ANNO LXII - N. 2 APRILE-GIUGNO 2010 
RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 
PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO
COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Glauco Nori. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - 
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Getano Scoca. 
DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. 
COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Maurizio Fiorilli - Paolo 
Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Antonio Palatiello - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. 
CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - 
Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Maria Vittoria 
Lumetti - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - 
Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 
SEGRETERIA DI REDAZIONE: Antonella Quirini 
HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Clarissa Baragli, Davide 
Borgni, Pierluigi Di Palma, Pasquale Fava, Margherita Fegatelli, Wally Ferrante, Lucrezia 
Fiandaca, Biagio Fraudatario, Michele Gerardo, Marco Stigliano Messuti, Gabriella Palmieri, 
Paola Palmieri, Giancarlo Pampanelli, Vincenzo Rago, Marina Russo, Grazia Sanna, Giuseppe 
Santoro-Passarelli, Francesco Scittarelli. 
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giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 
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AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
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INDICE - SOMMARIO 
TEMI ISTITUZIONALI 
Il rinnovo del �Protocollo d�intesa tra Avvocatura dello Stato ed Agenzia 
delle Entrate� per il triennio 2010/2013 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Margherita Fegatelli e Davide Borgni, Le Agenzie fiscali in giudizio ed il 
patrocinio dell�Avvocatura dello Stato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
La difesa legale delle Autorit� portuali, Circolare A.G.S. n. 11 del 15 febbraio 
2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 
Giuseppe Albenzio, �La posizione dell�Italia sui diritti da riconoscere 
alle persone inserite nelle �black list��, relazione tenuta al convegno �Diritti 
fondamentali e politiche dell�UE dopo Lisbona�, Pescara, 6-7 maggio 
2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
1. - I giudizi in corso alla Corte di giustizia Ue 
Giuseppe Albenzio, Risorse proprie delle Comunit�, causa C-334/08.. . 
Marina Russo, Concorrenza, causa C-393/08 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Marina Russo, Politica sociale, causa C-396/08 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Wally Ferrante, Libert� di stabilimento, causa C-565/08. . . . . . . . . . . . . 
Wally Ferrante, Libert� di stabilimento, causa C-452/09. . . . . . . . . . . . . 
Wally Ferrante, Spazio di libert�, sicurezza e giustizia, causa C-509/09 
Wally Ferrante, Politica sociale, causa C-3/10 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Marina Russo, Libera prestazione dei servizi, causa C-32/10 . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Gabriella Palmieri, L�istituto del matrimonio. Sul riconoscimento ai nubendi 
dello stesso sesso �La materia � affidata alla discrezionalit� del 
Parlamento� (C. cost., sent.15 aprile 2010 n. 138) . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Francesco Scittarelli, Competenza tra Stato e Regioni in materia di tariffe 
del servizio idrico integrato (C. cost., sent. 4 febbraio 2010 n. 29) . . . . . 
Vincenzo Rago, Obblighi di informazione del paziente e responsabilit� 
del medico per omessa informazione (Cass., Sez. III civ., sent. 9 febbraio 
pag. 1 
�� 7 
�� 34 
�� 37 
�� 60 
�� 66 
�� 75 
�� 81 
�� 90 
�� 106 
�� 112 
�� 130 
�� 135 
�� 153
2010 n. 2847; Cass., Sez. III civ., sent. 4 gennaio 2010 n. 13; Cass., Sez. 
III civ., sent. 30 gennaio 2009 n. 2468; Cass., Sez. Un. Penali, sent. 21 
gennaio 2009 n. 2437) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Biagio Fraudatario, Legge n. 210: oscillazioni giurisprudenziali in tema 
di legittimazione passiva dell�ente tenuto alla prestazione (Cass., Sez. Lavoro, 
sent. 19 ottobre 2009 n. 22111) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Michele Gerardo, La demanialit� sopravvenuta del lago di Lucrino. 
Aspetti processuali (vicende del giudicato nel tempo) e sostanziali (requisiti 
necessari affich� le acque interne possano essere considerate pubbliche) 
connessi all�accertamento della qualit� di demanio idrico del lago 
di Lucrino (C. app. Napoli, Trib. Reg. Acque Pubbliche, sent. 10 febbraio 
2010 n. 17) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Clarissa Baragli, I �Mobility Scooter� quali dispositivi medici sono esonerati 
dall�applicazione del dazio doganale (Comm. Trib. Prov. La Spezia, 
Sez. IV, sent. 9 febbraio 2010 n. 66) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Giancarlo Pampanelli, Canoni concessori di alloggi demaniali; concetto 
di ristrutturazione per l�aggiornamento del coefficiente di vetust� del cespite 
immobiliare ai sensi dell�art. 20 legge n. 392/1978 sull�equo canone 
- AL 28703/09. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giuseppe Fiengo, Terzo condono edilizio e disciplina degli effetti del ritardato 
pagamento della rata intermedia di oblazione - AL 20734/09 . . 
Paola Palmieri, Costituzione di ipoteca su beni archeologici appartenenti 
a Societ� cooperative; necessit� dell�autorizzazione ministeriale - AL 
21135/09 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Marco Stigliano Messuti, Opere pubbliche. Rapporti tra stazione appaltante 
e Raggruppamento Temporaneo di Imprese: deroghe al principio 
di immodificabilit� soggettiva dei componenti - AL 33638/2009. . . . . . . 
Lucrezia Fiandaca, Sull�indennit� di missione ex art. 1 della legge 18 dicembre 
1973 n. 836 - AL 32118/2009 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Marina Russo, Titolarit� dello ius postulandi per le Casse di previdenza 
delle forze armate - AL 3121/2010. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Pierluigi Di Palma, La difesa in giudizio di un ente pubblico non economico 
in violazione dell�art. 417 bis c.p.c. e dell�art. 43 R.D. n. 1611/1933 
- AL 21507/07. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 165 
�� 217 
�� 228 
�� 249 
�� 257 
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�� 277 
�� 282 
�� 286
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Pasquale Fava, L�impugnazione degli atti di controllo: gli orientamenti 
della giurisprudenza e le relative giustificazioni di teoria generale . . . . 
Adele Quattrone, L�azione collettiva pubblica nel sistema di controllo 
dell�efficienza della Pubblica Amministrazione. Rapporti con le azioni 
collettive private . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Grazia Sanna, Eros o virus? Sovranit� alimentare e diritto dei giudici . 
RECENSIONI 
Domenico Mezzacapo, Dirigenza pubblica e tecniche di tutela, Jovene 
editore, Napoli 2010. Recensione a cura di Giuseppe Santoro-Passarelli 
pag. 293 
�� 327 
�� 342 
�� 391
T E M I I S T I T U Z I O N A L I 
La difesa legale delle Agenzie fiscali 
Comunicato dell�Avvocato Generale* 
Si comunica che in data odierna l�Avvocato Generale ed il Direttore dell�Agenzia delle Entrate, 
dott. Befera, hanno sottoscritto il rinnovo del protocollo d�intesa tra Avvocatura dello 
Stato ed Agenzia delle Entrate per il triennio 2010/2013. 
Si allega testo del protocollo d�intesa. 
PROTOCOLLO D�INTESA TRA AVVOCATURA DELLO STATO 
ED AGENZIA DELLE ENTRATE 
Considerato che, ai sensi dell�art. 72 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, l�Agenzia 
delle Entrate (di seguito denominata anche solo Agenzia) pu� avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato (di seguito denominata anche solo Avvocatura) ai sensi dell�art. 43 
del testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 e che, in base a tale 
ultima disposizione, l�Avvocatura � autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa 
dell�Agenzia, salve le ipotesi di conflitto ed i casi speciali ivi previsti; 
Vista la delibera n. 7/2010 del 26 aprile 2010 - allegato sub A) al presento atto - con la quale 
il Comitato di Gestione dell�Agenzia ha ritenuto ai sensi del citato art. 43 del R.D. n. 1611 
del 1933 di avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura; 
Ritenuta l�opportunit� di disciplinare, sulla base della distinzione dei ruoli e delle competenze 
e del riconoscimento delle rispettive responsabilit�, le modalit� di cooperazione tra l�Agenzia 
e l�Avvocatura, al fine di assicurare nel modo migliore la piena tutela degli interessi pubblici 
coinvolti, prevedendo anche forme snelle e semplificate di relazioni, tali da rafforzare l�efficienza 
e l�efficacia dell�azione amministrativa e l�ottimale funzionalit� delle strutture; 
Ravvisata, in particolare, l�opportunit� di prevedere modalit� operative volte a garantire un 
efficiente ed incisivo apporto consultivo dell�Avvocatura, nonch� lo svolgimento del patroci- 
(*) Inviato per e-mail da Segreteria Particolare il 13 maggio 2010.
2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
nio dell�Agenzia affidato alla stessa Avvocatura nei giudizi attivi promossi o proseguiti in 
gradi ulteriori dall�Agenzia e nei giudizi passivi instaurati o coltivati da terzi nei confronti 
della medesima; 
Tra il Direttore dell�Agenzia delle Entrate, Dott. Attilio Befera e l�Avvocato Generale dello 
Stato, Avv. Ignazio Francesco Caramazza si conviene quanto segue. 
1. ATTIVITA� CONSULTIVA 
1.1 Allo scopo di razionalizzare gli interventi, l�Agenzia, tramite le competenti Direzioni centrali, 
provvede a coordinare la proposizione di quesiti e richieste di pareri che involgono questioni 
interpretative di carattere generale o di particolare rilevanza, evitando l�inoltro di 
specifiche richieste tramite proprie strutture periferiche. 
1.2 Considerato che l�efficacia dell�attivit� consultiva � direttamente correlata alla tempestiva 
acquisizione dei richiesti pareri, l�Avvocatura provvede a corrispondere con tempestivit� alle 
relative richieste, comunque nei termini imposti dai procedimenti amministrativi o, in mancanza, 
entro 60 giorni dalla richiesta (eventualmente anticipando il parere per posta elettronica 
o fax), segnalando i casi in cui ci� non sia possibile. 
1.3 L�Agenzia informa l�Avvocatura - nella persona del Vice Avvocato Generale delegato ai 
rapporti con l�Agenzia - dei principali orientamenti dalla stessa assunti, in particolare in ordine 
all�interpretazione di normativa di prima applicazione, al fine di j acquisire eventuali suggerimenti 
e/o pareri, particolarmente nella prospettiva dei riflessi sulla gestione del relativo contenzioso, 
potenziale o in atto. 
1.4 L�Avvocatura, su richiesta dell�Agenzia, esprime parere sugli atti di transazione redatti 
dalle strutture centrali o periferich� interessate e, nei limiti della propria disponibilit�, assicura 
l�assistenza nel luogo ove si svolge I� attivit� transattiva. 
2. ASSISTENZA E RAPPRESENTANZA IN GIUDIZIO 
2.1 Disposizioni generali 
2.1.1 Al fine di consentire all�Avvocatura il rispetto dei termini di cui appresso, l�Agenzia, 
attraverso le proprie strutture centrali o territoriali, provvede ad investire l�Avvocatura delle 
richieste di patrocinio con il pi� ampio margine rispetto alle scadenze, fornendo una completa 
e documentata relazione in fatto e in diritto, quale necessario supporto per l�efficace tutela 
delle ragioni dell�Agenzia. In sede di richiesta verr� precisato il nominativo del funzionario 
incaricato dell�istruttoria, con le modalit� per la sua immediata reperibilit� (telefono, fax, 
posta elettronica); analogamente l�Avvocatura provvede a segnalare alla struttura richiedente 
dell�Agenzia il nominativo dell�Avvocato incaricato dell�affare e le medesime modalit� di 
immediata reperibilit� (telefono, fax, posta elettronica). Ogni eventuale modifica dei predetti 
recapiti va tempestivamente comunicata. 
2.1.2 Al fine di assicurare nel modo pi� sollecito ed efficace lo svolgimento delle rispettive 
attivit� istituzionali, � assicurato all�Avvocatura l�accesso ai dati relativi ai fascicoli di causa 
delle controversie pendenti presso le Commissioni tributarie. 
2.1.3 Ove l�Avvocatura ritenga di non convenire, per singole controversie, sulle richieste avanzate 
dall�Agenzia, provvede, se del caso previa acquisizione di elementi istruttori, a darne 
tempestiva e motivata comunicazione alla struttura richiedente, al fine di pervenire ad una 
definitiva determinazione. Le divergenze che insorgono tra l�Avvocatura e l�Agenzia, circa 
l�instaurazione di un giudizio o la resistenza nel medesimo, sono risolte dal Direttore del-
TEMI ISTITUZIONALI 3 
l�Agenzia, ai sensi dell�art. 12, secondo comma, della legge 3 aprile 1979, n. 103. 
2.1.4 Qualora gli atti introduttivi del giudizio o di un grado di giudizio e qualunque altro atto 
o documento vengano notificati all�Agenzia presso una sede dell�Avvocatura, non ancora investita 
della difesa, sono dalla stessa inviati senza indugio alla competente struttura dell�Agenzia, 
utilizzando gli strumenti in concreto pi� rapidi. 
2.1.5 L�Avvocatura provvede a tenere informata la competente struttura dell�Agenzia dei significativi 
sviluppi delle controversie dalla stessa curate, assicurando, laddove l�Agenzia ne 
faccia motivata richiesta, il tempestivo invio degli atti difensivi propri (in formato editabile 
onde agevolarne l�utilizzo in casi analoghi) e delle controparti, dando comunque pronta comunicazione 
dell�esito del giudizio con la trasmissione di copia della decisione. Ove si tratti 
di pronuncia sfavorevole all�Agenzia suscettibile di gravame, l�Avvocatura formula il proprio 
parere in ordine all�impugnabilit� della decisione, di norma contestualmente all�inoltro della 
stessa all�Agenzia. Le pronunce che investano questioni di carattere generale sono dall� Avvocatura 
segnalate alla Direzione centrale affari legali e contenzioso o alla diversa Direzione 
centrale eventualmente interessata. 
2.1.6 Per le cause che si svolgono davanti ad autorit� giudiziaria avente sede diversa da quella 
della competente Avvocatura, quest�ultima si avvale per le funzioni procuratorie di funzionari 
dell�Agenzia ai sensi dell�art. 2 del R.D. n. 1611 del 1933, salvo diversa preventiva intesa 
con l�Agenzia. In tal caso, l�Avvocatura trasmette l�atto di delega alla competente struttura 
territoriale dell�Agenzia. 
2.1.7 Per le notificazioni l�Avvocatura si avvale della collaborazione dell�Agenzia nei soli 
casi in cui sia necessario, qualora, ad esempio, sia dubbia l�individuazione del luogo ove effettuarle. 
In tali casi, se la notifica va eseguita nel capoluogo di regione, l�Avvocatura trasmette 
l�atto alla Direzione regionale competente, mentre, se la notifica va eseguita fuori del capoluogo 
di regione, trasmette l�atto alla Direzione provinciale o alla sua articolazione territoriale 
del luogo di esecuzione della notifica, sempre che nella citt� ove ha sede tale articolazione 
sia presente l�Ufficio notificazioni esecuzioni e protesti. Ai fini della notifica, l�Avvocatura 
fa pervenire l�atto entro tre giorni lavorativi liberi prima della scadenza del termine di impugnazione; 
si considera non lavorativo anche il sabato. La struttura dell� Agenzia invia tramite 
posta celere l�atto all� Avvocatura subito dopo la notifica. 
2.1.8 A richiesta del Direttore dell�Agenzia, l�Avvocatura pu� assumere, ai sensi dell�art. 44 
del R.D. n. 1611 del 1933, la rappresentanza e la difesa di dipendenti dell�Agenzia nei giudizi 
civili e penali che li interessano per fatti e cause di servizio. 
2.1.9 L�Avvocatura segnala tempestivamente i casi particolari nei quali non pu� assumere il 
patrocinio potendosi configurare un conflitto di interessi con altra amministrazione. 
2.2 Giudizi di lavoro e di opposizione a sanzioni amministrative 
2.2.1 L�Agenzia sta in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti nelle controversie 
relative a rapporti di lavoro, come previsto all�art. 417-bis, primo comma, c.p.c., nonch� 
nelle controversie davanti al giudice di pace il cui valore non eccede euro 516,46, come previsto 
all�art. 82, primo comma, c.p.c. e in quelle in materia di opposizione a sanzioni amministrative 
ai sensi dell�art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, salvo che per queste 
ultime intervengano diverse intese a livello locale. L�Avvocatura assicura comunque, d�intesa 
con l�Agenzia, il patrocinio nelle controversie in cui vengono in rilievo questioni di massima 
o particolarmente rilevanti in considerazione del valore economico o dei principi di diritto in 
discussione.
4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
2.2.2 Le sentenze pronunciate in grado di appello relativamente a controversie di lavoro, notificate 
presso l�Avvocatura distrettuale dello Stato, sono da quest�ultima trasmesse contemporaneamente, 
oltre che all�Avvocatura generale dello Stato, alla struttura dell�Agenzia parte 
del giudizio di appello, unitamente agli atti essenziali di cui l�Agenzia stessa non sia in possesso. 
2.3 Giudizi davanti alle Commissioni tributarie regionali 
Davanti alle Commissioni tributarie regionali, anche a seguito di rinvio della Corte di cassazione, 
d�intesa con la competente Direzione regionale, l�Avvocatura assicura il patrocinio 
nelle controversie particolarmente rilevanti in considerazione del valore economico o dei principi 
di diritto in discussione. 
2.4 Ricorsi per cassazione 
2.4.1 Le richieste di ricorso per cassazione concernenti giudizi tributari vengono inviate all�Avvocatura 
generale, integrate di tutta la necessaria documentazione, compresi la copia degli 
scritti difensivi dell�Agenzia e della controparte e dei documenti prodotti in giudizio, dalla 
competente struttura territoriale dell�Agenzia, entro: 
a. trenta giorni dalla notifica della sentenza all�Agenzia o all�Avvocatura. In caso di notifica 
presso pi� sedi, occorre fare riferimento alla prima notifica ricevuta; 
b. quattro mesi dalla data di deposito della sentenza non notificata. Tale termine � aumentato 
a dieci mesi per i giudizi instaurati fino al 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della legge 
18 giugno 2009, n. 69, che ha ridotto il �termine lungo� di impugnazione da un anno a sei 
mesi. 
Ai predetti termini si aggiungono la sospensione feriale di cui all�art.1, della legge n. 742 
del 1969, nonch� altre eventuali sospensioni dei termini, ove applicabili. 
2.4.2 L�Avvocatura d� tempestiva informazione alla Direzione regionale della avvenuta proposizione 
del ricorso anche attraverso l�invio dell�istanza di cui all�art. 369, terzo comma, 
c.p.c.. 
2.4.3 L�Avvocatura, nei casi in cui non condivida la richiesta di ricorso per cassazione, d� 
tempestiva comunicazione del proprio motivato parere negativo alla competente Direzione 
regionale, tramite posta elettronica o fax e se del caso dandone anticipazione telefonica ai recapiti 
indicati nella richiesta di ricorso. In ogni caso, tale parere � inviato alla Direzione regionale, 
salvo obiettive circostanze impedienti, almeno dodici giorni prima della scadenza 
del termine di impugnazione. 
2.4.4 La Direzione regionale, qualora non condivida il parere negativo dell�Avvocatura, formula 
alla stessa, entro due giorni utili dalla ricezione di detto parere, le proprie osservazioni 
e le invia, tramite posta elettronica o fax, unitamente alla completa documentazione relativa 
alla richiesta di ricorso, anche alla Direzione centrale affari legali e contenzioso. 
2.4.5 Qualora l�Avvocatura non condivida la reiterata richiesta di proposizione del ricorso di 
cui al punto precedente, comunica con la necessaria urgenza il proprio definitivo parere direttamente 
alla Direzione centrale affari legali e contenzioso e alla Direzione regionale competente, 
mediante posta elettronica o fax. Nel caso in cui la Direzione centrale non condivida 
il parere dell�Avvocatura, per la risoluzione della divergenza si applica il secondo periodo del 
punto 2.1.3. 
2.4.6 In mancanza di formale e tempestiva conferma del parere negativo espresso dall�Avvocatura, 
quest�ultima provvede, in modo da evitare decadenze, alla proposizione del ricorso 
per cassazione, in attesa dell�eventuale soluzione della divergenza insorta.
TEMI ISTITUZIONALI 5 
2.4.7 L�Avvocatura si pu� avvalere della collaborazione delle strutture dell�Agenzia per la richiesta 
di trasmissione del fascicolo d�ufficio, ai sensi dell�art. 369, terzo comma, c.p.c.. In 
tal caso, l�Avvocatura invia la predetta richiesta alla Direzione regionale competente ovvero, 
se la sentenza impugnata � stata emessa da una sezione staccata della Commissione tributaria 
regionale, alla Direzione provinciale del luogo in cui ha sede la stessa sezione staccata. 
2.4.8 La richiesta di cui al punto precedente, dopo gli adempimenti di rito, � immediatamente 
restituita, tramite posta celere, all�Avvocatura. 
2.4.9 Nel caso di notifica da parte del contribuente di ricorso per cassazione concernente un 
giudizio tributario, la Direzione provinciale invia entro venti giorni l�originale notificato del 
ricorso completo di relata di notifica, la relazione per il controricorso e per l�eventuale ricorso 
incidentale, con tutti gli atti di causa (atto impugnato, ricorso, controdeduzioni e ogni altro 
atto o documento depositato), all�Avvocatura generale e, per conoscenza, alla Direzione regionale. 
Per il computo dei termini si tiene conto della sospensione di cui al punto 2.4.1. La 
relazione, con i relativi allegati, � anticipata all�indirizzo di posta elettronica della sezione 
dell�Avvocatura competente per ciascuna Direzione regionale. 
2.4.10 L�Avvocatura, qualora ritenga che non sia opportuna la proposizione del ricorso incidentale, 
d� tempestiva comunicazione del proprio motivato parere negativo alla competente 
Direzione regionale, almeno cinque giorni prima della scadenza del termine per la notifica 
del ricorso incidentale, tramite posta elettronica o fax e se del caso dandone anticipazione telefonica 
ai recapiti indicati nella richiesta. 
2.4.11 Nel caso di parere negativo dell�Avvocatura si applicano, per la risoluzione della divergenza, 
i punti da 2.4.4 a 2.4.6. 
2.4.12 Le modalit� di cooperazione tra Agenzia e Avvocatura in materia di ricorsi per cassazione 
di cui al punto 2.4.1 ed ai punti da 2.4.3 a 2.4.11 si applicano, in quanto compatibili, 
anche alla restante attivit� di assistenza e rappresentanza in giudizio. In particolare, le modalit� 
di cooperazione di cui ai punti 2.4.3, 2.4.4 e 2.4.6 si applicano anche alle controversie di lavoro. 
2.5 Recupero spese di giudizio 
L�Avvocatura, in quanto distrattaria ex art. 21 del R.D. n. 1611 del 1933, provvede al diretto 
recupero nei confronti delle controparti delle spese di giudizio, poste a loro carico per effetto 
di sentenza, ordinanza, rinuncia o transazione. In caso di giudizio conclusosi con esito favorevole 
per l�Agenzia ma con disposta compensazione, totale o parziale, delle spese di giudizio, 
cos� come in caso di transazione dopo sentenza favorevole, trova applicazione il disposto dell�art. 
21, commi terzo, quarto e quinto del R.D. n. 1611 del 1933, avendo riguardo alla complessit� 
e all�impegno processuale della controversia, sulla base delle tariffe professionali 
applicabili. In ogni caso, ai fini suddetti, l�Agenzia invier� all�Avvocatura copia autentica 
della sentenza che conclude il giudizio in sede di rinvio con esito favorevole ad essa. 
3. NOTIFICA DEGLI ATTI 
L�Avvocatura presta la propria collaborazione all�Agenzia per le notificazioni degli atti diversi 
da quelli processuali, ove questa non possa provvedervi direttamente. 
4. COSTITUZIONE DEL FONDO 
L�Agenzia costituisce presso l�Avvocatura generale un congruo fondo, a titolo di anticipazione 
e salvo rendiconto annuale, per le spese vive da sostenere nei giudizi dei quali � parte. Le mo-
6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
dalit� per la gestione contabile del fondo sono concordate tra l�Avvocatura generale e la Direzione 
centrale amministrazione, pianificazione e controllo dell�Agenzia. 
5. INCONTRI PERIODICI 
Tra l�Avvocatura generale e la Direzione centrale affari legali e contenzioso � fissato un calendario 
di incontri periodici, di regola a cadenza quadrimestrale, per l�esame dell�evoluzione 
del contenzioso concernente le pi� significative e rilevanti problematiche in discussione, al 
fine di definire congiuntamente e uniformemente le linee di condotta delle controversie in 
corso e l�interesse alla prosecuzione delle stesse. 
Negli incontri sono esaminate congiuntamente anche le tematiche di particolare rilevanza generale 
che possono avere un impatto sulla conduzione e sulla soluzione del contenzioso potenziale 
o in atto. 
Analoghi incontri, di regola a cadenza annuale, si svolgono tra le Direzioni regionali dell�Agenzia 
e le Avvocature distrettuali. 
Per ciascuna sede distrettuale l�Avvocatura indica un proprio avvocato con funzioni di referente. 
6. DISPOSIZIONE FINALE 
L�Avvocatura e l�Agenzia si impegnano a segnalare reciprocamente tutte le difficolt� operative 
eventualmente insorte nella gestione dei rapporti oggetto del presente protocollo, allo scopo 
di provvedere, nello spirito della pi� piena collaborazione, al superamento delle stesse ed 
eventualmente alla modifica delle modalit� di cooperazione. 
Roma, 13 maggio 2010 
Dott. Attilio Befera Avv. Ignazio Francesco Caramazza
TEMI ISTITUZIONALI 7 
Le Agenzie fiscali in giudizio ed il patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato 
Margherita Fegatelli e Davide Borgni* 
SOMMARIO: 1. L�istituzione delle Agenzie fiscali quali enti pubblici autonomi e la loro 
legittimazione processuale. 2. La difesa tecnica in giudizio delle Agenzie fiscali ed il patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato. 3. Le Convenzioni stipulate tra le Agenzie fiscali e l�Avvocatura 
dello Stato. 4. Analisi delle ricadute processuali derivanti dall�assunzione da parte dell�Avvocatura 
dello Stato del patrocinio autorizzato delle Agenzie fiscali. 4.1. L�inoperativit� della 
regola del foro erariale. 4.2. La notificazione dell�atto introduttivo del giudizio. 4.3. La notificazione 
di ogni altro atto di parte e dei provvedimenti giudiziari. 4.4. La notificazione delle 
impugnazioni. 4.5. La costituzione di parte civile nel procedimento penale. 4.6. Le spese di 
lite. 5. Schema riassuntivo. 
1. L�istituzione delle Agenzie fiscali quali enti pubblici autonomi e la loro legittimazione 
processuale 
Dapprima con la L. 29 ottobre 1991, n. 358, e successivamente con il 
D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, si � assistito ad una profonda innovazione dell�assetto 
organizzativo dell�Amministrazione finanziaria (1). 
In particolare, il primo dei due interventi legislativi, recante �norme per 
la ristrutturazione del Ministero delle Finanze�, perseguiva l�obiettivo di realizzare 
un significativo decentramento amministrativo, in vista del potenziamento 
delle funzioni svolte dagli Uffici periferici e dei poteri loro attribuiti 
(2). Invero, individuando i principi ispiratori della riforma, all�art. 1, il legislatore 
ha prescritto che, �al fine di assicurare il massimo grado di produttivit� 
dei servizi, la semplificazione e la trasparenza dei rapporti con i contribuenti 
e la armonizzazione del sistema tributario italiano con quello degli Stati ap- 
Questo studio � stato redatto ed � giunto in redazione pochi giorni prima che tra l�Avvocatura 
dello Stato e l�Agenzia delle Entrare si stipulasse il nuovo protocollo d�intesa. 
Sulla base di questa avvertenza, resta l�utilit� del brillante contributo che illustra il quadro generale 
della dottrina e della giurisprudemza nel quale l�accordo delle due istituzioni si muove (ndr). 
(*) Lo scritto � frutto delle riflessioni comuni di Margherita Fegatelli e Davide Borgni, entrambi 
praticanti avvocati presso l�Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino. In particolare, Margherita Fegatelli 
� autrice dei paragrafi 2 e 4 e Davide Borgni � autore dei paragrafi 1 e 3. 
(1) Si confrontino, in proposito, F. TESAURO, Manuale del processo tributario, Torino, Giappichelli, 
2009, 58-59; ID., Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Torino, Utet, 2005, 121-123; S. 
LAROSA, Principi di diritto tributario, Torino, Giappichelli, 2004, 108-110; P. RUSSO, Manuale di diritto 
tributario. Parte generale, Milano, Giuffr�, 2002, 151-156. 
(2) Con riferimento a tale riforma si veda S. LA ROSA, Amministrazione finanziaria e giustizia 
tributaria, Torino, Giappichelli, 2000, 8. A tal proposito, si legga anche il regolamento di attuazione 
della L. 29 ottobre 1991, n. 358, contenuto nel D.P.R. 27 marzo 1992, n. 287. 
8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
partenenti alla Comunit� Economica Europea, il Ministero delle Finanze� sia 
�organizzato sulla base di criteri di unificazione e di coordinamento delle funzioni 
omogenee o connesse tra loro, di decentramento delle competenze e delle 
attribuzioni, di flessibilit� delle strutture, di autonomia funzionale e di snellimento 
delle procedure�. 
Per altro verso, il secondo provvedimento normativo menzionato, recante 
la �riforma dell�organizzazione del Governo, a norma dell�articolo 11 della 
legge 15 marzo 1997, n. 59�, all�art. 57, ha previsto l�istituzione di quattro 
Agenzie fiscali, e segnatamente dell�Agenzia delle Entrate, delle Dogane, del 
Demanio e del Territorio, cui sono state affidate le funzioni in precedenza esercitate 
dai Dipartimenti delle Entrate, delle Dogane e del Territorio del Ministero 
delle Finanze, nonch� le funzioni connesse svolte da altri Uffici 
ministeriali (3). 
Tali Agenzie sono divenute operative a far data dall�1 gennaio 2001, come 
prescritto all�art. 1 del Decreto ministeriale 28 dicembre 2000, n. 1390, contenente 
�disposizioni recanti le modalit� di avvio delle Agenzie fiscali e l�istituzione 
del ruolo speciale provvisorio del personale dell�Amministrazione 
finanziaria a norma degli articoli 73 e 74 del decreto legislativo 30 luglio 
1999, n. 300�, e si articolano in molteplici Uffici a livello centrale, regionale, 
provinciale e locale (4). 
In conseguenza della devoluzione alle Agenzie fiscali delle funzioni proprie 
del Ministero delle Finanze, l�art. 57 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, 
ha altres� trasferito loro �i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze che 
vengono esercitate secondo la disciplina dell�organizzazione interna di ciascuna 
Agenzia�(5). 
A tal riguardo, con esclusivo riferimento all�attuazione del sistema tributario, 
la Circ. 30 luglio 2001, n. 71, della Direzione centrale Normativa e Contenzioso 
dell�Agenzia delle Entrate (6) ha chiarito che a quest�ultima, �ai sensi 
(3) La riforma dell�apparato organizzativo dell�Amministrazione finanziaria italiana ha, senza 
dubbio, risentito dell�influenza tanto del paradigma statunitense dell�Internal Revenue Service, rimodellato 
mediante l�Internal Revenue Restructuring and Reform Act del 22 luglio 1998, anche noto come 
Taxpayer Bill of Rights III, quanto del modello spagnolo dell�Agencia Estatal de Administracion Tributaria, 
istituita con Ley 31/1990, de 27 de diciembre, de Presupuestos Generales del Estado para 1991, 
successivamente modificata con Ley 18/1991, de 6 de junio, del Impuesto sobre la Renta de las Personas 
F�sicas. 
(4) In dettaglio, l�Agenzia delle Entrate � ripartita in Direzioni centrali, Direzioni regionali, Direzioni 
provinciali e molteplici Uffici locali, Uffici territoriali e Sportelli; l�Agenzia delle Dogane � costituita 
da Direzioni centrali, Direzioni regionali ed Uffici delle Dogane; l�Agenzia del Demanio � 
suddivisa in strutture centrali e strutture territoriali; in ultimo, l�Agenzia del Territorio � composta da 
Direzioni centrali, Direzioni regionali ed Uffici provinciali. 
(5) Sul punto, si vedano A. PALATIELLO, �Le Agenzie fiscali: natura e patrocinio�, in questa Rassegna, 
2007, IV, 1-5; M. NESSI e R. TORELLI, �Istituzione dell�Agenzia delle Entrate e problematiche di 
natura processuale�, in Il fisco, 2002, 3304-3311; nonch� C. BERLIRI, �Le Agenzie fiscali: conseguenze 
e problemi in ordine al contenzioso tributario�, in Il fisco, 2001, 3841-3844.
TEMI ISTITUZIONALI 9 
dell�art. 62 del D.Lgs. n. 300/1999, sono trasferite le funzioni concernenti le 
entrate tributarie erariali non assegnate specificatamente ad altre Agenzie 
(7), con la conseguente titolarit� sia delle funzioni pubbliche relative, che dei 
rapporti giuridici e delle obbligazioni gi� di appartenenza del Dipartimento 
delle Entrate�. 
Decretata l�istituzione e delimitate le funzioni delle Agenzie fiscali, tuttavia, 
il legislatore non ha provveduto a definire compiutamente la natura giuridica 
che ha inteso attribuire loro, n� il rapporto in cui esse si collocano 
rispetto al Ministero (8). Peraltro, non consente di dissipare i dubbi, a tal proposito, 
l�espressa qualificazione delle Agenzie come �strutture che [�] svolgono 
attivit� a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, in atto 
esercitate da ministeri ed enti pubblici�, le quali �operano al servizio delle 
Amministrazioni pubbliche, comprese anche quelle regionali e locali�, secondo 
il disposto dell�art. 8, comma 1, del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300. 
Ci� nondimeno, la prevalente letteratura � giunta a riconoscere alle Agenzie 
il carattere di enti pubblici autonomi, innanzi tutto, in ragione del fatto che 
� loro riconosciuta personalit� giuridica di diritto pubblico, come sancito all�art. 
61, comma 1, del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300. In secondo luogo, si 
perviene a tale conclusione considerando che le Agenzie godono di ampia �autonomia 
regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile 
e finanziaria�, accordata loro dall�art. 61, comma 2, dello stesso Decreto. 
Infine, non deve essere trascurata la circostanza che il Ministero conserva 
esclusivamente un potere di alta vigilanza, da esplicarsi nelle modalit� disciplinate 
dall�art. 60 del citato Decreto, in relazione alle attribuzioni proprie 
delle Agenzie fiscali, le quali esercitano le funzioni pubbliche loro affidate nel 
rispetto dei principi di legalit�, imparzialit� e trasparenza, guidate da criteri 
di efficienza, economicit� ed efficacia, ai sensi dell�art. 61, comma 3, del pi� 
volte richiamato Decreto (9). 
Una parte minoritaria della dottrina, per converso, aveva proposto l�in- 
(6) La Circolare � edita in Riv. Dir. Trib., 2001, II, 890-895, con nota di P. RUSSO e G. FRANSONI, 
�La notifica degli atti di parte e delle sentenze a seguito dell�istituzione delle Agenzie fiscali�, ivi, 895- 
903; nonch� con commento di C. GLENDI, �Legittimazione (attiva e passiva) e difesa in giudizio delle 
Agenzie fiscali�, in Corr. Trib., 2001, 2958-2969. 
(7) L�Agenzia delle Entrate, invero, amministra tutti i tributi statali, con le sole eccezioni dei 
tributi doganali e delle accise, i quali rientrano nella competenza dell�Agenzia delle Dogane, nonch� 
dell�imposta ipotecaria, delle tasse ipotecarie e dei tributi speciali catastali, gestiti dall�Agenzia del 
Territorio. 
(8) Una generica qualificazione delle �Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 
300� come Amministrazioni pubbliche, peraltro, si rinviene all�art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 
2001, n. 165, recante �norme generali sull�ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni 
pubbliche�. 
(9) Ad eccezione dell�Agenzia del Demanio, la quale � espressamente qualificata �ente pubblico 
economico� dall�art. 61, comma 1, del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, come modificato dall�art. 1, 
comma 1, lett. f, del D.Lgs. 3 luglio 2003, n. 173, alle Agenzie fiscali � riconosciuta la natura di ente
10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
quadramento delle Agenzie entro l�ambito delle Amministrazioni dello Stato 
ad ordinamento autonomo (10), quali i cosiddetti enti-organo. Ci� nonostante, 
tale tesi appare, a tutt�oggi, destituita di fondamento, in ragione del fatto che 
l�esistenza di un rapporto organico tra l�Amministrazione finanziaria statale e 
le Agenzie, tale da imputare all�una le attivit� compiute dalle altre, � stata definitivamente 
esclusa finanche dalle Sezioni Unite del Supremo Collegio con 
la pronuncia n. 3116 del 14 febbraio 2006 (11). 
Invero, mediante tale arresto il Giudice di legittimit� ha sancito, in linea 
con quanto affermato dalla Consulta nelle sentenze n. 72 e 73 dell�11 febbraio 
2005 (12), che le Agenzie fiscali, dotate di autonomia regolamentare, amministrativa, 
contabile e finanziaria, costituiscono �un�organizzazione creata 
dallo Stato per l�esercizio di proprie funzioni e potest��, nel rispetto del principio 
di concentrazione contenuto nell�art. 12, comma 1, lettera g), della Legge 
di delegazione 15 marzo 1997, n. 59. Il Supremo Collegio ha riconosciuto, 
nondimeno, che il trasferimento di rapporti giuridici, poteri e competenze gi� 
spettanti al Ministero, disposto dall�art. 57 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, 
mal si concilierebbe con la sussistenza di un rapporto organico tra l�Amministrazione 
statuale e le Agenzie fiscali. 
Per giunta, emerge con evidenza come il legislatore, attribuendo personalit� 
giuridica di diritto pubblico alle Agenzie, nonch� recidendo ogni rappubblico 
non economico, distinto ed autonomo dalla struttura ministeriale. In tal senso, si vedano P. 
PAVONE, Lo Stato in giudizio. Enti pubblici ed Avvocatura dello Stato, Milano, Giuffr�, 2002, 334- 
335; N. A. BRUNO, �La legittimazione ad agire e la rappresentanza in giudizio delle Agenzie fiscali�, 
in Rass. Trib., 2002, 1520; P. RUSSO e G. FRANSONI, op. cit., 896-897. Si leggano, sul punto, anche G. 
TINELLI �Le SS.UU. risolvono l�enigma sulla legittimazione processuale dell�Agenzia delle entrate�, 
in Corr. Trib., 2003, 1980-1981; S. MULEO, �L�attivazione delle agenzie fiscali ed i connessi profili 
in tema di legittimazione ad agire e processuale�, in Rass. Trib., 2001, 377-382; S. BUTTUS, �L�istituzione 
delle agenzie fiscali: profili e problematiche di natura tributaria�, in Riv. Dir. Trib., 2001, I, 
871-881; nonch� C. BERLIRI, op. cit., 3841-3844. 
(10) Un tentativo di inquadramento delle Agenzie quali Amministrazioni dello Stato ad ordinamento 
autonomo, con la valutazione delle eventuali ricadute, � stato prospettato da S. MULEO, op. 
cit., 388-398. Nello stesso senso, si confronti la relazione per il Comitato Consultivo dell�Avvocatura 
dello Stato del settembre del 2000, pubblicata in questa Rassegna, 2007, IV, 5-11. 
(11) Si vedano anche, ex plurimis, Cass. civ., sez. unite, 29 ottobre 2007, n. 22642; Cass. civ., 
sez. I, 12 luglio 2007, n. 15617; Cass. civ., sez. trib., 30 marzo 2007, n. 7882; Cass. civ., sez. I, 26 ottobre 
2006, n. 23005; Cass. civ., sez. trib., 12 agosto 2004, n. 15643; nonch� Cass. civ., sez. unite, 29 
aprile 2003, n. 6633. 
(12) La Corte Costituzionale, in effetti, con la sentenza n. 72 dell�11 febbraio 2005, pur sancendo 
la �riconducibilit� alla sfera di competenza statale� delle �funzioni statali concernenti �le entrate 
tributarie erariali� prima attribuite al Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze 
ed agli uffici connessi e, in particolare�, della �cura del fondamentale interesse statale al perseguimento 
del �massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali��, tuttavia, a ben vedere, ha espressamente 
limitato l�esigenza �di imputare al sistema ordinamentale statale gli atti emessi nell�esercizio 
delle medesime funzioni�, �ai soli fini del conflitto costituzionale di attribuzione tra Regione e Stato�. 
Nello stesso senso, si confrontino Cort. Cost. 1 febbraio 2006, n. 31, nonch� Cort. Cost. 11 febbraio 
2005, n. 73.
TEMI ISTITUZIONALI 11 
porto strutturale tra le stesse e l�Amministrazione finanziaria, abbia inteso 
frapporre una netta linea di demarcazione tra le funzioni di indirizzo e controllo, 
riservate al Ministero dell�Economia e delle Finanze quale declinazione 
dello Stato-persona (13), e le funzioni operative di gestione ed amministrazione 
dei tributi, affidate alle Agenzie (14). 
Un�immediata ricaduta dell�attribuzione alle Agenzie fiscali della descritta 
autonomia consiste nel fatto che viene loro riconosciuta legittimazione 
processuale, attiva e passiva, nelle controversie concernenti i rapporti giuridici 
ad esse riferibili (15). 
La legitimatio ad causam (16) in capo alle Agenzie, d�altronde, discende 
direttamente dal trasferimento alle stesse della titolarit� dei rapporti giuridici 
in precedenza facenti capo al Ministero. Del resto, con esclusivo riferimento 
al processo fiscale, gli artt. 62 e 63 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, hanno 
sancito expressis verbis la competenza rispettivamente dell�Agenzia delle Entrate 
e dell�Agenzia delle Dogane in ordine al contenzioso relativo ai tributi 
amministrati. 
A tal riguardo, si ritiene, peraltro, che in relazione alle liti pendenti al mo- 
(13) L�art. 56 del D.Lgs. n. 30 luglio 1999, n. 300, attribuisce al Ministero dell�Economia e delle 
Finanze le seguenti funzioni: �a) analisi, indagini e studi sulle politiche fiscali e sulla loro attuazione, 
ai fini della valutazione dei sistema tributario e delle scelte di settore in sede nazionale, comunitaria e 
internazionale; b) predisposizione dei relativi atti normativi, di programmazione e di indirizzo e cura 
dei rapporti interni ed internazionali per il conseguimento degli obiettivi fissati; c) indirizzo, vigilanza 
e controllo sui risultati di gestione delle Agenzie fiscali, nel rispetto dell�autonomia gestionale ad esse 
attribuita; esercizio dei poteri di coordinamento e vigilanza attribuiti dalla legge su altri enti o organi 
che comunque esercitano funzioni in settori della fiscalit� di competenza dello Stato; d) coordinamento, 
secondo le modalit� previste dal presente decreto e salva la possibilit� di definire autonomamente forme 
di diretta collaborazione tra loro, delle attivit� e dei rapporti tra le agenzie fiscali e con gli altri enti e 
organi di cui alla lettera c); e) coordinamento, monitoraggio e controllo, anche attraverso apposite 
strutture per l�attuazione di strategie di integrazione tra i sistemi del Ministero, delle Agenzie e della 
Guardia di finanza, del sistema informativo della fiscalit� e della rete unitaria di settore; f) comunicazione 
istituzionale con i contribuenti e con l�opinione pubblica per favorire la corretta applicazione 
della legislazione tributaria; g) amministrazione del personale e delle risorse necessarie allo svolgimento 
dei compiti del Ministero e all�attivit� giurisdizionale delle Commissioni tributarie�. Sul punto, 
si guardi C. BERLIRI, op. cit., 3841-3844. 
(14) In proposito, si confrontino Cons. Stat., sez. IV, 5 aprile 2006, n. 1789; nonch� T.A.R. per la 
Campania, sede di Napoli, 28 ottobre 2005, n. 17844. 
(15) Si veda, sul punto, S. MULEO, op. cit., 379. 
(16) La condizione processuale della legitimatio ad causam trova una specifica disciplina all�art. 
81 c.p.c., ove � affermato che �fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno pu� far valere 
nel processo in nome proprio un diritto altrui�. Come hanno avuto modo di chiarire la pi� accorta dottrina 
e la migliore giurisprudenza, tale disposizione non sancisce la piena riconducibilit� della legittimazione 
ad agire alla titolarit� del diritto sostanziale che si intende far valere in giudizio, bens� impone 
che si possano �far valere soltanto quei diritti che si affermano come diritti propr� e la cui titolarit� 
passiva si afferma in capo a colui contro il quale si propone la domanda�, come si legge in C. MANDRIOLI, 
Diritto processuale civile I. Nozioni introduttive e disposizioni generali, Torino, Giappichelli, 
2004, 54. Sul punto, si confrontino Cass. civ., sez. II, 6 marzo 2008, n. 6132; Cass. civ., sez. II, 5 novembre 
2001, n. 13631; nonch� Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2000, n. 15080.
12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
mento dell�istituzione delle Agenzie, l�assunzione da parte di queste ultime 
delle funzioni in precedenza esercitate dal Ministero abbia determinato una 
vera e propria successione a titolo particolare tra enti, disciplinata dall�art. 111 
c.p.c. (17), il quale pu� trovare applicazione anche nel processo tributario, a 
mente del rinvio alle previsioni del codice di rito di cui all�art. 1, comma 2, 
del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. 
Ad ogni buon conto, in capo alle Agenzie deve essere riconosciuta, altres�, 
la sussistenza della legitimatio ad processum (18), ovvero della capacit� di 
stare in giudizio, compiere e ricevere gli atti processuali, in considerazione 
del fatto che l�art. 68 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, attribuisce la rappresentanza 
delle Agenzie fiscali al relativo Direttore. Il potere procuratorio di 
cui gode quest�ultimo, infatti, ricomprende anche la capacit� di stare in giudizio 
per conto dell�Agenzia, in tal modo escludendo che l�ente possa essere 
rappresentato apud iudicem dal Ministro, quale soggetto apicale dell�Amministrazione 
delle Finanze. 
Un corollario del riconoscimento alle Agenzie fiscali di un�autonoma legittimazione 
processuale consiste nell�inammissibilit� di ogni domanda avente 
ad oggetto rapporti giuridici devoluti a tali enti, qualora rivolta nei confronti 
del Ministero dell�Economia e delle Finanze, successivamente all�entrata in 
funzione delle Agenzie (19). 
In ultimo, si consideri che, siccome il potere autoritativo riservato al- 
(17) Appare, invero, smentita la tesi che avrebbe ricondotto tale fattispecie alla previsione di cui 
all�art. 110 c.p.c., dal momento che, come chiarito in Cass. civ., sez. unite, 29 aprile 2003, n. 6633, �il 
Ministero delle Finanze, pur essendo confluito nel Ministero dell�Economia e delle Finanze, rimane in 
vita e mantiene funzioni anche in materia di entrate (art. 56 d.lgs. n. 300 del 1999, cit.), mentre l�Agenzia 
delle Entrate � destinataria di un �trasferimento� di rapporti e di attribuzioni, vale a dire di una vicenda 
traslativa di posizioni attive e passive specificamente determinate (ancorch� con ampio riferimento alla 
suddetta materia), ma non subentra nella universalit� dei rapporti facenti capo ad un soggetto non pi� 
esistente�. Nello stesso senso, Cass. civ., sez. unite, 5 maggio 2003, n. 6774. Si vedano, in proposito, U. 
PERRUCCI, �La successione delle Agenzie fiscali al Ministero�, in Boll. Trib., 2003, 985-986; G. TINELLI, 
op. cit., 1980-1981; M. NESSI e R. TORELLI, op. cit., 3304-3311; C. BERLIRI, op. cit., 3841; G. FRANSONI 
e P. RUSSO, op. cit., 895-903; e C. GLENDI, op. cit., 2967-2968. 
(18) La condizione processuale della legitimatio ad processum � disciplinata all�art. 75 c.p.c., il 
quale sancisce che �sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti 
che vi si fanno valere. Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio 
se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacit�. Le persone 
giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto. Le associazioni 
e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate 
negli artt. 36 e seguenti del codice civile�. 
(19) In questo senso, si vedano Trib. Belluno, 22 ottobre 2002, in Giur. Merito, 2003, 777; nonch� 
T.A.R. per il Veneto, sez. I, 2 maggio 2001, n. 1095, che ha dichiarato inammissibile il ricorso giurisdizionale, 
�in quanto il provvedimento impugnato� era �stato emesso dall�Agenzia delle Entrate � Ufficio 
di Verona Due, ossia da un soggetto diverso da quello � il Ministero delle Finanze � che � stato materialmente 
evocato in giudizio e che, ai sensi e per gli effetti dell�art. 61 del D.L.vo 30 luglio 1999 n. 300, 
ha personalit� giuridica e legittimazione processuale distinte rispetto a quelle proprie del Ministero delle 
Finanze medesimo�.
TEMI ISTITUZIONALI 13 
l�Agenzia viene esercitato dalle sue singole articolazioni periferiche, nel rito 
tributario la capacit� di stare in giudizio viene riconosciuta agli Uffici locali. 
Invero, anche il riferimento operato dall�art. 10 del D.Lgs. 31 dicembre 
1992, n. 546, all��Ufficio del Ministero delle Finanze�, quale parte resistente 
nel giudizio tributario, deve essere correttamente inteso come rivolto nei confronti 
dell�Ufficio dell�Agenzia fiscale che ha adottato l�atto impugnato o non 
ha emanato l�atto richiesto. Tale assunto trova conferma nel disposto dell�art. 
20, comma 1, del D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107, ai sensi del quale �tutti i riferimenti 
ad uffici ed organi del Segretariato generale, della Direzione generale 
degli affari generali e del personale e dei Dipartimenti contenuti in norme 
legislative e regolamentari si intendono effettuati nei confronti rispettivamente 
degli uffici ed organi del dipartimento e in base ai propri regolamenti di amministrazione 
delle competenti Agenzie�(20). 
Pertanto, legittimato passivo dinanzi alle Commissioni tributarie, provinciali 
e regionali, � l�Ufficio periferico che esercita il potere impositivo, rappresentato 
dal Direttore avente funzioni dirigenziali, che per la gestione e per 
l�adempimento dei compiti demandatigli pu� delegare i suoi diretti collaboratori 
(21). 
In tal senso, si sono pronunciate le Sezioni Unite della Suprema Corte di 
cassazione (22), le quali, proprio in considerazione della natura impugnatoria 
del processo tributario, hanno riconosciuto la legittimazione processuale agli 
Uffici periferici delle Agenzie anche davanti alla Corte di cassazione, modificando 
l�orientamento fino a quel momento prevalente (23) il quale limitava 
ai giudizi avanti alle Commissioni tributarie l�ambito applicativo della disci- 
(20) A tal riguardo, si vedano S. MULEO, op. cit., 381; C. BERLIRI, op. cit., 3841-3844; R. LUNELLI 
e A. MISSONI, �La riforma dell�Amministrazione finanziaria secondo il modello per Agenzie: riflessi sui 
rapporti processuali con i contribuenti�, in Il fisco, 2001, 7694-7698; nonch�, N. A. BRUNO, op. cit., 1525. 
(21) Cos�, Cass. civ., sez. trib., 8 febbraio 2008, n. 3058; nonch� Comm. trib. reg. dell�Emilia Romagna, 
sez. IV, 12 luglio 2005, n. 79, in Giur. Merito, 2005, 2239. In questo senso, si confronti la Circ. 
30 luglio 2001, n. 71, dell�Agenzia delle Entrate, ove si legge che �la qualit� di parte nel giudizio in materia 
tributaria compete all�Ufficio locale dell�Agenzia, con titolarit� a ricevere le notifiche di ogni atto 
processuale e, in particolare, [...] dei ricorsi avanti la Corte di cassazione, tranne i casi in cui sia gi� intervenuta, 
l�assunzione della difesa da parte [...] dell�Avvocatura dello Stato�. 
(22) In tal senso, si guardino Cass. civ., sez. unite, 29 ottobre 2007, n. 22641; Cass. civ., sez. unite, 
14 febbraio 2006, n. 3116, con nota di L. ROSA, �Svolta nelle Sezioni Unite: valida la notifica della sentenza 
di appello e del ricorso in Cassazione sia presso l�Agenzia delle entrate centrale che periferica�, in 
Boll. Trib., 2006, 873-876; Cass. civ., sez. trib., 25 ottobre 2006, n. 22889; nonch� Cass. civ., sez. trib., 
10 marzo 2008, n. 6338, in cui � stato specificato che �in tema di contenzioso tributario, la legittimazione 
processuale degli Uffici locali dell�Agenzia delle entrate trova fondamento nella norma statutaria (art. 
5, comma 1, del Regolamento di amministrazione delle Agenzie) adottata ai sensi dell�art. 66 d.lg. n. 300 
del 1999�. 
(23) Si vedano, ad esempio, Cass. Civ., sez. trib., 12 agosto 2004, n. 15674; Cass. Civ., sez. trib., 
21 giugno 2004, n. 11551; nonch� Cass. Civ., sez. trib., 15 novembre 2002, n. 16122, con nota di P. CENTORE, 
�Notifica del ricorso per Cassazione agli uffici periferici dell�Agenzia delle entrate e sanatoria del 
vizio�, in GT, 2003, 773-776.
14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
plina speciale prevista agli artt. 10 e 11 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 
attributivi della legittimazione processuale agli Uffici locali delle Agenzie fiscali 
(24). 
Analogamente, un pi� recente orientamento giurisprudenziale tende ad 
attribuire agli Uffici periferici delle Agenzie fiscali la capacit� di stare in giudizio 
in via concorrente rispetto all�Ufficio centrale, anche nelle controversie 
pendenti dinanzi alle altre giurisdizioni (25). 
La giurisprudenza, in proposito, pur non essendo sempre stata concorde 
nel riconoscere legittimazione processuale agli Uffici periferici delle Agenzie, 
ha da ultimo aderito alla tesi secondo la quale, sebbene difettino di personalit� 
giuridica autonoma, le articolazioni periferiche delle Agenzie godono della 
capacit� di stare in giudizio in modo concorrente ed alternativo rispetto al relativo 
Ufficio centrale, affermando che parte necessaria del giudizio debba, in 
ogni caso, essere l�autorit� che ha emesso il provvedimento impugnato, o non 
ha emesso l�atto richiesto (26). 
In particolare, la Suprema Corte ha stabilito al riguardo che �l�attribuzione 
agli Uffici periferici dell�Agenzia della capacit� di stare in giudizio spettante 
in base al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 11, agli Uffici finanziari che 
avevano emesso l�atto, comporta il conferimento ai medesimi Uffici periferici 
della capacit� di stare in giudizio, in via concorrente ed alternativa al Direttore, 
secondo un modello simile alla preposizione institoria disciplinata dagli 
artt. 2203 e 2204 c.c. configurandosi detti Uffici, quali organi dell�Agenzia 
che, al pari del Direttore, ne hanno la rappresentanza ai sensi e agli effetti 
dell�art. 163 c.p.c., comma 2, n. 2, e degli artt. 144 e 145 c.p.c.� (27). 
Peraltro, il Supremo Collegio � giunto ad attribuire portata generale a tale 
ricostruzione del rapporto tra Agenzia ed Ufficio periferico, ricondotta entro 
l�alveo della procura institoria, disciplinata agli artt. 2203 e 2204 c.c., con conseguente 
imputabilit� all�ente preponente dell�attivit� posta in essere da ogni 
(24) Il riconoscimento della legittimazione processuale in capo agli Uffici locali ha trovato un�ultima 
recente conferma nella previsione dell�art. 3, comma 1, lett. c, del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, allo 
stato non ancora convertito in legge, che ha abrogato l�art. 52, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, 
n. 546, a mente del quale �gli Uffici periferici del Dipartimento delle entrate devono essere previamente 
autorizzati alla proposizione dell�appello principale dal responsabile del servizio del contenzioso della 
competente Direzione regionale delle entrate; gli Uffici del territorio devono essere previamente autorizzati 
alla proposizione dell�appello principale dal responsabile del servizio del contenzioso della competente 
direzione compartimentale del territorio�. Il legislatore ha, in tal modo, riconosciuto agli uffici 
territoriali delle Agenzie fiscali un�autonoma legittimazione anche ai fini della proposizione dell�appello. 
(25) Si vedano, a tal proposito, Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2009, n. 8703; Cass. civ., sez. trib., 8 
febbraio 2008, n. 3058; Cort. Cont., sez. giur. per la Regione Liguria, 1 giugno 2007, n. 463. 
(26) Nel recente passato, non sono mancate pronunce di segno opposto, quali T.A.R. per il Lazio, 
sede di Latina, 6 novembre 2006, n. 1541; Cass. civ., sez. trib., 30 gennaio 2006, n. 1973; Cass. civ., 
sez. trib., 3 settembre 2004, n. 17844; Cass. civ., sez. trib., 21 giugno 2004, n. 11551. 
(27) Cos�, testualmente, Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2009, n. 8703. Si confronti Cass. civ., sez. 
unite, 14 febbraio 2006, n. 3116.
TEMI ISTITUZIONALI 15 
sua articolazione, rimarcando che essa �impone di riconoscere, secondo le regole 
stabilite in via generale dal codice di procedura civile, all�Ufficio periferico 
la legittimazione processuale attiva e passiva, concorrente con quella 
dell�ente anche nel processo innanzi al giudice ordinario, per i rapporti sorti 
dagli atti compiuti da detto periferico� (28). 
Infine, la soluzione delineata � stata, altres�, accolta nella giurisprudenza 
della Corte dei conti, apparendo, per utilizzare le stesse parole del Giudice 
contabile, �quella che meglio garantisce l�effettivit� del contraddittorio processuale 
anche nei confronti dell�Amministrazione, con possibilit� per la 
stessa di una pi� efficace difesa� (29). 
2. La difesa tecnica in giudizio delle Agenzie fiscali ed il patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato 
Il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, innanzi tutto, pu� assumere le 
due differenti forme del patrocinio obbligatorio, ove l�attivit� di rappresentanza 
in giudizio sia resa in favore delle �Amministrazioni dello Stato, anche 
se organizzate ad ordinamento autonomo�, secondo il disposto dell�art. 1 del 
R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, e del patrocinio autorizzato, qualora l�attivit� 
defensionale sia svolta nei confronti di altre Amministrazioni pubbliche non 
statali ed enti sovvenzionati, sottoposti alla tutela od alla mera vigilanza dello 
Stato, i quali godano della facolt�, riconosciuta da una legge o da un regolamento 
(30), di giovarsi del patrocinio dell�Avvocatura erariale e si siano avvalsi 
di tale possibilit� mediante la stipulazione di un accordo con l�Organo 
legale (31). 
Si consideri, nondimeno, che mediante l�art. 11 della L. 3 aprile 1979, n. 
103, il legislatore aveva inteso eliminare ogni ipotesi, all�epoca esistente, di 
(28) Nuovamente, Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2009, n. 8703. 
(29) Si veda, ex multis, Cort. Cont., sez. giur. per la Regione Liguria, 1 giugno 2007, n. 463. 
(30) Tali provvedimenti, in forza dell�art. 43, comma 2, del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, �debbono 
essere promossi di concerto coi Ministri per la Grazia e Giustizia e per le Finanze�. 
(31) Si confrontino U. PERUCCI, �Facoltativa, autorizzata o istituzionale la difesa pubblica delle 
Agenzie fiscali�, in Boll. Trib., 2006, 476-477; nonch� L. MAZZELLA, �Il patrocinio autorizzato dell�Avvocatura 
dello Stato�, in questa Rassegna, 1999, II, 98-99. Si vedano, inoltre, ex plurimis, T.A.R. per il 
Lazio, sede di Roma, sez. III, 6 maggio 2009, n. 4640, in merito alla rappresentanza e difesa in giudizio 
delle Autorit� portuali, con nota di M. V. LUMETTI e A. MEZZOTERO, �Il patrocinio erariale autorizzato: 
� organico, esclusivo e non presuppone alcuna istanza dell�ente all�Avvocatura dello Stato. Il caso delle 
Autorit� portuali in alcune recenti contrastanti decisioni del Giudice amministrativo�, in questa Rassegna, 
2009, II, 1-68; nonch�, Cass. civ., sez. lav., 29 luglio 2008, n. 20582 e Cass. civ., sez. unite, 10 
maggio 2006, n. 10700, con riferimento alle Universit� degli Studi, le quali, in forza della L. 9 maggio 
1989, n. 168, sono divenute enti pubblici autonomi, con la conseguente inapplicabilit� nei loro confronti 
del regime del patrocinio obbligatorio dell�Avvocatura dello Stato, essendo, per contro, espressamente 
previsto all�art. 56 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, che esse godano di una forma di patrocinio autorizzato.

16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
patrocinio facoltativo. La novella del 1979, infatti, perseguiva l�obiettivo di 
creare un�unica forma di patrocinio dell�Avvocatura dello Stato esclusivo ed 
organico, negando la possibilit� all�ente di esprimere una valutazione discrezionale, 
con riferimento ad ogni singola controversia, in ordine all�opportunit� 
di ricorrere alla difesa erariale (32) . 
Ad ogni buon conto, all�atto dell�istituzione delle Agenzie fiscali � stato 
accordato in favore di queste ultime un regime di patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato a carattere non obbligatorio. Invero, nel disciplinare la rappresentanza 
in giudizio delle Agenzie, l�art. 72 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, ha 
previsto che esse possano �avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello 
Stato, ai sensi dell�articolo 43 del testo unico approvato con regio decreto 30 
ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioni� (33). 
L�art. 43 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, in particolare, nel testo riformato 
dall�art. 11 della L. 3 aprile 1979, n. 103, sancisce che l�Avvocatura dello 
Stato possa �assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi 
avanti le Autorit� giudiziarie, i Collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative 
e speciali, di Amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, 
sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata 
da disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato 
con regio decreto. [�] Qualora sia intervenuta l�autorizzazione, di 
cui al primo comma, la rappresentanza e la difesa nei giudizi indicati nello 
stesso comma sono assunte dalla Avvocatura dello Stato in via organica ed 
esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le Regioni
�. 
A ben vedere, tanto il tenore letterale dell�art. 72 del D.Lgs. 30 luglio 
1999, n. 300, che fa ricorso al verbo �potere�, quanto l�espresso richiamo, ivi 
contenuto, all�art. 43 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, costituiscono indubbi 
indici del fatto che il legislatore abbia inteso attribuire alle Agenzie la mera 
facolt� di avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura erariale (34). 
Tuttavia, la forma di patrocinio delineata in favore delle Agenzie fiscali 
dev�essere qualificata come ipotesi di patrocinio autorizzato, apparendo destituita 
di fondamento, a seguito dell�entrata in vigore della L. 3 aprile 1979, 
n. 103, la tradizionale distinzione che contrapponeva patrocinio obbligatorio 
e patrocinio facoltativo e dovendosi pi� opportunamente discorrere, con rife- 
(32) Si veda, sul punto, P. PAVONE, op. cit., 244-252. 
(33) Alla stessa stregua, all�art. 20, comma 3, del D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107, si legge che �alle 
Agenzie si applica, in materia di patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, il dettato dell�articolo 43, del 
Regio Decreto 30 ottobre 1933, n. 1611�. 
(34) In questo senso, il Supremo Collegio ha affermato che le Agenzie godono della mera facolt� 
di avvalersi del patrocinio erariale, in particolare, con le pronunce, ex plurimis, Cass. civ., sez. I, 12 
luglio 2007, n. 15617; Cass. civ., sez. trib., 21 giugno 2004, n. 11551; nonch� Cass. civ., sez. trib., 15 
novembre 2002, n. 16122.
TEMI ISTITUZIONALI 17 
rimento a questa seconda ipotesi, di patrocinio autorizzato (35). 
D�altronde, attesa la natura delle Agenzie fiscali quali enti pubblici autonomi, 
non avrebbe potuto essere loro correttamente riferita la disciplina del 
patrocinio obbligatorio, contenuta nell�art. 1 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, 
il quale prescrive che spettino all�Avvocatura dello Stato �la rappresentanza, 
il patrocinio e l�assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche 
se organizzate ad ordinamento autonomo� (36). 
Desta particolare interesse, per contro, la circostanza che l�art. 72 del 
D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, richiami apertis verbis l�art. 43 del R.D. 30 ottobre 
1933, n. 1611, relativo alle �Amministrazioni pubbliche non statali ed 
enti sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato�, 
e non gi� gli artt. 1 e 11 dello stesso Decreto, in tal modo confermando, a fortiori, 
la qualificazione delle Agenzie fiscali come enti pubblici autonomi e non 
quali Amministrazioni statali ad ordinamento autonomo (37). 
Occorre, inoltre, rimarcare il fatto che anche il patrocinio di cui all�art. 
43 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, a seguito della novella del 1979, assuma 
carattere �organico ed esclusivo�, una volta intervenute, da un lato, la norma 
di autorizzazione per l�ente non appartenente all�Amministrazione dello Stato, 
nella specie l�art. 72 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, dall�altro, l�espressa 
regolamentazione dei rapporti tra l�Organo legale e l�ente medesimo, quali le 
convenzioni stipulate tra le Agenzie fiscali e l�Avvocatura dello Stato. 
Pertanto, dal momento in cui l�Avvocatura erariale assume il patrocinio 
delle Agenzie, non occorrono ulteriori investiture per le singole controversie, 
divenendo necessario, all�opposto, il ricorso a particolari formalit� al fine 
dell�esclusione di tale rappresentanza e dell�affidamento della difesa a professionisti 
del libero foro (38). 
(35) Nello stesso senso, M. V. LUMETTI e A. MEZZOTERO, op. cit., 36-43. Non appaiono, pertanto, 
condivisibili alcuni recenti arresti giurisprudenziali, quali Cass. civ., sez. trib., 8 febbraio 2008, n. 3058, 
e Cass. civ., sez. trib., 26 novembre 2007, n. 24547, con i quali la Suprema Corte ha qualificato il patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato nei confronti delle Agenzie fiscali come facoltativo. Si confronti, 
inoltre, P. RUSSO e G. FRANSONI, op. cit., 900. 
(36) Si deve precisare, al riguardo, che la non applicabilit� del regime del patrocinio obbligatorio 
di cui all�art. 1 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, non deriva da alcuna deroga in tal senso, non ricadendo 
le Agenzie fiscali tra le Amministrazioni dello Stato assistite obbligatoriamente in giudizio dall�Avvocatura 
erariale, come invece sostenuto da N. A. BRUNO, op. cit., 1526. Si confronti, Cass. civ., sez. I, 26 
ottobre 2006, n. 23005, ove � stato espressamente sancito che, �non facendo parte l�Agenzia [del Demanio] 
dell�Amministrazione dello Stato, il suo patrocinio da parte dell�Avvocatura erariale ha, coerentemente, 
carattere facoltativo�; nonch� Cass. civ., sez. trib., 13 maggio 2003, n. 7344. 
(37) In questo senso, ex multis, Cass. civ., sez. trib., 13 settembre 2004, n. 18394. Sotto altro profilo, 
per A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, Jovene, 1989, 195, la circostanza 
che l�Avvocatura dello Stato possa assumerne la difesa vale a qualificare un ente come �pubblico�. 
(38) A tal riguardo, si confrontino P. RUSSO e G. FRANSONI, op. cit., 901; nonch� M. V. LUMETTI 
e A. MEZZOTERO, op. cit., 16. In questo senso, T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, sez. III, 16 novembre 
2006, n. 12512; Cons. Stat., sez. IV, 28 dicembre 2000, n. 6997; Cass. civ., sez. unite, 21 luglio 1999, 
n. 484; nonch� Cass. civ., sez. unite, 16 ottobre 1989, n. 4145.
18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Come evidenziato dalla giurisprudenza, infatti, l�enunciazione normativa 
di cui all�art. 43 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, e le norme successive di 
carattere autorizzatorio che completano il meccanismo dell�avvalimento, in 
via organica ed esclusiva, del patrocinio dell�Avvocatura, �contengono [�], 
al contempo, una facolt� aggiuntiva che consente all�ente di avvalersi, senza 
impegno di risorse economiche, di una difesa qualificata, ed una limitazione 
pubblicista della capacit� negoziale che invece interdice, all�ente stesso, il 
conferimento di mandati ad litem aggiuntivi rispetto a quello, ope legis, assicurato 
dall�Avvocatura dello Stato� (39). 
Il carattere esclusivo della difesa dell�Avvocatura non rimane, pertanto, 
privo di effetti sulla sorte di un�eventuale procura ad litem che conferisse l�incarico 
difensivo ad un professionista del libero foro, anche in funzione di mero 
affiancamento alla difesa erariale, qualora non sussista un�ipotesi di conflitto 
di interessi con lo Stato, o con le Regioni difese dall�Avvocatura, ovvero non 
si versi in altro caso speciale (40). In particolare, ne deriverebbero ricadute 
invalidanti da qualificarsi in termini di nullit�, con conseguente difetto del ius 
postulandi, in modo del tutto analogo a quanto accade con riferimento all�ipotesi 
dell�immotivata o irregolare rinuncia al patrocinio obbligatorio (41). 
Per altro verso, in linea con la scelta di attribuire alle Agenzie fiscali il 
patrocinio autorizzato dell�Avvocatura dello Stato, si colloca la disciplina che 
regola eventuali ipotesi di conflitto, espressamente contemplate dall�art. 43, 
comma 3, del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, tra Amministrazioni statali ed 
enti pubblici che godano del patrocinio dell�Organo legale. Invero, nelle circostanze 
di conflitto degli interessi rappresentati dalle diverse parti pubbliche, 
l�Avvocatura � chiamata a mantenere la difesa dell�Amministrazione cui � riferito 
il patrocinio obbligatorio, mentre gli enti che si avvalgono, previa autorizzazione, 
della difesa tecnica erariale debbono essere rappresentati e difesi 
da avvocati del libero foro. 
In effetti, la circostanza che alle Agenzie sia concessa la facolt� di avvalersi 
del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato e che la forma di patrocinio 
loro attribuita permetta alle medesime di essere rappresentate in giudizio da 
professionisti privati consente di risolvere eventuali problemi di coordinamento 
che vengano a crearsi qualora l�Avvocatura non possa sostenere in giudizio 
le posizioni confliggenti dei due enti. 
(39) Cos�, testualmente, T.A.R. per la Calabria, sede di Reggio Calabria, sez. I, 25 marzo 2009, 
n. 190. 
(40) A tal fine occorre, per�, una motivata deliberazione dell�ente in ordine alla specialit� del caso 
e la conseguente sottoposizione della delibera al relativo organo di vigilanza, ai sensi di quanto previsto 
dall�art. 43, comma 4, del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611. Si vedano, sul punto, M. V. LUMETTI e A. MEZZOTERO, 
op. cit., 20-23. 
(41) In questo senso, Cass. civ., sez. unite, 16 ottobre 1989, n. 4145; nonch� Cass. civ., sez. unite, 
5 luglio 1983, n. 4512. Pi� diffusamente, sul punto, si legga P. PAVONE, op. cit., 252-253.
TEMI ISTITUZIONALI 19 
Rispetto alla descritta disciplina di carattere generale il contenzioso tributario 
prevede, dal canto suo, un�apposita deroga regolata dal combinato disposto 
degli artt. 10, 11, comma 2, e 12, commi 1 e 4, del D.Lgs. 31 dicembre 
1992, n. 546. Nel processo tributario, infatti, lo ius postulandi spetta al Direttore 
con funzioni dirigenziali, ovvero ai funzionari a tal uopo delegati, degli Uffici 
locali dotati di legittimazione processuale. Invero, dal momento che l�art. 12, 
comma 1, dispone che �le parti, diverse dall�Ufficio del Ministero delle finanze 
o dell�ente locale nei cui confronti � stato proposto il ricorso, devono essere 
assistite in giudizio da un difensore abilitato�, emerge con evidenza che per le 
Agenzie fiscali, subentrate agli Uffici del Ministero delle Finanze (42), non occorra 
il patrocinio di un difensore abilitato (43). 
Nello stesso senso, l�art. 37, comma 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 
545, dispone che gli Uffici periferici esercitino �l�attivit� di rappresentanza e 
difesa dell�Amministrazione nelle controversie dinanzi alle Commissioni tributarie 
e� coordinino �con gli Uffici competenti dell�Avvocatura dello Stato 
le iniziative dirette a facilitare l�assistenza consultiva e il patrocinio in giudizio 
da parte della stessa�. 
Inoltre, l�art. 12, comma 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sancisce 
che �l�Ufficio del Ministero delle finanze, nel giudizio di secondo grado�, possa 
�essere assistito dall�Avvocatura dello Stato� (44). In proposito, dottrina e giurisprudenza 
maggioritarie hanno ritenuto che la difesa erariale abbia la facolt� 
di assumere la rappresentanza e la difesa in giudizio delle Agenzie fiscali soltanto, 
in via eventuale, dinanzi alle Commissioni tributarie regionali (45). La 
lettura offerta condurrebbe, dunque, ad escludere la presenza dell�Avvocatura 
nel giudizio dinanzi alle Commissioni tributarie provinciali (46). 
Sul punto, tuttavia, anche alla luce del dato letterale, il quale si riferisce 
unicamente all�attivit� del consulere svolta d�Avvocatura in grado d�appello, � 
prospettabile una differente interpretazione della disposizione dell�art. 12, 
comma 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo la quale l�Avvocatura 
dello Stato possa essere chiamata a svolgere davanti alle Commissioni tributarie 
(42) Anche in questo caso, in virt� dell�art. 20, comma 1, del D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107, tale 
disposizione va intesa con riferimento agli Uffici delle Agenzie fiscali cui sono state trasferite le funzioni 
precedentemente assegnate agli Uffici del Ministero delle Finanze. 
(43) Si vedano, in materia, C. BERLIRI, op. cit., 3841-3844; nonch�, B. LO GIUDICE, �Agenzia 
delle Entrate. Notifica delle sentenze di secondo grado e legittimazione processuale nel giudizio per 
cassazione�, in Il fisco, 2001, 11768-11771. 
(44) Anche con riguardo a tale disposizione, la locuzione �l�Ufficio del Ministero delle Finanze�, 
successivamente all�entrata in vigore del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, � da intendersi riferita all�Ufficio 
dell�Agenzia fiscale. 
(45) Si confronti, sul punto, F. TESAURO, Manuale del processo tributario, cit., 59-60. 
(46) In questo senso, M. NESSI e R. TORELLI, op. cit., 3304-3311; nonch�, R. LUNELLI e A. MISSONI 
op. cit., 7694-7698. In giurisprudenza, si vedano Cass. civ., sez. trib., 6 settembre 2004, n. 17936; Cass. 
civ., sez. trib., 3 aprile 2001, n. 488; Cass. civ., sez. I, 6 febbraio 2001, n. 1674.
20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
regionali solamente un�attivit� di mera assistenza nei confronti delle Agenzie, 
senza assumerne il patrocinio. Farebbero propendere per tale soluzione, d�altronde, 
anche i protocolli d�intesa sottoscritti dalle stesse Agenzie e dall�Organo 
legale, nei quali si legge che �avanti alle Commissioni tributarie 
regionali, anche a seguito di rinvio della Corte di Cassazione, l�Avvocatura 
presta, d�intesa con la competente Direzione regionale, alle strutture dell�Agenzia 
l�assistenza nelle controversie particolarmente rilevanti in considerazione 
dell�ammontare della pretesa fiscale e/o del principio di diritto in 
discussione� (47). 
Nel giudizio fiscale di ultima istanza, invece, il patrocinio delle Agenzie 
va soggetto alle regole ordinarie, cos� come previsto dall�art. 62, comma 2, 
del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con la possibilit� per le Agenzie di essere 
rappresentate in giudizio dall�Avvocatura dello Stato (48), anche in ragione 
del fatto che l�ultimo grado del rito tributario dinanzi alla Suprema Corte presenta 
natura di giudizio ordinario (49). 
Interrogandosi, poi, circa le ragioni che hanno determinato il legislatore 
ad attribuire alle Agenzie fiscali la facolt� di avvalersi del patrocinio autorizzato 
dell�Avvocatura dello Stato, si deve ritenere che queste si rinvengano 
tanto nell�esigenza del contenimento dei costi per la difesa e la rappresentanza 
in giudizio, quanto nella necessit� di garantire una difesa qualificata. 
I motivi per cui il patrocinio dell�Avvocatura � stato esteso ad enti pubblici 
diversi dalle Amministrazioni statali, peraltro, sono molteplici ed includono 
lo stretto legame tra lo Stato e l�ente pubblico interessato, la necessit� 
che i fini pubblici dell�ente siano perseguiti da un organo legale in grado di 
tutelare lo Stato nella sua unitariet�, nonch� l�opportunit� che ad assumere la 
difesa in giudizio sia, in ogni occasione, lo stesso rappresentante, onde facilitare 
una difesa uniforme e coordinata e finanche deflazionare il contenzioso 
(50).
Sull�opposto versante, la scelta compiuta dal legislatore di attribuire il 
potere di rappresentanza nei gradi di merito del processo tributario agli stessi 
Uffici delle Agenzie �, senza dubbio, determinata dagli aspetti di elevata tecnicit� 
che caratterizzano la lite fiscale, cui possono meglio far fronte quei soggetti 
che esercitano in prima persona il potere impositivo. 
(47) Si veda il protocollo d�intesa tra Avvocatura dello Stato ed Agenzia delle Entrate del 20 giugno 
2007. 
(48) Si vedano B. LO GIUDICE, op. cit., 11768-11771, e R. LUNELLI e A. MISSONI, op. cit., 7694- 
7698. 
(49) In questo senso, la consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio afferma la natura di rito 
ordinario dell�ultimo grado della lite tributaria, che si svolge dinanzi alla Corte di Cassazione. Si confronti, 
in proposito, ex multis, Cass. civ. sez. unite, 14 febbraio 2006, n. 3116. 
(50) Si vedano, in proposito, P. PAVONE, op. cit., 240-243, nonch� M. V. LUMETTI e A. MEZZOTERO, 
op. cit., 16. Sul punto, Cass. civ., sez. unite, 16 ottobre 1989, n. 4145; Cass. civ., sez. lav., 7 marzo 1983, 
n. 1673; Cass. civ., sez. unite, 24 febbraio 1975, n. 700.
TEMI ISTITUZIONALI 21 
La facolt� concessa agli Uffici delle Agenzie fiscali di rappresentare in 
giudizio l�ente di appartenenza dinanzi alle Commissioni tributarie, d�altro 
canto, rappresenta la pi� importante eccezione alla regola che impone la necessit� 
della difesa tecnica delle Amministrazioni pubbliche in giudizio. Tale 
principio, tuttavia, incontra ulteriori limitazioni, in ragione di questioni connesse 
a profili attinenti alla vicinitas rispetto al rapporto controverso, ovvero 
all�elevata specificit� della lite. 
� questo il caso dell�art. 3 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, il quale contiene 
una vera e propria deroga di portata generale alla difesa dell�Avvocatura 
dello Stato, applicabile ai giudizi dinanzi ai Tribunali ordinari ed ai Giudici di 
pace (51) e meramente subordinata ad un preventivo accordo con l�Organo 
legale. In tali casi, anche le comunicazioni e le notificazioni debbono essere 
effettuate presso il funzionario delegato, non operando le ordinarie disposizioni 
riguardanti la domiciliazione delle Amministrazioni presso l�Avvocatura dello 
Stato (52). 
Segue un principio analogo la deroga alla difesa tecnica dell�Avvocatura 
dello Stato stabilita dall�art. 417 bis c.p.c., in virt� del quale, in materia di controversie 
relative al pubblico impiego, le Amministrazioni pubbliche stanno 
in giudizio in primo grado avvalendosi dei propri dipendenti, salvo che si ritenga 
opportuno incaricare l�Avvocatura erariale della trattazione della causa. 
Nondimeno, anche l�art. 23, comma 4, della L. 24 novembre 1981, n. 689, 
con riferimento al giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, dispone 
che �l�opponente e l�autorit� che ha emesso l�ordinanza possono stare in giudizio 
personalmente� e che �l�autorit� che ha emesso l�ordinanza pu� avvalersi 
anche di funzionari appositamente delegati�. Altrettanto, in virt� 
dell�espresso richiamo operato dall�art. 204 bis, comma 2, del D.Lgs. 30 aprile 
1992, n. 285, tale normativa trova applicazione nei giudizi di opposizione alle 
sanzioni amministrative per violazione del Codice della Strada. 
Dalla possibilit� di stare in giudizio autonomamente va, invece, nettamente 
distinta la facolt� di cui gode l�Avvocatura dello Stato di delegare funzionari 
dell�Amministrazione, o liberi professionisti, a compiere gli 
incombenti procuratori che si svolgono fuori della sede degli uffici dell�Avvocatura 
erariale, secondo quanto previsto dall�art. 2 del R.D. 30 ottobre 1933, 
n. 1611. In questa ipotesi, infatti, la concreta attivit� di difesa dell�ente rimane 
affidata al competente ufficio dell�Avvocatura dello Stato, cui devono essere 
notificati gli atti processuali, mentre la decisione di delegare l�attivit� di 
(51) Sebbene l�art. 3 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, faccia espressamente parola dei giudizi 
pendenti dinanzi alle Preture ed agli Uffici di conciliazione, tuttavia, a seguito della soppressione di tali 
organi giudiziari, ad opera del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, la disposizione deve essere riferita ai Tribunali 
ordinari ed agli Uffici del Giudice di pace, verso i quali sono trasmigrate le competenze in precedenza 
attribuite ai primi. 
(52) Si confronti, ex multis, Cass. civ., sez. II, 19 giugno 2007, n. 14279.
22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
udienza a soggetti esterni viene rimessa ad una scelta esclusiva dell�Avvocatura 
stessa (53). 
3. Le Convenzioni stipulate tra le Agenzie fiscali e l�Avvocatura dello Stato 
In virt� dell�art. 72 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, le quattro Agenzie 
fiscali, su conforme delibera dei rispettivi organi apicali, hanno sottoscritto 
altrettanti protocolli d�intesa con l�Avvocatura dello Stato, al fine di potersi 
valere del patrocinio erariale. Dette convenzioni, stipulate tra il Direttore di 
ciascuna Agenzia e l�Avvocato generale dello Stato in carica, sono state pi� 
volte rinnovate, visto il buon funzionamento delle intese raggiunte (54). 
Come si evince dalla delibera del Comitato di gestione dell�Agenzia delle 
Entrate n. 388 del 30 maggio 2007, la scelta di avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato si � basata sul ruolo istituzionale, sulla specifica professionalit� 
e, come detto, sulla positiva valutazione del sistema di relazioni 
convenuto con l�Organo legale. Inoltre, non si deve trascurare che la scelta di 
attribuire il patrocinio all�Avvocatura erariale, piuttosto che a professionisti 
del libero foro, deve tener conto, ai sensi dell�art. 61 del D.Lgs. 30 luglio 1999, 
n. 300, dei �principi di legalit�, imparzialit� e trasparenza�, nonch� dei �criteri 
di efficienza, economicit� ed efficacia�, anche alla luce dell�eventualit� 
che tale decisione sia assoggettata al vaglio di responsabilit� del Giudice contabile 
�nei casi in cui la scelta del professionista esterno non consideri l�alta 
specializzazione dell�Avvocatura erariale e i minori costi complessivi che il 
ricorso a quest�ultima in genere comporta� (55). 
A fronte di tali considerazioni, non appare del tutto libera la scelta dei 
competenti organi delle Agenzie fiscali di giovarsi del patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato, in quanto, in sostanza, �da un lato, all�Avvocatura dello 
Stato non � consentito rifiutarlo, dall�altro, all�Amministrazione non � consentito 
non richiederlo� (56). 
(53) Si confrontino M. V. LUMETTI e A. MEZZOTERO, op. cit., 13-15. 
(54) Il protocollo d�intesa tra l�Avvocatura dello Stato e l�Agenzia delle Entrate del 20 giugno 
2007, nonch� la delibera del Comitato di gestione dell�Agenzia del 30 maggio 2007, n. 388, sono pubblicate 
su questa Rassegna, 2007, IV, 11-16; il protocollo d�intesa tra l�Avvocatura dello Stato e l�Agenzia 
del Demanio del 21 giugno 2006 �, invece, pubblicato in questa Rassegna, 2006, II, 301-305; 
l�Agenzia del Territorio ha sottoscritto il protocollo d�intesa con l�Avvocatura in data 29 ottobre 2001, 
su conforme delibera del Comitato direttivo del 9 ottobre 2001; mentre l�Agenzia delle Dogane ha sottoscritto 
il protocollo d�intesa con l�Avvocatura in data 15 maggio 2001, a seguito delle conformi delibere 
del Comitato direttivo del 30 gennaio e del 7 maggio 2001. 
(55) In questo senso, anche, Cass. civ., sez. unite, 14 febbraio 2006, n. 3116. Si noti, a riguardo, 
che la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che la violazione delle disposizioni del R.D. 30 ottobre 
1933, n. 1611, in materia di patrocinio obbligatorio comportino la responsabilit� erariale dell�ente per 
le spese legali sostenute. Si confronti T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, sez. III, 13 dicembre 
2002, n. 8051. 
(56) Cos�, testualmente, L. MAZZELLA, op. cit., 99.
TEMI ISTITUZIONALI 23 
L�Avvocatura erariale ha, in questo modo, assunto la rappresentanza e la 
difesa in giudizio delle quattro Agenzie fiscali in via organica ed esclusiva, ai 
sensi dell�art. 43, comma 3 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611. Proprio questo 
carattere di organicit� del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, nonch� il 
fatto che l�esercizio dello ius postulandi della difesa erariale derivi direttamente 
dalla legge, si pongono a fondamento del principio in forza del quale 
anche nell�ambito del patrocinio autorizzato non � necessario il conferimento 
di una specifica procura ad litem. 
Invero, con riferimento alle Agenzie appare, senza dubbio, applicabile la 
previsione dell�art. 1, comma 2, del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, in virt� 
della quale gli avvocati dello Stato, nell�esercizio delle loro funzioni, �non 
hanno bisogno di mandato, neppure nei casi in cui le norme ordinarie richiedono 
il mandato speciale, bastando che consti della loro qualit��, restando 
inibita al Giudice ogni indagine sull�esistenza dell�incarico difensivo. Pertanto, 
la forma di mandato di cui gode l�Avvocatura, anche nei confronti delle Agenzie 
fiscali, si mostra la pi� ampia possibile, tale da comprendere poteri procuratori 
generali e speciali per il compimento di qualsiasi tipo di atto processuale, 
per il quale non sia richiesta la presenza personale della parte (57). 
In tal senso, si � espressa la Suprema Corte con le pronunce rese a Sezioni 
Unite n. 3116 e 3118 del 14 febbraio 2006. In particolare, sul rilievo per cui 
ai sensi dell�art. 72 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, il patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato costituisce una mera facolt� per l�Agenzia, il Supremo Collegio 
ha affermato che �il ricorso a tale patrocinio, in assenza di una 
disposizione normativa (legislativa, regolamentare o statutaria) vincolante 
anche nei confronti dei terzi, deve quindi avvenire � anche se non � necessaria 
una specifica procura � in relazione al singolo procedimento, non rilevando 
l�eventuale conclusione tra Avvocatura e Agenzia di convenzioni di contenuto 
generale per l�assunzione del patrocinio� (58). 
Il Supremo Collegio ha, dunque, chiarito che le convenzioni tra l�Avvocatura 
dello Stato e le Agenzie fiscali per la difesa in giudizio di queste ultime 
non presentano alcuna rilevanza esterna. In altre parole, antecedentemente alla 
costituzione in giudizio dell�Agenzia, dette stipulazioni non possono esplicare 
alcun valore nel procedimento instaurando. Tali accordi, peraltro, non sono in 
(57) Sul punto, M.V. LUMETTI e A. MEZZOTERO, op. cit., 6-12, non ritengono giustamente condivisibile 
quanto espresso dal T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, 6 maggio 2009, n. 4640, il quale aveva 
ritenuto necessario che l�ente inoltrasse una preventiva richiesta di assistenza all�Organo legale. 
Si precisa, a tal riguardo, che la Corte Costituzionale, con la pronuncia 22 febbraio 1990, n. 1308, ha 
dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale, sollevata in relazione all�art. 
97 della Costituzione, della regola della rappresentanza ex lege dell�Avvocatura dello Stato. 
(58) Sulla non necessit� di conferire espresso mandato all�Avvocatura dello Stato per la difesa in 
giudizio, si vedano, altres�, Cass. civ., sez. I, 12 luglio 2007, n. 15617; Cass. civ. sez. trib., 16 maggio 
2007, n. 11227; Cass. civ., sez. trib, 8 marzo 2006, n. 4936; Cass. civ., sez. trib., 8 agosto 2003, n. 11979.
24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
grado di dispiegare alcun effetto nei confronti dei terzi, sebbene siano fonte 
di obblighi e doveri tra le parti direttamente interessate, dal momento che attribuiscono 
alle stesse Agenzie, durante il periodo della loro valenza, il patrocinio 
�organico ed esclusivo� dell�Avvocatura erariale (59). 
4. Analisi delle ricadute processuali derivanti dall�assunzione da parte dell�Avvocatura 
dello Stato del patrocinio autorizzato delle Agenzie fiscali 
Sulla scorta di quanto sinora esposto, le Agenzie fiscali costituiscono enti 
pubblici autonomi rispetto al Ministero dell�Economia e delle Finanze e l�Avvocatura 
dello Stato le rappresenta e difende in giudizio, in virt� di un rapporto 
di patrocinio autorizzato previsto all�art. 72 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, 
e regolato mediante le disaminate convenzioni stipulate tra le stesse Agenzie 
e l�Avvocatura erariale. 
Dal quadro tratteggiato discendono numerose ricadute sul piano processuale, 
che improntano le controversie in cui siano parte le Agenzie fiscali, in 
particolare, con riferimento alla competenza territoriale dell�organo giudicante, 
all�instaurazione del contraddittorio, alla notificazione degli atti predisposti 
dalle parti e dei provvedimenti giudiziari, alle modalit� di proposizione delle 
impugnazioni, alle formalit� necessarie ai fini della costituzione di parte civile 
nel procedimento penale, nonch� alla disciplina relativa alle spese di lite. 
4.1. L�inoperativit� della regola del foro erariale 
In primo luogo, si rende necessario rilevare che, nelle liti ove un�Agenzia 
fiscale sia convenuta o resistente, non trova applicazione la regola del foro 
erariale, sancita all�art. 25 c.p.c., a mente del quale �per le cause nelle quali 
� parte un�Amministrazione dello Stato � competente, a norma delle leggi speciali 
sulla rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio e nei casi ivi previsti, 
il Giudice del luogo dove ha sede l�ufficio dell�Avvocatura dello Stato, nel cui 
distretto si trova il Giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie. 
Quando l�Amministrazione � convenuta, tale distretto si determina con riguardo 
al Giudice del luogo in cui � sorta o deve eseguirsi l�obbligazione o 
in cui si trova la cosa mobile o immobile oggetto della domanda�. Una previsione 
analoga � contenuta finanche nell�art. 6 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 
1611, il quale prevede che �la competenza per cause nelle quali � parte una 
Amministrazione dello Stato, anche nel caso di pi� convenuti ai sensi dell�art. 
(59) La stessa circolare n. 71 del 30 luglio 2001 dell�Agenzia delle Entrate chiarisce che la convenzione 
tra quest�ultima e l�Avvocatura dello Stato per l�assunzione della rappresentanza e difesa della 
prima da parte della seconda ha �effetto vincolante nei rapporti interni ovvero tra Agenzia delle Entrate 
e Avvocatura�.
TEMI ISTITUZIONALI 25 
98 del codice di procedura civile (60), spetta al Tribunale o alla Corte di appello 
del luogo dove ha sede l�ufficio dell�Avvocatura dello Stato nel cui distretto 
si trova il Tribunale o la Corte d�appello che sarebbe competente 
secondo le norme ordinarie. Quando un�Amministrazione dello Stato � chiamata 
in garanzia, la cognizione cos� della causa principale come della azione 
in garanzia � devoluta, sulla semplice richiesta dell�Amministrazione, con ordinanza 
del Presidente, all�Autorit� giudiziaria competente a norma del 
comma precedente�(61). 
Dalla lettura delle disposizioni riportate emerge con evidenza come il 
campo applicativo proprio della regola del foro erariale sia limitato alle controversie 
nelle quali stia in giudizio un�Amministrazione dello Stato. Pertanto, 
qualificandosi le Agenzie fiscali come enti pubblici autonomi e non gi� come 
Amministrazioni statali, tale disciplina non risulta loro riferibile. 
A tal riguardo, il Giudice di legittimit� ha affermato che �non facendo 
parte l�Agenzia dell�Amministrazione dello Stato, il suo patrocinio da parte 
dell�Avvocatura erariale ha, coerentemente, carattere facoltativo [�] e, 
quindi, non comporta alcuna deroga alle ordinarie regole di determinazione 
della competenza territoriale, non essendo richiamato, nella disciplina del 
patrocino facoltativo contenuta nel R.D. n. 1611 del 1933, artt. 43, 44 e 45, 
l�art. 6 del medesimo R.D.� (62). 
Del resto, con esclusivo riguardo al giudizio tributario, l�art. 4 del D.Lgs. 
31 dicembre 1992, n. 546, detta un�espressa disciplina, incompatibile con la 
regola del foro erariale. Invero, tale norma sancisce, al comma 1, che �le Commissioni 
tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte 
nei confronti degli Uffici delle entrate o del territorio del Ministero delle finanze 
ovvero degli enti locali ovvero dei concessionari del servizio di riscossione, 
che hanno sede nella loro circoscrizione; se la controversia � proposta 
nei confronti di un centro di servizio � competente la Commissione tributaria 
provinciale nella cui circoscrizione ha sede l�ufficio al quale spettano le attribuzioni 
sul tributo controverso�. La medesima disposizione prosegue, al 
successivo comma 2, delimitando la competenza delle Commissioni tributarie 
(60) A seguito dell�entrata in vigore del Codice di procedura civile del 1942, il riferimento deve 
essere correttamente inteso nei confronti dell�attuale art. 33 c.p.c., relativo al fenomeno del cumulo soggettivo. 
(61) La regola del foro erariale � stata, a pi� riprese, sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, 
per l�asserito contrasto con gli artt. 3, 24, 25, comma 1, nonch� 113 Cost. La Consulta, da ultimo, con 
l�ordinanza 24 febbraio 2006, n. 71, ha respinto le censure proposte. Sul punto, si confronti M. PISCITELLI, 
�Foro erariale e giudice naturale�, in questa Rassegna, 2006, I, 137-138. 
(62) Cos�, Cass. civ., sez. I, 26 ottobre 2006, n. 23005; nonch� Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 
2005, n. 26994. Si confrontino anche Cass. civ., sez. I, 3 settembre 2009, n. 19128; Cass. civ., sez. lav., 
29 luglio 2008, n. 20582; nonch� Cass. civ., sez. unite, 10 maggio 2006, n. 10700, ove, sulla scorta delle 
medesime motivazioni, la Suprema Corte ha sancito l�inapplicabilit� della regola del foro dello Stato 
alle liti in cui siano parte le Universit� degli studi.
26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
regionali alle �impugnazioni avverso le decisioni delle Commissioni tributarie 
provinciali, che hanno sede nella loro circoscrizione�. 
Pertanto, esclusa l�applicazione della regola del foro erariale, la competenza 
territoriale si radica in capo al Giudice da identificarsi secondo le ordinarie 
previsioni contenute nel Codice di rito. 
Ad eccezione del processo tributario, in relazione al quale la competenza 
� espressamente qualificata come inderogabile, ai sensi dell�art. 5, comma 1, 
del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l�incompetenza territoriale non � rilevabile 
d�ufficio e deve essere eccepita a pena di decadenza, quanto al rito civile, 
secondo il disposto dell�art. 38 c.p.c., �nella comparsa di risposta tempestivamente 
depositata�, mentre, nel rito amministrativo, entro il termine di cui 
all�art. 31 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, di �venti giorni dalla data di costituzione 
in giudizio�. 
4.2. La notificazione dell�atto introduttivo del giudizio 
In secondo luogo, appare opportuno compiere alcune considerazioni in 
merito alle modalit� di instaurazione del contraddittorio in relazione alle liti 
nelle quali siano parte le Agenzie fiscali, individuando, in particolare, il luogo 
di notificazione dei relativi atti introduttivi del giudizio. 
Con riferimento a questo secondo profilo, dal momento che le Agenzie 
fiscali e l�Avvocatura dello Stato non sono legate da un rapporto di patrocinio 
obbligatorio ed atteso che le convenzioni tra loro stipulate non hanno rilevanza 
esterna, nei confronti delle Agenzie non opera la disciplina di cui all�art. 11 
del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, come modificato dall�art. 1 della L. 25 
marzo 1958, n. 260, in forza del quale, a pena di nullit� da pronunciarsi anche 
d�ufficio (63), �tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione 
giudiziale, nonch� le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi 
che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi 
agli arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso 
l�ufficio dell�Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l�Autorit� giudiziaria 
innanzi alla quale � portata la causa, nella persona del Ministro competente
� (64). 
L�inapplicabilit� delle menzionate disposizioni con riferimento alle Agenzie 
fiscali comporta che l�atto introduttivo di qualunque tipologia di giudizio 
nei confronti di queste ultime, dinanzi ad ogni giurisdizione, debba essere no- 
(63) In proposito, la Consulta con la sentenza n. 97 del 26 giugno 1967 ha dichiarato �l�illegittimit� 
costituzionale del terzo comma dell�art. 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, sulla rappresentanza 
e difesa in giudizio dello Stato, nei limiti in cui esclude la sanatoria della nullit� di notificazione�. 
(64) Tale previsione � stata ripresa all�art. 10, comma 3, della L. 3 aprile 1979, n. 103, che ne ha 
espressamente sancito l�operativit� �nei giudizi dinanzi al Consiglio di Stato ed ai Tribunali amministrativi 
regionali�.
TEMI ISTITUZIONALI 27 
tificato presso la stessa Agenzia chiamata in causa, potendo alternativamente 
essere convenuti tanto l�Ufficio centrale, quanto gli Uffici locali (65). 
Un discorso differente, per contro, deve essere condotto in ordine al rito 
tributario, in quanto la notificazione del ricorso alla Commissione tributaria 
provinciale, a mente dell�art. 10 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, pu� essere 
esclusivamente effettuata nei confronti dell�Ufficio che ha emanato l�atto 
impugnato o che non ha adottato l�atto richiesto (66). 
Ne consegue che la notificazione dell�atto introduttivo effettuata presso 
l�Avvocatura dello Stato non pu� che ritenersi nulla, bench� tale nullit� possa 
essere sanata mediante la costituzione in giudizio del soggetto effettivamente 
legittimato (67). 
4.3. La notificazione di ogni altro atto di parte e dei provvedimenti giudiziari 
Venendo a trattare, in seguito, degli atti di parte successivi all�atto introduttivo 
e dei provvedimenti giudiziari, dei quali la legge o un ordine del Giudice 
impongano la notificazione alla controparte, viene in rilevo la disciplina di cui 
all�art. 11, comma 2, del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, in virt� del quale �ogni 
altro atto giudiziale e le sentenze devono essere notificati presso l�Ufficio dell�Avvocatura 
dello Stato nel cui distretto ha sede l�Autorit� giudiziaria presso 
cui pende la causa o che ha pronunciato la sentenza�. 
Anche tale disposizione non opera nei giudizi in cui siano parte le Agenzie 
fiscali, in quanto non legate all�Avvocatura dello Stato da un rapporto di patrocinio 
obbligatorio, trovando, invece, applicazione la disciplina ordinaria di 
cui all�art. 170, comma 1, c.p.c., il quale dispone che �dopo la costituzione in 
(65) In tal senso si veda Trib. Belluno, 22 ottobre 2002, in Giur. Merito, 2003, 777. L�assunto �, 
inoltre, ricavabile dalle argomentazioni svolte in Cass. civ., sez. unite, 29 ottobre 2007, n. 22641. Si 
deve rilevare come, per contro, non siano mancate pronunce di segno opposto, quali T.A.R. per la Campania, 
sede di Salerno, sez. I, 20 maggio 2003, n. 537, il quale ha dichiarato applicabile la previsione 
dell�art. 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, all�ipotesi di notificazione del ricorso giurisdizionale al 
T.A.R. nei confronti dell�Agenzia delle Entrate. Tale pronuncia, tuttavia, � stata oggetto di riforma in 
appello da parte del Supremo Consesso amministrativo, il quale con la pronuncia Cons. Stat., sez. IV, 
30 dicembre 2003, n. 9230, ha ritenuto rituale la notifica effettuata presso l�Agenzia fiscale ed in particolare 
presso l�ufficio interessato dalla controversia, trovando in tal caso piena operativit� la disciplina 
di cui agli artt. 137 e seguenti c.p.c. Si veda, in proposito, S. BUTTUS, op. cit., 879. Si confronti anche 
la Circ. 16 luglio 2002, n. 5, dell�Agenzia del Territorio. 
Il medesimo principio � stato, peraltro, espressamente affermato dal Supremo Collegio, con riferimento 
ad altri enti pubblici autonomi, in Cass. civ., sez. I, 18 gennaio 2006, n. 863; Cass. civ., sez. I, 28 settembre 
2005, n. 18959; Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2005, n. 15819; nonch� Cass. civ., sez. I, 25 agosto 
1997, n. 7956. 
(66) In questo senso, si veda B. LO GIUDICE, op. cit., 11768-11771. 
(67) TantՏ che le stesse convenzioni siglate tra l�Avvocatura dello Stato e le Agenzie prevedono 
che nelle ipotesi di erronea identificazione del soggetto cui indirizzare la notificazione dell�atto introduttivo 
del giudizio, i medesimi enti provvedano alla tempestiva trasmissione degli atti stessi, ai fini 
della migliore tutela dell�interesse dello Stato.
28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
giudizio tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno al procuratore costituito, 
salvo che la legge disponga altrimenti�. 
Ne consegue che, qualora un�Agenzia fiscale sia costituita in giudizio avvalendosi 
del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato ed ivi eleggendo il proprio 
domicilio, occorrer� che tutte le notificazioni e le comunicazioni nei suoi confronti 
vengano indirizzate alla volta dell�Avvocatura erariale. 
Per contro, nei giudizi in cui l�Agenzia si difenda autonomamente, notificazioni 
e comunicazioni dovranno, senza dubbio, essere effettuate presso gli 
stessi Uffici che ne hanno assunto la rappresentanza. 
Altres�, nel caso in cui l�Agenzia fiscale sia rimasta contumace, notificazioni 
e comunicazioni dovranno essere eseguite nei confronti del medesimo 
Ufficio chiamato in causa, dal momento che, in tale evenienza, non sarebbe, in 
ogni caso, intervenuta alcuna elezione di domicilio. 
In relazione al rito tributario, nondimeno, si rinviene una specifica disciplina 
della notificazione degli atti endoprocessuali nel disposto dell�art. 17 del 
D.Lgs. 31dicembre 1992, n. 546, in virt� del quale la notifica deve essere effettuata, 
�salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, 
nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all�atto della sua 
costituzione. Le variazioni del domicilio o della residenza o della sede hanno 
effetto dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata notificata alla Segreteria 
della Commissione e alle parti costituite la denuncia di variazione. 
L�indicazione della residenza o della sede e l�elezione del domicilio hanno effetto 
anche per i successivi gradi del processo�. 
Ad ogni modo, il mancato rispetto delle regole enunciate conduce, sul 
piano processuale, alla nullit� della notificazione, la quale, tuttavia, risulterebbe 
sanata dal raggiungimento dello scopo della conoscenza dell�atto, in ossequio 
al principio di funzionalit� delle forme, ricavabile dall�art. 156, comma 3, c.p.c. 
Analoghe considerazioni devono essere svolte anche con riferimento alla 
notificazione del provvedimento giudiziario al fine del decorso dei termini di 
cui all�art. 325 c.p.c. 
In proposito, non operando con riferimento alle Agenzie fiscali la citata 
disposizione dell�art. 11, comma 2, del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, la relativa 
disciplina deve rinvenirsi negli artt. 170 e 285 c.p.c., dal combinato disposto 
dei quali discende che la notificazione della sentenza debba essere effettuata 
presso il procuratore costituito, nel domicilio eletto nel grado di giudizio in cui 
il provvedimento � stato pronunciato. Peraltro, l�art. 292, comma 4, c.p.c. prevede 
che la sentenza sia notificata alla parte personalmente nell�ipotesi in cui 
sia contumace. 
Ne consegue, pertanto, che la notificazione della sentenza debba essere 
compiuta presso l�Avvocatura dello Stato, qualora sia costituita in giudizio in 
virt� del patrocinio autorizzato, mentre, qualora l�Agenzia si sia difesa autonomamente 
o sia rimasta contumace, la notificazione del provvedimento dovr�
TEMI ISTITUZIONALI 29 
essere effettuata nei confronti dell�Ufficio dell�Agenzia chiamato in causa (68). 
Con esclusivo riferimento al rito fiscale, la notificazione della sentenza 
della Commissione tributaria va soggetta alla previsione dell�art. 38, comma 
2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione alla quale dottrina e giurisprudenza 
hanno sollevato numerosi dubbi ermeneutici (69). Dal canto suo, 
il legislatore ha provveduto a fornirne un�interpretazione autentica, mediante 
l�art. 21, comma 1, della L. 13 maggio 1999, n. 133, a mente del quale �l�articolo 
38, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, si interpreta 
nel senso che le sentenze pronunciate dalle Commissioni tributarie 
regionali e dalle Commissioni tributarie di secondo grado delle province autonome 
di Trento e di Bolzano, ai fini del decorso del termine di cui all�articolo 
325, secondo comma, del codice di procedura civile, vanno notificate all�Amministrazione 
finanziaria presso l�ufficio dell�Avvocatura dello Stato competente 
ai sensi dell�articolo 11, secondo comma, del testo unico approvato con 
regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioni�. 
Ci� nondimeno, a seguito dell�entrata in vigore del D.Lgs. 30 luglio 1999, 
n. 300, la Suprema Corte si � pronunciata, in proposito, affermando l�implicita 
abrogazione del menzionato art. 21, comma 1, della L. 13 maggio 1999, n. 
133, stante l�incompatibilit� con il rinnovato assetto dell�Amministrazione finanziaria 
(70). 
Ad ogni buon conto, l�unica ricaduta, sul piano processuale, che possa 
conseguire all�erronea identificazione del soggetto cui notificare il provvedimento 
del Giudice consiste nella inoperativit� dei termini di cui all�art. 325 
c.p.c., con la conseguente applicazione del termine previsto al successivo art. 
327 c.p.c. 
4.4. La notificazione delle impugnazioni 
Un�ulteriore problematica si pone in relazione alla notificazione degli atti 
d�impugnazione nei confronti delle Agenzie fiscali. 
Non trovando applicazione, neppure in relazione a tale profilo, la disciplina 
di cui all�art. 11, comma 2, del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, per i giudizi 
nei quali siano parte le Agenzie si deve far riferimento alla disciplina 
(68) Si confronti, sul punto, C. GLENDI, op. cit., 2965-2966. 
(69) A tal riguardo, il punto 3.4 della Circ. 31 marzo 2010, n. 17, dell�Agenzia delle Entrate, afferma 
l�inoperativit� dell�art. 285 c.p.c. nel processo tributario per la prevalenza della lex specialis contenuta 
nell�art. 38 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. 
(70) Affermano l�implicita abrogazione dell�art. 21, comma 1, L. 13 maggio 1999, n. 133, Cass. 
civ., sez. trib., 30 marzo 2007, n. 7882; Cass. civ., sez. trib., 7 luglio 2006, n.15563; Cass. civ., sez. unite, 
14 febbraio 2006, n. 3116; Cass. civ., sez. trib., 1 luglio 2004, n. 12075. Sul punto, si vedano L. ROSA, 
op. cit., 873-876; G. FRANSONI e P. RUSSO, op. cit., 895-903; P. CENTORE, op. cit., 773-776; M. NESSI e 
R. TORELLI, op. cit., 3304-3311; nonch� C. BERLIRI, op. cit., 3841-3844. 
30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
ordinaria di cui all�art. 330 c.p.c., in forza del quale �se nell�atto di notificazione 
della sentenza la parte ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio 
nella circoscrizione del Giudice che l�ha pronunciata, l�impugnazione deve 
essere notificata nel luogo indicato; altrimenti si notifica ai sensi dell�art. 170 
presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio 
eletto per il giudizio. [�] Quando manca la dichiarazione di residenza o l�elezione 
di domicilio e, in ogni caso, dopo un anno dalla pubblicazione della 
sentenza, l�impugnazione, se � ancora ammessa dalla legge, si notifica personalmente 
a norma degli articoli 137 e seguenti�. 
Pertanto, qualora l�Agenzia sia costituita in giudizio avvalendosi del patrocinio 
autorizzato dell�Avvocatura dello Stato, la notificazione dell�impugnazione 
deve essere indirizzata nei confronti dello stesso Organo legale, 
mentre qualora l�Agenzia sia costituita in giudizio mediante i propri Uffici, o 
sia contumace, le notificazioni devono essere effettuate nei confronti dello 
stesso Ufficio, centrale o locale (71), dell�Agenzia che aveva assunto la veste 
di parte processuale nel precedente grado di giudizio (72). Alla stessa stregua, 
la notificazione dell�impugnazione deve essere indirizzata all�Ufficio dell�Agenzia, 
ancorch� sia stata difesa da parte dell�Avvocatura erariale, nell�ipotesi 
in cui l�impugnazione sia proposta successivamente al termine dell�anno 
dalla pubblicazione della sentenza, come pu� accadere in relazione alla revocazione 
straordinaria, ai sensi dell�art. 395, n. 1, 2, 3 e 6, c.p.c. 
Le richiamate previsioni di cui all�art. 330 c.p.c., peraltro, come chiarito 
dal Supremo Collegio, trovano applicazione anche con riferimento al processo 
tributario, dal momento che esso difetta di una specifica disciplina della notificazione 
degli atti di impugnazione (73). 
In ordine alle notificazioni delle impugnazioni, inoltre, deve darsi atto di 
un recente orientamento giurisprudenziale, il quale, valorizzando il principio 
di collaborazione e buona fede, consacrato all�art. 10, comma 1, della L. 27 
luglio 2000, n. 212, meglio nota quale �Statuto dei diritti del contribuente�, 
ritiene che, qualora il cittadino indirizzi erroneamente la notificazione di un 
atto nei confronti di Ufficio privo di legittimazione passiva, quest�ultimo �in 
ottemperanza al dovere di collaborazione� sia �tenuto a trasmetterlo al com- 
(71) Si confrontino, ex plurimis, Cass. civ., sez. unite, 29 ottobre 2007, n. 22641; nonch� Cass. 
civ., sez. unite, 14 febbraio 2006, n. 3116. 
(72) Si vedano, in proposito, Cass. civ., sez. I, 12 luglio 2007, n. 15617; Cass. civ., sez. trib., 13 
settembre 2004, n. 18394; Cass. civ., sez. trib., 21 giugno 2004, n. 11551, ove si � affermata l�inammissibilit� 
del ricorso per cassazione per l�inesistenza della sua notificazione, in quanto eseguita presso 
l�Avvocatura dello Stato, la quale non aveva assunto in secondo grado il patrocinio dell�Agenzia. 
(73) In questo senso, si vedano Cass. civ., sez. unite, 15 dicembre 2008, n. 29290; Cass. civ., sez. 
trib., 16 aprile 2007, n. 8972; nonch� il punto 3.8 della Circ. 31 marzo 2010, n. 17, dell�Agenzia delle 
Entrate. Contra, nel senso dell�incompatibilit� dell�art. 330 c.p.c. con la disciplina dell�art. 17 del D.Lgs. 
31 dicembre 1992, n. 546, si guardi Cass. civ., sez. trib., 1 giugno 2007, n. 12908. Si confronti, in proposito, 
F. TESAURO, Manuale del processo tributario, cit., 227-228.
TEMI ISTITUZIONALI 31 
petente Ufficio [�] anzich� mantenere una condotta inerte�, nella quale evenienza 
�la mancata tempestiva costituzione in giudizio dell�Ufficio competente
� diviene �imputabile non al contribuente bens� alla stessa 
Amministrazione, per violazione del predetto principio�. Ne consegue che la 
notifica all�Ufficio sprovvisto della legittimazione processuale, ci� nondimeno, 
�deve ritenersi sufficiente a determinare una corretta instaurazione del 
rapporto processuale� (74). 
A tal riguardo, occorre, tuttavia, rilevare che, se, da un lato, l�applicazione 
generalizzata di tale assunto potrebbe agevolare il contribuente nell�accesso 
alla giustizia, dall�altro, deve essere correttamente intesa come riferibile alle 
sole ipotesi in cui sia integrata una fattispecie di legittimo affidamento del cittadino 
nella legittimazione passiva dell�Ufficio cui ha notificato l�atto stesso. 
4.5. La costituzione di parte civile nel procedimento penale 
Per quanto attiene ai procedimenti penali per reati dei quali un�Agenzia 
fiscale sia persona offesa, essa ha certamente la facolt� di costituirsi parte civile 
nel giudizio. 
Con riferimento alla costituzione di parte civile dello Stato, l�art. 1, 
comma 4, della L. 3 gennaio 1991, n. 3, sancisce che �la costituzione di parte 
civile dello Stato nei procedimenti penali deve essere autorizzata dal Presidente 
del Consiglio dei Ministri�. 
In proposito, si deve dare atto del fatto che la prassi interpretativa della 
menzionata disposizione sembri affermare la necessit� della previa autorizzazione 
alla costituzione di parte civile anche con riferimento alle Agenzie fiscali 
(75).
Le riflessioni condotte attorno alla natura delle Agenzie quali enti pubblici 
autonomi, tuttavia, avendo fugato ogni dubbio circa la non riferibilit� delle 
stesse allo Stato-persona, potrebbero portare a ritenere che la costituzione di 
parte civile di un�Agenzia fiscale, ex art. 78 c.p.p., non necessiti della previa 
autorizzazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, inteso quale 
�soggetto che rappresenta la sintesi politica e di governo dello Stato-Comunit�
� (76). 
(74) Cos�, Cass. civ., sez. trib., 10 febbraio 2010, n. 2937. La pronuncia riguarda l�ipotesi di un 
ricorso in appello alla Commissione tributaria regionale, notificato al Centro di servizio che aveva 
emesso il ruolo posto in esecuzione con la cartella esattoriale impugnata, anzich� al competente Ufficio 
delle Entrate, nella specie l�Ufficio delle Imposte Dirette di Parma. 
(75) A tal riguardo, si confronti la Circ. 16 luglio 2002, n. 5 dell�Agenzia del Territorio, nonch� 
il parere dell�Avvocatura generale dello Stato reso con la nota n. 72570 del 9 luglio 2002. 
(76) Cos�, Trib. Bologna, sez. dei Giudici per le indagini preliminari e dell�udienza preliminare, 
5 ottobre 2004, in Giur. Merito, 2005, 655, in relazione ad un�ipotesi di costituzione di parte civile nel 
procedimento penale di un differente ente pubblico autonomo, quale l�Universit� degli Studi di Modena 
e Reggio Emilia.
32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
4.6. Le spese di lite 
In ultimo, merita un cenno l�analisi delle ricadute relative alle spese di 
lite che conseguano all�assunzione del patrocinio delle Agenzie fiscali da parte 
dell�Avvocatura dello Stato. 
In proposito, si deve ricordare che l�art. 15, comma 2 bis, del D.Lgs. 31 
dicembre 1992, n. 546, prevede, con riferimento al rito tributario, che �nella 
liquidazione delle spese a favore dell�Ufficio del Ministero delle finanze, se 
assistito da funzionari dell�Amministrazione, e a favore dell�ente locale, se 
assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e 
procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi 
previsti. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo 
dopo il passaggio in giudicato della sentenza�. 
Qualora, invece, il patrocinio dell�Agenzia fiscale sia stato assunto dall�Avvocatura 
dello Stato, la citata disposizione non pu� trovare applicazione, 
con conseguente aggravio di spesa, nell�ipotesi di soccombenza, per il contribuente. 
5. Schema riassuntivo 
Si propone, infine, uno schema riassuntivo delle disaminate ricadute processuali 
derivanti dalla qualificazione delle Agenzie fiscali come enti pubblici 
autonomi, nonch� dall�inquadramento del loro rapporto con l�Avvocatura dello 
Stato quale patrocinio autorizzato. 
Giudizi pendenti dinanzi al Giudice ordinario, amministrativo, contabile 
ed al Tribunale superiore delle acque pubbliche: 
Legittimazione passiva . Ufficio locale in via concorrente con 
l�Ufficio centrale 
Destinatario della notifica 
dell�atto introduttivo . Ufficio locale o Ufficio centrale 
Rappresentanza e difesa 
in giudizio . Avvocatura dello Stato ai sensi delle 
convenzioni stipulate, ad eccezione dei 
casi di conflitto e delle ipotesi speciali 
Destinatario della notifica 
degli atti successivi . se costituita . Avvocatura dello Stato 
o procuratore costituito 
. se contumace . Ufficio locale o centrale
TEMI ISTITUZIONALI 33 
Destinatario della notifica 
della sentenza . se costituita . Avvocatura dello Stato costituita 
o procuratore costituito 
. se contumace . Ufficio locale o centrale 
Destinatario della notifica 
delle impugnazioni . se costituita . Avvocatura dello Stato 
. se contumace . Ufficio convenuto nel 
grado di giudizio precedente 
Giudizi pendenti dinanzi al Giudice tributario: 
Legittimazione passiva . Ufficio locale che ha emanato l�atto impugnato 
o non ha emanato l�atto richiesto 
Destinatario della notifica 
dell�atto introduttivo . Ufficio locale 
Rappresentanza e difesa 
in giudizio . Comm. trib. prov. . Dirigente Ufficio locale o collaboratori 
delegati 
. Comm. trib. reg. . Dirigente Ufficio locale o collaboratori 
delegati o Avvocatura 
dello Stato 
. Cassazione . Avvocatura dello Stato ai sensi 
delle convenzioni stipulate, ad 
eccezione dei casi di conflitto 
e delle ipotesi speciali 
Destinatario della notifica 
degli atti successivi . Ufficio locale 
Destinatario della notifica 
della sentenza . Comm. trib. prov.. Ufficio locale 
. Comm. trib. reg. . Ufficio locale o centrale, se 
costituito o contumace; Avvocatura 
Stato, se costituita 
Destinatario della notifica 
delle impugnazioni . Comm. trib. reg. . Ufficio locale 
. Cassazione 
se in appello Ufficio . Ufficio locale o Ufficio 
centrale 
se in appello Avvocatura . Avvocatura dello Stato
34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Il patrocinio delle Autorit� portuali 
Circolare A.G.S. n. 11 del 15 febbraio 2010 
Si segnala che, con D.P.C.M. del 4 dicembre 2009, in G.U. 11 febbraio 2010, n. 34, anche 
per le Autorit� portuali di Augusta e di Salerno � stata autorizzata la rappresentanza e difesa 
da parte dell�Avvocatura dello Stato nei giudizi attivi e passivi avanti le autorit� giudiziarie, 
i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. 
