilit� 
di discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alle particolarit� della fattispecie, 
quali l'entit� della posta in gioco e il comportamento della parte istante (cfr., ex multiis, Cass., 
Sez. 1, 26 gennaio 2006, n. 1630); 
che sulla base di quanto sin qui affermato, cassato il decreto in accoglimento della indicata 
censura, non essendo necessario accertare fatti di sorta, ben pu� procedersi alla decisione ex 
art. 384 c.p.c., determinando, per gli individuati anni di eccedenza rispetto alla ragionevole 
durata, il dovuto indennizzo; 
che, tenuto conto dei parametri discendenti dalla giurisprudenza della CEDU, l'equa riparazione 
pu� essere determinata in Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, ed al pagamento, pertanto, 
di Euro 3.830,00, oltre interessi legali dal decreto della Corte d'appello al saldo, deve 
essere condannato il Ministero della giustizia in favore della ricorrente; 
che le spese del giudizio di merito e del presente giudizio di Cassazione vengono poste a 
carico del soccombente Ministero della giustizia nella misura della met�, essendo la domanda 
accolta solo in parte, compensandosi per la restante parte. 
P.Q.M 
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo 
nel merito, condanna il Ministero della giustizia a corrispondere a M.C. la somma di 
Euro 3.830,00 oltre agli interessi legali dal decreto della Corte d'appello al saldo, ed oltre alla 
met� delle spese processuali, compensandole per la restante parte, spese che liquida, nella misura 
ridotta, in Euro 425,00 per il giudizio di merito (di cui Euro 150,00 per diritti ed Euro 
220,00 per onorari), ed in Euro 350,00 per il giudizio di legittimit� (di cui Euro 35,00 per 
esborsi), oltre a spese generali ed accessori di legge. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema 
di Cassazione, il 18 ottobre 2007.
168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Corte Costituzionale, sentenza 24 ottobre 2007, n. 348 - Ud. Pubb. 3 luglio 2007 - Pres. 
Bile, Red. Silvestri - Giudizi di legittimit� costituzionale dell'art. 5-bis del decreto-legge 11 
luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con 
modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, promossi con ordinanze del 29 maggio e 
del 19 ottobre 2006 (nn. 2 ordd.) dalla Corte di cassazione. Avv. Felice Cacace e Francesco 
Manzo per R.A., Nicol� Paoletti per A.C., Nicol� Paoletti e Alessandra Mari per M.T.G. e 
avv. Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
(Omissis) 
Considerato in diritto 
1. - Con tre distinte ordinanze la Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento 
della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 
359, per violazione dell'art. 111, primo e secondo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 
6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali 
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, cui � stata data esecuzione con la legge 4 agosto 
1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo 
e delle libert� fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale 
alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), ed all'art. 1 del primo 
Protocollo della Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, nonch� dell'art. 117, 
primo comma, Cost., in relazione ai citati artt. 6 CEDU e 1 del primo Protocollo. 
La norma � oggetto di censura nella parte in cui, ai fini della determinazione dell'indennit� di 
espropriazione dei suoli edificabili, prevede il criterio di calcolo fondato sulla media tra il valore 
dei beni e il reddito dominicale rivalutato, disponendone altres� l'applicazione ai giudizi 
in corso alla data dell'entrata in vigore della legge n. 359 del 1992. 
2. - I giudizi, per l'identit� dell'oggetto e dei parametri costituzionali evocati, possono essere 
riuniti e decisi con la medesima sentenza. 
3. - Preliminarmente, occorre valutare la ricostruzione, prospettata dalla parte privata A.C., 
dei rapporti tra sistema CEDU, obblighi derivanti dalle asserite violazioni strutturali accertate 
con sentenze definitive della Corte europea e giudici nazionali. 
3.1. - Secondo la suddetta parte privata, il contrasto, ove accertato, tra norme interne e sistema 
CEDU dovrebbe essere risolto con la disapplicazione delle prime da parte del giudice comune. 
Viene richiamato, in proposito, il Protocollo n. 11 della Convenzione EDU, reso esecutivo in 
Italia con la legge 28 agosto 1997, n. 296 (Ratifica ed esecuzione del protocollo n. 11 alla 
convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali, recante ristrutturazione 
del meccanismo di controllo stabilito dalla convenzione, fatto a Strasburgo l'11 maggio 
1994). L'art. 34 di tale Protocollo prevede la possibilit� di ricorsi individuali diretti alla 
Corte europea da parte dei cittadini degli Stati contraenti, mentre, con l'art. 46, gli stessi Stati 
si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie delle quali 
sono parti. 
(�) 
3.2. - La prospettata ricostruzione funge da premessa alla richiesta, avanzata dalla predetta 
parte privata, che la questione sia dichiarata inammissibile, posto che i giudici comuni avrebbero 
il dovere di disapplicare le norme interne che la Corte europea abbia ritenuto essere causa 
di violazione strutturale della Convenzione. 
3.3. - L'eccezione di inammissibilit� non pu� essere accolta.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 169 
Questa Corte ha chiarito come le norme comunitarie �debbano avere piena efficacia obbligatoria 
e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessit� di leggi di ricezione e 
adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunit�, s� da entrare 
ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale ed uniforme 
nei confronti di tutti i destinatari� (sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984). Il fondamento 
costituzionale di tale efficacia diretta � stato individuato nell'art. 11 Cost., nella parte in cui 
consente le limitazioni della sovranit� nazionale necessarie per promuovere e favorire le organizzazioni 
internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni. 
Il riferito indirizzo giurisprudenziale non riguarda le norme CEDU, giacch� questa Corte 
aveva escluso, gi� prima di sancire la diretta applicabilit� delle norme comunitarie nell'ordinamento 
interno, che potesse venire in considerazione, a proposito delle prime, l'art. 11 Cost. 
�non essendo individuabile, con riferimento alle specifiche norme pattizie in esame, alcuna 
limitazione della sovranit� nazionale� (sentenza n. 188 del 1980). La distinzione tra le norme 
CEDU e le norme comunitarie deve essere ribadita nel presente procedimento nei termini stabiliti 
dalla pregressa giurisprudenza di questa Corte, nel senso che le prime, pur rivestendo 
grande rilevanza, in quanto tutelano e valorizzano i diritti e le libert� fondamentali delle persone, 
sono pur sempre norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato, ma non producono 
effetti diretti nell'ordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali 
a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello stesso tempo 
le norme interne in eventuale contrasto. 
L'art. 117, primo comma, Cost., nel testo introdotto nel 2001 con la riforma del titolo V della 
parte seconda della Costituzione, ha confermato il precitato orientamento giurisprudenziale 
di questa Corte. La disposizione costituzionale ora richiamata distingue infatti, in modo significativo, 
i vincoli derivanti dall'�ordinamento comunitario� da quelli riconducibili agli 
�obblighi internazionali�. 
Si tratta di una differenza non soltanto terminologica, ma anche sostanziale. 
Con l'adesione ai Trattati comunitari, l'Italia � entrata a far parte di un "ordinamento" pi� 
ampio, di natura sopranazionale, cedendo parte della sua sovranit�, anche in riferimento al 
potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi, con il solo limite dell'intangibilit� 
dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. 
La Convenzione EDU, invece, non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce 
quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti. Essa � configurabile come 
un trattato internazionale multilaterale - pur con le caratteristiche peculiari che saranno esaminate 
pi� avanti - da cui derivano "obblighi" per gli Stati contraenti, ma non l'incorporazione 
dell'ordinamento giuridico italiano in un sistema pi� vasto, dai cui organi deliberativi possano 
promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorit� interne degli Stati membri. 
Correttamente il giudice a quo ha escluso di poter risolvere il dedotto contrasto della norma 
censurata con una norma CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo, procedendo egli 
stesso a disapplicare la norma interna asseritamente non compatibile con la seconda. Le Risoluzioni 
e Raccomandazioni citate dalla parte interveniente si indirizzano agli Stati contraenti 
e non possono n� vincolare questa Corte, n� dare fondamento alla tesi della diretta applicabilit� 
delle norme CEDU ai rapporti giuridici interni. 
3.4. - Si condivide anche l'esclusione - argomentata nelle ordinanze di rimessione - delle 
norme CEDU, in quanto norme pattizie, dall'ambito di operativit� dell'art. 10, primo comma, 
Cost., in conformit� alla costante giurisprudenza di questa Corte sul punto. La citata disposizione 
costituzionale, con l'espressione �norme del diritto internazionale generalmente rico-
170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
nosciute�, si riferisce soltanto alle norme consuetudinarie e dispone l'adattamento automatico, 
rispetto alle stesse, dell'ordinamento giuridico italiano. Le norme pattizie, ancorch� generali, 
contenute in trattati internazionali bilaterali o multilaterali, esulano pertanto dalla portata normativa 
del suddetto art. 10. Di questa categoria fa parte la CEDU, con la conseguente �impossibilit� 
di assumere le relative norme quali parametri del giudizio di legittimit� 
costituzionale, di per s� sole (sentenza n. 188 del 1980), ovvero come norme interposte ex 
art. 10 della Costituzione� (ordinanza n. 143 del 1993; conformi, ex plurimis, sentenze n. 153 
del 1987, n. 168 del 1994, n. 288 del 1997, n. 32 del 1999, ed ordinanza n. 464 del 2005). 
4. - La questione di legittimit� costituzionale dell'art. 5-bis del decreto-legge n. 333 del 1992, 
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, sollevata in riferimento all'art. 117, 
primo comma, Cost., � fondata. 
4.1. - La questione, cos� come proposta dal giudice rimettente, si incentra sul presunto contrasto 
tra la norma censurata e l'art. 1 del primo Protocollo della CEDU, quale interpretato 
dalla Corte europea per i diritti dell'uomo, in quanto i criteri di calcolo per determinare l'indennizzo 
dovuto ai proprietari di aree edificabili espropriate per motivi di pubblico interesse 
condurrebbero alla corresponsione di somme non congruamente proporzionate al valore dei 
beni oggetto di ablazione. 
Il parametro evocato negli atti introduttivi del presente giudizio � l'art. 117, primo comma, 
Cost., nel testo introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo 
V della parte seconda della Costituzione). Il giudice rimettente ricorda infatti che la stessa 
norma ora censurata � gi� stata oggetto di scrutinio di costituzionalit� da parte di questa Corte, 
che ha rigettato la questione di legittimit� costituzionale, allora proposta in relazione agli artt. 
3, 24, 42, 53, 71, 72, 113 e 117 Cost. (sentenza n. 283 del 1993). La sentenza citata � stata 
successivamente confermata da altre pronunce di questa Corte del medesimo tenore. Il rimettente 
non chiede oggi alla Corte costituzionale di modificare la propria consolidata giurisprudenza 
nella materia de qua, ma mette in rilievo che il testo riformato dell'art. 117, primo 
comma, Cost., renderebbe necessaria una nuova valutazione della norma censurata in relazione 
a questo parametro, non esistente nel periodo in cui la pregressa giurisprudenza costituzionale 
si � formata. 
4.2. - Impostata in tal modo la questione da parte del rimettente, � in primo luogo necessario 
riconsiderare la posizione e il ruolo delle norme della CEDU, allo scopo di verificare, alla 
luce della nuova disposizione costituzionale, la loro incidenza sull'ordinamento giuridico italiano. 
L'art. 117, primo comma, Cost. condiziona l'esercizio della potest� legislativa dello Stato e 
delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali indubbiamente rientrano 
quelli derivanti dalla Convenzione europea per i diritti dell'uomo. Prima della sua introduzione, 
l'inserimento delle norme internazionali pattizie nel sistema delle fonti del diritto italiano 
era tradizionalmente affidato, dalla dottrina prevalente e dalla stessa Corte costituzionale, 
alla legge di adattamento, avente normalmente rango di legge ordinaria e quindi potenzialmente 
modificabile da altre leggi ordinarie successive. Da tale collocazione derivava, come 
naturale corollario, che le stesse norme non potevano essere assunte quali parametri del giudizio 
di legittimit� costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 188 del 1980, n. 315 del 1990, n. 
388 del 1999). 
4.3. - Rimanevano notevoli margini di incertezza, dovuti alla difficile individuazione del rango 
delle norme CEDU, che da una parte si muovevano nell'ambito della tutela dei diritti fondamentali 
delle persone, e quindi integravano l'attuazione di valori e principi fondamentali pro-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 171 
tetti dalla stessa Costituzione italiana, ma dall'altra mantenevano la veste formale di semplici 
fonti di grado primario. Anche a voler escludere che il legislatore potesse modificarle o abrogarle 
a piacimento, in quanto fonti atipiche (secondo quanto affermato nella sentenza n. 10 
del 1993 di questa Corte, non seguita tuttavia da altre pronunce dello stesso tenore), restava 
il problema degli effetti giuridici di una possibile disparit� di contenuto tra le stesse ed una 
norma legislativa posteriore. 
Tale situazione di incertezza ha spinto alcuni giudici comuni a disapplicare direttamente le 
norme legislative in contrasto con quelle CEDU, quali interpretate dalla Corte di Strasburgo. 
S'� fatta strada in talune pronunce dei giudici di merito, ma anche in parte della giurisprudenza 
di legittimit� (Cass., sez. I, sentenza n. 6672 del 1998; Cass., sezioni unite, sentenza n. 28507 
del 2005), l'idea che la specifica antinomia possa essere eliminata con i normali criteri di composizione 
in sistema delle fonti del diritto. In altre parole, si � creduto di poter trarre da un asserito 
carattere sovraordinato della fonte CEDU la conseguenza che la norma interna 
successiva, modificativa o abrogativa di una norma prodotta da tale fonte, fosse inefficace, 
per la maggior forza passiva della stessa fonte CEDU, e che tale inefficacia potesse essere la 
base giustificativa della sua non applicazione da parte del giudice comune. 
Oggi questa Corte � chiamata a fare chiarezza su tale problematica normativa e istituzionale, 
avente rilevanti risvolti pratici nella prassi quotidiana degli operatori del diritto. Oltre alle 
considerazioni che sono state svolte nel paragrafo 3.3 (per pi� ampi svolgimenti si rinvia alla 
sentenza n. 349 del 2007), si deve aggiungere che il nuovo testo dell'art. 117, primo comma, 
Cost, se da una parte rende inconfutabile la maggior forza di resistenza delle norme CEDU 
rispetto a leggi ordinarie successive, dall'altra attrae le stesse nella sfera di competenza di 
questa Corte, poich� gli eventuali contrasti non generano problemi di successione delle leggi 
nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma 
questioni di legittimit� costituzionale. Il giudice comune non ha, dunque, il potere di disapplicare 
la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma CEDU, poich� l'asserita 
incompatibilit� tra le due si presenta come una questione di legittimit� costituzionale, 
per eventuale violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., di esclusiva competenza del giudice 
delle leggi. 
Ogni argomentazione atta ad introdurre nella pratica, anche in modo indiretto, una sorta di 
"adattamento automatico", sul modello dell'art. 10, primo comma, Cost., si pone comunque 
in contrasto con il sistema delineato dalla Costituzione italiana - di cui s'� detto al paragrafo 
3.4 - e pi� volte ribadito da questa Corte, secondo cui l'effetto previsto nella citata norma costituzionale 
non riguarda le norme pattizie (ex plurimis, sentenze n. 32 del 1960, n. 323 del 
1989, n. 15 del 1996). 
4.4. - Escluso che l'art. 117, primo comma, Cost., nel nuovo testo, possa essere ritenuto una 
mera riproduzione in altra forma di norme costituzionali preesistenti (in particolare gli artt. 
10 e 11), si deve pure escludere che lo stesso sia da considerarsi operante soltanto nell'ambito 
dei rapporti tra lo Stato e le Regioni. L'utilizzazione del criterio interpretativo sistematico, 
isolato dagli altri e soprattutto in contrasto con lo stesso enunciato normativo, non � sufficiente 
a circoscrivere l'effetto condizionante degli obblighi internazionali, rispetto alla legislazione 
statale, soltanto al sistema dei rapporti con la potest� legislativa regionale. Il dovere di rispettare 
gli obblighi internazionali incide globalmente e univocamente sul contenuto della legge 
statale; la validit� di quest'ultima non pu� mutare a seconda che la si consideri ai fini della 
delimitazione delle sfere di competenza legislativa di Stato e Regioni o che invece la si prenda 
in esame nella sua potenzialit� normativa generale. La legge - e le norme in essa contenute -
172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
� sempre la stessa e deve ricevere un'interpretazione uniforme, nei limiti in cui gli strumenti 
istituzionali predisposti per l'applicazione del diritto consentono di raggiungere tale obiettivo. 
Del resto, anche se si restringesse la portata normativa dell'art. 117, primo comma, Cost. esclusivamente 
all'interno del sistema dei rapporti tra potest� legislativa statale e regionale configurato 
dal titolo V della parte seconda della Costituzione, non si potrebbe negare che esso 
vale comunque a vincolare la potest� legislativa dello Stato sia nelle materie indicate dal secondo 
comma del medesimo articolo, di competenza esclusiva statale, sia in quelle indicate 
dal terzo comma, di competenza concorrente. Poich�, dopo la riforma del titolo V, lo Stato 
possiede competenza legislativa esclusiva o concorrente soltanto nelle materie elencate dal 
secondo e dal terzo comma, rimanendo ricomprese tutte le altre nella competenza residuale 
delle Regioni, l'operativit� del primo comma dell'art. 117, anche se considerata solo all'interno 
del titolo V, si estenderebbe ad ogni tipo di potest� legislativa, statale o regionale che sia, indipendentemente 
dalla sua collocazione. 
4.5. - La struttura della norma costituzionale, rispetto alla quale � stata sollevata la presente 
questione, si presenta simile a quella di altre norme costituzionali, che sviluppano la loro concreta 
operativit� solo se poste in stretto collegamento con altre norme, di rango sub-costituzionale, 
destinate a dare contenuti ad un parametro che si limita ad enunciare in via generale 
una qualit� che le leggi in esso richiamate devono possedere. Le norme necessarie a tale scopo 
sono di rango subordinato alla Costituzione, ma intermedio tra questa e la legge ordinaria. A 
prescindere dall'utilizzazione, per indicare tale tipo di norme, dell'espressione "fonti interposte", 
ricorrente in dottrina ed in una nutrita serie di pronunce di questa Corte (ex plurimis, 
sentenze n. 101 del 1989, n. 85 del 1990, n. 4 del 2000, n. 533 del 2002, n. 108 del 2005, n. 
12 del 2006, n. 269 del 2007), ma di cui viene talvolta contestata l'idoneit� a designare una 
categoria unitaria, si deve riconoscere che il parametro costituito dall'art. 117, primo comma, 
Cost. diventa concretamente operativo solo se vengono determinati quali siano gli "obblighi 
internazionali" che vincolano la potest� legislativa dello Stato e delle Regioni. Nel caso specifico 
sottoposto alla valutazione di questa Corte, il parametro viene integrato e reso operativo 
dalle norme della CEDU, la cui funzione � quindi di concretizzare nella fattispecie la consistenza 
degli obblighi internazionali dello Stato. 
4.6. - La CEDU presenta, rispetto agli altri trattati internazionali, la caratteristica peculiare di 
aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte europea per i diritti dell'uomo, 
cui � affidata la funzione di interpretare le norme della Convenzione stessa. Difatti 
l'art. 32, paragrafo 1, stabilisce: �La competenza della Corte si estende a tutte le questioni 
concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano 
sottoposte ad essa alle condizioni previste negli articoli 33, 34 e 47�. 
Poich� le norme giuridiche vivono nell'interpretazione che ne danno gli operatori del diritto, 
i giudici in primo luogo, la naturale conseguenza che deriva dall'art. 32, paragrafo 1, della 
Convenzione � che tra gli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la sottoscrizione e la 
ratifica della CEDU vi � quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, 
nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione 
ed applicazione. Non si pu� parlare quindi di una competenza giurisdizionale che si sovrappone 
a quella degli organi giudiziari dello Stato italiano, ma di una funzione interpretativa 
eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea, contribuendo con ci� 
a precisare i loro obblighi internazionali nella specifica materia. 
4.7. - Quanto detto sinora non significa che le norme della CEDU, quali interpretate dalla 
Corte di Strasburgo, acquistano la forza delle norme costituzionali e sono perci� immuni dal
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 173 
controllo di legittimit� costituzionale di questa Corte. Proprio perch� si tratta di norme che 
integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello sub-costituzionale, 
� necessario che esse siano conformi a Costituzione. La particolare natura delle stesse 
norme, diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie, fa s� che lo scrutinio di 
costituzionalit� non possa limitarsi alla possibile lesione dei principi e dei diritti fondamentali 
(ex plurimis, sentenze n. 183 del 1973, n. 170 del 1984, n. 168 del 1991, n. 73 del 2001, n. 
454 del 2006) o dei principi supremi (ex plurimis, sentenze n. 30 e n. 31 del 1971, n. 12 e n. 
195 del 1972, n. 175 del 1973, n. 1 del 1977, n. 16 del 1978, n. 16 e n. 18 del 1982, n. 203 del 
1989), ma debba estendersi ad ogni profilo di contrasto tra le "norme interposte" e quelle costituzionali. 
L'esigenza che le norme che integrano il parametro di costituzionalit� siano esse stesse conformi 
alla Costituzione � assoluta e inderogabile, per evitare il paradosso che una norma legislativa 
venga dichiarata incostituzionale in base ad un'altra norma sub-costituzionale, a sua 
volta in contrasto con la Costituzione. In occasione di ogni questione nascente da pretesi contrasti 
tra norme interposte e norme legislative interne, occorre verificare congiuntamente la 
conformit� a Costituzione di entrambe e precisamente la compatibilit� della norma interposta 
con la Costituzione e la legittimit� della norma censurata rispetto alla stessa norma interposta. 
Nell'ipotesi di una norma interposta che risulti in contrasto con una norma costituzionale, questa 
Corte ha il dovere di dichiarare l'inidoneit� della stessa ad integrare il parametro, provvedendo, 
nei modi rituali, ad espungerla dall'ordinamento giuridico italiano. 
Poich�, come chiarito sopra, le norme della CEDU vivono nell'interpretazione che delle stesse 
viene data dalla Corte europea, la verifica di compatibilit� costituzionale deve riguardare la 
norma come prodotto dell'interpretazione, non la disposizione in s� e per s� considerata. Si 
deve peraltro escludere che le pronunce della Corte di Strasburgo siano incondizionatamente 
vincolanti ai fini del controllo di costituzionalit� delle leggi nazionali. Tale controllo deve 
sempre ispirarsi al ragionevole bilanciamento tra il vincolo derivante dagli obblighi internazionali, 
quale imposto dall'art. 117, primo comma, Cost., e la tutela degli interessi costituzionalmente 
protetti contenuta in altri articoli della Costituzione. 
In sintesi, la completa operativit� delle norme interposte deve superare il vaglio della loro 
compatibilit� con l'ordinamento costituzionale italiano, che non pu� essere modificato da fonti 
esterne, specie se queste non derivano da organizzazioni internazionali rispetto alle quali siano 
state accettate limitazioni di sovranit� come quelle previste dall'art. 11 della Costituzione. 
(�) 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
riuniti i giudizi, 
dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 5-bis, commi 1 e 2, del decreto-legge 11 luglio 
1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, 
dalla legge 8 agosto 1992, n. 359; 
dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimit� costituzionale, in 
via consequenziale, dell'art. 37, commi 1 e 2, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico 
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilit�). 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 
2007.
174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
In materia di elezioni comunali e provinciali 
(Corte costituzionale, sentenza 7 luglio 2010 n. 236; Corte costituzionale, sentenza 15 
luglio 2010 n. 257; Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10 settembre 2010 n. 6526) 
Si segnalano due recentissime pronunce della Consulta in materia elettorale. 
Con la prima (n. 236/10) � stata dichiarata l�illegittimit� costituzionale 
dell�art. 83-undecies del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 
1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi 
delle Amministrazioni comunali), introdotto dall�art. 2 della legge 23 dicembre 
1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale 
amministrativo), nella parte in cui esclude la possibilit� di un�autonoma impugnativa 
degli atti del procedimento preparatorio alle elezioni, ancorch� immediatamente 
lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti. Al proposito, 
deve evidenziarsi che il legislatore, con la disposizione dell�art. 44 della legge 
n. 69 del 2009, ha delegato il Governo ad adottare norme che consentano l�autonoma 
impugnabilit� degli atti cosiddetti endoprocedimentali immediatamente 
lesivi di situazioni giuridiche soggettive. Il Codice del Processo amministrativo, 
all�art. 129 prevede, al comma 1, che �I provvedimenti relativi al procedimento 
preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali concernenti 
l'esclusione di liste o candidati possono essere immediatamente impugnati, 
esclusivamente da parte dei delegati delle liste e dei gruppi di candidati 
esclusi, innanzi al tribunale amministrativo regionale competente, nel termine 
di tre giorni dalla pubblicazione, anche mediante affissione, ovvero dalla 
comunicazione, se prevista, degli atti impugnati�. 
Il che significa che l�impugnazione immediata degli atti preparatori pu� essere 
proposta esclusivamente dai delegati delle liste escluse e dai candidati 
esclusi, mentre la mancata esclusione potr� essere impugnata dai contro interessati 
solo unitamente all�atto di proclamazione degli eletti. 
Con la sentenza n. 257/10, la Consulta ha dichiarato inammissibile la questione 
di legittimit� costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente 
della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione 
e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), sollevata, 
in riferimento agli articoli 3, 48, secondo comma, 51, primo comma, e 97 della 
Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria. 
Al proposito, la Corte, accogliendo la nostra eccezione, ha evidenziato 
come il remittente abbia inammissibilmente prospettato �la necessit� di un intervento 
manipolativo che esorbita dai poteri di questa Corte, risolvendosi in 
un ampliamento dei compiti della Commissione elettorale circondariale che 
solo il legislatore pu� prevedere. Il remittente chiede, in definitiva, una pronuncia 
a contenuto non costituzionalmente obbligato, proponendo un petitum additivo 
a carattere creativo rientrante soltanto nella discrezionalit� del legislatore
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 175 
(ex plurimis: sentenza n. 138 del 2010; ordinanze n. 243 del 2009, n. 316 del 
2008, n. 185 del 2007)�. 
Si segnala, altres�, la recentissima sentenza del Consiglio di Stato (Sez. V, 
10 settembre 2010, n. 6526) con la quale i giudici di palazzo Spada hanno ribadito 
che nei giudizi elettorali, aventi ad oggetto i risultati delle elezioni amministrative 
(ivi compresi quelli con i quali si chiede il risarcimento del danno per 
gli errori commessi dagli uffici elettorali), � parte necessaria solo l�ente locale 
cui si riferiscono le elezioni e non anche gli uffici elettorali che, quali organi 
straordinari del Ministero dell�Interno, cessano di funzionare e si sciolgono a 
seguito della proclamazione degli eletti; un orientamento giurisprudenziale, quest'ultimo, 
che � stato, per cos� dire, ratificato normativamente, dall'art. 130 del 
nuovo Codice del Processo amministrativo il quale prevede che il ricorso elettorale 
deve essere notificato esclusivamente all'ente locale della cui elezione si 
tratta. 
M.B. 
Corte costituzionale, sentenza 7 luglio 2010, n. 236 - Ud. pubb. 8 giugno 2010 - Pres. Amirante, 
Red. Cassese - Giudizio di legittimit� costituzionale dell�art. 83-undecies del decreto 
del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione 
e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto dall�art. 2 
della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale 
amministrativo), promosso dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria. Avv. Piergiorgio 
Alberti per L.B. ed altri e avv. Stato Claudio Linda per il Presidente del Consiglio dei 
ministri. 
(Omissis) 
Ritenuto in fatto 
1. � Il Tribunale amministrativo regionale della Liguria, sezione seconda, con ordinanza del 
28 maggio 2009, notificata il 12 giugno 2009, ha sollevato questione di legittimit� costituzionale, 
in riferimento agli artt. 3, 24, 48, 49, 51, 97 e 113 della Costituzione, dell�art. 83-undecies 
del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle 
leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto 
dall�art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso 
elettorale amministrativo), nella parte in cui esclude la possibilit� di un�autonoma 
impugnativa degli atti endoprocedimentali del procedimento elettorale, ancorch� immediatamente 
lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti. 
1.1. � Il Tribunale rimettente riferisce che i ricorrenti nel giudizio principale hanno impugnato 
� in qualit� di elettori, delegati alla presentazione di lista e candidati per la carica di Consigliere 
provinciale di Savona per la lista n. 12 denominata �Il Popolo della Libert� � Berlusconi per 
Vaccarezza� � i provvedimenti con cui � stata ricusata la lista stessa dalla competizione elettorale. 
In particolare, i ricorrenti hanno chiesto l�annullamento degli atti impugnati con concessione 
di adeguate misure cautelari provvisorie, atte a salvaguardare i loro diritti elettorali 
nelle more della decisione nel merito. 
176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Nel giudizio a quo, riporta il giudice rimettente, si � costituita l�Avvocatura distrettuale dello 
Stato di Genova, la quale ha eccepito l�inammissibilit� del ricorso. 
1.2. � Il Tribunale rimettente rileva che, successivamente alla decisione dell�Adunanza plenaria 
del Consiglio di Stato del 24 novembre 2005, n. 10, la giurisprudenza ha costantemente escluso 
la possibilit� di un�autonoma impugnativa degli atti endoprocedimentali del procedimento elettorale, 
anteriormente alla proclamazione degli eletti, talch� questa interpretazione dell�art. 83- 
undecies del d.P.R. n. 570 del 1960 costituirebbe ormai una �regola di diritto vivente�. 
2. � La rilevanza della questione, sostiene il giudice a quo, sarebbe evidente, dato che il ricorso 
ha per oggetto gli atti di ricusazione di una lista da una competizione elettorale che non si � 
ancora svolta. Il Tribunale rimettente osserva che l�applicazione della norma della cui legittimit� 
costituzionale si dubita costringerebbe il giudice �a dichiarare l�inammissibilit� del gravame e 
della accessiva istanza cautelare, precludendo definitivamente ai ricorrenti la partecipazione 
alla attuale competizione elettorale con conseguente compressione dei diritti elettorali costituzionalmente 
garantiti�. 
Il Tribunale rimettente, inoltre, rileva che il ricorso, al primo esame consentito nella sede cautelare, 
evidenzia la sussistenza del requisito del fumus boni iuris, il che induce ad una prognosi 
favorevole sull�esito del gravame, corroborando ulteriormente la rilevanza della questione. 
L�applicazione della norma censurata, infatti, osserva il giudice a quo, condurrebbe a negare 
la tutela cautelare, dichiarando l�inammissibilit� del ricorso in relazione ad una pretesa, prima 
facie, fondata. Per queste ragioni, il Tribunale rimettente, con l�ordinanza in epigrafe, da un 
lato, ha sospeso il giudizio e disposto l�immediata trasmissione degli atti a questa Corte, e, dall�altro, 
ha accolto la domanda incidentale di sospensione del provvedimento di esclusione della 
lista �ad tempus, fino alla restituzione degli atti del giudizio da parte della Corte costituzionale�. 
3. � In punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente ritiene che l�art. 83-undecies 
del d.P.R. n. 570 del 1960, limitando la proponibilit� del giudizio contro l�atto di esclusione o 
di ammissione di una lista o di un candidato alle elezioni, v�oli gli artt. 3, 24, 48, 49, 51, 97 e 
113 Cost. 
3.1. � Ad avviso del Tribunale rimettente, gli artt. 24 e 113 Cost. sarebbero violati, in primo 
luogo, in quanto la norma, unico caso nell�ordinamento di preclusione processuale all�esercizio 
dell�azione in presenza di fatto o evento lesivo, costituirebbe una �limitazione del diritto di difesa 
a particolari mezzi di impugnazione (e cio� soltanto alla tutela di merito, con esclusione 
della tutela cautelare) ed a particolari categorie di atti (e cio� soltanto quelli conclusivi del procedimento), 
con esclusione di quelli endoprocedimentali immediatamente lesivi, posti in essere 
prima della proclamazione degli eletti nell�ambito del procedimento elettorale�. In secondo 
luogo, la norma non consentirebbe la tutela cautelare nel giudizio elettorale, impedendo l�esperibilit� 
di uno strumento di tutela, componente essenziale del diritto di difesa, senza che sussistano 
motivate ed effettive ragioni di tutela di interessi pubblici prevalenti su quest�ultimo 
diritto, costituzionalmente garantito. 
3.2. � Gli artt. 48, 49 e 51 Cost. sarebbero violati, ad avviso del giudice a quo, con riguardo al 
diritto di elettorato passivo e attivo e al �diritto, connesso, di partecipare alla formazione della 
volont� politica dei corpi amministrativi locali�. In questo caso, la norma, innanzitutto, limiterebbe 
il risarcimento in forma specifica (costituito dalla partecipazione al procedimento elettorale) 
di colui o coloro i quali sono stati lesi dal provvedimento illegittimo dell�autorit� al solo 
rinnovo delle operazioni elettorali, non consentendo la immediata riammissione dell�escluso o 
la immediata esclusione dell�ammesso dal procedimento elettorale. Inoltre, la reiterazione delle 
elezioni, da un lato, sarebbe �sicuramente un impegno ed un onere rilevante che gi� di per s�
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 177 
incide, limitandolo senza ragione, sul diritto di elettorato passivo� e, dall�altro, determinerebbe 
una violazione del diritto di elettorato attivo a causa dell�impatto negativo in termini di sfiducia 
da parte degli elettori nei confronti del sistema elettorale, concorrendo a scoraggiare l�affluenza 
alle urne e la partecipazione al voto. Infine, sotto il profilo dell�eguaglianza sostanziale di cui 
all�art. 3 Cost., del principio di pari opportunit� nell�accesso alle cariche elettive e nell�esercizio 
del diritto di elettorato passivo, la norma viene censurata in quanto �nelle more del giudizio, 
chi ha ottenuto la vittoria nelle elezioni invalide continua a conservare l�amministrazione locale 
per un determinato periodo di tempo (il tempo necessario a concludere il processo), il che non 
� ovviamente senza effetto sul consolidamento di posizioni di vantaggio politico ottenute a 
danno di chi da quelle elezioni � stato illegittimamente escluso o, di chi, in esse, si � dovuto 
confrontare � subendoli � con candidati o formazioni che non avrebbero dovuto esservi ammessi
�. 
3.3. � Il giudice rimettente lamenta, inoltre, la lesione degli artt. 3 e 97 Cost. L�art. 3 Cost. 
viene invocato per irrazionalit� della norma, disparit� di trattamento processuale e disparit� di 
trattamento sostanziale tra i candidati alle elezioni locali. Ci� in quanto, in casi che, rispetto 
alla materia elettorale, sarebbero di altrettanta gravit� ed importanza per l�interesse pubblico 
ad esse connesso, verso �gli atti endoprocedimentali immediatamente lesivi � oggi possibile 
una intensa e celere tutela sia cautelare che di merito, ed addirittura la tutela ante causam con 
la possibilit� del ricorso al decreto monocratico� di cui all�art. 21 della legge 6 dicembre 1971, 
n. 1034 (Istituzione dei Tribunali amministrativi regionali). La norma, quindi, verrebbe a sacrificare 
i diritti effettivi di difesa non per assicurare la corretta consultazione elettorale e la 
correlativa volont� del corpo elettorale, ma solo per garantire la cadenza dei tempi procedurali 
e quindi, in definitiva, per tutelare il lavoro e l�attivit� degli organi preposti al governo del procedimento 
elettorale medesimo. 
Con riguardo all�art. 97 Cost, in primo luogo, la norma determinerebbe un �deficit di tutela 
cautelare� che �impedisce alle parti di ottenere l�azione correttiva del giudice quando ancora 
� possibile intervenire per ripristinare la legittimit� dell�azione amministrativa, a maggiore garanzia 
della stabilit� del risultato elettorale e degli organi eletti in carica�. In secondo luogo, 
�il differire l�impugnazione degli atti endoprocedimentali all�esito della competizione elettorale 
finisce con il fare gravare con assoluta sicurezza il rischio della invalidit� dell�intero procedimento 
e della invalidit� dell�insediamento dei nuovi organi rappresentativi, con necessit� di 
ricorrere a gestioni commissariali che interrompono il naturale andamento del governo dell�ente 
locale�. 
4. � Con atto depositato il 6 ottobre 2009, si sono costituti in giudizio i ricorrenti nel giudizio 
principale, chiedendo che sia dichiarata l�illegittimit� costituzionale della norma censurata. La 
memoria di costituzione riporta, innanzitutto, che, a seguito della ordinanza del giudice rimettente, 
la lista elettorale n. 12 denominata �Il Popolo della Libert� � Berlusconi per Vaccarezza� 
� stata riammessa alle elezioni provinciali di Savona del 6 e 7 giugno 2009. All�esito di esse, 
e del successivo ballottaggio, il Presidente dell�Ufficio elettorale centrale ha proclamato eletto 
alla carica di Presidente della Provincia di Savona il sig. Angelo Vaccarezza ed eletti alla carica 
di consiglieri provinciali dieci candidati della lista n. 12, tra i quali uno dei tre ricorrenti. L�avvenuto 
svolgimento della competizione elettorale, ad avviso dei ricorrenti, �non riverbera sulla 
fondatezza della questione�, in quanto il giudice a quo deve ancora pronunciarsi sul merito del 
ricorso. 
I ricorrenti, inoltre, rilevano che la norma censurata non affermerebbe in maniera inequivoca 
l�inammissibilit� o l�improcedibilit� � n� vieterebbe espressamente la proposizione � del ricorso
178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
nei confronti degli atti del procedimento elettorale immediatamente lesivi. I ricorrenti aggiungono 
che la formula �operazioni per elezioni dei consiglieri comunali� dovrebbe essere riferita 
alle operazioni elettorali in senso stretto, quali, ad esempio, lo scrutinio delle schede, il conteggio 
dei voti, il riparto dei seggi, e non dunque ai provvedimenti di ammissione o di esclusione 
delle liste elettorali. Infine, viene ribadito che la norma censurata, cos� come interpretata 
dalla giurisprudenza amministrativa e in particolare dall�Adunanza plenaria del Consiglio di 
Stato nella decisione n. 10 del 2005, produrrebbe l�effetto di comprimere il diritto � anch�esso 
costituzionalmente garantito � ad ottenere un�adeguata e tempestiva tutela cautelare. 
5. � � intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso 
dall�Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimit� costituzionale 
sia dichiarata inammissibile o, in subordine, manifestamente infondata. 
La difesa dello Stato rileva, in primo luogo, che il giudice a quo, in sede cautelare, ha ammesso 
la lista in questione, disapplicando la norma censurata. La partecipazione alla competizione 
elettorale avrebbe cos� determinato il conseguimento dello scopo che i ricorrenti avevano perseguito, 
impugnando il provvedimento di esclusione, e avrebbe ormai esaurito i suoi effetti 
in modo irreversibile. Inoltre, essendosi svolte le elezioni e non essendo stata impugnata la 
pronuncia cautelare, n� risultando proposte altre impugnative avverso la proclamazione degli 
eletti volte a contestare l�irregolarit� della competizione a causa della partecipazione della 
lista ammessa in sede cautelare, la eventuale dichiarazione di inammissibilit� dei ricorsi nel 
merito non potrebbe determinare n� l�operativit� del provvedimento di esclusione, n� la ripetizione 
della consultazione elettorale senza la partecipazione della lista. Di conseguenza, ad 
avviso della Avvocatura generale dello Stato, la questione sarebbe priva del requisito della rilevanza, 
come del resto si sarebbe verificato in ipotesi analoga decisa da questa Corte con 
l�ordinanza n. 90 del 2009. 
Nel merito, la difesa dello Stato sostiene la non fondatezza della questione. Il principio secondo 
cui l�impugnazione di operazioni elettorali � ammissibile solo dopo la proclamazione 
degli eletti, operante anche in materia di elezioni del Parlamento nazionale, dei membri del 
Parlamento europeo e dei Consigli regionali, troverebbe fondamento nelle esigenze di speditezza 
del procedimento elettorale sancite dall�art. 61 Cost. L�impugnazione dell�atto finale, 
inoltre, tutelerebbe pienamente le posizione dei soggetti che dovessero ritenersi lesi da atti 
intermedi del procedimento. Ne discende, pertanto, la legittimit� costituzionale della disposizione, 
come interpretata dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 
10 del 2005, posto che �la scelta effettuata dal legislatore di concentrare tutte le impugnative 
in una fase successiva allo svolgimento delle elezioni risponde anche all�esigenza di evitare 
la proposizione di eventuali impugnative meramente strumentali e propagandistiche, senza 
per questo incidere negativamente sui menzionati diritti costituzionali�. 
6. � In data 18 maggio 2010, i ricorrenti nel giudizio a quo hanno depositato una memoria illustrativa, 
con la quale sono ribadite sia la rilevanza che la fondatezza della questione. 
6.1. � Quanto alla rilevanza, si assume che debba essere respinta l�eccezione di inammissibilit� 
sollevata dalla Avvocatura generale dello Stato, dal momento che il giudice a quo deve ancora 
pronunciarsi sul merito del ricorso. I ricorrenti, inoltre, riportano che il verbale di proclamazione 
degli eletti � stato impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Liguria 
da alcuni cittadini i quali hanno, tra l�altro, contestato la partecipazione alla tornata elettorale 
della lista n. 12 �Il Popolo della Libert� � Berlusconi per Vaccarezza�. Con sentenza 21 gennaio 
2010, n. 165, il Tar Liguria, sezione seconda, ha dichiarato inammissibile l�impugnativa, 
non avendo i ricorrenti instaurato correttamente il contraddittorio. Tale pronuncia, si legge
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 179 
nella memoria, non risulta essere ancora passata in giudicato. Ne deriva, pertanto, che �la decisione 
dell�incidente di costituzionalit� � � e rimane � rilevante ai fini della definizione del 
giudizio a quo�. 
6.2. � Con riguardo alla fondatezza, i ricorrenti contestano la posizione espressa dalla Avvocatura 
generale dello Stato, in base alla quale la regola dell�impugnazione delle �operazioni 
elettorali� dopo la proclamazione degli eletti opererebbe anche per le elezioni del Parlamento 
nazionale, del Parlamento europeo e dei Consigli regionali. Queste disposizioni, infatti, si riferirebbero, 
ad avviso dei ricorrenti, all�impugnabilit� delle �operazioni elettorali�, che �costituiscono, 
concettualmente, qualcosa di diverso dai provvedimenti di esclusione delle liste 
dalla competizione elettorale, con la conseguenza che le relative discipline processuali non 
possono essere confuse o sovrapposte�. Ad avviso dei ricorrenti, inoltre, il differimento dell�impugnativa 
ad un momento successivo alla proclamazione degli eletti non sarebbe un mero 
spostamento temporale di quella stessa azione giurisdizionale che avrebbe potuto essere esercitata 
nell�immediatezza dell�atto lesivo, ma implicherebbe l�instaurazione di una controversia 
finalizzata ad ottenere un �bene della vita� (il rifacimento delle elezioni) distinto rispetto a 
quello (riammissione della lista alla competizione elettorale) che si sarebbe chiesto se si fosse 
potuto contestare l�esclusione. 
7. � In data 18 maggio 2010, il Presidente dal Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso 
dall�Avvocatura generale dello Stato, ha depositato una memoria illustrativa, con la quale si 
conferma la richiesta di una dichiarazione di inammissibilit� o, in subordine, di manifesta infondatezza 
della questione. La difesa dello Stato ribadisce che la norma censurata non escluderebbe 
n� limiterebbe l�area di esercizio del potere cautelare, ma fisserebbe �un criterio di 
accorpamento di tutte le impugnative riferibili allo stesso procedimento elettorale, ragionevolmente 
giustificato dall�intendimento del legislatore di consentire lo svolgimento della consultazione 
elettorale nel termine stabilito�. In generale, l�Avvocatura generale dello Stato 
contesta il complessivo impianto argomentativo dell�ordinanza di rimessione. Infatti, il legislatore, 
dopo aver tracciato una procedura improntata ai criteri di accentuate garanzie di imparzialit� 
e di obiettivit�, �avrebbe volutamente escluso la possibilit� di intervento e di 
coinvolgimento del potere giudiziario amministrativo, prima dell�atto finale delle elezioni, in 
questioni connotate da caratteri eminentemente politici�, perch� �un intervento anticipato 
degli organi giurisdizionali amministrativi potrebbe provocare artificiose iniziative finalizzate 
alla strumentalizzazione di eventuali provvedimenti cautelari favorevoli o, comunque, necessitati 
rinvii delle elezioni, per consentire un minimo di par condicio nella campagna elettorale 
delle liste eventualmente riammesse negli ultimi giorni prima delle votazioni�. La possibilit� 
dell�intervento del giudice amministrativo nella fase prodromica del procedimento elettorale 
� conclude la difesa dello Stato � rischierebbe di creare dubbi ed incertezze nel corpo elettorale, 
che costituisce �il primo organo costituzionale, in quanto titolare della sovranit� popolare
�, sicch� �anche per questa ragione, la scelta del legislatore, criticata dal giudice a quo, 
risulta invece pienamente giustificata, razionale e corretta sul piano costituzionale�. 
Considerato in diritto 
1. � Il Tribunale amministrativo regionale della Liguria, sezione seconda, con ordinanza del 
28 maggio 2009, notificata il 12 giugno 2009, ha sollevato questione di legittimit� costituzionale, 
in riferimento agli artt. 3, 24, 48, 49, 51, 97 e 113 della Costituzione, dell�art. 83-undecies 
del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle 
leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), intro-
180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
dotto dall�art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso 
elettorale amministrativo), nella parte in cui esclude la possibilit� di un�autonoma impugnativa 
degli atti endoprocedimentali del procedimento elettorale, ancorch� 
immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti. 
L�art. 83-undecies prevede, al comma primo, che �contro le operazioni per l�elezione dei consiglieri 
comunali, successive alla emanazione del decreto di convocazione dei comizi, qualsiasi 
cittadino elettore del Comune, o chiunque altro vi abbia diretto interesse, pu� proporre impugnativa 
davanti alla sezione per il contenzioso elettorale, con ricorso che deve essere depositato 
nella segreteria entro il termine di giorni trenta dalla proclamazione degli eletti�. 
Tale disposizione, secondo l�interpretazione assunta quale regola di �diritto vivente� dal giudice 
rimettente, escluderebbe l�autonoma impugnabilit� di atti del procedimento elettorale 
immediatamente lesivi, come l�esclusione di liste o di candidati, la cui legittimit� potrebbe 
cos� essere contestata solo in sede di impugnazione dell�atto conclusivo dell�intero procedimento, 
vale a dire la proclamazione degli eletti, cos� impedendo la tutela cautelare. 
2. � Preliminarmente vanno disattese le eccezioni di inammissibilit� sollevate dall�Avvocatura 
generale dello Stato. 
2.1. � In primo luogo, non pu� essere accolta l�eccezione in base alla quale, �essendosi svolte 
le elezioni e non essendo stata impugnata la pronuncia cautelare, n� risultando proposte altre 
impugnative avverso la proclamazione degli eletti volte a contestare l�irregolarit� della competizione 
a causa della partecipazione della lista ammessa in sede cautelare, la eventuale dichiarazione 
di inammissibilit� del ricorso nel merito non potrebbe determinare n� l�operativit� 
del provvedimento di esclusione, n� la ripetizione della consultazione elettorale senza la partecipazione 
della lista�. Il giudizio a quo, infatti, ha per oggetto gli atti di ricusazione di una 
lista da una competizione elettorale che, al momento in cui l�ordinanza di rimessione � stata 
emessa, non si era ancora svolta. Pertanto, l�avvenuto svolgimento della competizione elettorale, 
con la partecipazione della lista presentata dai ricorrenti, non ha effetti sulla rilevanza 
della questione, in quanto il giudice a quo � che ha sospeso il giudizio in sede cautelare � 
deve ancora pronunciarsi sul merito del ricorso. 
2.2. � In secondo luogo, non pu� ritenersi che il giudice a quo, ammettendo la lista dei ricorrenti, 
abbia esaurito il proprio potere cautelare, rendendo cos� inammissibile, per difetto di rilevanza, 
la questione sollevata. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, �la potestas 
iudicandi non pu� ritenersi esaurita quando la concessione della misura cautelare � fondata, 
quanto al fumus boni iuris, sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimit� costituzionale, 
dovendosi in tal caso la sospensione dell�efficacia del provvedimento impugnato 
ritenere di carattere provvisorio e temporaneo fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo 
l�incidente di legittimit� costituzionale� (ordinanza n. 25 del 2006). Nel caso in questione, il 
Tribunale rimettente ha concesso la misura cautelare nel presupposto della non manifesta infondatezza 
della questione sollevata e �ad tempus�, ossia �fino alla restituzione degli atti del 
giudizio da parte della Corte costituzionale�. Il giudice a quo, pertanto, non ha esaurito la 
propria potestas iudicandi. 
2.3. � La difesa dello Stato, inoltre, richiama l�ordinanza n. 90 del 2009, con cui questa Corte 
ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 
83-undecies del d.P.R. n. 570 del 1960, ritenendo che il giudice a quo non avesse dimostrato 
la rilevanza della questione, in considerazione della circostanza che i ricorrenti nel giudizio 
principale avevano ottenuto �la tutela cautelare contro i provvedimenti di esclusione, con conseguente 
partecipazione della lista esclusa alla consultazione elettorale�. In quella occasione,
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 181 
tuttavia, diversamente da quanto verificatosi nel presente giudizio, il Tribunale rimettente 
aveva sollevato la questione nella fase di merito e non in sede cautelare. 
Con l�ordinanza n. 90 del 2009, questa Corte ha rilevato anche che lo stesso giudice a quo 
aveva posto in dubbio l�esistenza di un diritto vivente che precludesse l�impugnabilit� immediata 
degli atti endoprocedimentali in materia elettorale, ancorch� lesivi di situazioni soggettive 
di privati. Ci� non si riscontra nell�ordinanza di rimessione relativa al presente giudizio, 
nella quale il Tribunale rimettente sostiene, in modo plausibile, che l�interpretazione fornita 
dall�Adunanza plenaria del Consiglio di Stato � regola di diritto vivente, e per questo solleva 
la questione di legittimit� costituzionale dinanzi a questa Corte. 
Anche in sede legislativa, del resto, successivamente all�ordinanza n. 90 del 2009, l�interpretazione 
della norma censurata fornita dalla decisione n. 10 del 2005 della Adunanza plenaria 
del Consiglio di Stato � stata intesa quale regola di �diritto vivente�, tanto che ne � stata proposta 
una modifica parziale: lo schema di Codice del processo amministrativo trasmesso alla 
Camera dei deputati il 30 aprile 2010, sulla base della delega legislativa di cui all�art. 44 della 
legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la 
competitiva nonch� in materia di processo civile), prevede, da un lato, l�abrogazione dell�art. 
83-undecies del d.P.R. n. 570 del 1960 (All. 4, art. 2, comma 1, lett. b), e, dall�altro, la possibilit� 
di impugnare immediatamente l�ammissione o la esclusione delle liste elettorali, senza 
attendere la proclamazione degli eletti (art. 129). Il citato art. 44 della legge n. 69 del 2009, 
infatti, ha delegato il Governo a �razionalizzare e unificare le norme vigenti per il processo 
amministrativo sul contenzioso elettorale, prevedendo il dimezzamento, rispetto a quelli ordinari, 
di tutti i termini processuali, il deposito preventivo del ricorso e la successiva notificazione 
in entrambi i gradi [...], mediante la previsione di un rito abbreviato in camera di 
consiglio che consenta la risoluzione del contenzioso in tempi compatibili con gli adempimenti 
organizzativi del procedimento elettorale e con la data di svolgimento delle elezioni�. 
3. � Nel merito, la questione � fondata. 
Secondo quanto affermato da questa Corte, il potere di sospensione dell�esecuzione dell�atto 
amministrativo � �elemento connaturale� di un sistema di tutela giurisdizionale incentrato 
sull�annullamento degli atti delle pubbliche amministrazioni (sentenza n. 284 del 1974). Nel 
caso in questione, la posticipazione dell�impugnabilit� degli atti di esclusione di liste o candidati 
ad un momento successivo allo svolgimento delle elezioni preclude la possibilit� di 
una tutela giurisdizionale efficace e tempestiva delle situazioni soggettive immediatamente 
lese dai predetti atti, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 Cost. Infatti, posto che 
l�interesse del candidato � quello di partecipare ad una determinata consultazione elettorale, 
in un definito contesto politico e ambientale, ogni forma di tutela che intervenga ad elezioni 
concluse appare inidonea ad evitare che l�esecuzione del provvedimento illegittimo di esclusione 
abbia, nel frattempo, prodotto un pregiudizio. 
3.1. � Una simile compressione della tutela giurisdizionale non pu� trovare giustificazione 
nelle peculiari esigenze di interesse pubblico che caratterizzano il procedimento in materia 
elettorale. A tal riguardo, � necessario distinguere tra procedimento preparatorio alle elezioni, 
nel quale � inclusa la fase dell�ammissione di liste o di candidati, e procedimento elettorale, 
comprendente le operazioni elettorali e la successiva proclamazione degli eletti. Gli atti relativi 
al procedimento preparatorio alle elezioni, come l�esclusione di liste o di candidati, debbono 
poter essere impugnati immediatamente, al fine di assicurare la piena tutela giurisdizionale, 
ivi inclusa quella cautelare, garantita dagli artt. 24 e 113 Cost. Lo stesso legislatore, del resto, 
con la disposizione dell�art. 44 della legge n. 69 del 2009, ha delegato il Governo ad adottare
182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
norme che consentano l�autonoma impugnabilit� degli atti cosiddetti endoprocedimentali immediatamente 
lesivi di situazioni giuridiche soggettive. 
3.2. � N� pu� accogliersi la tesi, sostenuta dalla difesa dello Stato, in base alla quale la regola 
della non impugnabilit� dei provvedimenti di esclusione delle liste elettorali sarebbe necessariamente 
imposta dalle esigenze di speditezza del procedimento elettorale sancite dall�art. 
61 Cost. Tale disposizione costituzionale si riferisce alle elezioni delle Camere e non afferma 
espressamente un principio di speditezza, n� tanto meno una prevalenza di detto principio sul 
diritto, garantito dagli artt. 24 e 113 Cost., a una tutela giurisdizionale piena e tempestiva contro 
gli atti della pubblica amministrazione. 
3.3. � Deve rilevarsi, inoltre, che gli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia 
dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 
1955, n. 848, riconoscono, tra l�altro, un diritto ad un ricorso effettivo, che verrebbe vanificato 
laddove l�art. 83-undecies del d.P.R. n. 570 del 1960 fosse inteso nel senso di escludere l�impugnabilit� 
immediata degli atti relativi al procedimento preparatorio alle elezioni, come 
l�esclusione di liste o di candidati, che siano immediatamente lesivi di situazioni giuridiche 
soggettive. 
3.4. � N� pu� sostenersi, infine, la tesi della difesa dello Stato in base alla quale la possibilit� 
dell�intervento del giudice amministrativo nella fase iniziale del procedimento elettorale rischierebbe 
di creare incertezze nel corpo elettorale, che costituisce �il primo organo costituzionale, 
in quanto titolare della sovranit� popolare�. A prescindere dalla circostanza che la 
sovranit� popolare � esercitata �nelle forme e nei limiti della Costituzione� (art. 1, secondo 
comma, Cost.), il sindacato giurisdizionale sugli atti immediatamente lesivi relativi al procedimento 
preparatorio alle elezioni rappresenta una garanzia fondamentale per tutti i cittadini. 
In un ordinamento democratico, infatti, la regola di diritto deve essere applicata anche a tali 
procedimenti e, a questo fine, � essenziale assicurare una tutela giurisdizionale piena e tempestiva, 
nel rispetto degli artt. 24 e 113 Cost. 
4. � Va quindi dichiarata l�illegittimit� costituzionale dell�art. 83-undecies del decreto del Presidente 
della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, introdotto dall�art. 2 della legge 23 dicembre 
1966, n. 1147, nella parte in cui esclude la possibilit� di un�autonoma impugnativa degli atti 
del procedimento preparatorio alle elezioni, ancorch� immediatamente lesivi, anteriormente 
alla proclamazione degli eletti. 
Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura dedotti dal giudice rimettente. 
RER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
dichiara l�illegittimit� costituzionale dell�art. 83-undecies del decreto del Presidente della Repubblica 
16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione 
degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto dall�art. 2 della legge 23 dicembre 
1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), nella 
parte in cui esclude la possibilit� di un�autonoma impugnativa degli atti del procedimento 
preparatorio alle elezioni, ancorch� immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione 
degli eletti. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 
2010. 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 183 
Corte costituzionale, sentenza 15 luglio 2007 n. 257 - Ud. Pubb. 8 giugno 2010 - Pres. Amirante, 
Red. Quaranta - Giudizio di legittimit� costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto 
del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione 
e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), promosso dal Tribunale 
amministrativo regionale per la Liguria con ordinanza del 1� ottobre 2009. Avv. Federico 
Sorrentino per G.B. ed altro, e avv. Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei 
ministri. 
(Omissis) 
Ritenuto in fatto 
1.� Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, con ordinanza del 1� ottobre 2009, 
ha sollevato questione di legittimit� costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente 
della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione 
e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali) �nella parte in cui non prevedono 
che la Commissione elettorale circondariale, entro il giorno successivo a quello . rispettivamente 
. della presentazione delle candidature e della presentazione delle liste, elimina i nomi 
dei candidati alla carica di sindaco a carico dei quali viene accertata la sussistenza della condizione 
di ineleggibilit� di cui all�art. 60, comma 1, numero 12, del decreto legislativo 18 
agosto 2000, n. 267 e ricusa le liste collegate agli stessi�, per contrasto con gli articoli 3, 48, 
secondo comma, 51, primo comma, e 97 della Costituzione. 
L�art. 60, comma 1, numero 12, sopra richiamato, prevede che non sono eleggibili a sindaco, 
presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale: i sindaci, presidenti 
di provincia, consiglieri comunali, provinciali o circoscrizionali in carica, rispettivamente 
in altro comune, provincia o circoscrizione. 
2.� Il giudizio a quo, proposto da cittadini elettori residenti nel comune di Cengio, ha ad oggetto 
l�impugnazione del verbale di proclamazione degli eletti alla carica di sindaco e di consigliere 
comunale del suddetto comune, adottato dall�Adunanza dei presidenti delle sezioni 
elettorali a seguito delle elezioni amministrative del 6 e 7 giugno 2009. 
3.� Il remittente ha premesso in fatto quanto di seguito, in sintesi, riportato. 
La sottocommissione elettorale circondariale di Cairo Montenotte ammetteva alla consultazione 
elettorale del 6 e 7 giugno 2009 tre liste: �Lista civica Cengio cՏ�; �Noi per Cengio�; 
�Cengio cambia � Bagnasco Sindaco � Lista civica�. Quest�ultima lista indicava quale candidato 
sindaco Arnaldo Bagnasco, consigliere comunale del comune di Cairo Montenotte. 
L�incarico consiliare presso quest�ultimo comune rendeva ineleggibile il Bagnasco alla carica 
di sindaco del comune di Cengio ai sensi dell�art. 60, comma 1, numero 12, del decreto legislativo 
18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull�ordinamento degli enti locali). Ci� 
nonostante, la sottocommissione elettorale circondariale di Cairo Montenotte, non rilevando 
tale condizione di ineleggibilit�, ammetteva la lista �Cengio cambia � Bagnasco Sindaco � 
Lista civica�, alla consultazione elettorale. 
A seguito di un esposto, la Prefettura di Savona, sul punto, precisava che �la commissione 
elettorale circondariale deve rilevare solo le cause di incandidabilit�, mentre non ha il potere 
di impedire la presentazione della lista per ragioni di ineleggibilit��. In tal senso si esprimeva 
anche la suddetta sottocommissione elettorale. 
In data 8 giugno 2009 l�Adunanza dei presidenti delle sezioni elettorali proclamava i risultati 
elettorali ed assegnava alla suddetta lista un solo seggio, attribuito al candidato sindaco Arnaldo 
Bagnasco. Quest�ultimo, in data 16 giugno 2009, rassegnava le dimissioni dalla carica
184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
di consigliere comunale di Cengio, con ci� determinando il subentro del proprio figlio Emil 
Bagnasco, primo dei non eletti della lista a lui collegata. 
4.� Tanto premesso, il TAR remittente, in ordine alla rilevanza della questione, afferma di 
condividere l�orientamento della Corte di cassazione, secondo il quale l�art. 60, comma 1, 
numero 12, del d.lgs. n. 267 del 2000, con l�uso dell�avverbio �rispettivamente� intende prefigurare 
non gi� una pedissequa simmetria, quanto alle limitazioni alla eleggibilit�, tra cariche 
identiche (sindaco con sindaco di altro comune, consigliere comunale con consigliere di altro 
comune), bens� limitare, a chi rivesta una carica all�interno dell�organo elettivo, l�accesso ad 
altro organo omologo, sia come consigliere che come sindaco, posta la indiscutibile appartenenza 
di quest�ultimo al consiglio comunale e la sua partecipazione alle relative funzioni. 
Disciplina analoga, ricorda il giudice a quo, era gi� contenuta nel combinato disposto di cui 
all�art. 2, numero 13 (recte: numero 12), della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia 
di ineleggibilit� ed incompatibilit� alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale 
e circoscrizionale e in materia di incompatibilit� degli addetti al Servizio sanitario nazionale) 
e dell�art. 6 del d.P.R. n. 570 del 1960. 
N�, d�altronde, il d.lgs. n. 267 del 2000, per sua natura, in ragione della delega conferita dell�art. 
31 della legge 3 agosto 1999, n. 265 (Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento 
degli enti locali, nonch� modifiche alla legge 8 giugno 1990, n. 142), sarebbe stato idoneo ad 
innovare detta disciplina senza incorrere in un eccesso di delega. 
5.� Ci� premesso, il TAR ligure dubita della legittimit� costituzionale dei citati artt. 30 e 33 
del d.P.R. n. 570 del 1960, nei termini sopra esposti. 
Tali articoli contengono una elencazione analitica dei casi di esclusione dei candidati e di ricusazione 
delle liste da parte dell�Ufficio elettorale in questione, che ha carattere tassativo. 
In base alle suddette disposizioni, la Commissione elettorale non ha il potere di escludere una 
lista per ragioni di ineleggibilit� del candidato sindaco al quale la stessa � collegata. 
Ogni verifica � infatti rinviata alla prima seduta consiliare (art. 41 del d.lgs. n. 267 del 2000), 
con la conseguenza, ad avviso del giudice remittente, che �se il candidato ineleggibile viene 
eletto sindaco, la decadenza che lo riguarda rende necessaria la celebrazione di nuove elezioni; 
se, invece, rimane soccombente, le elezioni resteranno valide e si verifica solo la decadenza 
del candidato sindaco dalla carica di consigliere comunale� (� richiamata la decisione del 
Consiglio di Stato, sezione V, 15 giugno 2000, n. 3338). 
6.� Il TAR precisa che le cause di ineleggibilit�, tra le quali figura quella di cui all�art. 60, 
comma 1, numero 12, del d.lgs. n. 267 del 2000, riguardano coloro che, ricoprendo un incarico 
o una funzione pubblica di notevole rilievo sociale, politico o istituzionale, possono trarne 
immediato giovamento, in termini di prestigio personale e di potenziale aumento del consenso 
elettorale, esercitando la captatio benevolentiae. 
Esse divergono dalle cause di incompatibilit�, che offrono invece al candidato eletto la facolt� 
di scegliere tra la carica elettiva e l�ufficio o l�incarico da cui discende l�impedimento. 
Coloro che non abbiano rimosso la causa di ineleggibilit� prima del termine di legge incorrono 
in una causa di decadenza. 
L�ineleggibilit�, pertanto, opera come temporanea sospensione del diritto di elettorato passivo. 
7.� Orbene, ad avviso del TAR remittente, occorre considerare che tale assetto normativo � 
sorto nel vigore del precedente sistema elettorale, il quale prevedeva l�elezione del sindaco 
ad opera del consiglio comunale, nel suo ambito, alla prima adunanza, subito dopo la convalida 
degli eletti (art. 34 della legge 8 giugno 1990, n. 142, che reca �Ordinamento delle autonomie 
locali�, nel testo in vigore anteriormente alla sostituzione operata dall�art. 16 della
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 185 
legge 25 marzo 1993, n. 81, che reca �Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, 
del consiglio comunale e del consiglio provinciale�). 
In tale contesto, appariva dunque del tutto ragionevole che la causa di ineleggibilit� del candidato 
determinasse soltanto la sua decadenza, senza travolgere l�intero procedimento elettorale. 
Il giudice a quo deduce, quindi, che tale situazione sia radicalmente mutata a seguito dell�entrata 
in vigore della citata legge n. 81 del 1993, con specifico riguardo alla situazione dei comuni 
con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, comՏ il caso del comune di Cengio. 
Con l�entrata in vigore dell�art. 5 della legge n. 81 del 1993 (successivamente abrogato dal 
d.lgs. n. 267 del 2000, ma sostanzialmente riprodotto nell�art. 71 del medesimo d.lgs.), infatti, 
� sorto un rapporto di stretta integrazione tra il candidato alla carica di sindaco e la lista a 
quest�ultimo collegata, rapporto che costituisce il tratto pi� significativo della riforma del sistema 
elettorale amministrativo attuata con tale legge. 
A sostegno delle proprie argomentazioni il remittente pone in evidenza: 
a) che con la lista di candidati al consiglio comunale deve essere anche presentato il nome e 
cognome del candidato alla carica di sindaco e il programma amministrativo da affiggere all�albo 
pretorio; 
b) che ciascuna candidatura alla carica di sindaco � collegata ad una lista di candidati alla carica 
di consigliere comunale; 
c) che nella scheda elettorale � indicato, a fianco del contrassegno, il candidato alla carica di 
sindaco; 
d) che a ciascuna lista di candidati alla carica di consigliere si intendono attribuiti tanti voti 
quanti sono i voti conseguiti dal candidato alla carica di sindaco ad essa collegato, di modo 
che nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, �l�indicazione di voto apposta 
sul nominativo del candidato alla carica di sindaco o sul rettangolo che contiene il nominativo 
stesso� vale anche come voto alla lista collegata. 
Ne consegue che la presentazione della lista integra, oggi, una fattispecie di cui sono elementi 
essenziali sia l�indicazione del candidato alla carica di sindaco, sia l�elenco dei candidati al 
consiglio comunale. 
Tanto ci� � vero che, nel caso del candidato sindaco che versi nella situazione di incandidabilit� 
ai sensi della disciplina antimafia, le norme contenute negli artt. 30, comma 1, lettera 
c), e 33, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 570 del 1960 prevedono espressamente l�esclusione 
del nominativo del candidato. A ci� consegue che la lista a lui collegata, venendo a mancare 
dell�indefettibile requisito di ammissibilit� costituito dall�indicazione del candidato sindaco 
(art. 71, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000), diviene a sua volta inammissibile e, come tale, 
immediatamente esclusa dalla competizione elettorale. 
8.� Un primo profilo di illegittimit� della normativa in questione, � ravvisato dal TAR per 
la Liguria nella violazione del principio di eguaglianza, di cui all�art. 3 Cost. 
Bench� in entrambe le ipotesi (incandidabilit� ed ineleggibilit� del candidato sindaco) sussista 
un inscindibile collegamento tra la presentazione della candidatura alla carica di sindaco e 
quella della lista dei candidati al consiglio comunale ad essa collegata � tale per cui simul 
stabunt, simul cadent � non sarebbe dato comprendere perch� in un caso (incandidabilit�) 
l�inammissibilit� della candidatura alla carica di sindaco debba essere rilevata prima della celebrazione 
delle elezioni ex artt. 30, comma 1, lettera c), e 33, comma 1, lettera c), del d.P.R. 
n. 570 del 1960 e determini l�inammissibilit� anche della lista collegata, mentre nell�altro 
(ineleggibilit�) debba essere dichiarata soltanto dopo, ex art. 41, comma 1, del d.lgs. n. 267
186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
del 2000, con il rischio concreto di invalidare (nel caso di elezione del candidato sindaco ineleggibile) 
l�intero procedimento elettorale. 
9.� Sussisterebbe, altres�, la violazione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 48, secondo 
comma, e 51, primo comma, Cost. 
Da un lato, infatti, le cause di ineleggibilit�, di cui agli artt. 60 e 61 del d.lgs. n. 274 del 2000, 
sono stabilite allo scopo di garantire la eguale e libera espressione del voto, tutelata dall�art. 
48, secondo comma, primo periodo, Cost., �rispetto a qualsiasi possibilit� di captatio benevolentiae 
o di metus potestatis�. 
Dall�altro, esse sono intese a garantire pari opportunit� tra coloro che concorrono alle cariche 
pubbliche (� richiamata la sentenza n. 84 del 2006). 
Invece, in ragione della disciplina censurata, i candidati alla carica di consigliere comunale 
eletti in una lista collegata ad un candidato sindaco ineleggibile, si trovano nella condizione 
di avvantaggiarsi degli effetti positivi della candidatura di quest�ultimo. 
10.� Le disposizioni de quibus sarebbero, inoltre, in contrasto con il principio di buon andamento 
dell�attivit� amministrativa, di cui all�art. 97 Cost., che vale anche per il procedimento 
amministrativo elettorale. 
Diversamente dal passato, deduce il TAR, la posizione nella quale il legislatore ha individuato 
una causa di ineleggibilit� � in grado di alterare non solo il risultato personale del candidato, 
ma anche il risultato della lista cui egli � collegato. 
In tale mutato contesto, dunque, non sarebbe pi� ragionevole e conforme al principio di buon 
andamento che la causa di ineleggibilit� del candidato determini soltanto la sua decadenza a 
posteriori, senza travolgere l�intero procedimento elettorale. 
Sul punto, ricorda il remittente, la Corte costituzionale, seppure nell�ambito di una decisione 
di inammissibilit� della questione sottopostale, per carenza di incidentalit�, ha gi� affermato 
di essere �consapevole che la vigente normativa consente di rilevare l�esistenza di cause di 
ineleggibilit� � nonostante che queste siano intese a garantire la pari opportunit� fra i concorrenti 
� soltanto dopo lo svolgimento delle elezioni (�). Si tratta di una normativa evidentemente 
incongrua: non assicura la genuinit� della competizione elettorale, nel caso in cui 
l�ineleggibilit� sia successivamente accertata; induce il cittadino a candidarsi violando la 
norma che, in asserito contrasto con la Costituzione, ne preveda l�ineleggibilit�; non consente 
che le cause di ineleggibilit� emergano, come quelle di incandidabilit�, in sede di presentazione 
delle liste agli uffici elettorali� (gi� citata sentenza n. 84 del 2006). 
11.� Si � costituita la parte ricorrente del giudizio a quo che ha concluso per la fondatezza 
della questione di costituzionalit�. 
12.� � intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall�Avvocatura 
generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi non fondata la questione sollevata 
dal TAR Liguria richiamando le motivazioni della decisione del Consiglio di Stato n. 3338 
del 2000. 
13.� In data 18 maggio 2010, hanno depositato memoria i ricorrenti in prime cure. 
La difesa privata, pone in evidenza, in particolare, come, in ragione della disciplina vigente, 
l�unica finalit� che pu� perseguire un soggetto ineleggibile, che si candidi a sindaco in un comune 
con popolazione inferiore a quindicimila abitanti, � quella di attirare voti per favorire 
candidati inseriti nella lista a lui collegata. Tale finalit� incide in modo distorsivo sulla par 
condicio elettorale ed � pregiudizievole in ordine alla genuinit� del voto (� richiamata la sentenza 
di questa Corte n. 84 del 2006). 
� contrastata, altres�, la difesa dell�Avvocatura dello Stato. 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 187 
14.� Anche la difesa dello Stato ha depositato memoria con la quale ha ribadito le argomentazioni 
svolte e le conclusioni gi� rassegnate. 
Ad avviso dell�Avvocatura dello Stato, la diversa ratio che sottende le ipotesi di incandidabilit� 
rispetto a quelle di ineleggibilit� giustificherebbe la rilevabilit� di quest�ultima, nella fattispecie 
in esame, dopo lo svolgimento delle elezioni. 
La corretta composizione degli organi elettivi � affidata, infatti, a controlli successivi, in occasione 
dell�insediamento degli organi stessi. 
La pronuncia additiva richiesta, infine, inciderebbe sulla discrezionalit� che l�ordinamento 
affida al legislatore. 
Considerato in diritto 
1.� Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, con ordinanza in data 1� ottobre 
2009, ha sollevato questione di legittimit� costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del 
Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione 
e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali) �nella parte in cui non prevedono 
che la Commissione elettorale circondariale, entro il giorno successivo a quello . 
rispettivamente . della presentazione delle candidature e della presentazione delle liste, elimina 
i nomi dei candidati alla carica di sindaco a carico dei quali viene accertata la sussistenza 
della condizione di ineleggibilit� di cui all�art. 60, comma 1, numero 12, del decreto legislativo 
18 agosto 2000, n. 267 e ricusa le liste collegate agli stessi�, per contrasto con gli articoli 3, 
48, secondo comma, 51, primo comma, e 97 della Costituzione. 
2.� Il giudice a quo, con riguardo alla dedotta violazione del principio di eguaglianza, invoca, 
quale tertium comparationis, l�art. 15, comma 1, della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni 
per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione 
di pericolosit� sociale), il quale, occorre ricordare, �risulta formalmente 
abrogato�, dall�art. 274, comma 1, lettera p), del citato d.lgs. n. 267 del 2000, �ma il suo contenuto 
precettivo � stato integralmente riprodotto dal combinato disposto degli artt. 58, comma 
1, lettera a), e 59, comma 1, lettera a), e comma 4�, del medesimo decreto (sentenza n. 25 del 
2002). 
3.� In particolare, il remittente lamenta la mancata previsione, nelle disposizioni censurate, 
della competenza della predetta Commissione elettorale ad eliminare dalle liste i nomi dei 
candidati alla carica di sindaco e a disporre la conseguente ricusazione delle liste stesse, in 
presenza della causa di ineleggibilit� di cui al citato art. 60, comma 1, numero 12, del d.lgs. 
n. 267 del 2000, in analogia a quanto espressamente previsto dall�art. 15, comma 1, della 
legge n. 55 del 1990, in una fattispecie � a suo dire � per alcuni aspetti analoga. 
Il suddetto art. 60, comma 1, numero 12, prevede che �non sono eleggibili a sindaco, presidente 
della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale� (�) �i sindaci, 
presidenti di provincia, consiglieri comunali, provinciali o circoscrizionali in carica, rispettivamente 
in altro comune, provincia o circoscrizione�. 
A sua volta, l�art. 58, come nel tempo modificato, del citato d.lgs. n. 267 del 2000, prevede, 
al comma 1, con disciplina analoga a quella del richiamato art. 15 della legge n. 55 del 1990, 
che �non possono essere candidati alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e non 
possono comunque ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere 
provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente 
e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente 
dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente
188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all�articolo 114, presidente e componente degli 
organi delle comunit� montane� coloro che hanno riportato condanna penale definitiva per 
determinati reati, o coloro nei cui confronti � stata applicata, con provvedimento definitivo, 
una misura di prevenzione in quanto indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, 
o comunque criminale, che perseguono finalit� o agiscono con metodi corrispondenti a quelli 
delle associazioni di tipo mafioso. 
3.1.� In riferimento alla prospettata violazione dei suindicati parametri costituzionali, il TAR 
remittente ha dedotto che i candidati alla carica di consigliere comunale, eletti in una lista 
collegata ad un candidato sindaco ineleggibile, sarebbero avvantaggiati dagli effetti positivi 
della candidatura di quest�ultimo, con lesione sia del diritto degli elettori comunali alla libera 
espressione del voto, sia di quello degli aspiranti alla carica di consigliere comunale, appartenenti 
ad altre liste, di concorrere in condizioni di sostanziale eguaglianza. 
3.2.� Infine, con specifico riferimento alla prospettata violazione dell�art. 97 Cost., il remittente 
afferma come non sia ragionevole e conforme al principio costituzionale di buon andamento 
che la causa di ineleggibilit� del candidato determini soltanto la sua decadenza a 
posteriori, senza travolgere l�intero procedimento elettorale. Ci� ancor pi�, laddove si consideri 
che l�art. 76 del d.lgs. n. 267 del 2000 disciplina l�anagrafe degli amministratori locali e 
regionali, che contiene i dati relativi agli eletti a cariche locali e regionali ed � agevolmente 
consultabile da chiunque, sicch� la situazione di ineleggibilit� del candidato, che versi in tale 
condizione, � accertabile in modo semplice e rapido. 
4.� In via preliminare, occorre precisare che il thema decidendum del presente giudizio verte 
sulle limitazioni al diritto di elettorato passivo alla carica di sindaco, che rientra fra quelli �inviolabili
� riconosciuti dall�art. 2 Cost., per cui la sua restrizione � ammissibile soltanto nei limiti 
strettamente necessari alla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti e secondo 
le regole della necessit� e della ragionevole proporzionalit� (sentenze n. 240 del 2008 e n. 
141 del 1996). Da ci� deriva che le norme che derogano al principio della generalit� di tale 
diritto elettorale passivo sono di stretta interpretazione e devono essere applicate nei limiti di 
quanto sia necessario a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate (sentenze 
n. 306 del 2003 e n. 364 del 1996). 
E deve anche essere precisato che, come questa Corte ha pi� volte affermato, la previsione 
della ineleggibilit� tende a prevenire che il candidato ponga in essere, in ragione della carica 
ricoperta o delle funzioni svolte, indebite pressioni sugli elettori (sentenza n. 217 del 2006), 
esercitando una captatio benevolentiae o inducendo un metus publicae potestatis, idonei ad 
alterare la par condicio tra i candidati. Tale funzione distingue l�istituto in questione da quello 
dell�incompatibilit�, che � volta, invece, ad evitare il conflitto di interessi nel quale venga a 
trovarsi il soggetto che sia stato eletto (citata sentenza n. 217 del 2006). 
Orbene, nella specie, la doglianza del remittente si appunta sulle modalit� con le quali l�ineleggibilit�, 
sancita dall�art. 60, comma 1, numero 12, del d.lgs. n. 267 del 2000, deve essere 
rilevata, nonch� sulle ricadute di essa sul complessivo sistema elettorale per l�elezione del 
sindaco e dei consiglieri comunali. 
5.� Cos� precisato l�oggetto del contendere, deve essere esaminata, innanzi tutto, l�eccezione 
di inammissibilit� della questione sotto il profilo secondo cui essa sarebbe diretta ad ottenere 
una pronunzia additiva a contenuto non costituzionalmente obbligato. 
6.� L�eccezione � fondata. 
Il remittente, nel prospettare la necessit� della integrazione, ad opera di questa Corte, delle 
norme censurate nel senso suindicato, invoca una parificazione tra l�ipotesi della ineleggibilit�
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 189 
disciplinata dall�art. 60, comma 1, numero 12, del T.U. n. 267 del 2000 e quella della incandidabilit� 
gi� prevista dall�art. 15 della legge n. 55 del 1990, la quale sarebbe funzionale a 
salvaguardare la libert� del voto e la partecipazione alla competizione elettorale in posizione 
di uguaglianza tra i concorrenti. 
Tuttavia, l�uguaglianza delle situazioni poste a confronto, che dovrebbe giustificare la invocata 
identit� di trattamento normativo, non appare rispondente n� alla ratio degli istituti in esame, 
n� al quadro normativo di riferimento. 
Occorre considerare, innanzitutto, la ratio sottesa alle disposizioni contenute nella citata normativa 
antimafia. 
Come questa Corte ha gi� affermato, le previsioni contenute in tale normativa speciale sono 
dirette �ad assicurare la salvaguardia dell�ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera 
determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni 
pubbliche allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale 
coinvolgente gli interessi dell�intera collettivit�� (sentenza n. 352 del 2008, che richiama l�affermazione 
della sentenza n. 288 del 1993). 
Il legislatore, in tal modo, �ha inteso essenzialmente contrastare il fenomeno dell�infiltrazione 
della criminalit� organizzata nel tessuto istituzionale locale e, in generale, perseguire l�esclusione 
dalle amministrazioni locali di coloro che per gravi motivi non possono ritenersi degni 
della fiducia popolare� (citata sentenza n. 352 del 2008 che richiama l�affermazione della 
sentenza n. 407 del 1992). 
Ci� comporta che � speculare al potere della Commissione elettorale circondariale di escludere 
i candidati che versino nelle condizioni di cui al citato art. 15 della legge n. 55 del 1990, la 
sanzione della nullit� dell�elezione, sancita prima dal medesimo art. 15 e ora dall�art. 58 del 
d.lgs. n. 267 del 2000. 
Si �, dunque, in presenza di una specifica causa ostativa alla candidatura, dalla quale l�ordinamento 
fa scaturire le suddette conseguenze. 
Diversa �, invece, l�ipotesi di ineleggibilit� prevista dall�art. 60, comma 1, numero 12, del 
T.U. n. 267 del 2000, che rientra tra quelle per le quali le limitazioni del diritto di elettorato 
passivo sono fondate sul timore di distorsione della volont� degli elettori a causa dell�influenza 
che su di essi pu� essere esercitata da chi ricopre determinati uffici, o sono comunque fondate 
su elementi di carattere personale (sentenza n. 450 del 2000). 
A ci� � da aggiungere che la ratio di limitazioni analoghe a quelle in esame � stata ravvisata 
nella diversa circostanza che �chi di una di tali amministrazioni fa parte si consideri cos� strettamente 
legato da doveri e da responsabilit� verso la comunit� prescelta da non potere partecipare 
agli organi rappresentativi degli interessi omologhi di altra comunit� dello stesso tipo, 
con l�assunzione di altrettanti doveri e responsabilit� verso di essa� (sentenza n. 97 del 1991). 
Anzi, il potere attribuito alla Commissione elettorale circondariale dalle norme censurate rispetto 
alla incandidabilit� ex art. 15 della legge n. 55 del 1990, ha fondamento proprio nella 
sanzione della nullit�, in quanto tende ad evitare, in un�ottica di buon andamento dell�amministrazione, 
relativa anche al procedimento elettorale, che si dia luogo ad una consultazione 
elettorale destinata ad essere travolta. 
D�altronde, come ha avuto modo di rilevare la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di 
Stato, sezione V, decisione 15 giugno 2000, n. 3338), le citate disposizioni, oltre a sancire il 
divieto di candidatura, regolano anche un potere di controllo su questa causa di impedimento, 
che pu� risolversi nella radicale esclusione del candidato consigliere ineleggibile, come anche 
nell�esclusione della lista collegata al candidato sindaco ineleggibile. 
190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
�, dunque, evidente che, nel bilanciamento fra i principi previsti dagli artt. 51 e 97 Cost., 
spetta esclusivamente al Parlamento valutare, sulla base della ragionevolezza e con scelte di 
carattere certamente politico, le diverse ipotesi e, in relazione alla gravit� di ciascuna di esse, 
graduare il trattamento normativo pi� appropriato e proporzionato (sentenza n. 240 del 2008). 
7.� Quanto sopra, da un lato, fa emergere l�incompletezza della ricostruzione normativa 
posta dal giudice remittente a fondamento della lesione del principio di eguaglianza; dall�altro, 
mette in luce come il remittente stesso prospetti la necessit� di un intervento manipolativo 
che esorbita dai poteri di questa Corte, risolvendosi in un ampliamento dei compiti della Commissione 
elettorale circondariale che solo il legislatore pu� prevedere. Il remittente chiede, in 
definitiva, una pronuncia a contenuto non costituzionalmente obbligato, proponendo un petitum 
additivo a carattere creativo rientrante soltanto nella discrezionalit� del legislatore (ex 
plurimis: sentenza n. 138 del 2010; ordinanze n. 243 del 2009, n. 316 del 2008, n. 185 del 
2007). 
8.� Il giudice a quo, nella sua ordinanza, nel prospettare le ragioni poste a base della valutazione 
di non manifesta infondatezza della questione, ha fatto, tra l�altro, riferimento a quanto 
osservato nella sentenza n. 84 del 2006 da questa Corte, la quale, pronunciandosi su una fattispecie 
connotata dalla mancanza del carattere di incidentalit� della questione di costituzionalit� 
allora proposta, ha affermato di essere �consapevole che la vigente normativa consente 
di rilevare l�esistenza di cause di ineleggibilit� � nonostante che queste siano intese a garantire 
la pari opportunit� fra i concorrenti � soltanto dopo lo svolgimento delle elezioni�. E la Corte 
ha aggiunto che �si tratta di una normativa evidentemente incongrua: non assicura la genuinit� 
della competizione elettorale, nel caso in cui l�ineleggibilit� sia successivamente accertata; 
induce il cittadino a candidarsi violando la norma che, in asserito contrasto con la Costituzione, 
ne preveda l�ineleggibilit�; non consente che le cause di ineleggibilit� emergano, come quelle 
di incandidabilit�, in sede di presentazione delle liste agli uffici elettorali�. 