Pertanto, adesso tutte le Autorit� portuali debbono avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato ai sensi dell�art. 43 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 tranne che per i casi di conflitto 
di interessi con lo Stato o con le Regioni e, in casi speciali, salva l�adozione di apposita 
motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza, come confermato dall�allegata decisione 
del Consiglio di Stato, sez. VI, del 9 febbraio 2010, n. 647. 
N. 00647/2010 REG.DEC. 
REPUBBLICA ITALIANA 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
Il Consiglio di Stato 
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) 
ha pronunciato la presente 
DECISIONE 
Sul ricorso numero di registro generale 5239 del 2009, proposto da: 
Zen Marine Srl - Zito Evoluzioni Nautiche Marine Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Pierpaolo 
Salvatore Pugliano, Giacomo Saccomanno, Federico Tedeschini, con domicilio eletto 
presso Federico Tedeschini in Roma, largo Messico,7; Zen Yacht Srl - Zito Evoluzioni Nautiche 
Yacht Srl; 
contro 
Autorita' Portuale di Gioia Tauro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata 
e difesa dall�Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei 
Portoghesi, 12; 
nei confronti di 
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato 
e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, 
12; 
per la riforma 
della sentenza del TAR CALABRIA - REGGIO CALABRIA n. 00190/2009, resa tra le parti, 
concernente DINIEGO RICHIESTA PER REALIZZAZIONE DARSENA PORTUALE PER 
CANTIERE-RIS.DANNI. 
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; 
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Autorita' Portuale di Gioia Tauro e di Ministero 
delle Infrastrutture e dei Trasporti; 
Viste le memorie difensive; 
Visti tutti gli atti della causa; 
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2009 il Cons. Roberto Giovagnoli e
TEMI ISTITUZIONALI 35 
uditi per le parti gli avvocati Pugliano, Saccomanno, (omissis) e l'avv.to dello Stato Carlo 
Sica; 
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
FATTO e DIRITTO 
(Omissis) 
6. L�Autorit� portuale si � costituita in giudizio con due distinti controricorsi e il patrocinio 
sia dell�Avvocatura dello Stato sia di altro professionista del libero Foro, l�avv. (omissis). 
All�udienza del 3 novembre 2009, la causa � stata trattenuta per la decisione. 
7. Occorre, in primo luogo, dichiarare la mancanza dello ius postulandi in capo all�Avv. (omissis) 
e, conseguentemente, la nullit� di tutti gli atti processuali dello stesso compiuti. 
Giova rilevare, a tal proposito, che l�Autorit� Portuale di Gioia Tauro si avvale del patrocinio 
c.d. autorizzato dell�Avvocatura dello Stato ai sensi dell�art. 43, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611. 
Tale disposizione, - sul punto modificata dall'articolo 1, comma 1, della legge 16 novembre 
1939, n. 1889 - prevede �l'Avvocatura dello Stato pu� assumere la rappresentanza e la difesa 
nei giudizi attivi e passivi avanti le Autorit� giudiziarie, i Collegi arbitrali, le giurisdizioni 
amministrative e speciali, di amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti 
a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata da disposizione 
di legge, di regolamento o di altro provvedimento [�]. Qualora sia intervenuta l'autorizzazione, 
di cui al primo comma, la rappresentanza e la difesa nei giudizi indicati nello stesso 
comma sono assunte dalla Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i 
casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le Regioni.� 
La norma aggiunge, al suo comma 4, che �salve le ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni 
ed enti intendano, in casi speciali, non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare 
apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza�. 
La giurisprudenza, anche di questa Sezione (cfr. ordinanze n. 8413 e 8414 dell�11 novembre 
2009) ha chiarito che la natura autorizzata del patrocinio non ne muta il carattere tendenzialmente 
obbligatorio salvo che per i casi di comprovata specialit� (c.d. obbligatoriet� attenuata) 
sicch�, solo qualora questi ultimi ricorrano, � possibile per l'Ente rinunciare al patrocinio dell'Avvocatura 
e procedere alla nomina di un legale del libero Foro, previa apposita motivata 
deliberazione sottoposta all'organo di vigilanza. 
In sostanza e schematicamente la norma prevede due sole possibilit�: 1) avvalersi della esclusiva 
difesa fornita ope legis dall�Avvocatura dello Stato; in tal caso, alla luce di una nutrita 
giurisprudenza, non occorre mandato, n� deliberazione; 2) non avvalersi della difesa dell�avvocatura; 
in questo secondo caso occorre una motivata deliberazione dell�ente in ordine alla 
specialit� del caso e la conseguente sottoposizione della delibera all�organo di vigilanza (e 
l�esistenza della delibera e della motivazione pu� essere controllata anche d�ufficio dal giudice). 
Nel caso di specie, invece, l�Autorit� portuale, senza rinunciare al patrocinio ope legis autorizzato, 
ha inteso nominare un difensore ulteriore rispetto all�Avvocatura dello Stato, il cui 
ruolo non viene ripudiato ma, nelle intenzioni dell�ente, potenziato a mezzo di un affiancamento. 
In tal modo, tuttavia, come gi� era stato rilevato dal giudice di primo grado, � stata violata la 
previsione contenuta nell�art. 43, comma 3, cit. che espressamente prevede: �qualora sia intervenuta 
l'autorizzazione, di cui al primo comma, la rappresentanza e la difesa nei giudizi 
indicati nello stesso comma sono assunte dalla Avvocatura dello Stato in via organica ed esclu-
36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
siva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioni�. 
Assunzione della difesa �in via esclusiva� non pu� che significare esclusione di ipotesi di assunzione, 
congiunta a professionisti del libero Foro. 
L�assunto ermeneutico � del resto in linea con quanto previsto dal medesimo RD 30 ottobre 
1933 n.1611 nei confronti delle Amministrazioni statali soggetti al patrocinio obbligatorio 
dell�Avvocatura dello Stato: per queste ultime, non solo la difesa predetta � considerata irrinunciabile 
(a differenza del patrocinio facoltativo o �autorizzato� che invece contempla la 
possibilit� di rinuncia) ma � altres� prescritto che �nessuna Amministrazione dello Stato� 
possa �richiedere l�assistenza di avvocati del libero foro�, salvo ipotesi assolutamente eccezionali 
da verificare e validare con complesse procedure (Cfr. art. 5 RD cit.). 
In conclusione, tornando ai fatti di causa, il mandato conferito dall�Autorit� Portuale di Gioia 
Tauro, senza una previa, motivata rinuncia alla difesa, assicurata dall�Avvocatura dello Stato 
ai sensi dell�art. 43 del RD 30 ottobre 1933 n.1611 e del dPCM del 25 giugno 2004, � affetto 
da nullit� che conseguentemente priva il difensore del libero Foro dello ius postulandi. 
La rilevata nullit� del mandato e del conseguente esercizio dell�attivit� difensiva non incide 
sulla regolare costituzione dell�Autorit� Portuale, ritualmente avvenuta a mezzo dell�Avvocatura 
dello Stato. 
8. Nel merito l�appello � infondato. 
(Omissis) 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, sezione Sesta, respinge l�appello. 
Spese compensate. 
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2009 con l'intervento 
dei Signori: 
Claudio Varrone, Presidente 
Paolo Buonvino, Consigliere 
Rosanna De Nictolis, Consigliere 
Maurizio Meschino, Consigliere 
Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
Il 09/02/2010
I L C O N T E N Z I O S O 
C O M U N I TA R I O E D 
I N T E R N A Z I O N A L E 
La posizione dell�Italia sui diritti da riconoscere 
alle persone inserite nelle �black list� 
Giuseppe Albenzio* 
SINTESI DELLA RELAZIONE: A) FONTI: Introduzione - 1. Normazione delle Nazioni Unite - 
2. Normazione dell�Unione Europea - 3. Normazione nazionale. B) TUTELA: 1. A livello del 
Comitato di sicurezza ONU - 2. A livello della giurisdizione UE - 3. A livello nazionale - 4. 
A livello CEDU. 
IN ALLEGATO: Atto di intervento al Tribunale Ue nella causa T-4/10 - Ricorso proposto 
il 7 gennaio 2010 - Al Saadi/Commissione. 
A) FONTI 
Introduzione 
Nell�ultimo decennio e, soprattutto, dopo i gravi fatti dell�11 settembre 
2001, la comunit� internazionale ha prestato la massima attenzione non solo 
alla repressione delle attivit� terroristiche ma anche e in primo luogo alla prevenzione 
del fenomeno del terrorismo, studiando sistemi efficienti ed immediati 
per impedire agli affiliati alle associazioni terroristiche di porre in essere 
le loro attivit� delittuose e per tranciare alla radici le loro fonti di reclutamento 
e finanziamento. 
E� quindi nata una complessa normativa multilivello che ha affiancato alla 
tradizionale procedura di pronunciamento contro uno Stato l�adozione di misure 
restrittive nei confronti di singoli e gruppi, a prescindere dal loro legame 
(*) Avvocato dello Stato. 
Relazione tenuta al Convegno �Diritti fondamentali e politiche dell�UE dopo Lisbona�, Pescara, 6-7 
maggio 2010.
38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
con il territorio; tale normativa si sviluppa su tre piani: a livello mondiale, a 
livello regionale-europeo, a livello nazionale. 
1. Normazione delle Nazioni Unite 
Nel primo livello annoveriamo le risoluzioni del Consiglio di sicurezza 
delle Nazioni Unite e le loro disposizioni applicative. 
In virt� dei poteri attribuitigli dal Cap. VII della Carta delle Nazioni Unite, 
il Consiglio di Sicurezza ha adottato una serie di Risoluzioni nei confronti di 
individui o gruppi qualificati terroristici ed identificati nei Talibani, nei membri 
di Al-Queda e in Osama Bin Laden e suoi seguaci: sono le Risoluzioni n. 
1267/1999, 1333/2000, 1373/2000, 1390/2002, 1445/2003. 
La Risoluzione-base, la 1267/99, ha istituito il Comitato per le sanzioni 
� formato dai membri del Consiglio di Sicurezza � quale organo ausiliario 
del Consiglio di sicurezza con lo scopo specifico di disporre il congelamento 
dei beni e delle risorse finanziarie dei Talibani e delle organizzazioni fiancheggiatrici; 
i compiti di tale organismo sono stati ampliati con le successive Risoluzioni 
1333/2000 e 1390/2002 che hanno reso il Comitato un organo a 
competenza generale per l�intero sistema delle liste terroristiche e per il raccordo 
con gli Stati e l�Unione Europea chiamati ad attuare le sue disposizioni; 
a questo Comitato � dato il compito di predisporre e aggiornare le liste dei terroristi 
� chiamate black list � e di vigilare affinch� gli Stati provvedano al congelamento 
dei beni e delle risorse finanziarie delle persone e degli organismi 
ivi inseriti. 
La Risoluzione n. 1373/2000 ha definito le strategie contro tutte le manifestazioni 
di fiancheggiamento del terrorismo, disponendo l�immediato congelamento 
dei beni e delle risorse finanziarie dei soggetti inseriti nelle black 
list; allo scopo di monitorare detta attivit� � stato istituito un Comitato contro 
il terrorismo. 
Una successiva Risoluzione, la n. 1617/2005, ha istituito una Squadra di 
controllo che svolge attivit� propedeutica ed istruttoria in supporto alle competenze 
del Comitato per le sanzioni; il Comitato ha adottato delle linee-guida 
(novembre 2002, con successivi aggiornamenti) che regolano la sua attivit� 
sulla base del principio del consenso unanime dei suoi componenti, con conseguente 
rimessione al Consiglio di Sicurezza delle questioni controverse. 
La costante attivit� di aggiornamento delle black list si basa sulle informazioni 
dagli Stati e dalle Organizzazioni internazionali e regionali; l�inserimento 
nelle liste non presuppone la pendenza di un processo o di una condanna 
n� di una indagine penale, stante la sua funzione meramente preventiva, ma 
solo informazioni corredate da dossier di prove e indizi forniti dalle autorit� 
di polizia, di intelligence e giudiziarie dello Stato proponente; tali informazioni 
vengono vagliate con procedura di urgenza in riferimento ai parametri indicati
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 39 
nella Risoluzione del 2005 (ove si fa particolare riferimento a condotte di partecipazione 
al finanziamento, alla programmazione, alla facilitazione, alla preparazione 
ed alla commissione di attentati, alla fornitura di armi, al 
reclutamento, ecc. con una definizione molto ampia dei criteri di identificazione 
dell�attivit� terroristica e di fiancheggiamento). 
Il Comitato provvede anche alla cancellazione � delisting � dalle liste 
quando ne vengano meno i presupposti, su istanza degli Stati, cui possono rivolgere 
istanze gli interessati, o � dal 2006 � su istanza diretta di questi ultimi 
ma sempre con procedura di tutela diplomatica da parte dello Stato di appartenenza 
o che aveva chiesto l�iscrizione; la cancellazione pu� avvenire solo 
con il consenso di tutti gli Stati. 
2. Normazione dell�Unione Europea 
Del secondo livello normativo fanno parte le determinazioni ed i regolamenti 
adottati dall�Unione Europea, in esecuzione degli impegni assunti dagli 
Stati membri in sede ONU o in via autonoma. 
In attuazione delle disposizioni del Consiglio di Sicurezza sopra menzionate 
sono stati adottati una pluralit� di atti, a partire dalle posizioni comuni 
1999/727/PESC e 2001/154/PESC (Politica estera e di sicurezza comune 
dell�UE - atti di natura politica e, come tali, sottratti al controllo giurisdizionale) 
e dai relativi Regolamenti CE 337/2000 e 467/2001, cui sono seguiti la 
posizione comune 2002/402/PESC e il Regolamento CE 881/2002, quest�ultimo 
regolamento contiene, all�allegato I, una lista di persone e organizzazioni 
terroristiche internazionali facenti capo a Osama Bin Laden, ad Al-Queda, ai 
Talibani e al fondamentalismo islamico, dei quali si dispone il congelamento 
dei mezzi finanziari; tale lista � stata aggiornata, con una serie di regolamenti 
successivi, sulla base delle decisioni del Consiglio di Sicurezza delle NU e 
del suo Comitato per le Sanzioni; questo regolamento del 2002 contiene disposizioni 
specifiche atte a definire il contenuto e l�estensione della disposizione 
di congelamento e a identificare le autorit� nazionali abilitate a ricevere 
le informazioni necessarie per l�inserimento nelle black list, formulare le proposte 
di inserimento e cancellazione, tenere i contatti con gli altri Stati e la 
Commissione Europea. 
In questo campo di operativit� dei citati regolamenti, il Consiglio dell�Unione 
Europea ha la funzione di dare attuazione alle decisioni del Consiglio 
di Sicurezza e del suo Comitato per le sanzioni, senza potest� discrezionali o 
di controllo e con sola facolt� di proporre listing o delisting. 
In buona sostanza, all�inserimento nelle liste curate dall�ONU consegue 
automaticamente il congelamento dei beni e delle risorse finanziarie e tutti gli 
Stati sono tenuti a darne esecuzione immediata nell�ambito dei propri ordinamenti, 
prescindendo anche delle indagini penali svolte dai loro organi inve-
40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
stigativi e giudiziari. 
Un altro gruppo di interventi comunitari � costituito dalle posizioni comuni 
2001/930 e 931/PESC e dal Regolamento CE 2580/2001 che, in attuazione 
della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 1373/2001 sopra 
menzionata, hanno attuato in autonomia gli obblighi ivi definiti al fine della 
lotta al terrorismo di qualunque matrice: i sistemi del listing e del congelamento 
dei beni e delle risorse finanziarie sono stati regolamentati in funzione 
di una libera identificazione delle persone e delle organizzazioni colpite, sulla 
base di elementi direttamente acquisiti (anche di provenienza ONU) e discrezionalmente 
valutati; l�inserimento nella lista discende dalla pendenza in sede 
nazionale di procedure di indagini o giudiziarie, oltre che da sentenze di condanna 
penale, ed � aggiornato ogni sei mesi, con possibilit� di cancellazione 
dalla lista qualora mutino i presupposti per l�iscrizione; � prevista anche la 
possibilit� di concessione di deroghe ed eccezioni all�applicazione del congelamento 
da parte dei comitati nazionali di proposizione, previa autorizzazione 
da parte del Consiglio UE. 
3. Normazione nazionale 
Il terzo livello normativo si sviluppa a livello nazionale, con l�individuazione 
degli organismi competenti a tenere i rapporti con quelli internazionali 
e comunitari e ad attuarne le relative disposizioni. 
In Italia questo organismo � il Comitato di sicurezza finanziaria istituito 
con d.l. 21 ottobre 2001 n. 369, conv. in l. 14 dicembre 2001 n. 431, e ridisciplinato 
con l�art. 3 del d.legs. 22 giugno 2007 n. 109, emanato in attuazione 
della Direttiva 2005/60/CE. 
Questo Comitato, presieduto dal direttore generale del Tesoro, � composto 
dai rappresentanti dei Ministeri degli Esteri, dell�Interno, della Giustizia, della 
Banca d�Italia, dell�Ufficio Italiano Cambi, della Consob, dell�ISVAP, del Demanio, 
della Guardia di Finanza, dell�Antimafia e dei Carabinieri ed ha il compito 
di monitorare il sistema di prevenzione e di sanzioni per il finanziamento 
al terrorismo, raccordando tutte le attivit� delle amministrazioni interessate (e 
che per questa ragione sono rappresentate nel suo seno) ed acquisendo tutte le 
informazioni necessarie, anche in deroga al segreto d�ufficio ed alla legge 
sull�accesso. 
Le informazioni acquisite dal Comitato sono coperte dal segreto d�ufficio 
per legge. 
Il Comitato acquisisce e fornisce informazioni anche dai servizi segreti e 
dalle autorit� giudiziarie, cos� da favorire sinergie di azioni e decisioni, e propone 
il listing o il delisting alle autorit� preposte delle Nazioni Unite e dell�Unione 
europea, sulla base dello stato dei procedimenti giudiziari e di 
indagine aperti in sede nazionale.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 41 
Il decreto legislativo 109/2007 regola anche la diretta attuazione delle risoluzioni 
del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nelle more dell�adozione 
delle relative deliberazioni da parte dell�Unione Europea, attribuendo 
al Ministro dell�Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro degli 
Affari Esteri, il potere di adozione dei relativi decreti di congelamento dei 
fondi di persone listate su proposta del Comitato per la sicurezza finanziaria. 
Ulteriori compiti di collaborazione con il Ministro dell�Economia per il 
contrasto dell�attivit� di riciclaggio sono stati attribuiti dall�art. 5 del d.legs. 
21 novembre 2007 n. 231 al Comitato che deve anche preparare una relazione 
annuale sulla sua attivit�. 
Il d.legs. 109/2007 regola anche la irrogazione delle sanzioni per la violazione 
delle sue disposizioni mediante il richiamo del testo unico delle norme 
in materia valutaria, il cui art. 32, comma 7, richiama a sua volta l�art. 23 della 
legge 689/81 per la proposizione di opposizione ai provvedimenti sanzionatori 
[art. 13, comma 3: �3. Per l'accertamento delle violazioni di cui ai commi 1 e 
2 e per l'irrogazione delle relative sanzioni si applicano le disposizioni del titolo 
II, capi I e II, del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, 
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, e 
successive modificazioni, fatta eccezione per le disposizioni dell'articolo 30�] 
ed attribuisce la competenza per le impugnazioni degli atti non sanzionatori 
al TAR Lazio [art. 14: �1. La competenza territoriale per le impugnazioni di 
provvedimenti previsti dal presente decreto � attribuita al Tribunale amministrativo 
regionale del Lazio. 2. Qualora nel corso dell'esame del ricorso si 
evidenzi che la decisione dello stesso dipende dalla cognizione di atti per i 
quali sussiste il segreto dell'indagine o il segreto di Stato, il procedimento � 
sospeso fino a quando l'atto o i contenuti essenziali dello stesso non possono 
essere comunicati al tribunale amministrativo. Qualora la sospensione si protragga 
per un tempo superiore a due anni, il tribunale amministrativo pu� fissare 
un termine entro il quale il Comitato � tenuto a produrre nuovi elementi 
per la decisione o a revocare il provvedimento impugnato. Decorso il predetto 
termine, il tribunale amministrativo decide allo stato degli atti.�]. 
Si pu� dire che il nostro Paese � all�avanguardia nel campo, sia come 
completezza e precisione della legislazione sia come attivit� di segnalazione 
dei nominativi da iscrivere nelle liste (� il secondo Paese, dopo gli Stati Uniti, 
per le segnalazioni al Comitato per le sanzioni del Consiglio di Sicurezza) e 
dell�ampliamento della gamma dei gruppi eversivi da combattere (ha chiesto 
l�inserimento nelle liste UE delle BR-PCC e di altre organizzazioni terroristiche 
italiane).
42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
B) TUTELA 
1. A livello del Comitato di sicurezza ONU 
Anche sul versante della tutela delle persone e dei gruppi inseriti nelle 
black list ed oggetto delle misure di congelamento possiamo individuare tre 
livelli di tutela, pi� o meno corrispondenti ai tre livelli di normazione test� individuati. 
Quanto al livello di attivit� del Consiglio di Sicurezza ONU e del suo Comitato 
per le sanzioni, non esiste un�Autorit� giudiziaria o amministrativa ad 
hoc cui possa essere proposta una contestazione concernente le iniziative adottate 
n� altre Autorit� giurisdizionali (ad esempio dei Paesi interessati o dell�Unione 
europea) possono ritenersi competenti ad esaminare le risoluzioni di 
quegli organismi (si vedano, in ambito europeo, le sentenze del Tribunale di 
primo grado UE 21 settembre 2005 e della Corte di Giustizia UE 3 settembre 
2008 e le altre delle quali parleremo in prosieguo; in ambito nazionale, le ordinanze 
del Tribunale di Milano 14 febbraio 2003, in causa Nasco Business 
recidente Center srl c. Min. Economia e Finanze e Banca Sanpaolo-IMI, e 8 
marzo 2005, in causa Minin c. Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, che 
hanno rigettato ricorsi ex art. 700 cpc intesi a bloccare gli effetti del congelamento 
dei beni conseguente alla iscrizione nelle black list, e la sentenza della 
Cassazione penale 4 dicembre 2008, Minin, che si � dichiarata incompetente 
a disporre la restituzione di beni sequestrati in esito a decreto di congelamento). 
E� solo possibile richiedere al Comitato il de-listing ma questa procedura 
non ha nessun carattere giustiziale ed � imperniata sull�attivit� diplomatica 
dello Stato di appartenenza del soggetto o dell�organizzazione richiedente; 
anche se dal novembre 2006, in seguito ad una modifica delle sue linee-guida, 
le istanze possono essere proposte direttamente al Comitato dagli interessati 
mentre prima potevano essere presentate solo allo Stato di appartenenza, l�iter 
della richiesta � rimesso totalmente all�attivit� diplomatica dello Stato che 
deve istruire e portare la questione in Comitato ed ivi formulare una proposta 
sulla quale si deve raggiungere l�unanimit�. 
Certo, nelle pi� recenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza non manca 
mai il richiamo al rispetto del diritto internazionale in materia di diritti umani 
(Ris. 1456/2003) ed agli obblighi di informazione e comunicazione degli addebiti 
nei confronti dei soggetti listati (Ris. 1617/2005, 1822/2008), ma nessuna 
norma prevede l�audizione dinanzi al Comitato per le sanzioni o la 
comunicazione degli elementi di prova a carico e, tanto meno, il diritto ad un 
ricorso effettivo, nonostante sollecitazioni da parte dello stesso Segretario Generale 
delle Nazioni Unite e dall�Alto Commissario delle Nazioni Unite per i 
diritti dell�uomo (si veda il rapporto di quest�ultimo del 9 marzo 2007 sulla
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 43 
protezione dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali nella lotta al terrorismo) 
e ci� � tanto pi� preoccupante se si considera che l�inserimento nelle 
liste ONU ha funzione meramente preventiva e prescinde dalla pendenza negli 
Stati di procedimenti di indagine o giudiziari (a differenza di quel che accade 
per le liste europee). 
2. A livello della giurisdizione UE 
Il secondo livello di tutela dei soggetti listati va individuato, per quel che 
interessa l�Unione europea, dinanzi ai suoi organi giudiziari. 
La giurisprudenza del Tribunale di primo grado e della Corte di Giustizia 
ha espressamente riconosciuto il diritto di ogni soggetto od organizzazione inserita 
nelle black list di impugnare direttamente dinanzi al Tribunale i provvedimenti 
adottati dagli Organismi comunitari ma nella definizione dei poteri 
di cognizione devono essere tenuti distinti i casi in cui l�UE si limita a dare 
esecuzione alle deliberazioni ONU dai casi in cui decide autonomamente. 
Quanto al primo settore, circa l�estensione della sua potest� giurisdizionale, 
il Tribunale aveva inizialmente adottato una linea molto prudente, negando 
la possibilit� di giudicare sui provvedimenti meramente attuativi di 
disposizioni del Consiglio di sicurezza ONU e del suo Comitato per le sanzioni, 
attesa l�immunit� giurisdizionale di quegli organismi internazionali 
(Trib. primo grado 21 settembre 2005, in causa T-315/2001, Kadi c. Consiglio 
e Commissione UE, e in causa T-306/2001, Ahmed Ali Yusuf e Al Barakaat Internatinal 
Foundation c. Consiglio e Commissione UE) e la mancanza di potest� 
valutative da parte degli organismi europei che ne devono soltanto dare 
attuazione, in ossequio a quanto disposto dall�art. 48, comma 2, della Carta 
ONU (secondo cui le decisioni del Consiglio di sicurezza �sono eseguite dai 
Membri delle Nazioni Unite direttamente o mediante la loro azione nelle organizzazioni 
internazionali competenti di cui siano Membri�). 
Questa linea � stata smentita dalla Corte di Giustizia con la sentenza della 
Grande sezione 3 settembre 2008, cause 402/05 P e 415/05 P, che ha riformato 
le sentenze di primo grado Kadi e Yusuf statuendo che: �Il giudice comunitario 
� tenuto, in conformit� alle competenze a lui attribuite dal trattato Ce, a garantire 
un controllo, in linea di principio completo, della legittimit� di tutti 
gli atti comunitari con riferimento ai diritti fondamentali che costituiscono 
parte integrante dei princip� generali del diritto comunitario, ivi inclusi gli 
atti che mirano ad attuare risoluzioni adottate dal consiglio di sicurezza in 
base al capitolo VII della carta delle Nazioni Unite, bench� tale controllo 
abbia ad oggetto l�atto comunitario volto ad attuare la risoluzione internazionale 
in questione, e non quest�ultima in quanto tale, e debba essere svolto 
tenendo in considerazione gli obblighi pertinenti che derivano alla Comunit� 
dalla carta delle Nazioni Unite relativamente a tale attuazione (nella specie,
44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
la corte ha annullato le sentenze del tribunale di primo grado, ritenendo che 
esse fossero incorse in un errore di diritto nella parte in cui stabilivano che il 
regolamento comunitario controverso, in quanto attuativo di una risoluzione 
del consiglio di sicurezza, beneficiasse di un�immunit� giurisdizionale quanto 
alla sua legittimit� interna, salva la sua compatibilit� con le norme di ius cogens). 
Il principio di tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale 
di diritto comunitario che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni 
agli stati membri e implica, nell�ipotesi di inserimento del nome di una persona 
o di un�entit� nell�elenco dei soggetti sospettati di terrorismo, con conseguente 
congelamento dei suoi beni ai sensi del regolamento (Ce) 27 maggio 
2002 n. 881/2002, che l�autorit� comunitaria, eventualmente adottando le precauzioni 
necessarie a garantire che le misure di congelamento mantengano 
la loro efficacia e beneficino di un effetto a sorpresa, sia tenuta a comunicare 
i motivi dell�inserimento all�interessato al momento in cui tale inclusione � 
stata decisa, o, quantomeno, il pi� rapidamente possibile dopo tale decisione, 
in modo da consentire ai destinatari di prendere conoscenza degli elementi a 
loro carico e di esercitare, entro i termini, il loro diritto di ricorso (nella specie, 
la corte ha annullato il regolamento impugnato nella parte riguardante i 
ricorrenti, ritenendo che i loro diritti al contraddittorio e a un ricorso giurisdizionale 
effettivo fossero stati violati ed escludendo che il consiglio avesse 
adottato precauzioni idonee a contemperare le ragioni di sicurezza alla base 
del regolamento e i diritti di difesa dei ricorrenti). 
Le misure di congelamento dei fondi di persone o entit� sospettate di terrorismo, 
pur costituendo in linea di principio una restrizione giustificabile del 
diritto di propriet�, devono essere adottate secondo procedure che forniscano 
all�interessato la possibilit� di esporre le proprie ragioni alle autorit� competenti 
(nella specie, la corte ha negato che tali garanzie fossero state fornite 
e ha annullato il regolamento nella parte relativa ai ricorrenti, mantenendo 
tuttavia, ai sensi dell�art. 231 Ce, gli effetti del regolamento controverso per 
un periodo di tre mesi, onde consentire alle istituzioni comunitarie di porre 
rimedio alle violazioni accertate senza compromettere irrimediabilmente l�efficacia 
delle misure restrittive, qualora la loro applicazione nei confronti dei 
ricorrenti si rivelasse giustificata).� 
In buona sostanza, la Corte ha spostato l�attenzione dalla generica nozione 
di jus cogens (inteso come ordinamento pubblico internazionale che si impone 
nei confronti di tutti i soggetti del diritto internazionale, menzionato nell�art. 
53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 ma che non ha 
avuto una elaborazione particolare nella prassi e nella giurisprudenza internazionale 
e manca, quindi, di riferimenti concreti) alla nozione di diritti fondamentali 
dell�uomo, che costituisce una delle basi dell�Unione europea e che 
ha un contenuto specifico quale individuato, per quel che ci interessa in questo
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 45 
studio, dalla Convenzione europea dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali 
del 1950, dalle tradizioni costituzionali comuni dei Paesi dell�UE, 
dall�art. 6 del Trattato UE, come riformato dal Trattato di Lisbona, dalla giurisprudenza 
delle Corti di Strasburgo e di Lussemburgo e delle Corti Costituzionali 
degli Stati. 
L�orientamento della Corte di Giustizia � stato seguito dal Tribunale nelle 
sentenze 11 giugno 2009, in causa 318/01, Omar Mohammad Othman c. Consiglio 
UE, [che ha cos� giustificato la sua decisione di annullamento dei regolamenti 
adottati per il congelamento dei beni del ricorrente in esecuzione di 
risoluzioni del Comitato per le sanzioni sulle seguenti ragioni: ��il Consiglio 
non ha comunicato al ricorrente gli elementi assunti a suo carico per fondare 
le misure restrittive imposte nei suoi confronti, n� gli ha concesso il diritto di 
prenderne conoscenza entro un termine ragionevole dopo l�adozione di tali 
misure, il ricorrente non era in grado di far conoscere utilmente il suo punto 
di vista in proposito. Pertanto, i diritti della difesa del ricorrente, in particolare 
quello al contraddittorio, non sono stati rispettati�il ricorrente non ha 
potuto difendere i suoi diritti in condizioni soddisfacenti dinanzi al giudice 
comunitario neppure con riferimento a tali elementi, cosicch� deve del pari 
rilevarsi una violazione del citato diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo� 
nell�ambito del presente ricorso, non � stato posto rimedio a tale violazione, 
dal momento che il Consiglio non ha fatto valere alcun elemento a 
tal fine�nelle circostanze del caso in esame, l�applicazione al ricorrente delle 
misure restrittive derivanti dal regolamento controverso, per effetto della sua 
inclusione nell�elenco di cui al suo allegato I, costituisce una restrizione ingiustificata 
del suo diritto di propriet���] e 30 settembre 2009, in causa T- 
341/07 Sison c. Consiglio [ove ha precisato che: ��se � vero che il Tribunale 
riconosce al Consiglio un margine discrezionale in materia, ci� non implica 
che esso debba astenersi dal controllare l�interpretazione dei dati rilevanti 
fornita da tale istituzione (v. sentenze PMOI I, punto 138, e PMOI II, punto 
55). Infatti, il giudice comunitario � tenuto, in particolare, non solo a verificare 
l�esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilit� e la 
loro coerenza, ma altres� ad accertare se tali elementi costituiscano l�insieme 
dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare la situazione 
e se siano di natura tale da corroborare le conclusioni che ne sono 
state tratte. Tuttavia, nell�ambito di tale controllo, egli non � tenuto a sostituire 
la propria valutazione d�opportunit� a quella del Consiglio�]. 
Con queste ultime pronunzie si deve ritenere superata anche quella giurisprudenza 
dei giudici comunitari che avevano ristretto notevolmente il diritto 
di accesso ai documenti rivendicato da soggetti iscritti nelle liste e, quindi, destinatari 
del congelamento dei loro beni; sul punto, la Corte di Giustizia, nella 
sentenza 1 febbraio 2007, in causa 266/05 P Sison c. Consiglio, aveva deciso 
che, quanto al diritto di accesso: �Qualora un�istituzione comunitaria neghi
46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
la possibilit� di consultazione di un documento in virt� di una delle eccezioni 
previste dall�art. 4, n. 1, lett. a), regolamento 1049/2001/Ce, il controllo di 
legittimit� esercitato dal giudice comunitario sulla decisione di diniego deve 
limitarsi alla verifica dell�osservanza delle norme di procedura e di motivazione, 
dell�esattezza dei fatti materiali, nonch� dell�assenza sia di un errore 
manifesto nella valutazione dei medesimi sia di uno sviamento di potere (nella 
specie, la corte ha ritenuto corretta la decisione del tribunale di primo grado 
che aveva a sua volta considerato legittimo il diniego di consultazione opposto 
dal consiglio Ue al ricorrente, inserito nell�elenco di persone ed enti assoggettati 
al congelamento dei capitali, in quanto il diniego era fondato sul fatto 
che i documenti in esame concernevano sospetti di terrorismo e dunque integrava 
di per s� l�eccezione del rischio di pregiudizio alla sicurezza pubblica).�; 
e che, quanto all�obbligo di motivazione: �L�obbligo di motivazione 
di un atto comunitario deve essere valutato in funzione delle circostanze del 
caso, in particolare del contenuto dell�atto, della natura dei motivi esposti e 
dell�interesse che i destinatari dell�atto o altre persone, che il detto atto riguardi 
direttamente e individualmente, possano avere a ricevere spiegazioni 
(nella specie, la corte ha ritenuto corretta la decisione del tribunale di primo 
grado che aveva a sua volta considerato adeguata la motivazione del diniego 
di consultazione opposto dal consiglio Ue al ricorrente, bench� concisa, in 
quanto tale concisione era giustificata dalla necessit� di non arrecare pregiudizio 
agli interessi di particolare delicatezza tutelati dalle eccezioni al diritto 
d�accesso di cui all�art. 4, n. 1, lett. a), primo e terzo trattino, regolamento 
1049/2001, rivelando informazioni che le dette eccezioni mirano precisamente 
a salvaguardare).� 
Nel secondo settore, cio� quello che comprende il contenzioso sugli atti 
adottati dal Consiglio dell�Unione Europea nell�ambito della sua potest� discrezionale, 
la tutela dei diritti fondamentali nell�ambito di un giusto processo 
non trova ostacoli, essenzialmente perch� l�inserimento nelle liste � correlato 
alla pendenza nello Stato membro di un procedimento di indagine o giudiziario, 
quando non gi� su una sentenza di condanna. 
La tutela dei diritti di informazione e contraddittorio si esplica, infatti, 
nel procedimento nazionale e l�obbligo di motivazione del provvedimento comunitario 
� assolto in misura pressoch� assorbente dal riferimento allo stato 
ed agli esiti di quel procedimento. 
Inoltre, l�obbligo di revisione semestrale delle liste obbliga il Consiglio 
a tener conto degli sviluppi dei procedimenti nazionali e, nel contempo, consente 
agli interessati di proporre le proprie istanze e, se del caso, di portarle al 
giudizio del Tribunale. 
Ad ulteriore tutela dei diritti dei soggetti inseriti nelle liste i regolamenti 
europei prevedono la possibilit� di deroghe ed eccezioni all�applicazione del
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 47 
regime del congelamento delle risorse economiche, a fini di sostentamento o 
umanitari, attribuendone la competenza alle autorit� amministrative nazionali 
competenti (in Italia, il Comitato di sicurezza finanziaria). 
Lo Stato italiano, in ossequio al principio di leale collaborazione, collabora 
attivamente con le istituzioni comunitarie anche nella fase giudiziale 
aperta su impugnazione dei provvedimenti restrittivi; in particolare, nelle cause 
T-49/07, Sofiane Fahas c. Consiglio, (andata in discussione il 10 novembre 
2009 e non ancora decisa) e T-4/10, Faraj Al Saadi, siamo intervenuti nel giudizio 
ed abbiamo portato tutte le notizie utili sul processo penale in corso 
(anche con la collaborazione del Comitato di sicurezza finanziaria), riferendo 
al Collegio dei nostri istituti processuali che salvaguardano il diritto dell�imputato 
a partecipare alle indagini oltre che al processo penale, ad essere informato 
e sentito, a difendersi adeguatamente. 
In questo ambito di tutela si inseriscono la sentenza della Corte di Giustizia 
3 dicembre 2009, in cause riunite C-399/06 P e C-103/06 P, che ha annullato 
le sentenze del Tribunale di primo grado 12 luglio 2006, in causa 
T-253/02, Chafiq Ayadi c. Consiglio, e in causa T-49/04, Faraj Hassan c. Consiglio, 
quindi annullando i regolamenti impugnati, con espresso richiamo alle 
ragioni della sentenza Kadi (disattese dal Tribunale che aveva insistito sull�operativit� 
del solo jus cogens) e la sentenza del Tribunale di primo grado 4 
dicembre 2008, in causa T-284/08, OMPI (People�s Mojahedin Organization 
of Iran) c. Consiglio dell�Unione europea, che ha annullato il provvedimento 
di inserimento in lista osservando che: �Nell�ambito del procedimento per 
l�adozione di una decisione del consiglio dell�Unione europea, finalizzata al 
congelamento dei fondi detenuti da una persona fisica o giuridica sospettata 
di terrorismo, si presume violato il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo 
quando il consiglio dell�Unione europea non abbia ascoltato l�interessato e 
non gli abbia consentito di conoscere le ragioni del provvedimento adottato, 
rifiutando altres� di comunicare, anche al solo tribunale comunitario nel corso 
del successivo procedimento giudiziario, i documenti posti a base della decisione 
che giustificherebbe la deroga a tali diritti (nella specie, il tribunale ha 
annullato la decisione del consiglio 15 luglio 2008 n. 2008/583/Ce nella parte 
in cui includeva l�ente ricorrente nell�elenco delle organizzazioni terroristiche, 
basata su documenti confidenziali provenienti dall�autorit� investigativa di 
uno stato membro).� 
3. A livello nazionale 
Il terzo livello di tutela giudiziaria si esplica nell�ambito degli istituti giurisdizionali 
degli Stati membri dell�Unione europea. 
In primo luogo, il soggetto interessato partecipa al procedimento penale 
che lo riguarda, con tutte le garanzie riconosciute dal codice di procedura sia
48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
in fase istruttoria che dibattimentale. 
In secondo luogo, il soggetto inserito nelle liste pu� impugnare dinanzi 
all�Autorit� giudiziaria nazionale il rifiuto opposto dallo Stato di appartenenza 
a presentare agli organismi competenti la sua istanza di cancellazione dalla 
lista: l�efficacia di questa tutela � testimoniata dalla sentenza del Tribunale di 
primo grado di Bruxelles 11 febbraio 2005, in causa Nabil Sayadi e Patricia 
Vinck c. Regno del Belgio, che ha condannato lo Stato a richiedere, con procedura 
d�urgenza, al Comitato per le sanzioni la cancellazione del loro nome 
dalla lista, prevedendo una sanzione pecuniaria per il ritardo. 
Le Corti del Regno Unito si sono espresse in termini non univoci in occasione 
di due casi portati alla loro attenzione: con sentenza 22 settembre 2006 
della High Court of Justice di Londra, confermata in appello con sentenza 6 
marzo 2007, nel caso M.A.M. c. Her Majesty�s Treasury, � stato rigettato il ricorso 
delle mogli di alcuni individui inseriti nelle black list che chiedevano 
l�esclusione dal congelamento delle loro pensioni sociali, con la motivazione 
che una interpretazione ed applicazione ampia del vincolo sui beni si imponeva 
per un efficace perseguimento degli obiettivi indicati dal Consiglio di sicurezza 
nella lotta al terrorismo; con altra recente sentenza del 27 gennaio 2010 la 
Corte Suprema, nei casi Her Majesty�s Treasury c. Mohammed Jabar Ahmed 
and others e c. Mohammed El Sayed Sabati Youssef, sono stati, invece, annullati 
i provvedimenti di congelamento dei beni adottati in conseguenza dell�inserimento 
nelle liste preparate dal Comitato per le sanzioni dell�ONU per 
l�insufficienza di un semplice atto amministrativo, quale quello adottato dal 
Ministero del Tesoro sulla base dell�art. 1, comma 1, dello United Nation Act 
1946 (che autorizzava in via generale ad adottare tutti gli atti necessari per 
rendere effettive le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU), in mancanza 
di una formale incriminazione da parte di un Tribunale ovvero di una espressa 
previsione di legge; in conseguenza di questa sentenza, il Parlamento inglese 
ha adottato, nel giro di un solo mese, una apposita legge, il Terrorist Asset- 
Freezing Act 2010, che ha ribadito il precedente regime nel rispetto del principio 
di legalit� richiesto dalla Corte Suprema. 
In Italia, l�Autorit� Giudiziaria si � occupata di iscrizione nelle back list 
sotto il profilo della sua funzione probatoria ai fini del riconoscimento della 
natura terroristica dell�organizzazione, per il delitto di associazione con finalit� 
di terrorismo internazionale, negandone la valenza autonoma ma considerandola 
solo come �base di indagine circa i fini perseguiti dalla stessa� (Cass. 
pen., sez. I, 21 giugno 2005, Drissi; 11 ottobre 2006, Bouyahia; ecc.); inoltre, 
la nostra Suprema Corte ha mantenuto fermo il sequestro di beni dell�imputato, 
riconosciuto la valenza del provvedimento di congelamento dei beni anche 
nel caso di chiusura del procedimento penale (Cass. pen., sez. I, 4 dicembre 
2008, Minin), ritenendo che: �In tema di sequestro penale di cose gi� sottoposte 
a decreto di congelamento delle risorse economiche, disposto ai sensi
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 49 
degli art. 4 e 5 d.leg. 109/07, non pu� essere disposta la restituzione delle cose 
sequestrate, richiesta dall�interessato all�esito del processo penale definito 
con sentenza che abbia accertato il difetto di giurisdizione dell�autorit� giudiziaria 
italiana, in quanto permane la necessit� di mantenere sulle cose il 
vincolo di indisponibilit� stabilito per effetto del decreto di congelamento�. 
La tutela del diritto di propriet� del ricorrente resta dunque affidata all�iniziativa 
del Comitato di sicurezza finanziaria che, una volta ricevuta comunicazione 
dall�autorit� giudiziaria del venir meno del sequestro penale, 
anche a seguito di istanza dell�interessato, potr� formulare alle competenti autorit� 
internazionali, sia delle Nazioni unite che dell�Unione europea, una proposta 
di cancellazione del ricorrente dalle liste di soggetti designati (v. art. 3, 
12� comma, d.leg. 109/07, c.d. de-listing) 
Non sembra esserci spazio, invece, per una tutela risarcitoria in relazione 
al congelamento dei beni; in assenza di giurisprudenza nazionale sul punto, 
citiamo le sentenze del Tribunale di primo grado 7 giugno 2004, in causa T- 
338/02, Segi c. Consiglio, e Corte di Giustizia 27 febbraio 2007, in causa C- 
355/04 P, che ha confermato la prima, ribadendo che non sono esperibili rimedi 
giurisdizionali nei confronti di provvedimenti adottati in attuazione di posizioni 
comuni (che, come sopra abbiamo visto sono alla base dei regolamenti 
comunitari emanati nella materia ed hanno natura di atti politici). 
4. A livello CEDU 
Resta aperto l�approccio al problema della tutela dei diritti fondamentali 
dei soggetti listati secondo la Convenzione europea dei diritti dell�uomo e la 
Corte di Strasburgo. 
Soltanto in un caso la Corte europea dei diritti dell�uomo si � pronunziata 
su una misura di sequestro di beni adottata da uno Stato in esecuzione di un 
regolamento comunitario attuativo di embargo di merci verso la ex Repubblica 
di Jugoslavia stabilito dal Consiglio di sicurezza ONU; nella sentenza 30 giugno 
2005, Bosphorus c. Irlanda, la Corte ha respinto il ricorso dichiarando di 
non poter entrare nel merito di provvedimenti assunti dalla Comunit� europea 
in adempimento di obblighi internazionali, dovendosi presumere che l�ordinamento 
comunitario sia equivalente a quello della Convenzione di Roma in 
materia di tutela dei diritti fondamentali dell�uomo. 
Con le stesse ragioni e sulla base della riaffermata incompetenza della 
Corte di Strasburgo a giudicare di provvedimenti attuativi di risoluzioni del 
Consiglio di Sicurezza ONU, poich� ci� costituirebbe una ingerenza non consentita 
nella realizzazione della missione delle Nazioni Unite nel mantenimento 
della pace e della sicurezza dei popoli, sono stati dichiarati 
inammissibili dalla Grande chambre, con sentenza 31 maggio 2007, i ricorsi 
di Agim e Bekir Behrami c. Francia e Sbramati c. Francia, Germania e Nor-
50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
vegia aventi ad oggetto presunte violazioni dei diritti umani commesse da Stati 
partecipanti alle missioni KFOR e UNMIK operanti in Kossovo sotto l�egida 
del Consiglio di Sicurezza. 
La giurisprudenza costante della Corte di Strasburgo non ammette, in generale, 
limitazioni ai principi fondamentali dell�uomo come stabiliti nella Convenzione 
europea a fronte di esigenze contrarie degli Stati in materia di 
sicurezza (si veda, ad esempio, la sentenza 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia, 
secondo cui: �I motivi che determinano la decisione di espellere uno straniero 
sono irrilevanti al fine di valutare se esista il rischio che, in caso di espulsione, 
tale individuo sia sottoposto a maltrattamenti in violazione dell�art. 3 della 
convenzione; in particolare, dato il carattere assoluto del divieto di tortura, 
non � possibile tenere conto, ai fini della valutazione del rischio di maltrattamenti, 
della condotta - per quanto deprecabile o pericolosa - posta in essere 
dall�individuo in questione�), pur consentendo una valutazione proporzionale 
fra i vari interessi in gioco ed un giudizio di necessit� (si vedano, fra le tante, 
le sentenze 25 febbraio 1997, Z. c. Finland, e 7 agosto 1996, C. c. Belgium, 
sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, e Manoussakis and others 
c. Greece, sulla tutela della libert� di pensiero, coscienza e religione). 
L�orientamento della Corte di Strasburgo � destinato a divenire di fondamentale 
importanza nella materia, dopo l�entrata in vigore del Trattato di Lisbona 
che ha definitivamente sancito il valore primario anche per l�UE della 
Convenzione europea dei diritti dell�uomo, come diritto vivente in seguito all�interpretazione 
della Corte di Strasburgo, ed ha deliberato l�adesione dell�UE 
al Consiglio d�Europa (art. 6). 
Peraltro, il Trattato di Lisbona ha anche ridefinito la disciplina delle misure 
preventive e delle sanzioni contro gli Stati, le organizzazioni e le persone 
ai fini di tutela dei cittadini dell�Unione dal terrorismo, dando indicazioni precise 
sul rispetto dei diritti fondamentali anche in questo settore; si vedano gli 
art. 75 e 215 TFUE i quali dispongono che �gli atti di cui al presente articolo 
contengono le necessarie disposizioni sulle garanzie giuridiche� e, quindi, 
impongono che gli atti con i quali sono disposte misure preventive o sanzioni 
siano adeguatamente motivati e prevedano la loro impugnabilit� dinanzi ai 
giudici comunitari; si veda la Dichiarazione relativa agli articoli 75 e 215 del 
TFUE - allegata al Trattato di Lisbona - ove si dichiara che �il rispetto dei diritti 
e delle libert� fondamentali implica, in particolare, che sia prestata la 
dovuta attenzione alla protezione ed al rispetto del diritto al giusto processo 
delle persone o entit� interessate. A tal fine, e per garantire una revisione giudiziaria 
esauriente delle decisioni che sottopongono una persona o entit� a 
misure restrittive, tali decisioni devono essere basate su criteri chiari e distinti. 
I criteri dovrebbero essere adeguati alle caratteristiche specifiche di ciascuna 
misura restrittiva�. 
* * * * *
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 51 
Con questa dichiarazione penso di poter chiudere il mio intervento perch�, 
in sintonia con quanto statuito dalla pi� recente giurisprudenza dei giudici comunitari 
sopra richiamata, il Trattato ha delineato in termini precisi e decisi la 
posizione dell�Unione Europea nella difficile opera di bilanciamento fra le esigenze 
di sicurezza dell�Unione ed il rispetto dei diritti fondamentali dell�uomo, 
secondo l�auspicio del Montesquieu, che �nei paesi nei quali la libert� � oggetto 
di maggior stima, [non] vi [siano] leggi attraverso le quali un singolo 
ne sia privato, al fine di preservarla per l�intera comunit�� (M., L�esprit des 
lois, livre XII, chapitre XIX). 
(Allegato) 
Ct. 10501/10 � Avv. Albenzio 
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
TRIBUNALE DELL�UNIONE EUROPEA 
OSSERVAZIONI 
del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell'Agente designato per 
il presente giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l'Ambasciata d'Italia, rappresentato 
e difeso dall�Avvocatura Generale dello Stato, 
nella causa T-4/10 
Faraj Faraj Hassan Al Saadi 
contro 
Commissione dell�Unione Europea,
con l�intervento 
del Consiglio dell�Unione e 
della Repubblica italiana, a sostegno della Commissione, 
promossa per l�annullamento del Regolamento della Commissione 13 ottobre 2009 n. 954, 
nei limiti in cui riguarda il ricorrente. 
* * * * * 
1. Con ordinanza del Tribunale in data 15 aprile 2010 (Reg. 429691) l�Italia � stata autorizzata 
ad intervenire nella causa in oggetto a sostegno della Commissione europea; analoga decisione 
(con ordinanza 17 marzo 2010 - Reg. 428056) � stata presa nei riguardi del Consiglio UE; la 
Repubblica Italiana espone qui di seguito le ragioni del suo intervento e delle sue conclusioni 
a favore della legittimit� del Regolamento della Commissione n. 954/2009 ex adverso impugnato. 
2. Le ragioni a base dei motivi dell�avverso ricorso sono infondate; in risposta a quanto dedotto 
dal sig. Faraj Hassan circa la lamentata violazione dei diritti di difesa, si osserva: 
3. Come giustamente evidenziato nella memoria presentata dalla Commissione europea, il ricorrente 
ha ricevuto comunicazione del suo inserimento nella lista con lettera 8 maggio 2009 
e, a seguito della richiesta inviata in data 21 maggio 2009 dai suoi difensori in ordine alla comunicazione 
delle ragioni poste a fondamento del suo inserimento nella �lista�, il 24 giugno 
2009 la Commissione ha inviato all�interessato lo �statement of reasons for listing� e lo ha 
invitato a presentare eventuali commenti e osservazioni entro il 23 luglio 2009. 
4. A seguito delle osservazioni trasmesse, inidonee a determinare una revisione dell�originaria 
decisione di inserimento del sig. Faraj Hassan nelle �liste consolidate�, la Commissione ha
52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
comunicato all�interessato la decisione di mantenere l�iscrizione dello stesso nella lista . 
5. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente nell�atto di gravame, il medesimo 
� stato messo pienamente in condizione di essere a conoscenza del fatto di essere stato inserito 
nella �lista� e delle ragioni della sua iscrizione ed � stato messo in condizione di proporre le 
sue eventuali osservazioni; in seguito gli sono state rese note le ragioni in base alle quali la 
commissione non ha ritenuto valide le osservazioni proposte dal ricorrente al fine di accogliere 
una richiesta di de-listing; d�altronde � lo stesso Faraj Hassan - nei motivi posti a fondamento 
dell�impugnazione - che, nel sostenere l�insufficienza delle motivazioni con le quali sarebbe 
stata decisa la conferma della sua iscrizione, ammette di essere stato messo a conoscenza delle 
motivazioni poste a fondamento di tale decisione. 
6. Invero, a pag. 25 del ricorso, Faraj Hassan contesta che l�unico elemento aggiuntivo rispetto 
all�originario statement of reasons che giustificava il suo mantenimento della lista era costituito 
(nella comunicazione inviatagli dalla Commissione in data 21 ottobre 2009) dall�emissione 
delle sentenze del Tribunale (in data 18 dicembre 2006) e della Corte di assise d�appello 
di Milano (in data 7 febbraio 2008), con le quali veniva riconosciuto colpevole e condannato 
a 5 anni e 10 mesi di reclusione per essere stato ritenuto partecipe di associazione terroristica 
e reati connessi. 
7. Fermo restando, pertanto, che per le ragioni sopra esposte il ricorrente era stato certamente 
messo in condizione di avere notizia del suo inserimento e del suo mantenimento in lista nonch� 
delle ragioni poste a fondamento di tali decisioni e dei relativi elementi di prova sui quali 
tali decisioni si fondavano, si rivelano poi assolutamente inconsistenti e prive di fondamento 
giuridico le osservazioni del ricorrente in ordine all�insufficienza di elementi che giustificavano 
il suo inserimento e il suo mantenimento nella lista. 
8. Si osserva al proposito che, nel caso oggetto di esame, trattandosi di soggetto nei confronti 
del quale sono state emesse due sentenze di condanna passate in giudicato per reati di terrorismo, 
appare superflua ogni ulteriore considerazione. 
9. Posto che per l�iscrizione e il relativo mantenimento nella black list � avente natura di misura 
di prevenzione � � sufficiente un quid minus rispetto alla sentenza di condanna, laddove 
anche la semplice pendenza di un procedimento penale per reati di terrorismo e/o reati connessi, 
nonch� elementi indiziari attestanti il coinvolgimento di un soggetto in attivit� terroristiche 
o ad esse riferibili (quali ad es. relazioni di servizio, informative di polizia giudiziaria 
etc.), potrebbero gi� di per s� essere ritenute sufficienti ai fini dell�inserimento nelle liste, il 
problema non dovrebbe proprio porsi nelle ipotesi in cui ci si trovi innanzi a statuizioni aventi 
addirittura l�autorit� di cosa passata in giudicato. 
10. Ancora, assolutamente prive di fondamento sono tutte quelle osservazioni formulate dal 
ricorrente in ordine all�assoluta insussistenza di prove sul suo coinvolgimento in attivit� terroristiche 
e alla contestazione della veridicit� degli assunti probatori posti a fondamento delle 
sentenze emesse dall�autorit� giurisdizionale italiana. 
11. Atteso, invero, che non sussistono elementi per ritenere che i processi italiani si siano celebrati 
con violazione dei diritti di difesa e del contraddittorio e che quindi il sig. Faraj Hassan 
era stato messo in condizione di conoscere i provvedimenti giurisdizionali emessi a suo carico, 
di partecipare al giudizio e di proporre tutte le questioni che ritenesse opportuno ai fini di un 
corretto esercizio del suo diritto di difesa, nonch� di poter contestare l�assunzione delle prove 
e di impugnare i provvedimenti giurisdizionali nei termini di legge finch� non avevano raggiunto 
il carattere della definitivit�, negare ora dinanzi al Tribunale dell�Unione Europea la 
veridicit� delle prove poste a fondamento delle sentenze italiane vorrebbe dire negare l�autorit�
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 53 
della giurisdizione nazionale e violare il principio della certezza del diritto. 
12. Mettere in discussione il contenuto di una sentenza definitiva emessa da un�Autorit� Giudiziaria 
di uno Stato membro comporta anche una violazione del principio di leale collaborazione 
fra le istituzioni dell�UE e quelle degli Stati membri; in proposito si veda quanto 
affermato nella recente sentenza di codesto Tribunale del 30 settembre 2009, in causa T- 
341/07, ove, a conferma di quanto gi� statuito nelle precedenti sentenze OMPI e PMOI I, � 
stato detto che: �94. �ai sensi dell�art. 10 CE, i rapporti tra gli Stati membri e le istituzioni 
comunitarie sono regolati da doveri reciproci di leale cooperazione�95. �in un caso di applicazione 
dell�art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931 e dell�art. 2, n. 3, del regolamento 
n. 2580/2001, disposizioni che instaurano una forma di cooperazione specifica tra il Consiglio 
e gli Stati membri nell�ambito della lotta comune al terrorismo, tale principio comporta, 
per il Consiglio, l�obbligo di rimettersi, per quanto possibile, alla valutazione dell�autorit� 
nazionale competente, quanto meno se si tratta di un�autorit� giudiziaria, in particolare riguardo 
all�esistenza di �prove o indizi seri e credibili� sui quali si fonda la decisione di 
quest�ultima.� 
13. Laddove il sig. Faraj Hassan avesse ritenuto che le prove assunte a suo carico avrebbero 
potuto essere confutate, avrebbe dovuto farlo nelle sedi opportune (il Tribunale e la Corte 
d�Appello di Milano) e nei tempi e nei termini indicati dalla legge dello Stato nel quale veniva 
sottoposto a giudizio; non � possibile ora negare il contenuto delle intercettazioni, laddove il 
contenuto di quelle intercettazioni che abbiano assunto il rango probatorio idoneo a fondare 
una statuizione di condanna, possono essere acquisite agli atti di un procedimento penale solo 
nelle ipotesi in cui le stesse vengano effettuate nel rispetto di tutte le garanzie di legge, dal 
momento dell�autorizzazione a quello dell�espletamento delle stesse sino a quello della trascrizione 
dei dialoghi in esse contenuti, al deposito, alla trascrizione delle medesime 
14. Il sistema processuale penale italiano � in ossequio al principio del giusto processo sancito 
dall�art. 111 della Costituzione � pone sullo stesso piano l�accusa e la difesa dell�imputato e 
concede ai difensori dell�imputato le stesse facolt� della pubblica accusa, anche in punto di 
acquisizione delle prove che possono essere richieste o procurate direttamente, senza alcuna 
limitazione e senza alcuna preventiva autorizzazione dell�Autorit� inquirente (si veda l�art. 
327-bis del codice di procedura penale: �Attivit� investigativa del difensore. 1. Fin dal momento 
dell'incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facolt� di svolgere 
investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, 
nelle forme e per le finalit� stabilite nel titolo VI-bis del presente libro. 2. La facolt� indicata 
al comma 1 pu� essere attribuita per l'esercizio del diritto di difesa, in ogni stato e grado del 
procedimento, nell�esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione. 3. Le attivit� 
previste dal comma 1 possono essere svolte, su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori 
privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti 
tecnici� ). 
15. Peraltro, Faraj Hassan � stato destinatario di vari provvedimenti da parte delle Autorit� 
inquirenti e giudiziarie italiane: l�ordine di custodia in carcere, la richiesta di rinvio a giudizio, 
la decisione della fissazione del dibattimento e delle relative udienze; tutti questi provvedimenti 
contengono l�esposizione delle ragioni delle imputazioni contestate all�imputato, come 
prescritto dall�ordinamento processuale italiano (v. art. 552 c.p.p.: �Decreto di citazione a 
giudizio. 1. Il decreto di citazione a giudizio contiene: a) le generalit� dell'imputato o le altre 
indicazioni personali che valgono a identificarlo nonch� le generalit� delle altre parti private, 
con l'indicazione dei difensori; b) l'indicazione della persona offesa, qualora risulti identifi-
54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
cata; c) l'enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di 
quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi 
articoli di legge; d) l'indicazione del giudice competente per il giudizio nonch� del 
luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento all�imputato che non comparendo 
sar� giudicato in contumacia; e) l'avviso che l�imputato ha facolt� di nominare un 
difensore di fiducia e che, in mancanza, sar� assistito dal difensore di ufficio; �g) l'avviso 
che il fascicolo relativo alle indagini preliminari � depositato nella segreteria del pubblico 
ministero e che le parti e i loro difensori hanno facolt� di prenderne visione e di estrarne 
copia;�.�). 
16. In relazione alle decisioni assunte dall�Autorit� Giudiziaria all�imputato � garantito il contraddittorio 
e la possibilit� di presentare le sue ragioni (v., quanto alla richiesta di rinvio a giudizio, 
l�art. 420: �Costituzione delle parti. 1. L'udienza si svolge in camera di consiglio con 
la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell'imputato�). 
17. Inoltre, dopo la chiusura delle indagini tutti gli atti istruttori sono consultabili da parte 
dell�imputato e del suo difensore (v. art. 415-bis: �Avviso all'indagato della conclusione delle 
indagini preliminari. 1. Prima della scadenza del termine previsto dal comma 2 dell'articolo 
405, anche se prorogato, il pubblico ministero, se non deve formulare richiesta di archiviazione 
ai sensi degli articoli 408 e 411, fa notificare alla persona sottoposta alle indagini e al 
difensore avviso della conclusione delle indagini preliminari. 2. L'avviso contiene la sommaria 
enunciazione del fatto per il quale si procede, delle norme di legge che si assumono violate, 
della data e del luogo del fatto, con l�avvertimento che la documentazione relativa alle indagini 
espletate � depositata presso la segreteria del pubblico ministero e che l'indagato e il 
suo difensore hanno facolt� di prenderne visione ed estrarne copia. 3. L'avviso contiene altres� 
l'avvertimento che l'indagato ha facolt�, entro il termine di venti giorni, di presentare memorie, 
produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, 
chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonch� di presentarsi per 
rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Se l'indagato 
chiede di essere sottoposto ad interrogatorio il pubblico ministero deve procedervi�.�). 
18. Pertanto, atteso che Faraj Hassan nel corso dei procedimenti penali celebratisi in Italia 
nei suoi confronti era stato messo in condizione di avere conoscenza delle prove a base delle 
imputazioni e, in particolare, delle trascrizioni delle intercettazioni, della facolt� di poter nominare 
un proprio consulente per effettuare le trascrizioni per proprio conto ed eventualmente 
confutare quelle effettuate dal perito nominato dal giudice e dal pubblico ministero, le contestazioni 
in ordine alla valenza probatoria delle stesse formulate dinanzi a codesto Tribunale, 
fuori dal procedimento penale e dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, 
appaiono assolutamente improponibili, oltre che prive di fondamento; se cos� non fosse si arriverebbe 
- come gi� in precedenza evidenziato - a mettere in serio pericolo la certezza del 
diritto. 
19. Inoltre, l�ordinamento giuridico italiano, offre un ulteriore strumento a difesa del condannato, 
anche nelle ipotesi di sentenza di condanna passata in giudicato, che � quello della revisione 
del processo (titolo IV del codice di procedura penale, art. 629 e seguenti) nel caso di 
prove nuove o sopravvenute o che l�interessato non sia stato messo in condizione di dedurre 
al momento di celebrazione del dibattimento (v. art. 630 c.p.p.: �630. Casi di revisione. 1. La 
revisione pu� essere richiesta: �c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono 
nuove prove che, sole o unite a quelle gi� valutate, dimostrano che il condannato deve essere 
prosciolto a norma dell'articolo 631; d) se � dimostrato che la condanna venne pronunciata
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 55 
in conseguenza di falsit� in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come 
reato�). 
20. Neanche tale straordinario mezzo di impugnazione � mai stato esperito dal sig. Faraj Hassan, 
che si limita soltanto a contestare apoditticamente le prove poste a fondamento delle statuizioni 
di condanna emesse nei suoi confronti. 
21. Ancora, se le sentenze di condanna passate in giudicato non dovessero essere ritenute elementi 
sufficienti per l�iscrizione di un soggetto sospettato di essere coinvolto in attivit� terroristiche 
nelle liste previste dai regolamenti ONU e CE e se, quindi, l�iscrizione nelle black 
list fondata su tali elementi dovesse essere ritenuta in violazione dei diritti umani (e delle relative 
convenzioni internazionali che ne assicurano la salvaguardia), si porrebbe in crisi tutto 
il sistema delle misure di prevenzione e cautelari degli Stati membri che, come la legislazione 
italiana, consentono l�adozione di provvedimenti ancor pi� incisivi sulla sfera personale del 
soggetto - dalla custodia cautelare in carcere agli arresti domiciliari all�obbligo di dimora alle 
sorveglianze speciali - che sono emessi sulla base di soli elementi indiziari e certamente inferiori 
sul piano dell�evidenza probatoria ad una sentenza di condanna passata in giudicato! 
22. Analoghe considerazioni potrebbero svolgersi con riferimento alle osservazioni svolte dal 
ricorrente laddove sostiene l�illegittimit� della compromissione del diritto di propriet�; invero, 
se cos� fosse, in via di principio ogni provvedimento cautelare reale (previsto dal nostro ordinamento 
nazionale sia come sequestro preventivo che come sequestro cautelare e/o probatorio) 
dovrebbe ritenersi illegittimo, con evidente violazione del diritto-dovere dello Stato di evitare 
che l�imputato possa, attraverso l�utilizzazione dei suoi mezzi finanziari (probabilmente acquisiti 
illegittimamente) portare a compimento i suoi progetti delittuosi e consolidare gli effetti 
dei suoi reati. Sul punto ci associamo alle considerazioni sviluppate dalla Commissione nel 
suo atto difensivo. 
23. Per quanto attiene, poi, l�attualit� della pericolosit� sociale del soggetto con riferimento 
sempre al suo passato coinvolgimento in attivit� terroristiche, � evidente che non si pu� dare 
un termine di scadenza preciso alla sua pericolosit� e che il perdurare del pericolo potenziale 
della sua ulteriore partecipazione ad attivit� terroristiche tanto � maggiore quanto pi� gravi 
sono i precedenti e le eventuali pendenze giudiziarie dell�interessato; il codice di procedura 
penale italiano, all�art. 275, prevede una presunzione di pericolosit� sociale del soggetto indiziato 
di appartenere ad organizzazioni criminali (mafiose e/o terroristiche o ad esse connesse) 
che giustifica l�adozione di una misura cautelare personale e ritiene adeguata la misura 
della custodia cautelare in carcere, senza dare eccessivo rilievo al tempo trascorso dalla commissione 
del reato e ponendo quasi un�inversione dell�onere probatorio, dal momento che per 
giustificare la non applicazione della misura carceraria � necessario dare conto di una eventuale 
dissociazione dall�organizzazione criminale o comunque effettiva cessazione della pericolosit� 
sociale del soggetto; secondo il terzo comma del citato art. 275: �La custodia 
cautelare in carcere pu� essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. 
Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 51, commi 
3-bis e 3-quater, nonch� in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 
600-ter, escluso il quarto comma, e 600-quinquies del codice penale, � applicata la custodia 
cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono 
esigenze cautelari. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano anche in ordine 
ai delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, salvo che 
ricorrano le circostanze attenuanti dagli stessi contemplate.� 
24. Ancora, come sopra detto, anche per quanto attiene l�emissione dei provvedimenti appli-
56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
cativi delle misure di prevenzione non vi � una regola precisa nello stabilire l�attualit� della 
pericolosit� sociale del soggetto nei confronti del quale il provvedimento deve essere applicato, 
atteso che la gravit� dei reati commessi fa propendere per il perdurare a lungo della pericolosit� 
del soggetto e consente di giustificare l�adozione di una misura di prevenzione - 
anche di quelle che comportino una limitazione della libert� personale - non necessariamente 
contestuale alla commissione del reato in termini di valutazione di attualit� della pericolosit�. 
25. A sostegno della pretesa del ricorrente non pu� giovare neppure il richiamo ai principi 
fondamentali dell�uomo come definiti nella Convenzione europea del 1950 o nella Dichiarazione 
universale del 1948, atteso che il diritto alla possibilit� di ricorrere in giudizio invocato 
da Faraj Hassan in riferimento al (preteso) diritto di accesso a tutti gli elementi di prova a 
base della decisione censurata va valutato dal Tribunale UE in ponderazione con gli altri diritti 
della collettivit� e dei singoli individui che il provvedimento di inserimento nelle black list 
intende tutelare; questa doverosa ponderazione fra i vari interessi in gioco porta necessariamente 
� da un lato � a riconoscere alla persona destinataria della misura cautelare il diritto a 
ricorrere ad un giudice ed a conoscere le ragioni del provvedimento che lo riguarda e � dall�altro 
lato � il diritto degli Organi dell�UE e dell�ONU a negare l�accesso alle specifiche fonti 
di prova, per tutelare sia l�incolumit� personale degli informatori, dei collaboratori e degli infiltrati 
nelle cellule terroristiche (che hanno permesso l�acquisizione delle notizie necessarie 
per individuare i soggetti che agiscono nell�ambito del terrorismo internazionale) sia la sicurezza 
della collettivit� (minacciata dalle azioni terroristiche e dal pregiudizio per le indagini 
di prevenzione che necessariamente conseguirebbe alla scoperta delle fonti confidenziali di 
indagine). 
26. In altre parole, non si pu� obbligare la Commissione UE o il Consiglio UE (e, per il loro 
tramite, il Comitato per le Sanzioni dell�ONU) a svelare le fonti confidenziali dell�indagine, 
una volta resi noti i risultati di quelle indagini (come � avvenuto nel caso di specie, cos� da 
permettere all�interessato di impugnare il provvedimento dinanzi al Tribunale dell�Unione 
Europea), perch� il diritto alla tutela della sicurezza della comunit� e della incolumit� personale 
dei soggetti che partecipano all�indagine deve prevalere sul diritto del soggetto sospettato 
di partecipazione ad attivit� terroristiche (e nel caso di Faraj Hassan il sospetto � divenuto 
certezza dopo la condanna con le sentenze dell�Autorit� Giudiziaria italiana passate in giudicato!) 
a conoscere le fonti delle prove gi� portate a sua conoscenza. 
27. Il bilanciamento degli opposti interessi nei termini sopra suggeriti � giustificato dalla particolare 
natura dell�attivit� di terrorismo internazionale cui sono dediti i gruppi eversivi cui � 
collegato il soggetto iscritto nelle black list: trattasi di attivit� ben diversa, pericolosa e grave 
rispetto a quella della normale criminalit�, dalla quale va tenuta distinta; trattasi di attivit� �di 
guerra� che esige un trattamento di particolare attenzione e severit�. 
28. Questa natura �di guerra� del terrorismo, diversa da quella tradizionale ma tanto pi� odiosa 
e pericolosa in quanto attacca con azioni di distruzione e di omicidio di massa cittadini inermi, 
senza alcuna distinzione e preavviso e senza limitazioni territoriali, comporta che la lotta nei 
confronti dei suoi militanti vada effettuata, soprattutto a fini preventivi, con metodi di altrettanto 
forte impatto, eventualmente derogando alla piena applicazione dei diritti normalmente 
riconosciuti all�uomo in tempo �di pace�, cos� come espressamente previsto dall�art. 15 della 
Convenzione europea sui Diritti dell�Uomo: anche per questi motivi (oltre che per quelli sopra 
evidenziati) al sig. Faraj Hassan ed a i suoi compagni deve essere riconosciuto il diritto all�accesso 
ad una Autorit� Giudiziaria ed all�informazione sulle ragioni delle misure preventive 
adottate ma non pu� essere riconosciuto il diritto all�accesso alle fonti delle informazioni
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 57 
poste a base delle prove fornite. 
29. La corretta valutazione delle fonti di informazione � rimessa ad un organismo internazionale 
al massimo livello previsto dalla pi� importante organizzazione mondiale di Stati � il 
Comitato per le Sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite � e deve ritenersi legittimamente 
rimessa al giudizio esclusivo di questo organismo, la cui attivit� � coperta da 
un livello di segretezza necessario per il perseguimento degli obiettivi comuni che tutti gli 
Stati hanno voluto attribuirgli; anche gli Organismi dell�Unione Europea devono rispettare 
questo assetto internazionalmente definito e lasciare alla competenza del Comitato per le Sanzioni 
dell�ONU la valutazione delle fonti di informazione. 
30. Come la Corte dei Diritti dell�Uomo di Strasburgo nella nota sentenza 30 giugno 2005 
Bosphorus c. Irlanda, dichiar� di non poter entrare nel merito di provvedimenti assunti dalla 
Comunit� europea in adempimento di obblighi internazionali, dovendosi presumere che l�ordinamento 
comunitario sia equivalente a quello della Convenzione di Roma in materia di 
tutela dei diritti fondamentali dell�uomo, cos� anche le Corti giudiziarie dell�UE dovranno arrestare 
la propria indagine allo statement of reasons fornito dal Comitato per le Sanzioni (e 
nella specie portato a conoscenza del ricorrente), sul presupposto che anche l�ordinamento 
internazionale delle Nazioni Unite si regga sugli stessi principi di quello dell�Unione Europea, 
in forza della Dichiarazione Universale dei Diritti dell�Uomo che ne � alla base. 
31. Soprattutto dopo l�entrata in vigore del Trattato di Lisbona e del suo art. 6, le Corti giudiziarie 
dell�UE non hanno motivo � da un lato � per disapplicare il citato art. 15 della Convenzione 
e � dall�altro lato � per discostarsi dall�orientamento espresso dalla Corte di 
Strasburgo nella citata sentenza Bosphorus e confermato nelle altre ove � stato affrontato il 
problema della competenza del Comitato per le Sanzioni e del Consiglio di Sicurezza ONU: 
con le stesse ragioni e sulla base della riaffermata incompetenza della Corte dei Diritti dell�Uomo 
a giudicare di provvedimenti attuativi di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU, 
poich� ci� costituirebbe una ingerenza non consentita nella realizzazione della missione delle 
Nazioni Unite nel mantenimento della pace e della sicurezza dei popoli, sono stati dichiarati 
inammissibili dalla Grande chambre, con sentenza 31 maggio 2007, i ricorsi di Agim e Bekir 
Behrami c. Francia e Sbramati c. Francia, Germania e Norvegia aventi ad oggetto presunte 
violazioni dei diritti umani commesse da Stati partecipanti alle missioni KFOR e UNMIK 
operanti in Kossovo sotto l�egida del Consiglio di Sicurezza. 
32. Concludiamo questo nostro intervento con il pensiero espresso da Gr�inne de B�rca nel 
suo articolo The European Court of Justice and the International Legal Order after Kadi (in 
Jean Monnet Working Paper 01/09) in commento alla sentenza Kadi del 3 dicembre 2009 
della Corte di Giustizia: 
33. �The ECJ effectively ignored the Security Council resolution for the purposes of its judgment, 
treating the aims of the resolution and its purposes as a matter mainly for the EU�s political 
branches when implementing it. Instead the ECJ focused judicial attention only on the 
question of whether the EC implementing measure could violate principles of the EC�s internal 
constitutional order, without reference to any principles of international law and without reference 
to the United Nations or to any other entity. 
34. While the specific outcome of the Kadi case may be commendable from the short-term 
perspective of its insistence on minimum procedural-fairness requirements for those whose 
assets are to be indefinitely frozen pursuant to the implementation of a Security Council resolution, 
the strong pluralist approach that underpins the judgment of the ECJ is at odds with 
the conventional self-presentation of the EU as an organization which maintains particular fi-
58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
delity to international law and institutions, and it is an approach that carries certain costs and 
risks for the EU. The judicial strategy adopted by the ECJ in Kadi was an inward-looking one 
which eschewed engagement in the kind of international dialogue that has generally been presented 
as one of the EU�s strengths as a global actor. 
35. Other judicial strategies were clearly available to the ECJ. In particular, the ECJ itself 
pointed toward what this Article has called a �soft constitutionalist� pathway but nevertheless 
chose not to take it. In paragraph 298 of its judgment in Kadi, the ECJ noted that the U.N. 
Charter leaves it to Member States to decide how to transpose Security Council resolutions 
into their legal order. This would have provided a doctrinal route by which the ECJ could 
have reached the same substantive result (viz, reviewing or striking down the EC�s implementation 
of the Security Council freezing order) even while adopting an internationally-engaged 
approach which drew directly on principles of international law instead of emphasizing 
the particularism of Europe�s fundamental rights. In other words, the ECJ could have insisted 
on respect for basic principles of due process and human rights protection under international 
law even where these were neglected within the existing Security Council listing and delisting 
processes. By failing to do so, the ECJ lost an important opportunity to contribute to a 
dialogue about due process as part of customary international law, which would be of relevance 
for the international community as a whole and not just the EU. Arguments could have 
been advanced not only about customary international law as a basis for due process protection, 
but also about the references to protection of human rights in the U.N. Charter itself, as 
well as in the general principles of international law and jus cogens principles which were invoked 
by the CFI. In doctrinal terms, the ECJ could have concluded that the resolutions could 
not be implemented as they stood, without the interposition by the EU, within its freedom of 
transposition, of a layer of due process such as to protect the interests of affected individuals. 
This would have involved treating the EU�s implementation of the Security Council resolution 
as an opportunity to address that deficiency. By focusing only on the EU�s municipal guarantees 
of fundamental rights protection and ignoring international law, the ECJ not only failed 
to influence an important international debate on an issue which currently affects every member 
of the United Nations, but also failed to avail itself of the opportunity to develop a channel 
for the mutual influence of the EU and the U.N. legal orders. The fact that the ECJ chose the 
pluralist language and the reasoning which it did has sent out a clear message to other players 
in the international system about the autonomy of the European legal order, and the priority 
which it gives to its internally determined values. If courts outside the EU are inclined towards 
judicial borrowing, then the ECJ�s ruling in Kadi seems to offer encouragement to them to 
assert their local understandings of human rights and their particular constitutional priorities 
over international norms and over Chapter VII resolutions of the Security Council.� 
36. Richiamando l�art. 1, par. 4, del Trattato di Lisbona (�In its relations with the wider world, 
the Union shall uphold and promote its values and its interests and contribute to the protection 
of its citizens. It shall contribute to peace, security and the sustainable development of the 
Earth, solidarity and mutual respect among peoples, free and fair trade, eradication of poverty 
and the protection of human rights in particular the rights of the child, as well as to the strict 
observance and the development of international law, including respect for the principles of 
the UN Charter.�) e la giurisprudenza della Corte di Giustizia relativa ad altri casi nei quali 
� stato rispettato il campo di operativit� di altri trattati internazionali (C-177/95, Ebony Maritime 
SA and Loten Navigation Co.Ltd v. Prefetto della Provincia di Brindisi, 1997; C-84/95, 
Bosphorus v. Minister for Transport, 1996), l�Autore cos� conclude:
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 59 
37. �Rather than adopting a soft-constitutionalist approach which would seek to mediate the 
relationship between the norms of the different legal systems, and which would have involved 
the ECJ in the process of shaping customary international law, the ECJ adopted a strongly 
pluralist approach which emphasized the internal and external autonomy and separateness of 
the EC�s legal order from the international domain. Not only did the ECJ�s approach provide 
a striking example for other states and legal systems that may be inclined to assert their local 
constitutional norms as a barrier to the enforcement of international law, but more importantly 
it suggests a significant paradox at the heart of the EU�s relationship with the international 
legal order, the implications of which have not begun to be addressed.� 
In conclusione 
il Governo italiano chiede che il ricorso del sig. Faraj Hassan sia respinto e che il Regolamento 
della Commissione n. 954/2009 sia riconosciuto legittimo. 
Roma, 23 maggio 2010 
Giuseppe Albenzio 
Avvocato dello Stato 
60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Causa C-334/08 - Materia trattata: risorse proprie delle Comunit� - 
Ricorso presentato il 18 luglio 2008 - Commissione delle Comunit� europee/
Repubblica italiana (avv. Stato G. Albenzio - AL 29747/08). 
Conclusioni 
� Constatare che la Repubblica italiana ha mancato agli obblighi che 
le incombono in virt� dell'art. 10 CE, dell'art. 8 della decisione 2000/597/CE, 
Euratom del Consiglio, del 29 settembre 2000, relativa al sistema delle risorse 
proprie delle Comunit� europee, e degli artt. 2, 6, 10, 11 e 17 del regolamento 
(CE, Euratom) n. 1150/2000 del Consiglio, del 22 maggio 2000, recante applicazione 
della decisione 94/728/CE, Euratom, relativa al sistema delle risorse 
proprie delle Comunit�,per aver rifiutato di mettere a disposizione della 
Commissione le risorse proprie corrispondenti all'obbligazione doganale derivante 
dal rilascio, dal 27 febbraio 1997, da parte della Direzione compartimentale 
delle dogane per le Regioni Puglia e Basilicata, sita a Bari, di 
autorizzazioni irregolari a creare e gestire a Taranto magazzini doganali di 
tipo C, seguite da consecutive autorizzazioni alla trasformazione sotto controllo 
doganale e al perfezionamento attivo, fino alla loro revoca il 4 dicembre 
2002;
� Condannare la Repubblica italiana al pagamento delle spese processuali.
Motivi e principali argomenti 
Col presente ricorso la Commissione europea rimprovera al Governo italiano 
di avere rifiutato di mettere a disposizione delle Comunit� europee le 
risorse proprie - quantificate in circa 23 milioni di euro - corrispondenti ad 
alcune autorizzazioni doganali irregolari rilasciate a Taranto nel periodo 
compreso fra il febbraio 1997 ed il dicembre 2002. La materia del contendere 
riguarda essenzialmente la responsabilit� degli importi relativi alle risorse 
non riscosse a causa delle operazioni irregolari in questione. Il Governo italiano 
pretende di non essere responsabile dei mancati introiti dovuti alle predette 
irregolarit�, in quanto queste ultime sarebbero unicamente imputabili 
ai funzionari che hanno provocato il danno, mentre la Commissione � persuasa 
che la vigente legislazione comunitaria imponga allo Stato italiano di 
farsi carico di tutte le conseguenze finanziarie derivanti all'operato - anche 
irregolare - dei funzionari che agivano in suo nome e per suo conto. 
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 61 
Intervento orale del Governo italiano* 
Signor Presidente, signori Giudici, signor Avvocato Generale. 
1. La questione di carattere generale all�esame della Corte concerne la 
possibilit� di configurare una responsabilit� dello Stato membro nei confronti 
dell�Unione per il danno derivante dalla mancata riscossione di risorse proprie 
della Comunit� in conseguenza di azioni fraudolente di suoi funzionari amministrativi. 
2. Non esiste una norma, n� nel Trattato n� nelle disposizioni normative 
del Consiglio e della Commissione che stabilisca in termini espressi siffatta 
responsabilit�; neppure esiste una sentenza della Corte di Giustizia in tal senso; 
troviamo, invece, nei Regolamenti n. 1150/2000 (art. 17) e n. 2028/2004 (art. 
13) la previsione della dispensa dall�obbligo di mettere a disposizione della 
Commissione i diritti accertati nel caso di �forza maggiore� o di �impossibilit� 
della riscossione per motivi non imputabili�; nell�atto della Commissione n. 
266 sulla �Responsabilit� finanziaria degli Stati membri per errori amministrativi 
commessi dalle autorit� nazionali� vengono individuate sei categorie 
che possono implicare quella responsabilit�, ma nessuna di esse fa riferimento 
ad atti dolosi dei propri funzionari; troviamo, anche, sentenze della Corte che 
affermano la responsabilit� dello Stato per la mancata riscossione conseguente 
ad errori dei funzionari (sent. 18 ottobre 2007, C-19/05, contro la Danimarca). 
3. Nel caso oggi in discussione � pacifico che la mancata riscossione sia 
conseguita ad una truffa ordita ai danni dell�amministrazione doganale italiana 
da alcuni soggetti, fra i quali anche funzionari di quella amministrazione, che 
avevano posto in essere attivit� illecite: ci� � stato accertato dall�Autorit� 
Giudiziaria Penale italiana con la ordinanza di custodia cautelare in carcere 
adottata dal G.I.P. del Tribunale Penale di Taranto nei confronti di alcuni dirigenti 
delle dogane e di alcuni militari della Guardia di Finanza (ordinanza che 
abbiamo richiamato nel nostro controricorso e nella controreplica) e nelle sentenze 
di rinvio a giudizio e di condanna che sono state gi� emesse dai Tribunali 
penali italiani (menzionate nel paragrafo 1 della relazione riservata del 27 agosto 
2008, allegata al controricorso, pag. 15); questa circostanza non �, comunque, 
contestata dalla Commissione. 
4. A questo punto vengono in rilievo altri due elementi di fatto che devono 
essere presi in considerazione al fine di escludere errori da parte della 
dogana italiana: il primo concerne la legittimit� �in astratto� delle prime autorizzazioni 
rilasciate nel 1997 alla societ� Fonderie per la istituzione e gestione 
di �deposito doganale privato di tipo C� e per la immissione nello stesso 
di �rottami e avanzi di alluminio per la fusione� e per la �trasformazione in 
rottami dei pani di alluminio� introdotti nel detto deposito. 
(*) V. controricorso in Rass. 2008, IV, 164-173.
62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
5. Il secondo elemento di fatto riguarda l�effettuazione da parte della dogana 
italiana dei controlli ordinari previsti dalla normativa vigente per quel 
tipo di attivit�, come descritti in dettaglio nella citata relazione riservata, paragrafo 
4, pagg. 18-19, e verbali pagg. 25-30; nessuna contestazione sulle modalit� 
di effettuazione di queste verifiche e sulla loro idoneit� per il tipo di 
autorizzazioni da verificare � stata sollevata dalla Commissione che, peraltro, 
avrebbe potuto imporre nuove regole (ai sensi dell�art. 8, n. 1, della Decisione 
2000/597) ma non lo ha fatto; a questo proposito ricordiamo che nelle sentenze 
5 ottobre 2006, cause C-377/03 e 105/02, la Corte ha verificato la mancanza 
di diligenza degli Stati membri che non avevano adottato tutte le misure necessarie 
per evitare le conseguenze sfavorevoli dedotte, in quanto non avevano 
seguito le indicazioni della Commissione, ma nella specie, ripetiamo, non � 
contestato che la dogana italiana abbia seguito tutte le indicazioni per i controlli 
sulle attivit� autorizzate. 
6. L�evasione dei dazi � conseguita, come abbiamo gi� detto e dimostrato 
nei nostri atti defensionali, da un abusivo esercizio di altre attivit� nel deposito 
da parte della Fonderia; attivit� illecite diverse da quelle autorizzate e che � 
stato possibile scoprire soltanto in seguito ad una approfondita verifica straordinaria 
effettuata il 30 maggio 2002, come risulta dal verbale allegato al 
controricorso, pagg. 20-24. 
7. Si deve concludere, sulla base di questi elementi di fatto documentati, 
che nessun errore pu� essere imputato alla dogana italiana con riguardo al rilascio 
delle autorizzazioni e all�effettuazione delle verifiche. 
8. Neppure pu� essere imputata alla dogana una negligenza o ritardo per 
l�attivit� di denunzia e repressione dell�illecito, di recupero dei dazi e di iscrizione 
delle risorse nella contabilit� della Comunit�. 
9. Infatti, come risulta dai nostri atti defensionali e dalla citata relazione 
riservata, paragrafi 1, 2, 3 alle pagg. 15-18, non appena scoperta la frode sono 
state revocate tutte le autorizzazioni, presentata denunzia all�Autorit� Giudiziaria, 
aperti procedimenti disciplinari contro i dipendenti implicati nella frode, 
effettuato il sequestro dei beni della Fonderia, escussa la polizza assicurativa, 
iscritte le risorse nella contabilit� B. 
10. Nonostante non sia imputato all�amministrazione italiana alcun errore, 
negligenza o ritardo per le attivit� appena descritte, la Commissione ritiene 
che la stessa sia responsabile perch� le azioni delittuose sono state poste in 
essere da suoi funzionari in servizio, quindi per la sola circostanza del legame 
di servizio che legava all�epoca della frode i funzionari con l�amministrazione 
nazionale, cio� per la responsabilit� oggettiva che farebbe sempre risalire in 
capo al datore di lavoro pubblico le conseguenze dannose degli atti dolosi dei 
dipendenti e renderebbe impossibile invocare la forza maggiore quale esimente. 
11. Secondo la Commissione, infatti, gli atti dei funzionari dell�ammini-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 63 
strazione sarebbero interni alla stessa e non potrebbero costituire quella circostanza 
esterna che la nozione di forza maggiore richiede; ma la Commissione 
sbaglia. 
12. Come � chiaramente detto nella sentenza 18 dicembre 2007, causa C- 
314/06, punti 23-25: �la nozione di forza maggiore non si limita all�impossibilit� 
assoluta, ma deve essere intesa nel senso di circostanze anormali e 
imprevedibili, indipendenti dall�operatore, le cui conseguenze non avrebbero 
potuto essere evitate malgrado l�adozione di tutte le precauzioni del caso�, 
tenendo conto �del contesto giuridico nel quale � destinata a produrre i suoi 
effetti�. 
13. Applicando questi principi al caso oggetto di quel giudizio, la Corte 
ha quindi ammesso l�esimente sulla base di tre affermazioni che risultano decisive 
anche nella decisione del nostro caso: a) ha escluso che si possa �imporre 
una responsabilit� assoluta� al soggetto (nella specie, titolare di deposito 
autorizzato) per le perdite subite (punto 32); b) ha chiarito che il concetto di 
estraneit� al soggetto delle circostanze sulle quali si fonda la forza maggiore 
�non si limita a circostanze a lui estranee in senso materiale o fisico. Si deve 
piuttosto interpretare tale presupposto nel senso che esso concerne circostanze 
che sembrano sfuggire al controllo del depositario autorizzato o situarsi al di 
fuori dell�ambito di sua responsabilit�� (punto 33); c) ha riconosciuto che vi 
� diligenza quando il soggetto in questione �si sia conformato alla normativa 
tecnica applicabile� (punti 36 e 40). 
14. Nel caso oggetto del presente giudizio quelle tre statuizioni trovano 
perfetto riscontro: a) ritenere responsabile la pubblica amministrazione per i 
fatti dolosi dei propri dipendenti per la semplice circostanza dell�esistenza del 
rapporto di impiego, senza altra indagine, imporrebbe quella �responsabilit� 
assoluta�, cio� oggettiva, che � esclusa nell�ordinamento comunitario; b) 
escludere l�operativit� della forza maggiore perch� l�azione delittuosa del dipendente 
non � estranea all�amministrazione, porterebbe � da un lato � ad applicare 
un concetto meramente materiale o fisico che la Corte ha ritenuto 
errato e � dall�altro lato � a non considerare quelle circostanze che sfuggono 
al controllo del soggetto o si situano al di fuori dell�ambito della sua responsabilit�, 
cio� proprio quello che accade quando con un�azione dolosa il dipendente 
agisce fuori del controllo del datore di lavoro e persegue un interesse 
strettamente individuale che si pone fuori dell�ambito di responsabilit� dell�amministrazione 
pubblica, interrompendo il nesso causale fra il suo stato di 
dipendente e l�attivit� posta in essere; c) escludere che nella specie l�amministrazione 
doganale sia stata diligente nel rilasciare le prime autorizzazioni e 
nell�effettuare i controlli di routine vuol dire negare ogni rilevanza al rispetto 
delle normative tecniche del settore che la Corte ha, invece, ritenuto rilevanti 
per la individuazione della diligenza necessaria a configurare la forza maggiore.

64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
15. Le tre argomentazioni sulle quali si fonda il ragionamento della Commissione 
non hanno, quindi, alcun fondamento e vanno disattese, riconoscendo 
a favore della dogana italiana l�esimente della forza maggiore per non aver riscosso 
i dazi evasi dalla Fonderia prima della scoperta della frode nell�anno 
2002 e non averli iscritti nella contabilit� A sin dal momento dell�evasione, 
laddove bene ha fatto la dogana a iscrivere quelle risorse nella contabilit� B 
non appena scoperta la frode. 
16. Per vero, come � noto, l�obbligo degli Stati membri di riscossione 
delle risorse proprie e della successiva iscrizione nella contabilit� sorge �dal 
momento in cui le loro autorit� doganali dispongono degli elementi necessari 
e sono dunque in grado di calcolare l�importo dei dazi che risultano dall�obbligazione 
doganale e di determinare il soggetto passivo� (fra le tante, sent. 
18 ottobre 2007, C-19/05) e, nella specie, ci� � stato possibile solo dopo la 
scoperta della frode in seguito alla verifica straordinaria del 2002; altrettanto 
correttamente, la dogana ha proceduto all�iscrizione delle risorse nella contabilit� 
B perch� non riscosse e non garantite, oltre che oggetto di contestazione 
(come risulta dalla citata relazione riservata, paragrafo 3, pagg. 16-18). 
17. La Commissione richiama, poi, a riprova della bont� delle sue tesi, 
l�art. 28 della Costituzione italiana il quale prevede la responsabilit� della pubblica 
amministrazione per i fatti, anche dolosi, dei propri dipendenti; questa 
norma, per�, concerne situazioni del tutto diverse da quella in esame e, comunque, 
conforta piuttosto la posizione italiana che quella della Commissione. 
18. In primo luogo, l�art. 28 � finalizzato a tutelare il cittadino, parte debole, 
nei confronti della pubblica amministrazione e non pu� essere richiamato 
nei rapporti che legano gli Stati nell�ambito dell�Unione europea, rapporti che 
si fondano su una assoluta parit� fra Stati sovrani, senza necessit� di tutela di 
alcuna parte debole n�, tanto meno, della stessa Unione che, secondo il principio 
dell�equilibrio del bilancio, ricava le risorse necessarie, anche a compensazione 
di quelle mancate, con i finanziamenti da parte degli Stati membri. 
19. In secondo luogo, l�art. 28 della Costituzione testimonia che � stata 
necessaria una espressa disposizione di legge per estendere alla pubblica amministrazione 
datrice di lavoro (e non anche al privato datore di lavoro) la responsabilit� 
assoluta/oggettiva per i fatti dolosi dei propri dipendenti; una 
norma del genere, come abbiamo gi� eccepito, non esiste nell�ordinamento 
comunitario e, pertanto, non ha alcun appiglio giuridico la pretesa della Commissione. 
20. Ancora, dobbiamo rilevare che anche nella giurisprudenza della Corte 
di Cassazione italiana, in sede di applicazione del principio dell�art. 28, sono 
state escluse ipotesi di responsabilit� per eventi riconducibili ad iniziativa dolosa 
del dipendente posta in essere nel suo esclusivo interesse individuale ed 
in contrasto con i doveri connessi al rapporto di servizio con l�amministrazione; 
citiamo la sentenza 3 agosto 2005, n. 16247, la cui massima ufficiale
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 65 
cos� recita: �La responsabilit� diretta dello Stato per l�attivit� dei pubblici dipendenti 
arrecante pregiudizio a terzi presuppone la riferibilit� dell�attivit� 
stessa allo Stato, in quanto diretta al perseguimento dei suoi fini istituzionali, 
ancorch� con abuso di potere; tale riferibilit� va esclusa quando essa trovi 
nell�esplicazione della pubblica funzione solo l�occasione del suo manifestarsi 
per finalit� estranee a quelle dell�ufficio, o addirittura, contrarie all�interesse 
della p.a.�. 
21. Un�ultima osservazione: a prescindere dalla configurabilit� della forza 
maggiore, nella specie lo Stato italiano potrebbe essere esentato dalle responsabilit� 
addebitategli dalla Commissione qualora, ai sensi degli art. 17 Reg. 
1150 e 13 Reg. 2028, risultasse impossibile procedere al recupero totale dei 
diritti evasi per altri motivi non imputabili, identificabili nella particolare scaltrezza 
e complessit� delle azioni fraudolente poste in essere ai danni della dogana 
che hanno impedito la immediata scoperta della frode, come � stato gi� 
accertato in sede penale dalla citata ordinanza di custodia cautelare in carcere 
del Tribunale di Taranto, oltre che dalle altre sentenze di condanna gi� emesse 
nei confronti dei responsabili (si veda la citata relazione riservata allegata al 
controricorso), ordinanza ove si sottolinea che �la situazione ambientale� 
..rende problematico il lavoro degli inquirenti dovendosi operare all�interno 
di un ambiente caratterizzato da una cos� diffusa illegalit� e da una stretta 
complicit� tra i soggetti coinvolti�. 
22. Queste circostanze gi� di per s� sarebbero idonee a rendere non imputabile 
alla dogana italiana la mancata riscossione di parte dei dazi evasi; 
salvo che non si voglia attendere l�esito dei procedimenti giudiziari pendenti 
ancora dinanzi alle Autorit� nazionali. 
23. In conclusione, il ricorso della Commissione va rigettato perch� la 
sua pretesa � infondata alla radice o, tutt�al pi�, non � attuale, dovendosi attendere 
il definitivo accertamento delle circostanze richieste dalle disposizioni 
normative richiamate dalle parti in causa per fondare una responsabilit� dello 
Stato o una esimente. 
Lussemburgo, 17 dicembre 2009 Avv. Giuseppe Albenzio
66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Causa C-393/08 - Materia trattata: concorrenza - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale 
del Lazio (Italia) il 10 settembre 2008 - Emanuela Sbarigia/Azienda USL 
RM/A, Comune di Roma, Assiprofar - Associazione Sindacale Proprietari Farmacia, 
e Ordine dei Farmacisti della Provincia di Roma (avv. Stato M. Russo 
- AL 45634/08). 
Questioni pregiudiziali 
1) Se sia compatibile con i principi comunitari di tutela della libera concorrenza 
e della libera prestazione dei servizi, di cui, tra l'altro, agli artt. 49, 
81, 82, 83, 84, 85 e 86 del Trattato CE, l'assoggettamento delle Farmacie ai 
sopra specificati divieti di poter rinunciare alle ferie annuali e di poter rimanere 
liberamente aperte anche oltre i limiti di apertura massima attualmente 
consentiti dalle disposizioni sopra specificate di cui alla legge regionale Lazio 
n. 26/2002, e il necessario assoggettamento altres�, ai sensi dell'art. 10 comma 
2, della stessa L.R., per poter ottenere nel Comune di Roma la deroga ai divieti 
suddetti, alla previa discrezionale valutazione dell'Amministrazione (effettuata 
d'intesa con gli enti e organismi specificati nel medesimo articolo) della specificit� 
dell'ambito comunale di ubicazione delle Farmacie richiedenti; 
2) se sia compatibile con gli artt. 152 e 153 del Trattato dell'Unione Europea 
l'assoggettamento del servizio pubblico farmaceutico, bench� finalizzato 
alla tutela della salute degli utenti, a condizioni di limitazione o divieto, come 
quelle stabilite dalla L.R. n. 26/2002, della possibilit� di incremento orario, 
giornaliero, settimanale ed annuale del periodo di apertura dei singoli esercizi 
farmaceutici. 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana 
Il giudizio a quo e la normativa nazionale 
I. Le questioni pregiudiziali di cui ai precedenti punti 1) e 2) vengono 
sollevate nell�ambito di un giudizio in cui la titolare di una farmacia sita nel 
Comune di Roma ha impugnato i provvedimenti amministrativi con i quali le 
si nega l�autorizzazione a rimanere aperta in orari pi� estesi rispetto a quelli 
ordinari, nonch� a rinunciare alla chiusura per ferie. 
II. La materia � disciplinata, nell�ordinamento italiano, con legge regionale. 
In particolare - nell�ambito della Regione Lazio - la legge n. 26/02 all�art. 
2, commi da I a V, disciplina la materia degli orari di apertura giornaliera, consentendo 
al comma VI^: �In relazione a situazioni territoriali particolari, stagionali 
o periodiche, l�orario di apertura diurna pu� essere determinato in 
deroga ai criteri di cui ai commi IV e V, ma nel rispetto dei commi II e III �; 
l�art. 10 della stessa legge Regionale, prevede, al comma II^, �per specifici 
ambiti comunali l�orario settimanale di apertura al pubblico, le ferie delle
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 67 
farmacie urbane e la mezza giornata di riposo settimanale� possono essere 
modificati, con deliberazione della ASL territoriale competente, d�intesa con 
il Sindaco del Comune interessato, dell�ordine dei farmacisti e delle organizzazioni 
sindacali provinciali delle farmacie pubbliche e private maggiormente 
rappresentativi�. 
��� 
Il Governo italiano svolge le seguenti osservazioni: 
1) Irricevibilit� 
La domanda di pronuncia pregiudiziale � irricevibile in quanto manca la 
specificazione degli elementi in fatto e diritto, essenziali a spiegare quale rilevanza 
assumano, nel caso di specie, le norme richiamate. 
Infatti, il TAR pone a fondamento del primo quesito gli artt. 49, 81, 82, 
83, 84, 85, 86 del Trattato CE e, a fondamento del secondo, gli artt. 152 e 153 
del medesimo Trattato, peraltro limitandosi in entrambi i casi ad un richiamo 
del tutto generico, nonch� omettendo di indicare in che modo ciascuna di tali 
norme rileverebbe rispetto al caso di specie. 
Si dir� meglio oltre (punti 3 e 4) che, in realt�, alcune delle norme citate 
non sono assolutamente conferenti alla fattispecie in esame; comunque anche 
per quelle che potrebbero, forse, avere una qualche attinenza con la controversia, 
il Tribunale non fornisce indicazioni circostanziate. 
La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha avuto modo di chiarire che 
�la Corte pu� rifiutarsi di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da 
un giudice nazionale � qualora � non disponga degli elementi di fatto o di 
diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono 
sottoposte� (Causa C-223/99 Agor� s.r.l., sentenza del 5 ottobre 2001 punto 
20). Con particolare riferimento, poi, alla materia della concorrenza (che pure 
viene in considerazione nel presente giudizio), la Corte afferma (cause riunite 
C-51/96 e C-191/97 Christelle Deli�ge, sentenza del 4 novembre 2000, punto 
30 e giurisprudenza ivi richiamata) ��l�esigenza di giungere ad un�interpretazione 
del diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale impone 
che quest�ultimo definisca l�ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le 
questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui sono 
fondate. Dette esigenze valgono in particolare in determinati settori, quale 
quello della concorrenza, caratterizzati da complesse situazioni di fatto e diritto� 
(enfasi aggiunta); ed infatti la stessa sentenza - ai punti 36 e 37 - afferma 
che, nel caso esaminato, la sentenza di rinvio non contiene indicazioni sufficienti 
per quanto riguarda la concorrenza, proprio in quanto non reca indicazioni 
�circa la definizione del mercato o dei mercati di cui trattasi nella causa 
principale�, �� quali siano la natura ed il numero delle imprese che esercitano 
la loro attivit� su tale mercato o tali mercati�� �in ordine all�esistenza 
ed importanza degli scambi tra Stati membri��. Indicazioni, queste, che sono
68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
carenti anche nella domanda di pronuncia pregiudiziale del Tribunale Amministrativo 
Regionale del Lazio, rendendola - ad avviso di questa difesa - irricevibile. 
2) In via subordinata rispetto alla dedotta irricevibilit�, il Governo italiano 
svolge le seguenti osservazioni in relazione ai quesiti proposti. 
Il quesito di cui al punto 1) investe due aspetti distinti, e cio�: da un lato 
il principio della libert� della prestazione di servizi (art. 49 del Trattato); dall�altro, 
il principio della libera concorrenza (artt. 81, 82, 83, 84, 85, 86 del 
Trattato); 
3) Prendendo le mosse dal primo di tali principi (art. 49), si osserva innanzi 
tutto che la norma non � conferente rispetto alla fattispecie in esame, 
per diversi motivi. 
3.1) L�art. 49 si riferisce alla �prestazione di servizi�. 
La nozione di �servizio� � desumibile dall�art. 50 I^ comma del Trattato, 
il quale stabilisce: �Ai sensi del presente trattato, sono considerate come servizi 
le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano 
regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali 
e delle persone�. 
Il riferimento fatto dalla norma al concetto di �retribuzione�, come pure 
la residualit� della nozione di �servizio� rispetto alle attivit� che ricadono 
nell�ambito applicativo delle disposizioni in materia di libera circolazione di 
merci, capitali e persone, impedisce di ricondurre all�art. 49 del Trattato l�esercizio 
di una farmacia. 
Infatti, l�esercizio di una farmacia non pu� prescindere n� dallo svolgimento 
di un�attivit� di scambio, quale la vendita di farmaci, n� dalla necessaria 
costituzione di un�organizzazione stanziale. Tali caratteristiche chiaramente 
esulano dall�ambito di applicazione dell�art. 49, rientrando � piuttosto � rispettivamente 
nel campo applicativo delle disposizioni in materia di libera circolazione 
delle merci (art. 28 del Trattato CE), o di libert� di stabilimento (art. 
43 Trattato). 
3.2) Quanto al primo profilo (libera circolazione delle merci), la giurisprudenza 
comunitaria � dopo avere elaborato (causa 8/74, Dassonville) il 
principio cosiddetto �dell�effetto equivalente�, secondo cui �ogni normativa 
commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, 
in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari va considerata come 
una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative�, ha per� espressamente 
escluso (cause riunite 267 e 268/91, Keck e Mithouard/Francia,) che 
possa �costituire ostacolo al commercio fra Stati membri� l�assoggettamento 
di prodotti provenienti da altri Stati membri a disposizioni nazionali che limitino 
o vietino talune modalit� di vendita, semprech� tali disposizioni valgano 
nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgono la propria attivit� 
sul territorio nazionale e sempre che incidano in ugual misura, tanto sotto il
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 
profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti 
sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri�, precisando altres�, con riferimento 
alla specifica problematica delle limitazioni disposte a livello nazionale 
agli orari di apertura degli esercizi commerciali, che l�art. 28 (ex 30) 
del Trattato �non si applica ad una normativa nazionale sull�orario di apertura 
dei pubblici esercizi che vale per tutti gli operatori economici che svolgono 
la loro attivit� sul territorio nazionale e che incide allo stesso modo, in 
diritto e fatto, sulla vendita dei prodotti nazionali e su quella dei prodotti provenienti 
da altri Stati membri� (Cause riunite 69/03 e 258/93 Punto casa s.p.a.; 
Cause riunite C-401/92 e C-402/92 Tankstation�t Heuske vof e J.B. Boermans). 
Deve perci� ritenersi che la limitazione oraria che la L.R. 26/02 impone 
alle farmacie non rilevi come violazione dell�art. 28 del Trattato. 
3.3) Quanto al secondo profilo (libert� di stabilimento), di cui all�art. 43 
del Trattato, si osserva che il principio di libert� di stabilimento pu� ritenersi 
violato solo qualora uno stato membro preveda ed imponga un ostacolo allo 
stabilimento nel proprio territorio di un cittadino di altro Stato membro, Commissione 
delle Comunit� Europee contro Repubblica Francese - causa 270/83: 
�L�art. 52 del Trattato costituisce una delle disposizioni fondamentali della 
comunit� ed � direttamente efficace negli stati membri dalla scadenza del periodo 
transitorio. Esso mira a garantire il trattamento nazionale al cittadino 
di uno stato membro che si stabilisca, sia pure in via secondaria, in un altro 
stato membro per svolgervi un�attivit� non subordinata e vieta qualsiasi discriminazione, 
anche di lieve entit�, basata sulla cittadinanza che derivi dal 
diritto in vigore, in quanto restrizione della liberta di stabilimento�. Non ricorre, 
quindi violazione del principio di libert� di stabilimento quando � comՏ 
nella specie � al cittadino di altro Stato membro si consenta lo stabilimento 
�alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti 
dei propri cittadini�, condizioni nella specie consistenti in determinate 
prescrizioni quanto all�orario ed ai periodi annuali di apertura in ambiti comunali 
determinati, ampiamente giustificate da fini di pubblico interesse come 
si dir� ai seguenti punti 4.1 e 5. 
4) Delle restanti norme indicate dal giudice remittente nel primo quesito 
(artt. 81, 82, 83, 84, 85, 86 del Trattato CE), solo l�art. 86 sembra presentare 
una qualche attinenza alla fattispecie oggetto del giudizio a quo. 
Infatti, mentre gli artt. 83 ed 85 del Trattato CE riguardano poteri ed attribuzioni 
del Consiglio e della Commissione, gli artt. 81 ed 82 hanno ad oggetto 
non gi� condotte degli Stati membri, bens� delle imprese. 
L�art. 86, invece, individuando obblighi degli Stati membri, potrebbe in 
astratto interessare ai fini della presente fattispecie. 
Tuttavia, a ben considerare, deve escludersi che i principi in esso stabiliti 
possano essere di ostacolo ad una normativa quale quella in materia di orari e 
chiusure feriali di cui alla L.R. 26/02.
70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
4.1) Secondo l�art. 86 cit., comma I^ �Gli stati membri non emanano n� 
mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono 
diritti speciali o esclusivi alcuna misura contraria alle norme del 
presente trattato, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 12 e da 81 
a 89 inclusi�. 
Ebbene, la normativa di cui alla L.R. 26/02, che impone il rispetto di orari 
e chiusure feriali, e che subordina le relative deroghe alla discrezionalit� amministrativa, 
non ricade in alcuna delle situazioni descritte nelle norme in materia 
di concorrenza richiamate dall�art. 86. 
Essa infatti si limita a stabilire le condizioni minime e necessarie per assicurare 
il conseguimento del fine di interesse pubblico (tutela della salute 
pubblica) cui l�assistenza farmaceutica � finalizzata. 
Non si pu�, del resto, ignorare il fatto che quello dei farmaci sia un mercato 
assolutamente peculiare, in quanto l�assistenza farmaceutica, nell�ordinamento 
giuridico italiano forma, in realt�, oggetto di un servizio pubblico, 
quale � il Servizio sanitario nazionale istituito con legge n. 833 del 23 dicembre 
1978. 
A mente dell�art. 25 I^ comma di tale legge, le prestazioni di cura comprendono 
l�assistenza medico generica, specialistica, infermieristica, ospedaliera 
e � appunto � farmaceutica. 
L�art. 28 comma I^ dispone altres� che l�unit� sanitaria locale eroga l�assistenza 
farmaceutica attraverso le farmacie, delle quali sono titolari enti pubblici 
e professionisti privati, tutte convenzionate secondo criteri indicati agli 
artt. 43 e 48, e tenute a garantire ai cittadini una serie di prestazioni (descritte 
analiticamente dal D.P.R. n. 371/98, art. 17: �Le farmacie nello svolgimento 
della funzione di servizio pubblico sociale ed essenziale loro affidata dalla 
legge, e le loro organizzazioni sindacali, oltre a quanto gi� espressamente 
previsto dal precedente art. 2 partecipano e collaborano ai programmi di medicina 
preventiva, di informazione e di educazione sanitaria indetti dalla regione 
e dalle aziende, con particolare riferimento al settore dell'assistenza 
farmaceutica. 2. Le farmacie e le organizzazioni sindacali locali operano in 
stretto contatto e collaborano con le aziende e le regioni di cui al comma 1, 
al fine di realizzare i seguenti obiettivi: a) diffusione capillare dell'informazione 
e della documentazione sul farmaco, sull'attivit�, indicazioni e controindicazioni 
dei farmaci in generale, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 
29 e 31 della legge n. 833 del 1978; b) indicazioni (adeguate ed attinenti) agli 
assistiti sull'uso specifico dei farmaci prescritti e somministrati; c) partecipazione 
a gruppi di lavoro e ad �quipe per la realizzazione dei programmi di informazione 
ed educazione sanitaria; d) partecipazione e collaborazione ad 
iniziative di aggiornamento professionale indette dalla regione; e) collaborazione 
per l'acquisizione di dati ed elementi ritenuti necessari all'indagine epidemiologica 
e statistica, alla formulazione dei programmi e degli interventi
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 
di medicina preventiva e curativa; f) disponibilit� alla prestazione della propria 
opera e attivit� professionale, su richiesta della regione o dell'azienda, 
presso i servizi pubblici del territorio; g) predisposizione di un sistema di segnalazione 
immediata alla utenza di comunicazioni concernenti i servizi urgenti 
di guardia medica e farmaceutica in zona; h) collaborazione ad iniziative 
di educazione alimentare inerenti la dietetica infantile e senile, di corretti regimi 
alimentari degli adulti, la dietoterapia, la idroterapia, le conseguenze di 
alcoolismo e tabagismo; i) vigilanza in ogni caso in cui si possono presumere 
tentativi di induzione all'uso delle droghe e sostanze comunque nocive �� ), 
che vanno ben al di l� della mera vendita di medicinali. 
Da notare, che la situazione fin qui descritta non muta per effetto della 
norma di cui all�art. 5 del decreto legge 223/06 convertito in legge n. 248/06, 
il quale estende ad esercizi commerciali diversi dalle farmacie la possibilit� 
di vendere medicinali: �Gli esercizi commerciali di cui all'articolo 4, comma 
1, lettere d), e) e f), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, possono effettuare 
attivit� di vendita al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione, 
di cui all'articolo 9-bis del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, 
convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, e di tutti 
i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica, previa comunicazione 
al Ministero della salute e alla regione in cui ha sede l'esercizio e secondo le 
modalit� previste dal presente articolo. � abrogata ogni norma incompatibile. 
La vendita di cui al comma 1 � consentita durante l'orario di apertura dell'esercizio 
commerciale e deve essere effettuata nell'ambito di un apposito reparto, 
alla presenza e con l'assistenza personale e diretta al cliente di uno o 
pi� farmacisti abilitati all'esercizio della professione ed iscritti al relativo ordine 
��. Infatti, gli esercizi di cui parla la norma offrono solo il servizio della 
vendita di alcuni tipi di farmaci, con esclusione degli altri servizi, tutti finalizzati 
alla tutela della salute pubblica, garantiti dalle farmacie. 
Una volta chiarito che la compravendita di farmaci costituisce un �mercato� 
del tutto particolare, in ragione della sua evidente finalizzazione ad un 
interesse pubblico quale la tutela della salute e della sua rilevanza nell�ambito 
del Servizio Sanitario Nazionale, appare chiaro come esso non possa sottostare 
in tutto e per tutto alle normali logiche del mercato, ma tolleri - ed anzi esiga 
- una disciplina ben precisa, come quella in materia di orari e chiusure all�origine 
della presente domanda di pronuncia pregiudiziale. 
Tale disciplina �, infatti, addirittura necessaria a dare piena attuazione al 
fine di pubblico interesse cui l�assistenza farmaceutica corrisponde. 
Ci� in quanto, come si dir� pi� precisamente al punto 5, � appunto attraverso 
tale disciplina che si garantisce continuit� e diffusione capillare sul territorio 
all�assistenza farmaceutica. 
Pertanto, deve escludersi che la legge della Regione Lazio n. 26/02 sia in 
conflitto con l�art. 86 I^ comma del Trattato CE.
72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
4.2) Venendo all�analisi del II^ comma dell�art. 86 (�Le imprese incaricate 
della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere 
di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e 
in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali 
norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica 
missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso 
in misura contraria agli interessi della Comunit��), si osserva quanto segue. 
Le farmacie non rientrano nella previsione e, particolarmente, nella categoria 
delle imprese �incaricate della gestione di servizi di interesse economico 
generale�, posto che il servizio � - s� - di interesse generale, come meglio si 
dir� al successivo punto 5, ma non rileva certo dal punto di vista economico, 
bens� dal punto di vista della salute pubblica. 
In ogni caso, anche a voler diversamente ritenere, la ratio della norma � 
quella di evitare alle imprese che � per loro natura e per la loro posizione � 
gi� godono di una posizione di forza, vantaggi ulteriori. Nel presente caso invece, 
non di vantaggi si tratta, ma di limitazioni, peraltro imposte dalla legge 
proprio per meglio assicurare il conseguimento della �missione� di tali imprese 
(come sar� meglio illustrato al punto 5), limitazioni peraltro di minima portata 
e congrue allo scopo. 
5) Con il quesito di cui al punto 2), il Tribunale remittente ipotizza un 
contrasto fra la legge regionale n. 26/02 ed i principi di cui agli artt. 152 e 153 
del Trattato, i quali individuano nella tutela della salute umana e della salute 
pubblica un obiettivo prioritario della Comunit�. 
Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale Amministrativo del Lazio, 
la disciplina di orari e periodi di apertura, nonch� la sottoposizione ad autorizzazione 
discrezionale amministrativa delle eventuali deroghe a detta disciplina, 
in dipendenza dalle specificit� delle ubicazioni degli esercizi, non solo 
non contrasta con l�obiettivo della salute pubblica, ma al contrario � strumentale 
alla tutela di tale valore. 
5.1) Ed in effetti, come gi� osservato al punto 4.1), la vendita di farmaci 
non pu� essere semplicisticamente assimilata ad una qualsivoglia attivit� commerciale. 
Ci� si dice per ribadire ancora una volta la valenza di servizio pubblico 
tipica dell�attivit� svolta dalle farmacie, per garantire il quale sono indispensabili 
misure restrittive quali quelle oggetto dei quesiti posti dal Tribunale Amministrativo 
Regionale del Lazio, le quali � lungi dall�essere in contrasto con 
i valori tutelati dagli artt. 152 e 153 del Trattato � sono invece ad essi strumentali. 
Trattasi, peraltro, di misure minime, e congrue allo scopo, come si illustrer� 
meglio ai punti successivi, e rispetto alle quali il Tribunale remittente 
non ha saputo indicare alternative. 
5.2) Per garantire adeguatamente ai cittadini il servizio �vendita di far-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 
maci�, non � tanto necessario assicurare la relativa erogazione a ciclo continuo 
da parte del singolo esercizio commerciale, quanto � piuttosto � una razionale 
distribuzione del servizio medesimo sul territorio. 
Infatti, da un lato, la distribuzione di farmaci � garantita non solo attraverso 
la singola farmacia, ma - ad esempio - anche attraverso le strutture sanitarie 
che mettono a disposizione il servizio di pronto soccorso per tutto l�arco 
delle ventiquattro ore; dall�altro, la continuit� nella distribuzione di farmaci 
per zona viene assicurata proprio attraverso la regolamentazione normativa 
degli orari e periodi di apertura, che assicurano � non tramite il singolo esercizio, 
ma in un determinato ambito territoriale � la costante esistenza di una 
rivendita aperta. 
5.3) E� interessante � sotto tale ultimo aspetto � richiamare quanto ha osservato 
la Corte Costituzionale italiana (sent. n. 446 del 1988), analizzando 
proprio un caso in cui le fattispecie esaminate erano state ritenute dai giudici 
remittenti �in contrasto con l'indispensabile requisito della continuit� del servizio 
di assistenza farmaceutica�, sia sotto il profilo della chiusura annuale 
per ferie, che sotto il profilo dell�ulteriore turno di chiusura infrasettimanale. 
La Corte costituzionale ha infatti efficacemente osservato (punto 4 della 
sentenza citata): �La tesi [dei giudici remittenti, n.d.r.] postula necessariamente 
che nella legislazione statale sia rinvenibile, quale espressione di un 
principio fondamentale, l'esigenza in termini assoluti di continuit� nell'apertura 
di ciascun esercizio farmaceutico, senza interruzione alcuna, nell'arco 
dell'intero anno, n� per ferie ne per riposo infrasettimanale. Invero, dall'esame 
delle norme invocate a fondamento di tale asserzione �., mentre risulta da 
un lato evidente che il legislatore ha senz'altro inteso garantire, sotto il profilo 
della continuit�, la massima efficienza organizzativa e professionale di un servizio 
direttamente finalizzato alla tutela della salute pubblica, risulta per� altrettanto 
chiaro che, nelle stesse sedi normative ove tale obiettivo � delineato, 
le relative modalit� di attuazione non sono state regolate in modo del tutto rigido 
ma ne � stato invece demandato il coordinamento ad una previsione di 
ordine generale sui turni di apertura (diurna, notturna, per riposo settimanale), 
da stabilirsi in relazione alle esigenze pratiche locali proprio per consentirne 
un costante adeguamento alle effettive necessit��. 
La Corte prosegue richiamando �l'intento di realizzare, attraverso valutazioni 
che potranno essere compiute solo in sede locale, l'ottimale funzionamento 
del servizio nel suo insieme� �� nella specie, � la ratio della legge ed 
il principio che ne va ricavato sono quelli della continuit� nell'assistenza farmaceutica 
prestata, in un adeguato ambito territoriale, dal servizio nel suo 
insieme e non gi� dalla singola farmacia�. 
La citazione testuale sopra riprodotta serve a sottolineare che � come accennato 
al punto 5.2) � a tutela della salute pubblica il legislatore italiano ha 
voluto garantire la continuit� del servizio a livello non della singola farmacia,
74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
ma del territorio, affidandone la disciplina al legislatore locale proprio al fine 
di assicurare una miglior aderenza alle caratteristiche del territorio. 
5.4) Del resto, come successivamente la stessa Corte Costituzionale italiana 
ha avuto occasione di osservare (sentenza n. 27 del 2003 � punto 3.2) 
�l�accentuazione di una forma di concorrenza delle farmacie basata sul prolungamento 
degli orari di chiusura potrebbe contribuire alla scomparsa degli 
esercizi minori e cos� alterare quella che viene comunemente chiamata la rete 
capillare delle farmacie�. 
5.5) Da quanto sin qui esposto, discende che le limitazioni di apertura ed 
orario costituiscono indispensabili e congrui strumenti di perseguimento di 
una finalit� meritevole di tutela, quale la protezione e promozione della salute 
pubblica. 
��� 
Si chiede pertanto alla Corte di voler dichiarare irricevibile il ricorso, ovvero 
in subordine rispondere: 
Al primo quesito nel senso che l�assoggettamento delle farmacie al divieto 
di rinunciare alle ferie annuali e di rimanere liberamente aperte anche 
oltre i limiti massimi attualmente consentiti dalle disposizioni di cui alla Legge 
regionale Lazio n 26/2002, nonch� il necessario assoggettamento, ai sensi 
dell�art. 10 comma 2, della stessa L.R., per poter ottenere nel Comune di 
Roma la deroga ai divieti suddetti, alla previa discrezionale valutazione dell�Amministrazione 
(effettuata d�intesa con gli enti e organismi specificati nel 
medesimo articolo) della specificit� dell�ambito comunale di ubicazione delle 
Farmacie richiedenti, non � in contrasto con i principi di libera circolazione 
delle merci, di libert� di stabilimento e di libera concorrenza. 
Al secondo quesito: nel senso che gli artt 152 e 153 del Trattato dell�Unione 
Europea non ostano all�assoggettamento del servizio pubblico farmaceutico 
a condizioni di limitazione o divieti, come quelli stabiliti dalla LR. 
n. 26/2002, della possibilit� di incremento orario, giornaliero, settimanale ed 
annuale del periodo di apertura dei singoli esercizi farmaceutici. 
Avv. Marina Russo
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 
Causa C-396/08 - Materia trattata: politica sociale - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dalla Corte d'appello di Roma (Italia) il 12 
settembre 2008 - Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS)/Daniela 
Lotti e Clara Matteucci (avv. Stato M. Russo - AL 683/09). 
Questioni pregiudiziali 
1) Se sia conforme alla Direttiva 97/81/CE, e segnatamente alla clausola 
sub 4 sul principio di non discriminazione, la normativa dello Stato Italiano 
(art. 7 comma 1 L. 638/83) che conduce a non considerare quale anzianit� 
contributiva utile per l'acquisizione della pensione, i periodi non lavorati nel 
part-time verticale; 
2) Se la predetta disciplina nazionale sia conforme alla Direttiva suddetta 
e segnatamente alla clausola sub 1 � laddove � previsto che la normativa nazionale 
debba facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale � alla clausola 
sub 4 ed alla clausola sub 5 � laddove impone agli Stati membri di 
eliminare gli ostacoli di natura giuridica che limitino l'accesso al lavoro parttime 
� essendo indubitabile che la mancata considerazione ai fini pensionistici 
delle settimane non lavorate costituisca una importante remora alla scelta 
del lavoro part-time nella forma del tipo verticale; 
3) se la clausola 4 sul principio di non discriminazione possa estendersi 
anche nell'ambito delle varie tipologie di contratto part-time, atteso che nell�ipotesi 
di lavoro a tempo parziale orizzontale, a parit� di un monte ore lavorato 
e retribuito nell'anno solare, sulla base della legislazione nazionale, 
vengono considerate utili tutte le settimane dell'anno solare, differentemente 
dal part-time verticale. 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana 
� I quesiti di cui ai precedenti punti sono stati sollevati nell�ambito di 
un giudizio in cui i ricorrenti � lavoratori a tempo parziale di tipo �verticale 
ciclico� � chiedevano il riconoscimento dell�anzianit� contributiva pari all�intero 
numero di settimane incluse nel periodo di lavoro part time; 
� L�INPS � Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, resistente nel giudizio 
a quo, riteneva invece che potessero considerarsi utili ai fini dell�anzianit� 
contributiva i soli periodi lavorati, e non anche i periodi di inattivit�. 
��� 
1. La normativa nazionale che disciplina la materia oggetto del giudizio 
a quo � costituita dall�art. 7 del D.L. n. 463 del 12 settembre 1983 conv. in L. 
n. 683 dell�11 novembre 1983, il quale prevede: �Il numero dei contributi settimanali 
da accreditare ai lavoratori dipendenti nel corso dell'anno solare, ai 
fini delle prestazioni pensionistiche a carico dell'Istituto nazionale della pre-
76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
videnza sociale, per ogni anno solare successivo al 1983 � pari a quello delle 
settimane dell'anno stesso retribuite o riconosciute in base alle norme che disciplinano 
l'accreditamento figurativo, sempre che risulti erogata, dovuta o 
accreditata figurativamente per ognuna di tali settimane una retribuzione non 
inferiore al 30% dell�importo del trattamento minimo mensile di pensione a 
carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti in vigore al 1� gennaio dell'anno 
considerato. 
2. In caso contrario viene accreditato un numero di contributi settimanali pari 
al quoziente arrotondato per eccesso che si ottiene dividendo la retribuzione 
complessivamente corrisposta, dovuta o accreditata figurativamente nell'anno 
solare, per la retribuzione di cui al comma precedente. I contributi cos� determinati, 
ferma restando l'anzianit� assicurativa, sono riferiti ad un periodo 
comprendente tante settimane retribuite, e che hanno dato luogo all'accreditamento 
figurativo, per quanti sono i contributi medesimi risalendo a ritroso 
nel tempo, a decorrere dall'ultima settimana lavorativa o accreditata figurativamente 
compresa nell'anno ��. 
2. Il D.lgs del 25 febbraio 2000 n. 61, recante Attuazione della Direttiva 
97/81/CE relativa all�accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso 
dall�UNICE, dal CEEP e dalla CES, disciplina - all�art. 9 - il trattamento previdenziale 
spettante ai lavoratori a tempo parziale, prevedendo: �La retribuzione 
minima oraria, da assumere quale base per il calcolo dei contributi 
previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale, si determina rapportando 
alle giornate di lavoro settimanale ad orario normale il minimale giornaliero 
di cui all'articolo 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, 
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, e dividendo 
l'importo cos� ottenuto per il numero delle ore di orario normale settimanale 
previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria per i lavoratori 
a tempo pieno. ... Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo 
pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione 
dell�ammontare del trattamento di pensione si computa per intero 
l�anzianit� relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e proporzionalmente 
all'orario effettivamente svolto l'anzianit� inerente ai periodi di lavoro a tempo 
parziale�. 
Il D.lgs in questione non contiene, peraltro, una norma specifica che disciplini 
la materia dell�anzianit� contributiva, sicch� al lavoro a tempo parziale 
non possono che applicarsi i principi generali del sistema pensionistico nazionale, 
e segnatamente i criteri fissati dall�art. 7 del D.L. n. 463/1983 di cui al 
precedente punto; 
3. Secondo la prospettazione del giudice a quo, osterebbero a tale disciplina 
sia il principio di non discriminazione di cui alla Direttiva 97/81/CE, sia 
le clausole della medesima Direttiva che impongono agli Stati membri di facilitare 
lo sviluppo del lavoro a tempo parziale e di eliminare gli ostacoli di
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 77 
natura giuridica che limitino l�accesso al lavoro part-time. 
��� 
I) Relativamente al primo quesito, nel quale il giudice a quo dubita della 
compatibilit� della normativa nazionale con il principio di non discriminazione 
sancito alla clausola 4 della Direttiva, il Governo italiano svolge le seguenti 
osservazioni. 
I.a) La clausola 4 della Direttiva prevede �Per quanto attiene alle condizioni 
di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in 
modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per 
il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente 
sia giustificato da ragioni obiettive�. 
Dalla lettura della norma emerge in maniera evidente che il quesito sub 
1) � mal posto, in quanto la clausola 4 riguarda la discriminazione fra lavoratori 
a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno, e non la discriminazione interna 
alla prima delle due categorie. 
Nel caso in esame, comunque, non si ravvisa un trattamento deteriore del 
lavoratore a tempo parziale rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, 
in quanto anche per il primo valgono i criteri generali di cui all�art. 7 del D.L. 
n. 463/1983. 
Il criterio utilizzato da tale norma non � fondato sul numero delle settimane 
in cui vi sia stata o meno prestazione lavorativa, bens� sul criterio della 
cosiddetta �retribuzione minimale�. 
Infatti, l�art. 7 del D.L. 463/1983 prevede che l�anzianit� contributiva sia 
valutata per intero in presenza di una retribuzione media settimanale pari almeno 
all�importo del �minimale� di retribuzione previsto per l�anno considerato. 
In caso di mancato raggiungimento del �minimale�, viene invece riconosciuto 
un numero di contributi pari al rapporto fra imponibile retributivo annuo 
e minimale settimanale vigente nello stesso anno. 
Ci� vale, in via generale, per tutto il sistema pensionistico italiano, quindi 
senza distinzioni n� fra i vari tipi di contratto di lavoro a tempo parziale, n� 
fra i contratti di lavoro a tempo parziale e quelli a tempo pieno. 
Il trattamento, quindi, non pu� dirsi discriminatorio, in quanto fondato 
su di un criterio omogeneo. 
I.b) Resta salva, comunque, la possibilit� di versare contributi volontari 
per i periodi che, ai sensi dell�art. 7 I^ comma citato al precedente punto, non 
sono utili ai fini dell�anzianit� contributiva. Tale possibilit� � prevista dall�art. 
8 del D.lgs del 16 settembre 1996 n. 564, recante Attuazione della delega conferita 
dall'art. 1, comma 39, della L. 8 agosto 1995, n. 335, in materia di contribuzione 
figurativa e di copertura assicurativa per periodi non coperti da 
contribuzione, il quale prevede: �In favore degli iscritti all'assicurazione generale 
obbligatoria per l'invalidit�, la vecchiaia e i superstiti e alle forme di
78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
essa sostitutive ed esclusive, che svolgono attivit� di lavoro dipendente con 
contratti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, orizzontale o ciclico, i 
periodi, successivi al 31 dicembre 1996, di non effettuazione della prestazione 
lavorativa, non coperti da contribuzione obbligatoria, possono essere riscattati, 
a domanda, �.Per i periodi di cui al comma 1, i soggetti indicati nel 
comma medesimo possono essere autorizzati, in alternativa, alla prosecuzione 
volontaria del versamento dei contributi nel fondo pensionistico di appartenenza 
ai sensi della legge 18 febbraio 1983, n. 47 ��. 
Alla luce di quanto esposto ai punti I.a) e I.b), si ritiene che il principio 
di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo 
pieno di cui alla clausola n. 4 della Direttiva 97/81/CE non osti ad una normativa 
nazionale quale quella di cui all�art. 7 I^ comma del D.L. 463/1983. 
��� 
II) Relativamente al secondo quesito, nel quale si evidenzia un possibile 
contrasto fra la normativa nazionale ed i principi di cui alle clausole 1, 4 e 5 
della Direttiva 97/81/CE, il Governo italiano osserva quanto segue. 
II.a) I principi che prevedono che gli Stati membri siano tenuti a facilitare 
lo sviluppo del lavoro a tempo parziale e ad eliminare gli ostacoli di natura 
giuridica che limitino l�accesso al lavoro part-time, di cui alle clausole 1 e 5 
della Direttiva 97/81/CE (ma non nella clausola 4, richiamata nel quesito ma 
non contenente un principio del genere) non ostano ad un sistema quale quello 
disciplinato dall�art. 7 I^ comma D.L. 463/1983. 
L�ordinamento italiano ha massimamente agevolato l�accesso al rapporto 
di lavoro a tempo parziale, consentendo al lavoratore la scelta, del tutto libera, 
fra vari tipi di contratto: D.lgs. n. 61/2000, art. 1: �Nel rapporto di lavoro subordinato 
l'assunzione pu� avvenire a tempo pieno o a tempo parziale. Ai fini 
del presente decreto legislativo si intende: 
a) per �tempo pieno� l'orario normale di lavoro di cui all'articolo 3, 
comma 1, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o l'eventuale minor orario 
normale fissato dai contratti collettivi applicati; 
b) per �tempo parziale� l'orario di lavoro, fissato dal contratto individuale, 
cui sia tenuto un lavoratore, che risulti comunque inferiore a quello indicato 
nella lettera a); 
c) per �rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale� quello 
in cui la riduzione di orario rispetto al tempo pieno � prevista in relazione all'orario 
normale giornaliero di lavoro; 
d) per �rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale� quello in 
relazione al quale risulti previsto che l'attivit� lavorativa sia svolta a tempo 
pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, 
del mese o dell'anno; 
d-bis) per �rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo misto� quello che
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 
si svolge secondo una combinazione delle due modalit� indicate nelle lettere 
c) e d); 
e) per �lavoro supplementare� quello corrispondente alle prestazioni lavorative 
svolte oltre l'orario di lavoro concordato fra le parti ai sensi dell'articolo 
2, comma 2, ed entro il limite del tempo pieno� . 
A presidio della non discriminazione dei lavoratori a tempo parziale e, di 
conseguenza, della libert� di scelta del tipo di contratto desiderato, vi � poi 
l�art. 4 del D.lgs 61/00: �Fermi restando i divieti di discriminazione diretta 
ed indiretta previsti dalla legislazione vigente, il lavoratore a tempo parziale 
non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a 
tempo pieno comparabile, intendendosi per tale quello inquadrato nello stesso 
livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi di 
cui all'articolo 1, comma 3, per il solo motivo di lavorare a tempo parziale. 
2. L'applicazione del principio di non discriminazione comporta che: 
a) il lavoratore a tempo parziale benef�ci dei medesimi diritti di un lavoratore 
a tempo pieno comparabile in particolare per quanto riguarda l'importo 
della retribuzione oraria; la durata del periodo di prova e delle ferie annuali; 
la durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternit�; 
la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia; 
infortuni sul lavoro, malattie professionali; l'applicazione delle norme di tutela 
della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro; l'accesso ad iniziative 
di formazione professionale organizzate dal datore di lavoro; l'accesso 
ai servizi sociali aziendali; i criteri di calcolo delle competenze indirette e differite 
previsti dai contratti collettivi di lavoro; i diritti sindacali, ivi compresi 
quelli di cui al titolo III della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni. 
I contratti collettivi di cui all'articolo 1, comma 3, possono provvedere 
a modulare la durata del periodo di prova e quella del periodo di 
conservazione del posto di lavoro in caso di malattia qualora l'assunzione avvenga 
con contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale; b) il trattamento 
del lavoratore a tempo parziale sia riproporzionato in ragione della 
ridotta entit� della prestazione lavorativa in particolare per quanto riguarda 
l'importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa; l'importo 
della retribuzione feriale; l'importo dei trattamenti economici per malattia, 
infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternit�. Resta ferma 
la facolt� per il contratto individuale di lavoro e per i contratti collettivi, di 
cui all'articolo 1, comma 3, di prevedere che la corresponsione ai lavoratori 
a tempo parziale di emolumenti retributivi, in particolare a carattere variabile, 
sia effettuata in misura pi� che proporzionale�. 
II.b) Nessun �ostacolo di natura giuridica o amministrativa� alla possibilit� 
di lavoro a tempo parziale, come descritto al precedente punto deriva 
dalla norma di cui all�art. 7 cit. che, come detto, ha valenza di carattere generale 
nell�ordinamento italiano e si fonda su un criterio-cardine del sistema pen-
80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
sionistico nazionale, valido per tutti i lavoratori. 
Tra le varie possibili opzioni contrattuali, quindi, il lavoratore sceglie in 
assoluta libert� quella pi� confacente alle proprie esigenze organizzative e di 
vita, andando sempre incontro all�applicazione dello stesso principio regolatore 
dell�anzianit� contributiva. 
��� 
III) Relativamente al quesito 3), si osserva infine quanto segue. 
Come gi� illustrato al punto I.a), la clausola n. 4 della Direttiva 97/81/CE 
non investe la questione della discriminazione fra categorie di lavoratori a 
tempo parziale, essendo riferita solo al divieto di discriminazione tra lavoratori 
a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno. 
In ogni caso, il fatto che, in concreto, il lavoratore a tempo parziale �verticale�, 
a differenza del lavoratore a tempo pieno comparabile, non veda riconosciute 
le settimane non lavorate ai fin dell�anzianit� contributiva, 
costituisce semplicemente l�ovvia conseguenza della diversa distribuzione e 
del diverso numero delle ore lavorate. 
L�eventuale disparit� di trattamento fra lavoratori a tempo parziale �orizzontale� 
e �verticale�, invece, � oggettivamente giustificata dalla diversit� 
delle due forme di part-time, l�opzione per le quali � rimessa peraltro alla libera 
valutazione del lavoratore: ed infatti, l�assoluta libert� della scelta, illustrata 
al precedente punto, fra l�opzione per il part-time �verticale� e quella per il 
part-time �orizzontale� impedisce di ipotizzare una discriminazione interna 
alla categoria dei contratti di lavoro a tempo parziale, posto che il lavoratore 
opta per l�una o per l�altra soluzione, a seconda di quella che meglio si adatta 
alle proprie esigenze organizzative, andando incontro sempre e comunque all�applicazione 
dei medesimi principi generali del sistema pensionistico nazionale, 
che valgono tanto per l�uno quanto per l�altro tipo di contratto. 
��� 
Il Governo italiano propone quindi di rispondere ai quesiti come segue: 
Sul quesito sub 1): �il principio di non discriminazione di cui alla clausola 
n. 4 della Direttiva n. 97/81/CE non osta ad una normativa nazionale che 
conduca a non considerare utili ai fini dell�anzianit� contributiva per l�acquisizione 
della pensione i periodi non lavorati nel part-time verticale�. 
Sul quesito sub 2): La Direttiva 97/81/CE � clausola sub 1 - laddove � 
previsto che la normativa nazionale debba facilitare lo sviluppo del lavoro a 
tempo parziale; clausola sub 5 � laddove impone agli Stati membri di eliminare 
gli ostacoli di natura giuridica che limitino l�accesso al lavoro part-time 
� non osta ad una normativa nazionale che conduca a non considerare utili 
ai fini dell�anzianit� contributiva per l�acquisizione della pensione i periodi 
non lavorati nel part-time verticale�. 
Sul quesito sub 3): �Il principio di non discriminazione di cui alla clau-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 81 
sola 4 della Direttiva 97/81/CE non pu� essere esteso all�ambito delle varie 
tipologie di contratti di lavoro a tempo parziale, atteso che eventuali diversit� 
di trattamento tra il lavoro part-time orizzontale e quello verticale possono 
giustificarsi in ragione della diversit� delle forme di part-time, l�opzione tra 
le quali � frutto di una scelta volontaria del lavoratore e comporta comunque 
l�applicazione dei medesimi principi generali del sistema pensionistico nazionale�. 
Avv. Marina Russo 
Causa C-565/08 - Materia trattata: libert� di stabilimento - Ricorso 
presentato il 19 dicembre 2008 -Commissione delle Comunit� europee/Repubblica 
italiana (avv. Stato W. Ferrante - AL 3557/09 - Procedura di infrazione 
riguardante i massimi delle tariffe forensi). 
Conclusioni 
� Constatare che, prevedendo delle disposizioni che impongono agli avvocati 
l'obbligo di rispettare tariffe massime, la Repubblica italiana � venuta 
meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 43 e 49 CE; 
� Condannare la Repubblica italiana al pagamento delle spese del giudizio. 
Motivi e principali argomenti 
La fissazione di tariffe massime obbligatorie per le attivit� giudiziali e 
stragiudiziali degli avvocati costituisce una restrizione alla libert� di stabilimento 
ai sensi dell'articolo 43 CE, nonch� una restrizione alla libera prestazione 
dei servizi ai sensi dell'articolo 49 CE. Infatti, un tariffario massimo 
obbligatorio che deve essere applicato indipendentemente dalla qualit� dell'opera 
svolta, dal lavoro necessario a svolgerlo, e dai costi sopportati per effettuarlo, 
pu� rendere il mercato italiano dei servizi legali non attraente per i 
professionisti esteri. Gli avvocati stabiliti in altri Stati membri sono dunque 
disincentivati a stabilirsi in Italia ovvero a prestarvi temporaneamente i propri 
servizi. 
In primo luogo, perch� il doversi adattare ad un nuovo sistemadi tarifficazione 
(peraltro molto complesso) comporta costi aggiuntivi che possono 
ostacolare l'esercizio delle libert� fondamentali riconosciute dal trattato. 
In secondo luogo, il limite massimo del tariffario rappresenta un ulteriore 
freno alla libera circolazione dei servizi legali nel mercato interno poich� impedisce 
che la qualit� delle attivit� svolte da avvocati stabiliti in Stati membri
82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
diversi dall'Italia sia correttamente remunerata e quindi dissuadendo taluni 
avvocati, i quali chiedono onorari pi� elevati di quelli stabiliti dalla regolamentazione 
italiana in funzione delle caratteristiche del mercato italiano, dal 
prestare temporaneamente i propri servizi in Italia, ovvero dallo stabilirsi in 
tale Stato. 
Infine, la rigidit� del sistema di tarifficazione italiano impedisce all'avvocato 
(incluso quello stabilito all'estero) di fare offerte ad hoc in situazioni 
e/o a clienti particolari. Ad esempio, offrire un pacchetto di determinati servizi 
legali ad un prezzo fisso. Ovvero offrire un insieme di servizi legali prestati in 
diversi Stati membri ad una tariffa comune. La legislazione italiana pu� dunque 
comportare una perdita di competitivit� da parte di avvocati stabiliti all'estero 
perch� priva gli stessi di efficaci tecniche di penetrazione sul mercato 
legale italiano. 
Inoltre, la misura controversa non appare n� idonea al raggiungimento 
degli scopi di interesse generale indicati dalle autorit� italiane, n� la meno 
restrittiva a tal fine. In particolare, essa non appare idonea al fine di garantire 
l'accesso alla giustizia ai meno abbienti, ovvero a garantire la tutela dei destinatari 
dei servizi legali o ancora ad assicurare il buon funzionamento della 
giustizia. N� appare essa proporzionata visto che esistono altre misure che 
appaiono sensibilmente meno restrittive nei confronti degli avvocati stabiliti 
all'estero, e parimenti (o maggiormente) idonee a conseguire gli scopi di tutela 
invocati dalle autorit� italiane. 
Infine, le autorit� italiane non hanno spiegato se e quali misure alternative, 
e di carattere meno restrittivo nei confronti degli avvocati stabiliti in altri 
Stati membri, siano state esaminate, n� hanno illustrato le ragioni per cui gli 
interessi generali perseguiti non sarebbero gi� tutelati dalle disposizioni che 
regolano la professione forense negli altri Stati membri della Comunit�. 
Intervento orale del Governo italiano* 
Signor Presidente, signori Giudici, signor Avvocato Generale, 
1. Con ricorso per inadempimento, la Commissione chiede alla Corte di 
giustizia di dichiarare che la Repubblica italiana, prevedendo delle disposizioni 
che impongono agli avvocati l�obbligo di rispettare tariffe massime, � venuta 
meno agli obblighi imposti dagli articoli 43 e 49 del trattato CE. 
2. Nella fase orale, il Governo italiano intende innanzitutto ribadire che, 
nell�ordinamento italiano, i massimi tariffari non possono considerarsi inderogabili 
e che pertanto le disposizioni controverse non integrano misure restrittive 
della libert� di stabilimento e della libert� di prestazione dei servizi. 
3. In subordine, il Governo italiano intende contestare la pretesa impos- 
(*) V. memoria di controreplica in Rass. 2009, III, 203-214.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 83 
sibilit� di giustificare dette misure alla luce degli obiettivi di garantire l�accesso 
alla giustizia in Italia, la tutela dei destinatari e la buona amministrazione della 
giustizia. 
4. Partendo dalla prima questione, va ricordato che, nel corso della procedura 
di infrazione, iniziata ormai quasi cinque anni fa, la commissione ha 
progressivamente assestato, correggendo il tiro, il raggio delle presunte incompatibilit� 
della normativa italiana rispetto alle richiamate norme del trattato 
ed alle direttive applicative dei relativi principi all�esercizio della professione 
forense. 
5. Inizialmente, con la lettera di costituzione in mora del 13 luglio 2005, 
la non conformit� al diritto comunitario � stata contestata con riferimento alle 
tariffe minime e massime per le sole attivit� stragiudiziali e solo con riferimento 
all�art. 49 CE. 
6. Con la costituzione in mora complementare del 23 dicembre 2005, la 
procedura si � estesa anche alle tariffe per l�attivit� giudiziale ed altres� in relazione 
alla presunta violazione dell�art. 43 CE; inoltre � stata contestata l�incompatibilit� 
della normativa italiana in relazione alla mancata considerazione 
degli effetti indotti dalla presenza di un avvocato locale. 
7. Come � noto, nel corso della procedura, il Governo italiano ha adottato 
il c.d. decreto Bersani del 2006 (D.L. n. 223 del 2006 convertito in legge n. 
248 del 2006) che, tra le altre liberalizzazioni, ha abrogato i minimi tariffari 
inderogabili. 
8. Con la seconda lettera di costituzione in mora complementare del 23 
marzo 2007, la procedura si � quindi ridotta alla contestazione delle sole tariffe 
massime. 
9. Infine, con il parere motivato del 3 aprile 2008, la Commissione ha altres� 
abbandonato, restringendo ulteriormente l�ambito della procedura, la contestazione 
attinente alla mancata considerazione degli effetti indotti dalla 
presenza di un avvocato locale. 
10. Va dunque dato atto del venir meno dell�oggetto principale del ricorso 
per inadempimento inizialmente incentrato, per la stragrande maggioranza 
degli argomenti, sulla illegittimit� dei minimi di tariffa inderogabili ed ormai 
sostanzialmente svuotato di contenuto a seguito della suddetta modifica normativa. 
11. Come si � gi� sottolineato nella fase scritta, prima del decreto Bersani, 
l�inderogabilit� delle tariffe a pena di nullit� era prevista dall�ordinamento italiano 
esclusivamente per le tariffe minime ed in particolare dall�art. 24 della 
legge n. 794 del 1942 e dal decreto ministeriale sulle tariffe forensi n. 127 del 
2004, diviso in tre Capitoli, rispettivamente, per le prestazioni civili, penali e 
stragiudiziali e precisamente dall�art. 4, comma 1 del Capitolo I, dall�art. 1, 
comma 5 del Capitolo II e dall�art. 9 del Capitolo III. 
12. Le tariffe massime non sono invece mai state qualificate da alcuna
84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
norma di legge come inderogabili, obbligatorie o vincolanti. 
13. Sul punto, quindi, il decreto Bersani non ha apportato alcuna modifica, 
essendo sempre stato possibile superare le tariffe massime, sia per volont� 
delle parti, che rimane il primo criterio di determinazione del compenso professionale 
ai sensi dell�art. 2233 del codice civile, sia per determinazione del 
giudice. 
14. E� vero che il decreto Bersani ha fatto salve �le eventuali tariffe massime 
prefissate in via generale a tutela degli utenti� ma poich� � stata contestualmente 
abrogata �l�obbligatoriet� di tariffe fisse o minime� non pu� che 
concludersi che le tariffe massime mantenute in vigore abbiano conservato il 
loro carattere non obbligatorio ma meramente indicativo e pacificamente derogabile. 
15. La tariffa professionale costituisce quindi un criterio sussidiario, utilizzabile 
solo in mancanza di pattuizione tra le parti e finalizzata comunque 
ad orientare il giudice nella liquidazione del compenso. 
16. Anche l�art. 61, comma 2 del R.D. n. 1578 del 1933 prevede che 
l�onorario dell�avvocato, salvo patto speciale, � determinato sulla base delle 
tariffe e �pu� essere anche maggiore di quello liquidato a carico della parte 
condannata alle spese� in relazione �alla specialit� della controversia o al 
pregio o al risultato dell�opera prestata�. 
17. La liquidazione del giudice non � quindi vincolante nei rapporti 
cliente-avvocato, potendo le parti concordemente superare l�importo liquidato 
sulla base delle tariffe forensi. 
18. Il decreto Bersani ha altres� abrogato il divieto di pattuire compensi 
parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti ed � quindi incontestabile, 
anche sotto tale profilo, la possibilit� di superare i massimi tariffari 
con il c.d. patto di quota lite in cui il compenso, stabilito in percentuale sul risultato 
della lite, � determinato sulla base di un metodo di calcolo forfetario 
che prescinde del tutto dalle diverse voci della tariffa. 
19. Peraltro, il superamento del tetto massimo della tariffa era comunque 
gi� consentito in tutte le cause di particolare importanza, complessit� o difficolt� 
per le questioni giuridiche trattate, e quindi tutt�altro che in ipotesi limitate 
o eccezionali. 
20. Infatti, le parti possono stabilire, senza alcun necessario parere del 
Consiglio dell�ordine, l�aumento fino al doppio dei massimi di tariffa per la 
materia civile (art. 5, comma 2 del Capitolo I) e fino al quadruplo per la materia 
penale (art. 1, comma 2 del Capitolo II del D.M. 8 aprile 2004 n. 127). 
21. Il previo parere del Consiglio dell�ordine � invece richiesto, in caso 
di straordinaria importanza della controversia per la materia civile (art. 5, 
comma 3 del Capitolo I) e stragiudiziale (art. 1, comma 3 del Capitolo III), 
per aumentare il compenso fino al quadruplo nonch�, in caso di manifesta 
sproporzione tra la prestazione professionale e l�onorario previsto dalla ta-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 85 
riffa, per aumentare il compenso anche oltre tale limite (art. 4, comma 2 del 
Capitolo I, art. 1, comma 3 del Capitolo II e art. 9 del Capitolo III). 
22. Ricorrendo tali circostanze, dunque, il massimo tariffario pu� essere 
superato senza alcun limite. 
23. Il Legislatore italiano ha abrogato l�obbligatoriet� delle sole tariffe 
minime e non anche di quelle massime perch� solo le prime erano espressamente 
inderogabili a pena di nullit�. 
24. E� quindi del tutto erroneo asserire che il sistema italiano fissa tariffe 
massime inderogabili, e in tal modo toglie alle parti il potere di pattuire convenzionalmente 
un corrispettivo diverso e al giudice il potere di vagliare liberamente 
la congruit� del corrispettivo. 
25. Si � visto che, al contrario, le parti possono liberamente pattuire qualsiasi 
corrispettivo anche eccedente i massimi. La tariffa viene in considerazione 
in via sussidiaria, cio� soltanto se le parti non abbiano pattuito alcun 
corrispettivo. Il giudice, poi, nello stabilire il corrispettivo allorch� non vi sia 
accordo delle parti, � del tutto libero di derogare al tetto massimo, purch� motivi 
adeguatamente il proprio convincimento. 
26. Quanto alla giurisprudenza comunitaria, la sentenza Amok (sentenza 
del 11 dicembre 2003, causa C-289/02) ha affermato un principio particolarmente 
calzante rispetto alla fattispecie oggi in esame. 
27. La Corte ha infatti chiarito che, alla luce dell�art. 49 CE, non � escluso 
che la fissazione di un tetto massimo alle spese rimborsabili di un avvocato 
stabilito in uno Stato membro sino alla concorrenza di quelle applicabili agli 
avvocati stabiliti in un altro Stato membro possa, quando le spese sono superiori 
a quelle risultanti dalla tariffa di quest�ultimo Stato, essere tale da rendere 
meno attrattiva la prestazione transfrontaliera di servizi legali. 
28. Tuttavia, l�art. 50, terzo comma CE prevede che il prestatore transfrontaliero 
possa esercitare la sua attivit� nel paese destinatario �alle stesse 
condizioni imposte dal paese stesso ai propri cittadini�. 
29. In proposito, l�art. 4 della direttiva 77/49/CEE dispone che la rappresentanza 
in giudizio di un cliente nello Stato ospitante va esercitata �alle condizioni 
previste per gli avvocati stabiliti in questo Stato, ad esclusione di ogni 
condizione di residenza o d�iscrizione ad un�organizzazione professionale 
nello stesso Stato�. 
30. Ne discende, come osservato dalla Corte nella citata sentenza Amok, 
che, secondo il legislatore comunitario, fatte salve le due suddette eccezioni 
espressamente menzionate, tutte le altre condizioni e norme vigenti nel paese 
ospitante si possono applicare alle prestazioni di avvocato transfrontaliere. 
31. Pertanto, il rimborso delle spese di un avvocato stabilito in uno Stato 
membro pu� anch�esso essere assoggettato alle regole applicabili agli avvocati 
in un altro Stato membro. Tale soluzione � peraltro l�unica che rispetti il principio 
di prevedibilit� e dunque di certezza del diritto per la parte che avvia
86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
una controversia e corre quindi il rischio di sopportare le spese del suo avversario 
in caso di soccombenza (punto 30). 
32. Si ricorda che, con la sentenza Amok la Corte di giustizia ha chiaramente 
escluso che violasse l�art. 49 CE la normativa tedesca in base alla quale 
la parte vittoriosa in una controversia ha diritto di vedersi rimborsare le spese 
legali dalla parte soccombente, nei limiti in cui tali spese siano state necessarie 
a promuovere la causa o a difendersi adeguatamente in giudizio. 
33. In particolare, nella fattispecie, una societ� austriaca, vittoriosa in una 
controversia svoltasi in Germania contro una societ� tedesca, si � vista negare 
le spese calcolate in base alla tariffa forense austriaca, considerevolmente superiori 
a quelle risultanti dall�applicazione della tariffa tedesca. 
34. La previsione di una tariffa massima nella normativa tedesca non � 
quindi stata ritenuta tale da violare il principio di libera prestazione dei servizi 
nel territorio dell�Unione. 
35. Va inoltre ricordato che, sin dalla sentenza Klopp (sentenza 12 luglio 
1984, Causa C-107/83) la Corte di giustizia ha precisato, per quanto riguarda 
gli avvocati, che in mancanza di norme comunitarie specifiche in materia, ciascuno 
Stato membro rimane, in linea di principio, libero di disciplinare l�esercizio 
della professione d�avvocato nel proprio territorio (punto 17). 
36. La sentenza Wouters (del 19 febbraio 2002, causa C-309/99) ha 
quindi ribadito che le norme applicabili a tale professione possono differire 
notevolmente da uno Stato membro all�altro (punto 99). 
37. Per quanto riguarda inoltre la sentenza Cipolla (del 5 dicembre 2006, 
cause riunite C-94/04 e C-202/04), va precisato che in quel caso la Corte si � 
occupata della legislazione italiana previgente ed esclusivamente con riferimento 
agli onorari minimi. 
38. Si ritiene quindi che le considerazioni contenute nella predetta sentenza 
possano solo in parte applicarsi al caso di specie, attesa la modifica del 
quadro normativo e considerato l�oggetto residuo del ricorso per inadempimento, 
attinente esclusivamente ai massimi tariffari. 
39. Interessanti sono le conclusioni dell�Avvocato generale M. Poiares 
Maduro, depositate nella causa Cipolla il 1� febbraio 2006, anteriormente alla 
predetta modifica normativa. 
40. Al punto 90, l�Avvocato generale osserva, a proposito della sentenza 
Amok, che mentre la determinazione di un onorario massimo da porre a carico 
della parte soccombente, come previsto dalla normativa tedesca, consente effettivamente 
di accrescere la certezza del diritto, non si pu� dire lo stesso 
di una norma che preveda un onorario minimo, potendo per definizione gli 
avvocati determinare il proprio onorario al di sopra di tale importo. 
41. Quindi, ove l�Avvocato generale avesse dovuto trarre le proprie conclusioni 
alla luce della vigente normativa, che non prevede pi� tariffe minime 
inderogabili ma solo tariffe massime, peraltro, derogabili, non avrebbe potuto
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 87 
che ritenere la piena conformit� della legislazione italiana al principio di libera 
circolazione dei servizi. 
42. Va comunque sottolineato che la predetta sentenza Cipolla non solo 
ha ritenuto la normativa italiana che stabiliva un limite tariffario minimo inderogabile 
conforme alle regole della concorrenza (punto 54) ma, con riferimento 
all�art. 49, ha ritenuto che la tutela dei consumatori e della buona 
amministrazione della giustizia rientrano tra i motivi imperativi di interesse 
pubblico in grado di giustificare una restrizione della libera prestazione dei 
servizi (punto 64). 
43. La Corte ha altres� affermato che spetta al giudice nazionale determinare 
se, nella causa principale, la restrizione della libera prestazione dei servizi 
creata dalla normativa nazionale rispetti tali condizioni, tenendo conto del 
contesto del mercato italiano, caratterizzato dalla presenza di un numero estremamente 
elevato di avvocati (punto 65). 
44. La Corte ha quindi ammesso che, in linea di principio, il mantenimento 
di minimi tariffari inderogabili possa essere strumentale a garantire la 
qualit� delle prestazioni, demandando al giudice nazionale di verificare, anche 
alla luce della concreta situazione della professione in Italia, se la disapplicazione 
generalizzata dei minimi tariffari possa comportare il rischio di incidere 
negativamente sul livello dei servizi prestati dagli avvocati, stimolando la concorrenza 
sui prezzi a discapito di quella sugli aspetti qualitativi dell�attivit� 
professionale. 
45. In questa sede, invece, la Commissione sembra voler chiedere alla 
Corte di accertare essa stessa, in astratto, con riferimento ai massimi tariffari, 
ci� che nella predetta sentenza � stato invece ritenuto di pertinenza del giudice 
nazionale, che deve e pu� operare un accertamento in concreto. 
46. Come si � detto, inoltre, la citata sentenza � intervenuta su un quadro 
normativo ormai radicalmente mutato, che ha espunto l�inderogabilit� delle 
tariffe minime o fisse, che ha eliminato il divieto di parametrare il compenso 
al raggiungimento di un esito positivo della lite e che ha abrogato il divieto di 
svolgere pubblicit� informativa, con l�intento di ridurre l��asimmetria informativa� 
che caratterizza il rapporto cliente-avvocato. 
47. Il Governo italiano ritiene quindi che la previsione di limiti tariffari 
massimi non costituisca una misura restrittiva della libert� di stabilimento e 
della libert� di prestazione dei servizi. 
48. Venendo alla seconda parte di questa esposizione orale, il Governo 
italiano deduce, in via del tutto subordinata, che anche laddove si volesse sostenere 
che detta previsione costituisca una misura restrittiva ai sensi degli articoli 
43 e 49 CE, la stessa sarebbe pienamente giustificabile conformemente 
alla giurisprudenza comunitaria. 
49. La Corte di giustizia, con le sentenze Reiseb�ro Broede (del 12 dicembre 
1996, causa C-3/95, punto 28), Gebhard (del 30 novembre 1995, causa
88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
C-55/94, punto 37) e Saeger (del 25 luglio 1991, causa C-76/90, punto 15) ha 
infatti da tempo affermato che una misura restrittiva della libera prestazione 
dei servizi pu� giustificarsi ove ricorrano quattro condizioni: che essa si applichi 
in modo non discriminatorio; che sia giustificata da motivi imperativi 
di interesse pubblico; che sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo 
perseguito e che non vada oltre quanto necessario per il suo raggiungimento. 
50. Alla luce di tali principi, la fissazione di massimi tariffari appare pienamente 
giustificata, in quanto applicata in modo non discriminatorio sia agli 
avvocati italiani che agli avvocati comunitari nonch� idonea allo scopo e non 
esorbitante dalle finalit� perseguite di garantire l�accesso alla giustizia in Italia, 
la tutela dei destinatari e la buona amministrazione della giustizia. 
51. Con la citata sentenza Wouters, la Corte ha gi� affermato che la peculiare 
natura dell�attivit� degli avvocati giustifica misure nazionali restrittive 
della libert� di prestazione dei servizi e della stessa libert� di stabilimento, 
quali quella di vietare qualsiasi rapporto di collaborazione integrata tra gli avvocati 
e i revisori dei conti, in quanto ragionevolmente necessarie al buon esercizio 
della professione di avvocato cos� come organizzata nel paese interessato. 
52. La fissazione di massimi tariffari, appare una misura di gran lunga 
meno incisiva di quella esaminata nella sentenza Wouters in relazione alla legislazione 
olandese e pur ritenuta giustificata da motivi di interesse pubblico. 
53. Per quanto riguarda in primo luogo l�obiettivo di garantire l�accesso 
alla giustizia in Italia, si � dimostrato, nella fase scritta, l�insufficienza a tal 
uopo delle disposizioni sul gratuito patrocinio, che presuppone limiti di reddito 
talmente bassi (poco pi� di � 10.000 lordi annui) da escludere dalla sua fruizione 
la stragrande maggioranza dei cittadini, limitandone inoltre l�accesso a 
chi non vanti una pretesa manifestamente infondata. 
54. Va ricordato, al riguardo che il diritto di difesa costituisce un diritto 
fondamentale sia per l�ordinamento nazionale (art. 24 Costituzione) che per 
quello sopranazionale (art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell�uomo), 
dovendo lo Stato assicurare l�uguaglianza nell�accesso alla giustizia non solo 
a tutti i cittadini ma anche in relazione ad ogni tipologia di controversia. 
55. Per quanto riguarda i rapporti business to business, nulla vieta ai 
clienti che possano permettersi tariffe pi� elevate, per ottenere un servizio pi� 
complesso e qualificato, di concludere un accordo in tal senso, espressamente 
consentito dall�art. 2233 c.c., nel pieno rispetto della loro autonomia contrattuale.
56. Per quanto riguarda, in secondo luogo, l�obiettivo di garantire la tutela 
dei destinatari dei servizi, si osserva che tutti gli strumenti alternativi, 
ritenuti dalla Commissione meno restrittivi del principio della libera prestazione 
dei servizi e del diritto di stabilimento, sono gi� previsti dall�ordinamento 
italiano. 
57. La rigorosa selezione dei candidati in sede di esame di abilitazione
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 89 
alla professione forense, che presuppone anche la conoscenza delle regole di 
deontologia professionale, � per� condizione necessaria ma non sufficiente a 
scongiurare fatturazioni eccessive. 
58. La possibilit� di contestare gli onorari ritenuti abusivi innanzi al Consiglio 
dell�ordine degli avvocati o l�azionabilit� del risarcimento del danno 
per effetto di fatturazioni illecite costituiscono entrambi rimedi successivi, 
come tali inidonei a prevenire la produzione del danno e maggiormente onerosi 
rispetto alla tutela offerta dalla preventiva fissazione per legge di tetti massimi, 
anche tenuto conto della difficolt� per il cliente di valutare, in assenza di parametri 
di riferimento, l�eccessivit� della pretesa. 
59. Per quanto riguarda, in terzo luogo, l�esigenza di garantire la buona 
amministrazione della giustizia, si osserva che la prevedibilit� del costo della 
prestazione, ed in particolare delle spese legali che si pu� essere condannati a 
rifondere all�avversario in caso di soccombenza � a prescindere dal compenso 
dovuto al proprio avvocato che rimane autonomamente concordabile - pu� essere 
assicurata solo mediante la predisposizione di tariffe massime che garantiscono, 
con una certa approssimazione, una previsione del costo da sostenere. 
60. La tariffa forense costituisce quindi una obiettiva base di riferimento 
sia per il giudice, sia per le parti nei rapporti con i loro avvocati. 
61. Da tutto quanto sopra, emerge che la fissazione di limiti massimi nelle 
tariffe forensi costituisce una misura necessaria ed idonea allo scopo di garantire 
imperativi motivi di interesse pubblico quali l�accesso alla giustizia da 
parte di tutti i cittadini, la tutela dei destinatari dei servizi e la buona amministrazione 
della giustizia. 
62. Si richiamano le conclusioni gi� rassegnate nella memoria di controreplica. 
Lussemburgo, 23 marzo 2010 Avv. Wally Ferrante
90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Causa C-452/09 - Materia trattata: libert� di stabilimento - Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di Appello di Firenze (Italia) 
il 18 novembre 2009 - Tonina Enza Iaia, Andrea Moggio, Ugo Vassalle/Ministero 
dell'Istruzione, dell'Universit� e della Ricerca, Ministero dell'Economia 
e delle Finanze, Universit� di Pisa (avv. Stato W. Ferrante - AL 2207/10 - Decorrenza 
del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno per 
tardiva e/o inesatta trasposizione di direttiva comunitaria (82/76/CEE in tema 
di medici specializzandi)). 
Questioni pregiudiziali 
1) Se sia compatibile con l'ordinamento comunitario che lo Stato italiano 
possa legittimamente eccepire la prescrizione quinquennale o decennale ordinaria 
di un diritto nascente dalla direttiva CE n. 76/1982 per il periodo antecedente 
la prima legge attuativa italiana, senza con ci� impedire definitivamente 
l'esercizio del suddetto diritto avente natura retributiva/alimentare, o in subordine 
l'esercizio di una azione risarcitoria/indennitaria; 
2) Se, viceversa, sia compatibile con l'ordinamento comunitario che ogni 
eccezione di prescrizione sia preclusa perch� definitivamente ostativa all'esercizio 
del suddetto diritto; 
3) Oppure se sia compatibile con l'ordinamento comunitario che ogni eccezione 
di prescrizione sia preclusa fino all'accertamento della violazione comunitaria 
da parte della CdG (nella specie fino al 1999); 
4) Oppure se sia compatibile con l'ordinamento comunitario che ogni eccezione 
di prescrizione sia comunque preclusa fino alla corretta e compiuta 
trasposizione della direttiva che ha riconosciuto il diritto, nella legislazione 
nazionale (nella specie mai intervenuto) come previsto dalla sentenza Emmot. 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana 
1. Con l�ordinanza [del 6 ottobre 2009, depositata il 20 ottobre 2009 della 
Corte d�appello di Firenze - Italia], � stato chiesto alla Corte di Giustizia dell�Unione 
europea di pronunciarsi, ai sensi dell�art. 234 del Trattato CE, sulle 
[suesposte] questioni pregiudiziali. 
Fatti di causa 
2. La domanda pregiudiziale trae origine da una controversia instaurata 
il 23 novembre 2001 da tre ricorrenti, medici specializzandi che hanno frequentato 
i corsi universitari di specializzazione nel periodo intercorrente tra 
l�anno accademico 1983/84 e l�anno accademico 1990/91, nei confronti del 
Ministero dell�Istruzione, Universit� e Ricerca, del Ministero dell�Economia 
e Finanze e dell�Universit� degli Studi di Pisa, avente ad oggetto la domanda 
volta ad ottenere il pagamento della somma di lire 21.500.00 (� 11.103,82)
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 91 
per ciascun anno di corso a titolo di �remunerazione dell�attivit� svolta� sulla 
base della direttiva 82/76/CEE o, in subordine, il risarcimento del danno per 
tardivo e/o inesatto recepimento nell�ordinamento italiano della predetta direttiva, 
nella misura di lire 80.000.000 (� 41.316,55). 
3. Il Tribunale di Firenze ha respinto entrambe le pretese, accogliendo 
l�eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dalle amministrazioni convenute 
sia con riferimento all�art. 2948, n. 4 del codice civile (di seguito c.c.) 
in relazione alla domanda volta ad ottenere il corrispettivo per l�attivit� svolta, 
sia con riferimento all�art. 2947 c.c. in relazione alla domanda risarcitoria. 
4. La Corte d�appello di Firenze, adita dagli originari ricorrenti, chiede 
in sostanza alla Corte di giustizia se sia conforme al diritto comunitario la possibilit� 
per lo Stato italiano di eccepire la prescrizione quinquennale o decennale 
del diritto nascente dalla direttiva 82/76/CEE per il periodo antecedente 
la prima legge attuativa italiana (decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257) e, 
in caso positivo, se il termine di prescrizione debba decorrere solo dall�accertamento 
della violazione comunitaria da parte della Corte di giustizia (1999) 
o addirittura non debba decorrere fino alla corretta trasposizione della direttiva 
nell�ordinamento nazionale, nella specie, secondo il giudice remittente, mai 
avvenuta. 
Irricevibilit� dell�intervento 
5. Preliminarmente va eccepita l�irricevibilit� dell�atto di intervento del 
dr. Massimo Bondanini, del Dr. Guido Calzia e del CODACONS, notificato 
in data 11 marzo 2010 alle parti in causa presso l�Avvocatura dello Stato, in 
quanto soggetti diversi da quelli tassativamente indicati dall�art. 28 dello Statuto 
della Corte di giustizia quali parti del giudizio ex art. 234 CE. 
La normativa comunitaria rilevante 
6. La direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, 75/362/CEE (c.d. direttiva 
riconoscimento), mira al riconoscimento reciproco dei diplomi, certificati e 
altri titoli di medico e comporta misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo 
del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. 
7. La direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, 75/363/CEE (c.d. direttiva 
coordinamento), mira invece al coordinamento delle disposizioni legislative, 
regolamentari ed amministrative attinenti alle attivit� di medico. 
8. Entrambe le suddette direttive sono state modificate dalla direttiva del 
Consiglio del 26 gennaio 1982, 82/76/CEE. 
9. Per quanto riguarda il riconoscimento dei diplomi di specialista la direttiva 
�riconoscimento� distingue tre ipotesi. Allorch� la specializzazione di 
cui si tratta � comune a tutti gli Stati membri e compare nell'elenco di cui all'art. 
5, n. 2, della stessa direttiva, il riconoscimento � automatico (art. 4). Qualora 
la specializzazione sia propria a due o pi� Stati membri e sia menzionata
92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
all'art. 7, n. 2, il riconoscimento � automatico tra di loro (art. 6). Infine, l'art. 
8 dispone che, per le specializzazioni che non compaiono nell'elenco di cui 
all'art. 5 n� in quello di cui all'art. 7, lo Stato membro ospitante potr� esigere 
dai cittadini degli altri Stati membri che soddisfino le condizioni di formazione 
previste a tal fine dal suo diritto interno, tenendo conto tuttavia dei periodi di 
formazione compiuti da tali cittadini e sanzionati da un titolo di studio rilasciato 
dalle competenti autorit� dello Stato membro d'origine o di provenienza 
quando tali periodi corrispondono a quelli richiesti nello Stato membro ospitante 
per la specializzazione in questione. 
10. La direttiva �coordinamento� prevede, ai fini del riconoscimento reciproco 
dei diplomi di medico specialista, una certa armonizzazione dei presupposti 
attinenti alla formazione e all'accesso alle varie specializzazioni 
mediche. 
11. Al riguardo, l�art. 2, n. 1, della predetta direttiva, come modificato 
dall'art. 9 della direttiva 82/76/CEE, dispone che la formazione che permette 
il conseguimento di un diploma, certificato o altro titolo di medico specialista 
deve soddisfare le condizioni ivi menzionate. E� richiesto in particolare, alla 
lett. c), che la formazione si svolga �a tempo pieno e sotto il controllo delle 
autorit� o degli enti competenti, conformemente al punto 1 dell'allegato�. 
12. Ai sensi dell�art. 3 della direttiva �coordinamento�, come modificato 
dall�art. 10 della direttiva 82/76/CEE, fermo restando il principio della formazione 
a tempo pieno, enunciato nell�art. 2, n.1, lettera c), �gli Stati membri 
possono autorizzare una formazione specializzata a tempo ridotto, alle condizioni 
ammesse dalle autorit� nazionali competenti, quando, per casi singoli 
giustificati, non sia realizzabile una formazione a tempo pieno�. (evidenza 
aggiunta). 
13. L'allegato alla direttiva �coordinamento�, aggiunto dall'art. 13 della 
direttiva 82/76/CEE recante �Caratteristiche della formazione a tempo pieno 
e della formazione a tempo ridotto dei medici specialisti�, dispone quanto 
segue: 
�1. Formazione a tempo pieno dei medici specialisti 
Essa si effettua in posti di formazione specifici riconosciuti dalle autorit� 
competenti. 
Essa implica la partecipazione alla totalit� delle attivit� mediche del 
servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che 
lo specialista in via di formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica 
tutta la sua attivit� professionale per l'intera durata della normale settimana 
lavorativa e per tutta la durata dell'anno, secondo le modalit� fissate dalle 
autorit� competenti. Tale formazione forma pertanto oggetto di una adeguata 
rimunerazione. 
La formazione pu� essere interrotta per motivi quali servizio militare, 
missioni scientifiche, gravidanza, malattia. La durata totale della formazione
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 93 
non pu� essere ridotta a causa delle interruzioni. 
2. Formazione a tempo ridotto dei medici specialisti 
Essa risponde alle stesse esigenze della formazione a tempo pieno, dalla 
quale si distingue unicamente per la possibilit� di limitare la partecipazione 
alle attivit� mediche ad una durata corrispondente perlomeno alla met� di 
quella prevista al punto 1, secondo comma. 
Le autorit� competenti vigilano affinch� la durata totale e la qualit� della 
formazione a tempo ridotto degli specialisti non siano inferiori a quelle della 
formazione a tempo pieno. 
Tale formazione a tempo ridotto forma quindi oggetto di una rimunerazione 
adeguata� (evidenza aggiunta). 
14. Gli artt. 4 e 5 della direttiva �coordinamento� stabiliscono la durata 
minima delle formazioni specialistiche che permettono il conseguimento dei 
diplomi, certificati o altri titoli previsti dagli artt. 5 e 7 della direttiva �riconoscimento� 
e che sono comuni a tutti gli Stati membri o a due o pi� di essi. 
15. L'art. 16 della direttiva 82/76/CEE dispone che gli Stati membri mettono 
in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie 
per conformarsi alla direttiva entro e non oltre il 31 dicembre 1982. 
16. Successivamente ai fatti che hanno dato origine alla causa principale, 
le direttive �riconoscimento�, �coordinamento� e 82/76/CEE sono state abrogate 
e sostituite dalla direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/16/CEE, tesa 
ad agevolare la libera circolazione dei medici e il reciproco riconoscimento 
dei loro diplomi, certificati ed altri titoli. 
17. Tale direttiva non ha apportato innovazioni di rilievo per quanto qui 
interessa, limitandosi a riaffermare il principio della adeguata remunerazione 
dei medici specializzandi. 
La normativa nazionale 
18. Le direttive �riconoscimento� e �coordinamento� sono state trasposte 
nell�ordinamento italiano con la legge 22 maggio 1978, n. 217. 
19. La direttiva 82/76/CEE non � stata recepita nel termine del 31 dicembre 
1982. 
20. Con sentenza 7 luglio 1987, causa C-49/86, Commissione/Italia, la 
Corte di giustizia ha dichiarato che la Repubblica italiana, non avendo adottato 
nel termine prescritto le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva 
82/76/CEE, era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del 
Trattato CEE. 
21. A seguito di tale sentenza, la predetta direttiva 82/76/CEE � stata trasposta 
con decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257 (pubblicato nella gazzetta 
ufficiale n. 191 del 16 agosto 1991 ed entrato in vigore 15 giorni dopo la data 
della sua pubblicazione). 
22. L�art. 1 del decreto legislativo n. 257/1991 stabilisce che �la forma-
94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
zione specialistica dei medici ammessi alle scuole universitarie di specializzazione 
in medicina e chirurgia, di tipologia e durata conformi alle norme 
della comunit� economica europea e comuni a due o pi� Stati membri, si 
svolge a tempo pieno�(evidenza aggiunta). 
23. Lo Stato italiano non ha quindi ritenuto di avvalersi della facolt� contemplata 
all�art. 10 della direttiva 82/76/CEE di autorizzare una formazione 
specializzata a tempo ridotto. 
24. L'art. 4 del decreto legislativo n. 257/1991 determina inoltre i diritti 
e i doveri dei medici specializzandi ed in particolare, al comma 1, stabilisce 
che �la formazione del medico specialista a tempo pieno implica la partecipazione 
alla totalit� delle attivit� mediche del servizio di cui fanno parte le 
strutture nelle quali essa si effettua, ivi comprese le guardie e l�attivit� operatoria 
per le discipline chirurgiche, nonch� la graduale assunzione dei compiti 
assistenziali in modo che lo specializzando dedichi alla formazione 
pratica e teorica tutta la sua attivit� professionale per l�intero anno�(evidenza 
aggiunta). 
25. L�art. 5 prevede inoltre l�esclusivit� del rapporto e l�incompatibilit� 
con altre attivit� disponendo che �per la durata della formazione a tempo 
pieno � inibito l�esercizio di attivit� libero-professionali esterne alle strutture 
assistenziali in cui si effettua la specializzazione ed ogni rapporto anche convenzionale 
o precario con il Servizio sanitario nazionale� (evidenza aggiunta). 
26. L�art. 6 del predetto decreto legislativo istituisce poi una borsa di studio 
in favore dei medici specializzandi, stabilendo, al comma 1 che �agli ammessi 
alle scuole di specializzazione (...) in relazione all'attuazione 
dell'impegno a tempo pieno per la loro formazione, � corrisposta, per tutta la 
durata del corso, ad esclusione dei periodi di sospensione della formazione 
specialistica, una borsa di studio determinata per l'anno 1991 in lire 
21.500.000. Tale importo viene annualmente, a partire dal 1� gennaio 1992, 
incrementato dal tasso programmato di inflazione ed � rideterminato ogni 
triennio, con decreto del Ministro della Sanit� (...) in funzione del miglioramento 
stipendiale tabellare minimo previsto dalla contrattazione relativa al 
personale medico dipendente dal Servizio sanitario nazionale� (evidenza aggiunta). 
27. Infine, l'art. 8, n. 2, dello stesso decreto precisa che le sue disposizioni 
si applicano a decorrere dall'anno accademico 1991/92. 
28. Tale delimitazione temporale ha determinato un folto contenzioso ad 
istanza dei medici specializzandi che hanno frequentato il relativo corso nel 
periodo compreso tra l�anno accademico 1983/84 e l�anno accademico 
1990/1991, all�esito del quale il Tribunale Amministrativo Regionale del 
Lazio, con diverse sentenze emesse nel 1994, ha disapplicato il decreto legislativo 
n. 257/1991 nella parte in cui riserva l�applicazione dell�ordinamento 
comunitario ai soli medici ammessi alle scuole di specializzazione nell�anno
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 95 
accademico 1991/1992, lasciando sopravvivere il precedente regime per le 
specializzazioni gi� in corso. 
29. A seguito di tali sentenze, il legislatore italiano ha adottato l�art. 11 
della legge 19 ottobre 1999, n. 370, recante �Corresponsione di borse di studio 
agli specializzandi medici ammessi alle scuole negli anni 1983-1991� che dispone: 
�1. Ai medici ammessi presso le universit� alle scuole di specializzazione 
in medicina dall'anno accademico 1983-1984 all'anno accademico 1990- 
1991, destinatari delle sentenze passate in giudicato del tribunale amministrativo 
regionale del Lazio (sezione I-bis), numeri 601 del 1993, 279 del 1994, 
280 del 1994, 281 del 1994, 282 del 1994, 283 del 1994, tenendo conto dell'impegno 
orario complessivo richiesto agli specializzandi dalla normativa 
vigente nel periodo considerato, nonch� del tempo trascorso, il Ministero dell'universit� 
e della ricerca scientifica e tecnologica corrisponde per tutta la 
durata del corso una borsa di studio annua onnicomprensiva di lire 
13.000.000. Non si d� luogo al pagamento di interessi legali e di importi per 
rivalutazione monetaria. 
2. Il diritto alla corresponsione della borsa di studio � subordinato all'accertamento 
da parte del Ministero dell'universit� e della ricerca scientifica 
e tecnologica delle seguenti condizioni: 
a) frequenza di un corso di specializzazione in base alla normativa prevista 
dal decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, per 
l'intera durata legale del corso di formazione; 
b) impegno di servizio a tempo pieno, attestato dal direttore della scuola 
di specializzazione; 
c) mancato svolgimento per tutta la durata del corso di specializzazione 
di qualsiasi attivit� libero-professionale esterna, nonch� di attivit� lavorativa 
anche in regime di convenzione o di precariet� con il Servizio sanitario nazionale. 
3. Non pu� essere corrisposta la borsa di studio per gli anni in cui ne � 
stata percepita un'altra, a qualsiasi titolo e per qualsiasi importo, quale che 
sia il soggetto erogatore. � escluso dalla borsa di studio di cui al comma 1: 
a) chi non abbia concluso il corso di specializzazione, ovvero non abbia 
recuperato i periodi di sospensione di cui all'articolo 5, comma 3, del decreto 
legislativo 8 agosto 1991, n. 257; 
b) chi abbia sospeso la frequenza dei corsi per motivi diversi da quelli 
previsti dalla lettera a). 
4. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, 
con decreto del Ministro dell'universit� e della ricerca scientifica e tecnologica, 
da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono determinati il termine entro 
il quale, a pena di decadenza, deve essere trasmessa l'istanza di corresponsione 
delle borse di studio previste dal presente articolo, lo scaglionamento
96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
dei pagamenti, le modalit� di inoltro, di sottoscrizione e di autocertificazione 
secondo la normativa vigente in materia, nonch� l'effettuazione di controlli a 
campione non inferiori al 10 per cento delle istanze presentate. A tale fine � 
autorizzata la spesa di lire 83 miliardi per l'anno 1999, di lire 48 miliardi per 
l'anno 2000 e di lire 25 miliardi per l'anno 2001�. 
30. In esecuzione del comma 4 della predetta norma, � stato adottato il 
decreto ministeriale 14 febbraio 2000, con il quale sono stati determinati i termini 
e le procedure per la corresponsione delle borse di studio. 
31. In esecuzione della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione 
dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri 
titoli, � stato adottato il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 che, all�art. 
39, come successivamente modificato dall�art. 1, comma 300 della legge 23 
dicembre 2005, n. 266, dispone che �al medico in formazione specialistica, 
per tutta la durata legale del corso, � corrisposto un trattamento economico 
annuo onnicomprensivo� che ҏ costituito da una parte fissa, uguale per tutte 
le specializzazioni e per tutta la durata del corso, e da una parte variabile� 
determinata annualmente avuto riguardo preferibilmente al percorso formativo 
degli ultimi tre anni. Detta norma prevede inoltre che il trattamento economico 
� corrisposto mensilmente dalle universit� presso cui operano le scuole di specializzazione 
e stabilisce le modalit� di ripartizione delle risorse per il finanziamento 
della formazione dei medici specialisti. 
32. L�art. 2948, n. 4 c.c. recante �prescrizione di cinque anni� dispone 
che �si prescrivono in cinque anni: � n. 4) gli interessi e in generale, tutto 
ci� che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini pi� brevi�. 
33. L�art. 2947, c.c. recante �prescrizione del diritto al risarcimento del 
danno� dispone, al comma 1, che �il diritto al risarcimento del danno derivante 
da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si � 
verificato�. 
34. L�art. 2946 c.c., recante �prescrizione ordinaria� dispone: �salvi i casi 
in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione 
con il decorso di dieci anni�. 
Sui quesiti posti alla Corte 
35. I quattro quesiti posti dal giudice remittente possono essere affrontati 
unitariamente in quanto strettamente collegati e in parte alternativi l�uno agli 
altri. 
36. Nella sostanza infatti la Corte d�appello di Firenze chiede alla Corte 
di giustizia se possa essere eccepita o meno la prescrizione quinquennale o 
decennale, nella fattispecie di cui alla causa principale e, in caso positivo, con 
quale decorrenza, se dall�accertamento della violazione del diritto comunitario 
da parte della Corte di giustizia (1999 rectius 1987, data della citata sentenza 
7 luglio 1987, causa C-49/86, Commissione/Italia,) o dalla corretta trasposi-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 97 
zione della direttiva nell�ordinamento nazionale, che il giudice remittente ritiene 
non essere mai avvenuta, come previsto dalla sentenza Emmot. 
37. I ricorrenti nella causa principale hanno chiesto sia, in via diretta, il 
corrispettivo per l�attivit� prestata nel periodo antecedente all�anno accademico 
1991/1992 sia, in subordine, il risarcimento del danno per tardiva trasposizione 
della direttiva comunitaria 82/76/CEE. 
38. Con riferimento alla prima domanda, la giurisprudenza italiana � costante 
nell�affermare che tale diritto non possa fondarsi sulla predetta direttiva 
che non reca una precisa quantificazione della remunerazione spettante agli 
specializzandi e prima ancora non individua il soggetto debitore e dunque non 
� immediatamente applicabile (Cass. sez. lavoro, 3 giugno 2009, n. 12814; 
Cass. sez. un. 17 aprile 2009, n. 9147; Cass. sez. lavoro, 18 giugno 2008, n. 
16507; Cass., sez. lavoro, 6 luglio 2002, n. 9842). 
39. Infatti, la Corte di Giustizia con la sentenza del 25 febbraio 1999, C- 
131/97, Carbonari ha statuito che le direttive 75/362/CEE, 75/363/CEE e 
82/76/CEE devono essere interpretate nel senso che �L�obbligo di retribuire 
in maniera adeguata i periodi di formazione dei medici specialisti s�impone 
unicamente per le specialit� mediche comuni a tutti gli Stati membri o a due 
o pi� di essi e menzionate agli artt. 5 o 7 della direttiva del Consiglio 16 giugno 
1975, 75/362/CEE. Tale obbligo � incondizionato e sufficientemente preciso 
nella parte in cui richiede � affinch� un medico specialista possa avvalersi 
del sistema di reciproco riconoscimento istituito dalla direttiva 75/362 � che 
la sua formazione si svolga a tempo pieno e sia retribuita. Il detto obbligo 
non consente tuttavia, di per s�, al giudice nazionale di identificare il debitore 
tenuto a versare la remunerazione adeguata, n� l�importo della stessa� 
(evidenza aggiunta). 
40. Alla luce di tale pronuncia, � stato conseguentemente affermato il carattere 
non self�executing della direttiva comunitaria, prima ed a prescindere 
dal necessario intervento statuale che individuasse il soggetto tenuto al pagamento 
e che determinasse l�entit� della remunerazione, come avvenuto con il 
decreto legislativo n. 257/1991. 
41. La citata sentenza della Corte di cassazione n. 9842/2002 ha infatti 
precisato che: �gli specializzandi in medicina non hanno diritto ad un compenso 
per l�attivit� medica svolta durante la frequenza della scuola di specializzazione, 
poich� la direttiva CE n. 82/76 non era immediatamente 
applicabile nell�ordinamento interno prima di essere recepita dal D. Lgs. n. 
257/1991; pertanto, la domanda relativa non potrebbe in alcun modo essere 
fondata sulla diretta applicazione delle disposizioni comunitarie, poich� queste 
si limitano a prescrivere l�erogazione di una �adeguata remunerazione� 
senza per� procedere ad alcuna quantificazione che viene rimessa alle normative 
nazionali. Ne consegue che non si pu� invocare l�applicazione del 
compenso fissato dal D. Lgs. n. 257/1991 in relazione ad un periodo di ser-
98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
vizio prestato prima della sua entrata in vigore. N� si configura una discriminazione 
tra chi sia entrato nella scuola di specializzazione prima di una 
certa data e chi sia entrato dopo, giacch� non solo i compensi, ma anche 
l�impegno richiesto erano diversamente regolati: infatti, mentre il D. Lgs. 
257/1991 determina i compensi a fronte dell�obbligo del tempo pieno e della 
incompatibilit� con altri incarichi, la normativa precedente (legge n. 
162/1982) prevedeva l�erogazione di borse di studio da mettere a concorso 
per la frequenza ai corsi di specializzazione, ponendo come unica condizione 
un limite reddituale� (evidenza aggiunta). 
42. In particolare, la Suprema Corte, nell�escludere che prima del suo recepimento 
la direttiva 82/76/CEE fosse applicabile nell�ordinamento interno 
e che per il periodo anteriore al recepimento stesso potesse configurarsi un indebito 
arricchimento da parte dell�universit�, ha affermato che le diverse condizioni 
di impegno richieste agli specializzandi iscritti dopo l�anno accademico 
1991/92 rispetto a quelle richieste agli iscritti in epoca anteriore valgono ad 
escludere la violazione del principio di uguaglianza di cui all�art. 3 della Costituzione, 
essendo la maggior retribuzione correlata ad un maggiore impegno. 
43. Anche il Consiglio di Stato (sez. VI, 15 dicembre 1999 n. 2090 ed 
altre) ha negato che la direttiva europea abbia carattere incondizionato e talmente 
preciso da poter essere operante, omisso medio, nel nostro ordinamento, 
tanto da comportare il diritto dei medici che hanno frequentato i corsi di specializzazione 
prima dell�anno accademico 1991/92 a conseguire i correlativi 
emolumenti economici. 
44. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sez. III bis, n. 
1982/02, ha inoltre precisato che: �L�allegato aggiunto alla direttiva 75/363/CEE, 
nel disciplinare le caratteristiche della formazione a tempo pieno e ridotto dei 
medici specialisti, ha prescritto che essa, comportando la partecipazione alla 
totalit� delle attivit� mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, 
comprese le guardie, implica che le sia dedicata tutta l�attivit� professionale 
per l�intera durata dell�anno, secondo le modalit� fissate dalle autorit� competenti. 
Pertanto, solo tale formazione � considerata suscettibile di una adeguata 
remunerazione, dove mancano atti di esecuzione interna che 
riconoscano la retribuibilit� anche dei corsi non conformi alla normativa 
comunitaria. (�) Il riconoscimento di emolumenti in favore dei medici frequentanti 
i corsi di specializzazione, poich� sottoposto da dette direttive a determinate 
condizioni (�), assume quindi carattere incondizionato e 
sufficientemente preciso con riguardo alla retribuibilit�, in astratto, dei corsi 
che si sono svolti nel rispetto delle condizioni previste, ed � invece indiretto e 
strumentale rispetto all�obiettivo principale fissato dalle direttive in questione 
(...) con conseguente libert� per gli Stati membri di decidere autonomamente 
sulla retribuibilit� dei corsi di specializzazione che � pur svolti nel rispetto 
della normativa di cui al D.P.R. 10 marzo1982 n. 162 (che prevede all�art. 11
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 99 
solo la obbligatoriet� della frequenza di detti corsi) e che si sono conclusi con 
il rilascio del diploma ai partecipanti � non abbiano previsto anche il rispetto 
delle caratteristiche della formazione dei medici specialisti prescritte dall�allegato 
aggiunto alla direttiva 75/363/CEE, prima citata. (�) Il beneficio 
invocato dai ricorrenti non pu� quindi derivare direttamente dalla normativa 
comunitaria perch� questa, recepita solo dall�anno accademico 1991/92, lascia 
sopravvivere disposizioni gi� vigenti nel periodo ad esso precedente per 
corsi di specializzazione gi� iniziati�. 
45. Peraltro, anche se si volesse ritenere astrattamente prospettabile simile 
domanda, � comunque in concreto che debbono risultare provate, ed in relazione 
ad ogni medico ricorrente, le condizioni previste dalla direttiva stessa. 
46. In altri termini, una pronuncia affermativa pu� solo conseguire alla 
positiva dimostrazione della piena aderenza della posizione di ciascun ricorrente 
alle prescrizioni individuate dalle direttive, conformemente alle condizioni 
indicate nella sentenza della Corte di Giustizia del 3 ottobre 2000, causa 
C-371/97, Gozza. 
47. In base a tale sentenza, l'obbligo di retribuire in maniera adeguata i 
periodi di formazione �s'impone solo se le condizioni di formazione a tempo 
pieno di cui al punto 1 dell'allegato della direttiva 75/363, come modificata 
dalla direttiva 82/76, o quelle della formazione a tempo ridotto di cui al punto 
2 dell'allegato della direttiva 75/363, come modificata dalla direttiva 82/76, 
sono rispettate dai medici specialisti in formazione�. 
48. In proposito, come gi� ricordato, lo Stato italiano non si � avvalso 
della facolt�, contemplata all�art. 10 della direttiva 82/76/CEE, di autorizzare 
una formazione specializzata a tempo ridotto. 
49. Non si pu� quindi ritenere che dalla frequenza delle scuole disciplinate 
dal vecchio ordinamento (che prevedeva 800 ore annue a fronte delle 38 
ore settimanali, pari a 1800 ore annue, previste dalla nuova disciplina, che 
comprende lo svolgimento di attivit� assistenziali e non solo la partecipazione 
a lezioni teoriche, per giunta con il vincolo di esclusivit�) si possa legittimamente 
dedurre il diritto alla remunerazione determinata con il decreto legislativo 
n. 257/91, posto che la citata sentenza della Corte di Giustizia del 3 ottobre 
2000, causa C-371/97 presuppone l�accertamento delle condizioni che danno 
diritto a tale remunerazione e cio� il tempo pieno, la natura dell�attivit� prestata 
e l�esclusivit� del rapporto. 
50. Quanto alla domanda risarcitoria per tardivo recepimento della direttiva 
comunitaria, si osserva in primo luogo che la causa principale non � stata 
proposta, come in altri consimili casi, nei confronti della Presidenza del Consiglio 
dei Ministri, unico soggetto legittimato a rispondere a tale titolo per lo 
Stato italiano. 
51. Ci� detto, va ricordato che, secondo la giurisprudenza della Corte di 
giustizia (sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Fran-
100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
covich e Bonifaci; sentenza 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93 
Brasserie du P�cheur e Factortame; sentenza 10 luglio 1997, causa C-261/95, 
Palmisani; sentenza 25 febbraio 1999, causa C-131/97, Carbonari; sentenza 
30 settembre 2003, causa C-224/01, K�bler; sentenza 13 giugno 2006, causa 
C-173/03, Traghetti del mediterraneo; ordinanza 23 aprile 2008, causa C- 
201/05, The Test Claimants in the CFC and Dividend Group Litigation) il principio 
della responsabilit� degli Stati per violazione del diritto comunitario, pur 
non essendo espressamente previsto, trova il suo fondamento in due norme 
del Trattato: l�art. 10 che sancisce il principio di leale collaborazione degli 
Stati e l�art. 288 che prevede la responsabilit� extracontrattuale della Comunit�, 
conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri. 
52. ComՏ noto, sin dalla citata sentenza del 5 marzo 1996 Francovich, 
� stato affermato che il principio della responsabilit� dello Stato per danni causati 
ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili � da 
considerare inerente al sistema del Trattato in quanto, pur non essendo espressamente 
previsto, trova il suo fondamento nell�art. 5 del Trattato (attuale art. 
10), in forza del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure 
di carattere generale o particolare atte ad assicurare l�esecuzione degli obblighi 
ad essi derivanti dal diritto comunitario, tra i quali, quello di eliminare le 
conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario. 
53. Classico esempio di violazione da parte degli Stati del diritto comunitario 
� la mancata o tardiva trasposizione di una direttiva, obbligo imposto 
dall�art. 249 del Trattato, in base al quale la direttiva vincola lo Stato membro 
cui � rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la 
competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. 
54. Mancando peraltro nel Trattato disposizioni che disciplinino in modo 
diretto e puntuale le conseguenze delle violazioni del diritto comunitario da 
parte degli Stati membri, la Corte di giustizia, nella citata sentenza del 5 marzo 
1996, Brasserie du P�cheur, ha affermato che spetta proprio alla Corte - nell�espletamento 
del compito conferitole dall�art. 164 del Trattato (ora art. 220) 
di garantire l�osservanza del diritto nell�interpretazione e nell�applicazione del 
Trattato - statuire su tale questione avvalendosi dei principi fondamentali dell�ordinamento 
giuridico comunitario e, se necessario, dei principi generali comuni 
agli ordinamenti giuridici degli Stati membri. 
55. Del resto, � proprio a tali ultimi principi che l�art. 215 del Trattato 
(ora art. 288) fa rinvio in tema di responsabilit� extracontrattuale della Comunit� 
per danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell�esercizio 
delle loro funzioni. In proposito, osserva la Corte, che in un gran numero di 
ordinamenti giuridici nazionali, il regime giuridico della responsabilit� dello 
Stato � stato elaborato, in maniera determinante, in via giurisprudenziale. 
56. Ci� detto, la Corte, nella citata sentenza del 10 luglio 1997, Palmisani, 
causa C-261/95, ha confermato, nel solco gi� tracciato dalle citate sentenze
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 101 
Francovich e Brasserie du P�cheur, che le condizioni alle quali uno Stato 
membro � tenuto a risarcire i danni provocati sono tre: che la norma violata 
sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di una violazione sufficientemente 
caratterizzata, grave e manifesta e che esista un nesso di causalit� 
diretto tra la violazione dell�obbligo incombente allo Stato e il danno 
subito dai soggetti lesi. 
57. Quanto al carattere manifesto della violazione, la giurisprudenza della 
Corte di giustizia ha precisato che, perch� tale condizione sia soddisfatta, occorre 
tener conto del grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il 
carattere intenzionale della violazione, la scusabilit� o l�inescusabilit� dell�errore 
di diritto, la persistenza della violazione anche dopo che questa sia stata 
accertata a seguito di un procedimento di infrazione (sentenza del 30 settembre 
2003, causa C-224/01, K�bler cit.). 
58. Va osservato che non essendo disciplinato, come si � detto, dal diritto 
comunitario il risarcimento dei danni degli Stati membri per violazione del 
diritto comunitario, non vi � nemmeno alcuna previsione positiva che preveda 
un termine di prescrizione per esercitare tale diritto. 
59. In via di principio, un termine di prescrizione, onde adempiere alla 
sua funzione di garantire la certezza del diritto, dovrebbe essere fissato previamente 
dal legislatore comunitario. 
60. In mancanza, la giurisprudenza del Tribunale di primo grado ha ritenuto 
non estensibile analogicamente il termine di prescrizione previsto da altre 
norme comunitarie, come ad esempio l�art. 43 (ora 46) dello Statuto della 
Corte di giustizia che stabilisce il termine di prescrizione di cinque anni per 
l�azione di responsabilit� extracontrattuale nei confronti della Comunit� (sentenza 
15 settembre 1998, cause riunite T-126/96 e T-127/96, BFM e EFIM/ 
Commissione). 
61. Come si � detto, l�art. 215 del Trattato (ora art. 288) fa rinvio, in tema 
di responsabilit� extracontrattuale della Comunit� per danni cagionati dalle 
sue istituzioni o dai suoi agenti nell�esercizio delle loro funzioni, ai principi 
fondamentali dell�ordinamento giuridico comunitario e, se necessario, dei 
principi generali comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri. 
62. Correttamente, quindi, il Tribunale di Firenze, nella causa principale, 
ha ritenuto di applicare il termine di prescrizione quinquennale riferibile sia 
alle prestazioni periodiche (art. 2948, n. 4 c.c.) sia alla responsabilit� extracontrattuale 
(art. 2947 c.c.) che pi� pu� accostarsi, in assenza di un�espressa 
disciplina, alla responsabilit� dello Stato membro per violazione del diritto 
comunitario. 
63. In ogni caso, deve osservarsi che, secondo la giurisprudenza comunitaria, 
non � precluso ad uno Stato membro di opporre alle pretese dei singoli 
fondate sul diritto comunitario, termini nazionali di decadenza o di prescrizione, 
il cui decorso prescinda dalla considerazione del fatto che, alla data in
102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
cui la pretesa poteva essere fatta valere, la direttiva che fondava tale pretesa 
non era stata ancora correttamente attuata nell�ordinamento nazionale. 
64. Detto principio � stato enunciato dalla Corte di giustizia nella sentenza 
del 15 settembre 1998, causa C-231/1996, Edis nell�ambito di un procedimento 
avente ad oggetto la richiesta di rimborso di una tassa di concessione 
di governativa per l�iscrizione delle societ� nel registro delle imprese. 
65. La Corte ha infatti affermato che il diritto comunitario non vieta ad 
uno Stato membro di opporre, alle azioni di ripetizione di tributi riscossi in 
violazione di una direttiva, un termine nazionale di decadenza che decorra 
dalla data del pagamento dei tributi di cui si tratta, anche se, a tale data, la direttiva 
non era stata ancora correttamente attuata nell�ordinamento nazionale. 
66. Ci� premesso, il Governo italiano ritiene che la prescrizione della pretesa, 
fondata sul diritto comunitario, di un risarcimento da parte dello Stato 
non sia interrotta, n� sospesa per effetto di un procedimento per inadempimento 
e sino alla conclusione dello stesso, tranne il caso di un�azione tempestivamente 
iniziata, la cui decisione venga sospesa dal giudice adito in attesa 
dell�esito del procedimento di infrazione. 
67. Il risarcimento del danno causato da una violazione del diritto comunitario 
da parte di uno Stato membro inoltre non � subordinato alla condizione 
che l�esistenza di una violazione siffatta risulti da una sentenza pronunciata 
dalla Corte in via pregiudiziale (Corte di giustizia, sentenza del 26 gennaio 
2010, causa C-118/08, Transportes Urbanos). 
68. Quanto alla decorrenza del termine di prescrizione non si ritiene che 
la stessa possa iniziare solo a partire dal momento della corretta trasposizione 
della direttiva nel diritto comunitario. Tale principio, affermato nel caso specifico 
della sentenza Emmott (del 25 luglio 1001, causa C-208/90) � stato pi� 
volte disatteso, successivamente dalla stessa Corte (sentenze 27 ottobre 1993, 
causa C-338/91, Steenhorst-Neerings; 6 dicembre 1994, causa C-410/92, Johnson; 
17 luglio 1997, cause riunite C-114/95 e C-115/95 Texaco e Olieselskabet 
Danimarca) in quanto, nel precedente citato, la soluzione era giustificata dalle 
circostanze tipiche di detta causa. 
69. N� pu� ritenersi che la decorrenza della prescrizione possa essere interrotta 
dalla instaurazione del procedimento di inadempimento da parte della 
Commissione, dovendo comunque l�atto interruttivo provenire dalla parte che 
ha interesse a far valere il diritto risarcitorio. 
70. Al pi�, il termine di prescrizione potr� rimanere sospeso, ove l�azione 
risarcitoria sia stata tempestivamente intentata dal danneggiato, sino all�esito 
del procedimento di infrazione, ove il giudice adito ritenga di attendere tale 
decisione per valutare l�esistenza e la portata della violazione del diritto comunitario. 
71. Il Governo italiano ritiene quindi che la prescrizione della pretesa, 
fondata sul diritto comunitario, di un risarcimento da parte dello Stato che si
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 103 
basa sull�insufficiente attuazione di una direttiva cominci a decorrere dal momento 
in cui si sono prodotti i primi effetti lesivi e non dalla completa attuazione 
della direttiva. 
72. In proposito, va segnalato che, la giurisprudenza italiana, in relazione 
al folto contenzioso instaurato a seguito della mancata tempestiva attuazione 
della direttiva 82/1976/CEE, ha sempre ritenuto di applicare il termine di prescrizione 
quinquennale decorrente non dall�annualit� del corso frequentata, 
n� dalla data in cui la Corte di giustizia, con sentenza 7 luglio 1987, causa C- 
49/1986 che ha accertato l�inadempimento dello Stato italiano bens� dall�adozione 
del decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257 con il quale � stata istituita 
una borsa di studio a favore dei medici specializzandi a decorrere dall�anno 
accademico 1991/92, con esclusione dei medici che avevano iniziato il corso 
anteriormente. 
73. Per questi ultimi, il decorso della prescrizione � stato stabilito dalla 
giurisprudenza italiana nella data del provvedimento legislativo che ha sostanzialmente 
negato la loro pretesa (1991), a prescindere dalla successiva sentenza 
della Corte di giustizia del 25 febbraio 1999, causa C-131/97, Carbonari 
che ha affermato il carattere non self- executing della stessa. 
74. Ci� premesso, va sottolineato che la sentenza resa dalla Grande Sezione 
della Corte di giustizia il 24 marzo 2009, causa C-445/06, Danske Slagterier 
ha affermato importanti principi in materia di prescrizione del diritto al 
risarcimento del danno nei confronti dello Stato per violazione del diritto comunitario 
ed in particolare per effetto dell�omessa, tardiva o errata trasposizione 
di una direttiva comunitaria. 
75. La citata sentenza ha confermato innanzitutto che, in mancanza di 
una normativa comunitaria che regoli in modo diretto e puntuale la responsabilit� 
degli Stati membri per violazione del diritto comunitario, spetta ai singoli 
ordinamenti nazionali disciplinare le modalit� procedurali dei ricorsi diretti a 
garantire la piena tutela dei diritti conferiti alle persone dal diritto comunitario, 
fermo restando che le condizioni e i termini stabiliti dalle legislazioni nazionali 
in materia di risarcimento del danno non possono essere meno favorevoli di 
quelle che riguardano azioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) 
e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile 
o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (principio di 
effettivit�). 
76. Quanto all�interruzione o alla sospensione dei termini di prescrizione 
per effetto della presentazione di un ricorso per inadempimento, la Corte di 
giustizia ha inoltre affermato che spetta agli Stati membri disciplinare tali 
aspetti purch� siano osservati i principi di equivalenza e di effettivit�, ribadendo 
che non si pu� subordinare il risarcimento del danno al presupposto di 
una previa constatazione, da parte della Corte, dell�inadempimento imputabile 
allo Stato membro per violazione del diritto comunitario, elemento significa-
104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
tivo ma non indispensabile (punti 36 � 38). 
77. Sotto tale profilo, la Corte ha quindi concluso che la circostanza che 
un ricorso per inadempimento non abbia l�effetto di interrompere o di sospendere 
il termine di prescrizione non rende impossibile o eccessivamente difficile, 
per il soggetto, esercitare i diritti conferitigli dal diritto comunitario, n� 
lede il principio dell�equivalenza, tenuto conto delle peculiarit� della procedura 
ex art. 226 CE che non � tesa a tutelare diritti propri della Commissione (punti 
39 e 45). 
78. Quanto alla decorrenza della prescrizione, la Corte ha affermato che 
il diritto comunitario non osta a che il termine di prescrizione di un�azione di 
risarcimento nei confronti dello Stato, basata sulla carente trasposizione di una 
direttiva, inizi a decorrere dalla data in cui i primi effetti lesivi di detto scorretto 
recepimento si siano verificati, anche qualora tale data sia antecedente alla 
corretta e completa trasposizione della direttiva in questione nell�ordinamento 
nazionale, dovendosi ritenere che il principio contrario affermato nella 
sentenza del 25 luglio 1991, causa C-208/90, Emmott fosse determinato 
dalle circostanze particolari di detta causa (punto 56). 
79. La Corte ha infine chiarito che spetta al giudice nazionale stabilire la 
conformit� al diritto comunitario di una legislazione, come quella tedesca nella 
causa principale, che esclude il risarcimento del danno ove il soggetto leso 
non abbia dato prova di una ragionevole diligenza, omettendo, dolosamente o 
colposamente, di evitare la realizzazione del danno mediante la proposizione 
delle azioni previste dal diritto nazionale. 
80. Al riguardo, la Corte ha comunque escluso che la probabilit� che in 
tale sede il giudice adito sollevi una questione pregiudiziale ex art. 234 CE 
renda non esigibile dai soggetti lesi l�esperimento dei mezzi di ricorso a loro 
disposizione in quanto l�utilizzo di tale strumento di cooperazione tra la Corte 
e i giudici nazionali non contribuisce assolutamente a rendere eccessivamente 
difficile l�esercizio dei diritti attribuiti al singolo dal diritto comunitario (punti 
64 e 65). 
81. A tale proposito, � stato ritenuto ragionevole il termine di decadenza 
triennale previsto dalla legislazione tedesca nella causa principale (punti 31 e 
32). 
82. Al riguardo, va ricordato che la Corte di Giustizia (sentenza del 10 
luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani, punto 29) aveva gi� ritenuto congruo 
il termine di decadenza annuale fissato dalla legislazione italiana (art. 2, 
comma 7 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 per il danno derivante 
dalla mancata attuazione della direttiva 80/987/CEE concernente la tutela dei 
lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro. 
83. In relazione al termine di prescrizione, va segnalato che la Corte di 
cassazione, con la sentenza delle sezioni unite del 17 aprile 2009, n. 9147 ha 
stabilito che la domanda risarcitoria per tardiva trasposizione di direttiva co-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 105 
munitaria non rientra nello schema della responsabilit� extracontrattuale ma 
in quello della responsabilit� ex lege dello Stato inadempiente, di natura indennitaria 
per attivit� non antigiuridica e sussistente a prescindere dalla sussistenza 
del dolo o della colpa e dal carattere non self executing della direttiva, 
con conseguente applicabilit� della prescrizione decennale ex articolo 2946 
c.c. 
84. La natura risarcitoria del diritto vantato nei confronti dello Stato per 
violazione del diritto comunitario era stata invece in precedenza affermata non 
solo dalla stessa Corte di cassazione (Cass., 16 maggio 2003, n. 7630; Cass. 
9 aprile 2001, n. 5249; Cass. 9 novembre 1994, n. 9339) ma anche dalla Corte 
costituzionale (sentenza 16 giugno 1993, n. 285). 
85. Con la recente sentenza del 3 giugno 2009, n. 12814, la Corte di cassazione 
� peraltro ritornata a pronunciarsi nel senso della natura aquiliana della 
responsabilit� dello Stato per violazione del diritto comunitario, con conseguente 
applicazione della prescrizione decennale. 
Conclusioni 
86. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere i quesiti affermando 
che � compatibile con l�ordinamento comunitario che lo Stato italiano 
possa legittimamente eccepire la prescrizione di un diritto nascente dalla 
direttiva 82/76/CEE per il periodo antecedente la prima legge attuativa italiana, 
senza con ci� impedire definitivamente l�esercizio del suddetto diritto 
avente natura retributiva/alimentare, o in subordine l�esercizio di una azione 
risarcitoria/indennitaria . 
87. Pertanto non � compatibile con l�ordinamento comunitario che ogni 
eccezione di prescrizione sia preclusa fino all�accertamento della violazione 
comunitaria da parte della Corte di giustizia. 
88. Non � altres� compatibile con l�ordinamento comunitario che ogni 
eccezione di prescrizione sia comunque preclusa fino alla corretta e compiuta 
trasposizione della direttiva che ha riconosciuto il diritto nella legislazione nazionale. 
Roma, 25 marzo 2010 Avv. Wally Ferrante
106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Causa C-509/09 - Materia trattata: spazio di libert�, sicurezza e giustizia 
- Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof 
(Germania) il 9 dicembre 2009 - eDate Advertising GmbH / X (avv. 
Stato W. Ferrante - AL 11062/10 - Individuazione del giudice competente in 
caso di diffusione via internet di notizia produttiva di danno in pi� Stati membri). 
Questioni pregiudiziali 
1) Se, per l'ipotesi di (minacciata) violazione di diritti della personalit� 
attraverso contenuti di un sito Internet, la locuzione "luogo in cui l'evento 
dannoso pu� avvenire", di cui all'art. 5, n. 3, del regolamento (CE) del Consiglio 
22 dicembre 2000, n. 44, concernente la competenza giurisdizionale, il 
riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale 
(in prosieguo: il �regolamento n. 44/2001�), debba essere interpretata nel 
senso che l'interessato pu� esercitare un'azione inibitoria contro il gestore del 
sito web, indipendentemente dallo Stato membro in cui � domiciliato, anche 
dinanzi ai giudici di ogni Stato membro, in cui il sito pu� essere consultato, 
oppure 
la competenza giurisdizionale dei giudici di uno Stato membro, in cui il 
gestore del sito non � domiciliato, presuppone che, oltre alla mera accessibilit� 
tecnica, sussista uno specifico collegamento dei contenuti controversi o del 
sito con lo Stato del foro (collegamento di carattere territoriale). 
2) Qualora sia richiesto un siffatto specifico collegamento di carattere 
territoriale: 
Secondo quali criteri esso vada riscontrato. 
Se assume rilievo il fatto che il sito controverso si rivolga, alla luce delle 
scelte del gestore, specificamente (anche) agli utenti di Internet dello Stato 
del foro, o se sia sufficiente al riguardo che le informazioni accessibili sul sito 
presentino un collegamento oggettivo con lo Stato del foro, nel senso che, secondo 
le circostanze del caso concreto ed in particolare in base al contenuto 
del sito controverso, un conflitto tra interessi contrapposti - l'interesse dell'attore 
al rispetto del proprio diritto della personalit� e l'interesse del gestore 
ad impostare discrezionalmente il proprio sito e a fornire resoconti di fatti - 
possa effettivamente essersi ivi verificato o potr� ivi verificarsi. 
Se al fine del riscontro di tale specifico collegamento territoriale sia rilevante 
il numero di accessi al sito controverso operati dallo Stato del foro. 
3) Ove, ai fini della sussistenza della competenza giurisdizionale, non sia 
necessario alcuno specifico collegamento territoriale oppure ove, per la presunzione 
dello stesso, basti che le informazioni controverse presentino un collegamento 
oggettivo con lo Stato del foro, nel senso che un conflitto tra 
contrapposti interessi, alla luce delle circostanze del caso concreto ed in particolare 
in base al contenuto del sito controverso, possa essersi effettivamente
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 107 
ivi verificato o potr� ivi verificarsi e l'accertamento di uno specifico collegamento 
territoriale non presupponga il riscontro di un numero minimo di accessi 
al sito controverso dallo Stato del foro: 
Se l'art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 
8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi 
della societ� dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel 
mercato interno (in prosieguo: la �direttiva sul commercio elettronico�) vada 
interpretato nel senso che alle relative disposizioni va attribuito carattere di 
norme di diritto internazionale privato, nel senso che esse, anche nell'ambito 
del diritto civile, prescrivono la sola applicazione del diritto vigente nel Paese 
d'origine con esclusione delle norme di conflitto nazionali, 
oppure 
tali disposizioni costituiscono un correttivo rilevante sul piano giuridico 
materiale, attraverso il quale l'esito giuridico sostanziale del diritto individuato 
come applicabile dalle norme di conflitto nazionali viene modificato a 
livello contenutistico e ridotto alle prescrizioni del Paese d'origine. 
Per il caso in cui l'art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva sul commercio elettronico 
abbia carattere di norma di diritto internazionale privato: 
Se le disposizioni citate prescrivano solo la sola applicazione del diritto 
sostanziale vigente nel Paese d'origine o anche l'applicazione delle norme di 
conflitto ivi in vigore, con la conseguenza che continui ad essere possibile il 
rinvio da parte del diritto del Paese d'origine al diritto del Paese di destinazione. 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana 
1. Con l�ordinanza [10 novembre 2009, depositata il 9 dicembre 2009 del 
Bundesgerichtshof - Germania], � stato chiesto alla Corte di Giustizia dell�Unione 
europea di pronunciarsi, ai sensi dell�art. 234 del Trattato CE, sulle 
[suesposte] questioni pregiudiziali. 
Fatti di causa 
2. La domanda pregiudiziale � stata sollevata nell�ambito di una controversia 
tra un soggetto domiciliato in Germania, condannato all�ergastolo da 
un Tribunale tedesco per l�omicidio di un famoso attore ed un gestore di un 
portale Internet, domiciliato in Austria, in ordine alla pubblicazione dal 23 
agosto 1999 al giugno 2007 sul sito Internet di informazioni relative alla predetta 
vicenda processuale. 
3. In data 5 giugno 2007, l�attore esortava il gestore del sito Internet ad 
astenersi dal pubblicare notizie relative alla citata vicenda e in data 18 giugno 
2007 la societ� convenuta eliminava dal proprio sito la notizia contestata. 
4. Nella controversia esaminata dai giudici tedeschi, l�attore ha richiesto 
di inibire alla convenuta di riportare notizie, indicando il suo nome per esteso,
108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
in relazione al predetto reato. 
5. Il Giudice del rinvio, ritenendo che l�ulteriore diffusione tramite internet 
di informazioni in ordine al reato commesso dall�attore integri una lesione 
del diritto della personalit� dell�attore a non essere ulteriormente accostato a 
quel reato, si � posto, in via preliminare, il problema della giurisdizione del 
Giudice tedesco. 
La normativa comunitaria rilevante 
6. A norma dell�art. 5, n. 3 del regolamento n. 44/2001/CE concernente 
la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l�esecuzione delle decisioni 
in materia civile e commerciale, la persona domiciliata nel territorio di uno 
Stato membro pu� essere convenuta in un altro Stato membro �in materia di 
illeciti civili dolosi o colposi, davanti al giudice del luogo in cui l�evento dannoso 
� avvenuto o pu� avvenire�. 
7. Ai sensi dell�art. 3, nn. 1 e 2 della direttiva n. 2000/31/CE (direttiva 
sul commercio elettronico), �1. Ogni Stato membro provvede affinch� i servizi 
della societ� dell�informazione, forniti da un prestatore stabilito nel suo territorio, 
rispettino le disposizioni nazionali vigenti in detto Stato membro nell�ambito 
regolamentato. 2. Gli Stati membri non possono, per motivi che 
rientrano nell�ambito regolamentato, limitare la libera circolazione dei servizi 
societ� dell�informazione provenienti da un altro Stato membro�. 
Sul primo quesito posto alla Corte 
8. Con il primo quesito, il Bundesgerichtshof ha chiesto alla Corte di Giustizia 
di pronunciarsi in ordine all�interpretazione della locuzione �luogo in 
cui l�evento dannoso � avvenuto o pu� avvenire� di cui all�art. 5, n. 3, del Regolamento 
44/2001/CE, chiarendo se, in caso di diffusione di notizie via internet 
idonee a ledere diritti della personalit� e a cagionare un danno, sia 
competente ogni Stato membro in cui dette notizie siano accessibili o se sia 
necessario un collegamento di carattere territoriale tra i contenuti controversi 
e lo Stato del foro. 
9. Preliminarmente, va osservato che il quesito posto alla Corte di Giustizia 
dovrebbe essere dichiarato irricevibile per difetto di rilevanza nella causa 
principale. 
10. Secondo i principi generali comuni agli ordinamenti processuali, infatti, 
l�azione inibitoria costituisce uno strumento giurisdizionale di urgenza 
che presuppone l�attualit� del comportamento produttivo del danno. 
11. Dall�esposizione dei fatti di causa risulta, invece, che la condotta assunta 
come lesiva non era pi� attuale al momento della proposizione della domanda 
inibitoria in quanto il gestore del sito aveva, prima dell�inizio del 
giudizio, gi� eliminato la notizia controversa. 
12. Si ritiene tuttavia di esporre alcune considerazioni per l�eventualit� 
in cui la Corte dovesse ritenere la domanda ricevibile.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 109 
13. Va osservato che l�art. 5, n. 3 del Regolamento n. 44/2001/CE prevede 
un�ipotesi di competenza speciale �in materia di illeciti civili dolosi o colposi�. 
In tal caso la persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro pu� essere 
convenuta davanti �al giudice del luogo in cui l�evento dannoso � avvenuto o 
pu� avvenire�. 
14. La Corte di Giustizia non si � ancora pronunciata sui criteri di collegamento 
da applicare per determinare il luogo in cui si � verificato o si pu� 
verificare l�evento dannoso allorch� l�asserito danno si � verificato o pu� verificarsi 
attraverso i contenuti diffusi tramite Internet. 
15. Va rilevato, peraltro, che � nel periodo di vigenza della Convenzione 
di Bruxelles, concernente la competenza giurisdizionale e l�esecuzione delle 
decisioni in materia civile e commerciale del 27 settembre 1968 � la Corte ha 
affermato che � da considerarsi luogo in cui si � verificato l�evento dannoso 
anche il luogo ove la pubblicazione � stata diffusa e ove la vittima assume di 
aver subito una lesione della propria reputazione, in quanto in tale luogo si � 
manifestato il danno (Corte di giustizia, sentenza del 7 marzo 1995, causa C- 
68/93, Shevill). 
16. Tale sentenza, peraltro, non � stata pronunciata con riferimento agli 
illeciti commessi tramite internet bens� in relazione ad un�ipotesi di diffamazione 
a mezzo stampa mediante un articolo diffuso in pi� Stati. 
17. In quel caso, la Corte ha affermato che l�espressione �luogo in cui 
l�evento dannoso � avvenuto� deve essere interpretata, nel senso che la vittima 
pu� esperire nei confronti dell�editore un�azione di danni sia dinanzi ai giudici 
dello Stato del luogo ove � stabilito l�editore della pubblicazione diffamatoria, 
i quali sono competenti a pronunciarsi sul risarcimento dei danni derivanti 
dalla diffamazione nella loro integralit�, sia dinanzi ai giudici di ciascuno Stato 
contraente dove la pubblicazione � stata diffusa e dove la vittima assume aver 
subito una lesione della sua reputazione, i quali sono competenti a conoscere 
dei soli danni cagionati nello Stato del giudice adito. 
18. Per quanto concerne il caso di specie, va considerato, come rileva correttamente 
il giudice di rinvio, che i contenuti di internet di norma non sono 
�diffusi� ma �mantenuti accessibili�. 
19. Il giudice di rinvio si domanda, dunque, se sia sufficiente la mera accessibilit� 
dei contenuti lesivi in uno Stato Membro, ai fini del radicamento 
della giurisdizione di quest�ultimo, oppure se occorra un collegamento tra la 
notizia e il territorio, cio� se il contenuto della notizia abbia rilevanza per un 
determinato Stato membro, suscitando un interesse particolare per gli utenti 
di detto Stato. 
20. In tale ottica, il giudice del rinvio ricorda che la giurisprudenza francese 
richiede che, ai fini della determinazione della giurisdizione, occorra valutare 
il numero di accessi ai contenuti ritenuti lesivi effettuati nello Stato in 
questione.
110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
21. Per quanto riguarda l�ordinamento italiano, di recente la Corte di Cassazione 
ha affermato, con riferimento al reato di diffamazione, che �il reato 
di diffamazione consistente nell�immissione nella rete Internet di frasi offensive 
e/o immagini denigratorie, deve ritenersi commesso nel luogo in cui le 
offese e le denigrazioni sono percepite da pi� fruitori della rete, pur quando il 
web sia registrato all�estero� (Cass., sez. II, 21 febbraio 2008). 
22. Ritenere per� che, laddove si riscontrino una pluralit� di luoghi ove 
si producono i danni, occorra far riferimento a tutti i luoghi in cui i danni si 
sono verificati, comporterebbe un concorso di fori alternativi e di leggi applicabili. 
23. Il rischio di tale tesi, come evidenziato dal giudice di rinvio, � che si 
estenderebbe il numero dei fori concorrenti, con conseguente erosione dei 
principi generali in materia di competenza giurisdizionale, fondati sullo sfavore 
nei confronti di fori non sufficientemente collegati alla lite. 
24. Per tali ragioni, appare preferibile collegare la competenza giurisdizionale 
non solo alla mera accessibilit� tecnica della notizia ma altres� ad uno 
specifico collegamento del contenuto controverso con i potenziali utenti dello 
Stato del foro. 
25. Nella fattispecie, pur essendo il gestore del sito domiciliato in Austria, 
esistono numerose circostanze di fatto, risultanti dall�ordinanza di rinvio, che 
rendono la notizia suscettibile di suscitare un particolare e differenziato interesse 
in Germania: in primo luogo, il fatto che la notizia sia in lingua tedesca, 
il che implica che i destinatari della stessa saranno pi� verosimilmente in Germania 
che in altri Stati di lingua non tedesca; in secondo luogo, il fatto che il 
processo per omicidio si sia svolto in Germania, con conseguente maggiore 
coinvolgimento del lettore di internet tedesco rispetto a quello di altro Stato; 
in terzo luogo, che la vittima sia uno noto personaggio del mondo dello spettacolo 
tedesco, con conseguente maggior interesse tra i cittadini tedeschi rispetto 
a quelli di altri Stati. 
Sul secondo quesito posto alla Corte 
26. Quanto al secondo quesito, una volta stabilito che, per determinare il 
foro competente � comunque necessario che le informazioni accessibili sul 
sito presentino un collegamento oggettivo con lo Stato del foro e siano come 
tali idonee ad arrecare un danno alla reputazione del soggetto coinvolto proprio 
in ragione di tale collegamento, non appare necessario a tal fine verificare se 
la diffusione della notizia sia intenzionalmente destinata agli utenti di quello 
Stato membro, n� condizionare la competenza ad un certo numero di accessi 
al sito controverso, essendo sufficiente una mera potenzialit� lesiva, derivante 
dall�interesse specifico degli utenti di quello Stato. 
Sul terzo quesito posto alla Corte 
27. Per quanto attiene all�interpretazione dell�art. 3, nn. 1 e 2 della diret-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 111 
tiva sul commercio elettronico 2000/31/CE, che ad avviso del Giudice del rinvio 
verrebbe in rilievo ove fosse affermata la giurisdizione del giudice tedesco, 
va osservato che tale direttiva non introduce norme supplementari di diritto 
internazionale privato, n� tratta delle competenze degli organi giurisdizionali, 
come espressamente disposto all�art. 1, n. 4. 
28. Anche il ventritreesimo �considerando� prevede che detta direttiva 
non � volta ad introdurre norme supplementari di diritto internazionale privato 
sui conflitti di leggi, n� tratta della competenza degli organi giurisdizionali. 
Conclusioni 
29. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo 
quesito affermando che per l�ipotesi di minacciata violazione di diritti della 
personalit� attraverso contenuti di un sito Internet, la locuzione �luogo in cui 
l�evento dannoso pu� avvenire�, di cui all�art. 5, n. 3, del regolamento n. 
44/2001/CE debba essere interpretata nel senso che la competenza giurisdizionale 
dei giudici di uno Stato membro, in cui il gestore del sito non � domiciliato, 
presuppone che, oltre alla mera accessibilit� tecnica, sussista uno 
specifico collegamento di carattere territoriale dei contenuti controversi o del 
sito con lo Stato del foro. 
30. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il secondo 
quesito affermando che non assume rilievo il numero degli accesi al sito controverso 
operati dagli utenti di Internet dello Stato del foro, n� il fatto che il 
sito controverso si rivolga specificamente a detti utenti, essendo sufficiente al 
riguardo che le informazioni accessibili sul sito presentino un collegamento 
oggettivo con lo Stato del foro. 
31. Il Governo italiano propone infine alla Corte di risolvere il terzo quesito 
affermando che la direttiva sul commercio elettronico 2000/31/CE non 
introduce norme supplementari di diritto internazionale privato, n� tratta delle 
competenze degli organi giurisdizionali, come espressamente disposto all�art. 
1, n. 4. 
Roma, 7 aprile 2010 Avv. Wally Ferrante
112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Causa C-3/10 - Materia trattata: politica sociale - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Tribunale di Rossano (Italia) il 5 gennaio 
2010 - Franco Affatato/Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, Azienda Sanitaria 
n. 3 di Rossano (avv. Stato W. Ferrante - AL 14451/10 - Compatibilit� 
della normativa italiana sui contratti a tempo determinato nel settore del pubblico 
impiego). 
Questioni pregiudiziali 
1) Se la clausola n. 2.1 dell'Accordo Quadro recepito dalla direttiva 
1999/70/CE osta ad una norma interna, come quella dettata per i lavoratori 
LSU/LPU dall'art. 8, comma 1, del D.lgs. n. 468/97 e dall'art. 4. comma 1, 
della legge n. 81/00, che, nell'escludere per lavoratori da essa disciplinati la 
instaurazione di un rapporto d� lavoro finisce con l'escludere la applicabilit� 
della normativa sul rapporto di lavoro a termine di recepimento della direttiva 
1999/70/CE; 
2) se la clausola n. 2.2 dell'Accordo Quadro recepito dalla direttiva 
1999/70/CE consenta di includere lavoratori come i lavoratori LSU/LPU disciplinati 
dal D.lgs. n. 468/97 e dalla legge n. 81/00, nell'ambito di non applicazione 
della direttiva 1999/70/CE; 
3) se i lavoratori di cui al quesito n. 2 rientrino nell'ambito definitorio di 
cui alla clausola 3.1 dell'Accordo Quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE; 
4) se la clausola 5 dell'Accordo Quadro recepito dalla direttiva 
1999/70/CE ed il principio di uguaglianza non discriminazione ostino ad una 
disciplina per lavoratori nel settore scuola (cfr. in particolare l'art 4, comma 1 
L. n. 124/99 e l'art. 1, comma 1, lettera a, del D.M. n. 430/00), che consenta di 
non indicare la causalit� del primo contralto a termine, prevista in via generale 
dalla disciplina interna per ogni altro rapporto di lavoro a termine, nonch� di 
rinnovare i contratti indipendentemente dalla sussistenza di esigenze permanenti 
e durevoli, non preveda la durata massima totale dei contratti o rapporti 
di lavoro a tempo determinato, numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti, 
nonch� normalmente nessuna distanza tra i rinnovi ovvero, nell'ipotesi 
delle supplenze annuali, corrispondente alle vacanze estive in cui la attivit� 
scolastica � sospesa, ovvero fortemente ridotta; 
5) se il corpus di disposizioni normative del settore scuola, come descritto, 
possa ritenersi complesso di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi; 
6) se, ai sensi dell'art. 2 della direttiva 1999/70/CE, il D.lgs. n. 368/01 e 
l'art. 36 del D.lgs. n. 165/01 possano ritenersi disposizioni aventi caratteristiche 
di disposizione di recepimento della direttiva 1999/70/CE in relazione ai 
rapporti di lavoro a termine nel settore scuola; 
7) se un soggetto, avente le caratteristiche di Poste Italiane S.p.a., ovvero: 
- � di propriet� dello Stato;
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 113 
- � sottoposta al controllo dello Stato; 
- il Ministero delle comunicazioni opera la scelta del fornitore del servizio 
universale ed in genere svolge tutte le attivit� di verifica e controllo materiale 
e contabile del soggetto in questione, con fissazione degli obiettivi relativi al 
servizio universale reso; 
- esercita un servizio di pubblica necessit� di preminente interesse generale;
- il bilancio del soggetto � collegato al bilancio dello Stato; 
- i costi del servizio reso sono determinati dallo Stato che corrisponde al 
soggetto importi per coprire i maggiori costi del servizio, 
- debba ritenersi organismo statale, ai fini della diretta applicazione del 
diritto comunitario; 
8) in caso di risposta positiva al quesito n. 7, se ai sensi della clausola 5 
detta societ� possa costituire settore, ovvero l'intero ambito del personale da 
questa impiegabile possa essere ritenuto categoria specifica di lavoratori, ai 
fini della differenziazione delle misure ostative; 
9) in caso di risposta positiva al quesito n. 7, se la clausola 5 della direttiva 
1999/70/CE da s� sola, ovvero in uno con le clausole 2 e 4 ed il principio di 
uguaglianza non discriminazione, osti ad una disposizione quale l'art. 2, 
comma l bis, del D.lgs. n. 368/01 che consente una a-causale apposizione del 
termine al contratto di lavoro in relazione ad uno specifico soggetto, ovvero 
esima detto soggetto, differentemente dalla misura ostativa interna ordinariamente 
prevista (art. 1 dei d.lgs. n. 368/01), dall'indicare per iscritto e provare, 
in caso d� contestazione, le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo 
o sostitutivo che hanno determinato la apposizione del termine al contratto 
di lavoro, tenuto conto che � possibile procedere ad una proroga dell'originario 
contratto richiesta da ragioni oggettive e riferentesi alla stessa attivit� lavorativa 
per la quale il contratto � stato stipulato a tempo determinato; 
10) se il D.lgs. n. 368/01 e l'art. 36, comma 5, del D.lgs. n. 165/01, costituiscano 
normativa generale di recepimento della direttiva 1999/70/CE per il 
personale dipendente dello Stato, tenuto conto delle eccezioni a dette disposizioni 
generali come definite all'esito della risposta ai quesiti da 1 a 9; 
11) se, in mancanza di disposizioni sanzionatorie in relazione ai lavoratori 
del tipo LSU/LPU e della Scuola come descritti, la direttiva 1999/70/CE ed in 
particolare la clausola 5, comma 2, lett. b, osti alla applicazione analogica di 
una disciplina meramente risarcitoria, quale quella prevista dall'art 36, comma 
5, del D.lgs. n. 165/01, ovvero se la clausola 5, comma 2, lett. b, ponga un principio 
di preferenza perch� i contratti o rapporti siano ritenuti a tempo indeterminato; 
12) se il principio di uguaglianza non discriminazione comunitario, la 
clausola 4, la clausola 5.1, ostino ad una differenziazione di discipline sanzionatorie 
nel settore "personale dipendente degli organismi Stato" sulla scorta
114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
della genesi del rapporto di lavoro, ovvero del soggetto datore di lavoro, o ancora 
nel settore Scuola; 
13) se, definito l'ambito interno di recepimento della direttiva 1999/70/CE 
nei confronti dello Stato e degli organismi ad esso equiparati a seguito della 
risposta ai quesiti precedenti, la clausola 5 osti ad una disciplina quale quella 
di cui all'art. 36, comma 5, del D.lgs. n. 165/01, che vieti in maniera assoluta 
verso lo Stato la conversione dei rapporti di lavoro, ovvero quali ulteriori verifiche 
debbano essere compiute dal giudice interno al fine della non applicazione 
del divieto di costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato 
con le medesime pubbliche amministrazioni; 
14) se la direttiva 1999/70/CE debba operare integralmente nei confronti 
dell'Italia, ovvero se la conversione dei rapporti di lavoro nei confronti della 
PA appaia essere contraria ai principi fondamentali dell'ordinamento interno 
e, quindi, da non applicare in parte qua la clausola 5, perch� determinante effetto 
contrario all'art 1-5 del Trattato di Lisbona, non rispettando la struttura 
fondamentale, politica e costituzionale ovvero funzioni essenziali dell'Italia; 
15) se la clausola 5 della direttiva 1999/70/CE, nel prevedere, in ipotesi 
di divieto di conversione del rapporto di lavoro, la necessit� di una misura che 
presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori, rispetto ad 
analoghe situazioni di diritto interno, al fine di sanzionare debitamente gli 
abusi derivanti dalla violazione della stessa clausola 5 e di eliminare le conseguenze 
della violazione del diritto comunitario, imponga di tener conto quale 
situazione analoga di diritto interno del rapporto di lavoro a tempo indeterminato 
con lo Stato, cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in assenza dell'art. 36, 
ovvero di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con soggetto privato, 
nei confronti del quale il rapporto di lavoro avrebbe avuto caratteristiche di 
stabilit� analoghe a quelle di un rapporto di lavoro con lo Stato; 
16) se la clausola 5 della direttiva 1999/70/CE, nel prevedere, in ipotesi 
di divieto di conversione del rapporto di lavoro, la necessit� di una misura che 
presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori, rispetto ad 
analoghe situazioni di diritto interno, al fine di sanzionare debitamente gli 
abusi derivanti dalla violazione della stessa clausola 5 e di eliminare le conseguenze 
della violazione del diritto comunitario, imponga di tener conto quale 
sanzione: 
a) del tempo necessario a trovare nuova occupazione e della impossibilit� 
ad accedere ad una occupazione che presenti le caratteristiche di cui al quesito 
sub 15; 
b) ovvero, di contro, del monte delle retribuzioni che si sarebbero percepite 
in ipotesi di conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo 
indeterminato.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 115 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana 
1. Con l�ordinanza [9 novembre 2009, depositata il 14 dicembre 2009 del 
Tribunale di Rossano in funzione di giudice del lavoro - Italia], � stato chiesto 
alla Corte di Giustizia dell�Unione europea di pronunciarsi, ai sensi dell�art. 
267 TFUE, sulle [suesposte] questioni pregiudiziali. 
Fatti di causa 
2. La domanda pregiudiziale trae origine da una controversia instaurata 
nel 2009 da un lavoratore nei confronti dell�Azienda Sanitaria Provinciale di 
Cosenza con la quale il primo, premettendo di aver lavorato con plurimi contratti 
a tempo determinato presso la predetta Azienda Sanitaria dal 18 marzo 
1996 al 16 maggio 1996, dal 3 agosto 1996 al 2 ottobre 1996, dal 18 dicembre 
2000 al 17 febbraio 2001, dal 6 marzo 2002 al 5 luglio 2002, dal 20 agosto 
2002 al 19 dicembre 2002 e dal 21 febbraio 2003 al 20 giugno 2003 in qualit� 
di ausiliario specializzato socio-sanitario, chiede dichiararsi la nullit� dei termini 
apposti ai contratti a tempo determinato e, conseguentemente, disporsi la 
conversione dei medesimi in contratto a tempo indeterminato con reintegrazione 
nel posto di lavoro e pagamento delle retribuzioni dovute dalla cessazione 
dell�ultimo contratto alla effettiva reintegra. 
3. Il ricorrente nella causa principale assume infatti che la stipula di reiterati 
contratti a tempo determinato sarebbe stata effettuata in violazione del decreto 
legislativo 6 settembre 2001, n. 368 recante attuazione della direttiva 
1999/70/CE relativa all�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso 
dall�UNICE, dal CEEP e dal CES ed in particolare dell�art. 1 del predetto 
decreto legislativo in quanto le mansioni nelle quali era stato impiegato (utilizzazione 
di macchinari e attrezzature specifiche, cura e riordino di ambienti 
ospedalieri, accompagnamento e spostamento di degenti ecc.) non rispondevano 
ad esigenze eccezionali o straordinarie bens� permanenti e durature, senza 
che fossero state esplicitate nel contratto le puntuali ragioni che avevano giustificato 
l�apposizione del termine; dell�art. 4 del citato decreto legislativo in 
quanto la proroga sarebbe avvenuta in assenza di oggettive ragioni che avrebbero 
potuto giustificarla nonch� dell�art. 5 del predetto decreto legislativo poich� 
non sarebbe stato rispettato il limite temporale tra le assunzioni. 
4. Nell�ipotesi di ritenuta non convertibilit� dei contratti a tempo determinato 
in contratto a tempo indeterminato alla luce dell�art. 36, comma 5 del 
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 16 recante norme generali sull�ordinamento 
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, in base al 
quale la violazione di disposizioni imperative riguardanti l�assunzione o l�impiego 
di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non pu� comportare 
la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime 
pubbliche amministrazioni, il ricorrente nella causa principale chiede, in subordine, 
il risarcimento del danno da liquidarsi tenuto conto della aspettativa
116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
di stabilizzazione, da rapportarsi alle retribuzioni medio tempore non percepite 
tra la stipula del primo fino all�ultimo contratto. 