Pur ribadendo quanto osservato nella citata sentenza, questa Corte, tuttavia, non pu� che dichiarare 
inammissibile la questione in esame, in quanto essa, comunque, si risolve nella richiesta 
di un intervento manipolativo che, esulando dai suoi poteri, spetta soltanto al legislatore 
nella sua discrezionale valutazione con specifico riferimento agli aspetti anche di natura politica 
che connotano la materia elettorale. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
dichiara inammissibile la questione di legittimit� costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto 
del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la 
composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), sollevata, in riferimento 
agli articoli 3, 48, secondo comma, 51, primo comma, e 97 della Costituzione, dal 
Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, con l�ordinanza in epigrafe. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 7 luglio 
2010. 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 191 
Consiglio di Stato, Sezione Quinta, sentenza del 10 settembre 2010 n. 6526 - Pres. Baccarini, 
Est. Saltelli - S.A., C.A., C.P. (avv.ti G. Russiello e M. Zuppardi) c. Comune di Napoli 
(avv.ti E. Barone, G. Tarallo e A. Pulcini), Ministero Interno (avv. Stato M. Borgo). 
(Omissis) 
FATTO 
1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sez. I, con la sentenza n. 1809 del 
2 aprile 2008 ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dai signori A.S., A.C. e P.C., 
eredi del signor V.C., per ottenere il risarcimento del danno subito dal loro dante causa per 
effetto dell�annullamento parziale � giusta sentenza del Tribunale amministrativo regionale 
per la Campania, n. 4339 dell�11 luglio 2002 - del verbale di proclamazione degli eletti al 
Consiglio Circoscrizionale di Miano del Comune di Napoli, nella misura corrispondente ai 
gettoni di presenza, ex art. 82, comma 2, del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, dalla data di proclamazione 
degli eletti fino al 30 luglio 2002, data del decesso, nonch� di quello patrimoniale 
ex art. 2059 C.C., sotto forma di danno esistenziale e morale, da liquidare in forma equitativa, 
ex artt. 1226 e 2059 C.C. 
Secondo il tribunale, infatti, la domanda doveva essere proposta nei confronti del Comune di 
Napoli (com�era avvenuto per l�impugnazione del verbale di proclamazione degli eletti), ente 
cui si riferivano le elezioni e quindi unico soggetto passivo legittimato, e non gi� del Ministero 
dell�Interno e dell�Ufficio Elettorale Circoscrizionale di Miano, questi ultimi essendo, alla 
stregua di un consolidato indirizzo giurisprudenziale, organi temporanei abilitati esclusivamente 
a dichiarare i risultati finali del procedimento elettorale, destinati a dissolversi con la 
stessa proclamazione degli eletti. 
2. I predetti signori A.S., A.C. e P.C., hanno chiesto la riforma di tale sentenza, articolando 
tre motivi di gravame, rubricati rispettivamente �Error in judicando per difetto di motivazione 
e contrasto con i precedenti� (primo motivo); �Error in judicando. Violazione di legge: art. 7, 
lettera C legge 21/7/2000 n. 205 e successive modifiche e art. 82 D. Lgs. 18/8/2000 n. 267 e 
successive modificazioni ed integrazioni� (secondo motivo), nonch� �Error in judicando. Violazione 
di legge: art. 7, lettera C legge 21/7/2000 n. 205 e successive modifiche. 
In sintesi, gli appellanti, evidenziato che i primi giudici avevano omesso di considerare che 
con altra sentenza (sez. II, n. 20402 del 16 dicembre 2005) sulla stessa controversia avevano 
affermato il principio esattamente opposto (escludendo che gli errori commessi nel computo 
delle schede potessero configurare una responsabilit� risarcitoria dell�amministrazione comunale, 
da individuarsi solo nei confronti degli uffici elettorali), hanno insistito per l�accoglimento 
della domanda risarcitoria, rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo, sussistendone tutti i presupposti. 
Il Comune di Napoli, cui il gravame � stato notificato, ha dedotto l�infondatezza di tutti gli 
spiegati motivi di appello. 
3. Alla pubblica udienza del 27 luglio 2010, dopo la rituale discussione, la causa � stata trattenuta 
in decisione. 
DIRITTO 
4. L�appello deve essere respinto. 
4.1. La Sezione non ritiene di doversi discostare dal prevalente indirizzo giurisprudenziale 
secondo cui nei giudizi elettorali la qualit� di parte pubblica necessaria (passivamente legittimata) 
non spetta agli organi straordinari a carattere temporaneo preposti al compimento delle
192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
operazioni, destinati a sciogliersi subito dopo la definizione del procedimento, ma compete 
esclusivamente all'ente locale interessato, che si appropria del risultato elettorale e sul quale 
si riverberano gli effetti dell'annullamento o della conferma della proclamazione degli eletti 
(C.d.S., sez. V, 8 agosto 2003, n. 4587; C.G.A.R.S., 22 luglio 2002, n. 443). 
E� stato anche precisato che nel procedimento elettorale, anche se l'ente locale � tenuto a subire 
eventuali effetti negativi della condotta posta in essere da organi non incardinati nel proprio 
apparato organizzativo, il consolidamento di tali effetti in capo all'ente medesimo fa s� che 
esso divenga il portatore istituzionale dell'interesse alla conservazione dei propri organi nella 
composizione ad essi conferita dall'atto di proclamazione degli eletti: l'ente locale � pertanto 
parte necessaria del giudizio proposto per l' annullamento dell'atto di proclamazione degli 
eletti (C.d.S., sez. V, 25 febbraio 2003, n. 1076, fattispecie in tema di correzione del risultato 
elettorale). 
4.2. Per completezza la Sezione osserva che, in ogni caso, anche nel merito la pretesa � destituita 
di fondamento. 
Innanzitutto l�esercizio delle funzioni elettive, tra cui rientra anche quella di consigliere circoscrizionale, 
d� luogo ad un rapporto di servizio onorario, il cui compenso � escluso, ai sensi 
dell�articolo 54 della Costituzione, da qualsiasi connotato di sinallagmaticit� (Cass. SS.UU. 
20 aprile 2007, n. 9363; 10 aprile 1997, n. 3129; 13 febbraio 1991, n. 1521). 
La corresponsione del gettone di presenza, previsto dall�invocato articolo 82, comma 2, del 
D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, non costituisce quindi retribuzione, ai sensi dell�articolo 36 
della Costituzione, bens� soltanto una somma a titolo di indennit� per l�attivit� onoraria effettivamente 
prestata per la partecipazione a consigli e commissioni, con la conseguenza che 
qualora tale attivit� sia stata prestata nulla � dovuto, indipendentemente dalla causa che ha 
determinato la mancata partecipazione. 
Ci� esclude, ad avviso della Sezione, anche la ricorrenza del danno non patrimoniale, sotto 
forma di danno esistenziale e/o morale, tanto pi� che nel caso di specie, anche a prescindere 
dalla evidente carenza di prova, sempre necessaria al riguardo (Cass., sez. III, 8 aprile 2010, 
n. 8360), non sussiste alcuna violazione a diritti inviolabili della persona, individuati dalla 
Suprema Corte (SS.UU, 11 novembre 2008, n. 26972; III, 25 settembre 2009, n. 20684) nel 
diritto alla salute (art. 32 Cost.), nel diritto alla reputazione, all�immagine, al nome e alla riservatezza 
(artt. 2 e 3 Cost.), nei diritti inviolabili della famiglia (art. 2, 29 e 30 Cos.), non essendo 
risarcibile il danno non patrimoniale consistito in meri disagi e fastidi (non scaturenti 
da lesioni gravi di diritti costituzionalmente garantiti, Cass. civ., III, 9 aprile 2009, n. 8703). 
5. In conclusione l�appello deve essere respinto. 
Sussistono nondimeno giusti motivi, in ragione della peculiarit� della controversia, per dichiarare 
compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando 
sul ricorso in appello proposto dai signori A.S., A.C. e P. C. avverso la sentenza del Tribunale 
amministrativo regionale per la Campania, sez. I, n. 1809 del 2 aprile 2008, lo respinge. 
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio. 
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 luglio 2010.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 193 
Il reclamo nel giudizio cautelare nel rito lavoro 
Considerazioni in merito allo ius postulandi dei funzionari 
delegati ai sensi dell�art. 417 bis 
(Tribunale di Vallo della Lucania, ordinanza del 12 novembre 2009) 
Si prende spunto da una recente pronuncia del Tribunale di Vallo della 
Lucania per esaminare il regime di ius postulandi nel rito lavoro nell�ambito 
della fase cautelare, anche alla luce della novella del 2006 che ha interessato 
il giudizio cautelare. 
Con la citata pronuncia, il Collegio del Tribunale campano ha ritenuto 
che il reclamo proposto dal Ministero della Giustizia avverso un provvedimento 
emanato ex art. 700 c.p.c. dal Giudice del Lavoro fosse inammissibile 
per difetto di ius postulandi dei funzionari delegati ex art. 417 bis c.p.c., essendo 
onerata la P.A., in tali occasioni, a ricorrere inderogabilmente al patrocinio 
legale dell�Avvocatura dello Stato. 
Tale assunto deriva dalla considerata inapplicabilit� del disposto dell�art. 
417 bis c.p.c. al giudizio di reclamo avverso i provvedimenti emessi ex art. 
700 c.p.c.. 
L�iter argomentativo del Collegio si sviluppa partendo dal confronto fra 
i contrapposti orientamenti rinvenibili in giurisprudenza sul punto: un primo 
� restrittivo � che, optando per la natura impugnatoria del giudizio di reclamo, 
esclude la possibilit� per l�Amministrazione di difendersi per mezzo di propri 
funzionari; un secondo orientamento � maggiormente elastico e pi� diffuso 
tra i giudici di merito � che, negando la configurabilit� del giudizio sul reclamo 
come procedimento di impugnazione, ritiene pienamente applicabile il disposto 
dell�art. 417 bis c.p.c.. 
Confrontate le opposte alternative, il Tribunale di Vallo della Lucania ha 
creduto di aderire all�orientamento restrittivo, considerando il giudizio di reclamo 
comunque �un giudizio in senso lato di secondo grado�, atteso che esso 
si svolge dinanzi a un collegio � di cui non pu� far parte il giudice che ha emanato 
il provvedimento oggetto di censura � che deve pronunciarsi su eventuali 
errores in procedendo o in iudicando del �giudice a quo� provvedendo a confermare 
o riformare, in tutto o in parte, la pronuncia oggetto di reclamo. 
Tale conclusione viene ulteriormente argomentata in ragione della novella 
disciplina del giudizio cautelare ante causam disciplinata dall�art. 669 octies 
c.p.c. che ha reciso il nesso di strumentalit� tra fase cautelare e fase di merito, 
conferendo ai provvedimenti emanati ex art. 700 c.p.c. autonoma efficacia e 
irretrattabilit� in caso di mancata introduzione della fase di merito, ora, infatti, 
solo eventuale. 
L�opzione per il carattere impugnatorio del reclamo viene, inoltre, sup-
194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
portata adducendo che, ai fini del rispetto del principio costituzionalmente tutelato 
del doppio grado di giurisdizione, l�ordinanza cautelare � potenzialmente 
idonea a costituire pronuncia stabile tra le parti � deve essere oggetto 
di un procedimento di secondo grado. 
L�iter logico-giuridico esposto dal Collegio del Tribunale di Vallo della 
Lucania non pu� essere condiviso. 
In primo luogo, si evidenzia che dottrina e giurisprudenza autorevoli e 
consolidate negano il carattere strettamente impugnatorio del procedimento 
di reclamo. 
Sul punto, in dottrina, si sono sviluppate due contrapposte teorie: una sostiene 
la natura impugnatoria del reclamo, adducendo come indizi in tal senso 
il carattere subprocedimentale dello stesso, l�introduzione per mezzo di una 
domanda di riesame da proporsi innanzi a un giudice diverso, anche se appartenente 
al medesimo ufficio giudiziario, l�obbligo di esclusione nella formazione 
del collegio del giudice a quo (1); l�altra teoria propende per una 
configurazione del reclamo come giudizio di prosecuzione del procedimento 
cautelare, da considerarsi, quindi, unitario, atteso che il collegio che decide 
sul reclamo ha i medesimi poteri del giudice cautelare, circostanza che va ad 
escludere gli oneri di riproposizione caratteristici del giudizio di appello (2). 
Dalle descritte teorie emerge, in ogni caso, il carattere sui generis di tale 
strumento processuale che porta a distanziare lo stesso � anche secondo i sostenitori 
della natura impugnatoria del reclamo � dai mezzi di impugnazione 
in senso stretto, nominativamente e tassativamente previsti ex art. 323 c.p.c.. 
E proprio in virt� della tassativit� nell�ambito del nostro ordinamento 
processuale dei mezzi di impugnazione si evince l�impossibilit� di classificare 
il reclamo come procedimento di secondo grado. 
Cospicua e consolidata giurisprudenza milita in tal senso; in particolare, 
il Tribunale di Roma (3) con chiarezza inequivocabile ha ritenuto che sia l�iniziale 
fase di trattazione ante causam che la successiva fase di reclamo in sede 
cautelare debbano farsi rientrare nel primo grado di giudizio, con la conseguenza 
che la P.A. pu� stare in giudizio attraverso propri funzionari, operando 
la limitazione di cui all�art. 417 bis, comma 1, c.p.c. solo nell�ordinario giudizio 
di cognizione (4). 
N� riescono a minare tale conclusione gli argomenti suggeriti dal Tribunale 
di Vallo della Lucania. 
Irrilevanti, in merito, risultano le modifiche introdotte dalla novella del 
(1) Cfr. CORSINI F., Il reclamo cautelare, Torino, 2002, 100 ss. 
(2) Cfr. ARIETA G., Problemi e prospettive in tema di reclamo cautelare, in Riv. dir. proc., 1997, 
408 ss.
(3) Trib. Roma, 15 aprile 2000, Giust. civ. 2001, I, 1977. 
(4) Per una panoramica sulle varie pronunce in tal senso v. FINOCCHIARO M.(a cura di), La giurisprudenza 
sul codice di procedura civile coordinata con la dottrina, libro II, tomo IV, 2006, 3144 ss. 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 195 
2006 che hanno escluso la necessaria complementarit� tra la fase cautelare e 
quella di merito, rendendo quest�ultima meramente eventuale; non si vede 
come, infatti, quest�importante e rivoluzionaria riforma possa incidere sul carattere 
impugnatorio o meno del giudizio di reclamo. 
Infondata, poi, si rivela la considerazione sulla tutela � a copertura costituzionale 
� del doppio grado di giudizio che, secondo i Giudici cilentani, renderebbe 
necessaria la previsione di un mezzo di impugnazione rispetto alle 
pronunce ex art. 700 c.p.c., tanto pi� che esse oggi rivestono un carattere di 
tendenziale stabilit�. 
Come noto, nel nostro ordinamento il principio del doppio grado di giudizio 
� pur fortemente radicato � non � rivestito di tutela costituzionale (5). 
L�art. 111 Cost., comma 7, si limita, infatti, a tutelare l�impugnabilit� delle 
sentenze e dei provvedimenti sulla libert� personale emanati da organi giurisdizionali 
ordinari o speciali attraverso ricorso in Cassazione. Da tale disposizione, 
al contrario, si � dedotta la non indispensabilit� del doppio grado di 
giurisdizione, ma solo la necessit� della ricorribilit� innanzi al Supremo Consesso 
dei citati provvedimenti. 
Dalle considerazioni svolte si ricava che la limitazione al giudizio di 
primo grado prescritta dall�art. 417 bis c.p.c. in ordine alla possibilit� della 
P.A. di stare in giudizio per mezzo di propri dipendenti non si mostra applicabile 
in sede di reclamo. 
Un regime di ius postulandi differente da quello della pregressa fase cautelare, 
oltre a risultare incongruente rispetto alla configurazione tecnico-giuridica 
dello strumento del reclamo, si presenterebbe contrastante con la stessa 
ratio dell�art. 417 bis c.p.c. e con l�intera normativa che disciplina la rappresentanza 
in giudizio dello Stato. 
Sul punto, in primo luogo si evidenzia, che il legislatore ha introdotto nel 
codice di rito l�art. 417 bis c.p.c. attraverso l�art. 42 del D.Lgs. n. 80 del 1998, 
che rappresenta un�alternativa rispetto alla difesa ope legis dell�Avvocatura 
dello Stato a favore delle Amministrazioni statali. Tale Organo Legale ha, comunque, 
ai sensi del comma 2, la facolt� di avocare a s� il patrocinio in presenza 
di questioni di massima o di particolare rilievo economico, previa 
comunicazione ai competenti uffici dell�Amministrazione coinvolta. 
Tale novella persegue lo scopo di consentire all�Amministrazione una 
forma di rappresentanza che, in ogni caso, allevii il carico di lavoro gravante 
sull�Avvocatura dello Stato ed eviti, soprattutto per i giudizi che si tengono 
fuori dal foro erariale, aggravi di spesa a carico della P.A.(6). 
Per quanto, invece, riguarda la normativa in tema di rappresentanza e di- 
(5) cfr. VERDE G., Profili del processo civile, 2. Processo di cognizione, 2006, 246. 
(6) Per una panoramica sulla difesa dello Stato nel rito lavoro v. SGARBI L., La difesa delle pubbliche 
amministrazioni nelle controversie di lavoro, in Lavoro nella Giur., 1998, 12 1019.
196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
fesa in giudizio dello Stato, si evidenzia che il criterio generale di competenza 
dettato all�art. 25 del nostro codice di rito, pur derogato nel rito lavoro dal criterio 
di collegamento speciale dell�art. 409 c.p.c., conserva la propria vis attrattiva, 
manifestandola proprio nei giudizi di secondo grado. 
Tale forza espansiva del principio generale del foro erariale, nell�attuale 
tenore del nostro ordinamento processuale, non pu� essere facilmente apprezzata 
nell�ambito del processo in materia di lavoro e previdenza; soppresso l�ufficio 
pretorile, l�odierna ripartizione di competenza per gradi in tale materia 
appartiene al Tribunale e alla Corte d�Appello. Pertanto, i giudizi a cognizione 
piena, in primo grado, ex art. 409 c.p.c., si tengono innanzi al tribunale in cui 
ha sede il lavoratore, mentre, in secondo grado, si tengono innanzi alla Corte 
d�Appello, che ha sede nel capoluogo del Distretto di riferimento in cui si trovano 
anche gli uffici dell�Avvocatura Distrettuale. 
Tale riparto rende oggi superflua ogni riflessione sulla possibilit� di applicazione 
dell�art. 25 c.p.c. in fase di gravame, a differenza di quanto prima, 
invece, avveniva in caso di impugnazione di sentenze emesse dai pretori e in 
ordine alle quali la giurisprudenza di legittimit� si pronunci� sancendo, anche 
in materia di lavoro, la proponibilit� dell�appello innanzi al tribunale del foro 
in cui ha sede la competente Avvocatura Distrettuale e non innanzi al tribunale 
del circondario cui apparteneva il giudice di prime cure (7). 
Tali considerazioni, utilmente applicate al caso di specie, fanno emergere 
in maniera lampante l�aporia in cui � incorso il Collegio del Tribunale di Vallo 
(7) Vedi Cass. 28 dicembre 1999 n. 14629 che ha statuito che, in materia di lavoro, avverso le 
pronunce del pretore, debba proporsi appello al tribunale del luogo in cui ha sede l�Avvocatura Distrettuale 
competente in ossequio all�art. 25 c.p.c. 
Conferma tale statuizione anche Cass. civ., sez. lav., n. 7699/2001. Tale pronuncia prende vita da un�analisi 
della ratio degli art. 409 e 25 c.p.c.; ritengono i giudici di legittimit� che, per le cause trattate con il 
rito del lavoro, prevalga il criterio speciale di competenza territoriale di cui all�art. 409 c.p.c., atteso che 
la citata disposizione risponde all�esigenza non solo di facilitare l�accesso al giudice della parte pi� bisognosa 
di assistenza, ma anche a rendere meno gravoso il diritto del lavoratore a stare in giudizio personalmente 
ex art. 417 c.p.c. e, in ogni caso, a consentire agevolmente la presenza alle udienze e a 
svolgere l�attivit� istruttoria nel foro pi� vicino al luogo di lavoro. Tali esigenze, prevalenti in primo 
grado, risultano recessive nelle fasi successive, facendo prevalere, questa volta, nel contemperamento 
degli opposti interessi, l�esigenze sottese all�ordinaria regola del foro dello Stato, e, in particolare, quella 
del coordinamento della difesa erariale e il risparmio della spesa pubblica. 
Sul punto cfr. anche la chiarificatrice Cass. Civ., sez. lav., n. 7785/1998, in cui si sostiene autorevolmente 
che �il sistema del foro erariale vigente�contempera per il processo del lavoro la esigenza di avvicinare 
in primo grado il processo al lavoratore, secondo i criteri dell'art. 413 c.p.c., con le esigenze pubbliche 
del foro erariale in appello secondo la regola dell�art. 25 c.p.c. Infatti, se per la comparizione personale 
delle parti e per la raccolta delle prove, caratteristiche del primo grado, v'� l'esigenza della vicinanza 
del luogo ove si svolge il processo al lavoratore, questa sfuma in appello, ove presenza personale delle 
parti e prove non sono di regola previste, e pu� darsi luogo alla soddisfazione di quegli interessi pubblici 
che sottendono al foro erariale, conformi alla Costituzione secondo le sentenze n. 118 del 1964 e n. 12 
del 1974 della Corte Cost. Consegue che lo spostamento della competenza territoriale in appello per le 
cause di lavoro non appare violare n� i principi di eguaglianza n� il diritto alla difesa contemperando 
razionalmente la tutela degli interessi dei lavoratori e quelli della difesa della P.A.�.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 197 
della Lucania. 
Portando alle estreme conseguenze il gi� contestato iter logico-giuridico 
delineato nella pronuncia in esame, infatti, dovrebbe ricavarsi che il reclamo 
sarebbe da proporre non al medesimo ufficio giudiziario cui appartiene il �giudice 
a quo�, bens�, riattivando il criterio del foro erariale ex art. 25 c.p.c. in 
ragione dell�apertura di una fase di secondo grado, innanzi allo speculare collegio 
presso il Tribunale in cui ha sede la competente Avvocatura Distrettuale. 
In definitiva � pur nell�impossibilit� di affidarsi al lume della giurisprudenza 
di legittimit� � non pu� ritenersi che il nuovo regime del giudizio cautelare 
abbia inciso sull�applicabilit� anche in sede di reclamo dell�art. 417 bis 
c.p.c.. 
Dott.ssa Enza Faracchio* 
Tribunale di Vallo della Lucania in composizione collegiale, ordinanza del 12 novembre 
2009 - Pres. Tringali, Rel. Sorrentino. 
(Omissis) 
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato l�11 dicembre 2008 il dott. (omissis), dipendente del 
Ministero della Giustizia quale Cancelliere con posizione economica C1 ha esposto che al 
fine di assistere i propri genitori, che soffrono di malattie gravissime meglio indicate in ricorso, 
veniva trasferito, su sua istanza, per tre mesi, a decorrere dal 15 settembre 2008, dalla Procura 
della Repubblica di Lecco al Tribunale di Vallo della Lucania, ove svolge attualmente le funzioni 
di Cancelliere, e ha lamentato che il Ministero non ha ancora risposto alla sua successiva 
istanza del 10 novembre 2008 volta ad ottenere il trasferimento definitivo presso il Tribunale 
di Vallo della Lucania ai sensi dell'art. 33 co. 5 L. 104/1992. Su tale base, l'istante ha chiesto 
al Tribunale d� Vallo della Lucania di assegnarlo, con provvedimento di urgenza, presso il 
Tribunale medesimo, in luogo dell'amministrazione inadempiente. Instaurato il contraddittorio, 
ha resistito il Ministero della Giustizia, che ha eccepito l'incompetenza per territorio del Giudice 
adito e, nel merito, ha chiesto di rigettarsi il ricorso per carenza dei presupposti di legge. 
All'esito, il GD, con ordinanza del 15 gennaio 2009, in accoglimento del ricorso, ha ordinato 
all'amministrazione resistente di trasferire il ricorrente, con effetto immediato e con qualifica 
di cancelliere C1, presso il Tribunale medesimo, e ha compensato le spese di lite. Avverso 
l'ordinanza in questione, il Ministero della Giustizia ha interposto reclamo dinanzi a questo 
Tribunale mediante atto depositato il 2 febbraio 2009, con il quale ha insistito per l'eccezione 
di incompetenza territoriale e, subordinatamente e nel merito, ha chiesto la revoca dell'ordinanza 
e il rigetto del ricorso cautelare, per difetto dei requisiti del fumus e del periculum. 
Instaurato il contraddlttorio, ha resistito (omissis), il quale ha eccepito l'inammissibilit� del 
reclamo per difetto di ius postulandi delle funzionarie che rappresentano il Ministero reclamante 
ai sensi dell'art. 417 bis c.p.c. e, nel merito, ha chiesto il rigetto del reclamo. 
All'esito della comparizione delle parti all'udienza del 20 ottobre 2009, il Collegio si � riservato 
(*) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato.
198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
di decidere. 
II reclamo � inammissibile, per difetto di ius postulando delle funzionarie che hanno difeso e 
rappresentato il Ministero nel presente giudizio di reclamo ai sensi dell'art. 417 bis c.p.c. La 
disposizione prevede che nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle 
pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell'art. 413 c.pc, le amministrazioni stesse 
possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti, �limitatamente al 
giudizio di primo grado�. 
Il Tribunale, in proposito � dell'avviso, cosi come eccepito dalla difesa del reclamato, che 
l'art. 417 bis c.p.c non trovi applicazione in relazione al giudizio di reclamo, nel quale di conseguenza 
quando si tratti di cause relative al rapporti di lavoro dei dipendenti della PA, le amministrazioni 
hanno l�onere di stare in giudizio con il patrocinio di un avvocato, secondo la 
regola generale fissata dall�art. 82 co. 2 c.p.c. In difetto di pronunce espresse di legittimit� 
sulla questione, nell'ambito della giurisprudenza di merito, a fronte dell'orientamento restrittivo 
che fa leva sulla natura latu sensu impugnatoria del giudizio di reclamo (v. Trib. Caltanissetta 
29 marzo 2000, in Lav. pubbl. amm., 2000, 944), si registrano diverse pronunce pi� 
liberali secondo cui il reclamo non costituisce un nuovo grado di giudizio sull'istanza cautelare 
in merito alla quale si � gi� verificata la prima pronuncia, ma costituisce "un mezzo generale 
di riesame della domanda cautelare all'esito del quale si pronuncia un provvedimento destinato 
a sostituirsi integralmente al primo" (cos�, Trib. Catanzaro, ord. coll. 19 aprile 2004), 
ovvero secondo cui "Nelle controversie di lavoro, in sede di reclamo ex art. 669 terdecies 
c.p.c. avverso il provvedimento ex art. 700 c.p.c., il tribunale del lavoro in composizione collegiale 
deve essere ritenuto organo di primo grado, in quanto il reclamo rappresenta una fase 
eventuale del procedimento cautelare e non una impugnazione, per cui la p.a. pu� difendersi 
tramite un proprio funzionario autorizzato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 417 bis c.p.c. 
(Trib. Caltanissetta 23 agosto 2001, in Giur. Merito 2002, 970). 
Si �, ancora, osservato che "Poich� sia l'iniziale fase di trattazione del giudizio cautelare ante 
causam, che quella concernente il reclamo proposto avverso il provvedimento emesso in via 
d'urgenza devono farsi rientrare nel giudizio di primo grado, la p.a. pu� stare in giud�zio attraverso 
propri dipendenti, concernendo la limitazione posta dall'art, 417 bis comma 1 c.p.c. 
solo l'ordinario giudizio di cognizione" (Trib. Roma 15 aprile 2000, Gius. Civ, 2001, 1, 1977 
ove si trova anche la conforme Trib. Padova - giugno 2000). 
Sennonch�, il Tribunale ritiene di aderire al primo orientamento, per i motivi che seguono. 
In primo luogo, il giudizio di reclamo, qualunque sia la definizione condivisa (procedimento 
di impugnazione o di riesame), � un giudizio in senso lato di secondo grado, in quanto si 
svolge dinanzi ad un organo collegiale, di cui non pu� far parte il giudice che ha pronunziato 
il provvedimento cautelare impugnato, chiamato a verificare eventuali errores di merito o di 
rito del giudice, come s� suole dire, di prime cure, con poteri di conferma o riforma, totale o 
parziale, del provvedimento. 
L'appartenenza al medesimo ufficio, ossia al Tribunale, che � organo di regola di primo grado, 
del Giudice che emana il provvedimento cautelare e del Collegio del reclamo � circostanza 
di natura organizzativa che non incide sul diverso profilo dell'articolazione del giudizio cautelare 
quale giudizio strutturalmente e funzionalmente distinto rispetto al giudizio di merito 
che anticipa ovvero in cui si inserisce, se proposto in corso di causa - in una fase di primo 
grado e in una di secondo grado, le quali vengono trattate e decise da organi giudiziali diversi, 
su impulso di distinti atti introduttivi. Si tratta, con evidenza, del medesimo schema procedimentale 
che connota i giudizi ordinari di impugnazione.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 199 
A nulla vale, poi, che il giudizio di reclamo sia meramente eventuale, in quanto anche i gradi 
successivi al giudizio di merito di primo grado sono tali, in forza del principio della domanda 
che permea il processo civile nella sua accezione pi� lata. 
Va osservato, in secondo luogo, che a seguito della riforma del d.l. 14 marzo 2003 n. 35, convertito 
nella legge 14 maggio 2005 n. 80, che ha riformato, per quanto maggiormente interessa 
in questa sede, l'art. 669 octies c.p.c., il giudizio cautelare ante causam, quale � il giudizio 
presente, ha perso quel rapporto di strumentalit� necessaria che lo vincolava inderogabilmente 
al giudizio di merito, ed � destinato a concludersi con un provvedimento suscettibile di restare 
efficace ed irretrattabile, salvo il sopravvenire di circostanze di fatto o di diritto idonee a modificarlo 
o revocarlo, anche quando il giudizio di merito non sia instaurato affatto. 
In tale evenienza, unico rimedio che consente di riesaminare la vertenza e di superare, se del 
caso, il dictum del giudice che ha emanato il provvedimento, di accoglimento o di rigetto della 
domanda che sia, resta il giudizio di reclamo. 
Si aggiunga che la tendenziale stabilit� dell'ordinanza cautelare, nell'ottica che disconosce natura 
impugnatoria al giudizio di reclamo e che ravvisa nel giudizio cautelare un unico grado, 
mal si concilia, sul piano sistematico, con il principio costituzionalmente garantito del doppio 
grado di giurisdizione, a maggior ragione se si considera che l'ordinanza di reclamo, a sua 
volta, � insuscettibile di sindacato a mezzo di ricorso per Cassazione. 
In base alla riforma citata, inoltre, il legislatore ha espressamente previsto che il giudice che 
ha emanato il provvedimento reclamato non possa far parte del collegio dinanzi al quale fu 
proposto il reclamo - art. 669 terdecies c.p.c., cosi superando una linea interpretativa che ne 
ammetteva di fatto la possibilit�, escludendosi la sussistenza di cause di incompatibilit�. Ebbene, 
l'espresso divieto pu� ritenersi un indice rivelatore dell'intentio legis di parificare o, comunque, 
di assimilare il giudizio di reclamo ai giudizi di impugnazione, non essendo mai 
stato posta in discussione la necessit� che il giudice dell'impugnazione sia diverso dal giudice 
che ha steso l'atto impugnato. 
Va, infine, fatta una osservazione di fondo, che pare rafforzare le conclusioni svolte. 
Il problema della natura della fase del reclamo va esaminato e risolto unitariamente, a prescindere 
che si tratti di giudizio cautelare ante causam ovvero in corso di causa, e, in tale seconda 
evenienza, a prescindere dalla fase in cui si trova il giudizio di merito. La tesi, invero, 
che esclude la natura impugnatoria del giudizio di reclamo pare essersi formata con riferimento 
esclusivo all'ipotesi di domanda cautelare proposta ante causam, con la prospettazione di una 
sorta di binomio tra il giudizio ordinario di primo grado e il giudizio cautelare, e che tuttavia 
pare incontrare difficolt� ermeneutiche non indifferenti, quando il giudizio cautelare sia proposto 
in corso del giudizio di appello, che � per definizione un giudizio di secondo grado, in 
quanto trattasi di evenienza senz'altro poco diffusa, ma del tutto ammissibile (cfr., sul piano 
normativo, art. 669 terdecies co. 2 c.p.c). 
In definitiva, il reclamo va dichiarato inammissibile per difetto di ius postulandi del funzionari 
che rappresentano il Ministero della Giustizia e non potendosi applicare l'art. 417 bis c.p.c, 
che � norma eccezionale, e dunque insuscettibile di applicazione analogica, in quanto derogatoria 
del principio generale sancito dagli artt. 82 ss. 
Per giusti motivi si ritiene di compensare le spese giudiziali, in ragione della controvertibilit� 
della questione esaminata. 
P.Q.M. 
Dichiara il reclamo inammissibile, con compensazione delle spese di lite tra le parti. 
Vallo della Lucania, 12 novembre 2009
L E G I S L A Z I O N E E D 
A T T U A L I TA� 
Stazione Unica Appaltante: 
tenuta di un impianto e nuovi contesti 
Vincenzo Cardellicchio e Fabrizio Gallo* 
SOMMARIO: 1. Impostazione generale; 2. Diffusione ed evoluzione dell�istituto della 
S.U.A; 2.1 Le Stazioni Uniche Appaltanti delle province calabresi e di Caserta; 2.2 La Stazione 
Unica Appaltante di Napoli; 2.3 La S.U.A. di Crotone; 2.4 La Stazione Unica Appaltante 
della Regione Calabria; 3. Gruppi interforze e grandi opere; 4. Monitoraggio dei flussi finanziari 
negli appalti; 5. Conclusioni. 
1. Impostazione generale 
La criminalit� organizzata di tipo mafioso rappresenta tuttora una verminosa 
piaga per il nostro Paese. Ci� malgrado la forte intensificazione della risposta 
repressiva, mai tanto aggressiva e prolungata, essa � dotata di uno 
spirito di adattamento alle nuove situazioni che addirittura precorre con mirate 
scelte di investimento e di contro con �sprofondamenti� nelle pi� ataviche tradizioni 
che le consente di permeare sempre pi� profondamente e sempre con 
maggiore estensione territoriale la vita nazionale. 
Preoccupazioni crescenti si sono registrate, negli ultimi anni, in aree del 
Paese, come l�Abruzzo martoriato dal terremoto, e la Milano dell�Expo (1) 
(*) Vincenzo Cardellicchio, Vice Capo di Gabinetto Vicario del Ministero dell�Interno. 
Fabrizio Gallo, Vice Prefetto, Capo di Gabinetto della Prefettura di Crotone. 
(1) La Commissione bicamerale sul fenomeno della mafia ha svolto un ciclo di audizioni nel capoluogo 
lombardo a fine gennaio. Nell�occasione, si � svolto un vivace dibattito, anche sui mass-media 
sul grado di diffusione della criminalit� organizzata nell�hinterland milanese che, al di l� delle specifiche 
posizioni pretestuosamente equivocate, testimonia in modo evidente l�estensione del fenomeno criminale 
(SANDRO DE RICCARDIS, Il Prefetto: a Milano non c'� la mafia, in www.milano.repubblica.it).
202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
che per lunghi anni di miopia sono state ritenute immuni o comunque non profondamente 
toccate dal fenomeno. 
Ed invece la criminalit� organizzata, in modo sempre pi� evidente si 
spinge decisamente ad aggredire direttamente i circuiti economici del territorio 
nazionale (2), investendo ingenti risorse provenienti da guadagni illeciti e forzando 
con l�intimidazione e la violenza non necessariamente brutale ed ottusa, 
le regole della concorrenza. 
L�ambito storicamente preferito per operare tale illecita intromissione � 
quello degli appalti pubblici grazie ai quali la criminalit� mafiosa non solo individua 
occasioni di guadagno ma si va ad interporre negli spazi lasciati vuoti 
da inefficienze pubbliche per affermare nel proprio territorio la sua autorit� 
criminale (3). 
Per la ragione esposta, un�azione di contrasto antimafia non pu� svolgersi 
solo sul versante della repressione giudiziaria, pure di prioritaria importanza, 
ma deve potersi espandere in un novero di attivit� preventive attraverso le 
quali recidere i tentativi di infiltrazione (4). 
In quest�ambito, attraverso un�opera di revisione della legge originaria 
antimafia, L. 575/1965, si � pervenuti ad approntare un esteso sistema di decadenze 
ed interdizioni agganciate all�esistenza di procedimenti per l�irrogazione 
di misure di prevenzione od alla loro effettiva applicazione. In tal modo, 
si � tentato di porre un argine, rispetto alla possibilit� di partecipare a procedure 
per la stipula di contratti pubblici, nei confronti di imprese per le quali si 
ritengano sussistenti tentativi di infiltrazione mafiosa. 
L�attuale corpus della normativa relativa alle informazioni antimafia � 
contenuto nel D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 che d� attuazione alla norma di 
delegificazione contenuta all�art. 20 della L. 59/1997. In sintesi (5), la certificazione 
antimafia pu� essere suddivisa in due grandi articolazioni: la comunicazione, 
disciplinata dall�art. 3 del D.P.R. 252/1998, e l�informazione 
antimafia, prevista dall�art. 10 della menzionata fonte normativa. Il criterio 
(2) Il Rapporto semestrale D.I.A., relativo al secondo semestre 2008, evidenzia che il 52,48% 
delle segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, pervenute a quell�Ufficio dall�Unit� d�infomazione 
bancaria presso la Banca d�Italia, sono provenienti dal settentrione (v. in www.interno.it/dip_ps/dia). 
Proprio le necessit� di riciclaggio spingono le consorterie criminali, secondo la D.I.A., a ricercare idonee 
proiezioni su regioni diverse da quelle di origine. 
(3) Una delle analisi pi� approfondite dello stretto legame tra inefficienza della pubblica amministrazione 
e sviluppo della criminalit� organizzata � il frutto della riflessione del Sen. Luigi De Sena, 
gi� prefetto di Reggio Calabria (LUIGI DE SENA, Rapporto sulla sicurezza in Calabria 2006, p. 11). 
(4) Si potrebbe parlare, al riguardo, di �difficile antimafia�, come suggerito dal titolo di una raccolta 
di interventi in materia di beni confiscati ove, tra l�altro, si pone in rilievo la difficolt�, in quell�ambito, 
di dare effettivit� alle disposizioni normative (VALLEFUOCO-GIALANELLA, La difficile antimafia, 
Atti del seminario di studi dell�11 dicembre 2001, pubblicati a cura dell�Ufficio del Commissario Straordinario 
del Governo per la gestione dei beni confiscati, p. 13). 
(5) RUSCICA, Le informazioni prefettizie antimafia: natura e criticit�, in Altalex, Quotidiano d�informazione 
giuridica, 8 ottobre 2009, p. 3.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 203 
distintivo tra i due istituti, posti in ordine crescente di forza preventiva, � dato 
dal tipo e dall�importo dell�atto pubblico cui si fa riferimento. 
La disciplina delle certificazioni antimafia � stata, quindi, oggetto di un 
dettato normativo puntuale, oggetto di un�attenta opera ricostruttiva ed interpretativa 
della dottrina. 
Nell�ultimo decennio, peraltro, � emersa l�esigenza di sostenere l�impatto 
delle preclusioni con una struttura adeguata alla necessit�, allo scopo di evitare 
che il piano del diritto sostanziale sia considerato esaustivo e, in tal modo, rischi 
di diventare largamente inattuato (6). 
Sono proliferate, cos�, esperienze di articolazioni organizzative, spesso 
sorte dalla prassi, dirette a realizzare un diaframma tra criminalit� organizzata 
ed appalti pubblici, che hanno assunto forme, funzioni ed operativit� diversificate. 
Su tale questione, invero la riflessione ricostruttiva e dottrinale � stata pi� 
limitata (7) e soprattutto non sembra avere affrontato il tema della riconsiderazione 
sistematica dei modelli organizzativi, allo scopo di individuare possibili 
soluzioni complessive. 
Con il presente lavoro, pertanto, s�intendono, analizzare due filoni di attivit� 
relativi all�ambito trattato che hanno, finora, avuto un relativo approfondimento: 
la stazione unica appaltante ed i gruppi interforze costituiti, in 
vari ambiti, allo scopo di monitorare le ditte che partecipano ad appalti pubblici.
Tutto ci� per fare il punto della situazione attuale, sull�evoluzione dei 
modelli organizzativi in questione e sulle loro possibili interazioni. 
2. Diffusione ed evoluzione dell�istituto della S.U.A. 
L�Istituto della S.U.A., o S.U.A.P. (Stazione Unica Appaltante Provinciale), 
figura organizzativa consistente nell�esercizio associato dell�attivit� di 
espletamento di gare per la selezione del contraente (8), ha avuto una notevole 
diffusione ed evoluzione a partire dalla relativa comparsa sulla scena della 
concreta esperienza amministrativa, tra il 2006 ed il 2007, con l�istituzione 
dell�Ufficio in questione nella provincia di Crotone. 
(6) Ibidem, p.7. L�Autore, muovendo da un commento sulle innovazioni recate nel settore dalla l. 
15 luglio 2009, n. 94, individua le tre tendenze di fondo evidenziatesi nella ricerca di far conseguire al 
sistema maggiore effettivit�. Esse consistono nella pi� ampia utilizzazione dei gruppi interforze previsti 
dal D.M. 14 marzo 2003, nella generalizzazione del sistema delle stazioni uniche appaltanti provinciali 
e nella diffusione dei protocolli di legalit� con l�inserimento di clausole contrattuali specifiche tendenti 
anche alla tracciabilit� dei flussi finanziari. 
(7) SDANGANELLI, La Stazione Unica Appaltante (SUA) nella Regione Calabria, in www.lexitalia.it 
e CARDELLICCHIO � GALLO, La Stazione unica appaltante provinciale (S.U.A.P.) di Crotone: genesi e 
prospettive evolutive, in Rass. Avvocatura dello Stato, 2007, I, 26 ss. 
(8) Ibidem.
204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Per alcune nuove esperienze, specificatamente quelle delle province di 
Vibo Valentia, Reggio Calabria e Caserta, si tratta di revisioni del modello gi� 
adottato a Crotone, peraltro con modifiche, innovazioni e specificazioni degne 
di nota. Nella configurazione della S.U.A. di Napoli, invece, pare prevalere 
l�ottica dell�individuazione di un nuovo strumento antimafia da utilizzare in 
determinate fattispecie, analogamente ad altri di diversa natura, piuttosto che 
quella della definizione di una struttura in cui accentrare totalmente l�esperimento 
delle procedure di gara della provincia, cos� come avviene nell�esperienza 
di matrice calabrese. 
Carattere ulteriormente diverso � rinvenibile nella Stazione Unica Appaltante 
della Regione Calabria, peraltro istituita con legge regionale, che si prefigge 
lo scopo fondamentale di ricondurre ad un unico ufficio l�espletamento 
delle gare dell�Ente in questione. 
All�esame di tali esperienze e delle relative innovazioni o radicali diversit� 
di impostazione, deve seguire una verifica di funzionalit� della S.U.A. che pu� 
essere effettivamente svolta con riguardo all�Ufficio operante in provincia di 
Crotone, di cui si dispone di dati strutturati e complessivi triennali (2007 � 
2009), liberamente consultabili (9). 
2.1 Le Stazioni Uniche Appaltanti delle province calabresi e di Caserta 
La Stazione Unica Appaltante della provincia di Reggio Calabria � stata 
istituita con una convenzione del 12 marzo 2009 ed � destinataria, nella prima 
fase di applicazione, che terminer� il 30 settembre 2010, dei procedimenti di 
appalti per lavori pubblici di importo pari o superiore ad � 150.000,00. 
L�atto in questione si fonda sulla base giuridica dell�art. 33 del D.L.vo 
163/2006, ai sensi del quale le amministrazioni aggiudicatrici, sulla base di apposito 
disciplinare, possono affidare le funzioni di stazione appaltante ai Servizi 
integrati infrastrutture e trasporti (10) ed alle Amministrazioni provinciali. 
L�art. 3, comma 4, esclude che la convenzione costituisca una delega di 
funzioni, trattandosi, invece di modalit� organizzativa per l�espletamento delle 
attivit� di selezione del contraente. 
Le funzioni (11) attribuite alla S.U.A.P. sono, sostanzialmente, quelle previste 
nella convenzione � madre di Crotone ed attengono all�acquisizione dei 
piani annuali e triennali delle opere pubbliche degli enti aderenti, alla comunicazione 
di dati all�Osservatorio sui contratti pubblici e, soprattutto, allo svolgimento 
dell�attivit� materiale del procedimento di gara che parte dalla 
(9) www.sua.provincia.crotone.it. 
(10) Oggi Provveditorati interregionali alle opere pubbliche. 
(11) V. art. 3 della Convenzione per la gestione di una stazione unica appaltante, n. Rep. 17839 del 
12 marzo 2009, in www.provincia.rc.it.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 205 
definizione del bando fino alla trasmissione degli atti all�Ente aderente per l�aggiudicazione 
definitiva. 
Sotto il profilo finanziario (12), la S.U.A.P. di Reggio Calabria replica il 
sistema crotonese che prevede l�inserimento nel quadro economico generale 
di un contributo predeterminato in ragione dell�importo dell�appalto. La Provincia, 
il Comune di Reggio Calabria ed i Comuni con popolazione superiore 
a 10.000 abitanti possono assicurare, a proprie spese, la dotazione delle risorse 
umane alla S.U.A.P. potendo usufruire, in tal caso, di una riduzione del contributo 
pro - gara. 
Sempre sotto il profilo degli oneri finanziari, un successivo regolamento 
interno, approvato con delibera di giunta provinciale (13), ha costituito un fondo 
per il funzionamento che dovr� essere ripartito in spese per il personale, spese 
generali, corsi di formazione, spese varie. 
La Convenzione di Reggio Calabria si caratterizza anche per due aspetti: 
la valorizzazione del Nucleo operativo per le opere pubbliche, istituito presso 
la Prefettura, e l�integrazione del testo pattizio con le previsioni tipiche di un 
protocollo di legalit�. In particolare, gli artt. 7, 8 e 9 dettano norme in materia 
di definizione del collegamento sostanziale tra imprese, ai sensi dell�art. 34, 
co. 2, del D.L.vo 163/2006, di estensione delle cautele antimafia anche sotto le 
soglie previste dalla normativa vigente, con estensione a forniture e servizi resi 
in settori sensibili predeterminati. 
Il Nucleo operativo per le opere pubbliche � organo con composizione plurale 
(14) che concorre con la S.U.A.P. a predisporre gli schemi tipo di bandi di 
gara. Ad esso compete ogni funzione di consulenza amministrativa e di raccordo. 
A latere di tale organismo, si prevede l�attivazione, sempre in Prefettura, 
di un Nucleo interforze cui sono affidati gli approfondimenti investigativi sulle 
anomalie segnalate dalla S.U.A.P.. 
La Stazione Unica Appaltante di Caserta � stata, invece, costituita con convenzione 
del 28 luglio 2009 ed � operativa per lavori da � 250.000,00 e servizi 
e forniture da � 50.000,00 (15). 
La convenzione casertana si caratterizza per la presenza degli organismi 
istituiti a latere della S.U.A., dettagliatamente definiti nel regolamento interno, 
che si individuano nel Nucleo operativo per i contratti pubblici (16), che svolge 
(12) V. art. 11 della Convenzione cit. 
(13) Delibera di Giunta provinciale n. 23, in data 9 febbraio 2009, in www.provincia.rc.it. 
(14) Il Nucleo � composto da un dirigente prefettizio, da un dirigente della Provincia, da un dirigente 
del Comune di Reggio Calabria e da un rappresentante del Provveditorato alle opere pubbliche. 
(15) V. Convenzione per la costituzione della stazione appaltante unica provinciale, in www.provincia.
caserta.it. 
(16) Art. 10 delle �Modalit� operative per il funzionamento della stazione appaltante unica provinciale�, 
in: www.prefettura.it/caserta. L�organo � composto da due dirigenti prefettizi, di cui uno con funzioni 
di coordinatore, dal Segretario generale della Provincia e da un esperto nel settore degli appalti.
206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
un�attivit� di consulenza amministrativa anche nella fase di determinazione 
dei modelli di atti (determina di indizione delle gare, bandi, capitolati) e nel 
Nucleo Investigativo Interforze, nominato dal prefetto, destinato ad effettuare 
le verifiche antimafia. L�organismo da ultimo menzionato � incaricato di effettuare 
il proprio monitoraggio sulle imprese partecipanti a gare d�appalto, 
in tal modo anticipando il momento della verifica in una fase antecedente all�aggiudicazione. 
Il meccanismo di finanziamento � analogo a quello delle strutture �snelle� 
istituite in precedenza. 
Infine, il 25 ottobre 2009, � stata stipulata la convenzione per l�istituzione 
della Stazione Unica Appaltante provinciale di Vibo Valentia. Nella provincia 
vibonese, si rimarca il ruolo promotore della Conferenza permanente ex art. 
11, D.L.vo 300/1999 (17). 
La struttura disegnata dall�atto in questione ricalca complessivamente il 
modello originario gi� testato nella provincia di Crotone. 
2.2 La Stazione Unica Appaltante di Napoli 
Diversa connotazione contraddistingue, invece, lo strumento della stazione 
unica appaltante nell�esperienza napoletana. 
In quella provincia, il nuovo ufficio sembra destinato ad essere utilizzato 
quale soluzione specifica per determinate esigenze e non sembra tendere all�integrazione 
complessiva delle stazioni appaltanti, cos� come le consorelle 
calabresi e casertana. 
In particolare, nella provincia partenopea, l�istituzione della S.U.A. trae 
le mosse dall�analisi della specifica area Torrese-Stabiese per la quale, essendo 
definiti importanti programmi di deindustrializzazione nell�ambito di un Contratto 
d�area, � stato stipulato un �Protocollo per lo sviluppo in sicurezza e legalit��. 
In tale atto si prevede la possibilit� che i Comuni di Castellammare di 
Stabia, Torre Annunziata e Torre del Greco facciano richiesta di attivazione 
dell�Ufficio unico. 
Ulteriore specifica caratteristica della S.U.A. napoletana � che l�ufficio 
di cui ci si avvale quale supporto non � l�Amministrazione provinciale ma il 
Provveditorato interregionale alle opere pubbliche per il quale si fa particolare 
richiamo alla figura della centrale di committenza di cui all�art. 33, D.L.vo 
163/2006 (18). 
(17) L�argomento � stato trattato nella riunione del 1� ottobre 2009. In quell�ambito sono state 
messe in rilievo le ragioni di fondo poste a base della costituzione del nuovo ufficio, riconducibili 
al recupero di efficienza nella gestione delle procedure contrattuali e nella prevenzione da ogni possibile 
ingerenza di interessi illeciti. Si rimarca, altres�, la finalit� di sostegno ai comuni di dimensioni 
minori.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 207 
Gli importi minimi previsti ammontano ad � 250.000 per lavori e ad � 
50.000 per servizi e forniture. 
Infine, l�esperienza napoletana si caratterizza per una particolare attenzione 
alla fase esecutiva che si sostanzia nella possibile consulenza sulle perizie 
di variante e sulla disponibilit� dell�Ufficio unico ad effettuare tutte le 
necessarie incombenze di carattere tecnico, dalla progettazione, alla direzione 
dei lavori, alla validazione dei progetti. 
2.3 La S.U.A. di Crotone 
L�analisi dell�attivit� della Stazione Unica Appaltante di Crotone � indispensabile, 
ai fini della ricognizione dei modelli operativi in esame, in quanto 
� l�unica per la quale si disponga dei dati di funzionamento per un triennio 
(2007-2009), pubblicamente consultabili (19). 
La S.U.A. della provincia di Crotone, a seguito della relativa costituzione, 
avvenuta con convenzione del 20 dicembre 2006, � stata parzialmente rivista 
con la successiva convenzione del 21 gennaio 2008. 
Con l�atto da ultimo citato, in particolare, la nuova struttura ha acquisito 
la competenza a trattare anche i procedimenti relativi a servizi e forniture dell�importo 
minimo di � 100.000,00 ed � stata determinata la durata illimitata 
del vincolo convenzionale, fatta salva la facolt� di recesso (20). 
A seguito della revisione convenzionale, si sono registrate nuove adesioni 
tra cui si notano, per la peculiare importanza, l�Azienda Sanitaria Provinciale, 
in breve diventata il pi� importante �cliente� della Stazione Unica Appaltante 
per forniture e servizi, e la Soakro, societ� a responsabilit� limitata, ad integrale 
partecipazione pubblica, affidataria del servizio idrico integrato. 
L�andamento delle gare nel triennio, evidenzia, in un quadro di tenuta 
della struttura, il tendenziale incremento delle gare trattate. Dalle 113 gare del 
2007, si � scesi a 103 nel 2008 per poi passare al picco della curva triennale 
nel 2009, con 127 procedimenti introitati. 
I dati in questione, testimoni della stabilit�, nel triennio, dell�affidamento 
alla struttura convenzionata evidenziano in tal modo che, nel periodo esaminato, 
non si sono verificate tendenze all�elusione del sistema (21) ed anzi si 
� potuto registrare un incremento dell�attivit�, in gran parte dovuto alle richie- 
(18) Si tratta di istituto di provenienza comunitaria che deriva dall�esperienza compiuta da 
numerosi paesi europei negli anni novanta, relativa alla creazione di strutture centralizzate volte ad 
ottimizzare la spesa pubblica in un contesto diffuso di difficolt� di finanza pubblica. 
(19) www.sua.provincia.crotone.it. 
(20) V. art. 7 della convenzione 21 gennaio 2008, ibidem. 
(21) L�unica esperienza precedente alla Stazione Unica Appaltante della provincia di Crotone 
risale all�ultimo decennio del secolo scorso ed � relativa all�Ufficio regionale per l�espletamento di 
gare per l�appalto dei lavori pubblici (U.RE.GA.), istituito nell�ambito della legislazione regionale
208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
ste dei nuovi soggetti aderenti. 
Anche gli elementi informativi disponibili sul numero di enti che hanno 
richiesto l�attivazione della S.U.A. (20 soggetti all�anno in media) inducono 
a confermare la tendenziale stabilit� del nuovo ufficio. 
La direzione incrementale dell�attivit� della S.U.A. crotonese � poi evidentemente 
rilevabile attraverso l�analisi degli importi complessivi delle gare 
trattate che, da oltre 40 milioni di euro del 2007, sono passati a circa 80 milioni 
nel 2009, con un raddoppio del valore in esame. Anche qui, i dati finanziari 
consentono di notare l�impatto determinante, al riguardo, dall�ingresso nel sistema 
dell�Azienda Sanitaria Provinciale. 
Per l�analisi dell�efficienza della struttura, � stato elaborato un indice di 
riferimento nella trattatazione delle gare che � uguale al valore percentuale 
dei bandi pubblicati rispetto alle richieste di attuazione. Il valore in questione 
� in calo costante nel triennio, con acutizzazione nel confronto 2008-2009. 
Si evidenzia, al riguardo, il rischio di un calo di performance sotto il profilo 
dell�efficienza della nuova struttura che, ad una prima analisi, sembra inversamente 
proporzionale al notevole incremento degli importi. 
Invero la forza determinante della �volont� di scelta�, l�individuazione 
di profili professionali di altissima qualit� ed il massimo coinvolgimento di 
apparati statali locali e territoriali hanno prodotto un elevatissimo standard di 
performance di lavoro che �ha convinto� e che si � imposto in assoluto come 
una best practices. 
Non vՏ dubbio che l�analisi organizzativa della struttura faccia ora rilevare 
la necessit� di un pronto adeguamento della stessa al mutamento del quadro 
di impegni da fronteggiare; in particolare, sembrerebbe che, a fronte di 
una diversificazione degli ambiti trattati (ampliamento dell�attivit� a servizi e 
forniture) ed all�incremento di dimensione degli importi gestiti non si sia provveduto 
ad una congrua riarticolazione della S.U.A. 
Tutto ci�, � da rimarcare, non incontrandosi limiti dal punto di vista finanziario 
perch�, come notato in precedenza, le convenzioni istitutive delle 
stazioni uniche appaltanti provinciali prevedono un lungimirante meccanismo 
di auto-sostentamento fondato sulla previsione di un contributo a carico dei 
quadri economici degli interventi, in grado di adeguare automaticamente le 
disponibilit� di risorse alle nuove esigenze. 
I dati consultabili, infine, evidenziano le notevoli potenzialit� dello strumento 
della S.U.A. dal punto di vista della conoscibilit� del settore degli apsiciliana. 
In quel contesto si � verificata la tendenza delle amministrazioni locali a cercare di sottrarsi 
alla gestione regionale riducendo l�importo dei lavori sotto la soglia minima, oppure continuando ad 
appaltare progetti validati prima dell�entrata in vigore delle nuove norme legislative (CARDELLICCHIO � 
GALLO, La Stazione unica appaltante provinciale (S.U.A.P.) di Crotone: genesi e prospettive evolutive, 
in Rass. Avvocatura dello Stato, 2007, I, 26 ss.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 209 
palti, sia dal punto di vista delle dinamiche amministrative sia sotto il profilo 
della prevenzione antimafia: per le strategie d�indagine e per l�approntamento 
di misure �difensive� ed in prospettiva �offensive�. 
I dati registrati dall�anno 2009 danno conto in modo esaustivo dei picchi 
di attivit� contrattuale, individuandoli, in linea di massima con la tarda primavera 
- inizio estate e con l�autunno. Ci�, ad una prima valutazione, sembrerebbe 
connesso all�efficacia dei bilanci degli enti locali che diventa piena 
proprio nella fase primaverile per andare ad estinguersi al termine dell�anno 
finanziario. 
I dati aggregati consentono, altres�, di individuare i principali attori del 
sistema nel Comune capoluogo, nella Provincia e nell�Azienda Sanitaria provinciale, 
che risulta la pi� impegnata nei settori delle forniture e dei servizi. 
Si tratta di valutazioni che si fondono su dati aggregati, costantemente 
sintetizzati nell�attivit� di un�unica struttura, nella quale convergono la massima 
parte dei contratti di lavori, servizi e forniture del territorio provinciale. 
Proprio la tendenziale esaustivit� del materiale informativo sugli appalti, 
in forma di dati dettagliati per ogni singola opera, gestito con un semplice foglio 
excel, � in grado di fornire alle Forze di Polizia, in modo costante, un 
colpo d�occhio complessivo su ditte aggiudicatarie, percentuali di ribasso, andamento 
del procedimento, importi di gara ed ulteriori notizie facilmente accorpabili, 
secondo le necessit�, per far risaltare gli elementi di cui si abbisogna. 
2.4 La Stazione Unica Appaltante della Regione Calabria 
Un�attenzione particolare merita, sotto il profilo della ricostruzione dell�istituto, 
la S.U.A. della Regione Calabria, sia per la fonte legislativa speciale 
posta a suo fondamento sia per i numerosi aspetti che la connotano rispetto 
all�archetipo promosso dalle prefetture calabresi. 
La S.U.A. della Regione Calabria � sorta con un articolato percorso legislativo 
(22) che ha preso le mosse con la L.R. 11 maggio 2007, n. 7. Il provvedimento 
in questione era il collegato alla finanziaria regionale e, in quella 
sede, l�Assemblea consiliare ha ritenuto opportuno dare un segnale �politico� 
di attenzione al tema, rinviando ad una successiva legge regionale l�effettiva 
istituzione del nuovo ufficio. 
L�impegno in questione � stato puntualmente adempiuto con la L.R. 7 dicembre 
2007, n. 26 �Istituzione dell�autorit� regionale denominata Stazione 
Unica Appaltante e disciplina della trasparenza in materia di appalti pubblici 
di lavori, servizi e forniture�. 
L�intervento normativo appena citato, fin dalla sua istituzione, palesa l�in- 
(22) In una delle infrequenti occasioni di esercizio dell�autentica funzione consiliare (SDANGANELLI, 
cit., p.1).
210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
tento di costituire un nuovo soggetto di amministrazione attiva, la S.U.A. appunto, 
e quello complementare di disciplinare i parametri di trasparenza del 
settore dei contratti pubblici, anche in modo ulteriore rispetto a quanto previsto 
nel D.L.vo 163/2006 (codice degli appalti), individuando nell�organo sopra 
indicato il controllore (23). 
Subito dopo l�emanazione della legge regionale n. 26/2007, il Governo 
ha ritenuto necessario promuovere la questione della legittimit� costituzionale 
di alcune sue norme (24). Tuttavia, con successiva L.R. 5 marzo 2008, n. 2, 
sono state approntate modifiche al testo della precedente legge n. 26/2007, tali 
da corrispondere alle eccezioni sollevate dal Governo. 
Pertanto, la Corte Costituzionale, con ordinanza 18 febbraio 2009, n. 49, 
tenuto conto che il Presidente del Consiglio dei Ministri aveva rinunciato al 
ricorso per l�avvenuto recepimento delle questioni rilevate, ha dichiarato 
l�estinzione del processo. 
Venendo all�esame del merito dell�istituto introdotto nella legislazione 
regionale, � significativo rilevare che l�ambivalenza della trama normativa � 
rilevabile a partire dalle finalit� che accanto all�efficienza, tipica dell�amministrazione 
attiva, includono anche la vigilanza (nel testo normativo, l�assicurazione) 
sulla correttezza e trasparenza, precipua dell�amministrazione di 
controllo. Cos�, se il compito fondamentale della SUA � senz�altro quello di 
svolgere l�attivit� di preparazione, indizione e di aggiudicazione delle gare a 
favore della Regione e degli Enti ed aziende ad essi collegate, accanto ad esso 
si staglia quello ulteriore relativo al controllo sull�esecuzione dei contratti (25). 
A tale ulteriore riguardo, assume peculiare rilievo l�istituzione, all�interno 
della SUA, dell�Osservatorio regionale di contratti pubblici di lavori, servizi 
e forniture (art. 8), con compiti statistici, di pubblicit�, di monitoraggio delle 
gare di importo sotto soglia e di monitoraggio dei prezzi di mercato. 
L�accostamento delle funzioni di vigilanza, in analogia a quanto previsto 
per l�Autorit� nazionale di cui al D.L.vo 163/2006, a quelle che sembrano pi� 
proprie di amministrazione attiva sono state oggetto di perplessit� in dottrina 
(26) sia sotto il profilo della natura giuridica dell�istituto sia in riferimento alla 
concreta possibilit�, per l�Ufficio, di svolgere i diversi compiti affidatigli (27). 
Tornando alla competenza fondamentale, al nucleo centrale, occorre ri- 
(23) Ibidem, p. 4. 
(24) A titolo di esempio era stato censurato l�art. 2, comma 2, relativo all�istituzione di un elenco 
di aziende subappaltatrici, l�art. 11, comma 1 sull�obbligo di redazione del piano di sicurezza per lavori 
di importo superiore ad � 150.000 ed il gi� menzionato art. 2 nelle parti in cui si prevedono le funzioni 
di vigilanza della S.U.A. (v. ibidem, p. 2). 
(25) Art. 2, comma 3, lett. n). 
(26) Ibidem, p. 4. 
(27) Lo stesso Presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero, nel corso di un�audizione presso 
la Commissione parlamentare d�inchiesta sul fenomeno della mafia, tenutasi il 17 novembre 2009, ha
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 211 
levare che la legge in esame fa obbligo di ricorso alla S.U.A. agli uffici della 
Regione, agli enti, aziende, organizzazioni ed organismi da essa diretti o vigilati 
o ad essa collegati, agli enti del servizio sanitario regionale ed alle societ� 
miste in maggioranza regionale. 
Per gli altri enti pubblici della Calabria � prevista la possibilit� di ricorso 
alla S.U.A. in regime di convenzione. 
Non � sancita l�estensione dell�obbligo in questione agli uffici del Consiglio 
regionale ma, a norma dell�art. 15, comma 3, l�Assemblea pu� affidare 
singole fattispecie alla S.U.A. (28). 
Gli organi della Stazione Unica Appaltante sono il Direttore Generale ed 
il Comitato di Sorveglianza. 
Il Direttore Generale deve essere in possesso di una particolare qualificazione 
che pu� essere relativa alla pregressa esperienza di dirigente della 
Pubblica Amministrazione, di docente universitario, di avvocato dello Stato, 
di magistrato, di libero professionista. 
Il Comitato di sorveglianza, nominato dal Presidente della Giunta, � composto 
da cinque membri, di cui due appartenenti alla magistratura contabile 
od amministrativa. 
Si prevede, inoltre, che il regolamento definisca forme di coinvolgimento 
del Ministero dell�Interno e delle relative strutture periferiche nell�attivit� della 
SUA. Si tratta di una norma di principio che sinora ha avuto difficolt� di applicazione 
nella concreta esperienza che si � venuta ipotizzando. 
Per venire, infine, alla specifica attivit� della S.U.A., in quello che � stato 
definito il �nucleo duro�, si rinvengono evidenti profili di similitudine, anche 
se non di uguaglianza, tra la S.U.A. regionale e le esperienze promosse dalle 
prefetture. 
Alla S.U.A. sono attribuite, dall�art. 2, una serie di specifiche competenze 
che sono relative alla collaborazione con l�Ufficio proponente per l�individuazione 
del procedimento opportuno e per la redazione dei necessari atti di gara, 
all�espletamento di tutti gli incombenti di gara fino all�aggiudicazione definitiva. 
Rimangono affidate all�Ente proponente le competenze specifiche del 
R.U.P. e la stipula del contratto (29). 
Mentre nel rodato meccanismo delle stazioni uniche appaltanti d�ispirarilevato 
che la nuova struttura � oberata di lavoro in quanto i suoi compiti sono delicati e richiedono 
prolungata attenzione (Commissione parlamentare d�inchiesta sul fenomeno della mafia, Resoconto stenografico 
della 31^ seduta:marted� 17 novembre 2009, in www.parlamento.it). 
(28) SDANGANELLI, cit., p. 5. La previsione in questione non ha mancato di suscitare perplessit� 
in dottrina non apparendo sufficiente giustificazione la piena autonomia dell�amministrazione consiliare. 
(29) Lo SDANGANELLI esprime perplessit� sulla permanenza della competenza alla stipula del contratto 
in capo all�ente originario in quanto ritiene che si sia costituito un indesiderato effetto navetta che 
potrebbe pregiudicare le finalit� di buon andamento sottese alla normativa in esame (ibidem, p. 6)
212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
zione prefettizia, l�Ufficio unico si pone solo come articolazione interna convenzionata 
che sostiene il lavoro di R.U.P. e dirigente ma non si sostituisce 
nell�espletamento delle funzioni amministrative ad essi attribuite, nella S.U.A. 
regionale si assiste ad una vera e propria delegazione, da parte dell�Ufficio 
proponente, di competenze funzionali proprie degli uffici committenti. Ed infatti, 
l�art. 6, comma 6, qualifica l�aggiudicazione definitiva, tipicamente affidata 
all�Ente appaltante, come �adempimento dell�attivit� di delegazione�. 
A seguito di ci�, il procedimento torna all�Ente proponente. 
Anche il sistema di finanziamento, definito all�art. 10, � simile a quello 
previsto per le Stazioni uniche appaltanti provinciali e consiste nell�accantonamento, 
a tali fini, dell�1% dell�importo posto a base dei singoli provvedimenti 
di gara. 
Particolarmente significativo � il rilievo della S.U.A. nell�ambito del 
piano regionale di riqualificazione del Servizio Sanitario, approvato con delibera 
di Giunta regionale 10 settembre 2009, n. 585. 
In quell�importante sede, in cui l�Ente Regione definisce la strategia per 
la revisione del settore sanitario interessato da gravi problematiche, si attribuiscono 
alla Stazione Unica Appaltante funzioni di definizione e monitoraggio 
del budget di spesa per gli acquisti, di acquisizione delle forniture in forma 
aggregata, di implementazione di piattaforme di e-procurament e di realizzazione 
di osservatori dei prezzi e diffusione di sistemi di benchmarking. 
Sostanzialmente, l�Ufficio unico viene chiamato alla funzione di vera e 
propria centrale di committenza allo scopo di razionalizzare la spesa e produrre 
risparmi. 
Nello stesso documento pianificatorio, infine, si da atto che tali attivit� 
erano gi� state espletate con riguardo alla fornitura di vaccini antinfluenzali 
per la campagna 2009. 
Da ultimo, in tema di legislazione regionale, si deve far cenno anche all�istituzione 
della S.U.A. nella normativa della Campania. 
L�art. 60 della L.R. 30 giugno 2008, n. 1, legge finanziaria per la Campania, 
ha infatti istituito presso gli uffici del genio civile di ogni provincia, d�intesa 
con le prefetture competenti per territorio, una stazione unica appaltante. 
Ad essa, i Comuni possono trasferire le procedure d�appalto per lavori superiori 
ad � 250.000,00. 
3. Gruppi interforze e grandi opere 
L�ulteriore, rilevante, tendenza, in tema di strutture organizzative dirette 
a prevenire le infiltrazioni mafiose nel settore degli appalti si muove, per cos� 
dire, a valle della conclusione dei procedimenti negoziali. Si tratta dell�istituzione 
di gruppi interforze che hanno la funzione di effettuare verifiche antimafia 
dirette a rendere applicabili le ostativit� di cui all�art. 10 del D.P.R.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 213 
252/98 e, pi� in generale, delle cautele antimafia previste dall�ordinamento 
vigente. 
In quest�ambito, la matrice della struttura in esame � da individuare nella 
legislazione sulle grandi opere. Essa prende le mosse dalla L. 21 dicembre 
2001, n. 443 (la c.d. legge - obiettivo) che si prefiggeva di definire una disciplina 
specifica per le grandi opere, in modo tale da semplificarne la realizzazione, 
prevedendo, in particolare la figura del contraente unico o �general 
contractor�. 
In tale contesto, peraltro, allo scopo di evitare che le misure semplificatrici 
potessero rendere pi� agevole l�azione di infiltrazione della criminalit� 
organizzata si era posta attenzione all�individuazione di specifiche misure di 
contrasto. 
Cos�, con il Decreto legislativo attuativo della delega contenuta nella L. 
443/2001, il n. 190/2002, si prevedeva, all�art. 15, comma 5, che con provvedimento 
del Ministro dell�Interno, di concerto con i Ministri della Giustizia e 
delle Infrastrutture e dei Trasporti, si individuassero le procedure per il monitoraggio 
delle infrastrutture ed insediamenti industriali, per la prevenzione e 
repressione dei tentativi di infiltrazione. La norma in questione � stata poi inclusa 
nel D.L. vo 163/2006 (codice dei contratti pubblici), all�art. 180, comma 
2. 
Ad essa � stata data attuazione con il D.M. 14 marzo 2003 che ha disposto 
un complesso sistema organizzativo volto a dare corpo alla norme indicate. 
In realt�, l�opzione costruita con il citato decreto ministeriale non era 
scontata ed anzi, si � obiettato in dottrina che la scelta normativa contenuta 
all�art. 15, comma 5 della menzionata fonte legislativa attenesse alla mera definizione 
di procedure per il monitoraggio, senza lasciare intendere la necessit� 
di costituire nuovi soggetti (30). 
Il sistema disegnato dal decreto che qui si rammenta prevede una struttura 
bipolare governata dal principio di leale collaborazione, da un lato, e dal criterio 
dell�accentramento dall�altro (31). 
Infatti, la base della struttura � costituita da una rete di monitoraggio, con 
ampia partecipazione, in cui, accanto alle amministrazioni centrali interessate, 
compaiono gli enti territoriali, le amministrazioni periferiche ed anche le imprese 
aggiudicatarie. 
Il vertice accentrato del sistema � invece costituito dal Comitato di coordinamento 
per l�alta sorveglianza delle grandi opere cui corrisponde in periferia, 
il gruppo interforze. 
Il Comitato di coordinamento per l�alta sorveglianza delle grandi opere � 
(30) LACAVA, L�alta sorveglianza delle grandi opere: quali strutture e quali procedure?, in Giornale 
Dir. Amm., 2005, 1, p.105. 
(31) Ibidem.
214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
costituito a norma dell�art. 3 del D.M. 14 marzo 2003 ed ha una composizione 
mista con rappresentanti del Ministero dell�Interno, delle Infrastrutture e dei 
Trasporti e dell�Economia e delle Finanze, della Direzione Nazionale Antimafia 
e dell�Autorit� per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (32). L�ambito di 
interesse delle procedure di monitoraggio � definito all�art. 1 del decreto in 
commento e riguarda le aree territoriali ove devono essere realizzate le opere, 
la tipologia dei lavori e la qualificazione delle imprese, le procedure di affidamento 
e subaffidamento dei lavori, gli assetti societari e le rilevazioni effettuate 
nei cantieri. 
A livello provinciale, i gruppi interforze (33) costituiti presso le prefetture, 
che lavorano in collegamento con la D.I.A., svolgono attivit� di monitoraggio 
anche attraverso accessi ispettivi sui cantieri diretti a verificare il rispetto della 
normativa in materia di lavoro; un particolare riguardo � offerto alla sicurezza 
fisica dei lavoratori, argomento tragicamente sempre presente nelle cronache 
italiane, che nel percorso sin qui tracciato dal settennato del Presidente Napolitano 
ha trovato una rinnovata costante centralit� ed una imbarazzante, tuttora 
poco efficace, risposta. 
A questo punto occorre chiedersi quale sia l�attivit� concreta che il Comitato 
di coordinamento debba svolgere e la risposta � rinvenibile all�art. 3 
del decreto che individua tre funzioni: l�analisi integrata dei dati, il supporto 
dell�attivit� dei prefetti sul territorio, l�esame congiunto delle segnalazioni. 
In sostanza, dunque, la previsione del Comitato di coordinamento e dei 
gruppi interforze provinciali ha la finalit� di professionalizzare e specializzare 
l�attivit� di verifica antimafia. 
In altri termini, � una soluzione di carattere organizzativo diretta a realizzare 
effettivamente ed approfonditamente l�applicazione della normativa in 
materia di prevenzione antimafia negli appalti, nella sua versione attuale, recata 
dal D.P.R. 252/1998. L�esigenza muove dalla peculiarit� delle grandi 
opere e costituisce anche l�implicita ammissione dei limiti del quadro strutturale 
nell�azione preventiva. 
(32) Del Comitato fanno parte: 
� tre componenti in rappresentanza del Ministero dell�Interno, di cui uno della Direzione Investigativa 
Antimafia; 
� tre componenti designati dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti; 
� tre componenti del Ministero dell�Economia e delle Finanze; 
� due componenti della Direzione Nazionale Antimafia; 
� due componenti dellAutorit� per la Vigilanza sui Lavori Pubblici. 
I componenti sono stati nominati con D.M. 24 giugno 2004. 
(33) Ai sensi dell�art. 5, comma 3, D.M. 14 marzo 2003, i gruppi provinciali interforze sono coordinati 
da un funzionario della prefettura e composti da un funzionario della Polizia di Stato, da un ufficiale 
dell�Arma dei Carabinieri, da un ufficiale della Guardia di Finanza, da un rappresentante del 
Provveditorato alle opere pubbliche, da un rappresentante dell�Ispettorato del lavoro e da un funzionario 
della D.I.A.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 215 
Ne � conferma l�assetto pi� generale che si accompagna all�istituzione 
degli organi sopra indicati e che prevede, tra l�altro, l�obbligo del soggetto aggiudicatario 
di stipulare appositi accordi con le autorit� di pubblica sicurezza 
finalizzati alla verifica preventiva del programma di esecuzione dei lavori per 
poter consentire il monitoraggio di tutte le fasi di esecuzione dei lavori e dei 
soggetti che le realizzano (34). 
Dalle analisi del Comitato � sorta l�esigenza di estendere il controllo 
anche per i contratti che non sarebbero sottoposti, in ragione del loro importo, 
allo specifico regime informativo di cui all�art. 10 del D.P.R. 252/1998, per 
consentire una tutela avanzata dell�interesse pubblico al contrasto delle infiltrazioni 
criminose. 
Da qui � sorta la prassi dei protocolli di legalit� con i quali l�impresa aggiudicataria 
si assoggetta a verifiche antimafia per qualunque importo, anche 
per eventuali sub - appalti, provvedendo ad estendere alle imprese sub-contraenti 
tale vincolo per via civilistica (35). 
L�archetipo degli organi di cui al D.M. 14 marzo 2003 conosce diverse 
filiazioni e, proprio per tale ragione, costituisce la matrice di una delle grandi 
direttrici dell�azione pubblica in materia di strutture per la prevenzione antimafia 
negli appalti. 
A seguito dell�evento sismico de L�Aquila, allo scopo di fronteggiare 
l�emergenza ricostruzione in Abruzzo e di garantire la trasparenza nei relativi 
appalti, sono stati costituiti, conformemente alla previsione di cui all�art. 16 
del Decreto Legge del 28 aprile 2009, n. 39 e del successivo Decreto Interministeriale 
del 3 settembre 2009, la Sezione Specializzata del Comitato di Coordinamento 
per l�Alta Sorveglianza delle Grandi Opere presso la Prefettura 
de L�Aquila (36) ed il Gruppo Interforze Centrale per l�Emergenza e Ricostruzione 
- GICER, istituito presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza. 
Il primo organo garantisce il coordinamento e l�unit� di indirizzo di tutte le 
attivit� finalizzate alla prevenzione di infiltrazioni della criminalit� organizzata, 
in stretto raccordo sia con il Comitato di Coordinamento per l�Alta Sorveglianza 
delle Grandi Opere sia con il G.I.C.E.R. Quest�ultimo svolge 
(34) LACAVA, cit. 
(35) Ibidem. 
(36) L�organismo � coordinato dal Prefetto di quella provincia, ed � composto da: 
� un rappresentante della Prefettura de L�Aquila; 
� un rappresentante del Dipartimento della P.S.; 
� un rappresentate della Direzione Nazionale Antimafia; 
� un rappresentante del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 
� un rappresentante dell�Autorit� per la Vigilanza dei Contratti Pubblici; 
� un rappresentante della Regione Abruzzo; 
� un rappresentante della Provincia de L�Aquila; 
� un rappresentante del Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche; 
� un rappresentante della Direzione Regionale dei Beni Culturali e Paesaggistici dell�Abruzzo.
216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
compiti di monitoraggio ed analisi delle informazioni concernenti: 
� le verifiche antimafia e i risultati dei controlli presso i cantieri interessati 
alla ricostruzione di opere pubbliche, effettuati dal gruppo interforze istituito 
presso la Prefettura de L�Aquila; 
� le attivit� legate al cosiddetto �ciclo del cemento�, con conseguente 
mappatura delle cave limitrofe al territorio interessato dal sisma; 
� le attivit� di stoccaggio, trasporto e smaltimento dei materiali provenienti 
dalle demolizioni sul territorio interessato dal sistema; 
� i trasferimenti di propriet� di immobili e beni aziendali, al fine di verificare 
eventuali attivit� di riciclaggio ovvero concentrazioni o controlli da 
parte di organizzazioni criminali (37). 
Un altro importante esempio di applicazione del sistema in questione � 
relativo al caso dell�Esposizione Universale di Milano 2015 (38) per la quale, 
con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, in data 22 ottobre 2008, 
sono stati individuati gli organi e soggetti competenti a porre in essere gli interventi 
necessari per la realizzazione della manifestazione (39). La gestione 
dell�evento � stata affidata alla �Societ� di gestione Exp� Milano 2015 S.p.A.�. 
Il tema della prevenzione e contrasto di possibili infiltrazioni di sodalizi 
criminosi negli appalti � apparso particolarmente sensibile nel dibattito sull�argomento 
e ci� ha prodotto, allo stato, diverse soluzioni organizzative, non 
sempre supportate da un disegno complessivo. 
In primo luogo, la particolare sensibilizzazione delle autorit� provinciali 
di pubblica sicurezza ha dato luogo ad un protocollo d�intesa, stipulato il 31 
luglio 2009, tra il Presidente della Regione, il Prefetto di Milano e soggetti 
imprenditoriali, teso a rendere trasparenti gli appalti con clausole contrattuali 
che ripetono il contenuto di analoghi atti, dirette ad impegnare le imprese a 
denunciare ogni richiesta illecita e ad estendere le verifiche antimafia anche 
ai sub-appalti. 
E� stato, inoltre, costituito un �Comitato per la legalit� e la trasparenza 
(37) Il G.I.C.E.R. � coordinato da un dirigente delle Forze di polizia in servizio presso la Direzione 
Centrale della Polizia Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, designato dal Capo della 
Polizia � Direttore Generale della Pubblica Sicurezza. E� composto da: 
� un funzionario e due appartenenti ai ruoli non direttivi della Polizia di Stato; 
� un ufficiale e due marescialli dell�Arma dei Carabinieri; 
� un ufficiale e due marescialli della Guardia di Finanza; 
� un funzionario e due appartenenti ai ruoli non direttivi del Corpo Forestale dello Stato; 
� un funzionario e due appartenenti ai ruoli non direttivi della Direzione Investigativa Antimafia; 
� quattro appartenenti ai ruoli non direttivi per il supporto logistico ed informatico della Direzione Centrale 
della Polizia Criminale. 
(38) L�Esposizione universale, sul tema �Nutrire il Pianeta, energia per la vita�, si svolger� a Milano 
dal 1� maggio al 31 ottobre 2015. 
(39) Sono stati previsti il Commissario Straordinario Delegato del Governo per l�Exp� 2015 
(CO.S.DE), la Commissione di Coordinamento per le Attivit� connesse all�Exp� (COEM) ed il Tavolo 
istituzionale per il governo complessivo degli interventi regionali e sovraregionali.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 217 
delle procedure regionali�, con il quale si vuole svolgere un�azione di vigilanza 
preventiva per gli appalti di competenza regionale. I risultati dell�analisi del 
Comitato andranno a beneficio di dirigenti regionali, attraverso giornate di 
formazione, e degli imprenditori che saranno destinatari di un vademecum. 
Il target del Comitato in questione �, all�evidenza, pi� a monte delle tendenziali 
verifiche antimafia e, in qualche modo, risponde ad un�esigenza simile 
a quella che ha dato luogo alle stazioni uniche appaltanti e cio� quella di fare 
in modo che le procedure di selezione del contraente siano trasparenti, efficienti 
e di ostacolo ad eventuali infiltrazioni. Non appare casuale che, nell�ambito 
del Comitato in questione, sieda il Commissario della S.U.A. della 
Regione Calabria. 
Ancora, � stato istituito un �Tavolo istituzionale per il governo complessivo 
degli interventi regionali e sovraregionali� presieduto dal Presidente della 
Regione Lombardia e con composizione mista. 
Da ultimo, con decreto interministeriale del 23 dicembre 2009, presso la 
Prefettura di Milano, � stata costituita la Sezione specializzata del Comitato 
per l�Alta Sorveglianza delle Grandi Opere (40), alla quale sono conferite le 
funzioni proprie del Comitato, ed un Gruppo Interforze Centrale per l�Exp� 
2015 (G.I.C.EX.) (41), istituito presso il Ministero dell�interno � Dipartimento 
della Pubblica Sicurezza, con il compito di svolgere analisi in materia di verifiche 
antimafia e sui cantieri, sulle attivit� di movimentazione ed escavazione 
terra, di smaltimento dei rifiuti e di passaggi proprietari tra aziende. Rimane, 
infine, operativo il gruppo interforze provinciale di cui al D.M. 13 ottobre 
2003.
Si tratta, come � evidente, di un quadro articolato e complesso, che sembra 
rispondere a tre esigenze diverse. 
La prima � relativa alle verifiche antimafia sulle aziende aggiudicatarie, 
la seconda riguarda la correttezza ed efficienza dei procedimenti di gara, la 
terza � relativa al governo della complessit� ed all�armonizzazione degli interventi 
di natura preventiva. 
(40) La Sezione, coordinata dal Prefetto di Milano, � composta da: 
� un esperto nella materia; 
� un rappresentante della Prefettura; 
� un rappresentante del Dipartimento della Pubblica Sicurezza; 
� un rappresentante della Direzione Nazionale Antimafia; 
� un rappresentante del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti; 
� un rappresentante dell�Autorit� di Vigilanza sui Contratti Pubblici; 
� un rappresentante del Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche. 