5. L�Azienda sanitaria, resistente nella causa principale, contesta la fondatezza 
di tutte le domande rivolte nei suoi confronti, assumendo, per quanto 
qui interessa, che il termine sarebbe da considerarsi elemento essenziale dei 
contratti stipulati con il ricorrente e che l�ipotesi di conversione in contratto a 
tempo indeterminato avrebbe l�effetto di introdurre una nuova ipotesi di reclutamento 
del personale in violazione del citato art. 36 del decreto legislativo 
n. 165 del 2001 nonch� dell�art. 35 dello stesso decreto, che sancisce il principio 
generale, riconducibile all�art. 97 della Costituzione, del reclutamento 
nei pubblici impieghi a mezzo di pubblico concorso. 
6. La resistente precisa inoltre di aver proceduto alla stipulazione dei contratti 
a tempo determinato nel rispetto dei presupposti previsti dalla legge 28 
febbraio 1987, n. 56 recante norme sull�organizzazione del mercato del lavoro 
(in particolare, l�art. 23 in materia di contratto a termine, abrogato dall�art. 11, 
comma 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001, prevedeva che i contratti collettivi 
stabilissero il numero in percentuale dei lavoratori che potevano essere 
assunti con contratto di lavoro a termine rispetto al numero dei lavoratori impegnati 
a tempo indeterminato e che i primi avessero diritto di precedenza 
nell�assunzione presso la stessa azienda, con la medesima qualifica, a condizione 
che manifestassero la volont� di esercitare tale diritto entro tre mesi dalla 
data di cessazione del rapporto di lavoro) nonch� delle previsioni di cui all�art. 
43 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del Comparto Sanit� (di seguito 
C.C.N.L.) del 7 aprile 1999 e di cui all�art. 31 C.C.N.L. del 20 settembre 
2001.
7. Del resto, il divieto per le pubbliche amministrazioni di procedere ad 
assunzioni a tempo indeterminato in ragione dei vincoli di bilancio, disposto 
da numerose leggi finanziarie, avrebbe costretto la resistente ad operare assunzioni 
a tempo determinato. 
8. Detti contratti, sarebbero stati conclusi, secondo la resistente, nel rispetto 
delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 368 del 2001, come interpretato, 
quanto al regime della proroga e dei rinnovi, dalla Circolare del 
Ministero del lavoro del 1 agosto 2002, n. 40; peraltro, un�ulteriore proroga 
sarebbe stata preclusa dal disposto del citato art. 31, comma 10 C.C.N.L. del 
20 settembre 2001. 
9. Secondo la resistente, infine, la richiesta di risarcimento del danno, 
avanzata in subordine, sarebbe infondata non esistendo a monte il diritto che 
si assumerebbe leso, non essendovi stata alcuna violazione della normativa 
che disciplina la conclusione di contratti di lavoro a tempo determinato. 
La normativa comunitaria rilevante 
10. La direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa al-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 117 
l�accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato premette, 
nel suo terzo considerando, che la Carta comunitaria dei diritti sociali 
fondamentali dei lavoratori, al punto 7, stabilisce tra l'altro che la realizzazione 
del mercato interno deve portare ad un miglioramento delle condizioni di vita 
e di lavoro dei lavoratori nella Comunit� europea. �Tale processo avverr� mediante 
il ravvicinamento di tali condizioni, che costituisca un progresso, soprattutto 
per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo 
indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale, 
il lavoro interinale e il lavoro stagionale� (evidenza nostra). 
11. Al quinto considerando, la predetta direttiva, ricorda che le conclusioni 
del Consiglio europeo di Essen hanno sottolineato la necessit� di provvedimenti 
per �incrementare l'intensit� occupazionale della crescita, in 
particolare mediante un'organizzazione pi� flessibile del lavoro, che risponda 
sia ai desideri dei lavoratori che alle esigenze della competitivit�� 
(evidenza nostra). 
12. Il sesto considerando della citata direttiva sottolinea inoltre che la risoluzione 
del Consiglio del 9 febbraio 1999 relativa agli orientamenti in materia 
di occupazione per il 1999 invita le parti sociali a tutti i livelli appropriati 
a negoziare accordi �per modernizzare l'organizzazione del lavoro, comprese 
forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive 
e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilit� e la sicurezza� 
(evidenza nostra). 
13. L�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 
marzo 1999 (in prosieguo, l�accordo quadro), che figura in allegato alla direttiva 
1999/70/CE, prevede, nel suo preambolo: �il presente accordo stabilisce 
i principi generali e i requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato, 
riconoscendo che la loro applicazione dettagliata deve tener conto delle realt� 
specifiche delle situazioni nazionali, settoriali e stagionali� (evidenza 
nostra). 
14. La clausola 2 dell�accordo quadro ne disciplina il campo di applicazione, 
prevedendo che lo stesso: 
1. �si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione 
o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi 
o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro. 
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti 
sociali stesse possono decidere che il presente accordo non si applichi ai: 
a) rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato; 
b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico 
di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o 
che usufruisca di contributi pubblici�. 
15. La clausola 4, n. 1 dell�accordo quadro, recante principio di non discriminazione, 
dispone che �per quanto riguarda le condizioni di impiego, i
118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole 
dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di 
avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non 
sussistano ragioni oggettive�. 
16. Ai sensi della clausola 5 dell�accordo quadro: 
�1. Per prevenire gli abusi derivanti dall�utilizzo di una successione di 
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa 
consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e 
della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza 
di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che 
tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una 
o pi� misure relative a: 
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti 
o rapporti; 
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato 
successivi; 
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. 
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti 
sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i 
rapporti di lavoro a tempo determinato: 
a) devono essere considerati �successivi�; 
b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato�. 
17. Ai sensi dell�art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70/CE, gli Stati 
membri erano tenuti a mettere in atto le disposizioni legislative, regolamentari 
e amministrative necessarie per conformarsi ad essa entro il 10 luglio 2001. 
La normativa nazionale 
18. Con legge 29 dicembre 2000, n. 422, recante disposizioni per l�adempimento 
degli obiettivi derivanti dall�appartenenza dell�Italia alle Comunit� 
europee � legge comunitaria 2000, il legislatore nazionale ha delegato il governo 
italiano ad emanare i decreti legislativi necessari per recepire le direttive 
comunitarie di cui agli allegati A e B di tale legge. Nell�allegato B � in particolare 
menzionata la direttiva 1999/70/CE. 
19. L�art. 2, n. 1, lett. b), della legge n. 422 del 2000 dispone in particolare 
che, �per evitare disarmonie con le discipline vigenti per i singoli settori interessati 
dalla normativa da attuare, saranno introdotte le occorrenti modifiche 
o integrazioni alle discipline stesse ��, e la stessa disposizione, alla lett. 
f), prevede che �i decreti legislativi assicureranno in ogni caso che, nelle materie 
trattate dalle direttive da attuare, la disciplina disposta sia pienamente 
conforme alle prescrizioni delle direttive medesime ��. 
20. La delega � stata attuata dal Governo italiano con l�adozione del decreto 
legislativo 6 settembre 2001, n. 368, recante attuazione della direttiva
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 119 
1999/70/CE relativa all�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso 
dall�UNICE (Unione delle confederazioni delle industrie della Comunit� 
europea), dal CEEP (centro europeo dell�impresa a partecipazione pubblica) 
e dal CES (Confederazione europea dei sindacati). 
21. L�art. 1, n. 1, del decreto legislativo n. 368 del 2001 dispone che ҏ 
consentita l�apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato 
a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o 
sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attivit� del datore di lavoro� (la 
parte in evidenza � stata aggiunta dall�art. 21 del decreto-legge 25 giugno 
2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 recante disposizioni 
urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione 
della finanza pubblica e la perequazione tributaria). L�art. 1, 
comma 2 prevede che �l�apposizione del termine � priva di effetto se non risulta, 
direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate 
le ragioni di cui al comma 1�. Al comma 1 � stato premesso dall�art. 1, comma 
39 della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (legge finanziaria 2008) il seguente 
periodo: �Il contratto di lavoro subordinato � stipulato di regola a tempo indeterminato�. 
22. Ai sensi dell�art. 4, n. 1, del decreto legislativo n. 368 del 2001, il 
contratto di lavoro pu� essere prorogato una sola volta quando la durata iniziale 
di quest�ultimo sia inferiore a tre anni a condizione che la proroga �sia 
richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attivit� lavorativa per la 
quale il contratto � stato stipulato a tempo determinato�. Tuttavia, in tal caso, 
la durata complessiva del detto contratto non pu� eccedere i tre anni. 
23. L�art. 5 del decreto legislativo n. 368 del 2001, recante �Scadenza del 
termine e sanzioni. Successione dei contratti�, dispone: 
�1. Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente 
fissato o successivamente prorogato ai sensi dell�art. 4, il datore di 
lavoro � tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione 
per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento 
fino al decimo giorno successivo, o al quaranta per cento per ciascun giorno 
ulteriore. 
2. Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di 
contratto di durata inferiore a sei mesi, nonch� decorso il periodo complessivo 
di cui al comma 4-bis, ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, 
il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti 
termini. [la parte in evidenza � stata aggiunta dall�art. 1, comma 40 della legge 
24 dicembre 2007, n. 247]. 
3. Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell�art. 1, 
entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata 
fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto 
di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo in-
120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
determinato. 
4. Quando si tratta di due assunzioni successive e a termine, intendendosi 
per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuit�, il rapporto di 
lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo 
contratto. 
4-bis. Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui 
ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi 
stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni 
sindacali comparativamente pi� rappresentative sul piano nazionale qualora 
per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni 
equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore 
abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe 
e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che 
intercorrono tra un contratto e l�altro, il rapporto di lavoro si considera a 
tempo indeterminato ai sensi del comma 2. In deroga a quanto disposto dal 
primo periodo del presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine 
fra gli stessi soggetti pu� essere stipulato per una sola volta, a condizione che 
la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per 
territorio e con l�assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni 
sindacali comparativamente pi� rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore 
sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori 
e dei datori di lavoro comparativamente pi� rappresentative sul piano 
nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. 
In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonch� nel caso 
di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto 
si considera a tempo indeterminato. 
4-ter. Le disposizioni di cui al comma 4-bis non trovano applicazione nei 
confronti delle attivit� stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 
7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modifiche e integrazioni, nonch� 
di quelle che saranno individuate dagli avvisi comuni e dai contratti 
collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di 
lavoro comparativamente pi� rappresentative . 
4-quater. Il lavoratore che, nell�esecuzione di uno o pi� contratti a termine 
presso la stessa azienda, abbia prestato attivit� lavorativa per un periodo 
superiore a sei mesi ha diritto di precedenza, fatte salve diverse disposizioni 
di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con 
le organizzazioni sindacali comparativamente pi� rappresentative sul piano 
nazionale, nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro 
entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni gi� espletate 
in esecuzione dei rapporti a termine. 
4-quinquies. Il lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attivit� 
stagionali ha diritto di precedenza, rispetto a nuove assunzioni a termine da
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 121 
parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attivit� stagionali. 
4-sexies. Il diritto di precedenza di cui ai commi 4-quater e 4-quinquies 
pu� essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti in tal senso la 
propria volont� al datore di lavoro entro rispettivamente sei mesi e tre mesi 
dalla data di cessazione del rapporto stesso e si estingue entro un anno dalla 
data di cessazione del rapporto di lavoro� (i commi 4-bis, 4-ter, 4-quater, 4- 
quinquies e 4 sexies sono stati aggiunti dall�art. 1, comma 40 della legge 24 
dicembre 2007, n. 247; i commi 4-bis e 4-quater sono stati ulteriormente modificati, 
con l�aggiunta delle parti evidenziate, dall�art. 21 del decreto-legge 
25 giugno 2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133). 
24. L�art. 6 del decreto legislativo n. 368 del 2001, recante principio di 
non discriminazione, prevede che �al prestatore di lavoro con contratto a 
tempo determinato spettano le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima 
mensilit�, il trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento in atto nell'impresa 
per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, 
intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri 
di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva, ed in proporzione al 
periodo lavorativo prestato sempre che non sia obiettivamente incompatibile 
con la natura del contratto a termine�. 
25. L�art. 10 del decreto legislativo n. 368 del 2001 contiene una lista di 
casi nei quali l�applicazione della normativa relativa ai contratti a tempo determinato 
� esclusa: contratti di lavoro temporaneo, contratti di formazione e 
lavoro, rapporti di apprendistato, rapporti di lavoro tra datori di lavoro dell�agricoltura 
e operai a tempo determinato, contratti di lavoro nel settore del 
turismo e dei pubblici esercizi, contratti con i dirigenti, rapporti instaurati con 
le aziende che esercitano il commercio di esportazione, importazione ed ingresso 
di prodotti ortofrutticoli. Sono inoltre esenti da limitazioni quantitative 
i contratti a tempo determinato conclusi nella fase di avvio di nuove attivit�, 
per ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalit�, per specifici spettacoli ovvero 
specifici programmi radiofonici o televisivi ovvero con lavoratori di et� 
superiore a 55 anni. 
26. Nessuno di tali casi e nessuna di tali esenzioni riguarda il settore della 
pubblica amministrazione che deve quindi ritenersi ricompreso nell�ambito di 
applicabilit� del decreto legislativo n. 368 del 2001, salvo quanto diversamente 
disposto dall�art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001. 
27. Infatti, sebbene l�art. 11, n. 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001 
precisi che �dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo [21 
settembre 2001] sono abrogate � tutte le disposizioni di legge che sono comunque 
incompatibili e non sono espressamente richiamate nel presente decreto 
legislativo�, l�art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001 deve ritenersi 
norma speciale relativa, appunto, al lavoro alle dipendenze delle amministrazioni 
pubbliche. 
122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
28. Tale norma � stato peraltro modificata con diverse leggi successive 
(art. 4 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4 convertito nella legge 9 marzo 
2006, n. 80; art. 3, comma 79 della legge 24 dicembre 2007, n. 244; art. 49 
del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito nella legge 6 agosto 2008, 
n. 133; art. 17, comma 26 del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito 
dalla legge 3 agosto 2009, n. 102) che ne hanno ribadito il principio fondante 
della non convertibilit� del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato 
nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. 
29. L�eventuale conflitto tra norme deve quindi essere risolto in favore 
di quest�ultima disposizione sia in base al principio generale lex specialis derogat 
generali, sia in base al principio lex posterior derogat priori. 
30. L�art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 � integralmente 
riportato alle pagine 10-12 dell�ordinanza di rinvio. In particolare il comma 5 
cos� dispone: 
�In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione 
o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, 
non pu� comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato 
con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilit� 
e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del 
danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. 
Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate 
a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia 
dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni 
del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell'articolo 
21 del presente decreto. Di tali violazioni si terr� conto in sede di valutazione 
dell'operato del dirigente ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 30 
luglio 1999, n. 286� (la parte in evidenza � stata aggiunta dall�art. 49 del decreto-
legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 
133).
31. Detta norma prevede quindi espressamente che, in caso di violazione 
delle norme imperative in materia di assunzione di lavoratori, pur non essendo 
possibile convertire il contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a 
tempo indeterminato, sono previste misure idonee a prevenire e a disincentivare 
gli abusi, conformemente a quanto stabilito dalla clausola 5 dell�accordo 
quadro. 
32. Infatti, il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno; 
le amministrazioni hanno l�obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo 
nei confronti dei dirigenti responsabili qualora la violazione sia dovuta a dolo 
o colpa grave; la violazione delle disposizioni di cui all�art. 36 comporta l�impossibilit� 
del rinnovo dell�incarico dirigenziale ai sensi dell�art. 21 del decreto 
legislativo n. 165 del 2001 e di tale violazione si tiene conto in sede di valutazione 
dell�operato del dirigente.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 123 
Irricevibilit� dei quesiti da 1 a 3 
33. Come si � detto nel ricostruire i fatti di causa, la controversia principale 
riguarda un lavoratore che ha concluso reiterati contratti a termine con 
una pubblica amministrazione ed in particolare con un�Azienda sanitaria. 
34. La normativa rilevante nella causa principale, quindi, oltre a quella 
di portata generale di cui al decreto legislativo n. 368 del 2001 e di cui all�art. 
36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, � costituita dalla normativa speciale 
dettata per il settore sanitario e volta a garantire il rispetto degli obblighi comunitari 
in materia di realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. 
35. In particolare, ai sensi dell�art. 1, commi 98 e 107 della legge 30 dicembre 
2004, n. 311 per gli anni 2005 e 2006, dall�art. 1, comma 198 della 
legge 23 dicembre 2004, n. 311 per l�anno 2006 e dell�art. 1, comma 565 della 
legge 27 dicembre 2006, n. 296 per i triennio 2007-2009, gli enti del Servizio 
sanitario nazionale concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica 
adottando misure necessarie a garantire che le spese del personale non 
superino l�ammontare ivi determinato, considerando a tal fine anche le spese 
per il personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, con contratto di 
collaborazione coordinata e continuativa o che presta servizio con altre forme 
di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni. 
36. Il citato art. 1, comma 656 della legge n. 296 del 2006 prevede alla 
lettera a), nn. 1, 2 e 3 che gli enti del Servizio sanitario nazionale individuino 
la consistenza organica del personale dipendente a tempo indeterminato e la 
relativa spesa nonch� la consistenza del personale che presta servizio con rapporto 
di lavoro a tempo determinato e la relativa spesa e predispongano un 
programma di revisione delle predette consistenze finalizzato alla riduzione 
della spesa complessiva di personale. In tale ambito, � verificata la possibilit� 
di trasformare le posizioni di lavoro gi� coperte da personale precario in posizioni 
di lavoro dipendente a tempo indeterminato. 
37. Da quanto sopra si deduce che, oltre alla normativa generale fondata 
sul necessario rispetto del reclutamento a mezzo di procedure selettive in ossequio 
al dettato dell�art. 97 della Costituzione italiana, la normativa di settore 
prevede limiti stringenti alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari motivato 
da esigenze di contenimento della spesa pubblica. 
38. A fronte di tale disciplina di dettaglio, propria del settore sanitario, 
appare evidente l�inconferenza, ai fini della decisione della causa principale, 
della normativa differenziata e propria di altri settori, quali quello dei lavori 
socialmente utili, del personale scolastico o del personale alle dipendenze delle 
Poste italiane S.p.A. 
39. Per quanto riguarda i lavoratori socialmente utili, � palese l�irrilevanza 
dei primi tre quesiti posti dal giudice del rinvio in ordine alla conformit� con 
l�accordo quadro dell�art. 8 del decreto legislativo 1 dicembre 1997, n. 468 e 
dell�art. 4 del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 che disciplinano la
124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
prestazione in attivit� socialmente utili e che non possono avere alcuna refluenza 
sui fatti di causa. 
40. E� vero che, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia, spetta 
esclusivamente al giudice nazionale, cui � stata sottoposta la controversia e 
che deve assumersi la responsabilit� dell�emananda decisione giurisdizionale, 
valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessit� di 
una pronuncia pregiudiziale ai fini della pronuncia della propria sentenza, sia 
la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le 
questioni sollevate dal giudice nazionale vertono sull�interpretazione del diritto 
comunitario, la Corte, in via di principio, � tenuta a statuire (sentenze 15 dicembre 
1995, causa C 415/93, Bosman, punto 59 e 10 novembre 2005, causa 
C-316/04, Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie, punto 29). 
41. E� altrettanto vero per� che la Corte pu� rifiutare di pronunciarsi su 
una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale quando risulti 
manifestamente che la richiesta interpretazione del diritto comunitario non ha 
alcuna relazione con la realt� o con l�oggetto della causa principale o quando 
il problema � di natura ipotetica (cfr. citate sentenze Bosman, punto 61, e Stichting 
Zuid-Hollandse Milieufederatie, punto 30). 
42. Nella fattispecie, � lampante l�assoluta irrilevanza dei primi tre quesiti 
interpretativi per la soluzione della controversia, atteso che, per la legislazione 
italiana, l�utilizzo nelle attivit� socialmente utili non determina nemmeno l�instaurazione 
di un rapporto di lavoro. 
43. I primi tre quesiti devo pertanto essere dichiarati irricevibili. 
Irricevibiit� dei quesiti da 4 a 6 
44. Per analoghi motivi, deve essere dichiarata l�irricevibilit� dei quesiti 
da 4 a 6 vertenti sulla conformit� alla clausola 5 dell�accordo quadro dell�art. 
4 della legge 3 maggio 1999, n. 124 che disciplina le supplenze del personale 
scolastico in maniera differenziata rispetto alla disciplina generale di cui al 
decreto legislativo n. 368 del 2001. 
45. Tale disciplina differenziata concernente i lavoratori precari del settore 
scuola non � ovviamente applicabile al personale alle dipendenze delle amministrazioni 
operanti nel settore sanitario ed il relativi quesiti in ordine alla 
compatibilit� di tale normativa con i principi comunitari recepiti nell�accordo 
quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE sono totalmente irrilevanti per la decisione 
della causa principale. 
Irricevibilit� dei quesiti da 7 a 9 
46. Discorso analogo va fatto per i quesiti da 7 a 9 concernenti la conformit� 
con la clausola 5 dell�accordo quadro della disciplina speciale prevista 
dall�art. 2, comma 2 bis del decreto legislativo n. 368 del 2001, aggiunto dall�art. 
1, comma 558 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, per le assunzioni a 
tempo determinato effettuate da imprese concessionarie di servizi nei settori
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 125 
delle poste, che il giudice del rinvio identifica con i lavoratori alle dipendenze 
delle Poste italiane S.p.a. 
47. Nessuna rilevanza pu� infatti assumere detta disciplina peculiare per 
la decisione della causa principale, che riguarda un lavoratore assunto con diversi 
contratti a termine da un�Azienda sanitaria, con conseguente irricevibilit� 
dei relativi quesiti. 
Irricevibilit� del quesito 11 
48. Parimenti irricevibile � il quesito n. 11, con il quale il giudice remittente 
chiede alla Corte se sia configurabile un�estensione analogica della tutela 
meramente risarcitoria prevista dall�art. 36, comma 5 del decreto legislativo 
n. 165 del 2001 ai lavoratori socialmente utili e ai lavoratori del settore scolastico 
o se debba invece applicarsi il principio di preferenza di cui alla clausola 
5, comma 2, lett. b) dell�accordo quadro nel senso che i contratti debbano ritenersi 
a tempo indeterminato. 
49. Ancora una volta, la causa principale non riguarda n� un lavoratore 
socialmente utile, n� un lavoratore precario del settore scolastico, con conseguente 
totale irrilevanza della questione interpretativa posta con il predetto 
quesito. 
Sul quesito 10 e sui quesiti da 12 a 15 
50. Va innanzitutto premesso che la Corte di giustizia ha gi� affermato 
che la direttiva 1999/70/CE e l�accordo quadro si applicano ai contratti e ai 
rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e altri 
enti del settore pubblico (sentenza 4 luglio 2006, causa C 212/04, Adeneler, 
punto 54). 
51. Come risulta dalla stessa formulazione della clausola 2, punto 1, dell�accordo 
quadro, il campo di applicazione di quest�ultimo viene inteso in 
senso lato, riguardando in maniera generale i �lavoratori a tempo determinato 
con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, 
dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro�. Inoltre, 
la definizione della nozione di �lavoratore a tempo determinato� ai sensi 
dell�accordo quadro, enunciata nella clausola 3, punto 1, di quest�ultimo, include 
tutti i lavoratori, senza operare distinzioni basate sulla natura pubblica 
o privata del loro datore di lavoro (sentenza Adeneler, punto 54). 
52. Ci� detto, con i suddetti quesiti, il giudice del rinvio chiede in sostanza 
se l�accordo quadro debba essere interpretato nel senso che esso osti ad una 
normativa nazionale che esclude, in caso di abuso risultante dall�utilizzo di 
una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da 
parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi ultimi 
siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, 
mentre una tale trasformazione � prevista per quanto riguarda i contratti e i 
rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore pri-
126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
vato. 
53. Come riconosciuto dallo stesso giudice del rinvio, la Corte di giustizia 
si � gi� occupata della questione sollevata nelle sentenze coeve e di analogo 
contenuto del 7 settembre 2006, causa C-53-04, Sardino e C-180/04, Vassallo. 
54. Con tali pronunce, la Corte di giustizia ha ritenuto che l�accordo quadro 
deve essere interpretato nel senso che esso non osta, in linea di principio, ad 
una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall�utilizzo 
di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro 
rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti di 
lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione � prevista per i contratti 
di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, 
qualora tale normativa contenga un�altra misura effettiva destinata ad 
evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione 
di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante 
nel settore pubblico. 
55. La Corte ha ritenuto quindi che la normativa italiana contenesse tale 
altra misura effettiva volta a prevenire ed a sanzionare i predetti abusi. 
56. Il giudice del rinvio ritiene per� che in quell�occasione il quadro normativo 
era stato rappresentato in maniera parziale e che lo stesso si sarebbe comunque 
evoluto. 
57. In proposito non pu� non rilevarsi che, nella ponderosa ordinanza di 
rinvio, il quadro normativo sia ora stato rappresentato in modo del tutto ultroneo 
rispetto al perimetro rilevante per la decisione della controversia. 
58. Sarebbe stato infatti sufficiente un richiamo al decreto legislativo n. 
268 del 2001 e all�art. 36, comma 5 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che 
- rispondendo cos� al quesito n. 10 - costituiscono la normativa generale di recepimento 
della direttiva 1999/70/CE ed eventualmente alla normativa specifica 
in materia di contratti a termine nel settore sanitario che invece, 
singolarmente, il giudice del rinvio non esamina affatto, dilungandosi oltremodo 
nell�analisi di normative, come si � visto, del tutto estranee alla materia 
del contendere. 
59. D�altro canto, l�evoluzione della normativa non pu� che rafforzare la 
bont� delle conclusioni gi� raggiunte dalla Corte di giustizia nelle richiamate 
sentenze Sardino e Vassallo. 
60. Infatti, da un lato, i commi 4-bis, 4-quater 4-quinquies e 4-sexies aggiunti 
all�art. 5 del decreto legislativo n. 368 del 2001 dalla legge n. 247 del 
2007 hanno fissato ulteriori paletti per evitare la reiterazione di contratti a termine, 
stabilendo una durata massima al di l� della quale il contratto si considera 
a tempo indeterminato e introducendo un diritto di precedenza di chi abbia prestato 
attivit� lavorativa per un periodo superiore a sei mesi nelle assunzioni a 
tempo indeterminato, dall�altro, l�art. 36, comma 5 del decreto legislativo n. 
165 del 2001, come modificato dal decreto-legge n. 112 del 2008 convertito
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 127 
dalla legge n. 133 del 2008 ha previsto, oltre al risarcimento del danno derivante 
dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative e alla responsabilit� 
per dolo e colpa grave dei dirigenti nei confronti dei quali l�amministrazione 
deve recuperare le somme erogate a tale titolo, anche due ulteriori 
conseguenze a carico dei predetti dirigenti, consistenti nell�impossibilit� di rinnovo 
dell�incarico dirigenziale e nella considerazione della predetta violazione 
nell�ambito della valutazione dell�operato del dirigente medesimo. Inoltre, il 
comma 3 del predetto art. 36 come modificato dall�art. 17, comma 26 del decreto-
legge n. 78 del 2009 convertito dalla legge n. 102 del 2009 prevede che 
�al dirigente responsabile di irregolarit� nell�utilizzo del lavoro flessibile non 
pu� essere erogata la retribuzione di risultato�. 
61. Sono stati quindi previsti ulteriori elementi dissuasivi, conformemente 
a quanto disposto dalla clausola 5 dell�accordo quadro, che non prevede affatto 
come obbligatoria la sanzione della conversione del rapporto in contratto a 
tempo indeterminato, come riconosciuto anche dal giudice del rinvio a p. 19 
dell�ordinanza, ma solo una preferenza di tale misura, che ben pu� quindi essere 
esclusa per una determinata categoria di lavoratori, come quelli alle dipendenze 
delle pubbliche amministrazioni, per i quali vige il principio del 
concorso pubblico ai sensi dell�art. 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001. 
62. La clausola 5 dell�accordo quadro rimette infatti agli Stati, previa consultazione 
con le parti sociali, di stabilire a quali condizioni i contratti di lavoro 
a tempo determinato devono essere ritenuti contratti a tempo indeterminato, lasciando 
quindi ai Stati medesimi la possibilit� di prevedere misure alternative 
alla predetta conversione del rapporto. 
63. Pertanto, dal momento che tale disposizione non stabilisce un obbligo 
generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo 
indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, cos� come non stabilisce 
nemmeno le condizioni precise alle quali si pu� fare uso di questi ultimi, 
essa lascia agli Stati membri un certo margine di discrezionalit� in materia. 
64. Ne consegue che la clausola 5 dell�accordo quadro non osta, in quanto 
tale, a che uno Stato membro riservi un destino differente al ricorso abusivo a 
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda 
che tali contratti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente 
al settore privato o con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico (sentenza 
Sardino, punti 47 e 48). 
65. Tuttavia, la Corte di giustizia ha osservato che, affinch� una normativa 
nazionale, come quella controversa nella causa principale, che vieta, nel solo 
settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato 
di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata 
conforme all�accordo quadro, l�ordinamento giuridico interno dello Stato membro 
interessato deve prevedere, in tale settore, un�altra misura effettiva per evitare, 
ed eventualmente sanzionare, l�utilizzo abusivo di contratti a tempo
128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
determinato stipulati in successione (sentenza Vassallo, punto 34) 
66. A tal riguardo una normativa nazionale quale quella controversa nella 
causa principale, che prevede norme imperative relative alla durata e al rinnovo 
dei contratti a tempo determinato, nonch� il diritto al risarcimento del 
danno subito dal lavoratore a causa del ricorso abusivo da parte della pubblica 
amministrazione a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo 
determinato, � stata ritenuta dalla Corte di giustizia prima facie soddisfare 
detti requisiti (sentenza Vassallo, punto 40). 
67. Quanto al quesito n. 15, si ricorda che la Corte di giustizia ha gi� affermato 
che spetta al giudice del rinvio valutare in quale misura le condizioni 
di applicazione nonch� l�attuazione effettiva dell�art. 36, secondo comma, 
prima frase, del d. lgs. n. 165/2001 ne fanno uno strumento adeguato a prevenire 
e, se del caso, a sanzionare l�utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione 
di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo 
determinato (sentenza Sardino, punto 56). 
Irricevibilit� del quesito 16 
68. Quanto al quesito n. 16, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente 
alla Corte di indicare i parametri per quantificare il risarcimento del danno, in 
ipotesi di divieto di conversione del contratto di lavoro a termine in rapporto 
a tempo indeterminato, affinch� la misura presenti garanzie effettive di tutela 
dei lavoratori. 
69. In particolare, il giudice remittente chiede se a tale scopo debba tenersi 
conto del tempo necessario a trovare una nuova occupazione e dell�impossibilit� 
di accedere ad un lavoro che presenti caratteristiche di stabilit� analoghe 
a quelle di un rapporto di lavoro alle dipendenze dello Stato ovvero se debba 
tenersi conto di tutte le retribuzioni che si sarebbero percepite in ipotesi di 
conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato 
fino al pensionamento (p. 21 dell�ordinanza di rinvio). 
70. Orbene, a p. 3 dell�ordinanza di rinvio, si da atto che il ricorrente nella 
causa principale ha chiesto, in subordine, di rapportare il risarcimento �alle 
retribuzioni infratemporalmente non percepite tra la stipula del primo fino all�ultimo 
contratto�. 
71. E� evidente quindi che le due soluzioni alternative prospettate dal giudice 
del rinvio nel quesito n. 16 esulano totalmente da quanto richiesto dallo 
stesso ricorrente. 
72. La risposta al predetto quesito � quindi totalmente irrilevante per la 
decisione in ordine alla domanda subordinata avanzata nel giudizio a quo atteso 
che, in ogni caso, il giudice del rinvio non potrebbe decidere ultra petita, 
accordando un risarcimento diverso e maggiore rispetto a quello chiesto dal 
ricorrente. 
73. Anche detto quesito, va pertanto dichiarato irricevibile.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 129 
Conclusioni 
74. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di dichiarare l�irricevibilit� 
dei quesiti da 1 a 9 e dei quesiti 11 e 16 perch� privi di rilevanza ai fini 
della decisione della causa principale. 
75. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il quesito 
n. 10 affermando che il decreto legislativo n. 368 del 2001 e l'art. 36, comma 
5, del decreto legisaltivo n. 165 del 2001 costituiscono normativa generale di 
recepimento della direttiva 1999/70/CE per il personale dipendente dello Stato. 
76. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte si risolvere il quesito 
n. 12 affermando che il principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 
dell�accordo quadro riguarda la parit� di trattamento tra lavoratori a tempo determinato 
e lavoratori a tempo indeterminato e che la clausola 5.1 consente di 
tener conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori e quindi 
applicare una differenziazione di discipline per la prevenzione degli abusi derivanti 
dall�utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato. 
77. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte si risolvere il quesito 
n. 13 affermando che la clausola 5 non osti ad una disciplina quale quella di 
cui all'art. 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165 del 2001 che vieti, rispetto 
alle pubbliche amministrazioni, la conversione dei rapporti di lavoro in 
contratti a tempo indeterminato. 
78. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il quesito 
n. 14 affermando che la direttiva 1999/70/CE debba operare integralmente 
nei confronti dell'Italia atteso che la clausola 5 dell�accordo quadro rimette 
agli Stati, previa consultazione con le parti sociali, di stabilire a quali condizioni 
i contratti di lavoro a tempo determinato devono essere ritenuti contratti 
a tempo indeterminato. 
79. Il Governo italiano propone infine alla Corte di risolvere il quesito n. 
15 affermando che la clausola 5 della direttiva 1999/70/CE, nel prevedere, in 
ipotesi di divieto di conversione del rapporto di lavoro, la necessit� di una misura 
che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori, rispetto 
ad analoghe situazioni di diritto interno, al fine di sanzionare 
debitamente gli abusi derivanti dalla violazione della stessa clausola 5 e di eliminare 
le conseguenze della violazione del diritto comunitario, non imponga 
di tener conto quale situazione analoga di diritto interno del rapporto di lavoro 
a tempo indeterminato con lo Stato, cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in 
assenza dell'art. 36, ovvero di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato 
con soggetto privato, nei confronti del quale il rapporto di lavoro avrebbe 
avuto caratteristiche di stabilit� analoghe a quelle di un rapporto di lavoro con 
lo Stato, spettando al giudice del rinvio valutare in quale misura le condizioni 
di applicazione nonch� l�attuazione effettiva dell�art. 36, secondo comma del 
decreto legislativo n. 165 del 2001 ne fanno uno strumento adeguato a prevenire 
e, se del caso, a sanzionare l�utilizzo abusivo da parte della pubblica am-
130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
ministrazione di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo 
determinato. 
Roma, 28 aprile 2010 Avv. Wally Ferrante 
Causa C-32/10 - Materia trattata: libera prestazione dei servizi - Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Varhoven kasatsionen sad 
(Bulgaria) il 20 gennaio 2010 - Toni Georgiev Semerdzhiev/Del-Pi-Krasimira 
Mancheva (avv. Stato M. Russo - AL 15253/10). 
Questioni pregiudiziali 
1. Se le disposizioni della Direttiva 90/314/CEE siano applicabili nella 
fattispecie. 
2. Come vada interpretata la nozione di �altri servizi turistici� ai sensi 
dell�art. 2 n. 1 lett. C della Direttiva 90/314/CE, e se tale nozione includa 
l�obbligo dell�organizzatore del viaggio di assicurare il consumatore - Quali 
siano i rischi del viaggiatore che devono essere coperti dal contratto di assicurazione 
stipulato dall�organizzatore del viaggio con l�impresa di assicurazioni 
- Che tipo di assicurazione a favore del consumatore debba prevedere il 
contratto di assicurazione stipulato tra l�organizzatore del viaggio e l�impresa 
di assicurazioni (se collettiva od individuale). 
3. Se l�obbligo in capo all�organizzatore del viaggio previsto dall�art. 4 
n. 1 lett. b) sub IV della Direttiva 90/314 di fornire al consumatore prima dell�inizio 
del viaggio le informazioni sulla sottoscrizione facoltativa di un contratto 
di assistenza che copra le spese di rimpatrio in caso di incidenti o 
malattie debba essere interpretato nel senso che comprende l�obbligo dell�organizzatore 
di concludere un�assicurazione individuale con il consumatore a 
copertura delle spese di rimpatrio in caso di incidente. 
4. Se l�organizzatore del viaggio sia tenuto, a norma delle disposizioni 
della Direttiva 90/314, a consegnare l�originale della polizza assicurativa al 
consumatore prima dell�inizio del viaggio. 
5. Come debba essere interpretata la nozione di �danni� subiti dal viaggiatore 
risultanti dall�inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto 
ai sensi dell�art. 5 n. 2 della Direttiva 90/314. 
6. Se la nozione di �danni� subiti dal consumatore e risultanti dall�inadempimento 
o dalla cattiva esecuzione del contratto, ai sensi dell�art. 5 n. 2 
della Direttiva 90/314, includa anche la responsabilit� per i danni morali sofferti 
dal consumatore. 
7. Come vada interpretato l�art. 5 n. 2 terzo e quarto comma della diret-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 131 
tiva 90/314 in caso di domande di risarcimento dei danni morali dovuti a un 
danno corporale basate sull�inadempimento o sulla cattiva esecuzione delle 
prestazioni che formano oggetto del servizio tutto compreso, inclusa la mancata 
consegna al consumatore della polizza assicurativa originale, qualora 
questa non preveda un limite al risarcimento del danno. 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana 
I. Relativamente al primo quesito, si ritiene che la presente fattispecie 
sia soggetta all�applicazione della Direttiva 90/314/CEE in quanto, secondo 
ci� che riferisce il giudice rimettente, il giudizio �a quo� ha ad oggetto un 
contratto relativo ad un viaggio che presenta i requisiti propri del cosiddetto 
�tutto compreso� ai sensi dell�art. 2 della Direttiva 90/314/CEE ed, in particolare, 
una domanda di risarcimento di danni imputati ad inadempienza degli 
obblighi dell�organizzatore, inadempienza che - nel caso di specie - si sarebbe 
concretizzata nella mancata consegna, prima della partenza, dell�originale di 
una polizza di assicurazione per eventuali spese mediche per incidente o malattia 
subiti dal consumatore. 
II. Relativamente al secondo quesito, il Governo italiano ritiene debba rispondersi 
nel senso di escludere che nella nozione di �altri servizi turistici� ai 
sensi dell�art. 2 n. 1 lett. c della Direttiva 90/314 vada incluso l�obbligo dell�organizzatore 
del viaggio di assicurare il consumatore. In effetti, tanto il tenore 
letterale delle norme di cui alla citata Direttiva, quanto la stessa logica, 
depongono in favore della risposta sopra prospettata, come qui di seguito si 
dir�.
II.1) Il II^ Considerando della Direttiva recita: � � in materia di viaggi, 
vacanze e circuiti tutto compreso, in seguito definiti �servizi tutto compreso� 
esistono notevoli divergenze�� (enfasi aggiunta); l�art. 1, a sua volta, dispone: 
�La presente direttiva ha lo scopo di riavvicinare le disposizioni legislative, 
regolamentari ed amministrative degli Stati membri concernenti i viaggi, le 
vacanze ed i giri turistici �tutto compreso� ��. 
Ebbene, da quanto esposto emerge con sufficiente chiarezza che l�art. 2 
della stessa Direttiva, nel prevedere �Ai fini della presente direttiva si intende 
per: 1) "servizio tutto compreso": la prefissata combinazione di almeno due 
degli elementi in appresso, �: a) trasporto, b) alloggio, c) altri servizi turistici 
non accessori al trasporto o all'alloggio che costituiscono una parte significativa 
del "tutto compreso" � � (enfasi aggiunta) non pu� che alludere esclusivamente 
a prestazioni che � pur se distinte dalle altre due indicate (trasporto 
ed alloggio) e non ad esse accessorie � siano pur sempre strettamente inerenti 
al turismo, per esempio l�organizzazione di escursioni, gite o visite. 
Diversamente, non si vede come tali prestazioni potrebbero rappresentare 
una �parte significativa� di quel �tutto compreso�, del quale il II^ Conside-
132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
rando e l�art. 1 (sopra riportati) danno una definizione strettamente turistica 
(come viaggi, vacanze e circuiti o giri turistici). 
II.2) A quanto sopra, si aggiunga che l�Allegato alla Direttiva, che - a 
norma dell�art. 4 comma IV punto 2 lettera a) - individua il contenuto minimo 
che il contratto di servizio �tutto compreso� deve presentare, non fa alcun riferimento 
a polizze assicurative. Se sussistesse un obbligo dell�organizzatore 
di fornirne una, � ovvio che essa dovrebbe in qualche modo emergere dal contratto. 
��� 
Per quanto sin qui esposto, il Governo italiano ritiene che al secondo quesito 
debba rispondersi come segue: �la nozione di �altri servizi turistici� ai 
sensi dell�art. 2 n. 1 lett. c della Direttiva 90/314, va interpretata nel senso 
che essi non comprendono l�obbligo dell�organizzatore del viaggio di assicurare 
il consumatore, bens� includono esclusivamente quei servizi che sono 
strettamente attinenti al turismo�. 
��� 
III. Relativamente al terzo quesito, il Governo italiano ritiene che al medesimo 
debba darsi risposta negativa. In effetti, anche in questo caso la Direttiva 
appare sufficientemente chiara: l�art. 4 n. 1 lett. b) punto IV, infatti, parla 
chiaramente di �informazioni sulla sottoscrizione facoltativa di un contratto 
di assistenza che copra le spese di rimpatrio in caso di incidenti o malattie� 
(enfasi aggiunta). La sussistenza dell�obbligo di informazione presuppone che 
il contratto di assistenza sia stato stipulato, il che rappresenta tuttavia una mera 
eventualit�, posto che trattasi di sottoscrizione �facoltativa�. Da nessun indice 
normativo, poi, sembra possa dedursi che al contratto di assistenza eventualmente 
sottoscritto vada associato obbligatoriamente un contratto di assicurazione 
individuale con il consumatore, avente analogo oggetto. 
��� 
Il Governo italiano propone pertanto di rispondere al terzo quesito come 
segue �L�obbligo in capo all�organizzatore del viaggio previsto dall�art. 4 
n. 1 lett. b) sub IV della Direttiva 90/314 di fornire al consumatore prima 
dell�inizio del viaggio le informazioni sulla sottoscrizione facoltativa di un 
contratto di assistenza che copra le spese di rimpatrio in caso di incidenti 
o malattie non deve essere interpretato nel senso che comprende l�obbligo 
dell�organizzatore di concludere un�assicurazione individuale con il consumatore 
a copertura delle spese di rimpatrio in caso di incidente�. 
��� 
IV. La risposta indicata per i quesiti precedenti rende superfluo rispondere 
al quarto quesito. 
V. Relativamente al quinto ed al sesto quesito (che sembra possano essere
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 133 
trattati unitariamente, in quanto il primo verte in maniera generica sulla nozione 
di �danni� ex art. 5 n. 2 della Direttiva, ed il secondo ne costituisce specificazione 
con riferimento alla categoria dei danni morali), si ritiene che la 
nozione di �danni� subiti dal viaggiatore e risultanti dall�inadempimento o 
dalla cattiva esecuzione del contratto ai sensi dell�art. 5 n. 2 della Direttiva 
debba necessariamente comprendere tanto i danni materiali, quanto i danni 
morali. 
Ed invero, dall�art. 5 IV comma della Direttiva, che recita �Per quanto 
riguarda i danni diversi da quelli corporali derivanti dall�inadempimento o 
dalla cattiva esecuzione delle prestazioni � gli Stati membri possono ammettere 
che l�indennizzo sia limitato ��, si evince necessariamente che la Direttiva, 
oltre ai danni materiali, prende in considerazione anche quelli morali, 
che sono diversi da quelli �corporali�. Va peraltro ricordato che � proprio con 
riferimento alla categoria dei danni morali - la Corte si � pronunciata con la 
sentenza in data 12 marzo 2002, resa nella causa C-168/00, statuendo: �L'art. 
5 della direttiva del Consiglio 13 giugno 1990, 90/314/CEE, concernente i 
viaggi, le vacanze ed i circuiti �tutto compreso�, dev'essere interpretato nel 
senso che il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante 
dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione 
di un viaggio �tutto compreso��. 
��� 
Si propone pertanto alla Corte di rispondere al quinto ed al sesto quesito 
come segue �L'art. 5 della direttiva del Consiglio 13 giugno 1990, 
90/314/CEE, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti �tutto compreso�, 
dev'essere interpretato nel senso che il consumatore ha diritto al risarcimento 
sia del danno materiale che del danno morale derivante dall'inadempimento 
o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di 
un viaggio �tutto compreso��. 
��� 
VI. Al settimo quesito � superfluo rispondere, dovendosi escludere che 
sussista un obbligo dell�organizzatore del viaggio di assicurare il consumatore 
e, di conseguenza, che la mancata consegna della polizza assicurativa possa 
integrare un inadempimento o cattiva esecuzione del contratto �tutto compreso�. 
Avv. Marina Russo
I L C O N T E N Z I O S O 
N A Z I O N A L E 
L�istituto del matrimonio 
Sul riconoscimento ai nubendi dello stesso sesso �La materia � 
affidata alla discrezionalit� del Parlamento� 
(Corte costituzionale, sentenza del 15 aprile 2010 n. 138) 
Le questioni prospettate alla Corte Costituzionale dalle due ordinanze di 
rimessione, in una visione unitaria, pur nell�intrinseca diversit� delle due ordinanze, 
si appuntano su temi molto delicati e di ampia prospettiva. Le considerazioni 
sono state svolte dall�Avvocatura dello Stato prescindendo da altre 
angolazioni non di carattere squisitamente giuridico. Le direttrici concettuali 
si sono diramate con riferimento agli articoli 29, comma 1; 2; 3; ai profili internazionali 
che fungono da norma interposta di cui all�art. 117, comma 1,; 
alle norme CEDU e alla giurisprudenza della Corte europea; ai profili comunitari 
nella doppia angolazione delle norme TFUE e della giurisprudenza della 
Corte di Giustizia; ai profilli di diritto comparato passando in rassegna le scelte 
effettuate dagli altri ordinamenti. 
Si � cos� individuato un punto in comune di tutta questa articolata disamina: 
la centralit� del ruolo del legislatore e la discrezionalit� nella scelta del 
modello normativo al quale ispirare l�equiparazione anche a limitati effetti 
(economici o successori) delle unioni fra persone dello stesso sesso a quelle 
eterosessuali. L�art. 29 non � una ''norma in bianco''. Come hanno rilevato 
molti costituzionalisti, ha un suo contenuto che non consente di tendere eccessivamente 
l'elastico costituzionale per evitare la rottura del sistema. Non 
esiste, quindi, un modello unico ma un pluralita' di risposte e di livelli di tutela. 
Avv. Gabriella Palmieri* 
(*) Avvocato dello Stato.
136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
IN ALLEGATO: 1. Comunicato ANSA del 23 marzo 2010 - 2. Atto di intervento del Presidente 
del Consiglio dei Ministri nel giudizio di legittimit� costituzionale in via incidentale 
promosso dal Tribunale di Venezia con ord. 3 aprile 2009 - 3. (segue) Memoria. 
(All. 1) 
(ANSA) - ROMA, 23 MAR - Spetta al legislatore nazionale decidere su una materia delicata 
come il matrimonio. Lo ha ribadito l' avvocato dello Stato Gabriella Palmieri nell�udienza 
davanti alla Corte Costituzionale sulla questione di legittimit�' del divieto di matrimonio per 
le coppie omosessuali stabilito da alcuni articoli del codice civile. 
Il legale ha sottolineato che l�istituto del matrimonio fa riferimento a persone di sesso diverso: 
il fatto che a un transessuale sia possibile sposarsi (elemento citato dai difensori delle coppie 
gay a sostegno della tesi della disparita' di trattamento) non fa invece che dimostrare come la 
differenza di sesso sia elemento fondamentale. 
�Non esiste alcuna norma che ammetta il matrimonio tra persone dello stesso sesso� ha osservato 
l' avvocato Palmieri insistendo sul fatto che anche le norme europee stabilite dalla 
Corte dei Diritti dell'Uomo, dal Trattato di Lisbona e dalla Carta di Nizza richiamino ''la centralita' 
dei legislatori nazionali� sull' argomento. ''L' art. 9, che riconosce il diritto a sposarsi 
e a costituire una famiglia, rinvia alle leggi nazionali per la determinazione delle condizioni 
per l'esercizio di tale diritto, escludendo sia il riconoscimento automatico di unioni familiari 
diverse da quelle previste negli ordinamenti interni, sia l'obbligo degli Stati membri di riconoscere 
unioni familiari omosessuali�. 
Quanto all'articolo 29 della Costituzione sulla ''famiglia come societa' naturale fondata sul 
matrimonio�, l'avvocato dello Stato ha sottolineato che non si tratta di una ''norma in bianco�: 
molti costituzionalisti hanno rilevato che ha un suo contenuto ''che non consente di tendere 
eccessivamente l'elastico costituzionale per evitare la rottura del sistema. L'evoluzione sociale 
e' molto piu' complessa di quanto possa sembrare. Non esiste un modello unico ma un pluralita' 
di risposte e di livelli di tutela''. (ANSA). 
(All. 2) 
CT 12835/2009 
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
Ecc.ma CORTE COSTITUZIONALE 
ATTO DI INTERVENTO 
del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall�Avvocatura Generale dello 
Stato, presso i cui uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12 
nel giudizio incidentale 
di legittimit� costituzionale promosso dal Tribunale di Venezia, Sezione III Civile, con ordinanza 
in data 4 febbraio 2009, pubblicata il 3 aprile 2009, relativo agli articoli 93, 96, 98, 
107, 108, 143, 143-bis e 156-bis del codice civile, nella parte in cui, sistematicamente interpretati, 
non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio 
con persone dello stesso sesso, con riferimento agli articoli 2, 3, 29 e 117, comma 1, 
Costituzione ( r.o. n. 177/09; in G.U. n. 26 del 1.7.2009).
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 137 
* * * 
1. Con l�ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Venezia, adito da una coppia omosessuale 
alla quale l�ufficiale di stato civile del Comune di Venezia aveva opposto un rifiuto alla 
richiesta di pubblicazione del matrimonio, ha sollevato l�eccezione di legittimit� costituzionale 
degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis del codice civile con riferimento 
agli articoli 2, 3, 29 e 117, comma 1, Cost., nella parte in cui non consentono di operare 
�un�estensione dell�istituto del matrimonio anche a persone dello stesso sesso�. 
Ha ritenuto il giudice remittente che, poich�, in base al �chiaro tenore� della normativa vigente, 
�si tratterebbe di una forzatura non consentita ai giudici (diversi da quello costituzionale), 
a fronte di una consolidata e millenaria nozione di matrimonio come unione di un uomo 
e di una donna�; rimettendo alla Corte Costituzionale, qualora ritenga fondata la questione, 
la valutazione della �necessit� di estendere la pronuncia anche ad altre disposizioni legislative 
interessate in via di consequenzialit�, ai sensi dell�art. 27 della legge n. 87/1953�. 
La questione � inammissibile e, comunque, infondata. 
2. Come si evince proprio dalla formulazione stessa della questione di legittimit� costituzionale 
proposta, il giudice a quo fa espresso riferimento al c.d. �diritto vivente�, alla costante e 
sistematica interpretazione delle norme denunciate e, quindi, all�impossibilit� di individuare 
un�interpretazione �costituzionalmente orientata�, alla luce della quale riconoscere alle coppie 
omosessuali la possibilit� di contrarre matrimonio. 
Il dato positivo incontrovertibile, infatti, � � come sottolineato unanimemente dalla dottrina 
e dalla giurisprudenza - che tutta la normativa positiva riguardante l�istituto del matrimonio, 
sia quella contenuta nel codice civile, sia quella dettata dalla normativa speciale, sia quella di 
rango costituzionale, si riferisce senz�altro �all�unione fra persone di sesso diverso�. 
Non assume, perci�, particolare rilievo soffermarsi sulla ricostruzione �storica�, ovvero sulla 
�contestualizzazione� della normativa in materia, perch� � evidente che n� il legislatore del 
1942 n� il legislatore del 1975 potevano raffigurarsi una disciplina positiva di unioni fra persone 
dello stesso sesso. 
Il requisito della diversit� del sesso, che si ricava direttamente dall�art. 107 c.c., �forma della 
celebrazione�, che configura il matrimonio come negozio giuridico bilaterale tra due persone, 
le quali dichiarano in un determinato contesto formale, di volersi �prendere rispettivamente 
in marito e moglie�, nonch� in altre numerose disposizioni del codice civile, viene tradizionalmente 
e costantemente annoverato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, tra i requisiti indispensabili 
per l�esistenza stessa del matrimonio. 
L�istituto del matrimonio, infatti, nel nostro ordinamento si configura come un istituto pubblicistico 
volto a disciplinare determinati effetti che il legislatore tutela come diretta conseguenza 
di un rapporto di convivenza tra persone di sesso diverso (filiazione, diritti successori, 
legge in tema di adozione). 
2. Il richiamo all�art. 2 Cost. operato dal giudice remittente non appare, per�, n� decisivo n� 
conferente. 
L�art. 2 Cost., per costante interpretazione della Corte Costituzionale, infatti, �deve essere ricollegato 
alle norme costituzionali concernenti singoli diritti e garanzie fondamentali, quanto 
meno nel senso che non esistono altri diritti fondamentali inviolabili che non siano necessariamente 
conseguenti a quelli costituzionalmente previsti� (sentenza n. 98/1979), tra i quali 
non pu� ritenersi certamente ricompresa la pretesa azionata dai ricorrenti nel giudizio a quo. 
La collocazione dell�art. 2 fra i �principi fondamentali� e la collocazione dell�art. 29, invece,
138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
nel Titolo II fra i �rapporti etico-sociali� rappresenta non solo l�argomentazione testuale, ma 
anche l�argomentazione pi� significativa sotto il profilo sostanziale e qualitativo, per escludere 
la fondatezza dell�assunto del giudice remittente, non essendo, ovviamente, vietata nel nostro 
ordinamento la convivenza tra persone dello stesso sesso. 
La dottrina pi� recente, infatti, tende a ricondurre la tutela delle coppie omosessuali nell�ambito 
della tutela delle coppie di fatto. 
Le recenti iniziative degli enti territoriali (Comuni, Regioni) si muovono nella direzione di 
istituire registri delle unioni civili, senza alcun riferimento al sesso dei conviventi (sulla cui 
�inefficacia giuridica�, in particolare, le sentenze n. 372/2004 e n. 378/2004). 
3. Non sussiste alcuna violazione del principio di uguaglianza di cui all�articolo 3 della Costituzione 
che impone un uguale trattamento per situazioni uguali e trattamento differenziato 
per le situazioni di fatto difformi. 
La dottrina, nel commentare l�art. 3 citato, ha ritenuto il divieto di discriminazioni in base al 
sesso �in qualche misura meno rigido rispetto ad altri�, sia sul piano della correlazione di alcune 
distinzioni ad oggettive differenze fra i sessi; sia sul piano normativo, nella misura in 
cui nella Costituzione si rinvengono norme idonee a giustificare � secondo la dottrina - entro 
certi limiti, distinzioni fondate sul sesso, �in particolare, gli articoli 29 e 37 e 51�. 
La dottrina ha anche ritenuto che il richiamo al principio di ragionevolezza espresso nell�art. 
3 Cost. nella fattispecie in esame non � pertinente, perch� un trattamento normativo differenziato 
pu� ritenersi �ragionevole� in quanto tendente a realizzare altri e prevalenti valori costituzionali. 
La giurisprudenza in tema di illegittime discriminazioni subite in precedenza dalle persone 
transessuali richiamata dal giudice remittente non si attaglia perfettamente alla fattispecie, 
perch� il problema della �identit� di sesso biologico� in quella ipotesi assumeva, evidentemente, 
una rilevanza diversa; n� da essa pu� farsi discendere tout court un�assimilazione della 
fattispecie in esame alle c.d. �suspect class� di derivazione anglosassone, cio�, a discriminazioni 
derivanti dalla mera appartenenza ad una certa categoria di persone. 
4. Neanche il parametro costituzionale rappresentato dall�art. 29 Cost. � idoneo a sostenere 
l�assunto del giudice remittente. 
L�art. 29, stabilendo che �la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come societ� naturale 
fondata sul matrimonio�, delinea �una relazione biunivoca� tra le nozioni in esso richiamate 
di famiglia e matrimonio e, altres�, �vincola il legislatore a tenere distinte la disciplina dell�istituzione 
familiare da quelle eventualmente dedicate a qualsiasi altro tipo di formazione 
sociale, ancorch� avente caratteri analoghi�. 
Costituisce �affermazione ricorrente� in dottrina quella secondo la quale la Costituzione �non 
solo non fornisce alcuna precisa definizione di famiglia�, ma anche che, per quanto riguarda 
l�istituto del matrimonio, �si limita ad operare un rinvio per presupposizione alla disciplina 
codicistica�. 
Senza ripercorrere nel dettaglio il dibattito che si svilupp� nell�Assemblea Costituente in sede 
di elaborazione dell�art. 29 e che condusse ad una formulazione definitiva che doveva tenere 
conto delle varie esigenze emerse nel corso del dibattito stesso, si pu�, a distanza di circa sessant�anni 
dall�entrata in vigore della Costituzione, sinteticamente, ritenere che due principali 
ricostruzioni del significato della norma costituzionale si sono delineate in contrapposizione 
l�una all�altra, tali da costituire, nello stesso tempo, punti di riferimenti ineludibili del dibattito 
sulla valenza della norma costituzionale stessa. 
Una posizione, infatti, partendo da una ricostruzione di stampo giusnaturalistico, sottolinea il
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 139 
carattere pregiuridico dell�istituto familiare, identificando un solo modello univoco e stabile; 
l�altra posizione, ritenendo insoddisfacente l�approccio giusnaturalistico e non conforme alla 
realt� il concetto immutabile di famiglia, attribuisce all�art. 29 Cost. un contenuto mutevole 
con l�evoluzione dei costumi sociali, una sorta di valenza di �norma in bianco�. 
Parte della dottrina ha, invece, superato la predetta dicotomia e ha finito, correttamente, per 
percorrere una via per cos� dire intermedia, ritenendo che l�art. 29 faccia riferimento ad un 
modello di famiglia che, sebbene �suscettibile di sviluppi e cambiamenti�, sia, per�, �caratterizzato 
da un nucleo duro�, un modello, cio�, che sia �aperto a progressive trasformazioni�, 
ma che trova �il suo contenuto minimo e imprescindibile nell�elemento della diversit� del 
sesso fra i coniugi�, che mantiene, perci�, il significato originario fissato nella Carta, senza 
mutarlo in maniera certamente differente e distante dall�originaria formulazione; che, in altri 
termini, non si ponga in conflitto con la �volont� storica del costituente�. 
5. Non pu� neanche ritenersi che la citata normativa codicistica, della cui legittimit� costituzionale 
il giudice remittente dubita, si ponga in contrasto con l�articolo 117, primo comma, 
della Costituzione che obbliga il legislatore al rispetto dei vincoli derivanti dall�ordinamento 
comunitario e dagli obblighi internazionali. 
Va, innanzitutto, sottolineato che il diritto di famiglia non � stato toccato direttamente dal pi� 
generale processo c.d. di �comunitarizzazione� del diritto privato. 
L�ordinamento comunitario, come per altri campi del diritto, non ha legiferato in materia matrimoniale, 
ma si � limitato in varie Risoluzioni ad indicare criteri e principi lasciando ai singoli 
Paesi membri la facolt� di adeguamento delle legislazioni nazionali. 
Questa libert� dei legislatori europei ha prodotto, perci�, una molteplicit� di forme di tutela 
delle coppie omosessuali. 
Come ha osservato la dottrina, poche materie come quelle del matrimonio offrono nell�ampio 
panorama delle legislazioni europee una disciplina cos� diversificata e ci� per �la stretta connessione 
che tale materia presenta con le tradizioni, le condizioni storiche, le credenze ideologiche 
e religiose e questo � anche il motivo degli scarsi progressi compiuti nel tentativo di 
realizzare una maggiore uniformit� normativa�. 
N� la citata normativa codicistica appare in contrasto con gli articoli 8 (diritto al rispetto della 
vita familiare), 12 (diritto al matrimonio) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione 
Europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, le cui norme 
costituiscono fonte integratrice del parametro di costituzionalit� introdotto dall�articolo 117, 
primo comma della Costituzione. 
L�articolo 12, infatti, della citata Convenzione statuisce che �a partire dall�et� minima per 
contrarre matrimonio, l�uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia 
secondo le leggi nazionali che regolano l�esercizio di tale diritto.� 
La norma, pertanto, non solo riafferma che l�istituto del matrimonio riguarda persone di sesso 
diverso, ma rinvia alle leggi nazionali per la determinazione delle condizioni per l�esercizio 
di tale diritto. 
Non sembra, infine, che vi sia un contrasto nemmeno con gli articoli 7 (diritto al rispetto della 
vita familiare e privata), 21 (divieto di discriminazioni anche in riferimento alle tendenze sessuali) 
e con l�articolo 9 della Carta di Nizza, parte integrante del Trattato di Lisbona ratificato 
dall�Italia 11 agosto 2008, in quanto, in particolare, tale articolo, che riconosce il diritto di 
sposarsi e di costituire una famiglia, rinvia in ogni caso alla legge nazionale per la determinazione 
delle condizioni per l�esercizio di tale diritto escludendo, pertanto, sia il riconoscimento 
automatico di unioni familiari diverse da quelle previste dagli ordinamenti interni, sia
140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
l�obbligo per gli Stati membri di adeguarsi al riconoscimento di relazioni familiari non eterosessuali. 
Va, quindi, osservato che, al di l� dell�eterogeneit� dei modelli di riconoscimento adottati dai 
singoli Stati europei, l�elemento che li accomuna � senz�altro la �centralit� del legislatore� 
nel processo di inclusione delle coppie omosessuali nell�ambito degli effetti legali delle discipline 
di tutela. 
6. Dalle osservazioni sinora svolte risulta evidente l�inammissibilit� e, comunque, l�infondatezza 
della questione di legittimit� costituzionale come sollevata dal tribunale di Venezia. 
Un intervento della Corte Costituzionale di tipo manipolativo non potrebbe, infatti, realizzarsi 
attraverso un�operazione lessicale di mera sostituzione delle parole �marito� e �moglie� con 
la parola �coniugi�, per �rileggere� la disciplina codicistica alla luce di un�interpretazione in 
chiave evolutiva dell�art. 29 Cost., perch� famiglia e matrimonio, come si � gi� illustrato 
supra e come sottolineato dalla dottrina, sono delineati nella loro essenza e configurazione 
proprio dal codice civile, che ne contiene l�intera disciplina e alle quali la norma costituzionale 
stessa fa imprescindibile riferimento. 
In altre parole, non si pu� chiedere � come fa invece il giudice remittente - alla Corte Costituzionale 
di ridisegnare il tessuto normativo codicistico alla luce di una norma costituzionale, 
che proprio a tale impianto codicistico rimanda, per la definizione in concreto dei concetti in 
essa contenuti; e, soprattutto, attraverso una ricognizione delle norme codicistiche da censurare 
che dovrebbe essere necessariamente di tale ampiezza da riguardare tutto il sistema ordinamentale 
contenuto nel codice, al fine di realizzare una regolazione sistematica; tanto che lo 
stesso giudice remittente, consapevole di ci�, ha chiesto alla Corte che la dichiarazione si 
estenda anche �a tutte le altre disposizioni legislative interessate in via di consequenzialit�, ai 
sensi dell�art. 27 della legge n. 87/1953�. 
Si tratta, quindi, di �una questione di politica e di tecnica legislativa di competenza del conditor 
iuris� (ordinanza n. 178/1988), che pone un problema di scelte di opportunit� �la cui decisione 
compete esclusivamente al legislatore� (ordinanza n. 586/1988). 
Si chiede, in altri termini, alla Corte di compiere �una operazione manipolativa esorbitante 
dai poteri della Corte� stessa, in presenza di una pluralit� di opzioni prospettabili, la scelta tra 
le quali non pu� che essere rimessa al legislatore� (sentenza n. 61/2006). 
* * * 
Si conclude, pertanto, perch� la proposta questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, 
infondata. 
Roma 21 luglio 2009 
L�Avvocato dello Stato 
Gabriella Palmieri
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 141 
(All. 3) 
CT 12835/09 
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE 
R.O.N. 177/09 
UDIENZA 23 MARZO 2010 
MEMORIA 
del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello 
Stato, presso i cui uffici ex lege domicilia in Roma, Via dei Portoghesi n. 12 
nel giudizio incidentale 
di legittimit� costituzionale promosso dal Tribunale di Venezia, Sezione III Civile, con ordinanza 
in data 4 febbraio 2009, pubblicata il 3 aprile 2009, relativo agli articoli 93, 96, 98, 
107, 108, 143, 143-bis e 156-bis del codice civile, nella parte in cui, sistematicamente interpretati, 
non consentono che le persone di 
orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, con 
riferimento agli articoli 2, 3, 29 e 117, comma 1, Costituzione. 
* * * 
1. Con riferimento alla questione di legittimit� costituzionale indicata in epigrafe, svolgendo 
le argomentazioni contenute nell'atto di intervento, si ritiene di osservare quanto segue. 
Come gi� rilevato la questione � inammissibile e, comunque, infondata. 
Si � gi� osservato che il giudice a quo, nell'argomentare sulla questione di legittimit� costituzionale 
sollevata, fa espresso riferimento al c.d. "diritto vivente", alla costante e sistematica 
interpretazione delle norme denunciate e, all'impossibilit� di individuare un'interpretazione 
"costituzionalmente orientata", alla luce della quale riconoscere alle coppie omosessuali la 
possibilit� di contrarre matrimonio. 
La dottrina e la giurisprudenza sono assolutamente concordi nell'affermare che l'intera disciplina 
dell'istituto del matrimonio e, quindi, sia quella contenuta nel codice civile, sia quella 
dettata dalla normativa speciale, sia quella di rango costituzionale, si riferisce senz'altro "all'unione 
fra persone di sesso diverso". 
In particolare, la dottrina ritiene che tale disciplina complessivamente considerata assuma �tre 
caratteristiche intrinseche la monogamia, l'esogamia e l'eterosessualit��. 
Non si tratta, pertanto, come si � gi� rilevato, di "contestualizzare" o di �storicizzare� la normativa 
in materia, perch�, senz'altro, n� il legislatore del 1942, n� il legislatore del 1975 avrebbero 
potuto prevedere una disciplina positiva di unioni fra persone dello stesso sesso. 
Il requisito della diversit� del sesso, come gi� osservato, si ricava direttamente dall'art. 107 
c.c., "forma della celebrazione", che configura il matrimonio come negozio giuridico bilaterale 
tra due persone, le quali dichiarano in un determinato contesto formale, di volersi "prendere 
rispettivamente in marito e moglie"; dall�art. 143 c.c., con il quale si stabilisce che �con il 
matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri�; 
nonch� in altre numerose disposizioni del codice civile e nella giurisprudenza della Corte di 
Cassazione, che ha avuto occasione di precisare che �requisiti minimi� per l�esistenza del matrimonio 
�sono costituiti dal fatto che due persone di sesso diverso abbiano manifestato la volont� 
matrimoniale davanti ad un ufficiale celebrante� (Sez. I, 9 giugno 2000, n. 7877). 
Tale requisito � tradizionalmente e costantemente annoverato, dalla dottrina e dalla giurispru-
142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
denza, tra i requisiti indispensabili per l'esistenza stessa del matrimonio, individuati di regola 
nella diversit� del sesso, nel consenso delle parti e nella celebrazione, che si distinguono dai 
requisiti indispensabili, invece, per la validit� della costituzione del vincolo. 
Va ricordato che l'istituto del matrimonio, infatti, nel nostro ordinamento si configura come 
un istituto pubblicistico volto a disciplinare determinati effetti che il legislatore tutela come 
diretta conseguenza di un rapporto di convivenza tra persone di sesso diverso (filiazione, 
diritti successori, adozione). 
2. Il richiamo all'art. 2 Cost. effettuato dal giudice remittente non � - per quanto gi� rilevato - 
n� decisivo n� conferente. 
Come osservato dalla dottrina, tale prospettiva di tutela, infatti, finisce per prendere in considerazione 
gli interessi dei singoli protagonisti e non la vicenda complessivamente considerata. 
La collocazione in termini di disciplina costituzionale nella garanzia dell'art. 2 Cost., relativa 
alle formazioni sociali all'interno delle quali si svolge la personalit� dell'individuo e l'adozione 
di un modello ricostruttivo orientato non risolve il problema "pi� generale" dell'esistenza o 
meno di una relazione fra l'art. 29 Cost. e l'articolazione dei modelli familiari nell'ambito sociale; 
e, soprattutto, non risolve il problema se sia ipotizzabile definire una tutela costituzionale 
dei modelli familiari diversi dalla c.d. "famiglia legittima" (espressione del c.d. �favor legitimitatis�). 
La dottrina ha, infatti, osservato che tale approccio ricostruttivo, da un lato, corre il rischio, 
implicito in tale modello teorico, di proiettare sull'attivit� interpretativa "una gerarchia di 
valori rispetto ad un fenomeno che nasce anche come momento di contestazione sociale del 
modello tradizionale� e come �momento di dissenso"; e, dall'altro, ha osservato che tale approccio 
ricostruttivo corre il rischio di realizzare �una inopportuna costrizione in schemi rigidi 
di una vicenda che, invece, � connotata da grande variet� e ricchezza di esperienze". 
3. Non sussiste � come gi� rilevato nell�atto di intervento � neanche la violazione del principio 
di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., che impone un uguale trattamento per situazioni uguali 
e trattamento differenziato per le situazioni di fatto difformi. 
La dottrina, nel commentare l'art. 3 citato, infatti, ha qualificato il divieto di discriminazioni 
in base al sesso "in qualche misura meno rigido rispetto ad altri", sia sul piano della correlazione 
di alcune distinzioni a oggettive differenze fra i sessi; sia sul piano normativo, nella misura 
in cui nella Costituzione si rinvengono norme idonee a giustificare - secondo la dottrina 
- entro certi limiti, distinzioni fondate sul sesso, "in particolare, gli articoli 29 e 37 e 51". 
La dottrina ha anche ritenuto che non si verifica alcuna discriminazione nei confronti di alcuni 
soggetti nei confronti di altri, perch� non si tratta di due situazioni equiparabili o comparabili 
fra loro, trattate in modo irragionevolmente diverso, ma si tratta, invece, di "situazioni dissimili", 
o meglio di situazioni che l'attuale �assetto normativo costituzionale� impone di tenere 
distinte e alle quali, perci�, "devono essere dedicate discipline giuridiche, magari per alcuni 
aspetti analoghe, ma autonome e differenziate". 
L�art. 29 Cost. � letto dai commentatori nel suo �fare sistema� con i principi e con le norme 
di cui si compone la trama costituzionale, quale, ad esempio l�art. 30 Cost., con riferimento 
al quale si osserva che �nell�idea della compatibilit� � pur sempre presupposto lo stato di diversit�, 
assumendosi quello proprio dei componenti la famiglia (in senso stretto) quale parametro, 
tertium comparationis, della validit� della disciplina relativa ai figli non legittimi�. 
4. D'altronde, � proprio il parametro costituzionale costituito dall'art. 29 Cost. a delineare "una 
relazione biunivoca" tra le nozioni in esso richiamate di famiglia e matrimonio e, altres�, a
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 143 
vincolare il legislatore "a tenere distinte la disciplina dell'istituzione familiare da quelle eventualmente 
dedicate a qualsiasi altro tipo di formazione sociale, ancorch� avente caratteri analoghi". 
Va ribadito che costituisce "affermazione ricorrente" in dottrina quella secondo la quale la 
Costituzione "non solo non fornisce alcuna precisa definizione di famiglia", ma anche che, 
per quanto riguarda l'istituto del matrimonio, "si limita ad operare un rinvio per presupposizione 
alla disciplina codicistica". 
Va ancora una volta sottolineato che la dottrina, pur affermando che l'art. 29 faccia riferimento 
ad un modello di famiglia "suscettibile di sviluppi e cambiamenti", ritiene, per�, che esso sia 
"caratterizzato da un nucleo duro, un modello, cio�, che sia "aperto a progressive trasformazioni", 
ma che trova "il suo contenuto minimo e imprescindibile nell'elemento della diversit� 
del sesso fra i coniugi", che mantiene, perci�, il significato originario fissato nella Carta, senza 
mutarlo in maniera certamente differente e distante dall'originaria formulazione; che, in altri 
termini, non si ponga in conflitto con la "volont� storica del costituente". 
La dottrina giunge, pertanto, alla conclusione che dell�art. 29 Cost. non vi sia una chiave di 
lettura che �imponga un obbligo di riconoscere� la libert� di sposarsi anche alle coppie dello 
stesso sesso. 
5. Non pu� nemmeno ritenersi che la citata normativa codicistica, della cui legittimit� costituzionale 
il giudice remittente dubita, si ponga in contrasto con l'articolo 117, primo comma, 
della Costituzione che obbliga il legislatore al rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali 
e dall'ordinamento comunitario. 
La citata normativa codicistica richiamata nell�ordinanza di remissione non appare, innanzitutto, 
essere in contrasto con la Convenzione CEDU Convenzione Europea per la salvaguardia 
dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali, le cui norme costituiscono fonte integratrice 
del parametro di costituzionalit� introdotto dall'articolo 117, primo comma, della Costituzione. 
Non appare in contrasto, in particolare, con l�art. 8 (diritto al rispetto della vita familiare) � 
come hanno sottolineato i commentatori � alla luce di alcuni pareri della Commissione dei 
diritti dell�uomo, secondo la quale �la relazione affettiva tra due soggetti dello stesso sesso 
non assume il significato di �vita familiare� inteso dall�art. 8�. 
N� appare in contrasto con l�art. 12 (diritto al matrimonio), il quale statuisce che "a partire 
dall'et� minima per contrarre matrimonio, l'uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di 
fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l'esercizio di tale diritto". 
La norma, pertanto, non solo riafferma che l'istituto del matrimonio riguarda persone di sesso 
diverso, ma rinvia alle leggi nazionali per la determinazione delle condizioni per l'esercizio 
di tale diritto. 
La Commissione dei diritti dell�uomo ha, quindi, affermato che la funzione dell�art. 12 citato 
� quella di �rappresentare un presidio per il solo matrimonio tradizionale�. 
N� sussiste alcun immediato contrasto con l�art. 14 (divieto di discriminazioni), all�interno 
del quale non essendo esplicitamente richiamato, �l�orientamento sessuale� pu� essere ricondotto 
solo in via analogica. 
Va, poi, riaffermato che il diritto di famiglia non � stato toccato direttamente dal pi� generale 
processo c.d. di "comunitarizzazione" del diritto privato. 
L'ordinamento comunitario, come per altri campi del diritto, non ha legiferato in materia matrimoniale, 
ma si � limitato in varie Risoluzioni a indicare criteri e principi lasciando ai singoli 
Paesi membri la facolt� di adeguamento delle legislazioni nazionali.
144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Questa libert� dei legislatori europei ha prodotto, perci�, una molteplicit� di forme di tutela 
delle coppie omosessuali. 
Non vi �, comunque, alcun contrasto nemmeno con gli articoli 7 (diritto al rispetto della vita 
familiare e privata), 21 (divieto di discriminazioni anche in riferimento alle tendenze sessuali) 
e con l'articolo 9 della Carta di Nizza, parte integrante del Trattato di Lisbona ratificato dall'Italia 
in data 11 agosto 2008 ed entrato in vigore in data 1.12.2009. 
In particolare, tale art. 9, che riconosce il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia ("sono 
garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio"), rinvia, appunto, in ogni 
caso alla legge nazionale per la determinazione delle condizioni per l'esercizio di tale diritto 
escludendo, pertanto, sia il riconoscimento automatico di unioni familiari diverse da quelle 
previste dagli ordinamenti interni, sia, soprattutto, l'obbligo per gli Stati membri di adeguarsi 
al riconoscimento di relazioni familiari non eterosessuali. 
Va, quindi, ribadito che, al di l� dell'eterogeneit� dei modelli adottati dai singoli Stati europei, 
l'elemento che li accomuna � senz'altro la "centralit� del legislatore" nel processo di inclusione 
delle coppie omosessuali nell'ambito degli effetti legali delle discipline di tutela. 
Per completare l�esame del panorama normativo e giurisprudenziale europeo, va ricordato 
che la Corte di Giustizia ha negato l'equiparazione tra coppie omosessuali conviventi e coppie 
eterosessuali coniugate (sentenza Grant del 17 febbraio 1998, in C-249/96; sentenza D. e 
Regno di Danimarca del 31 maggio 2001, in C-122/99 P e in C-125/99 P), ritenendo che la 
nozione comunitaria di "coniuge" prevista nello Statuto del personale della Comunit� non potesse 
applicarsi al dipendente svedese che avesse contratto un'unione stabile nel suo Paese di 
origine, poich� Ǐ pacifico che il termine "matrimonio", secondo la definizione comunemente 
accolta dagli Stati membri, designi un'unione tra due persone di sesso diverso�. 
N� diversamente si pu� argomentare sulla base della recente sentenza Makuro (Grande Sezione, 
1 aprile 2008, in C-267/06), con riferimento agli articoli 1 e 2 della Direttiva 2000/78. 
Nel dispositivo della sentenza � contenuto, infatti, un preciso riferimento al contesto della legislazione 
nazionale, avendo chiarito la Corte che il godimento della pensione di reversibilit� 
si applica al partner al pari del coniuge laddove �nel diritto nazionale l'unione solidale porrebbe 
le persone dello stesso sesso in una posizione analoga a quella dei coniugi per quanto 
riguarda la detta prestazione ai superstiti�. Ne consegue che: Ǐ compito del giudice a quo 
verificare se, nell'ambito di un'unione solidale, il partner superstite sia in una posizione analoga 
a quella di un coniuge beneficiario della prestazione ai superstiti prevista dal regime previdenziale 
di categoria gestito dalla VddB�. 
Il giudizio della Corte, quindi, non si colloca in una posizione di rottura rispetto al diritto nazionale, 
imponendo una soluzione a esso estranea, ma pi� esattamente porta a compimento 
una scelta gi� autonomamente operata dal legislatore nazionale (nel caso al suo esame, tedesco). 
La citata sentenza Makuro � in linea con le conclusioni contenute nella sentenza in data 7 
gennaio 2004, nella causa C-117/01, K.B., nella quale la Corte di Giustizia aveva espressamente 
fatto rinvio al giudice nazionale, e prima ancora a1 legislatore nazionale, per l'individuazione 
del grado di affinit� tra matrimonio e altre tipologie di legame familiare, a conferma 
di un atteggiamento prudente del giudice europeo nei giudizi in cui il diritto comunitario interferisce 
con la disciplina dello stato civile delle persone e con il diritto di famiglia, ossia 
con ambiti materiali ancora oggi formalmente riservati alla competenza degli Stati membri e 
che sono spesso oggetto di intensi dibattiti nell'opinione pubblica. 
In conclusione, quindi, pu� senz�altro ritenersi che la Corte di Giustizia dell�Unione Europea
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 145 
attribuisca ancora all�attualit� al legislatore nazionale il compito di scegliere se offrire tutela 
giuridica a forme di legame familiare alternative e in che misura assimilare quelle unioni all'istituto 
matrimoniale. 
6. Dalle osservazioni sinora svolte discende, pertanto, in modo evidente l'inammissibilit� e, 
comunque, l'infondatezza della questione di legittimit� costituzionale come sollevata dal Tribunale 
di Venezia. 
Come gi� osservato, l�intervento della Corte Costituzionale di tipo manipolativo non potrebbe, 
infatti, realizzarsi attraverso un'operazione meramente lessicale esplicata attraverso la sostituzione 
delle parole "marito" e "moglie" con la parola "coniugi", per giungere a una "rilettura" 
della disciplina codicistica alla luce di un'interpretazione in chiave evolutiva dell'art. 29 Cost., 
perch� famiglia e matrimonio, come si � gi� illustrato supra e come sottolineato dalla dottrina, 
sono delineati nella loro essenza e configurazione proprio dal codice civile, che ne contiene 
l'intera disciplina e alle quali la norma costituzionale stessa fa imprescindibile riferimento. 
Non si pu�, pertanto, chiedere - come fa, invece, il giudice remittente - alla Corte Costituzionale 
di ridisegnare il tessuto normativo codicistico alla luce di una norma costituzionale, che 
proprio a tale impianto codicistico rimanda, per la definizione in concreto dei concetti in essa 
contenuti; e, soprattutto, attraverso una ricognizione delle norme codicistiche da censurare 
che dovrebbe essere necessariamente di tale ampiezza da riguardare tutto il sistema ordinamentale 
contenuto nel codice, al fine di realizzare una regolazione sistematica; tanto che lo 
stesso giudice remittente, consapevole di ci�, ha chiesto alla Corte che la dichiarazione si 
estenda anche "a tutte le altre disposizioni legislative interessate in via di consequenzialit�, ai 
sensi dell'art. 27 della legge n. 87/1953". 
Si tratta, quindi, di "una questione di politica e di tecnica legislativa di competenza del conditor 
iuris" (ordinanza n. 178/1988), che pone un problema di scelte di opportunit� "la cui 
decisione compete esclusivamente al legislatore" (ordinanza n. 586/1988). 
Si chiede, in altri termini, alla Corte di compiere "una operazione manipolativa esorbitante 
dai poteri della Corte" stessa, in presenza di una pluralit� di opzioni prospettabili, la scelta tra 
le quali non pu� che essere rimessa al legislatore" (sentenza n. 61/2006). 
* * * 
Si insiste, pertanto, perch� la proposta questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, 
infondata. 
Roma 26 febbraio 2010 
L�Avvocato dello Stato 
Gabriella Palmieri
146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Corte costituzionale, sentenza del 15 aprile 2010 n. 138, ud. pubb. 23 marzo 2010 - 
Pres. Amirante, Red. Criscuolo - Giudizi di legittimit� costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 
107, 108, 143, 143-bis e 156-bis del codice civile, promossi dal Tribunale di Venezia con 
ordinanza del 3 aprile 2009 e dalla Corte d�appello di Trento con ordinanza del 29 luglio 
2009, iscritte ai nn. 177 e 248 del registro ordinanze 2009 - Avvocati Alessandro Giadrossi 
per l�Associazione radicale Certi Diritti e per M. G. ed altro, Ileana Alesso e Massimo Clara 
per l�Associazione radicale Certi Diritti, per G. M. ed altro e per C. M. ed altri, Vittorio 
Angiolini, Vincenzo Zeno-Zencovich e Marilisa D�Amico per l�Associazione radicale Certi 
Diritti, per G. M. ed altro e per E. O. ed altri e l�avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per 
il Presidente del Consiglio dei ministri. 
(Omissis) 
Considerato in diritto 
1. - Il Tribunale di Venezia, con l�ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento 
agli articoli 2, 3, 29 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimit� costituzionale 
degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis del codice civile, �nella 
parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento 
omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso�. 
Il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunciare in un giudizio promosso da due 
persone di sesso maschile, in opposizione, ai sensi dell�art. 98 di detto codice, avverso l�atto 
col quale l�ufficiale di stato civile del Comune di Venezia ha rifiutato di procedere alla pubblicazione 
di matrimonio dagli stessi richiesta, ritenendola in contrasto con la normativa 
vigente, costituzionale e ordinaria, in quanto l�istituto del matrimonio, nell�ordinamento 
giuridico italiano, sarebbe incentrato sulla diversit� di sesso tra i coniugi. 
Il Tribunale veneziano riferisce gli argomenti svolti dai ricorrenti, i quali hanno rilevato 
che, nel vigente ordinamento, non esisterebbe una nozione di matrimonio, n� un suo divieto 
espresso tra persone dello stesso sesso. Essi si richiamano alla Costituzione e alla Carta di 
Nizza, rimarcando che l�interpretazione letterale delle norme del codice civile, posta a fondamento 
del diniego delle pubblicazioni, sarebbe costituzionalmente illegittima con particolare 
riguardo agli artt. 2, 3, 10, secondo comma, e 29 Cost. 
Tanto premesso, il rimettente rileva che, nell�ordinamento italiano, il matrimonio tra persone 
dello stesso sesso non � previsto n� vietato in modo espresso. Peraltro, pure in assenza di 
una norma definitoria, �l�istituto del matrimonio, cos� come previsto nell�attuale ordinamento 
italiano, si riferisce indiscutibilmente solo al matrimonio tra persone di sesso diverso
�. Ad avviso del Tribunale, il chiaro tenore delle disposizioni del codice, regolatrici 
dell�istituto in questione, non consentirebbe di estenderlo anche a persone dello stesso sesso. 
Si tratterebbe di una forzatura non consentita ai giudici (diversi da quello costituzionale), 
�a fronte di una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio come unione di un 
uomo e di una donna�. 
D�altra parte, secondo il Tribunale non si possono ignorare le rapide trasformazioni della 
societ� e dei costumi, il superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia tradizionale, 
la nascita spontanea di forme diverse (seppur minoritarie) di convivenza, che 
chiedono protezione, si ispirano al modello tradizionale e, come quello, mirano ad essere 
considerate e disciplinate. Nuovi bisogni, legati anche all�evoluzione della cultura e della 
civilt�, chiedono tutela, imponendo un�attenta meditazione sulla persistente compatibilit� 
dell�interpretazione tradizionale con i princ�pi costituzionali. 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 147 
Ci� posto, il Tribunale di Venezia, prendendo le mosse dal rilievo che il diritto di sposarsi 
costituisce un diritto fondamentale della persona, riconosciuto a livello sopranazionale ed 
in ambito nazionale (art. 2 Cost.), illustra le censure riferite ai diversi parametri costituzionali 
evocati, pervenendo al convincimento sulla non manifesta infondatezza della questione 
promossa, che inoltre giudica rilevante perch� l�applicazione delle norme censurate non � 
superabile nel percorso logico-giuridico da compiere al fine di pervenire alla decisione della 
causa. 
2. - La Corte di appello di Trento, con l�altra ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, 
in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 Cost., questione di legittimit� costituzionale degli artt. 93, 
96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis cod. civ., nella parte in cui, complessivamente valutati, 
non consentono agli individui di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso. 
La Corte territoriale premette di essere stata adita in sede di reclamo, ai sensi dell�articolo 
739 del codice di procedura civile, proposto da due coppie (ciascuna formata da persone 
dello stesso sesso) avverso il decreto del Tribunale di Trento, che aveva respinto l�opposizione 
formulata dai reclamanti nei confronti di un provvedimento dell�ufficiale di stato civile 
del Comune di Trento. Con tale provvedimento il detto funzionario aveva rifiutato di 
procedere alle pubblicazioni di matrimonio richieste dagli opponenti, non ritenendo ammissibile 
nell�ordinamento italiano il matrimonio tra persone del medesimo sesso; ed il rifiuto 
era stato giudicato legittimo dal Tribunale. 
La Corte rimettente, dopo aver ritenuto infondata la domanda principale diretta ad ottenere 
l�ordine all�ufficiale di stato civile di procedere alle pubblicazioni, passa all�esame della 
questione di legittimit� costituzionale, in via subordinata proposta dai reclamanti, svolgendo, 
in relazione alle censure prospettate, considerazioni analoghe a quelle esposte dal 
Tribunale di Venezia. 
3. - I due giudizi di legittimit� costituzionale, avendo ad oggetto la medesima questione, 
vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza. 
4. - In via preliminare, deve essere confermata l�ordinanza, adottata nel corso dell�udienza 
pubblica ed allegata alla presente sentenza, con la quale sono stati dichiarati inammissibili 
gli interventi dell�Associazione radicale Certi Diritti e dei signori C. M. e G. V., P. G. B. e 
C. G. R., R. F. R. P. C. e R. Z. Ci� in applicazione del consolidato orientamento della giurisprudenza 
costituzionale, richiamato nell�ordinanza, secondo cui non sono ammissibili 
gli interventi, nel giudizio di legittimit� costituzionale in via incidentale, di soggetti che 
non siano parti nel giudizio a quo, n� siano titolari di un interesse qualificato, inerente in 
modo diretto ed immediato al rapporto sostanziale dedotto in causa e non semplicemente 
regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura, avuto altres� 
riguardo al rilievo che l�ammissibilit� dell�intervento ad opera di un terzo, titolare di un interesse 
soltanto analogo a quello dedotto nel giudizio principale, contrasterebbe con il carattere 
incidentale del detto giudizio di legittimit�. 
5. - La questione, sollevata dalle due ordinanze di rimessione, in riferimento all�art. 2 Cost., 
deve essere dichiarata inammissibile, perch� diretta ad ottenere una pronunzia additiva non 
costituzionalmente obbligata (ex plurimis: ordinanze n. 243 del 2009, n. 316 del 2008, n. 
185 del 2007, n. 463 del 2002). 
6. - Le dette ordinanze muovono entrambe dal presupposto che l�istituto del matrimonio 
civile, come previsto nel vigente ordinamento italiano, si riferisce soltanto all�unione stabile 
tra un uomo e una donna. Questo dato emerge non soltanto dalle norme censurate, ma anche 
dalla disciplina della filiazione legittima (artt. 231 e ss. cod. civ. e, con particolare riguardo
148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
all�azione di disconoscimento, artt. 235, 244 e ss. dello stesso codice), e da altre norme, tra 
le quali, a titolo di esempio, si pu� menzionare l�art. 5, primo e secondo comma, della legge 
1 dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nonch� dalla 
normativa in materia di ordinamento dello stato civile. 
In sostanza, l�intera disciplina dell�istituto, contenuta nel codice civile e nella legislazione 
speciale, postula la diversit� di sesso dei coniugi, nel quadro di �una consolidata ed ultramillenaria 
nozione di matrimonio�, come rileva l�ordinanza del Tribunale veneziano. 
Nello stesso senso � la dottrina, in maggioranza orientata a ritenere che l�identit� di sesso 
sia causa d�inesistenza del matrimonio, anche se una parte parla di invalidit�. La rara giurisprudenza 
di legittimit�, che (peraltro, come obiter dicta) si � occupata della questione, 
ha considerato la diversit� di sesso dei coniugi tra i requisiti minimi indispensabili per ravvisare 
l�esistenza del matrimonio (Corte di cassazione, sentenze n. 7877 del 2000, n. 1304 
del 1990 e n. 1808 del 1976). 
7. - Ferme le considerazioni che precedono, si deve dunque stabilire se il parametro costituzionale 
evocato dai rimettenti imponga di pervenire ad una declaratoria d�illegittimit� 
della normativa censurata (con eventuale applicazione dell�art. 27, ultima parte, della legge 
11 marzo 1953, n. 87 � Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), 
estendendo alle unioni omosessuali la disciplina del matrimonio civile, in guisa 
da colmare il vuoto conseguente al fatto che il legislatore non si � posto il problema del 
matrimonio omosessuale. 
8. - L�art. 2 Cost. dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell�uomo, 
sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalit� e richiede 
l�adempimento dei doveri inderogabili di solidariet� politica, economica e sociale. 
Orbene, per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunit�, semplice o complessa, 
idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, 
nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione � da annoverare 
anche l�unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso 
sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone 
� nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge � il riconoscimento giuridico 
con i connessi diritti e doveri. 
Si deve escludere, tuttavia, che l�aspirazione a tale riconoscimento � che necessariamente 
postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti 
della coppia � possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle 
unioni omosessuali al matrimonio. � sufficiente l�esame, anche non esaustivo, delle legislazioni 
dei Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversit� 
delle scelte operate. 
Ne deriva, dunque, che, nell�ambito applicativo dell�art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell�esercizio 
della sua piena discrezionalit�, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento 
per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilit� 
d�intervenire a tutela di specifiche situazioni (come � avvenuto per le convivenze more uxorio: 
sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988). Pu� accadere, infatti, che, in relazione ad 
ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessit� di un trattamento omogeneo tra la condizione 
della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte pu� 
garantire con il controllo di ragionevolezza. 
9. - La questione sollevata con riferimento ai parametri individuati negli artt. 3 e 29 Cost. 
non � fondata. 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 149 
Occorre prendere le mosse, per ragioni di ordine logico, da quest�ultima disposizione. Essa 
stabilisce, nel primo comma, che �La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come societ� 
naturale fondata sul matrimonio�, e nel secondo comma aggiunge che �Il matrimonio 
� ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge 
a garanzia dell�unit� familiare�. 
La norma, che ha dato luogo ad un vivace confronto dottrinale tuttora aperto, pone il matrimonio 
a fondamento della famiglia legittima, definita �societ� naturale� (con tale espressione, 
come si desume dai lavori preparatori dell�Assemblea costituente, si volle sottolineare 
che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, 
che questo doveva riconoscere). 
Ci� posto, � vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere �cristallizzati� 
con riferimento all�epoca in cui la Costituzione entr� in vigore, perch� sono dotati 
della duttilit� propria dei princ�pi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo 
conto non soltanto delle trasformazioni dell�ordinamento, ma anche dell�evoluzione della 
societ� e dei costumi. Detta interpretazione, per�, non pu� spingersi fino al punto d�incidere 
sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche 
non considerati in alcun modo quando fu emanata. 
Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase 
del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, bench� la condizione omosessuale 
non fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l�art. 29 Cost., discussero di un 
istituto che aveva una precisa conformazione ed un�articolata disciplina nell�ordinamento 
civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, � inevitabile concludere che essi tennero 
presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, 
come sopra si � visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone 
di sesso diverso. In tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando 
il principio dell�eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio 
alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignit� e diritti nel rapporto coniugale. 
Questo significato del precetto costituzionale non pu� essere superato per via ermeneutica, 
perch� non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera 
prassi interpretativa, bens� di procedere ad un�interpretazione creativa. 
Si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, 
bens� intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto. 
Non � casuale, del resto, che la Carta costituzionale, dopo aver trattato del matrimonio, 
abbia ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli (art. 30), assicurando parit� di trattamento 
anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri 
della famiglia legittima. La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli naturali, nulla toglie 
al rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla (potenziale) finalit� procreativa 
del matrimonio che vale a differenziarlo dall�unione omosessuale. 
In questo quadro, con riferimento all�art. 3 Cost., la censurata normativa del codice civile 
che, per quanto sopra detto, contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, 
non pu� considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ci� sia perch� essa trova fondamento 
nel citato art. 29 Cost., sia perch� la normativa medesima non d� luogo ad una irragionevole 
discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute 
omogenee al matrimonio. 
Il richiamo, contenuto nell�ordinanza di rimessione del Tribunale di Venezia, alla legge 14
150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), non � pertinente. 
La normativa ora citata � sottoposta a scrutinio da questa Corte che, con sentenza n. 161 
del 1985, dichiar� inammissibili o non fondate le questioni di legittimit� costituzionale all�epoca 
promosse � prevede la rettificazione dell�attribuzione di sesso in forza di sentenza 
del tribunale, passata in giudicato, che attribuisca ad una persona un sesso diverso da quello 
enunciato dall�atto di nascita, a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali 
(art. 1). 
Come si vede, si tratta di una condizione del tutto differente da quella omosessuale e, perci�, 
inidonea a fungere da tertium comparationis. Nel transessuale, infatti, l�esigenza fondamentale 
da soddisfare � quella di far coincidere il soma con la psiche ed a questo effetto � 
indispensabile, di regola, l�intervento chirurgico che, con la conseguente rettificazione anagrafica, 
riesce in genere a realizzare tale coincidenza (sentenza n. 161 del 1985, punto tre 
del Considerato in diritto). La persona � ammessa al matrimonio per l�avvenuto intervento 
di modificazione del sesso, autorizzato dal tribunale. Il riconoscimento del diritto di sposarsi 
a coloro che hanno cambiato sesso, quindi, costituisce semmai un argomento per confermare 
il carattere eterosessuale del matrimonio, quale previsto nel vigente ordinamento. 
10. - Resta da esaminare il parametro riferito all�art. 117, primo comma, Cost. (prospettato 
soltanto nell�ordinanza del Tribunale di Venezia). 
Il rimettente in primo luogo evoca, quali norme interposte, gli artt. 8 (diritto al rispetto della 
vita privata e familiare), 12 (diritto al matrimonio) e 14 (divieto di discriminazione) della 
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali 
(CEDU), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione 
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, firmata 
a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato 
a Parigi il 20 marzo 1952); pone l�accento su una sentenza della Corte europea dei 
diritti dell�uomo (in causa C. Goodwin c. Regno Unito, 11 luglio 2002), che dichiar� contrario 
alla Convenzione il divieto di matrimonio del transessuale (dopo l�operazione) con 
persona del suo stesso sesso originario, sostenendo l�analogia della fattispecie con quella 
del matrimonio omosessuale; evoca altres� la Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali 
dell�Unione Europea) e, in particolare, l�art. 7 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), 
l�art. 9 (diritto a sposarsi ed a costituire una famiglia), l�art. 21 (diritto a non essere 
discriminati); menziona varie risoluzioni delle Istituzioni europee, �che da tempo invitano 
gli Stati a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al matrimonio di coppie omosessuali 
ovvero al riconoscimento di istituti giuridici equivalenti�; infine, segnala che nell�ordinamento 
di molti Stati, aventi civilt� giuridica affine a quella italiana, si sta delineando una 
nozione di relazioni familiari tale da includere le coppie omosessuali. 
Ci� posto, si deve osservare che: a) il richiamo alla citata sentenza della Corte europea non 
� pertinente, perch� essa riguarda una fattispecie, disciplinata dal diritto inglese, concernente 
il caso di un transessuale che, dopo l�operazione, avendo acquisito caratteri femminili (sentenza 
cit., punti 12-13) aveva avviato una relazione con un uomo, col quale per� non poteva 
sposarsi �perch� la legge l�ha considerata come uomo� (punto 95). Tale fattispecie, nel diritto 
italiano, avrebbe trovato disciplina e soluzione nell�ambito della legge n. 164 del 1982. 
E, comunque, gi� si � notato che le posizioni dei transessuali e degli omosessuali non sono 
omogenee (v. precedente paragrafo 9); b) sia gli artt. 8 e 14 della CEDU, sia gli artt. 7 e 21 
della Carta di Nizza contengono disposizioni a carattere generale in ordine al diritto al ri-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 151 
spetto della vita privata e familiare e al divieto di discriminazione, peraltro in larga parte 
analoghe. Invece gli articoli 12 della CEDU e 9 della Carta di Nizza prevedono specificamente 
il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia. Per il principio di specialit�, dunque, 
sono queste ultime le norme cui occorre fare riferimento nel caso in esame. 
Orbene, l�art. 12 dispone che �Uomini e donne in et� maritale hanno diritto di sposarsi e di 
formare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l�esercizio di tale diritto�. 
A sua volta l�art. 9 stabilisce che �Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia 
sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l�esercizio�. 
In ordine a quest�ultima disposizione va premesso che la Carta di Nizza � stata recepita dal 
Trattato di Lisbona, modificativo del Trattato sull�Unione europea e del Trattato che istituisce 
la Comunit� europea, entrato in vigore il 1� dicembre 2009. Infatti, il nuovo testo 
dell�art. 6, comma 1, del Trattato sull�Unione europea, introdotto dal Trattato di Lisbona, 
prevede che �1. L�Unione riconosce i diritti, le libert� e i princ�pi sanciti nella Carta dei diritti 
fondamentali dell�Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 
a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati�. 
Non occorre, ai fini del presente giudizio, affrontare i problemi che l�entrata in vigore del 
Trattato pone nell�ambito dell�ordinamento dell�Unione e degli ordinamenti nazionali, specialmente 
con riguardo all�art. 51 della Carta, che ne disciplina l�ambito di applicazione. 
Ai fini della presente pronuncia si deve rilevare che l�art. 9 della Carta (come, del resto, 
l�art. 12 della CEDU), nell�affermare il diritto di sposarsi rinvia alle leggi nazionali che ne 
disciplinano l�esercizio. Si deve aggiungere che le spiegazioni relative alla Carta dei diritti 
fondamentali, elaborate sotto l�autorit� del praesidium della Convenzione che l�aveva redatta 
(e che, pur non avendo status di legge, rappresentano un indubbio strumento di interpretazione), 
con riferimento al detto art. 9 chiariscono (tra l�altro) che �L�articolo non vieta 
n� impone la concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso�. 
Pertanto, a parte il riferimento esplicito agli uomini ed alle donne, � comunque decisivo il 
rilievo che anche la citata normativa non impone la piena equiparazione alle unioni omosessuali 
delle regole previste per le unioni matrimoniali tra uomo e donna. 
Ancora una volta, con il rinvio alle leggi nazionali, si ha la conferma che la materia � affidata 
alla discrezionalit� del Parlamento. 
Ulteriore riscontro di ci� si desume, come gi� si � accennato, dall�esame delle scelte e delle 
soluzioni adottate da numerosi Paesi che hanno introdotto, in alcuni casi, una vera e propria 
estensione alle unioni omosessuali della disciplina prevista per il matrimonio civile oppure, 
pi� frequentemente, forme di tutela molto differenziate e che vanno, dalla tendenziale assimilabilit� 
al matrimonio delle dette unioni, fino alla chiara distinzione, sul piano degli effetti, 
rispetto allo stesso. 
Sulla base delle suddette considerazioni si deve pervenire ad una declaratoria d�inammissibilit� 
della questione proposta dai rimettenti, con riferimento all�art. 117, primo comma, 
Cost. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
riuniti i giudizi: 
a) dichiara inammissibile, in riferimento agli articoli 2 e 117, primo comma, della Costituzione, 
la questione di legittimit� costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143- 
bis, 156-bis del codice civile, sollevata dal Tribunale di Venezia e dalla Corte di appello di
152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Trento con le ordinanze indicate in epigrafe; 
b) dichiara non fondata, in riferimento agli articoli 3 e 29 della Costituzione la questione di 
legittimit� costituzionale degli articoli sopra indicati del codice civile sollevata dal Tribunale 
di Venezia e dalla Corte di appello di Trento con le medesime ordinanze. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 
aprile 2010. 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 153 
Competenza tra Stato e Regioni in materia di 
tariffe del servizio idrico integrato* 
(Corte costituzionale, sentenza del 4 febbraio 2010 n. 29) 
1. La decisione della Corte Costituzionale n. 29 del 4 febbraio 2010 risolve 
una controversia tra lo Stato e la Regione Emilia Romagna insorta a seguito 
della impugnativa in via principale da parte della Presidenza del 
Consiglio dei Ministri della legge regionale n. 10 del 2008, all�articolo 28, 
commi 2 e 7, per violazione dell�articolo 117, comma 2, lettere e) ed s). Ad 
avviso della difesa erariale la legge 30 giugno 2008 n. 10, pubblicata in B.U.R. 
n. 108 del 30 giugno 2008, contenente �misure per il riordino territoriale, 
l�autoriforma dell�amministrazione e la razionalizzazione delle funzioni� sarebbe 
stata in contrasto con la previsione dell�articolo 117 Cost., comma 2, 
lettere e) ed s), in materia di concorrenza e tutela dell�ambiente, devolute alla 
competenza legislativa esclusiva dello Stato. L�articolo 28, comma 2, stabiliva 
espressamente che la Regione esercita le funzioni di regolazione economica e 
di regolazione dei servizi in raccordo con le autonomie locali� provvedendo 
la Regione altres� alla individuazione della tariffa di riferimento ai fini della 
proposizione ai soggetti partecipanti alla forma di cooperazione di cui all�articolo 
30 della regolazione tariffaria. 
L�Avvocatura dello Stato evidenziava nel ricorso il contrasto della su citata 
disposizione con il contenuto del decreto legislativo 152 del 2006 ss.mm., 
Testo Unico in materia ambientale, di seguito Tua, segnatamente all�articolo 
154, che letteralmente prevede che �il Ministero dell�ambiente e della tutela 
del territorio definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione 
della tariffa relativa ai servizi idrici con successiva determinazione della 
tariffa da parte della autorit� d�ambito al fine della predisposizione del piano 
finanziario di cui all�articolo 149 comma 1 lettera c)� . Inoltre l�articolo 161, 
comma 4, del citato articolo stabilisce che �il Comitato per la vigilanza sull�uso 
delle risorse idriche predispone con delibera il metodo tariffario per la 
determinazione della tariffa di cui al citato articolo 154 e le modalit� di revisione 
periodica, lo trasmette al Ministro dell�Ambiente e della tutela del mare 
e del territorio, che lo adotta con proprio decreto, sentita la Conferenza Permanete 
per i rapporti tra lo stato e le regioni e le province autonome di Trento 
di Bolzano�. 
(*) In materia di servizio idrico il 23 aprile 2010 presso l�Avvocatura Generale dello Stato, Sala 
Vanvitelli, si � tenuto un seminario di studio �Rafforzare le funzioni pubbliche in una nuova regolazione 
per il settore idrico: il quadro comunitario e nazionale� organizzato da Federutility e Federambiente. 
Tutti gli interventi sono consultabili sul sito www.federutility.it (ndr).
154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
La Presidenza del Consiglio dei Ministri poneva in evidenza la sussistenza 
di una riserva statale in materia di definizione delle componenti di costo 
della tariffa, in considerazione del fatto che questa costituisce la base per la 
determinazione del corrispettivo del servizio, vale a dire la tariffa di competenza 
dell�AATO posta a fondamento della procedura ad evidenza pubblica 
da indire per la individuazione del soggetto cui affidare la gestione del servizio 
idrico integrato. Solo l�univoca previsione da parte dello Stato di detta tariffa 
di riferimento garantiva, ad avviso della difesa erariale, quella uniformit� di 
trattamento e condizioni su tutto il territorio nazionale posta a tutela del trasparente 
confronto degli operatori economici nel mercato interno e comunitario. 
La difesa erariale sottolineava l�illegittimit� costituzionale dell�articolo 
28, comma 7, nella parte in cui stabiliva che �per l�esercizio delle funzioni di 
cui al presente articolo, la Regione si avvale di una struttura organizzativa il 
cui costo di finanziamento � a carico delle tariffe dei servizi nel limite di spesa 
fissato dalla giunta regionale, sentita la Conferenza regione autonomie locali, 
nonch� di quanto introitato a titolo di sanzioni�. Tale previsione, non contenuta 
nel decreto 152 del 2006, avrebbe determinato secondo l�Avvocatura 
maggiorazioni delle tariffe per il servizio idrico integrato dovute a costi per il 
finanziamento di organizzazioni di istituzioni regionali, generandosi, a monte, 
una ingiustificata distorsione del confronto degli operatori economici nel settore 
interessato e a valle, per l�utenza, illegittimi aumenti del costo del servizio. 
Al pari della tutela della concorrenza, secondo l�Avvocatura dello Stato, 
nel caso in questione veniva in rilievo anche la salvaguardia dell�ambiente, 
riservata in via primaria ed esclusiva allo Stato, al quale spetta di preservare 
l�ambiente e l�ecosistema, individuare le scelte strategico generali di conservazione 
dell�ambiente, sintetizzando la legge statale il bilanciamento di interessi 
e conflitti che tale materia, in considerazione del suo carattere trasversale, 
involge e suscita. Tale bilanciamento di interessi fissa una soglia inderogabile 
anche per il legislatore regionale, il quale, nella disciplina della materie di propria 
competenza, potrebbe perseguire finalit� indirette di salvaguardia dell�ambiente, 
senza per� alterare il quadro di tutela definito dallo Stato (1). 
2. La Corte, nella decisione in commento, riconoscendo fondati i motivi 
di illegittimit� costituzionale della legge regionale sollevati dallo Stato, asserisce 
che la riserva statale in materia di determinazione della tariffa di riferimento 
si spiega in considerazione del fatto che, come ribadito nella sentenza 
n. 246 del 2009 (2), �attraverso la determinazione della tariffa nell�ambito 
(1) Principi espressi nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 104 e 105 del 2008, in www.consultaonline.
it. 
(2) Sent. n. 246 del 2009, in www.consultaonline.it.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 155 
territoriale ottimale, il legislatore statale ha fissato [�] livelli uniformi di tutela 
dell�ambiente, perch� ha inteso perseguire la finalit� di garantire la tutela 
e l�uso, secondo criteri di solidariet�, delle risorse idriche, salvaguardando 
la vivibilit� dell�ambiente e le aspettative ed i diritti delle generazioni future 
a fruire di un integro patrimonio ambientale e le altre finalit� tipicamente ambientali 
individuate dagli artt. 144 (Tutela e uso delle risorse idriche), 145 
(Equilibrio del bilancio idrico) e 146 (Risparmio idrico) del d.lgs. n. 152 del 
2006�. Nella medesima pronuncia si � altres� rilevato che �la finalit� della 
tutela dell�ambiente viene [�] in rilievo anche in relazione alla scelta delle 
tipologie dei costi che la tariffa � diretta a recuperare�, tra i quali il legislatore 
ha incluso espressamente quelli ambientali, da recuperare �anche secondo il 
principio �chi inquina paga�� (art. 154, comma 2). 
Dal punto di vista della tutela ambientale la Corte ricostruisce l�attribuzione 
allo Stato del potere di determinare la tariffa di riferimento applicando 
principi ormai pacificamente affermati nella propria giurisprudenza, in base 
ai quali la salvaguardia dell�ambiente determina l�allocazione della definizione 
degli standard di tutela ambientale in capo al legislatore statale in nome di esigenze 
di uniformit� di accesso alla risorsa e di sfruttamento della stessa che 
non ammettono differenziazioni territoriali o geografiche. 
La Corte ha spesso sottolineato che l�azione unitaria svolta dallo Stato in 
materia di salvaguardia dell�ambiente � pienamente giustificata tanto dal fatto 
che lo Stato � in possesso di strumenti tecnici e conoscenze scientifiche che 
trascendono le competenze acquisibili in sede regionale, quanto dal fine di garantire 
sull�intero territorio nazionale un trattamento uniforme alle varie imprese 
operanti in concorrenza tra loro, intercettando qui la materia della 
concorrenza, oggetto, come pi� volte specificato, di normazione esclusiva statale, 
onde non produrre arbitrarie disparit� di trattamento sui costi aziendali 
in dipendenza di vincoli imposti in modo differenziato sia sotto il profilo spaziale 
che sotto il profilo temporale (3). 
Si parla, in proposito, dell�ambiente come �materia trasversale�, nel senso 
che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi: quello alla conservazione 
dell�ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni (4). 
In base a quanto sopra affermato pare coerente la considerazione della 
Corte, secondo la quale l�uniforme metodologia tariffaria, adottata con l�interposta 
legislazione statale, e la sua applicazione da parte delle Autorit� d�ambito 
sono finalizzate a preservare il bene giuridico �ambiente� dai rischi 
derivanti da una tutela non uniforme ed a garantire uno sviluppo concorren- 
(3) Cosi la Corte nella sentenza n. 53 del 1991 in www.consultaonline.it. Per un riassunto degli 
attuali approdi della giurisprudenza costituzionale sull�ambiente vedasi sent. n. 225 del 22 luglio 2009 
in www.cortecostituzionale.it. 
(4) Sent. Corte costituzionale n. 378 del 2007 in www.consultaonline.it.
156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
ziale del settore del servizio idrico integrato. Tali finalit�, ribadisce la Corte, 
non potrebbero essere realizzate se dovesse trovare applicazione la normativa 
regionale, la quale prevede � come si � visto � la determinazione di oneri tariffari 
ulteriori rispetto a quelli individuati nel Tua (Testo unico in materia 
ambientale). 
Logicamente emerge l�altro profilo di illegittimit� della legge regionale 
relativo alla violazione delle prerogative dello Stato in materia di concorrenza. 
Le previsioni del Tua attribuiscono al Ministero dell�Ambiente e della 
Tutela del Territorio e del Mare nonch� al Co.Vi.Ri, Comitato per la vigilanza 
sull�uso delle risorse idriche, il potere di procedere alla definizione delle componenti 
di costo della tariffa, disciplinando, all�articolo 154, un procedimento 
che prevede l�adozione di un decreto da parte del Ministero dell�ambiente con 
il quale determinare le componenti di costo della tariffa relativa ai servizi 
idrici. L�articolo 161 rimette al Co.Vi.ri la prerogativa tecnica esclusiva di predisporre 
il metodo tariffario per la determinazione della tariffa con apposita 
delibera da trasmettere al Ministero dell�ambiente, il quale adotta il precitato 
decreto una volta sentita la Conferenza Permanente Stato-Regioni e le province 
autonome di Trento e Bolzano. 
La Corte, alla luce della normativa citata, riconosce la funzione fondamentale 
del decreto, che costituisce obbligatorio criterio di riferimento per le 
diverse autorit� d�ambito in vista della determinazione della tariffa di base, 
funzionale alla predisposizione del piano finanziario che stabilisce l�attivit� 
di ciascun ambito territoriale ottimale. Nelle intenzioni del legislatore pare potersi 
individuare l�aspirazione all�applicazione di una uniforme metodologia 
tariffaria al servizio idrico integrato al fine di garantire un effettivo sviluppo 
in senso concorrenziale del mercato del settore dei servizi idrici, superando le 
disparit� di trattamento ancora esistenti a livello nazionale, che prevedono differenziazioni, 
in capo ai gestori e agli utenti, a seconda dei vari ambiti operativi 
(5). 
Nella giurisprudenza della Corte la problematica delle materie trasversali, 
concorrenza e ambiente su tutte, viene risolta con l�affermazione che in presenza 
di esigenze unitarie la competenza normativa spetta allo Stato, il quale, 
in fattispecie che presentano spesso connessioni con altre materie rimesse alla 
(5) AS446 21 febbraio 2008 dell�Autorit� Garante della concorrenza e del mercato, che proprio 
sulla legge n. 10 del 2080 dell�Emilia Romagna, afferma che �una riforma in materia di servizi pubblici 
locali di rilevanza economica suscettibile di porsi in contrasto con il quadro normativo generale, determinando 
un effetto discorsivo della concorrenza nella fornitura di servizi, aggravando i costi a carico 
dell�utenza.� L�autorit� afferma che la legge regionale citata riconoscendo il potere della regione di individuare 
la tariffa di riferimento ai fini della proposizione ai soggetti partecipanti alla forma di cooperazione 
di cui all�articolo 30 della regolazione tariffaria, nonch� che per l�esercizio delle funzioni di 
cui al presente articolo la regione si avvale di una struttura organizzativa il cui costo di funzionamento 
� a carico delle tariffe dei servizi erogati si � palesemente introdotto un metodo di determinazione della 
tariffa autonomo rispetto alle previsioni di cui al Tua.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 157 
competenza del legislatore regionale, detta le linee fondamentali di disciplina. 
In tali circostanze non si � in presenza di una normazione di principio, riservata 
alla competenza dello Stato e di una regolamentazione di dettaglio, spettante 
alle regioni. La linea di tendenza tracciata dalle decisioni della Corte � quella 
di lasciare alle regioni una competenza su tutti i profili che abbiano carattere 
integrativo e non derogatorio della normativa statale (6). 
Nelle pronunce della Corte nelle materie trasversali, stante la loro natura 
di materia funzione, a carattere prevalentemente teleologico e ad oggetto 
astratto, nella definizione del riparto di competenze tra lo Stato e le Regioni, 
una volta individuato il legislatore prevalente, la Corte afferma che la soddisfazione 
delle istanze delle regioni, in ossequio al principio di leale collaborazione, 
trovano adeguato contemperamento nella fase procedimentale (7). 
Aderendo alle considerazioni della difesa erariale la Corte riconosce che, ai 
sensi del combinato disposto degli articoli 154 e 161 TUA, � prevista la partecipazione 
degli enti territoriali attraverso la Conferenza Permanente per i 
rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Tento e di Bolzano. 
Appare questa la ragione per cui la Corte, nella fattispecie esaminata, afferma 
che �non pu� accogliersi la tesi della Regione, secondo cui la �tariffa 
di riferimento� prevista dalle disposizioni censurate � limitandosi ad individuare 
nell�ambito regionale il �valore complessivo dei costi del servizio, calcolati 
in base ai criteri definiti nel metodo� tariffario, ed avendo la funzione 
di costituire �la base per la determinazione della tariffa da applicare all�utenza
� � non si identifica n� con il �metodo tariffario� n� con la �tariffa 
di base� (ambedue determinati in applicazione esclusivamente della normativa 
statale) e, pertanto, pu� essere disciplinata dalla legislazione regionale, 
in quanto rientrante nella sua competenza esclusiva in materia di servizi pubblici 
locali. 
Tale tesi non � condivisibile, perch� � indubbio che la disciplina censurata 
non opera in un ambito estraneo alla normativa dello Stato � come sostiene 
la resistente � ma modifica il menzionato processo di determinazione tariffaria 
puntualmente delineato dal legislatore statale. Essa incide, in particolare, 
sulle attribuzioni dei soggetti preposti al servizio idrico integrato (Stato, 
(6) Per una analisi attenta della questione delle materie trasversali leggasi recentemente FILIPPO 
BENELLI Separazione VS Cooperazione: due nuove pronunce della Corte costituzionale in tema di ambiente 
e materie trasversali, in Forum di quaderni costituzionali. Vedi anche R. BIN Alla ricerca della 
materia perduta, Nota a sentenza 401 del 2007, in Forum di Quaderni Costituzionali. 
(7) La introduzione esplicita del criterio della prevalenza risale alla sent. 370/2003, con cui la 
Corte ha individuato nell�istruzione la materia prevalentemente interessata dagli interventi pubblici a 
favore dell�istituzione di asili nido. Nella sent. 50/2005 tale criterio ha trovato un�applicazione precisa 
come fattore di coordinamento delle competenze esclusive dello Stato con quelle concorrenti e le altre 
residuali: la fattispecie era relativa ai contratti di lavoro a contenuto formativo, i quali si collocano tra 
l�ordinamento civile, rientrante nella competenza statale, trattandosi di rapporti di lavoro, e la competenza 
in materia di formazione professionale che spetta alla Regione.
158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
CO.Vi.Ri. ed AATO), sottraendo parte della competenza ad essi riservata dagli 
artt. 154 e 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, senza essere a ci� legittimata da alcuna 
normativa statale. Resta pertanto esclusa, anche sotto tale profilo, la 
competenza legislativa in materia di servizi pubblici locali rivendicata al riguardo 
dalla Regione. 
Nella sentenza in commento si legge che il corrispettivo del servizio servirebbe 
anche a coprire i costi derivanti dal potenziale effetto lesivo dell�ambiente, 
in applicazione del principio �chi inquina paga�. Il principio indicato 
comporta che le spese relative alla protezione al ripristino e al miglioramento 
della qualit� dell�ambiente siano poste a carico di chi rende necessari tali interventi. 
Nella decisione della Corte quindi la tariffa assolve anche al compito 
di individuare tra le varie tipologie di costi anche quelli diretti applicazione 
del principio suddetto (8). 
La Corte non si sofferma sulla eccezione, sollevata dalla regione, basata 
sul fatto che la �tariffa di riferimento� introdotta con legge regionale 10/2008 
non poteva dirsi coincidente n� con la �tariffa di base�, n� con il �metodo tariffario� 
di cui al T.U.A., la cui determinazione e predisposizione � rispettivamente 
attribuita alle Autorit� d�Ambito ed al Co.Vi.Ri. 
Secondo la resistente, infatti, il �metodo tariffario� e la �tariffa di riferimento� 
attengono a profili completamente diversi, perch� il primo, predisposto 
dal CO.Vi.Ri, �rappresenta l�insieme dei criteri che consentono l�individuazione 
del costo complessivo del servizio� e ne individua le varie componenti 
(costi operativi, aliquote di ammortamento, etc.); la seconda esprime, invece, 
�il valore complessivo dei costi del servizio, calcolati in base ai criteri definiti 
nel metodo�, valore che �costituisce la base per la determinazione della tariffa 
da applicare all�utenza, articolata per fasce di consumo e tipologia di utenze�. 
(8) Nella recentissima sentenza della Corte di Giustizia della Comunit� Europea, grande sezione, 
del 9 marzo 2010 si ricostruisce compiutamente il principio chi inquina paga. La corte asserisce che 
�qualora in un�ipotesi di inquinamento ambientale, non sono soddisfatti i presupposti d�applicazione 
ratione temporis e/o ratione materiae della direttiva 2004/35/CE, sulla responsabilit� ambientale in materia 
di prevenzione e riparazione del danno ambientale, allora un�ipotesi del genere dovr� essere disciplinata 
dal diritto nazionale, nel rispetto delle norme del Trattato e fatti salvi altri eventuali atti di 
diritto derivato�. Prosegue la Corte: La direttiva 2004/35 non osta a una normativa nazionale che consente 
all�autorit� competente, in sede di esecuzione della direttiva, di presumere l�esistenza di un nesso 
di causalit�, anche nell�ipotesi di inquinamento a carattere diffuso, tra determinati operatori e un inquinamento 
accertato, e ci� in base alla vicinanza dei loro impianti alla zona inquinata. Tuttavia, in 
conformit� al principio �chi inquina paga�, per poter presumere l�esistenza di un siffatto nesso di causalit� 
detta autorit� deve disporre di indizi plausibili quali, la vicinanza dell�impianto dell�operatore 
all�inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati 
da detto operatore nell�esercizio della sua attivit�. La corte afferma che nel caso di applicazione 
di misure riparatorie del danno ambientale in capo agli operatori economici non � necessario indagare 
l�intento doloso e colposo in capo agli autori del danno ambientale, dovendo l�autorit� competente, secondo 
i criteri fissati dal diritto nazionale in materia di onere della prova, dimostrare il nesso di causalit� 
materiale tra l�attivit� realizzata e il danno ambientale accertato.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 159 
Ad avviso della Regione il denunciato comma 2 dell�art. 28 non si riferisce al 
metodo tariffario, ma al �costo complessivo del servizio�. La legge regionale 
avrebbe in concreto esercitato una competenza propria in quanto il d.lgs. n. 
152 del 2006 attribuisce allo Stato solo la competenza a determinare le �componenti 
di costo� ed il �metodo tariffario�, ma non anche la �tariffa di riferimento�, 
che rappresenterebbe il valore complessivo in ambito regionale dei 
costi di servizio, calcolati in base ai criteri definiti nel metodo tariffario, ed 
avente la funzione di costituire �la base per la determinazione della tariffa da 
applicare all�utenza�. 
3. A questo punto pare opportuno effettuare alcune osservazioni. Il �metodo 
tariffario� di cui all�art. 161, secondo le previsioni di cui al D.M. 1 agosto 
1996, �Metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la 
determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato�, rappresenta 
lo strumento per consentire la realizzazione di adeguati livelli di servizio, 
per sostenere conseguenti programmi di investimento nell'equilibrio di 
bilancio, per ottenere il contenimento dei costi al consumo e il miglioramento 
dell'efficienza della gestione e la tutela dell'interesse dell�utenza. 
La tariffa di riferimento rappresenta l'insieme dei criteri e delle condizioni 
cui l'Ambito deve attenersi nello stabilire la tariffa reale media della gestione. 
La definizione dei componenti di costo per la determinazione della tariffa 
relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell�acqua di cui all�art. 
154, comma 2 del Testo unico dell�ambiente �esprime la volont� del legislatore 
di tenere in debita considerazione gli interessi del comparto produttivo e 
di garantire la disponibilit� di acqua ad uso umano�, recuperando altres� i 
costi ambientali anche secondo il principio �Chi inquina paga�(9). 
Il Co.Vi.Ri predispone con delibera il �metodo tariffario� per la determinazione 
della tariffa di cui all�articolo 154 e le modalit� di revisione periodica, 
lo trasmette al Ministero dell�Ambiente che lo adotta con proprio decreto, 
sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo stato le regioni e le province 
autonome di Trento e di Bolzano. Le componenti di costo sono definite 
direttamente dal Ministero dell�Ambiente, ai sensi dell�articolo 154 TUA. 
Infine, sulla base del �metodo tariffario� l�A.ATO, applicando il metodo 
nazionale, stabilisce la tariffa di base, costituente il corrispettivo del servizio 
che, secondo quanto prevede il comma 2 dello stesso articolo, deve essere altres� 
determinata �nell�osservanza delle disposizioni contenute nel decreto per 
la definizione delle componenti di costo�. La tariffa, ai sensi dell�art. 154 
comma 1 del Testo Unico dell�ambiente, �costituisce il corrispettivo del servizio 
idrico integrato ed � determinata tenendo conto della qualit� della ri- 
(9) Acque, gestori e costi: Consulta: Co.Vi.R.I. "orologiaio�delle tariffe idriche, da Quotidiano 
Giuridico Ipsoa, EUGENIO FALCONE.
160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
sorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, 
dell�entit� dei costi di gestione delle opere, dell�adeguatezza della remunerazione 
del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, 
nonch� di una quota parte dei costi di funzionamento delle A.ATO, in modo 
che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio 
secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio �chi inquina 
paga� (10)�. Come � agevole notare le fasi sopra descritte, la definizione delle 
componenti di costo della tariffa e l�adozione del metodo tariffario, rappresentano 
l�esercizio di prerogative che il Tua, sulla base dei principi sopra affermati, 
ha espressamente riconosciuto allo Stato e al Co.Vi.Ri.(11). 
Conseguentemente sembra che la legge regionale non faccia altro che duplicare, 
per l�individuazione della tariffa di riferimento, competenze dalla legge 
gi� riservate allo Stato. 
La Corte censura altres� il comma 7 dell�articolo 28 in quanto la legge 
citata �nel prevedere una specifica componente di costo che prescinde da 
quanto stabilito dal suddetto decreto ministeriale di cui al citato comma 2 
dell�art. 154 - attribuisce alla tariffa del servizio idrico della sola Regione 
Emilia-Romagna una struttura del tutto peculiare, potenzialmente idonea ad 
influire sulla domanda del servizio stesso, cos� da porla in contrasto con il 
parametro interposto e con la indicata ratio di garantire la concorrenza anche 
attraverso l�uniforme individuazione su tutto il territorio dello Stato delle componenti 
di costo della tariffa�. 
Riecheggia nelle parole della Corte quanto rilevato dall�Autorit� Garante 
della Concorrenza e del Mercato che, nella segnalazione AS446 del 2008, riconosce 
che la legge citata abbia nello specifico provveduto ad avviare una 
riforma in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, suscettibile 
di determinare distorsioni alla concorrenza nella fornitura dei servizi, oltre ad 
aggravare i relativi costi a carico dei cittadini utenti. L�autorit� stigmatizza 
l�aggravio in tariffa idrica dei costi di strutture e risorse operative autonoma- 
(10) La Corte Costituzionale, nella sentenza 335/2008, ha ritenuto che la tariffa di depurazione 
sia da intendersi come corrispettivo di prestazioni e non come tributo. 
Infatti � ormai un dato acquisito come il Legislatore abbia inteso costruire la tariffa in modo da coprire 
i costi del servizio idrico integrato prevedendo che �l�utilit� particolare che ogni utente ottiene dal servizio 
dovr� essere pagata per il suo valore economico� e che �la tariffa deve essere espressiva del costo 
industriale del servizio idrico rappresentato dall�integrazione dei servizi di captazione, adduzione, collettamento 
e depurazione�. 
Si � pertanto giunti alla conclusione che la tariffa del servizio idrico integrato rappresenta, a tutti gli effetti, 
un corrispettivo connesso ad una prestazione commerciale complessa, il quale non deriva da un 
atto autoritativo, ma dal contratto di utenza per il servizio idrico integrato. 
(11) L�art. 9 bis, comma 6 della L. 24 giugno 2009, n. 77 di conversione del dl 39/2009 ha soppresso 
il Comitato per la Vigilanza sull�uso delle risorse idriche e ha previsto la sua sostituzione con la 
�Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche� che subentra nelle competenze del Co. 
Vi.ri e dell�Autorit� di Vigilanza sulle risorse idriche a sua volta soppressa con la costituzione del 
Co.Vi.Ri.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 161 
mente determinate dalla Regione, in contrasto con specifiche disposizioni normative 
(v. articolo 154 TUA)(12). La finalit� della definizione omogenea delle 
componenti di costo della tariffa nelle diverse gestioni dei servizi idrici � quella 
chiaramente di promuovere il trasparente e paritario confronto degli operatori 
economici, all�esito del quale garantire agli utenti costi ragionevoli e servizi 
efficienti. 
In conclusione le previsioni di cui alla legge regionale citata, nel prevedere 
l�individuazione da parte della regione delle componenti di costo della 
tariffa, finirebbero per spogliare il Ministero dell�ambiente e il Co.Vi.Ri di 
prerogative che il Tua espressamente riconosce allo Stato, in ossequio ad irrinunciabili 
esigenze di tutela di valori primari, l�ambiente e la concorrenza, 
non suscettibili di alterazione da parte del legislatore regionale. 
Dott. Francesco Scittarelli* 
Corte costituzionale, sentenza del 4 febbraio 2010 n. 29, Ud. Pubblica del 15 dicembre 
2009 - Pres. Amirante, Red. Gallo - Giudizio di legittimit� costituzionale dell�art. 28, commi 
2 e 7, della legge della Regione Emilia-Romagna 30 giugno 2008, n. 10 (Misure per il riordino 
territoriale, l�autoriforma dell�amministrazione e la razionalizzazione delle funzioni), promosso 
dal Presidente del Consiglio dei ministri. Avvocato dello Stato Massimo Mari per il 
Presidente del Consiglio dei ministri e avvocati Maria Chiara Lista, Giandomenico Falcon e 
Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna. 
(Omissis) 
Considerato in diritto 
1. � Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall�Avvocatura generale 
dello Stato, ha impugnato in via principale i commi 2 e 7 dell�art. 28 della legge della Regione 
Emilia-Romagna 30 giugno 2008, n. 10 (Misure per il riordino territoriale, l�autoriforma dell�amministrazione 
e la razionalizzazione delle funzioni), deducendo: quanto al comma 2, la 
violazione dell�art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), della Costituzione, in relazione, 
quali parametri interposti, agli artt. 154, commi 2 e 4, e 161, comma 4 [rectius: lettera a) di 
tale comma], del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia di ambiente); 
quanto al comma 7 dello stesso art. 28, la violazione della sola lettera e) del secondo comma 
dell�art. 117 Cost., in relazione agli stessi artt. 154, commi 2 e 4, e 161, comma 4 [rectius: 
lettera a) di tale comma], del d.lgs. n. 152 del 2006. 
1.1. - Il comma 2 del citato art. 28 � censurato solo nella parte in cui prevede che �La Regione 
esercita le funzioni di regolazione economica e di regolazione dei servizi in raccordo con le 
Autonomie locali provvedendo, in particolare, [�] alla individuazione della tariffa di riferi- 
(12) Segnalazione dell�Autorit� Garante della concorrenza e del mercato n. 446 31 febbraio 2008. 
(*) Dottorando di ricerca presso l�Univesit� degli Studi di Cassino, Facolt� di Giurisprudenza. 
Ha svolto la pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato.
162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
mento ai fini della proposizione ai soggetti partecipanti alla forma di cooperazione di cui all�art. 
30 della regolazione tariffaria. [�]�. 
Le citate norme statali, assunte dal ricorrente quale parametro di riferimento quanto alla formazione 
della tariffa, stabiliscono che: a) �Il Ministro dell�ambiente e della tutela del territorio 
[�], tenuto conto della necessit� di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio 
�chi inquina paga�, definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della 
tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell�acqua� (art. 154, comma 2, 
del d.lgs. n. 152 del 2006); b) �L�Autorit� d�ambito, al fine della predisposizione del Piano 
finanziario di cui all�articolo 149, comma 1, lettera c), determina la tariffa di base, nell�osservanza 
delle disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 2, comunicandola [�] al Ministro 
dell�ambiente e della tutela del territorio� (art. 154, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 
2006); c) la Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, istituita presso il 
Ministero dell�ambiente e della tutela del territorio e del mare, �predispone con delibera il 
metodo tariffario per la determinazione della tariffa di cui all�articolo 154 e le modalit� di revisione 
periodica, e lo trasmette al Ministro dell�ambiente e della tutela del territorio e del 
mare, che lo adotta con proprio decreto sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo 
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano� (art. 161, comma 4, lettera 
a, del d.lgs. n. 152 del 2006). 
Il ricorrente deduce che la disposizione impugnata contravviene alle predette norme statali, 
le quali, nello stabilire una riserva di legge dello Stato nella determinazione della tariffa di riferimento 
del servizio idrico integrato, garantiscono: a) �uguali criteri di partecipazione competitiva 
su tutto il territorio nazionale� finalizzati a promuovere la concorrenza per il mercato; 
b) �standard quantitativi e qualitativi della risorsa idrica� uniformi su tutto il territorio nazionale 
finalizzati alla tutela dell�ambiente. Pertanto, la legge regionale violerebbe l�art. 117, secondo 
comma, lettere e) ed s), Cost., il quale assegna allo Stato la competenza legislativa 
esclusiva in materia, rispettivamente, di tutela della concorrenza (lettera e) e dell�ambiente 
(lettera s). 
1.2. � Il comma 7 dell�art. 28 della citata legge reg. Emilia-Romagna n. 10 del 2008 dispone 
che, �Per l�esercizio delle funzioni previste� dal medesimo articolo 28 della legge regionale 
(e cio�: la regolazione economica e dei servizi in raccordo con le Autonomie locali; la redazione 
del piano economico e del piano finanziario di cui all�art. 149, comma 4, ed all�art. 203, 
comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006; la individuazione della tariffa di riferimento; la costituzione 
di un sistema informativo con le Province e i Comuni; il potere sanzionatorio, ad eccezione 
di quello connesso alla violazione del contratto di servizio), �la Regione si avvale di 
una struttura organizzativa il cui costo di funzionamento � a carico delle tariffe dei servizi regolati 
nel limite di spesa fissato dalla Giunta regionale, sentita la Conferenza Regione-Autonomie 
locali, nonch� di quanto introitato a titolo di sanzioni�. 
Il ricorrente deduce, in proposito, che la previsione di una ulteriore componente di costo nella 
determinazione della tariffa per il servizio idrico integrato - determinazione riservata, invece, 
alla competenza statale dalle citate norme interposte di cui agli artt. 154, commi 2 e 4, e 161, 
comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 - altera la concorrenza, �dando origine a meccanismi 
competitivi disomogenei sul territorio nazionale�, e v�ola, pertanto, l�art. 117, secondo comma, 
lettera e), Cost., che assegna allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela 
della concorrenza. 
2. � Le questioni sono fondate. 
2.1.- In ordine alla censura riferita al comma 2 del citato art. 28, va osservato che dall�inter-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 163 
pretazione letterale e sistematica degli artt. 154, 155 e 161 del d.lgs. n. 152 del 2006 si desume 
che la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell�acqua 
� ascrivibile alla materia della tutela dell�ambiente e a quella della tutela della concorrenza, 
ambedue di competenza legislativa esclusiva dello Stato. 
Come ribadito da questa Corte con la sentenza n. 246 del 2009, �attraverso la determinazione 
della tariffa nellՈmbito territoriale ottimale, il legislatore statale ha fissato [�] livelli uniformi 
di tutela dell�ambiente, perch� ha inteso perseguire la finalit� di garantire la tutela e l�uso, secondo 
criteri di solidariet�, delle risorse idriche, salvaguardando la vivibilit� dell�ambiente e 
�le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale� 
e le altre finalit� tipicamente ambientali individuate dagli artt. 144 (Tutela e uso delle risorse 
idriche), 145 (Equilibrio del bilancio idrico) e 146 (Risparmio idrico)� del d.lgs. n. 152 del 
2006. Nella medesima pronuncia si � altres� rilevato che �la finalit� della tutela dell�ambiente 
viene [�] in rilievo anche in relazione alla scelta delle tipologie dei costi che la tariffa � 
diretta a recuperare�, tra i quali il legislatore ha incluso espressamente quelli ambientali, da 
recuperare �anche secondo il principio �chi inquina paga�� (art. 154, comma 2). 
Sotto altro - ma connesso - profilo, nella determinazione della tariffa viene poi in rilievo la 
materia della tutela della concorrenza; ci� in quanto �alla determinazione della tariffa provvede 
l�Autorit� dՈmbito, al fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione 
e di assicurare all�utenza efficienza ed affidabilit� del servizio (art. 151, comma 2, lettere c, 
d, e). Tale fine � raggiunto determinando la tariffa secondo un meccanismo di price cap (artt. 
151 e 154, comma 1), diretto ad evitare che il concessionario unico abusi della sua posizione 
dominante� (sentenza n. 246 del 2009, che richiama anche le sentenze n. 335 e n. 51 del 2008). 
L�uniforme metodologia tariffaria, adottata con l�interposta legislazione statale, e la sua applicazione 
da parte delle Autorit� dՈmbito � finalizzata, dunque, a preservare il bene giuridico 
�ambiente� dai rischi derivanti da una tutela non uniforme ed a garantire uno sviluppo concorrenziale 
del settore del servizio idrico integrato. Tali finalit� non potrebbero essere realizzate 
se dovesse trovare applicazione la normativa censurata, la quale prevede � come si � 
visto � la determinazione di oneri tariffari ulteriori o diversi da parte della Regione resistente. 
N� pu� accogliersi la tesi della Regione, secondo cui la �tariffa di riferimento� prevista dalle 
disposizioni censurate � limitandosi ad individuare nellՈmbito regionale il �valore complessivo 
dei costi del servizio, calcolati in base ai criteri definiti nel metodo� tariffario, ed avendo 
la funzione di costituire �la base per la determinazione della tariffa da applicare all�utenza� 
� non si identifica n� con il �metodo tariffario� n� con la �tariffa di base� (ambedue determinati 
in applicazione esclusivamente della normativa statale) e, pertanto, pu� essere disciplinata 
dalla legislazione regionale, in quanto rientrante nella sua competenza esclusiva in materia di 
servizi pubblici locali. 
Tale tesi non � condivisibile, perch� � indubbio che la disciplina censurata non opera in un 
�mbito estraneo alla normativa dello Stato � come sostiene la resistente � ma modifica il menzionato 
processo di determinazione tariffaria puntualmente delineato dal legislatore statale. 
Essa incide, in particolare, sulle attribuzioni dei soggetti preposti al servizio idrico integrato 
(Stato, CO.VI.RI. ed AATO), sottraendo parte della competenza ad essi riservata dagli artt. 
154 e 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, senza essere a ci� legittimata da alcuna normativa statale. 
Resta pertanto esclusa, anche sotto tale profilo, la competenza legislativa in materia di servizi 
pubblici locali rivendicata al riguardo dalla Regione. 
2.2. - Analoghe considerazioni debbono essere svolte in relazione alla censura inerente al 
comma 7 del medesimo art. 28 e riguardante il computo, nella tariffa, del costo di funziona-
164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
mento della struttura organizzativa della quale deve avvalersi la Regione Emilia-Romagna 
per esercitare varie funzioni attinenti al servizio idrico integrato. 
Al riguardo, va ribadito che il legislatore statale, con la dettagliata disciplina della tariffa di 
tale servizio, persegue l�obiettivo � oltre che di tutelare l�ambiente � di applicare su tutto il 
territorio nazionale, a tutela della concorrenza, un uniforme regime tariffario. In particolare, 
l�art. 154, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 elenca minutamente, a tal fine, gli elementi 
della tariffa, stabilendo che questa �costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed 
� determinata tenendo conto della qualit� della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere 
e degli adeguamenti necessari, dell�entit� dei costi di gestione delle opere, dell�adeguatezza 
della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, 
nonch� di una quota parte dei costi di funzionamento dell�Autorit� d�ambito, in modo che sia 
assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio�. Sempre allo stesso 
fine, il comma 2 dello stesso art. 154, evocato a parametro interposto, stabilisce � come pure 
si � visto � che �Il Ministro dell�ambiente e della tutela del territorio [�] definisce con decreto 
le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari 
settori di impiego dell�acqua�. Non vՏ dubbio, perci�, che l�impugnata disposizione della 
legge regionale � nel prevedere una specifica componente di costo che prescinde da quanto 
stabilito dal suddetto decreto ministeriale di cui al citato comma 2 dell�art. 154 - attribuisce 
alla tariffa del servizio idrico della sola Regione Emilia-Romagna una struttura del tutto peculiare, 
potenzialmente idonea ad influire sulla domanda del servizio stesso, cos� da porla in 
contrasto con il parametro interposto e con la indicata ratio di garantire la concorrenza anche 
attraverso l�uniforme individuazione su tutto il territorio dello Stato delle componenti di costo 
della tariffa. La disposizione censurata v�ola, perci�, l�evocato art. 117, secondo comma, lettera 
e), Cost. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
dichiara l�illegittimit� costituzionale dell�art. 28, commi 2 e 7, della legge della Regione Emilia-
Romagna 30 giugno 2008, n. 10 (Misure per il riordino territoriale, l�autoriforma dell�amministrazione 
e la razionalizzazione delle funzioni). 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 gennaio 
2010. 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 165 
Dossier 
Obblighi di informazione del paziente e 
responsabilit� del medico per omessa informazione 
(Cassazione, Sez. III civ., sentenza 9 febbraio 2010 n. 2847; Cassazione, Sez. III civ., sentenza 
4 gennaio 2010 n. 13; Cassazione, Sez. III civ., sentenza 30 gennaio 2009 n. 2468; 
Cassazione, Sez. Un. Penali, sentenza 21 gennaio 2009 n. 2437) 
L�argomento del �consenso informato� nell�ambito dell�attivit� medica 
e delle connesse responsabilit� ha molto di schizofrenico: come utenti vorremmo 
essere informati, ma vorremmo sentirci dire solo le cose che ci convengono 
e non accettiamo quello che ci dicono - forse male forse bene - i 
medici: il personale sanitario vorrebbe poter decidere la cura pi� adeguata, 
avendo in questo una piena discrezionalit�, senza l�obbligo di comunicare alcunch� 
al paziente. 
Sta accadendo che quello che dovrebbe far stare pi� tranquillo il paziente 
- ovvero il consenso informato - ed evitare liti in sede giurisdizionale, diventa 
la maggiore arma del paziente stesso, che utilizza il consenso o l�incompleto 
consenso per promuovere azioni giudiziarie che un tempo erano improponibili 
ed impensabili. 
E� un vero dramma quello che si consuma nelle sale operatorie e negli 
studi medici: per paura delle responsabilit� il medico o � troppo allarmista oppure 
rende informazioni inadeguate: cerca di predisporre gli strumenti pi� idonei 
per evitare il rischio di denunce penali o azioni in sede civile. 
Questa incertezza di fondo passa, poi, nelle aule giudiziarie. 
La responsabilit� medica, anche quella da omesso consenso informato, 
sta quasi diventando una forma (non prevista) di responsabilit� �oggettiva�, 
ovvero senza colpa. 
All�inizio non era cos�: l�attivit� medica � stata sempre preordinata al 
bene della salute, con piena libert� (ed autorit�) del medico, in aderenza al 
giuramento di Ippocrate: � ... In qualsiasi casa andr�, io vi entrer� per il sollievo 
dei malati, e mi asterr� da ogni offesa e danno volontario, e fra l'altro 
da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e 
schiavi�. 
Oggi vale il principio opposto, se non cՏ il consenso informato e consapevole, 
non si pu� intervenire, per ogni trattamento medico, sia terapeutico 
sia, a maggior ragione, chirurgico; il consenso deve riguardare ogni fase dell�attivit� 
medica, dalla diagnosi alla scelta della terapia, dalla sua attuazione 
alle fasi post-operatorie. 
Con riferimento al rapporto medico-paziente, a quella che viene definita 
l�alleanza medico-paziente, l�obbligo di chiedere il consenso informato, che
166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
sembra un inutile appesantimento per il personale medico, che sembra un obbligo 
solo formale da assolvere solo a mezzo della sottoscrizione di un modello 
prestampato, va a toccare, invece, il cuore del rapporto di fiducia tra il medico 
e il paziente, che deve sussistere in ogni fase della prestazione medica: le 
norme qui sotto evidenziate non fanno altro che tradurre per iscritto qualcosa 
che � scritto nell�intimo di chi ha a cuore la salute dei suoi pazienti, e che sa 
bene quanto sarebbe importante rassicurarli in ogni momento; il paziente arriva 
nella struttura pubblica o privata, spaventato e sprovvisto, il pi� delle 
volte, dei pi� elementari mezzi di conoscenza e si aspetta di essere continuamente 
rassicurato; la sensibilit� sta crescendo verso questa direzione e via via 
stanno aumentando le disposizioni che prevedono la necessit� del consenso 
informato, in alcuni casi anche espresso in forma scritta. Non dimentichiamoci, 
poi, le disposizioni del codice deontologico (artt. 33-39). 
Disposizioni che prevedono l�obbligo del consenso: 
� Artt. 2, 13, e soprattutto 32 Cost.; 
� Art. 1 Legge 13 maggio 1978, n. 180; 
� Dichiarazione Universale sul genoma e sui diritti umani; 
� Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997; 
� Art. 3.2 Carta diritti fondamentali U.E. 7 dicembre 2000 (c.d. Carta di Nizza); 
� Art. II-63 Trattato di Roma del 2004. 
Disposizioni che prevedono l�obbligo del consenso scritto: 
� Art. 4 L. 26 giugno 1967, n. 458 (trapianto rene); 
� Art. 14 L. 22 maggio 1978, n. 194 (I.V.G.); 
� Art. 33 1� e 5� comma L. 23 dicembre 1978 n. 833 (SSN); 
� Art. 2 L. 14 aprile 1982, n. 164 (rettificazione sesso); 
� Art. 5, 3� e 4� comma L. 5 giugno 1990 n. 135 (AIDS); 
� L. 4 maggio 1990 n. 107 (trasfusioni); 
� D.Lg.vo 24 giugno 2003, n. 211 (sperimentazione); 
� L. 19 febbraio 2004, n. 40 (procreazione assistita). 
Allora, il punto di partenza � questo: � l�attivit� medica che si fonda sul 
�consenso�. 
In questo senso depongono l�art. 1 Legge n. 180/1978 secondo cui �Gli 
accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari�, l� art. 50 c.p., che chiarisce 
che �Non � punibile chi lede o mette in pericolo un diritto, con il consenso 
dell�avente diritto�, le varie norme della Costituzione, gli artt. 2, 13 e 
32 Cost. che affermano l�esistenza del diritto di ogni cittadino di rifiutare un 
trattamento sanitario, anche se questo rifiuto lo espone al rischio della vita; in 
particolare, � rilevante l�art. 32, 2� co. Cost, secondo cui �Nessuno pu� essere 
obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di 
legge. La legge non pu� in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 167 
della persona umana�. 
La dottrina e la giurisprudenza hanno tentato di fondare la legittimit� (e 
liceit�) dell�attivit� medica, che si risolve in un rischio per la salute e/o per la 
vita stessa del paziente, sulla base di diverse cause di giustificazioni penali, le 
c.d. scriminanti che, se sussistenti, escludono la punibilit�; per l�attivit� medica, 
nel corso del tempo, sono state ritenute applicabili diverse �esimenti�. 
Non solo l�art. 50 c.p., ma anche l�art. 51 - Esercizio diritto o adempimento 
dovere - , l�art. 54 - Stato necessit� - o una esimente non codificata. Oggi non 
si dubita che l�attivit� medica si fonda proprio sul consenso del paziente. 
La logica conseguenza � che il consenso � necessario, sia per compiere 
semplici esami diagnostici, sia strumentali. Se, poi, l�intervento � complesso, 
il dovere di informazione si estende anche sulle fasi operative preparatorie e 
successive all�intervento. 
Secondo la Corte di cassazione 15 gennaio 1997 n. 364, �la presunzione 
di un implicito consenso a tutte le operazioni preparatorie e successive connesse 
all�intervento vero e proprio non esime il personale medico responsabile 
dal dovere di informarlo anche su queste fasi operative�. 
Quali sono le responsabilit� connesse alla omissione del consenso informato?
Astrattamente sono possibili sia la responsabilit� penale che quella civile. 
Per quanto concerne la responsabilit� penale, a fronte delle varie disposizioni 
che prevedono l�obbligo del consenso informato, mancano norme penali 
che prevedano sanzioni in caso di omissione: vale in diritto penale il 
principio secondo cui nessuno pu� essere condannato per un fatto che non sia 
espressamente previsto come reato, � il c.d. principio del favor rei. 
Nondimeno la giurisprudenza, molte volte non ha tenuto conto di questo 
principio ed � pervenuta a decisioni di condanna penale di un medico, quando 
ad un intervento medico era conseguito un peggioramento delle condizioni di 
salute del paziente. 
In alcuni casi, ha dato rilievo anche alla omissione del consenso, riconoscendo 
la sussistenza non gi� di una forma �colposa� di reato, ma addirittura 
�dolosa�, o l�omicidio preterintenzionale o addirittura quello doloso (il c.d. 
dolo eventuale: accettare il rischio che si verifichi un certo evento); la giurisprudenza, 
in particolare, ha considerato rilevante che un intervento medico - 
anche effettuato correttamente - sia stato effettuato in presenza di un �espresso 
dissenso� del paziente: in questo caso ha ritenuto la presenza del reato della 
violenza privata o il sequestro di persona (sono per� casi limite). 
La decisione che ha segnato una svolta, in positivo, per l�esercizio dell�attivit� 
medica � stata la sentenza �Volterrani�, dal nome dell�imputato medico. 
Con la decisione n. 26446 del 2002 la Cassazione, modificando il 
precedente orientamento inaugurato con la sentenza �Massimo�, di condanna
168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
per omicidio preterintenzionale - ha invece assolto un chirurgo che aveva operato 
correttamente un paziente, sottoponendolo ad un intervento molto complicato, 
senza consenso, intervento al quale erano seguite complicazioni e, 
successivamente, la morte. Il giudice di legittimit� ha affermato il principio 
che la pratica sanitaria � sempre �obbligata�, salvo le ipotesi da cui esula l�intento 
di tutela vera e propria della salute (v. trattamento estetico), dovendo ritenersi 
�che il medico sia sempre legittimato ad effettuare il trattamento 
terapeutico giudicato necessario per la salvaguardia della salute del paziente 
affidato alle sue cure, anche in mancanza di esplicito consenso�. 
Lo stesso principio � stato affermato da Cass. pen., sez. V, 28 ottobre 
2008, n. 40252, confermando la decisione Volterrani ed escludendo, quindi 
che l�assenza del consenso informato possa, di per se sola, determinare la condanna 
del medico. 
Ed ancora pi� recentemente, le Sezioni Unite Penali della Cassazione con 
la decisione n. 2437/2009, hanno escluso la configurabilit� del delitto di violenza 
privata in una fattispecie in cui l�intervento medico effettuato in assenza 
del consenso informato, abbia comunque prodotto un beneficio per la salute 
del paziente. 
Per quanto concerne, poi, la responsabilit� civile, la giurisprudenza ha riconosciuto 
che si tratta di una responsabilit� contrattuale ex art. 1218 e 2236 
cc, cosidetta responsabilit� professionale. 
Secondo Cass. Sez III n. 1132 del 29 marzo 1978 l�attivit� medica � un�attivit� 
complessa, che consiste non solo nell�accettazione del paziente da parte 
del medico e della struttura sanitaria pubblica o privata, ma anche nella diagnosi 
e nella cura. 
Volendo sintetizzare gli argomenti della giurisprudenza di legittimit�, possiamo 
dire che quella medica � una responsabilit� contrattuale, perch� gi� nella 
fasi precedenti all�effettivo intervento medico, il sanitario instaura un vero e 
proprio rapporto contrattuale (ovvero un �contatto sociale�) con il paziente. 
Non si pu� parlare, quindi di responsabilit� �pre-contrattuale� (cfr., per questo 
principio Cass. Sez. III n. 7027 del 23 maggio 2001). 
Cosa significa che � responsabilit� contrattuale? Derivano delle importanti 
conseguenze �processuali�, in specie per ci� che concerne l�onere della 
prova: Cass. Sez. III n. 23918 del 9 novembre 2006 ha chiarito che incombe 
sul medico l�onere prova di avere adempiuto all�obbligazione secondo le regole 
tecniche e di avere fatto tutto quanto possibile per evitare danni al paziente, 
ex art. 1218 cc.. 
Al paziente danneggiato sar�, invece, sufficiente, provare il contratto stipulato 
con il medico e la struttura sanitaria e il peggioramento delle sue condizioni 
in conseguenza dell�intervento medico. 
Non vi � dubbio che questa distribuzione dell�onere della prova mette in 
grande difficolt� la difesa dei medici e delle strutture sanitarie, trattandosi, il
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 169 
pi� delle volte, di una probatio c.d. diabolica. 
Poich�, per�, in virt� di quanto previsto dall�art. 2236 c.c. - responsabilit� 
del prestatore d'opera - considerato applicabile per la responsabilit� medica, 
�Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolt�, 
il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di 
colpa grave�, la giurisprudenza ha anche chiarito una diversa distribuzione 
dell�onere della prova, nel caso in cui sia stato, appunto, effettuato un intervento 
di �speciale difficolt��. 
In particolare, secondo la decisione della Cass. Sez. III, sent. n. 1127 del 
4 febbraio 1998, �Nel giudizio avente ad oggetto l'accertamento della responsabilit� 
del medico chirurgo per l�infelice esito di un intervento chirurgico, 
l'onere della prova si riparte tra attore e convenuto a seconda della natura 
dell'intervento effettuato, e precisamente: a) nel caso di intervento di difficile 
esecuzione, il medico ha l�onere di provare soltanto la natura complessa dell�operazione, 
mentre il paziente ha l�onere di provare quali siano state le modalit� 
di esecuzione ritenute inidonee; b) nel caso di intervento di facile o 
routinaria esecuzione, invece, il paziente ha il solo onere di provare la natura 
routinaria dell�intervento, mentre sar� il medico, se vuole andare esente da 
responsabilit�, a dover dimostrare che l�esito negativo non � ascrivibile alla 
propria negligenza od imperizia�. 
Una sola precisazione per la responsabilit� dei medici dipendenti di strutture 
sanitarie pubbliche. 
Si � cercato di applicare, nei loro confronti, una sorta di limitazione della 
responsabilit�, espressamente prevista dagli artt. 22 e 23 del D.P.R. 10 gennaio 
1957 n. 3 con riguardo alla responsabilit� degli impiegati civili dello Stato per 
gli atti compiuti in violazione dei diritti dei cittadini. 
Come � noto, in virt� delle disposizioni ora richiamate, e in attuazione 
dell'art. 28 cost., secondo cui �I funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti 
pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili ed amministrative, 
degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilit� 
civile si estende allo Stato e agli enti pubblici�, � stata regolamentata 
la responsabilit� dei funzionari pubblici per atti compiuti in violazione dei diritti 
dei cittadini; la responsabilit� dell�impiegato verso i terzi - in concorso o 
meno con la pubblica amministrazione - � stata limitata alle violazioni dei diritti 
dei terzi commesse con dolo o colpa grave. 
Con riferimento, per�, all�attivit� medica, la giurisprudenza ha pi� volte 
chiarito che la responsabilit� diretta dell'ente e quella del medico, inserito organicamente 
nella organizzazione del servizio, sono disciplinate in via analogica 
dalle norme che regolano la responsabilit� in tema di prestazione 
professionale medica in esecuzione di un contratto d'opera professionale (segnatamente 
dalla disposizione di cui all'art. 2236 cod. civ.), senza che possa 
trovare applicazione nei confronti del medico la normativa prevista dagli artt.
170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
22 e 23 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 ora richiamata (cfr. Cass., Sez. III, 
sent. n. 2144 dell�1 marzo 1988, Balestra c. Scanga; Cass., Sez. III, sent. n. 
5939 del 27 maggio 1993, Panfili c. Boghi; Cass., Sez. III, sent. n. 4152 del 
11 aprile 1995, Bossi c. Marconi). 
La responsabilit� dell'ente pubblico gestore del servizio sanitario � diretta, 
essendo riferibile all'ente, per il principio della immedesimazione organica, 
l'operato del medico suo dipendente, inserito nell'organizzazione del servizio, 
che con il suo operato, nell'esecuzione non diligente della prestazione sanitaria, 
ha causato danno al privato che ha richiesto ed usufruito del servizio pubblico. 
E, per l'art. 28 cost., accanto alla responsabilit� dell'ente, esiste la responsabilit� 
del medico dipendente. 
Responsabilit� che hanno entrambe radice nell'esecuzione non diligente 
della prestazione sanitaria da parte del medico dipendente, nell'ambito dell'organizzazione 
sanitaria. 
Quale deve essere il contenuto del consenso informato? E� il contenuto 
pi� ampio possibile. 
In particolare, la Cassazione ha precisato che il consenso deve concernere 
la natura dell�intervento, i suoi risultati, le possibilit� e probabilit� del loro 
conseguimento, nonch� la possibilit� di scelte mediche di diverso tipo, ed infine 
il decorso post-operatorio, anche in relazione alla struttura, cos� che il paziente 
possa eventualmente decidere di andare in un�altra struttura (cfr. Cass., 
Sez. III, n. 9705 del 6 ottobre 1997; Cass., Sez. III, n. 14638 del 30 luglio 2004 
ha specificato che il consenso deve riguardare anche lo stato efficienza e il livello 
delle dotazioni della struttura sanitaria). 
Altre decisioni hanno anche chiarito che, nel caso in cui l�equipe medica 
� composta da molti medici, fatta salvo l�obbligo di acquisizione del consenso 
da parte del capo-equipe, il medesimo obbligo sussiste anche per i medici responsabili 
di una parte rilevante (ed autonoma) della attivit� medica che deve 
essere svolta (si pensi agli obblighi dell�anestesista). 
Se vi sono pi� medici che si alternano nella cura, attraverso vari turni di 
lavoro alternati, � pur sempre possibile la delega. 
Ovviamente, in questo senso, la giurisprudenza ha escluso che possa costituire 
assolvimento dell�obbligo di acquisizione del consenso la semplice 
sottoscrizione di un modello prestampato. 
Se � sconosciuto il medico che ha effettuato la prestazione medica, � pur 
sempre responsabile la struttura sanitaria (Cass. 24 settembre 1997 n. 9374). 
Ovviamente il consenso ha ad oggetto solo rischi prevedibili e non anche 
gli esiti anomali (Cass. 30 luglio 2004, n. 14638). 
Un veloce accenno alle caratteristiche che deve avere il consenso: deve 
essere 
� personale: proviene cio� dalla persona; 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 171 
� se il paziente � minore o incapace: provvedono i suoi genitori o i parenti pi� 
stretti; se � soggetto incapace legalmente, il suo tutore�(art. 30 e 33 Cod. 
deontologico); 
� consapevole o informato: solo cos� il paziente pu� valutare bene cosa fare; 
� attuale: deve sussistere in ogni momento dell�attivit� medica e, ovviamente, 
pu� essere sempre revocato�; 
� manifesto: espresso o tacito purch� risulti chiaro ed univoco; 
� scritto: nei casi previsti dalla legge (emotrasfusioni, trapianti tra vivi, interruzioni 
di gravidanza, fecondazione assistita �); 
� libero: scelta volontaria ed incondizionata; 
� completo: adeguata ed esauriente informazione; 
� gratuito: se no sarebbe nullo �.; 
� recettizio: produce effetti solo dopo che il medico lo abbia recepito; 
� richiesto: � un dovere del medico chiederlo ed ottenerlo; 
� specifico: deve riguardare ogni singola fase del trattamento; 
� comprensibile: reso in modo che il paziente apprenda senza difficolt�..; 
� essenziale: solo quanto sia utile e necessario conoscere ai fini del trattamento sanitario; 
� adeguato: commisurato alla portata dell�intervento o della terapia; 
� semplificato: adeguato al livello culturale del paziente. 
Vorrei terminare con l�esame delle ultime decisioni che hanno affrontato 
la questione della responsabilit� del medico per omissione del consenso informato. 
Le decisioni penali sopra ricordate e quelle civili, che ora esamineremo, 
sembrano confermare che la mancanza del consenso ex se non � in grado di 
determinare una responsabilit� n� penale n� civile, quando non vi � prova del 
nesso causale tra danni lamentati e l�omissione del consenso. 
Sotto questo profilo, � anzitutto opportuno richiamare una giurisprudenza, 
che ha comunque riconosciuto la responsabilit� civile da omesso consenso, 
anche quando l�intervento medico � stato effettuato diligentemente, quindi 
senza colpa del medico nell�esecuzione dell�intervento, se la salute del paziente 
� peggiorata (Cass. SS.UU. n. 6572/2006; Cass. n. 24742 del 28 novembre 
2007; Cass. nn. 1950/1967, 1773/1981, 9705/1997 in tema di chirurgia 
estetica, 5444/2006, 9374/1997). 
Ma, in questo senso, � molto interessante quanto statuito dalla recentissima 
decisione della Cassazione 9 febbraio 2010 n. 2847, che ha parzialmente 
modificato questo orientamento, precisando che, ai fini della risarcibilit� dei 
danni lamentati, si deve, comunque, accertare, se vi sia un nesso causale tra 
questi pregiudizi e l�omissione del consenso. 
Nella fattispecie esaminata dalla decisione della cassazione da ultimo ricordata, 
la corte d'appello di Napoli aveva dichiarato la responsabilit� del medico 
per i danni derivanti dall'intervento effettuato in difetto del consenso
172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
informato, nessun rilievo avendo la circostanza che l'intervento medesimo 
sia stato eseguito in modo corretto, "Non avendo il medico (Sbordone), sul 
quale incombeva l�onere di provare la presenza di un consenso informato 
(Cass. 23/2001, n. 7027) n� affermato, n� tanto meno provato, di aver informato 
la paziente (sig.ra Salvatore) dei rischi prevedibili dell�intervento e di 
aver ricevuto il consenso di quest'ultima, (Cass., 24 settembre 1997, n. 
9374)". 
Ha proposto ricorso in sede di legittimit� il medico. Per la parte che ci 
interessa, il medico ha affidato il gravame essenzialmente a due motivi di ricorso: 
con un primo motivo ha sostenuto che quella da omissione di consenso 
dovrebbe piuttosto essere considerata una responsabilit� pre-contrattuale. 
La cassazione, ha respinto questa tesi, alla luce dell�ormai pacifico orientamento 
secondo cui �l�intervento stesso del medico, anche solo in funzione 
diagnostica, d� comunque luogo all�instaurazione di un rapporto di tipo contrattuale. 
Ne consegue che, effettuata la diagnosi in esecuzione del contratto, 
l�illustrazione al paziente delle conseguenze (certe o incerte che siano, purch� 
non del tutto anomale) della terapia o dell'intervento che il medico consideri 
necessari o opportuni ai fini di ottenere, quante volte sia possibile, il necessario 
consenso del paziente all'esecuzione della prestazione terapeutica, costituisce 
un'obbligazione il cui adempimento deve essere provato dalla parte 
che l'altra affermi inadempiente, e dunque dal medico a fronte dell�allegazione 
di inadempimento da parte del paziente�. 
Per quanto, poi, concerne i danni risarcibili, poich� � stata addebitata al 
medico non gi� una responsabilit� sulle modalit� di effettuazione dell�intervento 
� riconosciuto corretto � ma per omissione di consenso il medico, con 
un altro motivo di ricorso, ha sostenuto che sarebbero risarcibili ex art. 1223 
cc solo i danni collegati a tale omissione. 
In relazione a tale questione, la Corte ha riconosciuto che la giurisprudenza 
non ha mai affrontato il problema se, delle conseguenze pregiudizievoli 
per la salute di un intervento chirurgico necessario e correttamente eseguito, 
il medico debba rispondere per il solo fatto di non aver informato il paziente 
della possibilit� che quelle conseguenze si verificassero, o se, per dirle risarcibili, 
deve potersi affermare che il paziente all'intervento non si sarebbe sottoposto 
se fosse stato informato. 
E� vero che la Cassazione, numerose volte (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 
1950/1967, 1773/1981, 9705/1997 in tema di chirurgia estetica, 5444/2006), 
ha affermato che "la mancata richiesta del consenso costituisce autonoma 
fonte di responsabilit� qualora dall� intervento scaturiscano effetti lesivi, o 
addirittura mortali, per il paziente, per cui nessun rilievo pu� avere il fatto 
che l'intervento medesimo sia stato eseguito in modo corretto" (cos� Cass., 
n. 9374/1997). 
Ci� sull�implicito rilievo che, in difetto di "consenso informato" da parte
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 173 
del paziente, l'intervento terapeutico costituisce un illecito, sicch� il medico 
risponde delle conseguenze negative che ne siano derivate quand'anche abbia 
correttamente eseguito quella prestazione. 
La Cassazione ha per� osservato che, come sopra detto, non � mai stato 
esaminato il diverso problema se - ai fini dell�accertamento della responsabilit� 
del medico - si debba verificare (e provare) la sussistenza di un nesso 
causale tra mancata acquisizione di consenso consapevole e il pregiudizio lamentato. 
La cassazione ha cos� argomentato: ��poich� l'intervento chirurgico 
non sarebbe stato eseguito solo se il paziente lo avesse rifiutato, per ravvisare 
la sussistenza di nesso causale tra lesione del diritto all�autodeterminazione 
del paziente (realizzatosi mediante l'omessa informazione da parte del medico) 
e lesione della salute per le, pure incolpevoli, conseguenze negative 
dell� intervento (tuttavia non anomale in relazione allo sviluppo del processo 
causale: Cass., n. 14638/2004), deve potersi affermare che il paziente 
avrebbe rifiutato l�intervento ove fosse stato compiutamente informato, giacch� 
altrimenti la condotta positiva omessa dal medico (informazione, ai fini 
dell�acquisizione di un consapevole consenso) non avrebbe comunque evitato 
l�evento (lesione della salute).� 
Tra le diverse soluzioni possibili, la cassazione ha ritenuto corretta questa 
seconda, certamente pi� rigorosa per ci� che concerne l�accertamento del 
nesso di causalit�. 
Del resto il diritto all'autodeterminazione del paziente � diverso ed autonomo 
dal diritto alla salute (Cass., n. 10741/2009 e Cass., n. 18513/2007, 
che ha qualificato come mutamento della causa petendi il porre a fondamento 
dell'azione di risarcimento danni conseguenti ad intervento chirurgico il difetto 
di consenso informato, dopo aver fondato tale azione sulla colpa professionale). 
Tale diritto rappresenta �una forma di rispetto per la libert� dell�individuo 
e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi, che si sostanzia 
non solo nella facolt� di scegliere tra le diverse possibilit� di 
trattamento medico, ma altres� di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere 
consapevolmente di interromperla, atteso il principio personalistico 
che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore 
etico in s� e ne sancisce il rispetto in qualsiasi momento della sua vita e 
nell�integralit� della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni 
etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni 
volitive (Cass., n. 21748/2007). 
Ed anche secondo la Corte costituzionale (sentenza n. 438 del 2008) il 
consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al 
trattamento sanitario proposto dal medico, si configura come un diritto fondamentale 
della persona e trova fondamento nei principi espressi negli artt.
174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
2, 13 e 32 Cost., gi� ricordati. 
Pu�, dunque, sussistere una lesione della salute, anche senza lesione del 
diritto di autodeterminazione, cos� come pu� esservi lesione di quest�ultimo 
diritto, senza che vi sia una lesione della salute. 
Quando � che la lesione del diritto di autodeterminazione assume rilievo 
a fini risarcitori? Tutte le volte che - questo ha chiarito la Cassazione in questa 
decisione del febbraio 2010 - �siano configurabili conseguenze pregiudizievoli 
di apprezzabile gravit�, se integranti un danno non patrimoniale che 
siano derivate dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione 
in se stesso considerato (cfr., con riguardo al caso di danno patrimoniale 
e non patrimoniale da omessa diagnosi di feto malformato e di 
conseguente pregiudizio della possibilit� per la madre di determinarsi a ricorrere 
all'interruzione volontaria della gravidanza, la recentissima Cass., 
n. 13 del 2010��. 
Cos�, ha pure chiarito la Cassazione, �non potrebbe a priori negarsi una 
tutela risarcitoria a chi abbia consapevolmente rifiutato una trasfusione di 
sangue perch� in contrasto con la propria fede religiosa (al caso dei Testimoni 
di Geova si sono riferite, con soluzioni sostanzialmente opposte, Cass., 
nn. 23676/2008 e 4211/2007), quand'anche gli si sia salvata la vita praticandogliela, 
giacch� egli potrebbe aver preferito non vivere, piuttosto che vivere 
nello stato determinatosi; cos�, ancora, non potrebbe in assoluto escludersi 
la risarcibilit� del danno non patrimoniale da acuto o cronico dolore fisico 
(sul punto cfr. Cass., n. 23846/2008) nel caso in cui la scelta del paziente o 
della sua stessa vita, ma a prezzo di sofferenze fisiche che il paziente avrebbe 
potuto scegliere di non sopportare, sia stata effettuata senza il suo consenso, 
da acquisire in esito alla rappresentazione pi� puntuale possibile del dolore 
prevedibile, col bilanciamento reso necessario dall�esigenza che esso sia prospettato 
con modalit� idonee a non ingenerare un aprioristico rifiuto dell'atto 
terapeutico, chirurgico o farmacologico�. 
Allora l'informazione cui il medico � tenuto in vista dell'espressione del 
consenso del paziente vale anche, ove il consenso sia prestato, a determinare 
nel paziente l'accettazione di quel che di non gradito pu� avvenire. 
Come si diceva poco fa, il paziente che sia stato messo in questa condizione 
- la quale integra un momento saliente della necessaria �alleanza terapeutica� 
col medico - accetta preventivamente l�esito sgradevole e, se 
questo si verifica, avr� anche una minore propensione ad incolpare il medico. 
Se tuttavia lo facesse, il medico non sarebbe tenuto a risarcirgli alcun danno 
sotto l�aspetto del difetto di informazione (salva la sua possibile responsabilit� 
per avere, per qualunque ragione, mal diagnosticato o mal suggerito o 
male operato; ma si tratterebbe - come s� � gi� chiarito - di un aspetto del 
tutto diverso, implicante una �colpa� collegata all�esecuzione della prestazione 
successiva).
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 175 
Ma se il paziente non sia stato convenientemente informato, quella condizione 
di spirito � inevitabilmente destinata a realizzarsi, ingenerando manifestazioni 
di turbamento di intensit� ovviamente correlata alla gravit� delle 
conseguenze verificatesi e non prospettate come possibili. Ed � appunto questo 
il danno non patrimoniale che, nella prevalenza dei casi, costituisce l'effetto 
del mancato rispetto dell�obbligo di informare il paziente. 
Condizione di risarcibilit� di tale tipo di danno non patrimoniale � che 
esso varchi la soglia della gravit� dell�offesa secondo i canoni delineati dalle 
sentenze delle Sezioni unite nn. da 26972 a 26974 del 2008, con le quali s'� 
stabilito che il diritto deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilit�, 
da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidariet� 
e di tolleranza secondo il parametro costituito dalla coscienza 
sociale in un determinato momento storico. Non pare possibile offrire pi� 
specifiche indicazioni. 
Il danno da omesso consenso informato, cos� inteso, presuppone quindi 
l'accertamento che il paziente quel determinato intervento avrebbe rifiutato 
se fosse stato adeguatamente informato. 
Poich� si tratta di responsabilit� contrattuale, �il relativo onere probatorio, 
suscettibile di essere soddisfatto anche mediante presunzioni, grava sul 
paziente: (a) perch� la prova di nesso causale tra inadempimento e danno 
comunque compete alla parte che alleghi l�inadempimento altrui e pretenda 
per questo il risarcimento; (b) perch� il fatto positivo da provare � il rifiuto 
che sarebbe stato opposto dal paziente al medico; (c) perch� si tratta pur 
sempre di stabilire in quale senso si sarebbe orientata la scelta soggettiva 
del paziente, sicch� anche il criterio di distribuzione dell'onere probatorio 
in funzione della �vicinanza� al fatto da provare induce alla medesima conclusione; 
(d) perch� il discostamento della scelta del paziente dalla valutazione 
di opportunit� del medico costituisce un�eventualit� che non 
corrisponde all� id quod plerumque accidit. 
Se, nella specie, l'intervento sarebbe stato rifiutato dalla paziente ove il 
medico le avesse puntualmente rappresentato le sue possibili conseguenze � 
scrutinio che la corte d'appello ha del tutto omesso; e questo perch� � incorsa 
nell�illustrato errore di diritto laddove ha ritenuto che della lesione della salute 
il medico dovesse rispondere per il solo difetto di un consenso consapevolmente 
prestato (che � locuzione pi� propria di quella corrente, giacch� 
"informato� non � il consenso, ma deve esserlo il paziente che lo presta). 
La cassazione, nell�annullare la sentenza della Corte di Appello ha rinviato 
il giudizio ad altra sezione della Corte, perch� possa essere effettuato 
l�accertamento richiesto e vedremo successivamente l�evoluzione che avr�, 
sul punto, la giurisprudenza.
176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Vorrei chiudere con un passo della Bibbia, molto significativo del ruolo 
del medico e del suo rapporto con il paziente: leggiamo dal libro del SIRACIDE 
38, 1-15 
�Onora il medico come si deve secondo il bisogno, 
anch'egli � stato creato dal Signore. 
Dall'Altissimo viene la guarigione, 
anche dal re egli riceve doni. 
La scienza del medico lo fa procedere a testa alta, 
egli � ammirato anche tra i grandi 
Dio ha dato agli uomini la scienza 
perch� potessero gloriarsi delle sue meraviglie. 
Con esse il medico cura ed elimina il dolore 
e il farmacista prepara le miscele. 
Non verranno meno le sue opere! 
Da lui proviene il benessere sulla terra. 
Figlio, non avvilirti nella malattia, 
ma prega il Signore ed egli ti guarir�. 
F� poi passare il medico 
- il Signore ha creato anche lui - 
non stia lontano da te, poich� ne hai bisogno. 
Ci sono casi in cui il successo � nelle loro mani. 
Anch'essi pregano il Signore 
perch� li guidi felicemente ad alleviare la malattia 
e a risanarla, perch� il malato ritorni alla vita. 
Chi pecca contro il proprio creatore 
cada nelle mani del medico�. 
Avv. Vincenzo Rago* 
Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 9 febbraio 2010 n. 2847 - Pres. Morelli, Est. 
Amatucci, P.M. Abbritti. 
(Omissis) 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 
1.- Nel febbraio del 1993 Sa.Lu. ag� giudizialmente nei confronti di S.G., che il (omissis) la 
aveva sottoposta ad intervento chirurgico per cataratta asportandole il cristallino dell'occhio 
(*) Avvocato dello Stato.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 177 
destro, e ne chiese la condanna al risarcimento dei danni per le complicanze (cheratite corneale 
bollosa) e le lesioni che afferm� esserne conseguite. 
Il convenuto resistette. 
Con sentenza n. 2095 del 2002 il tribunale di Napoli, in esito a due consulenze tecniche d'ufficio, 
rigett� la domanda. Escluse in particolare che, a seguito del trapianto di cornea cui l'attrice 
si era poi sottoposta altrove, fossero residuati esiti permanenti dalla cheratite insorta 
dopo l'intervento di asportazione della cataratta; ritenne che lo stesso fosse necessario e che 
era stato eseguito correttamente, nel rispetto delle norme proprie della scienza medica; afferm� 
che della mancanza di "consenso informato" avrebbe dovuto dare prova la paziente e che tale 
prova era mancata. 
2.- La corte d'appello di Napoli, decidendo con sentenza n. 242 del 2005 sul gravame della 
soccombente, ha riformato la sentenza sul seguente, sostanziale, testuale rilievo: "Non avendo 
lo S., sul quale incombeva l'onere di provare la presenza di un consenso informato (Cass., 
23/2001, n. 7027) n� affermato, n� tanto meno provato, di aver informato la Sa. dei rischi prevedibili 
dell'intervento e di aver ricevuto il consenso di quest'ultima, va affermata - come richiesto 
dalla Sa. in primo grado, fin dal (omissis) - la responsabilit� del sanitario per i danni 
derivanti dall'intervento effettuato in difetto di detto consenso, nessun rilievo avendo la circostanza 
che l'intervento medesimo sia stato eseguito in modo corretto (Cass., 24 settembre 
1997, n. 9374)" (pagina 6 della sentenza). 
Ha poi ritenuto che "il riconoscimento della responsabilit� dello S. per carenza di consenso 
informato comporta la condanna dello stesso al risarcimento dei danni patiti dalla Sa. per l'invalidit� 
temporanea, per le sofferenze patite per l'insorgenza della cheratite bollosa e per le 
spese affrontate per il successivo trapianto corneale, necessario ad eliminare la cheratopatia"; 
ed ha soggiunto che "l'assenza di specifici motivi di impugnazione della sentenza del Tribunale 
nella parte in cui non � stata riconosciuta la persistenza di una invalidit� pur dopo il trapianto 
di cornea, determina l'inammissibilit� della richiesta di risarcimento del danno biologico e 
per la assunta invalidit�, e per il relativo danno morale" (pagina 8 della sentenza). 
...omissis.... 
MOTIVI DELLA DECISIONE 
1.- I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza. 
IL RICORSO PRINCIPALE (del medico). 
1.1.- Il primo motivo del ricorso dello S. investe la decisione in relazione alla ripartizione dell'onere 
della prova in materia di consenso informato, deducendosi violazione e falsa applicazione 
degli artt. 1337, 2697 e 2043 c.c., per avere la corte d'appello ritenuto che la prova 
dell'intervenuto consenso consapevole della paziente all'intervento dovesse essere data dal 
medico. Si afferma che il consenso del paziente inerisce alla fase che precede il contratto di 
prestazione d'opera professionale: si verterebbe dunque in ipotesi di responsabilit� precontrattuale 
che, in quanto tradizionalmente inquadrata nell'alveo della responsabilit� aquiliana, 
� governata dalla regola secondo la quale la prova del fatto illecito deve essere data dal creditore. 
1.2.- Il motivo � infondato alla luce dell'ormai definitivo approdo secondo il quale l'intervento 
stesso del medico, anche solo in funzione diagnostica, da comunque luogo all'instaurazione 
di un rapporto di tipo contrattuale. Ne consegue che, effettuata la diagnosi in esecuzione del 
contratto, l'illustrazione al paziente delle conseguenze (certe o incerte che siano, purch� non 
del tutto anomale) della terapia o dell'intervento che il medico consideri necessari o opportuni
178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
ai fini di ottenere, quante volte sia possibile, il necessario consenso del paziente all'esecuzione 
della prestazione terapeutica, costituisce un'obbligazione il cui adempimento deve essere provato 
dalla parte che l'altra affermi inadempiente, e dunque dal medico a fronte dell'allegazione 
di inadempimento da parte del paziente. 
2.- Col secondo motivo � denunciato ogni possibile tipo di vizio della motivazione in punto 
di affermata prevedibilit� della patologia corneale insorta dopo l'intervento chirurgico di asportazione 
della cataratta, affermandosi che tale prevedibilit� � meramente postulata dalla corte 
territoriale e non supportata da argomenti idonei a contrastare le diverse conclusioni cui erano 
addivenuti i due consulenti tecnici. 
Si sostiene, mediante riferimento ai riprodotti passi delle relazioni dei due ausiliari, che il 
primo aveva affermato che "non vi era alcuna controindicazione all'intervento chirurgico per 
cataratta con inserimento del cristallino in camera posteriore" e che "l'innesto di cui sopra, 
oltre ad avere indicazione, era una necessit�"; e che la relazione del secondo consulente, in 
riferimento all'intervenuto scompenso corneale con formazione di bolle, aveva ritenuto che 
l'evento era "non certo prevedibile, in quanto non erano stati individuati elementi di questo 
prodromici", del pari concludendo nel senso della necessit� dell'intervento. 
2.1.- Anche questa censura � infondata. 
La conclusione della corte sulla prevedibilit� della cheratite bollosa sopravvenuta all'intervento 
� correlata all'affermazione del primo c.t.u. che la "cheratite bollosa che insorge dopo l'intervento 
per cataratta � divenuta oggi una malattia molto diffusa", essendo i relativi casi passati 
dal 2 al 21,2% del 1990 (secondo un trattato di chirurgia della cornea del 1994) ed all'ulteriore, 
saliente rilievo che la normale bilateralit� della cornea guttata dalla quale la paziente era affetta 
e la circostanza che il medico non ne avesse mai attestato la presenza neanche all'occhio sinistro 
"bench� la stessa sia di facile accertamento ..., prevedendo un ulteriore intervento di 
cataratta all'occhio sinistro dopo 15 o 20 gg. da quello all'occhio destro, lascia ragionevolmente 
presumere che lo S., pur consapevole della presenza di cornea guttata ad entrambi gli occhi, 
abbia taciuto tale circostanza alla Sa., programmando un duplice intervento - ai due occhi distintamente 
- con tutte le cautele del caso, senza tuttavia informare la Sa. di una conseguenza 
pi� che probabile dell'intervento medesimo (vedi bibliografia allegata alla produzione di parte 
appellante)" (cos� la sentenza impugnata a pagina 7, capoverso). 
La conclusione � logicamente coerente, sufficiente e niente affatto contraddittoria, non essendo 
univocamente sintomatica del vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, la circostanza che altri passi 
delle relazioni di consulenza avrebbero potuto indurre a conclusioni diverse. Tanto, in relazione 
al principio secondo il quale la scelta delle risultanze probatorie cui conferire determinante 
rilievo e l'interpretazione del risultato di una complessa attivit� intellettiva, quale pu� 
essere quella demandata al c.t.u., competono al giudice del merito, che nella specie ha dato 
puntuale conto dei passi della relazione e delle ulteriori risultanze sui quali ha fondato il proprio 
convincimento. 
Va soggiunto che, laddove la controricorrente Sa. prospetta che, in realt�, la seconda consulenza 
tecnica d'ufficio aveva concluso nel senso che la cornea guttata non era stata addirittura 
diagnosticata (pagina 5 del controricorso, in fine), evoca una possibilit� che avrebbe potuto 
dar luogo ad una responsabilit� da omessa diagnosi e da conseguente inadeguatezza della terapia 
chirurgica in concreto praticata; ma che, in difetto di censura da parte sua della motivazione 
della sentenza nella parte in cui il giudice del merito � addivenuto alla conclusione 
opposta (il ricorso incidentale concerne un profilo del tutto diverso), non � suscettibile di alcuna 
delibazione ulteriore, per essersi formato il giudicato sul punto.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 179 
3.- Col terzo motivo la sentenza � censurata per violazione e falsa applicazione dell'art. 1223 
c.c., e segg., concernenti i criteri di determinazione dei danni risarcibili, e per vizio di motivazione 
su punti decisivi. 
Sulla premessa che era stata acclarata l'assenza di qualsiasi profilo di colpa professionale nell'esecuzione 
dell'intervento chirurgico di asportazione della cataratta, il ricorrente rileva che 
l'avere la corte d'appello riconosciuto il risarcimento per le "lunghe sofferenze e le enormi 
spese" derivate alla paziente dalla cheratite bollosa conseguita all'intervento postula che 
l'evento di danno ascritto all'azione dell'oculista sia appunto la cheratite bollosa; mentre, essendo 
stata al medico ascritta esclusivamente la violazione del suo obbligo d'informazione, 
non le conseguenze della lesione del diritto alla salute potevano venire in considerazione ai 
fini risarcitori, ma solo quelle connesse alla lesione del diverso ed autonomo diritto alla libera 
e consapevole autodeterminazione del paziente "sul se sottoporsi o meno all'intervento (artt. 
2 e 13 Cost., art. 32 Cost., comma 2)", peraltro ritenuto necessario in relazione alle condizioni 
della paziente. 
Per addossare al medico le conseguenze negative dell'intervento, necessario e correttamente 
eseguito, sarebbe occorso addivenire alla conclusione che la paziente non vi si sarebbe sottoposta 
se fosse stata adeguatamente informata, non potendosi altrimenti affermare la sussistenza 
di nesso di causalit� tra la violazione (omessa informazione) e il bene giuridico che si assume 
leso (la salute). Ma tale indagine non era stata compiuta; se lo fosse stata - conclude il ricorrente 
- la indiscutibile necessit� dell'intervento avrebbe univocamente indotto la corte d'appello 
alla conclusione che ad esso la paziente si sarebbe sottoposta quand'anche fosse stata adeguatamente 
informata. 
3.1.- Il problema che si pone � il seguente: a) se delle conseguenze pregiudizievoli per la 
salute di un intervento chirurgico necessario e correttamente eseguito il medico debba rispondere 
per il solo fatto di non aver informato il paziente della possibilit� che quelle conseguenze 
si verificassero; 
b) o se, per dirle risarcibili, deve potersi affermare che il paziente all'intervento non si sarebbe 
sottoposto se fosse stato informato. 
Effettivamente questa corte, con la sentenza citata nella sentenza impugnata e con numerose 
altre decisioni (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 1950/1967, 1773/1981, 9705/1997 in tema di chirurgia 
estetica, 5444/2006), ha affermato che "la mancata richiesta del consenso costituisce 
autonoma fonte di responsabilit� qualora dall'intervento scaturiscano effetti lesivi, o addirittura 
mortali, per il paziente, per cui nessun rilievo pu� avere il fatto che l'intervento medesimo sia 
stato eseguito in modo corretto" (cos� Cass., n. 9374/1997). 
Ci� sull'implicito rilievo che, in difetto di "consenso informato" da parte del paziente, l'intervento 
terapeutico costituisce un illecito, sicch� il medico risponde delle conseguenze negative 
che ne siano derivate quand'anche abbia correttamente eseguito quella prestazione. 
Non risulta per� scrutinato ex professo il problema specifico che ora si pone: se cio�, perch� 
il medico risponda del danno alla salute, occorre che sussista nesso causale tra mancata acquisizione 
di consenso consapevole e quel tipo di pregiudizio. N� tanto meno, ovviamente, � 
stato mai affermato che dal nesso causale possa prescindersi (anzi, vi � stato fatto esplicito riferimento 
da numerose altre decisioni, fra le quali Cass., n. 14638/2004 e, da ultimo, Cass., 
n. 10741/2009). 
Ora, la sussistenza di nesso eziologico non va indagata solo in relazione al rapporto di consequenzialit� 
tra intervento terapeutico (necessario e correttamente eseguito) e pregiudizio della 
salute, che � addirittura scontato e che costituisce il presupposto stesso del problema che s'�
180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
sopra sintetizzato, il quale neppure sorgerebbe se il pregiudizio della salute non fosse conseguenza 
dell'intervento. La sussistenza di quel nesso va verificata in relazione al rapporto tra 
attivit� omissiva del medico per non aver informato il paziente ed esecuzione dell'intervento. 
La riduzione del problema al rilievo che, essendo illecita l'attivit� medica espletata senza consenso, 
per ci� stesso il medico debba rispondere delle conseguenze negative subite dal paziente 
che il consenso informato non abbia prestato, costituirebbe una semplificazione priva del necessario 
riguardo all'unitariet� del rapporto ed al reale atteggiarsi della questione, la quale 
non attiene tanto alla liceit� dell'intervento del medico (che � solo una qualificazione successiva), 
ma che nasce dalla violazione del diritto all'autodeterminazione del paziente, essendo 
al medico anzitutto imputabile di non averlo adeguatamente informato per acquisirne il preventivo, 
consapevole consenso. Che, se lo avesse fatto ed all'esecuzione dell'intervento (con 
le modalit� rappresentategli) il paziente avesse in ipotesi acconsentito, sarebbe palese l'insussistenza 
di nesso di causalit� materiale tra il comportamento omissivo del medico e la lesione 
della salute del paziente, perch� quella lesione egli avrebbe in ogni caso subito. 
Rispetto alle conseguenze su tale piano pregiudizievoli occorre allora domandarsi, come in 
ogni valutazione controfattuale ipotetica, se la condotta omessa avrebbe evitato l'evento ove 
fosse stata tenuta: se, cio�, l'adempimento da parte del medico dei suoi doveri informativi 
avrebbe prodotto l'effetto della non esecuzione dell'intervento chirurgico dal quale, senza 
colpa di alcuno, lo stato patologico � poi derivato. E poich� l'intervento chirurgico non sarebbe 
stato eseguito solo se il paziente lo avesse rifiutato, per ravvisare la sussistenza di nesso causale 
tra lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente (realizzatosi mediante l'omessa 
informazione da parte del medico) e lesione della salute per le, pure incolpevoli, conseguenze 
negative dell'intervento (tuttavia non anomale in relazione allo sviluppo del processo causale: 
Cass., n. 14638/2004), deve potersi affermare che il paziente avrebbe rifiutato l'intervento 
ove fosse stato compiutamente informato, giacch� altrimenti la condotta positiva omessa dal 
medico (informazione, ai fini dell'acquisizione di un consapevole consenso) non avrebbe comunque 
evitato l'evento (lesione della salute). 
Tra le due sopra prospettate, la soluzione corretta in diritto � dunque la seconda. 
3.2.- Il diritto all'autodeterminazione �, del resto, diverso dal diritto alla salute (Cass., n. 
10741/2009 e Cass., n. 18513/2007, che ha qualificato come mutamento della causa petendi 
il porre a fondamento dell'azione di risarcimento danni conseguenti ad intervento chirurgico 
il difetto di consenso informato, dopo aver fondato tale azione sulla colpa professionale). 
Esso rappresenta, ad un tempo, una forma di rispetto per la libert� dell'individuo e un mezzo 
per il perseguimento dei suoi migliori interessi, che si sostanzia non solo nella facolt� di scegliere 
tra le diverse possibilit� di trattamento medico, ma altres� di eventualmente rifiutare la 
terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, atteso il principio personalistico che 
anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in s� e ne 
sancisce il rispetto in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralit� della sua persona, in 
considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano 
le sue determinazioni volitive (Cass., n. 21748/2007). Secondo la definizione della Corte costituzionale 
(sentenza n. 438 del 2008, sub. n. 4 del "Considerato in diritto") il consenso informato, 
inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto 
dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei 
principi espressi nell'art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 
13 e 32 Cost., i quali stabiliscono rispettivamente che "la libert� personale � inviolabile" e 
che "nessuno pu� essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposi-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 181 
zione di legge". 
Afferma ancora la Consulta che numerose norme internazionali (che � qui superfluo richiamare 
ancora una volta) prevedono esplicitamente la necessit� del consenso informato del paziente 
nell'ambito dei trattamenti medici. La diversit� tra i due diritti � resa assolutamente 
palese dalle elementari considerazioni che, pur sussistendo il consenso consapevole, ben pu� 
configurarsi responsabilit� da lesione della salute se la prestazione terapeutica sia tuttavia inadeguatamente 
eseguita; e che la lesione del diritto all'autodeterminazione non necessariamente 
comporta la lesione della salute, come accade quando manchi il consenso ma l'intervento terapeutico 
sortisca un esito assolutamente positivo (� la fattispecie cui ha avuto riguardo Cass. 
pen., sez. un., n. 2437 del 2009, concludendo per l'inconfigurabilit� del delitto di violenza 
privata). 
Nel primo caso il consenso prestato dal paziente � irrilevante, poich� la lesione della salute si 
ricollega causalmente alla colposa condotta del medico nell'esecuzione della prestazione terapeutica, 
inesattamente adempiuta dopo la diagnosi. 
Nel secondo, la mancanza di consenso pu� assumere rilievo a fini risarcitori, bench� non sussista 
lesione della salute (cfr. Cass., nn. 2468/2009) o se la lesione della salute non sia causalmente 
collegabile alla lesione di quel diritto, quante volte siano configurabili conseguenze 
pregiudizievoli (di apprezzabile gravit�, se integranti un danno non patrimoniale) che siano 
derivate dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in se stesso considerato 
(cfr., con riguardo al caso di danno patrimoniale e non patrimoniale da omessa diagnosi 
di feto malformato e di conseguente pregiudizio della possibilit� per la madre di determinarsi 
a ricorrere all'interruzione volontaria della gravidanza, la recentissima Cass., n. 13 del 2010 
e le ulteriori sentenze ivi richiamate). 
Viene anzitutto in rilievo il caso in cui alla prestazione terapeutica conseguano pregiudizi che 
il paziente avrebbe alternativamente preferito sopportare nell'ambito di scelte che solo a lui � 
dato di compere. Non sarebbe utile a contrastare tale conclusione il riferimento alla prevalenza 
del bene "vita" o del bene "salute" rispetto ad altri possibili interessi, giacch� una valutazione 
comparativa degli interessi assume rilievo nell'ambito del diritto quando soggetti diversi siano 
titolari di interessi configgenti e sia dunque necessario, in funzione del raggiungimento del 
fine perseguito, stabilire quale debba prevalere e quale debba rispettivamente recedere o comunque 
rimanere privo di tutela; un "conflitto" regolabile ab externo �, invece, escluso in radice 
dalla titolarit� di pur contrastanti interessi in capo allo stesso soggetto, al quale soltanto, 
se capace, compete la scelta di quale tutelare e quale sacrificare. 
Cos�, a titolo meramente esemplificativo, non potrebbe a priori negarsi tutela risarcitoria a 
chi abbia consapevolmente rifiutato una trasfusione di sangue perch� in contrasto con la propria 
fede religiosa (al caso dei Testimoni di Geova si sono riferite, con soluzioni sostanzialmente 
opposte, Cass., nn. 23676/2008 e 4211/2007), quand'anche gli si sia salvata la vita 
praticandogliela, giacch� egli potrebbe aver preferito non vivere, piuttosto che vivere nello 
stato determinatosi; cos�, ancora, non potrebbe in assoluto escludersi la risarcibilit� del danno 
non patrimoniale da acuto o cronico dolore fisico (sul punto cfr. Cass., n. 23846/2008) nel 
caso in cui la scelta del medico di privilegiare la tutela dell'integrit� fisica del paziente o della 
sua stessa vita, ma a prezzo di sofferenze fisiche che il paziente avrebbe potuto scegliere di 
non sopportare, sia stata effettuata senza il suo consenso, da acquisire in esito alla rappresentazione 
pi� puntuale possibile del dolore prevedibile, col bilanciamento reso necessario dall'esigenza 
che esso s�a prospettato con modalit� idonee a non ingenerare un aprioristico rifiuto 
dell'atto terapeutico, chirurgico o farmacologico. E nello stesso ambito dovrebbe inquadrarsi
182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
il diritto al risarcimento per la lesione derivata da un atto terapeutico che abbia salvaguardato 
la salute in un campo a discapito di un secondario pregiudizio sotto altro pure apprezzabile 
aspetto, che non sia stato tuttavia adeguatamente prospettato in funzione di una scelta consapevole 
del paziente, che la avrebbe in ipotesi compiuta in senso difforme da quello privilegiato 
dal medico. 
Viene, in secondo luogo, in rilievo la considerazione del turbamento e della sofferenza che 
deriva al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate 
perch� non prospettate e, anche per questo, pi� difficilmente accettate. L'informazione 
cui il medico � tenuto in vista dell'espressione del consenso del paziente vale anche, ove il 
consenso sia prestato, a determinare nel paziente l'accettazione di quel che di non gradito pu� 
avvenire, in una sorta di condivisione della stessa speranza del medico che tutto vada bene; e 
che non si verifichi quanto di male potrebbe capitare, perch� inevitabile. Il paziente che sia 
stato messo in questa condizione - la quale integra un momento saliente della necessaria "alleanza 
terapeutica" col medico - accetta preventivamente l'esito sgradevole e, se questo si verifica, 
avr� anche una minore propensione ad incolpare il medico. 
Se tuttavia lo facesse, il medico non sarebbe tenuto a risarcirgli alcun danno sotto l'aspetto 
del difetto di informazione (salva la sua possibile responsabilit� per avere, per qualunque ragione, 
mal diagnosticato o mal suggerito o male operato; ma si tratterebbe - come si � gi� 
chiarito - di un aspetto del tutto diverso, implicante una "colpa" collegata all'esecuzione della 
prestazione successiva). 
Ma se il paziente non sia stato convenientemente informato, quella condizione di spirito � 
inevitabilmente destinata a realizzarsi, ingenerando manifestazioni di turbamento di intensit� 
ovviamente correlata alla gravit� delle conseguente verificatesi e non prospettate come possibili. 
Ed � appunto questo il danno non patrimoniale che, nella prevalenza dei casi, costituisce 
l'effetto del mancato rispetto dell'obbligo di informare il paziente. 
Condizione di risarcibilit� di tale tipo di danno non patrimoniale � che esso varchi la soglia 
della gravit� dell'offesa secondo i canoni delineati dalle sentenze delle Sezioni unite nn. da 
26972 a 26974 del 2008, con le quali s'� stabilito che il diritto deve essere inciso oltre un certo 
livello minimo di tollerabilit�, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di 
solidariet� e di tolleranza secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato 
momento storico. Non pare possibile offrire pi� specifiche indicazioni. 
Anche in caso di sola violazione del diritto all'autodeterminazione, pur senza correlativa lesione 
del diritto alla salute ricollegabile a quella violazione per essere stato l'intervento terapeutico 
necessario e correttamente eseguito, pu� dunque sussistere uno spazio risarcitorio; 
mentre la risarcibilit� del danno da lesione della salute che si verifichi per le non imprevedibili 
conseguenze dell'atto terapeutico necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, 
ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti 
pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, necessariamente presuppone 
l'accertamento che il paziente quel determinato intervento avrebbe rifiutato se fosse 
stato adeguatamente informato. 
3.3.- Il relativo onere probatorio, suscettibile di essere soddisfatto anche mediante presunzioni, 
grava sul paziente: (a) perch� la prova di nesso causale tra inadempimento e danno comunque 
compete alla parte che alleghi l'inadempimento altrui e pretenda per questo il risarcimento; 
(b) perch� il fatto positivo da provare � il rifiuto che sarebbe stato opposto dal paziente al medico; 
(c) perch� si tratta pur sempre di stabilire in quale senso si sarebbe orientata la scelta 
soggettiva del paziente, sicch� anche il criterio di distribuzione dell'onere probatorio in fun-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 183 
zione della "vicinanza" al fatto da provare induce alla medesima conclusione; (d) perch� il 
discostamento della scelta del paziente dalla valutazione di opportunit� del medico costituisce 
un'eventualit� che non corrisponde all'id quod plerumque accidit. 
3.4.- Se, nella specie, l'intervento sarebbe stato rifiutato dalla paziente ove il medico le avesse 
puntualmente rappresentato le sue possibili conseguenze � scrutinio che la corte d'appello ha 
del tutto omesso; e questo perch� � incorsa nell'illustrato errore di diritto laddove ha ritenuto 
che della lesione della salute il medico dovesse rispondere per il solo difetto di un consenso 
consapevolmente prestato (che � locuzione pi� propria di quella corrente, giacch� "informato" 
non � il consenso, ma deve esserlo il paziente che lo presta). 
Il motivo � conclusivamente fondato nella parte in cui � prospettata violazione di legge. Non 
anche nella parte in cui � denunciato vizio della motivazione, essendo stato l'apprezzamento 
di fatto sulle ipotetiche determinazioni della paziente precluso dalla assorbente (bench� erronea) 
soluzione in diritto adottata. 
4.- Col quarto motivo (erroneamente indicato anch'esso come terzo a pagina 19 del ricorso) 
� dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 185 c.p. e art. 1223 c.c., e segg., in relazione 
all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, nella parte in cui la corte d'appello ha liquidato, in aggiunta alle 
altre voci di danno (biologico da invalidit� temporanea e patrimoniale), anche "il danno morale, 
tenuto conto delle sofferenze patite a seguito dell'insorgenza della cheratite bollosa e del 
successivo intervento chirurgico". 
Si afferma, sotto un primo profilo, che il danno morale soggettivo pu� essere riconosciuto 
solo in presenza di una figura di reato, nella specie insussistente. E si sostiene, sotto altro profilo, 
che l'assenza di nesso causale tra violazione del dovere di informazione e cheratite bollosa 
insorta dopo l'intervento, cui erano collegate le sofferenze patite dalla paziente, avrebbe imposto 
la soluzione opposta per le medesime ragioni indicate nel terzo motivo di ricorso. 
4.1.- Il primo profilo di censura � infondato alla luce del principio secondo il quale la violazione 
di un diritto fondamentale della persona, qual � quello all'autodeterminazione in ordine 
alla tutela per via terapeutica della propria salute, comporta la risarcibilit� di ogni tipo di pregiudizio 
non patrimoniale che ne sia causalmente derivato (Cass., Sez. un., nn. 26972, 26973 
e 26974 del 2008, cui s'� allineata la giurisprudenza successiva). 
Il secondo profilo � invece fondato per le ragioni gi� esposte in sede di esame del terzo motivo 
di ricorso, avendo la corte liquidato il danno morale soggettivo in esclusiva correlazione al 
ravvisato pregiudizio della salute, considerato risarcibile per una ragione errata in diritto. 
... omissis... 
P.Q.M. 
LA CORTE DI CASSAZIONE 
riunisce i ricorsi, rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale, 
accoglie per quanto di ragione il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, 
cassa in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimit�, 
alla corte d'appello di Napoli in diversa composizione. 
Cos� deciso in Roma, il 12 gennaio 2010.
184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 4 gennaio 2010 n. 13 - Pres. Morelli, Rel. Filadoro, 
P.M. Apice. 
(Omissis) 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 
Con sentenza 28 ottobre 2004 - 25 gennaio 2005 la Corte di Appello di Perugia, accoglieva 
in parte l'appello proposto da U.L.U. e A.R. avverso la decisione del Tribunale di Spoleto del 
25 settembre 1997, condannando la ASL n.(omissis) al pagamento della somma di Euro 
400.000,00 ciascuno con interessi legali, a titolo di risarcimento dei danni dagli stessi subiti 
in dipendenza della tardiva diagnosi di una malformazione fetale della propria figlia S., nata 
con agenesia totale di un arto inferiore e focomelia dell'altro. 
In pratica i coniugi avevano rivendicato il loro diritto ad una procreazione cosciente e responsabile. 
Secondo gli stessi la L. n. 194 del 1978, art. 4, che riconosce alla madre la facolt� di 
ricorrere alla interruzione volontaria della gravidanza entro 90 giorni nel caso di anomalie o 
malformazione del concepito, attribuirebbe ai genitori un legittimo diritto di scelta "circa il 
diventare madre di un minore con problemi fisici, oppure rinunciare per motivi di ordine personale". 
La domanda proposta dai coniugi U.L. e A. nei confronti del medico ginecologo, prof. Ar., il 
radiologo Dott. Z. e la ASL n.(omissis) era stata rigettata dal Tribunale. 
I giudici di appello hanno ricostruito nel modo seguente i fatti di causa, sulla base delle testimonianze 
rese, della consulenza tecnica di ufficio disposta in grado di appello e della documentazione 
versata nel giudizio di primo grado: 
- la A. era stata ricoverata all'ottava settimana di gravidanza dal'(omissis) presso l'Ospedale 
civile di (omissis), nel reparto diretto dal prof. Ar.; 
- in quella occasione, la patologia dalla quale era affetto il feto non era in alcun modo riscontrabile 
attraverso l'indagine ecografica eseguita (secondo quanto accertato dal c.t.u.): 
- il prof. Ar. aveva visitato la A. nei primi giorni dell'(omissis) e le aveva prescritto una ecografia 
da eseguire nel pi� breve tempo possibile; 
- l'esame ecografico era stato fissato dalla struttura ospedaliera al (omissis); 
- eseguita l'ecografia, la stessa non aveva rivelato la patologia da cui il feto era affetto; 
- la diagnosi di malformazione era stata effettuata a seguito della successiva ecografia, effettuata 
il (omissis); 
- il (omissis) era nata la bambina, affetta da agenesia all'arto inferiore destro e focomelia all'arto 
inferiore sinistro. 
La Corte territoriale ha escluso qualsiasi responsabilit� del prof. Ar.. 
Questi, infatti, aveva prescritto l'ecografia con ragionevole anticipo e se la stessa fosse stata 
eseguita tra la ventesima e la ventiduesima settimana (come previsto dall'apposito protocollo) 
e con adeguata perizia, non si sarebbe verificato alcun errore diagnostico. 
I giudici di appello hanno, parimenti, escluso una responsabilit� del medico radiologo, osservando 
che lo stesso era assente nel giorno in cui era stato effettuato l'esame ecografico. 
Tanto premesso, riformando sul punto la decisione di primo grado, i giudici di appello hanno 
rilevato che la responsabilit� della tardiva diagnosi della malformazione doveva essere attribuita 
alla ASL di (omissis), da cui dipendeva l'ospedale presso il quale era stata eseguita l'ecografia 
del (omissis). 
La Corte territoriale ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte, per a quale la relazione 
che si instaura tra la struttura sanitaria ed il paziente da luogo ad un rapporto di tipo contrat-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 185 
tuale, quand'anche fondato sul solo contatto sociale, sicch� in base alla regola prevista dall'art. 
1218 c.c., il paziente ha l'onere di allegare la inesattezza dell'inadempimento e non, invece, 
la colpa n� tanto meno la sua gravit� - da parte della struttura sanitaria, mentre spetta alla controparte 
la dimostrazione della non imputabilit� dell'inadempimento. 
Il punto fermo dal quale occorreva partire, dunque, era che la ASL risponde della prestazione 
fornita a titolo di inadempimento contrattuale. 
La coppia U.L.- A. era rimasta vittima di un duplice inadempimento: una disfunzione organizzativo 
- strutturale senz'altro comune, ma non per questo tollerabile, ed un errore professionale 
colossale. 
Sotto il primo aspetto, occorreva rilevare che la ecografia richiesta dal ginecologo avrebbe 
dovuto effettuata, nell'osservanza dei parametri comunemente accettati, indicati anche nella 
consulenza tecnica, dalla ventesima alla ventiduesima settimana, mentre era stata effettuata - 
anche se richiesta tempestivamente in data (omissis), come risultava dalla documentazione 
in atti - solo il (omissis) ossia intorno alla ventottesima settimana, dunque con un ritardo di 
circa due mesi sul dovuto. 
Inoltre la ecografia del gennaio 1990 era stata male interpretata. 
Non poteva dubitarsi - ha proseguito la Corte dell'errore professionale consistito nel non aver 
diagnosticato la gravissima patologia dalla quale il feto era affetto. Infatti, il consulente tecnico 
di ufficio aveva chiaramente affermato che la patologia dalla quale alla nascita era affetta la 
figlia degli originari attori era certamente evidenziatale ecograficamente anche con gli apparecchi 
di cui si disponeva a la fine degli anni (omissis) attraverso una ecografia morfologica 
eseguita tra la ventesima e le ventiduesima settimana. "Operando con una normale diligenza 
ed utilizzando la strumentazione dell'epoca, un ecografista non gi� eccellente, ma neppure 
completamente negligente, un medio ecografista, insomma, avrebbe dovuto saper vedere". 
Una volta fallita la tempestiva diagnosi, la donna aveva perso la possibilit� di seguire la strada 
della interruzione volontaria della gravidanza. 
I giudici di appello osservavano che gli attori non potevano fornire la prova che avrebbero 
fatto effettivamente questa ultima scelta. 
Il momento era oramai trascorso e nessuno poteva dunque dire se i coniugi avrebbero scelto 
la soluzione della interruzione della gravidanza. 
A nulla rilevava, poi, che la diagnosi corretta di malformazione fetale fosse stata fatta il (omissis), 
a quel punto si era oramai all'ingresso del nono mese di gravidanza ed era difficile negare 
che il feto avesse possibilit� di vita autonoma, preclusiva della interruzione volontaria di gravidanza. 
Tanto premesso, la Corte territoriale procedeva alla liquidazione dei danni nella misura di L. 
400.000 mensili fino all'et� di trenta anni, a titolo di danno patrimoniale, per le spese occorrenti 
per il mantenimento della bambina fino al momento del raggiungimento della autonomia economia 
da parte sua. Procedeva poi alla liquidazione del danno morale soggettivo che liquidava 
per ciascun coniuge in Euro 30.000,00. 
Quanto al danno esistenziale, la stessa Corte riconosceva la somma di Euro 200.000,00 per 
ciascun coniuge, liquidata alla attualit�. Infine, a titolo di lucro cessante, in via equitativa i 
giudici di appello riconoscevano l'ulteriore importo di 100.000,00 (per un totale di 400.000,00 
per ciascuno dei coniugi). 
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la Gestione liquidatoria della Asl 
N.(omissis), con cinque motivi di ricorso. 
Resistono con controricorso U.L.U. e A.R., proponendo a loro volta ricorso incidentale, cui
186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
resistono Ar.Lu. e Ar.An. con controricorso. Altro ricorso � stato proposto dalla Azienda Unit� 
sanitaria locale n. (omissis) (n. 1277 del 2006), cui resistono con controricorso e ricorso incidentale 
i coniugi L.U. - A. e la Gestione liquidatoria unit� sanitaria locale di (omissis) in 
persona del Commissario liquidatore. 
La Azienda Unitaria sanitaria locale n.(omissis) e la Gestione liquidatoria Unit� sanitaria 
locale di (omissis) hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. 
MOTIVI DELLA DECISIONE 
...omissis... 
3.2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1218 
c.c., insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 
360 c.p.c., nn. 3 e 5). 
I giudici di appello avevano ritenuto che l'inadempimento imputabile all'Ospedale di (omissis) 
fosse consistito non solo nella mancata diagnosi di malformazioni fetali al momento della 
esecuzione dell'ecografia del (omissis), ma anche nella ritardata effettuazione di tale esame. 
Si tratterebbe, secondo la Gestione ricorrente, di un rimprovero del tutto ingiustificato, in 
quanto basato su una ricostruzione dei fatti chiaramente contraddetta da tutte le risultanze 
istruttorie, acquisite al processo. Nessun inadempimento o ritardo nell'adempimento era imputabile 
all'Ospedale di (omissis) e dunque alla USL, in conseguenza del ritardo nella effettuazione 
della (seconda) ecografia del (omissis). 
Infatti, ricorda la ricorrente, sin all'atto introduttivo del giudizio di secondo grado, gli appellanti 
avevano dichiarato che non vi era "prescrizione con carattere di urgenza dell'esame ecografico 
del (omissis)" ed avevano imputato la responsabilit� di tale omissione al prof. Ar., in 
tal modo escludendo qualsiasi ritardo nella esecuzione della ecograf�a, imputabile alla ASL. 
Il motivo, cos� articolato, non � per� pertinente, perch� non coglie, sul punto, la ratio assorbente 
del decisum. A tenore della quale costituiva circostanza del tutto irrilevante che la richiesta 
di ecografia avanzata dal consultorio di Bastardo contenesse - o meno - la indicazione 
della urgenza dell'esame. 
I giudici di appello hanno sottolineato che esistendo un normale protocollo, alla stregua del 
quale la ed, ecografia "morfologica" doveva essere effettuata dalla ventesima alla ventiduesima 
settimana (secondo quanto chiarito dal c.t.u.) essa avrebbe dovuto essere disposta entro 
quell'arco temporale non gi� per la allegazione di specifiche ragioni di urgenza, ma per le caratteristiche 
proprie dell'esame da compiere. 
In ordine a tale punto della decisione non � stata sollevata alcuna censura da parte della ricorrente. 
E, sotto altro profilo, la Corte territoriale ha, del resto, precisato che la ASL non aveva 
affatto dimostrato - come pure sarebbe stato suo preciso onere - di non aver potuto effettuare 
in precedenza l'esame ecografico richiesto per la indisponibilit� di mezzi. 
3.3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 
1218, 2043 e 2697 c.c., L. 22 maggio 1978, n. 194, artt. 6 e 7, nonch� insufficiente o contraddittoria 
motivazione su fatti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). 
Al momento della ecografia del (omissis), la A. era ben oltre il 90^ giorno e dunque la scelta 
abortiva non poteva considerarsi affidata alla libera autodeterminazione della donna, ma al 
preventivo accertamento di specifiche e rigorose condizioni (la interruzione della gravidanza 
pu� essere praticata solo: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per 
la vita della donna, ovvero, b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi 
a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 187 
salute fisica o psichica della donna). Quando sussiste la possibilit� di vita autonoma del feto, 
la interruzione della gravidanza pu� essere praticata solo nel caso di cui all'art. 6, lett. a), e il 
medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del 
feto. 
La sentenza della Corte perugina si basava su alcune considerazioni del tutto astratte e disancorate 
dal caso concreto, finendo dunque per introdurre un inammissibile automatismo tra la 
presenza delle malformazioni e il danno grave alla salute. 
Nel caso di specie, rileva ancora la ricorrente, alla A. non era stato riscontrato alcun processo 
patologico in grado di determinare grave pericolo per la sua salute, n� al momento in cui la 
stessa venne a conoscenza delle malformazioni della figlia ((OMISSIS)) n� successivamente 
al parto, tanto che la stessa Corte territoriale non aveva riconosciuto alla stessa l'esistenza di 
un danno biologico. 
Da censurare era, infine, il ragionamento attraverso il quale i giudici di appello erano giunti 
alla conclusione che in ogni caso il feto, ne caso di specie, non avesse possibilit� di vita autonoma. 
Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, al momento della esecuzione 
della ecografia del (omissis), l' A. era oramai al settimo mese di gravidanza, con la conseguenza 
che il feto aveva raggiunto quel grado di maturit� che gli avrebbe consentito di mantenersi 
in vita e di completare il suo processo di formazione anche fuori del grembo materno. 
Anche questo motivo, per�, � privo di fondamento. 
La L. n. 194 del 1978, dispone che dopo i primi novanta giorni l'interruzione volontaria della 
gravidanza pu� essere praticata: 
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna (art. 
6 lett. a) - in questo caso e solo in questo l'interruzione pu� essere praticata anche se sussiste 
la possibilit� di vita autonoma del feto, ma allora il medico che esegue l'intervento deve adottare 
ogni misura idonea a salvaguardarla (art. 7, comma 3); 
b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni 
del feto, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della 
donna - ma, come si � visto, qui l'interruzione non pu� essere praticata, se per il feto sussiste 
la possibilit� di vita autonoma. 
Il giudice di primo grado, dopo aver considerato che durante la gravidanza non s'era mai presentato 
per la gestante alcun pericolo, ha anche escluso che la nascita del figlio malformato 
avesse determinato nella madre l'insorgere di gravi processi patologici capaci di metterne in 
pericolo la vita. Il Tribunale ha rilevato che "il disporre oggi ... una consulenza tecnica diretta 
ad accertare se vi sia stato un pregiudizi o del tipo detto e se questo potesse essere in tutto o 
in parte evitato con una informazione trasmessa circa tre mesi prima dal parto (anzich� uno 
soltanto) significherebbe fare opera soltanto esplorativa con scarsissime possibilit� di apprezzabile 
successo". 
La Corte d'appello ha ritenuto di non poter seguire le considerazioni svolte dal giudice di 
primo grado ed ha osservato come la legge stessa (art. 6 cit.) preveda che "rilevanti anomalie 
o malformazioni del nascituro" possano gravemente influire sulla salute psichica della donna 
ed ha concluso che nella specie doveva indubbiamente riconoscersi - con un giudizio da formularsi 
nella prospettiva di prognosi postuma - altamente probabile che la conoscenza della 
gravissima patologia dalla quale il feto era affetto, nel periodo ricompreso tra la ventesima e 
la ventiduesima settimana, o tutt'al pi�, alla data del (omissis), avrebbe determinato il pericolo 
di una reazione depressiva e, dunque, avrebbe posto a repentaglio la salute psichica della
188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
donna. E che la stessa avrebbe ottenuto il consenso medico alla interruzione della gravidanza, 
qualora fosse stata correttamente informata dal professionista sulle malformazioni del feto. 
Siccome il grave pericolo per la salute, non per la vita della donna, pu� interessare anche solo 
la sua salute psichica e siccome questo pericolo pu� derivare da un processo patologico innescato 
dal fatto di sapere che il figlio da lei concepito presenta, e perci� nascerebbe, con rilevanti 
anomalie o malformazioni, inerisce alla situazione descritta che la donna conosca tale 
condizione del nascituro. 
Per cui - come del resto questa Corte ha gi� avvertito nella sentenza 1 dicembre 1998 n. 12195 
e 10 maggio 2002 n. 6735 - quante volte si tratta di stabilire non se la donna possa esercitare 
il suo diritto di interrompere la gravidanza, ma cosa la stessa avrebbe deciso ove fosse stata 
convenientemente informata sulle condizioni del nascituro, non si deve gi� accertare se in lei 
si sia instaurato un processo patologico capace di evolvere in grave pericolo per la sua salute 
psichica, ma se la dovuta informazione sulle condizioni del feto avrebbe potuto determinare 
durante la gravidanza l'insorgere di un tale processo patologico. 
In tal modo i giudici di appello hanno tenuto conto di quanto affermato in casi analoghi dalla 
giurisprudenza di questa Corte: 
"L'omessa rilevazione, da parte del medico specialista, della presenza di gravi malformazioni 
nel feto, e la correlativa mancata comunicazione di tale dato alla gestante, deve ritenersi circostanza 
idonea a porsi in rapporto di causalit� con il mancato esercizio, da parte della donna, 
della facolt� di interrompere la gravidanza, in quanto deve ritenersi rispondente ad un criterio 
di regolarit� causale che la donna, ove adeguatamente � tempestivamente informata della presenza 
di una malformazione atta ad incidere sulla estrinsecazione della personalit� del nascituro, 
preferisca non portare a termine la gravidanza" (Cass. 21 giugno 2004 n. 11488). 
La ricorrente censura questa parte della decisione, rilevando che al momento della seconda 
ecografia del (omissis), in ogni caso, il feto aveva gi� vita autonoma e dunque la A. non 
avrebbe in ogni caso potuto interrompere la gravidanza. 
Entrambe queste argomentazioni sono state confutate dalla Corte territoriale. 
Con accertamento che sfugge a qualsias� censura, i giudici di appello hanno negato - sulla 
base del quadro probatorio disponibile nel giudizio - che anche alla data del (omissis) (ma la 
ecografia avrebbe dovuto essere eseguita tra la ventesima e la ventiduesima settimana) il feto 
avesse possibilit� di vita autonoma. 
In tal modo, i giudici di appello hanno dimostrato di conoscere e condividere l'insegnamento 
di questa Corte, secondo il quale: 
"Per possibilit� di vita autonoma del feto si intende quel grado di maturit� del feto che gli 
consentirebbe, una volta estratto dal grembo della madre, di mantenersi in vita e di completare 
il suo processo di formazione anche fuori dall'ambiente materno. 
Pertanto, in una causa in cui si discute se la donna sia stata impedita ad interrompere la gravidanza 
da un inadempimento del medico ad una sua obbligazione professionale, l'eventuale 
interrogativo concernente la possibilit� di vita autonoma del feto va risolto avendo riguardo 
al grado di maturit� raggiunto dal feto nel momento in cui il medico ha mancato di tenere il 
comportamento che da lui ci si doveva attendere" (Cass. 10 maggio 2002 n. 6735). 
La valutazione espressa dalla Corte territoriale sfugge, dunque, a qualsiasi censura. 
3.4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2 
Cost., della L. n. 194 del 1978, artt. 1, 6 e 7, e degli artt. 1218, 1223, 1226 e 2043 c.c. (art. 
360 c.p.c., n. 3). 
Il bene della vita rappresenta il valore primari o e centrale in ogni sistema giuridico democra-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 189 
tico. 
Una volta avvenuto il concepimento, la sorte del feto non rientra nella disponibilit� dei genitori, 
n� in quella della sola madre, e non viene lasciata alla loro libera determinazione. 
Solo nella ipotesi in cui l'interesse costituzionalmente protetto del nascituro sia suscettibile 
di confliggere con quello, avente parimenti rilevanza costituzionale, della madre alla tutela 
della propria salute, viene riconosciuta a quest' ultima - e non anche al padre - la facolt� di 
scegliere quale dei due interessi sacrificare. 
Doveva conseguentemente escludersi qualsiasi danno del padre o di altri congiunta, la cui 
esistenza dovrebbe, comunque, essere rigorosamente provata. 
Gli unici danni che la madre pu� lamentare sono quelli alla sua salute. 
Poich� nel caso di specie i giudici di appello avevano escluso qualsiasi patologia a carico 
della A., e non sussisteva quindi alcun danno biologico, non vi era spazio per la liquidazione 
di altre tipologie di danno. 
Anche questo motivo � privo di fondamento. 
In ordine alla possibilit� di far ricorso alla interruzione volontaria di gravi danza, nei casi indicati 
dalla legge, si � gi� detto in precedenza. Come sul fatto che secondo la Corte territoriale 
"certo la A. avrebbe ottenuto il consenso medico all'interruzione della gravidanza se fosse 
stata correttamente informata dal professionista sulle malformazioni, del feto". 
I giudici di appello hanno escluso il danno biologico, ritenendo tuttavia - con una valutazione 
congrua che sfugge a qualunque censura - che entrambi i coniugi avessero subito un danno in 
conseguenza della mancata interruzione volontaria della gravidanza. 
Interrogandosi, poi, in ordine al tipo di danno determinato dalla lesione del diritto alla autodeterminazione 
della donna, con la conseguente nascita indesiderata, (definibile come danno 
esistenziale o in qualsiasi altro modo) i giudici di appello hanno osservato (cfr. punto 8.2.3.): 
"La nascita indesiderata, invero, determina una radicale trasformazione delle prospettive di 
vita dei genitori, i quali si trovavano esposti a dover misurare (non i propri specifici "valori 
costituzionalmente protetti", ma) la propria vita quotidiana, l'esistenza concreta, con le prevalenti 
esigenze della figlia, con tutti gli ovvi sacrifici che ne conseguono: le conseguenze 
della lesione del diritto di autodeterminazione nella scelta procreativa, allora finiscono per 
consistere proprio nei "rovesciamenti forzati dell'agenda" di cui parte della dottrina discorre 
nel prospettare la definizione del danno esistenziale". 
"Insomma, ha concluso la Corte territoriale, la fattispecie in esame sembra costituire un caso 
paradigmatico di lesione di un interesse che non determina un prevalente danno morale o biologico, 
peraltro sempre possibile, ma impone al danneggiato di condurre giorno per giorno, 
nelle occasioni pi� minute come in quelle pi� importanti, una vita diversa e peggiore (quanto 
si voglia nobilitata dalla dedizione al congiunto svantaggiato, ma peggiore, tanto che nessuno 
si augurerebbe di avere un figlio senza gambe piuttosto che con) di quella che avrebbe altrimenti 
condotto". 
I giudici di appello, in tal modo, hanno correttamente applicato i principi formulati da questa 
Corte, secondo i quali, in casi del genere, il danno risarcibile non pu� essere limitato solo al 
danno alla salute in senso stretto della gestante (in questo senso, invece, Cass. 8.7.1994, n. 
6464). 
Lo stato patologico ed il pericolo grave per la salute rilevano, infatti, solo ai fini del perfezionamento 
della fattispecie per l'esercizio del diritto di interruzione della gravidanza, ma una 
volta che esso si � perfezionato, non operano come limitazione della responsabilit� del sanitario 
inadempiente.
190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
In altri termini detto pericolo di danno grave alla salute, che si inserisce su un processo patologico, 
delimita il diritto di aborto, non la responsabilit� contrattuale della struttura sanitaria. 
Poich� si versa in tema di inadempimento contrattuale, il danno, al cui risarcimento il debitore 
inadempiente � tenuto ex art. 1218 c.c., deve essere valutato secondo i criteri generali di cui 
agli artt. 1223, 1225 e 1227 c.c.. 
Se danno � il pregiudizio subito dal creditore, allora � questo pregiudizio che occorre risarcire, 
secondo i principi della regolarit� causale (art. 1223 c.c.). 
In questo danno rientra non solo il danno alla salute in senso stretto ma anche il danno economico, 
che sia conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento del sanitario, in termini 
di causalit� adeguata (Cass. n. 12195/1998). 
Quanto all'analogo diritto del padre, i giudici di appello hanno condiviso l'indirizzo giurisprudenziale 
di questa Corte che ammette anche il padre del bambino malformato, tra i soggetti 
protetti dal contratto, con la conseguenza che la struttura sanitaria in caso di suo inadempimento 
� tenuta a risarcire i danni immediati e diretti subiti anche dal padre. 
"Qualora l'imperizia del medico impedisca alla donna di esercitare il proprio diritto all'aborto, 
e ci� determini un danno alla salute della madre, � ipotizzatane che da tale danno derivi un 
danno alla salute anche del marito" (Cass. 29 luglio 2004 n. 14488, 10 maggio 2002 n. 6735, 
11 maggio 2009 n. 10741).Sicuramente il padre non ha titolo per intervenire sulla decisione 
di interrompere la gravidanza, ai sensi della L. del 1978, ma diversa questione � quella relativa 
al danno che il padre del nascituro potrebbe subire, perch� altri hanno impedito alla stessa di 
esercitare il diritto di interruzione della gravidanza, che essa (e solo essa) legittimamente poteva 
esercitare. 
In questo caso non si fa questione di un diritto del padre del nascituro ad interrompere la gravidanza 
della gestante, che certamente non esiste, ma solo se la mancata interruzione della 
gravidanza, determinata dall'inadempimento colpevole del sanitario, possa essere a sua volta 
causa di danno per il padre del nascituro. 
La risposta al quesito �, come si � detto, positiva, e, poich� si tratta di contratto di prestazione 
di opera professionale con effetti protettivi anche nei confronti del padre del concepito, che, 
per effetto dell'attivit� professionale dell'ostetrico - ginecologo diventa o non diventa padre 
(o diventa padre di un bambino anormale) il danno provocato da inadempimento del sanitario, 
costituisce una conseguenza immediata e diretta anche nei suoi confronti e, come tale � risarcibile 
a norma dell'art. 1223 c.c.. 
3.5. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 
1218, 1223, 1226, 2043 e 2059 c.c., nullit� della sentenza e del procedimento, violazione dell'art. 
112 c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione. 
La liquidazione operata dai giudici di appello, in via equitativa, doveva considerarsi in ogni 
caso sproporzionata ed eccessiva. 
I giudici di appello avevano liquidato, a titolo di danno emergente, gli oneri economici che i 
genitori avrebbero dovuto sostenere per il mantenimento della figlia fino al raggiungimento 
della piena indipendenza economica, pur in mancanza di qualsiasi prova e di una specifica 
domanda da parte degli attori. 
Erroneamente la Corte aveva ritenuto che vi fosse nesso causale tra il comportamento dell'Ospedale 
di (omissis) e il danno subito dai genitori a titolo di danno morale, a causa della 
mancata diagnosi delle malformazioni fetali. Il danno esistenziale (e comunque quello liquidato 
dai giudici di appello) viene generalmente riconosciuto nei casi di perdita delle relazioni 
affettive.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 191 
Nel caso di specie, invece, la nascita della figlia, pur incidendo sui tempi ed i ritmi della vita 
familiare, aveva soprattutto arricchito innegabilmente la famiglia di relazioni umane non meno 
dignitose e significative di quelle apportate dalla nascita di un figlio sano. 
Anche quest'ultimo motivo del ricorso principale � destituito di fondamento, poich� attraverso 
la denuncia di violazione di norme di legge e di vizi della motivazione, la ricorrente finisce 
per sollecitare una diversa valutazione dei danni, inammissibile in questa sede. 
Con motivazione congrua, i giudici di appello hanno - innanzi tutto - rilevato che i coniugi 
U.L. e A. avevano chiesto il riconoscimento dei danni "tutti" derivati dall'inadempimento contrattuale. 
Deve dunque escludersi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto 
e pronunciato. 
Hanno precisato, poi, che il danno patrimoniale doveva tener conto, non solo del "differenziale" 
tra la spesa necessaria per il mantenimento di un figlio "sano" e la spesa per il mantenimento 
di un figlio affetto dal deficit di cui si � detto, sottolineando che una volta stabilito 
che la A. avrebbe optato per la interruzione volontaria di gravidanza, "l'inadempimento posto 
in essere dalla ASL ha fatto si che la coppia debba sopportare per intero un costo economico 
che altrimenti non avrebbe avuto". Con una valutazione, necessariamente equitativa, la Corte 
territoriale ha provveduto cos� a liquidare il danno patrimoniale ed ha individuato il momento 
del raggiungimento della indipendenza economica alla et� di trenta anni. 
Hanno quindi liquidato il danno non patrimoniale in favore di entrambi i genitori, sottolineando 
che nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione 
- che, all'art. 2, riconosce � garantisce i diritti inviolabili dell'uomo -, il danno non 
patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia 
leso un valore inerente alla persona, non esaurendosi esso nel danno morale soggettivo. 
La Corte territoriale ha aggiunto che la fattispecie costituiva un caso paradigmatico di lesione 
di un diritto della persona, di rilievo costituzionale, che indipendentemente da un danno morale 
o biologico, peraltro sempre possibile, impone comunque al danneggiato di condurre giorno 
per giorno, nelle occasioni pi� minute come in quelle pi� importanti, una vita diversa e peggiore, 
di quella che avrebbe altrimenti condotto. Sulle base di tali premesse, la Corte territoriale 
ha proceduto alla liquidazione del danno non patrimoniale in senso lato (cfr. Cass. S.U. 
n. 26972 dell'11 novembre 2008, che espressamente - p. 42 - riconosce la lesione del diritto 
inviolabile della gestante che non sia stata posta in condizione, per errore diagnostico, di decidere 
se interrompere la gravidanza, con conseguente diritto al risarcimento di tutti i danni). 
Utilizzando come parametro di riferimento, quello di calcolo del danno biologico, i giudici 
di appello hanno liquidato in via equitativa la somma di Euro 200.000,00 alla attualit� in favore 
di ciascuno dei coniugi. Data la particolarit� del caso la liquidazione non poteva che essere 
effettuata in via equitativa, tenendo conto di tutte le circostanze. 
Ed anche al riguardo di tal danno, le censure formulate dalla ricorrente sono del tutto apodittiche, 
poich� non tengono conto delle argomentazioni svolte dalla Corte territoriale. Tra l'altro, 
la ricorrente si limita a dedurre la eccessivit� del risarcimento liquidato, senza neppure indicare 
la misura congrua nella quale - a suo avviso - lo stesso avrebbe dovuto essere riconosciuto. 
Pertanto, il vizio di insufficiente motivazione della sentenza di appello in ordine alla valutazione 
equitativa del danno - che si assume erroneamente effettuata - va escluso, anche in considerazione 
dell'insopprimibile carattere approssimativo di tale forma di liquidazione, in difetto 
di precise indicazioni, da parte della ricorrente, in ordine alla somma che a suo avviso sarebbe 
stata congrua, e conforme alle sue aspettative (neppure chiarite in sede di ricorso per cassazione).

192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
4. Con l'unico motivo, i ricorrenti incidentali U.L.U. e A.R. denunciano la violazione e falsa 
applicazione di norme di diritto (artt. 1218, 1223, 2236 e 2697 c.c., nonch� art. 115 c.p.c.) in 
relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un 
punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, censurando la decisione 
della Corte di appello nella parte in cui la stessa ha escluso la responsabilit� professionale del 
prof. Ar.. 
Tra la A. e il prof. Ar. - sostengono i ricorrenti incidentali - era intercorso un vero e proprio 
rapporto professionale privato, come era risultato dalle testimonianze raccolte. 
L'omesso esame di tale circostanza aveva consentito di escludere una diretta responsabilit� 
del ginecologo nel ritardo della esecuzione dell'ecografia e nell'errore della interpretazione 
dell'esame eseguito. 
La gravidanza della A. non poteva certo ritenersi "normale" sin dall'inizio, considerato che 
ella aveva subito un ricovero per minaccia di aborto sin dopo il primo mese di gestazione. 
Il comportamento del prof. Ar. non poteva, dunque, definirsi in alcun modo adeguato, in relazione 
alla sua preparazione specifica ed alle condizioni della paziente. 
Proprio in considerazione delle particolari condizioni di salute della paziente (che aveva avuto 
una minaccia di aborto con ricovero ospedaliero al primo mese di gravidanza) i ricorrenti incidentali 
osservano che il prof. Ar. avrebbe dovuto programmare lui stesso l'iter delle visite e 
stabilire un preciso calendario degli accertamenti indipendentemente dal contegno della paziente. 
Tutte le censure cosi� proposte con il ricorso incidentale sono infondate. 
Si richiama quanto gia� rilevato in ordine all'accertamento compiuto dai giudici di appello in 
ordine ad una responsabilita� diretta del prof. Ar. 
La Corte territoriale, sulla base delle testimonianze raccolte, ha rilevato che il prof. Ar. aveva 
visitato la A., una sola volta, dopo il ricovero dell'(omissis), e precisamente ai primi dell'(omissis). 
Ora, il prof. Ar. non aveva fatto altro che prescrivere, con ragionevole anticipo - la ecografia 
"morfologica" che secondo il normale protocollo - del quale aveva parlato anche il consulente 
tecnico di ufficio - doveva essere effettuata tra la ventesima e la ventiduesima settimana 
(quindi entro la prima decade di (omissis). 
Non vi era dubbio che se la ecografia fosse stata effettuata al momento giusto ed interpretata 
con adeguata perizia non vi sarebbe stato alcun ritardo o errore diagnostico. 
Nessuna responsabilit� poteva dunque configurarsi a carico del prof. Ar.. 
A fronte di tale, motivata, conclusione si infrangono tutte le censure dei ricorrenti incidentali, 
che si risolvono in una sostanziale istanza del riesame, inammissibile copie tale, in questa 
sede di legittimit�. 5. Conclusivamente i ricorsi nn. 26538 del 2005 e 31185 del 2005 devono 
essere rigettati, e dichiarato inammissibile il ricorso n. 1277 del 2006 proposto dalla Azienda 
Unit� sanitaria locale n.(omissis). 
6. L'esito della lite giustifica la compensazione delle spese tra tutte le parti. 
7. Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, ricorrendone le condizioni, deve disporsi che, 
a cura della Cancelleria, sia apposta sull'originale della sentenza, una annotazione volta a precludere 
in caso di riproduzione in qualsiasi forma, la indicazione delle generalit� e dei dati 
identificativi degli interessali, riportati nella decisione, e di tutti i dati dai quali possa desumersi 
anche indirettamente la identit� di U.L.S. (secondo le modalit� indicate nel Protocollo operativo 
11 novembre 2009, della Commissione per il trattamento dei dati attinenti alla Corte di 
Cassazione, relativo alla attuazione del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, artt. 51 e 52).
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 193 
P.Q.M. 
La Corte riunisce i ricorsi. 
Dichiara inammissibile il ricorso della Azienda Unit� sanitaria locale n. (OMISSIS) n. 1277 
del 2006. Rigetta i ricorsi 26538 del 2005 e 31185 del 2005. 
Compensa le spese del giudizio tra tutte le parti. 
Visto il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, dispone che sull'originale della sentenza sia 
apposta, a cura della Cancelleria, una annotazione volta a precludere in caso di svia riproduzione 
in qualsiasi forma, per finalit� di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti 
elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l'indicazione delle generalit� e di altri 
dati identificativi degli interessati, riportati sulla sentenza, nonch� di tutti i dati dai quali possa 
desumersi - anche indirettamente - la identit� della signora U.L.S.. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 novembre 2009. 
Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 30 gennaio 2009 n. 2468 - Pres. Di Nanni, 
Rel. Lanzillo, P.M. Fuzio. 
(Omissis) 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 
Con atto di citazione notificato il 30 settembre 1997 V.A. ha convenuto davanti al Tribunale 
di Perugia il prof. C.L. e l'Azienda SSL n. (omissis), chiedendo il risarcimento dei danni nella 
misura di L. 1 miliardo perch� - essendo stato ricoverato il (omissis) presso l'(omissis) per un 
forte attacco febbrile con diagnosi di leucopenia - era stato sottoposto al test anti - HIV, senza 
che gli fosse stato richiesto il consenso. Il test, eseguito senza rispettare l'anonimato, aveva 
dato esito positivo e la cartella clinica - recante anche la registrazione di dati sensibili non rilevanti, 
fra cui la sua omosessualit� - era stata custodita senza alcuna riservatezza, si che le 
notizie relative alla sua salute si erano diffuse all'interno e all'esterno dell'Ospedale, con suo 
grave pregiudizio personale e patrimoniale, considerato che, di conseguenza, egli aveva anche 
dovuto chiudere la sua attivit� commerciale. I convenuti hanno resistito alla domanda, affermando 
di avere agito nell'esclusivo interesse del paziente, al fine di giungere al pi� presto 
alla diagnosi per intraprendere la terapia necessaria; che l'esecuzione del test senza il preventivo 
consenso del paziente si era resa necessaria; tanto che, se egli non avesse acconsentito, 
gli si sarebbe dovuto rifiutare il ricovero o si sarebbe dovuta chiedere alle competenti autorit� 
l'autorizzazione al trattamento sanitario obbligatorio. Hanno affermato che l'anonimato � richiesto 
solo nei casi di indagini epidemiologiche; che la cartella clinica era stata conservata 
in sala infermieri e che era nota al solo personale medico e infermieristico. 
Il Tribunale di Perugia ha respinto la domanda e la Corte di appello di Perugia - con sentenza 
26 febbraio/11 maggio 2004 n. 109 - ha respinto l'appello del V.. 
Con atto notificato il 15.9.2004 il V. propone ricorso per cassazione contro la sentenza notificatagli 
il 4.6.2004 - per tre motivi. Resistono con unico controricorso la Azienda SSL Umbria 
e gli eredi del prof. C.L., deceduto nelle more del processo. 
MOTIVI DELLA DECISIONE 
1.- Con il primo motivo, deducendo l'erronea applicazione della L. 5 giugno 1990, n. 135,
194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
art. 5, comma 3, in relazione all'art. 32 Cost., e art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente lamenta che 
la Corte di appello abbia ritenuto legittimo il comportamento del medico e dei sanitari dell'Azienda 
convenuta esclusivamente in base al rilievo che la sintomatologia da lui presentata 
induceva il sospetto che fosse affetto da Aids, e che rispondeva ed esigenze di necessit� clinica, 
nel suo stesso interesse, che si pervenisse al pi� presto a una diagnosi precisa. Afferma il ricorrente 
che la cit. L. n. 135 del 1990, art. 5, comma 3, secondo cui nessuno pu� essere sottoposto 
a test anti HIV senza il suo consenso, "se non per motivi di necessit� clinica, nel suo 
interesse" - va interpretato nel senso che si pu� prescindere dal consenso del paziente solo 
nei casi in cui egli sia del tutto impossibilitato a prestarlo; che solo tale interpretazione � in 
linea con quella della Corte costituzionale - secondo cui gli accertamenti sanitari che comportano 
prelievi ed analisi trovano un limite invalicabile nel rispetto della dignit� e della riservatezza 
della persona che vi � sottoposta (sentenza n. 218 del 1994) - e con le analoghe 
disposizioni del Garante della privacy e dei principi della deontologia medica. 