(41) E� coordinato da un dirigente della Direzione Centrale della Polizia Criminale del Dipartimento 
della Pubblica Sicurezza e composto da funzionari ed ufficiali del menzionato Ufficio, della Direzione 
Investigativa Antimafia, della Polizia di Stato, dell�Arma dei Carabinieri e della Guardia di 
Finanza.
218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
4. Il monitoraggio dei flussi finanziari negli appalti 
Sotto il profilo sostanziale, i protocolli di legalit� che, come si � detto, 
costituiscono una delle estrinsecazioni delle linee generali in materia di monitoraggio 
antimafia dell�esecuzione degli appalti pubblici, riservano ormai 
costantemente alcune disposizioni alla tracciabilit� dei flussi finanziari. 
Non vi � dubbio, infatti, che una sempre pi� efficace azione di contrasto 
alla criminalit� organizzata richieda anche l�approntamento di concrete azioni 
contro il riciclaggio dei proventi di attivit� illecite (42) e che, in tale ambito, 
rivesta particolare rilievo la limitazione dell�uso di contante e l�utilizzo degli 
intermediari finanziari autorizzati, presso cui fare confluire i dati sui soggetti 
delle transazioni e sulle relative entit� (43). 
Proprio in tale direzione, i pi� recenti sviluppi della legislazione antiriciclaggio 
hanno definito un corpus legislativo di norme dirette a limitare l�uso 
del contante fissando una soglia massima oltre la quale tale modalit� di pagamento 
� vietata (44) e sancendo l�obbligo di identificazione dei soggetti interessati 
(45). 
La rilevanza del monitoraggio dei flussi finanziari trova, inoltre, una sua 
base giuridica di livello europeo nel Programma dell�Aja: �Rafforzamento 
delle liberta�, della sicurezza e della giustizia nell�Unione Europea�(46). 
Il �Programma dell�Aja� adottato dal Consiglio europeo il 4 e 5 novembre 
2004, � il documento fondamentale che individua le dieci priorit� d�azione nel 
settore libert�, sicurezza e giustizia per il successivo quinquennio. 
In tale contesto, al capitolo 2, �Rafforzamento della sicurezza�, nell�individuare 
le azioni da porre in essere in funzione anti-terrorismo, si evidenzia 
come il Consiglio europeo ritenga opportuno migliorare l�efficienza degli strumenti 
definiti, con particolare riguardo al controllo dei flussi finanziari sospetti. 
In altri termini, e sotto un diverso profilo, si � rilevato come la lotta al riciclaggio 
ed al finanziamento del terrorismo costituisca un presidio fondamentale 
per la tutela dell�integrit� del sistema economico-finanziario (47). Ed 
infatti, l�analisi dell�andamento del fenomeno, ha consentito di verificare un 
(42) KROGH, Le novit� introdotte dal D.L. 112/1998 alle limitazioni all�uso del contante e dei 
titoli al portatore, in Notariato, 2008, 5, p. 540. 
(43) Il Governatore della Banca d�Italia, nell�audizione tenuta presso la Commissione parlamentare 
antimafia, ha rilevato che l�Italia si distingue in Europa per lo scarso ricorso a mezzi di pagamento 
diversi dal contante: 62 per abitante nel 2006 a fronte di 150 nell�Eurosistema nel 2004, ibidem. 
(44) Art. 49, D.L.vo n. 231/2007. 
(45) PISANI, Antiriciclaggio: gli obblighi di identificazione e conservazione delle informazioni 
per gli intermediari finanziari, in Fisco, 2006, 25, p. 3842. 
(46) Gazzetta Ufficiale Unione Europea, n. c55 del 3 marzo 2005. 
(47) TARANTOLA, Il contributo della Banca d�Italia nella lotta al riciclaggio, in www.bancaditalia.it, 
2010, p. 3.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 219 
tendenziale incremento dell�impegno di capitali provenienti da attivit� illecite 
in imprese economiche del circuito legale, con conseguenti fenomeni di distorsione 
della concorrenza ed aumento di influenza e potere dei gruppi criminali 
(48). 
Partendo da tali premesse, l�argomento della tracciabilit� dei flussi finanziari 
ha avuto un notevole approfondimento nell�azione di prevenzione delle 
infiltrazioni criminali nei contratti pubblici. Appare palese, infatti, che la trasparenza 
della movimentazione finanziaria, sia in uscita che in entrata del bilancio 
dei principali soggetti attori dei rapporti negoziali, costituisca un valido 
deterrente, se coerentemente attuata (49). 
In questo ambito, notevole � stata l�attivit� del Comitato di alta sorveglianza 
sulle grandi opere (C.A.S.G.O.) istituito presso il Ministero dell�Interno 
che, fin dal 2005 ha avviato una riflessione sul tema, con la 
collaborazione dell�Ufficio Italiano Cambi, in ragione della specifica competenza 
attribuita a tale organismo in materia di antiriciclaggio, che ha avuto un 
primo momento di applicazione nel protocollo d�intesa sottoscritto il 2 agosto 
2005 tra il C.A.S.G.O. e la Societ� concessionaria, con riguardo alla realizzazione 
del ponte sullo Stretto di Messina (50). 
Successivamente, il sistema di monitoraggio della tracciabilit� finanziaria 
ha avuto un ulteriore sviluppo con le linee guida, emanate dal C.A.S.G.O. ai 
sensi dell�art. 176, comma 3, lett. e) del D.L.vo. 163/2006, concernenti i lavori 
di realizzazione di un tratto della linea C della metropolitana di Roma. La predetta 
norma del Codice dei contratti pubblici, cos� come modificata dall�art. 
3, comma 1, lett. l) del D.L.vo n. 113/2007, ha demandato al C.I.P.E. il compito 
di definire i contenuti degli accordi in materia di sicurezza e di prevenzione e 
repressione della criminalit� sulla base di linee guida indicate dal C.A.S.G.O., 
prevedendo una specifica ed autonoma rilevanza per il monitoraggio dei flussi 
finanziari connessi alla realizzazione dell�opera. 
In conseguenza di ci�, il C.I.P.E., con delibera n. 50 del 27 marzo 2008, 
sulla base delle proposte avanzate dal C.A.S.G.O., ha approntato un primo nucleo 
di misure di monitoraggio per l�opera sopra menzionata che prevede l�obbligo 
di pagamento tramite bonifici, con indicazione del Codice Unico di 
Progetto (C.U.P.), e di utilizzo di conti dedicati. 
Dopo una prima sperimentazione, il C.A.S.G.O. ha rilevato la necessit� 
di supportare l�attivit� di monitoraggio con un apparato sanzionatorio, al fine 
(48) Per una ricostruzione delle iniziative antiriciclaggio in chiave internazionale, ibidem, p. 5 e 
ss. 
(49) MICONI, Vigilanza, monitoraggio finanziario e white-list nella ricostruzione post sisma del 6 
aprile 2009, in www.veneziastudisrl.it, 2009, p. 7. 
(50) FRATTASI, Le infiltrazioni della mafia nel sistema dei pubblici appalti: l�esperienza del Comitato 
interministeriale di coordinamento presso il Ministero dell�Interno per l�alta sorveglianza sulle 
gradi opere pubbliche, in www.csm.it, 2006, p. 16.
220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
di incrementarne la cogenza (51) e, conseguentemente, il C.I.P.E., con delibera 
n. 107 del 18 dicembre 2008, ha definito un complesso di clausole civilistiche 
sanzionatorie da inserire nei contratti e subcontratti stipulati con l�appaltante. 
In particolare, si prevedeva l�inserimento di una clausola risolutiva 
espressa da attivare in caso di violazione dell�obbligo di ricorso ad intermediari 
abilitati, ai sensi del D.L.vo n. 231/2007, con l�ulteriore conseguenza dell�applicazione 
di una penale a carico del soggetto inadempiente. Si fissavano, inoltre, 
le misure di penali per i casi di inosservanza dell�obbligo di utilizzo dei 
conti dedicati e di pagamento attraverso bonifico. Per le fattispecie in questione, 
al contraente non inadempiente si attribuiva un onere di informazione 
nei confronti della Direzione Investigativa Antimafia (52). 
Il punto di approdo del �know-how� in materia di tracciabilit� dei flussi 
finanziari relativi alla realizzazione di gare pubbliche � oggi data dall�esperienza 
degli interventi successivi al terremoto in Abruzzo del 6 aprile 2009. 
In quel contesto, l�art. 16 del D.L. 28 aprile 2009, n. 39, convertito con 
legge 24 giugno 2009, n. 77, detta le norme di prevenzione delle infiltrazioni 
criminali e, nello specifico, il comma 5 prevede la tracciabilit� dei flussi finanziari 
per due categorie distinte: 
1. i contratti pubblici, con i relativi subcontratti, aventi ad oggetto lavori, 
servizi e forniture; 
2. le erogazioni di provvidenze pubbliche (53). 
Le misure in questione sono state oggetto di specifiche linee guida elaborate 
dal C.A.S.G.O., oggetto del comunicato del Ministero dell�Interno in 
data 8 luglio 2009 (54), che meritano di essere analizzate puntualmente proprio 
perch� costituiscono, come detto, l�attuale stato degli strumenti in subiecta 
materia. 
Preliminarmente, occorre precisare che le misure in questione attengono 
al progetto C.A.S.E. (complessi antisismici sostenibili eco-compatibili), prima 
fase degli interventi di ricostruzione post-sismica (55). Ai soggetti aggiudicatari 
� fatto obbligo di un primo ed importante adempimento, ai fini della razionalizzazione 
del sistema, che consiste nella realizzazione di un archivio 
informatico relativo all�anagrafe degli esecutori che deve contenere, tra l�altro, 
indicazione del conto dedicato. 
Proprio lo strumento da ultimo indicato, il conto dedicato, � l�architrave 
del sistema di monitoraggio finanziario. Tutti i soggetti imprenditoriali e gli 
operatori economici che intervengono negli ambiti stabiliti dalla norma devono 
accendere un conto corrente, postale o bancario, dedicato al progetto C.A.S.E. 
(51) C.I.P.E., Deliberazione 18 dicembre 2008, in G.U. 14 marzo 2009, n. 61. 
(52) Ibidem. 
(53) MICONI, cit., p. 7. 
(54) Pubblicato su G.U. 8 luglio 2009, n. 159. 
(55) Ibidem.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 221 
Sui conti in questione devono transitare tutti gli incassi e pagamenti da e 
verso altri conti dedicati e quindi relativi, a mero titolo d�esempio, ai noli a 
freddo e a caldo, a definite tipologie di forniture, ai trasporti, al movimento 
terra ed allo smaltimento dei rifiuti. Inoltre, sul medesimo conto devono necessariamente 
essere appoggiate le transazioni finanziarie anche verso conti 
non dedicati e relativi, in via di esemplificazione, a stipendi, contributi previdenziali 
e pagamenti di pubblici servizi (56). 
Sono esenti dall�obbligo di utilizzo del conto dedicato le piccole spese 
giornaliere, legate al funzionamento del cantiere, ciascuna di importo inferiore 
o uguale a � 500,00. I conti devono essere aperti esclusivamente presso intermediari 
abilitati di cui al decreto legislativo n. 231/2007. E� in ogni caso fatto 
divieto di utilizzo del contante ed � suggerito l�uso di bonifico bancario, postale 
ed on-line (57). Nella causale del bonifico andr� evidenziato il codice 
unico di progetto (C.U.P.). 
Il sistema, come si nota, si fonda su una serie di obblighi di natura civilistica 
che devono essere introdotti nei contratti e subcontratti attraverso specifiche 
clausole che rinvengono la propria matrice nel bando di gara. 
Conseguentemente, le linee guida, a supporto degli strumenti di monitoraggio, 
prevedono articolate sanzioni. Il comportamento pi� grave � individuato 
nella violazione dell�obbligo di avvalersi di intermediari abilitati e ci� 
comporta la risoluzione del contratto e l�applicazione di una penale pari al 
10% della transazione. L�inadempimento dell�obbligo di utilizzo del conto dedicato 
comporta l�applicazione di una penale pecuniaria commisurata al 5% 
dell�operazione (58). 
La prassi amministrativa venutasi a creare, nel modo descritto, anche attraverso 
puntuali interventi legislativi, nelle intenzioni del legislatore dovrebbe 
ora divenire norma generale per tutti i contratti pubblici. 
Infatti, il disegno di legge delega (59) presentato dal Governo in esecuzione 
del Piano straordinario contro le mafie (Atto Camera C3290), prevede 
l�introduzione nell�ordinamento legislativo del principio generale dell�obbligatoriet� 
dell�utilizzo dei conti dedicati (60) e del pagamento tramite bonifici 
bancari o postali, che devono contenere l�indicazione del codice C.U.P., per 
tutti i soggetti imprenditoriali interessati, a qualsiasi titolo, a lavori, servizi e 
(56) MICONI, cit., p. 8. 
(57) Ibidem. 
(58) Nel sistema di monitoraggio previsto dal protocollo d�intesa per la linea C della metropolitana 
di Roma, l�A.B.I. ed il C.B.I., organismi bancari nazionali ed internazionali, assicuravano la centralizzazione 
di tutti i movimenti finanziari. Per la ricostruzione post-sisma, invece, non essendovi tale partecipazione, 
la consultazione delle informazioni in questione deve essere effettuata presso tutti gli istituti 
bancari interessati (v. MICONI, cit., p. 8). 
(59) Attualmente all�esame della II^ Commissione permanente � Giustizia. 
(60) Gli estremi identificativi devono essere comunicati alla stazione appaltante entro sette giorni 
dall�accensione.
222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
forniture pubbliche. 
Nel disegno di legge, sono esclusi dall�obbligo i pagamenti relativi ad 
oneri tributari, previdenziali, assicurativi ed istituzionali, quelli a favore di gestioni 
e forniture di pubblici servizi nonch� le spese generali purch� inferiori 
al tetto giornaliero di � 500,00. La disciplina sulla tracciabilit� dei flussi finanziari, 
nell�emananda norma, ha il carattere dell�inderogabilit� e la mancata 
inclusione nei contratti e nei subcontratti sar� sanzionata con la nullit� assoluta 
(61). 
5. Conclusioni 
Nella strategia organizzativa di prevenzione nel settore degli appalti pubblici, 
si sono andati affermando, nell�ultimo decennio, due istituti specifici, la 
Stazione Unica Appaltante ed i Gruppi Interforze per la sorveglianza delle 
grandi opere (62). 
Non si � trattato, peraltro, di un disegno preordinato trasfuso in un tessuto 
normativo organico ma, come si � tentato di dimostrare, di un processo altalenante, 
non scevro di contraddizioni, eppure fortemente diretto ad un�affermazione 
delle strutture indicate nella prassi amministrativa. 
Tutto ci� appare sorretto da alcuni aspetti fortemente positivi degli organismi 
descritti che hanno dato luogo, a seguito delle prime sperimentazioni, a 
repliche diffuse. 
Per ci� che concerne la Stazione Unica Appaltante, essa � tuttora, a distanza 
di tre anni dall�attuazione del primo esperimento crotonese, ritenuta 
uno standard innovativo e funzionale nel contesto delle infiltrazioni criminali 
negli appalti pubblici (63) ed ha dimostrato una specifica efficacia nell�allontanare 
il luogo delle decisioni dagli ambiti ove maggiormente poteva esplicarsi 
il tentativo di pressione criminale per portarlo in un ambiente contraddistinto 
dalla massima professionalizzazione, cui � diretta l�attenzione delle Forze di 
polizia (64). 
(61) V. Relazione illustrativa al disegno di legge recante �Piano straordinario contro le mafie, 
nonch� delega al Governo in materia di normativa antimafia�, in www.giustizia.it. 
(62) BUCCHIERI, Scacco alla mafia economy, in www.poliziamoderna.it, dicembre 2009. L�Autore 
evidenzia come i gruppi interforze costituiscano ormai uno strumento rodato del Dipartimento della 
Pubblica Sicurezza mentre invece la stazione unica appaltante costituisca un modello di cooperazione 
interistituzionale da affinare. 
(63) Significativa, al riguardo, la discussione sviluppatasi sul tema nell�ambito dell�audizione al 
Presidente della Regione Calabria, Loiero, in sede di Commissione parlamentare antimafia, avvenuta il 
17 novembre 2009. In quel contesto, le valutazioni dei commissari e della stessa personalit� audita, pur 
in pi� punti contraddistinte da diverse posizioni, convergevano nell�attestare l�efficacia della stazione 
unica appaltante (v. Commissione parlamentare d�inchiesta sul fenomeno della mafia, cit.). 
(64) L�adesione alla Stazione Unica Appaltante � stata utilizzata anche come argomento per segnalare 
una volont� di contrasto alle infiltrazioni criminali nell�ambito di due processi amministrativi 
proposti avverso il provvedimento di scioglimento degli organi ordinari del Comune di Amantea, emesso
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 223 
In altri termini, il risultato fondamentale della Stazione Unica Appaltante 
� quello di aver ricondotto ad un�unica struttura tendenzialmente tutti gli appalti 
di lavori, servizi e forniture e, per questa via, reso possibile un monitoraggio 
non dispendioso, completo ed efficace. Per ci� che riguarda il �nucleo 
duro incontestato� della S.U.A. (65) il giudizio favorevole, legato anche ai risultati 
in termini di efficienza e competenza, pu� ritenersi acquisito. 
In particolare, si fa riferimento ad un ufficio cui � affidato, in via di volontaria 
adesione o per previsione normativa, lo svolgimento del procedimento 
di gara, dalla predisposizione degli atti di indizione fino all�aggiudicazione 
(provvisoria o definitiva, a seconda dei due modelli fin qui affermatisi, quello 
di origine prefettizia e quello della Regione Calabria). 
Pi� meditato deve essere invece il giudizio relativamente a competenze 
ulteriori che sempre sono state affidate alla S.U.A., dal monitoraggio sull�esecuzione 
dei lavori, alla vigilanza su tutti i contratti pubblici in un dato territorio 
(66).
Al riguardo, si � ritenuto, non senza ragione che l�accostamento di funzioni 
promiscue attive, consultive e di controllo non solo rendono difficoltoso 
l�inquadramento giuridico della S.U.A. ma inducono a dubitare, sotto il profilo 
pratico sulla possibilit� reale che i compiti affidati possano essere espletati, 
tenuto anche conto dei mezzi finanziari messi a disposizione della struttura. 
Non bisogna, inoltre, sottovalutare il rischio che l�imprecisa definizione 
di funzioni ed il mancato adeguamento delle risorse compromettano il ruolo 
essenziale che la prassi ha affidato alla S.U.A. depauperando, malgrado sia 
stato definito un flessibile strumento di finanziamento, una notevole potenzialit� 
di prevenzione antimafia. 
D�altra parte, il sistema organizzativo di controllo antimafia nei confronti 
delle ditte aggiudicatarie, formatosi attraverso la legge sulle grandi opere e 
definito nel D.M. 14 marzo 2003, ha corrisposto all�esigenza di professionalizzare 
le attivit� di verifica in questione provvedendo, altres�, a imprimere un 
carattere di maggiore centralizzazione allo scopo di massimizzare le sinergie 
informative (67). 
Le strutture che si sono andate formando in progressione di tempo sul 
troncone originario del Comitato di coordinamento per l�alta sorveglianza 
delle grandi opere, sono, a ben vedere, l�espressione di una tendenza legislativa 
particolarmente affermatasi negli ultimi anni e volta ad individuare nei prefetti 
ex art. 143 del D.L.vo 267/2000. In quelle circostanze, il Giudice amministrativo adito ha affermato che 
l�atto di adesione � indubbiamente rilevante ma che pu� provare unicamente una determinata volont� 
politica e non l�effettiva capacit� di contrastare il fenomeno di infiltrazione (T.A.R. Calabria, Sez. I, 21 
ottobre 2009, nn. 1124 e 1125). 
(65) SDANGANELLI, cit., p.3. 
(66) Ibidem, p.4 
(67) LACAVA, cit.
224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
e nelle strutture da esse dirette, i principali attori in tutta una serie di attivit� 
di prevenzione antimafia, tra cui si segnalano in primo luogo il riutilizzo a fini 
sociali dei beni confiscati ed il contrasto alle infiltrazioni negli appalti pubblici 
e privati, tanto da far ritenere, in dottrina, che l�attivit� di quella figura istituzionale 
si vada a collocare, obiettivamente, a ridosso dell�azione di accertamento 
della magistratura (68). 
Accanto a risultati significativi che le strutture di monitoraggio in questione 
hanno riportato negli ultimi anni in diversi ambiti, anche grazie all�uso 
intelligente di strumenti pattizi che hanno consentito di estendere le verifiche 
antimafia sotto le soglie di cui al DPR. 252/1998, ed anche ad imprese private, 
emergono peraltro elementi di criticit�. 
Essi sono sostanziati (69) nella proliferazione di strutture che vanno a 
realizzare un sistema non sempre integralmente conseguente e nella difficolt� 
di monitoraggio dell�insieme dei soggetti aggiudicanti ed aggiudicatari. 
La descritta vicenda dell�Expo 2015 di Milano pu� essere significativa. 
La molteplicit� di strutture di monitoraggio costituite, fa emergere la necessit� 
di mantenere un�omogeneit� a monte per restituire razionalit� al sistema. 
Ed infatti, a fronte dell�istituzione della Sezione Specializzata del Comitato 
di coordinamento per l�alta sorveglianza delle grandi opere e del Gruppo 
Interforze centrale per l�Exp� 2015 (G.I.C.EX.), nonch� della stipula di un 
protocollo di legalit� a livello territoriale, sono stati costituiti un Tavolo di coordinamento 
generale ed un Gruppo di controllo sulle procedure regionali di 
affidamento di appalti. 
Ne emerge l�esigenza che il quadro delle attivit� contrattuali e procedimentali 
da verificare sia omogeneo per consentire un monitoraggio efficace 
ed intelligente. 
Allora, a ben vedere, si potrebbe concludere rilevando che l�esperienza 
degli ultimi dieci anni ha evidenziato che un�efficace azione di contrasto alle 
infiltrazioni criminali nel settore degli appalti pubblici deve contenere almeno 
due aspetti imprescindibili: il corretto ed efficiente espletamento delle procedure 
di gara ad opera di un unico centro di imputazione e lo svolgimento delle 
attivit� di monitoraggio sulle ditte aggiudicatarie e sub-aggiudicatarie ad opera 
di gruppi interforze specializzati e determinati, supportati da organi centrali 
di coordinamento informativo. 
Un ulteriore aspetto, che peraltro merita un approfondimento particolare, 
� costituito dalla direzione unitaria delle esecuzioni dei lavori, sull�esempio 
di quanto emerso dall�esperienza della stazione unica appaltante napoletana 
(68) CISTERNA, Le misure di contrasto alla criminalit� organizzata nel �Pacchetto sicurezza�, in 
Dir. pen. e processo, 2009, 9, p. 1069. 
(69) LACAVA, cit.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 225 
che completerebbe un sistema semplice e virtuoso di controllo. 
Se le considerazioni sopraesposte rispondono alla constatazione del quadro 
conoscitivo illustrato nelle pagine precedenti, occorre muoversi sulla 
strada della costruzione razionale di un sistema che preveda l�armonico intersecarsi 
dell�azione della S.U.A., della fase di espletamento delle gare, e dei 
gruppi interforze nella fase delle verifiche sulle imprese esecutrici. 
Tale articolazione, opportunamente ispirata ai principi di sussidiariet� 
verticale, prevista come strumento per aggredire i fenomeni mafiosi nelle aree 
in cui questi si manifestano in modo pi� rilevante, potrebbe essere matura per 
un inserimento stabile nella legislazione attuale, eventualmente quale novella 
nel codice degli appalti pubblici, anche in esecuzione di quanto previsto dal 
Piano straordinario contro la criminalit� organizzata di recente presentato in 
sede di riunione del Consiglio dei Ministri (70). 
Un percorso quasi decennale perverrebbe, in questo modo, ad una propria 
sistemazione complessiva da cui potrebbe derivare una nuova linfa per 
un�azione di contrasto ulteriormente rafforzata. 
(70) Nella riunione del Consiglio dei Ministri tenutasi il 28 gennaio 2010 presso la Prefettura di 
Reggio Calabria � stato presentato il Piano al cui interno una sezione � specificamente dedicata al potenziamento 
dell�azione antimafia nel settore degli appalti. Nel documento in questione si fa esplicito 
riferimento alla promozione al ricorso alla stazione unica appaltante per assicurare trasparenza, regolarit� 
ed economicit� nella gestione dei contratti pubblici (v. www.interno.it).
226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Sull�accesso ai servizi sanitari 
Un nodo per le liste di attesa: 
attuazione delle norme e responsabilit� 
Monica De Angelis* 
L�attenzione alla qualit� dei servizi pu� assumere una importanza capitale 
all�interno di un quadro economico critico come quello attuale. La scarsit� 
di risorse dovrebbe allora spingere ad una maggiore concentrazione sui 
servizi gi� esistenti, cercando di migliorarne le performances. Se � noto che 
le declinazioni della qualit� dei servizi sanitari possono essere molteplici, � 
altrettanto noto come �qualit� e soddisfazione dei cittadini� rappresenti un 
binomio inscindibile, binomio che in non pochi casi pu� tradursi in semplificazione 
dei percorsi di accesso ai servizi sanitari. Uno degli elementi chiave 
nell�accesso � costituito dalle lista di attesa, la cui sola menzione evoca spesso 
nei pazienti sentimenti negativi. Obiettivo del lavoro � valutare lo stato dell�arte 
sull�attuazione delle norme volte a limitare il fenomeno in Italia. La lettura 
del quadro giuridico sembra essere apprezzabile, soprattutto in termini 
quantitativi; se si passa all�aspetto qualitativo, per�, i motivi di soddisfazione 
calano in maniera vertiginosa non solo per l�elusione delle misure previste, 
ma anche per l�assenza di misure sanzionatorie concrete volte ad integrare 
sostanzialmente le fattispecie di responsabilit� previste e dunque i relativi effetti 
sul miglioramento del servizio. La soluzione del problema oggi, in ogni 
caso, non pu� prescindere dall�esito della discussione sulla proposta di direttiva 
comunitaria sulle liste di attesa e dall�applicazione ad ampio raggio dell�e-
health. 
1. Introduzione. Qualit� del servizio e liste di attesa: scenari 
L�attenzione alla qualit� dei servizi pu� assumere una importanza capitale 
all�interno di un quadro economico critico come quello attuale. La scarsit� di 
risorse dovrebbe allora spingere ad una maggiore concentrazione sui servizi 
gi� esistenti, cercando di migliorarne le performances. Se � noto che le declinazioni 
della qualit� dei servizi sanitari possono essere molteplici, � altrettanto 
noto come �qualit� e soddisfazione dei cittadini� rappresenti un binomio in- 
(*) Dipartimento di Scienze sociali, Facolt� di Economia �G. Fu��, Universit� Politecnica Marche. 
Il presente saggio � frutto della rielaborazione e dell�ampliamento della relazione dal titolo �Qualit� 
du service sanitaire et listes d'attente: le probl�me de la r�alisation des r�gles� presentata al 
Convegno Calass, Lussemburgo 10-12 settembre 2009.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 227 
scindibile, binomio che pu� anche tradursi in semplificazione dei percorsi di 
accesso ai servizi sanitari: e uno degli elementi chiave nell�accesso � costituito 
dalle liste di attesa, la cui sola menzione evoca spesso nei pazienti sentimenti 
negativi. Merita subito precisare che il fenomeno delle liste di attesa non � un 
�caso italiano�, ma si presenta generalmente in tutti gli Stati dove il servizio 
sanitario offre un livello di assistenza avanzato, qualunque sia il modello organizzativo 
adottato. Per il peculiare impatto che riveste sia sull�organizzazione 
del servizio sanitario, che sul diritto dei cittadini all�erogazione delle 
prestazioni, deve quindi costituire oggetto di un impegno costante e forte da 
parte di tutti gli attori istituzionali e professionali inseriti nel sistema: occorre 
lavorare costantemente su modalit� risolutive efficaci per il problema, con la 
consapevolezza, tuttavia, che non esistono soluzioni semplici e univoche, ma 
vanno poste in essere azioni complesse ed articolate. Come si vedr� di seguito, 
l�introduzione di norme volte a limitare il fenomeno non ne garantisce affatto 
il (progressivo) assorbimento, generando al massimo � almeno nel caso italiano 
� una realt� di efficienza/inefficienza e soddisfazione/insoddisfazione a 
macchia di leopardo. La lettura del quadro giuridico porta ad esprimere un 
giudizio apprezzabile, soprattutto in termini quantitativi; se si passa all�aspetto 
qualitativo, per�, i motivi di soddisfazione calano in maniera vertiginosa non 
solo per l�elusione delle misure previste, ma anche per la limitatezza dell�attivazione 
delle sanzioni volte ad integrare le fattispecie di responsabilit� contemplate 
dalle norme e dunque i relativi effetti sul miglioramento del servizio. 
La tematica delle liste di attesa, comunque, oggi se deve tenere sicuramente 
conto (a tacere delle problematiche gestionali e organizzative) delle difficolt� 
di attuazione delle norme e della mancata attivazione delle responsabilit�, non 
pu� tuttavia prescindere dall�esito della discussione sulla proposta di direttiva 
comunitaria sulle cure transnazionali e dall�applicazione ad ampio raggio 
dell�e-health: elementi questi che se opportunamente sviluppati possono dare 
un contributo non indifferente alla complessa soluzione del problema. 
2. La normativa nazionale sulle liste di attesa: una ricognizione 
Che le liste di attesa siano state percepite subito come una delle questioni 
centrali per la soddisfazione dei bisogni di salute del cittadino, si nota sin dalla 
legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (Ssn): all�art. 25, commi 8- 
10 � stabilito infatti che l�utente pu� accedere agli ambulatori e strutture convenzionati 
per le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio per 
le quali, nel termine di tre giorni, le strutture pubbliche non siano in grado di 
soddisfare la richiesta di accesso alle prestazioni stesse. In tal caso l�Unit� 
Sanitaria Locale (Usl) rilascia immediatamente l�autorizzazione con apposita 
annotazione sulla richiesta stessa. Si precisa poi che nei casi di richiesta urgente 
motivata da parte del medico in relazione a particolari condizioni di
228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
salute del paziente, il mancato immediato soddisfacimento della richiesta 
presso le strutture pubbliche equivale ad autorizzazione ad accedere agli ambulatori 
o strutture convenzionati. In ogni caso, le Usl attuano misure idonee 
a garantire che le prestazioni urgenti siano erogate con priorit� nell�ambito 
delle loro strutture (1). 
Dopo la riforma dei primi anni Novanta, con la c.d. aziendalizzazione e 
l�entrata in vigore di leggi rivoluzionarie per il rapporto amministrazione-cittadino, 
il legislatore statuisce (2) che al fine di garantire il diritto di accesso di 
cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le Usl, i presidi ospedalieri e le aziende 
ospedaliere devono tenere, sotto la personale responsabilit� del direttore sanitario, 
il registro delle prestazioni specialistiche ambulatoriali, di diagnostica 
strumentale e di laboratorio e dei ricoveri ospedalieri ordinari. Tale registro 
sar� soggetto a verifiche ed ispezioni da parte dei soggetti abilitati ai sensi 
delle vigenti disposizioni. Tutti i cittadini che vi abbiano interesse possono richiedere 
alle direzioni sanitarie notizie sulle prenotazioni e sui relativi tempi 
di attesa, con la salvaguardia della riservatezza delle persone. Quanti utenti 
abbiano fatto valere queste ultime norme � difficile dirlo: peraltro, va anche 
notato che il paziente non dovrebbe rivolgersi normalmente alle direzioni sanitarie 
per ottenere questo genere di dati. Infatti ci� sarebbe in contraddizione 
con una visione moderna di pubblica amministrazione, secondo la quale � 
l�amministrazione che si apre al cittadino (e non il contrario) e ne � al servizio: 
� quasi un obbligo, nell�opera di revisione dell�intero apparato amministrativo 
italiano portata avanti negli anni Novanta, la trasparenza sulle modalit� di prestazione 
del servizio. Non a caso, nella Carta dei servizi sanitari del 1995, in 
riferimento ai ricoveri programmati, si legge che l�ospedale, nel rispetto dei 
principi di uguaglianza e imparzialit�, deve predisporre un �registro dei ricoveri 
ospedalieri ordinari� contenente l�elenco delle attivit� svolte, nonch� 
i tempi massimi di attesa per ciascun reparto e per le principali patologie. Il 
mancato rispetto dei tempi di attesa deve essere sempre motivato. Viene precisato 
altres� che la Asl provveder� ad individuare appositi strumenti di rilevazione 
del rispetto dei tempi di attesa indicati e di quelli realmente registrati. 
Periodicamente, i risultati delle rilevazioni dovranno essere inviati alla Conferenza 
dei Sindaci e all�Osservatorio regionale, nonch� portati a conoscenza 
degli utenti mediante apposite pubblicazioni. L�elenco delle attivit� svolte ed 
i relativi tempi di attesa contenuti nel �registro dei ricoveri ospedalieri ordinari�, 
fermo restando la salvaguardia della riservatezza delle persone, dovranno 
essere consultabili presso l�ufficio informazioni, a disposizione dei 
(1) Una elencazione esaustiva delle norme relative alle liste di attesa a partire dalla nascita del 
Ssn si rinviene anche in ASSR, Liste di Attesa: una questione di responsabilit�, luglio 2006. 
(2) Legge 23 dicembre 1994 n. 724 � Misure di razionalizzazione della finanza pubblica - Articolo 
3, comma 8 -
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 229 
medici di famiglia e pubblicizzati nelle forme pi� opportune (3). 
Anche qui viene da chiedersi quanti pazienti hanno avuto la possibilit� 
di accedere a tali elenchi e quanta pubblicit� sia stata data a queste rilevazioni. 
Si noti che pure in tali disposizioni si prevede una responsabilit� del registro 
e della gestione delle liste d�attesa in capo al Direttore Sanitario. La situazione 
sulle liste di attesa non deve essere migliorata se nel 1998, si ritiene utile 
l�emanazione di ulteriori norme (4) volte a specificare che entro tre mesi dalla 
loro entrata in vigore, le regioni disciplinano i criteri secondo i quali i direttori 
generali delle aziende sanitarie determinano il tempo massimo che pu� intercorrere 
tra la data della richiesta delle prestazioni e l�erogazione della stessa. 
Di tale termine � data comunicazione all�assistito al momento della presentazione 
della domanda della prestazione, nonch� idonea pubblicit� a cura 
delle aziende unit� sanitarie locali ed ospedaliere. Qui vengono in rilievo, altres�, 
l�adeguata pubblicizzazione delle informazioni ed il ruolo chiave dei direttori 
generali; addirittura � previsto che in caso di mancata definizione di 
questi aspetti, il Ministro della sanit� vi provvede, previa diffida, tenendo conto 
dell�interesse degli utenti, della realt� organizzativa delle aziende sanitarie 
della regione, della media dei tempi fissati dalle regioni adempienti. Sembra 
quasi attivarsi dunque un potere sostitutivo a garanzia dei diritti degli utenti: 
tuttavia le cronache istituzionali non registrano attivit� di questo tipo, sebbene 
in molte regioni la situazione delle liste di attesa rilevi elevati livelli di insoddisfazione. 
Le nuove previsioni legislative, pur emanate in un contesto ordinamentale 
sempre pi� orientato verso la totale devoluzione delle funzioni 
organizzative alle singole regioni, entrano nel dettaglio andando a delimitare 
l�azione delle stesse regioni, le quali dovranno disciplinare, anche mediante 
l�adozione di appositi programmi, il rispetto della tempestivit� dell�erogazione 
delle predette prestazioni, con l�osservanza di principi e criteri direttivi quali 
l�assicurazione all�assistito della effettiva possibilit� di vedersi garantita l�erogazione 
delle prestazioni nell�ambito delle strutture pubbliche attraverso interventi 
di razionalizzazione della domanda; interventi tesi ad aumentare i 
tempi di utilizzo delle apparecchiature e delle strutture; interventi volti ad incrementare 
la capacit� di offerta delle aziende anche attraverso il ricorso all�attivit� 
libero-professionale intramuraria, ovvero a forme di remunerazione 
legate al risultato. Sempre tali norme (nazionali) sottolineano la necessit� di 
(3) E per non lasciare (ipotetici) margini di incertezza, la norma prescrive altres� che all�atto della 
prenotazione del ricovero, per garantire la piena attuazione del principio di partecipazione mediante 
una adeguata informazione, dovr� essere consegnato all�utente un opuscolo informativo sulle condizioni 
di ricovero ospedaliero. All�atto dell�ingresso dovr� essere consegnata all�utente una seconda scheda 
informativa del reparto di destinazione ed un modulo per la presentazione di eventuali reclami. 
(4) Articolo 3, commi 10-15, D.lgs. 29 aprile 1998 n. 124, �Ridefinizione del sistema di partecipazione 
al costo delle prestazioni sanitarie e del regime delle esenzioni a norma dell�art. 59, comma 
50, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 �.
230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
garantire l�effettiva co-responsabilizzazione del personale sanitario dipendente 
e convenzionato e contemplano la previsione di idonee misure da adottarsi 
nei confronti del direttore generale delle aziende sanitarie in caso di reiterato 
mancato rispetto dei termini individuati per l�erogazione delle prestazioni 
(sulla scorta dei risultati dell�attivit� di vigilanza e controllo). Per dare pi� 
concretezza alle indicazioni normative - e quasi a pi� completo rispetto dei 
diritti dei pazienti secondo la lettura sostanziale dell�art. 32 Cost. nonch� sulla 
scorta della giurisprudenza costituzionale e ordinaria pi� accorta - il legislatore 
stabilisce che fino all�entrata in vigore delle discipline regionali, qualora l�attesa 
della prestazione richiesta si prolunghi oltre il termine fissato dal direttore 
generale, l�assistito pu� chiedere che la prestazione venga resa nell�ambito 
dell�attivit� libero-professionale intramuraria, ponendo a carico delle aziende 
sanitarie presso cui � richiesta la prestazione, in misura eguale, la differenza 
tra la somma versata a titolo di partecipazione al costo della prestazione e 
l�effettivo costo di quest�ultima, sulla scorta delle tariffe vigenti. E� evidente 
l�effetto dirompente di una tale previsione: si obbliga la regione a provvedere, 
la si spinge verso una maggiore responsabilizzazione, pena un effetto negativo 
sul proprio bilancio; tuttavia la portata della norma � assai limitata essendo il 
suo effetto circoscritto ad un periodo transitorio: se il legislatore avesse esteso 
la sanzione anche alla mancata implementazione delle norme, probabilmente 
il problema in discussione avrebbe ben altro rilievo. E poco vale sottolineare 
che il direttore generale dell�azienda sanitaria vigila sul rispetto delle disposizioni 
adottate, anche al fine dell�esercizio dell�azione disciplinare e di responsabilit� 
contabile nei confronti dei soggetti ai quali sia imputabile la 
mancata erogazione della prestazione nei confronti dell�assistito, se allo stesso 
tempo manca, o non � chiaro nel dettato positivo, la sanzione �immediata� per 
omessa o insufficiente vigilanza. 
Proprio (forse) a conforto di quanto sin qui rilevato a proposito dell�inadeguatezza 
di norme cos� concepite, a livello istituzionale si sente il bisogno 
di intervenire ulteriormente (5): si chiede dapprima alle regioni e alle aziende 
sanitarie, nell�ambito di linee di indirizzo che individuano le priorit� assistenziali 
e gli obiettivi gestionali, di elaborare programmi per l�abbattimento dei 
tempi di attesa per i ricoveri ospedalieri e l�accesso alle prestazioni specialistiche 
ambulatoriali utilizzando al massimo le risorse assistenziali disponibili 
e migliorando il pi� possibile l�appropriatezza delle prescrizioni, grazie anche 
al coinvolgimento dei medici prescrittori e a una adeguata informazione ai cittadini. 
Si statuisce altres� (6) che anche al fine di concorrere alla riduzione 
(5) Con DPR 23 luglio 1998 �Approvazione del Piano sanitario nazionale 1998 � 2000�, dove � 
appositamente individuabile la sezione relativa alle liste si attesa. 
(6) D. lgs 19 giugno 1999 n. 229 - Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, 
a norma dell�art. 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419, Articolo 15 quinquies, comma 3.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 231 
progressiva delle liste d�attesa, l�attivit� libero professionale della dirigenza 
sanitaria non pu� comportare, per ciascun dipendente, un volume di prestazione 
superiore a quello assicurato per i compiti istituzionali (7). Tutte le pi� 
recenti previsioni sembrano avere due fuochi: la responsabilit� del direttore 
generale e gli incentivi economici: ad esempio nel dpcm 16 aprile 2002 (8) 
relativo a �Linee guida sui criteri di priorit� per l�accesso alle prestazioni diagnostiche 
e terapeutiche e sui tempi massimi d�attesa� all�art. 7 sancisce che 
le Regioni e le Province autonome in casi di particolare urgenza, al fine di eliminare 
il problema delle liste d�attesa devono garantire: a) l�eventuale attribuzione 
alle equipe sanitarie, sulla base di quanto stabilito dalla contrattazione 
collettiva, di forme d�incentivazione finalizzate specificamente al rispetto dei 
tempi di attesa di cui all�accordo sancito dalla Conferenza Stato Regioni nella 
seduta del 14 febbraio 2002; b) l�eventuale espletamento di prestazioni liberoprofessionali 
nei confronti dell�azienda stessa da parte del proprio personale 
dipendente (dirigenti sanitari, infermieri, ostetriche e tecnici di radiologia medica) 
finalizzate al rispetto delle liste d�attesa. Le prestazioni libero-professionali 
devono essere espletate fuori dall�orario di servizio ed in misura 
aggiuntiva non superiore a quelle rese in regime istituzionale; c) l�eventuale 
stipula di contratti a termine con liberi professionisti in possesso dei requisiti 
professionali associati purch� accreditati, anche se provvisoriamente. 
Nel quadro disciplinare delineato paiono dunque esserci tutte le condizioni 
giuridiche per poter procedere finalmente senza ostacoli di sorta al concreto 
ridimensionamento del fenomeno, grazie anche alla guida offerta dal 
Dpcm del 29 novembre 2001, il quale definisce i Livelli essenziali di assistenza 
(Lea) da garantire a tutti gli assistiti del Ssn. 
(7) Tali norme vengono concretizzate nel Dpcm 27 marzo 2000 �Atto di indirizzo e coordinamento 
concernente l�attivit� libero-professionale intramuraria del personale della dirigenza sanitaria del Servizio 
sanitario nazionale�, che all�art. 10 (rubricato esplicitamente Riduzione delle liste d�attesa) stabilisce 
che 1. al fine di assicurare che l�attivit� libero-professionale comporti la riduzione delle liste 
d�attesa per l�attivit� istituzionale delle singole specialit�, anche in attuazione delle disposizioni regionali 
di cui all�articolo 3, comma 12, del decreto legislativo 29 aprile 1998 n. 124, il direttore generale 
concorda con i singoli dirigenti e con le equipe, i volumi di attivit� istituzionale che devono essere comunque 
assicurati in relazione ai volumi di attivit� libero professionale con particolare riferimento alle 
prestazioni non differibili in ragione della gravit� e complessit� della patologia. 2. Per la progressiva 
riduzione delle liste d�attesa, il direttore generale, avvalendosi del collegio di direzione: programma e 
verifica le liste d�attesa con l�obiettivo di pervenire a soluzioni organizzative, tecnologiche e strutturali 
che ne consentano la riduzione; assume le necessarie iniziative per la razionalizzazione della domanda; 
assume interventi diretti ad aumentare i tempi di utilizzo di apparecchiature e ad incrementare la capacit� 
di offerta dell�azienda. 3. L�attivit� professionale resa per conto dell�azienda nelle strutture aziendali, 
se svolta in regime libero-professionale, deve essere finalizzata alla riduzione dei tempi di attesa. 
A tali fini nell�autorizzare lo svolgimento dell�attivit�, l�azienda valuta l�apporto dato dal singolo dirigente 
all�attivit� istituzionale e le concrete possibilit� di incidere sui tempi d�attesa. Al fine di ridurre 
le liste d�attesa, oltre che la partecipazione ai proventi, i contratti aziendali prevedono specifici incentivi 
di carattere economico per il personale di supporto. 
(8) D.P.C.M. pubblicato sulla G.U. n. 122 del 27 maggio 2002.
232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
2.1 L�attuazione delle norme: la situazione odierna 
Al contrario di quanto sembrerebbe logico, con la legge finanziaria del 
2003 gi� si ritiene nuovamente opportuno intervenire: la situazione non sembra 
nei fatti assai migliorata e si tenta allora di pressare le Regioni nell�adempimento 
dei loro obblighi (9). Queste ultime, infatti, se vogliono accedere a ulteriori 
finanziamenti rispetto a quelli previsti, proprio nella prospettiva 
dell�eliminazione o del significativo contenimento delle liste d�attesa e allo 
scopo di ampliare notevolmente l�offerta dei servizi, devono attuare nel proprio 
territorio adeguate iniziative volte a favorire lo svolgimento, presso gli 
ospedali pubblici, degli accertamenti diagnostici in maniera continuativa, con 
l�obiettivo finale della copertura del servizio nei sette giorni della settimana, 
recuperando anche risorse temporaneamente utilizzate per finalit� non prioritarie 
(10). 
Nel decreto di approvazione del Piano sanitario nazionale del triennio 
successivo, si nota poi uno specifico Progetto (il 2.1. Attuare, monitorare ed 
aggiornare l�accordo sui livelli essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre 
le liste d�attesa) che, nell�ambito dell�accordo sui Lea, prevede di dare 
particolare importanza alla questione della corretta gestione degli accessi e 
delle attese per le prestazioni sanitarie, dal momento che per il cittadino il 
tempo di attesa rappresenta la prima risposta che riceve dal sistema (11). In 
conseguenza di richieste appropriate, si specifica altres� che il diritto all�accesso 
alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche deve essere messo in relazione, 
per i tempi e per i modi, con una ragionevole valutazione della 
prestazione richiesta e della sua urgenza. In tal modo vanno individuati obiettivi 
strategici mirati, disponendo di un consolidato sistema di monitoraggio 
dei Lea e dell�utilizzo dei dati elaborati dal Nuovo Sistema Informativo Sanitario 
(NSIS), si fissano indicatori volti ad operare in maniera esaustiva a tutti 
e i livelli di verifica (ospedaliero, territoriale e dell�ambiente di lavoro); i valori 
monitorati dei tempi di attesa vanno pubblicizzati, garantendo il raggiungimento 
del livello previsto; la costruzione degli indicatori di appropriatezza 
deve avvenire su scala territoriale e saranno centrati sul paziente e non pi� 
sulle prestazioni; sar� indispensabile effettuare bench-marking su costi e qualit� 
a livello regionale ed aziendale, promuovendo i migliori protocolli di appropriatezza 
sperimentati e validati per le prestazioni di assistenza. 
Seguono a queste altre norme di aggiustamento (12), ma negli ultimi anni 
(9) Legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale 
dello Stato), art. 52, comma 4, lettera c). 
(10) E ci� in concerto con quanto previsto dall�accordo tra il Ministro della salute, le Regioni e 
le Province Autonome di Trento e di Bolzano del 14 febbraio 2002, sulle modalit� di accesso alle prestazioni 
diagnostiche e terapeutiche e indirizzi applicativi sulle liste d�attesa. 
(11) D.P.R. 23 maggio 2003 �Approvazione del Piano sanitario nazionale 2003-2005�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 233 
il persistere del fenomeno delle liste di attesa viene affrontato in parallelo al 
problema della spesa eccessiva nel Ssn. Con la c.d. legge finanziaria 2006 
(13), si stabilisce che l�erogazione degli importi per il ripiano dei rispettivi disavanzi 
� subordinata anche alla realizzazione da parte delle Regioni degli interventi 
previsti dal Piano Nazionale di Contenimento dei Tempi di Attesa 
(PNCTA) con l�indicazione di una serie di obiettivi stringenti, che riprendono 
in qualche modo quanto in passato le norme avevano gi� previsto. Inoltre, 
sempre in tale legge, � disposto che alle aziende sanitarie sia vietato � tranne 
che per certificati motivi tecnici - sospendere le attivit� di prenotazione delle 
prestazioni a garanzia della tutela della salute dei cittadini. Al fine di evitare 
il persistere di comportamenti elusivi da parte di taluni attori del sistema, si 
contempla altres� l�istituzione della Commissione nazionale sull�appropriatezza 
delle prescrizioni, cui sono affidati compiti di promozione di iniziative 
formative e di informazione per il personale medico e per gli utenti del Servizio 
sanitario; di monitoraggio, studio e predisposizione di linee-guida per la 
fissazione di criteri di priorit� e di appropriatezza delle prestazioni nonch� di 
idonee forme di controllo dell�appropriatezza delle prescrizioni delle medesime 
prestazioni (con promozione di analoghi organismi a livello regionale e 
aziendale). Sempre la legge in parola statuisce che presso il Ministero della 
Salute, al fine di verificare che i finanziamenti siano effettivamente tradotti in 
servizi per i cittadini, secondo criteri di efficienza ed appropriatezza, � realizzato 
un Sistema Nazionale di Verifica e Controllo sull�Assistenza Sanitaria 
(SiVeAS), che si avvale delle funzioni svolte dal Nucleo di supporto per l�analisi 
delle disfunzioni e la revisione organizzativa (SAR) (14). Negli stessi mesi 
la Conferenza Stato-Regioni si impegna a mettere a punto le coordinate per 
l�attuazione concreta del PNCTA (15) ed infine con l. n. 120/2007 (legge che 
(12) Sulla stessa linea nel D.M. 18 maggio 2004 (rubricato �Applicazione delle disposizioni concernenti 
la definizione dei modelli di ricettari medici standardizzati e di ricetta medica a lettura ottica� 
Allegato 1 - Disciplinare tecnico della ricetta SSN e SASN) vengono definite le priorit� di ogni prescrizione.
(13) Legge 23 dicembre 2005 n. 266 �Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale 
dello Stato�. Articolo 1, commi 279-284, 288, 289, 309. 
(14) Per le finalit� del SiVeAS e del SAR, il Ministero della Salute pu� avvalersi, anche tramite 
specifiche convenzioni, della collaborazione di istituti di ricerca, societ� scientifiche e strutture pubbliche 
o private, anche non nazionali, operanti nel campo della valutazione degli interventi sanitari, nonch� di 
esperti nel numero massimo di 20 unit�. Per consentire all�ASSR di far fronte, tempestivamente e compiutamente, 
ai compiti previsti da tale legge in materia di liste d�attesa e in particolare per l�attivit� di 
supporto al Ministero della Salute nel monitoraggio dei tempi di attesa, il Ministro della salute pu� disporre 
presso l�Agenzia medesima, su richiesta della stessa, il distacco fino a 10 unit� di personale di 
ruolo del Ministero della Salute, senza ulteriori oneri a carico del bilancio dello Stato. 
(15) E� del 28 marzo 2006 la stipula dell��Intesa sul Piano Nazionale di contenimento dei tempi 
di attesa del triennio 2006/08, con sua adozione�. Il Piano ha l�obiettivo di realizzare sinergie di intervento 
tra i vari soggetti istituzionali deputati a contrastare il fenomeno e condividere un percorso che 
tenga conto della applicazione di criteri rigorosi sia di appropriatezza che di urgenza delle prestazioni e 
che garantisca la trasparenza del sistema a tutti i livelli.
234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
racchiude la regolamentazione dell�attivit� libero professionale dei medici in 
regime di intramoenia) si prevede di effettuare periodici controlli sulle liste 
d�attesa allo scopo di assicurare il rispetto dei tempi medi che devono essere 
stabiliti con provvedimenti regionali e l�erogazione di prestazioni urgenti non 
oltre 72 ore dalla richiesta. 
Ecco dunque una breve ricognizione dell�impianto normativo di riferimento 
per le liste di attesa: come si pu� notare le disposizioni sono tante, ripetitive 
in molti casi. Ma quante di queste vengono effettivamente impiegate? 
Non c'� bisogno di grandi sforzi intuitivi per immaginare che se anche una 
sola parte di queste fosse concretamente implementata, il governo delle liste 
di attesa presenterebbe ben altro aspetto. Non meraviglia certo se, dopo quindici 
anni di norme, nel 2006 si sia parlato di Piano nazionale sulle liste di attesa 
con l�intenzione di condividere fra tutte le Regioni un percorso sulla 
gestione delle liste di attesa finalizzato a garantire un appropriato accesso dei 
cittadini ai servizi sanitari e in modo da realizzare sinergie di intervento tra 
tutti i livelli istituzionali deputati a contrastare il fenomeno. Tale Piano affronta 
il problema delle liste di attesa secondo due dimensioni: la prima si riferisce 
all�obbligo previsto per le Regioni di dotarsi di uno strumento programmatico 
unico e integrato nel quale fare confluire e rendere coerenti tutti gli atti e i 
provvedimenti gi� adottati sul tema delle liste di attesa. La seconda si riferisce 
al livello locale e riguarda l�erogazione di 100 prestazioni prioritarie terapeutiche 
e riabilitative di assistenza specialistica ambulatoriale e di assistenza 
ospedaliera per le quali le Regioni dovranno fissare entro 90 giorni i tempi 
massimi di attesa presso specifiche strutture pubbliche o accreditate (16). Il 
Piano - articolato in Piani regionali attuativi che garantiscono tempi massimi 
per le prestazioni e promuovono l�informazione e la comunicazione sulle liste 
(16) Alle regioni, cio�, si chiede specificamente: a) l�elenco di prestazioni diagnostiche, terapeutiche 
e riabilitative di assistenza specialistica ambulatoriale e di assistenza ospedaliera, per le quali 
sono fissati nel termine di novanta giorni dalla stipula dell�intesa, nel rispetto della normativa regionale 
in materia, i tempi massimi di attesa da parte delle singole regioni; b) la previsione che, in caso di mancata 
fissazione da parte delle regioni dei tempi di attesa di cui alla lettera a), nelle regioni interessate 
si applichino direttamente i parametri temporali predeterminati; c) fermo restando il principio di libera 
scelta da parte del cittadino, il recepimento dei tempi massimi di attesa da parte delle unit� sanitarie 
locali, in attuazione della normativa regionale in materia, nonch� in coerenza con i parametri temporali 
determinati in sede di fissazione degli standard, per le prestazioni di cui all�elenco previsto dalla lettera 
a), con l�indicazione delle strutture pubbliche e private accreditate presso le quali tali tempi sono assicurati; 
d) la determinazione della quota minima delle risorse per il perseguimento dell�obiettivo del 
Piano Nazionale di Contenimento dei Tempi di Attesa, ivi compresa la realizzazione da parte delle regioni 
del Centro Unico di Prenotazione (CUP), che opera in collegamento con gli ambulatori dei medici 
di medicina generale, i pediatri di libera scelta e le altre strutture del territorio (utilizzando in via prioritaria 
i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta); e) l�attivazione nel Nuovo Sistema 
Informativo Sanitario (NSIS) di uno specifico flusso informativo per il monitoraggio delle liste d�attesa, 
che costituisca obbligo informativo; f) la previsione che a certificare la realizzazione degli interventi in 
attuazione del PNCTA provveda il Comitato permanente per la verifica dell�erogazione dei LEA.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 235 
d�attesa - diventa cos� per le Regioni una sorta di vademecum sul tema del 
contenimento delle liste d�attesa: esse dovranno attivarsi utilizzando al massimo 
le opportunit� legate all�adeguata organizzazione della libera professione, 
riordinando il sistema delle prenotazioni in modo ottimale in funzione dei bisogni 
del territorio. Al fine di evitare inappropriati ricorsi a prestazioni ambulatoriali 
e di ricovero, inoltre, elaborano piani di intervento per il 
miglioramento della qualit� prescrittiva, mediante l�adozione di linee guida 
e percorsi diagnostico-terapeutici condivisi con i soggetti prescrittori per quelle 
prestazioni a maggiore criticit� e con liste d�attesa pi� lunghe, anche in coerenza 
con quanto previsto dalla Commissione Nazionale sull�appropriatezza 
(17). In caso di mancata adozione del Piano regionale attuativo, le Aziende 
sanitarie applicano direttamente i tempi fissati a livello nazionale ed entro 90 
giorni dall�adozione del Piano attuativo regionale, le aziende adottano un programma 
attuativo aziendale. Fermo restando il principio di libera scelta da 
parte del cittadino, il programma attuativo aziendale provvede a recepire i 
tempi massimi di attesa per le prestazioni previste nel Piano nazionale; in esso, 
sentite le organizzazioni sindacali del comparto e della dirigenza medica e i 
rappresentanti delle associazioni dei pazienti e dei consumatori, sono definite 
le misure previste in caso di superamento dei tempi stabiliti, senza oneri a carico 
degli assistiti, se non quelli dovuti come partecipazione alla spesa in base 
alla normativa vigente. 
3. Le liste di attesa fra mancata responsabilizzazione e sanzioni non applicate 
Come visto, nel corso degli anni non sono mancati i tentativi di porre argine 
al fenomeno in analisi, che, soprattutto in alcune zone del territorio e per 
alcune tipologie di prestazioni, si presenta in termini davvero preoccupanti. 
Nel panorama dei servizi sanitari la persistenza di lunghe liste di attesa non � 
(17) Nonch� con quanto previsto, per tale materia, dagli accordi collettivi nazionali dei medici 
convenzionati. Il Piano nazionale prevede un elenco (da rivedere annualmente) di prestazioni ambulatoriali 
ed ospedaliere individuate a partire dall�esperienza di monitoraggio dei tempi di attesa svolte in 
attuazione dell�accordi Stato-Regioni del 2002 e stilato rispetto alla criticit� nei tempi di erogazione e/o 
al loro particolare impatto sulla salute dei cittadini e sulla qualit� dei servizi. L�elenco comprende prestazioni 
individuate: in specifiche aree critiche di bisogno assistenziale; prime visite specialistiche in 
branche caratterizzate da una forte domanda assistenziale; in settori ad alta complessit� tecnologica, 
per le quali, al contrario, si rileva un frequente ricorso inappropriato, a fronte di un costo elevato delle 
stesse; in ambiti che presentano forti differenze di accessibilit� nelle diverse realt� regionali. Le aree 
prese in considerazione sono quelle oncologica, cardiovascolare, materno infantile, geriatrica nonch� 
le visite specialistiche di maggior impatto. Per le prestazioni comprese in queste aree, il tempo massimo 
di attesa individuato dalla Regione dovr� essere garantito per il 90% dei pazienti, a prescindere dall�individuazione 
delle priorit� di accesso alle medesime, che comunque andranno a garantire classi di priorit� 
con un arco temporale minore rispetto a quello evidenziato, per alcune prestazioni ambulatoriali e di ricovero.

236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
l�eccezione in diverse regioni: quello che ci si sente di affermare in questa 
sede � che il problema maggiore risiede, probabilmente, nella mancata attuazione 
o nell�elusione di molte norme. Non ci si deve meravigliare dunque 
di fronte a notizie come quella secondo cui con una assai recente delibera, 
approvata dalla giunta regionale toscana, l'assessore per il diritto alla salute 
impegna ancora i servizi sanitari sul fronte delle liste di attesa e mette sul 
piatto un investimento di 2,5 milioni di euro per nuove tecnologie e risorse 
professionali. Il provvedimento stabilisce che a decorrere dal 30 ottobre 
prossimo il tempo massimo di attesa per le visite di chirurgia generale e di 
urologia non potr� superare i 15 giorni. Nel caso in cui l'Azienda sanitaria 
non riuscisse a fornire la prestazione entro questa scadenza, almeno in uno 
dei suoi presidi (sia pubblico, sia privato accreditato), dovr� corrispondere 
al cittadino un indennizzo di 25 euro. In queste pagine, l�esempio � riportato 
per mettere in evidenza come ormai gli amministratori pi� avveduti colleghino 
l�attuazione della suddetta normativa all�integrazione di forme di responsabilit� 
e di risarcimento che dovrebbero indurre le strutture sanitarie 
ad una pi� solerte attivit�, pena la perdita di efficienza e competitivit�, oltre 
all�aumento dei costi di gestione. 
A due anni dalla sottoscrizione dell�accordo per lo sviluppo del PNCTA, 
il potenziamento dei CUP regionali ha sicuramente facilitato l�accesso dei 
cittadini alle prestazioni ed � dunque migliorata la gestione dei tempi di erogazione 
dei servizi; tuttavia le politiche di contenimento dei costi sanitari 
hanno, di fatto, attenuato gli effetti benefici dei CUP a causa della inadeguatezza 
delle risorse umane e strutturali (18). Questa carenza di risorse alimenta 
l�insoddisfazione degli utenti e genera una empasse organizzativa che 
alla lunga potrebbe trasformarsi in volano per ricorsi onerosi contro le amministrazioni 
sanitarie, come dimostra anche la sentenza n. 2444/01 della 
Cassazione che ha riconosciuto ad un cittadino il diritto al rimborso delle 
spese mediche sostenute, in quanto, a causa tempi di attesa troppo lunghi, 
era stato costretto al ricovero presso una clinica privata per salvaguardare il 
proprio diritto alla salute (19). 
E� risaputo che le problematiche maggiori che determinano l�allungamento 
dei tempi nella somministrazione degli interventi sanitari si focalizzano 
sostanzialmente attorno a due fattori: il numero elevato delle 
prestazioni da erogare e le scarse potenzialit� in risorse umane e strumentali 
delle strutture sanitarie (nei due fattori specifico peso hanno rispettivamente 
(18) Infatti, in alcune branche specialistiche sono ancora evidenti i ritardi nell�erogazione di prestazioni 
importanti. Cfr. http://fnp.cisl.it/conquiste08.nsf/b826bc64b76665cdc1256bb80033ed00/c3b15 
40776e93f15c125744f0056ad7c/$FILE/Indagine%20sulle%20liste%20d'attesa%20nella%20sanit%C% 
A0.pdf 
(19) http://www.ricercagiuridica.com/sentenze/index.php?num=86&search=rimborso%20spese% 
20mediche
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 237 
la limitata collaborativit� fra attori coinvolti nella prescrizione delle prestazioni 
e l�insufficiente utilizzo delle tecnologie dell�ICT) (20). Questi ingredienti 
sono fondamentali per il perseguimento degli obiettivi di salute e per 
il rispetto dei tempi delle prestazioni richieste, ma ci� che si vuole sostenere 
in questa sede � che esiste anche un aspetto pi� giuridico � se cos� si pu� 
dire � della questione liste di attesa e della soddisfazione per il servizio reso. 
Si tratta del fattore �responsabilizzazione e sanzione�: in particolare, si vuole 
sottolineare come il mancato rispetto degli obiettivi sulle liste di attesa non 
sembra aver peso specifico nella valutazione dirigenziale sebbene la riforma 
delle norme sulla dirigenza ben postulerebbe il contrario (21), laddove non 
raggiungendo il risultato organizzativo atteso e richiesto pu� integrarsi la 
fattispecie del danno erariale: e ci� soprattutto grazie all�evoluzione della 
giurisprudenza contabile che si � dimostrata particolarmente sensibile al mutamento 
del quadro dei rapporti tra PA e cittadino, adeguandosi a nuove esigenze 
di tutela: �a fronte della tradizionale concezione che faceva leva sul 
pregiudizio economico subito dalla pubblica amministrazione e, quindi, 
sull�esclusiva lesione del patrimonio dello Stato o dell�ente pubblico [�] la 
giurisdizione contabile � stata cos� estesa fino a coprire ipotesi di danno ambientale, 
di danno alla finanza pubblica, di danno [�] al buon andamento 
dell�amministrazione tanto che essa sembra ormai coprire il danno alla col- 
(20) Il numero di esami che possono essere evasi al giorno da ciascun ospedale o ambulatorio dipende 
da un preciso insieme di fattori: la disponibilit� di medici, tecnici e, soprattutto, di apparecchiature 
e ci� in relazione al fatto che ogni esame richiede un determinato tempo per la preparazione del paziente, 
per l�esecuzione, per la raccolta e l�analisi del materiale da parte del medico, per la refertazione, per la 
firma e l�archiviazione. In questo calcolo della tempistica necessaria per ogni singolo esame, non va dimenticato 
che bisogna riservare quotidianamente uno spazio per gli esami urgenti. Cos�, ad esempio, 
gli ospedali principali hanno spesso moltissime richieste, ma sono anche quelli che dispongono delle risorse 
economiche necessarie per acquistare pi� macchinari e quindi erogare un maggior numero di prestazioni. 
Eppure le file restano un problema, perch� la domanda � sempre troppo alta rispetto alle 
possibilit� della struttura. Allo stesso modo gli ospedali pi� piccoli, o con una specializzazione minore, 
hanno tempi d�attesa lunghi perch� il numero di richieste che ricevono � comunque spesso troppo elevato 
per le loro potenzialit�. In generale diventa di primaria importanza il ruolo svolto dai Medici di medicina 
generale (o medici di famiglia) i quali dovrebbero proporsi, rispettando il principio dell�appropriatezza 
delle cure, come filtro per le strutture sanitarie di erogazione delle prestazioni. Troppo spesso, infatti, si 
assiste ad un uso improprio degli esami diagnostici da parte dei cittadini. E� dunque di primaria importanza 
la partecipazione dei rappresentanti della categoria dei professionisti (verso i quali sussiste la responsabilit� 
contabile, secondo un orientamento estensivo della Corte dei conti. Cfr. nota n. 12 in L. 
TRUCCHIA, Le funzioni di direzione e gestione della dirigenza medica. Nuove tendenze in tema di responsabilit�, 
in Diritto pubblico, 2, 2003, pag. 659) ai tavoli di lavoro per la razionalizzazione delle 
prestazioni, onde evitare la perpetuazione di un eccesso dal lato della domanda. 
(21) E� appena il caso di ricordare che il citato d.p.c.m. 16 aprile 2002 all�art. 5 dispone �solo� 
che: l'inosservanza dei tempi massimi d�attesa costituisce un elemento negativo da valutare ai fini dell'attribuzione 
della quota variabile del trattamento economico del direttore generale connesso ai risultati 
di gestione ottenuti e agli obiettivi di salute conseguiti. Il Direttore Generale valuta la responsabilit� 
dell'inosservanza dei tempi d� attesa e dei criteri di appropriatezza ed urgenza all'interno dell'azienda 
sanitaria anche al fine dell'attribuzione della retribuzione di risultato del Direttore Sanitario e dei dirigenti 
di struttura complessa o semplice interessati.
238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
lettivit�� (22). In sostanza, in tema di responsabilit� le problematiche pi� 
complesse sono orami da �collegare alle funzioni ed ai poteri tipicamente manageriali 
che il medico dirigente � chiamato a svolgere [�]. Volendo riservare 
particolare attenzione alla responsabilit� conseguente alle scelte organizzative 
e di gestione, acquistano rilevanza i rapporti tra responsabilit� dirigenziale e 
responsabilit� c.d. amministrativa verso la struttura, derivante dall�aver cagionato 
alla struttura stessa un pregiudizio patrimoniale. Entrambe sono poste, 
infatti, a tutela dell�efficienza dell�efficacia e dell�economicit� dell�azione amministrativa� 
(23) sebbene siano differenti i presupposti ed i meccanismi di 
funzionamento e diverse siano le conseguenze. Invero oggi, da un lato, sono 
ben pi� estese le ipotesi di danno erariale configurabili in capo al dirigente: 
non a caso �la giurisprudenza e la dottrina tendono sempre pi� a individuare 
il danno erariale anche nel danno per impiego non funzionale ed efficiente 
nelle risorse pubbliche, nella mancanza totale o parziale di utilit� nella destinazione 
di risorse pubbliche, nel mancato conseguimento del risultato prefissato 
all�azione dei pubblici poteri�(24); dall�altro, riferendosi alla responsabilit� 
dirigenziale tout court, va ribadito che l�azione amministrativa deve essere 
giudicata e valutata per i risultati che ottiene e la responsabilit� per tali risultati 
deve potersi individuare specificamente in capo a soggetti determinati che assumono 
poteri, obblighi e doveri proprio in misura corrispondente a quei ri- 
(22) Cos� L. TRUCCHIA, cit, pag. 655 e ss. 
(23) Cos� L. TRUCCHIA, cit, ibidem. 
(24) L. TRUCCHIA, cit., pag. 661. Qui l�a. fa riferimento al caso specifico di �danno conseguente 
alla cattiva gestione di fondi sanitari. A fronte dell�utilizzo inefficiente o inefficace delle risorse, si dovrebbe 
procedere alla valutazione del pregiudizio facendo riferimento alla minore quantit� o inferiore 
qualit� delle prestazioni rese, oppure al maggior costo sostenuto per l�erogazione delle stesse e, cio�, 
alla lesione dell�interesse concreto alla maggior quantit� e alla miglior qualit� possibile delle prestazioni 
in relazione alla risorse disponibili. Pi� in generale la Corte dei Conti ha avuto modo di precisare in numerose 
sentenze che il danno all�erario pu� essere rinvenuto anche nei casi di �disservizio�, quando la 
condotta dolosa o gravemente colposa di un singolo soggetto abbia prodotto effetti negativi nella gestione 
di un servizio pubblico �desostanziandolo�. Nel caso di organizzazioni pubbliche con investimenti e 
costi di gestione giustificati dalle attese di utilit� e di previsti benefici, il disservizio consisterebbe, in 
particolare, �nel mancato raggiungimento delle utilit� che erano state previste nella misura e qualit� ordinariamente 
ritraibile dalla quantit� delle risorse investite� e perci�, �in maggiori costi dovuti a spreco 
di risorse economiche o nella mancata utilit� ritraibile dalle somme spese. In effetti anche nella ipotesi 
in cui l�amministrazione o l�azienda pubblica non sopporti alcuna spesa ulteriore per assicurare l�erogazione 
del servizio pubblico, � indubbio che, a fronte di un disservizio che abbatte il livello della qualit� 
delle prestazioni erogate, il minore risultato conseguito a livello di efficienza fa crescere il costo unitario 
della prestazione, con un riflesso immediato nel rapporto tra costi sostenuti e risultati effettivamente 
conseguiti anche qualora il costo complessivo sia rimasto immutato�. Comunque �tanto nel caso di accertamento 
di risultati negativi che nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati la responsabilit� 
del dirigente sembra avere come presupposto la violazione di obblighi, definiti in particolare 
da direttive ed indirizzi dell�organo di governo, ma anche da atti normativi o da atti di portata generale 
come le carte di servizi, che confluiscono inevitabilmente a determinare l�ampiezza della prestazione di 
lavoro del dirigente qualora a quest�ultimo siano stati affidati compiti organizzativi e di gestione� (pag. 
694).
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 239 
sultati attesi. Per esaminare la responsabilit� dei dirigenti, dunque, non si pu� 
prescindere dal valutare le prestazioni dell�amministrazione sanitaria di riferimento 
e le scelte effettuate sotto il profilo della corrispondenza tra direttive 
impartite, obiettivi assegnati e risultati ottenuti. Inevitabilmente, del resto, vi 
sono riflessi nella valutazione dei risultati con l�introduzione di criteri di economicit� 
ed efficienza nella gestione del servizio sanitario e con l�obbligo giuridico 
di modulare la propria attivit� non solo in funzione della qualit� e 
dell�appropriatezza delle cure (25). A questo punto � doveroso chiedersi in 
che misura � in termini qualitativi e quantitativi � sia avvenuta l�implementazione 
di tali norme nel valutare l�attivit� dei dirigenti dei servizi sanitari. Considerando 
gli esiti, � lecito dubitare della loro sostanziale applicazione. 
4. Una complicazione/soluzione del problema? La direttiva europea sulle liste 
di attesa 
Ora, in questa disamina giuridica, non si pu� ignorare il ruolo che altre 
norme non nazionali hanno e potrebbero avere nell�ambito della questione 
�liste di attesa�: in particolare l�attenzione va posta sulla proposta di direttiva 
sulle cure transfrontaliere attualmente in discussione in sede comunitaria. 
E� noto come generalmente le persone preferiscano ricevere cure mediche 
e/o prestazioni sanitarie vicino al luogo di residenza; ci� nonostante gi� da 
tempo la Corte di Giustizia ha affrontato il tema delle cure sanitarie all�estero 
e dell�impatto del diritto della circolazione sulla tutela del diritto alla salute 
(26). Del resto non mancano certo le circostanze in cui � possibile per i pazienti 
trarre benefici nel ricevere cure sanitarie altrove rispetto al luogo dove abitualmente 
vivono: non solo nell�eventualit� che il pi� vicino centro di cure sia 
(25) L�art. 15 ter, co.3, d.lgs. n. 502/1992 prevede che gli incarichi, sia di direzione di struttura 
che di natura professionale, �sono revocati secondo le procedure previste dalle disposizioni vigenti e 
dai contratti collettivi nazionali di lavoro in caso di: inosservanza delle direttive impartite dalla direzione 
generale o dalla direzione del dipartimento; mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati; responsabilit� 
grave e reiterata; in tutti gli altri casi previsti dai contratti di lavoro�. Ed infatti �il conseguimento 
degli obiettivi assistenziali, di diagnosi e cura e di tutela della salute pubblica � considerato [�] perno 
produttivo dell�azienda sanitaria e fine istituzionale di essa, perseguito ad ogni livello e, per questo, costituisce 
parametro di valutazione per tutti i dirigenti [�]. Con riferimento, invece, all�accertamento 
dei risultati negativi della gestione, si � sottolineato come le attivit� organizzativo-gestionali, funzionali 
all�assistenza, debbano essere orientate a correggere le inefficienze dell�attuale sistema: se producono 
sprechi di risorse, se consentono il mancato rispetto di tempi e di standard qualitativi e quantitativi, se 
tollerano inerzie ed omissioni e se, nel complesso, tutto ci� ha evidenti riflessi negativi sull�intera struttura, 
il dirigente sar� chiamato a risponderne�. Cos� L. TRUCCHIA, cit., pag. 693-694. 
(26) Nelle cause riunite 286/83 e 26/83, Graziana Luisi e Giuseppe Carbone c. Ministero del Tesoro 
[1984] Racc. I-377, la Corte ha affermato un principio generale di estrema importanza secondo il 
quale �la libera prestazione dei servizi comprende la libert�, da parte dei destinatari dei servizi, di recarsi 
in un altro stato membro per fruire ivi di un servizio, senza essere impediti da restrizioni [�] e che i turisti, 
i fruitori di cure mediche e coloro che effettuano viaggi di studio o d�affari devono essere considerati 
destinatari di servizi� (paragrafo 16).
240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
oltre il confine, ma soprattutto quando ci si voglia curare in un centro d�eccellenza 
o quando i trattamenti sanitari risultino essere erogati pi� velocemente. 
E� quasi superfluo sottolineare come l�apertura delle frontiere ai pazienti, 
bench� concepita secondo logiche di mercato, costituisca un potenziamento 
della tutela alla salute, rafforzando il diritto di scelta. E� tuttavia 
evidente che la circolazione dei pazienti disgiunta da adeguate risorse economiche 
assume una �pronunciata connotazione elitaria� (ad es. in mancanza 
del rimborso delle spese mediche sostenute) (27): non a caso la Corte 
di giustizia ha cercato di individuare le basi giuridiche di riferimento relative 
al sostegno economico per le cure all�estero, alla tipologia di cure che 
possono essere rimborsate, alle condizioni di rimborso. Nelle sue pronunce 
sono stati enunciati principi che hanno finito per mettere in discussione alcuni 
dei presupposti fondanti dei sistemi di protezione sociale statali e si 
trovano aperture sostanziali per l�ampliamento dei diritti dei pazienti europei. 
In particolare grazie alle sentenze della Corte si � passati a sostenere 
la possibilit� di ricevere il rimborso condizionata all�ottenimento di un�autorizzazione 
da parte delle autorit� sanitarie dello stato di origine del paziente 
(28), alla precisazione secondo la quale il requisito dell�autorizzazione 
non deve costituire un ostacolo alla libera prestazione dei servizi (29). In 
pratica si comincia a concretizzare la possibilit� per i pazienti di fruire di 
(27) Cfr. MARCO DANI, Il diritto costituzionale nell�epoca della circolazione dei fattori di produzione, 
in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0030_dani. 
pdf 
(28) Per un lungo periodo, infatti, il diritto al rimborso delle spese mediche sostenute in altri 
stati membri � stato disciplinato dall�art. 22 del regolamento n. 1408 del 1971 (sostituito da art. 20 
del Regolamento (CE) n. 883/2004, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza 
sociale, in GU L 166 del 30 aprile 2004, p. 1). Tale autorizzazione era dovuta se sussistevano 
due requisiti, ossia se le cure mediche fruite all�estero erano previste dalla legislazione dello stato 
d�origine e se il trattamento richiesto non era disponibile entro il lasso di tempo normalmente necessario 
per il suo ottenimento nello stesso stato d�origine. Soddisfatte queste condizioni, il paziente 
aveva diritto al rimborso integrale delle spese da parte del proprio stato. Si veda Causa 117/77, Bestuur 
Van Het Algemeen Ziekenfonds Drenthe-Platteland c. G. Pierik [1978] Racc. I-825. 
(29) Come si legge in M. DANI, cit., alla fine degli anni �90, si verificano quasi contemporaneamente 
due vicende che porteranno la Corte di giustizia ad ampliare la possibilit� di ottenere il 
rimborso delle spese mediche. In un primo caso, un genitore lussemburghese, nonostante il diniego 
dell�autorizzazione da parte dell�ufficio medico della previdenza sociale, decide ugualmente di far 
curare la figlia da un ortodontista stabilito in Germania e, vistosi rifiutare il rimborso, ricorre di 
fronte al giudice nazionale. Nel secondo caso, sempre un cittadino del Lussemburgo agisce in giudizio 
per ottenere il rimborso delle spese sostenute in Belgio per l�acquisto non autorizzato di un 
paio di occhiali. Si tratta di casi solo apparentemente marginali: la Corte di giustizia, infatti, pone le 
premesse per decisioni future assai importanti. In Kohll (Causa 158/96, Raymond Kohll c. Union 
des caisses de maladie [1998] Racc. I-1931) e Decker (Causa 120/95, Nicolas Decker c. Caisse de 
maladie des employ�s priv�s [1998] Racc. I-1831) si inizia in altre parole a valutare quale sia l�impatto 
del diritto della circolazione sulla materia previdenziale. La Corte sottolinea nella propria decisione 
che il diritto comunitario non lede la competenza degli stati membri ad organizzare i loro
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 241 
cure somministrate in altri stati membri anche al di fuori dei margini previsti 
dalla legislazione comunitaria, fatta eccezione per le cure ospedaliere (30); 
per queste ultime, tuttavia, in ossequio al principio di proporzionalit�, la 
Corte ha ridefinito la cornice entro cui l�autorizzazione pu� essere rilasciata 
sistemi previdenziali. Ma, nell�esercizio delle proprie competenze gli stati devono rispettare gli obblighi 
comunitari e, segnatamente, il principio della libera prestazione dei servizi (artt. 49-50 TCE). 
Precisa, poi, che se l�art. 22 del regolamento 1408/71 stabilisce una procedura per il rimborso delle 
spese mediche, gli artt. 28, 49 e 50 TCE a loro volta possono dare luogo a rimborso di spese che 
non siano state preventivamente autorizzate. Bench� compatibili con l�art. 22, infatti, le autorizzazioni 
richieste dalla legislazione statale determinano ostacoli alla circolazione dei servizi e delle 
merci in quanto, subordinando il rimborso dei servizi o dei beni acquistati all�estero ad un procedimento 
amministrativo non previsto qualora lo stesso acquisto si verifichi nello stato d�origine, esse 
hanno l�effetto di scoraggiare gli interessati dal rivolgersi a medici o rivenditori di prodotti sanitari 
stabiliti in altri stati membri! Occorre dunque verificare se simili ostacoli possono essere giustificati. 
Gli argomenti fatti valere dai governi nazionali a sostegno del procedimento autorizzatorio riguardano 
da un lato la necessit� di garantire un controllo sulla qualit� delle prestazioni mediche fruite 
all�estero, dall�altro l�esigenza di mantenere il controllo sulle spese sanitarie: il primo argomento 
viene agevolmente superato osservando che le qualifiche di medici e operatori sanitari stabiliti nei 
vari stati membri sono state uniformate da apposite direttive comunitarie che, di conseguenza, garantiscono 
la qualit� dei servizi offerti nel mercato comune. Per il secondo argomento, invece, la 
Corte riconosce che in astratto il rischio di una grave alterazione dell�equilibrio finanziario del sistema 
previdenziale pu� giustificare l�esistenza di un ostacolo alla circolazione, ma afferma altres� 
che tale rischio non si verifica nei casi in questione. Si evidenzia infatti che i rimborsi richiesti dai 
ricorrenti, essendo commisurati alle tariffe dello stato d�origine, non vanno ad incidere significativamente 
sull�equilibrio finanziario del sistema previdenziale. 
(30) La questione viene affrontata in Smits e Peerbooms (Causa 157/99, B.S.M. Smits, coniugata 
Geraets c. Stichting Ziekenfonds VGZ e H.T.M. Peerbooms c. Stichting CZ Groep Zorgverzkeringen 
[2001] Racc. I-5473). In un primo caso, la signora Smits aveva fruito in Germania di un 
trattamento specialistico per il morbo di Parkinson. Il signor Peerbooms, invece, era stato ricoverato 
in Austria per essere sottoposto a terapia intensiva mediante neurostimolazione, cura non disponibile 
nello stato d�origine. In entrambi i casi i pazienti si erano rivolti senza successo alla propria cassa 
malattia per ottenere il rimborso. Per la legge olandese, le cure mediche all�estero vanno autorizzate 
e per poterlo essere devono risultare necessarie e rientrare tra le cure usuali (e, quindi, non sperimentali) 
secondo la concezione prevalente nell�ambito medico nazionale. La Corte di giustizia, dopo 
aver precisato che tutte le attivit� mediche, comprese quelle ospedaliere, rientrano nella nozione comunitaria 
di servizi (laddove si sia proceduto a remunerazione degli istituti di cura), e aver ribadito 
che il requisito dell�autorizzazione determina un ostacolo alla libera prestazione dei servizi, si chiede 
se esistono ragioni che inducono a mantenere il procedimento di autorizzazione. La Corte ne individua 
in astratto tre: gli ostacoli alla libera prestazione di servizi nell�ambito delle cure ospedaliere 
si possono giustificare quando vi sia un rischio di grave alterazione dell�equilibrio finanziario del 
sistema previdenziale, quando siano funzionali al mantenimento di un servizio medico ospedaliero 
equilibrato ed accessibile a tutti, quando sia in gioco la conservazione del sistema sanitario nazionale 
o di una competenza medica nel territorio nazionale. A differenza di quanto visto in Kohll, nel caso 
di cure ospedaliere il requisito dell�autorizzazione viene ritenuto un valido strumento per conseguire 
quegli obiettivi. La Corte riconosce la natura specifica delle prestazioni mediche dispensate dagli 
istituti ospedalieri. In particolare, viene sottolineata la necessit� per gli stati di sottoporre tali prestazioni 
a programmazione al fine da un lato di assicurare �la possibilit� di un accesso sufficiente e 
permanente ad una gamma equilibrata di cure ospedaliere di qualit��, dall�altro �di garantire un controllo 
dei costi ed evitare, per quanto possibile, ogni spreco di risorse finanziarie, tecniche ed umane�. 
Su queste basi, il requisito della previa autorizzazione all�assunzione degli oneri finanziari per cure 
ospedaliere prestate in altro stato membro viene ritenuto necessario e ragionevole.