Ove egli fosse stato informato, avrebbe potuto disporre che il test venisse eseguito presso 
altro Ospedale, in luogo in cui non fosse conosciuto, considerato che non vi era alcuna urgenza 
di procedervi. 
1.1.- Il motivo � fondato. 
Va condivisa l'opinione del ricorrente secondo cui la lettura costituzionalmente orientata della 
L. n. 135 del 1990, art. 5, comma 3, porta a ritenere che il consenso del paziente al test HIV 
- cos� come ad ogni altro trattamento a cui debba essere sottoposto deve essere richiesto in 
ogni caso in cui ci� sia possibile, senza pregiudizio per le esigenze di cura del paziente stesso 
o per la tutela dei terzi. Ed invero, se nessuno pu� essere obbligato ad un determinato trattamento 
sanitario, salvo espressa disposizione di legge (art. 32 Cost.), il malato ha il diritto di 
essere preventivamente e tempestivamente informato delle indagini cliniche e delle cure alle 
quali lo si vuoi sottoporre, in tutti i casi in cui possa esprimere liberamente e consapevolmente 
la sua volont�. 
Seguendo l'interpretazione dell'art. 5, adottata dalla sentenza impugnata - secondo cui le necessit� 
cliniche sarebbero di per s� sufficienti a consentire di prescindere dalla preventiva informazione 
del malato - verrebbe sostanzialmente vanificato il diritto di quest'ultimo di 
accettare o rifiutare le cure. Alla personale valutazione dell'interessato si sostituirebbe quella 
dei medici, i quali sono portati a somministrare comunque i trattamenti ritenuti opportuni, 
qualunque ne sia l'onere od il peso (sotto ogni profilo) per il paziente. 
Va soggiunto che - anche quando il trattamento si riveli indispensabile, per legge o nell'interesse 
pubblico - va riconosciuto al malato quanto meno il diritto di scegliere i tempi, i modi 
o i luoghi dell'intervento, in ogni caso in cui ci� sia possibile. 
Anche a tal fine � necessario che egli venga preventivamente informato ed interpellato. 
2.- Con il secondo motivo, deducendo violazione della L. n. 135 del 1990, art. 5, comma 1, il 
ricorrente lamenta che erroneamente la Corte di appello abbia escluso l'indebita violazione 
della privacy ed abbia ritenuto che l'obbligo di mantenere l'anonimato, con riguardo ai campioni 
prelevati per le analisi, sia prescritto dalla legge solo in relazione alle indagini epidemiologiche. 
A suo avviso il cit. art. 5, nel prescrivere l'anonimato per tali indagini - non consente di escludere 
che il medesimo requisito debba essere rispettato anche negli altri casi. Avrebbero dovuto 
essere comunque adottate tutte le misure idonee a salvaguardare il suo diritto alla riservatezza. 
Al contrario, � stata indicata in piena evidenza nella cartella clinica la sua omosessualit�, e la
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 195 
cartella non � stata custodita con la diligenza necessaria ad evitare che di essa potessero prendere 
visione anche persone estranee al personale sanitario. 
3.- Con il terzo motivo, denunciando erronea disamina della risultanze processuali ed erronea 
motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia, il ricorrente lamenta che la 
Corte di appello abbia disatteso, ritenendola inattendibile, la testimonianza di sua madre, che 
ha dichiarato di avere appreso la sieropositivit� del figlio dalla lettura della cartella clinica, 
abbandonata in sala infermieri su di un termosifone, a disposizione di qualunque curioso. La 
motivazione della Corte di appello, secondo cui l'accesso alla sala infermieri � chiuso al pubblico, 
� da ritenere insufficiente a giustificare la decisione, in quanto � obbligo dei sanitari di 
predisporre tutte le misure idonee a garantire la riservatezza dei pazienti (quindi anche ad evitare 
che il pubblico acceda ai luoghi riservati). 
4.- I due motivi - che possono essere congiuntamente esaminati, perch� connessi - sono fondati. 
Giustamente la Corte di appello ha ritenuto che l'art. 5, comma 1, imponga l'anonimato 
solo per le indagini epidemiologiche. 
Ci� non consente di escludere, tuttavia, che anche per le indagini cliniche debba essere rispettata 
quanto meno la riservatezza del paziente, adottando tutte le misure idonee a far s� che 
natura ed esito del test, dati sensibili raccolti nell'anamnesi, e accertamento della malattia, 
siano resi noti solo entro il ristretto ambito del personale medico e infermieristico adibito alla 
cura e vengano custoditi adottando tutti gli accorgimenti necessari ad evitare che altri, ed in 
particolare il pubblico, possano venire a conoscenza delle suddette informazioni. Ci� dispone 
espressamente la cit. L. n. 135 del 1990, art. 5, comma 1, secondo cui gli operatori sanitari 
che vengano a conoscenza di un caso di AIDS sono tenuti ad adottare tutte le misure occorrenti 
per la tutela della riservatezza della persona assistita. 
La motivazione della sentenza impugnata appare sul punto insufficiente. 
La Corte non ha positivamente accertato se le modalit� di custodia della cartella clinica siano 
state tali da prevenire concretamente il rischio che i terzi potessero prendere visione del documento, 
custodendolo in luogo non accessibile, neppure occasionalmente o di fatto, da parte 
del pubblico. A fronte della precisa disposizione dell'art. 5, sarebbe stato onere del personale 
ospedaliero dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee allo scopo. 
Il rilievo della Corte di merito, secondo cui la cartella era stata lasciata in sala infermieri, 
locale riservato al personale sanitario, non � di per s� sufficiente, in mancanza di dimostrazione 
che a detta sala veniva effettivamente impedito l'accesso del pubblico. 
5.- La sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di 
Roma, in diversa composizione, affinch� decida sulle domande attrici uniformandosi ai seguenti 
principi di diritto: 
"La L. 5 giugno 1990, n. 135, art. 5, comma 3, secondo cui nessuno pu� essere sottoposto al 
test anti HIV senza il suo consenso, se non per motivi di necessit� clinica, nel suo interesse - 
deve essere interpretato alla luce dell'art. 32 Cost., comma 2, nel senso che, anche nei casi di 
necessit� clinica, il paziente deve essere informato del trattamento a cui lo si vuole sottoporre, 
ed ha il diritto di dare o di negare il suo consenso, in tutti i casi in cui sia in grado di decidere 
liberamente e consapevolmente. 
Dal consenso si potrebbe prescindere solo nei casi di obiettiva e indifferibile urgenza del trattamento 
sanitario, o per specifiche esigenze di interesse pubblico (rischi di contagio per i terzi, 
od altro): circostanze che il giudice deve indicare nella motivazione". 
"A norma della cit. L. art. 5, comma 1, � onere del personale sanitario dimostrare di avere 
adottato tutte le misure occorrenti allo scopo di garantire il diritto del paziente alla riservatezza
196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
e di evitare che i dati relativi all'esito del test ed alle condizioni di salute del paziente medesimo 
possano pervenire a conoscenza dei terzi". 6.- Il Giudice di rinvio decider� anche in ordine 
alle spese del presente giudizio. 
P.Q.M. 
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla 
Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che decider� anche in ordine alle spese 
del giudizio di cassazione. 
Cos� deciso in Roma, il 14 novembre 2008. 
Corte di Cassazione, Sez. Unite Penali, sentenza 21 gennaio 2009 n. 2437 - Pres. Gemelli, 
Rel. Macchia. 
(Omissis) 
Ritenuto in fatto 
1. - M. R., ricoverata nel reparto di ginecologia dell�Ospedale di �, il � fu sottoposta dal 
dott. N. G. ad un intervento di laparoscopia operativa e, senza soluzione di continuit�, a salpingectomia 
che determin� l�asportazione della tuba sinistra. Alla stregua della ricostruzione 
operata dai giudici del merito, l�intervento demolitorio risult� essere stato una scelta corretta 
ed obbligata, eseguita nel rispetto della lex artis e con competenza superiore alla media; tuttavia, 
secondo l�assunto accusatorio, senza il consenso validamente prestato dalla paziente, 
informata soltanto della laparoscopia. Secondo i primi giudici, infatti, gi� in fase di programmazione 
della laparoscopia erano prevedibili l�evoluzione di tale intervento in operativo e 
l�elevata probabilit� di asportazione della salpinge, la non opportunit� dell�interruzione dell�intervento 
e la mancanza del pericolo di vita e, quindi, del presupposto dello stato di necessit�, 
ai fini dell�acquisizione del consenso. L�omissione sarebbe stata da ascrivere, in ragione 
della elevata prevedibilit� dell�intervento chirurgico, ad una scelta consapevole e volontaria 
dell�imputato e non a colpa. Peraltro, ad avviso del giudice di primo grado, ogni trattamento 
medico eseguito in assenza di un consenso valido e specifico, integrerebbe lesione della libert�, 
garantita dall�art. 32 della Costituzione, di autodeterminazione della persona circa le 
decisioni mediche che la riguardano, comprensiva della facolt� di promuovere un consulto o 
di scegliere altre strutture sanitarie. Ci� induceva pertanto il Tribunale di Rimini a qualificare 
il reato di lesioni personali volontarie aggravate, originariamente contestato al G., come violenza 
privata, in ordine al quale ultimo l�imputato stesso veniva ritenuto colpevole e condannato 
alla pena di mesi quattro di reclusione, sostituita con la pena di euro 6.000,00 di multa, 
con il beneficio della sospensione condizionale della pena. 
Proposto appello da parte dell�imputato, la Corte di appello di Bologna, con sentenza del 5 
febbraio 2007, ha reputato contraddittoria ed insufficiente la prova in ordine all�acquisizione 
del consenso informato della M.; sicch�, esclusa, da un lato, la ricorrenza della esimente dello 
stato di necessit� e respinta, dall�altro lato, la tesi difensiva secondo la quale � lecito ogni intervento 
medico compiuto in mancanza di espresso dissenso, ha rilevato l�intervenuta prescrizione 
del reato - cos� come qualificato nella sentenza di primo grado - revocando le 
statuizioni civili, disposte in quella stessa sentenza, stante l�assenza di una prova idonea circa 
la commissione del fatto.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 197 
2. -Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell�imputato 
e della parte civile M. R. ...omissis.... 
Nel ricorso proposto nell�interesse dell�imputato si deduce, quale primo motivo, vizio di motivazione 
in riferimento al mancato proscioglimento nel merito, giacch�, da un lato, andrebbe 
privilegiato l�orientamento che ritiene applicabile il secondo comma dell�art. 129 cod. proc. 
pen., anche nei casi in cui la prova della responsabilit� sia insufficiente o contraddittoria; dall�altro, 
la mancata adozione di una formula di merito sarebbe in contrasto con la determinazione 
di revocare le statuizioni civili; infine - sottolinea il ricorso - i giudici dell�appello 
avrebbero omesso di fornire risposta adeguata circa la doglianza relativa alla esimente dello 
stato di necessit�, quanto meno a livello putativo. Si lamenta, poi, mancata assunzione di una 
prova decisiva, in riferimento alla richiesta di assunzione di testi e consulenti, al fine di contrastare 
l�assunto relativo alla non ricorrenza - reale o putativa - della esimente dello stato di 
necessit�, e si prospetta, infine, violazione di legge in riferimento alla laconica asserzione per 
la quale i giudici a quibus avrebbero disatteso la fondatezza dell�orientamento giurisprudenziale 
secondo il quale sarebbe lecito ogni intervento medico compiuto in mancanza di un 
espresso dissenso del paziente. Con successive, diffuse note, i difensori dell�imputato hanno 
svolto articolate deduzioni volte a contestare la sussistenza, nella ipotesi di specie, del reato 
di violenza privata e per ribadire, al contrario, la ricorrenza della scriminante dello stato di 
necessit�. 
3. - La Quinta Sezione penale di questa Corte, cui i ricorsi erano stati assegnati, avendo ravvisato 
la sussistenza di un contrasto di giurisprudenza sui temi coinvolti, ha rimesso, a norma 
dell�art. 618 cod. proc. pen., a queste Sezioni Unite la decisione sui ricorsi medesimi, con ordinanza 
pronunciata il 1 ottobre 2008, ritenendo pregiudiziale la risoluzione del quesito se 
abbia o meno rilevanza penale, e, nel caso di risposta affermativa, quale ipotesi delittuosa 
configuri la condotta del sanitario che in assenza di consenso informato del paziente, sottoponga 
il medesimo ad un determinato trattamento chirurgico nel rispetto delle �regole dell�arte� 
e con esito fausto. Quanto al primo aspetto - osserva la Sezione rimettente - si registrano 
due diversi orientamenti. Secondo una parte della giurisprudenza, infatti, il consenso del paziente 
fungerebbe da indefettibile presupposto di liceit� del trattamento medico, con la conseguenza 
che la mancanza di un consenso opportunamente �informato� del malato, o la sua 
invalidit� per altre ragioni, determinerebbe la arbitrariet� del trattamento medico e la sua rilevanza 
penale, salvo le ipotesi in cui ricorra lo stato di necessit� ovvero se specifiche previsioni 
di legge autorizzino il trattamento sanitario obbligatorio ai sensi dell�art. 32 Cost. 
Secondo altro orientamento, invece, in ambito giuridico, in genere, e penalistico in particolare, 
la volont� del paziente svolge un ruolo decisivo soltanto quando sia espressa in forma negativa, 
essendo il medico - allo stato del quadro normativo attuale - �legittimato� a sottoporre il paziente 
affidato alle sue cure al trattamento terapeutico che giudica necessario alla salvaguardia 
della salute dello stesso anche in assenza di un esplicito consenso, con conseguente irrilevanza 
del problema della esistenza di eventuali scriminanti, in quanto � da escludere �in radice� che 
la condotta del medico che intervenga in mancanza di consenso informato possa corrispondere 
alla fattispecie astratta di un reato. Quanto, poi, al tipo di reato eventualmente ipotizzabile, 
secondo una prima interpretazione il medico, che intervenga su un paziente in assenza di congruo 
interpello, risponde di lesioni volontarie, pur quando l�esito dell�intervento sia favorevole. 
Ci� in quanto qualsiasi intervento chirurgico, anche se eseguito a scopo di cura e con 
esito fausto, implica necessariamente il compimento di atti che nella loro materialit� integrano 
il concetto di malattia di cui all�art. 582 cod. pen. ; precisandosi che il criterio di imputazione
198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
soggettiva dovr� essere invece colposo, qualora il sanitario agisca nella convinzione, per negligenza 
o imprudenza, della esistenza del consenso. Secondo altro indirizzo, invece, l�arbitrariet� 
dell�intervento - che non potr� mai realizzare il delitto di lesioni, essendo il trattamento 
medico chirurgico volto a rimuovere e non a cagionare una malattia - pu� assumere rilevanza 
penale solo come attentato alla libert� individuale del paziente e rendere perci� configurabile 
esclusivamente il delitto di violenza privata. Il tutto - conclude l�ordinanza di rimessione - 
non senza evocare la sussistenza di tesi intermedie, quale quella di ravvisare la sussistenza 
dell�indicato delitto nel caso di trattamento non chirurgico, o quella di ritenere che la violenza 
privata sia configurabile nella sola ipotesi di trattamento chirurgico eseguito in presenza di 
un espresso, libero e consapevole rifiuto del paziente. 
Considerato in diritto 
...omissis... 
2. - Di diverso spessore sono, invece, le questioni che coinvolge il ricorso dell�imputato. 
L�enunciazione plurima e alternativa del quesito, sul quale queste Sezioni unite sono state 
chiamate a pronunciarsi, evoca, infatti, gi� di per s�, pur nel circoscritto ambito della peculiare 
fattispecie che ha contrassegnato l�iter del procedimento, la variet� dei piani su cui occorre 
soffermarsi ed il delicato concatenarsi delle problematiche coinvolte. La questione da esaminare 
riguarda il quesito se abbia o meno rilevanza penale, sotto il profilo delle fattispecie di 
lesioni personali o di violenza privata, la condotta del medico che sottoponga il paziente, in 
mancanza di valido consenso informato, ad un trattamento chirurgico, pure eseguito nel rispetto 
dei protocolli e delle leges artis e conclusosi con esito fausto. 
Si tratta di problematica antica, mai univocamente risolta, anche perch� coinvolgente una 
gamma di questioni ad essa intimamente correlate, quali: il fondamento giuridico e di legittimazione 
della attivit� medico-chirurgica; il concetto di malattia che in relazione ad essa deve 
venire in rilievo; il valore che, nel sistema, occorre riconoscere al consenso informato del paziente, 
alla luce dei principi che, fra le altre, le fonti di rango costituzionale, legislativo e deontologico 
dettano al riguardo, prendendo in considerazione il bene della salute come diritto 
della persona. 
D�altra parte, le disposizioni dettate dal codice penale del 1930, anche a voler prescindere dai 
limiti insiti in un sistema punitivo precostituzionale, contrassegnato dalla peculiare visione 
derivante dall�assetto politico-istituzionale dell�epoca, si rivelano palesemente incongrue al 
fine di individuare equilibrate soluzioni atte a fornire risposta a tutte le esigenze di tutela che 
le varie ipotesi di fatto possono presentare. Non senza sottolineare, per altro verso, come il 
presidio penale non possa che profilarsi, nella platea dei possibili rimedi astrattamente ipotizzabili, 
quale extrema ratio, a fronte, ad esempio, di eventuali meccanismi sanzionatori alternativi, 
operanti sul terreno civilistico-risarcitorio o anche amministrativo-disciplinare. 
Ci� spiega, da un lato, l�ampio ventaglio di tesi dottrinarie e giurisprudenziali che si sono misurate 
sui vari aspetti della responsabilit� del medico e sulla tematica del consenso informato: 
talora - � necessario riconoscerlo - con evidenti torsioni ermeneutiche, spintesi ai limiti estremi 
della compatibilit� con il principio di tassativit� che deve presiedere alla �costruzione� ed alla 
configurazione delle fattispecie penali; e, dall�altro lato, si chiarisce la ratio di fondo che ha 
sostenuto i tentativi - condotti anch�essi da giurisprudenza e dottrina - volti ad evitare, per un 
verso, eccessi di �penalizzazione� o di �burocratizzazione� della attivit� medica, ma al tempo 
stesso attenti a ricercare soluzioni ermeneutiche che si presentassero in linea con la (in s� condivisibile) 
intentio di non lasciare senza effettiva tutela condotte riguardabili come �dannose�
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 199 
da chi � stato sottoposto al trattamento sanitario: e ci� non necessariamente in ragione soltanto 
dell�esito infausto dello stesso. 
Soffermarsi, dunque, sulle pi� significative sentenze di questa Corte, per analizzarne le varie 
rationes e gli approdi cui le stesse sono pervenute a proposito dei numerosi �nodi� che la questione 
sottoposta a queste Sezioni unite coinvolge, rappresenta la ineludibile premessa, per 
focalizzare i temi sui quali � indispensabile fornire univoca risposta. 
3. - La prima sentenza che si � soffermata ex professo sul tema del trattamento medico-chirurgico 
e del consenso informato del paziente, � stata la nota sentenza Massimo (Cass., Sez. 
V, 21 aprile 1992, n. 5639, Massimo), oggetto di diffusi rilievi, prevalentemente critici, svolti 
da larga parte della dottrina. Tale sentenza ha in particolare affermato il principio per il quale 
il chirurgo che, in assenza di necessit� ed urgenza terapeutiche, sottopone il paziente ad un 
intervento operatorio di pi� grave entit� rispetto a quello meno cruento e comunque di pi� 
lieve entit� del quale lo abbia informato preventivamente e che solo sia stato da quegli consentito, 
commette il reato di lesioni volontarie, irrilevante essendo sotto il profilo psichico la 
finalit� pur sempre curativa della sua condotta; sicch� egli risponde del reato di omicidio preterintenzionale 
se da quelle lesioni derivi la morte. 
Aderendo, dunque, alla tesi secondo la quale soltanto il consenso, quale manifestazione di 
volont� di disporre del proprio corpo, pu� escludere in concreto la antigiuridicit� del fatto e 
rendere questo legittimo. Da un lato, infatti, occorreva assegnare il dovuto risalto alla circostanza 
che l�art. 39 del codice di deontologia medica allora vigente stabiliva che il consenso 
del paziente deve obbligatoriamente essere richiesto per ogni atto medico; dall�altro, doveva 
pure rammentarsi che, in tema di trattamento medico chirurgico, l�antigiuridicit� della lesione 
provocata, poteva, indipendentemente dal consenso, essere esclusa soltanto dalla presenza di 
cause di giustificazione; negandosi al tempo stesso validit� alla tesi secondo la quale quella 
attivit� rinverrebbe copertura in cause di giustificazione non codificate, riferite alla finalit�, 
pur sempre terapeutica, perseguita dal chirurgo. Sottolineava la richiamata sentenza che �se 
il trattamento, eseguito a scopo non illecito, abbia esito sfavorevole, si deve, pur sempre, distinguere 
l�ipotesi in cui esso sia consentito dall�ipotesi in cui il consenso invece non sia prestato. 
E si deve ritenere che se il trattamento non consentito ha uno scopo terapeutico, e l�esito 
sia favorevole, il reato di lesioni sussiste, non potendosi ignorare il diritto di ognuno di privilegiare 
il proprio stato attuale (art. 32, comma 2, Cost.), e che, a fortiori, il reato sussiste ove 
l�esito sia sfavorevole�. Nel contrastare, poi, la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo la quale 
l�oggetto di tutela dell�art. 50 cod. pen. sarebbe limitato alla libert� di autodeterminazione, 
con conseguente possibilit� di ritenere configurabile, in relazione al trattamento medico eseguito 
senza il consenso, il reato di cui all�art. 610 cod. pen., la medesima sentenza ha precisato 
che �la formulazione di ordine generale del principio sancito dalla norma, non autorizza 
l�esclusione della protezione del diritto alla integrit� fisica (tra molti altri) e, semmai, soltanto 
il trattamento medico senza il consenso che pur sempre non cagioni lesioni potrebbe far ipotizzare 
fatti di violenza privata�. 
A conclusioni diverse perviene la successiva sentenza Barese (Cass., Sez. IV, 9 marzo 2001, 
n. 28132), ove si � affermato che, in tema di trattamento medico-chirurgico, qualora, in assenza 
di urgente necessit�, venga eseguita una operazione chirurgica demolitiva, senza il consenso 
del paziente, prestato per un intervento di dimensioni pi� ridotte rispetto a quello poi eseguito, 
che ne abbia determinato la morte, non � configurabile il reato di omicidio preterintenzionale, 
poich�, per integrare quest�ultimo, si richiede che l�agente realizzi consapevolmente ed intenzionalmente 
una condotta diretta a provocare una alterazione lesiva dell�integrit� fisica
200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
della persona offesa. La disamina si concentra, dunque, essenzialmente sull�elemento soggettivo, 
giacch� �se � vero che la connotazione finalistica della condotta (la finalit� terapeutica) 
� irrilevante - non essendo richiesto il dolo specifico per i reati di lesioni volontarie e percosse 
- � altrettanto vero che la formulazione dell�art. 584 cod. pen. (�atti diretti a�) fa propendere 
per la tesi, non da tutti condivisa, che l�elemento soggettivo richiesto per l�omicidio preterintenzionale, 
quanto all�evento voluto, sia costituito dal dolo diretto o intenzionale con 
esclusione quindi del dolo eventuale�. 
D�altra parte - ha puntualizzato ancora la pronuncia in esame - se � vero che l�intentio del 
medico mal si concilia con l�atteggiamento di chi persegue sin dall�inizio una volont� lesiva, 
neppure sarebbe lecito affermare che il fine terapeutico escluda siffatta volont�, giacch�, in 
tale ipotesi, si presupporrebbe l�esistenza di un dolo specifico, al contrario non richiesto dalla 
norma. Al tempo stesso, soggiunge la sentenza, �affermare l�intenzionalit� della condotta, 
ogni volta che non vi sia il consenso del paziente, significa, in realt�, confondere il problema 
della natura del dolo richiesto per la fattispecie criminosa in esame con l�esistenza della scriminante 
costituita dal consenso dell�avente diritto�. Quanto, poi, all�elemento psicologico 
del reato di lesioni volontarie, la sentenza afferma che �si avr� l�elemento soggettivo del delitto 
di lesioni volontarie, in tutti i casi in cui il chirurgo, o il medico, pur animato da intenzioni 
terapeutiche, agisca essendo conscio che il suo intervento produrr� una non necessaria 
menomazione dell�integrit� fisica o psichica del paziente. E poich� - afferma la richiamata 
pronuncia - l�omicidio preterintenzionale si configura anche se la condotta � diretta a commettere 
il delitto di percosse, non pu� escludersi, in astratto, anche se appare difficile immaginare 
il concreto verificarsi di queste ipotesi, che l�evento morte non voluto sia conseguente 
ad una condotta diretta, non a provocare una malattia nel corpo o nella mente, ma ad una 
condotta qualificabile come percossa�. 
Alla luce di tale ricostruzione, il consenso del paziente verrebbe ad essere ricondotto nel novero 
delle scriminanti, che, ad avviso della dottrina prevalente, escludono la antigiuridicit� 
della condotta; sicch�, sarebbe lecito l�assunto secondo il quale il consenso stesso �per un 
verso precluda la possibilit� di configurare il delitto di lesioni volontarie, ma solo nel caso 
di consenso validamente espresso nei limiti dell�art. 5 cod. civ., per l�efficacia scriminante 
attribuita dall�art. 50 cod. pen. al consenso della persona che pu� validamente disporre del 
diritto; per altro verso, che, in presenza di ragioni di urgenza terapeutica, o nelle ipotesi previste 
dalla legge, il consenso non sia necessario�. A sua volta, e sempre che non ricorrano le 
condizioni per ritenere sussistente lo stato di necessit� - che varrebbe ad escludere, anche 
nella ipotesi di dissenso espresso il dolo diretto di lesioni, posto che il medico, nell�intervenire 
malgrado il dissenso del paziente, mira comunque a salvaguardarne la vita e la salute 
poste in pericolo - �l�esplicito dissenso del paziente rende l�atto, asseritamente terapeutico, 
un�indebita violazione non solo della libert� di autodeterminazione del paziente ma anche 
della sua integrit�, con conseguente applicazione delle ordinarie regole penali�. 
Puntualizza ancora la stessa sentenza, la circostanza che la condotta del medico sia orientata 
a tutelare la salute del paziente e non a cagionare menomazioni della sua integrit�, fisica o 
psichica, permette di �escludere l�intenzionalit� della condotta nei casi, non infrequenti, nei 
quali il medico, nel corso dell�intervento chirurgico, rilevi la presenza di una situazione che, 
pur non essendo connotata da aspetti di urgenza terapeutica, potendo essere affrontata in 
tempi diversi, venga invece affrontata immediatamente senza il consenso del paziente; per 
es. per evitargli un altro intervento e altri successivi disagi o anche soltanto per prevenire 
pericoli futuri�. In tale ultima ipotesi - che assume uno specifico interesse ai fini dell�odierno
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 201 
scrutinio - la medesima sentenza ritiene non configurabile il reato di cui all�art. 610 cod. 
pen., giacch� una simile costruzione rinverrebbe un �ostacolo difficilmente superabile nella 
previsione della necessit� che la condotta dell�agente consista in violenza o minaccia. Quest�ultima 
sembra proprio da escludere, mentre la violenza potrebbe forse ipotizzarsi nei soli 
casi di dissenso espresso del paziente al trattamento chirurgico�. 
L�asse delle riflessioni sembra in parte mutare nella sentenza Sez. IV, 27 marzo 2001, n. 
36519, Cicarelli, anche se la portata delle affermazioni che vi compaiono risulta fortemente 
condizionata dalle peculiarit� del caso di specie, nel quale ad un sanitario si addebitava, fra 
l�altro, di aver praticato un tipo di anestesia diverso da quello preferibile secondo la lex artis, 
ma per il quale il paziente aveva revocato il proprio consenso. In particolare, si evidenzia 
come la liceit� della condotta del medico, che si caratterizza per le finalit� terapeutiche che 
ne contraddistinguono l�agere, non possa trovare �significanza solo nel consenso entro ovvero 
oltre la categoria di cui all�art. 50 c.p., ma in coerenza con il principio da esso enunciato
�. Dunque, �l�agire del chirurgo sulla persona del paziente contro la volont� di costui, 
salvo l�imminente pericolo di morte o di danno sicuramente irreparabile ad esso vicino, non 
altrimenti superabile, esita in una condotta illecita capace di configurare pi� fattispecie di 
reato, quali violenza privata (art. 610 c.p., la violenza essendo insita nella violazione della 
contraria volont�), lesione personale dolosa (art. 582 c.p.) e, nel caso di morte, omicidio preterintenzionale 
(art. 584 c.p.)�. Ci� che rileva � la violazione del divieto di manomissione 
del corpo dell�uomo e, quindi, �la violazione consapevole del diritto della persona a preservare 
la sua integrit� fisica nell�attualit� - come � ora, a nulla valendo, in simile situazione, il 
rilievo che questa possa essere, eventualmente, migliorata - e il rispetto della sua determinazione 
a riguardo del suo corpo�, in aderenza al principio personalista della nostra Costituzione, 
nella specie contrassegnato dagli artt. 2 e 32, secondo comma. Donde l�assunto per il 
quale �il medico chirurgo non pu� manomettere l�integrit� fisica del paziente, salvo pericolo 
di vita o di altro danno irreparabile altrimenti non ovviabile, quando questi abbia espresso 
dissenso�. 
Nella sentenza Sez. IV, 11 luglio 2001, n. 35822, Firenzani, trova eco, in campo penale, la 
tesi - gi� da tempo affermatasi nella giurisprudenza civile - secondo la quale l�attivit� medica 
rinverrebbe la propria autolegittimazione dagli artt. 13 e 32 della Costituzione, giacch� �sarebbe 
riduttivo [�] fondare la legittimazione della attivit� medica sul consenso dell�avente 
diritto (art. 50 c.p.) che incontrerebbe spesso l�ostacolo di cui all�art. 5 c.c., risultando la 
stessa di per s� legittima, ai fini della tutela di un bene, costituzionalmente garantito, quale 
il bene della salute, cui il medico � abilitato dallo Stato�; ferma restando la necessit� del 
consenso debitamente informato del paziente, anch�esso costituzionalmente presidiato (cfr, 
fra le tante, Cass., Sez. III civ., 25 novembre 1994, n. 10014; Sez. III civ., 15 gennaio 1997, 
n. 364, nonch�, pi� di recente, Sez. I civ., 16 ottobre 2007, n. 21748; Sez. III civ., 28 novembre 
2007, n. 24742; Sez. III civ., 15 settembre 2008, n. 23676). Nell�affermare gli identici 
principi, la sentenza Firenzani sottolinea che la �legittimit� in s� dell�attivit� medica richiede 
per la sua validit� e la sua concreta liceit�, in principio, la manifestazione del consenso del 
paziente, il quale costituisce presupposto di liceit� del trattamento medico-chirurgico�, afferendo, 
esso, alla libert� morale del soggetto e dalla sua autodeterminazione, nonch� alla 
sua libert� fisica, intesa come diritto al rispetto della propria integrit� corporea: tutti profili 
riconducibili al concetto di libert� della persona, tutelato dall�art. 13 Cost. Non sarebbe dunque 
configurabile, in capo al medico, un �diritto di curare� come espressione di una posizione 
soggettiva qualificata, derivante dalla abilitazione all�esercizio della professione, giacch�
202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
essa, per potersi estrinsecare, comporta di regola il consenso della persona che deve sottoporsi 
al trattamento sanitario, salvo i casi di trattamento obbligatorio ex lege, o le ipotesi di incapacit� 
a prestare il consenso o di stato di necessit�. Pertanto �la mancanza del consenso (opportunamente 
informato) del malato o la sua invalidit� per altre ragioni, determina 
l�arbitrariet� del trattamento medico-chirurgico e la sua rilevanza penale, in quanto posto in 
violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi 
estranei sul proprio corpo�. 
Quanto, poi, alle ipotesi delittuose di carattere doloso astrattamente configurabili, le stesse 
potranno rinvenirsi negli artt. 610, 613 e 605 cod. pen., nel caso di trattamento terapeutico 
non chirurgico; nel caso, invece, di intervento chirurgico, il reato ipotizzabile � quello previsto 
dall�art. 582 cod. pen., perch� �qualsiasi intervento chirurgico, anche se eseguito a 
scopo di cura e con esito �fausto�, implica necessariamente il compimento di atti che nella 
loro materialit� estrinsecano l�elemento oggettivo di detto reato, ledendo l�integrit� corporea 
del soggetto�, avuto riguardo al diritto di ciascuno di privilegiare il proprio stato attuale. �Il 
criterio di imputazione dovr� essere, invece, di carattere colposo - conclude la sentenza - 
qualora il sanitario, in assenza di valido consenso dell�ammalato, abbia effettuato l�intervento 
terapeutico nella convinzione, per negligenza o imprudenza a lui imputabile, della esistenza 
del consenso�. 
La medesima linea prosegue, con ulteriori apporti argomentativi, anche nella sentenza della 
Sez. I, 29 maggio 2002, n. 26446, P.G. in proc. Volterrani, nella quale si afferma il principio 
secondo il quale in tema di attivit� medico-chirurgica (in mancanza di attuazione della delega 
di cui all�art. 3 della legge 28 marzo 2001, n. 145, con la quale � stata ratificata la Convenzione 
di Oviedo del 4 aprile 1997 sui diritti dell�uomo e sulla biomedicina), deve ritenersi 
che il medico sia sempre legittimato ad effettuare il trattamento terapeutico giudicato necessario 
per la salvaguardia della salute del paziente affidato alle sue cure, anche in mancanza 
di esplicito consenso, dovendosi invece ritenere insuperabile l�espresso, libero e consapevole 
rifiuto eventualmente manifestato dal medesimo paziente, ancorch� l�omissione dell�intervento 
possa cagionare il pericolo di un aggravamento dello stato di salute dell�infermo e, 
persino, la sua morte. In tale ultima ipotesi - ha puntualizzato la sentenza - qualora il medico 
effettui ugualmente il trattamento rifiutato, potr� profilarsi a suo carico il reato di violenza 
privata ma non - nel caso in cui il trattamento comporti lesioni chirurgiche ed il paziente 
muoia - il diverso e pi� grave reato di omicidio preterintenzionale, non potendosi ritenere 
che le lesioni chirurgiche, strumentali all�intervento terapeutico, possano rientrare nella previsione 
di cui all�art. 582 cod. pen. Infatti, l�attivit� strumentale posta in essere dal chirurgo 
- quale l�incisione della cute - � priva di una propria autonomia funzionale, rappresentando 
null�altro che �un passaggio obbligato verso il raggiungimento dell�obiettivo principale dell�intervento, 
quello di liberare il paziente dal male che lo affligge�. Tale attivit� si inserirebbe 
dunque �a pieno titolo, nell�esercizio dell�azione terapeutica in senso lato, che corrisponde 
all�alto interesse sociale di cui si � detto, interesse che lo Stato tutela in quanto attuazione 
concreta del diritto alla salute riconosciuto a ogni individuo, per il bene di tutti, dall�art. 32 
della Costituzione della Repubblica e lo fa autorizzando, disciplinando e favorendo la creazione, 
lo sviluppo ed il perfezionamento degli organismi, delle strutture e del personale occorrente. 
Per ci� stesso questa azione, ove correttamente svolta, � esente da connotazioni di 
antigiuridicit�, anche quando abbia un esito infausto�. 
A proposito, poi, della sussistenza - nel caso di specie - della scriminante dello stato di necessit� 
di cui all�art. 54 cod. pen., la stessa pronuncia rileva come nella pratica sanitaria, in
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 203 
genere, e di quella chirurgica, in specie, salvo le ipotesi in cui non ricorra l�intento di tutela 
della salute propriamente intesa, l�attivit� stessa sarebbe �sempre obbligata, per non dire forzata. 
Il chirurgo preparato, coscienzioso, attento e rispettoso dei diritti altrui non opera per 
passare il tempo o sperimentare le sue capacit�: lo fa perch� non ha scelta, perch� quello � 
l�unico giusto modo di salvare la vita del paziente o almeno migliorane la qualit��. Donde 
l�assunto per il quale sarebbe ravvisabile uno stato di necessit� ontologicamente intrinseco 
alla attivit� terapeutica, con la conseguenza che �quando il giudice del merito riconosca in 
concreto il concorso di tutti i requisiti occorrenti per ritenere l�intervento chirurgico eseguito 
con la completa e puntuale osservanza delle regole proprie della scienza e della tecnica medica, 
deve, solo per questa ragione, anche senza fare ricorso a specifiche cause di liceit� codificate, 
escludere comunque ogni responsabilit� penale dell�imputato, cui sia stato 
addebitato il fallimento della sua opera�. 
La giurisprudenza pi� recente sembra abbandonare le posizioni pi� estreme - fra quelle sin 
qui passate in rassegna - per collocarsi in linea con i principi codificati nelle massime, per 
cos� dire, intermedie. Cos�, nella sentenza della Sez. VI, 14 febbraio 2006, n. 11640, Caneschi, 
si ribadisce il principio secondo cui �l�attivit� medica richiede per la sua validit� e concreta 
liceit� la manifestazione del consenso del paziente, che non si identifica con quello di 
cui all�art. 50 c.p., ma costituisce un presupposto di liceit� del trattamento�; derivandone da 
ci� che la mancanza o la invalidit� del consenso �determinano la arbitrariet� del trattamento 
medico-chirurgico e, quindi, la sua rilevanza penale, in quanto compiuto in violazione della 
sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul 
proprio corpo�. 
Pi� articolato, anche se non perviene ad approdi sostanzialmente innovativi, si presenta il 
percorso motivazionale che caratterizza la sentenza della Sez. IV, 16 gennaio 2008, n. 11335, 
p.c. in proc. Huscer, ove si ribadisce, in massima, che, in tema di trattamento medico-chirurgico, 
qualora, in mancanza di un valido consenso informato ovvero in presenza di un consenso 
prestato per un trattamento diverso, il chirurgo esegua un intervento da cui derivi la 
morte del paziente, non � configurabile il reato di omicidio preterintenzionale, poich� la finalit� 
curativa comunque perseguita dal medico deve ritenersi concettualmente incompatibile 
con la consapevole intenzione di provocare un�alterazione lesiva della integrit� fisica della 
persona offesa invece necessaria per l�integrazione degli atti diretti a commettere il reato di 
lesioni richiesti dall�art. 584 cod. pen. Dunque, il consenso espresso da parte del paziente a 
seguito di una informazione completa sugli effetti e le possibili controindicazioni di un intervento 
chirurgico, � vero e proprio presupposto di liceit� dell�attivit� del medico che somministra 
il trattamento, al quale non � attribuibile un generale diritto di curare a prescindere 
dalla volont� dell�ammalato. Il medico, infatti, di regola e al di fuori di taluni casi eccezionali 
(allorch� il paziente non sia in grado per le sue condizioni di prestare il proprio consenso o 
dissenso, ovvero, pi� in generale, ove sussistano le condizioni dello stato di necessit� di cui 
all�art. 54 cod. pen. ), non pu� intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del paziente. 
In questa prospettiva, il consenso, per legittimare il trattamento terapeutico, deve essere 
informato, cio� espresso a seguito di una informazione completa, da parte del medico, 
dei possibili effetti negativi della terapia o dell�intervento chirurgico, con le possibili controindicazioni 
e la puntualizzazione della gravit� degli effetti del trattamento. Il consenso 
informato, infatti, ha come contenuto concreto la facolt�, non solo di scegliere tra le diverse 
possibilit� di trattamento medico, ma anche eventualmente di rifiutare la terapia e di decidere 
consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche quella terminale. Tale
204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
conclusione, fondata sul rispetto del diritto del singolo alla salute, tutelato dall�art. 32 della 
Costituzione (per il quale i trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente 
previsti dalla legge), sta a significare che il criterio di disciplina della relazione medico-malato 
� quello della libera disponibilit� del bene salute da parte del paziente in possesso delle 
capacit� intellettive e volitive, secondo una totale autonomia di scelte, che pu� comportare 
il sacrificio del bene stesso della vita e che deve sempre essere rispettata dal sanitario. Peraltro 
da tutto ci� �non pu� farsi discendere la conseguenza che dall�intervento effettuato in 
assenza di consenso o con un consenso prestato in modo invalido si possa sempre profilare 
la responsabilit� a titolo di omicidio preterintenzionale, in caso di esito letale, ovvero a titolo 
di lesioni volontarie�, giacch� il contenuto dell�elemento soggettivo di tali reati non � di 
norma configurabile rispetto alla attivit� del medico, mentre �il consenso eventualmente invalido 
perch� non consapevolmente prestato non pu� ex se importare l�addebito a titolo di 
dolo�. 
Il medesimo ordine di idee � stato infine ribadito anche dalla sentenza Sez. IV, 24 giugno 
2008, n. 37077, Ruocco, intervenuta, peraltro, su una ipotesi di prescrizione di farmaci off 
label: vale a dire, la somministrazione di medicinali per finalit� terapeutiche diverse da quelle 
riconosciute ai farmaci stessi. In tale sentenza si �, da un lato, confermato il fondamento costituzionale 
del criterio di disciplina della relazione medico-malato, ed � stato, dall�altro lato, 
ancora una volta escluso che dalla mancanza di valido consenso possa farsi discendere la responsabilit� 
del medico a titolo di lesioni volontarie, o, nel caso di morte, di omicidio preterintenzionale. 
E ci� perch� il sanitario si trova ad agire con una finalit� curativa �che � 
concettualmente incompatibile con il dolo delle lesioni�; salvo che si versi in situazioni anomale 
e distorte, �nelle quali potrebbe ammettersi la configurabilit� di tali reati: per esempio, 
nei casi in cui la morte consegua ad una mutilazione procurata in assenza di qualsiasi necessit� 
o di menomazione inferta, con esito mortale, per scopi esclusivamente scientifici�. La 
valutazione penalistica del comportamento del medico, che abbia cagionato un danno per il 
paziente, non subisce variazioni a seconda che l�attivit� sia stata svolta con o in assenza del 
consenso: �il giudizio sulla sussistenza della colpa e quello sulla causalit� tra la condotta 
colposa e l�evento dannoso non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o non 
il consenso informato del paziente�. Da tutto ci� il corollario conclusivo, secondo il quale il 
consenso informato del paziente alla somministrazione del trattamento sanitario non pu� costituire, 
ove lo stesso trattamento abbia cagionato delle lesioni, un elemento per affermare 
la responsabilit� a titolo di colpa di quest�ultimo, a meno che la mancata sollecitazione del 
consenso gli abbia impedito di acquisire la necessaria conoscenza delle condizioni del paziente 
medesimo (sulla libert� di autodeterminazione del paziente, come limite al dovere 
medico di intervenire, v. Cass., Sez. IV, 4 luglio 2005, n. 38852, p.m. in proc. Del Re; Cass., 
Sez. IV, 23 gennaio 2008, n. 16375, p.c. in proc. Di Domenico. Per una posizione volta a 
privilegiare la possibilit� di risolvere i casi in cui l�atto medico � affetto da vizi del consenso, 
facendo ricorso agli istituti della cosiddetta colpa impropria, attraverso la utilizzazione delle 
�categorie dell�erronea supposizione della causa di giustificazione (art. 59, c. 4, c.p.) e dell�eccesso 
colposo nella causa stessa (art. 55 c.p.)�, v. Cass., Sez. V, 16 settembre 2008, n. 
40252, Beretta). 
4. - Dalla disamina test� compiuta emerge, dunque, come primo dato di riflessione, il sostanziale 
recepimento in sede penale della tesi civilistica della cosiddetta autolegittimazione 
della attivit� medica, la quale rinverrebbe il proprio fondamento, non tanto nella scriminante 
tipizzata del consenso dell�avente diritto, come definita dall�art. 50 cod. pen., quanto nella
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 205 
stessa finalit�, che le � propria, di tutela della salute, come bene costituzionalmente garantito. 
Al riguardo, la giurisprudenza costituzionale ha da tempo messo in luce la circostanza che 
il bene della salute � tutelato dall�art. 32, primo comma, della Costituzione, �non solo come 
interesse della collettivit�, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell�individuo� 
(sentenza n. 356 del 1991), che impone piena ed esaustiva tutela (sentenze n. 307 e 455 del 
1990), in quanto �diritto primario e assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati
� (sentenze n. 202 del 1991, n. 559 del 1987, n. 184 del 1986, n. 88 del 1979). Il diritto 
ai trattamenti sanitari � dunque tutelato come diritto fondamentale nel suo �nucleo irrinunciabile 
del diritto alla salute, protetta dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignit� 
umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano 
appunto pregiudicare l�attuazione di quel diritto� (v., fra le altre, sentenze n. 432 del 2005, 
n. 233 del 2003, n. 252 del 2001, n. 509 del 2000, n. 309 del 1999, n. 267 del 1998). Anche 
al di fuori di tale nucleo, d�altra parte, il diritto a trattamenti sanitari Ǐ garantito a ogni persona 
come un diritto costituzionale condizionato alla attuazione che il legislatore ordinario 
ne d�, attraverso il bilanciamento dell�interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi 
costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra 
nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone 
al momento�. Ci� comporta che, al pari di ogni altro diritto costituzionale a prestazioni positive, 
il diritto a trattamenti sanitari diviene per il cittadino �pieno e incondizionato� nei limiti 
in cui lo stesso legislatore, attraverso una non irragionevole opera di bilanciamento fra 
i valori costituzionali e di commisurazione degli obiettivi conseguentemente determinati 
sulla falsariga delle risorse esistenti, predisponga adeguate possibilit� di fruizione delle prestazioni 
sanitaria (cfr., ex plurimis, sentenza n. 432 del 2005, n. 304 e 218 del 1994, n. 247 
del 1992, n. 455 del 1990). Peraltro, proprio in attuazione del principio del supremo interesse 
della collettivit� alla tutela della salute, consacrata come fondamentale diritto dell�individuo 
dall�art. 32 Cost., �l�infermo assurge, nella nuova concezione della assistenza ospedaliera, 
alla dignit� di legittimo utente di un pubblico servizio, cui ha pieno ed incondizionato diritto, 
e che gli vien reso, in adempimento di un inderogabile dovere di solidariet� umana e sociale, 
da apparati di personale e di attrezzature a ci� strumentalmente preordinati e che in ci� trovano 
la loro stessa ragion d�essere� (sentenza n. 103 del 1977). 
In tale quadro di riferimento, dunque, sarebbe davvero eccentrico continuare a rinvenire nella 
sola scriminante del consenso dell�avente diritto, di cui all�art. 50 cod. pen., la base di semplice 
�non antigiuridicit�� della condotta del medico; e ci� anche senza evocare le problematiche 
frizioni che una siffatta, angusta prospettiva, potrebbe comportare rispetto ai limiti 
tracciati dall�art. 5 del codice civile, il cui archetipo e la cui ratio di norma precostituzionale, 
si saldavano all�esigenza di circoscrivere il diritto dell�individuo di poter fare illimitato �mercimonio� 
del proprio corpo. � infatti significativa, a tal proposito, la circostanza che la Corte 
costituzionale, nella sentenza n. 471 del 1990, nella quale ebbe a dichiarare la illegittimit� 
costituzionale dell�art. 696, primo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non consentiva 
di disporre accertamento tecnico o ispezione giudiziale sulla persona dell�istante, ebbe a fornire 
una ricostruzione del valore costituzionale dell�inviolabilit� della persona come �libert��, 
nella quale � postulata e attratta la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre 
del proprio corpo. Il che ha consentito alla dottrina di desumere che l�entrata in vigore della 
Carta costituzionale avrebbe prodotto �modifiche tacite� all�art. 5 cod. civ., in particolare 
attraverso la sostituzione del concetto statico di integrit� fisica, con quello dinamico di salute, 
di cui all�art. 32 Cost., riconducendo, poi, il concetto ed il limite dell�ordine pubblico ai prin-
206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
cipi generali dell�ordinamento, come tali non superabili dal singolo, cos� come enucleati 
dalla stessa Carta fondamentale. Con l�entrata in vigore della Costituzione, pertanto, e con 
l�affermarsi del principio personalista ivi enunciato, la quaestio relativa alla portata dell�art. 
5 del codice civile non andrebbe pi� impostata in termini di �potere� di disporre, ma di �libert�� 
di disporre del proprio corpo, stante il valore unitario e inscindibile della persona 
come tale; e, quindi, in termini di libert� di decidere e di autodeterminarsi in ordine a comportamenti 
che in vario modo coinvolgono e interessano il proprio corpo. 
L�attivit� sanitaria, pertanto, proprio perch� destinata a realizzare in concreto il diritto fondamentale 
di ciascuno alla salute, ed attuare - in tal modo - la prescrizione, non meramente 
enunciativa, dettata dall�art. 2 della Carta, ha base di legittimazione (fino a potersene evocare 
il carattere di attivit�, la cui previsione legislativa, deve intendersi come �costituzionalmente 
imposta�), direttamente nelle norme costituzionali, che, appunto, tratteggiano il bene della 
salute come diritto fondamentale dell�individuo. D�altra parte, non � senza significato la circostanza 
che l�art. 359 cod. pen. inquadri fra le persone esercenti un servizio di pubblica necessit� 
proprio i privati che esercitano la professione sanitaria, rendendo dunque davvero 
incoerente l�ipotesi che una professione ritenuta, in s�, �di pubblica necessit��, abbisogni, 
per legittimarsi, di una scriminante tipizzata, che escluda l�antigiuridicit� di condotte strumentali 
al trattamento medico, ancorch� attuate secondo le regole dell�arte e con esito favorevole 
per il paziente. Se di scriminante si vuol parlare, dovrebbe, semmai, immaginarsi la 
presenza, nel sistema, di una sorta di �scriminante costituzionale�, tale essendo, per quel che 
si � detto, la fonte che �giustifica� l�attivit� sanitaria, in genere, e medico chirurgica in specie, 
fatte salve soltanto le ipotesi in cui essa sia rivolta a fini diversi da quelli terapeutici (� il 
caso, come � noto, degli interventi a carattere sperimentale puro o scientifico, e degli interventi 
che si risolvano in un trattamento di pura estetica). Come, quindi, l�attivit� del giudice 
che adotti, secondo legge, una misura cautelare personale non potr� integrare il delitto di sequestro 
di persona, e ci� non perch� la sua condotta � �scriminata� �semplicemente� dall�art. 
51 cod. pen., ma in quanto direttamente �coperta� dall�art. 13 Cost., allo stesso modo pu� 
dirsi �garantita� dalla stessa Carta l�attivit� sanitaria, sempre che ne siano rispettate le regole 
ed i presupposti. 
5. - Dal divieto di trattamenti sanitari obbligatori, salvo i casi previsti dalla legge, secondo 
quanto previsto dall�art. 32, secondo comma, Cost. e dal diritto alla salute, inteso come libert� 
di curarsi, discende che il presupposto indefettibile che �giustifica� il trattamento sanitario 
va rinvenuto nella scelta, libera e consapevole - salvo i casi di necessit� e di incapacit� di 
manifestare il proprio volere - della persona che a quel trattamento si sottopone. Presupposto, 
anche questo, che rinviene base precettiva, e, per cos� dire, �costitutiva�, negli stessi principi 
dettati dalla Carta fondamentale. Sul punto, baster� richiamare una recentissima pronuncia 
della Corte costituzionale (sentenza n. 438 del 2008), nella quale la tematica del consenso 
informato � stata scandagliata ex professo, offrendosi dell�istituto del consenso al trattamento 
medico un quadro definitorio dettagliato e del tutto sintonico con gli approdi cui era gi� pervenuta, 
come si � fatto cenno, la giurisprudenza di questa Corte. Il Giudice delle leggi ha infatti 
avuto modo di puntualizzare che il �consenso informato, inteso quale espressione della 
consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero 
e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell�art. 2 della Costituzione, 
che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione, 
i quali stabiliscono, rispettivamente, che �la libert� personale � inviolabile�, e che 
�nessuno pu� essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 207 
di legge��. D�altra parte, ha osservato la Corte, anche numerose fonti internazionali prevedono 
la necessit� del consenso informato del paziente nell�ambito dei trattamenti sanitari. 
Cos�, �l�art. 24 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 
1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, premesso che gli Stati 
aderenti �riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di 
beneficiare di servizi medici e di riabilitazione�, dispone che �tutti i gruppi della societ� in 
particolare i genitori ed i minori ricevano informazioni sulla salute e sulla nutrizione del minore�
�. A sua volta, ha rammentato ancora la Corte, �l�art. 5 della Convenzione sui diritti 
dell�uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata dall�Italia con 
legge 28 marzo 2001, n. 145 (seppure ancora non risulta depositato lo strumento di ratifica), 
prevede che �un trattamento sanitario pu� essere praticato solo se la persona interessata abbia 
prestato il proprio consenso libero ed informato�; l�art. 3 della Carta dei diritti fondamentali 
dell�Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, sancisce, poi, che �ogni individuo 
ha il diritto alla propria integrit� fisica e psichica� e che nell�ambito della medicina e 
della biologia deve essere in particolare rispettato, tra gli altri, �il consenso libero e informato 
della persona interessata, secondo le modalit� definite dalla legge��. �La necessit� che il paziente 
sia posto in condizione di conoscere il percorso terapeutico - ha ancora precisato la 
Corte - si evince, altres�, da diverse leggi nazionali che disciplinano specifiche attivit� mediche: 
ad esempio, dall�art. 3 della legge 21 ottobre 2005, n. 219 (Nuova disciplina delle attivit� 
trasfusionali e della produzione nazionale di emoderivati), dall�art. 6 della legge 19 
febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nonch� 
dall�art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), 
il quale prevede che le cure sono di norma volontarie e nessuno pu� essere obbligato ad un 
trattamento sanitario se ci� non � previsto dalla legge�. 
La circostanza, dunque, che il consenso informato trovi il suo fondamento direttamente nella 
Costituzione, e segnatamente negli artt. 2, 13 e 32 della Carta, pone in risalto - secondo il 
Giudice delle leggi - la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: 
�quello all�autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se � vero che ogni individuo 
ha il diritto di essere curato, egli ha, altres�, il diritto di ricevere le opportune informazioni 
in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui pu� essere sottoposto, 
nonch� delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le pi� esaurienti 
possibili, proprio per garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, 
la sua stessa libert� personale, conformemente all�art. 32, secondo comma, della Costituzione. 
Discende da ci� - ha concluso la Corte - che il consenso informato deve essere considerato 
un principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui conformazione � rimessa 
alla legislazione statale�. 
6. - I principi enunciati dalla Corte costituzionale, scolpiti, alla luce della pluralit� di fonti 
che concorrono a rafforzarne gli enunciati, rappresentano, dunque, la ineludibile base precettiva 
sulla quale poter configurare la legittimit� del trattamento sanitario in genere e della 
attivit� medico-chirurgica in specie: con l�ovvia conseguenza che, ove manchi o sia viziato 
il consenso �informato� del paziente, e non si versi in situazione di incapacit� di manifestazione 
del volere ed in un quadro riconducibile allo stato di necessit�, il trattamento sanitario 
risulterebbe eo ipso invasivo rispetto al diritto della persona di prescegliere se, come, dove 
e da chi farsi curare. Ed � proprio in quest�ultima prospettiva che assume uno specifico risalto 
la normativa - non poco evolutasi nel corso del tempo - elaborata dagli organismi professio-
208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
nali in campo di deontologia medica; giacch� da essa, per un verso, si chiarisce la portata 
del �circuito informativo� che deve collegare fra loro medico e paziente, in vista di un risultato 
che - riguardando diritti fondamentali - non pu� non essere condiviso; e, dall�altro lato, 
� destinata a concretare, sul terreno del diritto positivo, le regole che costituiscono il �prescrizionale� 
per il medico, e la cui inosservanza � fonte di responsabilit�, non necessariamente 
di tipo penale. 
A seguito, infatti, della Convenzione di Oviedo, anche il codice deontologico, approvato dal 
Consiglio Nazionale della Federazione Italiana degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri 
il 3 ottobre 1998, ha proceduto ad una revisione del concetto di consenso informato, 
elaborando una definizione dello stesso pi� in linea con i parametri interpretativi suggeriti 
dalla stessa Convenzione. L�art. 30 del nuovo codice, infatti, ha previsto che il medico debba 
fornire al paziente �la pi� idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive 
e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle 
scelte operate�. Dietro esplicita richiesta del paziente, inoltre, il medico dovr� fornire tutte 
le ulteriori informazioni che gli siano richieste. L�art. 32 ha a sua volta stabilito che il medico 
non debba intraprendere alcuna attivit� diagnostica o terapeutica senza l�acquisizione del 
consenso informato del paziente; con l�ulteriore necessit� della forma scritta per la manifestazione 
di tale consenso nell�ipotesi in cui la prestazione da eseguire comporti possibili 
rischi per l�integrit� fisica del soggetto. L�art. 34 ha infine stabilito che il �medico deve attenersi, 
nel rispetto della dignit�, della libert� e dell�indipendenza professionale, alla volont� 
di curarsi, liberamente espressa dalla persona�. Da simili principi, profondamente innovativi 
rispetto a quelli enunciati nel precedente codice del 1995, si � tratto, quindi, il convincimento 
che fosse ormai superata la configurazione della attivit� del medico come promanante da 
soggetto detentore di una �potest�� di curare, dovendosi invece inquadrare il rapporto medico-
paziente (al di fuori di qualsiasi visione paternalistica) nel contesto di quella che � stata 
definita come una sorta di �alleanza terapeutica�; in sintonia, d�altra parte con una pi� moderna 
concezione della salute, che trascende dalla sfera della mera dimensione fisica dell�individuo 
per ricomprendere anche la sua sfera psichica. 
Simili risultati sono stati poi ribaditi anche nel successivo codice deontologico, approvato 
dalla medesima Federazione il 16 dicembre 2006, ed il cui art. 35 conferma, appunto, che il 
�medico non deve intraprendere attivit� diagnostica e/o terapeutica senza l�acquisizione del 
consenso esplicito e informato del paziente�, aggiungendo - quale ulteriore conferma del 
principio della rilevanza della volont� del paziente come limite ultimo dell�esercizio della 
attivit� medica - che �in presenza di un documentato rifiuto di persona capace, il medico 
deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento 
medico contro la volont� della persona�. 
Ferma restando, dunque, la sicura illiceit�, anche penale, della condotta del medico che abbia 
operato in corpore vili �contro� la volont� del paziente, direttamente o indirettamente manifestata, 
e ci� a prescindere dall�esito, fausto o infausto, del trattamento sanitario praticato, 
trattandosi di condotta che quanto meno realizza una illegittima coazione dell�altrui volere, 
l�ipotesi controversa, sulla quale occorre soffermarsi, riguarda invece il caso in cui, anche 
se �in assenza� di consenso espresso allo specifico trattamento praticato, il risultato dello 
stesso abbia prodotto un beneficio per la salute del paziente. E ci� perch�, non necessariamente 
il mancato rispetto delle regole di deontologia medica e degli stessi principi affermati 
in tema di consenso informato dalla Corte costituzionale e dalla stessa giurisprudenza di legittimit� 
determinano la automatica applicabilit� delle fattispecie penali che, �tradizional-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 209 
mente�, sono state evocate a tale riguardo. Occorre, infatti, verificare se quelle fattispecie, 
pur nell�ambito - e nei limiti - di un percorso ermeneutico che adegui la peculiarit� del caso 
alla struttura delle norme (certo �pensate� per altri fini), siano o meno suscettibili di �attrarre� 
nella propria sfera precettiva il �fatto� di cui qui si tratta, senza debordare dai confini entro 
i quali � consentita l�interpretazione nel campo del diritto penale sostanziale. 
7. - In tale cornice, occorre, dunque, preliminarmente esaminare se - con riferimento alla 
particolare vicenda che qui rileva - il mutamento del tipo di intervento operatorio, effettuato 
(in ipotesi) senza che tale variatio fosse stata in precedenza assentita dal paziente, malgrado 
il relativo esito fausto, integri o meno il delitto di violenza privata che i giudici del doppio 
grado di merito hanno ritenuto di ravvisare nella specie, riqualificando in tal senso l�originaria 
imputazione di lesioni personali volontarie aggravate. 
Al riguardo, non pu� non rilevarsi come gli orientamenti giurisprudenziali che si sono 
espressi a favore di tale impostazione hanno scarsamente approfondito il tema, mettendo 
piuttosto in luce il fatto che l�assenza del consenso comprometterebbe, non il valore della 
integrit� fisica in s�, quanto, piuttosto, quello della libera formazione del volere: con la conseguenza 
di ritenere per questa via praticabile la soluzione della violenza privata, non tanto 
sulla base di argomentati rilievi circa la conformit� del �fatto� al tipo normativo, quanto per 
la ritenuta �ontologica� incompatibilit� che � dato ravvisare tra l�attivit� medico-chirurgica 
e il reato di lesioni volontarie. 
Assai pi� articolata �, invece, la posizione della dottrina. A proposito, infatti, del problema 
della sottoposizione del paziente ad un intervento chirurgico diverso da quello che questi 
aveva in precedenza autorizzato - paziente che dunque versa in stato di completa incoscienza 
per effetto della anestesia totale praticatagli - si � osservato che, a differenza di quanto stabiliva 
l�art. 154 del codice Zanardelli (e sulla base del quale era stata elaborata una antica e 
autorevole dottrina), nell�art. 610 del codice vigente la violenza non sarebbe pi� posta in 
rapporto con una perturbazione dell�altrui libera formazione del volere, ma con un comportamento 
concreto - di azione, di tolleranza o di omissione - non voluto dal soggetto passivo. 
Considerato, quindi, che la �violenza� non richiederebbe alcuna mediazione intellettiva da 
parte di chi la subisce e che essa � concepibile anche nei confronti di un soggetto incapace 
di dissentire o consentire - come, appunto, il soggetto anestetizzato - si afferma che il chirurgo, 
nell�eseguire un intervento diverso da quello consentito, esplicherebbe una energia 
fisica sul corpo del paziente, per tale via tenendo una condotta �violenta�, integrante una vis 
absoluta, perch� il paziente, per le condizioni nelle quali si trova, non pu� opporre alcuna 
resistenza. 
Tale tesi non pu� essere condivisa. Al riguardo, va infatti rammentato, anzitutto, che la giurisprudenza 
di questa Corte ha pi� volte avuto modo di puntualizzare che, ai fini della configurabilit� 
del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi 
mezzo idoneo a privare coattivamente l�offeso della libert� di determinazione ed azione, ben 
potendo trattarsi di violenza fisica, propria, che si esplica direttamente nei confronti della 
vittima, o di violenza impropria, che si attua attraverso l�uso di mezzi anomali diretti ad esercitare 
pressioni sulla volont� altrui, impedendone la libera determinazione (v. in tal senso, 
Cass., Sez. V, 18 dicembre 2002, n. 5407/03, De Bortolo; Sez. V, 17 giugno 2002, n. 30175, 
P.G. in proc. Rossello; Sez. V, 16 maggio 2002, n. 24175, P.G. in proc. Cardilli). E si � pure 
puntualizzato, in proposito, che l�elemento oggettivo del reato di cui all�art. 610, cod. pen., 
� costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l�effetto di costringere taluno a 
fare, tollerare, od omettere una determinata cosa. L�azione o l�omissione, che la violenza o
210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
la minaccia sono rivolte ad ottenere dal soggetto passivo, devono per� essere determinate, 
poich�, ove manchi questa determinatezza, si avranno i singoli reati di minaccia, molestie, 
ingiuria, ma non quello di violenza privata (Cass., Sez. V, 18 aprile 2000, n. 2480, P.M. in 
proc. Ciardo). D�altra parte, versandosi, nella specie, in una ipotesi di violenza personale 
�diretta�, deve convenirsi con quanti ritengono che la nota caratterizzante tale forma di violenza 
vada ravvisata nella idea della aggressione �fisica�; vale a dire nella lesione o immediata 
esposizione a pericolo dei beni pi� direttamente attinenti alla dimensione fisica della 
persona, quali la vita, l�integrit� fisica o la libert� di movimento del soggetto passivo. 
Il che sembra rendere del tutto impraticabile l�ipotesi che siffatti requisiti possano ritenersi 
soddisfatti nella specifica ipotesi che qui interessa. La violenza, infatti, � un connotato essenziale 
di una condotta che, a sua volta, deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a 
realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere 
qualche cosa; deve dunque trattarsi di �qualcosa� di diverso dal �fatto� in cui si esprime 
la violenza. Ma poich�, nella specie, la violenza sulla persona non potrebbe che consistere 
nella operazione; e poich� l�evento di coazione risiederebbe nel fatto di �tollerare� l�operazione 
stessa, se ne deve dedurre che la coincidenza tra violenza ed evento di �costrizione a 
tollerare� rende tecnicamente impossibile la configurabilit� del delitto di cui all�art. 610 cod. 
pen. 
D�altra parte, anche il requisito della �costrizione� presenta, con riferimento alla ipotesi del 
paziente anestetizzato che abbia acconsentito ad altro intervento chirurgico ed alla relativa 
anestesia, elementi di intrinseca problematicit�, che vanno ben al di l� della questione, dibattuta 
in dottrina, se i delitti contro la libert� della persona possano essere commessi nei 
confronti di un soggetto che versi in stato di incoscienza. Il concetto di costrizione, postula, 
infatti, il dissenso della vittima, la quale subisce la condotta dell�agente e per conseguenza 
di essa � indotta a fare, tollerare od omettere qualche cosa, in contrasto con la propria volont�. 
Nei confronti del paziente anestetizzato pleno iure, perch� nel quadro di un concordato intervento 
terapeutico, il chirurgo che si discosti da quell�intervento e ne pratichi un altro potr� 
dirsi commettere un fatto di abuso o di approfittamento di quella condizione di �incapacitazione� 
del paziente, ma non certo di �costrizione� della sua volont�, proprio perch�, nel frangente, 
difetta quel requisito di contrasto di volont� fra soggetto attivo e quello passivo che 
costituisce presupposto indefettibile, insito nel concetto stesso di coazione dell�essere umano, 
�verso� (e, dunque, per realizzare consapevolmente) una determinata condotta attiva, passiva 
od omissiva. 
Va inoltre considerato - come la difesa dell�imputato ha puntualmente messo in luce nella 
memoria difensiva - che la non riconducibilit� nel perimetro applicativo dell�art. 610 cod. 
pen., della condotta del chirurgo che �approfitti� della condizione di anestetizzato del paziente 
per mutare il tipo di intervento chirurgico concordato, si desume, univocamente, anche 
dalle precise scelte legislative operate in riferimento alla fattispecie, strutturalmente �omologa�, 
dettata dall�art. 609-bis cod. pen. In essa, infatti, il legislatore ha ritenuto di introdurre 
una espressa equiparazione normativa tra l�ipotesi di costringimento, con violenza o minaccia, 
a subire atti sessuali, e l�ipotesi del compimento dell�atto sessuale �abusando delle condizioni 
di inferiorit� fisica o psichica della persona offesa�: eventualit�, quest�ultima, che 
certamente si realizza anche nell�ipotesi in cui la vittima sia - come nel caso di paziente anestetizzato 
- in condizioni di totale incoscienza. Ci� sta dunque a significare che lo stesso legislatore, 
nel dettare la disciplina relativa ad altra ipotesi di violenza personale, ha dovuto 
dettare una apposita disposizione per equiparare condotte evidentemente fra loro non so-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 211 
vrapponibili, cos� da escludere che l�approfittamento della condizione di incapacit�, possa, 
naturalisticamente e giuridicamente, equivalere ad un fatto di per s� integrante violenza. 
Per altro verso, una ulteriore conferma della impraticabilit� della tesi che ritiene configurabile, 
nella specie, il delitto di violenza privata, pu� desumersi pure dalle prospettive coltivate 
al riguardo de iure condendo. � significativo, infatti, che nella bozza di articolato presentata 
il 25 ottobre 1991 dalla Commissione istituita dal Ministro della Giustizia con decreto dell�8 
febbraio 1988 per la predisposizione di un disegno di legge delega per l�emanazione di un 
nuovo codice penale (cosiddetta Commissione Pagliaro) si sia avvertita la necessit� di prevedere, 
all� art. 70, comma 1, n. 4), una specifica disposizione, nel capo relativo ai reati 
contro la libert� morale (ma in piena autonomia - ed � proprio questo l�aspetto che qui rileva 
- dal delitto di violenza privata, previsto nel punto n. 1) - destinata a porre come direttiva la 
previsione, quale delitto, della �attivit� medica o chirurgica su persona non consenziente, 
consistente nel compimento di un�attivit� medica o chirurgica, anche sperimentale, su una 
persona senza il consenso dell�avente diritto (e sussistente se il fatto non costituisce un reato 
pi� grave). Escludere la punibilit� - prevedeva ancora la ipotesi di norma di delega - quando 
il fatto comporti vantaggi senza alcun effettivo pregiudizio alla persona�. 
L�esistenza, quindi, di un �vuoto normativo� da colmare era stata sin da quell�epoca lucidamente 
avvertita. 
8. - Esclusa, quindi, la possibilit� di ritenere integrato, nel caso di specie, il delitto di violenza 
privata, occorre esaminare quella che � stata ritenuta per lungo tempo l�alternativa �naturalisticamente� 
privilegiata: vale a dire il reato di lesioni di cui all�art. 582 cod. pen. E ci� non 
solo per completare la risposta al quesito in ordine al quale queste Sezioni Unite sono state 
chiamate a pronunciarsi; ma anche perch� la tematica � stata direttamente trattata nel procedimento 
a quo, in quanto il delitto originariamente contestato all�imputato era stato proprio 
il reato di lesioni personali volontarie aggravato. 
Ebbene, una significativa parte della giurisprudenza e della dottrina, � concorde nel mettere 
in luce un dato assolutamente incontestabile: vale a dire la sostanziale incompatibilit� concettuale 
che � possibile cogliere tra lo svolgimento della attivit� sanitaria, in genere, e medico-
chirurgica in specie, e l�elemento soggettivo che deve sussistere perch� possa ritenersi 
integrato il delitto di lesioni volontarie. Una condotta �istituzionalmente� rivolta a curare e, 
dunque, a rimuovere un male non pu� essere messa sullo stesso piano di una condotta destinata 
a cagionare quel �male�. Ci� non esclude, per�, che l�atto chirurgico integri - ove isolato 
dal contesto del trattamento medico-terapeutico - la tipicit� del fatto lesivo, rispetto al quale 
l�antigiuridicit� non pu� che ricondursi alla disamina del corretto piano relazionale tra medico 
e paziente: in una parola, al consenso informato, che compone la �istituzionalit�� della condotta 
�strumentale� del chirurgo, costretto a �ledere� per �curare�. Il versante problematico 
si sposta, dunque, dalla antigiutidicit�, derivante dal mancato consenso al diverso tipo di intervento 
chirurgico in origine assentito, alla �tipicit�� delle lesioni dell�intervento in s� e 
delle conseguenze che da tale intervento sono scaturite: giacch�, se l�atto operatorio ha in 
definitiva prodotto non un danno, ma un beneficio per la salute, � proprio la tipicit� del fatto, 
sub specie di conformit� al modello delineato dall�art. 582 cod. pen., a venire seriamente in 
discussione. 
La questione, pertanto, finisce per coinvolgere direttamente la disamina della nozione stessa 
di �malattia�, ai sensi dell�art. 582 cod. pen., giacch� anche a questo riguardo le interpretazioni 
offerte da giurisprudenza e dottrina si sono non poco evolute nel corso del tempo. 
Per lungo tempo, infatti, specie in giurisprudenza, il concetto di malattia ha fortemente ri-
212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
sentito di quanto era stato al riguardo precisato nella Relazione ministeriale sul progetto del 
codice penale, giacch� in essa si era puntualizzato che era stato fatto uso della �espressione, 
correttamente scientifica, di malattia, anzich� quella di danno nel corpo o perturbazione della 
mente, [l'art. 372 del codice Zanardelli, puniva, infatti, a titolo di lesione personale, la condotta 
di chi, �senza il fine di uccidere, cagiona ad alcuno un danno nel corpo o nella salute 
o una perturbazione nella mente�], giacch� una malattia � indistintamente qualsiasi alterazione 
anatomica o funzionale dell�organismo, ancorch� localizzata e non impegnativa delle 
condizioni organiche generali�. 
Simile approccio definitorio � stato, infatti, pedissequamente recepito dalla giurisprudenza 
di legittimit�, rimasta, sino ad epoca recente, consolidata nell�affermare che, in tema di lesioni 
personali volontarie, costituisce malattia qualsiasi alterazione anatomica o funzionale 
dell�organismo, ancorch� localizzata, di lieve entit� e non influente sulle condizioni organiche 
generali, onde lo stato di malattia perdura fino a quando � in atto il suddetto processo di 
alterazione, malgrado il ritorno della persona offesa al lavoro (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 
V, 2 febbraio 1984, n. 5258, De Chirico; Sez. V, 14 novembre 1979, n. 2650, Miscia; Sez. I, 
30 novembre 1976, n. 7254, Saturno; Sez. I, 11 ottobre 1976, n. 2904, Carchedi). 
Sul punto, per�, non pu� non convenirsi con quanti ritengono che il concetto di �malattia�, 
pi� che evocare l�impiego di un elemento descrittivo della fattispecie, rinvia ad un parametro 
normativo extragiuridico, di matrice chiaramente tecnico-scientifica, tale da far s� che il fenomeno 
morboso, altrimenti apprezzabile da chiunque in termini soggettivi e del tutto indistinti, 
presenti, invece, i connotati definitori e di determinatezza propri del settore della 
esperienza - quella medica, appunto - da cui quel concetto proviene. Poich�, dunque, la 
scienza medica pu� dirsi da tempo concorde - al punto da essere stata ormai recepita a livello 
di communis opinio - nell�intendere la �malattia� come un processo patologico evolutivo 
necessariamente accompagnato da una pi� o meno rilevante compromissione dell�assetto 
funzionale dell�organismo, ne deriva che le mere alterazioni anatomiche che non interferiscano 
in alcun modo con il profilo funzionale della persona non possono integrare la nozione 
di �malattia�, correttamente intesa. 
Pertanto, la semplice alterazione anatomica non rappresenta, in s�, un presupposto indefettibile 
della malattia, giacch� ben possono ammettersi processi patologici che non si accompagnino 
o derivino da una modificazione di tipo anatomico, cos� come, all�inverso, una 
modificazione di quest�ultimo tipo che non determini alcuna incidenza sulla normale funzionalit� 
dell�organismo si presenta, secondo tale condivisibile impostazione, insuscettibile 
di integrare la nozione di �malattia�, quale evento naturalistico del reato di cui all�art. 582 
cod. pen. 
Per altro verso, non � senza significato la circostanza che nel codice, la lesione non sia definita 
in s� - quale semplice �rottura� della unit� organica - ma in relazione all��evento� che 
essa deve determinare: e cio�, appunto, una �malattia� del corpo o della mente. La circostanza, 
quindi, che la malattia pu� riguardare tanto l�aspetto fisico che quello psichico dell�individuo, 
e poich� tali due aspetti sono stati fra loro alternativamente considerati dal 
legislatore (attraverso l�uso della disgiuntiva �o�), se ne pu� desumere che, unitario dovendo 
essere il concetto di malattia e considerato che non pu� evocarsi una alterazione �anatomica� 
della mente, l�unica alterazione che � possibile immaginare, come comune ai due accennati 
aspetti, � proprio - e soltanto - quella funzionale. D�altra parte, il concetto stesso di �durata� 
della malattia - sulla cui base � parametrata la procedibilit� e la gravit� del reato - non pu� 
che confermare una propensione al recepimento normativo della nozione �funzionalistica�
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 213 
della malattia, del tutto in linea con i tradizionali approdi definitori cui � pervenuta, anche 
se con variet� di accenti, la medicina legale. 
A tale impostazione mostra, d�altra parte, di aderire anche un significativo filone di giurisprudenza 
di questa Corte, attento a ricondurre il concetto di �malattia� nell�ambito di un 
paradigma di offensivit� strutturalmente coeso con la nozione scientifica del concetto stesso, 
secondo la dichiarata intentio legis fatta palese dal Guardasigilli, nella richiamata Relazione 
ministeriale sul progetto del codice penale, ma poi �tradita� nel contenuto definitorio trasfuso 
in quel documento e supinamente recepito dalla giurisprudenza prevalenteUna prima, sensibile 
innovazione interpretativa rispetto alla tesi tradizionale � stata, infatti, offerta dalla 
sentenza Sez. IV, 14 novembre 1996, n. 10643, P.C. in proc. Francolini, ove si � affermato 
che il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione 
apprezzabile di funzionalit�, cui pu� anche non corrispondere una lesione anatomica, e di 
quello di un fatto morboso in evoluzione, a breve o lunga scadenza, verso un esito che potr� 
essere la guarigione perfetta, l�adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte. Deriva 
da ci� - ha concluso la pronuncia - che non costituiscono malattia, e quindi non possono 
integrare il reato di lesioni personali, le alterazioni anatomiche, cui non si accompagni una 
riduzione apprezzabile della funzionalit�. 
In linea con simili affermazioni si collocano anche Sez. V, 15 ottobre 1998, n. 714, Rocca, 
Sez. IV, 28 ottobre 2004, n. 3448, Perna, e la pi� recente sentenza Cass., Sez. IV, 19 marzo 
2008, n. 17505, Pagnani, la quale, all�esito di un percorso ricostruttivo delle diverse opinioni 
misuratesi sul tema, ha anch�essa conclusivamente ribadito che, ai fini della configurabilit� 
del delitto di lesioni personali, la nozione di malattia giuridicamente rilevante non comprende 
tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono in realt� anche mancare, bens� solo 
quelle alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico 
ovvero una compromissione delle funzioni dell�organismo, anche non definitiva, ma 
comunque significativa. 
Accedendo, dunque, ad una impostazione per cos� dire �funzionalistica� del concetto di malattia, 
se ne devono trarre i necessari riverberi anche per ci� che attiene all�elemento soggettivo 
del delitto di cui all�art. 582 cod. pen., giacch�, se si ritiene che non possa integrare il 
reato la lesione che coincida, come evento causalmente derivato, in una mera alterazione 
anatomica senza alcuna apprezzabile menomazione funzionale dell�organismo, se ne deve 
dedurre che l�elemento psicologico non potr� non proiettarsi a �coprire� anche la conseguenza 
�funzionale� che dalla condotta illecita � derivata. Per la verit�, la giurisprudenza di 
questa Corte si � mostrata propensa a ritenere che per la sussistenza del dolo nel delitto di 
lesioni personali non � necessario che la volont� dell�agente sia diretta alla produzione di 
conseguenze lesive, essendo sufficiente l�intenzione di infliggere all�altrui persona una violenza 
fisica; basta quindi - secondo tale impostazione - il dolo generico, che deve reputarsi 
sussistere - sia pure nella forma eventuale - anche in ipotesi di azione commessa ioci causa 
allorch� l�agente abbia previsto come probabile (e quindi ne abbia accettata la verificazione 
concreta) l�evento lesivo (cfr., ex multis, Cass., Sez. I, 7 giugno 1996, n. 6773, P.M. in proc. 
Poma; Sez. VI, 13 ottobre 1989, n. 3103, Lavera; Sez. V, 25 novembre 1986, n. 3038/87, 
Zito; Sez. V, 12 aprile 1983, n. 4419, Negovetich). Discende, poi, da tale orientamento la 
tesi della identit� del dolo delle lesioni volontarie rispetto a quello delle percosse (Cass., 
Sez. V, 12 ottobre 1983, n. 9448, Ferrario; Sez. V, 3 febbraio 1984, n. 1564, Dal Pozzo). 
Anche a voler prescindere dalla dubbia condivisibilit� teorica di siffatta ricostruzione dell�elemento 
soggettivo del reato di lesioni volontarie, resta il fatto che essa oblitera un dato
214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
normativo di ineludibile risalto, quale � quello rappresentato dal fatto che l�evento naturalistico 
del delitto di cui all�art. 582 cod. pen. si compone di un frammento �definitorio� - la 
lesione - che si specifica in un altro evento che dal primo deriva: appunto, la malattia, a sua 
volta da intendersi nel senso che si � dianzi delineato. Se, dunque, si cagiona sul derma dell�individuo 
una soluzione di continuo che pu� integrare la nozione di �lesione�, ci� � ancora 
in conferente, sul versante del trattamento medico-chirurgico, agli effetti della integrazione 
del precetto, se ad essa non consegua una alterazione funzionale dell�organismo. Pensare 
che questa �conseguenza� sia estranea alla sfera dell�elemento psicologico, equivale ad estrapolare 
dall�evento del reato un solo elemento definitorio, frantumandone, arbitrariamente, 
l�unitariet� che ad esso ha ritenuto di imprimere il legislatore. Sotto questo profilo, dunque, 
una diversa interpretazione non solo appare inaccettabile da un punto di vista di disamina 
�strutturale� della fattispecie - giacch� la malattia finirebbe per atteggiarsi alla stregua di 
una �eccentrica� condizione obiettiva di punibilit� - ma anche in grave frizione con il principio 
di colpevolezza, sancito dall�art. 27, primo comma, della Costituzione, per il quale - 
secondo la costante interpretazione ad esso data dalla Corte costituzionale (v. da ultimo, la 
sentenza n. 322 del 2007 e le altre ivi richiamate) - � postulato un coefficiente di partecipazione 
psichica del soggetto al fatto, rappresentato quantomeno dalla colpa, in relazione agli 
elementi pi� significativi della fattispecie tipica, fra i quali non pu� non essere annoverata 
proprio la �malattia�. 
9. - Alla stregua dei riferiti rilievi � dunque possibile trarre alcune conclusioni. Una prima 
considerazione, che appare per molti aspetti dirimente agli specifici fini che qui interessano, 
riguarda le peculiarit� che caratterizzano, rispetto alla attivit� sanitaria in genere, l�intervento 
medico-chirurgico realizzato per fini terapeutici. In quest�ultimo frangente, infatti, la condotta 
del medico � non soltanto teleologicamente orientata al raggiungimento di uno specifico 
obiettivo �prossimo�, quale pu� essere, in ipotesi, la riuscita, sul piano tecnico-scientifico, 
dell�atto operatorio in s� e per s� considerato, quanto - e soprattutto - per realizzare un beneficio 
per la salute del paziente. � quest�ultimo, infatti, il vero bene da preservare; ed � proprio 
il relativo risalto costituzionale a fornire copertura costituzionale alla legittimazione 
dell�atto medico. L�atto operatorio in s�, dunque, rappresenta solo una �porzione� della condotta 
terapeutica, giacch� essa, anche se ha preso avvio con quell�atto, potr� misurarsi, nelle 
sue conseguenze, soltanto in ragione degli esiti �conclusivi� che dall�intervento chirurgico 
sono scaturiti sul piano della salute complessiva del paziente che a quell�atto si � - di regola 
volontariamente - sottoposto. 
Ecco gi�, dunque, un primo approdo. Le �conseguenze� dell�intervento chirurgico ed i correlativi 
profili di responsabilit�, nei vari settori dell�ordinamento, non potranno coincidere 
con l�atto operatorio in s� e con le �lesioni� che esso �naturalisticamente� comporta, ma con 
gli esiti che quell�intervento ha determinato sul piano della valutazione complessiva della 
salute. Il chirurgo, in altri termini, non potr� rispondere del delitto di lesioni, per il sol fatto 
di essere �chirurgicamente� intervenuto sul corpo del paziente, salvo ipotesi teoriche di un 
intervento �coatto�; sebbene, proprio perch� la sua condotta � rivolta a fini terapeutici, � 
sugli esiti dell�obiettivo terapeutico che andr� misurata la correttezza dell�agere, in rapporto, 
anche, alle regole dell�arte. �, quindi, in questo contesto che andr� verificato l�esito, fausto 
o infausto, dell�intervento e quindi parametrato ad esso il concetto di �malattia� di cui si � 
detto. � ben vero, a questo riguardo, che la dottrina ha puntualmente evidenziato le difficolt� 
che - a cagione della pluralit� di considerazioni, di ordine clinico e di altro genere, che tale 
giudizio comporta - possono compromettere una valutazione certa e obiettiva in ordine ai
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 215 
risultati scaturiti, per la salute del paziente, dall�intervento medico-chirurgico. Ma si tratta 
di rilevi che, pur se non trascurabili, pertengono ad aspetti di merito che vanno affrontati e 
risolti nella competente sede. 
Pertanto, ove l�intervento chirurgico sia stato eseguito lege artis, e cio� come indicato in 
sede scientifica per contrastare una patologia ed abbia raggiunto positivamente tale effetto, 
dall�atto cos� eseguito non potr� dirsi derivata una malattia, giacch� l�atto, pur se �anatomicamente� 
lesivo, non soltanto non ha provocato - nel quadro generale della �salute� del paziente 
- una diminuzione funzionale, ma � valso a risolvere la patologia da cui lo stesso era 
affetto. Dunque, e per concludere sul punto, non potr� ritenersi integrato il delitto di cui all�art. 
582 cod. pen., proprio per difetto del relativo �evento�. In tale ipotesi, che � quella che 
ricorre nella specie, l�eventuale mancato consenso del paziente al diverso tipo di intervento 
praticato dal chirurgo, rispetto a quello originariamente assentito, potr� rilevare su altri piani, 
ma non su quello penale. 
Proprio sul versante della �opinabilit�� della valutazione dei risultati conseguiti dall�intervento 
chirurgico effettuato per fini terapeutici, una parte significativa della dottrina ha fatto 
leva per desumere come il difetto del consenso informato allo specifico atto operatorio eseguito 
possa, in fin dei conti, far ritenere che il concetto stesso di �salute� e di esito pi� o 
meno fausto del trattamento chirurgico dovrebbe necessariamente postulare anche l�apprezzamento 
e la scelta consapevole dello stesso paziente: il quale ben pu� avere, della propria 
salute, una opinio affatto diversa da quella del medico e che, come tale, deve essere - trattandosi 
di diritto inviolabile della persona - adeguatamente cautelata e rispettata. 
Il rilievo coglie senz�altro nel segno, ma soltanto in una (auspicabile) prospettiva de iure 
condendo. Sul piano del fatto tipico descritto dall�art. 582 cod. pen., infatti, il concetto di 
malattia - e di tutela della salute - non pu� che ricevere una lettura �obiettiva�, quale � quella 
che deriva dai dettami della scienza medica, che necessariamente prescinde dai diversi parametri 
di apprezzamento della eventuale parte offesa. � evidente, comunque, che per esito 
fausto dovr� intendersi soltanto quel giudizio positivo sul miglioramento apprezzabile delle 
condizioni di salute del paziente, ragguagliato non soltanto alle regole proprie della scienza 
medica, ma anche alle alternative possibili, nelle quali devono necessariamente confluire le 
manifestazioni di volont� positivamente o indirettamente espresse dal paziente: ad evitare - 
quindi - che possa essere soltanto la �monologante� scelta del medico ad orientare e tracciare 
gli obiettivi terapeutici da perseguire, negligendo ci� che il paziente abbia potuto indicare al 
riguardo. 
Ove, invece, l�esito dell�intervento non sia stato fausto, nei sensi dianzi delineati, la condotta 
del sanitario, avendo cagionato una �malattia�, realizzer� un fatto conforme al tipo: e rispetto 
ad essa potr� dunque operarsi lo scrutinio penale, nella ipotesi in cui, difettando il consenso 
informato, l�atto medico sia fuoriuscito dalla innanzi evidenziata �copertura costituzionale�. 
Ci� non toglie, peraltro, che, nell�ambito della imputazione del fatto a titolo soggettivo - 
trattandosi pur sempre di condotta volta a fini terapeutici - accanto a quella logica incoerenza 
di siffatto atteggiamento psicologico con il dolo delle lesioni di cui all�art. 582 cod. pen., 
gi� posta in luce dalla prevalente dottrina e dai pi� recenti approdi giurisprudenziali di questa 
Corte potranno assumere un particolare risalto le figure di colpa impropria, nelle ipotesi in 
cui - a seconda dei casi e delle varianti che pu� assumere il �vizio� del consenso informato 
- si possa configurare un errore sulla esistenza di una scriminante, addebitabile ad un atteggiamento 
colposo, ovvero allorch� i limiti della scriminante vengano superati, sempre a causa 
di un atteggiamento rimproverabile a titolo di colpa (artt. 55 e 59, quarto comma, cod. pen. ).
216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
10. - Pu� quindi concludersi nel senso che, ove il medico sottoponga il paziente ad un trattamento 
chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, 
e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia 
concluso con esito fausto, nel senso che dall�intervento stesso � derivato un apprezzabile 
miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento, anche alle eventuali alternative ipotizzabili, 
e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale 
condotta � priva di rilevanza penale, tanto sotto il profilo della fattispecie di cui all�art. 582 
cod. pen., che sotto quello del reato di violenza privata, di cui all�art. 610 cod. pen. 
Alla stregua di tali rilievi la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perch� il 
fatto non sussiste. 
P.Q.M. 
Dichiara inammissibile il ricorso della parte civile che condanna al pagamento delle spese 
processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende. 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perch� il fatto non sussiste. 
Cos� deciso in roma, il 18 dicembre 2008.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 217 
Legge n. 210/92: oscillazioni giurisprudenziali in tema di 
legittimazione passiva dell�ente tenuto alla prestazione 
(Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 19 ottobre 2009 n. 22111) 
Premessa: i termini della questione 
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione � tornata ad occuparsi 
della questione della legittimazione passiva nei giudizi promossi ai sensi 
della legge 25 febbraio 1992, n. 210, e s.m.i. 
Discostandosi dal precedente orientamento (1), la Suprema Corte ha attribuito 
la legittimazione al Ministero della Salute, escludendo il coinvolgimento 
delle Regioni nel contenzioso. 
Ai fini della comprensione dell�intricata vicenda, appare opportuno svolgere 
una breve premessa. 
Con la legge 210/1992 (2), il legislatore, sulla scorta di provvedimenti 
analoghi adottati in altri Paesi (3), ha inteso affrontare la drammatica emergenza 
sociale relativa ai soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile 
causate da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di 
emoderivati, sancendo il diritto ad un indennizzo, da richiedersi all�allora Ministero 
della Sanit� (4)(5). 
(1) Nel senso della legittimazione passiva delle Regioni, infatti, tra le altre, Cass. 23 novembre 
2006, n. 24889 (in Foro It., Mass. 2006, p. 2109); Cass. 8 maggio 2007, n. 10431 (ivi, 2007, p. 949); 
Cass. 4 aprile 2008, n. 8809 (in www.dejure.it), nonch�, recentissime, Cass. (ord.), 24 settembre 2009, n. 
20586 (inedita). In dottrina, affronta la questione A. DE SIMONE, �Indennizzo ex lege n. 210/1992: termine 
triennale di decadenza per la proposizione della domanda amministrativa e legittimazione passiva nelle 
azioni giudiziarie�, in www.personaedanno.it. 
(2) E successive modificazioni ed integrazioni. 
(3) In questo senso, si era gi� orientato, per esempio, il legislatore statunitense, per quanto riguarda 
i danni relativi alle ipotesi di vaccinazione obbligatoria (cfr. G. PONZANELLI, �Responsabilit� speciali in 
common law: le ipotesi di vaccinazione obbligatoria�, in Rassegna di diritto civile, 1991, 370). Degna 
di nota pare, altres�, in tema di contagio da HIV, la legge francese del 31 dicembre 1991, n. 1406. 
(4) Il legislatore ha, quindi, deciso, in virt� del precetto di cui all�art. 2 della Carta Costituzionale, 
di prescindere dai consueti schemi della responsabilit� civile ed introdurre un provvedimento afferente 
al paradigma dell�assicurazione sociale (a riguardo si veda il contributo di G. PONZANELLI - A. BUSATO, 
�Un nuovo intervento di sicurezza sociale: la legge 210/1992�, in Corriere giuridico, 1992, 952). In particolare, 
la scelta legislativa pare motivata dall�esigenza di fornire una tutela a soggetti che, in base alle 
norme vigenti, avrebbero notevole difficolt� a trovare ristoro in sede giurisdizionale: in primo luogo, difetterebbero 
gli stessi imprescindibili elementi soggettivi dell�illecito (dolo-colpa); secondariamente, sarebbe 
comunque assai difficile per le parti attrici assolvere all�onere probatorio (ibidem, 955). Va 
comunque fatto presente che, fermo il principio della compensatio lucri cum damno (come ormai pacifico 
in giurisprudenza. Cfr., sul punto, Cass. S.U. 11 gennaio 2008, n. 584 in Foro Italiano, 2008, I, 451, con 
osservazioni di A. PALMIERI), nulla vieta, a differenza che nell�ordinamento nord-americano, la possibilit�, 
per il danneggiato, gi� titolare dell�indennizzo, di esperire l�azione risarcitoria ex art. 2043 cc e ss. 
(5) Chiarissimo, in questo senso, l�articolo 8 della stessa legge 210/1992, il quale recita, al primo 
comma: �Gli indennizzi previsti dalla presente legge sono corrisposti dal Ministero della Sanit��. In un
218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Senonch�, anticipando di qualche anno la rivoluzione copernicana attuata 
con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, il legislatore ha emanato, a 
completamento delle cosiddette leggi Bassanini (6), il d.lgs. 31 marzo 1998, 
n. 112. 
In particolare, per ci� che pi� rileva in questa sede, l�art. 114 del decreto 
in parola (rubricato �Conferimenti alle regioni�) statuisce, al comma primo, 
che �Sono conferite alle regioni [�] tutte le funzioni e i compiti amministrativi 
in tema di salute umana e sanit� veterinaria, salvo quelli espressamente mantenuti 
dallo Stato� (7), nonch�, con particolare riferimento, alle questioni di 
cui alla legge 210/1992, l�art. 123 ( �Contenzioso�) dello stesso decreto, anche 
in questo caso al comma primo, prevede che, ad ogni modo, �Sono conservate 
allo Stato le funzioni in materia di ricorsi per la corresponsione degli indennizzi 
a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a 
causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati�. 
Successivamente, il Governo emanava dapprima il d.P.C.M. 26 maggio 
2000 (8), che all�art. 3, comma primo (�Decorrenze�), stabiliva che �Ai fini 
dell�esercizio da parte delle regioni a statuto ordinario dei compiti e delle funzioni 
di cui all�art. 1, le risorse individuate dal presente decreto sono trasferite 
a decorrere dal 1� gennaio 2001�, poi, in attuazione di quanto convenuto in 
occasione dell�accordo tra Governo e Regioni del 2 agosto 2001 (9), il 
d.P.C.M. 8 gennaio 2002 (10), che stabiliva all�art. 3 (�Contenzioso�) che �restano 
a carico dello Stato, ai sensi dell�art. 2 comma 4, del decreto del Presiprimo 
momento, quindi, la questione della legittimazione passiva non si era mai posta, risultando, per 
tabulas, la legittimazione dell�amministrazione statale. Degno di nota �, peraltro, il fatto che i successivi 
commi 2� e 3� dispongano al fine della relativa copertura di spesa. 
(6) L. 15 marzo 1997, n. 59 e l. 15 maggio 1997, n. 127. 
(7) In letteratura, su tale disposizione si vedano, oltre al recente R. FERRARA, L�ordinamento della 
sanit�, Torino, 2007, 128; A. PIAZZA, �La tutela della salute�, in Giornale di diritto amministrativo, 
1998, 835; L. ZANETTI, in G. FALCON (a cura di), Lo Stato autonomista, Bologna, 1998, 377, sub art. 
114; G. GARDINI, in G. FALCON (a cura di), Lo Stato, cit., sub art. 123; N. AICARDI, La sanit�, in Trattato 
di diritto amministrativo, a cura di S. CASSESE, Diritto amministrativo speciale, Tomo I, Milano, 2003, 
625 ss.; G. CILIONE, Diritto sanitario, Rimini, 2005, 85; R. BALDUZZI, �Quanti sono i sistemi sanitari 
italiani? Un�introduzione�, in I servizi sanitari regionali tra autonomia e carenze di sistema, Milano, 
2005; F. PIZZETTI, Il nuovo ordinamento tra riforme amministrative e riforme costituzionali, 2003, passim. 
(8) Recante �Individuazione delle risorse umane, finanziarie, strumentali ed organizzative da trasferire 
alle regioni in materia di salute umana e sanit� veterinaria ai sensi del titolo IV, capo I del D. 
Lgs. 31 marzo 1998, n. 112�. 
(9) Il quale, al comma 2, prevede l�impegno del Ministero della Salute a: �mantenere nella propria 
competenza i benefici previsti dalla legge 25 febbraio 1992 n. 210, per gli indennizzi riconosciuti sino 
al 21 febbraio 2001, ad esclusione di quanto previsto dall�art. 2 comma 3 della legge 25 febbraio 1992 
n. 210 relativamente al caso di decesso��. 
(10) Recante �Rideterminazione delle risorse finanziarie da trasferire alle regioni e agli enti locali 
per l�esercizio delle funzioni conferite dal D. Lgs. 31 marzo 1998 n. 112, in materia di salute umana e 
sanit� veterinaria�, ed, al successivo art. 4 (�Disposizioni transitorie�), al primo comma, che: �Restano
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 219 
dente del Consiglio dei Ministri 26 maggio 2000, gli oneri a qualsiasi titolo 
derivanti dal contenzioso riferito a qualsiasi ricorso giurisdizionale concernente 
le istanze di indennizzo trasmesse sino al 21 febbraio 2001 al Ministero 
della Sanit�, dalle aziende sanitarie locali�, ed al successivo art. 4 (�Disposizioni 
transitorie�), che �restano a carico dello Stato gli oneri finanziari relativi 
agli indennizzi iscritti a ruolo sino al 21 febbraio 2001, al cui pagamento 
continuano a provvedere i dipartimenti provinciali del Tesoro�, e che �Restano, 
altres�, nella competenza dello Stato, i benefici previsti della legge n. 
210/1992, per gli indennizzi riconosciuti sino al 21 febbraio 2001, ad esclusione 
di quanto previsto dall�art. 2, comma 3, della legge 210 del 1992, relativamente 
ai casi di decesso�. 
All�esito di tale tormentato iter, la Suprema Corte, conformemente al dato 
testuale, all�impostazione di fondo ed alla logica finanziaria che emergevano 
dalla sopra sintetizzata regolamentazione, pronunciava la gi� citata sentenza 
n. 24889 del 23 novembre 2006 (11). 
Secondo tale pronuncia, �con riferimento al quadro normativo venutosi 
a determinare per effetto dei D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e 24 luglio 2003 (in 
tema di rideterminazione delle risorse finanziarie da trasferire alle Regioni 
ed agli enti locali per l'esercizio delle funzioni conferite dal d.lgs. 31 marzo 
1998, n. 112, in materia di salute umana e sanit� veterinaria), successivamente 
alla precedente previsione contenuta nell'art. 3 del D.P.C.M. 20 maggio 2000, 
sulla scorta della quale le funzioni di indennizzo ai sensi della legge n. 210 
del 1992 sono state trasferite alle Regioni con decorrenza 1� gennaio 2001, 
deve ritenersi che la portata della norma contenuta nell'art. 2, comma quarto, 
di quest'ultimo D.P.C.M. � da intendersi nel senso che restano a carico dello 
Stato gli oneri derivanti dal contenzioso, instauratosi in sede esclusivamente 
giurisdizionale, relativo alle domande riguardanti l'indicato indennizzo le cui 
istanze siano state trasmesse dalle U.S.L. al competente Ministero (allora 
della Sanit�, ora della Salute) fino al 21 febbraio 2001, con la conseguente 
attribuzione della legittimazione passiva in ordine a siffatte istanze in capo al 
suddetto Ministero a cui carico si devono, perci�, considerare ancora accollati 
gli inerenti oneri.� 
Tale orientamento, successivamente pi� volte confermato, � stato da ultimo 
disatteso dalla Suprema Corte con la pronuncia in commento. 
Una siffatta impostazione suscita, tuttavia, pi� di una perplessit� e non 
pu� essere condivisa. 
a carico dello Stato gli oneri finanziari relativi agli indennizzi iscritti a ruolo sino al 21 febbraio 2001, 
al cui pagamento continuano a provvedere i dipartimenti provinciali del Tesoro�, ed, al secondo, che 
�Restano, altres�, nella competenza dello Stato, i benefici previsti della legge n. 210/1992, per gli indennizzi 
riconosciuti sino al 21 febbraio 2001, ad esclusione di quanto previsto dall�art. 2, comma 3, 
della legge 210 del 1992, relativamente ai casi di decesso�. 
(11) Supra, nota 1.
220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Perch� la pronuncia in esame non persuade 
Il nuovo orientamento sembra, in primo luogo, contraddire il dato normativo; 
secondo tale pronuncia, infatti, per �tutte le istanze proposte ai sensi 
della legge 210/1992, qualunque sia l�epoca della domanda amministrativa 
e qualunque sia la data in cui la medesima sia stata trasmessa dalle Usl al 
Ministero della Salute, la titolarit� dal lato passivo del rapporto controverso 
spetta in ogni caso al Ministero della Salute�. 
Secondo la Suprema Corte, una siffatta interpretazione sarebbe imposta 
dall�art. 123 del gi� citato decreto legislativo 112/1998; in particolare, secondo 
la lettura che di tale disposizione fornisce il Collegio, poich� la norma � rubricata 
�Contenzioso�, se ne dovrebbe ricavare che �il termine ricorsi non si 
pu� circoscrivere ai soli ricorsi amministrativi, la lettera della norma non lo 
consente e, d�altra parte, sarebbe irragionevole trasferire alle regioni e quindi 
alle USL il debito assistenziale ed il relativo contenzioso giudiziario e mantenere 
allo Stato le liti in sede amministrativa�. 
La sentenza evidenzia, inoltre, in primo luogo, che l�opposta interpretazione 
implicherebbe una deroga ad una fonte sovraordinata (id est un atto 
avente forza di legge, quale l�art. 123 del citato decreto legislativo 112/1998) 
da parte di fonti di rango inferiore (quali i D.P.C.M. del 2000 e del 2002). 
Secondariamente, si ritiene ulteriormente suffragata tale tesi dal titolo del 
D.P.C.M. del 2000 (12), che mostrerebbe come vi sarebbe solo mero �trapasso 
di fondi� dal Ministero alle ASL. 
Ancora: ulteriori elementi a favore della permanenza della legittimazione 
statale sono rinvenuti nello stesso testo della novellata legge 210/1992: poich� 
l�art. 3 prevede che le domande di indennizzo, pur presentate alle USL, siano 
comunque indirizzate al Ministero della Sanit�, se ne desume che le USL continuerebbero 
a svolgere �meri compiti amministrativi�, mentre, proprio a causa 
della complessit� delle questioni che la legge 210/1992 affronta, in particolar 
modo per quanto attiene alla sussistenza del danno ed all�accertamento del 
nesso causale, permarrebbe la legittimazione del Ministero, in quanto �unico 
centro di verifica� in grado di stabilire criteri uniformi cui attenersi per le valutazioni 
dei casi, ritenendosi che i giudizi non potrebbero essere affidati ai 
�criteri adottati dalle singole USL�. 
Orbene, una tale impostazione, lo si ribadisce, non pu� che lasciare perplessi. 
In particolare, non pare condivisibile la lettura estensiva che il Collegio 
compie in relazione all�art. 123 del d. lgs. 112/1998. 
La legge 210/1992 configura, infatti, quella che, in dottrina (13), viene 
(12) Individuazione delle risorse umane, finanziarie, strumentali ed organizzative da trasferire 
alle regioni in materia di salute umana e sanit� veterinaria ai sensi del titolo IV, capo I del D. Lgs. 31 
marzo 1998, n. 112.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 221 
qualificata come �giurisdizione condizionata�, ossia subordina l�esercizio 
dell�azione giurisdizionale, dinanzi al Giudice ordinario, all�esaurimento di 
una procedura amministrativa (14). L�errore in cui incorre la sentenza in commento 
sta nel non considerare correttamente il rapporto tra il procedimento 
amministrativo e l�eventuale, e successivo, processo civile: in realt�, il fatto 
che la legge affidi l�istruttoria e la decisione sulle istanze al Ministero, non 
esclude che si verta in materia attribuita alla competenza delle singole Regioni, 
come dimostra il fatto che alle stesse risulta attribuita la correlativa dotazione 
finanziaria. 
Alla luce di quanto ora evidenziato, appare evidente che, in caso di proposizione 
del ricorso giurisdizionale, la data di presentazione in sede amministrativa 
dell�istanza di indennizzo assume una valenza fondamentale: nulla 
quaestio per le cause relative ad istanze presentate precedentemente al 21 febbraio 
2001, giacch� in tali casi la legitimatio ad causam permane in capo al 
Ministero; per quanto concerne, invece, le domande successive, la legittimazione 
non pu� che intendersi trasferita alle singole Regioni. 
Una diversa prospettazione, d�altra parte, pare difficilmente sostenibile. 
Verrebbe, infatti, a configurarsi un sistema privo di qualsiasi coerenza interna: 
da un lato, si assisterebbe ad un trasferimento di funzioni e, soprattutto 
di risorse finanziarie, a favore delle Regioni, dall�altro si finirebbe per ignorare 
le radicali innovazioni introdotte negli ultimi anni nel nostro ordinamento in 
chiave di decentramento amministrativo e di trasferimento di competenze. 
Appare, dunque, evidente l�irrazionalit� di tale impostazione, dovendosi 
ribadire come il disposto dell�art. 123 lasci in realt� del tutto impregiudicata 
la questione della legittimazione passiva nei giudizi relativi ad istanze presentate 
dopo il 21 febbraio 2001. 
I rischi da evitare nella speranza che la questione possa trovare un assetto 
definitivo 
Non ci si pu� esimere in questa sede dal rilevare alcune criticit� cui tale 
delicato dibattito giurisprudenziale ha dato origine. 
(13) Per tutti: S. MENCHINI, �La tutela del giudice ordinario�, in Trattato di diritto amministrativo, 
a cura di S. CASSESE, Diritto amministrativo speciale, Tomo V, Milano, 2003, 4927. Sui problemi che 
l�istituto pone in relazione agli artt. 24 e 113 della Costituzione e sulla giurisprudenza della Consulta a 
proposito, si veda E. ANDOLINA - G. VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, Torino, 
1997, 75 ss. 
(14) Va, d�altra parte, parte ricordato che, per quanto attiene alle controversie in materia previdenziale, 
vige il disposto di cui all�art. 443 cpc. (�Rilevanza del procedimento amministrativo�). Tale 
norma, in particolare, si occupa di facilitare il ricorrente, prevedendo al secondo comma, che �se il giudice 
nella prima udienza di discussione rileva l�improcedibilit� della domanda [�] , sospende il giudizio 
e fissa all�attore un termine perentorio di sessanta giorni per la presentazione del ricorso in sede amministrativa�. 
Su tale norma, cfr. C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, III, Torino, 2007, 273.
222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
La prassi forense vuole che, nel dubbio circa l�effettiva titolarit� dell�obbligazione 
assistenziale in parola, il ricorrente chiami in giudizio tanto l�amministrazione 
statale, id est il competente Ministero, quanto la singola Regione 
(15). Questo accorgimento evita conseguenze esiziali nei confronti della comprensibile 
domanda di giustizia dei soggetti danneggiati (16). 
Quid iuris, se, per�, la domanda viene proposta nei confronti solo della 
Regione (ovvero solo del Ministero)? (17). 
Ecco, allora, che un elementare senso di rispetto nei confronti dell�art. 24 
della Costituzione imporrebbe un intervento tempestivo e chiarificatore delle 
Sezioni Unite. 
Si ritiene, infatti, di poter sicuramente concordare con quanto evidenziato 
nella pronuncia in esame, quanto all�esigenza che il ricorrente sia posto nella 
condizione di poter conoscere agevolmente il destinatario della propria domanda; 
appare peraltro evidente come le inopportune oscillazioni della Suprema 
Corte vadano nel senso contrario e possano, in molti casi, anche tradursi 
in un diniego di giustizia. 
E� certamente comprensibile che una svolta epocale, quale quella realizzatasi 
con le riforme relative al periodo 1998-2001, possa dare �dito ad una 
serie di problematiche e difetti di coordinamento; occorre, tuttavia, porre rimedio, 
con la massima celerit�, ad una situazione che va ad incidere su una 
tematica di cos� elevato allarme sociale, quale quella di cui alla legge 
210/1992. 
Dott. Biagio Fraudatario* 
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 19 ottobre 2009, n. 22111 - Pres. Roselli, 
Rel. Nobile, P.M. Matera - Ministero della Salute (Avvocatura Generale dello Stato) c. Regione 
Lombardia (avv.ti Tedeschini, Schiena e Vivone), C.A. (avv.ti Forgione e Romano) e A.S.L. 
1 Provincia di Milano (n.c.) - Sent. n. 250/2005 CdA Milano. 
(Omissis) 
Con il primo motivo del ricorso principale il Ministero della Salute, denunciando la violazione 
degli artt. 112, 324,334 e 436 c.p.c e 2909 c.c., nonch� vizio di motivazione, in sostanza cen- 
(15) Questo, in termini concreti, avviene, o mediante la richiesta di condanna alternativa/solidale, 
ovvero, mediante la richiesta di disporre la chiamata in giudizio dell�ente ritenuto effettivamente legittimato 
nel caso di estromissione dell�amministrazione, statale o regionale, citata nel ricorso. 
(16) Permangono comunque, in talune occasioni, profili di criticit�: si pensi ad eventuali condanne 
alle spese a favore dell�ente estromesso. 
(17) La questione non � puro esercizio di accademia: si veda, infatti, in giurisprudenza, Cass. 
(ord.) 20586/2009, cit. 
(*) Dottore in giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 223 
sura la decisione impugnata nella parte in cui ha affermato la inammissibilit� dell�appello incidentale 
tardivo di esso Ministero. 
All�uopo il ricorrente, richiamando la giurisprudenza di legittimit�, deduce che, nelle cause 
inscindibili o dipendenti, la parte i cui interessi giuridici sono oggetto dell�impugnazione principale 
� legittimata a proporre impugnazione incidentale tardiva, ai sensi dell�art. 334 c.p.c. 
anche contro una parte diversa da quella che ha introdotto l�impugnazione principale e su un 
capo di sentenza diverso da quello oggetto di questa impugnazione. 
Con il secondo motivo il Ministero, denunciando violazione degli artt. 7 commi 1 e 2 lett. a), 
e 114 d. lgs. 112/1998 e 3 d.P.C.M. 26/5/2000, 1, 2 e 4, d.P.C.M. 8/1/2002 nonch� vizio di 
motivazione, in sostanza sostiene che nella fattispecie deve escludersi la sua legittimazione 
passiva. 
In particolare il ricorrente sostiene che �non solo per le istanze successive al 31-12-2000, ma 
anche per quelle presentate prima del 31/12/2000, non definite alla data del 1-1-2001 n� a 
quella indicata dall�Accordo Stato Regioni del 21-2-2001, la legittimazione passiva rispetto 
alla domanda di condanna al pagamento dei benefici debba spettare unicamente alla Regione, 
e ci� vale per tutti i ratei, sia per quelli maturati nel periodo successivo, sia per quelli maturati 
anteriormente al passaggio delle competenze�. 
In sintesi secondo il ricorrente, �se la legge (d. lgs. 112/1998) in combinato disposto con i 
d.P.C.M. 26-5-2000 e 8-1-2002, prevede un preciso momento per il transito della funzione e 
delle relative risorse alle Regioni e se tale transito � regolarmente e tempestivamente avvenuto, 
non si comprende perch� � avendo lo Stato perduto i mezzi economici per far fronte agli impegni 
ex lege 210/92, eccezion fatta per gli indennizzi iscritti a ruolo o concessi entro il 21- 
2-2001 � esso debba comunque pagare ancora i ratei arretrati relativi a procedure non definite 
n� al 31-12-2000 n� al 21-2-2001, procedure che sar� solo la Regione a dover definire�. 
In conclusione, quindi, il Ministero sostiene che �solo le Regioni dopo il 31-12-2000 � esercitano 
la funzione e, pertanto, pagano i benefici, senza che rilevi il carattere �arretrato� degli 
stessi, avendone i mezzi economici ed essendo titolari esclusive della funzione amministrativa�. 
Preliminarmente deve rilevarsi che la sentenza impugnata, al di l� delle espressioni adottate 
di non facile comprensione, in sostanza, da un lato ha espressamente ritenuto inammissibile 
l�appello incidentale tardivo del Ministero, dall�altro ha chiaramente affermato che �Deve essere 
invece accolto l�appello dell�ASL in quanto sembra che i suoi compiti in materia siano 
limitati alla istruttoria amministrativa della pratica, mentre l�accertamento sanitario � prerogativa 
del Ministero della Salute e l�erogazione rimaneva a carico dello Stato per le domande 
di indennizzo presentate, come la presente anteriormente al 21 febbraio 2001�. 
Nel contempo, del resto, la stessa decisione ha, conseguentemente, condannato il Ministero 
al pagamento delle spese del grado in favore della C. e della ASL 1 Milano. 
Tanto rilevato e considerato quindi che il decisum della Corte d�Appello ha riguardato espressamente 
anche la questione della legittimazione passiva, che � stata chiaramente affermata in 
capo al Ministero della Salute, ritiene il Collegio che, a fronte di tale decisione, deve essere 
esaminato in primo luogo il secondo motivo. 
Sulla questione si osserva che la tesi del Ministero ricorrente � infondata. 
Deve infatti affermarsi, contrariamente a quanto deciso da questa Corte con la sentenza n. 
10431 dell�8 maggio 2007 (v. anche gi� Cass. 24889 del 23�11-2006) e altre successive conformi 
(Cass. 4-4-2008 n. 8809, Cass. 5-8-2008 n. 21139, Cass. 27-1-2009 n. 1882), che per 
tutte le istanze proposte ai sensi della legge 210/1992. qualunque sia l�epoca della domanda
224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
amministrativa e qualunque sia la data in cui la medesima sia stata trasmessa dalle Usl al Ministero 
della salute, la titolarit� del lato passivo del rapporto controverso spetta in ogni caso 
al Ministero della Salute. 
La normativa concernente le prestazioni si compendia nella legge 25 febbraio 1992, n. 210, 
successivamente modificata dall�art. 7 del D.L. 23 ottobre 1996 n. 548 convertito nella legge 
20 dicembre 1996 n. 641, dall�art. 1 della legge 25 luglio 1997 n. 238, a sua volta successivamente 
modificata dall�art. 3 secondo comma della legge 14 ottobre 1999 n. 362/99 ed ancora 
dall�art. 3 comma 145 legge n. 350 del 2003. Quanto alla legittimazione passiva, nella legge 
210/1992 si prevedeva espressamente all�art. 8 che �Gli indennizzi previsti dalla presente 
legge sono corrisposti dal Ministero della sanit��. Non si dubitava quindi che il legittimato 
passivo nelle relative controversie fosse il suddetto Ministero. 
E� noto che poi il D.lgs n. 112 del 31 marzo 1998, emesso sulla base della legge delega n. 59 
del 15 marzo 1997 ha previsto il �Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello 
Stato alle regioni e agli enti locali�. Ed infatti all�art 114 del citato d.lgs del 1998, inserito 
nel titolo IV, Capo primo avente ad oggetto �Tutela della salute�, si prevede che �Sono conferite 
alle regioni, secondo le modalit� e le regole fissate dagli articoli del presente capo, 
tutte le funzioni e i compiti amministrativi i tema di assume umana e sanit� veterinaria, salvo 
quelli espressamente mantenuti allo Stato�. In detta norma si fa quindi menzione solo dei 
compiti �amministrativi� da trasferire, in coerenza, peraltro, con l�attuale quadro normativo 
generale, il quale vede incentrarsi presso le regioni, e per esse presso le USL, tutte le funzioni 
�amministrative concernenti le pratiche che riguardano le condizioni sanitarie, non solo in relazione 
ai compiti istituzionali, attribuiti dal Servizio Sanitario Nazionale, di erogazione delle 
prestazioni mediche, ma anche per la erogazione di prestazioni economiche a carico di altri 
soggetti, come ad esempio per la materia riguardante l�invalidit� civile, in cui la domanda si 
presenta alla USL, mentre il soggetto pagatore � l�Inps. 
In genere alle medesime USL � attribuito anche il giudizio medico, il che non � per� nella 
specie, ossia per gli indennizzi previsti dalla legge 210/1992 in commento, perch� in questo 
caso le USL fungono da meri organi addetti a raccogliere le istanze di indennizzo e la documentazione 
da allegare, mentre il giudizio medico � poi demandato ad altro organo. Recita 
infatti l�art 3 della legge 210/1992 come modificata, �Domanda per ottenere l�indennizzo� 
che �i soggetti interessati ad ottenere l�indennizzo di cui all�art. 1 comma 1 presentano alla 
USL competente le relative domande, indirizzate al Ministro della Sanit�� La USL provvede, 
entro novanta giorni dalla data di presentazione delle domande, all�istruttoria delle domande 
stesse e all�acquisizione del giudizio di cui all�articolo 4, sulla base di direttive del Ministero 
della Sanit��. Indi l�art. 4 della medesima legge �Commissione Medico Ospedaliera� prevede 
che �Il giudizio sanitario sul nesso causale tra la vaccinazione, la trasfusione, la somministrazione 
di emoderivati, il contatto con il sangue e derivati in occasione di attivit� di servizio e 
la menomazione dell�integrit� psico-fisica o la morte � espresso dalla commissione medico 
ospedaliera d cui all�articolo 165 del testo unico approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 
1092�. 
E� vero poi, che sono le ASL ad erogare le prestazioni di legge: lo confermano i numerosi 
DPCM che progressivamente hanno trasferito sia il personale addetto, sia i fondi per provvedere, 
dal Ministero alle USL (DPCM 20 maggio 2000, 8 gennaio 2002 e 24 luglio 2003). Tuttavia 
il compito relativo alla erogazione � pur sempre di natura amministrativa, ed � quindi 
coerente con il �Conferimento alle regioni delle funzioni e dei compiti amministrativi� di cui 
al d. lgs. 112/1998.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 225 
Quanto, poi, alla legittimazione, vero � che, in via generale, che la legittimazione a contraddire 
in giudizio, si radica in capo al soggetto onerato della prestazione richiesta, tuttavia ci� non 
vale quando la legge espressamente individua un soggetto diverso. Nella specie, nonostante 
il trasferimento alle regioni dell�onere economico per la erogazione, la perdurante legittimazione 
del Ministero � prevista dall�art. 123 del d. lgs. 112/98, secondo cui �Sono conservate 
allo Stato le funzioni in materia di ricorso per la corresponsione degli indennizzi a favore dei 
soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, 
trasfusioni e somministrazione di emoderivati�. Invero il titolo dell�art. 123 � �Contenzioso�, 
per cui il termine �ricorsi� non si pu� circoscrivere ai soli ricorsi amministrativi, la lettera 
della norma non lo consente e, d�altra parte, sarebbe irragionevole trasferire alle regioni e 
quindi alle USL il debito assistenziale ed il relativo contenzioso giudiziario e mantenere allo 
Stato le liti in sede amministrativa (infatti avverso il parere della CMO � previsto il ricorso al 
Ministero della salute ai sensi dell�art. 5 della legge), vale a dire nella sede in cui, caso mai, 
� pi� pressante l�esigenza del contatto tra il cittadino assistibile e le amministrazioni locali. 