242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
(31): precisamente, l�autorizzazione alle cure ospedaliere non pu� dipendere 
dalla discrezionalit� delle singole amministrazioni nazionali ma deve 
riferirsi a requisiti di obiettivit� (internazionali) affermati in relazione alla tipologia 
delle cure rimborsabili (32). La Corte introduce anche un tema che 
nel futuro dar� luogo ad importanti evoluzioni: la tempestivit� del trattamento 
e dunque la rilevanza del fattore tempo nella valutazione della necessit� della 
cura per la quale si richiede l�autorizzazione (33). In altre parole l�autorizzazione 
� dovuta quando il trattamento richiesto, pur previsto nelle strutture 
ospedaliere nazionali convenzionate, non sia disponibile nei tempi richiesti 
dalla condizione clinica e dagli antecedenti del paziente. Ecco, dunque, che 
l�interpretazione delle norme sulla circolazione dei servizi (cure mediche) e 
delle persone (pazienti) si avvia ad incidere sulle liste di attesa e spinge in 
qualche modo i servizi sanitari all�efficienza: ci� perch�, se � vero che lo stato 
d�origine non pu� avvantaggiarsi economicamente della mancata cura di un 
(31) Va ricordato che nel caso Smits e Peerbooms (paragrafi 86-87) la legislazione olandese faceva 
riferimento alle cure usuali secondo la prevalente concezione medica nazionale. Qui la Corte non interviene 
di fronte alle scelte compiute in autonomia dagli stati membri, sostenendo che gli stati membri 
possono definire elenchi di trattamenti medici ed ospedalieri coperti dal sistema di protezione sociale 
senza interferenza da parte del diritto comunitario (paragrafo 90). La Corte, tuttavia, afferma altres� che 
�un regime di previa autorizzazione amministrativa non pu� legittimare un comportamento discrezionale 
da parte delle autorit� nazionali, tale da privare le disposizioni comunitarie, in particolare quelle relative 
ad una libert� fondamentale [�] di un�applicazione utile [�]. Pertanto, un regime di previa autorizzazione 
amministrativa, perch� sia giustificato anche quando deroga ad una libert� fondamentale, deve 
essere fondato in ogni caso su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo alle imprese interessate, 
in modo da circoscrivere l�esercizio del potere discrezionale delle autorit� nazionali affinch� 
esso non sia usato in modo arbitrario�. 
(32) La Corte ha stabilito cio� che la legislazione olandese non rispetta questi requisiti di obiettivit�, 
laddove registra che la presa in considerazione dei soli trattamenti normalmente praticati nel territorio 
nazionale al fine della verifica della loro natura usuale rischia di privilegiare nei fatti i prestatori 
di cure olandesi (Smits e Peerbooms, paragrafi 96-97). 
(33) E� chiaro che tale soluzione suggerita dalla Corte amplia l�offerta di cure per i pazienti, ma 
� altrettanto evidente che essa finisce per interferire in maniera rilevante con l�equilibrio finanziario dei 
sistemi sanitari nazionali e, in particolare, di quelli dotati di minori risorse. Si noti che contestualmente 
a Smits e Peerbooms, la Corte di giustizia decide anche il caso Vanbraekel (Causa 368/98, Abdon Vanbraekel 
e altri c. Alliance nationale des mutualit�s chr�tiennes (ANMC) [2001] Racc. I-5363. ). Qui il 
tema principale � la quantificazione dell�importo del rimborso per cure mediche ricevute all�estero in 
assenza di autorizzazione. Qui la Corte non si limita ad affermare che l�interessato a cui sia stata illegittimamente 
negata l�autorizzazione a rivolgersi a strutture sanitarie di altri stati membri ha diritto di ottenere 
in base al regolamento 1408/71 la copertura totale delle spese di ricovero ospedaliero. Poich� nel 
caso in questione il costo delle cure sostenute all�estero era inferiore all�importo previsto dalla tariffa 
dello stato d�origine, la Corte afferma che, in base all�art. 49 TCE, il paziente ha diritto anche ad un 
rimborso complementare pari alla differenza tra i due importi. �Le implicazioni di tale principio sono 
di notevole importanza e riguardano ancora la diversa intensit� che pu� assumere il principio di proporzionalit�. 
Non solo la Corte di giustizia chiarisce che lo stato d�origine non pu� risparmiare a seguito 
della migrazione dei propri pazienti approfittando delle tariffe meno costose degli stati dove la cura 
viene effettivamente erogata. Implicito alla soluzione adottata vi � anche il riconoscimento che i cittadini 
hanno diritto ad un quantum di rimborso che essi possono spendere in strutture statali o, nel rispetto di 
determinate condizioni, in strutture straniere� cos� M. DANI, cit.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 243 
proprio cittadino (se le cure da rimborsare sono pi� basse), � assai probabile 
che possa rimetterci. Infatti, in primo luogo, il principio della presa in carico 
integrale delle cure sostenute all�estero in base all�art. 22 vige anche quando 
queste siano pi� costose di quelle nazionali; in secondo luogo, il fatto che lo 
stato d�origine sia obbligato a riconoscere al proprio paziente l�importo delle 
cure sostenute all�estero non lo sottrae certo dal sostenere le spese per il mantenimento 
delle proprie strutture ospedaliere. Si concorda quindi con chi ha 
osservato che lo stato d�origine si pu� trovare in realt� a dover pagare - a causa 
della sua inefficienza - due volte per uno stesso paziente, con l�effetto perverso 
di minare alle basi l�equilibrio finanziario (34). 
L�importanza del tema sulle liste di attesa sembra aumentare allorquando 
la Corte di giustizia ribadisce che, nel valutare le condizioni per il rilascio 
dell�autorizzazione ad un trattamento all�estero, devono trovare accoglimento 
considerazioni relative ai tempi di attesa troppo lunghi e tali da compromettere 
l�efficacia delle cure (35). L�argomento in questione diventa centrale, poi, nel 
momento in cui le modifiche all�art. 22 del regolamento 1408/71 prevedono 
l�obbligo di concedere l�autorizzazione qualora le cure non possano essere 
praticate nello stato d�origine �entro un lasso di tempo accettabile sotto il profilo 
medico�: un sistema di liste d�attesa rimane ammissibile, ma questo non 
pu� andare a discapito dell�efficacia delle cure ai pazienti (36). Si richiede 
perci� un nuovo bilanciamento tra esigenze organizzative e finanziarie dello 
stato e diritti individuali dei cittadini: ovvero necessit� economiche e organizzative 
possono essere tenute in considerazione nella misura in cui non si rive- 
(34) G. DAVIES, The Process and Side-Effects of Harmonisation of European Welfare States, Jean 
Monnet Working Paper, 2/06, http://www.jeanmonnetprogram.org/papers/06/060201.html, p. 30. 
(35) Causa 385/99, M�ller-Faur� e Van Riet [2003] Racc. I-4509. Qui la Corte consente alle autorit� 
nazionali di poter rifiutare l�autorizzazione a recarsi all�estero solo se analogo trattamento pu� essere 
erogato tempestivamente dalle strutture ospedaliere nazionali convenzionate tenuto conto della 
condizione clinica del paziente richiedente. 
(36) Si noti che la disposizione del nuovo art. 22 entra nella decisione delle cause Inizan (Causa 
56/01, Patricia Inizan c. Caisse primarie d�assurance malarie des Hauts-de-Seine [2003] I-12403) e 
Watts (Causa 372/04, The Queen (on the application of Yvonne Watts) v. Bedford Primary Care Trust, 
Secretary of State for Health [2006] Racc. I-4325). In quest�ultima, la Corte di giustizia affronta la vicenda 
di una signora inglese che, affetta da artrite acuta e preoccupata dai tempi di attesa stabiliti dal 
National Health Service, chiede di potersi fare operare in Francia per l�apposizione di una protesi all�anca. 
Rientrata in patria dopo l�operazione, inoltra domanda di rimborso spese e, a fronte di un diniego, 
ricorre in giudizio. Secondo la Corte se i tempi previsti in base al sistema delle liste sono inferiori o 
uguali a quello accettabile alla luce di una valutazione medica obiettiva dei bisogni clinici del paziente, 
le autorit� amministrative sono legittimate a rifiutare l�autorizzazione. Consentire il rimborso dei trattamenti 
in questi casi, infatti, significherebbe compromettere gli sforzi di pianificazione e razionalizzazione 
compiuti dai sistemi sanitari nazionali. Se per� i tempi delle liste eccedono quelli richiesti dalle 
condizioni del paziente, l�autorizzazione � dovuta, anche se il costo per il sistema nazionale d�origine 
pu� risultare superiore (Watts, paragrafi 70-79). La Corte precisa, tuttavia, che in caso di mancata assunzione 
integrale delle spese da parte dello stato ospitante, non vi � un diritto al rimborso totale da 
parte dello stato di origine, tenuto a garantire la copertura delle spese nei limiti della quota virtuale prevista 
per la cura in questione dalla tariffa nazionale.
244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
lino pregiudizievoli per il singolo paziente. Qualora tale eventualit� si verifichi, 
quest�ultimo pu� decidere di recarsi all�estero per ottenere le cure e spedire 
il conto al proprio stato. 
Ci� che si vuole assicurare, in sostanza, � l�alta qualit� dei servizi sanitari 
messi a disposizione dei pazienti: la questione � di primaria importanza, non 
a caso il diritto alle cure sanitarie � riconosciuto dalla Carta dei Diritti Fondamentali 
dell�Unione Europea. Oramai � un dato di fatto che i sistemi sanitari 
e le relative politiche dei Paesi membri stanno diventando sempre pi� interconnesse 
e ci� non solo grazie alla circolazione di pazienti e professionisti, 
ma anche per la diffusione di nuove tecnologie mediche e l�utilizzo di quelle 
informatiche. Le maggiori interconnessioni, tuttavia, amplificano talune problematiche 
di politica sanitaria: la richiesta d�informazioni per pazienti; la 
qualit� e l�accesso a trattamenti sanitari; la preparazione dei professionisti; la 
cooperazione sanitaria; l�armonizzazione delle norme, etc. (37). A tal fine, da 
tempo la Commissione Europea ha invitato i ministri degli Stati Membri e i 
rappresentanti della societ� civile a prendere parte ad un processo di riflessione 
sulla mobilit� dei pazienti e lo sviluppo del sistema sanitario in Europa (38). 
A seguito di questa consultazione, nel luglio 2004 la Commissione affida ad 
un High Level Group la verifica della messa in pratica di una direttiva sulla 
fattiva collaborazione tra i sistemi sanitari nazionali nell�UE. E nel luglio 2008 
viene predisposta una proposta di direttiva sull�assistenza sanitaria transfrontaliera 
(39), che ha come obiettivo l'istituzione di un quadro normativo comunitario 
sulla mobilit� dei pazienti. Tale quadro comprende principi comuni a 
tutti i sistemi sanitari dell'UE; norme specifiche per l'assistenza sanitaria transfrontaliera; 
e modalit� per la cooperazione nei sistemi di assistenza. 
Tenendo conto della giurisprudenza della Corte di Giustizia, la proposta 
in oggetto mira a costruire precisi riferimenti giuridici per l�assistenza sanitaria 
transfrontaliera all'interno del territorio comunitario. Da un punto di vista pratico, 
la sua approvazione consentirebbe ai cittadini europei di fruire dell'assistenza 
sanitaria negli altri Stati membri con conseguente rimborso dei costi, 
senza autorizzazione preventiva se si tratta di cure non ospedaliere e su base 
di autorizzazione preventiva in caso di cure ospedaliere e specializzate (40). 
(37) E� appena il caso di ricordare che gli Stati membri dell�Unione Europea sono i principali responsabili 
dei propri Sistemi Sanitari; ogni Stato membro gestisce l�organizzazione ed eroga prestazioni 
sanitarie e cure mediche nel proprio territorio secondo l�Art. 152 TEC, in alcuni stati le cure sono gratuite, 
in altri parzialmente gratuite, mentre in altri ancora occorre pagare le spese sanitarie per intero e 
poi chiederne il rimborso: ad esempio chi si dovr� recare al pronto soccorso di Madrid o Londra non 
sar� tenuto a pagare la prestazione medica ricevuta, mentre in altri casi, come a Bruxelles, sar� vincolato 
dal pagamento della cura ricevuta e a richiederne il rimborso al rientro. 
(38) Comunicazione sulla mobilit� dei pazienti e lo sviluppo della sanit� nell�UE, COM (2004) 
301 del 20 Aprile 2004, in http://ec.europa.eu/health/ph_overview/co_operation/mobility/docs/comm_ 
health_services_comm2006_it.pdf 
(39) Proposta di direttiva 2008/0142. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 245 
La direttiva prevede anche il riconoscimento delle prescrizioni mediche rilasciate 
in un altro Stato membro, lo sviluppo di reti europee dei fornitori di assistenza 
sanitaria, la realizzazione di sistemi di sanit� elettronica (e-Health) e 
una pi� forte cooperazione in materia di gestione delle nuove tecnologie sanitarie 
(41). Con il nuovo impianto normativo, dunque, la possibilit� di scegliere 
il luogo in cui andare a curarsi verrebbe giuridicamente definita e porrebbe i 
cittadini europei su un piano di maggiore parit� sia nel settore della sanit� pubblica 
che in quella privata. Il risultato che si vorrebbe ottenere � quello di consentire 
ad un paziente di non subire le conseguenze di un sistema sanitario che 
funziona male, dandogli la possibilit� di andare nel Paese in cui ritiene ci siano 
condizioni migliori. Le ricadute di questa direttiva potrebbero comunque avere 
un forte impatto sulla spesa sanitaria dei singoli Stati membri. Non � un caso 
allora se il provvedimento continua ad essere rimandato da mesi per paura di 
un incremento su larga scala del turismo della salute e risulta ostacolato soprattutto 
dai Paesi con sistemi sanitari meno efficienti o in cui ci sono lunghe 
liste d�attesa. L�unico limite al rischio di ricadute negative sui bilanci delle 
strutture di assistenza sanitaria risiede in una �norma paracadute�: ciascun 
Paese potr� prevedere un tetto massimo di spesa da finanziare per evitare il 
dissesto. 
In Italia le cose sono complicate ulteriormente perch� a decidere rimborsi 
(40) Ci sono, ovviamente, pareri diversi. Si veda per esempio http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ 
ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/7140; oppure http://www.prcbergamo.it/index2.php?option=com_content&
do_pdf=1&id=804 
(41) Nel campo dell�e-Health, in particolare, la direttiva propone l'interoperabilit� transfrontaliera 
dei sistemi delle cartelle cliniche elettroniche. I pazienti, ma soprattutto i medici, potrebbero accedere 
cos�, in qualsiasi momento e ovunque si trovino, a informazioni importanti archiviate in sistemi di registrazione 
elettronica dei dati clinici. Per dimostrare i benefici di tale interoperabilit� la Commissione 
ha cofinanziato un progetto, sostenuto da 12 Stati membri tra cui l'Italia, che si chiama Smart Open Services 
(SOS). La registrazione elettronica dei dati avverr� su base puramente volontaria e su richiesta 
del cittadino, rispettando il suo diritto alla riservatezza. Sar� elaborato un quadro sintetico delle informazioni 
da inserire nelle banche dati sanitarie, come il gruppo sanguigno, le allergie note, i problemi 
medici e informazioni specifiche su eventuali terapie seguite dal paziente. Sempre su base volontaria, i 
centri specializzati dei diversi Stati membri potranno partecipare a reti europee di riferimento, che hanno 
l'obiettivo di fornire ai pazienti un accesso pi� agevole a cure altamente specializzate. Il progetto costituisce 
il primo passo verso la soluzione dei problemi che i medici incontrano con i pazienti che necessitano 
di trattamenti sanitari all'estero. Si pensi alla prescrizione di farmaci essenziali che il paziente 
pu� aver perso, alla comunicazione delle condizioni di salute a medici che parlano un'altra lingua, alla 
diagnosi di malattie e alla prescrizione dei farmaci pi� adatti senza avere una conoscenza approfondita 
della storia clinica del paziente. Anche se vari Stati membri hanno gi� istituito cartelle cliniche elettroniche, 
molti di questi sistemi (nazionali) non sono in grado d'interagire. Il progetto tenter� di garantire 
la compatibilit� delle informazioni mediche in formato elettronico indipendentemente dalla lingua o 
dalla tecnologia utilizzata, senza richiedere l'istituzione di un sistema comune per l'intera Europa. Ci� 
consentir� ai professionisti del settore sanitario di accedere elettronicamente, nella loro lingua, ai dati 
di un paziente proveniente da un altro paese, utilizzando tecnologie e sistemi diversi. Il progetto permetter� 
inoltre alle farmacie il trattamento elettronico delle prescrizioni di farmaci effettuate in altri 
Stati membri, in modo che i pazienti che si spostano nell'UE possano ottenere i medicinali necessari.
246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
ed autorizzazioni sono le Regioni. Oggi un paziente intenzionato a curarsi all�estero 
deve presentare una richiesta alla sua Asl, allegando i pareri dello specialista 
che lo ha visitato; dopo aver avviato la pratica deve attendere il 
responso dell' Azienda sanitaria; se il parere � negativo, al paziente � garantito 
il diritto di scegliere un ospedale o un medico oltreconfine, ma il Sistema sanitario 
nazionale non rimborser� le spese sostenute. La risposta positiva � condizionata 
dalla mancanza in Italia di strutture specializzate (� il caso di molte 
malattie rare), o alla lunghezza delle liste d'attesa. Con la nuova direttiva, se 
il caso del paziente rientrer� nelle condizioni ivi previste, non si potr� pi� negare 
il rimborso delle spese sostenute. In altre parole in una condizione come 
quella italiana, l�approvazione di questa direttiva potrebbe incrementare il fenomeno 
dell�emigrazione sanitaria, attualmente non molto significativo e condizionare 
quello delle liste di attesa (42): l�esasperazione dei pazienti per i 
tempi di attesa troppo lunghi, la facilit� di spostamento e costi pi� bassi rispetto 
al passato per recarsi nel luogo scelto per la cura potrebbero stimolare una 
maggiore mobilit�. Sfruttando le possibilit� offerte dal diritto di scelta, i pazienti 
emigrerebbero e in taluni casi si potrebbe verificare un �decongestionamento 
delle file�, con effetti non del tutto positivi per�: da un lato infatti 
non pu� non ravvisarsi un effetto di selezione dei pazienti (emigrano i pi� informati, 
i pi� abbienti, etc.) (43); dall�altro vi � il rischio che le strutture sanitarie 
paghino �di pi�� la prestazione richiesta (non solo perch� il costo 
all�estero � maggiore ma anche per la diminuzione di eventuali effetti positivi 
da economie di scala). Per evitare questa eventualit�, sicuramente possibile in 
condizioni di aumentata concorrenza, occorre accrescere la propria efficienza, 
provando a migliorare il rapporto costi/benefici: per non perdere pazienti e 
quindi la rimunerativit� dei fattori di produzione si dovr� puntare ad una maggiore 
competitivit� e lavorare instancabilmente sulla qualit� del servizio offerto, 
anche e soprattutto in termini di tempi di attesa (44). 
(42) L'Eurobarometro ha contribuito allo studio con un'indagine volta alla comprensione dell'effettiva 
mobilit� transfrontaliera dei pazienti, dei benefici e dei problemi legati alle cure mediche all'estero. 
Lo si veda in http://ec.europa.eu/health/ph_overview/co_operation/healthcare/docs/ebs_210_en.pdf. 
Sulla sostenibilit� finanziaria dei sistemi sanitari si veda invece http://www.epicentro.iss.it/temi/politiche_
sanitarie/financingHealthCare09.asp. Che il fenomeno dell�emigrazione possa aumentare in breve 
tempo � dimostrato dagli effetti della legge n. 140/2004 sulla procreazione assistita. Cfr. a titolo esemplificativo 
http://www.clicmedicina.it/pagine%20n%2028/fecondazione-assistita.htm; o � http://salute24.
ilsole24ore.com/bioetica/nascere_e_morire/1925_Legge_40:fecondazione_all_esteroper_10_mila 
_coppie.php 
(43) Per ottenere informazioni in merito alle liste di attesa di ogni Paese dell�Unione Europea occorre 
rivolgersi ad ogni singolo Stato; se un cittadino europeo vuole curarsi in uno stato diverso da 
quello di appartenenza dovr� rivolgersi allo Stato prescelto e attenersi alle regole sulle liste d�attesa ivi 
vigenti. Non esistono liste d�attesa che privilegiano i cittadini europei (nel rispetto del principio di uguaglianza), 
nella proposta di direttiva sono per� previsti punti informativi dislocati in ogni stato (in numero 
da definirsi), in grado di dare la pi� ampia e completa informazione al cittadino europeo che voglia curarsi 
oltreconfine.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 247 
5. Prospettive future fra esigenze di responsabilizzazione, innovazione tecnologica 
e interazione fra norme 
Le difficolt� nel governare il fenomeno delle liste di attesa non emergono 
ovviamente solo da queste pagine: sono avvalorate, infatti, da numerosi studi, 
i quali sottolineano tutti che la via maestra per contenere e risolvere il suddetto 
fenomeno va trovata all�interno di un sistema armonico di strumenti di varia 
natura (giuridici, organizzativi, etc.) ed utilizzando modi di collaborazione appropriati 
fra tutti gli attori del sistema, sia quelli operanti sul versante prescrittivo 
sia quelli di tutela del cittadino. Ogni sforzo deve essere volto a 
promuovere al massimo la capacit� del servizio sanitario - a livello centrale e 
periferico - di intercettare il reale bisogno di prestazioni dei cittadini per garantire 
l�incontro pi� adeguato fra domanda e offerta di cure; le strutture sanitarie, 
in particolare, dovranno avere la consapevolezza di dover affrontare la 
continua sfida del soddisfacimento dei bisogni di salute attraverso con un servizio 
efficiente rapido ed economico in un contesto di risorse disponibili che 
sembra ridursi nel tempo. E� noto che in un�epoca come quella attuale la continua 
crescita delle richieste di prestazioni specialistiche genera una notevole 
pressione sulle strutture sanitarie ambulatoriali sia territoriali che ospedaliere 
le quali, pur organizzandosi per affrontare al meglio il problema, non riescono 
a soddisfare in tempi rapidi tutte le richieste, con conseguente incremento - in 
non tutti i casi - delle liste di attesa e del malcontento. E� altrettanto noto poi 
come l�aumento del numero delle prestazioni erogate provochi una dilatazione 
della spesa globale dando origine ad una paradossale situazione che vede un 
(44) Sui possibili effetti negativi la stessa relazione alla proposta di direttiva rileva: �Per evitare 
un impatto insostenibile, � inoltre importante assicurare un trattamento non discriminatorio dei pazienti 
indipendentemente dal fatto che essi siano o no iscritti a un dato sistema nazionale. Da un punto di vista 
economico, si evitano cos� incentivi perversi consistenti nel dare la precedenza ai pazienti stranieri rispetto 
ai pazienti nazionali e si evita di compromettere nel lungo periodo gli investimenti in conto capitale 
nella sanit�. Da un punto di vista sanitario, trattare i pazienti in modo equo � essenziale se si vuole 
garantire che l'impatto dell'assistenza sanitaria transfrontaliera sulla salute, ad esempio in termini di 
tempi di attesa, resti ragionevole e gestibile. [�] La prestazione di assistenza a pazienti di altri paesi 
non deve comunque compromettere la finalit� primaria dei sistemi sanitari degli Stati membri, che consiste 
nel fornire cure sanitarie ai propri residenti. La direttiva proposta chiarisce che le norme da essa 
dettate in materia di assistenza sanitaria transfrontaliera non conferiscono alle persone provenienti dall'estero 
il diritto di essere curate pi� tempestivamente dei pazienti nazionali. Laddove esistano liste di 
attesa per un determinato trattamento, i pazienti di altri Stati membri dovrebbero esservi inseriti secondo 
gli stessi criteri e attendere lo stesso tempo dei pazienti nazionali che presentino un analogo bisogno di 
cure. I fornitori di assistenza sanitaria non sono neppure obbligati ad accettare per trattamenti programmati 
pazienti provenienti dall'estero qualora ci� comprometta il mantenimento delle strutture sanitarie 
o delle competenze mediche nello Stato membro di destinazione. Se, invece, quest'ultimo paese dispone 
della capacit� di assistere i pazienti con maggiore tempestivit� del paese di origine senza che ci� determini 
un allungamento dei tempi di attesa di altri utenti e se i pazienti interessati sono disposti ad accettare 
il disagio di doversi spostare in un altro paese per ricevere le cure, il risultato � un'assistenza pi� efficiente 
per tutti�.
248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
contemporaneo aumento dei carichi di lavoro degli operatori, dei tempi di attesa 
del cittadino e delle difficolt� di gestione. Sembra chiaro dunque come a 
fronte delle diverse cause che incidono sulle liste di attesa occorrano rimedi 
di diversa natura: in queste pagine si � voluto dimostrare che le liste di attesa 
possono non decrescere o addirittura aumentare pur in presenza di una copiosa 
normativa di sostegno al contenimento, e ci� perch� si pecca nella concreta 
applicazione delle disposizioni soprattutto quelle relative alla responsabilizzazione 
dei dirigenti. Il tema dell�attivazione delle responsabilit�, tuttavia, pu� 
diventare assai importante nel combattere il fenomeno in oggetto soprattutto 
in considerazione dell�ampliamento delle fattispecie che la giurisprudenza pi� 
avveduta ha messo in rilievo: non solo responsabilit� per mancato raggiungimento 
del risultato, ma anche responsabilit� amministrativa per danno all�erario, 
integrabile per ipotesi assai variegate. Il tentativo di arginare le lunghe 
liste d�attesa con lo strumento dell�intramoenia o di forme di remunerazione 
legate al risultato possono essere utili, ma se le norme non vengono adeguatamente 
applicate o risultano eluse (45), si rischia di perpetuare lo spreco di 
risorse e di non contrastare le �disfunzioni� organizzative assai radicate in taluni 
contesti. Peraltro � appena il caso di ricordare che � facendo leva sulla insoddisfazione 
dei pazienti e sull�urgenza delle cure che si d� adito alle 
compagnie di assicurazione ed alle strutture sanitarie private di minare la bont� 
del servizio sanitario pubblico, offrendo s� prestazioni in tempi rapidi ma compromettendo 
ulteriormente la remunerazione e dunque l�efficienza delle cure 
prestate dalle strutture pubbliche. Buone prospettive di miglioramento (soprattutto 
dal versante della razionalizzazione delle risorse e della intercettazione 
dei bisogni dei cittadini) viene dall�uso sempre pi� massiccio dell�Ict. 
Il rapporto �Servizi Digitali al Cittadino: una Sanit� sempre pi� accessibile", 
recentemente pubblicato dall�Osservatorio Ict in Sanit� della School of Management 
del Politecnico di Milano offre, a riguardo, un quadro complessivo 
dell�attuale utilizzo dei servizi elettronici in campo sanitario e delle prospettive 
future (46): dall�impiego di un supporto fondamentale come la cartella clinica 
(45) Cfr. i casi di maladministration relativi all�introemenia citati in M. DEANGELIS, Spesa sanitaria 
e prestazioni nel servizio sanitario nazionale, in La spesa sanitaria: i controlli, le violazioni, la 
tutela penale e amministrativo-contabile. Atti del Convegno 22 maggio 2007, Ancona, Guardia di Finanza 
Ed. 
(46) Il rapporto dell�Osservatorio Ict in Sanit� si trova in: http://www.osservatori.net/ict_in_sanita/
rapporti/rapporto/journal_content/56_INSTANCE_0HsI/10402/520454. 
Il rapporto fornisce un quadro della diffusione dei servizi elettronici nella sanit� italiana e del ruolo 
degli enti. La ricerca si basa su undici casi studio e su una survey che ha coinvolto 67 CIO (Chief Information 
Officer) e oltre 120 tra direttori generali e sanitari, rappresentativi delle principali strutture sanitarie 
italiane. Lo studio vuole affrontare con sguardo critico l�utilizzo delle tecnologie informatiche 
in ambito sanitario e vuole, allo stesso tempo, stimolare l�uso ottimale dell�Ict in questo campo da parte 
dei decision makers. La ricerca si � focalizzata su quattro ambiti: la cartella clinica elettronica; i servizi 
digitali al cittadino; i sistemi di supporto alla clinical governance; la dematerializzazione dei documenti.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 249 
elettronica all�uso sempre pi� massiccio di servizi digitali al cittadino per aumentare 
l�accessibilit� ai percorsi di cura e diagnosi. Secondo i dati raccolti, 
i servizi riconducibili all�area e-government in campo sanitario (download documenti, 
pagamenti on line, prenotazione di prestazioni e farmaci) sono abbastanza 
diffusi e hanno interessanti prospettive di una maggiore estensione 
nell�immediato futuro. In particolare ampio margine di crescita � previsto per 
il servizio di prenotazione, che ad oggi rimane il servizio pi� diffuso (� presente 
nel 45% delle aziende contattate per la ricerca) (47). Secondo le stime 
del rapporto, la sua diffusione arriver�, entro breve tempo, al 70%. Per l�applicazione 
di altri tipi di supporti innovativi utili al contenimento delle liste di 
attesa e alla soddisfazione degli utenti (per esempio forum, blog, chat...) si rileva 
una forte marginalit� (meno del 10%) e ci� � anche dovuto alla poca volont� 
mostrata dalle aziende sanitarie di investire in tale direzione. 
L�evoluzione in positivo del fenomeno delle liste di attesa, in ogni caso, 
non pu� dipendere solamente da soluzioni sul versante dell�organizzazione 
dell�offerta e dei volumi della produzione, ma occorre coniugare il diritto alle 
cure del cittadino con adeguate strategie di governo della domanda che tenga 
conto dell�applicazione di rigorosi criteri sia di appropriatezza che di urgenza 
delle prestazioni (e a tal fine si conviene con quanto previsto nel PNCTA sulla 
necessit� di individuare adeguate sedi e strumenti di governo clinico ai diversi 
livelli del sistema che coinvolgano direttamente tutti i professionisti, prescrittori 
e non). Senza ignorare l�importanza cruciale dell�applicazione delle norme 
sanzionatorie relative alla responsabilit� di risultato e amministrativa. Norme 
sanzionatorie che vanno in primis riferite ai direttori generali e ai responsabili 
delle strutture e che si adottano non solo per i casi che evidenziano danno o 
colpa grave ma anche - e finalmente - per fattispecie come il danno all�immagine 
del servizio sanitario nazionale, rivalsa per risarcimento da danno per 
liste di attesa troppo lunghe, etc. Si noti, a questo punto, che l�eventuale approvazione 
della direttiva sulle cure transfrontaliere potrebbe sostenere la via 
della maggiore �responsabilizzazione� in virt� del principio secondo cui occorre 
risarcire il danneggiato per omessa o tardiva attuazione di direttive comunitarie 
(48). E in ogni caso ben venga questa direttiva perch�, anche se con 
tutti i dubbi sulla concreta efficacia in termini di miglioramento delle chances 
di cura per tutti i cittadini, mira a costruire precisi riferimenti giuridici (con 
(47) Si osservi che la crescita dell�utilizzo delle tecnologie informatiche in un campo delicato 
come quello della salute dei cittadini solleva le preoccupazioni del Garante per la protezione dei dati 
personali. A tal proposito, il Garante ha approvato specifiche Linee guida in tema di referti on line 
(http://www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=1630271) che individuano misure e accorgimenti a 
garanzia dei cittadini, sia per quanto riguarda la ricezione del referto via mail, sia per il download degli 
esami clinici direttamente dal sito web della struttura sanitaria. 
(48) Cfr. Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili 17 aprile 2009, n. 9147 sulla omessa o tardiva attuazione 
di direttive comunitarie.
250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
garanzia di cure sicure e di qualit� nonch� procedure di rimborso dei costi 
chiari e trasparenti) per l�assistenza sanitaria transfrontaliera senza che vengano 
frapposti ostacoli ingiustificati dal paese di origine di un paziente o l�assistenza 
sia contrastata dall'incompatibilit� delle disposizioni dei paesi 
interessati: � vero che la Carta Europea di assistenza sanitaria prevede gi� la 
possibilit� di andare ad effettuare cure all'estero, ma il problema � che al momento 
i sistemi nazionali non rimborsano facilmente le spese o lo fanno soltanto 
in seguito al ricorso del paziente. Con la nuova direttiva dovrebbe bastare 
l�indicazione della "preferenza soggettiva" per un ospedale straniero o dimostrare 
"il costo minore" del trattamento per vedersi garantito il diritto al rimborso. 
In altre parole la possibilit� di scegliere il luogo in cui andare a curarsi 
dovrebbe essere giuridicamente ben definita con il risultato finale di consentire 
ad un paziente (rectius ad un numero sempre pi� crescente di pazienti) di non 
subire le conseguenze di un sistema sanitario che funziona male, limitando i 
vincoli nella decisione di andare in un Paese in cui ci sono condizioni migliori. 
In altre parole, l�azione congiunta di norme comunitarie e norme nazionali � 
con l�operato costante e sempre pi� incisivo degli organi di controllo - potrebbe 
costituire nel medio periodo una delle strategie vincenti volte a contrastare 
il fenomeno delle liste di attesa, uno stimolo ad attivare quelle sinergie 
(di cui si parla anche nel PNCTA) fra i vari soggetti istituzionali e non deputati 
a contrastare l�inefficienza, un percorso per migliorare la soddisfazione dei 
pazienti e i risultati dei servizi offerti.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 251 
Sull�Avvocatura dello Stato 
Organizzazione e prospettive di riforma nel quadro 
istituzionale in trasformazione 
Michele Gerardo* 
SOMMARIO: 1. Osservazioni generali - 2. Carico di lavoro dell�Avvocatura dello Stato - 
3. Costo dell�Avvocatura dello Stato - 4. Problemi inerenti l�Avvocatura dello Stato implicanti 
la necessit� di interventi riformatori - 5. Modifica dell�Istituto sul modello dell�Attorney General 
anglosassone - 6. Modifica dell�Istituto sul modello delle Autority - 7. Interventi riformatori 
nell�alveo dell�attuale struttura dell�Istituto. 
I. Osservazioni generali 
L�Avvocatura dello Stato, che si articola nell�Avvocatura Generale dello 
Stato con sede a Roma e nelle Avvocature Distrettuali dello Stato (in numero 
di 25 presso le sedi di Corte di Appello), � l�organo legale dello Stato e degli 
enti pubblici autorizzati ad avvalersi del suo patrocinio. 
� organo incardinato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e difensore 
in giudizio � in via organica ed esclusiva � dei soggetti abilitati ad avvalersi 
del suo patrocinio, rende i pareri obbligatori per legge (negli atti di 
transazione) e quelli facoltativamente richiesti. 
L�ordinamento, la struttura e le funzioni dell�Avvocatura dello Stato sono 
disciplinati in specie dai seguenti testi: 
1) R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611 (approvazione del testo unico delle leggi 
e delle norme giuridiche nella rappresentanza e difesa in giudizio dell�Avvocatura 
dello Stato); 
2) L. 3 aprile 1979 n.103 (Modifiche dell�ordinamento dell�Avvocatura 
dello Stato). 
Il ruolo organico degli avvocati e procuratori dello Stato � composto da 
370 unit�, delle quali 332 in servizio e 6 in posizione di fuori ruolo (alla data 
del 1 gennaio 2008). 
Il ruolo organico del personale amministrativo dell�Istituto � composto 
da 878 unit�, delle quali 810 in servizio (alla data dell�1 gennaio 2008). 
In ordine al patrocinio in giudizio si osserva che lo stesso viene reso: 
(*) Avvocato dello Stato. 
Il presente contributo non � inserito nella sezione della Rassegna dedicata ai temi istituzionali 
in quanto non esprime in toto una linea deliberata dall�Istituto. Nondimeno l�utilit� e l�interesse 
dello studio sono indiscusse ed alcune soluzioni proposte anche condivise (GF). 
252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
1) nei giudizi davanti la Corte Costituzionale (conflitti di attribuzione tra 
poteri dello Stato, tra Stato e Regioni; impugnative in via principale di leggi 
statali o di leggi regionali; questioni di legittimit� costituzionale sorte in via 
incidentale; giudizi sull�ammissibilit� di referendum abrogativi): L. 11 marzo 
1953 n. 87; 
2) nei giudizi innanzi a Collegi Internazionali (quale la Corte Internazionale 
di Giustizia dell�Aja): art. 9 L. n. 103 cit.; 
3) nei giudizi innanzi a Giudici Comunitari (Tribunale di prima istanza e 
Corte di Giustizia dell�Unione europea con sede in Lussemburgo): art. 9 L. n. 
103 cit.; 
4) nei giudizi davanti al Tribunale Militare di Pace (lo Stato potr� costituirsi 
parte civile col patrocinio dell�Avvocatura dello Stato territorialmente 
competente): art. 9 L. n. 103 cit.; 
5) nei giudizi davanti al T.A.R. e al Consiglio di Stato: art. 9 L. n. 103 
cit.; 
6) nei giudizi davanti alla Corte dei Conti (in materia di pensioni tanto in 
primo grado dinanzi alla Sezione Giurisdizionale Regionale quanto in secondo 
grado dinanzi alla Sezione Contabile). Sul punto vi � l�art. 13 comma 3, L. n. 
103 cit. (confermato dall�art. 6 comma 4 decreto legge 15 novembre 1993 n. 
453 conv. L. 14 gennaio 1994 n. 19) per il quale: �l�Amministrazione, ove non 
ritenga di avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, pu� farsi rappresentare 
in giudizio da un proprio dirigente o da un funzionario appositamente 
delegato�; 
7) nei giudizi davanti alle Commissioni Tributarie (art. 12 comma 4 D.lgs. 
31 dicembre 1992 n. 546 : �l�ufficio del Ministero delle Finanze, nel giudizio 
di secondo grado pu� essere assistito dall�Avvocatura dello Stato�; 
8) nei giudizi dinanzi al Giudice Ordinario (Giudice di Pace, Tribunale, 
Corte di Assise di Appello e Corte di Cassazione) Civile e Penale: art. 9 l. n. 
103 cit.; 
9) nei giudizi dinanzi a qualsiasi altro giudice speciale in cui sia parte un 
soggetto patrocinato. 
In ordine ai soggetti patrocinati si osserva che questi sono costituiti da: 
1) Ministeri (art. 1 R.D. n. 1611 cit.). 
2) Amministrazioni dello Stato organizzate ad ordinamento autonomo 
(art. 1 R.D. n. 1611 cit.), tra queste rilevanti sono gli Istituti e Scuole Statali 
costituenti organi dello Stato. Sul punto confermativo � l�art. 14 comma 7 bis 
del D.P.R. 8 marzo 1999 n. 275 (introdotto dal D.P.R. 4 agosto 2001 n. 352) 
secondo cui: �l�Avvocatura dello Stato continua ad assumere la rappresentanza 
e la difesa� di tutte le Istituzioni scolastiche��. 
3) Regioni a Statuto Speciale 
A) Sicilia (art. 1 D.lgs. 2 marzo 1948 n. 142);
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 253 
B)Sardegna (art. 55 D.P.R. 19 maggio 1949 n. 250 e art. 73 D.P.R. 19 
giugno 1979 n. 348); 
C)Trentino Alto Adige (art. 42 D.P.R. 30 giugno 1951 n. 574 e art. 39 
D.P.R 1 febbraio 1973 n. 49); 
D)Friuli Venezia Giulia (art. 1 D.P.R. 23 gennaio 1965 n.78 e D.P.R. 15 
gennaio 1987 n. 469); 
E)Valle D�Aosta (art. 59 L. 16 maggio 1978 n.196). 
Per le Regioni Sardegna e Friuli Venezia Giulia il patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato non � organico ed esclusivo bens� facoltativo. 
4) Regioni a Statuto Ordinario 
A) patrocinio organico ed esclusivo (istituzionale o sistematico) ex art. 
10 commi 1, 2, 4 e 5 L. n. 103 cit.: Molise (deliberazione 17 novembre 1999 
n. 368 in G.U. S.G. del 30 gennaio 2000); 
B) patrocinio facoltativo ex art. 107 comma 3 D.P.R. 24 luglio 1977 n. 
616. 
5) Universit� Statali (art. 56 T.U. 31 agosto 1933 n.1592 e art. 43 R.D. n. 
1611 cit.). 
6) Agenzie Fiscali (Agenzia delle Entrate, Agenzia del Territorio, Agenzia 
delle Dogane, Agenzia del Demanio: art. 72 D.l.vo 30 luglio 1999 n. 300). 
7) Amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati sottoposti 
a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata da 
disposizioni di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con 
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 43 R.D. n. 1611 cit.). 
Tra i soggetti patrocinati vi sono: l�Agenzia Autonoma per la Gestione 
dell�Albo dei segretari Comunali e Provinciali, l�Agenzia nazionale per la sicurezza 
di volo, l�Agenzia nazionale per le erogazioni in Agricoltura (AGEA), 
l�Agenzia per la rappresentanza nazionale nelle Pubbliche Amministrazioni 
(ARAN), la Croce Rossa Italiana, le Autorit� Portuali, l�Azienda di Stato per 
le Foreste Demaniali, la CONSOB, i Conservatori di Musica, il Consiglio Nazionale 
della Ricerca, i Convitti Nazionali, l�Ente Nazionale Nuove Tecnologie 
(ENEA), l�Ente Nazionale per l�Aviazione civile, gli Enti autonomi Lirici e le 
Istituzioni concertistiche, l�Ente parco nazionale, gli Enti per il diritto dello 
studio universitario, gli Enti regionali di sviluppo agricolo, il Garante della 
concorrenza e del Mercato ed altre Autorit� indipendenti, l�Istituto Centrale 
di Statistica (ISTAT), l�Istituto per i servizi assicurativi del Commercio estero 
(SACE), l�Istituto Postelegrafonici, la ANAS s.p.a., la CONI servizi s.p.a. e 
le Organizzazioni estere ed internazionali (quali le Comunit� Europee): art. 
48 R.D. n.1611 cit. . 
Elenchi sugli enti patrocinati dall�Avvocatura dello Stato si possono rinvenire, 
tra l�altro, in Appendice al libro di P. PAVONE �Lo Stato in giudizio� 
Giuffr� ed. Milano 2002, nel �Commentario breve alle leggi sulla giustizia 
amministrativa� a cura di A. ROMANO Cedam ed. Padova 2001 pp. 1260-1266,
254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
sulla Rassegna Avvocatura dello Stato anno 2002 n. 2, pp. 26-49 e anno 2003 
n. 4 pp. 1-21 (a cura di VINCENZO RAGO ) oltre che sulla sezione �Chi difende� 
del sito Internet istituzionale dell�Avvocatura dello Stato. 
8) Dipendenti dello Stato autorizzati ad avvalersi della difesa erariale ex 
art. 44 R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611. 
** *** ** 
Dalla costituzione dell�Avvocatura dello Stato (1876) ad oggi, lo Stato 
Italiano � nelle sue articolazioni � ha subito varie modificazioni: Stato liberale, 
Stato autoritario (a partire dagli anni �20 del secolo scorso, con ampio interventismo 
nell�economia), Stato sociale e si � giunti oggi a parlare di Stato federale. 
Il settore pubblico ha visto, comՏ noto, ridurre la presenza di poteri e 
competenze dello Stato con riallocazione degli stessi verso il basso (Comuni, 
Province, Regioni) o verso l�alto (Unione Europea). 
L�Istituto, attraversando tre secoli, ha mantenuto una accentuata posizione 
di indipendenza funzionale. 
** *** ** 
Sugli aspetti ora descritti ampie sintesi sono rinvenibili nelle voci enciclopediche 
dedicate alla �Avvocatura dello Stato�. Si citano le voci sul Novissimo 
digesto, UTET, vol. I 1958, pp. 1685-1690 di S. SCOCA; sulla 
Enciclopedia Giuridica Treccani, Vol. IV, Roma 1988, pp. 1-5 di P.G. FERRI; 
su Il Diritto. Enciclopedia Giuridica del Sole 24 Ore, Vol. II, pp. 308-313 di 
V. CESARONi; sulla Enciclopedia del Diritto, Giuffr�, Vol. IV, Milano 1959, 
pp. 670-680 di G. BELLI. 
Informazioni si trovano altres� sul sito Internet istituzionale dell�Avvocatura 
dello Stato - nelle sezioni dedicate a �L�organizzazione�, �La normativa�, 
�Le funzioni�, �Storia�, �L�amministrazione in giudizio� - e nel testo di 
P. PAVONE �Lo Stato in giudizio� II edizione, Giuffr�, Milano, 2002. 
2. Carico di lavoro dell�Avvocatura dello Stato 
Al fine di individuare l�evoluzione del carico di lavoro dell�Istituto si riportano 
i numeri complessivi degli affari trattati in determinati anni a partire 
dal 1942. 
Anno 
Numero affari contenziosi e consultivi nuovi 
pervenuti 
1942 16.809 
1950 31.665 
1956 33.616 
1960 35.020
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 255 
Appare evidente che dal 1942 al 1980 il contenzioso � progressivamente 
aumentato passando da 17.000 a 48.000 affari nuovi annui. 
Poi, nel ventennio 1980-1998 � esploso per giungere, con progressivi elevati 
aumenti, a 213.000 affari. Ci� deve ascriversi, in buona parte, alla trattazione 
del contenzioso previdenziale. 
Infine, nell�ultimo periodo (1999-2009) il contenzioso - con andamento 
altalenante (oscillando da 170.000 a 230.000 affari nuovi annui) - si � stabilizzato 
sulle cifre raggiunte sul finire degli anni �90 del secolo scorso. 
** *** ** 
Aspetto rilevante � l�analisi del contenzioso dall�anno 1998 per ciascuna 
Avvocatura Distrettuale e per l�Avvocatura Generale. 
Ci� � importante perch� a partire dall�anno 1999 sono divenuti operativi 
i trasferimenti delle competenze, in vaste materie, dallo Stato alle Regioni o 
ad altri enti locali (in attuazione delle varie leggi cosiddette Bassanini e con 
la modifica del titolo V della parte II della Costituzione operata con la legge 
costituzionale del 18 ottobre 2001 n. 3 ) e inoltre - a far data dal 3 settembre 
1971 49.045 
1975 36.130 
1976 41.275 
1980 47.721 
1985 71.136 
1990 157.379 
1994 197.067 
1996 212.623 
1998 213.472 
1999 186.158 
2000 215.771 
2001 222.617 
2002 231.381 
2003 218.000 
2004 209.000 
2005 219.626 
2006 169.930 
2007 200.000 
2008 169.371 
2009 178.000 
256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
1998 - si � avuto il trasferimento della competenza nella materia della erogazione 
dei trattamenti assistenziali agli invalidi dallo Stato (Ministero dell�Interno) 
all�INPS o alla Regione; � noto, infatti, che il contenzioso previdenziale 
ha avuto un notevole peso sul lavoro dell�Avvocatura dello Stato. 
Tale fenomeno, facendo venire meno delle competenze in capo allo Stato, 
ha fatto venire meno altres� una certa quantit� di contenzioso. Va evidenziato 
che tale fisiologica riduzione � stata compensata dal sopravvenire di nuove tipologie 
di contenzioso, come ad es. le cause ex legge Pinto, sicch� nella sostanza, 
come rilevato sopra, non si � avuto un calo sensibile del contenzioso. 
Per ciascuno degli anni in esame sono stati di seguito trascritti gli affari 
nuovi pervenuti, tanto contenziosi (civili, penali ed esecutivi) che consultivi, 
nella loro globalit�. 
Sono stati esclusi dal computo gli affari d�ordine, che impegnano la struttura 
essenzialmente con l�ufficio impianti e con pochi altri incombenti. Difatti, 
considerare detti affari nel carico di lavoro avrebbe sensibilmente alterato i 
dati, tenuto conto che in alcune Avvocature distrettuali in certi anni il numero 
degli affari d�ordine supera la met� dell�intero contenzioso. 
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 
A.G.S. 60.609 59.102 65.454 71.121 67.636 65.378 57.784 63.433 48.135 47.140 47.369 44.745 
AN 3.035 1.188 1.301 2.942 3.026 2.823 2.666 3.736 3.960 2008 1.826 1967 
BA 7.498 4.822 6.551 7.511 6.245 7.650 8.820 10.565 7.132 7.340 7.100 7.467 
BO* 5.124 4.552 4.789 4.431 3.980 4.704 5.851 4.395 4.207 3.292 3.686 4.751 
BS 2.065 2.485 1.759 1.561 2.392 2.559 3.038 2.132 1.854 1.640 1.774 1.885 
CA 5.366 4.416 5.028 4.173 4.001 4.110 3.705 4.510 4.537 3.545 2.751 3.146 
CL 1.362 1.267 971 1.534 1.304 1.636 2.571 2.475 862 863 1.173 1.519 
CB 1.138 876 1.161 1.120 1.148 1.375 1.435 1.708 3.599 1.841 1.945 1.947 
CT** 7.541 6.517 --- --- --- --- --- --- 6.567 --- 6.772 8.025 
CZ 7.841 5.329 5.135 6.042 6.400 6.740 9.817 10.773 6.902 8.683 8.419 9.256 
FI 6.962 5.820 6.320 5.980 5.962 7.308 7.125 8.334 5.650 3.717 4.062 4.333 
(*) Per gli anni 2000, 2001, 2002, 2003, 2004, 2005, 2007, 2008 e 2009 i dati riportati sono la 
somma dei contenziosi civili e penali e dei consultivi. 
(**) Per alcuni anni non sono stati reperiti dati.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 257 
Dall�analisi sopra riportata emerge un quadro variegato. 
Poche Avvocature - tra cui Campobasso, Catanzaro, Trento e Venezia - 
hanno aumentato il carico di lavoro. 
Bari, Bologna, Brescia, Caltanissetta, Catania, Messina, Perugia, Potenza, 
Reggio Calabria, Salerno e Trieste hanno mantenuto - nella sostanza - stabile 
il carico di lavoro. 
Le restanti Avvocature hanno visto diminuire il carico di lavoro in modo 
accentuato (ed � il caso di Cagliari, Firenze, l�Aquila e Lecce ) o in modo lieve 
(come per l�Avvocatura Generale, Ancona, Genova, Messina, Napoli e Palermo). 
3. Costo dell�Avvocatura dello Stato 
Le spese di finanziamento delle strutture dell�Avvocatura dello Stato 
nell�anno 2006 ammontano ad euro 157.133.000, dei quali euro 143.356.000 
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 
GE 4.747 3.793 3.913 3.618 3.328 4.296 5.213 3.982 2.277 2.415 2.493 3.165 
AQ 5.907 4.699 4.489 4.307 4.541 4.630 5.459 6.931 2.860 2.908 3.396 3.309 
LE 8.754 7.725 8.615 8.839 10.177 10.508 7.127 3.983 3.365 3.310 3.841 4.716 
ME** 4.896 4.633 --- --- --- --- --- --- 3.689 --- 4.303 4.208 
MI 6.625 5.801 6.519 6.695 4.951 5.712 7.867 6.681 5.478 4.829 5.357 5.218 
NA 35.555 27.258 25.756 25.377 30.560 32.166 19.208 17.563 17.614 18.596 23.897 24.444 
PA 13.003 12.383 14.181 13.392 12.824 13.431 13.152 15.483 10.732 10.497 10.866 10.826 
PG 2.596 1.917 1.503 2.548 2.638 2.182 2.299 2.226 2.058 1.939 2.138 2.405 
PZ 1.971 2.107 1.901 3.006 1.857 2.576 2.316 3.313 3.014 2.272 1.697 1.726 
RC 4.428 4.671 5.868 5.936 5.408 5.721 6.696 6.402 5.519 4.720 4.796 5.704 
SA 3.825 3.287 5.047 5.998 11.311 4.835 6.945 8.907 4.552 3.233 3.599 3.785 
TO** 4.521 4.572 --- ---- ---- ---- ---- ---- 6.898 --- ---- ---- 
TR 760 734 886 784 1.079 739 907 900 1.500 1.715 1.644 2.270 
TS 1.972 2.033 1.840 1.642 1.648 2.116 2.217 1.798 1.672 1.632 1.800 2.068 
VE 5.371 4.151 4.852 4.702 4.211 5.119 5.522 6.011 5.878 5.534 5.552 6.169
258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
per il personale. 
Ci� significa che la P.A. � rapportando la spesa annuale per far funzionare 
l�Avvocatura dello Stato al numero degli affari legali aperti nel 2006 � in tale 
anno ha speso in media per difendersi 785 euro a causa, ossia il 10% dell�onorario 
di un avvocato del libero foro. Quindi per lo Stato affidare la gestione 
delle cause a un organo interno � di gran lungo pi� economico che rivolgersi 
a professionisti esterni. 
I dati indicati sono ricavati dalla �Relazione della S.S.P.A: sull�Avvocatura 
dello Stato�, ampiamente riportata su �il Sole 24 ore� del 10 dicembre 
2007 a pagina 11. 
4. Problemi inerenti l�Avvocatura dello Stato implicanti la necessit� di interventi 
riformatori 
Da pi� parti vengono evidenziati taluni fattori che dovrebbero determinare 
una riforma radicale - anche nella identit�, secondo alcune prospettazioni - 
dell�Avvocatura dello Stato. 
Tali fattori sono : 
1) contenzioso seriale, massivo, polvere che ha appesantito la macchina 
organizzativa dell�Avvocatura dello Stato; 
2) riduzione, assottigliamento dello Stato, che ha quale conseguenza una 
riduzione e perdita d�importanza del relativo contenzioso. Le cause di tale assottigliamento 
provengono tanto dall�alto (Unione Europea che sta lentamente 
acquisendo importanti competenze, da ultimo quelle nella politica monetaria, 
sottraendola agli Stati tradizionali) quanto dal basso (federalismo con trapasso 
di ampie competenze alle Regioni ed agli enti territoriali). 
Tale riduzione � altres� cagionata dalla trasformazione di apparati dello 
Stato in societ� private; ci� per esigenze di efficienza, meglio conseguibile 
con forme soggettive privatistiche rispetto alla pi� lenta macchina burocratica 
pubblica. 
Il fattore n. 2 dovrebbe determinare, in prospettiva, una riduzione radicale 
del contenzioso trattato dall�Avvocatura dello Stato, specie nelle sedi distrettuali, 
sicch� si porrebbe in dubbio la ragione stessa dell�esistenza dell�Avvocatura 
dello Stato cos� come essa attualmente �, visti i costi per il suo 
mantenimento in funzione rispetto al contenzioso trattato. 
5. Modifica dell�Istituto sul modello dell�Attorney General anglosassone 
Da varie parti si suggerisce la trasformazione dell�Avvocatura dello Stato 
in una struttura che abbracci anche il Pubblico Ministero. 
All�uopo richiamiamo le parole del Presidente del Consiglio dei Ministri 
Silvio Berlusconi all�insediamento dell�Avvocato Generale dello Stato Luigi
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 259 
Mazzella in Roma il 20 febbraio 2002: �... potrebbe trovare posto una modifica 
istituzionale volta ad avvicinare la nostra Avvocatura al modello dell�Attorney 
General, di matrice anglosassone. Anche senza giungere ad attribuirle funzioni 
di pubblico ministero, come � nel modello statunitense, si pu� appunto ipotizzare 
un potenziamento del suo ruolo nella gestione del <<contenzioso federale>>. 
La riforma in senso federale e la determinazione del governo di 
rendere operativa, ovunque sia possibile, il principio di sussidiariet�, alleggeriscono, 
in molti settori, il peso dello Stato centrale che del resto, nella 
nuova formulazione dell�art. 114 della Costituzione, risulta essere solo uno 
degli elementi costitutivi della Repubblica, insieme con i Comuni, le Province, 
le Citt� Metropolitane e le Regioni� (pg. 1 del Discorso pubblicato sulla Rassegna 
dell�Avvocatura dello Stato, gennaio-dicembre 2001 p. VII). 
Illuminante sul punto � anche il colloquio nel 2002 dell�allora Ministro 
della Funzione Pubblica Luigi Mazzella con la giornalista Anna Maria Greco. 
All�uopo si trascrive il testo dell�articolo apparso su �Il Giornale� del novembre 
del 2002. 
<< Trasformiano i P.M. in Avvocati dello Stato >> . Anna Maria Greco 
da Roma: 
L�idea non � nuova, ma il neoministro della Funzione Pubblica Luigi 
Mazzella , in questo clima trova un nuovo ascolto. <<Non cՏ alcun bisogno 
� dice il successore di Franco Frattini a Palazzo Vidoni � di trovare una nuova 
casa al Pubblico Ministero, la casa gi� cՏ. Potrebbe essere l�Avvocatura dello 
Stato. 
Il dopo-sentenza Andreotti riapre il confronto sulle riforme della giustizia 
e nelle difficili prove di dialogo tra maggioranza e opposizione. Mazzella lancia 
una proposta diversa per risolvere i problemi legati alla contiguit� tra 
giudice e pubblici ministeri. 
Questo problema-principe del piano del centrodestra lo ha studiato per 
anni. Per lui, gi� Avvocato Generale dello Stato, la separazione delle carriere 
tra magistrato inquirente e giudicante deve essere fatta in modo radicale. � 
una proposta che avanza non da ministro (perch� la materia non � di sua competenza), 
ma da giurista. 
Della questione il nuovo responsabile della Funzione Pubblica si � occupato 
fin dagli anni Settanta. Allora si guardava gi� al modello americano 
alla Perry Mason e si cominciava a parlare di sostituire al processo inquisitorio 
quello accusatorio. 
Mazzella sostenne che il pubblico ministero doveva tornare ad essere Avvocato 
dello Stato, come nel 1876 e come � attualmente negli Stati Uniti. Lo 
scrisse sulla rivista Mondo Operaio e poi in due suoi libri: negli anni Ottanta 
<< Cinquanta proposte di buon Governo>> e alla fine degli anni Novanta in 
<< L�irresistibile vento dell�ovest>>. 
In qualche modo il ministro ipotizza un ritorno al passato e per realizzare
260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
questo passo sono necessari due passaggi: una modifica costituzionale e il 
passaggio dell�Avvocatura dello Stato dalla pubblica amministrazione in 
senso stretto all�ambito delle Autorit� indipendenti di carattere generale. Il 
pubblico ministero avvocato dello Stato � quello del modello americano. E 
anche da noi la tradizione sarebbe rispettata perch� la stessa Avvocatura, ricorda 
Mazzella, nasce da una costola del pubblico ministero. In passato, infatti, 
era il PM a svolgere tutte le funzioni che oggi sono state trasferite 
all�Avvocatura dello Stato . << Ma anche negli Stati Uniti - spiega il giurista 
-, considerato il Paese con la democrazia pi� avanzata e progredita, nell�Attorney 
General, l�equivalente della nostra Avvocatura dello Stato, confluiscono 
le due anime della difesa e dell�accusa esercitate entrambi a tutela 
dell�interesse pubblico>>. Per attuare questa riforma del Pm � avvocato dello 
Stato bisogna per� modificare la Carta Costituzionale. << Ma � anche necessaria 
- afferma il ministro - una legge ordinaria che, oltre a prevedere il 
pubblico ministero come Avvocato dello Stato, collochi l�Avvocatura nell�ambito 
delle Autorit� indipendenti>>. Questi due passaggi risolverebbero, secondo 
Mazzella, i problemi legati all�unitariet� dei giudici e pubblici ministeri, 
garantendo per� a questi ultimi << la necessaria indipendenza>>. 
Infine, nel giugno 2009 la stampa (tra cui �la Repubblica� e �L�espresso�) 
ha riportato la notizia che il Governo avrebbe predisposto una bozza normativa 
istituente l�Avvocato Pubblico e/o dell�Accusa nel quale far confluire i magistrati 
titolari di funzioni requirenti. Ci� al fine di pervenire ad una legge che 
determini la separazione delle carriere tra magistrati del P.M. e magistrati giudicanti. 
Rumors in ordine a tale notizia si rincorrono ancora nell�aprile di quest�anno. 
I dati ora citati fanno germinare varie riflessioni. In primo luogo si richiama 
quale modello quello dell�Attorney General. � interessante analizzare 
come questo modello � configurato in uno dei Paesi di origine, ossia gli Stati 
Uniti. 
Una sintesi � riportata nella Relazione di EDWARD G.RE � l�Avvocato, la 
sua professione ed il suo ruolo negli U.S.A.� al Convegno internazionale 
�l�Avvocatura nei principali ordinamenti giuridici� (pubblicato in Atti del Convegno 
internazionale �l�Avvocatura nei principali ordinamenti giuridici� Roma 
1990, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato). 
�L�avvocato come difensore dello Stato 
In una descrizione del ruolo dell�avvocato degli Stati Uniti, pu� essere 
interessante per l�avvocato non americano qualche informazione circa il ruolo 
dell�avvocato come rappresentante dello Stato innanzi alle Corti. 
Negli U.S.A. tutti gli Stati e il Governo federale hanno un ufficio di Attorney 
General. L�Ufficio dell� Attorney General di uno Stato � un importante 
ufficio legale all�interno del Governo di quello Stato. Oltre ad una molteplicit� 
di attivit� per l�applicazione della legge, � anche funzione dell�ufficio dell�
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 261 
Attorney General quella di difendere il Governo dello Stato in ogni lite portata 
dinanzi a qualsiasi Corte contro lo Stato. 
In tutte le controversie nelle quali lo Stato pu� essere convenuto, esso � 
difeso da avvocati che sono dipendenti dello Stato e sono componenti dell�ufficio 
dell�Attorney General. Ancorch� l�organizzazione amministrativa pu� in 
qualche misura differire, l�ufficio dell� Attorney General ha di norma una pluralit� 
di settori secondo la natura della lite che pu� essere iniziata dalla Stato 
o nella quale lo Stato deve difendersi. Ad esempio settori composti da avvocati 
di solito denominati <<Assistant Attorneys General>>, possono esistere per 
iniziare o difendere le controversie innanzi le varie Corti dello stato. Altres� 
pu� esservi un settore per gli appelli che sono portati contro le decisioni delle 
varie Corti. 
In aggiunta all�ufficio dell�Attorney General in tutti gli Stati ogni Comune 
o Ente locale pu� avere un ufficio legale o � come nel caso di New York � un 
ufficio del <<Comporation Counsel >>. Questo pu� essere un ufficio paragonabile 
ad un dipartimento di giustizia o ad un grande ufficio legale. In aggiunta 
ad una funzione investigativa e di applicazione della legge questi uffici 
comunali o locali curano anche la difesa in tutte le liti che, secondo la legge 
di ciascuno Stato, possono essere proposte dal o contro il Comune o l�Ente. 
Negli U.S.A., per il Governo federale, cՏ il Dipartimento di Giustizia diretto 
dall�Attorney General degli U.S.A. L� Attorney General , componente del 
Gabinetto del Presidente, � il pi� elevato funzionario legale degli U.S.A. ed � 
considerato il consulente legale del Presidente. 
L�Attorney General., come del Dipartimento di giustizia, rappresenta gli 
U.S.A. nelle materie legali in generale, e d� consigli non soltanto al Presidente 
ma anche, quando ne viene richiesto, ai capi dei dipartimenti dell�esecutivo. 
Il Dipartimento di Giustizia � con le sue migliaia di avvocati, investigatori e 
agenti, pu� essere considerato come il pi� grande studio legale del Paese. Le 
unit� all�interno del Dipartimento di Giustizia danno una buona idea delle 
sue varie responsabilit�. Le varie unit� riflettono le esigenze legali del Governo. 
Il seguente elenco di queste unit�, con una breve descrizione delle loro 
funzioni o responsabilit�, pu� essere utile o di aiuto. 
La Divisione Anti-trust � responsabile del mantenimento della competizione 
dei mercati attraverso l�applicazione delle leggi federali anti-trust. Questa 
responsabilit�, che � la principale funzione della Divisione, comporta 
attivit� investigativa sulle possibili violazioni, trattazione di procedimento dinanzi 
al << Grand Jury>>, preparazione delle controversie e trattazione 
degli appelli, nonch� attivazione delle decisioni. Le leggi anti-trust proibiscono 
una variet� di pratiche restrittive del commercio, come i cartelli per la 
fissazione dei prezzi, le fusioni societarie volte a ridurre la competizione in 
particolari mercati, e gli atti volti ad acquisire o mantenere un potere monopolistico. 
La divisione reprime le gravi e volontarie violazioni della legge anti-
262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
trust redigendo decreti di citazione in giudizio penale che possono condurre 
a pene detentive o pecuniarie. 
La Divisione Civile cura il contenzioso per conto degli U.S.A., dei suoi 
dicasteri ed agenzie, dei parlamentari, dei funzionari del Gabinetto del Presidente, 
e di altri dipendenti federali allorch� agiscono nell�esercizio delle 
loro funzioni ufficiali. Il lavoro della Divisione � tanto vario e ampio quanto 
lo sono le attivit� del Governo. Perch� i dicasteri e le agenzie del Governo 
sono impegnati in innumerevoli rapporti commerciali come di compravendita, 
appalti, trasporti marittimi, produzione di energia, assicurazioni e rapporti 
bancari, le liti originate da queste attivit� offrono un completo spettro dei problemi 
legali affrontati anche dalle imprese private. Le controversie possono 
essere trattate innanzi a tutte le Corti e l�attivit� contenziosa � curata da avvocati 
della Divisione o da avvocati degli USA e attraverso consulenti esteri 
operanti sotto la supervisione della divisione. La Divisione ha sei rami: responsabilit� 
civile, liti commerciali, programmi federali, tutela del consumatore, 
affari dell�immigrazione e relativo <<appellate staff>>. 
L�Ufficio per le Liti all�Estero, che fa parte del ramo che si occupa delle 
liti commerciali, � responsabile per tutti i procedimenti legali che si svolgono 
dinanzi a tribunali esteri nei confronti di agenti diplomati e consolari in giudizio 
per atti che essi possono aver commesso nel corso del loro servizio governativo. 
La Divisione per i Diritti Civili fu istituita nel 1957 in risposta alla necessit� 
di assicurare effettiva applicazione a livello federale delle leggi sui diritti 
civili. Questa Divisione � responsabile per l�applicazione delle leggi 
federali sui diritti civili le quali proibiscono discriminazioni sulla base della 
razza, origine nazionale, religione e, sotto certi profili, sesso oppure handicaps, 
nelle aree del diritto di voto, dell�educazione, dell�impiego, dell�edilizia 
popolare, del credito, dell�accesso alle provvidenze pubbliche e nell�amministrazione 
di programmi con contributi federali. 
La Divisione Penale cura l�applicazione ed esercita una generale supervisione 
su tutte le leggi penali federali eccettuate quelle specificamente assegnate 
alla divisione anti � trust, diritti civili, ecologia e tributi. La divisione 
penale, inoltre, sovrintende a certe controversie civili concernenti la legge federale 
su alcolici, narcotici, gioco, armi da fuoco, dogane, agricoltura ed immigrazione 
nonch� alle liti risultanti da istanze di <<writs of habeas 
corpus>> proposte da componenti delle Forze armate, azioni concernenti i 
prigionieri federali, asseriti abusi investigativi e azioni legali connesse con 
l�attivit� dei servizi segreti. 
La Divisione per le Risorse Naturali e del Territorio � responsabile per 
la trattazione delle iniziative legali sia dinanzi alle Corti federali che a quelle 
Statali concernenti non soltanto l�evidenziazione e la protezione degli interessi 
in specifiche propriet� e risorse naturali possedute o da acquistarsi ad opera
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 263 
del Governo federale oppure tenute in affidamento dal Governo federale per 
conto di trib� indiane o individui ma concernenti anche la protezione in generale 
dell�ambiente. 
La Divisione Tributi � responsabile della difesa degli USA e dei suoi funzionari 
in tutte le controversie civili e penali concernenti le leggi fiscali diverse 
da quelle che si svolgono dinanzi alla Tax Court degli USA. La Divisione rappresenta 
l�Amministrazione delle Imposte Dirette e gli USA in molti differenti 
tipi di controversie civili e penali concernenti l�interpretazione delle leggi fiscali 
federali. 
Una speciale menzione deve essere fatta per l�Ufficio del Solicitor General. 
Il Solicitor General rappresenta lo Stato federale nelle controversie di 
fronte alla Corte Suprema. Il Solicitor General decide quali controversie il 
Governo debba proporre dinanzi alla Suprema Corte e quale posizione il Governo 
debba prendere nelle controversie dinanzi alla Corte. Il Solicitor General 
� responsabile per la preparazione e supervisione delle memorie del 
Governo dinanzi alla Suprema Corte e degli altri documenti legali e per la 
discussione orale dinanzi alla Corte. In aggiunta alla discussione delle pi� 
importanti controversie i doveri del Solicitor General includono anche il decidere 
se gli USA debbano appellare in tutte le controversie nelle quali sono 
risultati soccombenti nei gradi inferiori. 
In aggiunta alle sue Divisioni, il Dipartimento della Giustizia ha una variet� 
di uffici che lo aiutano ad espletare le sue funzioni. Esso ha anche potest� 
su parecchi importanti uffici; tra questi uffici l�F.B.I. , l�ufficio delle prigioni, 
il servizio degli ufficiali giudiziari federali, l�Interpol, il servizio immigrazione 
e naturalizzazione e la D.E.A. 
Poich� negli USA vi sono molte << agenzie amministrative>> autonome 
o quasi autonome, � interessante sapere come il lavoro legale di queste agenzie 
� svolto. Le agenzie amministrative americane sono per solito organizzate secondo 
linee funzionali. La funzione contenziosa sia di iniziativa che di difesa 
� solitamente concentrata in un ufficio di consulenza generica chiamato 
<<General Counsel >>. Gli avvocati di quest�ufficio legale proprio dell�agenzia 
sono responsabili per la preparazione e trattazione di tutte le controversie 
all�interno dell�agenzia stessa. L�agenzia Amministrativa pu� anche 
avere un ufficio o una unit� di giudici amministrativi o di funzionari addetti 
all�esame dei ricorsi. Questi giudici o funzionari svolgono un�attivit� giudiziale 
e, secondo la legislazione in vigore, le loro decisioni possono essere accettate, 
modificate o respinte dalle agenzie stesse, o da funzionari governativi 
di solito chiamati <<Commissioners >>. I Commissioners, che sono per solito 
nominati dal Presidente con il parere conforme del Senato, hanno la responsabilit� 
di amministrare la legge istitutiva dell�Agenzia, legge nella quale sono 
stabiliti le funzioni e i poteri della stessa. 
Un�agenzia amministrativa pu� avere la necessit� di adire le Corti per
264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
ottenere l�applicazione di taluno dei suoi ordini o decreti. Quando un�agenzia 
compare innanzi alle Corti federali sia come attrice che come convenuta, � 
rappresentata dinanzi alle Corti da un�apposita divisione del Dipartimento 
di Giustizia degli USA. Le controversie in atto dinanzi alla Corte sia in 1� che 
in 2� grado, sono trattate da avvocati dell�apposita Divisione del Dipartimento 
di Giustizia degli U.S.A. Questi avvocati del Dipartimento sono solitamente 
assistiti da avvocati dell�agenzia amministrativa che hanno una maggiore familiarit� 
con la natura specialistica della particolare controversia� (Atti citati 
pg. 94 �97). 
Sostanzialmente simile � il modello nella Gran Bretagna. 
In un�opera giuridica sul diritto anglo-americano, nel passare in rassegna 
i principali operatori del diritto inglesi, i <<Law Officers of the Crown>>, vale 
a dire l�Attorney General ed il Solicitor General, si osserva che: �Essi sono 
consiglieri giuridici della Corona, soltanto vagamente apparentabili con le 
figure a noi familiari del Pubblico Ministero e dell�Avvocato dello Stato, in 
quanto ricoprono molti ulteriori compiti di natura politica ed amministrativa. 
Entrambi sono membri della House of Commons; l�Attorney General � quivi 
rappresentante del Lord Chancellor, ed � inoltre Head of the Bar, vale adire 
<<Capo dell�Avvocatura>>; egli rappresenta la Corona in certe importanti 
cause civili, ed in tutti casi penali di treason, o comunque contenenti gravi 
aspetti politici o costituzionali. 
Ai sensi della section 1 del Law Officiers Act del 1944, la posizione del 
Solicitor General � sostanzialmente quella di un vice Attorney General: egli 
pu� infatti esercitare qualsiasi potere conferito per legge all�Attorney General 
se quest�ultimo ufficio � vacante, se il titolare � ammalato, o, pi� semplicemente, 
se � delegato dall�Attorney General. Se si vuole trovare un responsabile 
generale della pubblica accusa in Inghilterra, occorre guardare all�ufficio del 
<< Director of Public Prosecution>>, figura operante sotto la supervisione 
dell�Attorney General. La sua presenza come esercente dell�azione penale � 
peraltro riscontrabile soltanto nei casi pi� gravi e complessi, stante il diverso 
ruolo della pubblica accusa in un processo penale a modello accusatorio 
quale quello inglese, in cui l�azione penale � solitamente esercitata dalla polizia�(
UGO MATTEI: Common Law, UTET ed. 1992,Torino, pg. 310). 
Cos� delineati i connotati originari dell�Attorney General, risulta evidente 
che il rispetto di tale modello implica la creazione di un corpo - una �nuova� 
Avvocatura dello Stato - nel quale inglobare i 370 Avvocati e Procuratori dello 
Stato e gli oltre 2000 pubblici ministeri (2291 alla data del gennaio 2002), 
nonch� una intima compenetrazione di tale �nuova�Avvocatura dello Stato 
con il potere Esecutivo. Difatti, nel modello di origine l�Attorney General altro 
non � che il Ministro della Giustizia a capo del relativo Ministero. Sempre nel 
modello di origine, poi, l�azione penale non � obbligatoria, bens� discrezionale.

LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 265 
�Tanto in Inghilterra quanto negli Stati Uniti, essa (l�azione penale) � 
oggi condotta sotto la responsabilit� di un prosecutor, i cui rapporti con la 
polizia sono organizzati in vario modo. 
Principio fondamentale tuttavia � quello della discrezionalit� dell�azione 
penale, indubbiamente una caratteristica profonda del sistema di common 
law. 
In America, la discrezionalit� si sostanzia in maniera assai eclatante 
nell�istituto del plea bargain (patteggiamento): esso consiste nel negoziato 
che si svolge tra il prosecutor e l�imputato intorno al capo di imputazione e 
alla pena. Di fronte all�accusa di aver commesso un determinato reato (contenuta, 
nei casi pi� gravi, nell�indictment), l�imputato non ha solamente l�alternativa 
tra plea of guilty e plea of innocent: egli potr� dichiararsi pure 
colpevole di un reato diverso e men grave di quello contestatogli; il patteggiamento 
interviene in virt� di questa possibilit�. Il prosecutor, con a mente 
le necessit� di una giustizia rapida ed efficiente, e considerate soprattutto le 
difficolt� di ottenere una condanna dalla jury, potr� accontentarsi di condannare 
uno stupratore per il solo reato di molestie sessuali. Dal canto suo, il reo 
che non intende correre il rischio di una condanna grave, potr� ritener conveniente 
dichiararsi colpevole del reato men grave. Naturalmente il patteggiamento 
non interverr� sempre, perch� in certi casi un punto di incontro tra 
domanda ed offerta pu� non trovarsi a causa (ad esempio) dell�intransigenza 
del procurator in reati gravi intorno ai quali egli disponga di prove a suo avviso 
schiaccianti� (U.MATTEI, cit. pg. 359-360). 
Da quanto detto � evidente che il recepimento del modello anglosassone, 
implica necessariamente - in chiave di armonicit� di sistema - una riforma del 
testo costituzionale, almeno per quanto riguarda l�art. 102 comma 2 (�I giudici 
sono soggetti soltanto alla legge�; all�interno del concetto di giudice occorre 
espungere il P.M.), l�art.104 (occorre espungere al III� comma le parole: �� 
e il Procuratore Generale della Corte di Cassazione�), l�art.105 e l�art.107 (dai 
quali occorre escludere il P.M. dal concetto di magistrato), l�art.108 ( dal quale 
occorre espungere le parole ��del Pubblico Ministero presso di esse�) e 
l�art.112 (�il Pubblico Ministero ha l�obbligo di esercitare l�azione penale� 
che va abrogato in toto). 
Se il problema della compatibilit� della �nuova�Avvocatura di matrice 
anglosassone con il nostro ordinamento pu� essere superato mediante una accorta 
modifica del testo costituzionale, occorre per� tener presente l�estrema 
diversit� del sistema giudiziario a �Common Law� rispetto a quello di �Civil 
Law�. All�uopo elementi di diversit� sono tanto la norma applicata dal giudice 
(nel sistema giudiziario a �Common Law� � preponderante il ruolo del precedente, 
il che mette in pericolo un granitico principio dei sistemi di Civil Law, 
ossia la certezza del diritto conseguente alla preesistenza di una norma giuridica 
al fatto da applicare) quanto la struttura dell�organo giudicante (nel si-
266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
stema a �Common Law� opera la giuria popolare, organo sostanzialmente 
estraneo nel sistema di Civil Law). 
Quest�ultimo dato empirico potr� essere risolto solo con una adeguata 
�nuova cultura� degli operatori del diritto. 
A giudizio di chi scrive il modello proposto � difficilmente attuabile perch� 
richiede una profonda revisione del testo costituzionale e perch� visceralmente 
estraneo alla nostra cultura �latina�. 
6. Modifica dell�Istituto sul modello delle Autority 
Tra le proposte di modifica - molto in auge agli inizi del 2000, ora un po� 
recessiva - vi � anche quella della trasformazione dell�Avvocatura dello Stato 
in una Autority, che si strutturi sul modello della �attuale� Avvocatura dello 
Stato oppure che inglobi tanto la �attuale� Avvocatura dello Stato quanto l�organo 
del Pubblico Ministero (scorporato dall�A.G.O.). 
Soffermiamoci sul primo modello ossia sulla trasformazione della �attuale� 
Avvocatura dello Stato in Autority che non inglobi l�organo del Pubblico 
Ministero. 
E� necessario premettere, in sintesi, i caratteri delle c.d. Autority o Amministrazioni 
Indipendenti. 
Si afferma che il modello delle Amministrazioni Indipendenti � caratterizzato 
dalla sottrazione delle strutture compiute all�indirizzo politico e/o amministrativo 
dello Stato o, con pi� precisione, del Governo. 
In ordine al concetto di indipendenza occorre fare riferimento al modo di 
operare: tali amministrazioni operano in piena autonomia e con indipendenza 
di giudizio e di valutazione, ossia non sono tenute ad adeguarsi ad alcun indirizzo 
o direttiva da qualsiasi parti provenienti. In particolare non sono soggette 
all�indirizzo politico ed amministrativo di cui all�art. 95 Cost. e sono istituite 
per controllare l�azione degli operatori, sia economici che politici, dotati dei 
forti poteri d�influenza. 
Non � sufficiente che la piena autonomia e l�indipendenza di giudizio e 
valutazione siano semplicemente affermate, ma occorre anche che siano garantite 
dal trattamento riservato ai titolari degli organi delle Amministrazioni 
Indipendenti. Le misure di sostegno e di garanzia dell�indipendenza degli organi 
(siano essi monocratici o collegiali) riguardano in genere le modalit� e i 
criteri di nomina, il livello morale e professionale delle persone nominate, la 
durata della carica (senza possibilit� di riconferma), un rigoroso regime di incompatibilit� 
con qualsiasi attivit� lavorativa. 
� stato osservato che l�indipendenza ha due aspetti: da un lato � separatezza 
dall�indirizzo politico, dall�altro si traduce nel momento dell�esercizio 
delle funzioni in una capacit� di decisione autonoma atta a manifestare una 
incidenza consistente nel settore regolato.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 267 
Un filone dottrinario attento alle esperienze straniere (in particolare a 
quella statunitense) di Amministrazioni dotate di forte autonomia rispetto al 
Governo, ritiene che il modello sia caratteristico anche sotto il profilo funzionale. 
Secondo tale indirizzo il modello dovrebbe riferirsi (esclusivamente) alle 
autorit� alle quali � affidata la regolazione di settori e di materie in cui interessi 
collettivi e diffusi, anche costituzionalmente garantiti, richiedono una particolare 
protezione in quanto sono minacciati dalla presenza e dall�azione di 
operatori, prevalentemente economici dotati di forti poteri di influenza. 
Il modello sarebbe riscontrabile se le finalit� da perseguire fossero di regolazione 
e di controllo di un settore determinato; in vista di ci�, le funzioni 
attribuite dovrebbero essere, insieme, di natura normativa (per fissare le regole 
tipiche del settore) e di natura decisoria (per stabilire se le regole siano state 
rispettare o violate) e dovrebbe trattarsi di settori particolarmente delicati per 
il rilievo costituzionale degli interessi (privati) coinvolti e per la presenza di 
poteri forti e �minacciosi� (c.d. settori sensibili). 
Le amministrazioni indipendenti, cos� concepite, sarebbero diverse da 
quelle propriamente amministrative anche sotto altro profilo: non avrebbero 
interessi pubblici specifici e concreti mediante attivit� discrezionale ma sovrintenderebbero 
al corretto andamento di settori determinati, regolando e controllando 
l�attivit� di privati operatori. 
Per questo indirizzo, in definitiva, il tratto essenziale della figura dovrebbe 
essere individuato nella funzione di regolazione di settore, rispetto alla 
quale il profilo organizzativo della indipendenza sarebbe strumentale (necessario 
per lo svolgimento di funzioni arbitrali, o neutrali con serenit� ed imparzialit�). 
Sempre sulla base delle esperienze estere (in particolare statunitense e 
francese) si tende ad individuare uno spazio peculiare delle Amministrazioni 
indipendenti, costituito dai cosiddetti �settori sensibili� della vita della comunit�, 
individuabili nei settori in cui le esigenze di protezione della libert� e regolazione 
sociale appaiano indissociabili e la loro armonizzazione presenta 
un elevato grado di complessit�. Quanto all�interesse curato da tali amministrazioni, 
nell�escludere che esso sia assimilabile agli interessi pubblici concreti 
in posizione dialettica con altri interessi concreti (soprattutto privati), si 
� affermato che tale interesse, certamente anch�esso pubblico, non ha contenuto 
sostanziale, identificandosi con il mantenimento dell�equilibrio fra i diversi 
interessi privati (su tali concetti AA.VV., Diritto Amministrativo, 
Monduzzi editore, III ed., Bologna, 2001, vol. I pg. 598 � 613). 
Tutto ci� detto, ove si voglia trasformare la �attuale� Avvocatura dello 
Stato in Autority sono necessari almeno due requisiti: 
a) la �nuova � Avvocatura dello Stato dovr� necessariamente perdere la 
funzione di difesa in giudizio dell�Amministrazione patrocinata, la c.d. funzione 
contenziosa. Difatti la difesa di un interesse in giudizio, ancorch� sui
268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
generis (�prima giudici e poi Avvocati� consigliava Mantellini nell�approcciare 
la difesa in giudizio dello Stato) � incompatibile con la funzione regolativa 
propria delle autority in posizione determinata. Anche sganciando 
l�Avvocatura dello Stato dal rapporto organico con la Presidenza del Consiglio 
dei Ministri per farne un ente giuridico autonomo con i connotati sopra riportati 
delle Autority, comunque la funzione contenziosa � incompatibile logicamente 
con i connotati delle Autority, qualunque sia l�Amministrazione 
patrocinata. 
Occorre quindi avere consapevolezza che la trasformazione in Autority 
determina quale logica conseguenza il venire meno della funzione contenziosa 
con tutti i corollari (perdita necessaria delle c.d. propine ex art 21 R.D. n.1611 
cit. costituenti una componente del trattamento economico del personale togato; 
la presumibile perdita dello status giuridico di aggancio alle Magistrature, 
etc.); 
b) persa la funzione contenziosa la novella Avvocatura quale Autority dovrebbe 
svolgere funzioni amministrative consultive e di controllo (rectius: regolative); 
non anche la funzione di amministrazione attiva, attesa la 
incompatibilit� logica della funzione di amministrazione attiva con i connotati 
caratterizzanti le cd. Autority. 
In ordine alle funzioni di controllo attribuibili in sede di riforma alla 
�nuova �Avvocatura dello Stato viene prospettata l�assegnazione della funzione 
di controllo sugli atti normativi regionali al fine di sollevare eventuali 
conflitti di attribuzione e l�assegnazione della funzione di dirimere controversie 
tra le Amministrazioni tradizionali e le Autority di settore. Tale materia appare 
veramente poco rilevante. Difatti il controllo sugli atti normativi della 
Regione pu� ben farsi a quadro normativo invariato - nell�ambito dell�attivit� 
informativa ex art.10 comma 2 lett. b) L. 5 giugno 2003 n.131 - con piccole 
modifiche organizzative. La funzione di dirimere le controversie tra Amministrazioni 
tradizionali e Autority � del tutto vaga e di carattere para�giurisdizionale, 
il che � incompatibile con i caratteri connotanti le Autority. 
Inoltre le funzioni che si intenderebbe attribuire all?Avvocatura dello 
Stato in sede di riforma dell�Istituto sono tali che potrebbero attribuirsi anche 
a legislazione vigente con modifiche organizzative (questo � il caso della funzione 
di monitorare la normativa comunitaria per valutarne la ricaduta nella 
Repubblica con le sue molteplici articolazioni, dallo Stato ai Comuni). 
All�evidenza � concreto il rischio che, ove si riformi l�Avvocatura dello 
Stato sul modello delle Autority, venga creato un nuovo ente chiamato �Avvocatura 
dello Stato� privo delle funzioni contenziose, con compiti generici e 
poco rilevanti, con aumento dei costi per lo Stato (che dovrebbe pagare gli attuali 
370 Avvocati dello Stato e dovrebbe altres� pagare, a prezzo di mercato, 
gli Avvocati del libero foro ai quali verrebbero assegnate le cause non pi� in 
attribuzione della �nuova � Avvocatura dello Stato). Tale nuova figura sarebbe
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 269 
senz�altro destinata, nelle annuali previsioni contenute nella legge finanziaria 
che delegano il Governo a semplificare la P.A., ad essere liquidata. 