La prescrizione del citato art. 123 del d.lgs del 1998, che indica il Ministero come il soggetto 
che funge da controparte in sede contenziosa non pu� che essere ovviamente derogato da disposizioni 
di rango inferiore quali i DPCM, i quali, si ripete, valgono solo a segnare l�iter 
temporale e burocratico di trapasso dei fondi dal Ministero alle ASL che � il soggetto incaricato 
del pagamento. Lo si desume dallo stesso titolo del primo dei DPCM, quello del 26 maggio 
2000, che reca come oggetto �Individuazione delle risorse umane, finanziarie, strumentali ed 
organizzative da trasferire alle regioni in materia di salute umana e sanit� veterinaria ai sensi 
del titolo IV, Capo I del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112�. 
Se ne trae, ancora, ulteriore conferma dalla legge 210/1992, come modificata, la quale prevede 
all�art. 3 che �I soggetti interessati ad ottenere l�indennizzo di cui all�art. 1 comma 1 presentano 
alla USL competente le relative domande indirizzate al Ministero della Sanit��. E� dunque 
il Ministero l�organo al quale al domanda amministrativa deve essere inoltrata, per cui � 
coerente che, in caso di diniego in sede amministrativa il soggetto da chiamare in giudizio sia 
il Ministero. 
Inoltre, il quadro generale che emerge dalle disposizioni citate risulta del tutto ragionevole: 
le USL svolgono meri compiti amministrativi rispetto alle istanze rivolte ad ottenere l�indennizzo 
di cui alla legge 210/1992, effettuando la relativa istruttoria sulla sufficienza della documentazione 
da produrre e verificando i termini di decadenza stabiliti per le domande, agendo 
peraltro sulla base delle direttive del Ministero (art. 3 comma 1), e provvedono altres� alla 
erogazione dell�indennizzo una volta che la Commissione medico ospedaliera di cui all�art. 
4 abbia espresso il giudizio medico positivo. 
Il Ministero della Salute resta invece deputato sia alla decisione sui ricorsi amministrativi, sia 
come soggetto da evocare in sede giudiziale, perch� solo cos� il medesimo pu� avere una visione 
generale delle problematiche poste nell�ambito delle competenze espressamente riservate 
allo Stato dalla legge, ossia dall�art. 12 del d.lgs. n. 112/98, comma 2 f). per cui, �Sono 
riservate allo Stato le funzioni sul sangue umano ed i suoi componenti, la produzione di plasma, 
derivati e i trapianti�. D�altra parte tutta la complessa problematica che la legge 210/92 
comporta in termini di riscontro della esistenza delle menomazioni e sul nesso causale, e 
quindi sulla regolarit� del sangue e dei suoi derivati, non potrebbe essere affidata ai criteri 
adottati dalle singole USL, ma abbisogna di un unico centro di verifica, capace poi di intervenire, 
se del caso, anche con i provvedimenti normativi che si rendessero necessari, e che 
non pu� essere se non il Ministero della salute
226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Si � gi� detto che con la sentenza di questa Corte n. 10431 dell�8 maggio 2007, e con altre 
successive conformi, si � gi� affermato invece, sulla base dei citati DPCM, che il Ministero � 
legittimato passivo solo ove le domande gli siano state trasmesse dalle ASL fino al 21 febbraio 
2001. Il Collegio intende discostarsi da questo indirizzo, per le ragioni sopra illustrate. 
Ad ulteriore confutazione va rilevato che, secondo detti precedenti,, questo sistema renderebbe 
agevole per il cittadino la conoscenza del soggetto da chiamare in giudizio. Sembra invece al 
Collegio, che, seguendo le prescrizioni del citato DPCM sarebbe difficile per l�interessato sapere 
se deve evocare il Ministero o la USL, essendo col� indicate, come discrimine temporale, 
date diverse, che il medesimo non � in grado di conoscere: come la data di trasmissione dell�istanza 
dalla USL al Ministero, o come la data di iscrizione a ruolo della pratica (che pu� 
non coincidere con la data di presentazione). Il DPCM del 2003 reca infatti le seguenti previsioni: 
Art. 3. �Contenzioso�:�Restano a carico dello Stato, ai sensi dell�art. 2, comma 4, del 
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 26 maggio 2000, gli oneri a qualsiasi titolo 
derivanti dal contenzioso riferito a qualsiasi ricorso giurisdizionale concernenti le istanze di 
indennizzo trasmesse sino al 21 febbraio 2001 al Ministero della Sanit� dalle aziende sanitarie 
locali�. Art. 4: �Disposizioni transitorie�: �Restano a carico dello Stato gli oneri finanziari 
relativi agli indennizzi iscritti a ruolo sino al 21 febbraio 2001, al cui pagamento continuano 
a provvedere i dipartimenti provinciali del Tesoro. Restano, altres�, nella competenza dello 
Stato, i benefici previsti della legge n. 210/1992, per gli indennizzi riconosciuti sino al 21 
febbraio 2001, ad esclusione di quanto previsto dall�art. 2, comma 3, della legge 210 del 
1992, relativamente ai casi di decesso�. Sembra quindi al Collegio, come risulta dal tenore 
letterale del DPCM, il quale fa esclusivo riferimento alle date di trasferimento dell�onere economico, 
che la data del 21 febbraio 2001 segni solo il momento in cui questa passa da un soggetto 
all�altro: ossia dal Ministero, secondo il vecchio sistema, alle USL. I DPCM, in 
conclusione, determinano quindi solo termini e tempi del trapasso delle pratiche e dell�onere 
economico, e quindi regolano i rapporti interni tra Ministero e USL, a cui l�interessato risulta 
estraneo. 
Conclusivamente, dal quadro risultante dalla legge delega e dal decreto delegato emerge che 
le funzioni amministrative concernenti le pratiche di indennizzo sono state trasferite alle USL, 
ed a queste ultime � stata anche attribuita la funzione di erogazione delle prestazioni, ferma 
restando, in tutti i casi, la legittimazione del Ministero in sede di ricorsi amministrativi e giudiziali. 
In tal senso ( e cos� in parte correggendosi la motivazione della impugnata sentenza ex art. 
384 c.p.c.) il secondo motivo del ricorso principale va respinto. 
Una volta, poi, respinto tale motivo e confermata comunque la legittimazione passiva del Ministero 
della Salute, nei sensi di cui sopra, va rilevata in sostanza la carenza di interesse del 
Ministero stesso in ordine al primo motivo, come sopra formulato 
Del resto la censura risulta inammissibile in quanto, avendo la Corte d�Appello deciso su tutto 
il merito della controversia, il ricorrente principale non dice quale suo specifico motivo di appello 
si stato trascurato. 
Il ricorso principale va pertanto respinto. 
Resta infine assorbito il ricorso incidentale proposto dalla C. con il primo motivo all�espresso 
fine di ottenere �comunque� la declaratoria di inammissibilit� dell�appello incidentale tardivo 
del Ministero, come conseguenza della declaratoria di inammissibilit� dell�ASL (�Per la conseguenza 
di inammissibilit� dell�appello incidentale tardivo del Ministero, si censura la sentenza 
della Corte d�Appello di Milano nella parte in cui ha rigettato l�eccezione di
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 227 
inammissibilit� dell�appello dell�ASL di Milano��),e con il secondo motivo per sentire affermare 
in ogni caso, �eventualmente modificando la sentenza impugnata�, la insussistenza 
in capo al Ministero di �un interesse tardivo all�impugnazione� dipendente dall�impugnazione 
principale della ASL. 
La C., infatti, a seguito, come sopra, del rigetto del secondo motivo del ricorso principale del 
Ministero, con assorbimento del primo, risulta totalmente vittoriosa nei confronti del Ministero 
stesso nei cui riguardi alcun risultato pi� favorevole potrebbe ottenere con l�eventuale accoglimento 
del ricorso incidentale. 
Infine ricorrono giusti motivi, per l�esito di entrambi i ricorsi e per la complessit� della materia, 
per compensare le spese tra le parti costituite. Nulla per le spese con la ASL Milano 1 rimasta 
intimata. 
P.Q.M. 
La Corte riunisce i ricorsi , rigetta il ricorso principale, assorbito l�incidentale, compensa le 
spese tra le parti costituite. 
Roma 24 settembre 2009. 
228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
La demanialit� sopravvenuta 
del lago di Lucrino 
Aspetti processuali (vicende del giudicato nel tempo) e sostanziali 
(requisiti necessari affinch� le acque interne possano essere 
considerate pubbliche) connessi all�accertamento della qualit� di 
demanio idrico del lago di Lucrino 
(Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, presso la Corte di Appello di Napoli, 
sentenza 10 febbraio 2010 n. 17) 
Dati storici ed antefatto 
Il lago Lucrino � un lago costiero ad acqua salmastra di origine lagunare 
collegato al mare a mezzo di un ristretto canale; � ubicato nel comune di Pozzuoli 
ed ha una superficie di 6.8 ha, un perimetro di 1250 metri ed una larghezza 
di 120 metri in media. 
Esso presenta interesse archeologico, essendo stato l�avamposto dell�antico 
Portus Julius, creato da Augusto nel 37 a.C.. Recenti ricerche archeologiche 
condotte nel comprensorio del Lucrino hanno permesso l�individuazione 
di numerosi complessi antichi, tra i quali quello del Balneum tritoli e delle 
stufe di Nerone. Il nome Lucrino deriverebbe da �Lucrum� e si riferirebbe ai 
guadagni che si traevano anticamente dalla coltivazione delle ostriche (che fu 
iniziata nel secolo I a.C. da tale Sergius Orata) e dalla pesca delle spigole; il 
lago fu celebratissimo da Orazio, Giovenale e Marziale per la vita allegra e 
lussuosa. La propriet� del lago, fino alla cd. legge Galli (legge n 36/1994) - 
che ha reso pubbliche tutte le acque superficiali e sotterranee - era di privati. 
Con sentenza n. 9/1960 del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche 
presso la Corte di appello di Napoli (confermata, sul punto, dalla sentenza n. 
22/1961 del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche) venne esclusa la natura 
di demanio idrico del Lucrino, dal momento che - tenuto conto dei caratteri 
geomorfologici del lago - non si ritenne sussistere il requisito dell�uso di 
pubblico generale interesse delle acque di cui all�art. 1 del TU sulle acque n. 
1775/1933 (requisito non pi� richiesto dalla cd legge Galli in poi). 
Con sentenza n. 6118/1979 della Corte di Cassazione venne escluso che 
il lago in esame costituisse un bene demaniale marittimo ex art. 28 Cod. Nav. 
in quanto la situazione attuale del bene (ristrettezza del canale di collegamento 
del lago con il mare) esclude la comunicazione libera col mare almeno per 
una parte dell�anno. 
Nell�anno 1994 intervenne, come detto, la cd legge Galli, statuente che 
�Tutte le acque superficiali e sotterranee [...] sono pubbliche [...] � (art. 1 
legge n. 36/1994); precetto poi sostituito dall�articolo 144 primo comma del
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 229 
D.L.gvo n 152/2006, secondo cui, �Tutte le acque superficiali e sotterranee 
[...] appartengono al demanio dello Stato�. Tale carattere � iterato dal DPR n. 
238/1999 il quale, all�art. 1 comma 1, stabilisce: �Appartengono allo Stato e 
fanno parte del demanio pubblico tutte le acque sotterranee e le acque superficiali, 
anche raccolte in vasi o cisterne�. 
Instaurazione della lite diretta all�accertamento della demanialit� idrica del 
Lucrino 
Alla luce di tale ius superveniens l�Amministrazione Statale (Agenzia del 
Demanio e Ministero per i Beni e le Attivit� Culturali) nel novembre del 2006 
ha proposto ricorso al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la 
Corte di Appello di Napoli (di cui, di seguito, si riporta il testo - all. 1), nei 
confronti di chi si vantava proprietario privato, diretto ad accertare che il lago 
di Lucrino e le sue pertinenze - e quindi l�acqua, l�alveo che la contiene, la 
riva che delimita l�alveo e la spiaggia in uno alle relative pertinenze - � di propriet� 
dello Stato con la qualit� di demanio idrico. 
Con memoria �illustrativa�� (della quale, di seguito, si riporta il testo - 
all. 2) l�amministrazione ha esplicato le sue difese, anche a contrasto delle avverse 
deduzioni. 
Sentenza decisoria della controversia 
Con sentenza pubblicata il 10 febbraio del 2010, il Giudice delle Acque 
di Napoli ha accolto il ricorso dichiarando la propriet� dello Stato con la qualit� 
di demanio idrico del lago di Lucrino e delle sue pertinenze. 
La sentenza presenta vari profili di interesse. Tra questi se ne evidenziano 
due. 
a) Vicende del giudicato nel tempo. 
Come evidenziato sopra, con un giudicato formatosi negli anni �60 del 
secolo scorso era stato escluso che il lago de quo costituisse demanio idrico. 
Il giudice delle acque, con la sentenza riportata, nel caso di specie ha fatto 
applicazione del principio secondo cui l�autorit� della cosa giudicata preclude 
la deduzione in un nuovo giudizio di fatti o norme precedenti la sua formazione, 
allo scopo di cancellarla o modificarla, mentre non preclude la deduzione 
e l�esame di norme e fatti sopravvenuti ed idonei a produrre effetti 
giuridici nuovi e, perci�, estranei alla materia a suo tempo dedotta in giudizio. 
Principio sintetizzabile con la massima secondo cui il giudicato copre il dedotto 
e il deducibile, ma non quello che non era ancora deducibile (Cass.18 
febbraio 1991 n. 1682; Cass. 26 maggio 1986 n. 3525), ossia i fatti sopravvenuti, 
sia eventi fenomenici che nuove norme. Fatto sopravvenuto che nel giudizio 
di specie � costituito dalla cosiddetta legge Galli (legge n. 36/1994, poi 
recepita nel D.Lgvo n. 152/1006), che ha diversamente configurato (amplian-
230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
doli) i connotati costitutivi del concetto di demanio idrico. Lo ius superveniens 
non toglie efficacia al giudicato che continua a regolare fatti e situazioni gi� 
verificatisi prima della sua formazione, ma opera soltanto per il futuro; in dottrina 
(S. MENCHINI, voce Giudicato civile in Il Diritto - Enciclopedia Giuridica 
del Sole 24 Ore, vol. VI, pag. 699-700) si precisa che �ogni successiva modificazione 
giuridica esula dai confini della cosa giudicata�. Quindi il principio 
di indifferenza del titolo costitutivo del diritto assoluto - operante nel caso 
delle domande cd. autodeterminate - � negato quando trattasi di titoli succeduti 
nel tempo: in questo caso la deduzione in giudizio di un titolo pi� recente pu� 
comportare un mutamento della causa petendi (ATTARDI, In tema di limiti oggettivi 
della cosa giudicata, Riv. Trim. Dir. Proc. Civ. 1990, pag. 475). 
Di conseguenza il giudicante ha reputato che il precedente giudicato non 
osta ad una nuova statuizione sul punto. All�uopo ha richiamato, condividendolo, 
quanto affermato dal Tribunale di Napoli con sentenza del 16 dicembre 
1972 (sempre sulla problematica de qua) secondo cui: �E� infatti principio del 
tutto pacifico che allorch� un singolo bene appartenente ad un privato, vuoi 
per la trasformazione dei suoi caratteri che gli abbia fatto assumere la natura 
di bene demaniale, vuoi per l�appartenenza ad una categoria che una legge sopravveniente 
abbia incluso nel demanio necessario, acquisti caratteristiche 
proprie del demanio necessario, il diritto di propriet� privata si contrae fino 
alla totale eliminazione, giacch� l�ordinamento giuridico vigente preclude che 
il bene possa formare oggetto di propriet� privata�. 
b) Pubblicizzazione di tutte le acque superficiali e sotterranee, a prescindere 
dall�uso. 
Con lo ius superveniens sopraevidenziato (art. 1 legge n. 36/1994, art. 
144 primo comma D.Lgvo n. 152/2006 e art. 1 comma 1 DPR n. 238/1999) � 
stato superato il pregresso regime delineato nel R.D. n 1175/1933 che ricollegava 
la qualit� di acque pubbliche all�attitudine ad usi di pubblico generale 
interesse; �Superamento determinato dall�avere il legislatore inteso attribuire 
carattere demaniale ex lege a tutte le acque, di qualsiasi natura (siano esse 
dolci, salmastre o saline), e siano o meno esse utilizzabili per un uso di pubblico 
generale interesse� (pag. 4 della sentenza del giudice delle acque). 
Il giudicante con ampia motivazione - richiamando il tenore letterale e 
l�interpretazione sistematica della normativa sopravvenuta, la tutela ampia 
del patrimonio idrico contenuta in quest�ultima, precedenti giurisprudenziali 
(sentenza n. 150/2005 del T.S.A.P., sentenza n. 259/1996 della Corte Costituzionale) 
- ritiene non condivisibile la tesi restrittiva dei resistenti secondo cui 
lo ius superveniens � da riferire esclusivamente ai corpi idrici di acqua dolce, 
da cui soltanto � possibile ricavare acque per consumo umano (potabile, casalingo, 
irrigazione, industriale�). 
Ad accogliere la tesi restrittiva dei resistenti verrebbe a configurarsi un - 
inammissibile - triplice regime delle acque: 1) acque dolci: pubbliche ex 1. n.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 231 
36/1994 e succ. mod.; 2) acque salse o salmastre idonee ai pubblici usi del 
mare: demaniali marittime cx art. 28 Cod. Nav.; 3) acque salse o salmastre 
non idonee ai pubblici usi del mare: private. Ci�, come detto, � inammissibile 
atteso che l�assetto legislativo della materia prevede una mera bipartizione tra 
demanio idrico e marittimo, con la conseguenza che un�acqua salmastra dichiarata 
estranea al demanio marittimo necessariamente appartiene a quello 
idrico e ricade quindi nell�ambito applicativo della legge n. 36/1994 e successive 
modificazioni. 
Avv. Michele Gerardo* 
(All. 1) 
CT 12012/05 GER 
TRIBUNALE REGIONALE DELLE ACQUE PUBBLICHE 
PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI 
RICORSO 
dell�Agenzia del Demanio e del Ministero per i Beni e le Attivit� Culturali, in persona dei 
rispettivi legali rappresentanti p.t., rapp.ti e difesi cx lege dall�Awocatura Distrettuale dello 
Stato di Napoli presso i cui uffici domiciliano in Napoli alla Via Diaz n. 11 
PREMESSO CHE 
1. nel Comune di Pozzuoli (provincia di Napoli) � ubicato un lago di origine lagunare denominato 
�lago Lucrino� detto anche �Mariciello�, spechio d�acqua costiero; 
2. il lago Lucrino � riportato nel N.C.T. al foglio 77 del Comune di Pozzuoli; ~ !~ ~ 
3. il lago Lucrino ha una superticie di 6,8 ha, un perimetro di 1250 metri e una larghezza di 
120 metri in media. Riceve apporti d�acqua da sorgenti termominerali, non quantificate. 
Il lago Lucrino � un lago costiero ad acqua salmastra, separato dal mare da una lingua di terra 
sabbiosa; 
4. il lago Lucrino occupa la met� di un�area pianeggiante stretta tra i rilievi di Monte Nuovo, 
Vulcano Averno e la propaggine settentrionale del vulcano dei fondi di Baia; 
5. la sponda meridionale del lago Lucrino � contrassegnata da una consistente pressione antropica 
per la presenza della strada litoranea, dalla linea ferroviaria, dagli stabilimenti balneari, 
da un centro sportivo, da un supermarket e da un ristorante edificato direttamente sul lago. 
Una arteria asfaltata permette la circumnavigazione; 
6. il lago in questione � avamposto dell�antico Portus Julius creato da Augusto nel 37 a.c. e 
presenta interesse archeologico. 
Recenti ricerche archeologiche condotte nel comprensorio del Lucrino, hanno permesso l�individuazione 
di numerosi complessi antichi, tra i quali quello del Balneum tritoli e delle stufe 
di Nerone. 
Al fine di una chiara descrizione fattuale e delle caratteristiche del lago Lucrino si produce 
(all�atto della costituzione in giudizio) relazione descrittiva del lago Lucrino redatta nell�anno 
(*) Avvocato dello Stato.
232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
2006 dell�Agenzia del Demanio, con corredo fotografico. 
7. Il lago in questione appartiene al demanio idrico e quindi proprietario ne � lo Stato ex art. 
822 1� comma c.c. secondo cui: �Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico 
(...) i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalla legge in materia�. Ci� 
ai sensi dell�art. 1 L. n. 36/1994 secondo cui: �Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorch� 
non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che � salvaguardata 
ed utilizzata secondo criteri di solidariet��, abrogato e sostituito poi dall�art. 144 1 
comma del D.L.vo 3 aprile 2005 n. 52 secondo cui: �Tutte le acque superficiali e sotterranee, 
ancorch� non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato�. In altri termini, 
il legislatore ha ritenuto il carattere demaniale tout court di tutte le risorse idriche, siano esse 
superficiali che sotterranee. 
Tale carattere � r�terato dal D.P.R. n. 238 del 18 febbraio 1999 il quale, all�art. 1 comma 1, 
stabilisce �Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico tutte le acque sotterranee 
e le acque superficiali, anche raccolte in invasi o cisterne�. 
Con tale nuova normativa risulta, quindi, superato il pregresso regime delineato dal R.D. 11 
dicembre 1933 n. 1775 che ricollegava la qualit� di acque pubbliche all�attitudine �ad usi di 
pubblico generale interesse� (art. 1 comma 1 R.D. n. 1775 cit.), avendo il legislatore operato 
a monte la scelta di riservare in via esclusiva al demanio dallo Stato la propriet� di tali risorse. 
Da quanto detto ne consegue l�inconfigurabilit� e, comunque, la caducazione di qualsivoglia 
diritto di natura privata sulle acque superficiali o sotterranee eventualmente sorto in virt� della 
pregressa normativa il quale si presenta quindi - confliggente e recessivo r�spetto alla sopraindicata 
normativa (L. n. 36/94, D.L.vo n. 152/06 e D.P.R. n. 238199) volta a salvaguardare le 
risorse idriche e l�ecosistema. 
Conseguenza di quanto detto � che sottoposto alla sopraindicata normativa � il lago di Lucrino 
il quale - come detto sopra - ha carattere demaniale ex lege e, come tale, di propriet� pubblica. 
8. in data 27 luglio 2005 con atto (del notaio Carlo Tafuri in Napoli Piazza Nicola Amore 14), 
Rep. N. 295062 - Raccolta 74213) � stato alienato per il prezzo di euro 845.000 il sopradescritto 
(ai punti da 1 a 5 della premessa) �Lago di Lucrino�. 
Parte alienante, dichiaratasi proprietaria, � stata S. C. nata a Bacoli il 01.11.1937, domiciliata 
in Napoli alla (omissis). 
Parte acquirente � stata la societ� ELGEA s.r.1. con sede in Napoli alla Via Consalvo 120/A 
in persona dell�Amministratore Unico Affabile Roberto, nato a Napoli il (omissis). 
In tale atto (del quale al momento della costituzione in giudizio se ne produrr� copia) il lago 
alienato viene - a pp. 2 e 3 - cos� descritto: �consistenza immobiliare sita in Pozzuoli (Napoli) 
- lago di forma irregolare denominato �Lago di Lucrino� o �Maric�ello� con relativa foce a 
mare attraverso apposito emissario sottopassante la Strada che da Pozzuoli porta a Miliscola 
e la Ferrovia Cumana; in Catasto Terreni: Foglio 77, P.lla 29 (gi� 29/a), ente urbano, ha 
7.89,85; - confinante con P.lla 149 (gi� facente parte della P.lla 29 originaria) nonch� con la 
P.lla 26 (che oggi comprende la 149) entrambe di propriet� della dichiarante, Via M�liscela e 
Strada Comunale di Circumvallazione del Lago di Lucririo. 
La detta propriet� pervenne alla dichiarante con atto Notaio Nicola Margarita di Napoli del 2 
luglio 1966, trascritto a Napoli il 22 luglio 1966 ai nn. 36889t15635�. Nell�atto or descritto 
del Lago Lucrino si dice che �trattasi di superficie lacustre� (pag.4) e si precisa altres� (pag. 
7) all�art. 9, che: �Le parti espressamente convengono che l�area di lago ex P.lla 149, oggi fa-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 233 
cente parte della P.lla 26, non � oggetto di vendita, rimanendo essa, sia porzione di lago, sia 
costruzione su di esso realizzata, di propriet� esclusiva d� essa signora S. C. �; 
9. stante la propr�et� demaniale del bene oggetto del trasferimento (sopradescritto alla premessa 
n. 8) e la conseguente inalienabilit� ai sensi dell�art. 823 c.c., dello stesso bene, si deduce 
la nullit� ex art. 1418 1� cornma e 823 1� comma c.c. dell�atto di compravendita 
sopraccitato alla premessa n. 8; 
10. l�Agenzia del Demanio � attributaria dell�amministrazione dei beni immobili dello Stato 
con il compito di razionalizzarne e valorizzarne l�impiego, mentre il Ministero per i Beni e 
le Attivit� Culturali esercita le attribuzioni spettanti allo Stato in materia di tutela, gestione e 
valorizzazione dei beni culturali e dei beni ambientali. 
E� interesse delle Amministrazioni in epigrafe, al fine della tutela delle materie delle quali 
sono attributarie, agire in giudizio al fine di accertare la propriet� demaniale - rectius di demanio 
idrico - del c.d. lago di Lucrino e delle sue pertinenze. 
Gli elementi costitutivi del bene del quale si chiede l�accertamento della propriet� demaniale 
sono formati dall�acqua, dall�alveo che la contiene, dalla riva che delimita l�alveo e dalla 
spiaggia, in uno alle relative pertinenze. 
Le Amm.ni in epigrafe si riservano di agire, con l�instaurazione di distinto e autonomo giudizio 
al fine - tra l�altro - di accertare altres� la qualit� (di demanio culturale del Lago di Lucrino e 
di conseguire la condanna dei possessori e/o detentori alla restituzione dello stesso in favore 
degli aventi diritto. 
Tutto ci� premesso le Amministrazione ut supra rapp.te e difese propongono 
RICORSO 
a codesto Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche al fine della tutela delle proprie ragioni 
e 
CITANO 
1) la sig.ra C. S. residente in Napoli alla Via (omissis) 
2) la Societ� ELGEA s.r.l. in persona del legale rapp.te p.t. domiciliato per la carica presso 
la sede sociale in Napoli (NA) alla Via Consalvo n. 120/A 
a comparire dinanzi al Giudice del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche pres so la Corte 
di Appello di Napoli delegato designando, nei soliti locali all�udienza del 24 maggio 2007 
ora di rito con invito a costituirsi nei termini di legge e con l�avvertenza che la mancata costituzione 
entro tale termine importer� l�applicazione delle decadenze previste per legge e la 
dichiarazione di contumacia per sentire accogliere le seguenti 
CONCLUSIONI 
voglia l�adito giudice accertare e dichiarare, nel contraddittorio dei convenuti, che il cd. Lago 
di Lucrino e le sue pertinenze -e quindi l�acqua, l�alveo che la contiene, la riva che delimita 
l�alveo e la spiaggia in uno alle relative pertinenze - descritto ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 delle 
premesse del presente atto appartiene, � di propriet� dello Stato con la qualit� di demanio 
idrico. 
In via istruttoria si produce: 
Copia conforme dell�atto di vendita redatto dal notaio Tafuri il 27/07/2005 n. 295062; 
relazione descrittiva del lago di Lucrino redatta nell�anno 2006 dall�Agenzia del Demanio 
con corredo fotografico. 
Si evidenzia che costituisce nozione di fatto che rientra nella comune esperienza la circostanza 
dell�esistenza e dei caratteri del lago di Lucrino. 
Il lago di Lucrino � riportato ordinariamente sulle carte geografiche della Campania.
234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Ove l�adito giudice ritenga non provati i fatti costitutivi delle pretese delle domande proposte 
nella presente sede, si chiede di essere ammessi alla prova testimoniale sui capitoli di prova 
costituiti dalle premesse nn. 1, 2, 3, 4 e 5 del presente ricorso anteponendovi le parole �vero 
che ..� e si indicano quali testimoni (omissis) domiciliati presso l�Agenzia del Demanio Filiale 
Campania - sede di Napoli. 
Il presente atto viene notificato anche alla Regione Campania, alla Provincia di Napoli e al 
Comune di Pozzuoli affinch� valutino di esperire intervento in giudizio per la tutela degli interessi 
pubblici dei quali sono rispettivamente attributari. 
Si dichiara che il valore della lite � indeterminato e che le Amministiazione in epigrafe non 
sono tenute al pagamento del contributo unificato delle spese del giudizio giusta la normativa 
di favore (ex plurimus aa. 59-61 D.P.R. n. 131/86, etc.) sulla presenza dello Stato nel giudizio 
e che le relative spese sono prenotate a debito. 
Napoli, 17 novembre 2006 
Michele Gerardo 
Avvocato dello Stato 
(All.2) 
CT 12012/05 RG. 185/06 
TRIBUNALE REGIONALE DELLE ACQUE 
PUBBLICHE 
PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI - G.D. DOTT. ORILIA 
UD. COLLEGIALE 07/12/2009 
MEMORIA ILLUSTRATIVA 
***** 
Dell�Agenzia del Demanio e del Ministro per i Beni e le Attivit� Culturali in persona dei 
rispettivi legali rappresentanti p.t., rapp.ti e difesi ex lege dall�Avvocatura Distrettuale dello 
Stato di Napoli, presso i cui uffici .domiciliano in Napoli alla Via Diaz, 11 
Nella lite contro 
1) La sig.ra C. S., rapp.ta e difesa in virt� di mandato dall�Avv.to Paolo Di Martino, presso 
il quale elettivamente domicilia in Napoli alla Riviera di Chiaia n. 180 
2) La Societ� ELGEA S.rl in persona del legale rapp.te p.t. rappresentato e difeso in virt� di 
mandato dagli Avvocati Stanislao Giammarino e Mario Ciancio e presso quest�ultimo elettivamente 
domiciliato in Napoli alla Via S. Carlo n. 16 
nel contraddittorio 
Della Regione Campania, in persona del legale rapp.te p.t.. domiciliato per la carica in Napoli 
alla Via S. Lucia n. 81 
nonch� nel contradclittorio 
della Provincia di Napoli, in persona del legale rapp.te p.t., rapp.to e difeso in virt� di mandato 
dall�Avv.to Aldo Di Falco con elezione di domicilio in Napoli alla Piazza Matteotti ti. 1. 
nonch� nel contraddittorie 
del Comune di Pozzuoli in persona del legale rapp.te p.t. domidiliato per la carica presso la 
Casa Comunale in Via Tito Livio n. 2 
***
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 235 
1) Con il presente atto le Amm.ni in epigrafe chiedono l�accoglirnento delle conclusioni rassegnate 
nel �Ricorso� introduttivo della lite atteso che l�evoluzione del procedimento de quo 
ha.conferrnato il quadro delineato nel citato ricorso. 
In specie si richiama la relazione descrittiva del lago cli Lucrino redatta nell�anno 2006 dall�Agenzia 
del Demanio con corredo fotografico prodotta all�atto della costituzione del giudizio. 
Inoltre si richiamano le �Controdeduzioni alla consulenza di parte� del 4/10/2007 dell�Agenzia 
del Demanio prodotte all�udienza del 23/10/2007. 
Inoltre si richiama la dissertazione pubblicata dal dr. M. Pagano sul lago Lucr�no depositata 
in Cancelleria il 12/02/2008 con �Nota di deposito�. 
Si richiama altres� il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione a S.U.n. 20756 del 
31/07/2008 prodotta all�udienza del 23/12/2008 dalla difesa della Soc. Elgea. 
*** 
2) Sulla fondatezza della domanda 
a) 11 lago di Lucrino � un lagq, ossia una depressione del suolo occupata da acqua. La descrizione 
dello stesso � contenuta nelle premesse da 1 a 6 del ricorso introduttivo del presente 
giudizio. In ordine alla classificazione del lago Lucrino come lago si richiamano le pagine da 
8 a 11 della relazione descrittiva del lago Lucrino prodotta all�atto della costituzione in giudizio 
e richiamata nel ricorso introduttivo della lite. 
Come detto nel ricorso il lago di Lucrino � riportato ordinariamente sulle carte geografiche 
riguardanti la Campania. 
Non riveste natura di demanio marittimo, ancorch� comunicante con un canale con il mare in 
quanto esso canale non riveste i requisiti del bacino �che al meno durante una parte dell�anno 
comunicano liberamente col mare� (art. 28 lett. b cod. nav.) come ampiamente argomentato 
dalla sentenza n. 6118/79 della Corte di Cassazione prodotta dalla controparte Elgea srl;. requisiti 
richiedenti 1� �attitudine oggettiva dello stesso ad essere utilizzato per fini di uso pubblico� 
(pag. 9 della sentenza n. 6118 citata). 
La sentenza n. 6118/79 della Corte di Cassazione ha statuito proprio sui dati fattuali del lago 
di Lucrino (escludendone la qualit� del demanio marittimo); sicch� le sue argomentazioni - 
ancorch� non aventi forza di giudicato nella odierna sede come si evidenzier� - sono pregnanti 
nel caso de quo. 
b) il lago di Lucrino appartiene al demanio idrico. All�uopo le Amm.ni in epigrde cos� dedussero 
nel punto 7 delle premesse (pag. 2) del ricorso introduttivo della lite. 
�il lago in questione appartiene al dernanio idrico e quindi proprietario ne � lo Stato ex art. 
822 1� comma c.c. secondo cui: 
�Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico (...) i fiumi, i torrenti, i laghi e 
altre acque definite pubbliche dalla legge in materia�. Ci� ai sensi dell�art.. 1 L. n. 36/1994 
secondo cui: �Tutte le acqie superficiali e sotterranee; ancorch� non estratte dal sottosuolo, 
sono pubbliche e costituiscono una risorsa che � salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di 
solidariet�� abrogato e sostituito poi dall�art. 144 1� comma del D.L.vo 3-4-2006 n. 152 secondo 
cui: �Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorch� non estratte dal sottosuolo appartengono 
al demanio dello Stato�. In altri termini, il legislatore ha ritenuto il carattere 
demaniale tout court d� tutte le risorse idriche, siano esse superficiali che sotterranee. 
Tale carattere � iterato dal D.P.R. n. 238 del 18.02.1999 il quale, all�art. 1 cornma 1, stabilisce; 
�Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico tutte le acque sotterranee e le
236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
acque superficiali anche raccolte in invasi o cisterne�. 
Con tale normativa risulta, quindi, superato il pregresso regime delineato dal R.D. 11.12.1933 
n. 1775 che ricollegava la qualit� di acque pubbliche all� attitudine �ad usi di pubblico generale 
interesse� (art. 1 comma 1 R.D.1775 cit.), avendo il legislatore operato a monte la scelta di 
riservare in via esclusiva al demanio dallo Stato la propriet� di tali risorse. 
Da quanto detto ne consegue l�inconfigurabilit� e, comunque la caducazione di qualsivoglia 
diritto di natura privata sulle acque superficiali o sotterranee eventualmente sorto in virt� della 
pregressa normativa il quale si presenta - quindi - confliggente e recessivo rispetto alla sopraindicata 
normativa (L. N. 36/94, D.L.vo n. 152/06 e D.P.R. 238/99) volta a salvaguardare 
le risorse idriche e l�ecosistema. 
Conseguenza di quanto detto � che sottoposto alla soprandicata normativa il lago di Lucrino 
il quale - come detto sopra - ha carattere demaniale cx lege e, come tale, di propriet� pubblica�. 
e) segue. I1 lago Lucrino appartiene al demanio idrico perch� presenta i connotati previsti 
dalla normativa attualmente disciplinante la materia. 
Va precisato, richiamando la sentenza n. 15O/05 del T.S.A.P. (pr�dotta dalla controparte Elgea 
srI) dichiarante demanio pubblico il lago d� Averno, che �l� art. 822 c.c. inserisce i laghi nel 
demanio pubblico, ma si deve ritenere che, prima della legge n. 36 del 1994 essi potessero 
qualificarsi demaniali, solo se aventi o destinati ad avere un uso di pubblico generale interesse, 
non essendo acque pubbliche semp1icemente per la loro esistenza come accade invece dopo 
il 1994� (art. 16-17 della sentenza). 
Va ancora precisato che nel vigore esclusivo del T.U. acque - accogliente una concezione restrittiva 
del concetto di demanio idrico rispetto alla successiva legge Galli - gli usi pubblici 
generali potevano essere i pi� vari: produzione di elettricit�, irrigazione, fornitura di acqua 
potabile, bonificazione dei terreni, attivit� industriali o ittiogenetiche o di destinazione a scorte 
idriche o antincendio, balneazione o diporto e usi assimilabili (cos� pag. 18 - 19 della citata 
sentenza n. 150/05); al fine di tali usi � irrilevante che l�acqua sia dolce o salmastra, potabile 
o non (cos� ancora p. 19 della citata sentenza n. 150/05 con riferimento specifico al lago di 
Averno). 
Poi va precisato che nella normativa attualmente disciplinatrice della materia non vi � alcuna 
limitazione nella individuazione dei requisiti connotanti come pubblica una data acqua, come 
peraltro gi� disciplinato nell�imperio del T.lJ. n. 1775 al lume di quanto appena detto sopra. 
Tutte le acque, senza limiti, superficiali e sotterranee appartengoto al demanio dello Stato (art. 
144 1� comma D.L.vo n. 152/06 e art.1 D.P.R. n. 238/99). 
La normativa non prevede quindi che alcune acque, o le acque dolci, o solo le acque salmastre 
o saline appartengono al demanio dello Stato. 
La normativa � chiara ed assoluta: tutte le acque, senza distinzione di uso quindi, (arg. ex aa. 
144 comma 2 e comma 3, 146 comma 1 lett. a, lett. a e comma 2 D.L.vo n. 152/06), superficiali 
e sotterranee appartengono al demanio dello Stato. 
La circostanza che la normativa sopravvenuta si riferisce a tutte le acque, prescindendo dall�uso, 
� confermata anche dalla Corte Costituzionale. 
La Corte intervenendo sulla costituzionalit� della cd. Legge Galli (art. 1 comma 1 L. 
05/01/1994 n. 36 poi sostituito dall�art. l44 D.L.vo n. 152/06, come sopra evidenziato) con 
le sentenze del 19 luglio 1996 n. 259 e 27 dicembre 1996 n. 419 pacificamente ha rilevato 
che tale legge si appl�ca a tutte le acque indiscriminatamente; in specie poi la citata sentenza 
n. 419/96 interveniva in una lite che aveva ad oggetto un fosso di bonifica raccogliente le
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 237 
acque meteoriche drenate dal terreno. 
Va evidenziato che, per tutto quanto dedotto, non rilevante, nel caso de quo - � la massima 
della sentenza n. 53/99 del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche secondo cui: �Le disposizioni 
della L. 5.1.1994 n. 37, laddove stabiliscono la demanialit� in ogni caso dei beni 
in essa contemplati (nella specie, del letto di un fiume), non sono applicabili in via retroattiva 
e, quindi; non hanno la forza d� modificare precedenti situa.ztoni giuridiche, tanto da estinguere 
diritti soggettivi su una determinata categoria di beni; pertanto tali norme non possono 
travolgere la propriet� privata dei beni gi� legalmente appartenenti ai privati� . 
In prima analisi, la massima! va calata al caso di specie deciso. Dalla complessiva lettura della 
sentenza si evince che veniva in rilievo una sdemanializzazione tacita del demanio idrico avvenuta 
prima della novella dell�art. 947 c.c. con la cd. legge Galli (novella statuente: �in ogni 
caso � esclusa la sdemanializzazione tacita dei beni del demanio idrico�). Ove la novella 
fosse stata applicata alla sdemanializzazione tacita gi� realizzatasi, ossia a s�tuaz�oni che alla 
data di entrata in vigore della legge Gallo non avevano - all�attualit� - alcunch� di connotabile 
come demanio idrico, effettivamente si sarebbe realizzata una applicazione retroattiva della 
legge. Il che - in mancanza di una previsione di retroattivit� prevista espressamente dalla legge 
- non � possibile. Quando la legge Gallo � entrata in vigore - nel caso deciso dalla citata sentenza 
n. 53 - non esisteva un bene avente i caratteri ontologici dell�acqua pubblica, ma un antico 
alveo dimesso sul quale i privati avevano eretto da decenni alcune opere edilizie. Una 
lettura piana della sentenza nr. 53/99 consente di acclarare quanto evidenziato. 
Dalla sopracitata massima non pu� per� argomentarsi che la legge Galli (e le successive) non 
riguarda le acque appartenenti a privati alla data della sua entrata in vigore. Difatti, ove un� 
acqua gi� privata alla data di entrata in vigore della l. nr. 37/94, abbia i connotati designati 
dall�art. 1 della legge citata, essa acqua diventa pubblica. 
Alcun limite del tipo evidenziato � applicabile. Ci� per una molteplicit� di ragioni. 
1) alcun limite vi � nella legge. Non viene in rilievo - nel caso sottoposto a codesto Giudice 
(diversamente dal caso deciso dal T.S.A.P. con la sentenza nr. 53/99) - un problema di applicazione 
retroattiva della 1egge. La retroattivit� implica la applicabiht� della legge a condotte, 
ad atti pregressi. Ma nel caso di specie vi � la disciplina di stati; di connotazione di beni che 
non pu� non riferirsi ad essi ben�; 
2) dalla parte motiva delle citate sentenze della Corte Costituzionale si evince che, chiaramente 
il giudice delle leggi reputa applicabile la legge Galli alle acque cos� come esistentii alla data 
di entrata in vigore della L. n. 36/ 94; 
3) La L. n. 36/94 non pu� che applicarsi alle acque esistenti. Implausibile � la applicazione 
ad acque future. 
*** 
3) Infondate sono le eccezioni sollevate dalle convenute. 
A) Sulla legittimazione attiva dell�Amm.ne per i Beni e le Attivit� culturali. 
Nella odierna lite si discute dell�accertamento della propriet� pubblica del cd. lago di Lucrino 
contestata da privati, tanto che questi ultimi hanno alienato il cespite in questione. All�evidenza 
la qualit� pubblica del cespite consente in maniera adeguata l�esercizio delle attribuzioni 
del Ministero, viceversa non esercitabili con analoga efficacia ove il cespite fosse 
qualificato privato. 
In ordine alla qualit� pubblica e, tra l�altro, di bene culturale del lago di Lucrino si richiama 
quanto detto negli atti di causa e in specie la dissertazione prodotta il 12/2/2008 nella quale 
si d� compiuntamente conto di tutti quei complessi antichi che sorgevano e sorgono sulle rive
238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
del lago, di cui non pu� sottacersi l�intrinseco valore archeologico cu1turale derivante dal 
suo costituire, in uno con il bacino del lago d�Averno, il complesso augusteo del Portus Julius. 
Tale situazione, come evidenziato nel punto 10 delle premesse del ricorso introduttivo della 
odierna lite, legittima ad agire il Ministero in epigrafe al fine della idonea tutela delle materie 
delle quali � attributario. 
B) Sul rapporto tra l�odierna lite e quella introdotta dalla signora S. nel dicembre 1995. 
Le convenute Elgea S.r.l. e S. C. lamentano la litispendenza e/o continenza - chiedendo anche 
la sospensione per pregiudizialit� ex art. 295 c.p.c. dell� odierno giudizio rispetto a quello introdotto 
dalla signora S. nell�anno 1995 nel quale il Ministero dell�Economia e delle Finanze 
avrebbe proposto domanda riconvenzionale di accertamento della demanialit� del lago di Lucrino. 
Le difese di controparte sul punto sono infondate per almeno tre ordini di ragione: 
a) alcun rapporto pu� esistere tra i due soprandicati giudizi atteso che gli stessi - coinvolgono 
soggetti diversi. Per i principi in materia � richiesta la identit� dei soggetti coinvolti nelle 
due liti (tra le quali individuare un rapporto di litispendenza e/o - continenza e/o pregiudizialit� 
implicante, la necessit� della sospensione). Nell�odierno giudizio vi � l�Agenzia del Demanio 
persona giuridica di diritto pubblico ed ente pubblico economico del tutto distinta dal 
M�nistero dell�Economia e delle Finanze; poi nel giudizio introdotto nel dicembre 1995 sono 
estranei, tra gli altri, anche il Ministero per i Beni e le Attivit� Culturali, la Soc. Elgea sri e la 
Regione Campania; 
b) nel giudizio instaurato nel 1995, come pu� agevolmente pu� desurnersi dallo svolgimento 
del processo contenuto nella sentenza n. 20756/08 della Corte di Cassazione, il Ministero non 
ha proposto la domanda riconvenzionale descritta dalla controparte; 
c) il rapporto di litispendenza continenza e/o pregiudizinlit� ex art . 29 cpc lamentato dai convenuti 
� espressamente escluso anche dalla citata sentenza n. 20756/08 della Corte di Cassazione; 
C) Sulla competenza dell�adito giudice 
Le convenute eccepiscono che l�adito giudice � incompetente in quanto la competenza spetta 
al Tribunale Ordinario. 
La competenza per i principi in materia (arg. ex art. 10 c.p.c.) � determinata in base alla domanda. 
Con il ricorso introduttivo dell�odierno giudizio le Amm.ni in epigrafe hanno proposto 
la domanda di accertamento delle propriet� dello Stato a titolo di demanio idrico del cd. lago 
di Lucrino e delle sue pertinenze. Tale lite rientra cx art. 140 lett. a) r.d. 11/12/1933 n. 1775 
nella cognizione dell�adito giudice. Che un tale principio si applichi al caso di specie si desume, 
implicitamente e nel complesso, dell�ob�ter contenuto a pag. 9 della citata sentenza n. 
20756/08 della Corte di Cassazione a S.U. Tale sentenza ha rigettato l�eccezione di difetto di 
giurisdiziore del giudice ordinario - eccezione basata sul rilievo che �la demanialit� idrica � 
attribuita al Giudice delle Acque (Trap e Tsap)�- per due ragioni: la prima perch� la domanda 
di pronuncia sull�accertamento della demanialit� idrica � stata ritenuta nuova e la seconda 
perch� il rapporto tra il giudice ordinario e quello specializzato non pone una questione di 
giurisdizione ma di competenza. 
Non ha affermato la Cassazione, n� poteva per la chiara disciplina in materia, che la cognizione 
sulla demanialit� idrica non � attribuita al giudice delle acque. 
Le sentenze citate dalla convenuta Elgea S.r.l. (sentenza n. 22/61 del Tribunale Superiore delle 
Acque Pubbliche e sentenza n. 6118/79 della Corte di Cassazione) non sono pertinenti nel 
caso di specie per i motivi che si illustrano: 
a) il giudicato contenuto nelle citate sentenze non si estende alle Arnm.ni in epigrafe, soggetti
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 239 
giuridici distinti ed autonomi rispetto a quelli coinvolti nei giudizi sfociati nelle due sopracitate 
sentenze. Ci� per i limiti soggettivi del giudicato ex art. 2909 c.c. che richiede l�identit� di 
persone, petitum e causa petendi. Va precisato che - diversamente da quanto opinato dalla 
convenuta S. (pag. 11 della comparsa di risposta) - tra il Ministero delle Finanze e I� Agenzia 
del Demanio si � avuta una mera vicenda organizzatoria; 
b) i giudicati contenuti nelle due sentenze COMUNQUE - ossia anche a volere estendere esso 
giudicato alle Amministrazioni n epigrafe - non operano nel presente giudizio per il principio 
secondo il quale il giudicato copre il dedotto ed il deducibile ma non quello che non era ancora 
deducibile, ossia i fatti sopravvenuti. 
Fatto sopravvenuto che nel giudizio di specie � costituito dalla cd. legge Galli (L. n. 36/1994 
poi recepita nel D. Lvo 3/7/2006 n. 152) che ha diversamente configurato, ampliando1i, iconnotati 
costitutivi del concetto di demanio idrico. Tale circostanza � evidenziata anche nella 
sopracitata sentenza n. 20756/08 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite enunciante �essendo 
evidente l�errore in cui � in corso la Corte di Appello di Napoli, facendo da un lato riferimento 
a giudicati formatisi in epoca precedente alla entrata in vigore della legge n. 36 del 
1994 sulla base della quale andrebbe affermata la demanialit� idrica (....)� (pp.9-10 della sentenza). 
e) le due sentenze citate dalla controparte non dicono quanto affermato dalla stessa. Non � 
esatto che la sentenza n. 6118/79 della Cassazione (prodotta dalla convenuta Elgea S.r.l) �ha 
definitivamente chiarito la natura marina delle acque del lago di Lucrino�; la sentenza in 
esame ha escluso che il lago di Lucrino costituisce un bene demaniale marittimo ex art. 28 
cod. nav., in quanto la situazione attuale del bene (ristrettezza del canale di collegamento del 
lago con il mare ) esclude una comunicazione libera col mare almeno una parte dell�anno 
(pag. 8 della sentenza). 
Non � esatta l�affermazione della convenuta Elgea S.r.l. secondo cui �la non appartenenza al 
demanio idrico del lago di Lucrino e quindi l�incompetenza di questo Tribunale � stata accertata 
con sentenza del Tribunale Superiore delle Acque del 22.12.1961 n. 22/61 emessa a seguito 
di appello avverso la sentenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la 
Corte di Appello di Napoli n. 9/60 del 26.10.1960, sulla considerazione che versavasi in tema 
di acque marittime� difatti in tale sentenza il giudice si ritenne competente - confermando la 
sentenza di primo grado sul punto - in ordine all�accertamento della qualit� pubblica o meno 
delle acque del lago di Lucrino, mentre si ritenne incompetente sulla problematica della qualificazione 
del lago di Lucrino come demanio marittimo; quanto ora evidenziato si evince 
dalla sentenza n. 6207/90 (pp.9-lO) del Tribunale di Napoli, dalla sentenza n. 11576/72 (pag. 
16) del Tribunale di Napoli prodotte in giudizio dalla controparte Elgea S.r.l. 
Va precisato poi - che il giudizio sfociato nella sentenza n. 22/61 del Tribunale Superiore delle 
Acque Pubbliche coinvolgeva l�accertamento della qualit� di acqua pubblica del Lago di Lucrino 
alla stregua della disciplina e dei requ:isiti contenuti nell�art. 1, del T.U. sulle acque (n. 
1775/33), requisiti richiedenti un uso di pubblico generale interesse delle acque. Uso non pi� 
richiesto a partire dalla cd. Legge Galli in poi. 
Va evidenziato che nel procedimento - in primo e in secondo grado - sfociato nella citata sentenza 
n. 22/61 del T.S.A.P. nell�individuare i requisiti acch� si qualificasse pubblica un�acqua 
Sri si tenne in considerazione la natura dolce o salmastra del lago. Vuol dirsi che la natura 
dolce o salmastra delle acque gi� nel regime esclusivo del T.U. acque era neutra al fine della 
qualificazione dell�acqua come pubblica. 
Ancora non pertinente � il richiamo fatto dalla controparte Elgea S.r.l. alla sentenza n. 150/03
240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
deI Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche affermante la natura di demanio idri co del 
lago d�Averrio. Tale sentenza, dichiarante la natura di demanio idrico del lago di Averno nel 
regime dell�art. 1 T.IJ. n. 1775/33 (ossia prima della cd. Legge Galli) contiene un mero richiamo 
alle statuizioni della sentenza del Tribunale delle Acque Pubbliche di Napoli del 
26/10/1960 n. 9; peraltro tale richiamo (pag. 15 della sentenza n. 150/03) correttamente precisa 
che il T.R.A.P. escluse ILLO TEMPORE (ossia nella v�genza esclusiva del T.U. 1933 n. 
1779 art. 1) la natura di demanio idrico del lago di Lucrino, che �ha ritenuto solo virtuale e 
possibile ma non probabile l�uso dell�invaso citato per fini pubblici e generali�; per il resto 
tale sentenza - come s� dir� in seguito - somministra elementi in favore della natura pubblica 
delle acque del lago di Lucrino. 
*** 
D) In ordine alle ulteriori deduzioni della societ� Elgea Sr.l. (fatte proprie anche da C. 
S.). 
a) Alcuna rilevanza, al lume di tutto- quanto sopra evidenziato e anche al lume delle deduzion� 
su limiti soggettivi del giudicato e sullo ius superveniens costituito dalla legge n. 36/94, hanno 
le numerose pronunce evidenziate dalla controparte a pagg. 11,12 e 13 della propria comparsa. 
Si precisa - per quanto non influente per il caso di specie alla luce dello ius supervenieris - 
che con la sentenza n. 6207/90 del Tribunale di Napoli � stato riconosciuto un diritto all�indennizzo 
alla S., ma non � stata accertata con efficacia di giudicato la titolarit� del diritto di 
propriet� da parte della S. 
Il punto peraltro � sub iudice nel giudizio nel quale � intervenuta la sentenza della Corte di 
Cassazione a Sezioni Unite n. 20756/08 sopracitata. 
Si precisa ancora - per quanto non influente per il caso di specie alla luce dello ius superveniens 
- che nelle sentenze del Tribunale del 29/5/1972, della Corte di Appello di Napoli del 
2/7/1976 e della Corte di Cassazione n. 6118/79 non contengono l�accertamento della propriet� 
del sig. G. S. dante causa di C. S. 
Si rileva altres� - per quanto non influente per il caso di specie alla luce dello ius supervenienis 
- che, come gi� evidenziato sopra, erronea � l�affermazione della convenuta Elgea srl (a pag. 
9 della comparsa) secondo cui il Tribunale Regionale delle Acque pubbliche nel 1960 avrebbe 
accertato che nel caso di specie �versavasi in tema di acque marittime�; una lettura piana della 
sentenza conferma quanto or dedotto. 
Da ultimo si precisa che le Amm.ni attoree diversamente da quanto ritenuto da controparte 
(pag. 13 della comparsa) non tornano su detto argormento �fingendo di ignorare l�ampio dibattito 
gi� sviluppatosi e le conclusioni a cui esso � pervenuto�. 
Difatti fin dal ricorso introduttivo della lite si � precisato (punto 7 delle premesse) che lo ius 
supervenies (legge Galli e successive) comporta �l� inconfigurabilit� e, comunque, la caducazione 
di qualsivoglia diritto di natura privata sulle acque superficiali e sotterranee eventualmente 
sorto in materia dalla pregressa normativa il quale si presenta - quindi - confliggente 
e recessivo rispetto alla sopraindicata normativa (L. 36/94 D.L.vo 152 (96 e D.P.R. n. 
238/99)�. 
b) Infondati sono alla luce di quanto sopra precede, le deduzioni in ordine alla non invocabilit� 
dell�art. 1 L. n. 36/94. 
Difatti l�interpretazione restrittiva della controparte non � rinvenibilc nella normativa disciplinatrice 
della materia; il lago Lucrino non costituisce acqua marina; se tale fosse verrebbe 
in rilievo il demanio marittimo (il che non �, come rileva anche la controparte). Le acque del
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 241 
Lucrino o ricadono nel demanio marittimo o in quello idrico. Sicch� ove si dichiari che le 
acque del Lucrino siano estranee al demanio marittimo devono dirsi necessariamente appartenenti 
a quello idrico e allora ricadere nell�ambito applicativo della L. 36/94 e D.L.vo n. 
152/06. 
All�uopo si richiamquanto detto sopra in ordine alla avvenuta pubblicizzazione d� tutte le 
acque a prescindere dall�uso. 
Non pertinenta � il - citato dalla controparte Elgea - decreto del 13.03.1995 del Ministro per 
i Beni Culturali e Ambientali che avrebbe dichiarato di interesse particolarmente importanante 
l�invaso del lago Lucrino. E� da ritenere infatti che l�Amm.ne attese le risultanze catastali e 
al fine della tutela anche - tuzioristica dell�area - ha adottato il decreto de quo; decreto inutile 
alla luce della natura ontologica del bene. Peraltro tale decreto non risulta mai stato notificato 
ai destinatari. 
c) Infondati sono i rilievi della convenuta in ordine alla rappresentazione delle caratteristiche 
del lago Lucrino. 
In ordine ai caratteri del Lucrino si richiama quanto detto nel ricorso introduttivo, nella relazione 
descrittiva redatta nell�anno 2006, allegata al ricorso introduttivo e nella ulteriore relazione 
datata 04/10/2007 prodotta all�udienza del 23/10/2007. 
In tale ultima relazione, a proposito del parere del prof. Luciano Ferrara prodotto dalla convenuta 
Elgea all�atto della costituzione in giudizio, si evidenzia che quest�ultimo non apporta 
sostanziale nuovi elementi di reale contrapposizione alla descrizione fatta dall�Amm.ne, ma 
alcuni approfondimenti di carattere biologico rappresentanti un contributo per la maggior conoscenza 
dell�ambiente del lago salato costiero o laguna salmastra/salata. 
Nella .relazione del 04/10/2007 si osserva altres�: 
�A proposito di questa ultima locuzione (laguna salmastra/salata), nella relazione di [controparte], 
risulta la proposizione di una diversa terminologia di individuazione del �Lago di Lucrino�, 
sostituito appunto dalla locuzione �laguna salmastra/salata� che sembra, nello - 
scenario disegnato dal consulente di contro parte] - proporre quasi un diverso ambiente naturale. 
In buona sostanza, per quanto riguarda l�individuazione degli elementi caratterizzanti, utili a 
determinare l�attribuzione di un certo status giuridico allo specchio acqueo in questione per 
l�accertamento della propriet� al demanio dello Stato o al privato, le due locuzioni hanno esattamente 
la stessa valenza. 
Al fine di non intervenire in seguito su tale argomento, si richiama da subito, la pubblicazione 
�Le lagune costiere: ricerca e gestione� autori gli esimi professori G.C. Canada, F. Cicogna, 
E. Fresi ed in particolare il capitolo �Lagune e stagni costieri� ove nella introduzione, parlando 
d� terminologia riportata nelle cartografie nazionali, si evidenzia, in relazione alla impropriet� 
degli utilizzo di termini adoperati appunto nelle cartografie: �Delle stesse impropriet� non 
sono esenti le cartografie di altri paesi dove analoghi ambienti, vuoi per le dimensioni, vuoi 
per la tradizione volgare, vuoi per le definizioni idiomatiche locali, vengpno definiti a seconda 
dei casi <mari> (Olanda), <laghi> (Egitto, USA), <bacini> (USA)�. - 
Inoltre al capitolo �Definizione di laguna e stagno costiero� chiarisce: �le lagune esistono 
solo in presenza di maree (.... )�... , per laguna si intende un bacino costiero, dominato dalle 
maree, separato dal mare da un cordone litorale (insieme di lidi), ma comunicante con esso 
attraverso bocche (foci) lagunari.�( ....) i termini <bacino>, <mare>, <lago> , riferibili ad analoghe 
situazioni costiere rientrano nei tipi sopra definiti....�. 
Nella citata relazione vi � anche la classificazione del CNR che riporta il lago Lucrino nei
242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
laghi italiani e riproduce la scheda tecnica relativa allo stesso. 
La citata relazione quindi conclude: 
�Concludendo la vasta trattazione sviluppata nelle relazioni, - si pu� affermare che lo specchio 
acqueo che identifica il lago di Lucrino, deriva dalla separazione a mezzo di un cordone sabbioso, 
da un braccio di mare aperto (Golfo di Lucrino), per evoluzione geomorfologica della 
linea di costa. 
Il Lago infatti - presenta fondali sabbiosi, � invaso dall�acqua di mare (demanio pubblico marittimo) 
con cui comunica a mezzo della bocca/foce (opere appartenenti al demanio pubblico 
marittimo), e riceve apporti di acqua dolce di origine termale (demanio pubblico idrico) dalle 
vasche di Pollio e dalle Stufe di Nerone (concessionarie), a mezzo di. un canale che immette 
al lago. 
Inoltre la flora e la fauna ivi presente, � marina. - 
Si sottolinea, che nessuna caratteristica geomorfologica del Lago, che si identifica nel suo 
stesso specchio acqueo, ci riporta a conclusioni divese dal defmire l�intero impianto del Lago 
di Lucrino appartenente al demanio pubblico dello Stato�. 
d) la societ� Elgea S.r.l. deduce che l�Amm.ne avrebbe introdotto la odierna lite in via temeraria 
e richiama l�art. 96 c.p.c. che espressamente prevede l�obbligo di risarcimento del danno 
da liquidarsi anche d�ufficio. Motiva tale deduzione sulla base del fatto che: 
- l�Amm.ne avrebbe agito non tenendo conto dell�ampio dibattito sviluppatosi in tema di propriet� 
del lago di Lucrino e delle conclusioni alle quali � pervenuta la giurisprudenza; 
- l�Ammn.ne avrebbe fornito false informazioni anche a mezzo di una imprecisa e parziale 
relazione predisposta dalla stessa Agenzia del Demanio 
- l�Amntne avrebbe introdotto l�odierna lite sconsigl�ata dalla Capitaneria di Porto di Napoli 
(come descritto a pag. 18 della comparsa) con la nota del 1/11/2005 (prodotta in giudizio dalla 
Elgea) in riscontro alla nota dell�Avvocatun Distrettuale dello Stato del 13/09/2005 con la 
quale si chiedevano alle Amm.ni notizie al fine di valutare la instaurazione della odierna lite. 
Tali motivazioni sono erronee: 
- l�Amm.ne ha tenuto conto di tutto il pregresso ed ha reputato che la normativa sopravvenuta 
(L. n. 36/94, D.L.vo n. 152/06 D.P.R. n. 238/99) modificasse lo stato delle cose; 
- l�Amm.ne in modo corretto con rilievi fotografici e rinvio al notorio, ha rappresentato i dati 
fattuali; 
- !�Arnm.ne ha raccolto dati e notizie dalle varie articolazioni dell�Amm.ne Statale sul problema 
e all�esito di attenta istruttoria ha reputato - a tutela degli interessi erariali - proponibile 
l�azione. Conseguenza di ci� � che le considerazioni espresse nella - nota - del 07/01/2005 
della Capitaneria di Porto di Napoli (peraltro estranea al giudizio de quo) sono state reputate 
non condivisibili. 
L�Amm.ne ha svolto un ampio e articolato lavoro con un ampio carteggio intercorso con l�Avvocatura 
dello Stato, suo organo legale. Ci� al fine di evitare appunto, di instaurare liti temerarie 
ed aggravare il carico di lavoro dei Tribunali. 
L�Amm.ne evidenzia che i due documenti prodotti dalla convenuta Elgea - nota dell�Avvocatura 
dello Stato del 13/09/2005 di richiesta di notizie e nota della Capitaneria di Porto di 
Napoli del 07/11/2005 di riscontro, ambedue antecedenti all�instaurazione della lite - sono 
sottratte al diritto di accesso in virt� dell�art. 2 del D.P.C.M. 26/1/1996 n. 200 sull�accesso 
dei documenti pertinenti l�Avvocatua dello Stato il quale recita: 
�Ai sensi dell�art. 24, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, in virt� del segreto professionale 
gi�. previsto dall�ordinamento, al fine di salvaguardare la riservatezza nei rapporti
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 243 
fra difensore e difeso sono sottratti all�accesso i seguenti documenti: - - 
a) parere resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza; 
b) atti defensionali; 
e) corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e b)�. 
All�evidenza, con la produzione dei due documenti � stato violato il segreto professionale. 
E) In ordine alle ulteriori deduzioni di S. C. 
a) la convenuta S. - pp. 9-11 della comparsa di risposta - si vanta titolare dcl bene venduto 
alla Societ� Elgea srl e, tra l�altro, richiama i giudicati formatisi nel passato inter partes evidenziando 
altres� che al sopravvenire della legge Galli e s.m.i. - in presenza di diritti reali - 
non importa la variazioni del rapporto reale posto a fondamento del petitum) e, pertanto, non 
vale ad impedire la preclusione dcl giudicato (all�uopo si richiama Cass n. 6627/98). 
Come gi� evidenziato sopra, quanto dedotto dalla contrcpatte contrasta con il principio secondo 
cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile (tale � il caso dcciso da Cass..6627/98 
al punto 1A del DIRITTO) ma non anche quello che non era ancora deducibile (nella sentenza 
citata n. 6627/98 al punto 1 .B del DIRITTO la deduzione del ricorrente dell�acquisto per usucapione 
in un momento successivo a quello di un precedente giudicato � stata dichiarata inammissibile 
perch� non prospettata nel precedente stadio processuale) ossia, i fatti sopravvenuti, 
sia eventi fenomenici che nuove norne. 
Vuoi dirsi: non vi � - come gi� evidenziato sopra - un problenna di caducazione del giudicato. 
I1 giudicato resta in piedi. Solo che la legge, con efficacia EX NUNC, a partire dal 1994 (entrata 
in vigore della legge Galli ha pubblicizzato le acque che in precedenza erano private. 
L�effetto del giudicato si mantiene - nel caso di specie - fino al 1994. 
Dal 1994 in poi vi � una nuova disciplina. 
E� principio comunemente accettato che l�autorit� della cosa giudicata preclude la deduzione 
in un nuovo giudizio di fatti o norme precedenti la sua formazione, allo scopo di cancellarla 
o modiflcar1a, mentre non preclude la deduzione e l�esame di norme e fatti sopravvenuti ed 
idonei a produrre effetti giuridici nuovi e, perci� estranei alla materia a suo tempo dedotta in 
giudizio, (S. Menchini voce Giudicato civile in Il Diritto - Enciclopedia Giuridica del Sole 
24 ore vol. VI p. 699-700 il quale precisa: �ogni successiva modificazione giuridica esula 
dai confini della cosa giudicata�). 
Lo ius superveniens non toglie efficacia al giudicato, che continua a regolare fatti e situazioni 
gi� verifatisi prima della sua formazione, ed opera cos� soltanto per il futuro. 
Il principio di indifferenza del titolo costitutivo del diritto assoluto o dello status � negato 
anche quando trattasi di titoli succeduti nel tempo: in questo caso la deduzione in giudizio - 
di un titolo pi� rec�nt� pu� comportare un mutamento della causa petendi (Attardti, In terna 
di limiti oggettivi dellal cosa giudicata (Riv. Trim. proc. civ. 1990. 475). 
Tali principi sono stati, in misura piana, applicati anche dal Tribunale di Napoli nella citata 
sentenza n. 11576/72 (s�mpre sulla problematica de qua); all�uopo il giudice ha precisato: �E� 
infatti principio del tutto pacifico che allorch� un singolo bene appartenente ad un privato 
vuoi per la trasformazione dei suoi caratteri che gli abbia fatto assumere la natura di bene 
demaniale, vuoi per l�appartenenza ad una categoria che una legge sopravveniente abbia incluso 
nel demanio necessario, acquisti caratteristiche proprie del demanio necessario, il diritto 
di propriet� privata si contrae fino alla totale eliminazione, giacch� l�ordinamento 
giuridico vigente preclude che il bene possa formare oggetto di propriet� privata� (pp. 26-27 
della sentenza). 
b) Non fondata � l�eccezione della S. di estensione del giudicato anche al Ministero per i Beni
244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
e le Attivit� Culturali (come dedotto a pag. 11 e 12 della comparsa di risposta). 
Non pertinente � la giurisprudenza richiamata (Cass. 7523/07 e Cass. 4864/07) in tema di efficacia 
riflessa del giudicato nei confronti dei soggetti estranei al rapporto processuale. Difatti, 
tale efficacia riflessa presuppone che il soggetto estraneo vanti un diritto dipendente dalla situazione 
definita in quel processo. Ma, come peraltro precisa la citata sentenza nr. 7532/07, 
�tali effetti riflessi sono impediti tutte le volte in cui il terzo vanti un proprio diritto autonomo 
rispetto al rapporto in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile che 
quegli ne possa ricevere un pregiudizio giuridico�. 
Nel caso di specie, all�evidenza, il Ministero vanta un diritto autonomo. 
Tutto ci� detto 
si insiste 
acch� vengano accolte le conclusioni rassegnate nel ricorso introduttivo della lite. 
Napoli 25 novembre 2009 
Michele Gerardo 
Avvocato dello Stato 
Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte d�Appello di Napoli, sentenza 
10 febbraio 2010 n. 17 - Pres. Gallo, Est. Dacomo - Agenzia del Demanio e Ministero per i 
Beni e le Attivit� Culturali (avv. Stato M. Gerardo) c. Elgea srl (avv.ti S. Giammarino e M. 
Ciancio), S. C. (avv. P. Di Martino). 
(Omissis) 
Motivi della decisione 
La domanda dei ricorrenti - entrambi legittimati, 1�Agenzia del Demanio quale attributaria 
dell�amministrazione dei beni immobili dello Stato, ed il Ministero dei Beni e delle Attivit� 
Culturali in quanto esercitante le attribuzioni spettanti allo Stato in materia di tutela, gestione 
e valorizzazione dei beni demaniali - investe unicamente la titolarit� del lago di Lucrino a 
titolo di demanio idrico, essendo stata esclusa la sua natura di demanio marittimo, come da 
precedenti giurisprudenziali. La sentenza n. 6118/1979 della Suprema Corte, per quanto non 
emessa nei confronti di tutte le parti in causa, ha escluso infatti la appartenenza del Lago al 
demanio marittimo per la mancanza della sua attitudine oggettiva ad essere utilizzato per fini 
di pubblico uso; e comunque non � posta in questa sede (e peraltro questo Tribunale sarebbe 
incompetente a deciderla) la questione inerente appunto la sussistenza delle caratteristiche di 
cui all�art. 28 del codice della navigazione. 
In relazione alla natura di demanio idrico, che costituisce unico oggetto dei presente giudizio, 
ed in relazione al quale � pertanto da ritenersi la competenza di questo tribunale specializzato, 
come peraltro gi� statuito in sentenza n. 9/1960 di questo Tribunale confermata dal TSAP con 
sentenza depositata il 9.12.1961 (che ha dichiarato la incompetenza del Tribunale delle Acque 
Pubbliche solo in relazione domanda di demanialita marittima del lago di Lucrino, confermando 
nel resto la sentenza che in primo grado aveva ritenuto la propria competenza in ordine 
alla domanda di riconoscimento di demanialit� idrica, respingendola poi nel merito), va detto 
che nessuna rilevanza assumono i precedenti giurisprudenziali richiamati dalle parti (vedi 
anche Cass. n. 20756/2008). Infatti la piena propriet� del lago da parte d� S.G., dante causa di
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 245 
S. C. e quindi della Elgea srl, come gi� riconosciuta giudizialmente, in base alla normativa 
esistente al momento delle pronunce richiamate, � stata contestata dalle ricorrenti esclusivamente 
in conseguenza della normativa sopravvenuta di cui allo art.1 legge n. 36/1994, secondo 
cui �tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorch� non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche 
e costituiscono una risorsa che � salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidariet��; 
norma abrogata e sostituita poi dall�art. 144 comma 1 del D.L.vo 3.4.2006 n. 152 
secondo cui �tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorch� non estratte dal sottosuolo, appartengono 
al demanio dello Stato�. 
Con tale normativa sarebbe infatti stato superato il pregresso regime delineato dal R.D. n. 
1775/1933 - che ricollegava la qualit� di acque pubbliche alla attitudine ad usi di pubblico 
generale interesse -, e dall�art. 822 cc - che doveva parimenti essere interpretato con riguardo 
alla necessaria sussistenza della attitudine a soddisfare un pubblico interesse: vedasi sentenza 
TRAP n. 9/1960, confermata dal TSAP, pronunciata nei confronti del Ministero dei Lavori 
Pubblici e delle Finanze e vincolante nei confronti degli attuali ricorrenti quali enti parimenti 
rappresentativi dello Stato e facenti parte della sua Amministrazione e che aveva costituito il 
substrato normativo per il riconoscimento della propriet� privata del lago; superamento determinato 
dall�avere il legislatore inteso attribuire carattere demaniale ex lege a tutte le acque, 
di qualsiasi natura (siano esse dolci, salmastre o saline), e siano o meno esse utilizzabili per 
un uso di pubblico generale interesse. 
Appare pertanto risolutivo esaminare se detta nuova normativa sia da interpretare come sostenuto 
dai ricorrenti, e sia applicabile alla fattispecie. Va detto in primo luogo che anche i resistenti 
non hanno dubitato della portata innovativa della cd. legge Galli (vedasi comparse di 
costituzione) in punto di estensione cx lege del carattere demaniale pur in assenza di una attitudine 
ad un uso pubblico; ed in effetti anche Cass. S.U. n. 10876/2008 evidenzia come la 
nuova normativa confermi la tendenza legislativa ad estendere l�ambito delle acque pubbliche 
indipendentemente dal pubblico generale interesse. Ora, risulta accertato in punto di fatto che 
il lago di Lucrino, di origine vulcanica, ҏ alimentato principalmente dalla acque pluviali e 
dalle sorgenti termominerali di San Filippo; e che se non fosse in comunicazione con il mare, 
avrebbe un livello appena leggermente pi� basso di quello che raggiunge attualmente nella 
fase di massima escursione della marea sicch� esso � una unit� idraulicamente ed idrologicamente 
indipedente e non pu� considerarsi come un�appendice del mare che si insinua naturalmente 
nella terra. Quanto alla comunicazione con il mare, essa � artificiale essendo 
stata aperta nel XVII secolo ed allargata nel 1873 daI proprietario ... L�afflusso ed il deflusso 
delle acque marine � regolato da un portellone... non vi sono, in altre parole, fattori dinamici 
naturali idonei a porre le acque del lago in comunicazione con il mare....L�opera dell�uomo 
� stata quindi il presupposto indispensabile ed insostituibile per la creazione della comunicazione
� (cos� la sentenza del Tribunale di Napoli del 16 febbraio 1972); e che ҏ alimentato 
da acque saline provenienti dall�invasione di alta marea nello emissario, ma anche da acque 
dolci provenienti da precipitazioni e da falde sotterranee; esso comunica con il mare mediante 
un solo canale chiuso con saracinesca azionato dalla mano dell�uomo; ... � evidente che ci 
troviamo di fronte ad una di quelle tipiche valli salmastri o bacini chiusi appartenenti alle 
acque interne di cui � concepibile la privata propriet� a dIfferenza delle lagune vive, che si 
appartengono alle acque marittime� (cos� sentenza TRAP n. 9/1960). 
Ritenuto pertanto, sulla base delle caratteristiche sopra evidenziate come gi� statuite in precedenti 
giurisprudenziali che ben possono porsi a base della presente decisione in quanto ritualmente 
acquisiti al giudizio, che il lago di Lucrino sia un bacino interno autonomo,
246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
indipendente dal limitrofo mare, pur se con acque salmastre conseguenti all�intervenuto collegamento 
artificiale col mare stesso, ne consegue dover esso rientrare nella previsione di cui 
alla legge n. 36/1994, prima, e dell�art. 144 conma 1 del D. L.vo 3 aprile 2006 n. 152. 
La tesi di parte resistente secondo cui detta normativa intende riferirsi esclusivamente a corpi 
idrici di acqua dolce da cui soltanto � possibile ricavare acque per consumo umano (potabile, 
casalingo, irrigazione, industriale,..) non � condivisibile. La norma di cui allo art. 1 legge 
36/1 994, nella sua letteralit�, nel considerare appartenenti al demanio dello Stato tutte le 
acque superficiali e sotterranee ancorch� non estratte dal sottosuolo, mostra di prescindere, 
oltre che dall�interesse ad un uso pubblico delle acque, anche dalla loro natura dolce, salata o 
salmastra. Lo stesso articolo peraltro aggiunge al comma 2 che �qualsiasi uso delle acque � 
effettuato saivaguardando le aspettative ed i diritti delle generazicni future a fruire di un integro 
patrimonio ambientale�, e non sembra che l�integrit� del patrimonio ambientale per le 
generazioni future sia un concetto circoscritto al solo ambiente costituito da invasi di acque 
dolci, e non anche salate o salmastre; e al comma 3 in aggiunta si stabilisce che la norma � 
dettata per preservare, tra l�altro, �il patrimonio idrico, la vivibilit� dell�ambiente,... la fauna 
e flora acquatiche...�, ovvero in funzione di una tutela ampia che non pu� essere conseguita 
se non a 360�, apparendo deficitaria per il raggiungimento di tali obiettivi una riferibilit� ridotta 
della norma, che porterebbe a ritenere ad es. che i laghi con acque non dolci non incidano 
in alcun modo sulla vivibilit� dell�ambiente, o che la flora e fauna ivi esistente non debba essere 
tutelata. E ancora, il comma 4 espressamente esclude dalla disciplina le acque termali, 
minerali e per uso geotermico: l�esclusione non sarebbe stata necessaria se le disposizioni 
avessero riguardato le sole acque dolci utilizzabili per scopi industriali, agricoli, od alimentari. 
L�art. 144 del D. L.vo 3 aprile 2006 n. 152, che sostituendolo riproduce l�art. 1 della l. n. 
36/1994, � inserito nella parte III (�Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione 
di tutela delle acque dall�inquinamento e di gestione delle risorse idriche�), alla sezione 
III, intitolata �Gestione delle risorse idriche�; nelle prime due sezioni viene data la 
definizione di acque superficiali, quali corrispondenti a �le acque interne, le acque di transizione 
e le acque costiere�, e acque interne vengono definite �tutte le acque superficiali correnti 
o stagnanti e tutte le acque sotterranee all�interno della linea di base che serve da riferimento 
per definire il limite delle acque territoriali� (artt. 54 e 74). Appare logico ritenere che se 
l�art. 144 avesse voluto attribuire un significato pi� ristretto al termine �acque superficiali�, 
escludendone quelle di natura salata o salmastra, l�avrebbe espressamente indicato. La disciplina 
dell�utilizzo delle acque viene poi indicata come finalizzata a consentire alle generazionii 
future di fruire di un �integro patrimonio ambientale� (art. 144 comma 2), e quindi a non 
pregiudicare �il patrimonio idrico, la vivibilit� dell�ambiente, l�agricoltura, la piscicoltura, la 
fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici� (art. 144 
comma 3): come si vede, e come si � detto sopra in relazione all�art. 1 legge 36/1994, gli 
obiettivi della legge sono ben pi� ampi della sola tutela delle acque per consuno umano, involgendo 
una generale vivibillit� dell�ambiente dal quale non possono essere considerati estranei 
i bacini di acqua salmastra. In definitiva l�ambito di applicazione delle disposizioni 
contenute nella sezione III (in cui � inserito l�art. 144) � la disciplina delle risorse idriche 
anche �per i profili che riguardano la tutela dell�ambiente rimarcando quanto stabilito dall�art. 
2 (�il presente decreto legislativo ha come obiettivo primario la promozione dei livelli di qualit� 
della vita umana da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni 
dell�ambiente e l�utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali�) e la circostanza
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 247 
che gran parte degli articoli di detta sezione riguardano poi il servizio di captazione, adduzione 
e distribuzione di acqua dolce non incide sul contenuto dell�art. 144 che, come detto, � onnicomprensivo 
di tutte le acque superficiali la cui propriet� viene attribuita al demanio quale 
ente preposto alla difesa dell�ambiente. 
Tale interpretazione � paraltro stata ritenuta anche dal TSAP con sentenza n. 150/2005, ove 
si specifica che �l�art. 822 inserisce i laghi nel demanio pubblico ma si deve ritenere che 
prima della legge n. 36 del 1994 essi potessero qualificarsi demaniali solo se aventi o destinati 
ad avere un uso di pubblico generale interesse, non essendo acque pubbliche semplicemente 
per la loro esistenza come accade invece dopo il 1994�; e dalla Corte Costituzionale 
che con sentenza n. 259/1996 ha tra l�altro rilevato come il legislatore abbia avvertito l�esigenza 
�di un maggiore intervento pubblico concentrato sull�intero settore delle acque, sottoposto 
al metodo della programmazione, della vigilanza e dei controlli, collegato ad una 
iniziale dichiarazione di principio generale e programmatica (art. 1 comma 1, della legge 
n. 36 del 1994) di pubblicit� di tutte le acque superficiali e sotterranee, indipedentemente 
dalla estrazione dal sottosuolo�. E anche se l�interesse generale � presupposto in linea di 
principio, in relazione alla �limitatezza delle disponibilit� e alle esigenze prioritarie (specie 
in una proiezione verso il futuro), di uso dell�acqua suscettibile anche potenzialmente di utilizzazione 
collimante con gli interessi generali� tale lirnitatezza e potenzialit� di utilizzazione 
generale sono altres� rinvenibili nel caso di specie, considerato che, come � artificiale il collegamento 
del lago con il mare, cos� deve ritenersi artificiale anche la particolare attuale composizione 
salmastra dell�acqua. 
Nessun rilievo ai fini della ricostruzione di cui sopra � poi da attribuirsi al vincolo archeologico 
di cui alla legge 1.6.1939 n. 1089 decretato dal Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali 
e trascritto in data 10.3.1997. Tale vincolo comporta infatti l�esigenza dell�intervento della 
Sovrintendenza per i beni archeologici in relazione agli eventuali interventi edilizi che i privati 
concessionari volessero effettuare sui beni demanialii, e non � pertanto incompatibile con la 
natura demaniale del lago. 
In accoglimento dei ricorso, deve pertanto dichiararsi la propriet� dello Stato con la qualit� 
di demanio idrico del Lago di Lucrino, come riportato al N.C.T. al foglio 77 p.lla 29 del Comune 
di Pozzuoli, e delle sue pertinenze. In proposito, deve infatti condividersi quanto anche 
affermato da TRAP in sentenza 16 dicembre 1972, per cui ҏ principio del tutto pacifico che 
allorch� un singolo bene appartenente ad un privato vuoi per la trasformazio dei suoi caratteri 
che gli abbia fatto assumere la natura di bene demaniale, vuoi per la apparrenza ad una categoria 
che una legge sopravveniente abbia incluso nel demanio necessario acquisti caratteristiche 
proprie del demanio necessario il diritto di propriet� privata si contrae fino alla totale 
eliminazione, giacch� l�ordinamento giuridico vigente preclude che il bene possa formare 
oggetto di propriet� privata�. 
In ordine alla domanda di garanzia proposta dalla resistente Elgea srI nei confronti della 
venditrice S. C., onde ottenere ex artt. 1479 e 1483 cc e comunque a titolo di risarcimento 
danni il rimborso del prezzo pagato incrementato delle spese successive affrontate va rilevato 
che essa � fondata, e deve pertanto essere accolta. L�art. 1483 cc prevede infatti che il compratore 
che subisce l�evizione totale del bene per effetto di diritti che un terzo ha fatto valere 
su esso ha diritto ad essere risarcito dal venditore al sensi dello art. 1479 cc. L�operativit� 
della garanzia presuppone la privazione del compratore, dopo la stipula del contratto, della 
propriet� del bene acquistato ed � necessario che l�evento che l�ha determinato anche se verificatosi 
in concreto successivamante debba attribuirsi ad una causa preesistente alla conclu-
248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
sione del contratto. Entrambi detti requisiti risultaro sussistenti; in particolare quello temporale 
considerato che l�atto di acquisto � avvenuto con contratto in data 27 luglio 2005, ovvero 
successivamente alla entrata in vigore della legge n. 36/1994, che ha sancito la demanialit� 
delle acque superficiali. Nessuna rilevanza hanno poi: 
� la contestuale scrittura privata intervenuta tra la S., la Elgea srI e l�avv. Dario Cincotti 
con pattuizioni per il caso in cui 1� Amministrazione avesse esercitato il diritto di prelazione 
e non liquidato alla venditrice il corrispettivo stabilito, non rilevandosi da essa alcuna 
conoscenza della altruit� del bene o accettazione de! rischio per evizione; 
� la contestuale scrittura privata intervenuta tra la S. ed il Cincotti di cessione di un contestato 
credito risarcitorio da cui si evincerebbe la conoscenza delle parti delle pretese della 
Amministrazione, trattandosi di scrittura in cui non � parte la Societ� Elgea srl (di cui nessuna 
prova � stata fornita dell�essere il Cincotti il dominus); 
� la nota del 16.9.2005 con la quale la Regione Campania evidenziava le pretese dello Stato 
sulla propriet� del bene, essendo questa successiva alla conclusione dell�atto di compravendita 
sottoposto alla condizione sospensiva del solo mancato esercizio del diritto di prelazione. 
lnanmissibili sono poi le prove orali di cui alla comparsa di costituzione della S. tendenti ad 
identificare la persona dell�avv. Cincotti con quelle della societ� Elgea, in quanto contenenti 
circostanze generiche contrarie ad atto scritto, e comunque inidonee a ritenere provata la suddetta 
identificazione. 
Deve pertanto condannarsi la S. alla restituzione in favore della Elgea srl del prezzo versato 
per l�acquisto, corrispondente agli � 845.000,00 previsti come corrispettivo nel contratto di 
compravendita sottoposto a condizione e del cui avvenuto pagamento non vi � contestazione. 
Non risulta provato avere la acquirente eseguito opere di miglioramento o effettuato spese 
delle quali avrebbe parimenti diritto a rimborso. Sull�importo sopra indicato vanno aggiunti 
gli interessi al tasso legale e la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, effettuando 
il calcolo con la tecnica degli interessi, computati - non sulla somma originaria n� su quella 
rivalutata al momento della liquidazione - ma sulla somma originaria rivalutata anno per 
anno� (cfr. Cass. n. 4587/2009); e con decorrenza dalla data del 27.7.2005 per l�importo di � 
165.000,00, e dalla data del 4.10.2005 per l�importo di � 680.000,00. 
Le spese di lite seguono la soccombenza, e vanno liquidate come da dispositivo. Si ritiene 
equo disporre soltanto la integrale compensazione di quelle inerenti il limitato rapporto processuale 
con la Amministrazione Provinciale di Napoli, intervenuta ad ad�uvandum ma non 
titolare di un diritto proprio da far valere in giudizio. 
P.Q.M. 
Il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte d�Appello di Napoli, pronunziando 
sulla domanda proposta dall�Agenzia del Demanio e dal Ministero per i Beni e le Attivit� 
Culturali nei confronti di S.C. ed Elgea srl, con l�intervento della Amministrazione 
Provinciale di Napoli; e sulla domanda proposta dalla Elgea srl nei confronti di S. C. disattesa 
ogni ulteriore eccezione, deduzione ed istanza, cos� provvede 
1) in accoglimento del ricorso, dichiara la propriet� dello Stato con la qualit� di demanio 
idrico del Lago di Lucrino, come riportato al N.C.T. al foglio 77 p.lla 29 del Comune di Pozzuoli, 
e delle sue pertinenze; 
(Omissis)
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 249 
I "Mobility Scooters" quali dispositivi medici sono 
esonerati dall�applicazione del dazio doganale 
(Commissione Tributaria Provinciale di La Spezia, Sezione Quarta, 
sentenza del 9 febbraio 2010 n. 66) 
La sentenza in esame si pronuncia su ricorso intentato dalla ditta Moretti, 
Societ� per Azioni che opera nel settore sia della produzione e commercializzazione 
di dispositivi medici, sia dell�importazione di carrozzelle ed altri veicoli 
per invalidi anche con motore o con meccanismi diversi di propulsione. 
Tale Societ�, impugnava, affinch� fossero annullati, l�avviso di rettifica 
dell�accertamento n. 17345 del 22 aprile 2008, il correlato processo verbale 
di revisione dell�accertamento e il processo verbale di constatazione prot. 
n.16980 del 21 aprile 2008, emessi tutti dall�Agenzia delle Dogane di La Spezia 
e aventi come oggetto il recupero dei dazi doganali relativi all�importazione 
di dispositivi elettrici di mobilit� (i c.d. "Mobility Scooters"), veicoli simili 
alle sedie a rotelle, dotati di una larghezza inferiore a cm. 80, di due serie di 
ruote aderenti al terreno e di caratteristiche speciali per alleviare la disabilit�. 
Il punctum pruriens della controversia risiedeva nella classificazione giuridica 
dei mezzi importati. 
Secondo la Societ� ricorrente, sarebbero stati qualificabili come carrozzelle 
e altri veicoli per disabili, rientranti nella voce tariffaria doganale 
87139000 (carrozzelle ed altri veicoli per invalidi, anche con motore o altro 
meccanismo di propulsione � altri) per i quali � previsto un dazio ad aliquota 
0%. Secondo l�Ufficio Doganale invece, sarebbero stati qualificabili come 
veicoli costruiti principalmente per il trasporto di persone, rientranti nella voce 
8703101800 in base a quanto disposto dalle regole generali per l�interpretazione 
della nomenclatura combinata, le note di sezione e di capitolo, con conseguente 
applicazione di un dazio ad aliquota 10%. Questa prospettazione � 
stata il frutto di una rettifica in sede di controllo a posteriori operata dallo 
stesso Ufficio, il quale in un primo momento aveva incluso i "Mobility Scooters" 
nella voce doganale 87139000, la stessa ritenuta appropriata dalla Societ� 
ricorrente. 
Nella sentenza la Commissione passa in rassegna le singole censure presentate 
da Moretti S.p.A. quali: 1) la violazione delle regole per l�interpretazione 
della Nomenclatura Combinata che porterebbe all�illegittimit� 
intrinseca dei provvedimenti emessi dalla Dogana; 2) la violazione dell�art. 
12 Reg. C.E. del Consiglio 12 ottobre 1992 n. 2913 e dell�art. 11 Reg. C.E. 2 
luglio 1993 n. 2454, che stabiliscono il tipo di efficacia dell�Informazione Tariffaria 
Vincolata a carico della Dogana; 3) l�illegittima applicazione degli artt. 
11 D.lgs n. 374/90 e 303, u.c., del T.U. n. 43/73, per la quale la Dogana avrebbe
250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
comminato sanzioni amministrative corrispondenti alle presunte violazioni 
commesse per l�aver indicato nella dichiarazione di importazione codici errati 
che hanno consentito alla Societ� di non corrispondere alcun dazio; 4) l�assoluta 
carenza di motivazione nell�emissione degli avvisi impugnati, in particolare 
in riferimento alla qualificazione e alla classificazione della merce. 
Dal punto di vista formale la Commissione Tributaria pronuncia la nullit� 
della citazione in giudizio del Ministero dell�Economia e delle Finanze, in 
quanto detto Ministero non sarebbe parte a nessun titolo del procedimento. 
Dichiara inoltre la non impugnabilit� dei processi verbali di revisione dell�accertamento 
in quanto atti interni della Dogana. Infine, ritiene inconsistente 
l�eccezione n. 4) perch�, sebbene stringata, non pu� mai dirsi carente quella 
motivazione che consente comunque al contribuente di percepire e comprendere 
quanto richiesto, e a che titolo, dalla Dogana, considerando anche il fatto 
che pu� essere in ogni momento integrata nel corso del procedimento in caso 
di necessit�. 
La Commissione Tributaria, accoglie il ricorso nel merito ritenendolo 
"non privo di fondamento" dal momento che giudica fondata e accettabile la 
tesi della Moretti S.p.A., ricavabile essenzialmente dalla lettura sistematica 
dei primi due motivi di ricorso. 
La questione a cui la sentenza � chiamata a rispondere � in base a quali 
indici i veicoli per disabili del tipo "Mobility Scooters" possono essere considerati 
dispositivi medici anzich� mezzi di trasporto, con la conseguenza dell�inapplicabilit� 
del dazio doganale. 
Per dispositivo medico, ai sensi dell�art. 1, par. 2, lettera a) della direttiva 
93/42/CEE, si intende "qualsiasi strumento, apparecchio, impianto, sostanza 
o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione, compreso il software 
informatico impiegato per il corretto funzionamento e destinato dal fabbricante 
ad essere impiegato nell�uomo a scopo di:(�), diagnosi, controllo, terapia, 
attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap (�)" . 
Il dispositivo � quindi per l�invalido un sostegno che tutela la sua salute 
e preserva la sua sicurezza. Rappresenta un qualcosa di pi� e di diverso dal 
semplice mezzo di trasporto perch� costituisce un ausilio permanente, un completamento 
del corpo del soggetto disabile. 
I principi ricavabili dalla lettura della sentenza sono due e possono essere 
individuati, il primo, nella non vincolabilit� delle note esplicative di accompagnamento 
del singolo prodotto, e il secondo, nella preminenza dei criteri 
oggettivi della considerazione della propriet� del prodotto e della destinazione 
principale del bene. 
Le note esplicative non sono giuridicamente vincolanti perch� fungono 
da meri strumenti per l�interpretazione delle voci della Tariffa, senza portata 
innovativa (v. ad es. Corte di Giustizia C.E. 16/06/1994 n. 35). Le note sono 
applicabili solo se in linea con la nomenclatura. 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 251 
Il criterio decisivo � rappresentato dalla considerazione delle caratteristiche 
oggettive definite nel testo della voce della Tariffa Doganale Comune e 
dalla destinazione del prodotto per la qualifica sulla base della nomenclatura 
combinata. La destinazione costituisce caratteristica inerente al prodotto e tale 
inerenza deve poter essere valutata in funzione delle propriet� oggettive del 
medesimo prodotto. 
Il riconoscimento della fondatezza e dell�accettabilit� della tesi di Moretti 
S.p.A. implica l�adesione alle seguenti pronunce della Corte di Giustizia Europea, 
citate dalla stessa ricorrente. La prima � la sentenza n. 130 del 
4/03/2004, per la quale: "Il criterio decisivo per la classificazione doganale 
delle merci va ricercato in linea di principio nelle loro caratteristiche e propriet� 
oggettive quali definite nel testo della voce della tariffa doganale comune 
e delle note delle sezioni o dei capitoli per la classificazione delle merci 
nella nomenclatura combinata. Per quanto riguarda la nomenclatura combinata 
le note esplicative elaborate dalla Commissione forniscono un rilevante 
contributo all�interpretazione della portata delle varie voci doganali, senza 
per� essere giuridicamente vincolanti. Criterio oggettivo di classificazione 
pu� essere inoltre la destinazione del prodotto per la qualifica sulla base della 
nomenclatura combinata". La seconda � la n. 467 del 17/03/2005, che ponendosi 
sulla stessa linea della precedente, afferma: "Il criterio determinante per 
la classificazione doganale delle merci va reperito, in linea di massima, nelle 
loro caratteristiche e propriet� oggettive come definite nel testo della voce 
della nomenclatura combinata della tariffa doganale comune". 
D�altra parte l�art. 3 della direttiva 93/42/CEE aveva in precedenza chiaramente 
affermato che: "I dispositivi devono soddisfare i pertinenti requisiti 
essenziali prescritti nell�allegato I in considerazione della loro destinazione". 
I requisiti essenziali contenuti nell�allegato I prescrivono le caratteristiche 
necessarie che i dispositivi medici devono possedere al fine di tutelare la salute 
e la sicurezza di pazienti, utilizzatori, terzi; inoltre definiscono i risultati da 
conseguire o i pericoli da gestire. 
La logica applicata al problema della qualificazione di un mezzo come 
dispositivo medico consiste nel collegarlo a uno scopo, "funzionalizzarlo", 
facendo in modo che debba possedere necessariamente determinati requisiti. 
Volendo azzardare un paragone con un settore diverso, ma sempre nell�ambito 
del diritto comunitario, si potrebbe dire che la medesima logica sia 
stata utilizzata, ad esempio, per l�inquadramento giuridico del c.d. "organismo 
di diritto pubblico". Secondo la definizione pi� recente, si intende per organismo 
di diritto pubblico qualsiasi organismo: a) istituito per soddisfare specificatamente 
esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o 
commerciale, b) dotato di personalit� giuridica, e c) la cui attivit� sia finanziata 
in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi 
di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di
252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza 
sia costituito da membri dei quali pi� della met� � designata dallo Stato, 
dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico (Direttiva 
CE 18/04, art.1, comma 9). 
In proposito � stato rilevato che, "la Corte di Giustizia, in diverse occasioni, 
ha avuto modo di chiarire come, alla luce del duplice scopo di promozione 
della concorrenza e della trasparenza, perseguito dalle direttive che 
coordinano le procedure di aggiudicazione in materia di appalti pubblici, alla 
nozione di "organismo di diritto pubblico" debba essere data un�"interpretazione 
funzionale" (F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Giuffr� 
- Percorsi, Miliano 2007, pag.520 ; Corte Giustizia CE, sez. IV 13/12/2007, 
n. 337: "Le nozioni di "amministrazione aggiudicatrice" e di "organismo di 
diritto pubblico", devono essere interpretate in chiave funzionale in vista dell�esigenza 
comunitaria di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei 
servizi e delle merci e di proteggere gli interessi degli operatori economici 
stabiliti in uno Stato membro allorquando intendano offrire beni e servizi alle 
amministrazioni aggiudicatrici in un altro Stato membro"). Questo significa 
che per qualificare un organismo di diritto pubblico e distinguerlo da un ente 
di diritto privato, occorre la compresenza dei tre requisiti previsti dalla Direttiva 
18/04, mentre � indifferente se l�atto istitutivo sia un atto pubblico come 
una legge o un atto di diritto privato perch� il profilo della forma degli atti 
non ne influenza la sostanza. Tornando invece al caso dell�allegato I alla direttiva 
93/42, i requisiti essenziali non prevedono specifiche soluzioni tecniche, 
tuttavia, definendo i risultati da conseguire, obbligano i produttori a 
conformarsi ai dettami pena il divieto di commercializzazione e messa in servizio 
(es. "9.3. I dispositivi devono essere progettati e fabbricati in modo tale 
da minimizzare, durante la normale utilizzazione prevista e in caso di primo 
guasto, i rischi di incendio o di esplosione"). 
La similitudine non serve ad altro che a mostrare come l�ordinamento 
giuridico comunitario, nato con lo scopo concreto di creare un insieme di regole 
comuni ai paesi membri, necessiti di un�applicazione che tenga conto 
delle esigenze di certezza del diritto in modo da evitare cadute in formalismi 
improduttivi. 
Su questa linea, la Commissione Tributaria di La Spezia, aderendo alla 
tesi della Societ� ricorrente in ordine ai profili della non vincolabilit� delle 
note esplicative di accompagnamento per l�individuazione del prodotto e della 
preminenza del carattere oggettivo e della destinazione principale del bene, 
conclude che a determinare una tariffa o a giustificarne il ricorso a un�altra, � 
"l�uso per il quale il bene stesso � stato progettato e ritenuto utile per una categoria 
particolare di persone". 
In sostanza, � l�utilit� per il disabile a rappresentare il criterio ultimo, lo 
scopo per la classificazione.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 253 
A proprio sostegno la Commissione cita il precedente della Corte di Appello 
di Amsterdam che nel caso in esame, da un lato non ha applicato le note 
perch� in contrasto con la nomenclatura e dall�altro ha riconosciuto nel fatto 
che le merci fossero destinate all�uso esclusivo da parte di persone invalide il 
criterio classificatorio nelle voci doganali. 
Nel caso in esame, i mezzi importati da Moretti S.p.A. assurgono a dispositivi 
medici perch� sono dotati di tutte quelle caratteristiche speciali, previste 
dalla normativa, per alleviare la disabilit� nell�esclusivo interesse 
dell�utente. Di conseguenza risultano inapplicabili la sanzione, i dazi richiesti 
e l�IVA corrispondente. 
Avv. Clarissa Baragli* 
Commissione Tributaria Provinciale di La Spezia, Sezione IV, sentenza 9 febbraio 2010 
n. 66 - Pres. Grandinetti, Rel. Molino - Moretti S.p.A. (avv.ti Andreani, D�Addario) c. Ag. 
dogane circoscrizione doganale di La Spezia, Ministero economia e finanze (Avv. distrettuale 
Stato di Genova). 
(Omissis) 
Con il tempestivo ricorso in esame la societ� Moretti spa impugnava l�avviso di rettifica dell�accertamento 
n. 17345 del 22 aprile 2008, il correlato processo verbale di revisione dell�accertamento 
e il processo verbale di constatazione prot. n. 16980 del 21 aprile 2008, emessi 
dall�Agenzia delle Dogane della Spezia e riguardanti il recupero di dazi doganali relativi all�importazione 
di dispositivi elettrici di mobilit�, classificati dalla dogana come veicoli costruiti 
principalmente per il trasporto di persone per i quali � previsto un dazio con aliquota 
del 10% e non come carrozzelle ed altri veicoli per disabili, per i quali � previsto un dazio ad 
aliquota 0%; il tutto senza che l�ufficio doganale indicasse alcuna motivazione a supporto 
della propria tesi circa l�errata classificazione fatta al momento dell�importazione di carrozzelle 
e altri veicoli per invalidi. 
La societ� ricorrente, non concordando con l�ufficio doganale, chiede l�annullamento degli 
atti impugnati per i seguenti motivi. 
1) Violazione delle regole per l�interpretazione della Nomenclatura Combinata. 
Alla luce delle caratteristiche dei dispositivi elettrici importati e della verosimiglianza con 
quelli esentati dal pagamento del dazio, la societ� fa rilevare l�illegittimit� intrinseca dei provvedimenti 
emessi dalla Dogana. 
Infatti, occorre ricordare il principio enunciato dalla Corte di Giustizia CEE con le sentenze 
n. 130 del 4/3/2007 e n. 467 del 17/3/2005 secondo cui �il criterio decisivo per la classificazione 
doganale delle merci va riscontrato in linea di principio nelle loro caratteristiche e propriet� 
oggettive quali definite nel testo della voce doganale comune e delle note delle sezioni 
o capitoli per la classificazione delle merci nella nomenclatura combinata� criterio oggettivo 
(*) Avvocato del Foro di Firenze.
254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
di classificazione pu� essere inoltre la destinazione del prodotto per la qualifica sulla base 
delle nomenclatura combinata�. 
La societ� ritiene che gli atti impugnati siano viziati da travisamento di fatti e falsa applicazione 
di legge, poich� la merce in questione va classificata alla voce doganale 8713 e non a 
quella 8703. I dispositivi di mobilit� sono veicoli per invalidi, dunque, riacadono nella v.d. 
8713 e in applicazione della regola generale per l�interpretazione della nomenclatura combinata, 
trattandosi di carrozzelle ed altri veicoli per invalidi. 
Inoltre, fa rilevare che, nel caso di specie, la classificazione della merce deve esser fatta in 
base alla sua destinazione d�uso, per cui non vi sono dubbi di sorta sull�equiparazione della 
merce importata, in considerazione proprio delle caratteristiche oggettive dei dispositivi di 
mobilit�, alla classificazione di cui alla v.d. 8713. La stessa � dotata di larghezza inferiore a 
cm. 80, di una serie di ruote aderenti al terreno e di caratteristiche speciali per alleviare la disabilit� 
e, quindi, ad essa deve essere equiparata nell�applicazione del dazio. 
2) Violazione dell�art. 12 Reg. C.E. del Consiglio 12/10/1992 n. 2913 e dell�art. 11 Reg. C.E. 
2/7/1993 n. 2454. 
Secondo la societ� ricorrente detta normativa stabilisce �l�efficacia dell�informazione Tariffaria 
vincolante a carico della dogana nei confronti del titolare in riferimento alla classificazione 
tariffaria; la ITV infatti non ha efficacia ex se vincolante per la definizione della 
classificazione di merci, perch� un0�applicazione in ipotesi erronea e difforme della normativa 
in uno stato membro si basa esclusivamente sul testo delle voci doganali�. 
Ne consegue che la Dogana on poteva effettuare alcuna rettifica in merito alla riclassificazione 
della merce importata. 
3) Illegittima applicazione degli artt. 11 D.Lgs n. 374/90 e 303, u.c., del T.U., n. 43/73. 
L�illegittima applicazione della normativa citata ha condotto la dogana alla comminazione 
delle sanzioni amministrative correlate alle presunte violazioni commesse per aver indicato 
nella dichiarazione di importazione codici errati che hanno consentito alla societ� di non corrispondere 
alcun dazio. 
Il ricorso, infatti, �a una simile procedura � infatti consentito, a tutto concedere, esclusivamente 
nelle�ipotesi in cui la nuova liquidazione dei diritti doganali sia stata determinata da una differente 
qualificazione delle merci importate o in genere dalla modifica degli elementi (di 
quantit�, qualit�,valore e origine delle stesse merci) poste alla base dell�accertamento originario; 
nella diversa ipotesi in cui la rideterminazione del tributo siesta invece causata da errori 
della P.A. in cui essa, impregiudicata l�identificazione soggettiva ed oggettiva delle merci nei 
loro elementi fiscalmente rilevanti sia caduta sull�inquadramento delle stesse ed in un certa 
voce della tariffa o sul calcolo del tributo (ipotesi in cui va espressamente ricompresa l�erronea 
applicazione di una franchigia o di un�esenzione ovvero in via generale l�errata individuazione 
del regime giuridico applicabile) non implicando tali errori nessuna indagine sulla merce, � 
invece azionabile direttamente la pretesa fiscale basata sul potere d�accertamento suppletivo�. 
Nel caso di specie non si pu� negare che la Dogana sia incorsa sia in errore sulla voce di classificazione 
della merce al momento dell�importazione, sia nella violazione della norma considerato 
che nello stesso momento poteva ragionevolmente scoprire la diversa natura e 
classificazione della merce, quindi, non legittimata ad un recupero a posteriori di eventuali 
tributi. 
4) Assoluta mancanza di motivazione e conseguente violazione dell�art. 11 del D.Lgs n. 
374/90. 
Nell�emettere gli avvisi impugnati la Dogana ha omesso del tutto qualsiasi motivazione e
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 255 
spiegazione in riferimento alla qualificazione e alla classificazione della merce. Data la rigorosit� 
della valutazione che deve sottostare alla motivazione del proprio operato, la stessa non 
pu� essere di certo demandata ad un generico riferimento alle regole generali 1 e 6 dell�interpretazione 
della noenclatore combinata, poich� la classificazione delle merci va effettuata con 
riferimento alle loro caratteristiche. La stessa motivazione � ulteriormente viziata dal riferimento 
all�art. 70 del DPR n. 633/72 poich� la classificazione della merce alla cat. 8713900000 
non comporta assoggettamento ad IVA. 
Conclude la societ� ricorrente con la richiesta di annullare gli atti impugnanti per la loro palese 
illegittimit� con vittoria delle spese di giudizio. 
Con la comparsa di costituzione del 30 luglio 2008 la dogana conferma la legittimit� del proprio 
operato, evidenziando in primo luogo la carenza di legittimazione passiva del Ministero 
dell�economia e delle finanze, non titolare a qualsiasi titolo del procedimento riguardante 
l�emissione degli avvisi impugnati, stante l�autonomia assoluta dell�Agenzia delle dogane, e, 
in secondo luogo, l�improponibilit� e l�inammissibilit� dell'impugnazione dei processi verbali 
di constatazione. 
Nel merito, nell�evidenziare la legittimit� del proprio operato, contesta le asserzioni della societ� 
ricorrente, poich�, per la soluzione dei vari problemi collegati alla classificazione merceologica 
e alla determinazione dell�aliquota daziaria applicabile occorre far riferimento 
all�allegato I del Reg. CEE n. 2658/87, che regola l�uniformit� dell�applicazione della nomenclatura, 
e alle Note Esplicative, che costituiscono la descrizione e l�illustrazione delle 
voci rientranti nella Nomenclatura Combinata. Nella note Esplicative relative alla voce doganale 
87139 rientrano i veicoli elettrici simili alle sedie a rotelle destinati esclusivamente al 
trasporto dei disabili. Tuttavia sono esclusi dalla sottovoce gli scooter a motore (mobility 
scooter) muniti di piantone dello sterzo separato e regolabile. Questi ultimi sono classificati 
alla voce 8703. 
Per quanto riguarda il punto 4) la Dogana precisa di essersi attenuta alle disposizioni in vigore, 
dato che, come gi� prima evidenziato, la classificazione delle merci nella nomenclatura combinata 
si effettua in conformit� di una serie di regole la prima delle quali prescrive che i titoli 
delle sezioni, dei capitoli o dei sottocapitoli sono da considerare puramente indicativi, poich� 
la classificazione delle merci � determinata legalmente da testo delle voci, da quello delle 
note premesse alle sezioni o ai capitoli e, occorrendo, dalle norme che seguono, purch� queste 
non contrastino col testo di dette voci e note. 
Sulla base di quanto esposto e sulla conseguente legittimit� del proprio operato, l�ufficio doganale 
conclude con la richiesta di rigetto del ricorso e di condanna della societ� ricorrente al 
pagamento delle spese di giudizio. 
Questa Commissione, visti gli atti in proprio possesso ritiene accogliibile il ricorso proposto 
dalla societ� ricorrente, in quanto non privo di fondamento. 
Per quanto riguarda la citazione in giudizio del Ministero dell�economia e delle finanze, questa 
Commissione la ritiene nulla, in quanto detto Ministero non � parte, a nessun titolo, di questo 
procedimento. Dichiara, inoltre, la non impugnabilit� dei processi verbali di revisione dell�accertamento, 
in quanto atti interni della dogana, prodromici alla emanazione degli avvisi 
di revisione e, principalmente, perch� atti non autonomamente impugnabili ex art. 19 del 
D.Lgs n. 546/92. 
Per quanto riguarda l�eccezione relativa alla carenza di motivazione, questa Commissione la 
ritiene inconsistente sia perch�, anche se stringata, gli avvisi emessi contengono una motivazione 
che consente al contribuente di percepire e comprendere quanto e a che titolo richiesto
256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
dalla Dogana, sia perch� la stessa pu� essere in ogni momento integrata nel corso del procedimento 
qualora ve ne fosse necessit�, sia perch� le norme citate prevedono espressamente la 
comminazione della nullit� degli atti in questione soltanto in caso di inesistenza della motivazione. 
Nel merito della questione, invece, si ritiene fondata e accettabile la tesi della societ� ricorrente 
in ordine sia alla non vinco labilit� delle note esplicative che accompagnano l�individuazione 
del singolo prodotto, in quanto applicabili solo se in linea con la nomenclatura, sia alla preminenza 
del carattere oggettivo e della destinazione principale del bene. Non � la struttura 
del bene a determinare una tariffa o a giustificarne il ricorso ad una diversa, quanto l�uso per 
il quale il bene stesso � stato progettato e ritenuto utile per una categoria particolare di persone, 
per cui non si pu� non concordare pienamente con quanto decisione dalla Corte di appello di 
Amsterdam, la quale non nel caso in esame non ha applicato le richiamate note esplicative, 
poich� esse si ponevano in evidente contrasto con quanto previsto dalla nomenclatura, concludendo 
che �le merci hanno l�oggettiva caratteristica di esser usate specificatamente da persone 
invalide. Tale destinazione d�uso pu� essere utilizzata quale criterio per la classificazione 
nelle voci doganali��. 
Non sussistendo per questa Commissione violazione alle norme relative all�importazione di 
tale merce, � consequenziale l�inapplicabilit� della sanzione, dei dazi richiesti e dell�IVA corrispondente. 
Sussistono i presupposti per la compensazione tra le parte delle spese di giudizio. 
P.Q.M. 
Accoglie il ricorso. Spese compensate. 
La Spezia, 24 novembre 2009
P A R E R I D E L C O M I TAT O 
C O N S U LT I V O 
A.G.S. - Parere del 18 novembre 2009 prot. nn. 344147/59 - Canoni 
concessori di alloggi demaniali; concetto di ristrutturazione per l�aggiornamento 
del coefficiente di vetust� del cespite immobiliare ai sensi dell�art. 20 
legge n. 392/1978 sull�equo canone (avv. Giancarlo Pampanelli - AL 
28703/09). 
�Codesto Ispettorato delle Infrastrutture dell'Esercito � Ufficio Studi e 
Normativa � ha chiesto di conoscere se, ad avviso di questo organo legale, a 
seguito di accorpamento ad alloggi di servizio di ulteriori vani (quali cantine, 
stanze di sgombero, ecc.), si possa ritenere verificata una fattispecie di integrale 
ristrutturazione, con conseguente ricalcolo del canone di concessione 
del cespite immobiliare, in particolare con aggiornamento del parametro di 
"vetust�" dell'alloggio ai sensi dell'art. 20 legge n. 392/1978 sull'equo canone, 
normativa applicata per la congruit� dei canoni concessori degli alloggi demaniali 
del personale militare. 
Al riguardo, codesta Amministrazione ha precisato che sul suddetto quesito, 
gi� posto da Reparti territoriali dipendenti, si sono pronunziate in modo 
opposto l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze (con due pareri) e 
l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, rispettivamente la prima nel 
senso che, nelle ipotesi di che trattasi, si verificherebbe una ristrutturazione 
edilizia, con conseguente modifica anche del parametro di vetust�, e la seconda 
affermando viceversa non ricorrere una fattispecie di ristrutturazione, con conseguente 
esclusione di modifica del coefficiente di vetust� del cespite. 
Tutto ci� premesso, la Scrivente deve anzitutto rilevare che, per l'aggiornamento 
del parametro di "vetust�" dell'alloggio, l'art. 20, 2� comma, della 
legge citata n. 392/1978 � abrogato dall'art. 14 della legge n. 431 del 1998 ma 
le cui previsioni rimangono rilevanti ai fini della determinazione della congruit� 
dei canoni concessori degli alloggi di servizio del personale militare � 
richiede che sia intervenuta una integrale ristrutturazione del cespite. 
Al riguardo, la Suprema Corte ha specificamente avuto modo di affermare
258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
che "in tema di determinazione dell'equo canone, la nozione di integrale ristrutturazione 
(o di completo restauro) dell'unit� immobiliare, rilevante, ai 
sensi dell'art. 20 della legge 27 luglio 1978 n. 392, per determinare la vetust� 
dell'unit� immobiliare, deve essere tratta dall'art. 31 della legge 5 agosto 1978 
n. 457, contenente norme per l'edilizia residenziale, che, nel precisare come 
rientrino tra gli interventi di ristrutturazione anche quelli di "modificazione o 
inserimento", nell'edificio, "di nuovi elementi" chiaramente include nel concetto 
di ristrutturazione anche le opere di ampliamento dell'unit� immobiliare 
con l'aggiunta di uno o pi� vani" (Cass. Civ. � sez. III, sent. n. 12027 del 6 novembre 
1992). 
Pi� in generale, la Cassazione ha affermato che l' "inserimento di nuovi 
elementi" nell'immobile determina una ristrutturazione rilevante ai fini della 
determinazione dell'indice di vetust�, ai sensi dell'art. 31 legge n. 457/78 e 20 
legge n. 392/78 (v. Cass. � Sez. III � n. 3280/1997). 
D'altro canto, in base alla sopravvenuta normativa di cui all'art. 10, 1� 
comma, lettera C, del D.P.R. n. 380 del 2001 (Testo Unico in materia edilizia), 
qualora l'organismo edilizio venga a configurarsi anche solo in parte diverso 
e si abbia un aumento di unit� immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, 
dei prospetti o delle superfici, ovvero, per gli immobili compresi nelle 
zone omogenee A, mutamenti della destinazione d'uso, si realizza una "ristrutturazione 
edilizia". 
Ne consegue che l'accorpamento di nuovi locali all'alloggio, anche senza 
mutamento della destinazione d'uso, determina una innovazione della configurazione 
complessiva della unit� immobiliare e ne amplia la superficie utile, 
per cui costituisce ristrutturazione edilizia e non manutenzione straordinaria. 
Sul punto, il Consiglio di Stato ha a suo tempo precisato infatti che: "gli 
interventi di manutenzione straordinaria ex art. 31, lett. b), della legge 5 agosto 
1978 n. 457 sono caratterizzati da un duplice limite: uno di ordine funzionale 
costituito dalla necessit� che i lavori siano diretti alla mera sostituzione o al 
puro rinnovo di parti dell'edificio, l'altro di ordine strutturale consistente nella 
proibizione di alterare i volumi e le superfici delle singole unit� immobiliari 
o di mutare la loro destinazione" (Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 644 del 23 aprile 
1991; v. anche Cons. Stato, V, n. 807/1994; Cons. Stato, V, n. 194/1989, ecc.). 
Pertanto, danno luogo a manutenzione straordinaria solo gli interventi di 
minore importanza, non incidenti sulla volumetria e/o sulle destinazioni d'uso 
(degli immobili compresi nelle zone omogenee A), quali ad esempio i lavori 
comportanti demolizioni e ricostruzioni di pareti divisorie, di pavimenti o di 
servizi igienici, la realizzazione di scale interne e la formazione di servizi igienici 
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 1989 n. 194 cit.; Cons. Stato, sez. V, 23 
gennaio 1984 n. 64; Cons. Stato, sez. V, 5 luglio 1983 n. 307). 
Inoltre, come recentemente precisato dalla Suprema Corte, le modifiche 
volumetriche previste dall'art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001 per le attivit� di
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 259 
ristrutturazione edilizia devono consistere in diminuzioni o trasformazioni od 
incrementi volumetrici modesti, come nei casi all'esame, tali da non configurare 
apprezzabili aumenti di volumetria, in quanto altrimenti verrebbe meno 
la distinzione tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione (Cass. pen., Sez. 
III, sent. n. 47046 del 2007). 
Conclusivamente, dunque, � da ritenere che l'accorpamento di ulteriori 
vani all'alloggio di servizio, anche senza mutamento della destinazione d'uso, 
determini una ristrutturazione edilizia, con necessario aggiornamento del parametro 
di vetust� del cespite. 
Sul presente parere si � pronunziato in conformit� il Comitato Consultivo 
dell�Avvocatura dello Stato nella seduta dell�11 novembre 2009�. 
A.G.S. - Parere reso in via ordinaria del 23 novembre 2009 prot. 
350126 - Terzo condono edilizio e disciplina degli effetti del ritardato pagamento 
della rata intermedia di oblazione (avv. Giuseppe Fiengo - AL 
20734/2009). 
�Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sottopone all�attenzione 
della Scrivente un quesito concernente il ritardato pagamento delle rate di 
oblazione, ex art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269 (convertito con modificazioni 
nella legge 24 novembre 2003 n. 326), ai fini del conseguimento del 
permesso di costruire in sanatoria. 
Come noto, la disciplina del �terzo condono edilizio� � contenuta nel 
comma 25 dell�art. 32, D.L. n. 269/2003, che estende �le disposizioni di cui 
ai Capi IV e V della Legge 28 febbraio 1985, n. 47 (�), come ulteriormente 
modificate dall�art. 39 della Legge 23 dicembre 1994, n. 724, (�) alle opere 
abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003�. 
Oltre a disporre la reviviscenza delle precedenti leggi sul condono, l�art. 
32 detta una normativa di dettaglio (innovativa rispetto a quella delle leggi n. 
47/1985 e n. 724/1994), al fine di consentire la regolarizzazione e la riqualificazione 
urbanistica ed edilizia del territorio, prevedendo la possibilit� di ottenere 
il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria per le opere realizzate in 
modo non conforme alla disciplina vigente. 
Ovviamente, la possibilit� di ottenere il provvedimento di condono � soggetta 
alla verifica della sussistenza di alcune condizioni, sostanziali e procedurali. 
Tralasciando le questioni sostanziali (dandosi per presupposto che � sul 
piano sostanziale � l�abuso cui ci si riferisce sia condonabile), ai fini del parere 
in esame vengono in rilievo le condizioni procedurali del nuovo condono edilizio, 
rispetto alle quali la legge n. 326/2003 impone che la domanda di sana-
260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
toria sia depositata entro un certo termine e sia corredata da una serie di documenti 
tecnici, nonch� dall�attestazione dei versamenti effettuati a titolo di 
oblazione e di oneri concessori. 
Si � in tal guisa configurato un vero e proprio procedimento amministrativo, 
scandito da molteplici termini, alcuni a carico dei richiedenti (per la domanda, 
per il pagamento dell�oblazione, per il completamento della 
documentazione), altri a carico dell�autorit� comunale territorialmente competente 
(per la verifica di congruit� dell�oblazione versata), e da lassi temporali 
al cui decorso, in concomitanza di ulteriori presupposti, la legge riconnette effetti 
tipizzati. 