In conclusione si rileva che, anche se si trasformasse l�Avvocatura dello 
Stato in Autority con perdita della funzione contenziosa, con una accentuata 
funzione consultiva e con acquisizione della funzione di controllo, tale nuovo 
soggetto sarebbe comunque difficilmente riconducibile alla nozione di �vera 
Autority� cos� come configurata nel modello di origine francese e statunitense, 
perch� si troverebbe ad operare in settori diversi da quelli �sensibili� (che connotano 
il carattere dell�Autority). 
Soffermiamoci ora sul modello di Autority come nuova struttura che inglobi 
tanto l�attuale Avvocatura dello Stato quanto l�organo del Pubblico Ministero 
(scorporato dall�A.G.O.). 
Se venisse creata una nuova struttura sul modello dell�Attorney General 
sopradescritto (quindi non una �vera� Autority), l�Avvocatura dello Stato dovrebbe, 
nella sostanza, rimanere come attualmente �, mentre il P.M. dovrebbe 
cambiare pelle con le necessarie modifiche costituzionali sopra descritte. 
Ove la nuova struttura fosse una �vera� autority, l�Avvocatura dello Stato 
dovrebbe cambiare pelle sul modello sopradescritto e il Pubblico Ministero 
subirebbe modifiche conservando intatta l�indipendenza e l�obbligatoriet� 
dell�azione penale; tali modifiche implicano una riforma degli artt. 104, 105 
e 108 Cost.. 
Va per� rilevato che l�appartenenza del P.M. ad una Autority costituisce 
aspetto �atipico�, per cui comunque la nuova struttura non costituirebbe una 
�vera� Autority secondo i connotati caratterizzanti sopra descritti. 
In nessuno degli Stati dove sono sorte le Autority il P.M. � stato considerato 
una di esse. N� negli USA e in Gran Bretagna, dove anzi costituisce una 
componente del governo, n� in Francia, dove � sotto il ferreo controllo del potere 
esecutivo. Inoltre il P.M. si atteggia comunque, nell�attuale processo penale 
italiano, come una parte, ancorch� �imparziale� (art. 358 c.p.p. del 1988). 
Infine deve rilevarsi che il nuovo P.M. non si troverebbe comunque ad 
operare nei cd. �settori sensibili�, gli unici - come rilevato sopra - per i quali 
� predicabile la sussistenza di una �vera� Autority. 
7. Interventi riformatori nell�alveo dell�attuale struttura dell�Istituto 
� opinione di chi scrive che i problemi riguardanti l�Avvocatura dello 
Stato vadano risolti nell�ambito di un intervento riformatore � gi�, in alcuni 
casi, a livello di organizzazione amministrativa � che conservi nella sostanza 
la struttura dell�Avvocatura dello Stato quale essa �. 
Trattazione del contenzioso seriale 
In ordine al contenzioso seriale deve rilevarsi che lo stesso si affronta con
270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
un adeguato supporto organizzativo. Il contenzioso seriale da sempre ha interessato, 
nelle diverse epoche storiche, l�Avvocatura dello Stato. Nel secondo 
dopoguerra si sono avute le cause delle derequisizioni belliche, negli anni �80 
� esploso il contenzioso previdenziale. Vuol dirsi che un difensore, qualsiasi 
difensore � e a maggior ragione un difensore che abbia importanti clienti � ha 
cause seriali. Le cause seriali costituiscono anche ragione giustificatrice dell�esistenza 
di una struttura quale l�Avvocatura dello Stato. 
L�Avvocatura, con la sua struttura, pu� in modo completo ed esaustivo 
curare tali tipi di cause assicurando uniformit� nella strategia difensiva. Se le 
cause seriali venissero trattate male, si determinerebbero pregiudizi notevoli 
per le casse dello Stato. Inoltre, se venissero affidate ad Avvocati del libero 
foro vi sarebbero certamente costi comparativamente maggiori rispetto a quelli 
richiesti per la difesa erariale. 
Peraltro va notato che gi� nel sistema vi sono gli strumenti tesi a massimizzare 
le risorse nelle cause seriali, essendo possibile garantire il patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato solo nelle cause pilota, nelle cause importanti, 
nelle cause involgenti questioni di massima. 
All�uopo si richiama l�art. 417 bis c.p.c., secondo cui nel primo grado di 
giudizio del c.d. pubblico impiego privatizzato, le Amministrazioni dello Stato 
e gli enti patrocinati dall�Avvocatura dello Stato possono stare in giudizio tramite 
propri dipendenti, salvo che l�Avvocatura dello Stato determini di assicurare 
direttamente la trattazione della causa; si richiama altres� il gi� citato 
art. 13 comma 3 L. n. 103 inerente ai giudizi pensionistici innanzi alla Corte 
dei Conti. 
Riduzione delle competenze dello Stato e dinamiche del contenzioso 
In ordine al fenomeno della riduzione dello Stato si osserva che il fenomeno 
della perdita di potere dello Stato a fronte dell�ampliamento delle competenze 
dell�Unione Europea � irrilevante sul problema dell�aumento o 
riduzione di controversie dello Stato. Tale fenomeno determina unicamente 
una diversa allocazione della fonte di produzione di una data attivit� normativa 
in materia, che dallo Stato passa all�Unione Europea. L�attuazione della normativa 
di fonte comunitaria spetta esclusivamente agli Stati con le loro articolazioni 
territoriali, che intervengono secondo le regole interne di 
competenza. La non attuazione della normativa comunitaria genera un giudizio 
di responsabilit� dello Stato davanti alla Corte di Giustizia Europea (in tale 
sede lo Stato Italiano � patrocinato, come detto sopra, dall�Avvocatura dello 
Stato). 
Il fenomeno della perdita di potere dello Stato, a fronte dell�ampliamento 
delle competenze delle Regioni e degli altri enti territoriali, determina senz�altro 
una contrazione del contenzioso ma non con connotati tali da determinare 
la fine � specie in sede periferica � del contenzioso interessante lo Stato. 
All�uopo si rileva:
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 271 
1. Il venir meno del contenzioso riguardante lo Stato si avrebbe solo se 
venisse meno lo Stato Centrale. Il solo fatto che persista lo Stato centrale con 
competenze comunque importanti implica il persistere del contenzioso che lo 
riguarda. Il catalogo delle competenze dello Stato in materia legislativa �, in 
base all�art. 117 commi 2 e 3 della Costituzione, il seguente: 
�Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: 
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello 
Stato con l�Unione Europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini 
non appartenenti all�Unione Europea; 
b) immigrazione; 
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; 
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; 
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; 
sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione 
delle risorse finanziarie; 
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezioni 
del Parlamento europeo; 
g) ordinamento ed organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti 
pubblici nazionali; 
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa 
locale; 
i) cittadinanza, stato civile ed anagrafi; 
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia 
amministrativa; 
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti 
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; 
n) norme generali sull�istruzione; 
o) previdenza sociale; 
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di 
Comuni, Province e citt� metropolitane; 
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; 
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo 
statico ed informatico dei dati dell�amministrazione statale, regionale e locale; 
opere dell�ingegno; 
s) tutela dell�ambiente, dell�ecosistema e dei beni culturali. 
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative: rapporti internazionali 
e con l�Unione Europea delle Regioni; commercio con l�estero; tutela 
e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l�autonomia delle istituzioni 
scolastiche e con esclusione dell�istruzione e della formazione professionale; 
professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all�innovazione per i 
settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo;
272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti 
di trasporto e navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, 
trasporto e distribuzione nazionale dell�energia; previdenza complementare 
ed integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza 
pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali ed 
ambientali e promozione ed organizzazione di attivit� culturali; casse di risparmio, 
casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito 
fondiario ed agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente 
spetta alle regioni la podest� legislativa, salvo che per la determinazione 
dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.� 
Tale catalogo delle competenze legislative dovrebbe, quale conseguenza, 
comportare una correlativa competenza amministrativa dello Stato (art. 118 
comma 1 Cost.: �le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo 
che, per assicurare l�esercizio unitario, sono conferite a province, Citt� metropolitane, 
regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiariet�, differenziazione 
ed adeguatezza�). 
2. A riprova di quanto detto deve evidenziarsi che in vari Stati federali 
sussiste comunque una struttura federale che cura il contenzioso dello Stato 
Federale. Basti richiamare la struttura dell�Attorney General negli USA che 
tratta il contenzioso dello Stato Federale e quella della Finanzprokurator in 
Austria. Con ci� vuol dirsi che non vi � una incompatibilit� tra Stato Federale 
ed Avvocatura dello Stato, la quale patrocinerebbe il solo Stato Federale. 
3. Le modificazioni e le trasformazioni dello Stato implicano, invece, il 
mutamento della tipologia del contenzioso che lo riguarda. Fino agli anni �60 
l�Avvocatura dello Stato trattava in prevalenza cause tributarie; negli anni �70 
� esploso il contenzioso del lavoro; l�adesione sempre pi� convinta dell�Unione 
Europea ha determinato un contenzioso interno conseguenza di inadempimenti 
ad obblighi comunitari; le nuove frontiere della responsabilit� 
civile hanno determinato la nascita di nuovi tipi di responsabilit� dello Stato 
(quale la responsabilit� per omesso controllo del sangue trasfuso e per omessa 
vigilanza nell�attivit� bancaria, etc.); la stipula della Convenzione Europea 
sulla salvaguardia dei diritti dell�uomo ha germinato - a partire dal 2002 - le 
cause in tema di cd. legge Pinto. 
Dunque il contenzioso muta, ma non sparisce. La contrazione dello stesso, 
che verosimilmente si avr� all�esito della completa attuazione del federalismo, 
deve essere vista con favore e non con diffidenza. Il minor numero delle cause, 
infatti, implicher� qualitativamente un recupero di efficienza nell�attivit� difensiva. 
Siamo abituati, analizzando le statistiche, a trattare un numero notevolissimo 
di cause, e ci� a partire dagli anni �80. Fino agli anni �80 il 
contenzioso non era numeroso come oggi. Nel 1950 il numero degli affari 
nuovi pervenuti era, come detto, sulle 30.000 unit�, laddove nel 1997 era sulle 
215.000 unit�. Fino al 1980 il numero degli Avvocati di ruolo era di 200 e
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 273 
quello dei Procuratori di 42, nel 1980 il numero degli Avvocati nel ruolo era 
di 300 e quello dei Procuratori di 70. Dalle statistiche che sono riportate deve 
quindi acclararsi un continuo aumento del contenzioso a fronte di un pressocch� 
stabile organico dell�Avvocatura dello Stato. 
La paventata contrazione del contenzioso permetter� � conducendo il sistema 
dalla patologia alla fisiologa � una trattazione completa del contenzioso 
e del consultivo affidato all�Avvocatura dello Stato, tornando a quel rapporto 
numero degli affari/numero degli Avvocati e Procuratori esistente fino agli 
anni �70. 
Ci� consentirebbe di trattare al meglio il contenzioso esistente, ossia di 
curare direttamente le cause seriali, quelle in materia di pubblico impiego 
anche in primo grado, quelle in materia pensionistica davanti alla Corte dei 
Conti aventi implicazioni di diritto (ad es. quelle di ripetizione di indebito, 
etc.) e quelle penali. 
Peraltro, come rilevato sopra nella descrizione del carico di lavoro dell�Avvocatura 
dello Stato nel periodo 1998/2009, il contenzioso si � mantenuto 
elevato nonostante il venire meno delle cause previdenziali ed il decentramento 
operato con le cosiddette Leggi Bassanini. 
In ordine alla trasformazione di settori statali in strutture privatistiche si 
osserva: fino a che la trasformazione in societ� privatistiche non determiner� 
il venir meno del controllo dello Stato � logicamente sostenibile e naturale che 
il patrocinio delle strutture privatistiche spetti all�Avvocatura dello Stato. Ci�, 
infatti, � compatibile con il sistema e in specie con l�art. 43 R.D. n. 1611 cit. 
Autorevole dottrina sul punto enuncia: �� pu� ritenersi che la mera trasformazione 
della veste formale dell�Ente, che non incida sulla sua identit�, lascia 
operante l�autorizzazione gi� disposta del patrocinio dell�Avvocatura dello 
Stato fino a che, fuoriuscito l�Ente privato dalla sfera pubblica, non venga 
espressamente revocato il patrocinio dell�Avvocatura� (cos� P. PAVONE, Lo 
Stato in giudizio pg. 370-371 Giuffr� ed. 2002). In generale vuol dirsi che venendo 
in rilievo un organismo di diritto pubblico � con i connotati previsti 
nella disciplina comunitaria � logicamente compatibile � il patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato in favore di esso organismo. Questa � la linea di tendenza 
anche del legislatore, che in casi recenti di trasformazione di strutture pubbliche 
in societ� di diritto privato (come nel caso dell�ANAS) ha previsto il patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato. 
Redistribuzione delle risorse umane 
Per conseguire lo svolgimento in modo efficiente del carico di lavoro potrebbe 
operarsi una oculata redistribuzione delle risorse umane. 
Si � notato sopra che, tanto nel ruolo del personale togato quanto nel ruolo 
amministrativo, vi sono delle carenze. A ranghi ridotti � tuttavia opportuno 
che le risorse umane siano razionalmente distribuite negli uffici, onde evitare 
� in una situazione gi� sofferente � sperequazioni di carico lavorativo.
274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
All�uopo si � proceduto a rilevare il carico di lavoro annuo alla luce degli 
affari consultivi e contenziosi per singola Avvocatura. 
Onde ottenere un dato che eviti fluttuazioni accidentali in un singolo 
anno, si � operata � per gli ultimi due anni � una media annua degli affari, 
ossia per ciascuna Avvocatura si sono sommati i consultivi ed i contenziosi 
del 2008 e 2009 e la somma � stata divisa per due. 
Quindi, sulla base di tale dato, si � operata la media del numero degli affari 
affidati a ciascun avvocato, tenendo conto del numero di avvocati presso 
ciascun Distretto alla data dell�1 gennaio 2008. 
Infine si � individuato il rapporto tra il numero del personale togato e il 
numero del personale amministrativo, sempre alla data del 1 gennaio 2008, al 
fine di misurare l�entit� del supporto ausiliario alla funzione difensiva. 
Distretti 
Numero di Avvocati 
assegnati 
Numero di impiegati 
assegnati 
Numero cause per 
Avvocato 
Rapporto Avvocato/
Impiegato 
Ancona 3 12 632 4 
Bari 11 24 662 2,18 
Bologna 12 23 351,5 1,91 
Brescia 5 14 365 2,8 
Cagliari 8 21 368 2,62 
Caltanissetta 3 11 448 3,66 
Campobasso 4 10 486 2,5 
Catania 9 32 822 3,55 
Catanzaro 8 25 1.104 3,12 
Firenze 11 23 381 2,09 
Genova 8 16 353 2 
L�Aquila 7 16 478 2,28 
Lecce 10 39 427 3,9 
Messina 5 21 851 4,2 
Milano 14 39 377 2,78 
Napoli 25 80 966 3,2 
Palermo 19 40 570 2,1 
Perugia 6 11 378 1,83
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 275 
Nel valutare il rapporto avvocati/impiegati va precisato che il rapporto 
nazionale (ricavato dalla divisione della somma del personale amministrativo 
in servizio alla data del 2008 ed il personale togato in servizio alla data del 
2008) � di 2,44. 
Dal quadro sopra riportato emerge che il carico di lavoro del personale 
togato delle Avvocature del Centro (escluso Roma e Perugia) e del Sud � comparativamente 
maggiore rispetto a quello delle Avvocature del Nord e dell�Avvocatura 
Generale. Dallo stesso si rileva altres� che il supporto del personale 
amministrativo al lavoro dei togati delle Avvocature del Centro (escluso Roma 
e Perugia) e del Sud � comparativamente maggiore rispetto a quello delle Avvocature 
del Nord e dell�Avvocatura Generale. 
Tale situazione determina delle aporie nella gestione del lavoro. Da colloqui 
con colleghi delle Avvocature del Nord � ad es. di Torino e di Bologna 
� risulta che il personale togato batte a macchina ordinariamente i propri atti, 
fa le copie dei documenti, predispone il fascicolo di costituzione; ci� per far 
fronte a carenze di supporto amministrativo. Con intuitivo disagio e dispendio 
di energie . 
Appare peraltro significativo osservare come l�informatizzazione ha patologicamente 
determinato di fatto un travaso tra l�attivit� di competenza del 
personale amministrativo verso il personale togato. Risulta in tal modo evidente 
una disarmonia organizzativa che, sia pur variamente articolata, incide 
sull�attivit� degli avvocati e procuratori di tutte le sedi. 
A tali aporie occorre rimediare completando l�organico del ruolo del personale 
togato, da assegnare poi presso le Avvocature con il maggiore carico 
Distretti 
Numero di Avvocati 
assegnati 
Numero di impiegati 
assegnati 
Numero cause per 
Avvocato 
Rapporto Avvocato/
Impiegato 
Potenza 4 15 427 3,75 
Reggio Calabria 7 22 750 3,14 
Roma 122* 230 377 1,88 
Salerno 7 20 527 2,85 
Torino 7 19 ---** 2,71 
Trento 3 7 652 2,33 
Trieste 3 13 644 4,33 
Venezia 11 22 532 2 
(*) Esclusi i 6 Avvocati fuori ruolo. 
(**) Non si dispone dei dati necessari.
276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
di lavoro per i togati, e completando l�organico del ruolo del personale amministrativo 
da assegnare poi presso le Avvocature del Nord e l�Avvocatura Generale 
e di Perugia, dove il supporto del personale amministrativo al lavoro 
dei togati � comparativamente minore rispetto a quello delle Avvocature del 
Centro (escluso Roma e Perugia) e del Sud. 
Diversamente, lasciando inalterato l�organico effettivo, una possibile tecnica 
di intervento potrebbe essere quella di spostare � magari in sede di immissione 
di nuove risorse umane a fronte della cessazione dal servizio di quelle 
esistenti � unit� di personale togato presso le Avvocature con maggiore carico 
di lavoro ed unit� di personale amministrativo presso quelle sedi con carenze. 
L�assegnazione di unit� di personale amministrativo presso le sedi con 
carenze va tuttavia ponderata tenendo presente che presso le sedi in questione 
vi pu� essere un minore carico di lavoro rispetto alle altre. 
Del tutto peculiare � la situazione dell�Avvocatura Generale, che al 2008- 
2009, se comparata con le altre sedi (comparazione da fare cum grano salis 
attesa l�importanza delle funzioni svolte), appare con un basso carico di lavoro, 
tenendo conto della media degli affari nuovi assegnati a ciascun avvocato, e 
con alta carenza di personale amministrativo. Deve ritenersi che tale situazione 
� la conseguenza del concorso di tre fattori. Nel decennio 1998-2008 presso 
l�Avvocatura Generale si sono verificati: 
a) una lenta, altalenante, riduzione del contenzioso che � passato da 
60.609 a 47.369 affari; 
b) un aumento progressivo del numero del personale togato: nel 1998 i 
togati in servizio erano 99, nel 2002 erano 102, nel 2008 sono 122 (dal calcolo 
vengono esclusi i fuori ruolo); 
c) una diminuzione progressiva del numero del personale amministrativo: 
nel 1998 i dipendenti amministrativi in servizio erano 275, nel 2002 erano 
272, nel 2008 sono 230. 
Sicch� nel 1998 un avvocato presso la Generale ha avuto assegnati in 
media 612 affari, in luogo dei 377 affari nel periodo 2008-2009. Inoltre nel 
1998 per ogni togato vi erano 2,77 impiegati, laddove nel 2008 ve ne sono 
1,88.
In termini di carico di lavoro, quindi, alla diminuzione del contenzioso 
non � corrisposta una pi� agevole gestione degli studi professionali degli avvocati 
in quanto anche all�Avvocatura Generale si � verificata una anomala 
ricaduta sugli avvocati e procuratori del gi� esaminato processo di informatizzazione. 
Processo di informatizzazione e valorizzazione del personale non togato 
Sul piano rigorosamente amministrativo si dovranno garantire misure efficaci 
ed idonee per assicurare la migliore funzionalizzazione del processo di 
informatizzazione in modo da valorizzare al massimo la professionalit� del 
personale non togato al fine di costituire un valido e ineludibile supporto del
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 277 
personale togato in ci� che attiene alla gestione telematica ed informatica del 
contenzioso. 
Interventi legislativi di riforma dell�Istituto 
Nel prospettato quadro appare utile tracciare delle possibili linee evolutive 
da tener conto nell�auspicata ed attesa riforma legislativa dell�Istituto e del 
suo ruolo e di cui di seguito si delineano sinteticamente taluni profili : 
1. L�autonomia finanziaria dell�Avvocatura dello Stato, con l�istituzione 
di un capitolo unico di bilancio, nell�ambito dello stanziamento previsto ed 
approvato con la legge finanziaria e di bilancio dell�anno. 
2. La dirigenza amministrativa. Momento necessario per il recupero della 
efficienza della macchina organizzativa dell�Avvocatura dello Stato � la creazione, 
in sede di riforma legislativa, della figura del Dirigente amministrativo 
accanto all�Avvocato Generale e agli Avvocati Distrettuali. Tale figura dovrebbe 
gestire le risorse umane e materiali strumentali per l�idoneo svolgimento 
dell�attivit� defensionale dell�Avvocatura dello Stato. 
3. La durata determinata degli incarichi dirigenziali. In armonia con l�attuale 
disciplina del management pubblico gli incarichi dirigenziali (Avvocato 
Generale, Avvocato Distrettuale, Dirigente Amministrativo) devono avere durata 
determinata con controllo della gestione. 
4. La trattazione di parte del contenzioso tributario. E� auspicabile un parziale 
recupero del contenzioso tributario in capo all�Avvocatura dello Stato. 
Sul punto si condividono in pieno le parole dell�allora Avvocato Generale 
Luigi Mazzella, pronunciate nella Relazione al Service sulla Giustizia del 
Lions Club �Salerno 2000�, secondo cui: � �..L�Avvocatura dello Stato, forte 
della sua articolazione territoriale, potrebbe assicurare, sia in sede consultiva 
che contenziosa, la centrale funzione svolta nelle controversie tributarie, 
ormai concentrate tutte dinanzi alle Commissioni Tributarie con l�ultima riforma 
in materia, laddove vengono in rilievo questioni di massima o particolare 
valore economico o pendono ricorsi pilota in grado di influenzare 
significativamente il futuro contenzioso. A tal fine sarebbe sufficiente un intervento 
legislativo, sul tipo di quello previsto dal D.lgs. 29/93 in tema di patrocinio 
dello Stato nelle cause di pubblico impiego �privatizzato�, che rimetta 
alla valutazione dell�Avvocatura dello Stato la scelta, in base alla importanza 
della questione, se difendere l�Amministrazione o se rimettere, come avviene 
tuttora, direttamente ai funzionari della stessa la rappresentanza e difesa in 
giudizio� (pg. 32, Relazione pubblicata altres� nella Rassegna dell�Avvocatura 
dello Stato gennaio-dicembre 2001 p. XXVIII). 
5. La possibilit� di delega (sul modello dell�art. 2 R.D. n. 1611 cit.) nei 
giudizi penali. Tale minuscola modifica consentirebbe una razionale ed efficiente 
organizzazione della strategia difensiva nel penale, sterilizzando i tempi 
�morti� in udienza. 
6. La modifica della composizione del Consiglio degli Avvocati e Procu-
278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
ratori dello Stato (con prevalenza della componente elettiva), con valore vincolante 
dei suoi pareri nelle materie su cui analogamente deliberano in modo 
vincolante gli organi di autogoverno operanti nella magistratura ordinaria, contabile 
e amministrativa. In tal modo si agevolerebbe, intuitivamente, la gestione 
amministrativa dell�Istituto. 
Nel presente lavoro si � tenuto conto : 
a) del �ruolo di anzianit� situazione al 1� gennaio 1998� , del �ruolo di anzianit� situazione al 1� gennaio 
2002� e del �ruolo di anzianit� situazione al 1� gennaio 2008� dell�Avvocatura dello Stato al fine 
di individuare ruolo, effettivi e sede del personale togato e non togato; 
b) dei dati statistici riportati nelle relazioni quinquennali dell�Avvocatura dello Stato e nella Rassegna 
dell�Avvocatura dello Stato, per la rilevazione del contenzioso fino al 1999; 
c) dei dati ricavabili: da articoli e da discorsi dell�Avvocato Generale in occasione della cerimonia di 
inaugurazione degli anni giudiziari apparsi sulla Rassegna dell�Avvocatura dello Stato, dalla citata 
�Relazione della S.S.P.A: sull�Avvocatura dello Stato� e dal Sistema Informatico dell�Avvocatura dello 
Stato (grazie all�aiuto del dott. Vittorio Vigoriti e alla collaborazione di colleghi di diverse sedi), per la 
rilevazione del contenzioso dal 2000 al 2009. 
Nell�assemblare i dati potrei aver commesso degli errori di calcolo e me ne scuso sin d�ora. 
L�Autore.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 279 
La cessione dei crediti d�impresa 
Con particolare riferimento alla disciplina dettata dalla 
normativa di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52 
Flavio Ferdani* 
Il presente articolo si propone quale scopo precipuo quello di effettuare 
una compiuta ed esauriente analisi delle problematiche che riguardano la cessione 
dei crediti di impresa, con particolare riferimento a quello che � il regime 
dettato dalla normativa di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52 che disciplina 
appunto tale tipologia di cessione. 
La suddetta normativa bench� rivesta particolare importanza soprattutto 
per i factors, non disciplina tuttavia il contratto di factoring, del quale non fornisce 
infatti nemmeno la definizione, n� tantomeno n� regola il funzionamento. 
In realt� essa prevede la disciplina di ogni tipologia di cessione dei crediti 
di impresa che rivesta i requisiti previsti dal dettato normativo della legge medesima 
ed indipendentemente dal titolo in virt� del quale viene disposto il trasferimento 
(1) . 
Ne deriva quindi che la legge n. 52/1991 non pu� essere considerata essenzialmente 
una normativa sul factoring, bens� una legge che detta la disciplina 
su un particolare tipo di cessione dei crediti. 
La normativa oggetto d�esame non costituisce un sistema autonomo rispetto 
a quello previsto dal legislatore dal 1942. 
Infatti, secondo l�orientamento della dottrina (2), entrambe le discipline 
prevedono tutta una serie di regole e di principi che devono essere necessariamente 
adeguate alle fattispecie concrete, che per� non sono sempre assolutamente 
separabili e incomunicabili. 
Ci� nel senso che tra quella che � la normativa che disciplina i crediti di 
impresa e quella che norma i crediti �ordinari�, di cui al dettato previsto dagli 
artt. 1260 e seguenti non sussistono sovrapposizioni, n� margini attraverso i 
quali operare eventuali integrazioni, anche se va precisato che non tutte le regole 
dettate dalla legge speciale hanno contenuti diversi da quelli che sono 
stati previsti dal legislatore del 1942 (3). 
(*) Vice Prefetto, Capo di Gabinetto della Prefettura di Pisa. 
(1) GALGANO, Commentario breve al codice civile, CELT, 2006, p. 1006. 
(2) PERLINGIERI, Le cessioni dei crediti ordinari e �d�impresa�. Nozioni, orientamenti giurisprudenziali 
e documenti, Esi, 1993, p. 101 ss. 
(3) PERLINGIERI, Della cessione dei crediti, in Commentario Scialoja-Branca, Zanichelli-Foro it., 
1982.
280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Da ci� ne deriva conseguentemente che la normativa relativa alla cessione 
dei crediti di impresa sottrae tale fattispecie di cessione a quelle che sono le 
limitazioni previste dal legislatore del 1942, con riferimento alle cessioni ordinarie 
del credito. 
Resta inteso che viene fatta salva, comunque, l�applicazione delle norme 
del codice civile per tutte quelle cessioni di credito che siano prive dei requisiti 
richiesti dalla legge stessa. 
La nuova disciplina offre, pertanto, un fondamento normativo a quella 
che � la cessione in massa dei crediti relativi alle imprese, e tutto questo al 
fine di sottrarre tali cessioni a quelle che sono le regole comuni dettate dagli 
artt. 1260 e seguenti del codice civile. 
La legge n. 52/1991, quindi, pone in essere �una disciplina di tipo qualificato 
di cessione del credito� ed � caratterizzata dal fatto che essa costituisce 
una disciplina speciale che va applicata a determinate ipotesi di cessione; ne 
deriva pertanto, che essa pu� essere considerata una sorte di �appendice� alla 
normativa prevista dal legislatore del 1942. 
Tutto questo ci permette di tracciare una distinzione tra le due normative: 
infatti, mentre le disposizioni del codice dettano una disciplina generale alla 
quale vanno soggetti tutti i negozi di cessione del credito, al contrario la legge 
n. 52/1991 contiene, invece, una disciplina di natura cosiddetta speciale che 
va applicata nelle ipotesi di cessione che presentano i requisiti richiesti dalla 
legge medesima. 
1. La cessione dei crediti nel factoring 
Prima di procedere all�esame della suddetta problematica, � opportuno 
delineare i tratti essenziali del contratto di factoring, dove, come � noto, un 
imprenditore si impegna a cedere ad un altro imprenditore (factor) tutti i crediti 
derivati o, quelli futuri, derivanti dall�esercizio della sua impresa (4). 
Pi� in particolare il factoring costituisce un contratto atipico che si concretizza 
attraverso la cessione della titolarit� dei crediti di un imprenditore, 
che derivano dall�esercizio della sua impresa, ad un altro imprenditore factor, 
in virt� di un effetto traslativo che pu� concretizzarsi in due momenti diversi: 
gi� al momento dello scambio dei consensi tra i medesimi nell�ipotesi in cui 
la cessione � globale e i crediti sono esistenti, ovvero differito al momento in 
cui i crediti vengono ad esistenza se sono futuri. 
In ogni caso, comunque, l�effetto traslativo, si concretizza attraverso il 
perfezionamento della cessione tra cedente (fornitore) e cessionario (factor), 
indipendentemente dalla volont� e dalla conoscenza del debitore ceduto (Cass. 
(4) CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 3, Contratti, titoli di credito, procedure concorsuali, UTET, 
Torino, 2001, p. 151 ss.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 281 
2 febbraio 2001, n. 1510) (5). 
Il contratto di factoring (6) costituisce un contratto di natura atipico in 
cui sussiste un elemento tuttavia costante che � la gestione della totalit� dei 
crediti di un�impresa, che viene attuata attraverso lo strumento delle cessione 
dei crediti. 
Quindi siamo di fronte essenzialmente ad una operazione fondata sulla 
cessione dei crediti in quanto un imprenditore trova un accordo con un altro 
imprenditore, cosiddetto factor, il cui elemento fondante � finalizzato a cedere 
a quest�ultimo tutti i crediti via via derivanti dall�attivit� di impresa, 
ovviamente dietro il pagamento di una determinata percentuale delle somme 
da riscuotere. 
Nonostante l�avvento della legge n. 52/1991 che disciplina, come gi� 
detto, la fattispecie della cessione dei crediti di impresa, il contratto di factoring 
ha mantenuto i caratteri tipici di un contratto atipico in quanto non 
ne viene data n� una definizione n� una precisa regolamentazione. 
Apertis verbis la nuova disciplina, in altri termini, non ha provveduto a 
tipizzare quello che � il contratto di factoring, eliminando cos� il problema 
della sua qualificazione giuridica. Anzi, al contrario tale normativa non provvede 
nemmeno a definirlo, occupandosi unicamente della cessione dei crediti 
di impresa. 
Conclusivamente va sottolineato come, nell�ambito del contratto di factoring, 
per quanto concerne la disciplina della cessione dei crediti, vale 
quanto previsto dalla disciplina dettata dalla legge n. 52/1991 nel caso in 
cui il cedente ricopra determinate figure e pi� dettagliatamente: un imprenditore, 
il cessionario una banca o un intermediario finanziario, il cui oggetto 
sociale preveda l�esercizio dell�attivit� di acquisto dei crediti di impresa. Al 
di fuori di queste ipotesi vale quella che � l�ordinaria disciplina dettata dal 
codice civile (7). 
2. Disciplina speciale della cessione dei crediti di impresa 
Si tratta di una debita e doverosa premessa e soprattutto andava chiarito 
che il dettato di cui alla legge n. 52/1991, progettata dal Legislatore per regolare 
il contratto di factoring, ha in realt� disciplinato un tipo speciale di 
cessione dei crediti, che � utilizzabile anche per altri tipi di convenzione, 
oltre che per quella del factoring stesso (8). 
(5) Cass. 2 febbraio 2001, n. 1510 in Giust. civ. 2001, I, p. 1856 ss. 
(6) ZATTI, Manuale di diritto civile, CEDAM, 2006, p. 725 ss.; GALGANO, Commentario breve al 
codice civile, CELT, 2006, p. 1003 ss.; FINELLI, nota di commento, La cessione dei crediti d�impresa 
come schema di contratto atipico a prestazioni corrispettive, in Nuova giur. civ., 2004, I, p. 162 ss. 
(7) GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, p. 1314, 1315. 
(8) PERLINGIERI, Le cessioni dei crediti ordinari e �d�impresa�. Nozioni, orientamenti giurispru-
282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Premesso ci� � ora opportuno passare all�analisi degli aspetti peculiari 
e caratterizzanti la disciplina della cessione dei crediti di impresa al fine di 
mettere in evidenza le differenze rispetto alla disciplina generale dettata dal 
codice civile. 
Si tratta, pertanto, di procedere, seppur in maniera sintetica, all�esame 
delle disposizioni contenute nella legge 21 febbraio 1991, n. 52 che prevede, 
appunto, una normativa di tipo speciale per la cessione dei crediti di impresa 
e contiene delle deroghe a quella che � la disciplina generale della cessione 
dei crediti prevista dal codice civile. 
3. Ambito di applicazione della legge n. 52/1991 
L�applicazione della legge speciale, contenente la disciplina dei crediti 
di impresa, si applica soltanto nelle ipotesi in cui ricorrono determinate condizioni 
sia di carattere soggettivo (che devono essere presenti sia nel cedente 
i crediti sia nel cessionario) sia di carattere oggettivo (9). 
Per quanto concerne le condizioni soggettive, il cedente deve rivestire 
la figura di un imprenditore (art. 1, lett. a, l. cit.). Ne deriva pertanto che il 
possesso della qualit� di imprenditore costituisce condizione necessaria per 
l�esistenza del tipo contrattuale. 
Molto pi� puntuale � la caratterizzazione che la legge richiede per la figura 
del cessionario (art. 1, lett. c), il quale deve essere una banca o un intermediario 
finanziario ed il cui oggetto sociale preveda l�esercizio 
dell�attivit� d�acquisto di crediti di impresa. 
Per quanto concerne invece le condizioni oggettive la legge indica in 
modo preciso che la cessione deve essere effettuata dietro corrispettivo e 
che possono essere oggetto di cessione soltanto i crediti che sorgono da contratti 
stipulati dal cedente nell�esercizio dell�impresa (art.1, lett. b). 
Inoltre, l�articolo 3 ammette la possibilit� di una cessione anche dei crediti 
futuri, cio� di quei crediti che sorgeranno da contratti ancora da stipulare 
e consente, altres�, anche la cessione di crediti in massa, purch�, se futuri, 
derivanti da contratti da stipulare in un periodo non superiore a ventiquattro 
mesi. 
La cessione dei crediti in massa si considera con oggetto determinato 
anche con riferimento a crediti futuri, se � indicato il debitore ceduto. 
Ne deriva quindi che se tali condizioni non ricorrono, allora la cessione 
va soggetta alla regolamentazione prevista dalla disciplina generale dettata 
dal codice civile. 
denziali e documenti, Esi, 1993, p. 102 ss.; GALGANO, Commentario breve al codice civile, CELT, 2006, 
p. 1003 ss. 
(9) ZATTI, Manuale di diritto civile, CEDAM, 2006, p. 726.
LEGISLAZIONE ED ATTUALITA� 283 
4. Garanzia e solvenza 
Per le sue caratterizzazioni del tutto innovative, rispetto alla disciplina 
codicistica, si connota la disciplina delle garanzie dovute dal cedente. 
L�art. 4, della legge speciale infatti, rovescia quello che � il principio stabilito 
dall�art. 1267 del codice civile, in quanto pone a carico del cedente, fatto 
salvo la rinuncia del cessionario, la garanzia della solvenza del debitore. 
Si tratta, quindi, di regola, di una cessione del credito che possiamo definire 
pro solvendo (10) secondo il dettato di cui all�art. 1267 del codice civile 
che disciplina appunto tale ipotesi di cessione. 
In questo caso il cedente risponde anche della solvenza del ceduto, solo 
quando ne abbia assunto la garanzia. 
Il secondo comma dell�art. 1267 codice civile prevede, poi, che qualora 
il cedente ha fornito la garanzia circa la solvenza del debitore, la garanzia 
viene meno se la mancata realizzazione del credito dovuta all�insolvenza del 
debitore viene a dipendere da negligenza del cessionario nell�iniziare o nel 
proseguire le istanze contro il debitore stesso. 
Ci� comporta quindi, che il cessionario �, comunque, tenuto a un obbligo 
di diligenza. 
�La cessione di credito pro solvendo, che, come � noto, si perfeziona attraverso 
il solo consenso dei contraenti, produce immediatamente l�effetto 
reale tipico di trasferire in capo al cessionario la titolarit� del credito, mentre 
l�effetto liberatorio nei confronti del cedente si realizza solamente nel momento 
del pagamento da parte del ceduto al cessionario...� (Cass. civ., sez. I, 
19 gennaio 1995, n. 575). 
5. Effetti della cessione rispetto ai terzi 
Una disciplina che presenta delle differenziazioni regola quelli che sono 
gli effetti della cessione rispetto ai terzi. 
L�articolo 5 fa salva, con il secondo comma, per il cessionario, la facolt� 
di rendere la cessione opponibile ai terzi nei modi previsti dal codice, ma introduce 
anche, con il primo comma, un criterio nuovo, fondato sulla data certa 
del pagamento, totale o parziale del corrispettivo della cessione. 
Gli articoli 6 e 7 disciplinano, poi, rispettivamente le ipotesi di fallimento 
del ceduto e di fallimento del cedente (11). 
Nell�ipotesi in cui si verifichi il fallimento del ceduto, il pagamento effettuato 
da quest�ultimo in favore del cessionario non � soggetto a revocatoria 
(10) GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, p. 1315.; TRABUCCHI, Istituzioni di diritto 
civile, CEDAM, 2004, p. 671. 
(11) GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, p. 1315.
284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
fallimentare. 
Tale azione pu� essere, peraltro, iniziata nei confronti del cedente, nell�ipotesi 
in cui il curatore provi che egli, al momento del pagamento, conosceva 
lo stato di insolvenza del debitore. 
In questa ipotesi viene fatta salva la rivalsa del cedente verso il cessionario, 
che abbia rinunciato alla garanzia di solvenza del debitore (art. 6). 
Qualora si verifichi l�ipotesi di un fallimento del cedente, l� opponibilit� 
della cessione � subordinata alla sussistenza di determinati requisiti. 
In particolare alla priorit� della data certa del pagamento del corrispettivo 
rispetto a quella della sentenza dichiarativa, a meno che il pagamento da parte 
del cessionario che conosceva lo stato di insolvenza del cedente sia avvenuto 
entro l�anno precedente alla sentenza stessa e prima della scadenza del credito 
ceduto (art. 7). 
Per quanto concerne invece l� efficacia della cessione rispetto al debitore 
ceduto, va detto che sulla base di quanto si ricava dall�articolo 5, l�efficacia 
della cessione rispetto al debitore ceduto � regolata, anche in questo caso, dal 
dettato di cui all�articolo 1264 del codice civile e, pertanto, non sono richiesti 
particolari requisiti formali.
D O T T R I N A 
Procedure per l�affidamento di concessioni di 
lavori pubblici con prelazione per il promotore 
Casi e problematicit� nella disciplina della finanza 
di progetto successiva al terzo correttivo 
Gianfrancesco Fidone* 
SOMMARIO: 1. La finanza di progetto e la prelazione del promotore: storia di un rapporto 
conflittuale; 2. La procedura in due fasi con prelazione del promotore; 3. Il diritto di prelazione 
nel caso dell�iniziativa privata conseguente alla mancata pubblicazione del bando di 
gara; 4. Valutazioni conclusive. 
1. La finanza di progetto e la prelazione del promotore: storia di un rapporto 
conflittuale 
Il d.lgs. 11 settembre 2008 n. 152, terzo decreto correttivo al d.lgs. 
163/2006, Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ha sostanzialmente 
modificato le procedure di aggiudicazione delle concessioni su iniziativa 
privata, cosiddetta finanza di progetto o project financing (1). Infatti, 
l�art. 1, co. 1 lett. ee) ff) gg) del correttivo sostituisce integramente il precedente 
testo degli artt. 153 e ss. del Codice. Tale riforma costituisce il momento 
(per ora) conclusivo di una lunga elaborazione legislativa che pi� volte ha modificato 
la disciplina della finanza di progetto, introdotta dalla l. 415 del 1998 
(c.d. Merloni ter) nell�impianto della l. 109 del 1994 (c.d. Merloni), all�art. 
(*) Avvocato amministrativista e professore a contratto di diritto amministrativo - Universit� degli 
Studi di Roma �La Sapienza�. 
(1) Per un commento al terzo correttivo si veda: R. DE NICTOLIS, Le novit� del terzo (e ultimo) 
decreto correttivo del codice dei contratti pubblici, Urbanistica e Appalti, n.11, 2008, pp. 1225 e ss.
286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
37 ter (2). 
La controversa vita della finanza di progetto ha ruotato intorno alla dibattuta 
presenza (o soppressione) del diritto di prelazione concesso al promotore 
(3). Tale previsione � stata una delle novit� rilevanti introdotte dalla l. 
166/2002, c.d. Merloni quater, che aveva novellato l�art. 37-ter della l. 
109/1994. Esso consisteva nel riconoscimento al promotore della facolt� di 
adeguarsi, a parit� di condizioni, all�offerta di un concorrente che l�ammini- 
(2) Tra i pi� recenti contributi in tema di finanza di progetto, precedenti al terzo correttivo: E. PICOZZA, 
Le nuove prospettive della finanza di progetto nel Codice dei contratti pubblici (Relazione al 
convegno organizzato dal Centro di studi amministrativi "Ignazio Scotto" sul tema: "La finanza di progetto 
con particolare riferimento al ruolo del sistema bancario", Velletri, 15 ottobre 2007), in Giurisdizione 
amministrativa, 2007, fasc. 9 pp. 301 ss.; R. DI PACE, La finanza di progetto, in I contratti con la 
pubblica amministrazione, a cura di C. FRANCHINI, pp. 1029 ss.; D. SPINELLI e P.L. LA VECCCHIA, La 
struttura di un�operazione di project financincg, in Opere Pubbliche: nuove modalit� di realizzazione, 
Il Sole 24 ore s.p.a., 2007; S.M. SAMBRI, Project financing. La finanza di progetto per la realizzazione 
di opere pubbliche, in Trattato di Diritto dell�Economia, Cedam, Padova, 2006; B. RAGANELLI, Finanza 
di progetto e opere pubbliche. Quali incentivi?, Giappichelli, Torino, 2006; G. FIDONE, Aspetti giuridici 
della finanza di progetto, Luiss University Press, Roma, 2006; D. IELO, Due puntualizzazioni del Consiglio 
di Stato in tema di project financing, in Urb. app., 2006, n. 12, p. 1459 ss; G. PASQUINI, Il project 
financing e la discrezionalit�, in Gior. dir. amm., 2006, n. 10, p. 1112 ss.; G. GUZZO, La finanza di progetto: 
fu vera gloria? Alcune riflessione sul project financing alla luce delle recenti pronunce del Cons. 
St., V, 10 novembre 2005, n. 6287, del Cons. giust. amm. Reg. siciliana, 22 dicembre, in Rivista trimestrale 
degli appalti, 2006, n. 1, p. 105 ss; V. REALE, Il project financing quale strumento per la realizzazione 
di opere pubbliche attraverso l�apporto di capitali privati, in Nuova rass. legisl., dottr. giur., 
2006, n. 2, p. 198 ss.; A. CAMARDA, ivi, 2006, n. 2, p. 235 ss; SARACINO, La finanza di progetto tra dialogo 
competitivo e tutela della concorrenza, in Foro amm., TAR, 2006, pp. 3118 ss.; M. RICCHI, Finanza 
di progetto, contributo pubblico, controllo ed equit�, in Dir. ec., 2006, p. 570; E. PICOZZA, La finanza 
di progetto con particolare riferimento ai profili pubblicistici, Giappichelli, Torino, 2005; A. VIGNUDELLI, 
La disciplina della finanza di progetto dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in Dir. Amm., 
2005, n. 3, p. 487 ss.; FRACCHIA, Finanza di progetto: i profili di diritto amministrativo, in Project financing 
e opere pubbliche. Problemi e prospettive alla luce delle recenti riforme, a cura di G. F. FERRARI 
e F. FRACCHIA, Egea, Milano, 2004, p. 57 ss.; F. CARINGELLA & G. DE MARZO, La nuova disciplina dei 
lavori pubblici. Dalla legge quadro alla Merloni-quater, Ipsoa, 2003; E. PICOZZA, La finanza di progetto 
nel sistema dell�attivit� contrattuale privata e pubblica, in Il Consiglio di Stato, n. 12, 2002, p. 2047 
ss.. 
(3) Nella versione degli artt. 153 e ss. precedenti alla riforma, il procedimento previsto per l�affidamento 
della concessione ha inizio con la presentazione di una proposta da parte di un privato, l�aspirante 
promotore, adeguatamente qualificato, avente ad oggetto l�esecuzione e la gestione di un intervento 
gi� inserito dall�amministrazione nella propria programmazione triennale o negli strumenti di programmazione 
approvati ed ivi previsto da realizzarsi con finanziamento privato. La proposta presentata � sottoposta 
alla valutazione dell�amministrazione, sotto profili diversi espressamente specificati dalla stessa 
norma. Nel caso in cui siano presentate pi� proposte relative al medesimo progetto, � previsto che le 
stesse siano esaminate anche comparativamente. Ove la proposta sia ritenuta di pubblico interesse, essa 
� posta a base di una licitazione privata, da aggiudicarsi secondo il criterio dell�offerta economicamente 
pi� vantaggiosa, finalizzata alla selezione delle due migliori offerte da contrapporre a quella del promotore 
(che non partecipa a tale gara). La concessione di costruzione e gestione viene, infine, affidata 
attraverso una procedura negoziata che coinvolge le due migliori offerte, o l�offerta migliore nel caso 
alla gara abbia partecipato un unico soggetto, e quella del promotore, mediante valutazione comparativa 
effettuata dall�amministrazione. A seguito di tale ultima fase, il promotore poteva esercitare il diritto di 
prelazione e adeguare la propria offerta a quella eventualmente migliore di un concorrente, e cos� aggiudicarsi 
la concessione.
DOTTRINA 287 
strazione avesse ritenuto migliore, con conseguente aggiudicazione della concessione. 
La norma, riprodotta nell�art. 154 del codice dei contratti pubblici, 
prevedeva che nella procedura negoziata il promotore potesse �adeguare la 
proposta a quella giudicata dall�amministrazione pi� conveniente. In questo 
caso, il promotore risulter� aggiudicatario della concessione�. La disposizione 
trovava il suo fondamento, da un lato nel riconoscimento al promotore 
dei maggiori oneri, di natura economica e imprenditoriale, sopportati nella 
presentazione della proposta, dall�altro nella volont� di incentivare l�iniziativa 
dei soggetti privati, vista la scarsit� di proposte presentate nel periodo precedente 
alla 166/2002 (4). La stessa Autorit� di Vigilanza sui Lavori Pubblici 
aveva affermato che l�introduzione del diritto di prelazione per il promotore 
era �inteso a rimuovere quegli elementi di criticit� che nel primo periodo di 
applicazione dell�istituto hanno costituito una remora al suo sviluppo�(5). 
Fin dalla sua introduzione, tuttavia, la disposizione aveva posto questioni 
giuridiche rilevanti, tra cui innanzitutto la compatibilit� con il diritto comunitario 
della concorrenza e, in particolare, con il principio di parit� di trattamento 
tra i partecipanti ad una procedura ad evidenza pubblica (6). In tale prospettiva, 
infatti, l�attribuzione di un diritto di prelazione al promotore, insieme agli altri 
meccanismi di incentivo contenuti nella normativa, aumentava evidentemente 
le possibilit� che questi divenisse aggiudicatario della concessione. La conseguenza 
del diritto di prelazione era quella di scoraggiare le imprese dal partecipare 
alle gare nelle fasi successive a quella della scelta del promotore. Come 
evidenziato dall�Autorit� di Vigilanza sui lavori pubblici la disposizione in 
questione �a parte la configurabilit� di disarmonie rispetto ai principi comunitari, 
se da un lato pu� incentivare la presentazione di proposte, dall�altro 
rischia di limitare l�interesse del mondo produttivo a partecipare alla gara 
per l�individuazione dei due partecipanti alla prevista procedura negoziata, 
gara il cui risultato pu� essere vanificato con l�anzidetta prelazione�(7). Pi� 
nello specifico, l�esistenza del diritto di prelazione aveva l�effetto, nell�ambito 
dell�intera procedura di gara, di disincentivare comportamenti virtuosi degli 
attori coinvolti. 
Il promotore, confidando nella possibilit� di adeguare in seguito la sua 
(4) Si veda, ad esempio, F. CARINGELLA, I procedimenti amministrativi nella realizzazione delle 
opere pubbliche con il project financing, in F. FONTANA e M. CAROLI (a cura di), Infrastrutture, finanza 
di progetto e competitivit� del sistema Italia, Luiss Guido Carli Scuola di Managment, Atti del Convegno, 
Rirea, Roma, 2002: �la circostanza che la valutazione positiva della proposta non determini una 
immediata aggiudicazione, ma comporti un rimescolamento successivo all�esito della gara, � sicuramente 
un fattore deflattivo�. 
(5) Autorit� di Vigilanza sui lavori pubblici Determinazione n. 27 del 2002. 
(6) G. FIDONE e B. RAGANELLI, Finanza di progetto e diritto comunitario: Compatibilit� con il 
principio di parit� di trattamento della c.d. �prelazione del promotore in Rivista italiana del diritto 
pubblico comunitario, anno XV, Fasc. 3-4, 2005. 
(7) Autorit� di Vigilanza sui lavori pubblici Determinazione n. 27 del 2002.
288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
proposta a quella eventualmente risultante migliore, poteva essere indotto a 
presentare inizialmente una proposta mediocre a costi elevati. D�altro canto, 
in considerazione del vantaggio attribuito al promotore, i soggetti potenziali 
concorrenti potevano risultare disincentivati a presentare offerte nella successiva 
gara, viste le scarse possibilit� di aggiudicazione della concessione, peraltro 
dipendenti dalla scelta di adeguarsi o meno dello stesso promotore. La 
procedura ristretta di cui alla seconda fase della procedura poteva cos� andare 
deserta, con aggiudicazione diretta ex art. 155 comma 2 al soggetto promotore 
che aveva inizialmente presentato la proposta mediocre, con evidente danno 
per la pubblica amministrazione. Veniva, pertanto, a mancare il passaggio concorrenziale 
che, anche attraverso il controllo incrociato delle offerte dei concorrenti, 
pu� avere l�effetto benefico di attenuare gli effetti del fisiologico 
svantaggio informativo della pubblica amministrazione nei confronti dei soggetti 
privati (8). 
La Commissione Europea aveva intrapreso una procedura d�infrazione 
contro la Repubblica italiana per la presenza nell�ordinamento interno, in materia 
di opere pubbliche, di alcune norme, tra cui proprio il diritto di prelazione, 
in contrasto con i principi comunitari ed in primo luogo quelli della concorrenza 
e della par condicio (9). In realt�, la Commissione non aveva ritenuto 
che l�istituto della prelazione di per s� costituisse una violazione dei principi 
comunitari ma aveva ritenuto contrario al principio di parit� di trattamento la 
mancata previsione dell�obbligo di rendere noto in sede di avviso pubblico il 
diritto di prelazione riconosciuto al promotore: la concorrenza doveva essere 
garantita ex ante, mettendo tutti gli interessati nella condizione di valutare, 
sulla base delle informazioni fornite, se proporsi o meno come promotore. 
Inoltre, la Commissione aveva censurato il fatto che nello stesso avviso pubblico 
non fosse obbligatorio predeterminare i criteri di scelta del promotore, 
che, invece avrebbero dovuto essere enunciati con chiarezza prima dell�inizio 
del procedimento. 
In risposta a tali censure, la legge Comunitaria 2004 n. 62 del 2005 aveva 
introdotto nell�art. 37 bis della 109/1994 l�obbligo, in sede di avviso pubblico, 
di pubblicizzare in modo trasparente ed espresso l�esistenza del c.d. diritto di 
prelazione e l�obbligo di indicare i criteri attraverso i quali selezionare il promotore. 
Soprattutto tale ultima modifica aveva, peraltro, avuto l�effetto di 
creare numerosi problemi intepretativi in relazione alla natura concorsuale o 
(8) Si veda: G. FIDONE, Un�applicazione di analisi economica del diritto: la procedura per la 
scelta del concessionario nel c.d. project financing su Rivista Giuridica dell�Edilizia, Anno XLIX, Fasc. 
2006. 
(9) Commissione Europea, procedura d�infrazione n. 2001/2182 ex art. 226 del Trattato CE. Si 
veda ancora: G. FIDONE e B. RAGANELLI, Finanza di progetto e diritto comunitario: Compatibilit� con 
il principio di parit� di trattamento della c.d. �prelazione del promotore in Rivista italiana del diritto 
pubblico comunitario, anno XV, Fasc. 3-4, 2005. 
DOTTRINA 289 
meno della fase della selezione del promotore, come si � ampiamente descritto 
in precedenza. 
Tali osservazioni, come detto, hanno indotto il legislatore con il d.lgs. 
113/2007 ad eliminare il diritto di prelazione. A dire il vero tale abolizione � 
stata effettuata in modo troppo frettoloso, senza l�adeguamento delle altre 
norme che ne subiscono i riflessi, e senza la previsione di una disciplina transitoria 
per le procedure in corso. 
Peraltro, la Corte di Giustizia Europea, con sentenza del 21 febbraio 2008 
(Causa C-412/04) ha ritenuto che le censure sollevate dalla Commissione Europea, 
tra le quali quelle riguardanti il diritto di prelazione, fossero generiche 
e irricevibili, in mancanza dell�indicazione da parte della commissione delle 
norme comunitarie violate dalle disposizioni italiane. Dunque, pur trattandosi 
di una sentenza di rigetto per motivi di rito, la pronuncia in questione ha, di 
fatto, sospeso il giudizio sulla legittimit� dell�istituto della prelazione. 
Seppur abolito dal secondo correttivo d.lgs. 113/2007, il diritto di prelazione 
del promotore ha per� continuato ad essere applicato alle procedure per 
le quali gli avvisi pubblici erano stati pubblicati prima dell�entrata in vigore 
del d.lgs. 113/2007. Infatti, in mancanza di una norma transitoria, si pose il 
problema dell�applicabilit� del diritto di prelazione alle procedure i cui avvisi 
sono stati pubblicati prima del d.lgs. 113/2007. 
Si tratta, peraltro, di un problema specularmene opposto a quello che si 
ebbe nel 2002, quando il diritto di prelazione fu introdotto. Se si fosse utilizzato 
il criterio che l�Autorit� aveva suggerito in tale occasione, ossia quello 
dell�individuazione della lex applicabile al momento della pubblicazione del 
bando di gara per la procedura ristretta di cui alla fase due, la conseguenza sarebbe 
stata quella che il diritto di prelazione non poteva essere concesso neanche 
alle procedure gi� avviate e neppure nel caso di promotori gi� 
individuati prima dell�entrata in vigore della l. 113/2007 (10). Tale pericolo 
(10) All�epoca dell�introduzione, operata dalla l. 166/2002, del diritto di prelazione si discusse 
della possibilit� di applicare l�istituto della prelazione del promotore ai procedimenti gi� in corso all�entrata 
in vigore della stessa l. 166/2002. L�Autorit� di vigilanza, con determinazione n. 27 del 2002 
si era pronunciata sulla questione. In mancanza di specifiche disposizioni transitorie, veniva richiamata 
l�applicazione del principio, consolidato nella Giurisprudenza del Consiglio di Stato della �vincolativit� 
della lex specialis fissata con gli atti di gara, ancorch� non coerente con lo ius superveniens eventualmente 
intervenuto dopo la loro emanazione�. Dunque, in linea generale, il procedimento doveva essere 
assoggettato alla disciplina vigente all�epoca di pubblicazione del bando, momento iniziale del procedimento 
stesso, e le modifiche normative intervenute successivamente a tale data, per quel procedimento, 
dovevano considerarsi irrilevanti. Tuttavia, l�Autorit� concludeva il suo ragionamento affermando che 
nella procedura di project financing ҏ, invece, pi� corretto ritenere �bando� quello pubblicato per la 
scelta di colui o coloro che competeranno con il promotore. Tale atto, infatti, introduce una vera e propria 
procedura di gara�. Pertanto, all�avviso pubblico precedentemente emesso non veniva riconosciuta 
valenza di introdurre un fase procedurale, coerentemente con quanto affermava la Giurisprudenza dei 
TAR e poi del Consiglio di Stato, in merito alla natura non concorrenziale di tale fase della procedura. Su 
tale base, l�Autorit� concludeva che il diritto di prelazione avrebbe trovato applicazione anche per i pro-
290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
aveva, ovviamente, causato una forte preoccupazione tra le imprese gi� nominate 
promotori e seriamente comprometteva la realizzazione di molte opere. 
Si doveva, inoltre, tenere conto della disposizione di cui all�art. 253 del 
codice che afferma che �le disposizioni di cui al presente codice si applicano 
alle procedure e ai contratti i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara 
siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore�. Dunque, 
al fine dell�applicazione del diritto di prelazione alle procedure gi� avviate 
prima dell�entrata in vigore del d.lgs. 113/2007, occorreva che gli avvisi in 
questione fossero considerati �avvisi con cui si indice una gara�. Ci�, per�, 
contraddiceva la Giurisprudenza prevalente che affermava il carattere non concorsuale 
della scelta del promotore (11). 
Come era accaduto nel 2002, l�Autorit� di vigilanza � stata chiamata, in 
attesa di eventuali pronunce della Giurisprudenza, a dare al problema una 
prima soluzione a caldo, che evitasse di bloccare le procedure in corso ed � 
stata costretta a capovolgere l�orientamento che aveva affermato nella determinazione 
n. 27 del 2002, superando la posizione della Giurisprudenza in ordine 
alla natura della fase della scelta del promotore. Secondo l�Autorit�, 
l�individuazione della legge speciale della gara deve essere fatta al momento 
dell�avviso pubblico che, dunque, deve essere considerato avviso che introduce 
una fase assimilabile ad una gara (cio� la scelta del promotore). Pertanto, 
il diritto di prelazione doveva essere attribuito a tutti quei promotori che fossero 
stati selezionati in relazione a procedure i cui avvisi siano stati pubblicati 
in epoca precedente all�entrata in vigore del d.lgs. 113/2007 (12). 
cedimenti le cui proposte erano gi� state presentate al momento della entrata in vigore della l. 166/2002, 
ma il cui bando di gara per la seconda fase non fosse stato ancora pubblicato. Tale conclusione non era 
tuttavia condivisa dalla Commissione europea che rilevava che il riconoscimento del diritto di prelazione 
al promotore, nell�ipotesi di procedimenti avviati o conclusi prima dell�entrata in vigore della legge n. 
166 del 2002, sarebbe stato in contrasto con il principio di parit� di trattamento. In questi casi, infatti, la 
pubblicizzazione dei programmi delle amministrazioni, non aveva avuto ad oggetto la previsione successivamente 
introdotta dalla Merloni quater all�art. 37 ter. Il diritto di prelazione riconosciuto a favore 
di promotori gi� individuati si sarebbe tradotto in una manifesta violazione dei principi di concorrenza e 
parit� di trattamento tra i concorrenti. Tale conclusione era coerente con il principio secondo cui i criteri 
che conducono all�individuazione dell�aggiudicatario non possono essere modificati nel corso della procedura 
e devono essere applicati in maniera oggettiva e uniforme a tutti i partecipanti. 
(11) Per tutte si veda, C.d.S. n. 6287/2005. Sul punto, si veda pure: G. FIDONE, Finanza di progetto: 
la centralit� della valutazione della proposta e della scelta del promotore in Rivista Giuridica dell�Edilizia, 
Anno XLIX Fasc. 2 � 2006. 
(12) Determinazione n. 8 del 2007 �Project Financing a seguito del d.lgs. 31 luglio 2007 n. 113�. 
Al fine di salvare il diritto di prelazione per le procedure gi� avviate, l�Autorit� ha affermato che �Con la 
modifica apportata dalla legge 62/2005, il carattere unitario della procedura di project trova, quindi, il 
suo momento unitario nella pubblicazione dell�avviso indicativo e ci� comporta l�applicazione delle regole 
proprie della procedura ad evidenza pubblica gi� dalla sua pubblicazione ex art. 153�. E continua: 
�pur con le sue peculiarit�, dunque, anche la fase di scelta del promotore deve rispondere ai canoni procedimentali 
che connotano le vere e proprie gare�. E aggiunge che l�avviso � �l�atto con cui l�amministrazione 
avvia una procedura concorsuale ad evidenza pubblica per la scelta del concessionario�.
DOTTRINA 291 
Il cortocircuito che si cre� a seguito della delibera citata dell�Autorit� e 
il rischio che la pre-vigente procedura per l�aggiudicazione della concessione 
in finanza di progetto potesse condurre alla necessit� di espletare tre diverse 
fasi di gara ha condotto alla riforma introdotta dal terzo decreto correttivo, 
con la quale il Legislatore ha soppresso le precedenti norme e previsto tre diverse 
nuove procedure (13): a) la gara unica senza diritto di prelazione per il 
promotore (art. 153 commi 1-14); b) la gara in due fasi con diritto di prelazione 
(art. 153 comma 15); c) la procedura ad iniziativa del privato nel caso di inerzia 
dell�amministrazione (mancata pubblicazione del bando di gara entro sei mesi 
dall�inserimento dell�opera nella programmazione triennale), con diritto di 
prelazione in alcuni casi (art. 153 comma 16)(14). 
In relazione alle vicende della prelazione del promotore, si deve anche 
considerare che l�introduzione o l�abolizione di tale diritto ha l�effetto di mutare 
gli equilibri dell�intera procedura e del �peso specifico� delle singole fasi 
della stessa. Il riconoscimento al promotore di un simile vantaggio carica di 
importanza la fase della selezione dello stesso e impoverisce le successive fasi 
di gara. Al contrario, l�eliminazione del diritto di prelazione, svuota di importanza 
la fase della selezione del promotore (che, peraltro, nel corso degli anni 
era stata procedimentalizzata proprio per renderla compatibile con i principi 
comunitari, al fine di attribuire legittimamente il diritto di prelazione) e, nuovamente, 
aumenta il peso delle altre fasi, che tornano ad essere decisive al fine 
dell�aggiudicazione finale. 
Nei paragrafi successivi del presente scritto saranno esaminate criticamente 
le procedure per l�affidamento della concessione di lavori successive 
al terzo correttivo nelle quali � previsto il diritto di prelazione del promotore. 
Si tratta delle procedure previste dall�art. 153 comma 15, cio� quella a due 
fasi, e dall�art. 153 comma 16, ossia quella ad iniziativa del privato nel caso 
di mancata pubblicazione del bando di gara entro sei mesi dall�inserimento 
dell�opera nella programmazione triennale. 
(13) La riforma tiene, peraltro, conto delle osservazioni della Commissione europea nei confronti 
della Repubblica italiana sulla trasposizione delle direttive in materia di appalti, di cui alla procedura di 
infrazione n. 2007/2329 e nota di costituzione in mora inviata il 1� febbraio 2008, della sentenza della 
Corte di Giustizia CE 15 maggio 2008 C-147/06 e C-148/06, delle osservazioni formulate dal Consiglio 
di Stato nel parere n. 3262 del 2007 reso sullo schema di regolamento di esecuzione ed attuazione del codice 
ex art. 5, delle osservazioni formulate dalla Corte dei Conti nel parere n. 51/I del 26 maggio 2008 e 
della preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella riunione del 27 giugno 2008. 
(14) Il comma 2 dell�art. 1 prevede un regime transitorio per l�applicazione della nuova disciplina 
sulla finanza di progetto di cui all�art. 153. E� disposto che questa non produce effetti sulle procedure in 
corso all�entrata in vigore del decreto, ma si applica la disciplina in vigore alla data di pubblicazione del 
bando. Il dies a quo per la decorrenza del termine di sei mesi di cui all�art. 153, co. 16 � fissato nella data 
di approvazione del programma triennale 2009-2011. 
292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
2. La procedura in due fasi con prelazione del promotore 
In alternativa alla procedura in un�unica fase prevista dall�art. 153 
commi 2 � 14, cos� come riformulato dal terzo correttivo, le amministrazioni 
aggiudicatici possono decidere di intraprendere una procedura di aggiudicazione 
distinta in due diverse fasi (15). 
I presupposti di tale seconda procedura sono gli stessi che consentono 
l�adozione della prima: si deve, cio�, trattare di lavori pubblici o di pubblica 
utilit� gi� inseriti nella programmazione triennale e nell�elenco annuale di 
cui all'articolo 128, ovvero negli strumenti di programmazione formalmente 
approvati dall'amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa 
vigente, finanziabili in tutto o in parte con capitali privati. Inoltre, analogamente 
a quanto accade per la procedura in un�unica fase, l�amministrazione 
deve aver gi� predisposto uno studio di fattibilit� da porre a base di 
gara. 
Dunque, la scelta di adottare la procedura in una fase o quella in due 
fasi deve considerasi rimessa alla completa discrezionalit� dell�amministrazione 
aggiudicatrice. Non si riscontrano, infatti, ragioni giuridiche o economiche 
per le quali l�amministrazione dovrebbe scegliere un procedimento 
piuttosto che l�altro. 
A tale procedura si applicano, in quanto compatibili le disposizioni dei 
commi precedenti al 15 dello stesso art. 153, cos� come riformulato dal 
terzo decreto correttivo, con l�eccezione delle norme espressamente richiamate 
dallo stesso comma 15 ultimo periodo, e cio� il comma 10, lettere d) 
- e), il comma 11 e il comma 12. Le norme richiamate sono quelle che prevedono 
l�aggiudicazione diretta al termine della prima fase della procedura 
e, dunque, appare logico che non si applichino. 
Le due fasi della procedura consistono in una prima fase finalizzata 
alla scelta del promotore, al quale viene attribuito il diritto di prelazione e 
in una seconda fase che costituisce un ulteriore passaggio concorrenziale 
per individuare l�offerta economicamente pi� vantaggiosa, alla quale, eventualmente, 
il promotore potr� adeguarsi. Tale complessa procedura, come 
si vede, � pi� simile a quella precedente al terzo correttivo, disciplinata dai 
pre-vigenti artt. 153 e ss. e ne eredita alcune problematicit� e incoerenze. 
(15) Per un commento completo alla nuova disciplina della finanza di progetto, si rinvia a: Autorit� 
per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture, det. 14 gennaio 2009, n. 1, Linee guida 
sulla Finanza di progetto dopo l�entrata in vigore del c.d. �Terzo Correttivo� (d.lgs. 11 settembre 2008, 
n. 152), p. 20, www.avlp.it; M. RICCHI, La nuova Finanza di Progetto nel Codice dei Contratti, Documento 
UTFP-PCM, gennaio 2009, www.utfp.it; G. FIDONE e B .RAGANELLI, Il promotore e la societ� di 
progetto, Commentario al Codice dei Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture, coordinato dal 
Prof. MARCELLO CLARICH, Giappichelli (in corso di pubblicazione). Da tale ultimo lavoro sono ispirati 
i paragrafi 2 e 3 di questo scritto.
DOTTRINA 293 
La prima fase della procedura non comporta l�aggiudicazione al promotore 
prescelto, ma l�attribuzione allo stesso del diritto di essere preferito 
al migliore offerente individuato. Essa, se pure in un diverso contesto, dunque, 
ripristina l�istituto della prelazione del promotore, che era stato abolito 
dal secondo decreto correttivo, d.lgs. 113/2007, di cui si � gi� ampiamente 
trattato nei paragrafi precedenti. Tale reinserimento, probabilmente, � dovuto 
anche al fatto che la Corte di Giustizia Europea, con sentenza del 21 
febbraio 2008 (Causa C-412/04) ha ritenuto che le censure sollevate dalla 
Commissione Europea riguardanti il diritto di prelazione (come le altre oggetto 
della pronuncia) fossero generiche e irricevibili, in mancanza dell�indicazione 
da parte della commissione delle norme comunitarie 
eventualmente violate, salvando, cos�, la legittimit� dell�istituto. 
In ogni caso, secondo la nuova previsione, il diritto di prelazione viene 
assegnato espressamente sulla base di una procedura a tutti gli effetti concorrenziale. 
Infatti, essa � introdotta dalla pubblicazione di un bando di gara 
che ha contenuto analogo a quello previsto dall�art. 153 comma 3, primo 
periodo, per la procedura in un�unica fase: esso, cio� deve avere il contenuto 
prescritto dall�art. 144 del codice. Lo stesso bando deve precisare che la 
procedura non comporta l�aggiudicazione al promotore prescelto, ma l�attribuzione 
allo stesso del diritto di essere preferito al migliore offerente individuato, 
ove intenda adeguare la propria offerta a quella ritenuta pi� 
vantaggiosa (comma 15 lett. a). Si tratta di una prescrizione analoga a 
quella, precedente al d.lgs. 113/2007, che prevedeva che nell�avviso pubblico 
che avviava la procedura di finanza di progetto all�epoca vigente dovesse 
essere espressamente menzionata l�esistenza del diritto di prelazione 
del promotore. Tale norma era stata inserita su pressione della Commissione 
Europea che aveva ritenuto legittima l�attribuzione della prelazione al promotore 
solo se adeguatamente pubblicizzata (si veda, procedura di infrazione 
2001/2182). 
Una volta selezionato il promotore attraverso il primo passaggio concorrenziale, 
l�amministrazione deve provvedere alla approvazione del progetto 
preliminare in conformit� al comma 10, lettera c), analogamente a 
quanto avviene nella procedura in un�unica fase (comma 15 lett. b). Essa, 
cio�, pone in approvazione il progetto preliminare presentato dal promotore, 
con le modalit� indicate all'articolo 97. In tale fase � onere del promotore 
procedere alle modifiche progettuali necessarie ai fini dell�approvazione 
del progetto, nonch� a tutti gli adempimenti di legge anche ai fini della valutazione 
di impatto ambientale, senza che ci� comporti alcun compenso 
aggiuntivo, n� incremento delle spese sostenute per la predisposizione delle 
offerte indicate nel piano finanziario. 
Con riguardo a tale sub-procedimento di approvazione della progettazione 
preliminare contenuta nell�offerta del promotore, deve essere fatta
294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
una riflessione che deve valere anche per la procedura in un�unica fase, prevista 
dai commi 3 e ss. dello stesso nuovo art. 153. 
Essa, infatti, consente di superare un limite della precedente versione 
della finanza di progetto, consistente nell�indeterminatezza del potere della 
pubblica amministrazione di richiedere modifiche al progetto preliminare 
presentato dal promotore. Peraltro, come � stato notato, tale soluzione �non 
lascia dubbi riguardo alla possibilit� di apportare le modifiche prescritte 
in sede di conferenza di servizi disciplinate dagli artt. 14 bis e ss. della l. 
241/1990 per il richiamo del successivo comma 10 lett. c all�art. 97 del Codice�(
16). Tuttavia, la nuova formulazione non supera il problema che tali 
poteri sono conferiti in relazione ad uno stadio ancora embrionale della progettazione, 
quale quello preliminare. Il fatto che l�aggiudicazione avvenga 
su tale livello di progettazione espone, infatti, l�amministrazione alla possibilit� 
di successive variazioni che si potranno rendere necessarie al fine 
della redazione del definitivo e che, dunque, potrebbero, almeno parzialmente, 
vanificare le prescrizioni date in sede di preliminare e imporre necessari 
riequilibri del piano economico-finanziario. 
In ogni caso, dopo l�approvazione del progetto preliminare presentato 
dal promotore, l�amministrazione aggiudicatrice procede a bandire una 
nuova procedura selettiva, ponendo a base di gara lo stesso progetto preliminare 
approvato e le condizioni economiche e contrattuali offerte dal promotore, 
con il criterio della offerta economicamente pi� vantaggiosa 
(comma 15 lett. c). 
Questa seconda fase pu� concludersi in due diversi modi. 
Il contratto � aggiudicato direttamente al promotore, se in sede di gara 
non siano state presentate offerte economicamente pi� vantaggiose rispetto 
a quella del promotore stesso. Ove, invece, siano state presentate una o pi� 
offerte valutate economicamente pi� vantaggiose di quella del promotore 
posta a base di gara, quest'ultimo pu� esercitare il diritto di prelazione: egli, 
cio�, entro il termine di quarantacinque giorni dalla comunicazione dell�amministrazione 
aggiudicatrice, ha la facolt� di adeguare la propria proposta 
a quella del migliore offerente, aggiudicandosi il contratto, ai sensi 
dell�art. 153 comma 15 lett. e). 
Diversamente, nel caso in cui il promotore non adegui nello stesso termine 
di quarantacinque giorni la propria proposta a quella del miglior offerente 
individuato in gara, l�aggiudicazione del contratto avverr� a 
quest�ultimo. Pertanto, il termine di quarantacinque giorni entro il quale il 
promotore ha il diritto di esercitare la prelazione deve considerarsi perentorio 
e il decorso dello stesso fa venire meno tale diritto in capo al promo- 
(16) M. RICCHI, La finanza di progetto nel codice dei contratti a seguito del terzo correttivo d.lgs. 
152/2008, in Urbanistica e Appalti, 12/2008.
DOTTRINA 295 
tore, con aggiudicazione al migliore offerente in sede di gara. 
Anche la procedura bifasica in commento prevede un meccanismo di 
rimborsi per i soggetti non aggiudicatari. In primo luogo, � previsto un rimborso 
per il soggetto (migliore offerente nella gara di cui alla fase due) a 
danno del quale � esercitata la prelazione: in questo caso l�amministrazione 
aggiudicatrice rimborsa a tale soggetto, a spese del promotore, le spese sostenute 
per la partecipazione alla gara, nella misura massima di cui al 
comma 9, terzo periodo e cio� nella misura massima del 2,5 per cento del 
valore dell'investimento, come desumibile dallo studio di fattibilit� posto a 
base di gara. In secondo luogo, � previsto un rimborso per il promotore non 
aggiudicatario, nel caso di mancato esercizio della prelazione: in tale caso, 
l�amministrazione aggiudicatrice rimborsa al promotore, a spese dell�aggiudicatario, 
le spese sostenute nella misura massima di cui allo stesso art. 
153 comma 9, terzo periodo, di cui si � appena detto. 
In conclusione, deve essere fatta un�osservazione legata all�esperienza 
passata. Nella procedura pre-vigente al secondo correttivo (nella vigenza 
del diritto di prelazione per il promotore) la partecipazione di concorrenti 
alle fasi successive alla scelta del promotore (le fasi due e tre) era pressoch� 
nulla, dal momento che tale diritto di prelazione per il promotore disincentivava 
i potenziali concorrenti a prendere parte ad una procedura che li 
avrebbe, ragionevolmente visti perdenti, nel caso di adeguamento del promotore. 
Se ci� si verificasse (ed � logico prevedere che sar� proprio cos�) 
anche per la nuova procedura con prelazione prevista dal terzo correttivo, 
le due procedure previste dall�art. 153 comma 3 e dall�art. 153 comma 15 
finirebbero, di fatto, per coincidere. Dunque, la previsione di tale duplicazione 
potrebbe rilevarsi, nella pratica, inutile. 
3. L�iniziativa privata nel caso di mancata pubblicazione del bando di gara 
Il comma 16 dell�art. 153 cos� come riformulato dal terzo decreto correttivo, 
prevede un�ulteriore e distinta procedura che, per�, ha presupposti 
diversi rispetto alle prime due. 
Tale procedura, infatti, presuppone che da un lato vi sia stato l�inserimento 
dei lavori in questione nell�elenco annuale di cui all�art. 128, richiamato 
dall�art. 153 comma 1. Tuttavia, deve anche ricorrere il caso in cui le 
amministrazioni aggiudicatici, dopo tale inserimento nella programmazione, 
non provvedano alla pubblicazione dei bandi di gara entro sei mesi 
dalla approvazione dello stesso elenco annuale. Il comma 2 dell�art. 1 del 
d.lgs. 152/2008, peraltro, prevede che, in sede di prima applicazione della 
nuova disciplina, il termine di sei mesi in questione decorra dalla data di 
approvazione del programma triennale 2009-2011. 
Si tratta, dunque, di una procedura che ha la finalit� di sostituire al-
296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
l�inerzia dell�amministrazione protrattasi per sei mesi, l�iniziativa di un promotore 
privato (17). Si ricordi, che a norma del comma 2 dello stesso articolo 
al fine dell�attivazione di una delle due procedure alternative di cui ai commi 
3 e ss. e 15, � sufficiente che l�amministrazione abbia almeno predisposto uno 
studio di fattibilit� da mettere a base di gara. Qualora, invece, l�amministrazione 
abbia gi� a disposizione un progetto di livello almeno preliminare, potr� 
direttamente bandire una concessione ai sensi degli artt. 143 e ss. 
Dunque, al fine dell�esperibilit� della procedura in esame, l�amministrazione 
aggiudicatrice non deve aver bandito una gara entro sei mesi dall�inserimento 
dell�opera nell�elenco annuale. 
In tale caso, i soggetti privati che abbiano il possesso dei requisiti di cui 
al comma 8, e cio� quelli previsti dal regolamento per il concessionario (anche 
associando o consorziando altri soggetti e fermi restando i requisiti di cui all�articolo 
38), possono presentare una proposta entro e non oltre quattro mesi 
dal decorso del termine di sei mesi di cui si � gi� detto (decorrente dall�inserimento 
dell�opera nell�elenco annuale). Tale termine, in analogia con quanto 
anche la Giurisprudenza aveva affermato in relazione al termine per la presentazione 
delle proposte nelle procedure di project financing disciplinate dalle 
norme pre-vigenti al terzo decreto correttivo, deve considerarsi perentorio, 
poich� consente di realizzare l�effettiva par condicio tra i concorrenti. 
In relazione a tale momento della procedura si apre un primo problema 
interpretativo. La norma, infatti, non specifica se, decorso il termine di sei 
mesi di inerzia dell�amministrazione (ossia dal momento in cui i privati sono 
legittimati a prendere l�iniziativa), ad essa sia comunque consentito di pubblicare 
il bando introduttivo delle procedure alternative previste dai commi 3 
e 15 dello stesso art. 153. Se ci� fosse consentito, potrebbe essere, infatti, vanificata 
l�attivit� che i privati avessero medio tempore intrapreso, ingenerando 
un problema di affidamento del privato. Ci� a maggior ragione dovrebbe valere 
dopo l�eventuale presentazione della proposta da parte del privato. D�altra 
parte, parrebbe irragionevole e antieconomico, decorso il termine dei sei mesi, 
non consentire all�amministrazione di procedere alla pubblicazione di un 
bando e obbligarla ad attendere che il privato presenti una proposta, con inizio 
di una procedura che � (come si vedr�) molto pi� lunga e complessa di quelle 
previste dai commi 3 e 15 (18). 
La proposta ha il contenuto dell�offerta di cui al comma 9 dello stesso 
art. 153: essa deve, dunque, contenere un progetto preliminare, una bozza di 
(17) Il promotore in questione � stato con efficacia definito �additivo� da M. RICCHI, La finanza 
di progetto nel codice dei contratti a seguito del terzo correttivo d.lgs. 152/2008, in Urbanistica e Appalti, 
12/2008. 
(18) Nel senso di non ammettere la pubblicazione del bando decorsi i sei mesi in questione si 
veda: M. RICCHI, La finanza di progetto nel codice dei contratti a seguito del terzo correttivo d.lgs. 
152/2008, in Urbanistica e Appalti, 12/2008. 
DOTTRINA 297 
convenzione, un piano economico-finanziario asseverato da una banca e la 
specificazione delle caratteristiche del servizio e della gestione. Il piano economico-
finanziario deve comprendere l'importo delle spese sostenute per la 
predisposizione delle offerte, comprensivo anche dei diritti sulle opere dell'ingegno 
di cui all'articolo 2578 del codice civile e non pu� superare il 2,5 per 
cento del valore dell'investimento, desumibile dallo studio di fattibilit� posto 
a base di gara. 
Inoltre, la proposta deve essere garantita dalla cauzione di cui all�articolo 
75 (ossia, pari al due per cento del prezzo base indicato), corredata dalla documentazione 
dimostrativa del possesso dei requisiti soggettivi, contenere 
l�impegno a prestare una cauzione nella misura dell�importo del 2,5 per cento 
del valore dell'investimento, come desumibile dallo studio di fattibilit� posto 
a base di gara, ai sensi del comma 9, terzo periodo, nel caso di indizione di 
una delle gare ai sensi delle lettere a), b), c) dello steso comma 16, che si descriveranno 
di seguito. 
Entro i successivi sessanta giorni (decorrenti dalla scadenza del termine 
di quattro mesi di cui si � detto sopra), le amministrazioni aggiudicatrici provvedono 
a pubblicare un avviso con le modalit� di cui all�articolo 66 ovvero di 
cui all�articolo 122, secondo l�importo dei lavori, contenente i criteri in base 
ai quali si proceder� alla valutazione delle proposte pervenute. Tale pubblicazione 
di avviso � obbligatoria anche nel caso in cui sia prevenuta una sola proposta. 
Con riguardo a tale previsione, deve essere rilevato che il fatto che i criteri 
di valutazione siano elaborati successivamente (e sulla base) della proposta 
presentata desta non poche perplessit�. Essa, infatti, sembra costituire una violazione 
della par condicio tra il promotore originario e gli altri eventuali concorrenti 
successivi la cui proposta verr� valutata sulla base di tali criteri. Tale 
violazione della par condicio non sembra del tutto eliminata dalle successive 
disposizioni che si stanno per descrivere. 
Entro novanta giorni dalla pubblicazione di tale avviso contenente i criteri 
di valutazione, le proposte gi� presentate possono essere rielaborate e ripresentate 
alla luce dei medesimi, cos� come ulteriori soggetti legittimati possono 
presentare nuove proposte. 
L�esame di tutte le proposte presentate (cio� quelle gi� presentate e non 
rielaborate, quelle presentate e rielaborate e quelle nuove), da parte delle amministrazioni 
aggiudicatici, deve avvenire entro sei mesi dalla scadenza del 
termine di novanta giorni di cui si � appena detto (19). 
(19) Secondo M. RICCHI, La finanza di progetto nel codice dei contratti a seguito del terzo correttivo 
d.lgs. 152/2008, in Urbanistica e Appalti, 12/2008, in relazione a tale scelta �potrebbe ventilarsi 
la violazione della par condicio nei confronti di tutti quei concorrenti la cui proposta viene valutata una 
sola volta al fine di dichiararla di pubblico interesse�. Tuttavia, poi, l�Autore conclude in senso contrario. 
298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Successivamente a tale valutazione �le amministrazioni aggiudicatici, verificato 
preliminarmente il possesso dei requisiti, individuano la proposta ritenuta 
di pubblico interesse�. L�esame, dunque, si conclude con la valutazione 
di pubblico interesse di una proposta e con la scelta del promotore. 
Anche in questo passaggio la nuova disposizione non sembra felice ed 
eredita alcune delle problematiche della procedura di finanza di progetto disciplinata 
dagli artt. 153 e ss. previgenti al terzo correttivo. Infatti, la nuova 
disposizione non specifica la natura della valutazione di pubblico interesse appena 
descritta, se sia cio� una valutazione meramente discrezionale (se pure 
conseguente all�applicazione dei criteri indicati nell�avviso), o una valutazione 
comparativa con caratteri concorsuali. Dalla lettera della norma, sembrerebbe 
trattarsi di una valutazione meramente discrezionale dell�amministrazione aggiudicatrice: 
tuttavia, se cos� fosse, nel caso in cui la nomina a promotore attribuisse 
il diritto di prelazione (cio�, nel caso di scelta della procedura ex 
comma 16 lett. c)), si riproporrebbero tutte le problematiche inerenti alla nomina 
a promotore nella disciplina pre-vigente al terzo correttivo. 
Individuata la proposta di pubblico interesse, la norma individua tre possibili 
ipotesi di svolgimento della gara successiva e detta alcune disposizioni 
comuni alle tre ipotesi stesse. 
In primo luogo, se il soggetto che ha presentato la proposta prescelta e 
nominato promotore non partecipa alle gare bandite, l�amministrazione aggiudicatrice 
incamera la garanzia di cui all�articolo 75. Tale penale, evidentemente, 
ha la finalit� di rendere non conveniente per il promotore disertare la 
gara che � stata avviata grazie alla sua stessa iniziativa e dovrebbe garantire 
la seriet� delle stesse iniziative intraprese. 
In secondo luogo, secondo il comma 17, ultimo periodo, del nuovo art. 
153, in tutte e tre le gare di cui al comma 16 (lett. a), b), c)) si applicano le disposizioni 
contenute nel comma 13 dello stesso articolo. Pertanto, le offerte 
devono essere corredate dalla garanzia di cui all'articolo 75 e da un�ulteriore 
cauzione fissata dal bando in misura pari al 2,5 per cento del valore dell'investimento, 
come desumibile dallo studio fattibilit� posto a base di gara; successivamente, 
il soggetto aggiudicatario � tenuto a prestare la cauzione 
definitiva di cui all�articolo 113; dalla data di inizio dell�esercizio del servizio, 
il concessionario deve prestare una cauzione a garanzia delle penali relative 
al mancato o inesatto adempimento di tutti gli obblighi contrattuali relativi 
alla gestione dell�opera, nella misura del 10 per cento del costo annuo operativo 
di esercizio e con le modalit� di cui all�articolo 113; in ultimo, viene specificato 
che la mancata presentazione di tale ultima cauzione costituisce grave 
inadempimento contrattuale. 
Tornando alle tre differenti ipotesi di gara disciplinate dal comma 16, la 
prima trova il suo presupposto nel caso in cui il progetto preliminare presentato 
dal promotore necessiti di modifiche. In tale caso, secondo la lett. a), �qualora
DOTTRINA 299 
ricorrano le condizioni di cui all�articolo 58 � viene indetto un dialogo competitivo 
e vengono posti a base di gara il progetto preliminare e la proposta 
presentata. Se il promotore non risulti aggiudicatario, ha diritto al rimborso, 
con onere a carico dell�affidatario, delle spese sostenute per la partecipazione 
alla gara, nella misura massima di cui al comma 9, terzo periodo e cio� nella 
misura massima del 2,5 per cento del valore dell'investimento, come desumibile 
dallo studio di fattibilit� posto a base di gara. 
Anche in questo passaggio la norma appare affrettata e si pongono problemi 
di coordinamento con la disciplina del dialogo competitivo dettata dall�art. 
58 che, tra l�altro, presuppone, ai fini dell�adozione del dialogo 
competitivo, la particolare complessit� dell�appalto. 
Nel caso di specie, infatti, l�avvio del dialogo competitivo trova fondamento 
solo nella necessit� di modifica del progetto preliminare presentato dal 
promotore e, dunque, potrebbe riguardare anche opere assolutamente semplici, 
contravvenendo i presupposti generali dell�art. 58. Tuttavia, secondo il testo 
della lettera a) il dialogo competitivo potrebbe essere avviato solo �qualora 
ricorrano le condizioni di cui all�articolo 58 � e dunque non per opere semplici 
o non particolarmente complesse. 
Dunque, vi � un vero e proprio buco della norma, laddove nulla � previsto 
in relazione a proposte che abbiano da un lato la necessit� di adeguamento del 
progetto preliminare e, dall�altro, siano semplici o non particolarmente complesse 
o, comunque, nel caso in cui non ricorrano le condizioni per l�applicazione 
dell�art. 58 (20). 
Peraltro, non si comprende perch� nel caso di necessit� di modifica del 
progetto preliminare del promotore non possa essere consentita l�attivazione 
di una sub-fase, assimilabile a quella disciplinata dallo stesso art. 153 comma 
10 lett. c), che renda obbligatorio al promotore apportare le varianti richieste 
alla progettazione presentata, al fine dell�esperimento della successiva gara. 
Peraltro, sembra contraddetta anche la prescrizione dell�art. 58 che attribuisce 
alla scelta del dialogo competitivo carattere di residualit� rispetto all�adozione 
di altri tipi di procedure di selezione, che nel caso di specie, una volta modificato 
il progetto preliminare sarebbero assolutamente percorribili. 
In ultimo, dal momento che il secondo correttivo, d.lgs. 113/2007, ha sospeso 
l�efficacia delle disposizioni sul dialogo competitivo sino all�entrata in 
(20) Secondo l�Autorit�: �La disposizione non prevede quale sia l�esito della procedura nel caso 
in cui, sebbene il progetto necessiti di modifiche, non sussistano le condizioni per il ricorso al dialogo 
competitivo. Si potrebbe, in tal caso, ritenere che l�amministrazione stessa modifichi il progetto preliminare, 
adeguandolo alle modifiche richieste in sede di approvazione, predisponga il piano economicofinanziario 
ed indica una gara ai sensi dell�art. 143 del Codice; altrimenti l�amministrazione potrebbe 
procedere con le modalit� dell�art. 15, lett. b), c), d), ed f) previa indicazione di entrambe le possibilit� 
nell�avviso di gara, poich� la disposizione non ne richiama l�applicazione, invitando in ogni caso il 
promotore�, det. 1 del 14 gennaio 2009, cit., pag. 28.
300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
vigore del Regolamento attuativo, la procedura in questione, sino a tale momento, 
dovrebbe ritenersi non percorribile. 
Se, invece il progetto preliminare non necessita di modifiche, l�amministrazione 
aggiudicatrice ha due diverse opzioni alternative. E� con riferimento 
a tali ipotesi che viene nuovamente previsto il diritto di prelazione del promotore.
Pu�, dopo avere approvato il progetto preliminare presentato dal promotore, 
bandire una concessione ai sensi dell�articolo 143, ponendo a base di 
gara lo stesso progetto preliminare presentato dal promotore e invitando il promotore 
alla gara (comma 16, lett. b). In tale caso, dunque, la procedura di 
scelta del concessionario avverr� ai sensi dell�art. 144 del codice e il promotore 
dovrebbe partecipare in una posizione assolutamente paritaria rispetto a quella 
dei suoi eventuali concorrenti, senza godere di alcuna posizione privilegiata. 
Alternativamente, sempre dopo avere approvato il progetto preliminare 
presentato dal promotore, pu� bandire una gara ex art. 153 comma 15 lettere 
c), d), e), f), ponendo a base di gara lo stesso progetto del promotore e invitando 
quest�ultimo alla gara (comma 16 lett. c). Si tratta della seconda fase 
della procedura bifasica disciplinata dall�art. 15, di cui si � trattato nel paragrafo 
precedente. Dunque, la procedura disciplinata dal comma 16 pu� considerarsi 
come alternativa, nel caso del diverso presupposto dell�inerzia 
dell�amministrazione di cui si � gi� detto, alla prima fase della procedura disciplinata 
dal comma 15 lettere a) e b). In tale caso, differentemente, dalla precedente 
opzione, il promotore all�interno della procedura da svolgersi 
godrebbe di una posizione di vantaggio rispetto agli altri concorrenti poich� 
allo stesso viene conferito il diritto di prelazione che dovr� essere esercitato 
entro i quarantacinque giorni decorrenti dalla comunicazione dell�amministrazione 
aggiudicatrice ai sensi del comma 15 lett. e). 
Peraltro, rispetto a tali due differenti ipotesi, deve essere osservato che la 
scelta dell�amministrazione dovrebbe essere manifestata sin dall�inizio della 
procedura, al momento dell�avviso pubblico a presentare proposte, ai sensi 
del comma 16 comma 1 secondo capoverso. La fattispecie, infatti, appare assolutamente 
analoga a quella prevista dalla versione dell�art. 143 pre-vigente 
al terzo correttivo, a proposito della quale la Commissione Europea aveva segnalato 
l�illegittimit� del conferimento del diritto di prelazione in assenza di 
adeguata pubblicit�, tanto da provocarne la modifica operata dalla l. 166/2002 
che aveva espressamente previsto che, appunto, l�avviso introduttivo della 
procedura indicasse l�esistenza del diritto di prelazione. Inoltre, appare necessario 
che gli aspiranti promotori, al momento di presentare le proposte ai sensi 
del comma 16 sappiano se a loro, nell�eventualit� in cui fossero scelti promotori, 
spetti o meno il diritto di prelazione, al fine di consentire loro di effettuare 
corretti calcoli di convenienza in ordine all�intrapresa dell�iniziativa o alla partecipazione 
alla procedura in una fase successiva. 
DOTTRINA 301 
Un ulteriore problema sembra derivare dall�ambigua formulazione del 
comma 18 dello stesso art. 153 che afferma che nelle due procedure alternative 
da ultimo descritte �al promotore che non risulti aggiudicatario nelle procedure, 
si applica quanto previsto dal comma 15, lettere e) ed f)�. Tale disposizione 
sembra doversi interpretare solo limitatamente ai rimborsi previsti da 
tali norme, dal momento che sono usate le parole �al promotore che non risulti 
aggiudicatario�. Dunque, la disposizione avrebbe riferimento alla sola fase 
successiva al momento dell�aggiudicazione e, pertanto, non potrebbero trovare 
applicazione i riferimenti alla prelazione del promotore, contenuti nelle stesse 
lettere e) e f) del comma 15, che attengono evidentemente ad un momento antecedente 
all�aggiudicazione. D�altra parte, se cos� non fosse e se in entrambi 
i casi si applicasse il diritto di prelazione, le due procedure alternative finirebbero 
per coincidere nella sostanza. Allo stesso modo, non si capisce il riferimento 
alla lettera e) che si riferisce ai rimborsi spettanti al migliore offerente 
(concorrente del promotore) che ha subito l�esercizio della prelazione, dal momento 
che il richiamo � limitato al solo �promotore che non risulti aggiudicatario� 
(21). 
Limitando l�operativit� del richiamo in questione al solo rimborso del 
promotore non aggiudicatario (e, dunque, solo alla lettera f del comma 15) a 
questi, dunque, l�amministrazione, a spese dell�aggiudicatario, dovr� rimborsare 
le spese sostenute nella misura massima di cui allo stesso art. 153 comma 
9, terzo periodo, di cui si gi� detto. Il riferimento, sar� dunque al promotore 
non aggiudicatario nel caso di gara ex art. 16 lett. b) e al promotore (sempre 
non aggiudicatario) che non ha esercitato il diritto di prelazione nel caso di 
gara ex art. 16 lett. c). 
Come si vede da alcuni dei problemi interpretativi evidenziati, la norma 
posta dall�art. 16 appare, per alcuni versi, ambigua e incompleta e, sicuramente, 
creer� numerosi problemi applicativi. Essa, ha fortissime similitudini 
con la procedura pre-vigente al terzo correttivo che ha generato e continua a 
generare (per le procedure in corso) un fortissimo contenzioso, con pronunce 
discordanti da parte dei giudici amministrativi. Tra l�atro, il procedimento in 
questione potrebbe essere largamente utilizzato, dal momento che appare verosimile 
che si verificheranno con una certa regolarit� le situazioni di inerzia 
protratta per sei mesi da parte dell�amministrazione concedente, presupposto 
della procedura in oggetto. 
L�interpretazione delle procedure sub lettere b) e c) che si � appena esposta 
deve considerarsi preferibile a quella data delle stesse procedure dalla de- 
(21) Di diverso avviso � l�Autorit� di Vigilanza, secondo la quale: �Si noti che, in entrambe le 
procedure di cui al precedente n. 3 [cio�, quelle di cui alle lettere b) e c)], il promotore gode del diritto 
di prelazione. Non sussiste il diritto di prelazione qualora il progetto preliminare necessiti invece di 
modifiche�, det. 1 del 14 gennaio 2009, cit., pag. 28. 
302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
termina dell�Autorit� di Vigilanza, det. 1 del 14 gennaio 2009, e dalla UTFP 
del gennaio 2009, che invece pretenderebbero di applicare la prelazione ad 
entrambe le fattispecie previste dall�art. 153 comma 16 lett. b) e c). 
In ogni caso, allo scopo di evitare il ripetersi degli inconvenienti legati 
alla pre-vigente procedura della finanza di progetto, � auspicabile che, almeno 
per la procedura prevista dal comma 16, di cui si discute, il Legislatore, con 
una certa urgenza, torni ad intervenire. 
4. Valutazioni conclusive 
L�effettiva concorrenzialit� di una procedura di gara, garantita dalla 
par condicio tra i partecipanti, ha la funzione principale di garantire l�imparzialit� 
delle scelte dell�amministrazione. La messa in concorrenza �, inoltre, 
anche uno strumento di controllo (nell�interesse dell�amministrazione) dei 
comportamenti dei soggetti competitori, in quanto l�interazione con altri soggetti 
e il controllo incrociato tra gli stessi riducono il potere e la libert� di 
azione degli stessi soggetti coinvolti nel confronto concorrenziale. Inoltre, gli 
effetti della concorrenza, come noto, sono quelli di ridurre il margine di profitto 
dell�aggiudicatario finale, sia in termini di prezzo corrisposto dall�Amministrazione, 
sia in termini di proventi della gestione della concessione, anche 
con riferimento alla durata della stessa. Dunque, in linea di principio, l�effettiva 
concorrenza consente all�amministrazione di ottenere soluzioni progettuali 
e condizioni contrattuali pi� convenienti (22). 
La prelazione del promotore �, certamente, uno strumento che crea all�interno 
di un medesimo procedimento uno status differenziato per il soggetto 
che ne dispone, rispetto a quelli che ne sono privi. Si potrebbe trattare, dunque, 
di una limitazione dell�effettiva concorrenzialit� della procedura che potrebbe 
condurre a effetti indesiderati. 
Tuttavia, la previsione della prelazione del promotore ha anche la ratio 
di incentivare i soggetti privati (aspiranti promotori) al coinvolgimento nelle 
operazioni di finanza di progetto, nel caso in cui l�iniziativa privata comporti 
grandi costi di avvio della procedura a carico dell�aspirante promotore, a fronte 
del rischio che il promotore possa perdere la concessione e dunque non essere 
compensato con l�aggiudicazione del contratto. 
In tale ottica, dovranno essere esaminate, sotto l�esame dell�applicazione 
pratica, le procedure descritte, previste dall�art. 153, commi 15 e 16, del Codice, 
verificando, da un lato, se siano in grado di assicurare un�effettiva messa 
in concorrenza, nonostante la previsione del diritto di prelazione, o se al contrario 
tale previsione produca effetti distorsivi e disincentivanti. Allo stesso 
(22) Si veda: M. CAFAGNO, Lo Stato Banditore, Giuffr� Editore, 2001.
DOTTRINA 303 
tempo, dall�altro lato, deve essere valutato se l�attuale formulazione delle procedure 
esaminate preveda effettivi eccezionali sforzi iniziali del promotore, 
maggiori rispetto alle procedure ordinarie, tali da giustificare la previsione del 
diritto di prelazione per tale soggetto. Di tale circostanza, almeno con riferimento 
alla procedura prevista dall�art. 153 comma 15, si ha fondato motivo 
di dubitare, apparendo nella realt� tale procedura sostanzialmente ad �iniziativa 
pubblica�, vista la previsione di un bando di gara sulla base di uno studio 
di fattibilit� gi� predisposto dall�amministrazione. 
304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
La Camera di conciliazione e arbitrato 
presso la Consob 
Quadro normativo d'insieme e sintesi applicativa 
Giorgio Gasparri* 
SOMMARIO: 1. La tutela degli interessi collettivi degli investitori-consumatori. - 2. Le 
procedure di conciliazione e arbitrato per la risoluzione stragiudiziale delle controversie 
sorte fra investitori e intermediari: l�istituzione della Camera di conciliazione e arbitrato 
presso la CONSOB (CCA). - 2.1. L�ambito di applicazione soggettivo e oggettivo dei procedimenti 
amministrati dalla CCA. - 2.2. La composizione, i compiti e il funzionamento della 
CCA. - 2.3. Gli elenchi dei conciliatori e degli arbitri tenuti dalla CCA. - 2.4. Le modalit� di 
attivazione e gestione della conciliazione stragiudiziale. - 2.5. Le modalit� di attivazione e 
gestione dell�arbitrato amministrato di tipo ordinario. - 2.6. Le modalit� di attivazione e gestione 
dell�arbitrato amministrato di tipo semplificato. 
1. La tutela degli interessi collettivi degli investitori-consumatori 
L�art. 7, d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164, ha inserito il capo IV-bis del titolo 
II della parte II del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (c.d. TUF), relativo alla 
tutela degli investitori: i nuovi artt. 32-bis e 32-ter, TUF, hanno provveduto a 
estendere alla prestazione dei servizi e delle attivit� di investimento le previsioni 
del Codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206) in materia di 
legittimazione ad agire delle associazioni di consumatori, nonch� le previsioni 
della legge sulla tutela del risparmio (art. 27, l. 28 dicembre 2005, n. 262) in 
materia di procedure di conciliazione e arbitrato. 
In particolare, l�art. 32-bis, TUF, ha attribuito la legittimazione ad agire 
�per la tutela degli interessi collettivi degli investitori, connessi alla prestazione 
di servizi e attivit� di investimento e di servizi accessori e di gestione 
collettiva del risparmio� alle �associazioni dei consumatori inserite nell�elenco 
di cui all�art. 137 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206� nelle forme 
previste dagli artt. 139 e 140. 
Tale disposizione non ha, peraltro, sollevato lo stesso clamore dell�introduzione 
dell�art. 140-bis, Cod. Cons., istitutivo dell��azione di classe� a tutela 
degli interessi individuali omogenei di categorie di consumatori. In effetti, 
l�art. 32-bis consente una legittimazione attiva alle sole associazioni regolamentate 
ai sensi dell�art. 137, Cod. Cons., mentre la class action � aperta anche 
a gruppi non necessariamente coincidenti con le �associazioni dei consumatori 
(*) Avvocato e funzionario CONSOB, ha svolto la pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
Il lavoro riflette le opinioni dell�autore e non impegna in alcun modo l�Istituto di appartenenza.

DOTTRINA 305 
e degli utenti rappresentative a livello nazionale�, eventualmente sorti in funzione 
dello stesso esperimento dell�azione collettiva. La disposizione dell�art. 
32-bis �, insomma, limitativa rispetto all�art. 140-bis, Cod. Cons. Il rimando 
contenuto nell�art. 32-bis all�art. 140, Cod. Cons., comporta che la legittimazione 
delle associazioni dei consumatori si esplichi nell�inibitoria delineata 
secondo le disposizioni generali di rito. 
Attraverso la class action, invece, il legislatore ha, da un lato, creato un 
iter processuale ad hoc e, dall�altro, ha eletto l�azione collettiva a mezzo di 
protezione a cospetto della lesione di posizioni di diritto volte a far conseguire 
il ristoro del danno e quindi un�integrazione patrimoniale. Le disposizioni 
dell�art. 32-bis, comma 1, e dell�art. 140-bis sono, peraltro, fra loro compatibili 
e cumulabili, anche se la loro coesistenza, secondo alcuni, porrebbe qualche 
dubbio di coerenza costituzionale: la pi� ampia legittimazione attiva concessa 
dall�art. 140-bis farebbe dubitare della legittimit� delle restrizioni stabilite 
dall�art. 32-bis mediante il rinvio alla sola disposizione di cui all�art. 140. 
Quanto al contenuto della disposizione, a prima lettura potrebbe apparire 
che essa introduca nel diritto dei mercati finanziari un�equazione �investitoriconsumatori�, 
con la conseguenza che, una volta posta l�endiadi entro il sistema 
delle tutele, princ�pi e regole del diritto dei consumatori potrebbero, per 
ci� stesso, divenire princ�pi e regole della tutela degli investitori. Il discorso, 
in verit�, va esattamente ribaltato. Invero, l�area della legittimazione ad agire 
delle associazioni dei consumatori riconosciute dall�art. 139, Cod. Cons., � 
dalla stessa disposizione generale rigorosamente circoscritta alle �ipotesi di 
violazione degli interessi collettivi dei consumatori contemplati nelle materie 
disciplinate� dal Codice del Consumo e da altre disposizioni legislative. Ne 
viene che la disposizione del TUF non pu� estendere tale area, attribuendo 
alle associazioni una competenza rappresentativa di interessi che ben possono 
riguardare investitori (cio� controparti dell�intermediario) anche diversi dalle 
persone fisiche che agiscono per scopi estranei alla loro attivit� imprenditoriale, 
commerciale o professionale (cc.dd. consumatori). Le associazioni dei 
consumatori possono, dunque, intervenire e chiedere ex art. 140, Cod. Cons., 
l�inibizione di atti e comportamenti, l�adozione di misure idonee a correggerne 
o eliminarne gli effetti e la pubblicazione dei provvedimenti, se e in quanto 
l�azione dell�intermediario sia volta in pregiudizio di investitori che siano 
anche consumatori (1). Poich�, l�attivit� dell�intermediario � svolta sistematicamente 
e continuativamente presso clienti del pi� diverso tipo e poich� essa 
� in grado di riverberare i propri effetti sui rischi �acquistabili� sul mercato (o 
gi� acquistati e �rivendibili�), in uno svolgimento senza soluzione di continuit� 
(1) Si ricordi, in proposito, che l�art. 67-noviesdecies, Cod. Cons., gi� le legittimava al reclamo e 
all�azione di inibitoria nel caso di violazione delle disposizioni sulla commercializzazione a distanza di 
servizi finanziari a consumatori.
306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
di operazioni di segno reciproco, la competenza delle associazioni di consumatori 
� tendenzialmente generale, in quanto su quel mercato, in ogni momento 
e per qualunque tipologia di operazione ammessa, possono divenire 
attori anche soggetti aventi qualifica di consumatori, nei cui confronti la violazione 
degli obblighi dell�intermediario pu�, quindi, per definizione, produrre 
effetto, magari manifestandosi ex post, quando il consumatore ha gi� effettuato 
l�investimento. La tutela degli interessi collettivi degli investitori garantisce, 
quindi, la tutela degli interessi dei consumatori attualmente (o potenzialmente) 
ricompresi nella pi� ampia categoria di investitori, assieme a soggetti aventi 
diversa qualificazione giuridica. Ci� spiega perch� l�art. 32-bis, TUF, non richiami 
l�art. 140-bis, Cod. Cons.: tale disposizione, infatti, opera, in ogni caso, 
nei limiti posti dalla disciplina di legge, a prescindere dalla specificit� della 
materia. La relativa applicazione ai rapporti finanziari non postula l�identit� 
tipologica tra consumatore e investitore e, anzi, conferma che, tra gli investitori, 
i consumatori sono semplicemente soggetti a disposizioni speciali in materia 
di tutela, che si aggiungono a quelle comuni. 
Tra queste ultime si segnala proprio l�art. 32-ter, TUF, in materia di risoluzione 
stragiudiziale delle controversie, nel contesto del quale il legislatore 
italiano ha, peraltro, approfittato dello spazio impostogli dall�art. 53, Dir. 21 
aprile 2004, n. 2004/39/CE (c.d. MiFID)(2), per istituire sistemi aperti non 
soltanto ai consumatori, ma anche agli investitori in generale. E, con perfetta 
simmetria, il d.lgs. 8 ottobre 2007, n. 179 (ma gi� l�art. 27, l. n. 262/05, sulla 
tutela del risparmio) applica la speciale disciplina della conciliazione e arbitrato 
presso la CONSOB (in cui torna la legittimazione ad agire delle associazioni 
dei consumatori ex art. 140, Cod. Cons.) e la tutela del Fondo di garanzia 
a tutti gli �investitori� e �risparmiatori�, escludendone solo quelli �professionali
�, e quindi includendovi anche investitori �non consumatori�. 
2. Le procedure di conciliazione e arbitrato per la risoluzione stragiudiziale 
delle controversie sorte fra investitori e intermediari: l�istituzione della Camera 
di conciliazione e arbitrato presso la CONSOB (CCA) 
Si � appena ricordato l�art. 32-ter, TUF, in tema di �risoluzione stragiudiziale 
di controversie�: secondo tale disposizione, ai fini della risoluzione 
stragiudiziale di controversie sorte fra investitori e soggetti abilitati e relative 
alla prestazione di servizi e di attivit� di investimento e accessori e della gestione 
collettiva del risparmio, trovano applicazione le procedure di conciliazione 
e arbitrato definite ai sensi dell�art. 27, l. 28 dicembre 2005, n. 262; fino 
all�istituzione di tali procedure � prevista l�applicazione dell�art. 141, Cod. 
(2) In tema di �controversie in materia di consumo relative alla prestazione di servizi di investimento 
e di servizi accessori da parte delle imprese di investimento�.
DOTTRINA 307 
Cons. 
Seguendo modelli gi� diffusi in altri sistemi, l�art. 27, commi 2 e 3, l. n. 
262/05 aveva, invero, previsto l�introduzione di procedure di conciliazione e 
di arbitrato in materia di servizi di investimento. Secondo il disegno tracciato 
dalla l. n. 262, tali procedure � da svolgersi �dinanzi alla CONSOB�, nel contraddittorio 
delle parti, tenuto conto di quanto disposto dal d.lgs. n. 5/03, secondo 
criteri di efficienza, rapidit� ed economicit� � erano destinate alla 
decisione di controversie insorte fra i risparmiatori o gli investitori (esclusi gli 
investitori professionali), da un lato, e le banche o gli altri intermediari finanziari, 
dall�altra lato, in merito alla lamentata violazione degli obblighi di informazione, 
correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con la 
clientela. 
In attuazione di tale delega, � stato successivamente adottato il d.lgs. n. 
179/07, relativo all�istituzione di procedure di conciliazione e di arbitrato, di 
un sistema di indennizzo e di un fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori. 
In particolare, ai fini che qui interessano, l�art. 2, comma 1, d.lgs. n. 
179, ha provveduto ad istituire �una Camera di conciliazione e arbitrato 
presso la CONSOB per l�amministrazione [�] dei procedimenti di conciliazione 
e di arbitrato promossi per la risoluzione di controversie insorte tra gli 
investitori e gli intermediari per la violazione da parte di questi degli obblighi 
di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali 
con gli investitori�, rinviando ad un successivo regolamento della CONSOB: 
- la definizione dell�organizzazione della Camera di conciliazione e arbitrato 
(CCA); 
- le modalit� di nomina dei conciliatori e degli arbitri; 
- le norme per lo svolgimento dei procedimenti di conciliazione e di arbitrato. 
L�art. 3 ha, inoltre, previsto � per il caso in cui, a seguito dell�esperimento 
delle procedure di arbitrato amministrato dalla CCA, risulti l�inadempimento 
da parte dell�intermediario degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza 
� la possibilit� per l�investitore, di ottenere un indennizzo per il ristoro 
delle conseguenze pregiudizievoli derivanti da siffatto inadempimento. 
Successivamente, nell�agosto 2008, la CONSOB ha pubblicato un documento 
di consultazione contenente la bozza del regolamento disciplinante la 
CCA, invitando tutte le parti interessate a far pervenire le proprie osservazioni, 
sulla scorta delle quali � stata, quindi, redatta la versione definitiva del regolamento 
di attuazione del d.lgs. n. 179, adottato con la delibera CONSOB del 
29 dicembre 2008, n. 16763 (Gazz. Uff. 8 gennaio 2009, n. 5). 
La CONSOB ha, in tal modo, definito: 
- la composizione, i compiti e il funzionamento della CCA (artt. 2-4); 
- i requisiti di accesso agli elenchi dei conciliatori e degli arbitri (artt. 5-6); 
- le modalit� di attivazione e gestione della conciliazione stragiudiziale
308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
(artt. 7-16); 
- le modalit� di attivazione e gestione dell�arbitrato amministrato di tipo 
ordinario (artt. 17-27); 
- le modalit� di attivazione e gestione dell�arbitrato amministrato di tipo 
semplificato (artt. 28-34); 
- le tariffe applicabili alla conciliazione stragiudiziale e all�arbitrato (allegato). 
2.1. L�ambito di applicazione soggettivo e oggettivo dei procedimenti amministrati 
dalla CCA 
Prima di procedere all�esame delle singole disposizioni che disciplinano 
le procedure di conciliazione e di arbitrato, appare necessario procedere a una 
delimitazione, in termini soggettivi e oggettivi, dell�ambito di applicazione 
dei procedimenti amministrati dalla CCA. 
Si � appena visto che, a norma dell�art. 2, comma 1, d.lgs. n. 179, tali 
procedimenti sono quelli promossi per la risoluzione di controversie insorte 
tra gli investitori e gli intermediari per la violazione da parte di questi ultimi 
degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti 
contrattuali con gli investitori. Allo stesso modo si esprime anche l�art. 4, 
comma 1, del. n 16763. Nonostante l�ampia portata della definizione, a seguito 
di una pi� approfondita analisi sembra possibile affermare che l�effettivo ambito 
di applicazione della del. n 16763 non sia cos� vasto. 
In ordine al profilo soggettivo, l�art. 1, comma 1, lett b), del. n 16763, 
chiarisce che per �investitori� si intendono gli investitori diversi dalle �controparti 
qualificate� (di cui all�art. 6, comma 2-quater, lett. d), TUF) e dai 
�clienti professionali� (di cui all�art. 6, commi 2-quinquies e 2-sexies, TUF). 
Nel campo di applicazione soggettiva della del. n. 16763 rientrano, pertanto, 
solo le controversie tra gli intermediari e i �clienti al dettaglio� (categoria, 
per l�appunto, residualmente individuata dall�art. 26, comma 1, lett. e, del. 
CONSOB 29 ottobre 2007, n. 16190, c.d. Regolamento Intermediari, con riferimento 
a tutti i soggetti che non sono n� clienti professionali n� controparti 
qualificate). Occorre, peraltro, ricordare che la normativa regolamentare prevede 
la possibilit� per il cliente di richiedere un differente status di classificazione 
(c.d. sistema degli �ascensori�), con conseguente incremento o 
diminuzione del livello di protezione rispetto a quello assicurato dalla propria 
categoria di appartenenza. In sintesi: 
- i clienti professionali di diritto (All. n. 3, parte I, Reg. Intermediari) e le 
controparti qualificate (art. 58, comma 4, Reg. Intermediari) possono chiedere 
di essere trattati come clienti al dettaglio (cc.dd. clienti al dettaglio su richiesta), 
beneficiando, in tal modo, di una protezione maggiore (3); 
- i clienti al dettaglio (All. n. 3, parte II.1, Reg. Intermediari) e le contro-
DOTTRINA 309 
parti qualificate (art. 58, comma 4, Reg. Intermediari) possono chiedere di essere 
trattati, rispettivamente, come clienti professionali (cc.dd. clienti professionali 
su richiesta), beneficiando, per l�effetto, di una protezione, 
rispettivamente, minore o maggiore (4). 
Alla luce della descritta flessibilit�, ci si � chiesti se rientrano nel campo 
di applicazione della del. n. 16763 solo le controversie tra gli intermediari e i 
clienti al dettaglio di diritto oppure anche quelle controversie che coinvolgono 
clienti professionali (e/o controparti qualificate) che abbiano chiesto di essere 
considerati come clienti al dettaglio (cc.dd. clienti al dettaglio su richiesta). A 
tale riguardo, si � osservato che, una volta concluso l�accordo scritto tra il 
cliente professionale (o la controparte qualificata) e l�intermediario, necessario 
affinch� i primi siano considerati clienti al dettaglio (su richiesta), con conseguente 
applicazione del regime informativo e comportamentale previsto per i 
clienti al dettaglio, non vi sarebbe ragione per negare loro la possibilit� di beneficiare 
delle procedure di conciliazione e di arbitrato de quibus. Analogamente, 
dovrebbe ritenersi che il cliente al dettaglio che abbia ottenuto di essere 
considerato cliente professionale su richiesta perda il diritto ad avvalersi delle 
procedure conciliative ed arbitrali in oggetto. In buona sostanza, la nozione 
di �investitore� rilevante ai fini della del. n. 16763 sarebbe comprensiva di 
tutti i clienti al dettaglio, anche di quelli �su richiesta�. 
Con riferimento, invece, alla nozione di �intermediari�, l�art. 1, comma 
1, lett. c), del. n 16763, considera tali i �soggetti abilitati� di cui all�art. 1, 
comma 1, lett. r), TUF (5), e la societ� Poste Italiane - Divisione Servizi di 
Banco Posta (autorizzata ai sensi dell�art. 2, d.P.R. 14 marzo 2001, n. 144). 
Decisamente pi� articolata si presenta la definizione del campo di applicazione 
oggettivo della del. n. 16763. Come visto, l�art. 4, comma 1, del. n. 
16763, si riferisce genericamente alle �controversie insorte tra gli investitori 
e gli intermediari per la violazione da parte di questi degli obblighi di informazione, 
correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con gli 
investitori�. Alla luce di ci�, s�impone all�interprete un�accurata definizione 
sia della tipologia dell�attivit� svolta dagli intermediari, sia degli obblighi 
(3) Al fine di rientrare nella categoria dei clienti al dettaglio su richiesta, il cliente professionale 
di diritto (All. n. 3, parte I, Reg. Intermediari) o la controparte qualificata (art. 58, comma 5, Reg. Intermediari) 
devono stipulare con l�impresa di investimento un accordo scritto, nel quale vengono precisati 
i prodotti, i servizi e le operazioni cui si applica il regime informativo e comportamentale previsto per 
i clienti al dettaglio. 
(4) E� comunque prescritto il rispetto dei criteri e delle procedure menzionate all�All. n. 3, parti 
II.1 e II.2, Reg. Intermediari. 
(5) Si tratta delle SIM, delle imprese di investimento comunitarie con succursale in Italia, delle 
imprese di investimento extracomunitarie, delle SGR, delle SGA, delle SICAV, nonch� degli intermediari 
finanziari iscritti nell�elenco speciale di cui all�art. 107, TUB, delle banche italiane, delle banche comunitarie 
con succursale in Italia e delle banche extracomunitarie, autorizzate all�esercizio dei servizi o 
delle attivit� di investimento.
310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
che si assumono violati. 
Quanto al primo aspetto, la disposizione di riferimento � quella dell�art. 
1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 179, secondo cui per �intermediari� s�intendono 
i soggetti abilitati alla prestazione dei servizi e delle attivit� di investimento 
di cui all�art. 1, comma 1, lett. r), TUF. In base a all�art. 1, comma 5, TUF, per 
�servizi e attivit� di investimento� si intendono, quando hanno per oggetto 
strumenti finanziari: la negoziazione per conto proprio; l�esecuzione di ordini 
per conto dei clienti; la sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo 
ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dell�emittente; il collocamento 
senza assunzione a fermo n� assunzione di garanzia nei confronti dell�emittente; 
la gestione di portafogli; la ricezione e trasmissione di ordini; la consulenza 
in materia di investimenti; la gestione di sistemi multilaterali di 
negoziazione. 
Sennonch�, tali previsioni vanno coordinate con quanto previsto dal d.lgs. 
1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, 
c.d. TUB) in materia di sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie 
insorte tra la clientela e le banche e gli intermediari finanziari. L�art. 
128-bis, TUB, inserito dall�art. 29, l. n. 262/05, stabilisce che le banche e gli 
intermediari finanziari sono tenuti ad aderire a sistemi di risoluzione stragiudiziale 
delle controversie con la clientela, rimettendo ad una delibera del 
CICR, su proposta della Banca d�Italia, i criteri di svolgimento delle procedure 
e di composizione dell�organo decidente, in modo che risulti assicurata l�imparzialit� 
dello stesso e la rappresentativit� dei soggetti interessati. Con del. 
CICR 29 luglio 2008, n. 275, � stato stabilito che tali sistemi di risoluzione 
stragiudiziale delle controversie riguardino solo le contestazioni relative alle 
operazioni e ai servizi bancari e finanziari, con l�esclusione di quelli non assoggettati 
al tit. VI del TUB, ai sensi dell�art. 23, comma 4, TUF (esclusi, 
quindi, i servizi e le attivit� di investimento, il collocamento di prodotti finanziari, 
nonch� le operazioni e i servizi che siano componenti di prodotti finanziari 
emessi da banche e da imprese di assicurazione). Le disposizioni 
applicative della delibera CICR sono state emanate in data 18 giugno 2009 e 
15 febbraio 2010 dalla Banca d�Italia con l�istituzione del c.d. Arbitro Bancario 
Finanziario (ABF). 
In prima battuta, pertanto, deve osservarsi che le controversie relative a 
operazioni e servizi bancari e finanziari rientrano nel campo di applicazione 
dell�ABF, mentre le controversie relative ai servizi e alle attivit� di investimento 
rientrano nel campo di applicazione della del. n. 16763. 
Tale summa divisio, peraltro, non � in grado di eliminare completamente 
possibili dubbi interpretativi. Si pensi, infatti, all�attivit� di collocamento di 
prodotti finanziari diversi dagli strumenti finanziari: da un lato, essa rientra 
tra le attivit� e i servizi cui non si applica il Titolo VI, capo I, TUB, con conseguente 
esclusione dall�ambito di applicazione dell�ABF; dall�altro lato, tut-
DOTTRINA 311 
tavia, a stretto rigore essa non rientrerebbe neppure nel novero dei servizi di 
investimento, che hanno riguardo ai soli �strumenti� finanziari (e non gi� 
anche a tutti i �prodotti� finanziari) e, pertanto, sembrerebbe esclusa anche 
dall�ambito di applicazione della del. n. 16763. Considerazioni analoghe si 
impongono in relazione ai servizi aventi a oggetto prodotti finanziari (diversi 
dagli strumenti finanziari) emessi da banche ed assicurazioni. Allo scopo di 
risolvere possibili dubbi relativi all�ambito delle reciproche competenze, l�art. 
4, comma 2, del. n. 16763, prevede che la CCA stipuli un protocollo d�intesa 
con l�ABF. Analogamente, nel �Resoconto della consultazione� sulle �Disposizioni 
sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia 
di operazioni e servizi bancari e finanziari�, la Banca d�Italia, preso atto che 
la definizione della linea di confine tra le materie di competenza dell�ABF e 
quelle oggetto dei procedimenti amministrati dalla CCA investe il tema pi� 
generale dell�interpretazione dell�art. 23, comma 4, TUF, con particolare riguardo 
alla nozione di �prodotto finanziario� e di �componenti di prodotti finanziari� 
(cc.dd. prodotti �misti�), ha individuato, nello stipulando protocollo 
d�intesa, lo strumento attraverso cui �potranno essere regolati gli aspetti operativi 
della collaborazione tra i due sistemi stragiudiziali, in modo da assicurare 
che i clienti, in caso di inesatta individuazione del sistema di risoluzione 
stragiudiziale applicabile alla propria controversia, vengano indirizzati al sistema 
competente. Informazioni sulle controversie che possono essere sottoposte 
all�ABF (e sull�esistenza di altri meccanismi di risoluzione stragiudiziale 
nelle materie affini) saranno pubblicate sul sito internet dell�ABF, che preveder� 
anche un percorso guidato per l�utenza volto ad agevolare l�individuazione 
dei casi in cui pu� essere adito l�ABF�. 
Per contro, non sembrano sussistere dubbi in ordine al fatto che il del. n. 
16763 si applichi anche nel caso di controversie aventi ad oggetto l�attivit� di 
gestione collettiva del risparmio e i servizi accessori. In primo luogo, infatti, 
si osserva che le SGR costituiscono, a tutti gli effetti, dei soggetti abilitati alla 
prestazione dei servizi di investimento; in secondo luogo, l�art. 6, d.lgs. n. 179, 
nel fissare la regola della vincolativit� della clausola compromissoria per il 
solo intermediario, si riferisce espressamente sia ai servizi di investimento, 
sia ai servizi accessori e ai contratti di gestione collettiva del risparmio; in 
terzo luogo, il citato art. 32-ter, TUF, stabilisce che, ai fini della risoluzione 
stragiudiziale di controversie sorte fra investitori e soggetti abilitati e relative 
alla prestazione dei servizi di investimento e accessori e alla gestione collettiva 
del risparmio, trovano applicazione le procedure di conciliazione e arbitrato 
definite ai sensi dell�articolo 27, l. n. 262; infine, l�art. 1, comma 1, lett. c), 
del. n. 16763, a differenza dell�art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 179, si riferisce 
unicamente ai soggetti abilitati di cui all�art. 1, comma 1, lett. r), TUF, 
senza alcun riferimento alla nozione di servizi e attivit� di investimento. Si 
consideri altres� il documento di consultazione della CONSOB in data 4 agosto
312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
2008, secondo cui l�opzione ermeneutica volta a comprendere anche le controversie 
in tema di gestione collettiva del risparmio risulta preferibile, in 
quanto il richiamato art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 179, costituisce norma 
definitoria, afferente al �soggetto� generalmente legittimato a prendere parte 
alle procedure di conciliazione e di arbitrato. La norma, quindi, assume esclusiva 
valenza di individuazione dei soggetti che solo potranno essere parti del 
procedimento conciliativo ovvero di quello arbitrale (investitori e intermediari); 
e, sotto questo profilo, non vՏ dubbio che anche la SGR debba essere 
presa in considerazione, rientrando nell�alveo dei �soggetti abilitati� enumerati 
all�art. 1, comma 1, lett. r), TUF, ed essendo essa senz�altro abilitata alla prestazione 
di servizi di investimento (6). L�art. 2, comma 1, d.lgs. n. 179, nel disciplinare 
l�ambito oggettivo di operativit� delle procedure, fornisce una 
perimetrazione del thema decidendum con esclusivo riferimento alla natura 
degli obblighi asseritamente violati dagli intermediari (tra cui rientrano � come 
detto � anche le SGR) e non anche alla natura dei rapporti contrattuali con gli 
investitori (gli obblighi d informazione, correttezza e trasparenza, dunque, ben 
possono afferire al servizio di gestione collettiva, oltrech� ai servizi di investimento). 
L�art. 6, d.lgs. n. 179, nel disciplinare . conformemente ai princ�pi 
desumibili dal Cod. cons. . l�efficacia della clausola compromissoria (�vincolante 
solo per l�intermediario�) testualmente fa menzione dei �contratti di 
gestione collettiva del risparmio�, ove detta clausola pu� essere inserita; ebbene, 
tale disposizione sarebbe priva di senso (ed anzi incoerente con il complessivo 
sistema), ove si intendesse escludere il servizio di gestione collettiva 
dalle procedure di conciliazione ed arbitrato amministrate dalla CCA. 
Per quanto riguarda, invece, la tipologia degli obblighi degli intermediari 
che l�investitore assume essere stati violati, le perplessit� maggiori derivano 
da una non completa corrispondenza tra gli obblighi cui fa riferimento l�art. 
4, comma 1, del. n. 16763, e quelli previsti dall�art. 21, comma 1, TUF. La 
prima norma, infatti, si riferisce alla violazione degli obblighi di �informazione, 
correttezza e trasparenza� previsti nei rapporti contrattuali con gli investitori; 
per contro, in base alla seconda norma citata, gli intermediari, 
allorch� prestano servizi di investimento, sono tenuti a comportarsi con �diligenza, 
correttezza e trasparenza� per servire al meglio l�interesse dei clienti 
e per l�integrit� dei mercati. In dottrina si � osservato che l�obbligo di informazione 
andrebbe considerato come una specificazione dell�obbligo di diligenza, 
per modo che, in caso di violazione di un obbligo di diligenza a 
contenuto informativo, la relativa controversia rientrerebbe sicuramente nell�ambito 
di applicazione della del. n. 16763. Per contro, potrebbero senz�altro 
(6) Dall�autorizzazione al servizio di gestione collettiva del risparmio discende naturaliter la possibilit� 
per la SGR di prestare professionalmente nei confronti del pubblico il servizio di gestione individuale 
di portafogli ed il servizio di consulenza in materia di investimenti: cfr., art. 18, comma 2, TUF.
DOTTRINA 313 
ipotizzarsi obblighi di diligenza a contenuto non informativo (si pensi, ad es., 
all�art. 45, Reg. Intermediari, secondo cui gli intermediari adottano tutte le 
misure ragionevoli e, a tal fine, mettono in atto meccanismi efficaci, per ottenere, 
allorch� eseguono ordini, il miglior risultato possibile per i loro clienti, 
avendo riguardo al prezzo, ai costi, alla rapidit� e alla probabilit� di esecuzione 
e di regolamento, alle dimensioni, alla natura dell�ordine o a qualsiasi altra 
considerazione pertinente ai fini della sua esecuzione: c.d. best execution). In 
questo caso, un�interpretazione strettamente letterale dell�art. 4, comma 1, del. 
n. 16763, imporrebbe di ritenere la controversia relativa alla violazione dell�obbligo 
di best execution esclusa dall�ambito di applicazione della del. n. 
16763. Secondo alcuni, non rientrerebbe nel novero delle controversie arbitrabili 
neppure quella relativa alla violazione dell�obbligo della forma scritta 
per la conclusione del contratto di intermediazione finanziaria ex art. 23 TUF. 
Cos� delineato l�ambito di competenza delle procedure amministrate dalla 
CCA, ci si � chiesti se siano configurabili eventuali �conflitti di competenza� 
tra quest�ultima e altri organismi di conciliazione, chiamati a svolgere funzioni 
similari nell�ambito delle controversie nascenti nel mercato finanziario. A tale 
riguardo, viene in considerazione la previsione contenuta nell�art. 7, del. n. 
16763, la quale � ribadendo quanto gi� previsto dall�art. 4, comma 2, d.lgs. n. 
179 � individua tra le condizioni di ammissibilit� dell�istanza volta all�attivazione 
della procedura di conciliazione amministrata dalla CCA la non precedente 
sottoposizione della controversia ad altro organismo di conciliazione. 
Tale previsione confermerebbe la possibilit� di un concorso di competenze tra 
diversi organismi di conciliazione e, al contempo, escluderebbe la configurabilit� 
in capo alla CCA di una competenza esclusiva (anche ove la controversia 
riguardi esclusivamente una delle violazioni indicate all�art. 4 comma 1, del. 
n. 16763). Invero, prospettando la possibilit� di scelta (irrevocabile? (7)) del 
ricorrente tra pi� organismi egualmente competenti, la norma parrebbe collocare 
la CCA in una posizione paritaria e concorrenziale con gli altri organismi 
di conciliazione (anche se la del. n. 16763 tende chiaramente a rafforzare tale 
posizione, in termini di qualit� e professionalit� del servizio offerto). 
(7) La del. n 16763 non � del tutto chiara al riguardo: l�art. 7 prevede � come detto � che l�istanza 
volta all�attivazione della procedura di conciliazione �pu� essere presentata esclusivamente dall�investitore 
quando per la medesima controversia non siano state avviate, anche su iniziativa dell�intermediario 
a cui l�investitore abbia aderito, altre procedure di conciliazione�. Ora, sulla base di 
un�interpretazione rigorosa della disposizione, la presentazione da parte dell�investitore dell�istanza o 
l�adesione da parte di costui all�istanza dell�intermediario precluderebbero in via definitiva all�investitore 
di promuovere il procedimento di conciliazione amministrato dalla CCA, a prescindere dalle sorti del 
procedimento in precedenza instaurato. Una lettura pi� flessibile (per certi versi preferibile) della norma 
vedrebbe, invece, la condizione in parola quale limite alla contemporanea pendenza di pi� procedure 
conciliative relative alla medesima controversia, facendo salva la possibilit� per le parti, una volta fallito 
un primo tentativo davanti ad altro organismo di conciliazione, di concordare l�avvio di un nuovo procedimento 
conciliativo gestito dalla CCA.
314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
L�espressa previsione nel d.lgs. n. 179 (art. 4, comma 8) e nella del. n. 16763 
(art. 9, comma 4) della possibilit� che la CCA deleghi lo svolgimento delle 
procedure conciliative di sua competenza ad altri organismi di conciliazione, 
attraverso una sorta di outsourcing dell�attivit� (8), parrebbe, d�altra parte, 
qualificare tale posizione concorrenziale in termini cooperativi (piuttosto che 
competitivi) in vista della costruzione di una rete conciliativa diffusa su tutto 
il territorio nazionale. 
2.2. La composizione, i compiti e il funzionamento della CCA 
La CCA ha carattere collegiale ed � composta da un presidente (9) e da 
quattro membri (che formano il �collegio camerale�(10)), nominati dalla 
(8) L�art. 9 comma 4, del. n 16763, configura tale possibilit� in termini residuali, stabilendo le 
condizioni in presenza delle quali la CCA pu� ricorrere alla delega in questione. La possibilit� di stipulare 
apposite convenzioni con altri organismi di conciliazione potrebbe, peraltro, rivelarsi particolarmente 
utile, al fine di promuovere la cooperazione tra enti e organismi interessati, in un settore � quello della 
conciliazione � che pu� certamente beneficiare della collaborazione tra i suoi operatori. 
(9) A norma dell�art. 7, St. CCA, il presidente: 
a) rappresenta la CCA nei settori di competenza e mantiene i rapporti con la CONSOB, con le istituzioni, 
nonch� con gli organismi preposti alla risoluzione stragiudiziale delle controversie istituiti da enti pubblici 
e privati; 
b) convoca il collegio camerale, stabilisce l�ordine del giorno e ne dirige i lavori; 
c) vigila sull�attuazione delle deliberazioni del collegio camerale, dettando le necessarie direttive e tenendone 
informato il collegio stesso; 
d) presenta al collegio camerale, per l�approvazione, lo schema di relazione sull�attivit� svolta da sottoporre 
alla CONSOB ai sensi dell�articolo 3, comma 5, del. n. 16763; 
e) sovrintende all�attivit� istruttoria della segreteria e riferisce al collegio camerale per l�adozione delle 
conseguenti delibere; 
f) sulla base delle risultanze istruttorie presentate dalla segreteria, dispone, se del caso, per l�adozione 
delle necessarie correzioni e integrazioni che le parti delle procedure di conciliazione e di arbitrato amministrato 
sono tenute a trasmettere in ordine alle domande gi� inoltrate; 
g) adotta, in caso di urgenza, provvedimenti di competenza del collegio camerale che sottopone a ratifica 
dello stesso nella prima riunione successiva; 
h) d� istruzioni sul funzionamento della segreteria e verifica i risultati dell�attivit� svolta; 
i) sovrintende al sito internet della CCA, verificando che la segreteria ne curi il funzionamento e l�aggiornamento 
sulla base delle direttive ad essa impartite; 
l) esercita ogni altra funzione prevista dalle disposizioni di legge o di regolamento; 
m) pu� delegare a singoli componenti specifici incarichi temporanei, informandone il collegio camerale. 
(10) Ai sensi dell�art. 9, St. CCA, il collegio camerale esercita collegialmente tutte le attribuzioni 
conferite alla CCA dalle disposizioni di legge o di regolamento. Esso delibera, inoltre, in via generale: 
a) le modalit� per lo svolgimento dei compiti di natura istruttoria e gli adempimenti tecnico-procedurali 
necessari all�amministrazione delle procedure conciliative e arbitrali e alla tenuta degli elenchi; 
b) le norme in materia di protocollazione, archiviazione di atti e documenti e organizzazione e gestione 
del sistema informativo; 
c) le norme che disciplinano l�attribuzione della firma per gli atti della CCA non aventi contenuto deliberativo; 
d) le modalit� per la tempestiva circolazione fra i componenti e con la segreteria delle informazioni necessarie 
all�esercizio dei suoi compiti, anche per via telematica.
DOTTRINA 315 
CONSOB (11) e scelti tra persone dotate di specifica e comprovata esperienza 
e competenza e di riconosciuta indipendenza (12), all�evidente scopo di salvaguardare 
lo svolgimento delle relative funzioni in piena autonomia, assicurando, 
al contempo, un certo grado di autorevolezza alla CCA (13). 
Dei 5 membri della CCA uno � designato dal Consiglio Nazionale dei 
Consumatori e degli Utenti, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico 
(CNCU), e l�altro, congiuntamente, dalle associazioni di categoria degli 
intermediari maggiormente rappresentative. I restanti 3 componenti, fra i quali 
il presidente, sono designati dalla CONSOB, la quale, di norma, li individua 
all�interno di ciascuno dei gruppi di categorie di cui al citato art. 2, comma 3, 
del. n. 16763. I membri della CCA durano in carica 7 anni, senza possibilit� 
di essere confermati, e sono revocabili solo per giusta causa con provvedimento 
motivato della CONSOB (art. 2, del. n. 16763). Le indennit� loro spettanti 
sono determinate con delibera della CONSOB. I requisiti professionali 
richiesti ai fini della designazione e la composizione parzialmente rappresentativa 
della CCA mirano evidentemente a garantire la qualit� dell�attivit� svolta 
e l�imparzialit� del suo operato, in relazione alla natura delle controversie e 
I relativi componenti: 
a) partecipano alla discussione e alle deliberazioni; 
b) verificano l�attivit� della CCA; 
c) presentano proposte sull�attivit� della CCA e sul suo funzionamento. 
(11) Il termine iniziale dell�ufficio di ciascun componente della CCA decorre dalla data della delibera 
di nomina da parte della CONSOB o dalla diversa data in essa indicata, mentre il termine di assunzione 
delle funzioni decorre dalla riunione della CCA a cui ciascun componente partecipa per la 
prima volta (art. 4, St. CCA). 
(12) I componenti della CCA devono appartenere a una delle seguenti categorie (art. 2, comma 3, 
del. n. 16763): 
1) avvocati iscritti agli albi ordinari e speciali abilitati al patrocinio avanti alle magistrature superiori; 
dottori commercialisti iscritti nella Sez. A) dell�albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili 
da almeno 12 anni; 
2) notai con almeno 6 anni di anzianit� di servizio; magistrati ordinari, in servizio da almeno 12 anni o 
in quiescenza; magistrati amministrativi e contabili con almeno 6 anni di anzianit� di servizio o in quiescenza; 
3) professori universitari di ruolo in materie giuridiche ed economiche in servizio o in quiescenza; dirigenti 
dello Stato o di Autorit� indipendenti con almeno 20 anni di anzianit� di servizio laureati in discipline 
giuridico/economiche, in servizio o in quiescenza. 
(13) Al fine di evitare situazioni di incompatibilit� � pervero non previste dal legislatore � l�art. 
2, comma 1, del. n. 16763, ha stabilito che i membri della CCA non possono ricoprire incarichi presso 
altri organismi di conciliazione e di arbitrato, istituiti da enti pubblici e privati e operanti in qualsiasi 
settore, n� esercitare attivit� di conciliazione o di arbitrato ovvero ogni altra attivit� che ne possa compromettere 
l�indipendenza e l�autonomia di giudizio. Allo stesso modo, � previsto che l�originaria inesistenza 
o la sopravvenuta perdita dei requisiti necessari a ricoprire l�incarico ovvero il grave 
inadempimento degli obblighi gravanti in capo ai componenti della CCA comportino la decadenza dalla 
carica. La decadenza viene pronunciata dalla CCA entro 30 giorni dalla nomina o dalla conoscenza della 
perdita dei requisiti ovvero dalla conoscenza dei fatti che integrano grave inadempimento dei richiamati 
obblighi. In caso di inerzia, la decadenza � pronunziata direttamente dalla CONSOB. Per le norme di 
dettaglio in punto di decadenza dall�ufficio e dimissioni si rinvia alla lettura dell�art. 5, St. CCA. 
316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
alla qualit� delle parti coinvolte. 
In merito al funzionamento della CCA la del. n. 16763 fissa una disciplina 
abbastanza soft, intesa a consentire un corretto svolgimento delle riunioni e a 
chiarire le modalit� di adozione delle delibere. In particolare, le deliberazioni 
della CCA sono adottate collegialmente con la presenza di almeno 3 componenti, 
i quali, salvo che non sia prevista una maggioranza diversa, deliberano 
a maggioranza dei votanti (e, comunque, con non meno di 2 voti favorevoli); 
in caso di parit�, prevale il voto del presidente. Per il resto, la del. n. 16763 
demanda la definizione delle norme di organizzazione e di funzionamento alle 
disposizioni dello Statuto della CCA, il quale va approvato con la maggioranza 
di almeno 4 componenti e va comunicato alla CONSOB (che, entro 30 giorni 
dal suo ricevimento, pu� chiedere chiarimenti e modifiche) (14); decorsi 30 
giorni dal ricevimento da parte della CONSOB delle disposizioni statutarie (o 
dei chiarimenti e delle modifiche richiesti), le stesse si intendono approvate 
(art. 3, del. n. 16763). 
La CCA ha sede presso gli uffici delle sedi della CONSOB (15) e svolge 
la propria attivit� avvalendosi di strutture e risorse individuate e fornite dalla 
stessa CONSOB (16), che pu� impartire direttive relative ai controlli sui requisiti 
richiesti per l�iscrizione negli elenchi dei conciliatori e degli arbitri. La 
CONSOB pu�, inoltre, richiedere alla CCA informazioni sulle attivit� e sui 
compiti istituzionali da essa svolti. In ogni caso, entro il mese di febbraio di 
ogni anno, la CCA � tenuta a presentare alla CONSOB una relazione sull�attivit� 
svolta nell�anno precedente (art. 3, del. n. 16763). 
Mette conto rilevare che, in sede di prima lettura della l. n. 262/05, alcuni 
studiosi avevano espresso alcuni dubbi in merito a tale nuova attivit� demandata 
alla CONSOB, in quanto, nel suo ruolo istituzionale di regolazione del 
mercato mobiliare, essa avrebbe potuto trovarsi in una posizione difficile rispetto 
alle diverse funzioni ora illustrate. In effetti, la nuova previsione legislativa, 
nello stabilire che le procedure erano destinate a svolgersi �dinanzi 
alla CONSOB�, sembrava prefigurare un nuovo ruolo �giurisdizionale� per 
l�Autorit� di vigilanza, finalizzato alla gestione di strumenti di risoluzione di 
controversie tra privati. Ad una pi� approfondita analisi �, tuttavia, apparso 
chiaro come alla CONSOB non sia stato attribuito alcun potere giurisdizionale, 
essendole stato affidato, per contro, un mero compito di gestione delle proce- 
(14) Lo Statuto della CCA � stato adottato dalla CCA con del. n. 3/2010 e approvato dalla CONSOB 
con del. n. 17204/2010 (Gazz. Uff. n. 67/2010). 
(15) La sede principale della CONSOB si trova a Roma, mentre la sede secondaria operativa si 
trova a Milano. La previsione � ribadita anche dall�art. 3, comma 2, St. CCA. 
(16) La CONSOB provvede alla copertura delle spese di amministrazione delle procedure di conciliazione 
e di arbitrato con le contribuzioni versate dagli intermediari ai sensi dell�art. 40, comma 3, l. 
n. 724/94 (in tema di meccanismi di autofinanziamento), oltrech� con gli importi posti a carico degli 
utenti delle procedure stesse.
DOTTRINA 317 
dure di conciliazione e di arbitrato, alla stessa stregua di quanto accade per la 
Camera Arbitrale per i contratti pubblici presso l�Autorit� per la vigilanza sui 
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (17) ovvero per le procedure 
arbitrali gestite dall�Autorit� per l�Energia Elettrica e per il Gas. La stessa 
CONSOB, nell�emanare i regolamenti di sua pertinenza, ha fatto in modo di 
preservare e garantire la sua posizione di neutralit�, posizione che le � stata 
sempre riconosciuta sin dalla sua costituzione. Il punto pi� delicato nella regolamentazione 
secondaria, da adottarsi sentita la Banca d�Italia, era dato proprio 
dal meccanismo di nomina di conciliatori ed arbitri, che doveva garantire 
nel modo pi� assoluto la loro indipendenza, neutralit�, imparzialit� e professionalit�. 
D�altro canto, la particolare collocazione della CCA dovrebbe garantirne 
l�indipendenza dalla CONSOB, quanto meno in termini di gestione 
delle procedure e di organizzazione del servizio: il rapporto tra l�una e l�altra 
� stato, infatti, configurato in termini di alterit�, anzich� di immedesimazione, 
riconoscendo alla CCA una propria autonomia statutaria e funzionale (18). Peraltro, 
come appena visto, l�autonomia non riguarda il versante patrimoniale, 
giacch� la CCA non dispone di proprie risorse, ma si avvale delle strutture e 
delle risorse messe a disposizione dalla CONSOB. In effetti, al di l� dell�autonomia 
funzionale e statutaria, la CCA � secondo alcuni osservatori � non 
godrebbe nemmeno di una propria personalit� giuridica, in particolare per 
quanto riguarda i rapporti con i terzi (aspetto, questo, particolarmente interessante, 
anche per le sue implicazioni di ordine pratico). Tale condizione finirebbe 
per riflettersi �pericolosamente� sul rapporto con i potenziali utenti delle 
procedure, i quali, nel momento in cui si rivolgeranno alla CCA per usufruire 
dei relativi servizi, instaureranno (inconsapevolmente?) un rapporto (di natura 
contrattuale?) con la CONSOB, la quale, per l�effetto, dovrebbe considerarsi 
responsabile della qualit� del servizio offerto dalla CCA. A tale riguardo, per 
la verit�, deve osservarsi che le previsioni regolamentari sembrano rafforzare 
l�autonomia del rapporto tra conciliatore e parti, rispetto al rapporto tra queste 
e la CCA o la CONSOB: infatti, come si avr� modo di illustrare in seguito, il 
conciliatore viene investito direttamente della procedura di conciliazione, pi� 
di quanto normalmente avviene nell�ambito delle altre procedure di conciliazione 
amministrate. Peraltro, il fatto che i conciliatori siano nominati dalla 
CCA e necessariamente accreditati e inserititi in un apposito elenco dovrebbe 
comunque radicare in capo alla CCA e, per essa, alla CONSOB quanto meno 
una responsabilit� solidale per eventuali irregolarit� commesse dal conciliatore 
(17) La Camera arbitrale per i contratti pubblici presenta caratteristiche per molti versi simili a 
quella della CCA, in quanto anch�essa costituita presso un�Autorit� indipendente che provvede con proprio 
personale al suo funzionamento. 
(18) L�art. 3, comma 1, St. CCA, ribadisce che la CCA esercita i compiti ad essa assegnati dalle 
disposizioni di legge e di regolamento con indipendenza e autonomia funzionale e organizzativa.
318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
nominato, cos� come per eventuali violazioni agli obblighi di riservatezza e di 
imparzialit�. Diversamente da quanto in genere stabiliscono i regolamenti di 
conciliazione amministrata, l�art 16, del. n. 16763, prevede, infatti, che la liquidazione 
del compenso e il rimborso delle spese sostenute per l�esecuzione 
dell�incarico di conciliatore vengono compiuti dalla CCA, dietro proposta del 
conciliatore, in maniera vincolante per le parti. Si conferma, pertanto, l�autonomia 
del rapporto tra parti e conciliatore, nonch� la funzione di garanzia della 
CCA in ordine alla correttezza e alla qualit� di tale rapporto. 
Quanto ai compiti precipuamente affidati alla CCA, occorre chiarire che 
la del. n. 16763 esclude categoricamente un diretto coinvolgimento della CCA 
nel merito delle procedure alternative di risoluzione delle liti: a tenore dell�art. 
4, comma 1, del. n. 16763, essa non interviene in alcun modo � nel corso della 
procedura di conciliazione e del giudizio arbitrale � nel merito delle controversie, 
limitandosi a organizzare i servizi di arbitrato e di conciliazione. La 
CCA � principalmente chiamata a occuparsi dell�istituzione di un elenco di 
conciliatori e arbitri, scelti tra persone di comprovata imparzialit� e indipendenza 
(19), professionalit� e onorabilit�. In particolare, secondo l�art. 4, 
comma 1, la CCA cura la tenuta degli elenchi dei conciliatori e degli arbitri e 
provvede ad aggiornarli con cadenza semestrale. Inoltre, la CCA redige e aggiorna 
il codice deontologico dei conciliatori e degli arbitri e lo sottopone all�approvazione 
della CONSOB (20). Giova, da ultimo, considerare che, a 
norma dell�art. 2, comma 5, lett. e), d.lgs. n. 179, la CONSOB pu� attribuire 
in via regolamentare alla CCA �altre funzioni�. Tra quelle sinora assegnate 
meritano di essere menzionate: 
- la promozione dei servizi di arbitrato e conciliazione e la diffusione della 
conoscenza mediante attivit� di documentazione, elaborazione dati e studio, 
anche attraverso la predisposizione di azioni comuni con altre istituzioni ov- 
(19) L�art. 2, Cod. deont. CCA, chiarisce che il conciliatore e l�arbitro, nello svolgimento della 
loro attivit�: 
a) rifiutano la nomina o interrompono lo svolgimento delle funzioni, informandone tempestivamente la 
CCA, ogni qualvolta ritengano di subire (o anche solo di poter subire) condizionamenti in ordine a un 
neutrale svolgimento dell�incarico; 
b) non accettano altri incarichi n� svolgono attivit� che, per la natura, la fonte o le modalit� di conferimento, 
possano in concreto condizionarne l�indipendenza; 
c) garantiscono e difendono con la propria coscienza l�indipendente esercizio delle loro funzioni da ogni 
tipo di pressione (diretta o indiretta); 
d) valutano senza pregiudizio i fatti della controversia, esaminando con scrupolo gli argomenti prospettati 
dalle parti e gli atti del procedimento e interpretando le norme da applicare con obiettivit�; 
e) ispirano il proprio comportamento a imparzialit� e curano di rispecchiarne l�immagine anche all�esterno; 
f) evitano ogni possibile situazione di conflitto di interessi. 
(20) Il Codice deontologico dei conciliatori e degli arbitri iscritti negli elenchi tenuti dalla CCA 
� stato adottato dalla CCA con del. n. 2/2010 e approvato dalla CONSOB con del. n. 17205/2010 (Gazz. 
Uff. n. 67/2010).
DOTTRINA 319 
vero con associazioni economiche e altri organismi (pubblici o privati) attivi 
nel settore dei servizi finanziari e delle procedure di conciliazione e arbitrato; 
- l�organizzazione di corsi di formazione e aggiornamento per i conciliatori 
e per gli arbitri. 
2.3. Gli elenchi dei conciliatori e degli arbitri tenuti dalla CCA 
Secondo la delega attribuita con l�art. 2, comma 5, d.lgs. n. 179, la CONSOB, 
sentita la Banca d�Italia, era chiamata a definire in via regolamentare: 
- le modalit� di nomina dei componenti dell�elenco dei conciliatori e degli 
arbitri, prevedendo anche forme di consultazione delle associazioni dei consumatori 
e degli utenti di cui all�articolo 137 del decreto legislativo 6 settembre 
2005, n. 206, e delle categorie interessate, e perseguendo la presenza paritaria 
di donne e uomini; 
- i requisiti di imparzialit�, indipendenza, professionalit� e onorabilit� dei 
componenti dell�elenco dei conciliatori e degli arbitri; 
- la periodicit� dell�aggiornamento dell�elenco dei conciliatori e degli arbitri.
La delega � stata esercitata tramite la citata del. n. 16763, alla stregua 
della quale, possono essere iscritti, a domanda, nell�elenco dei conciliatori i 
soggetti che sono in possesso dei seguenti requisiti (21): 
1) di professionalit�: 
- professori universitari in discipline economiche o giuridiche; 
- professionisti iscritti ad albi professionali in materie economiche o giuridiche 
(con anzianit� di iscrizione di almeno 15 anni (22)); 
- magistrati in quiescenza; 
- laureati in materie giuridiche o economiche ovvero professionisti iscritti 
in albi professionali in materie giuridiche o economiche (con anzianit� di iscrizione 
anche inferiore a 15 anni) che abbiano seguito con successo un corso 
specifico di formazione per conciliatori tenuto da enti pubblici, universit� o 
enti privati all�uopo accreditati (23); 
(21) Tali requisiti sono individuati dall�art. 5, del. n. 16763, mediante una mera relatio ai requisiti 
richiesti ai conciliatori, nel contesto della conciliazione stragiudiziale delle controversie civili in materia 
societaria, dall�art. 4, comma 4, lett. a) e b), D.M. n. 222/04. Si veda altres� quanto disposto dal D. 
Dirett. Min. Giust. 24 luglio 2006, in Gazz. Uff. n. 35/07. 
(22) In linea generale, la CCA ha chiarito che il periodo di iscrizione in albi professionali per gli 
aspiranti conciliatori (e/o arbitri) � da intendersi come effettivo, cio� �al netto di eventuali lassi temporali 
in cui il candidato non risulti, per una qualsiasi ragione, iscritto ovvero risulti sospeso�. Tali periodi, 
quindi, non concorrono ai fini del computo del periodo necessario a integrare il requisito di professionalit�.
(23) Parte della dottrina ritiene che non si sia sufficientemente valorizzata la valutazione delle 
competenze specifiche in materia di conciliazione, in particolare per quanto ha tratto alle capacit� di 
gestione della procedura e di applicazione delle tecniche conciliative. In effetti, per lo meno con riferi-
320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
2) di onorabilit�: 
- non avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena 
detentiva, anche per contravvenzione; 
- non avere riportato condanne a pena detentiva, applicata su richiesta 
delle parti, non inferiore a 6 mesi; 
- non essere incorso nell�interdizione (perpetua o temporanea) dai pubblici 
uffici; 
- non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza; 
- non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall�avvertimento. 
La CCA, a seguito della ricezione della domanda di iscrizione nell�elenco, 
corredata dei documenti attestanti il possesso dei requisiti richiesti, ne verifica 
la regolarit� e delibera l�iscrizione del conciliatore. E�, peraltro, previsto, a 
pena di cancellazione, che i conciliatori non possano svolgere attivit� di conciliazione 
per pi� di due organismi di conciliazione (24) e comunichino senza 
indugio alla CCA la perdita dei requisiti richiesti per l�iscrizione. 
Pi� specifici sono, invece, i requisiti richiesti per l�iscrizione nell�elenco 
degli arbitri, stante il loro potere di decidere la controversia (25). Si tratta dei 
seguenti requisiti: 
1) di professionalit� (26): 
- avvocati iscritti agli albi ordinari e speciali abilitati al patrocinio avanti 
alle magistrature superiori; 
- dottori commercialisti iscritti nella sez. A) dell�albo dei dottori commercialisti 
e degli esperti contabili (con anzianit� di iscrizione di almeno 12 
anni); 
- notai (con anzianit� di servizio di almeno 6 anni); 
- magistrati ordinari in servizio (da almeno 12 anni) o in quiescenza; 
- magistrati amministrativi e contabili in servizio (da almeno 6 anni) o in 
quiescenza; 
mento ai professionisti in possesso dei prescritti anni di iscrizione ai rispettivi albi, non � richiesta una 
comprovata esperienza in materia di conciliazione. E� stato altres� sottolineato come l�adozione di questo 
modello, astrattamente adeguato in considerazione dell�elevato livello di specialit� giuridico-economica 
delle controversie coinvolte, potrebbe comportare un rischio non sottovalutabile: una volta che si affidi 
la conciliazione a conciliatori-avvocati/commercialisti/notai/ex magistrati, la procedura assumer� probabilmente 
le sembianze di un giudizio semplificato incentrato sui profili giuridici della lite, anzich� i 
tratti di un�alternativa al giudizio stesso, in ci� frustrando le potenzialit� dello strumento in termini di 
flessibilit�, atipicit� e creativit�. 
(24) Dalla consultazione della sezione del sito internet della CONSOB dedicata alla CCA si apprende 
che la CCA ha interpretato tale previsione nel senso che il numero di due organismi � comprensivo 
della stessa CCA. Nell�avviso per l�iscrizione �, quindi, previsto che il conciliatore dichiari �di non 
svolgere attivit� di conciliazione per pi� di un altro organismo di conciliazione autorizzato, [indicando] 
l�eventuale organismo di conciliazione per cui svolge la relativa attivit��. 
(25) La CONSOB ha chiarito sul suo sito internet che � �certamente possibile, avendone i requisiti, 
presentare domanda di iscrizione all�elenco dei conciliatori come a quello degli arbitri�. 
(26) Si tratta degli stessi requisiti professionali richiesti per i componenti della CCA.
DOTTRINA 321 
- professori universitari di ruolo in materie giuridiche ed economiche in 
servizio o in quiescenza; 
- dirigenti dello Stato o di Autorit� indipendenti, laureati in discipline giuridico/
economiche, in servizio (da almeno 20 anni) o in quiescenza. 
2) di onorabilit�: 
- non avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena 
detentiva, anche per contravvenzione; 
- non avere riportato condanne a pena detentiva, applicate su richiesta 
delle parti, pari o superiore a 6 mesi; 
- non essere incorsi nella interdizione (perpetua o temporanea) dai pubblici 
uffici; 
- non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza; 
- non aver riportato sanzioni disciplinari diverse dall�avvertimento. 
Anche in tal caso, la CCA, a seguito della ricezione della domanda di 
iscrizione nell�elenco degli arbitri, corredata dei documenti attestanti il possesso 
dei requisiti richiesti, ne verifica la regolarit� e delibera l�iscrizione. Allo 
stesso modo, gli arbitri sono tenuti a comunicare senza indugio alla CCA la 
perdita dei requisiti richiesti per l�iscrizione. 
Ogni 6 mesi la CCA deve disporre l�aggiornamento degli elenchi dei conciliatori 
e degli arbitri (27), procedendo alle nuove iscrizioni e alla cancellazione: 
- di quanti, medio tempore, abbiano perso i citati requisiti di professionalit� 
e onorabilit�; 
- dei conciliatori che abbiano svolto attivit� di conciliazione per pi� di un 
altro organismo di conciliazione autorizzato; 
- degli iscritti che abbiano fatto domanda di cancellazione. 
La cancellazione pu� altres� essere disposta nei casi di grave inadempimento 
degli obblighi stabiliti dal codice deontologico o, comunque, connessi 
alla funzione svolta. La cancellazione, ove non richiesta dallo stesso interessato, 
viene pronunciata dalla CCA previa audizione dell�interessato. 
Sul piano della lealt� e della correttezza, l�art. 3, Cod. deont. CCA, stabilisce 
che il conciliatore e l�arbitro: 
a) tengono con la CCA e con le parti un rapporto corretto e leale, nonch� 
rispettoso della diversit� dei ruoli svolti; 
b) non accettano compensi diversi da quelli previsti per l�incarico conferito 
e non si avvalgono del loro ruolo per ottenere benef�ci o privilegi; 
(27) La CONSOB ha optato per l�esclusione di limitazioni temporali alla permanenza dell�arbitro 
o del conciliatore nei rispettivi elenchi, considerando che soggetti con un�esperienza pluriennale nel 
campo della conciliazione e dell�arbitrato possono contribuire positivamente all�innalzamento qualitativo 
dell�operato della CCA. Peraltro, ci� finir� col rendere assai ampia la composizione degli elenchi stessi, 
con conseguente ampliamento del ventaglio delle scelte rimesse alla CCA in sede di designazione dei 
soggetti da investire delle specifiche controversie.
322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
c) valutano con obiettivit� e rigore l�esistenza di situazioni di possibile 
astensione per motivi di opportunit�; 
d) informano le parti dei contenuti del Cod. deont. CCA nel loro primo 
incontro; 
e) invitano i terzi incaricati di collaborare nel procedimento ad attenersi 
ai princ�pi contenuti nel Cod. deont. CCA. 
Il conciliatore e l�arbitro sono, inoltre, tenuti ad assolvere i compiti loro 
affidati con diligenza, sollecitudine e professionalit�, riservando agli affari 
trattati l�attenzione e il tempo necessari, quali che siano la tipologia e il valore 
delle controversie. Essi sono altres� chiamati a curare la loro formazione continua 
e l�aggiornamento nelle materie attinenti alle controversie trattate, anche 
attraverso la partecipazione ai corsi all�uopo organizzati o accreditati dalla 
CCA. 
Il Cod. deont. CCA fissa, infine, delle regole particolari per il conciliatore 
(28) e per l�arbitro (29) (artt. 7-8). 
(28) Il conciliatore: 
a) accetta la nomina conferitagli solo quando sia qualificato per la definizione della controversia per la 
quale � stato designato; 
b) si assicura, al primo incontro di conciliazione, che le parti abbiano compreso: 
- la natura, le finalit�, gli oneri e i vantaggi della procedura di conciliazione; 
- il loro ruolo e quello del conciliatore; 
- gli obblighi di riservatezza a loro carico e quelli a carico del conciliatore; 
c) prepara gli incontri di conciliazione studiando la controversia e la documentazione prodotta dalle 
parti, accertando che le parti o i loro rappresentanti abbiano i poteri necessari per concludere un eventuale 
accordo e stabilendo tempi e modi degli incontri che consentano l�osservanza dei princ�pi generali stabiliti 
per la procedura; 
d) accerta che il proprio domicilio (o quello diverso scelto di comune accordo con le parti) sia idoneo a 
consentire un ordinato, riservato e sereno svolgimento degli incontri di conciliazione; 
e) conduce la procedura di conciliazione con autorevolezza, applicando le tecniche di composizione dei 
conflitti e creando un clima di dialogo e di fiducia con le parti, e si adopera per far loro raggiungere un 
accordo soltanto fino a quando sia manifesto che tale obiettivo non sia conseguibile; 
f) si comporta con lealt� nei confronti delle parti, evitando di compiere atti che possano essere o apparire 
ad esse discriminatori e di esercitare la sua influenza a favore di una di loro; 
g) ascolta attentamente, nel corso degli incontri, le dichiarazione delle parti e acquisisce, anche rivolgendo 
loro domande, ogni documento e informazione utili sulla controversia, sui punti di vista, sulle 
pretese e aspettative di ciascuna parte nonch� sui loro reciproci rapporti, al fine di individuare soluzioni 
idonee a comporre la controversia; 
h) impiega, nei colloqui con le parti, un linguaggio comprensibile a entrambe; 
i) si assicura che le parti si determinino con sufficiente grado di consapevolezza e che siano avvertite 
della possibilit� di adire comunque l�AGO in caso di mancata conciliazione della controversia; 
j) redige, con tempestivit� e sentite le parti, i documenti conclusivi della procedura di conciliazione. 
(29) L�arbitro: 
a) si comporta con riserbo, assicurando l�ordinato svolgimento del giudizio, e cura la segretezza della 
camera di consiglio; 
b) evita, in ogni fase del procedimento, contatti unilaterali e scambi di opinioni personali con singole 
parti o con i loro difensori; 
c) non influenza le parti, rappresentando loro la possibilit� o l�opportunit� di una conciliazione della 
controversia o mostrando di aver maturato un convincimento sull�esito del procedimento;
DOTTRINA 323 
2.4. Le modalit� di attivazione e gestione della conciliazione stragiudiziale 
La conciliazione � come noto � � un mezzo non contenzioso di composizione 
delle controversie, la cui funzione � di condurre le parti a una definizione 
della lite prescindendo dall�azione in giudizio. E� un servizio reso 
generalmente da uno o pi� soggetti, diversi dal giudice o dall�arbitro, in condizioni 
di imparzialit� rispetto agli interessi in conflitto e avente lo scopo di 
dirimere una lite gi� insorta o che pu� insorgere tra le parti, attraverso modalit� 
che comunque ne favoriscono la composizione autonoma. L�elemento caratterizzante 
�, dunque, rappresentato dalla finalit� di assistenza delle parti nella 
ricerca di una composizione non giudiziale di una controversia. Recentemente 
il d.lgs. n. 28/2010, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione 
delle controversie civili e commerciali, ha qualificato �conciliazione� �la composizione 
di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione�: 
la conciliazione rappresenta, pertanto, l�esito positivo dell�attivit� �svolta da 
un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o pi� soggetti sia nella ricerca 
di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia 
nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa�. 
La conciliazione pu� essere facilitativa o valutativa (detta anche aggiudicativa), 
a seconda del ruolo svolto dal conciliatore nella procedura: nel primo 
caso � che maggiormente corrisponde alla finalit� di autodeterminazione dello 
strumento � il conciliatore si limita ad agevolare il raggiungimento ad opera 
delle parti di un accordo, compiendo con loro un percorso cooperativo e creativo; 
a differenza del giudice, egli non � strettamente vincolato al principio 
della domanda e pu� trovare soluzioni della controversia che abbiano riguardo 
al complessivo rapporto tra le parti; inoltre, non si limita a regolare questioni 
passate, ma guarda anche a una ridefinizione della relazione intersoggettiva 
in prospettiva futura (30). Nel modello della conciliazione valutativa, fondato 
sulla logica �adversarial� del torto e della ragione, il conciliatore formula, invece, 
una proposta di soluzione della vertenza, tenendo conto delle ragioni 
delle parti. 
Si distingue, inoltre, tra conciliazione endoprocessuale e stragiudiziale: 
la prima � attivata dal giudice, anche in virt� di una previsione normativa, ed 
d) evita qualsiasi atteggiamento non collaborativo o ostruzionistico nell�ambito del collegio arbitrale, 
garantendo una fattiva partecipazione alla fase di deliberazione del lodo; 
e) assicura, in fase di redazione delle motivazioni dei provvedimenti, anche collegiali, che siano valutati 
adeguatamente i fatti e le ragioni prospettati dalle parti e che siano rappresentate fedelmente le argomentazioni 
della decisione; 
f) evita che nei verbali e nei lodi siano inserite espressioni offensive o irriguardose. 
(30) Inutile sottolineare che una mediazione in cui la definizione complessiva del rapporto tra le 
parti � incentivata si presenta assai pi� appetibile per le parti, consentendo loro non soltanto un�abbreviazione 
dei tempi, ma anche il conseguimento di risultati che il processo � inidoneo ad assicurare.
324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
� parte integrante dell�azione civile; la seconda, invece, � frutto di un accordo 
tra le parti e non � inserita nell�ambito di un procedimento giurisdizionale. 
Infine, la procedura di conciliazione pu� essere amministrata (in presenza 
di un organismo preposto alla gestione e al controllo del procedimento conciliativo, 
secondo specifiche regole prestabilite) o paritetica (se la mediazione e 
il tentativo di composizione della lite si realizzano per il tramite di due conciliatori 
che rappresentano le parti, in genere sulla scorta di un protocollo d�intesa 
fra associazioni di consumatori e imprese, senza l�intervento di un 
soggetto super partes). 
I vantaggi del ricorso alla conciliazione per definire le controversie in 
ambito finanziario sono evidenti, sia per l�interesse degli investitori, in considerazione 
del risparmio di costi e di tempi che la conciliazione consente in 
vista della pronta soddisfazione delle loro pretese, sia per l�interesse generale, 
dato che alla diffusione degli strumenti alternativi di risoluzione delle liti consegue 
una semplificazione dell�amministrazione della giustizia. 
Sul fronte strettamente procedimentale occorre dar conto di una recente 
novit� legislativa, in grado di influenzare l�importanza stessa del meccanismo 
conciliativo. Sino al 20/3/2011, il tentativo di conciliazione di carattere stragiudiziale 
previsto dall�art. 4, d.lgs. n. 179, sar� denotato dal carattere della 
facoltativit� (�Gli investitori possono attivare la procedura di conciliazione�): 
esso non assurger�, quindi, a condizione di procedibilit� della domanda in giudizio 
da parte dell�investitore (31). Per i processi in materia di contratti finanziari 
che inizieranno dopo il 20/3/2011, invece, secondo il combinato disposto 
degli artt. 5, comma 1, e 24, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, l�operativit� dello 
strumento conciliativo costituir� condizione di procedibilit� della domanda 
proposta in via ordinaria dagli investitori: il legislatore, infatti, nell�intento di 
favorire il potenziamento dell�istituto della conciliazione, ha stabilito che, a 
far data dal 20/3/2011, chi intender� esercitare in giudizio un�azione relativa 
ad una controversia in materia di contratti finanziari dovr� preliminarmente 
esperire il procedimento di conciliazione previsto dal d.lgs. n. 179, per le materie 
ivi regolate; l�esperimento del procedimento di mediazione sar� condizione 
di procedibilit� della domanda giudiziale; l�improcedibilit� andr� 
eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata ex officio dal giudice, 
non oltre la prima udienza. 
(31) Peraltro, in virt� dell�espresso richiamo previsto dall�art. 4, comma 5, d.lgs. n. 179, alla disciplina 
societaria (peraltro abrogata proprio dal d.lgs. n. 28/2010), � ben possibile l�inserimento di una 
clausola di conciliazione nel contratto stipulato tra risparmiatore e intermediario, con l�effetto processuale 
di consentire all�intermediario, convenuto in sede giudiziale, di eccepire il mancato esperimento 
del tentativo di conciliazione contrattualmente previsto. In caso di accertata inottemperanza all�impegno 
di far precedere al perseguimento della via giurisdizionale il tentativo di conciliazione davanti a un organismo, 
il giudice dovr� disporre la sospensione del procedimento, fissando un termine per il deposito 
dell�istanza di conciliazione.