I dettagli del procedimento di condono sono demandati alle leggi regionali. 
In via suppletiva, laddove le Regioni non siano intervenute, l�incompleto 
procedimento delineato dall�art. 32, D.L. n. 269/2003, viene completato dalle 
disposizioni contenute nell�art. 35, commi 14, 15, 19, 21, legge n. 47/1985. 
Ancora � da ritenere che eventuali ulteriori lacune vadano colmate mediante 
applicazione della disciplina dettata dal T.U. edilizia per l�ordinario procedimento 
di rilascio del permesso di costruire. 
Nel meccanismo della legge le obbligazioni del richiedente e le attivit� 
del comune risultano separatamente cadenzate e si muovono, fino a un certo 
punto, su binari paralleli in maniera tale che le conseguenze che vengono fatte 
discendere dall�osservanza, da parte del richiedente, delle scadenze procedimentali, 
non sono svincolate dall�assolvimento, da parte dell�Amministrazione, 
dagli obblighi che la norma sul condono fa discendere direttamente 
dalla presentazione della domanda e dal pagamento dell�oblazione dovuta, ai 
fini dell�effetto estintivo dell�illecito penale e degli illeciti amministrativi. 
In particolare, per quanto riguarda quest�ultima, il comma 38 dell�art. 32 
ha stabilito che la misura dell�oblazione e dell�anticipazione degli oneri concessori, 
nonch� le relative modalit� di versamento, sono disciplinate nell�Allegato 
1 alla legge medesima � come modificato dall�art. 10 del D.L. 29 
novembre 2004, n. 282, convertito nella legge 27 dicembre 2004 n. 307. 
La legge statale ha dunque determinato in misura certa la misura dell�oblazione 
dovuta per le varie tipologie di abusi, e ne ha previsto il pagamento 
in tre rate: la prima, pari al 30% del totale, da pagare prima della presentazione 
della domanda di condono, in allegato alla quale va prodotta l�attestazione del 
pagamento; la seconda, pari alla met� del residuo 70% (quindi il 35% del totale) 
da pagare entro il 20 dicembre 2004 (poi prorogato al 31 maggio 2005); 
la terza, pari alla met� del residuo 70% (dunque il restante 35% del totale), da 
pagare entro il 30 dicembre 2004 (poi prorogato al 30 settembre 2005). 
Anche ad una semplice lettura dell�Allegato alla legge n. 326/2003 risalta 
come il legislatore, pur individuando dei termini precisi per il versamento rateale 
dell�oblazione, tuttavia non abbia inteso disciplinare in alcun modo gli 
effetti del ritardato pagamento delle singole rate dell�oblazione, sanzionando
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 261 
esplicitamente soltanto l�omesso versamento dell�intera oblazione dovuta 
nel termine all�uopo previsto. 
Il comma 37, dell�art. 32 cit. - peraltro con riferimento solo all�oblazione 
e non anche al contributo concessorio - dispone, infatti, che �se nei termini 
previsti l�oblazione dovuta non � stata interamanete corrisposta o � stata determinata 
in forma dolosamente inesatta, le costruzioni realizzate senza titolo 
abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all�art. 40 della 
legge 28 febbraio 1985, n. 47 e all�art. 48 del decreto del Presidente della Repubblica 
6 giugno 2001 n. 380 �. 
Ai sensi di tale ultima disposizione, l�amministrazione procedente potr� 
quindi comminare: a) sanzioni amministrative (demolizione dell�opera) e sanzioni 
penali ex D.P.R. n. 380/2001; b) sanzione civile della nullit� degli atti 
tra vivi, aventi ad oggetto diritti reali relativi ad opere edilizie abusive (legge 
n. 47/1985); c) sanzione civile del divieto per le aziende erogatrici di servizi 
pubblici di somministrare le loro forniture per opere edilizie prive di titolo 
edilizio (D.P.R. n. 380/2001). 
Di conseguenza, solo l�inutile decorso del termine ultimo fissato dalla 
legge per il pagamento (integrale) dell�oblazione pu� ritenersi causa di diniego 
della sanatoria e d�irrogazione delle succedanee sanzioni per l�illecito realizzato, 
non, invece, l�eventuale slittamento nel saldo della rata intermedia. 
Costituisce, infatti, principio generale del nostro ordinamento che affinch� 
un termine possa o debba essere considerato perentorio, tale caratteristica 
debba essere specificatamente prevista dalla normativa di riferimento (ad 
esempio, anche con l�indicazione espressa di una sanzione), lasciando quindi 
un�interpretazione residuale sull�ordinariet� del termine in tutti gli altri casi. 
In applicazione di detto principio, dunque, possono considerarsi perentori 
il termine connesso al primo versamento dell�oblazione da effettuarsi contestualmente 
alla presentazione al Comune competente della domanda di condono, 
cui va allegata la relativa attestazione di versamento, pena l�irricevibilit� 
della domanda (e quindi la non condonabilit� dell�opera) ed il termine di pagamento 
della terza rata, ultima chance per il richiedente di completare il versamento 
di quanto dovuto. 
Diversamente il secondo termine rateale, in mancanza di un�esplicita previsione 
d�inderogabilit�, si configura come meramente ordinatorio, sicch� 
l�eventuale pagamento effettuato oltre la sua scadenza - ma, in ogni caso, non 
oltre la scadenza dell�ultima rata dell�oblazione, come meglio se ne dir� - 
non potrebbe in alcun modo giustificare il diniego dell�istanza, consentendo 
al pi�, oltre alla richiesta d�integrazione, l�applicazione della normativa generale 
in materia di ritardo nell�adempimento. Da ci� l�applicazione degli interessi 
legali nel caso di ritardato pagamento degli importi dovuti a titolo di 
oblazione, in base al noto principio che vuole l�istituto dell�interesse legale 
quale, da un lato deterrente in capo al debitore in funzione del trascorrere del
262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
tempo e stimolo a sanare il debito stesso, e dall�altro come riparazione del sacrificio 
del creditore in funzione dell�incasso ritardato del credito. 
Viceversa, il carattere perentorio del termine relativo alla terza rata si desume 
dalla univoca dizione letterale del comma 37, dell�art. 32 cit., che, nel 
richiamare l�oblazione �interamente corrisposta�, impone all�interprete una 
considerazione unitaria del quantum debeatur, comminando esplicita sanzione 
soltanto alla mancata integrale corresponsione dell�oblazione dovuta nei termini 
fissati. 
Detta interpretazione risulta avallata anche dalla giurisprudenza costituzionale 
che, nella sentenza 28 marzo 2008, n. 70, ha affermato che �ai fini dell'estinzione 
del reato, ai sensi dell�art. 32, comma 36, del decreto-legge n. 269 
del 2003, requisito essenziale � l'integralit� dell'oblazione corrisposta dall�imputato� 
ed appare necessaria anche alla luce di altri aspetti significativi: 
anzitutto, l�eccessivo rigore di un eventuale rigetto della domanda per il semplice 
ritardato/omesso pagamento di una singola rata, posto che tale effetto, 
in definitiva pu� farsi derivare solo dopo che il Comune abbia messo in mora 
l�interessato, considerato che titolare del procedimento in sanatoria � ex lege 
l�ente locale. L�omesso versamento di una rata non pu� produrre il rigetto della 
domanda se non previa contestazione e invito ad adempiere. 
Sotto altro aspetto, in materia, accanto alla lettera della legge, si ritiene 
debba trovare applicazione anche il generale principio di ragionevolezza dell�azione 
amministrativa, in base al quale nel procedimento occorre tener conto 
della possibilit� di conseguire in concreto la finalit� della legge. Con la conseguenza 
che nel procedimento in sanatoria il Comune deve accertare col massimo 
rigore possibile l�esistenza delle condizioni di diritto sostanziale fissate 
dalla legge per ottenere il titolo abilitativo in sanatoria (limiti urbanistici, paesaggistici, 
quantitativi, ecc.). Nondimeno, una volta accertata l�esistenza di 
tali presupposti, dovr� perseguire il raggiungimento delle finalit� della legge, 
sicch� un diniego motivato esclusivamente sulla base di ritardi o omissioni in 
cui sia incorso il richiedente nel pagamento della seconda rata dell�oblazione 
si configurerebbe quale misura evidentemente eccessiva e sproporzionata e, 
quindi, contraria alla legge. 
Il che significa che il dies ad quem per il versamento della seconda rata 
in realt� continua a rilevare solo ai fini del conseguente obbligo di corrispondere 
gli interessi, ma che ai fini della regolarit� del procedimento di condono 
� possibile che l�istante proceda a versare tutta la somma soltanto dopo che il 
Comune, successivamente allo scadere dell�ultimo termine rateale, espletati 
gli accertamenti del caso, gli avr� notificato l�obbligo di pagamento, evidentemente 
comprensivo degli interessi legali. 
Infatti, la somma dovuta, maggiorata degli interessi legali, dovr� essere 
corrisposta entro 60 giorni dalla data di notifica da parte del Comune dell�obbligo 
di pagamento (ex art. 2, comma 40, della legge n. 662/96 - come modi-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 263 
ficato dall�art. 1, comma 9, della legge n. 449/97 -, tutt�ora applicabile in virt� 
del richiamo espresso di cui all�art. 32, comma 28, della legge sul terzo condono). 
N� vՎ dubbio che nel presentare la domanda di sanatoria il richiedente 
abbia contratto (sia pure subordinatamente alla sua ammissibilit�) un�obbligazione 
pecuniaria ex art. 1282 c.c., cui va applicata, in assenza di specifica 
regolamentazione, il tasso legale ex art. 1284 c.c., come naturale e fisiologica 
conseguenza della fruttuosit� di pieno diritto dell�obbligazioni pecuniaria medesima. 
In ogni caso, anche nel nuovo condono il rilascio della concessione o 
dell�autorizzazione in sanatoria rimane subordinato all�avvenuto pagamento 
dell�oblazione legittima, degli oneri concessori, se dovuti, e degli interessi maturati. 
La stessa giurisprudenza di legittimit� ha ricollegato la decadenza dalla 
possibilit� di sanatoria soltanto al mancato pagamento della prima rata dell�oblazione 
e alla sostanziale elusione dell�obbligo del pagamento integrale 
dell�oblazione. 
Ed invero, �poich� � previsto dalla legge che l�esatta determinazione 
della somma dovuta debba essere effettuata dall�amministrazione competente 
con la successiva corresponsione di conguagli a favore di detta amministrazione, 
oltre interessi, ovvero di rimborsi a favore dell�istante per il condono� 
la Corte di Cassazione ha ritenuto che �la mancata corrispondenza dell�importo 
versato con quello effettivamente dovuto non determina alcuna decadenza, 
salva l�ipotesi in cui per il carattere irrisorio della misura della 
anticipazione versata [�], detto pagamento si debba ritenere inesistente� (cfr. 
Cass. Pen., sez. III, 17 dicembre 2008, n. 46384). 
Ci� a differenza di quanto previsto dalla previgente normativa (ed in particolare 
dall�art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, in forza del quale �I 
soggetti che hanno presentato la domanda di concessione o di autorizzazione 
edilizia in sanatoria ai sensi del capo IV della L. 28 febbraio 1985 n. 47, o i 
loro aventi causa, se non � stata interamente corrisposta l�oblazione dovuta 
ai sensi della stessa legge devono, a pena di improcedibilit� della domanda, 
versare, in luogo della somma residua, il triplo della differenza tra la somma 
dovuta e quella versata , in unica soluzione entro il 31 marzo 1996�) che aveva 
indotto il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sugli effetti derivanti dal 
mancato versamento della seconda rata di oblazione, con decisione n. 4441 
del 13 agosto 2007, ad affermare che �l�omessa corresponsione della seconda 
rata dell�oblazione computata con la domanda di condono edilizio, n� nei termini 
stabiliti dall�art. 35 l. n. 47 del 1985, n� in quelli fissati dall�art. 39, 
comma 6, l. n. 724 del 1994, rende improcedibile l�istanza di condono [�] e 
senza che rilevi che l�Amministrazione abbia o meno richiesto il pagamento 
delle rate successive alla prima�. 
Piuttosto, in base alla nuova normativa sul condono edilizio, la mancata
264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
osservanza del termine previsto per il pagamento della seconda rata da parte 
dell�interessato, cui abbia per� fatto seguito il versamento dell�intero importo 
dovuto entro l�ultima scadenza prevista dalla legge, non appare pi� sanzionabile 
con la decadenza dalla richiesta di condono. Tale lettura soddisfa anche 
l�esigenza di certezza dei rapporti giuridici, arginando il rischio - paventato 
nella sentenze emesse dal tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto 15 febbraio 
2006, n. 45; 27 gennaio 2006 n. 50 e19 gennaio 2006 n. 640 - di dilazioni ad 
libitum da parte del privato che, con il ritardato pagamento di tutte le rate previste 
per il condono edilizio, finirebbe, di fatto, con l�attribuirsi, il diritto di 
decidere arbitrariamente il tempo in cui terminare il relativo iter amministrativo 
con il pagamento dell�ultima rata, laddove si dovesse ritenere anche 
quest�ultima scadenzata da un termine meramente ordinatorio. 
Tanto pi� che il pagamento integrale dell�oblazione dovuta (ove per oblazione 
dovuta s�intende la somma indicata nella domanda di sanatoria e non 
gi� quella da corrispondere effettivamente - cfr. Trib. Roma, sez. I, 6 marzo 
2008, n. 22923) costituisce per� solo una fase del procedimento di condono, 
il quale si conclude con una formale dichiarazione dell�autorit� preposta, previo 
esperimento di un apposito (sub)procedimento amministrativo. 
Infatti, ai sensi del comma 36 dell�art. 32 del D.L. n. 269/2003, a partire 
dal saldo nei termini dell�(intera) oblazione dovuta inizia a decorrere un ulteriore 
lasso di tempo (della durata massima di tre anni) - volto a consentire all�autorit� 
comunale competente di svolgere tutti gli accertamenti di merito 
relativi alla sanatoria delle opere abusive - al cui spirare la legge riconnette, 
in concomitanza di altri elementi, l�effetto estintivo dei reati in questione (�La 
presentazione nei termini della domanda di definizione dell�illecito edilizio, 
l�oblazione interamente corrisposta nonch� il decorso di trentasei mesi dalla 
data da cui risulta il suddetto pagamento, producono gli effetti di cui all�art. 
38, comma 2, della legge 47/1985. Trascorso il suddetto periodo di trentasei 
mesi si prescrive il diritto al conguaglio o al rimborso spettante�). Anche la 
Corte di Cassazione ha ribadito come �ai fini dell�estinzione del reato costituito 
dall�illecito edilizio, le tre condizioni previste dall�articolo 32, comma 
36, del D.L. 269/03 (presentazione nei termini della domanda di condono; 
versamento dell�intero importo della somma dovuta a titolo di oblazione, decorso 
di trentasei mesi dalla data di effettuazione del suddetto versamento) 
debbono ricorrere congiuntamente� (Cass. Pen., III, 26 aprile-14 giugno 2007, 
n. 23131). 
La disposizione ha lo scopo precipuo di consentire al Comune di controllare 
l�esattezza dei calcoli effettuati dai dichiaranti in ordine alla misura dell�oblazione, 
e di procedere, se del caso, ai conguagli (art. 35, comma 14, legge 
n. 47/1985) o ai rimborsi, determinando, quindi, in via definitiva, l'importo 
esatto dell'oblazione, sulla base della documentazione ricevuta e dell�istruttoria 
espletata. 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 265 
Ne deriva nel correlato giudizio penale, che il giudice dovrebbe sospendere 
il processo e chiedere all'autorit� comunale competente notizie sulla congruit� 
dell'oblazione autodeterminata e versata dall'interessato cos� come deve 
chiedere notizie circa il rispetto dei termini stabiliti dalla legge per il versamento 
dell'oblazione o per la presentazione della documentazione integrativa 
richiesta sia per accertare se si � perfezionato oppure se � diventato improcedibile 
l'iter dell'oblazione sia per verificare se il reato si � estinto (in questo 
stesso senso, v. anche Cass. pen. , sez. III, 18 gennaio 2001). La previsione al 
riguardo di un termine triennale non esclude affatto che qualora il Comune 
abbia accertato la corrispondenza tra l�oblazione versata e quella effettivamente 
dovuta dal trasgressore e, per l�effetto, si sia pronunciato anticipatamente 
sulla domanda edilizia, il provvedimento concreto di assenso al condono 
edilizio, oltre a chiudere il procedimento amministrativo, far� scattare anche 
l�ultimo presupposto per la dichiarazione di estinzione del reato contestato, 
senza la necessit� per il giudice penale di attendere tempi ulteriori. 
Va ricordata al riguardo l�incostituzionalit� della previsione, giudicata in 
parte qua priva di ogni ragionevole giustificazione �perch� se i tre anni sono 
previsti ex lege per consentire agli uffici comunali di operare i necessari accertamenti, 
una volta acclarata la congruit� della somma pagata, il decorso 
del tempo ulteriore non assolve pi� ad alcuna funzione� e la fattispecie estintiva 
dei reati pu� (rectius, deve) ritenersi comunque perfezionata. Cos�, Corte 
Cost. sentenza n. 70/2008, cit; in senso conforme, anche Cass. pen., sez. III, 
27 gennaio 2009, n. 3582, secondo cui �L'estinzione per condono del reato 
costituito da illecito edilizio, laddove la competente autorit� comunale abbia 
attestato la congruit� dell'oblazione corrisposta, non necessita del decorso di 
trentasei mesi dalla data di effettuazione del versamento�. 
In definitiva anche ai fini dell'estinzione dei reati, ai sensi del D.L. n. 269 
del 2003, art. 32, comma 36, requisito essenziale � "l'integralit� dell'oblazione 
corrisposta dall'imputato" e, per la relativa verifica di corrispondenza di 
quanto versato a quanto realmente dovuto, il giudice penale �si avvale degli 
accertamenti compiuti dall'autorit� comunale, la quale � il soggetto formalmente 
preposto alla determinazione definitiva dell'importo dell'oblazione, ai 
sensi della L. n. 47 del 1985, art. 35, comma 14 (Corte Cost. 70/2008 cit..)�. 
Pertanto, l�indicazione di un dies ad quem, a decorrere dal pagamento integrale 
dell'oblazione, quale presupposto dell'estinzione dei reati edilizi, dal 
punto di vista procedimentale risponde all�esigenza di �scadenzare� l�attivit� 
di determinazione dell'oblazione spettante al Comune (con accertamenti non 
solo documentali sull�istanza di condono avanzata dal privato, ma anche fattuali, 
mediante eventuali sopralluoghi tecnici sulle opere realizzate, al fine di 
verificarne la conformit� a quanto indicato nell�istanza di condono) e di verifica 
della congruit� della somma pagata, evitando che l'effetto estintivo (a 
fronte della sussistenza degli altri presupposti di legge) possa essere indefini-
266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
tamente procrastinato per inerzia della P.A. procedente. In particolare la specifica 
previsione di un termine finale rigoroso per il pagamento dell�intera 
oblazione a decorrere dal quale il Comune debba verificare la congruit� della 
somma pagata � innanzitutto volta a consentire che, affinch� si possa estinguere 
il reato, l�amministrazione accerti che l�oblazione versata sia quella dovuta 
in base alla legge, onde evitare elusioni della disposizione. Al tempo 
stesso, tale previsione pone un limite temporale per effettuare i controlli e gli 
accertamenti (anche di fatto) necessari, in modo da evitare che il ritardo o 
l�inerzia dell�amministrazione possano procrastinare indefinitamente l�estinzione 
del reato. L�effetto estintivo assicurato dalla legge sull�ultimo condono 
edilizio a chi abbia presentato la relativa domanda viene ora a collegarsi direttamente 
all�oblazione versata nella misura dovuta - cos� come certificata 
dalla P.A.- a prescindere dal requisito temporale, con la conseguenza che per 
il proscioglimento del reato edilizio non si dovr� pi� attendere il decorso del 
termine triennale, essendo necessaria e sufficiente la prova della congruit� 
dell�oblazione pagata. 
Entro il termine indicato nell�art. 32, comma 36, il tecnico incaricato 
dall�ente di procedere alla verifica dovr� determinare il reale importo dell�oblazione 
dovuta per l�abuso commesso e gli importi delle rate risultanti 
dalla sua scomposizione, maggiorando degli interessi legali per il periodo compreso 
tra il giorno della scadenza della rata e il giorno in cui � stata effettuata 
la verifica, in caso di ritardato e/o inesatto pagamento, ovvero richiedendo 
conguagli o pagando rimborsi; quindi, contestualmente all�esibizione da parte 
dell�interessato della ricevuta del versamento all�Erario delle somme dovute 
ad integrazione (a titolo di interessi legali o di conguaglio) di quelle gi� versate, 
il competente dirigente comunale (non pi� il sindaco) rilascer� il titolo 
in sanatoria. 
In conclusione, con specifico riferimento al quesito specifico (invero non 
esaustivo) formulato da codesta Amministrazione si ritiene che, demandando 
la legge l�esatta determinazione dell�oblazione legittima all�amministrazione 
comunale con la successiva eventuale corresponsione di conguagli a favore 
di detta amministrazione, oltre interessi, ovvero di rimborsi a favore dell�istante 
per il condono, la mancata corrispondenza dell'importo originariamente 
versato con quello effettivamente dovuto non possa in alcun modo 
determinare tout court alcuna decadenza a carico del privato, �salva l�ipotesi 
in cui, per il carattere irrisorio della misura della anticipazione versata, di 
cui non ricorrono gli estremi, detto pagamento si debba ritenere inesistente 
(Cfr. Cass. pen. Sez.III, n.46384/2008 cit.) �, ovvero l�ipotesi in cui il privato 
non provveda ad integrare la somma richiestagli entro il termine all�uopo assegnatogli 
dall�amministrazione procedente�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 267 
A.G.S. - Parere del 2 dicembre 2009 prot. n. 362337 - Costituzione di 
ipoteca su beni archeologici appartenenti a Societ� cooperative; necessit� 
dell�autorizzazione ministeriale (avv. Paola Palmieri - AL 21135/09). 
�La societ� cooperativa Opitergium Vini S.a.c. chiedeva alla Banca Iccrea 
la concessione di un mutuo fondiario, offendo come garanzia un terreno per il 
quale richiedeva di accendere un� ipoteca. 
Da una relazione notarile emergeva che su tale terreno risultava trascritto 
un vincolo archeologico in favore del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali. 
Preso atto di tale vincolo, la Banca Iccrea rifiutava di approvare il finanziamento 
richiesto dalla cooperativa in assenza di previo parere e di relativa 
autorizzazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, in 
merito alla costituzione dell�ipoteca sul summenzionato terreno. 
Tuttavia, interpellata dalla cooperativa per ottenere l�autorizzazione sollecitata 
dalla Banca, la Soprintendenza negava che il caso in questione richiedesse 
autorizzazione, poich�, non essendo la Opitergium S.a.c. una persona 
giuridica privata senza fine di lucro, il terreno sottoposto a vincolo archeologico 
non poteva considerarsi rientrante nell�articolo 56 del D.Lgs. n. 42 del 
2004.
A fronte della persistente richiesta della Banca la Soprintendenza per i 
Beni Archeologici del Veneto richiedeva parere legale all�Avvocatura Distrettuale 
dello Stato, la quale, condividendo le deduzioni postulate dalla Banca 
ed andando in contrario avviso rispetto alle considerazioni della Soprintendenza, 
ha rimesso il quesito a questo G.U nella considerazione dei suoi aspetti 
generali e di massima. 
********** 
I- Considerazioni generali sull�art. 56 del Codice Urbani 
Ai sensi dell�art 56 commi 1 lett b) e 4 quinquies del Codice dei beni culturali 
e del paesaggio, Decreto Legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004 debbono 
essere soggette ad autorizzazione da parte del Ministero dei Beni Culturali ed 
Archeologici sia le alienazioni sia le costituzioni di ipoteca sui beni culturali 
appartenenti non solo allo Stato, regioni ed altri enti pubblici territoriali (lett. 
a) art. 56, ma anche agli enti pubblici diversi da quelli elencati sub a) o alle 
persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici 
civilmente riconosciuti. 
Il contrasto interpretativo, pertanto, verte sulla seguente questione: se le 
societ� cooperative delineate dal codice civile rientrino o meno nel novero 
della categoria delle �persone giuridiche private senza fini di lucro� . 
Giova premettere, in linea generale, che tanto nel vigore del D.Lgs n. 490 
del 1999 (che, all�art. 5 recepisce nella sostanza il contenuto dell�art. 4 della 
legge n. 1089 del 1939), ed infine nel Codice Urbani, i beni culturali apparte-
268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
nenti alle persone giuridiche senza fini di lucro (ma gi� prima sotto il vigore 
della legge Bottai , enti o istituti legalmente riconosciuti) sono tradizionalmente 
affiancati quanto alle modalit� di individuazione del bene e quanto al 
regime di tutela, ai beni appartenenti agli enti pubblici in generale, territoriali 
e non. 
Anche sotto il profilo autorizzatorio (art. 26 della l. 1089 del 1939 e art. 
53 comma 3 del T.U. del 1999), la disciplina giuridica dei beni appartenenti a 
tali soggetti coincide con quella prevista per i beni in mano pubblica, in considerazione 
delle finalit� sociali che contraddistinguono gli enti privati di erogazione 
(soprattutto di servizi sociali) di origine privatistica, in modo 
sostanzialmente non difforme da quelli pubblici. 
Costituisce contrappeso a tale regime differenziato della propriet� e, soprattutto, 
all�assoggettamento automatico al vincolo dei beni appartenenti agli 
enti privati senza finalit� di lucro, il particolare regime di agevolazioni e finanziamenti 
pubblici a favore di tali enti, in vista delle finalit� collettivistiche 
perseguite dai medesimi. 
Il regime pubblicistico, dunque, � stato in questo senso visto come pregnante 
limite e significativo strumento di controllo sull�attivit� negoziale del 
settore non profit. 
In effetti, a partire dagli anni 90� in poi, si assiste, da un lato, ad un vasto 
processo di privatizzazione di molti enti pubblici e dall�altro, per quel che qui 
interessa, all�emergere di un intero settore di enti (complessivamente denominati 
non profit) che, sia pure dotati di personalit� di diritto privato, sono 
connotati, sotto il profilo oggettivistico, dal perseguimento di fini di utilit� sociale, 
ascrivibili anche alla promozione culturale del paese, alla valorizzazione 
dei beni culturali. 
Si tratta di vedere, dunque, se le societ� cooperative - in ragione delle 
loro caratteristiche - possano essere fatte rientrare o meno nel novero di enti 
privati che, in quanto privi di finalit� di lucro, condividono la vocazione di 
utilit� sociale propria degli enti pubblici ed in quanto tali, possano essere legittimamente 
affiancati a questi ultimi, come ritenuto dall�Avvocatura Distrettuale 
di Venezia. 
II- Considerazioni generali sulla natura delle cooperative 
Nelle disposizioni generali che regolano le societ�, l�art. 2247 c.c. evidenzia 
come lo scopo di lucro caratterizzi tutte quelle attivit� economiche idonee 
a produrre utili (c.d. lucro oggettivo) distribuibili tra i soci (c.d. lucro 
soggettivo). 
Diversamente, l�art. 2511 c.c. definisce le societ� cooperative quelle �societ� 
a capitale variabile con scopo mutualistico�. 
Secondo la tesi sostenuta dalla Avvocatura Distrettuale di Venezia, le cooperative 
rientrerebbero tra gli enti privati senza fini di lucro in quanto le stesse, 
ai sensi dell�art 2511 del codice civile, sono informate al principio mutualistico
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 269 
inteso come fine contrapposto a quello di lucro, proprio delle societ� commerciali 
in genere. 
Tale conclusione sarebbe valida anche nel caso in cui si tratti di cooperative 
a mutualit� non pura (c.d. spuria), in cui vi � coesistenza di fini mutualistico 
e lucrativo, atteso che il principio mutualistico, ove presente, caratterizza 
e distingue le societ� cooperative, imprimendo loro una disciplina giuridica 
completamente diversa rispetto a quella disegnata dal Legislatore per le societ� 
�lucrative� propriamente dette, e, pertanto, per ci� solo assorbirebbe comunque 
ogni altro elemento. 
Ritiene, tuttavia, la Scrivente che definire le cooperative come societ� a 
scopo mutualistico (art. 2511 c.c.) non sembrerebbe potersi tradurre, come ha 
ritenuto l�Avvocatura Distrettuale in indirizzo, nella tautologica definizione 
di �assenza di scopo di lucro�. 
Si osserva, al riguardo, come i due concetti, scopo lucrativo e scopo mutualistico, 
non siano giuridicamente da intendersi l�uno come l�equivalente 
antitetico dell�altro. 
Lo scopo mutualistico � pacificamente inteso come quella autodestinazione 
di risultati rinvenibile nella �gestione di servizio a vantaggio dei soci�, 
consistente secondo la Relazione al codice civile n.1025, nel �fornire beni o 
servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri dell�organizzazione a 
condizioni pi� vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato�, in contrapposizione 
al concetto puro di impresa in cui si persegue il lucro oggettivo 
(obiettivo di perseguire un profitto) e il lucro soggettivo (suddivisione tra i 
soci del profitto). 
Nel corso degli anni, col mutare delle condizioni socio-economiche, la 
dottrina ha affiancato all�applicazione del concetto di mutualit� in senso puro 
- riferibile a quelle societ� operanti nei soli confronti dei soci - quello di mutualit� 
spuria, riferibile alle societ� che interagiscono con i terzi oltre che con 
i soci e maggiormente tendenti all�impresa lucrativa. Peraltro, proprio su 
quest�ultima categoria si � concentrato il Legislatore della riforma, il quale, 
contemplando due tipologie di cooperative, le cooperative a mutualit� prevalente 
(art. 2512,1513,1514 c.c.) e le diverse, ha realizzato una gradazione all�interno 
delle �spurie�, finalizzata all�individuazione dei diversi regimi di 
agevolazioni tributarie (art. 223-duodecies, comma 6�, disp. att.) in ragione 
della componente mutualistica. 
Si osserva, peraltro, come anche costante giurisprudenza (SS.UU. della 
Cassazione, sentenza n. 401 del 2000) abbia in pi� occasioni sottolineato il 
fatto che tra le cooperative diverse l�elemento mutualistico sarebbe addirittura 
sussidiario rispetto al lucrativo; ci� nonostante, esse mantengono la denominazione 
sociale di �cooperative�, avendole il Legislatore egualmente ritenute 
degne di tutela e destinatarie di agevolazioni di carattere tributario (seppur 
nettamente meno ampie rispetto alle cooperative a mutualit� prevalente), pro-
270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
prio per la compresenza dell�elemento mutualistico, ancorch� non dominante. 
La presenza di connotati lucrativi non �, quindi, inconcililabile con lo 
scopo mutualistico, tipico della societ� cooperativa (in tal senso anche: Cassazione 
Civile, I sez, n. 5832 del 1992). Tale concetto di compatibilit� tra scopo 
lucrativo e scopo mutualistico, sembra sufficiente a dimostrare la non coincidenza 
tra le nozioni giuridiche della �mutualit�� e della �non lucrativit��, posto 
che la �compatibilit�� non � sinonimo di �identit��. 
Quanto sopra affermato sembra essere ulteriormente corroborato dalla 
lettera dell�articolo 45 della Costituzione, in cui si dispone che �la Repubblica 
riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualit� e 
senza fini di speculazione privata�: affinch� quindi la cooperazione tra gli individui 
sia meritevole di tutela essa dovr� contenere al proprio interno un elemento 
positivo, la mutualit�, e un elemento negativo, l�antispeculativit�; come 
pacificamente evidenziato pi� volte da autorevole dottrina e consolidata giurisprudenza, 
l�antispeculativit� non sarebbe da intendersi nel senso di assenza 
di profitto eventualmente prodotto dalla societ� nei suoi rapporti con i terzi 
(c.d lucro oggettivo), bens� come mancata distribuzione di utili ai singoli soci 
(c.d. lucro soggettivo). 
Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, ci� che costituirebbe, allora, 
il vero discrimen tra le �societ� lucrative stricto sensu (quali le Spa, le Srl, le 
Sapa, le Snc, le Sas etc) , e le societ� cooperative, non � rappresentato dalla 
presenza o meno dello scopo di lucro nell�attivit� economica, bens� dall�esistenza 
o meno, all�interno dello statuto, di un limite, (non gi� totale impedimento), 
posto alla divisione degli utili tra i soci, in ossequio alla disciplina 
disegnata dal Legislatore della riforma; a differenza delle altre, tanto le cooperative 
a mutualit� prevalente quanto le diverse, infatti, vedono compresso 
il profilo lucrativo della partecipazione sociale, seppur con alcune differenze 
(che si traducono nelle maggiori o minori agevolazioni di natura tributaria ad 
esse riconosciute): mentre per le prime � stata prevista la restrittiva disciplina 
disposta dall�art. 2514 c.c, per le seconde � sufficiente che l�atto costitutivo 
fissi la percentuale massima degli utili ripartibili tra i soci. 
Fondamentale, al fine di individuare l�effettiva natura della cooperativa 
sar�, pertanto, l�esame dello Statuto. (Nel caso di specie, ad esempio, emerge 
dallo Statuto della societ� interessata che lo scopo mutualistico viene individuato 
nel �far conseguire ai soci vantaggi economici e sociali da ricevere da 
essa, tramite scambi mutualistici attinenti l�oggetto sociale, alle migliori condizioni 
possibili�. Ancora, lo statuto dispone che la Cooperativa sia retta dai 
principi della mutualit� ai sensi di legge, indicando tuttavia, nell�oggetto sociale 
una serie di attivit� lucrative tanto in senso oggettivo - quali ad esempio 
la vendita al minuto dei vini, dei sottoprodotti, e di altri prodotti agricoli - art. 
4 lett. a e b -, la distribuzione tra i soci, in rapporto alla quantit� e alla qualit� 
delle uve conferite e di quant�altro dagli stessi consegnato, del ricavato delle
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 271 
vendite dell�esercizio al netto di ogni spesa ed onere - art. 4 lett. c -, la possibilit� 
di concludere operazioni di natura immobiliare, mobiliare, commerciale, 
industriale, finanziaria, l�assunzione di interessenze e partecipazioni, sotto 
qualsiasi forma, in imprese, Enti, Associazioni, ancorch� strumentali al raggiungimento 
degli scopi sociali art. 4 lett. h); quanto in senso soggettivo, quale 
� la possibilit�, ancorch� in via accessoria e complementare, di operare anche 
con terzi (art. 3), e la divisione degli utili tra i soci seppur nei limiti posti dalla 
legge (art. 3). 
Conclusioni in ordine al quesito - Il caso particolare delle ONLUS 
cooperative 
Alla luce di quanto sopra esposto in ordine al quesito di carattere generale 
sottoposto a questo G.U. � possibile concludere nel senso che l�art. 56 del Codice 
Urbani, individuando tra i vari destinatari dell�obbligo di autorizzazione 
alla costituzione di ipoteca le �persone giuridiche private senza fine di lucro�, 
si riferisca, pi� propriamente, a quelle persone giuridiche connotate da totale 
assenza di qualsivoglia perseguimento di un fine di lucro soggettivo, come ad 
esempio le associazioni, le fondazioni, le cui attivit�, essendo rivolta a favore 
di soggetti terzi estranei, non gi� soltanto dei propri associati, sembrano maggiormente 
aderenti agli scopi di tipo altruistico perseguiti da tutti gli altri destinatari 
individuati dalla norma, quali lo Stato, le regioni, gli enti territoriali, 
e gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. 
In effetti, se l�interesse dei soggetti riuniti in cooperativa � concentrato 
sulle finalit� proprie e pur sempre egoistiche degli associati, la caratteristica 
dell�ente senza fine di lucro ai fini della normativa sui beni culturali �, piuttosto, 
quella di avere come precipua finalit� istituzionale lo svolgimento di un�attivit� 
rivolta a finalit� sociali e superindividuali. Tali enti, bench� privati, si 
affiancano all�attivit� dello Stato e degli enti pubblici direttamente competenti 
per la tutela dei beni culturali in modo tale da giustificarne l�attrazione alla 
sfera del pubblico quanto al regime di tutela dei beni ad essi appartenenti. Non 
sembra, per contro, possibile ravvisare tali caratteristiche nelle societ� cooperative 
siano esse diverse o, anche, a mutualit� prevalente, il cui regime proprietario, 
dunque, in assenza di una ragionevole giustificazione, non pu� essere 
assoggettato al sistema autorizzatorio richiesto dalla normativa sui beni culturali 
per enti senza finalit� di lucro. 
La Scrivente, in linea generale, ritiene comunque di potere osservare che 
l�unica residuale ipotesi di cooperativa eventualmente interessata dalla normativa 
ex art. 56 Codice dei Beni Culturali e Archeologici potrebbe essere individuata, 
su un piano teorico, in quella afferente alla categoria che 
tradizionalmente la dottrina qualifica come cooperative a mutualit� �pura�, la 
cui attivit� � caratterizzata dalla assoluta e totale assenza di qualsivoglia elemento 
lucrativo. 
In effetti, la considerazione per cui il codice civile successivo alla riforma
272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
societaria non menzioni la mutualit� pura, non dovrebbe indurre l�interprete a 
considerare tale scelta come una sorta di negazione di esistenza della stessa; 
al contrario, tale omissione sembrerebbe piuttosto da interpretarsi come la 
mera volont� del Legislatore di non voler riconoscere ad esse alcun effetto ulteriore 
in termini di agevolazioni di natura tributaria, rispetto a quelle concesse 
alle cooperative a mutualit� prevalente. 
Si rammenta, tuttavia, che, alla luce dell�attuale scenario socio-eonomico, 
come affermato da autorevole dottrina e giurisprudenza, la realizzazione della 
mutualit� pura risulti nella pratica di difficoltosa applicazione, e di ci� sembrerebbe 
aver preso atto lo stesso Legislatore della riforma, che ha scelto di 
accordare il pi� ampio favor alle cooperative a mutualit� prevalente. 
Se, pertanto, in base a quanto sopra considerato � possibile escludere in 
linea generale che le cooperative - anche se a mutualit� prevalente - siano da 
ritenere normalmente escluse dall�ambito applicativo dell�art. 56 D.Lgs. n. 42 
del 2004, si potrebbe comunque ritenere sussistente un residuo ambito di applicazione 
anche a fronte di soggetti che rivestono formalmente la veste di 
cooperativa. Ma ci� esclusivamente nel caso in cui - previa analisi, caso per 
caso e al di l� delle nomenclature statutarie, della reale ed effettiva attivit� 
della cooperativa a mutualit� pura - sia possibile verificare la reale e totale 
estraneit� della cooperativa al perseguimento di qualsivoglia scopo lucrativo 
di tipo soggettivo, come sopra illustrato. 
Solo in tale ristretto ambito, in effetti, si potrebbero ritenere sussistenti 
da un punto di vista funzionale ed oggettivistico le stesse esigenze di tutela 
che sottendono la ratio della previa autorizzazione richiesta per la generalit� 
degli enti privi di finalit� di lucro. 
Rientra sicuramente in tale ambito il caso delle Onlus cooperative costituite 
ai sensi del D.Lgs. 4. dicembre 1997 n. 460 
Ai sensi dell�art. 10 del riferito decreto legislativo sono organizzazioni 
non lucrative di utilit� sociale (ONLUS) le associazioni, i comitati, le fondazioni, 
le societ� cooperative e gli altri enti di carattere privato, con o senza 
personalit� giuridica, i cui statuti o atti costitutivi, redatti nella forma dell�atto 
pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, prevedono espressamente 
lo svolgimento di attivit� in uno o pi� settori indicati dal seguito della 
disposizione ( assistenza sociale o socio sanitaria, beneficienza, istruzione, tutela 
e valorizzazione di beni culturali ecc.) o che, in generale, siano rivolte 
esclusivamente a fini di solidariet� sociale. 
Le caratteristiche proprie di tali enti fanno, dunque, s� che le cooperative 
si trovino affiancate ad enti non societari, quali le associazioni e le fondazioni, 
condividendo con questi ultimi finalit� tipicamente solidaristiche . 
L�esclusione di qualsivoglia finalit� lucrativa, anche di tipo soggettivo, � 
garantita dal regime proprio di tali enti caratterizzati - oltre che dal divieto di 
svolgere attivit� in settori diversi da quelli indicati dalla stessa disposizione
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 273 
(art.10, primo comma, lett. c) del D.Lgs. n. 460 del 1997), dal divieto di distribuire 
, anche in modo indiretto utili ed avanzi di gestione, nonch� fondi o 
riserve di capitali durante la vita dell�organizzazione - dall�obbligo di reimpiegare 
utili o avanzi di gestione per la realizzazione di attivit� istituzionali, 
nonch� dall�obbligo, in caso di scioglimento, di devolvere il patrimonio ad 
altre organizzazioni non lucrative (lett. c),d), ed f) della medesima disposizione). 
Non sembra sia revocabile in dubbio la possibilit� di ricomprendere tali 
cooperative, ove abbiano le caratteristiche sopra riferite, tra gli enti privati 
senza scopo di lucro di cui al Codice Urbani, tanto pi� che, che tra i settori ritenuti 
rilevanti ai fini del D.L.gs. n. 460 del 1997 rientrano proprio le specifiche 
finalit� di tutela, promozione e valorizzazione delle cose di interesse 
artistico e storico di cui alla legge n. 1089 del 1939, ivi comprese le biblioteche 
e i beni di cui al DPR n. 1409 del 1963. 
Resta, per contro, confermata l�esclusione dalla categoria degli enti senza 
finalit� di lucro delle societ� cooperative costituite ai sensi dell�art. 2511 c.c. 
ove prive delle caratteristiche proprie delle ONLUS istituite ai sensi del D.Lgs. 
n. 460 del 1997. 
I beni appartenenti a queste ultime, pertanto, saranno sottoposti a regime 
di tutela solo ove presentino un interesse particolarmente importante ex art. 
10 comma terzo del D.Lgs. n. 42 del 2004 e previa notifica del provvedimento 
di dichiarazione, sottoposto al regime di trascrizione e, dunque, dotato di opponibilit� 
ai terzi, ex art. 15 del medesimo decreto legislativo. 
Sulle questioni di cui al suesteso parere � stato sentito il Comitato Consultivo 
il quale si � espresso in conformit� �. 
A.G.S. - Parere del 17 dicembre 2009 prot. n. 380132 - Opere pubbliche. 
Rapporti tra stazione appaltante e Raggruppamento Temporaneo di Imprese: 
deroghe al principio di immodificabilit� soggettiva dei componenti (avv. 
Marco Stigliano Messuti - AL 33638/2009). 
�Codesta societ� ha chiesto di conoscere l�avviso della scrivente in ordine 
alla possibilit� o meno di autorizzare, in seno ad un raggruppamento temporaneo 
di concorrenti partecipanti ad una procedura di gara, il recesso di una 
mandante ed il conseguente subentro della mandataria nella titolarit� della 
quota di pertinenza della mandante. 
*** 
In fatto: l�impresa Aleandri spa nella qualit� di mandataria dell�ATI con 
l�impresa Sar.Co.Bit. si aggiudicavano la procedura di evidenza pubblica relativa 
ad i lavori di costruzione del collegamento veloce tra Sassari - Alghero
274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
- Aeroporto. 
Con atto notarile del 16 aprile 2009 veniva stipulato con la committente 
Anas il relativo contratto di affidamento dei lavori. 
Con atto notarile del 15 setembre 2009 la mandante dichiarava di recedere 
dall�ATI conferendo la propria quota pari al 20 % alla mandataria Aleandri 
che prestava il consenso al recesso ed al subentro nella quota di lavori da eseguire. 
Con nota del 16 settembre 2009 la capogruppo, Aleandri spa chiedeva 
all�Anas di consentire il recesso della mandante ed il subentro nella titolarit� 
della quota del 20 % allo stato di pertinenza della mandante. 
*** 
Preliminarmente va rappresentato che la normativa in vigore non disciplina 
la fattispecie del recesso dell�impresa mandante, e che pertanto l�analisi 
� il frutto della sola interpretazione data sul punto dalla giurisprudenza della 
Cassazione (in particolare Cass., sezione I, 11 maggio 1998 n. 4728) e del 
Consiglio di Stato. 
Al riguardo � opportuno tenere distinti due aspetti del problema in quanto 
occorre avere riguardo al momento temporale in cui interviene il recesso della 
mandante. 
1) recesso volontario di un impresa mandante dalla compagine associativa 
partecipante ad una gara nella fase intercorrente tra la fase di prequalifica e la 
presentazione dell�offerta. 
2) recesso volontario dalla compagine associativa della mandante che interviene, 
successivamente alla stipula del contratto di appalto con il RTI risultato 
aggiudicatario della gara. 
*** 
Con riferimento all�ipotesi sub 1) si � oramai consolidato un orientamento 
giurisprudenziale favorevole all�ammissibilit� del recesso. 
Il principio di immodificabilit� soggettiva dei partecipanti alle procedure 
di affidamento degli appalti pubblici, disciplinato dall�art. 37, comma 9, Dlgs 
163/2006, deve intendersi, in particolare, giustificato dall�esigenza di assicurare 
alle amministrazioni aggiudicatrici una conoscenza piena dei soggetti che 
intendono contrarre con esse, al precipuo fine di consentire un controllo preliminare 
e compiuto dei requisiti di idoneit� morale, tecnico-organizzativa ed 
economico-finanziaria dei concorrenti ed all�ulteriore scopo di impedire che 
tale verifica venga vanificata od elusa con modificazioni soggettive, in corso 
di gara, delle imprese candidate. Cos� definita la ratio del divieto in esame, si 
deve, allora, rilevare, in conformit� con la finalit� della disposizione (per come 
appena individuata), che lo stesso deve leggersi come inteso ad impedire l�aggiunta 
o la sostituzione di imprese partecipanti all�a.t.i. e non anche a precludere 
il recesso di una o pi� imprese dall�associazione. 
Mentre, infatti, nella prima ipotesi (aggiunta all�a.t.i., in corso di gara, di
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 275 
un�impresa o sostituzione di un�impresa con un�altra nuova) resta impedito 
all�amministrazione un controllo tempestivo e completo del possesso dei requisiti 
anche da parte della nuova compagine associativa, con grave ed irreparabile 
pregiudizio dell�interesse pubblico alla trasparenza delle procedure 
finalizzate alla selezione delle imprese appaltatrici ed alla affidabilit�, capacit�, 
seriet� e moralit� di queste ultime, nella seconda (recesso di un�impresa 
dall�a.t.i. ed intestazione della sua quota di partecipazione all�impresa o alle 
imprese rimanenti che siano ovviamente titolari da sole dei requisiti di partecipazione 
e qualificazione) le predette esigenze non risultano in alcun modo 
frustrate (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, 13 maggio 2009 n. 2964; sez. IV, 
23 luglio 2007, n. 4101; Tar Liguria, 9 gennaio 2009 n. 39 e Tar Calabria, sezione 
di Reggio Calabria, 26 gennaio 2009 n. 56). 
*** 
Con riferimento all�ipotesi sub 2) la fattispecie va considerata sotto una 
diversa visuale atteso che il vincolo obbligatorio tra la committente e il RTI � 
consacrato e regolato dalla intervenuta stipula del contratto con tutte le conseguenze 
civilistiche che ne derivano. 
L�associazione temporanea di due o pi� imprese nell�aggiudicazione ed 
esecuzione di un contratto di appalto pubblico (art. 34, lettera d), Dlgs 
163/2006) � fondata su di un rapporto di mandato con rappresentanza, gratuito 
ed irrevocabile, conferito da una o pi� imprese (mandanti), collettivamente, 
ad altra impresa (mandataria) �capogruppo� legittimata a compiere, nei rapporti 
con l�amministrazione, ogni attivit� giuridica connessa o dipendente 
dall�appalto. Essa soltanto, infatti, presenta l�offerta, sottoscrive il contratto, 
riscuote i pagamenti, fornisce le necessarie cauzioni e fideiussioni, provvede 
all�iscrizione delle riserve e sottoscrive gli atti di gestione dell�appalto e il certificato 
di collaudo, compiendo un�attivit� che produce direttamente effetti 
giuridici nei confronti delle imprese mandanti fino all�estinzione del rapporto. 
Il vincolo contrattuale che lega il RTI alla committente comporta che la 
revoca del mandato (rectius il recesso della mandante), consentita solo per 
giusta causa quando si tratti di mandato collettivo (art. 1726 cod. civ.), bench� 
accettata dalla mandataria, attiene ai rapporti interni del contratto di mandato 
e conseguentemente non produce effetti nei confronti del soggetto appaltante, 
che pu� mantenere vincolate al contratto ciascuna delle imprese riunite (Cass., 
sezione I, 11 maggio 1998 n. 4728). 
Sotto il profilo della responsabilit� (art. 37, comma 5, Dlgs 163/2006) i 
raggruppamenti di tipo orizzontale determinano la responsabilit� solidale di 
tutte le imprese partecipanti - mandanti e mandataria - (Consiglio di Stato, sezione 
V, n. 5679/2000). Nel caso di raggruppamenti verticali, per effetto della 
suddivisione ben individuata dell�esecuzione dell�appalto tra le associate, la 
responsabilit� delle mandanti non � solidale, ma � limitata alle parti scorporate 
di opere da esse assunte, ferma restando la responsabilit� solidale del manda-
276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
tario.
In ragione delle suesposte considerazioni, il recesso della mandante, che 
pur deve ritenersi consentito, attenendo alle vicende interne delle imprese associate, 
non � opponibile nei confronti della committente che pu� mantenere 
vincolate al contratto ciascuna delle imprese riunite. 
L�irrevocabilit� del mandato si configura, infatti, come assoluta solo nei 
confronti della Amministrazione e non fa venir meno la qualifica di mandataria 
dell�impresa capogruppo e la continuazione della sua attivit� gestoria, ma non 
impedisce l�estinzione del rapporto fra mandante e mandataria. 
In applicazione della disciplina dettata dall�art. 1726 cod. civ. nel caso di 
mandato collettivo, la situazione non muta nell�ipotesi di associazione di due 
sole imprese, poich� anche in tal caso l�impresa capogruppo � tenuta a continuare, 
da sola o previa sostituzione dell�impresa receduta, l�esecuzione del 
contratto nei confronti dell�Amministrazione, trattandosi di mandato conferito 
non solo anche nell�interesse del mandatario, ma pure in quello, preminente, 
dell�Amministrazione committente (art. 1723, 2 comma cod. civ.). 
Per contro, ferma restando la responsabilit� solidale del mandatario per 
l�intera esecuzione del contratto, sia nell�ATI orizzontale che verticale, la circostanza 
che il recesso della mandante non � opponibile alla stazione appaltante, 
legittima quest�ultima a mantenere vincolate al contratto tutte le imprese 
riunite e ad esigere comunque la prestazione per l�intero da parte della mandataria 
capogruppo. 
Conclusivamente: 
Il recesso della mandante dal RTI e il completamento dell�opera (anche 
per la quota della mandante) da parte della mandataria, che vi � obbligata in 
solido, attenendo ai rapporti interni del vincolo associativo devono ritenersi 
consentiti. 
La committente, per contro, nei cui confronti il recesso non produce alcun 
effetto, non � tenuta a prestare il proprio consenso n� al recesso della mandante 
(in quanto ad essa non opponibile), n� al �subentro� della mandataria nella 
quota di lavori della mandante (trattandosi in realt� di mero adempimento 
dell�obbligazione solidale gravante sulla mandataria stessa), potendo mantenere 
vincolate al contratto tutte le imprese riunite, e ferma restando l�opportunit� 
di una verifica interna da parte della committente sull�eventuale 
configurarsi delle condizioni di cui all�art. 1461, c.c.. 
In tal caso, nell�ipotesi di riunione �orizzontale�, mandante/i e mandataria 
rispondono solidalmente dell�esecuzione integrale del contratto, che resta 
unico e indivisibile. 
Nell�ipotesi invece di riunione �verticale�, la mandataria in virt� del vincolo 
di solidariet� � responsabile per tutte le obbligazioni scaturenti dal contratto 
e per la sua integrale esecuzione, e quindi anche della quota di 
competenza della mandante receduta, che rimane comunque obbligata limita-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 277 
tamente alle parti scorporate di opere da essa assunte. 
Facendo corretta applicazione dei suddetti principi alla fattispecie in 
esame ne consegue: 
- il recesso della mandante Sarcobit accettato dalla mandataria Aleandri 
produce i suoi effetti limitatamente al rapporto interno di mandato; 
- la stazione appaltante non deve esprimere alcun consenso in ordine al 
recesso, che � improduttivo di effetti nei suoi confronti potendo pretendere 
l�esecuzione integrale della prestazione relativa alla quota di lavori della mandante 
receduta sia dalla mandataria Aleandri (solidalmente obbligata), sia dalla 
mandante Sarcobit; 
- la stazione appaltante deve, in risposta all�istanza di autorizzazione formulata 
dalla capogruppo, comunicare che sia la mandante che la mandataria 
rimangono comunque vincolate nei suoi confronti all�adempimento degli obblighi 
contrattuali; 
- ovviamente, per quanto riguarda le modalit� di esecuzione della quota 
di lavori oggetto di recesso, � onere di mandante e mandataria, obbligate in 
solido, di trovare un accordo al fine di coordinarsi e garantire l�esatto e tempestivo 
adempimento degli obblighi contrattuali. 
Sul presente parere si � espresso in conformit� il Comitato consultivo 
nella seduta del 16 dicembre 2009�. 
A.G.S. - Parere del 22 dicembre 2009 prot. n. 385978 - Sull�indennit� 
di missione ex art. 1 della L. 18 dicembre 1973, n. 836 (avv. Lucrezia Fiandaca 
- AL 32118/09). 
�Codesta Amministrazione chiede alla Scrivente di formulare un parere 
in ordine all�istanza veicolata in data 23 gennaio 2009 dal (omissis), magistrato 
amministrativo presso il T.A.R. Lazio, concernente la corresponsione dell�indennit� 
di missione per la partecipazione alle singole riunioni del Consiglio 
di Presidenza della Giustizia Amministrativa, presso il quale ha svolto le funzioni 
quale componente elettivo a far data dal (omissis). 
In particolare, l�istante deduce che, essendo stato autorizzato a risiedere 
in una sede diversa da quella ordinaria di servizio (omissis), giusta provvedimento 
del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, emesso in 
data 11 aprile 2003, ai sensi dell�art. 9 del Regolamento interno per il funzionamento 
del Consiglio di Presidenza (provvedimento del 6 febbraio 2004), al 
medesimo spetti l�indennit� di missione per la partecipazione alle sedute del 
citato organo, quando non coincidenti con i giorni di udienza del T.A.R. Lazio. 
A sostegno dell�assunto l�istante cita alcune pronunce, e in particolare la 
sentenza del Consiglio di Stato n. 8522/03 (Cons. Stato, 24 dicembre 2003, n.
278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
8522) e una decisione del T.A.R. Liguria (T.A.R. Liguria, Sez. II, 7 giugno 
2007, n. 1051). 
Il ricorrente rileva inoltre che la ratio della normativa risiede nella compensazione 
dei �disagi connessi alla temporanea prestazione del servizio in 
luogo e forme diverse dall�ordinario� oltre che �del tempo trascorso in viaggio� 
(pag. 1 dell�istanza). 
Sostiene inoltre l�istante che ci� che rileva, al fine della corresponsione 
della citata indennit�, � la sede di residenza, circostanza desumibile a contrario 
da quanto disposto dall�art. 5 della legge n. 417 del 1978, ai sensi del quale 
tale emolumento non compete nel caso di servizio prestato presso la sede di 
residenza del ricorrente, ancorch� ubicata fuori dalla ordinaria sede di servizio. 
Le suddette considerazioni, a giudizio della Scrivente, non appaiono condivisibili. 
Al riguardo, � d�uopo richiamare il disposto dell�art. 1, co. 1, della legge 
18 dicembre 1973, n. 836, alla stregua del quale �Ai dipendenti civili dello 
Stato, compresi quelli delle amministrazioni con ordinamento autonomo, ed 
agli appartenenti alle forze armate ed ai corpi organizzati militarmente comandati 
in missione isolata fuori della ordinaria sede di servizio, in localit� 
distanti almeno 30 chilometri, spettano le indennit� di trasferta di cui alle 
unite tabelle A, B, C, D, E ed F per ogni 24 ore (ivi compreso il tempo occorrente 
per il viaggio) di assenza dalla sede. Per le ore residuali spettano le indennit� 
orarie di cui all�art. 3 della presente legge�. Tale norma va interpretata 
congiuntamente a quanto previsto dall�art. 1 della legge 26 luglio 1978, n. 
417, che recita: �A decorrere dall�1 dicembre 1977 le indennit� di trasferta 
dovute ai magistrati, agli avvocati e ai procuratori dello Stato�.comandati 
in missione fuori della sede ordinaria di servizio in localit� distanti almeno 
10 chilometri, sono stabilite come segue��, sebbene tale disposto sia stato 
abrogato, con effetto ex nunc, e dunque senza alcuna rilevanza per la fattispecie 
in rassegna, dall�art. 1, co. 213, della L. 266/05. 
L�applicabilit� dell�art. 1, co. 1, della legge 18 dicembre 1973, n. 836 (in 
relazione all�art. 1 della legge 26 luglio 1978, n. 417, che si occupa del quantum 
e delle percorrenze chilometriche che giustificano la corresponsione dell�indennit� 
in rassegna) al caso in disamina, secondo peraltro una 
prospettazione condivisa dall�istante, sembra conferente. 
E invero, la norma si riferisce all�ipotesi di dipendenti civili dello Stato, 
comandati in missione isolata fuori dalla ordinaria sede di servizio. 
Orbene, nella fattispecie concreta viene in rilievo la partecipazione, da 
parte di un magistrato amministrativo, alle sedute di un organo rappresentativo 
della categoria, di guisa che � quanto meno ravvisabile un nesso di occasionalit� 
necessaria tra la professione ordinariamente svolta e il mandato elettivo 
ricevuto quale componente del Consiglio di Presidenza per la Giustizia Am-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 279 
ministrativa. 
Al riguardo, � d�uopo riferirsi all�orientamento giurisprudenziale formatosi 
in tema di partecipazione dei magistrati ordinari alle sedute del CSM. Vale 
in primis premettere che per le missioni dei magistrati ordinari sussiste una 
normativa speciale, dal tenore tuttavia analogo a quello dell�art. 1, co. 1, della 
legge 18 dicembre 1973, n. 836. 
Il dato normativo per i magistrati ordinari � infatti costituito dalla L. 2 
aprile 1979, n. 97, come interpretato dall�art. 1, co. 209, della legge n. 266/05; 
i contenuti di tali disposizioni rinviano, per la disciplina sostanziale, all�art. 1 
della L. 6 dicembre 1959, n. 1039. L�unica peculiarit� della normativa vigente 
per le missioni dei magistrati ordinari risiede nei presupposti per l�applicazione 
della stessa, essendo limitata agli uditori giudiziari o a quanti siano trasferiti 
di ufficio, sebbene la giurisprudenza ricomprenda in tale ultima evenienza 
anche il caso del magistrato che, per effetto del passaggio a funzioni superiori, 
si trovi a svolgere la propria attivit� in un luogo diverso dalla sede ordinaria 
di servizio. 
Merita richiamare una recente sentenza di legittimit�, che si � occupata 
del caso di un magistrato, in servizio presso la Procura Generale della Repubblica 
presso la Corte di Appello di Venezia ed eletto al CSM. 
Trattasi della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 luglio 2008, n. 
3866, ove si richiama �il consolidato orientamento giurisprudenziale il quale, 
in armonia con la ratio del beneficio in oggetto - che � quella di compensare 
i soggetti destinatari della norma (uditori giudiziari di prima nomina e magistrati 
trasferiti di ufficio) del disagio conseguente allo spostamento di sede -, 
richiede quale presupposto necessario per la spettanza dell�indennit� di missione, 
sulla base del combinato disposto dei citati artt. 13 l. nr. 97/1979 e 6 l. 
nr. 27/1981 e dell�art. 16, comma XVIII, della legge 24 dicembre 1993, nr. 
537, che vi sia un effettivo mutamento geografico della sede di servizio (cfr. 
ex plurimis le decisioni di questa Sezione nr. 1993 dell�8 aprile 2004 e nr. 914 
del 15 febbraio 2002)�. 
In sostanza, la normativa concernente le missioni dei magistrati ordinari, 
incentrata anch�essa sulla nozione di sede ordinaria di servizio, e ritenuta applicabile 
anche per i casi di elezione al CSM, riconosce la spettanza del beneficio 
in oggetto quante volte la nuova sede sia diversa da quella ordinaria di 
servizio 
Orbene, il dato normativo indica chiaramente, quale presupposto per poter 
usufruire della citata indennit�, lo svolgimento di un�attivit� al di fuori della 
sede ordinaria di servizio; nel caso di specie, essendo la pretesa avanzata da 
un magistrato del T.A.R. Lazio, tale sede � certamente Roma. La sede ordinaria 
di servizio � dunque la medesima rispetto a quella in cui si sono tenute le riunioni 
del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, per la partecipazione 
alle quali il ricorrente richiede il riconoscimento dell�emolumento
280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
in disamina. 
Mette conto di osservare, inoltre, che il criterio della sede ordinaria di 
servizio, al fine dell�attribuzione del diritto al trattamento economico di cui 
all�art. 1 della citata legge, non � mai dalla medesima, n� da altre disposizioni, 
derogato, se non in peius, come nel caso, prospettato dal ricorrente, in cui la 
sede della missione coincida con quella di residenza. 
� peraltro evidente che ogni eccezione alla prefata norma deve essere 
espressamente prevista, stante la chiarezza del dato normativo. Non appare 
pertanto cogliere nel segno il tentativo del ricorrente di addivenire ad un�interpretazione 
sistematica della legge, atteso che con riguardo alla disciplina 
di settore in ordine a missioni e trasferte non emerge alcuna particolare esigenza 
interpretativa delle disposizioni summenzionate rispetto al senso fatto 
palese dalle loro parole secondo il tenore letterale delle stesse. 
Ancora meno suggestiva si prospetta l�argomentazione che riposa all�art. 
5 della legge n. 417/1978. 
A parte l�ovvio rilievo che trattasi di una norma che deroga in peius alla 
disposizione generale, contenuta, come poc�anzi accennato, nell�art. 1 della 
legge n. 836/1973, preme osservare che il ricorso all�analogia presuppone un 
vuoto normativo che nella specie non sussiste. N� pu� obiettarsi che trattasi 
di un�interpretazione estensiva, la quale non opera ove il dato letterale sia puntuale 
e perfettamente in linea con la fattispecie concreta. 
Quanto alle sentenze richiamate nell�istanza, merita evidenziare che le 
medesime concernono fattispecie diverse ed affermano comunque principi in 
contrasto con quelli richiamati dal ricorrente. 
E invero, la sentenza n. 8522/03 si occupa del distinto profilo concernente 
i rapporti tra la citata indennit� ed i compensi per lavoro straordinario, ribadendo 
inoltre che �l�indennit� di missione costituisce la remunerazione del 
disagio connesso al mutamento temporaneo del luogo in cui effettuare le prestazioni�. 
Tale luogo, nel caso che ci occupa, � Roma, per cui non si delinea 
quello spostamento dalla sede ordinaria di servizio che giustifica la corresponsione 
dell�indennit�. 
Quanto alla sentenza n. 1051/07 del T.A.R. Liguria, essa si occupa della 
distinta fattispecie in cui un dipendente dello Stato, trasferito da una sede all�altra, 
mantenga la residenza nel comune di provenienza, ove venga assegnato 
in missione; la decisione si palesa nondimeno interessante laddove osserva 
che anche la ratio della normativa in rilievo (oltre che il dato letterale) � nel 
senso di attribuire rilevanza alla sede ordinaria di servizio, evidenziandosi che 
essa �intende compensare i disagi connessi alla temporanea prestazione del 
servizio al di fuori dell�ordinaria sede di servizio�. 
Il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa appare 
unanime nell�attribuire rilevanza esclusivamente all�allontanamento dalla sede 
ordinaria di servizio quale presupposto per la riconoscibilit� dell�indennit� di
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 281 
missione. Nello specifico, giova richiamare una recente pronuncia del Consiglio 
di Stato (Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2009, n. 1855) che ricostruisce 
nei seguenti termini la ratio e la funzione dell�istituto. La sentenza chiarisce 
che �l�indennit� di missione [�] costituisce la remunerazione del disagio connesso 
con il mutamento temporaneo del luogo ove si effettua la prestazione, 
che pu� essere imposto al dipendente, ricorrendone le ragioni di servizio, ma 
poich� ci� influisce appunto sul luogo della prestazione di lavoro, ne consegue 
la necessit� di remunerare ulteriormente l�aggravio nella prestazione che lo 
spostamento comporta [�]L�indennit� di missione misura economicamente 
il disagio rappresentato dal periodo in cui il dipendente � tenuto a prestare la 
sua opera fuori dalla sede ordinaria di lavoro e per tale motivo � corrisposta 
anche per le ore di viaggio, durante le quali il dipendente � costretto ad abbandonare 
la propria sede di servizio per raggiungerne un�altra, con aggravio 
della prestazione di lavoro e conseguente ristoro con l�indennit� in questione�. 
Tale impostazione riprende invero quanto gi� osservato dalla precedente 
giurisprudenza amministrativa. Sovviene, in subiecta materia, la pronuncia n. 
5504/08 del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. IV, 6 novembre 2008, n. 
5504) ove si legge: �� ben noto, infatti, che l�indennit� di missione � destinata 
a ristorare i disagi sofferti dal dipendente in ragione del mutamento di sede 
di lavoro limitato nel tempo e per la durata prevista nel provvedimento di incarico�. 
La decisione ora richiamata riassume e compendia i principi gi� affermati 
da numerose decisioni di primo e secondo grado, tra le quali, ex plurimis, merita 
citare: T.A.R. Piemonte Torino, Sez. II, 2 marzo 2007, n. 916; Cons. Stato, 
Sez. IV, 8 agosto 2006, n. 47845; T.A.R. Marche Ancona, Sez. I, 19 settembre 
2009, n. 581; T.A.R. Marche Ancona, Sez. I, 25 ottobre 2006, n. 852. 
Da ultimo, preme richiamare una decisione del T.A.R. Calabria � Reggio 
Calabria (sent. n. 1061/07) che si occupa di una fattispecie simile a quella in 
rilievo, specificando che �se l�indennit� di missione �, in linea generale, un 
istituto che mira a compensare il particolare disagio connesso alla prestazione 
lavorativa effettuata, per un periodo limitato di tempo, in altra sede, essa non 
pu� essere direttamente corrisposta nel caso di specie in cui, di fatto, lo svolgimento 
dell�attivit� lavorativa � avvenuto nella sede gi� a suo tempo assegnata�. 
La chiarezza del dato normativo, e dunque l�assenza di lacune ordinamentali, 
in uno con l�orientamento costante della giurisprudenza amministrativa 
non sembrano dare ingresso ad interpretazioni difformi. 
Vale da ultimo richiamare, a corroborazione di quanto sin qui precisato, 
che sussiste un noto principio dell�ordinamento giuridico, alla stregua del 
quale �cuius commoda eius et incommoda�. La scelta di risiedere fuori dalla 
sede di servizio, previa autorizzazione del Consiglio di Presidenza della Giustizia 
Amministrativa, in altri termini, non pu� risolversi in danno dell�Am-
282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
ministrazione, che sarebbe diversamente gravata dell�onere economico corrispondente 
all�ammontare dell�indennit� di missione. 
Si ribadisce, pertanto, che non sembrano sussistere, nel caso di specie, i 
presupposti per il riconoscimento dell�indennit� di missione. 
La questione � stata sottoposta all�esame del Comitato Consultivo dell�Avvocatura 
dello Stato di cui all�art. 26 della legge 3 aprile 1979 n. 103, che 
si � espresso in conformit��. 
A.G.S. - Parere del 10 febbraio 2010 prot. n. 48403 - Titolarit� dello 
ius postulandi per le Casse di previdenza delle forze armate (avv. Marina 
Russo - AL 3121/2010). 
�Il presente quesito trae origine da un contenzioso avente ad oggetto l�avviso 
di accertamento inerente l�ICI pretesa dal Comune di Chianciano Terme 
su un immobile di propriet� della Cassa Sottufficiali della Marina Militare. 
L�Amministrazione della Difesa ha, infatti, richiesto il patrocinio dell�Avvocatura 
Distrettuale di Firenze affinch� la stessa invocasse l�esenzione dal 
tributo innanzi al giudice competente. L�Avvocatura Distrettuale dello Stato 
di Firenze ha reso motivato parere, sostenendo che la Cassa Sottufficiali dovrebbe 
necessariamente valersi del patrocinio di un libero professionista, in 
mancanza di una norma o di un provvedimento che, a mente dell�art. 43 r.d. 
1611/33, ne attribuisca il patrocinio all�Avvocatura dello Stato. 
L�Amministrazione - segnalando che la questione dell�esenzione � attualmente 
sottoposta al riesame del Comune, interessato in sede di autotutela, e 
comunque non condividendo il parere dell�Avvocatura Distrettuale - pone ora 
all�Avvocatura Generale il quesito se spetti o meno all�Avvocatura dello Stato 
il patrocinio della Cassa Sottufficiali della Marina Militare. 
Due, in particolare, le ragioni di perplessit� dell�Amministrazione circa 
l�avviso espresso dall�Avvocatura Distrettuale: 
1. La riconduzione, sostenuta dall�Avvocatura di Firenze, del patrocinio 
delle Casse all�art. 43 del r.d. 1611/33; 
2. La declaratoria di inammissibilit� del ricorso che, secondo l�Avvocatura 
Distrettuale, conseguirebbe automaticamente ed irrimediabilmente al rilievo 
del difetto di ius postulandi che il giudice dovesse operare. 
��� 
Va premesso che, ferma restando l�autonomia delle Avvocature Distrettuali 
nella gestione degli affari contenziosi e consultivi di relativa competenza, 
l�Avvocatura Generale pu� comunque essere chiamata a pronunciarsi sulla 
questione del patrocinio delle Casse di previdenza delle forze armate, in quanto
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 283 
questa riveste carattere di massima. 
Ci� premesso, si osserva quanto segue. 
L�Avvocatura Distrettuale rende il proprio parere sulla scorta di due sentenze 
(6629 dell�8 luglio 98 e 155 del 18 marzo 99) rese dalle Sezioni Unite 
della Cassazione, con riferimento alla Cassa Ufficiali dell�Esercito. 
In tali sentenze si afferma espressamente (secondo un avviso diametralmente 
opposto a quello solo pochi giorni prima espresso dalla stessa Suprema 
Corte - sez. lav. - con sent. n. 6450 del 1 luglio 98) che il patrocinio dell�Avvocatura 
sussiste solo in quanto previsto, con norma innovativa, dall�art. 1 del 
d.l. 313/96. Ci� in quanto, secondo le SS.UU., la Cassa Ufficiali dell�Esercito 
- essendo dotata di propria personalit� giuridica ed autonomia gestionale, e 
pur se sottoposta al controllo del Ministero della Difesa - va considerata ente 
distinto dallo Stato. 
Tanto premesso, la Scrivente ritiene che - rebus sic stantibus, e con riferimento 
alla normativa vigente all�epoca in cui l�Avvocatura Distrettuale di 
Firenze si � pronunciata - l�avviso espresso dalla stessa sia pienamente condivisibile, 
in quanto coerente con l�orientamento giurisprudenziale delle Sezioni 
Unite della Suprema Corte, formatosi relativamente alla Cassa Ufficiali dell�Esercito, 
il cui ordinamento, per quanto concerne i tratti salienti ai fini dell�individuazione 
della relativa natura giuridica, appare pienamente 
sovrapponibile a quello della Cassa Sottufficiali M.M.. 
Infatti, secondo la legge istitutiva della Cassa Ufficiali dell�esercito (l. 
1712/1930, come integrata e modificata dal d.l. 313/96 conv. in l. 416/96), 
quest�ultima: 
- era istituita �presso il Ministero della Guerra�, ora Ministero della Difesa; 
- aveva per fine istituzionale quello di erogare una previdenza integrativa 
agli ufficiali dell�esercito; 
- aveva personalit� giuridica propria (art. 1 l. 1712/1930); 
- era sottoposta alla vigilanza del Ministero di riferimento (art. 1 l. 
1712/1930); 
- godeva di autonomia finanziaria ed amministrativo-contabile (artt. 2 
e 5 l. 1712/1930 ed art. 1 d.l. 313/96); 
- alla provvista degli organi provvedevano il Ministero di riferimento e 
quello delle Finanze, ed i relativi componenti includono personale del Ministero 
della difesa (art. 2 l. 1712/1930); 
- il collegio sindacale di controllo era anch�esso di nomina ministeriale. 
La Cassa Sottufficiali della M.M. (istituita con l.1226/1936), a sua volta: 
- era istituita presso l�Amministrazione di riferimento, ha personalit� 
giuridica propria, ed ha per fine istituzionale quello di erogare una previdenza 
integrativa ai sottufficiali della Marina (art. 1 l. 1226/1936); 
- era sottoposta alla vigilanza del Ministero di riferimento (art. 1 l.
284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
1226/1936); 
- godeva di autonomia finanziaria ed amministrativo-contabile (art. 2 l. 
1226/1936); 
- alla provvista degli organi provvedevano il Ministero di riferimento e 
quello delle Finanze ed i relativi componenti comprendono personale del Ministero 
della Difesa e dell�Economia e Finanze (gi� Tesoro) (art. 2 cit.); 
- il collegio sindacale di controllo era anch�esso di nomina ministeriale. 
A parit� di ordinamento, tuttavia, per la Cassa Sottufficiali M.M. non era 
prevista una norma che attribuisse il patrocinio all�Avvocatura dello Stato, 
analoga a quella dettata per la Cassa ufficiali dell�Esercito: era quindi corretta 
� de iure condito � la soluzione data al problema dall�Avvocatura Distrettuale.. 
��� 
Nella corrispondenza e nei contatti intercorsi in via breve, tuttavia, l�Amministrazione 
richiama l�attenzione della Scrivente sulla sopravvenienza di un 
fatto nuovo, costituito dal d.p.r. del 4 dicembre 2009 (che risulta pubblicato 
in G. U. del 29 gennaio 2010, con il numero 211/09), recante il riordino delle 
Casse militari: in particolare, secondo l�Amministrazione, tale nuova normativa 
determinerebbe una modifica dello scenario nel quale sono intervenute le 
sentenze delle Sezioni Unite, rafforzando la �statualit�� delle Casse che ora 
confluiscono in un unico, nuovo soggetto, ed accentuandone la dipendenza 
dal Ministero della Difesa. Sempre a parere dell�Amministrazione, da quanto 
sopra conseguirebbe, da un lato, il superamento della norma di cui al citato 
d.l. 313/96 (che - secondo la lettura datane da Cass. SS.UU. cit. - attribuirebbe 
il patrocinio della Cassa ufficiali all�Avvocatura dello Stato a mente dell�art. 
43 r.d. 1611/33) e, dall�altro, la riconduzione del nuovo soggetto (Cassa Previdenza 
delle Forze Armate) in cui sono accorpate le preesistenti Casse, alla 
categoria delle amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, e del 
relativo patrocinio all�art. 1 del r.d. 1611/33 (cosiddetto �patrocinio necessario�).
A tale proposito, si osserva quanto segue. 
In effetti, nel d.p.r. 211/10, come meglio si illustrer� infra, si ravvisa un 
nuovo elemento che sembra offrire utili argomenti per poter ragionevolmente 
sostenere in giudizio, fino al grado di legittimit�, la tesi della natura di �amministrazione 
dello Stato ad ordinamento autonomo� del nuovo soggetto (la 
Cassa Previdenza delle Forze Armate) nel quale il d.p.r. stesso ha accorpato 
le Casse gi� esistenti, dal che pu� farsi discendere l�applicabilit� del patrocinio 
ai sensi dell�art. 1 r.d. 1611/33, con tutte le necessarie conseguenze in termini 
di normativa processuale applicabile. 
Quanto sopra, naturalmente, pur sempre con un certo margine di alea, peraltro 
insito in qualsivoglia giudizio, alea che � tuttavia � nel caso di specie 
sembra ben possa essere affrontata, in ragione del valore economico del contenzioso 
che appare modesto (circa � 9.000,00), specie se raffrontato all�inte-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 285 
resse manifestato dall�Amministrazione a che venga affermata l�applicabilit� 
del patrocinio della Scrivente alla Cassa ora istituita. Sempre con riferimento 
al profilo dell�alea del giudizio, va peraltro chiarito che � corretta l�affermazione 
dell�Avvocatura Distrettuale (sulla quale pure l�Amministrazione in indirizzo, 
come gi� detto, solleva perplessit�) in relazione al rischio che, ove 
venisse affermato il difetto di ius postulandi dell�Avvocatura, il ricorso sarebbe 
sanzionato dalla declaratoria di inammissibilit� (sempre che, peraltro, non 
possa giovare la norma di cui all�art. 182 c.p.c., come sostituito dall�art. 46 l. 
69/09): infatti, la giurisprudenza costituzionale richiamata dall�Amministrazione 
(sent. 189/00) attiene ad una fattispecie (mancanza di sottoscrizione del 
ricorso da parte di un difensore tecnico) diversa da quella che qui potrebbe 
prospettarsi (sottoscrizione da parte di un difensore tecnico sprovvisto di ius 
postulandi), sicch� essa non necessariamente gioverebbe nel caso in cui il giudice 
dovesse rilevare il difetto di ius postulandi dell�Avvocatura. 
Va da s�, poi, che analogo rischio di dichiarazione di inammissibilit� del 
ricorso sussisterebbe anche ove l�azione venisse intrapresa con il patrocinio 
di un legale del libero foro, e � sempre alla luce del d.p.r. 211/10 � il giudice 
dovesse ritenere che fosse quest�ultimo ad essere sfornito di ius postulandi, 
appartenendo la difesa della Cassa all�Avvocatura ex art. 1 R.D. 1611/33. 
L�assunto, poi, che tale ultima tesi possa essere sostenuta con ragionevoli 
probabilit� di successo in considerazione del tenore del d.p.r. 211/10, trova 
sostegno nelle seguenti considerazioni. 
Sebbene la nuova Cassa di previdenza non presenti, rispetto agli Enti 
preesistenti, novit� significative relativamente alla funzione svolta (erogazione 
del trattamento previdenziale integrativo - art. 2 comma 2 d.p.r. 211/10), al 
meccanismo di finanziamento (autonomo - art. 2 comma 2), alla sottoposizione 
alla vigilanza del Ministero della Difesa, alla composizione degli organi formati, 
tra l�altro, da dipendenti in servizio o in quiescenza del Ministero di riferimento 
e dell�Economia e Finanze, cui si aggiungono ora magistrati 
contabili (artt.4, 5 e 6), ed alla provvista degli organi medesimi cui provvede, 
ancora, il Ministero della Difesa, tuttavia, non � certo di irrilevante il fatto che 
l�art. 2 del d.p.r. 211/10 preveda ora espressamente che la Cassa, pur se dotata 
di propria personalit�, costituisce un �organo con personalit� giuridica di diritto 
pubblico istituito nell�ambito della struttura organizzativa del Ministero 
della Difesa� (enfasi aggiunta), nella quale �, in effetti, pienamente inserita, 
anche in quanto viene gestita da un Ufficio costituito con le risorse umane e 
strumentali del Ministero (art. 7 comma 2). 
L�art. 2 reca, dunque, un indicazione normativa ben precisa (carente all�epoca 
in cui si pronunciarono le SS. UU.), dalla quale sembra possa trarsi la 
convinzione che l�intenzione del legislatore del 2009 sia proprio quella di attribuire 
al rapporto fra l�Amministrazione ed il soggetto di nuova creazione il 
carattere dell�immedesimazione organica. 
286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
L�importanza di un preciso indice normativo da cui possa desumersi - ai 
fini del riconoscimento del suddetto rapporto - la riferibilit� allo Stato dell�attivit� 
compiuta da un soggetto avente autonoma personalit� � stata riconosciuta 
dalle stesse SS.UU. le quali - sia pur pronunciandosi in relazione ad una fattispecie 
diversa, quale quella delle Agenzie Fiscali (SS. UU. 3116 e 3118/06, 
Sez. I^ 2305/06) - hanno appunto sostenuto la necessit� di �un sicuro elemento 
testuale che consenta di ritenere che l�attivit� della seconda persona giuridica 
� sia direttamente imputata ad altra persona giuridica�: ebbene, l�elemento 
testuale sembra ora essere costituito dall�art. 2 cit.. 
Alla luce della sopravvenuta indicazione normativa, e posto che Cass. 
SS. UU. da ultimo citata ha indicato l�elemento tipico del rapporto di immedesimazione 
tra Stato ed organo non tanto nella natura d�interesse pubblico 
dell�attivit� svolta o nell�esistenza di controlli pubblici, quanto - piuttosto - 
proprio nella riferibilit� allo Stato dell�attivit� posta in essere dall�organo, sembra 
si possa utilmente argomentare altres� che l�attivit� svolta prima dalle singole 
Casse ed in futuro dalla neo-istituita Cassa (gestione di una forma di 
previdenza per una categoria di dipendenti del Ministero della Difesa), � - contrariamente 
a quanto si dovrebbe desumere da SS.UU. 6629/98 e 115/99 - 
un�attivit� dello Stato, in quanto datore di lavoro. 
Quanto sopra potrebbe trovare sostegno in quella giurisprudenza della 
Suprema Corte (Cass. lav. 2140/1985, recentemente confermata da sez. lav. 
9419/08 e Cass. SS.UU. 2328/1975) che ha sostenuto la natura di amministrazione 
dello Stato ad ordinamento autonomo, con conseguente patrocinio dell�Avvocatura 
a mente dell�art. 1 del r.d. 1611/33, del Fondo di previdenza per 
il personale del Ministero delle Finanze e del Fondo di previdenza del personale 
delle Dogane � � ad esso sono iscritti di diritto gli impiegati dell�Amministrazione 
� e cio� esso � istituito ed utilizzato dallo Stato�). 
Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo della Scrivente, che 
si � espresso in conformit� �. 
A.G.S. - Parere del 17 febbraio 2010 prot. n. 57196 - La difesa in giudizio 
di un ente pubblico non economico in violazione dell�art. 417 bis c.p.c. 
e dell�art. 43 R.D. n. 1611/1933 (avv. Pierluigi Di Palma - AL 21507/07). 
�Con comunicazione a firma del Segretario Generale, questa Avvocatura 
Generale, in data 22 maggio 2007, ha rimesso a codesto Ente, insieme ad altri, 
l�atto introduttivo del giudizio instaurato dal dipendente in oggetto. Trattandosi 
di controversie relative a rapporto di lavoro si � ritenuto, in base alle disposizioni 
di legge ed in particolare alle previsioni dell�art. 417 bis del c.p.c., che 
l�ENAC potesse stare in giudizio avvalendosi di propri funzionari.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 287 
Nella medesima nota, veniva precisato che si restava �in attesa di ricevere 
la relativa sentenza non appena pubblicata o notificata per gli eventuali successivi 
adempimenti, corredata dal ricorso introduttivo, di un circostanziato 
rapporto e dei relativi documenti ed atti, ivi compresi la memoria predisposta 
per la difesa, i verbali di udienza e le eventuali memorie avversarie, con le 
indicazioni del nominativo e del recapito telefonico del funzionario che ha 
istruito la pratica.� 
In data 29 luglio 2009, � pervenuta, per conoscenza, una nota del difensore 
(acquisita al protocollo in data 8 agosto 2009) di (omissis) ed altri dipendenti 
dell�ENAC con la quale si invitava a dare pronta esecuzione alla sentenza 
n. 18524/08 del Tribunale di Roma, gi� notificata presso la sede legale dell�Ente 
e presso la studio dell�Avv. (omissis) �risultante difensore nel giudizio 
in presunta sostituzione dei �dipendenti� di cui all�art. 417 bis, 1� comma, 
c.p.c., in data 16 aprile 2009�. 
Ci� posto, il 2 settembre 2009, veniva inviata una richiesta di chiarimenti 
all�ENAC, facendo altres� presente che la decisione non risultava notificata a 
questa Avvocatura n� tantomeno era stata trasmessa dall�Ente per i successivi 
adempimenti di competenza. 
Con la nota che si riscontra, codesto Ente, in risposta alla richiesta avanzata 
da questo Generale Ufficio riguardante la trasmissione di una dettagliata 
informativa sui fatti di causa, corredata da copia degli atti del giudizio, riferisce 
che i ricorsi in oggetto sono stati trattati dalla Direzione del personale nel cui 
ambito era, illo tempore, incardinata la materia del contenzioso del lavoro gestita, 
ex art. 417 bis c.p.c., da un solo funzionario. 
Codesto Ente rappresenta, altres� che, il Direttore Generale in carica, 
�probabilmente incalzato dalle strutture interne direttamente interessate, 
stante l�elevato numero di contenziosi e la scarsit� di risorse da adibire alla 
materia, incaric� della difesa dell�Ente l�Avv. (omissis) del foro di Roma, che, 
con riferimento al giudizio promosso da (omissis), presenzi� ad una sola 
udienza.� 
Il giudizio si � concluso con la soccombenza dell�Enac. 
Infatti, con sentenza n. 1854/2008, il Tribunale Civile di Roma - sez. lavoro 
-, ha riconosciuto il diritto dei ricorrenti a percepire le differenze retributive 
tra il trattamento economico previsto per il personale con la qualifica 
dirigenziale ed il trattamento dagli stessi percepito nei periodi indicati in sentenza; 
il Tribunale ha, inoltre, accertato il diritto degli istanti a percepire le 
somme relative alle differenze tra il trattamento di fine rapporto percepito e/o 
da percepire e quello effettivamente spettante. 
Codesto Ente conferma, altres�, la circostanza che la sfavorevole sentenza 
� stata notificata a cura della controparte all�ENAC e presso lo studio del domiciliatario, 
avv. (omissis), il quale ha proposto appello avverso la medesima, 
su delega del Direttore Generale p.t., �stante la ristrettezza dei termini a fronte
288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
di un doppio passaggio della gestione del contenzioso.� 
Al riguardo, l�ENAC segnala che, solo con disposizione organizzativa 
del 9 dicembre 2008, il Direttore Generale p.t. ha disposto l�assegnazione della 
competenza del contenzioso lavoro alla Direzione affari legali unitamente alle 
risorse umane e strumentali. Il passaggio di consegne dalla Direzione del personale 
alla Direzione affari legali � concretamente avvenuto in data 12 maggio 
2009. 
Codesto Ente riferisce, in ultimo, che in ottemperanza alla citata sentenza 
sta provvedendo a predisporre i pagamenti in favore degli interessati. 
Tutto ci� considerato, questo Generale Ufficio, �estraneo� al giudizio in 
oggetto, osserva quanto segue. 
Preliminarmente, si ritiene opportuno analizzare l�esatta portata normativa 
dell�art. 417 bis c.p.c., nonch� dell�art. 43, R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611 
ss.mm.ii, al fine di valutare se un Ente pubblico possa o meno conferire mandato 
ad litem ad un professionista del libero foro. 
L�art. 417 bis c.p.c. recita: �Nelle controversie relative ai rapporti di lavoro 
dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma 
dell�art. 413, limitatamente al giudizio di primo grado le Amministrazioni 
stesse possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti. 
Per le Amministrazioni statali o ad esse equiparate, ai fini della rappresentanza 
e difesa in giudizio, la disposizione di cui al comma precedente si applica 
salvo che l�Avvocatura dello Stato competente per territorio, ove 
vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, 
determini di assumere direttamente la trattazione della causa dandone immediata 
comunicazione ai competenti uffici dell�amministrazione interessata 
nonch� al Dipartimento della funzione pubblica, anche per l�eventuale emanazione 
di direttive agli uffici per la gestione del contenzioso del lavoro. In 
ogni altro caso l�Avvocatura dello Stato trasmette immediatamente e comunque 
non oltre 7 giorni dalla notifica degli atti introduttivi, gli atti stessi ai 
competenti uffici dell�amministrazione interessata per gli adempimenti di cui 
al comma precedente ��. 
Dal tenore letterale della citata disposizione normativa si evince chiaramente 
che il legislatore ha voluto prevedere, limitatamente al primo grado di 
giudizio la possibilit� per le Amministrazioni pubbliche, compresi gli Enti 
pubblici, di stare in giudizio avvalendosi di propri dipendenti, solo nel caso 
in cui l'Avvocatura dello Stato, competente per territorio, non determini di assumere 
direttamente la trattazione della causa. 
Diversamente, nei successivi gradi di giudizio la difesa deve essere assunta 
dall�Avvocatura dello Stato territorialmente competente, poich�, in difetto, 
l�eventuale atto di impugnazione o di costituzione proposto 
dall�Amministrazione in proprio o mediante un avvocato libero professionista, 
salva l�ipotesi di regolarizzazione prevista dall�art. 182 c.p.c., II� comma, per
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 289 
i giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009, risulterebbe inammissibile per evidente 
difetto di ius postulandi del dipendente o dell�eventuale difensore che 
sottoscrive l�atto. 
In sintesi, l�art. 417 bis c.p.c. deroga alla regola generale sulla rappresentanza 
e difesa in giudizio delle pubbliche Amministrazioni ovvero degli Enti 
pubblici da parte della difesa erariale in favore dei dipendenti dell�ente stesso 
solo relativamente al primo grado di giudizio e solo laddove l�Avvocatura 
dello Stato competente per territorio non valuti di assumere direttamente la 
trattazione della causa. 
In ogni caso, la predetta norma non riconosce espressamente ai soggetti 
pubblici la possibilit� di avvalersi di avvocati del libero Foro per la difesa in 
giudizio nelle medesime controversie. La natura derogatoria di detta norma, 
rispetto alla normativa generale che prevede la difesa ope legis da parte dell�Avvocatura 
dello Stato non consente di operare una interpretazione estensiva 
n� tantomeno una qualsivoglia interpretazione analogica della stessa. 
Pertanto, l�Ente pubblico potrebbe avvalersi di un avvocato del libero 
Foro solo allorch� ricorrano le specifiche circostanze indicate dall�art. 43 R.D. 
n.1611/1933, che disciplina direttamente i requisiti per la valida dispensa dal 
patrocinio obbligatorio ed indirettamente i presupposti per la valida nomina 
di un professionista del libero Foro. 
E� noto che, ai sensi dell�art. 43 del citato T.U., l�Avvocatura dello Stato, 
in aggiunta al patrocinio obbligatorio in favore delle amministrazioni dello 
Stato, pu� essere autorizzata ad assumere la rappresentanza e difesa anche di 
amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, purch� �sottoposti 
a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato� (c.d. patrocinio autorizzato). 
Condizione necessaria per l�esercizio del �patrocinio autorizzato� � la 
sussistenza di un�autorizzazione legislativa, regolamentare o, secondo le previsioni 
della L. n. 12/91, di un D.P.C.M., sentito il Guardasigilli ed il Ministro 
dell�economia e delle finanze. 
Quando interviene il provvedimento autorizzativo, la rappresentanza e la 
difesa, salva l�ipotesi di conflitto di interessi con il patrocinio di amministrazioni 
dello Stato e delle regioni, sono assunte dall�Avvocatura in via organica 
ed esclusiva, applicandosi le stesse regole del patrocinio obbligatorio. 
In tal senso si � espressa la Suprema Corte (Sent. 21 luglio 1999, n. 484) 
che, in tema di esercizio dello �ius postulandi� in favore dell�ANAS, ancora 
Ente nazionale per le strade, ha affermato il principio che �anche in regime 
cosiddetto facoltativo di assistenza legale e di patrocinio da parte dell�Avvocatura 
dello Stato non � necessario, in ordine ai singoli giudizi, uno specifico 
mandato all�Avvocatura medesima, n� quest�ultima deve produrre il provvedimento 
del competente organo dell�ente recante l�autorizzazione del legale 
rappresentante ad agire o resistere in causa. Ci� si evince dagli artt. 43, primo 
comma, e 45 R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 e successive modificazioni. Que-
290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
st�ultima norma, in particolare, stabilisce che per il patrocinio cosiddetto facoltativo 
si applica il secondo comma dell�art. 1 dello stesso R.D., alla stregua 
del quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le 
giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato speciale, 
bastando che consti della loro qualit� (cfr. Cass., 26 luglio 1997, n. 7011; 
Cass., sez. un., 4 novembre 1996, n. 9523; Cass., 6 luglio 1991, n. 7515).� 
Di recente, nella camera di consiglio del 3 novembre 2009, la IV sez. del 
Consiglio di Stato, in sede cautelare, accogliendo il ricorso proposto dal Ministero 
delle infrastrutture e dei trasporti in materia di patrocinio obbligatorio 
delle Autorit� Portuali ha rilevato che le delibere che intendano incaricare professionisti 
del libero Foro devono essere �adeguatamente motivate� e la VI 
sez. del Supremo consesso di giustizia amminitrativa, nella camera di consiglio 
del 10 novembre 2009, ha dichiarato inammissibile l�istanza cautelare proposta 
dall�Autorit� Portuale di Gioia Tauro perch� rappresentata e difesa da un avvocato 
del libero Foro, secondo il collegio giudicante, �sprovvisto dello jus 
postulandi�. 
Nella motivazione di quest�ultima ordinanza, richiamando la decisione 
della Suprema Corte Sez. Un., 5 luglio 1983, n. 4512, viene precisato che �la 
natura autorizzata del patrocinio non ne muta il carattere tendenzialmente 
obbligatorio salvo che per i casi di comprovata specialit� (c.d. obbligatoriet� 
attenuata) sicch�, solo qualora questi ultimi ricorrano, � possibile per l�Ente 
rinunciare al patrocinio dell�Avvocatura e procedere alla nomina di un legale 
del libero Foro, previa apposita motivata deliberazione sottoposta all�organo 
di vigilanza.� 
In materia, da ultimo, � intervenuta anche la decisione del 23 ottobre 2007 
della Corte dei conti, sez. II Giurisdizionale Centrale d�Appello, che, nell�infliggere 
una pesante condanna di carattere economico all�amministratore p. t. 
dell�ANAS s.p.a., ha ribadito la necessit�, in vigenza del regime facoltativo 
di assistenza legale ex art. 43 R.D. n. 1611/1933, nei casi di affidamento del 
patrocinio legale, salvo ipotesi di conflitto, di adottare apposita delibera per 
l�individuazione dei casi speciali in cui l�ente intende non avvalersi dell�Avvocatura 
dello Stato. 
Ci� posto, l�ENAC, ente pubblico non economico sottoposto a �patrocinio 
facoltativo� ex art. 5, c. 2, D. L.vo n. 250/97, salvo le ipotesi di conflitto, 
solo con delibera motivata sottoposta agli organi di vigilanza, pu� non avvalersi 
della Avvocatura dello Stato; al contrario la rappresentanza e la difesa 
nei giudizi attivi e passivi dell�ENAC, ivi compreso il caso di specie, continua 
ad essere assicurata da questo Istituto secondo le descritte modalit�. 
Infatti, l�art. 43 R.D. 30 ottobre 1993, n. 1611, consente, in casi speciali, 
all�Ente pubblico di poter rinunciare al patrocinio dell�Avvocatura e procedere 
alla nomina di un legale del libero foro, previa apposita motivata deliberazione 
sottoposta all�organo di vigilanza. 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 291 
Di talch�, la mancata deliberazione, l�inesistenza della motivazione, o la 
mancata sottoposizione della deliberazione dismissiva all�organo di vigilanza, 
integrando una violazione del predetto art. 43, determinano l�invalidit� del 
mandato e il conseguente difetto di ius postulandi del difensore (cfr. C.d.S., 
IV sez., ord. n. 5653/09). 
Da quanto esposto, risulta evidente che l�affidamento da parte dell�Amministrazione 
di un incarico ad un avvocato del libero Foro ha carattere di specialit� 
e deve essere supportato dall�esistenza di oggettive e inderogabili 
esigenze, nonch� da adeguata motivazione. 
Nella fattispecie in esame, come si legge nella nota che si riscontra, codesto 
Ente ritiene di essersi trovato in una contingente situazione di oggettiva 
difficolt� organizzativa a causa �dell�elevato numero di contenziosi e della 
scarsit� di risorse umane da adibire alla materia�. Detti motivi non appaiono 
poter giustificare il conferimento di un incarico difensivo ad un avvocato del 
libero Foro, tenuto conto, tra l�altro, che l�art. 417 bis c.p.c. non fa riferimento 
ad un dipendente con specifica professionalit� ma genericamente ad un funzionario 
dell�amministrazione. 
In ogni caso, la difficolt� oggettiva da parte dell�ENAC di garantire la 
difesa dell�Ente con propri funzionari, come in altri casi � avvenuto, poteva e 
doveva essere segnalata a questa Avvocatura per le successive determinazioni 
di competenza, che avrebbe permesso, se del caso, a procedere, d�intesa, al 
motivato e legittimo affidamento del patrocinio ad un legale del libero Foro, 
ricorrendo le predette ipotesi di specialit�. 
Naturalmente, le eventuali determinazioni in merito all�affidamento del 
patrocinio ad un avvocato del libero Foro andavano deliberate dall�ENAC e 
sottoposte agli organi di vigilanza dell�Ente. Peraltro, l�ENAC, una volta conosciuta 
la decisione del giudice di primo grado avrebbe dovuto, trasmetterla 
a questa Avvocatura Generale dello Stato al fine di consentire la predisposizione 
di un�adeguata e tempestiva difesa, cos� come previsto dall�art. 417 bis 
c.p.c. 
In tale contesto giuridico-fattuale, pare altres� opportuno segnalare che, 
in assenza dei presupposti dettati dall�art. 43 del R.D. n. 1611/1933, il conferimento 
dell�incarico difensivo ad un avvocato del libero Foro risulterebbe 
nullo anche per violazione dell�art. 417 bis c.p.c. e, conseguentemente ogni 
atto dallo stesso proposto risulterebbe inammissibile per evidente difetto di 
ius postulandi del difensore, salva, naturalmente, l�ipotesi dell�art. 182 c.p.c., 
II � comma, se applicabile. 
Tutto ci� premesso, questo Generale Ufficio non pu� esimersi dal segnalare 
l�insorgenza di specifiche ipotesi di responsabilit� professionali a carico 
dell�avvocato del libero Foro che assuma un incarico difensivo in violazione 
di quanto previsto dall�art. 417 bis c.p.c. nonch� dall�art. 43 del R.D. n. 
1611/1933, e ci� per la violazione del dovere di diligenza media e di compe-
292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
tenza esigibili ai sensi dell�art. 1176, II� comma, cod. civ. e 12 del codice deontologico. 
In conclusione, ai sensi dell�art. 417 bis c.p.c. un Ente pubblico non economico 
per il quale sia normativamente previsto il patrocinio facoltativo di 
questa Avvocatura, limitatamente al giudizio di primo grado pu� stare in giudizio 
in proprio, avvalendosi del proprio personale dipendente laddove l�Avvocatura 
dello Stato competente per territorio non valuti di assumere 
direttamente la trattazione della causa; pu� avvalersi di avvocati del libero 
Foro per la difesa in giudizio nelle medesime controversie, in ipotesi di conflitto, 
ricorrendo i presupposti dettati dall�art. 43 del R.D. 1611/1933. Nei casi 
di �specialit��, la difficolt� soggettiva ed oggettiva dell�Ente nel garantire la 
difesa con propri funzionari deve essere segnalata a questa Avvocatura per le 
successive determinazioni di competenza che possono configurare, d�intesa, 
l�ipotesi di affidamento del patrocinio ad un legale del libero Foro, sottoponendo 
la proposta a delibera dell�Ente ed a verifica da parte degli organi di 
vigilanza. In ogni caso, a prescindere dalle responsabilit� di carattere contabile 
ascrivibili ai referenti dell�Ente pubblico che hanno dato luogo all�illegittima 
difesa processuale, nell�ipotesi di assunzione di mandato difensivo da parte 
di un avvocato del libero foro, quest�ultimo pu� essere chiamato a rispondere 
dei danni provocati dalla nullit� degli atti compiuti. 
La questione � stata esaminata da Comitato consultivo che si � espresso 
in conformit� nella seduta del 10 febbraio 2010�.
D O T T R I N A 
L�impugnazione degli atti di controllo 
Gli orientamenti della giurisprudenza e le relative 
giustificazioni di teoria generale 
Pasquale Fava* 
SOMMARIO: 1. Premessa metodologica. - 2. Profili generali dell�impugnativa degli atti 
di controllo. - 3. L�impugnativa degli atti di controllo della Corte dei conti: la tesi sandulliana 
dell�insindacabilit� per la neutralit� e il �disinteresse� delle funzioni di controllo esercitate 
viene recepita dalle Sezioni unite. - 4. L�insindacabilit� degli atti di controllo preventivo di 
legittimit�. - 5. L�insindacabilit� dei referti-relazione di controllo sulla gestione degli enti 
della Repubblica (Stato, Autonomie, enti sovvenzionati). - 6. La sindacabilit� degli atti preliminari 
all�esercizio del controllo magistratuale neutrale: l�identificazione degli enti le cui 
gestioni vanno assoggettate a verifica. - 7. L�inimpugnabilit� dei pareri di contabilit� della 
Corte dei conti. - 8. L�inimpugnabilit� degli atti interlocutori o soprassessori adottati dall�autorit� 
di controllo. - 9. L�inimpugnabilit� delle relazioni dei servizi di controllo interno. 
1. Premessa metodologica 
I controlli (1) costituiscono un anello del sistema delle �garanzie giuridiche� 
preordinate ad assicurare il rispetto della legalit� e la conformit� del- 
(*) Giudice della Corte dei conti. 
(1) L�etimologia del termine controllo deriverebbe dal francese �contr�le�, lemma che avrebbe 
le proprie origini nel latino, connettendosi all�idea del �rotulus�, cio� al foglio in cui � fissato uno 
schema, un piano o un elenco al quale un qualche aspetto della realt� deve corrispondere; letteralmente 
�contre-r�le� indicherebbe, quindi, un registro di riscontro, di qui, per traslato, il passaggio ai termini 
riscontro, verifica, e, secondo alcuni, sindacato [per tale ricostruzione etimologica U. BORSI, Intorno al 
cosiddetto controllo sostitutivo, in Studi senesi, XXXII, 1916, 173-174, alla quale si � rifatta tutta la 
dottrina successiva tra cui P. GASPARRI, Corso di diritto amministrativo, IV (Teoria generale dei con-
294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
l�azione dell�Amministrazione all�ordinamento giuridico (2). 
La giurisprudenza ha elaborato principi e regole particolari in relazione 
alle controversie aventi ad oggetto atti di controllo. 
Tali principi e regole trovano poi ulteriori specificazioni laddove venga 
in rilievo l�esercizio del potere di controllo magistratuale neutrale della Corte 
dei conti in omaggio alla posizione istituzionale occupata da quest�ultima nel 
sistema costituzionale e alla neutralit� ed imparzialit� che caratterizzano l�esercizio 
delle proprie funzioni di controllo. 
Onde offrire un quadro sistematico delle numerose pronunce intervenute 
in materia, si proceder�, quindi, prima alla sintetica identificazione delle regole 
generalmente applicabili all�impugnativa degli atti di controllo, passando successivamente 
a verificare le peculiarit� delle tecniche di sindacato nei confronti 
dell�esercizio delle funzioni di controllo della Corte dei conti individuando le 
giustificazioni costituzionali del trattamento differenziato. 
2. Profili generali dell�impugnativa degli atti di controllo 
In linea generale la giurisprudenza (3) suole distinguere, nell�ipotesi di 
controllo preventivo di atti perfetti ma inefficaci, a seconda che l�atto di controlli), 
Padova, CEDAM, 1960, 3; M.S. GIANNINI, Controllo: nozioni e problemi, in Riv. trim. dir. pubbl., 
1974, 1264, poi in Studi Chiarelli, II, Milano, 1973, 1216. Hanno parlato di potere di sindacato o riscontro 
della Corte dei conti in sede di controllo G. DE GIOANNIS GIANQUINTO (Corso di diritto pubblico 
amministrativo, Firenze, 1881, Vol. III, parte prima, 58 ss.), ERRICO PRESUTTI (Istituzioni di diritto amministrativo, 
II, 1905, Napoli, Tocco ed., 146 ss.) e C. F. FERRARIS (Diritto amministrativo, Padova, Editrice 
universitaria, II, 1922, 146 ss.)]. 
Per ampi riferimenti bibliografici in merito all�etimologia ed al significato del termine francese �contr�le� 
si rinvia alle voci �Contr�le� e �Contr�ler� del Tr�sor de la Langue Fran�aise (Dictionnaire de 
la langue du XIX e du XX si�cle (1789-1960)), VI, Paris, �ditions du centre national de la recherche 
scientifique, 1978, 104-107, diretto da P. IMBS, le quali evidenziano che l�accezione amministrativa del 
lemma controllo identifica, in Francia, un giudizio di legalit� e regolarit� (�v�rification portant sur le 
caract�re l�gale et r�gulier de quelque chose�). 
Per una recente rivisitazione della teoria generale dei controlli sia consentito rinviare a P. FAVA, Teoria 
generale dei controlli e I controlli esterni, in G. MORBIDELLI, Teoria e regole dell�organizzazione amministrativa 
e in Riv. Corte conti, 4/2009. 
(2) G. JELLINEK, Dottrina generale dello Stato (trad. V.E. Orlando dell��Allgemeine Staatslehre�, 
prima parte dell�opera �Das Recht des modernen Staates� � la seconda parte, il �Besondere Staatslehre� 
non vide mai la luce per la morte del giurista tedesco), Milano, Giuffr�, 1949, 305, ricondusse i controlli 
giuridici al genere delle garanzie giuridiche poste a tutela del diritto obiettivo (�I controlli, cio� l�esame 
alla stregua di determinate norme degli atti rilevanti per lo Stato [�] possono essere giuridici o politici 
[�] i controlli giuridici hanno per scopo l�esame degli accennati atti in conformit� di norme giuridiche�). 
(3) In dottrina G. GUARINO, Atti e poteri amministrativi, Milano, Giuffr�, 1994, 256-257; E. CASETTA, 
Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2008, 466. 
Sulla questione dell�interesse a ricorrere del terzo contro l�atto di controllo � consueto il rinvio all�opera 
di L. RAGNISCO, Sull�interesse a ricorrere contro le decisioni dell�autorit� tutoria, in Riv. dir. pubbl., 
1922, II, 39 (in precedenza V.E. ORLANDO, La giustizia amministrativa, in Trattato cit., III, Milano, 
1901, 683-685).
DOTTRINA 295 
trollo sia positivo (esprime un giudizio di conformit� dell�atto alle regole di 
riferimento) o negativo (esprime un giudizio di difformit� dell�atto alle regole 
di riferimento). 
Nell�ipotesi in cui l�atto di controllo sia positivo si suole affermare che 
quest�ultimo scompare dietro l�atto controllato di tal che il primo non � autonomamente 
impugnabile essendo tale solo il secondo (4). Si osserva che con 
l�adozione dell�atto soggetto a controllo non sussiste alcun obbligo di impugnazione 
per l�assenza di un interesse a ricorrere non essendovi ancora, causa 
l�inefficacia del provvedimento finale, alcuna lesione attuale (5); l�atto di controllo 
positivo, difatti, non � idoneo a determinare alcuna lesione diretta della 
posizione giuridica soggettiva dell�interessato, essendo privo di autonomia rispetto 
al provvedimento controllato di cui � mera condizione di efficacia (6). 
In tale ipotesi si potrebbe, al pi� ipotizzare un�impugnazione meramente fa- 
(4) Cons. Stato, sez. VI, 25 giugno 2002, n. 3483, in Cons. St., 2002, I, 1380 (�gli atti di controllo 
non ledono posizioni giuridiche soggettive incise dai provvedimenti sottoposti a controllo�); Cons. Stato, 
sez. V, 1� marzo 1993, n. 314, in Foro amm., 1999, 444; TAR Lazio, Sez. I, 4 luglio 1992, n. 1092. 
Il principio di carattere generale � richiamato da G. BERTI, L. TUMIATI, Controlli amministrativi, in Enc. 
dir., X, Milano, 1962, 317-318 (�gli atti di controllo non sono impugnabili (in via amministrativa o giurisdizionale) 
di per s�, ma solamente attraverso il ricorso diretto contro il provvedimento caratterizzatore 
della fattispecie�). Tale conclusione dipenderebbe dall�anomala ambivalenza dell�atto di controllo, attratto 
alla sfera dell�amministrazione agente o all�autorit� controllante a seconda dell�esito positivo o 
negativo del controllo medesimo (BERTI, Problemi del controllo sugli enti locali e dell�impugnativa dei 
relativi atti, in Studi Pugliatti, Milano, 1978, 126 ss.). 
Per tale ragione la giurisprudenza amministrativa esclude che l�autorit� tutoria possa acquisire la qualit� 
di controinteressata al ricorso giurisdizionale (Cons. Stato, ad. plen., 21 giugno 1996, n. 9; Id., Sez. V, 
26 maggio 1997, n. 567). 
(5) Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 1995, n. 576, in Cons. Stato, 1995, 890. 
(6) La costruzione � oramai ius receptum rilevandosi oramai unanimemente che il controllo, specie 
laddove preventivo, operando nella fase integrativa dell�efficacia e scomparendo dietro il provvedimento 
finale, non sarebbe impugnabile secondo la tesi prevalente [E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, 
Milano, 2008, 393 e 466; ZANOBINI, pur ritenendo che �la materia dei controlli non fa parte del 
procedimento di formazione dell�atto amministrativo, perch� il controllo, quando � prescritto precede 
tale formazione o la segue dopo il suo compimento, ma resta in ogni caso esterno ad essa�, riconosce 
che i controlli sovente dispiegano una certa influenza sull�efficacia dei provvedimenti (G. ZANOBINI, 
Corso di diritto amministrativo, I (Principi generali), 1958, 286 ss.); secondo il Consiglio di Stato, peraltro, 
gli atti di controllo, proprio perch� posti in essere in veste neutrale ed al solo fine di verificare la 
legittimit� dei provvedimenti, non avrebbero natura discrezionale (Cons. Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, 
n. 5730)], non costituendo l�esito di un procedimento autonomo bens� di una fase endoprocedimentale 
accessoria e strumentale a quella finale (per l�affermazione giurisprudenziale di questa tesi si rinvia a 
quanto osservato in sede di trattazione sulla natura giuridica dell�atto di controllo). 
La capacit� di produrre effetti da parte del (pur perfetto) provvedimento finale sarebbe, difatti, condizionata 
al venir in essere dell�atto positivo di controllo, il quale operer� con efficacia retroattiva (Cons. 
Stato, sez. VI, 25 ottobre 1991, n. 728; Cons. Stato, sez. V, 28 novembre 1993, n. 648). 
Tra i corollari della configurazione accessoria e strumentale di tali tipologie di atti di controllo si ravvisa 
l�esclusione dell�applicazione delle facolt� partecipative in relazione al procedimento di controllo (Cons. 
Stato, sez. VI, 1� dicembre 1999, n. 2069 - che ha ascritto il nulla osta ministeriale sulle autorizzazioni 
paesaggistiche rese in base all�art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 alla categoria degli atti di controllo).

296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
coltativa, specie nei casi in cui l�atto sottoposto a controllo sia comunque portato 
ad esecuzione (7), salva, tuttavia, l�improcedibilit� del ricorso per sopravvenuta 
carenza di interesse nell�ipotesi di successiva adozione di un atto di 
controllo negativo. Di qui la necessit� di verificare la decorrenza del dies a 
quo dell�impugnazione dell�atto soggetto a controllo una volta che sia stato 
adottato l�atto positivo di controllo. Secondo un primo (prevalente) orientamento 
essa decorrerebbe da quando l�interessato abbia avuto conoscenza dell�atto 
di controllo positivo (8), mentre una seconda opzione fa coincidere il 
dies a quo con l�adozione del provvedimento a prescindere dalla conoscenza 
che ne abbia avuto il privato (9). 
L�atto di controllo negativo (10), invece, precludendo in via definitiva la 
produzione degli effetti del provvedimento finale, pu� essere impugnato autonomamente, 
sia da parte dell�Amministrazione controllata che dal privato 
beneficiato dall�atto controllato, negli ordinari termini decadenziali decorrenti 
dalla conoscenza legale dell�atto di controllo (11). 
Transitando al versante delle controversie afferenti atti di controllo sus- 
(7) La giurisprudenza prevalente esclude un onere di impugnativa nelle ipotesi di anticipata esecuzione 
(per il carattere facoltativo della medesima Cons. Stato, sez. VI, 13 ottobre 1986, n. 784 ; Cons. 
Stato, sez. VI, 12 novembre 1996, n. 1538). Deve, peraltro, escludersi l�esistenza di un onere di impugnativa 
del sopravvenuto atto di controllo positivo non essendo quest�ultimo autonomamente impugnabile. 
In tale ipotesi, quindi, la mancata impugnazione dell�atto di controllo positivo non dovrebbe 
comportare alcuna improcedibilit� del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. 
(8) Cons. Stato, ad. plen., 22 ottobre 1985, n. 20, in Foro it., 1986, III, 1; Ad. plen., 12 ottobre 
1991, n. 9, in Foro it., 1992, III, 154; Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 1990, n. 318 e 376, in Rep. Foro it., 
1990, voce Giustizia amministrativa, n. 303 e 301; Cons. Stato, sez. IV, 13 marzo 1991, n. 181, Cons. 
St., 1991, I, 347; Cons. Stato, sez. IV, 1� ottobre 1991, n. 743, in Foro it., 1992, III, 157; Cons. Stato, 
sez. V 14 aprile 1997, n. 358; Cons. Stato, sez. V, 29 settembre 1998, n. 1065 (l�orientamento applica 
le regole generali previste dall�art. 21, comma 1, della legge TAR, in tema di decorrenza del termine di 
impugnazione, ancorandola alla conoscenza effettiva dell�atto di controllo positivo; si � affermato in 
questo modo il principio generale secondo cui il termine per l�impugnazione degli atti amministrativi 
non corre in pendenza di quello per il controllo mancando l�attualit� della lesione che presuppone l�efficacia 
dell�atto impugnato). 
(9) Cons. Stato, sez. V, 4 dicembre 1987, n. 751, in Rep. Foro it., 1988, voce Giustizia amministrativa, 
n. 266; Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 1987, n. 168 e 27 settembre 1990, n. 181 (l�orientamento 
crea un onere per l�interessato di attivarsi per conoscere il momento in cui intervenga l�atto di controllo 
fondandolo sulla circostanza che quest�ultimo � obbligatorio e previsto da specifiche previsioni di legge 
che i consociati sono tenuti a conoscere). 
(10) Sulla tematica dell�impugnativa degli atti di controllo F. ARCANGELi, Note sulla impugnabilit� 
degli atti negativi di controllo emessi su provvedimenti delle amministrazioni statali, in TAR, 1997, II, 
285-303. 
(11) Cass., sez. un., 28 maggio 1977, n. 2184, in Giust. civ., 1977, I, 1528 (�il provvedimento 
della Commissione regionale di controllo sugli atti delle regioni a statuto ordinario, che ex art. 45 l. 10 
febbraio 1953, n. 62, annulla una delibera regionale � impugnabile innanzi al giudice amministrativo, 
sia da parte dell�amministrazione controllata, che da parte del privato destinatario dell�atto sottoposto 
a controllo�); Cons. Stato, sez. V, 7 febbraio 2000, n. 668, in Cons. St., 2000, I, 245; Cons. Stato, sez. 
IV, 17 febbraio 2004, n. 633, in Cons. St., 2004, I, 342; Cons. giust. amm., 5 maggio 1993, n. 166, in 
Cons. St., 1993, I, 781. 
DOTTRINA 297 
seguente aventi ad oggetto atti perfetti ed efficaci, si applicano le regole generali 
in relazione al controllo positivo, mentre nell�ipotesi in cui quello negativo 
possa far venire meno gli effetti dell�atto controllato (gi� prodotti dal 
momento del perfezionamento di quest�ultimo), l�atto soggetto a controllo, 
presentando un�immediata efficacia lesiva, deve essere impugnato tempestivamente 
secondo le regole generali (12), mentre l�adozione dell�atto di controllo 
negativo determina, di regola, la cessazione della materia del contendere 
in relazione al giudizio di impugnazione dell�atto controllato. 
In linea generale, con riferimento agli atti di controllo negativo, si � posto 
il problema se l�amministrazione controllante possa essere considerata controinteressata 
in relazione al ricorso giurisdizionale proposto dal privato. La 
Plenaria del Consiglio di Stato (13), recependo l�orientamento tradizionale 
(14), ha chiarito che l�Amministrazione vistasi annullare un provvedimento 
in sede di controllo � cointeressata in relazione al giudizio d�impugnazione 
dell�atto negativo di controllo introdotto dal terzo beneficiario del provvedimento 
caducato dall�autorit� tutoria. L�Amministrazione controllata, difatti, 
vantando un interesse alla conservazione del provvedimento annullato di segno 
analogo a quello del ricorrente, avrebbe dovuto anch�essa impugnare nei termini 
decadenziali l�atto negativo di controllo. Quindi, in questa ipotesi, l�interesse 
dell�Amministrazione controllata non � quello tipico del controinteressato 
(che � sostanzialmente opposto a quello dell�interessato), bens� quello che normalmente 
consente di proporre un ricorso in via principale. Peraltro, l�omissione 
di ogni iniziativa processuale da parte dell�Amministrazione nei termini 
decadenziali, non potrebbe essere sanata attraverso un atto di intervento (intempestivo) 
atteso che, in presenza di una situazione soggettiva che radica la 
legittimazione a ricorrere, � di regola esclusa quella ad intervenire in quanto 
(12) Cons. Stato, ad. plen., 12 ottobre 1991, n. 9 (�il termine per ricorrere contro un provvedimento 
ancora sottoposto a controllo, ma immediatamente esecutivo, decorre dalla piena conoscenza da parte 
dell�interessato, essendo lesivo immediatamente�); Cons. Stato, sez. V, 21 febbraio, n. 111, in Rep. Foro 
it., 1987, voce Giustizia amministrativa, n. 362; Cons. Stato, sez. V, 12 maggio 1987, n. 287, in Rep. 
Foro it., 1987, voce Giustizia amministrativa, n. 354; Cons. Stato, sez. V, 20 maggio 1993, n. 603. 
(13) Cons. Stato, ad. plen., 21 giugno 1996, n. 9. 
(14) L�orientamento tradizionale, osservando che l�Amministrazione controllata � titolare di un 
interesse adesivo e parallelo a quello del ricorrente in quanto l�accoglimento del ricorso conduce al ripristino 
dell�efficacia del provvedimento caducato per effetto del controllo negativo, aveva sempre 
escluso che la P.A. controllata potesse essere considerata parte necessaria controinteressata essendo quest�ultima 
fisiologicamente titolare dell�interesse alla difesa del proprio provvedimento negativamente 
riscontrato (in questi termini Cons. Stato, Sez. IV, 17 gennaio 1995, n. 16; Id., Sez. VI, 9 ottobre 1991, 
n. 622; Id., Sez. IV, 30 ottobre 1979, n. 877). 
L�orientamento contrario (Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 1994, n. 609; Id., Sez. IV, 20 aprile 1993, n