DOTTRINA 325 
Quanto alle condizioni di ammissibilit�, l�art. 7, del. n. 16763, stabilisce 
che l�istanza volta all�attivazione della procedura di conciliazione possa essere 
presentata (esclusivamente dall�investitore (32)) quando per la medesima controversia: 
- non siano state avviate (eventualmente su iniziativa dell�intermediario 
a cui l�investitore abbia aderito) altre procedure di conciliazione (33); 
- sia stato presentato reclamo all�intermediario cui sia stata fornita 
espressa risposta; 
- sia decorso il termine di 90 giorni (o il termine pi� breve eventualmente 
stabilito dall�intermediario per la trattazione del reclamo) senza che l�investitore 
abbia ottenuto risposta al suo reclamo. 
La disposizione regolamentare riproduce quasi alla lettera la norma dell�art. 
4, comma 2, d.lgs. n. 179, ribadendo il concetto che la possibilit� di avviare 
la procedura conciliativa � rimessa unicamente alla volont� 
dell�investitore e non anche all�intermediario (34). Ci� non significa, peraltro, 
che la domanda di conciliazione debba essere materialmente presentata dall�investitore, 
ben potendo quest�ultimo farsi assistere da un legale nella redazione 
e nell�inoltro, come espressamente previsto dal successivo art. 8, comma 
1, lett. a)(35) . 
Dalla norma si evince, inoltre, che il tentativo di conciliazione promosso 
dall�investitore ha carattere tanto preventivo quanto successivo, potendo essere 
attivato sia prima sia dopo l�instaurazione di un ordinario giudizio civile. 
L�istanza, sottoscritta dall�investitore e corredata della documentazione 
attestante le condizioni di ammissibilit� e il pagamento delle spese di avvio 
del procedimento, pu� essere redatta utilizzando l�apposito formulario predisposto 
dalla CCA. Essa, in ogni caso, deve contenere: 
- le generalit� e i recapiti dell�istante; 
- l�impegno a osservare gli obblighi di riservatezza e le altre norme di 
procedura; 
- la descrizione della controversia e delle pretese (36), con indicazione 
(32) E� stato affermato che la scelta di riservare al solo investitore l�iniziativa conciliativa potrebbe 
risultare penalizzante in termini di diffusione della conciliazione, fornendo, al contempo, una visione 
eccessivamente �consumeristica� dello strumento. 
(33) Tra le pi� affermate in materia di servizi di investimento si ricordi quella gestita dal �Conciliatore 
Bancario Finanziario�, associazione promossa dall�ABI, impegnata altres� nella gestione del noto 
(e diverso) servizio denominato �Ombudsman - Giur� bancario�. 
(34) Alcuni hanno criticato la mancata possibilit� di presentare una domanda congiunta, quale 
forma semplificata di avvio del procedimento, particolarmente apprezzabile in presenza di una clausola 
conciliativa. 
(35) Il difensore dev�essere naturalmente munito di regolare procura alle liti, con la quale gli sia 
attribuito il potere di conciliare e transigere. 
(36) Durante la fase di consultazione � stato proposto di prevedere che l�istanza contenesse una 
descrizione puntuale e precisa degli obblighi (di informazione, di correttezza e di trasparenza) asserita-
326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
del relativo valore (da determinarsi ai sensi degli artt. 10 ss. c.p.c.: cfr. art. 
15, del. n. 16763). 
Per effetto del richiamo all�art. 39, comma 1, d.lgs. n. 5/03, operato dall�art. 
4, comma 5, d.lgs. n. 179, tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi 
al procedimento di conciliazione sono esenti da ogni imposizione fiscale 
(imposta di bollo, ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura), con 
la conseguenza � ispirata chiaramente al favor conciliationis � che gli stessi 
possono essere prodotti in carta semplice. 
La normativa affida direttamente alle parti l�instaurazione del contraddittorio: 
una volta redatta, l�istanza dev�essere, a cura dell�investitore, comunicata 
all�intermediario (37) (con mezzo idoneo a dimostrarne l�avvenuta 
ricezione (38)) e depositata presso la CCA nei successivi 30 giorni 
Ricevuta l�istanza, la CCA, entro 5 giorni dal suo deposito, � tenuta a 
valutarne l�ammissibilit� e pu� invitare l�istante a procedere, entro un congruo 
termine, a eventuali integrazioni e correzioni (39). La CCA, ove ritenga 
che l�istanza (eventualmente dopo le integrazioni fornite dall�investitore) soddisfi 
le prescritte condizioni di ammissibilit�, entro 5 giorni dal suo deposito 
(ovvero dal ricevimento delle integrazioni e correzioni) invita l�intermediario 
ad aderire al tentativo di conciliazione (trasmettendogli le eventuali integrazioni 
e correzioni). 
A questo punto, l�intermediario, non oltre i 5 giorni successivi alla comunicazione 
dell�invito della CCA, deve comunicare alla stessa CCA e all�investitore 
(con mezzo idoneo a dimostrarne l�avvenuta ricezione) la propria 
adesione al tentativo di conciliazione, con apposito atto contenente l�impegno 
a osservare gli obblighi di riservatezza e le altre norme della del. n. 16763, 
corredato: 
- dei documenti attestanti il pagamento delle spese di avvio della procemente 
violati. Tale suggerimento non � stato, per�, accolto, in quanto, potendo l�istanza essere redatta 
direttamente dall�investitore senza l�ausilio di un legale, tale previsione avrebbe finito col gravare l�investitore 
di un onere eccessivo. D�altra parte, la CONSOB ha ricordato che eventuali carenze nel contenuto 
dell�istanza ben possono essere integrate in un momento successivo, a seguito di richiesta della 
stessa CCA. 
(37) In virt� del rinvio all�art. 40, comma 4, d.lgs. n. 5/03, la comunicazione all�intermediario 
dell�istanza di conciliazione produce sulla prescrizione i medesimi effetti della domanda giudiziale, ovverosia 
interrompe la prescrizione e impedisce il verificarsi di una decadenza. La ratio della previsione 
� chiaramente quella di evitare che il periodo di svolgimento della procedura conciliativa possa compromettere 
il diritto sostanziale che l�investitore intende far valere. 
(38) L�ampia dizione utilizzata lascia all�investitore la facolt� di scegliere il mezzo ritenuto pi� 
idoneo, nonch� la possibilit� di avvalersi, oltrech� della tradizionale raccomandata con avviso di ricevimento, 
anche di strumenti informatici in grado di assicurare la ricezione dell�istanza da parte dell�intermediario. 
In caso di contestazioni, si ritiene che sar� la CCA a valutare l�adeguatezza del mezzo di 
trasmissione utilizzato. 
(39) Dopo il vano decorso del termine eventualmente assegnato a tal fine, la CCA dichiara l�inammissibilit� 
dell�istanza, dandone tempestiva comunicazione all�investitore e all�intermediario.
DOTTRINA 327 
dura;
- della documentazione afferente al rapporto contrattuale controverso 
(40) (ivi compreso il reclamo proposto dall�investitore e le eventuali determinazioni 
assunte al riguardo). 
Se, invece, l�intermediario non comunica la propria adesione al tentativo 
di conciliazione nel termine indicato, la CCA deve attestare la mancata tempestiva 
adesione dell�intermediario al tentativo di conciliazione (41). 
I tempi previsti per l�instaurazione del contraddittorio e la costituzione 
delle parti, secondo alcuni, sarebbero eccessivamente rigorosi rispetto a quelli 
normalmente previsti nei regolamenti di conciliazione (42), e ancor pi� stringenti 
considerati gli oneri imposti alle parti in sede di redazione degli atti introduttivi. 
Si �, in proposito, auspicato che la CCA e gli stessi conciliatori 
applichino le norme nel modo pi� flessibile e antiformalistico, evitando di 
configurare decadenze o impedimenti di carattere formale, che, lungi dal semplificare 
la soluzione del conflitto, rischierebbero di complicarla ulteriormente. 
Successivamente al deposito dell�istanza conciliativa, la CCA procede 
senza indugio alla nomina di un conciliatore iscritto nell�apposito elenco da 
essa tenuto, avendo riguardo ai seguenti criteri, indicati senza ordine di priorit� 
dall�art. 9, del. n. 16763 (43): 
a) vicinanza territoriale all�investitore; 
b) numero di controversie pendenti innanzi al conciliatore; 
c) esperienza maturata dal conciliatore sulle questioni specifiche oggetto 
della controversia; 
d) equa distribuzione degli incarichi; 
e) tendenziale parit� di trattamento tra uomini e donne. 
Mette conto evidenziare che, se nella provincia dove l�investitore ha il 
domicilio o la sede non � presente un conciliatore iscritto nell�elenco ovvero 
i conciliatori presenti sono gravati da eccessivi carichi di lavoro e, comunque, 
non � possibile assicurare un adeguato e sollecito svolgimento della procedura, 
la CCA pu� investire della controversia, con decisione motivata, gli organismi 
di conciliazione iscritti nel Registro degli organismi di conciliazione 
(40) Tale previsione � chiaramente posta a maggior tutela dell�investitore, il quale spesso, non 
trovandosi in possesso della documentazione, non ha la materiale possibilit� di produrre tale documentazione. 
(41) Sebbene l�art. 8, comma 6, del. n. 16763, nulla dica al riguardo, � da pi� parti ritenuto ragionevole 
che la CCA comunichi all�investitore la mancata adesione dell�intermediario, s� da consentirgli 
di adottare le valutazioni del caso. 
(42) In sede di consultazione non � mancato chi ha suggerito un allungamento dei termini (ABI) 
ovvero un allentamento complessivo del rigore formale, maggiormente in linea con il carattere flessibile 
e informale della conciliazione (Camera Arbitrale di Milano). 
(43) La CCA gode di un ampio margine di discrezionalit� nell�individuazione del conciliatore ritenuto 
pi� idoneo a definire amichevolmente la controversia.
328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
(istituito con D.M. n. 222/04 (44)) che abbiano manifestato, anche attraverso 
la stipulazione di apposite convenzioni, la propria disponibilit�, optando per 
quello ritenuto pi� idoneo tenendo conto dei criteri individuati sub lett. a) e 
c). 
La CCA, ricevuto l�atto di l�adesione dell�intermediario, comunica senza 
indugio la nomina allo stesso conciliatore e alle parti. 
Il conciliatore, una volta ricevuta la comunicazione della nomina e la documentazione 
prodotta dalle parti, trasmette la dichiarazione di accettazione 
(45) alla CCA entro i successivi 5 giorni (46). Non prima di 5 giorni e non 
oltre 10 giorni dalla data di accettazione, il conciliatore fissa la data e la sede 
(47) per la prima (e, in linea di massima, unica) riunione, dandone tempestiva 
comunicazione alle parti e alla CCA. 
Quanto allo svolgimento della procedura, occorre evidenziare che la del. 
n. 16763 ha attribuito al conciliatore un ruolo pi� incisivo rispetto a quello 
normalmente riconosciuto a tale figura nel contesto delle altre procedure di 
conciliazione amministrate: in effetti, la CCA, una volta ricevuti gli atti introduttivi 
e individuato il conciliatore incaricato della singola controversia, gli 
affida sostanzialmente l�intera gestione del procedimento, dovendo esso determinare, 
in piena autonomia, le modalit� di svolgimento del tentativo di conciliazione 
e potendo esso all�uopo condurre gli incontri senza formalit� di 
procedura e senza obbligo di verbalizzazione e nel modo che ritiene pi� opportuno, 
tenendo conto delle circostanze del caso, della volont� delle parti e 
della necessit� di trovare una rapida soluzione alla lite. 
L�unico temperamento a tale amplissima elasticit� e semplificazione di 
forme � ricavabile dal disposto dell�art. 11, del. n. 16763, in forza del quale la 
procedura di conciliazione si ispira a princ�pi di imparzialit� e garanzia del 
contraddittorio (48) (gi�, peraltro, imposti dall�art. 4, comma 3, d.lgs. n. 179), 
(44) Tale Registro � destinato ad essere sostituito dal Registro degli organismi di mediazione, da 
istituirsi, sempre con decreto del Ministro della giustizia, ai sensi dell�art. 16, d.lgs. n. 28/2010. 
(45) Con la dichiarazione di accettazione il conciliatore attesta la permanenza dei requisiti per 
l�iscrizione nell�elenco e l�inesistenza: 
- di rapporti con le parti e con i loro rappresentanti tali da incidere sulla sua imparzialit� e indipendenza; 
- di personali interessi (diretti o indiretti) relativi all�oggetto della controversia. 
Nel corso della procedura il conciliatore �, peraltro, tenuto a comunicare tempestivamente alla CCA e 
alle parti eventuali circostanze sopravvenute idonee a incidere sulla sua indipendenza e imparzialit�. 
(46) In caso di mancata tempestiva accettazione, la CCA provvede senza indugio a nominare un 
altro conciliatore. 
(47) La sede coincider� con il domicilio del conciliatore o altro luogo attrezzato per lo svolgimento 
dell�attivit� di conciliazione. 
(48) E� opportunamente fatta salva la possibilit� per il conciliatore di sentire separatamente le 
parti, onde individuare pi� facilmente possibili punti di accordo (artt. 4, comma 3, d.lgs. n. 179, e 11, 
comma 3, del. n. 16763). Invero, nelle procedure di conciliazione le parti non subiscono la soluzione, 
ma concorrono a determinarla, con la conseguenza che il principio del contraddittorio assume un significato 
necessariamente diverso da quello usuale nel terreno del contenzioso processuale. Il rispetto del
DOTTRINA 329 
unitamente ai princ�pi di celerit�, immediatezza, concentrazione e oralit�, nonch� 
al dovere di riservatezza (49). Quest�ultimo, in particolare, grava non solo 
sulle parti, ma sulla stessa CCA (50) e sul conciliatore (51). 
Quanto ai princ�pi di immediatezza e concentrazione, l�art. 12, commi 1 
e 2, del. n. 16763, stabilisce che la conciliazione si svolge, di regola, nel luogo 
in cui si trova il domicilio del conciliatore (52), il quale � come si � accennato 
� � tenuto a fissare la data e la sede per la prima riunione non prima di 5 giorni 
e non oltre 10 giorni dalla data di accettazione, dandone tempestiva comunicazione 
alle parti e alla CCA. 
Sotto il profilo della celerit�, pu� osservarsi che l�art. 13, del. n. 16763, 
fissa in 60 giorni a decorrere dal deposito dell�istanza (ovvero dal successivo 
deposito delle integrazioni) il termine massimo per la conclusione della procedura 
(53), facendo salva la possibilit� per il conciliatore, con il consenso 
delle parti, di prorogare tale termine per un periodo non superiore a ulteriori 
60 giorni, comunicandolo alla CCA, nel caso in cui: 
- ricorrano oggettivi impedimenti del conciliatore o delle parti; 
- occorra acquisire informazioni e documenti indispensabili ai fini delcontraddittorio, 
dunque, non impedisce al conciliatore di sentire le parti separatamente, n� di fare ricorso 
ad altre tecniche di mediazione e di comunicazione comunemente impiegate per favorire il raggiungimento 
dell�accordo; in tale ambito il contraddittorio si traduce, piuttosto, nel potere-dovere per il conciliatore 
di assicurare alle parti pari possibilit� di interloquire e di partecipare in modo spontaneo e 
cosciente alla definizione della soluzione conciliativa. 
(49) Allo scopo di accentuare la garanzia di riservatezza, l�art. 4, comma 7, d.lgs. n. 179, stabilisce 
che le dichiarazioni rese dalle parti nel procedimento di conciliazione non possono essere utilizzate nell�eventuale 
procedimento sanzionatorio nei confronti dell�intermediario innanzi all�autorit� di vigilanza 
competente per l�irrogazione delle sanzioni amministrative previste per le medesime violazioni. Si aggiunga 
che, in forza del rinvio all�art. 40, comma 3, d.lgs. n. 5/03, compiuto dall�art. 4, comma 5, d.lgs. 
n. 179, le dichiarazioni rese dalle parti nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio 
promosso a seguito dell�insuccesso del tentativo di conciliazione, n� possono essere oggetto di 
prova testimoniale. 
(50) L�art. 11, del. n. 16763, impone, invero, alla CCA di assicurare adeguate modalit� di conservazione 
e di riservatezza degli atti introduttivi della procedura di conciliazione, nonch� di ogni altro documento 
proveniente dai soggetti che hanno partecipato a qualsiasi titolo alla procedura di conciliazione 
o formatosi nel corso della procedura stessa. Si consideri, inoltre, che, a tenore degli artt. 16 e 20, St. 
CCA, i componenti del collegio camerale sono tenuti al rispetto del segreto d�ufficio e lo stesso personale 
di segreteria � tenuto al rispetto del segreto d�ufficio relativamente allo svolgimento delle attivit� della 
CCA, nonch� a mantenere riservata qualsiasi notizia o informazione inerente lo svolgimento delle procedure 
di conciliazione e di arbitrato amministrato. 
(51) Il conciliatore, a mente dell�art. 5, Cod. deont. CCA, sono tenuti al segreto sulle notizie acquisite 
per ragioni del loro ufficio o per le funzioni esercitate e non devono utilizzarle in maniera indebita, 
astenendosi da comportamenti che possano influire sullo svolgimento o sull�esito di altre controversie. 
(52) Nel documento sugli esiti della consultazione del gennaio 2009 la CONSOB ha, in proposito, 
affermato che �per la maggiore diffusione delle procedure di conciliazione � importante assicurare che 
le stesse si svolgano, per quanto possibile, vicino alle parti e, in particolare, all�investitore in quanto 
parte debole del rapporto con l�intermediario�. 
(53) Peraltro, su accordo delle parti, � possibile derogare alla sospensione feriale (1� agosto � 15 
settembre) del termine per la conclusione della procedura (art. 13, comma 3, del. n. 16763).
330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
l�esperimento del tentativo di conciliazione; 
- sussista la ragionevole possibilit� di un esito positivo della procedura 
(54).
Con riferimento al principio dell�oralit�, l�art. 12, comma 3, oltre alla gi� 
vista libert� di forme, prevede che il conciliatore possa sentire le parti separatamente 
e in contraddittorio tra loro, al fine di meglio chiarire i termini della 
controversia e far emergere i punti di accordo, potendo altres� disporre l�intervento 
di terzi, dietro congiunta proposta delle parti e a loro spese. 
La del. n. 16763 non contiene specifiche previsioni in merito al funzionamento 
della conciliazione e al modo in cui il conciliatore debba intervenire 
per promuovere la soluzione conciliativa. Appare ragionevole immaginare che 
il conciliatore, in veste di dominus della procedura, interroghi liberamente le 
parti, invitandole a esporre i fatti sottesi alla controversia e a precisare le loro 
pretese (55). Una volta che siano stati puntualizzati gli aspetti significativi 
della res litigiosa, il conciliatore provveder� a orientare le parti nella ricerca 
di un accordo in grado di soddisfare gli interessi di entrambe, vagliando le soluzioni 
idonee a realizzare un punto di equilibrio fra le contrapposte pretese. 
In ordine alla fase finale della procedura, l�art. 14, del. n. 16763, ha dato 
attuazione al rinvio alla disciplina della conciliazione societaria operato dall�art. 
4, comma 5, d.lgs. n. 179 (56): ne � seguita l�adozione di un modello 
misto, analogo a quello adottato nell�ambito della disciplina della conciliazione 
societaria. In una prima fase della procedura, il conciliatore svolge una 
funzione esclusivamente �facilitativa�, volta ad aiutare e ad assistere le parti 
nel raggiungimento di un accordo pienamente satisfattivo; in una seconda fase 
� che assume, invece, carattere eventuale, essendo condizionata alla comune 
volont� delle parti � il conciliatore assume una funzione �propositiva�, elaborando 
una proposta non vincolante (57), rispetto alla quale saranno le parti 
(54) Va da s� che la mancata osservanza dei termini conclusivi non determina l�invalidit� dell�accordo 
eventualmente raggiunto, non potendosi certamente limitare la possibilit� per le parti di raggiungere 
un�intesa anche oltre il termine normativamente prestabilito. 
(55) Va da s� che il tentativo di conciliazione deve ritenersi fallito in ipotesi di mancata comparizione 
di una delle parti (generalmente, il convenuto). 
(56) Si veda ora l�art. 11, d.lgs. n. 28/2010, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione 
delle controversie civili e commerciali. 
(57) In relazione ai concreti contenuti della proposta, la del. n. 16763 non ha riprodotto espressamente 
la previsione contenuta nell�art. 4, comma 6, d.lgs. n. 179, in forza della quale il conciliatore dovrebbe 
tener conto dei criteri stabiliti dalla CONSOB, sentita la Banca d�Italia, per la determinazione 
dell�indennizzo (cfr. art. 3, comma 2, d.lgs. n. 179). Peraltro, nel documento di consultazione relativo 
alla del. n. 16763, la CONSOB stessa precisa che, nel formulare la sua proposta, �il conciliatore dovr� 
tener conto di tutti gli elementi fattuali emersi nel corso della procedura (e della loro idoneit� a supportare 
le reciproche rivendicazioni delle parti), nonch� del contegno complessivamente tenuto dalle 
parti, id est dei criteri rilevanti per la determinazione dell�indennizzo contemplato nel procedimento di 
arbitrato semplificato� (cfr. art. 33, comma 2, del. n. 16763). E� stato, al riguardo, osservato che tale 
omissione potrebbe spiegarsi considerando che, almeno in sede conciliativa, la soluzione della lite po-
DOTTRINA 331 
stesse a doversi pronunziare (secondo il modello � pi� sopra illustrato � della 
conciliazione valutativa). In quest�ultimo caso, se le parti riterranno equa la 
proposta di soluzione della lite, potranno recepirla; diversamente, potranno 
semplicemente ignorarla ovvero utilizzarla come mera indicazione per proseguire 
le trattative, compiendo, sulla base della stessa, autonome determinazioni. 
In ultima analisi, gli scenari possibili sono i seguenti: 
- in caso di successo della procedura, i contenuti dell�accordo compositivo 
(58) sono riportati in apposito processo verbale (59) (sottoscritto dalle parti e 
dal conciliatore (60)), fermo restando che, se le parti non danno spontanea 
esecuzione alle previsioni dell�accordo, il verbale � previo deposito ad opera 
della parte interessata presso la cancelleria del tribunale del circondario in cui 
ha avuto luogo la conciliazione (61) e una volta accertata la sua regolarit� formale 
(62) � � omologato con decreto del Presidente del tribunale e costituisce 
titolo esecutivo per l�espropriazione forzata, per l�esecuzione in forma specifica 
e per l�iscrizione di ipoteca giudiziale (63); 
- qualora, invece, non sia stato possibile raggiungere un accordo, su 
istanza congiunta delle parti il conciliatore formula una proposta, rispetto alla 
quale ciascuna delle parti, se la conciliazione non ha luogo, indica la propria 
definitiva posizione ovvero le condizioni alle quali � disposta a conciliare; di 
tali posizioni il conciliatore d� atto in apposito verbale di fallita conciliatrebbe 
anche prescindere da una soluzione in termini di indennizzo, ben potendo il conciliatore fornire 
alle parti una proposta di contenuto atipico, suggerendo altres� forme non usuali di riparazione in favore 
dell�investitore. Appare, peraltro, ragionevole immaginare che, ove il conciliatore intenda proporre all�intermediario 
il riconoscimento di un ristoro del pregiudizio causato al patrimonio dell�investitore, 
faccia riferimento proprio ai criteri ora citati. In tale evenienza, infatti, l�intervento valutativo, per essere 
equo e, al contempo, apprezzabile dalle parti, dovrebbe assumere i contorni di una prognosi �obiettiva� 
e giuridicamente realistica del possibile esito della lite, alla luce delle allegazioni delle parti e degli elementi 
(di fatto e di diritto) da ciascuna di esse prodotti. 
(58) Tale accordo, beninteso, pu� anche investire solo parte della controversia, lasciando il resto 
della vertenza alla definizione arbitrale o giudiziale. 
(59) Ai sensi dell�art. 39, comma 2, d.lgs. n. 5/03, richiamato dall�art. 4, comma 5, d.lgs. n. 179, 
il verbale di conciliazione � esente dall�imposta di registro entro il limite di valore di � 25.000. Si tratta 
� come detto � di disposizione abrogata. Il rinvio �dinamico� conduce all�applicazione dell�art. 17, 
comma 3, d.lgs. n. 28/2010, secondo cui il verbale di accordo Ǐ esente dall�imposta di registro entro il 
limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l�imposta � dovuta per la parte eccedente�. 
(60) L�intesa raggiunta ha un valore negoziale analogo a quello di una transazione, e infatti la relativa 
efficacia non � subordinata al provvedimento di omologazione da parte del tribunale. 
(61) La CONSOB ha scelto di radicare la competenza per l�exequatur nel luogo in cui si � espletata 
la procedura conciliativa, in quanto tale luogo sar� con ogni probabilit� quello pi� vicino al 
domicilio/sede dell�investitore. 
(62) L�accertamento, quindi, non entra nel merito dell�accordo raggiunto, limitandosi a verificare 
la sussistenza e la regolarit� delle sottoscrizioni, la natura giuridica della res litigiosa e la sussistenza 
della competenza in ordine all�omologazione del verbale. 
(63) Cfr. l�art. 40, comma 8, d.lgs. n. 5/03, richiamato dall�art. 4, comma 5, d.lgs. n. 179, da ritenersi 
attualmente sostituito dall�art. 12, d.lgs. n. 28/2010. 
332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
zione (64). 
In ogni caso, al termine della procedura, il conciliatore trasmette gli atti 
(65) alla CCA, che provvede a rilasciarne copia alle parti che ne fanno richiesta 
(66), adottando tutti gli opportuni accorgimenti idonei a evitare lesioni alla riservatezza 
dei soggetti coinvolti (67). 
Quanto ai costi della procedura di conciliazione, la fruizione del servizio 
di conciliazione offerto dalla CCA d� luogo a tre distinte voci di spesa: 
- le spese amministrative per l�avvio della procedura (pari a � 30 per ciascuna 
parte), che sono versate alla CCA dalle parti all�atto del deposito, rispettivamente, 
dell�istanza iniziale e dell�atto di adesione; 
- il compenso del conciliatore, determinato sulla base della tabella allegata 
al del. n. 16763 (68). 
- le spese sostenute dal conciliatore per l�esecuzione dell�incarico (69). 
(64) E� stato correttamente osservato che tale verbale va altres� redatto nel caso in cui le parti non 
siano addivenute a un accordo e non abbiano avanzato concordemente al conciliatore la richiesta di una 
proposta conciliativa. In tal caso, secondo alcuni, il conciliatore dovrebbe far constare nel verbale le 
posizioni delle parti e le condizioni a cui sarebbero disposte a conciliare, ci� allo scopo di creare una 
buona base di partenza per il giudice o l�arbitro dell�eventuale futuro giudizio. 
(65) Per tali intendendosi gli atti introduttivi, i documenti ad essa allegati e il processo verbale 
della riunione. 
(66) Le copie degli atti del procedimento (in particolare, il verbale) � a voler intendere come �statico� 
il rinvio operato dall�art. 4, comma 5, d.lgs. n. 179, all�abrogato art. 40, comma 5, d.lgs. n. 5/03 � 
possono essere utilizzate nell�eventuale futuro processo ai fini della decisione sulle spese di lite, anche 
a norma dell�art. 96 c.p.c.; il giudice potr�, quindi, valutare il contegno tenuto dalle parti in occasione 
del tentativo di conciliazione stragiudiziale, eventualmente sanzionando la parte che, esibendo un atteggiamento 
poco collaborativo, ha indotto la controparte a ricorrere o resistere nel successivo giudizio 
contenzioso. Ove, al contrario, si reputi �mobile� tale rinvio, dovr� aversi riguardo agli artt. 8, comma 
5 (secondo cui dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione 
il giudice pu� desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell�art. 116, comma 2, 
c.p.c.) e 13, comma 1, d.lgs. n. 28/2010 (secondo cui, ferma l�applicabilit� degli artt. 92 e 96 c.p.c., 
quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, 
il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, 
riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute 
dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonch� al versamento all�entrata del bilancio 
dello Stato di un�ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto). Quest�ultima 
previsione � chiaramente finalizzata a sanzionare la parte irragionevolmente litigiosa. 
(67) La scelta di accentrare in capo alla CCA il compito di rilasciare tutti gli atti della procedura 
si spiega alla luce degli obblighi di conservazione e di riservatezza che la stessa � tenuta a rispettare ai 
sensi dell�art. 11, comma 2, del. n. 16763. 
(68) La tabella prevede un compenso massimo dovuto da ciascuna parte che va da � 40 ad � 
10.000, a seconda dello scaglione relativo al valore della controversia. Per i compensi minimi, invece, 
si considerano quelli dovuti come massimi per il valore della lite ricompreso nello scaglione immediatamente 
precedente a quello effettivamente applicabile; il compenso minimo relativo al primo scaglione 
� liberamente determinato. L�importo massimo del compenso per ciascun scaglione di riferimento pu� 
essere aumentato in misura non superiore al 5%, tenuto conto della particolare importanza, complessit� 
o difficolt� dell�affare. 
(69) La scelta di permettere il rimborso al conciliatore delle spese sostenute per l�amministrazione 
della relativa procedura � dovuta all�accoglimento da parte della CONSOB di una proposta in tal senso 
proveniente da un�associazione partecipante alla consultazione. La ratio � quella di evitare che di tali
DOTTRINA 333 
Da notare che la liquidazione del compenso del conciliatore e il rimborso 
delle spese sostenute (ove opportunamente documentate) avviene ad opera 
della CCA, dietro proposta dello stesso conciliatore (70), con decisione vincolante 
per le parti (71). 
Interessante si rivela altres� la previsione � ispirata al favor conciliationis 
� di cui all�art. 16, comma 3, del. n. 16763, in base alla quale, se la conciliazione 
riesce, il pagamento del compenso del conciliatore grava in capo alle 
parti in via solidale; per contro, in caso di mancata conciliazione, la met� del 
compenso � posta a carico della CCA, mentre la parte residua continua a gravare 
sulle parti in via solidale (72). 
2.5. Le modalit� di attivazione e gestione dell�arbitrato amministrato di tipo 
ordinario 
Accanto al tentativo di conciliazione stragiudiziale sin qui illustrato il 
d.lgs. n. 179 ha introdotto anche un procedimento di arbitrato amministrato 
dalla CCA (73), affidando, anche in tal caso, a un regolamento deliberato dalla 
spese debba farsi carico il conciliatore, stante l�entit� gi� abbastanza contenuta del compenso a lui spettante. 
(70) Secondo la CONSOB il potenziale conflitto di interessi del conciliatore � impedito dal controllo 
che la CCA � comunque tenuta ad esercitare sulla proposta fatta. Peraltro, viene evidenziato che 
il conciliatore � senz�altro la persona maggiormente in grado di apprezzare l�eventuale complessit� della 
procedura ai fini dell�esatta quantificazione del compenso. 
(71) Al fine di esercitare un adeguato controllo sulle spese da rimborsare, all�esito della consultazione 
si � stabilito che la CCA determini in via generale quali siano le spese necessarie per l�esecuzione 
dell�incarico rimborsabili al conciliatore e valuti la congruit� e la ragionevolezza delle singole richieste 
che saranno avanzate. 
(72) Mette conto notare che la bozza di delibera posta in consultazione prevedeva che, in caso di 
fallita conciliazione, nulla fosse dovuto dalle parti per il compenso del conciliatore, al quale avrebbe 
provveduto la CCA, mediante risorse fornitele dalla stessa CONSOB. In sede di consultazione l�ABI 
ritenne opportuno far presente, da un lato, che la gratuit� del servizio avrebbe rischiato di trasformare 
la conciliazione in una dannosa fase procedurale, in termini di tempo e di costi, che finiva con l�incentivare 
gli investitori ad attivare procedure pretestuose o infondate; dall�altro lato, tale previsione avrebbe 
avvantaggiato la CCA rispetto agli altri organismi di conciliazione, ai quali il D.M. n. 223/04 impedisce 
di rendere gratuite le proprie conciliazioni. Accogliendo in parte tali commenti, la CONSOB ha riformulato 
l�art. 16, comma 3, ponendo a carico delle parti, in caso di fallita conciliazione, soltanto la met� 
del compenso del conciliatore, mirando, in tal modo, �a contemperare l�esigenza di favorire la pi� 
ampia diffusione delle procedure (...) con quella di evitare l�uso strumentale delle procedure stesse�. 
Sar�, peraltro, interesse della CCA adottare misure idonee a prevenire comportamenti scorretti delle 
parti, le quali, allo scopo di approfittare della previsione �promozionale�, poterebbero omettere di formalizzare 
davanti al conciliatore un accordo gi� raggiunto o comunque posticiparne la formalizzazione 
al solo scopo di usufruire dello �sconto� ora illustrato. 
(73) Occorre, al riguardo, distinguere concettualmente l�arbitrato ad hoc dall�arbitrato amministrato. 
In quest�ultimo, le parti fanno generalmente ricorso a un articolato regolamento predisposto da 
una delle associazioni che prestano professionalmente il servizio di arbitrato, giovandosi, in tal modo, 
di un forte ausilio nella soluzione delle questioni organizzative e procedimentali connesse alla procedura. 
Nell�arbitrato ad hoc le parti sono, invece, libere di regolare personalmente le varie fasi della futura
334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
CONSOB (74) sentita la Banca d�Italia, la disciplina della procedura. L�art. 
5, d.lgs. n. 179, ha previsto che la CONSOB, nel dettare la disciplina attuativa 
dell�arbitrato, tenga conto, sia pure con la clausola della compatibilit�, degli 
artt. 34, 35, 36, d.lgs. n. 5/03, in tema di arbitrato societario, nonch� degli artt. 
806 ss. c.p.c., relativi all�arbitrato di diritto comune, fermo in ogni caso il rispetto 
del contraddittorio. E� stata altres� affidata alla disciplina regolamentare 
della CONSOB: 
- la determinazione delle modalit� di nomina del collegio arbitrale (o 
dell�arbitro unico); 
- le ipotesi di incompatibilit�, ricusazione e sostituzione degli arbitri; 
- la responsabilit� degli arbitri; 
- gli onorari spettanti agli arbitri; 
- le tariffe per il servizio di arbitrato dovute alla CCA. 
E�, infine, stabilito che tale arbitrato ha natura rituale (75), � ispirato a 
criteri di economicit�, rapidit� ed efficienza e il lodo � sempre impugnabile 
per violazione di norme di diritto (errores in procedendo e in judicando). 
Sulla base di queste indicazioni, l�art. 18, del. n. 16763, ha ribadito che 
l�arbitrato amministrato dalla CCA ha natura rituale ed � regolato dalle disposizioni 
di cui agli artt. 806 ss. c.p.c. (76) (opportunamente integrate dalle diprocedura 
arbitrale: possono, quindi, scegliere di comune accordo il numero degli arbitri, le modalit� 
della loro designazione, la sede dell�arbitrato, il diritto applicabile, etc. In altre parole, possono fissare 
i vari aspetti dell�arbitrato nel modo pi� rispondente alle esigenze del caso specifico, amministrando il 
procedimento direttamente e in prima persona, senza l�ausilio di organismi permanenti esterni e di regolamenti 
predeterminati: le norme saranno, infatti, indicate direttamente nella clausola arbitrale (o nel 
compromesso), senza alcun riferimento a fonti regolamentari esterne. Quest�ultimo tipo di arbitrato pu� 
offrire alcuni vantaggi di ordine pratico, come una maggiore rapidit� e riservatezza e un possibile risparmio 
di costi, a condizione che gli arbitri chiamati a dirimere la lite contribuiscano, in quanto competenti 
e professionali, a rendere snello, poco macchinoso e spedito il procedimento. 
(74) Si tratta, naturalmente, della pi� volte citata del. CONSOB n. 16763/08. 
(75) L�arbitrato rituale � come noto � � quello avente la funzione e la struttura del giudizio: le 
parti affidano a uno o pi� arbitri, attraverso il compromesso o la clausola arbitrale, un vero e proprio 
giudizio privato, la cui struttura � sufficiente per attribuire al lodo arbitrale l�efficacia della pronuncia 
giurisdizionale (eccezion fatta per l�efficacia esecutiva e l�idoneit� all�iscrizione dell�ipoteca e alla trascrizione, 
subordinate al deposito del lodo presso la cancelleria del Tribunale e al successivo ottenimento 
dell�exequatur). 
(76) Nella disposizione regolamentare non sono stati richiamati gli artt. 34-36, d.lgs. n. 5/03. Le 
ragioni di tale scelta vanno rintracciate, da un lato, nella parziale incompatibilit� delle norme in tema di 
arbitrato societario con la particolare struttura del giudizio arbitrale amministrato dalla CCA, connotato 
da tratti peculiari in ordine alle questioni compromettibili e alla natura giuridica dei soggetti destinati 
ad assumere la veste di parti necessarie del procedimento (intermediari e investitori); dall�altro lato, 
nella parziale confluenza delle stesse previsioni nell�impianto del codice di rito, per effetto dell�entrata 
in vigore del d.lgs. n. 40/06, recante la riforma del diritto arbitrale. In particolare, l�art. 34, d.lgs. n. 5/03, 
relativo all�oggetto e agli effetti delle clausole compromissorie statutarie era chiaramente inapplicabile 
alla materia dei rapporti contrattuali tra intermediari e investitori; l�art. 35, commi 1, 2, 4 e 5 era, del 
pari, inapplicabile, in quanto presupponeva l�esistenza di una clausola compromissoria contenuta nell�atto 
costitutivo di una societ� ovvero l�esistenza di domande, di statuizioni e di potest� cautelari arbitrali 
del tutto sconosciute all�arbitrato amministrato dalla CCA; quanto alla previsione dell�art. 35, comma
DOTTRINA 335 
sposizioni di dettaglio introdotte dalla stessa del. n. 16763), confermando altres� 
che gli arbitri sono chiamati ad applicare nelle loro decisioni le norme di 
diritto. 
Mette conto evidenziare che, secondo l�art. 6, d.lgs. n. 179, la clausola 
compromissoria inserita nei contratti di investimento e di gestione collettiva 
del risparmio stipulati con gli investitori � vincolante solo per l�intermediario 
(77), a meno che questo non provi che l�inclusione della clausola sia avvenuta 
per effetto di una trattativa diretta svolta dalle parti contraenti (78). Si tratta di 
una disposizione volta a riconoscere all�investitore, quale parte debole del rapporto, 
la possibilit� di ricorrere liberamente all�Autorit� Giudiziaria Ordinaria, 
a meno che, all�esito di una trattativa effettiva e libera, non abbia raggiunto 
un accordo con l�intermediario, finalizzato a compromettere in arbitri le eventuali 
future controversie. Ne consegue che, nel caso di clausola arbitrale contenuta 
nei contratti conclusi con gli investitori, l�investitore potr� scegliere 
liberamente se perseguire la strada dell�arbitrato oppure adire la giustizia ordinaria 
(79); l�intermediario, invece, qualora intenda far valere la clausola nei 
confronti dell�investitore, al fine di devolvere la controversia alla cognizione 
degli arbitri, dovr� dimostrare che la clausola compromissoria ha formato oggetto 
di trattativa individuale e diretta con l�investitore, s� da superare la presunzione 
di vessatoriet� della clausola stessa. 
Le forme di arbitrato contemplate dall�art. 5, commi 1 e 2, d.lgs. n. 179, 
sono � come accennato � due: l�arbitrato ordinario, volto al risarcimento pieno 
del pregiudizio sub�to dall�investitore, e l�arbitrato semplificato, volto, invece, 
3, primo periodo, la stessa � stata assorbita dalla nuova formulazione dell�art. 819 c.p.c., cos� come la 
nuova dictio dell�art. 829, comma 4, n. 2, c.p.c. riprende il contenuto precettivo degli artt. 35, comma 
3, secondo periodo, e 36, d.lgs. 5/03. 
(77) La vincolativit� della clausola per il solo intermediario naturalmente non comporta l'obbligatoriet� 
dell�arbitrato: come noto, infatti, l�arbitrato c.d. necessario � costituzionalmente illegittimo 
per contrasto con gli artt. 24 e 102 Cost., secondo il costante insegnamento della Corte Cost., in base al 
quale solo la libera scelta delle parti � intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in negativo, 
del diritto di agire in giudizio di cui all'art. 24 Cost. � pu� derogare al divieto di istituzione di giudici 
speciali di cui all'art. 102, comma 2, Cost. (v., tra le altre, la sentt. nn. 127/77, 488/91, 49/94, 206/94, 
232/94, 54/96, 152/96, 381/97). Ne consegue, pertanto, che l'intermediario � pienamente libero di scegliere 
se inserire o meno la clausola arbitrale nel contratto con l'investitore. La rapidit� e la snellezza 
del procedimento arbitrale de quo potrebbero, peraltro, non presentare alcun vantaggio per l'intermediario, 
considerato che la procedura lo vede inevitabilmente coinvolto nella veste di convenuto, e quindi 
non necessariamente interessato ad una celere soluzione della vertenza. 
(78) E� facile osservare, al riguardo, che, in presenza di contratti standardizzati, la prova di una 
trattativa diretta si risolver� in una probatio diabolica in capo all'intermediario. 
(79) E� stato, al riguardo, osservato che il riconoscimento di una pressoch� assoluta libert� di 
scelta in capo all�investitore potrebbe rappresentare un ulteriore disincentivo per l'intermediario a ricorre 
all'arbitrato de quo, in quanto finirebbe col privarlo dei possibili vantaggi, in termini di uniformit� di 
gestione delle controversie, conseguenti alla concentrazione di tutte le vertenze presso l'arbitrato amministrato 
dalla CCA, a fronte della dispersione, anche territoriale, delle controversie giudicate dal giudice 
ordinario.
336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
al ristoro del solo danno patrimoniale patito dall�investitore, mediante il riconoscimento 
di un indennizzo. 
Soffermando per il momento l�attenzione sull�arbitrato ordinario, giova 
innanzitutto considerare che, in base all�art. 17, del. n. 16763, la CCA amministra 
lo svolgimento degli arbitrati, alternativamente: 
- sulla base di una convenzione di arbitrato che richiami espressamente 
le norme del d.lgs. n. 179 e la del. n. 16763 o faccia comunque rinvio all�arbitrato 
amministrato dalla CCA (80); 
- quando di tale arbitrato le parti facciano concorde richiesta scritta. 
Peraltro, anche nel caso in cui non esista tra le parti una convenzione di 
arbitrato che rinvii al giudizio disciplinato dalla del. n. 16763, ciascuna parte 
pu� farne richiesta con l�atto introduttivo del giudizio arbitrale (81). In questo 
caso, tuttavia, affinch� l�arbitrato possa svolgersi, occorre che l�adesione della 
controparte a tale richiesta pervenga alla CCA non oltre il termine stabilito 
dall�art. 20, comma 2, del. n. 16763, per il deposito dell�atto congiunto di nomina 
dell�arbitro unico o del terzo arbitro (82). In mancanza di tale adesione, 
la CCA informa senza indugio le parti e gli arbitri di non poter amministrare 
lo svolgimento dell�arbitrato. 
Quanto alla sede dell�arbitrato, la CONSOB, pur riconoscendo che la sua 
definizione sia espressione dell�autonomia delle parti e, come tale, miri essenzialmente 
a soddisfare esigenze di comodit� logistica, ha nondimeno ritenuto 
opportuno prevedere che, trattandosi di arbitrato amministrato e onde 
consentirebbe alla CCA di assistere pi� efficacemente i collegi arbitrali, l�arbitrato 
in questione abbia sempre sede presso la CCA, fatta salva la diversa 
concorde volont� delle parti (83) (art. 19, del. n. 16763). Peraltro, alla luce 
del rinvio alle norme del codice di rito, resta ferma la possibilit� per gli arbitri 
di tenere udienza, compiere atti istruttori, deliberare e sottoscrivere il lodo 
anche in luogo diverso dalla sede dell�arbitrato (se del caso, persino all�estero), 
(80) Il caso pi� tipico, con ogni probabilit�, sar� rappresentato dall�inserimento nei contratti relativi 
ai servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio di un�apposita clausola, anche se 
non � escluso che le associazioni di categoria degli intermediari decidano di stipulare convenzioni per 
i propri aderenti, in cui si preveda il ricorso all�arbitrato amministrato dalla CCA. 
(81) Si tratta dell�atto con cui, a norma dell�art. 810, comma 1, c.p.c., la parte pi� diligente notifica 
all�altra parte, a mezzo di ufficiale giudiziario, il nome del proprio arbitro, invitandola a rendere note le 
generalit� del proprio arbitro. 
(82) Vale a dire entro 10 giorni dalla scadenza del termine previsto dall�art. 810, comma 1, c.p.c., 
e quindi, al pi� tardi, entro 10 giorni dalle notifiche di cui all�art. 810, comma 1, c.p.c. 
(83) Si tratta di soluzione diversa rispetto a quella adottata per le procedure di conciliazione, per 
le quali non viene privilegiata una sede a priori, ma si tende verosimilmente a favorire la vicinanza del 
conciliatore rispetto al luogo di residenza dell�investitore. Il diverso trattamento si giustifica, secondo 
la CONSOB, in ragione della maggiore diffusione che le procedure di conciliazione, in quanto pi� economiche 
e rapide, sono presumibilmente destinate ad avere rispetto agli arbitrati, soprattutto per le controversie 
di minore entit�, che potrebbero scoraggiare l�investitore ove la procedura dovesse svolgersi 
distante dal suo domicilio.
DOTTRINA 337 
semprech� la convenzione di arbitrato non disponga diversamente (art. 816, 
u.c., c.p.c.). 
Le controversie sono decise da un arbitro unico (84), nominato con atto 
congiunto delle parti, depositato presso la CCA entro 10 giorni dalla scadenza 
del termine previsto dall�art. 810, comma 1, c.p.c., salvo che le parti (85) decidano 
di deferire la controversia a un collegio formato da tre arbitri, nominati 
con gli atti indicati all�art. 810, comma 1, c.p.c. (86). In quest�ultimo caso, il 
terzo arbitro, chiamato a svolgere le funzioni di presidente del collegio (87), 
� nominato con atto congiunto delle parti (oppure degli arbitri da esse nominati), 
depositato presso la CCA sempre entro il termine sopra ricordato. La 
scelta dell�arbitro unico o degli arbitri deve, in ogni caso, avvenire tra i soggetti 
iscritti nell�apposito elenco tenuto dalla CCA. 
Nel caso in cui non si sia provveduto tempestivamente alla nomina di uno 
o pi� arbitri, onde evitare la paralisi della procedura arbitrale, sar� la CCA, in 
funzione suppletiva e residuale, a provvedervi (88), entro 15 giorni dalla scadenza 
del termine previsto dal comma 2 per il deposito dell�atto di nomina 
dell�arbitro unico o del terzo arbitro. In tal caso, la del. n. 16763 ha ritenuto 
opportuno fissare alcuni criteri che la CCA deve osservare nel procedere alla 
nomina degli arbitri: 
- il numero di controversie pendenti innanzi all�arbitro; 
(84) La preferenza accordata dalla del. n. 16763 per l�arbitro unico (dovuta, peraltro, all�accoglimento 
dei rilievi dei partecipanti alla consultazione) si dimostra apprezzabile sia sul piano dell�economia 
processuale, sia dal punto di vista del contenimento delle spese di arbitrato (destinate, infatti, inevitabilmente 
ad aumentare in presenza di un collegio arbitrale). 
(85) Da notare, al riguardo, che il documento di esito della consultazione recava sul punto la seguente 
dizione, difforme rispetto a quella poi apparsa in Gazz. Uff. (che ovviamente prevale): �salvo 
che l�investitore decida di deferire la controversia a un collegio composto da tre arbitri�. 
(86) Nonostante la norma richiami unicamente gli atti di cui all�art. 810, comma 1, c.p.c., non 
sembra potersi dubitare che le parti, in ossequio al principio cardine della sovranit� delle parti stesse sul 
processo arbitrale, possano optare per un arbitrato a tre gi� in fase di redazione della convenzione di arbitrato. 
Inoltre, si ritiene che le parti, di comune accordo, possano decidere per l�arbitro unico o per il 
collegio composto da tre arbitri anche in contrasto rispetto a quanto previsto dalla convenzione di arbitrato. 
In particolare, se la convenzione arbitrale prevede l�arbitro unico, il mancato successivo accordo 
delle parti sulla designazione di tale arbitro legittima senz�altro le parti, ove non intendano deferire la 
controversia a un arbitro designato dalla CCA, ad accordarsi per un arbitrato a tre. Infine, ancorch� la 
convenzione arbitrale preveda l�arbitro unico, l�investitore, con l�atto introduttivo, ben potr� chiedere 
l�arbitrato a tre: nel qual caso, se l�intermediario accetta, nulla quaestio; viceversa, ove l�intermediario 
non acconsenta, la controversia dovr� essere devoluta all�arbitro unico. Peraltro, posto che � come visto 
� la clausola compromissoria vincola solo l�intermediario, a meno che questi non provi che sia frutto di 
una trattativa diretta, resta sempre la facolt� per l�investitore di rinunciare all�arbitrato e ricorrere al giudice 
ordinario. 
(87) Il presidente del collegio arbitrale, con il consenso delle parti, pu� nominare un segretario 
che assista il collegio nell�adempimento delle proprie funzioni. 
(88) Nelle disposizioni regolamentari � stata, dunque, preservata, in linea di principio, la libert� 
delle parti nella nomina degli arbitri, conferendo alla CCA soltanto un ruolo "suppletivo", analogamente 
a quanto prevede il codice di rito con riferimento alle funzioni svolte dal presidente del tribunale.
338 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
- l�esperienza maturata dall�arbitro sulle specifiche questioni oggetto della 
controversia; 
- la necessit� di perseguire, quanto meno in via tendenziale, la parit� di 
trattamento tra uomini e donne; 
- l�equa distribuzione degli incarichi; 
- la vicinanza del luogo di domicilio dell�arbitro alla sede dell�arbitrato 
(quando l�arbitrato non ha sede presso la CCA). 
Tali criteri � come gi� previsto per la nomina del conciliatore � sono da 
intendersi senza ordine di priorit�. 
Una volta nominati, gli arbitri esprimono la loro accettazione per iscritto, 
con atto da depositarsi presso la CCA entro 10 giorni dalla comunicazione 
della nomina stessa. Con la dichiarazione di accettazione gli arbitri attestano 
la permanenza dei requisiti per l�iscrizione nell�elenco e l�inesistenza di rapporti 
con le parti e con i loro difensori tali da incidere sulla loro imparzialit� 
e indipendenza, nonch� di ogni personale interesse (diretto o indiretto) relativo 
all�oggetto della controversia (89). Tali requisiti di indipendenza e imparzialit� 
devono permanere in capo agli arbitri durante tutto il corso del procedimento 
arbitrale: a tal uopo, l�art. 22, comma 3, del. n. 16763 impone agli arbitri l�obbligo 
di comunicare tempestivamente alla CCA e alle parti eventuali circostanze 
sopravvenute, idonee a incidere sulla loro indipendenza e imparzialit�. 
La disciplina della ricusazione degli arbitri si ispira a quella delineata dal 
codice di rito, con alcune rilevanti differenze. Ai sensi dell�art. 23, comma 1, 
del. n. 16763, infatti, ciascuna parte pu� ricusare l�arbitro in presenza delle 
condizioni enumerate dall�art. 815, commi 1-2, c.p.c. (90), presentando alla 
CCA istanza motivata entro il termine di 10 giorni dal momento in cui ha avuto 
(89) Si tratta di una dichiarazione analoga a quella prevista per il conciliatore ex art. 10, del 
n. n. 16763. 
(90) E� previsto che un arbitro possa essere ricusato: 
1) se non ha le qualifiche espressamente convenute dalle parti; 
2) se egli stesso (o un ente, associazione o societ� di cui sia amministratore) ha interesse nella causa; 
3) se egli stesso (o il coniuge) � parente fino al quarto grado o � convivente o commensale abituale 
di una delle parti, di un rappresentante legale di una delle parti o di alcuno dei difensori; 
4) se egli stesso (o il coniuge) ha causa pendente o grave inimicizia con una delle parti, con un suo 
rappresentante legale o con alcuno dei suoi difensori; 
5) se � legato ad una delle parti (a una societ� da questa controllata, al soggetto che la controlla o a 
societ� sottoposta a comune controllo) da un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo 
di consulenza o di prestazione d�opera retribuita ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale 
o associativa che ne compromettono l�indipendenza; inoltre, se � tutore o curatore di una delle 
parti; 
6) se ha prestato consulenza, assistenza o difesa ad una delle parti in una precedente fase della vicenda 
o vi ha deposto come testimone. 
Si tratta di motivi che corrispondono in gran parte a quelli previsti dall�art. 51 c.p.c., ma opportunamente 
integrati e rivisitati alla luce delle peculiarit� del procedimento arbitrale e dei contesti in cui 
questo pu� aver luogo. Peraltro, una parte non pu� ricusare l�arbitro che essa ha nominato o contribuito 
a nominare se non per motivi conosciuti dopo la nomina.
DOTTRINA 339 
conoscenza della dichiarazione di imparzialit� rilasciata dall�arbitro. La CCA 
decide sull�istanza nei 15 giorni successivi alla sua presentazione, sentito l�arbitro 
ricusato e le parti e assunte, ove occorra, sommarie informazioni. Diversamente 
da quanto previsto all�art. 815, comma 5, c.p.c. la proposizione 
dell�istanza di ricusazione sospende il procedimento. Secondo la CONSOB, 
tale diversa disciplina si giustifica in considerazione della presumibile celerit� 
con la quale l�istanza verr� definita dalla CCA, evitando il rischio di veder vanificata 
l�attivit� svolta dagli arbitri in caso di successivo accoglimento della 
stessa. Deve, peraltro, osservarsi che la manifesta inammissibilit� o infondatezza 
dell�istanza � valutata dagli arbitri ai fini della ripartizione tra le parti 
delle spese da queste sostenute per ottenere la decisione, salvo il limite inderogabile 
di cui all�art. 27, comma 5, del. n. 16763, secondo cui, in ogni caso, 
l�investitore, ancorch� soccombente, non potr� essere condannato alla refusione 
delle spese (91). 
Quando, per qualsiasi motivo, vengono a mancare tutti o alcuni degli arbitri 
nominati (92), si provvede tempestivamente alla loro sostituzione nei 
modi e nei tempi previsti dalle disposizioni che disciplinano i meccanismi di 
nomina (cfr. art. 20, del. n. 16763). 
Affinch� lo svolgimento dell�arbitrato possa avere inizio, � necessario 
che le parti depositino presso la CCA, entro 10 giorni dalla notifica, gli atti di 
cui all�art. 810, comma 1, c.p.c., nonch�, se del caso, l�atto congiunto di nomina 
dell�arbitro unico o del terzo arbitro, unitamente alla convenzione di arbitrato 
e all�attestazione dell�avvenuto pagamento della tariffa per il servizio 
di arbitrato (� 100 per ciascuna parte). 
Esperiti tali adempimenti preliminari, la CCA � chiamata a verificare: 
- il deposito della dichiarazione di accettazione della nomina degli arbitri; 
- la completezza e la regolarit� formale della documentazione depositata; 
- la sussistenza delle condizioni per l�esperimento del procedimento arbitrale 
amministrato dalla CCA. 
Se occorre, la CCA inviter� le parti a completare o a mettere in regola gli 
atti e i documenti che riconosce difettosi entro un congruo termine e proceder�, 
ove ne ricorrano le condizioni, alla nomina degli arbitri di sua competenza. 
Inoltre, nell�ipotesi in cui la CCA reputi manifestamente insussistenti le 
(91) Come noto, il legislatore codicistico, nell�intento di scoraggiare iniziative strumentali, 
tese a rallentare lo svolgimento del procedimento arbitrale, ha previsto per la parte che ha proposto 
un�istanza di ricusazione manifestamente inammissibile o manifestamente infondata la condanna al 
pagamento di una somma equitativamente determinata, che non sia comunque superiore al triplo del 
massimo del compenso spettante all�arbitro singolo, in base alla tariffa forense. 
(92) E� il caso, ad es., della mancata accettazione o della rinuncia all�incarico; del grave inadempimento 
degli obblighi stabiliti dal codice deontologico o, comunque, connessi alla funzione 
svolta; della sopravvenuta situazione di infermit�; dell�accoglimento dell�istanza di ricusazione.
340 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
condizioni per l�esperimento del procedimento arbitrale de quo (93), essa pu� 
rifiutarsi di amministrarne lo svolgimento, informandone senza indugio le parti 
e gli arbitri, ove gi� nominati. In tal caso, gli arbitri, se gi� nominati, valuteranno, 
nel corso della prima riunione, le questioni sollevate dalla CCA, decidendo 
su di esse anche ai sensi dell�art. 817 c.p.c. La decisione degli arbitri, 
unitamente alla convenzione di arbitrato come eventualmente emendata dalle 
parti, andr� trasmessa alla CCA, acciocch� valuti in via definitiva se sussistono 
o meno le condizioni per amministrare lo svolgimento dell�arbitrato (94). 
Nel corso della prima riunione, inoltre, gli arbitri chiedono alle parti una 
somma di denaro (determinata dalla CCA (95) su proposta degli arbitri stessi) 
a titolo di acconto dei diritti loro spettanti, nonch� delle spese di difesa che le 
parti sosterranno per ottenere la decisione, stabilendone altres� i criteri di riparto 
fra le parti stesse. Il mancato versamento dell�acconto, nella misura in 
capo a ciascuna delle parti gravante, entro 15 giorni dalla comunicazione della 
richiesta (ovvero entro il diverso termine eventualmente stabilito dagli arbitri), 
importa la improcedibilit� del giudizio. 
In relazione al concreto svolgimento della procedura, la del. n. 16763 rinvia 
� come gi� detto � alle disposizioni del codice di rito (96). 
La disciplina sui termini per la decisione ricalca quella contenuta nel codice 
di rito per l�arbitrato, con alcune modifiche: a fini acceleratori della definizione 
del giudizio arbitrale il termine per la pronuncia del lodo � stato 
fissato nella met� di quello previsto dall�art. 820 c.p.c. (120 giorni dall�accettazione 
della nomina, anzich� 240 giorni) (97). E� stata, inoltre, ripresa la di- 
(93) Il rifiuto della CCA pu� fondarsi, ad es., oltrech� sulla manifesta invalidit� o inefficacia ex 
se della convenzione di arbitrato, anche sulla sua inettitudine a costituire fonte dell�arbitrato amministrato 
dalla CCA (ad es., per la presenza di pattuizioni in contrasto con i princ�pi contenuti nella del. n. 16763), 
senza considerare il caso-limite della estraneit� della vertenza rispetto al campo di applicazione della 
del. n. 16763. 
(94) La CCA ha, quindi, l�ultima parola in ordine alla sussistenza delle condizioni per lo svolgimento 
del giudizio arbitrale, senza essere vincolata dalle considerazioni dell�arbitro unico e del collegio 
arbitrale. 
(95) Come correttamente osservato da un partecipante alla consultazione, la possibilit� di determinare 
la somma da versare a titolo di acconto rappresenta un potere che in tutti i regolamenti arbitrali 
� affidato al soggetto terzo (c.d. istituzione arbitrale) che, per il tramite del regolamento unilateralmente 
predisposto, fornisce al pubblico i propri servizi di amministrazione dell�arbitrato. La circostanza che 
la CCA, nella bozza di regolamento posta in consultazione, non avesse un potere di controllo sugli acconti 
richiesti dagli arbitri a pena di improcedibilit� rappresentava, quindi, un�inopportuna stranezza. 
(96) Un breve cenno merita solo il tema del regime probatorio. L�art. 23, comma 6, TUF, stabilisce 
� come noto � che �[n]ei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei 
servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l�onere della prova di aver agito 
con la specifica diligenza richiesta�; ora, pur nel silenzio sul punto del d.lgs. n. 179 e della del. n. 16763, 
appare condivisibile la tesi di chi, evidenziando che le controversie relative alla violazione degli obblighi 
di informazione, correttezza e trasparenza nascenti da un contratto di intermediazione finanziaria rientrano 
senz�altro nell�ambito di applicazione del TUF, ha sostenuto l�applicabilit� della surricordata disciplina 
probatoria anche con riferimento ai procedimenti arbitrali amministrati dalla CCA.
DOTTRINA 341 
sposizione dell�art. 820, comma 3, c.p.c., relativa alla possibilit� di prorogare 
il suddetto termine, prima della sua scadenza, per un periodo non superiore a 
120 giorni, qualora lo richiedano tutte le parti con dichiarazioni scritte indirizzate 
agli arbitri o venga deciso dalla CCA, su istanza motivata di una delle 
parti o degli arbitri, sentite le altre parti. Peraltro, il termine � prorogato de 
jure di 120 giorni nei casi seguenti (e per non pi� di una volta nell�ambito di 
ciascuno di essi): 
- se devono essere assunti mezzi di prova; 
- se � disposta CTU; 
- se � pronunciato lodo non definitivo o lodo parziale; 
- se � modificata la composizione del collegio arbitrale o � sostituito l�arbitro 
unico. 
In ogni caso di sospensione del procedimento arbitrale, il termine rincomincer� 
a decorrere dal giorno in cui � depositata presso gli arbitri l�istanza 
di prosecuzione e, se il termine residuo � inferiore a 45 giorni, si estender� 
sino a raggiungere tale durata. 
I costi del procedimento arbitrale comprendono gli onorari per gli arbitri, 
le spese da loro sostenute (98) e la tariffa poste a carico degli utenti per il servizio 
prestato dalla CCA (quest�ultima � come detto � fissata in � 100 per ciascuna 
parte). 
L�art. 27, comma 1, del. n. 16763, stabilisce che gli arbitri hanno diritto 
al rimborso delle spese da loro sostenute e all�onorario per l�opera prestata, a 
meno che non vi abbiano rinunciato al momento dell�accettazione o con atto 
scritto successivo. Contrariamente a quanto previsto dall�art. 814, comma 2, 
c.p.c. (99), l�art. 27, comma 2, del. n. 16763, ha previsto un meccanismo in 
forza del quale � la CCA, su proposta degli arbitri, a provvedere alla liquidazione 
delle spese e degli onorari, secondo la tabella allegata alla del. n. 16763 
(100), in analogia a quanto previsto per le indennit� spettanti al conciliatore. 
Tale liquidazione � vincolante per le parti, che sono tenute al pagamento in 
(97) Da notare che non � stata prevista la possibilit� per le parti, con la convenzione di arbitrato 
o con un accordo anteriore all�accettazione degli arbitri, di fissare un diverso termine per la pronuncia 
del lodo. 
(98) Il rapporto che si instaura tra le parti e l�arbitro e che fonda il diritto di quest�ultimo al compenso 
� costituito da un contratto d�opera intellettuale. 
(99) In base al quale la liquidazione delle spese e dell�onorario effettuata direttamente dagli arbitri 
non � vincolante per le parti che non l�accettano. 
(100) La tabella allegata al del. n. 16763 fissa gli onorari degli arbitri sulla base di un minimo e 
di un massimo determinato per scaglioni relativi al valore della controversia, distinguendo a seconda 
che si tratti di arbitro unico o di collegio arbitrale. Per ciascuno scaglione gli onorari minimi e massimi 
devono essere aumentati dello 0,5% sull�eccedenza del valore della controversia rispetto all�importo 
minimo dello scaglione. Gli onorari massimi riportati nella tabella possono essere raddoppiati dalla CCA 
con decisione motivata in relazione alla particolare importanza, complessit� e difficolt� della controversia. 
Per dissuadere le parti alla scelta del collegio arbitrale si � provveduto ad aumentare di circa un 
terzo i valori minimi e massimi previsti per le tariffe spettanti al�arbitro unico.
342 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
via solidale, salvo rivalsa fra di loro. Spetta, invece, agli arbitri liquidare nel 
lodo le spese di difesa (101) sostenute dalle parti per ottenere la decisione. 
Per quanto riguarda la ripartizione degli oneri connessi al compenso degli 
arbitri e alle spese di difesa, l�art. 27, comma 4, del. n. 16763, richiama espressamente 
il criterio della soccombenza, centrale nell'assetto normativo sulle 
modalit� di distribuzione del carico delle spese processuali sancito dagli artt. 
91 e 92 c.p.c. Tuttavia, secondo il comma 5 dell�art. 27, in caso di soccombenza 
(totale o parziale) dell�investitore, non determinata dalla temerariet� 
della pretesa da questi azionata, gli oneri connessi ai diritti degli arbitri e alle 
spese di difesa gravano sulle parti in eguale misura. Ci� significa, in buona 
sostanza, che l�investitore soccombente sar� tenuto a rimborsare all�intermediario 
le spese sostenute per l�arbitrato solo in caso di azione temeraria (102); 
in ogni altro caso, le spese saranno compensate (103). 
La del. n. 16763 non contiene alcuna disposizione in materia di impugnazione 
del lodo. In virt� del generale richiamo alle disposizioni degli artt. 
806 ss. c.p.c. contenuto nell'art. 18, comma 1, del. n. 16763, pu�, pertanto, affermarsi 
che la disciplina applicabile � quella contenuta nel codice di rito, con 
la precisazione che il lodo sar� impugnabile anche per violazione delle regole 
di diritto relative al merito della controversia (104). 
2.6. Le modalit� di attivazione e gestione dell�arbitrato amministrato di tipo 
semplificato 
La seconda forma di arbitrato amministrata dalla CCA � costituita dal c.d. 
arbitrato semplificato. Espressamente previsto dall'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 
179, e regolato dagli artt. 28 ss., del. n. 16763, il procedimento arbitrale semplificato 
� finalizzato al ristoro del solo danno patrimoniale sofferto dall'investitore, 
per effetto dell'inadempimento da parte dell'intermediario degli 
obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti con- 
(101) Si tratta delle spese per l�assistenza di un difensore, per l�ausilio di tecnici e consulenti et similia. 
(102) Si ricorda che il carattere temerario della lite, per costante giurisprudenza, va ravvisato nella 
coscienza dell�infondatezza della domanda e delle tesi sostenute oppure nel difetto della normale diligenza 
per l'acquisizione di detta consapevolezza. 
(103) La stessa CONSOB non ha mancato di riconoscere che siffatta deroga al principio della soccombenza 
potrebbe disincentivare gli intermediari a inserire la clausola arbitrale all�interno dei contratti 
di investimento da loro predisposti, finendo, cos�, per limitarne fortemente la diffusione. Nonostante le 
forti pressioni in senso contrario manifestate in sede di consultazione, la CONSOB ha comunque ritenuto 
di non modificare tale scelta regolamentare, adottata al chiaro scopo di garantire all�investitore una posizione 
di maggior favore. 
(104) In forza del combinato disposto dell'art. 829, comma 3, c.p.c. (secondo cui l'impugnazione 
per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia � ammessa se espressamente disposta 
dalle parti o dalla legge) e dell�art. 5, comma 4, d.lgs. n. 179 (in base al quale il lodo � sempre impugnabile 
per violazione di norme di diritto).
DOTTRINA 343 
trattuali con gli investitori, mediante il riconoscimento di un indennizzo (105). 
L�obiettivo della semplificazione viene perseguito articolando l�organizzazione 
della procedura in modo da realizzare una sensibile riduzione dei tempi 
e dei costi rispetto all�arbitrato amministrato di tipo ordinario. 
Affinch� possa essere attivata la procedura semplificata occorre che la 
possibilit� di ricorrervi risulti espressamente dal testo della convenzione di arbitrato 
(106). L'art. 29, comma 2, del. n. 16763, precisa, inoltre, che il giudizio 
pu� essere attivato soltanto dall'investitore (107). Infine, analogamente a 
quanto previsto per la conciliazione, la domanda � proponibile solo se sulla 
medesima controversia l�investitore abbia gi� presentato reclamo all'intermediario, 
a cui abbia fatto seguito un�espressa risposta negativa, ovvero sia decorso 
il termine di 90 giorni (o il termine pi� breve eventualmente stabilito 
dall'intermediario per la trattazione del reclamo) senza che l'investitore abbia 
ottenuto risposta (108). 
Il procedimento si svolge dinanzi a un arbitro unico, nominato dalle parti 
nei modi e nei tempi gi� analizzati a proposito dell'arbitrato ordinario; in mancanza 
di accordo, la nomina � demandata alla CCA, che vi provvede tenendo 
conto dei criteri parimenti gi� ricordati. 
L�iter procedimentale � congegnato per soddisfare esigenze di economia 
processuale e impedire l�abuso del diritto di difesa da parte del convenuto. In 
particolare, la rapidit� del procedimento � correlata alla natura sommaria della 
cognizione demandata all�arbitro, fondata esclusivamente sulle prove precostituite 
acquisite al giudizio per il tramite degli atti introduttivi (domanda di 
accesso dell�investitore e atto di risposta dell�intermediario). A tal proposito, 
� stabilito che le parti, a pena di decadenza, indichino in tali atti i documenti 
che intendono offrire in comunicazione; l�intermediario deve altres� depositare 
tutta la documentazione afferente al rapporto controverso (analogamente a 
quanto previsto per il tentativo di conciliazione). Tali previsioni limitano fortemente 
l�attivit� istruttoria delle parti, imponendo un rigido regime di preclusioni, 
funzionale alla massima tempestivit� del giudizio arbitrale, destinato 
a svolgersi tendenzialmente in un�unica udienza (109), da tenersi non oltre 15 
(105) Una simile forma di arbitrato (c.d. Arbitrato Rapido) � gi� nota in Italia e viene utilizzata 
presso alcune camere arbitrali, quali la Camera arbitrale della provincia di Modena e il Centro di Mediazione 
ed arbitrato �Curia Mercatorum�, istituito dalla C.C.I.A.A. di Treviso. 
(106) La clausola compromissoria pu� anche prevedere entrambi i tipi di arbitrato. 
(107) Se si ha riguardo all�oggetto �necessario� della domanda, rappresentato dalla riparazione del 
solo detrimento patrimoniale cagionato all�investitore, la prescrizione appare decisamente pleonastica. 
(108) Secondo la CONSOB, tale condizione di ammissibilit� risponde alla necessit� di portare all�esame 
dell�arbitro, il quale opera all�interno di un procedimento a cognizione sommaria, questioni sulle 
quali entrambe le parti hanno gi� avuto modo di confrontarsi. 
(109) Laddove sussistano determinate circostanze ovvero particolari esigenze anche di tipo istruttorio, 
l�arbitro pu� fissare una nuova udienza, in prosecuzione di quella gi� conclusa, da tenersi nei 20 
giorni successivi.
344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
giorni dall�intervenuta accettazione dell�arbitro. Nel corso dell�udienza, l'arbitro, 
una volta verificata la regolarit� del contraddittorio, procede all�interrogatorio 
libero delle parti, richiede loro, sulla base dei fatti allegati, i 
chiarimenti necessari e indica eventualmente le questioni rilevabili ex officio 
di cui ritiene opportuna la trattazione. Al termine della discussione, l'arbitro 
invita le parti a precisare le conclusioni. 
A questo punto, l'arbitro, nei 20 giorni successivi alla data di precisazione 
delle conclusioni, deve pronunciare il lodo rebus sic stantibus, cio� unicamente 
sulla base dei documenti prodotti e degli elementi emersi nel corso dell'udienza 
(110). La domanda potr� trovare accoglimento se, alla luce delle deduzioni 
formulate dall'intermediario e dei soli documenti introdotti in giudizio, l�arbitro 
riterr� sussistenti i fatti costitutivi, condannando l'intermediario al pagamento 
in favore dell'investitore di una somma di denaro a titolo di indennizzo, 
idonea a ristorare il solo danno patrimoniale dallo stesso patito, quale conseguenza 
immediata e diretta dell'inadempimento dell'intermediario, nei limiti 
della quantit� del danno per cui ritiene raggiunta la prova (111). 
(110) A tale riguardo, la CONSOB ha affermato che la scelta di circoscrivere il regime probatorio 
alle sole prove precostituite � giustificata dal carattere sommario dell�arbitrato semplificato e dalla celerit� 
che caratterizza tale procedura. Il diritto di difesa, peraltro, non ne risulterebbe compromesso, considerando 
che il principio di vicinanza della prova e l�obbligo di corretta tenuta della documentazione 
gravante sull�intermediario consentono senz�altro all�intermediario di approntare nel modo migliore la 
difesa delle proprie posizioni. 
(111) In merito alla natura giuridica di tale indennizzo le opinioni divergono. Secondo alcuni, si 
tratterebbe di una pena privata. In senso contrario � stato, per�, rilevato che il riconoscimento di una 
pena privata prescinde dall'esistenza del danno e dalla sua prova ed � disposto automaticamente in caso 
di accertamento della violazione di una norma, mentre il riconoscimento dell'indennizzo de quo � subordinato 
all'accertamento (sommario) del pregiudizio patrimoniale sub�to dall'investitore, nonch� all'accertamento 
(pieno) della violazione degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza da parte 
dell'intermediario. A chi ha ravvisato nella fattispecie gli estremi di un indennizzo di tipo civilistico � 
stato correttamente replicato che alla base del riconoscimento di un indennizzo in senso tecnico si pone, 
di norma, un fatto lecito; la determinazione del quantum debeatur �, inoltre, frutto di una valutazione 
equitativa ad opera dell�organo decidente; infine, il ristoro ottenuto con l'indennizzo � esclusivo e tacitativo 
di ogni pretesa. La soluzione che ha raccolto maggiori consensi considera l'indennizzo in parola 
come una somma riconosciuta a titolo di provvisionale, sulla falsariga di quanto previsto dall'art. 278 
c.p.c. per il caso della condanna generica. Si tratterebbe, in sostanza, di un�anticipazione parziale e provvisoria 
del risarcimento dei danni causati all'investitore dall'inadempimento dell'intermediario agli obblighi 
di informazione, correttezza e trasparenza. In effetti, tenuto conto che il riconoscimento a favore 
dell'investitore dell'indennizzo presuppone, in ogni caso, l'accertamento del danno sub�to, la natura di 
tale indennizzo non potrebbe essere altro che risarcitoria. Peraltro, come si illustrer� pi� oltre nel testo, 
all'investitore � sempre riconosciuto il diritto di ottenere giudizialmente il risarcimento del maggior 
danno patito in conseguenza dell'inadempimento dell'intermediario. Se, quindi, l'investitore ha la possibilit� 
di ottenere il pieno ed integrale ristoro di tutti i danni subiti, sembra chiaro che l'indennizzo finalizzato 
a ristorare il solo danno patrimoniale configuri un'anticipazione provvisoria e parziale del 
danno sub�to. Rispetto, tuttavia, alla provvisionale di cui all'art. 278 c.p.c., l'indennizzo de quo si differenzia 
per il fatto di discendere da una procedura a cognizione sommaria: in sostanza, mentre nel procedimento 
ordinario la provvisionale � emessa sulla base di una cognizione completa dell�an debeatur, 
nell�arbitrato semplificato la determinazione dell'indennizzo � basata sulla raggiunta prova del quantum, 
all�esito di un accertamento fondato unicamente su prove precostituite.
DOTTRINA 345 
Il lodo va, quindi, depositato dall'arbitro presso la CCA, che lo sottopone 
alla CONSOB per il visto di regolarit� formale di cui all'art. 3, comma 4, d.lgs. 
n. 179. 
Il lodo, anche nell�ipotesi in cui sia stato riconosciuto l�indennizzo in favore 
dell�investitore, pu� essere dallo stesso impugnato davanti all�Autorit� 
Giudiziaria Ordinaria, onde ottenere la condanna dell�intermediario al risarcimento 
del maggior danno (112) derivante dal suo inadempimento contrattuale 
(art. 3, comma 3, d.lgs. n. 179). In ogni caso, contro il lodo che non ha 
riconosciuto l�indennizzo � sempre possibile l�impugnazione da parte dell�investitore 
per i motivi di nullit� di cui all�art. 829 c.p.c. 
Il lodo, per gli stessi motivi, � impugnabile anche da parte dell�intermediario. 
A tal proposito, al fine di rispettare la volont� delle parti di affidare a 
un arbitro la risoluzione della controversia, si �, peraltro, stabilito che la Corte 
di appello, ove accolga l�impugnazione per nullit� del lodo semplificato, non 
possa comunque pronunciare sul merito dei fatti oggetto di controversia, dovendosi 
limitare al giudizio rescindente. Siffatta tassativa esclusione del giudizio 
rescissorio si discosta decisamente da quanto previsto dall�art. 830 c.p.c., 
secondo cui, in taluni casi, la Corte d�appello pu� decidere nel merito la controversia, 
in assenza di diversa volont� contraria delle parti, contenuta nella 
convenzione d'arbitrato o espressa con accordo successivo (113). 
Mette conto osservare, da ultimo, che il legislatore non ha concesso all�intermediario 
la possibilit� di adire il giudice ordinario per ottenere una piena 
istruzione sui fatti di causa, in grado eventualmente di riformare la decisione 
presa in favore del risparmiatore al temine dell�arbitrato semplificato (114). 
(112) Secondo la CONSOB, tale maggior danno deve derivare da elementi non considerati nell�ambito 
del giudizio arbitrale, il quale � di natura semplificata e sommaria ed � circoscritto ai soli danni 
patrimoniali. 
(113) La CONSOB ha osservato, in proposito, che la derogabilit� della disposizione codicistica 
legittima pienamente la rigida soluzione regolamentare, tanto pi� ove si consideri che la volont� delle 
parti di ricorrere alla procedura in discorso si presenta "rafforzata" dalla necessit� di farvi espresso richiamo 
nella convenzione di arbitrato. 
(114) Tale preclusione, secondo la CONSOB, troverebbe giustificazione in considerazione del 
fatto che l�intermediario � in grado di difendersi adeguatamente gi� in sede arbitrale, potendo portare in 
giudizio tutte le prove documentali a suo favore. Inoltre, l�intermediario, nel momento in cui partecipa 
alla procedura arbitrale semplificata, � ben a conoscenza dell�esistenza e dei termini della controversia 
(essendo prevista come condizione di ammissibilit� la previa presentazione di un reclamo da parte dell�investitore) 
ed � in possesso di tutti i documenti e le registrazioni riguardanti il rapporto controverso 
(avendo l�obbligo di produrli al momento della costituzione in giudizio).
346 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
Rassegna giurisprudenziale 
sul diritto dell�energia 
Le recenti decisioni riguardanti il PEARS 
Lidia La Rocca* 
La presente rassegna si concentrer�, essenzialmente, sui pi� recenti arresti 
giurisprudenziali in tema di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili 
ed eolica in particolare, quale settore nel quale continua a registrarsi 
(ed, anzi, ad intensificarsi) l�emersione, in sede giudiziale, di rilevanti nodi 
interpretativi afferenti alla corretta interpretazione della vigente disciplina, 
nonch�, in definitiva, al rapporto esistente - nel quadro costituzionale di riferimento 
- tra i soggetti pubblici titolari dei poteri e delle competenze autorizzatorie 
e le aspettative degli operatori economici del settore. 
Ed infatti, come di recente osservato in dottrina (S. PICONE, Tutela dell�ambiente 
e realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti 
rinnovabili, in giustizia-amministrativa.it), � palesemente crescente la quantit� 
e la complessit� del contenzioso amministrativo riguardante la materia delle 
energie rinnovabili, e ci� a causa, oltre che dell�evidente rilevanza degli interessi 
economici in gioco, dei seguenti fattori specifici (alcuni dei quali emersi 
nel corso degli interventi che mi hanno preceduto): 
- il sempre maggiore protagonismo delle regioni nella regolazione del 
settore dell�energia, a fronte di un riparto delle competenze sul quale � intervenuta, 
con funzione chiarificatrice, la Corte Costituzionale, ma che appare 
ancora piuttosto problematico (specie con riferimento alle regioni a statuto 
speciale); 
- la problematicit� di alcuni istituti procedimentali, come l�autorizzazione 
unica ex art. 12 D.Lgs. n. 387/2003, o gli accordi tra privati e pubblica amministrazione, 
che, pur essendo ispirati ad esigenze di semplificazione, efficacia 
ed efficienza dell�azione amministrativa, danno origine a dubbi interpretativi. 
Trattasi, come vedremo, di aspetti tra loro strettamente connessi, che determinano, 
allo stato attuale, l�insorgenza di un elevatissimo contenzioso e la 
sostanziale rimessione all�autorit� giudiziaria (chiamata in qualche modo a 
supplire alle carenze ed ai limiti degli altri poteri) di decisioni in materia di 
diritto dell�energia e dell�ambiente che dovrebbero piuttosto attenere alla sfera 
politico � amministrativa (con il rischio, da taluni autorevolmente paventato, 
(*) Avvocato dello Stato. 
Intervento al Seminario di aggiornamento tenutosi a Palermo il 14 e 15 maggio 2010 su 
�L�evoluzione del diritto dell�ambiente: novit� giurisprudenziali e rapporti con il diritto 
dell�energia�.
DOTTRINA 347 
di pervenire ad un superamento del giusto equilibrio tra valutazioni politico 
amministrative e valutazioni giudiziarie). 
In particolare, la mancata adozione e pubblicazione, da parte della Conferenza 
unificata, delle �linee guida� (previste dal comma 10 dell�art. 12 
D.Lgs. n. 387/2003) per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione 
unica disciplinato dalla suddetta legge in attuazione della Direttiva 
2001/77/CE, ha sin qui costituito un�evidente ostacolo al corretto sviluppo 
della normativa regionale, primaria e secondaria, inerente ai procedimenti di 
autorizzazione alla costruzione ed all�esercizio degli impianti di energia elettrica 
alimentati da fonti rinnovabili, quale settore prevalentemente rientrante 
� come chiarito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 383/2005) � nella materia 
�produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell�energia� di cui all�art. 
117, comma 3, Cost. e dunque appartenente alla competenza legislativa 
concorrente dello Stato e delle Regioni, da esercitarsi nel rispetto dei principi 
fondamentali fissati dallo Stato. 
Nelle varie pronunce in materia, inoltre, il Giudice delle leggi ha chiarito 
che l�indubbia inerenza del settore delle energie rinnovabili anche ad altri interessi 
e �materie� costituzionali, quali, ad esempio, ambiente e governo del 
territorio (sentenza n. 364/2006), ovvero, tutela del paesaggio (sentenza n. 
166/2009), non esclude che esso incida primariamente, cio� in modo prevalente, 
sull�interesse della collettivit� alla produzione energetica ed all�approvvigionamento 
energetico (per di pi� in forme non inquinanti, in omaggio al 
favor verso le fonti energetiche rinnovabili emerso nella normativa internazionale, 
comunitaria e nazionale). 
Sotto altro profilo, poi, va considerato che l�intero settore del mercato 
dell�energia si inserisce, sempre in forza di precise scelte del legislatore comunitario 
e nazionale, in un ambito di attivit� d�impresa concorrenziale, sottoposta 
a controllo e regolazione amministrativa, ma non pi� riservata alla 
mano pubblica, n� soggetta a regime di privativa o contingentamento. In tale 
contesto, poi, ancor pi� marcata risulta, a scopo incentivante (cfr., L. RICCI, 
Procedure autorizzative per la realizzazione di impianti di produzione di energia 
da fonti rinnovabili e pluralit� di domande, in Riv. Giur. Ambiente 2009, 
06, 889), la liberalizzazione delle attivit� di produzione di energia mediante 
fonti rinnovabili, avendo la direttiva 2001/77/CE imposto agli stati membri di 
ridurre gli ostacoli normativi o di altro tipo all�aumento delle produzione di 
elettricit� da fonti energetiche rinnovabili, di razionalizzare ed accelerare le 
procedure amministrative e di garantire oggettivit�, trasparenza e carattere non 
discriminatorio alle norme in materia (principi di cui costituiscono come detto 
attuazione il D.Lgs. n. 387/2003 e la L. n. 239/2004). 
In base alle suddette normative, dunque, l�attivit� di realizzazione e gestione 
degli impianti alimentati da fonti rinnovabili costituisce un�attivit� d�impresa 
liberalizzata, suscettibile di essere realizzata da chiunque, sulla base di
348 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2010 
un�autorizzazione amministrativa unica rilasciata dalla Regione; sicch� si � 
fermamente escluso, a livello giurisprudenziale, la sussistenza di un potere 
dell�autorit� comunale di instaurare procedure pubblicistiche di natura concessoria 
a presidio dell�attivit� di produzione di energia elettrica da fonti tradizionali 
o rinnovabili (Tar Puglia Bari, Sez. I, 1 aprile 2008 n. 709), ovvero 
di approvare linee-guida per la realizzazione e la gestione di impianti eolici 
sul territorio comunale da parte di privati contenenti, tra l�altro, condizioni 
economiche, garanzie ed impegni richiesti alle societ� proponenti (Cons. Stato, 
Sez. III, 14 ottobre 2008 n. 2849; commentata da M. VITUCCI in Riv. Giur. Ambiente 
2009, 2, 359). Per quanto, infatti, si tratti di attivit� che rivestono una 
significativa importanza nell�ottica dell�apertura e dello sviluppo del mercato 
comunitario e dell�ambiente, esse non rientrano nella nozione di servizio pubblico 
locale ai sensi dell�art. 112 e ss. D. Lgs. n. 267/2000. 
La piena liberalizzazione dell�attivit� ed il conseguente limitato potere a 
disposizione delle singole autorit� comunali (ad esempio non legittimate dall�ordinamento 
a stabilire unilateralmente le eventuali misure compensative, 
di cui si dir� meglio oltre) rendono dunque arduo il ricorso, in tale materia 
(cos� come in quella, parzialmente affine, dell�urbanistica) allo strumento degli 
accordi tra privati e pubbliche amministrazioni di cui all�art. 11 L. n. 241/1990, 
che rischia di determinare disparit� di trattamento tra le imprese, ovvero di far 
perdere di vista, in un�ottica �contrattualizzata� ed individuale, gli interessi 
pubblici di cura e gestione del territorio e dell�ambiente comunque sottesi alla 
materia. 
Di tali profili, specificamente relativi alla ristretta competenza in materia 
dei Comuni, si � ad esempio recentemente occupato il Tar Sicilia Palermo Sez. 
II nella sentenza n. 273 dell�11 gennaio 2010, resa su un ricorso proposto da 
una societ� (la Gamesa Energia Italia s.p.a.) avverso gli atti con cui il Comune 
di Gangi aveva espletato una selezione informale per l�individuazione della 
proposta progettuale per la realizzazione e la gestione di un parco eolico, procedendo 
poi all�approvazione di uno schema di convenzione e concessione 
con la societ� che aveva presentato la proposta ritenuta pi� vantaggiosa e conveniente. 
I decidenti, infatti, dopo aver riconosciuto la sussistenza dell�interesse 
ad agire della ricorrente (quale impresa che aveva in precedenza 
presentato alla Regione, ai fini della V.I.A. e dell�autorizzazione ex art. 12 D. 
Lgs. n. 387/2003, un progetto, ancora non esitato, per la realizzazione di un 
parco eolico nella medesima area), hanno in primo luogo affermato che nel 
presente quadro normativo di riferimento, caratterizzato dall�assenza di una 
legislazione regionale di recepimento dei principi fissati dal D.Lgs. n. 
387/2003 e dalla Dir. 2001/77/CE, il parametro di legittimit� degli atti comunali 
impugnati deve rinvenirsi nella legislazione statale (per l�appunto costituita 
dal D.Lgs. n. 387/2003 e dalla L. n. 239/2004), la quale assegna 
unicamente alle Regioni (o alle Province da esse eventualmente delegate) le
DOTTRINA 349 
funzioni abilitative in materia, da esercitarsi tassativamente nelle forme procedimentali 
dell�autorizzazione unica prevista dall�art. 12. 
Come inoltre gi� precedentemente affermato dal Consiglio di Stato nel 
sopra citato parere n. 2849 del 14 ottobre 2008, deve ritenersi preclusa per il 
Comune ogni possibilit� di aggravare il procedimento di autorizzazione unica 
regionale, indicendo una gara per la selezione della migliore proposta per la 
realizzazione di un parco eolico, posto che �cos� operando, si trasforma un�attivit� 
libera, soggetta ad autorizzazione (intesa come rimozione di un limite 
all�esercizio di un diritto preesistente), in un�attivit� riservata ai poteri pubblici, 
soggetta a concessione (intesa come atto costitutivo di un diritto che non 
preesiste)�. Da qui, dunque, l�illegittimit� degli atti comunali impugnati, sostanzialmente 
inquadrati in un�ottica concessoria. 
** *** ** 
Il contenzioso pi� rilevante ha comunque di recente riguardato il versante, 
ben pi� nevralgico, relativo all�esatta individuazione dei limiti della potest� 
legislativa ed amministrativa delle Regioni, su tale terreno essendosi maggiormente 
evidenziati i limiti operativi e la sostanziale �paralisi� derivante dalla 
mancata applicazione delle linee guida previste dall�art. 12, comma 10, D. 
Lgs. n. 287/2003 (forse finalmente in vista di pubblicazione). 
Per quelle regioni, infatti, che hanno proceduto all�esercizio della propria 
potest� legislativa concorrente in materia, adottando normative volte in qualche 
modo a specificare ed arricchire dal punto di vista contenutistico il procedimento 
volto al rilascio dell�autorizzazione unica regionale, si � aperta come 
gi� visto la strada delle questioni di legittimit� costituzionale, necessaria al 
fine di stabilire � nel quadro del corretto riparto di competenze tra Stato e regioni 
� la conformit� delle impugnate disposizioni regionali ai principi fondamentali 
della materia fissati dal Legislatore statale e rinvenibili, per 
l�appunto, nell�art. 12 D. Lgs. n. 387/2003 e nella L. n. 239/2004. 
In quella sede, pertanto, si � affermato (Corte Cost. n. 282/2009) che l�art. 
12 D.Lgs. n. 387/2003 (nonch� la successiva L. n. 239/2004, di riordino dell�intero 
settore energetico) costituisce �principio fondamentale� nella materia 
della produzione, trasporto e distribuzione dell�energia, in quanto tale norma 
�risulta ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerit�, 
garantendo, in modo uniforme sull�intero territorio nazionale, la conclusione 
entro un termine definito del procedimento autorizzativo�; il D.Lgs. n. 
387/2003 riveste dunque lo stesso carattere �non derogabile� delle statuizioni 
della direttiva N. 2001/77/CE di cui costituisce attuazione (Corte Cost. n. 
124/2010). 
E la natura assolutamente vincolante e speciale del procedimento delineato 
dall�art. 12 (ancor pi� ispirato, dopo le modifiche della legge finanziaria 
2008, L. n. 244/2007, ad evidenti finalit� di accelerazione e semplificazione)
350 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2010 
ha ad esempio costituito, in ambito regionale siciliano, il criterio per definire 
i rapporti esistenti tra l�autorizzazione unica ed il procedimento di valutazione 
di impatto ambientale per i progetti relativi alla realizzazione di energia mediante 
lo sfruttamento del sole disciplinato dal D.P.R. 12 aprile 1996 (�Atto 
di indirizzo e coordinamento per l�attuazione dell�art. 40, comma 1, della L. 
22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione 
di impatto ambientale�), a sua volta richiamato nel Decreto dell�Assessore regionale 
del Territorio e dell�Ambiente del 17 maggio 1996. 
Come chiarito, infatti, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa con una 
serie di recenti decisioni (n. 57 del 25 gennaio 2010, ma anche nn. 40, 41 e 42 
del 2010), non vՏ dubbio che la VIA rappresenta un sub procedimento dotato 
di �spiccata autonomia�, anche in considerazione degli interessi protetti e della 
loro rilevanza assolutamente prioritaria; ma tale esatta considerazione non � 
sufficiente per affermare la prevalenza della relativa disciplina in materia, 
anche nella parte in cui essa preveda tempi di conclusione del procedimento 
diversi e pi� lunghi rispetto a quelli, perentori, indicati dalla normativa sull�autorizzazione 
unica, fissati nel ragionevole limite di centottanta giorni, che 
appare compatibile anche con le possibili complessit� tecniche della V.I.A.. 
Va dunque pienamente condivisa la tesi secondo cui la VIA costituisce parte 
del procedimento per il rilascio dell�autorizzazione unica per l�attivazione di 
impianti di energia rinnovabile, sicch� anche l�Assessorato Territorio e Ambiente, 
competente all�adozione della VIA, va considerato alla stregua di �amministrazione 
interessata� ai sensi dell�art. 12 D.Lgs. n. 387/2003 (il quale 
non prevede affatto che il termine di 180 giorni possa iniziare a decorrere solo 
dopo l�espletamento della VIA). 
Con tale ricostruzione si pone tuttavia palesemente in contrasto il consolidato 
orientamento del Tar Sicilia Palermo secondo cui �in tema di realizzazione 
di impianti di energia eolica, il procedimento di valutazione di impatto 
ambientale ex D.P.R. 12 aprile 1996 � autonomo rispetto a quello di autorizzazione 
unica previsto dall�art. 12 D.Lgs. 29 dicembre 2003 n. 387� (Sez. III, 
22 maggio 2009 n. 955; in senso conforme, Sez. I, 27 maggio 2008 n. 683; 
nonch�, da ultimo, Sez. I, 15 maggio 2010 n. 2923). In base a tale prospettazione, 
invero, i Giudici di prime cure continuano a ritenere assistita da un autonomo 
interesse ad agire l�impugnativa proposta avverso i pareri negativi 
espressi dalla Soprintendenza BB.CC.AA. ai fini del rilascio della V.I.A., ma 
relativi a progetti per i quali la societ� ricorrente non abbia ancora attivato la 
procedura per l�autorizzazione unica ex art. 12 D.Lgs. n. 387/2003 (nell�ambito 
della cui conferenza di servizi dovrebbero invece essere acquisiti, nella 
ricostruzione sistematica ed unitaria delineata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa, 
tutti i pareri delle �amministrazioni interessate�). 
Da questo punto di vista, dunque, la tesi del Tar Palermo sembra in qualche 
modo tradire le stesse istanze di semplificazione, di diretta derivazione
DOTTRINA 351 
comunitaria, sottese all�art. 12 D.Lgs n. 387/2003, favorendo una sorta di duplicazione 
dei procedimenti e dei pronunciamenti dell�autorit� preposta alla 
tutela del paesaggio (coinvolta, ove ne ricorrano i presupposti, sia nel procedimento 
di VIA che in quello di autorizzazione unica) che, oltre ad aggravare 
l�azione amministrativa, determina anche una sovrapposizione dei giudizi relativi 
all�una o all�altra delle due procedure, con possibile strumentalizzazione 
della stessa tutela giurisdizionale (1) . 
L�autonomia tra i due procedimenti � stata poi ribadita dal Tar Sicilia Palermo 
(sempre ai fini del riconoscimento dell�interesse ad agire anche in caso 
di mancata attivazione del procedimento per l�autorizzazione unica ex art. 12 
D.Lgs. n. 387/2003) in un�altra serie di recenti ed importanti decisioni (nn. 
2919, 2920, 2921, 2922 e 2923 del 2010), rese con riferimento alle impugnative 
proposte avverso due rilevanti atti amministrativi generali adottati dall�Assessorato 
regionale territorio e ambiente in materia di valutazione 
d�impatto ambientale su progetti relativi ad impianti di produzione di energia 
eolica: la Circolare 14 dicembre 2006 n. 17 (G.U.R.S. n. 1/2007) ed il decreto 
n. 91/GAB del 25 giugno 2007 (G.U.R.S. n. 31/2007). 
La circolare n. 17/2006, in particolare, era stata adottata al fine di garantire 
la salvaguardia, in sede di autorizzazione all�istallazione di impianti di 
produzione di energia eolica e nelle more dell�approvazione del piano energetico 
regionale (di cui si dir� meglio oltre), dei piani paesistici e del piano 
paesistico regionale, dell�ambiente e del paesaggio attraverso la determinazione 
di misure idonee ad assicurare tali finalit� di tutela, essenzialmente consistenti 
nella riclassificazione � rispetto alle direttive contenute nel precedente 
D.A. 28 aprile 2005 � delle aree in cui risulta suddiviso, ai fini del regime autorizzativo, 
il territorio regionale (zone escluse, zone sensibili e zone consentite). 
Si erano cos� fatte rientrare nelle zone escluse (per le quali non � 
consentita la realizzazione di impianti eolici) non soltanto, come in precedenza 
previsto, le aree di riserva integrale, le oasi, le riserve naturali, le zone S.I.C. 
e Z.P.S. e relative aree di rispetto, ma anche (in adesione alle indicazioni fornite 
dall�Assessorato BB.CC.AA. con circolare n. 14 del 26 maggio 2006) le 
aree archeologiche ed i beni vincolati; mentre erano state incluse nelle �zone 
sensibili� (nei quali la possibilit� di istallazione va valutata caso per caso) i 
beni e le bellezze naturali gravati da vincolo paesaggistico o sottoposte a tutela 
(1) Si veda, per�, Corte Cost. 26 marzo 2010 n. 120, che, pronunciandosi sulla questione dei rapporti 
tra procedura di VIA ed autorizzazione regionale per i progetti relativi a linee ed impianti elettrici 
con tensione fino a 150.000 V., ha affermato che i due procedimenti �sono autonomi e finalizzati alla 
cura di interessi distinti, pur se l�esito della VIA condiziona il merito della procedura autorizzatoria. 
Sebbene sia indubbio il collegamento, in termini di utilit� concreta e finale per il richiedente, tra il procedimento 
diretto alla espressione del giudizio di compatibilit� ambientale per la realizzazione di un 
impianto ed il procedimento per il rilascio dell�autorizzazione, sono distinte le norme che individuano 
le autorit� coinvolte e le rispettive modalit� e termini per il compimento degli atti�.
352 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2010 
dai piani paesaggistici approvati o le aree tutelate ex lege ai sensi dell�art. 142 
del Codice dei beni culturali e ambientali di cui al D.Lgs. n. 42/2004. 
Si era inoltre prevista la necessaria partecipazione della Soprintendenza 
BB.CC.AA. alla procedura preliminare di scoping prevista dall�art. 6, comma 
2, D.P.R. 12 aprile 2006. 
Orbene, il Tar Palermo ha dichiarato l�illegittimit� di tale provvedimento 
per violazione del sistema gerarchico delle fonti, avendo ravvisato nelle relative 
previsioni non gi� i contenuti tipici della circolare (cio�, mere disposizioni 
interne all�amministrazione, espressione di poteri di indirizzo e di direzione 
finalizzati ad indirizzare in modo uniforme l�attivit� degli enti o degli organi 
sottordinati), bens� di disposizioni aventi le caratteristiche della novit� (perch� 
introduttive di condizioni e prescrizioni ulteriori rispetto a quelle sino a quel 
momento richieste per il rilascio dell�autorizzazione unica), della generalit� e 
dell�astrattezza, e dunque atteggiantesi a �vere e proprie norme di carattere 
secondario�. 
Nell�ordinamento regionale siciliano, invece, non � consentita l�introduzione 
di norme di carattere regolamentare attraverso una circolare, dagli artt. 
2 e 3 del D.Lgs. Pres. Reg. sic. 28 febbraio 1979 n. 70 ricavandosi che i regolamenti 
(e cio� gli atti di normazione secondaria) devono essere deliberati 
dalla Giunta di Governo ed adottati nella forma del Decreto presidenziale, 
mentre ai singoli assessori spetta esclusivamente il potere di proporre l�adozione 
di regolamenti nelle materie di rispettiva competenza; e non assumendo 
rilievo, in senso contrario, la previsione del 9� comma dell�art. 91 della L. reg. 
sic. 3 maggio 2001 n. 6, in quanto relativa ad un ben delimitato ambito (quello 
delle �Norme sulla valutazione di impatto ambientale�), estraneo a quello cui 
si riferiscono le disposizioni della Circolare n. 17/2006 (prevede infatti tale 
norma: �Con decreto l'Assessore regionale per il territorio e l'ambiente definisce 
per le tipologie progettuali e/o aree predeterminate, sulla base degli elementi 
indicati nell'allegato D del decreto del Presidente della Repubblica 12 
aprile 1996, l'incremento o il decremento delle soglie di cui all'allegato B del 
decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996 nella misura massima 
del 30 per cento�). 
In base a tali argomentazioni, dunque, � stata dichiarata l�illegittimit� 
della suddetta circolare (e dei provvedimenti in base ad essa adottati), e tale 
pronuncia di annullamento, proprio in quanto relativa ad un atto normativo 
secondario o comunque amministrativo generale - vale a dire rivolto a destinatari 
indeterminati ed indeterminabili a priori - si sottrae ai limiti soggettivi 
del giudicato amministrativo, assumendo efficacia erga omnes (ex plurimis, 
Cons. Stato, Sez. V, 17 settembre 2008 n. 4390; Sez. IV, 22 marzo 2007 n. 
1383), posto che i limiti soggettivi della caducazione di un atto amministrativo 
non possono non coincidere con quelli dell'atto caducato. 
Ragioni del tutto analoghe hanno poi condotto all�annullamento, sempre
DOTTRINA 353 
da parte del Tar Sicilia Palermo (sentenze nn. 2924, 2925, 2926 e 2927 del 
2010), del gi� citato decreto n. 91/GAB del 25 giugno 2007, emanato dall�Assessorato 
Territorio e Ambiente al fine di introdurre talune �misure idonee a 
garantire la tutela dell�ambiente e del paesaggio� ai fini del rilascio della V.I.A. 
per gli impianti per lo sfruttamento dell�energia eolica; misure consistenti, essenzialmente, 
nell�introduzione di una nuova soglia minima di produttivit� 
degli impianti da assentire, pari ad almeno 2.700 ore di vento equivalenti stimate 
annue, �con una produzione effettiva in linea con il P75 (75% delle probabilit� 
che in dato livello di produzione elettrica sia superato ogni anno)�. Si 
prevedeva, inoltre, che tali nuove prescrizioni sarebbero state applicate a tutti 
i progetti per i quali non fosse intervenuto, alla data di pubblicazione del decreto, 
il provvedimento favorevole di D.I.A.. 
Ravvisato invero l�interesse della societ� ricorrente (che aveva in corso 
un procedimento per il rilascio della V.I.A.) ad impugnare le disposizioni 
nuove ed �assolutamente cogenti� del suddetto decreto, anche tale provvedimento 
� stato ritenuto illegittimo per violazione delle norme che disciplinano 
in ambito regionale il potere regolamentare, e ci� in relazione non soltanto 
degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. Pres. Reg. sic. n. 70/1979, ma anche del combinato 
disposto dell�art. 12 dello Statuto e dell�art. 13 del D.C.P.S. 204 del 25 marzo 
1946, a mente del quale i regolamenti esecutivi di norme di legge regionale 
sono adottati con decreto del Presidente della Regione, previa deliberazione 
della Giunta regionale. 
L�introduzione con decreto assessoriale (e dunque con uno strumento non 
idoneo a tale scopo) di disposizioni, come quelle sopra illustrate, aventi la caratteristica 
della novit�, generalit� ed astrattezza ed impositive di prescrizioni 
ulteriori rispetto a quelle fino a quel momento esistenti per il rilascio della 
V.I.A., e dunque atteggiantesi a vere e proprie norme di carattere secondario, 
� avvenuta pertanto in violazione delle competenze relative alla predisposizione 
degli atti a contenuto normativo. 
Come a suo tempo affermato, infatti, da Corte Cost. 9 giugno 1961 n. 32, 
le norme statutarie sulle forme di emanazione dei regolamenti regionali siciliani 
(di rango costituzionale, e dunque non modificabili per legge ordinaria) 
rappresentano una garanzia per l�autonomia regionale, quali norme di attribuzione 
di competenza. 
** *** ** 
Maggiormente complesse sono invece le argomentazioni che hanno condotto 
il Giudice amministrativo di primo grado ad annullare, con una serie di 
recenti decisioni, il �Piano energetico ambientale siciliano� (PEARS), adottato 
(con delibera di Giunta regionale n. 1 del 3 febbraioi 2009 emanata con 
D.P.R.S. del 9 marzo 2009) ai sensi dell�art. 5, comma 2�, della L. 9 gennaio 
1991 n. 10, che attribuisce alle regioni ed alle province autonome di Trento e 
Bolzano il compito di predisporre un piano �relativo all�uso delle fonti rinno-
354 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2010 
vabili di energia�, e contenente, tra l�altro, �l�individuazione dei bacini energetici 
territoriali� e �le procedure per l�individuazione e la localizzazione di 
impianti per la produzione di energia fino a 10 megawatt elettrici per impianti 
installati al servizio dei settori industriale, agricolo, terziario, civile e residenziale, 
nonch� per gli impianti idroelettrici�. 
Orbene, talune rilevanti disposizioni del PEARS come sopra adottato 
dalla Regione siciliana sono state impugnate innanzi al Tar Sicilia Palermo 
perch� contenenti previsioni destinate ad incidere sui presupposti e sulle modalit� 
del procedimento di autorizzazione unica ex art. 12 D.Lgs. n. 387/2003, 
nonch� in quanto asseritamente contrastanti con i principi fondamentali fissati 
dalla suddetta norma. Le decisioni del Tar sono invero necessariamente partite 
da una preliminare ricostruzione del sistema delle competenze legislative ed 
amministrative nel settore delle fonti energetiche rinnovabili, cos� come delineate 
dalla Corte Costituzionale nelle sopra menzionate decisioni (nn. 
383/2005, 364/2006, 166/2009, 282/2009). 
Con specifico riferimento, poi, all�eccezione difensivamente sollevata 
dall�amministrazione secondo cui il PEARS si collocherebbe nell�ambito di 
talune materie (quelle del paesaggio, dei beni culturali e dell�industria) rientranti 
nella competenza legislativa esclusiva riservata alla Regione dall�art. 14 
dello Statuto, i decidenti hanno ritenuto opportuno ribadire che la materia, pacificamente 
ricondotta dalla Corte Costituzionale a quella della �produzione, 
trasporto e distribuzione nazionale dell�energia� di cui all�art. 117, comma 3, 
Cost., incide primariamente sull�interesse della collettivit� alla produzione 
energetica, aspetto da ritenersi prevalente su quelli � pur connessi in forza 
dell�impatto territoriale degli impianti per la produzione di energia eolica � 
della tutela dell�ambiente e del governo del territorio. 
Va osservato, inoltre, che la conclusione cui � pervenuto il Tar (che ha in 
definitiva escluso che sussista, in materia, una competenza legislativa esclusiva 
della Regione siciliana) risulta confermata dalla recentissima sentenza n. 168 
del 6 maggio 2010 della Corte Costituzionale, che per la prima volta ha significativamente 
affermato la correttezza del superiore �inquadramento materiale� 
anche con riferimento a norme adottate da una regione a statuto speciale 
(la Valle d�Aosta), ed afferenti alla localizzazione degli ambiti territoriali di 
insediamento degli impianti di energia eolica: in tale occasione infatti la Corte 
si � limitata a constatare che lo Statuto regionale non contemplava la suddetta 
materia della �produzione, trasporto e distribuzione regionale dell�energia�, 
con conseguente titolarit� in materia, da parte della Val d�Aosta, in virt� dell�art. 
10 della L. Cost. n. 3/2001, della stessa potest� legislativa concorrente 
delle regioni a statuto ordinario, vincolata al rispetto dei principi fondamentali 
dettati dal Legislatore statale. 
Secondo il Tar, peraltro, la questione relativa al corretto inquadramento 
del tipo di potest� legislativa di cui risulta titolare, in materia, la Regione si-
DOTTRINA 355 
ciliana � destinata a rivestire carattere meramente teorico sin quando perdurer� 
il mancato esercizio delle suddette competenze legislative, ai cui contenuti dovrebbe 
eventualmente uniformarsi la successiva attivit� regolamentare. 
Constatato infatti che la Regione siciliana non ha ad oggi esercitato la potest� 
legislativa di dettaglio per il recepimento dei principi fondamentali stabiliti 
dal D.Lgs. n. 387/2003 o per il recepimento della direttiva n. 2001/77/CE, 
si � osservato (sentenze nn. 2537/2010, 2536/2010, 2280/2010, 1952/2010) 
che tale circostanza determinerebbe l�assunzione, da parte della vigente normativa 
statale, del carattere �suppletivo� o sostitutivo previsto dall�art. 117, 
comma 5�, Cost. e dagli artt. 11 e 16 della L. n. 11/2005 recante la procedura 
per l�esecuzione degli obblighi comunitari, con conseguente necessaria individuazione, 
come parametro di legittimit� degli atti impugnati, nella normativa 
dettata dal D.Lgs. n. 387/2003 e dalla L. n. 239/2004 (rispetto alla quale debbono 
dunque anche porsi in rapporto di non contraddizione le norme regolamentari 
adottate in ambito regionale). 
Ed infatti, quanto alla natura giuridica delle disposizioni contenute nel 
PEARS, si � ribadito quanto gi� affermato in altra serie di decisioni (nn. 
1632/2009, 1716/2009 e 1775/2010) in ordine al carattere formalmente amministrativo, 
ma sostanzialmente normativo, e dunque regolamentare, di tale 
provvedimento, stante la novit�, la generalit� e l�astrattezza delle relative disposizioni; 
da tale qualificazione discende pertanto, sul piano della gerarchia 
delle fonti, la subordinazione dei contenuti normativi del Piano alle fonti di 
diritto di rango primario, nonch�, sotto il profilo della disciplina del procedimento 
autorizzativo, la qualificazione come ius superveniens rispetto alle 
istanze gi� presentate (censurabile con particolare riferimento a quelle istanze 
presentate da pi� di 180 gg., in palese contrasto rispetto al principio fondamentale 
sancito dall�art. 12 D.Lgs. n. 387/2003). 
Passando poi all�esame, nel merito, delle singole disposizioni impugnate, 
si � affermata l�illegittimit� di quelle relative alla: 
- imposizione di distanze minime tra gli impianti alimentati da fonti rinnovabili 
(art. 21). 
Alla stregua, infatti, delle argomentazioni usate dalla Corte Costituzionale 
nella sentenza n. 307/2003 (resa in materia di impianti elettromagnetici), si � 
rilevato che da tale disposizione (che impone un evidente vincolo) non � dato 
evincere quale sia stato il parametro tecnico o scientifico assunto a riferimento 
per stabilire la distanza minima, e che, pi� in generale, la previsione generalizzata 
della distanza minima denota un cattivo uso del potere regolamentare, 
introducendo un possibile ingiustificato ostacolo agli insediamenti produttivi 
(sentenza n. 2537/2010). Il Tar ha infine richiamato il parere n. 2849/2008 
della Sez. II del Consiglio di Stato, secondo cui il potere di localizzazione 
degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili dovrebbe essere 
esercitato nell�ambito del Piano Urbanistico regionale, quale sede propria di
356 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2010 
svolgimento delle competenze regionali di pianificazione. 
Come peraltro affermato dalla Corte Costituzionale nella sopra citata sentenza 
n. 168/2010 (come gi� nelle precedenti nn. 166 e 282/2009 e n. 
119/2010), il meccanismo previsto dall�art. 12, comma 10, D.Lgs. n. 387/2003 
�non consente alle regioni di provvedere autonomamente alla individuazione 
di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da 
fonti di energia alternativa�; 
- �misure di mitigazione ambientale� e �misure di compensazione (artt. 
6 e 7)�. 
La determinazione delle misure di riequilibrio ambientale e territoriale 
(previste dall�art. 12 D.Lgs. n. 387/2003) e delle misure compensative (ammesse, 
a seguito di Corte Cost. n. 383/2005, anche relativamente ad impianti 
alimentati da fonti rinnovabili, e consistenti nella monetizzazione degli effetti 
negativi che l�impatto ambientale dell�impianto determina, purch� non si tratti 
di corrispettivi di natura patrimoniale a favore della Regione, bens� di servizi 
o prestazioni volti a mitigare l�impatto ambientale) potrebbe avvenire, secondo 
il Tar, soltanto con norme di legge regionale, e non per via regolamentare. 
Dette misure compensative, inoltre, dovrebbero essere �concrete e realistiche� 
e fondate sui precisi presupposti indicati nel gi� citato parere n. 
2848/2009 del Consiglio di Stato. 
Quanto, tuttavia, all�affermata necessit� di una copertura legislativa, deve 
rilevarsi che l�art. 1, comma 5, della L. n. 239/2004 afferma il diritto delle Regioni 
e degli enti locali di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino 
misure di compensazione e riequilibrio ambientale coerenti con gli 
obiettivi generali di politica energetica nazionale (e consistenti nell�assunzione 
dell�impegno ad una riduzione delle emissioni inquinanti da parte dell�operatore 
economico proponente � cfr., Corte Cost. n. 124/2010); 
- �documentazione attestante la disponibilit� giuridica dell�area di impianto 
in capo al richiedente� (art. 2, lett. b). 
Tale requisito si porrebbe in contrasto con l�art. 12 D.Lgs. n 387/2003, 
che attribuisce agli impianti autorizzati la qualificazione di �opere di pubblica 
utilit� indifferibili ed urgenti� all�evidente fine di consentire la loro realizzazione 
anche oltre e al di l� della limitazione costituita dalla attuale disponibilit� 
dell�area in capo al richiedente l�autorizzazione; 
- autocertificazione con la quale il richiedente assume nei confronti dell�amministrazione 
la responsabilit�, diretta e non trasmissibile, per l�interezza 
delle fasi di realizzazione e avvio dell�impianto. 
Tale disposizione � stata ritenuta suscettibile di incidere sulla circolazione 
dei beni giuridici, e delle correlate posizioni soggettive, connessi alla realizzazione 
di impianti eolici, in contrasto con l�art. 41 Cost. e con le libert� fondamentali 
del Trattato CE; 
- comunicazione, ai fini della celerit� dei procedimenti, della sede legale
DOTTRINA 357 
istituita dal richiedente in Sicilia e l�impegno al suo mantenimento nel territorio 
della regione per il tempo di efficacia dell�azione (art. 2). 
Tale disposizione si porrebbe in contrasto con i principi comunitari di libert� 
di circolazione e stabilimento, imponendo alle imprese un adempimento 
�irragionevolmente sproporzionato rispetto all�esigenza di garantire celeri comunicazioni 
da e per le stesse, avuto riguardo alle attuali possibilit� tecnologiche 
ed al regime giuridico delle stesse; 
- priorit� temporale, nell�esame delle istanze, ai progetti che garantiscono 
la filiera industriale completa all�interno del territorio regionale nell�obiettivo 
dello sviluppo e dell�incremento dell�occupazione nella Regione (art. 1). 
La tempistica (unica) imposta dall�art. 12 D.Lgs. n. 387/2003 sarebbe incompatibile 
con declinazioni localistiche di carattere premiale o disincentivante, 
ed anche in considerazione dell�estraneit� alla materia trattata degli 
obiettivi di sviluppo ed incremento occupazionale, il regime dell�autorizzazione 
unica non pu� essere modificato in un�ottica protezionistica o proibizionistica 
contraria ai principi ed alle libert� imposti dal diritto comunitario. 
La stessa Corte Costituzionale, del resto, ha chiarito che �discriminare le 
imprese in base ad un elemento di localizzazione territoriale contrasta con il 
principio secondo cui la Regione non pu� adottare provvedimenti che ostacolino 
in qualsiasi modo la libera circolazione delle cose e delle persone tra le 
Regioni, discendendo da ci� il divieto per i legislatori regionali di frapporre 
barriere di carattere proibizionistico alla prestazione, nel proprio ambito territoriale, 
di servizi di carattere imprenditoriale da parte di soggetti ubicati in 
qualsiasi parte del territorio nazionale (nonch�, in base ai principi comunitari 
sulla libera prestazione di servizi, in qualsiasi paese dell�Unione europea� 
(Corte Cost. n. 124/2010, resa su norma della Regione Calabria che istituiva 
una riserva strategica del 20% della potenza autorizzabile per ogni fonte in favore 
delle azioni volte a garantire lo sviluppo del tessuto industriale regionale); 
- presentazione di una comunicazione del gestore della rete circa la capacit� 
ricettiva di quest�ultima in relazione all�energia prodotta dall�impianto 
autorizzando (art. 3). 
Tale disposizione si pone in contrasto con la liberalizzazione del settore 
energetico e con il principio di legge secondo cui il gestore della rete di trasmissione 
regionale ha l�obbligo di connettere alla rete tutti i soggetti che ne 
facciano richiesta (art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 79/1999): � dunque la capacit� 
della rete di trasmissione a dovere essere funzionale all�attivit� di produzione 
di energia, e non viceversa; 
- comunicazione da parte delle Soprintendenze BB.CC.AA. in sede di 
conferenza di servizi circa la sottoposizione a vincolo delle aree o avvio per 
le stesse di procedimento per l�imposizione del vincolo (art. 4). 
Tale disposizione si tradurrebbe in un allargamento ingiustificato del no-
358 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2010 
vero dei soggetti partecipanti alla conferenza di servizi, includendovi necessariamente 
le Soprintendenze anche se non titolari di competenze in ordine 
all�affare da deliberare; 
- applicabilit� delle prescrizioni del PEARS ai procedimenti in corso. 
Le disposizioni del Piano, avendo natura normativa e regolamentare, non 
potrebbero applicarsi ai procedimenti avviati prima della sua entrata in vigore, 
secondo le regole generali in tema di efficacia delle norme nel tempo. 
Sul punto, peraltro, � utile segnalare che con la gi� citata sentenza n. 
124/2010 la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimit� 
relativa ad una norma regionale calabra che prevedeva l�applicabilit� 
alle procedure in corso delle nuove disposizioni in tema di autorizzazione 
unica, e ci� sia in considerazione del principio tempus regit actum (tale per 
cui ogni atto amministrativo deve essere conforme alla legge in vigore al momento 
in cui viene posto in essere), sia in relazione al fatto che il soggetto che 
presenta l�istanza di avvio del procedimento � titolare di una �mera aspettativa�, 
e non di una situazione giuridica consolidata. 
DOTTRINA 359 
Un bilancio a vent�anni dalla L. 241/90 
Il diritto di accesso nella prassi amministrativa, 
l�intenzione del legislatore e l�accesso �partecipativo� 
Riccardo Montagnoli* 
La L. 7 agosto 1990, n. 241 fu salutata alla sua approvazione come una 
svolta epocale, tra l�altro, in ordine alle relazioni tra pubbliche amministrazioni 
ed amministrati; essa richiedeva una vera e propria rivoluzione copernicana 
nell�atteggiamento reciproco da parte di amministratori e cittadini / utenti, nel 
senso che i principi in tema di partecipazione al procedimento (e nell�ambito 
di questa il diritto d�accesso) dovevano servire ad attuare la regola per cui le 
determinazioni amministrative, specie se discrezionali, sono adottate previa 
acquisizione di tutti gli elementi informativi disponibili, anche con la collaborazione 
degli interessati, in modo da perseguire il miglior contemperamento 
dei vari interessi in gioco. 
Nella realt� l�intenzione del legislatore � stata finora realizzata in misura 
limitata: soprattutto per quanto concerne le decisioni pi� rilevanti (opere pubbliche), 
le amministrazioni hanno continuato per lo pi� ad assumere prima le 
loro decisioni e ad aprire poi il procedimento per legittimarle formalmente; 
dal canto loro i cittadini hanno spesso utilizzato la partecipazione in funzione 
meramente oppositiva, come meglio si vedr� in seguito. 
Nell�ottica del legislatore il diritto di accesso doveva essere una componente 
della partecipazione procedimentale e doveva servire a fornire agli interessati 
gli elementi conoscitivi per contribuire alla miglior decisione 
amministrativa. Esso doveva cio� avere una funzione essenzialmente partecipativa, 
tanto nell�ipotesi di accesso cosiddetto procedimentale (art. 10 lett. 
a)), quanto in quella di accesso cosiddetto extraprocedimentale (art. 22). Si 
pu� anzi affermare che, contrariamente a quanto parrebbe ad un primo sommario 
esame, l�innovazione pi� radicale abbia riguardato il riconoscimento 
del diritto d�accesso nell�ambito del procedimento piuttosto che come diritto 
in generale volto all�acquisizione di elementi informativi in possesso dell�amministrazione 
(dato che sotto questo profilo esisteva qualche precedente: il diritto 
d�accesso alle informazioni in materia ambientale, quello dei consiglieri 
comunali e provinciali). 
Nella realt� � prevalsa un�interpretazione dell�accesso come strumento 
di controllo sull�attivit� amministrativa, soprattutto in vista della contestazione 
dei suoi risultati; in altri termini, da una visione del diritto di accesso preva- 
(*) Avvocato dello Stato.
360 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
lentemente ispirata all�attuazione dell�art. 97 Cost. (principio di buon andamento 
e di imparzialit� dell�attivit� amministrativa) si � passati ad una sua declinazione 
ispirata prevalentemente all�art. 111 Cost. (tutela dei diritti ed 
interessi legittimi contro gli atti della P.A.). 
Per contro (ma sarebbe arduo stabilire quale sia la causa e quale l�effetto) 
le amministrazioni non hanno ancora del tutto recepito il rovesciamento del 
principio della segretezza degli atti procedimentali operato dall�art. 22 co. 3, 
tanto che tuttora capita di ricevere richieste di collaborazione da parte di amministrazioni 
alla ricerca di motivi che giustifichino un diniego di accesso o 
che, pi� radicalmente, si domandano con riferimento ad una determinata 
istanza se il diritto d�accesso debba essere riconosciuto, anzich� chiedersi se 
esista una di quelle situazioni eccezionali che consentono un diniego; in altre 
parole, continuano a ritenere il diritto d�accesso l�eccezione e non la regola. 
1. L�accesso �esplorativo� 
La conseguenza � che gli interessati, con i loro avvocati, raramente esercitano 
il diritto d�accesso con l�intenzione di cogliere gli elementi in base ai 
quali l�amministrazione dovr� prendere una decisione e prima che questa sia 
assunta, ma piuttosto lo esercitano per ricercare elementi utili per contestare 
una decisione dopo che essa � stata assunta (va detto che in alcuni casi � lo 
stesso legislatore che, per vari motivi, ha favorito questo orientamento, procrastinando 
alla fine del procedimento l�esercizio del diritto d�accesso (1)). 
Da un punto di vista pratico, le conseguenze sono modeste: a differenza 
dell�accesso partecipativo, quello esplorativo ha quasi sempre un oggetto scarsamente 
determinato, cio� riguarda non gi� documenti specificamente indicati, 
ma �tutto il fascicolo amministrativo�, ci� che comporta evidente dispendio 
di energie e di costi tanto per chi lo esercita quanto per l�amministrazione (2); 
(1) Il caso pi� rilevante � quello dei procedimenti di evidenza pubblica, in relazione ai quali l�art. 
13 D.L.vo 12 aprile 2006, n. 163 stabilisce addirittura a pena di sanzione penale casi di differimento 
dell�esercizio del diritto d�accesso (co. 2, 3 e 4), nonch� ipotesi di esclusione dello stesso, talvolta assoluta 
(lett. c) e d) del co. 5), talaltra limitata alle fattispecie in cui l�istanza non sia formulata �in vista 
della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell�ambito 
della quale viene formulata la richiesta di accesso� (lett. a) e b) del co. 5, in relazione al co. 
6). 
(2) E nonostante l�art. 24 co. 3 disponga l�inammissibilit� dell�accesso preordinato �ad un controllo 
generalizzato dell�operato delle pubbliche amministrazioni�. La giurisprudenza interpreta tuttavia 
la disposizione come riferita all�attivit� amministrativa in generale e non al sindacato su un intero procedimento: 
cfr. TAR Lombardia � sez. Brescia, 16 giugno 2008, n. 645, con riferimento ad una domanda 
di accedere a �ogni documento amministrativo (�) riguardante la procedura di mobilit� che ha interessato 
lo scrivente nonch� le procedure di mobilit� concluse con l�assunzione di altri soggetti presso 
le circoscrizioni territoriali di Brescia�: �La domanda di accesso del ricorrente non pu� essere qualificata 
come istanza diretta a un controllo generalizzato dell�organizzazione del personale in contrasto 
con l�art. 24 comma 3 della legge 241/1990. Al contrario la conoscenza degli atti delle procedure di
DOTTRINA 361 
ma dal punto di vista della cultura amministrativa (degli amministrati e dell�amministrazione) 
le conseguenze sono assai pi� rilevanti, perch� l�accantonamento 
(o il tradimento) del modello partecipativo che aveva ispirato la L. 
241/90 perpetua la tradizionale contrapposizione amministrati / amministrazione. 
Di qui proviene l�enfatizzazione, in funzione di giustificazione del diniego, 
di quei minimi oneri che l�art. 25 pone a carico di richiede l�accesso ed 
in particolare di quello di specificarne l�oggetto (3). Enfatizzazione che assume 
caratteri di particolare rilievo, non senza ragione, laddove il cittadino pretenda 
di accedere ad un documento che non esiste, vuoi perch� non � (pi�) nella disponibilit� 
dell�amministrazione, per distruzione o smarrimento (4), vuoi perch� 
non � mai esistito e la sua esistenza � solo supposta o sospettata 
dall�interessato. In queste ipotesi si possono sviluppare controversie che assumono 
contorni alquanto grotteschi, tra un ricorrente che pretende di ottenere 
copie di qualcosa che non esiste e l�amministrazione che si difende asserendone 
appunto l�inesistenza; in genere il giudice amministrativo rifugge dall�impegno 
di fissare riferimenti certi all�istituto e si limita ad affermare che 
�la domanda di accesso deve riferirsi a specifici documenti gi� esistenti e non 
pu� invece comportare la necessit� di un'attivit� di elaborazione di dati da 
parte del soggetto destinatario della richiesta�(5). 
Forse tutto ci� si potrebbe evitare se solo si applicasse la legge che imponendo 
al ricorrente di indicare, almeno con approssimazione, il documento 
cui intende accedere, pare implicare che debba anche indicare da quali elementi 
desuma (con certezza) l�esistenza del documento stesso; va ricordato 
d�altra parte che l�art. 210 c.p.c. (sul quale torneremo in seguito, ma che pare 
mobilit� soddisfa un interesse ben definito e individualizzato. Si tratta di informazioni che hanno per 
oggetto una precisa forma di reclutamento del personale, entro un periodo di tempo limitato, e sono 
collegabili in modo chiaro alla necessit� del ricorrente di difendere in sede giudiziaria le aspettative 
circa la possibile evoluzione del proprio rapporto di lavoro�. 
(3) Sull�onere di specificare (che non significa elencare compiutamente, ma individuare in modo 
sufficientemente preciso) i documenti cui si chiede di accedere, cfr. TAR Sicilia, sez. I, 27 gennaio 1993, 
n. 81 e, soprattutto, Cons. Stato, sez. VI, 15 ottobre 2001, n. 5437. Ora l�onere di �indicare gli estremi 
del documento oggetto della richiesta ovvero gli elementi che ne consentano l�individuazione� � testualmente 
previsto dall�art. 5 co. 1 D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184 per esercitare l�accesso informale; ad avviso 
di chi scrive, tuttavia, si dovrebbe trattare di un requisito minimo di qualsiasi richiesta di accesso. 
(4) Vale la pena di ricordare che l�art. 22 co. 6 dispone che �Il diritto di accesso � esercitabile 
fino a quando la pubblica amministrazione ha l�obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali 
si chiede di accedere�; l�art. 2 co. 2 D.P.R. 184/2006 specifica ora che �Il diritto di accesso si esercita 
con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti 
alla stessa data da una pubblica amministrazione�. 
(5) Cos�, a titolo esemplificativo, TAR Lombardia � sez. Brescia, 26 febbraio 2009, n. 461, che 
si rif� espressamente a precedenti del Consiglio di Stato (sez. VI, 5 dicembre 2007, n. 6201 e sez. IV, 
10 febbraio 2006, n. 555). Il principio secondo cui �La pubblica amministrazione non � tenuta ad elaborare 
dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso� � ora esplicitato dall�art. 2 co. 
2 D.P.R. 184/2006.
362 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
invocabile quanto meno per analogia) impone a chi pretende l�esibizione di 
un documento nel processo civile l�onere di provarne l�esistenza (6). D�altra 
parte, se quello all�accesso � un diritto (soggettivo), � appena il caso di ricordare 
che senza l�oggetto non si d� obbligazione (arg. ex art. 1256 cod. civ.) e 
quindi se manca il documento il diritto non esiste. 
Sotto analogo profilo, � interessante la vicenda relativa al diritto d�accesso 
spettante al consigliere comunale o provinciale ai sensi dell�art. 43 co. 2 
T.U.E.L. n. 267/2000 in ordine a �tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, 
utili all�espletamento del loro mandato�; un piccolo Comune, per far 
fronte a richieste di accesso mediante estrazione di copia di documenti, che 
mettevano a dura prova tanto il personale amministrativo quanto le casse dell�ente, 
aveva adottato un regolamento secondo il quale �I documenti, oggetto 
del diritto, devono essere concretamente individuati dal richiedente oppure 
essere individuabili� e, qualora l�istanza avesse avuto ad oggetto �atti elaborati� 
(esemplificati in tavole di P.R.G., varianti e comunque comprendenti planimetrie 
e tavole progettuali di rilevanti dimensioni), consentiva il 
soddisfacimento mediante �modalit� alternative� (in particolare la riproduzione 
in formato pdf su CDRom). Il Consiglio di Stato, confermando la decisione 
del giudice di primo grado, riteneva legittimo l�operato del Comune, 
osservando che �Se, infatti, non appare revocabile in dubbio che - ai sensi 
dell�art. 43, comma 2� del D.Lgs. n. 267/2000 - la funzione esercitata dal consigliere 
comunale (e provinciale) esige che al medesimo vengano fornite tutte 
le notizie e le informazioni utili all�espletamento del suo mandato, in guisa 
che notevolmente pi� ampio � il contenuto del suo diritto di accesso rispetto 
a quello riconosciuto alla generalit� dei cittadini a norma degli artt. 22 e seguenti 
della legge n. 241 del 1990, occorre per� considerare che il soddisfacimento 
di tale diritto non pu� essere esclusivo, completo ed incondizionato e 
trarre origine da richieste generiche ed indiscriminate, in disparte quelle emulative, 
sol perch� � volto a consentire l�ottimale esercizio di una pubblica funzione; 
ma soggiace alle limitazioni che derivano dalla molteplicit� dei servizi 
che il Comune deve assicurare ai cittadini amministrati, nel rispetto degli impegni 
di contenimento della finanza pubblica e di progressiva razionalizzazione 
delle spese generali di gestione dell�ente. 
Non si nega, invero, che al consigliere comunale non possa essere opposto 
alcun diniego, salvo casi eccezionali e contingenti, determinandosi altrimenti 
un illegittimo ostacolo al concreto esercizio della sua funzione, che � 
quella di verificare che il sindaco e la giunta municipale esercitino correttamente 
la loro funzione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4855). 
Ci� che preme, tuttavia, rilevare � che il carattere strumentale dell�in- 
(6) Giurisprudenza costante: da ultimo cfr. Cass. 5 agosto 2002, n. 11709; Cass. lav. 22 febbraio 
2003, n. 2772; Cass. lav. 20 dicembre 2007, n. 26943.
DOTTRINA 363 
formazione resa al consigliere comunale, rispetto al compito ascritto al supremo 
organo di governo dell�ente locale cui l�interessato appartiene, di esercitare 
il generale potere di indirizzo e di controllo politico - amministrativo 
sull�ente medesimo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 2 settembre 2005, n. 4471), non 
pu� prescindere dall�esigenza di garantire che l�esercizio di tale diritto, fatta 
salva la facolt� del consigliere di prendere visione di tutti gli atti utili all�espletamento 
del mandato, avvenga in modo da comportare il minor aggravio possibile 
per gli uffici comunali, sia dal punto di vista organizzativo che 
economico (cfr. Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria, n. 1 del 12 marzo 
2004), anche se le amministrazioni pubbliche sono tenute (tendenzialmente) 
a dotarsi di tutti i mezzi (personale, strumentazioni tecniche, materiali vari) 
necessari all�assolvimento dei loro compiti�(7). 
2. L�accesso �strumentale� ad altri interessi ed il tema della tutela della riservatezza 
Sin dalla sua entrata in vigore, l�attuazione del diritto d�accesso ha posto 
problemi di tutela della riservatezza degli elementi informativi, contenuti in 
documenti amministrativi, relativi a soggetti terzi; tantՏ vero che uno dei punti 
in cui si � maggiormente articolata la disciplina di legge e quella regolamentare, 
stabilendo eccezioni al diritto d�accesso, � stata l�individuazione dei casi 
in cui documenti contenenti informazioni relative a terzi sono sottratti all�accesso 
stesso (e ci� ben prima che il tema della tutela della riservatezza dei dati 
personali irrompesse nel nostro ordinamento con la L. 675/96). 
Peraltro, la giurisprudenza amministrativa si era occupata quasi da subito 
del problema del bilanciamento tra diritto d�accesso e riservatezza dei dati relativi 
a terzi, affermando in linea di principio la prevalenza del primo, quanto 
meno entro i limiti del necessario per controllare la legittimit� dell�azione amministrativa 
(8). Ci� che appare logico nella prospettiva che vede l�accesso, 
appunto, come strumento di controllo a posteriori, meno in quella che ne fa 
(7) Cons. Stato, sez. V, n. 6742 del 20 aprile � 28 dicembre 2007. 
(8) Cfr. Cons Stato, sez. VI, 23 settembre 1998, n. 1292 (che pare individuare nell�art. 22 L. 241/90 
una sorta di autorizzazione generale alla comunicazione e diffusione dei dati personali ai sensi dell�art. 
27 L. 675/96); TAR Campania � sez. Salerno, 23 giugno 2000, n. 510. Non sono mancate tuttavia anche 
decisioni in senso contrario: Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 1999, n. 59 (che, contrariamente a quanto 
ritenuto dalla medesima sezione nella decisione menzionata sopra, ritiene necessaria una specifica deroga 
al principio della non comunicabilit� dei dati personali a terzi), seguita da TAR Lombardia, sez. II, 22 
marzo 1999, n. 871. Questione diversa (anche se talora erroneamente ricondotta al tema della tutela 
della riservatezza dei dati personali) � quella dell�ostensibilit� di atti di denuncia o segnalazione di illeciti 
o inefficienze dell�attivit� amministrativa, ad istanza dei soggetti cui la denuncia o segnalazione si riferisce: 
in questi casi il timore � quello di esporre i denuncianti ad eventuali azioni ritorsive da parte dei 
denunciati, ma non pare seriamente contestabile il diritto di questi ultimi di conoscere integralmente il 
contenuto delle denunce, ivi compreso il nominativo di chi le ha avanzate (Cons. Stato, ad. plen., 4 febbraio 
1997, n. 5).
364 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
uno strumento di partecipazione a priori. Il tema assume connotati di particolare 
delicatezza nelle ipotesi in cui i dati relativi a terzi attengono alla sfera di 
quelli sensibili, situazione che si verifica non di rado con riferimento alla compilazione 
di graduatorie nelle quali sono previste preferenze o punteggi specifici 
in relazione a condizioni inerenti la salute dell�interessato o dei propri 
familiari (9). 
Sotto il profilo procedimentale, recependo una soluzione che in base ai 
principi della stessa L. 241/90 si era affermata nella prassi delle pubbliche amministrazioni, 
l�art. 3 D.P.R. 184/2006 impone che �la pubblica amministrazione 
cui � indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti 
controinteressati, di cui all�articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, � tenuta 
a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata 
con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano 
consentito tale forma di comunicazione (�)�; l�eventuale opposizione dei 
controinteressati non giustifica tuttavia di per s� il rifiuto di accesso, imponendo 
all�amministrazione di ponderare i contrapposti interessi (10). 
Tuttavia queste situazioni si collocano ancora nell�ambito dei rapporti 
amministrativi, cio� relativi all�attivit� che l�amministrazione espleta con effetti 
sui destinatari. La questione della riservatezza assume invece contorni 
assai differenti e problematici allorch� l�accesso (evidentemente in questo caso 
non procedimentale) viene esercitato per acquisire elementi informativi spendibili 
nella prospettiva di rapporti cui l�amministrazione � estranea. 
Una fattispecie che presenta qualche singolarit� si � verificata con riguardo 
ad un�istanza presentata ad una scuola elementare dal padre di un 
alunno, per prendere visione ed estrarre copia dei temi scritti dalla figlia; l�intenzione 
del genitore (peraltro non esplicitata nell�istanza, bens� riferita solo 
verbalmente) non era di verificare l�andamento scolastico della bambina: i ge- 
(9) Va peraltro osservato come la stessa qualificazione del diritto d�accesso in termini di diritto 
soggettivo, che parrebbe da tempo acquisita, sia in realt� posta talora in discussione dalla stessa giurisprudenza: 
Cons. di Stato, sez. IV, 29 novembre 2002, n. 6510 affermava infatti che �In materia di accesso 
ai documenti amministrativi regolato dagli art. 22-25 l. 7 agosto 1990 n. 241, il termine �diritto� 
va considerato atecnico, essendo ravvisabile la posizione di interesse legittimo quando il provvedimento 
amministrativo � impugnabile, come nel caso del �diritto� di accesso, entro un termine perentorio, pure 
se incidente su posizioni che nel linguaggio comune sono pi� spesso definite come di �diritto��, e la di 
poco successiva Cons. di Stato, sez. V, 8 settembre 2003, n. 5034 statuiva che �La decisione dell�ente 
pubblico sulla prevalenza/recessione del diritto di accesso ai documenti amministrativi rispetto alla riservatezza 
di terzi costituisce esercizio di un potere-dovere espressione di una valutazione ampiamente 
discrezionale�. 
(10) In questo senso, che parrebbe peraltro giustificato dalla formulazione letterale dell�art. 3 co. 
2 (�Entro dieci giorni dalla comunicazione di cui al comma 1 i controinteressati possono presentare 
una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la 
pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione di cui 
al comma 1�), si � orientata la giurisprudenza amministrativa: TAR Sicilia, sez. IV Catania, 20 luglio 
2007, n. 1277; TAR Lazio, sez. II ter, 26 novembre 2009, n. 11753.
DOTTRINA 365 
nitori avevano avviato la causa di separazione ed il padre riteneva di poter rinvenire 
negli elaborati della piccola elementi di prova circa presunte frequentazioni 
della propria abitazione, in sua assenza, da parte di terzi (11). 
In casi simili non si tratta, per il privato che chiede l�accesso, di contribuire 
al buon andamento dell�attivit� amministrativa, n� di verificarne la legittimit�: 
l�amministrazione viene richiesta in realt� di cooperare alla 
realizzazione di taluni interessi privati in conflitto con altri interessi (pure privati), 
mettendo a disposizione di uno dei contendenti gli elementi informativi 
e documentali in proprio possesso. 
La soluzione del dilemma in cui si viene a trovare dovrebbe risiedere in 
una rigorosa valutazione del requisito dell�interesse ad esercitare il diritto d�accesso 
(12): non solo il richiedente deve formalmente specificare il motivo per 
cui chiede di esercitarlo (art. 25 co. 2), ma l�amministrazione deve altres� valutare 
se tale interesse possa trovare protezione nella norma istitutiva, quanto 
meno allorch� l�esercizio del diritto rischi di incidere sull�altrui diritto alla riservatezza. 
In particolare, l�inciso dell�art. 22 lett. b) alla connessione dell�interesse 
ad esercitare il diritto di accesso con una �situazione (�) collegata� al 
documento pare potersi interpretare nel senso che il diritto d�accesso � riconosciuto 
in funzione della tutela di interessi nei confronti dell�amministrazione 
(e non anche di terzi privati) (13). 
. 
3. Diritto di accesso ed ordine di esibizione ex artt. 210 e 213 c.p.c. 
Forse tuttavia questo tipo di situazioni non rientra a rigore nei confini del 
tema dell�accesso ai documenti amministrativi, nel senso che altri sono gli 
istituti previsti nell�ordinamento per soddisfare l�eventuale interesse ad acquisire 
dall�amministrazione elementi spendibili nell�ambito di una controversia 
(11) Una fattispecie per molti aspetti analoga si � verificata con riguardo all�istanza di un genitore 
di accedere alla domanda di iscrizione presentata dal coniuge separato ad un istituto superiore di citt� 
diversa da quella di residenza e considerato indizio della volont� di quello di trasferire la propria residenza 
e quella del figlio, da presentare nell�ambito del procedimento di separazione. 
(12) L�art. 22 lett. b) definisce �interessati� in relazione alle disposizioni del capo V Accesso ai 
documenti amministrativi �tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, 
che abbiano un interesse concreto, diretto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente 
tutelata e collegata ad un documento al quale � chiesto l�accesso�. 
(13) Va ricordato tuttavia che per la giurisprudenza �La nozione di �situazione giuridicamente rilevante
� (contenuta nell�art. 22 l. n. 241 del 1990), per la cui tutela � attribuito il diritto di accesso, � 
nozione diversa e pi� ampia rispetto all�interesse all�impugnativa e non presuppone necessariamente 
una posizione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo; cos� che 
la legittimazione all�accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali 
oggetto dell�accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti od indiretti nei suoi confronti, 
indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l�autonomia del diritto di accesso, 
inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante 
all�impugnativa dell�atto� (cos� Cons. Stato, sez. VI, 27 ottobre 2006, n. 6440).
366 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
tra privati. 
Nella fattispecie precedentemente descritta (nella quale peraltro, a detta 
delle insegnanti, non sarebbe emersa alcuna notizia interessante per il padre) 
il suggerimento rivolto alla scuola fu di respingere la richiesta, in quanto non 
suffragata da un interesse protetto, salvo naturalmente esibire la documentazione 
a fronte dell�eventuale ordine impartito dal giudice ex art. 213 c.p.c.. Infatti, 
queste fattispecie consentono di apprezzare la relazione tra diritto 
d�accesso (e connessa tutela giurisdizionale ex art. 25 L. 241/90) e acquisizione 
di informazioni dalla P.A. in sede processuale ex art. 213 c.p.c., strumento che, 
come � noto, presuppone l�estraneit� della stessa P.A. alla controversia in corso 
e, significativamente, costituisce un mezzo di acquisizione di elementi conoscitivi 
a disposizione del giudice e non delle parti, a conferma del fatto che 
l�ordinamento impone una valutazione dell�organo giudiziario investito della 
controversia tra le parti circa la necessit� dell�acquisizione (14). 
Peraltro tale riferimento potrebbe offrire anche uno spunto per riesaminare 
la questione, precedentemente accennata, dell�accessibilit� di documenti 
contenenti dati personali di terzi utilizzati nell�ambito di un procedimento amministrativo, 
ogni qual volta la controversia sottesa (al di l� del dato formale 
di riguardare un procedimento amministrativo ed il suo esito) coinvolge in effetti 
due o pi� parti private, tra le quali l�amministrazione dovrebbe rivestire 
una posizione di imparzialit�. E� il caso degli elementi utilizzati per formare 
la graduatoria di un pubblico concorso, tra i quali rientrano elementi attinenti 
a situazioni personali o familiari di carattere sanitario, che possono dare diritto 
a particolari benefici, ma al tempo stesso costituiscono dati sensibili e come 
tali da maneggiare con estrema cautela (15). Si potrebbe forse sostenere che 
(14) Va peraltro segnalato che parte della giurisprudenza pare non cogliere differenza sostanziale 
tra il diritto d�accesso e l�interesse processuale ad ottenere l�esibizione di documenti amministrativi ex 
art. 210 o 213 cod. proc. civ., subordinando la stessa possibilit� di chiedere l�esibizione all�infausto 
esperimento di una richiesta di accesso amministrativo (Trib. Cagliari 23 marzo 2008; Corte conti, sez. 
giur. Campania, 22 novembre 2001, n. 1740; Trib. Palmi 2 luglio 2004). Pi� correttamente la Suprema 
Corte ha osservato che �Il rigetto della istanza di esibizione di un documento della p.a., proposta ai 
sensi dell�art. 210 c.p.c., non viola l�art. 22 l. 7 agosto 1990 n. 241 (recante norme in materia di accesso 
ai documenti amministrativi); infatti, le due disposizioni operano su un piano diverso, avendo la l. n. 
241 del 1990 assunto l�interesse del privato all�accesso ai documenti come interesse sostanziale, apprestando 
a tutela dello stesso una specifica azione prevista dall�art. 25, mentre l�acquisizione documentale 
ai sensi dell�art. 210 c.p.c. costituisce esercizio di un potere processuale e l�acquisizione del 
documento resta pur sempre subordinata alla valutazione della rilevanza dello stesso, ai fini della decisione, 
da parte del giudice al quale spetta di pronunciarsi sulla richiesta istruttoria ai sensi dell�art. 
210 c.p.c.� (Cass. 9 agosto 1996, n. 7318). 
(15) La medesima posizione di terziet� imparziale tra interessi privati contrapposti potrebbe essere 
ravvisata anche nei procedimenti di evidenza pubblica, quanto meno laddove, procedendosi all�aggiudicazione 
in favore dell�offerta economicamente pi� vantaggiosa, si possa ritenere che l�interesse pubblico 
sia esaurito dalla definizione delle prestazioni da acquisire e che il procedimento valga solo ad 
individuare (mediante il riferimento al miglior prezzo) quale tra gli interessi privati coinvolti sia meritevole 
di soddisfacimento. 
DOTTRINA 367 
in questi casi il diritto d�accesso non possa essere consentito dall�amministrazione 
senza l�esplicito consenso del titolare dei dati (consenso che, in 
ipotesi, potrebbe anche essere acquisito in limine con la domanda di partecipazione 
al concorso, purch� in forma esplicita), in difetto del quale spetta 
al giudice decidere se ed in quali limiti ordinare all�amministrazione l�esibizione 
degli atti. 
4. Diritto di accesso ed investigazioni difensive nel processo penale 
Altra disciplina di settore incidente con quella amministrativistica del 
diritto d�accesso � quella penalistica in tema di investigazioni difensive. Se 
per la parte pubblica di un processo penale l�acquisizione di dati informativi 
da una P.A. passa attraverso strumenti pi� o meno autoritativi (richieste, ordini, 
perquisizioni e sequestri), la documentazione utile alla difesa dell�imputato 
(o anche a quella delle altre parti private) deve essere acquisita 
mediante lo svolgimento dell�attivit� di indagine difensiva e, nell�ambito di 
questa, mediante il procedimento previsto dall�art. 391 quater cod. proc. 
pen.:
1. Ai fini delle indagini difensive, il difensore pu� chiedere i documenti 
in possesso della pubblica amministrazione e di estrarne copia a sue spese. 
2. L�istanza deve essere rivolta all�amministrazione che ha formato il 
documento o lo detiene stabilmente. 
3. In caso di rifiuto da parte della pubblica amministrazione si applicano 
le disposizioni degli articoli 367 e 368. 
A questo riguardo devono svolgersi alcune osservazioni: 
- in evidente considerazione della rilevanza del diritto di difesa, l�acquisizione 
dei documenti amministrativi ai fini di investigazione difensiva 
non incontra i limiti previsti per il diritto di accesso; pare peraltro evidente 
che il difensore (o il diverso soggetto tra quelli indicati dall�art. 391 bis cod. 
proc. pen.) debba quanto meno far constare il proprio ruolo e fornire qualche 
indicazione, almeno sommaria, sull�oggetto del procedimento in corso, che 
consenta di apprezzare la non manifesta irrilevanza della documentazione 
richiesta ai fini difensivi; 
- ci� vale a fortiori allorch�, l�acquisizione di documenti amministrativi 
� esercitata a fini di attivit� investigativa preventiva (art. 391 nonies cod. 
proc. pen.), vale a dire in forza di un mandato conferito �per l�eventualit� 
che si instauri un procedimento penale�; 
- in caso di rifiuto da parte dell�amministrazione, il co. 3 prevede il ricorso 
al procedimento previsto dagli artt. 367 e 368 cod. proc. pen.: istanza 
al pubblico ministero affinch� disponga il sequestro della documentazione 
e, ove il P.M. non ritenga di doverlo disporre, trasmissione degli atti per la 
decisione al Giudice per le indagini preliminari; tale procedura sostituisce
368 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2010 
quella, inapplicabile in questi casi, dell�art. 25 L. 241/90 (16); 
- va peraltro ricordato che �La circostanza che gli atti oggetto della domanda 
di accesso presentata ai sensi dell�art. 22 l. 7 agosto 1990 n. 241 siano 
relativi ad un giudizio penale non � di per s� sufficiente a renderne legittimo 
il diniego, non essendo la sola pendenza di tale giudizio una circostanza idonea 
ad ingenerare in capo all�amministrazione uno specifico obbligo di segretezza 
e, di riflesso, ad escludere o limitare la facolt� per il soggetto 
interessato di averli in visione�(17). 
In generale, come puntualmente affermato dalla giurisprudenza, �La risposta 
dell�Amministrazione ad una richiesta di documenti nell�ambito di un 
processo penale (sia pure nella fase delle indagini preliminari), formulata dal 
Pubblico Ministero, dalla Polizia Giudiziaria o, dopo la legge n. 397/00, 
anche dal difensore incaricato di investigazioni difensive non costituisce certo 
attivit� volta al raggiungimento di obiettivi di pubblico interesse che possa 
essere qualificata in termini provvedimentali, ma � attivit� materiale nel cui 
ambito l�ente pubblico non esplica poteri autoritativi, e sulla quale non si pu� 
quindi formulare un giudizio di legittimit� / illegittimit� ma solo di liceit� / illiceit�, 
il quale ultimo non compete al Tribunale adito ma al Giudice Penale, 
come del resto prevede, si ripete, l�art. 391 quater, comma 3, c.p.p.�(18). 
(16) TAR Lombardia, sez. I, 17 ottobre 2006, n. 2013 e n. 2022; Cons. Stato, sez. IV, 26 aprile 
2007, n. 1896. Si segnala in particolare la prima pronuncia, nella quale si delinea la differenza tra la richiesta 
di documenti nell�ambito delle investigazioni difensive, tendente all�individuazione di elementi 
di prova utilizzabili nell�ambito di un processo penale, ed il diritto di accesso �generalmente riconosciuto 
a chi sia titolare di un interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente 
tutelata e collegata alla documentazione richiesta� e finalizzato �ad attuare la trasparenza e 
a verificare l�imparzialit� dell'operato della pubblica amministrazione�. 
(17) Cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 13 ottobre 1999, n. 1577; Cons. di Stato, sez. VI, 26 aprile 2005, 
n. 1896; vedi invece Cons. di Stato, sez. VI, 10 aprile 2003, n. 1923, secondo cui �Tra i casi di segreto 
previsti dall�ordinamento a preclusione del diritto di accesso, rientra quello istruttorio in sede penale, 
delineato dall�art. 329 c.p.p., a tenore del quale �gli atti di indagine compiuti dal p.m. e dalla polizia 
giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l�imputato non ne possa avere conoscenza e comunque, 
non oltre la chiusura delle indagini preliminari�. 
(18) Cfr. TAR Lombardia, sez. I, 17 ottobre 2006, n. 2013, citata nella nota 16.
DOTTRINA 369 
L�espropriazione per pubblica utilit� 
Atti emessi in carenza sopravvenuta di 
potest� ablatoria e pregiudiziale amministrativa 
Francesco Scaglione* 
Nel campo dell�espropriazione per pubblica utilit�, da sempre, il Giudice 
Ordinario ritiene disapplicabili, perch� emessi in carenza di potest� ablatoria, 
i provvedimenti espropriativi pronunziati dopo la scadenza dei termini fissati 
per il compimento delle opere e delle espropriazioni (e la conseguente decadenza 
della pubblica utilit�). 
Il Giudice Amministrativo, invece, ha, da sempre, ritenuto quei provvedimenti 
illegittimi e, perci�, annullabili, mediante ricorso giurisdizionale, da 
esperirsi entro il termine di decadenza di sessanta giorni dalla notifica, o dalla 
conoscenza; o, al limite, mediante Ricorso Straordinario al Capo dello Stato, 
con un termine decadenziale doppio. 
In mancanza di tempestiva impugnazione, il provvedimento, bench� illegittimo, 
consolidava, per sempre, la sua efficacia. 
Fino a quando l�azione demolitoria e quella risarcitoria appartenevano, 
l�una, alla giurisdizione del Giudice Amministrativo e, l�altra, a quella del Giudice 
ordinario, il contrasto non creava gravi problemi, perch�, chi aveva interesse 
ad una riparazione in forma specifica, sperimentava tempestivamente 
l�azione demolitoria, mentre la disapplicazione del provvedimento, da parte 
del Giudice Ordinario, non incideva sulla disponibilit� del bene da parte del 
beneficiario del provvedimento ablatorio illegittimo, dato che il detto Giudice 
accordava riparazioni solo per equivalente (avendo creato la figura, pur inaccettabile 
sul piano sistematico, del trasferimento della propriet� all�occupante, 
per �accessione invertita�). 
Il contrasto � divenuto, invece, problematico, allorch� l�articolo 34 del 
Decreto Legislativo 80/1998, come reiterato dall�articolo 7 della Legge 
205/2000, ha attribuito alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo 
le azioni risarcitorie nascenti da comportamenti della Pubblica Amministrazione, 
che, pur essendo illeciti, siano, comunque, espressioni dell�esercizio 
del potere alla stessa attribuito; o, quantomeno, da quando, dopo un lungo periodo 
di incertezza in ordine alla costituzionalit� di detta attribuzione, la sentenza 
11 maggio 2006 n. 191 della Corte Costituzionale l�ha resa pacifica. 
Da allora, un decreto di espropriazione emesso in sopravvenuta carenza 
di potest� ablatoria, ma non tempestivamente impugnato per l�annullamento, 
(*) Avvocato in Locri del Foro di Reggio Calabria.
370 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2010 
determina una situazione paradossale ed in evidente contrasto, sia con gli 
articoli 42 e 24 della Costituzione, sia con l�articolo 1 del Protocollo Aggiuntivo 
1 e con l�articolo 6, paragrafo 1, della C.E.D.U.. 
Chi si rivolgesse alla Corte d�Appello, Giudice di Unico Grado, per la 
liquidazione giudiziale dell�indennit�, ne avrebbe una sentenza di inammissibilit� 
della domanda, per disapplicazione del decreto di espropriazione, la 
cui efficacia � presupposto indefettibile del diritto all�indennit�. 
Chi si rivolgesse al T.A.R., per ottenere il risarcimento del danno per 
occupazione divenuta illegittima, si vedrebbe opporre la cosiddetta �pregiudiziale 
amministrativa� e sentenziare l�inammissibilit� della domanda, essendo 
inconcepibile il risarcimento a seguito di un provvedimento efficace, 
perch� non tempestivamente impugnato. 
In conclusione, il proprietario non potrebbe conseguire, n� indennit�, 
n� risarcimento! 
N� situazioni come quella ipotizzata sono rare, perch�, come si � detto, 
solo da qualche anno, � chiaro, a tutti, che l�azione demolitoria � da proporsi 
in ogni caso, tanto pi� che la riparazione, cos� in forma specifica, come per 
equivalente, pu� essere domandata, contestualmente, allo stesso Giudice 
Amministrativo; sono, perci�, molti i decreti di espropriazione intempestivi 
rispetto ai termini di decadenza della pubblica utilit� non impugnati per annullamento 
negli anni precedenti ed in quelli immediatamente successivi 
alla Legge 205/2000. 
Un tentativo di buon senso per risolvere il problema era stato operato 
in due arresti, uno del T.A.R. di Trento (24 aprile 2008 n. 97) ed uno della 
Quinta Sezione (31 maggio 2007 n. 2822), che, pur tenendo ferma l�efficacia 
dei provvedimenti non impugnati e l�impossibilit�, perci�, di una reintegrazione 
in forma specifica, avevano dichiarato ammissibile una verifica incidentale 
dell�illegittimit� di quei provvedimenti, allo scopo di accordare una 
riparazione per equivalente. 
Ma tali arresti erano stati disattesi da successive pronunzie dell�Adunanza 
Plenaria. 
Infine, le Sezioni Unite (con una sentenza che d� l�impressione, in verit�, 
di un�autentica forzatura, perch� il tema affrontato non era neanche funzionale 
rispetto al decisum) pur dichiarando inammissibile il ricorso 
principale e rigettando quello incidentale avverso una sentenza del Consiglio 
di Stato, che aveva opposto al ricorrente la pregiudiziale amministrativa, 
pronunziava, ai sensi dell�articolo 363 c.p.c., nell�interesse della legge, il 
principio di diritto: �Proposta al Giudice Amministrativo domanda risarcitoria 
autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto 
nell�esercizio illegittimo della funzione amministrativa, � viziata da violazione 
di norme sulla giurisdizione ed � soggetta a cassazione per motivi attinenti 
alla giurisdizione la decisione del Giudice Amministrativo che nega
DOTTRINA 371 
la tutela risarcitoria degli interessi legittimi, sul presupposto che l�illegittimit� 
dell�atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in 
sede di annullamento� (vedi S.U. 23 dicembre 2008 n. 30254). 
La presa di posizione delle Sezioni Unite ha creato una impasse presso 
la Giustizia Amministrativa, le cui sentenze, se avessero opposto la pregiudiziale 
amministrativa, sarebbero state suscettibili di annullamento. 
Sembrava che il contrasto fosse destinato ad essere sanato attraverso 
l�attuazione della delega conferita al Governo dall�articolo 44 della Legge 
18 giugno 2009 n. 69 per il riordino del processo amministrativo, che stabiliva 
che i decreti delegati dovessero �disciplinare le azioni e le funzioni del 
Giudice �prevedendo le pronunce dichiarative, costitutive e di condanna 
idonee a soddisfare la parte vittoriosa�. 
Il Governo, avvalendosi della facolt� di cui all�articolo 14 n. 2 del testo 
Unico 26 giugno 1924 n. 1054, commetteva al Consiglio di Stato una proposta 
di articolato per il decreto legislativo e, presso il Consiglio di Stato, 
secondo le prescrizioni dello stesso articolo 44 n. 4 della Legge 69/2009, si 
formava una Commissione costituita da Magistrati della Giurisdizione Amministrativa, 
esperti esterni e membri dell�Avvocatura dello Stato. 
Il testo licenziato dalla Commissione era rimesso al Governo, che lo 
modificava notevolmente e lo inviava, il 30 aprile 2010, al Presidente del 
Senato, per l�acquisizione dei pareri delle Commissioni parlamentari. 
Nel detto testo e per quel che interessa il problema sopra segnalato, l�articolo 
30 ammette che l�azione di condanna al risarcimento del danno possa 
essere proposta, nei casi di giurisdizione esclusiva, autonomamente, rispetto 
a quella di annullamento; ma, al terzo comma, fissa, per l�azione di risarcimento 
per lesione di interessi legittimi, un termine di decadenza di centoventi 
giorni dal fatto o dalla conoscenza del provvedimento. 
Termine coincidente, in pratica, con quello per il Ricorso straordinario 
al Capo dello Stato, che costituisce l�alternativa, per la domanda demolitoria, 
al Ricorso giurisdizionale. 
Vero che il termine di decadenza riguarda la domanda risarcitoria per 
la lesione di interessi legittimi e non dei diritti soggettivi; ma, soltanto nella 
prospettiva di disapplicazione del provvedimento espropriativo illegittimo, 
la pretesa di reintegrazione del proprietario pu� considerarsi fondata sulla 
lesione del diritto soggettivo riespanso. 
Se il provvedimento si considera, alla stregua della Giurisprudenza Amministrativa, 
consolidato dalla mancata impugnazione ed efficace, la situazione 
soggettiva sottesa alla pretesa risarcitoria potrebbe restare 
classificabile come interesse legittimo e l�azione risarcitoria, perci�, soggetta 
al termine decadenziale. 
Il compromesso in ordine alla pregiudiziale amministrativa �, perci�, 
soltanto apparente, dato che, sul piano sostanziale, la situazione resta im-
372 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2010 
mutata. 
Non � prevista neanche una norma transitoria, che, almeno, salvi le domande 
risarcitorie pendenti e, per le situazioni pregresse non ancora dedotte 
in giudizio, faccia decorrere il termine di decadenza dall�entrata in vigore 
del decreto legislativo in gestazione. 
Continuer� il braccio di ferro con la Cassazione? 
Certo, situazioni come quella sopra ipotizzata, di negazione, da parte 
della giurisdizione ordinaria del diritto all�indennit� e, da parte di quella amministrativa, 
del diritto alla reintegrazione per equivalente, potranno essere 
denunziate alla Corte Europea dei Diritti dell�Uomo. 
E, se vi sar� una decisione che condanni la detta situazione come in 
contrasto con le gi� ricordate clausole della convenzione, i Giudici interni 
vi si dovranno adeguare direttamente, senza necessit� di un previo intervento 
della Corte Costituzionale sotto il parametro dell�articolo 117 della Costituzione. 
La definitiva entrata in vigore, nell�Unione, del Trattato di Lisbona, che 
recepisce nell�ambito del diritto comunitario la Convenzione Europea dei 
Diritti dell�Uomo, ne rende le clausole direttamente applicabili dal Giudice 
interno, che si deve, peraltro, attenere all�interpretazione datane dalla Corte 
di Strasburgo. 
Non � pi�, cio�, la Corte Costituzionale che, in applicazione dell�articolo 
117, deve imporre al legislatore interno, salvi i controlimiti, di adeguarsi 
al trattato internazionale, bens� il Giudice interno, che � direttamente soggetto 
al diritto comunitario. 
D�altronde, l�articolo 1 del progetto del Codice del Processo Amministrativo 
recita: �La Giurisdizione Amministrativa assicura una tutela piena 
ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo�. 
Dati i tempi, ormai lunghi, della Corte di Strasburgo, soffocata da una 
quantit� enorme di Ricorsi, si potrebbe anche tentare di chiedere la denunzia 
alla Corte Costituzionale, sotto i parametri degli articoli 42 e 24, dell�articolo 
30 del decreto allegato (ove restasse nella formulazione attuale), in quanto 
non prevede l�esenzione dal termine decadenziale delle azioni risarcitorie 
pendenti, proposte rispetto a provvedimenti ablatori non tempestivamente 
impugnati per annullamento e, per quelle non ancora proposte, non prevede 
che il termine decorra dall�entrata in vigore della Legge. 
Non cՏ dubbio, infatti, che, da quando � pacifico, dopo la sentenza n. 
19/2006 della Corte Costituzionale, che la giurisdizione esclusiva di cui all�articolo 
34 del Decreto Legislativo 80/1998, come reiterato dall�articolo 7 
della Legge 205/2000 comprende le domande risarcitorie da provvedimenti 
espropriativi pronunziati in carenza sopravvenuta di potest� ablatoria, si pu� 
anche ritenere che la tutela della relativa situazione soggettiva sia sufficiente, 
perch� � nota, cos� l�opportunit� di ricorrere, contestualmente, per l�annul-
DOTTRINA 373 
lamento e per il risarcimento, come, da quando entrer� in vigore l�articolo 
30 del Decreto delegato in questione, la possibilit� di optare, entro lo stretto 
termine decadenziale, per la sola domanda risarcitoria. 
Ma altrettanto indubbio � che non � sufficiente la tutela per le analoghe 
situazioni soggettive dovute a provvedimenti pronunziati prima del maggio 
2006, allorch� chi optava per la reintegrazione per equivalente era certo di 
potersi rivolgere al Giudice ordinario, che avrebbe disapplicato il provvedimento 
ed accordato il risarcimento del danno.
R E C E N S I O N I 
SIMONA BRICCOLA, Libert� religiosa e �Res Publica� 
(Pubblicazioni della Universit� di Pavia, Facolt� di Giurisprudenza, Studi 
nelle Scienze Giuridiche e Sociali, Casa editrice CEDAM, 2009) 
Recensione di Gabriella Palmieri* 
Il libro scritto da Simona Briccola intitolato "Libert� religiosa e Res 
Publica", pubblicato dalla casa editrice CEDAM, affronta la tematica della 
libert� religiosa muovendosi nell'ottica delle discipline pubblicistiche in 
generale e del diritto amministrativo in particolare, come, peraltro, precisato 
dalla stessa autrice nell'introduzione al libro. 
L'autrice muove dalla considerazione che sia possibile costruire una 
diversa configurazione giuridica del diritto di libert� religiosa in relazione 
ai diversi rami del diritto vigente che se ne occupano, sino a delineare una 
sorta di "codice amministrativo ecclesiastico", anche in considerazione 
della rilevante produzione giurisprudenziale amministrativa in materia, ricordando, 
a titolo esemplificativo e successivamente approfondendola, la 
questione della legittimit� della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche. 
L�autrice ricostruisce anche l'apporto dottrinale, invero meno copioso 
di quello giurisprudenziale, che affonda le sue radici nella visione illuministica 
e liberale del diritto di libert� religiosa, ripercorrendone lo sviluppo 
intellettuale sino al Concilio Vaticano II; e sottolineando come il risveglio 
post-conciliare sia da attribuire pi� agli autori di opere di diritto costituzionale 
italiano che agli autori di opere di diritto amministrativo. 
Come dichiara la stessa autrice, lo scopo principale del suo lavoro � 
quello di �descrivere, senza alcuna pretesa di esaustivit�, ma nel modo pi� 
(*) Avvocato dello Stato.
376 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.3/2010 
organico ed obiettivo possibile, la problematica delle manifestazioni del 
credo religioso all'interno degli spazi pubblici istituzionali, muovendo a 
tal fine dall'oggetto del diritto anzich� dai soggetti che ne sono titolari�. 
Prende, pertanto, in considerazione i principali contesti politico-istituzionali, 
analizza la giurisprudenza amministrativa del plesso TAR � Consiglio 
di Stato, con uno sguardo alla giurisdizione europea, verso la quale, 
invece, secondo l'autrice, il giudice nazionale mostra ancora troppo scarso 
interesse; senza trascurare l'esame delle prassi amministrative e dei regolamenti 
comunali. 
Il libro � suddiviso in tre capitoli che rappresentano anche le tre linee 
concettuali della tesi sostenuta dall�autrice: 1) la libert� religiosa esaminata 
nei suoi ambiti di definizione e nei suoi ambiti di espansione, dove si segnala, 
in particolare, l�analisi dell'interazione del fattore religioso con gli 
spazi pubblici sotto molteplici profili (ristorazione; l'ambito sanitario-ospedaliero; 
luoghi di culto; cimiteri; circoncisione); 2) la libert� religiosa esaminata 
alla luce della recente giurisprudenza amministrativa in determinati 
ambiti (come l�abbigliamento, con particolare attenzione verso il velo islamico, 
al c.d. affaire du foulard, con ampi riferimenti giurisprudenziali italiani 
e, soprattutto, con particolare riguardo alla decisione della CEDU del 
2008 in tema di libert� religiosa e del Cons�il d'Etat francese; o come il 
crocifisso), con una valutazione finale sulle interazioni con il diritto di libert� 
religiosa negli spazi pubblici, in precedenza analizzato; 3) la libert� 
religiosa che si afferma tra l�ambito normativo e la prassi amministrativa 
(in tema di soggiorno obbligato al fine di esercizio del culto e in tema di 
cerimonie religiose). 
La trattazione dei predetti argomenti avviene su un doppio livello teorico 
e pratico-giurisprudenziale, giungendo alla conclusione che il pi� corretto 
approccio alla soluzione dei problemi pratici che sorgono sul tema 
della libert� religiosa sia rappresentato �dall�equo bilanciamento tra le 
esigenze di manifestazione di appartenenza religiosa dei singoli utenti di 
un pubblico servizio e il principio di laicit� dello stato�. 
Secondo l�autrice, infatti, la ricerca deve approdare all'individuazione 
di una "identit� culturale" all'interno di un sistema pluralistico religioso, 
enfatizzando il dialogo interreligioso e interculturale e giungendo, quindi, 
ad assicurare la libert� effettiva dei propri cittadini da parte di uno Stato 
laico senza discriminazioni nei confronti della scelta religiosa. 
Il libro affronta cos� una tematica interessante, di grande e immediata 
attualit� con un approccio concettuale che privilegia l�ottica del diritto amministrativo. 
Il libro va senz�altro segnalato per la completezza della trattazione, 
anche se la data della sua pubblicazione, nel 2009, non ha consentito all'Autrice 
di occuparsi della recente e ormai famosissima decisione in ma-
RECENSIONI 377 
teria di esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche emanata dalla 
CEDU, in relazione alla quale � in corso di esame da parte della Grand 
Chambre il ricorso presentato dal Governo italiano (1). Si pu�, quindi, suggerire 
all�autrice di preparare, dopo la decisione definitiva della CEDU, 
una nuova edizione del libro, per analizzare in dettaglio e commentare diffusamente 
tale pronuncia. 
(1) Gli atti della causa Lautsi c. Italia sono consultabili sul sito della Presidenza del Consiglio dei 
Ministri - Dipartimento affari giuridici e legislativi - Ufficio contenzioso, per la consulenza giuridica e 
per i rapporti con la Corte europea dei diritti dell�uomo, www.governo.it/Presidenza/contenzioso.
Finito di stampare nel mese di ottobre 2010 
Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. 
Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma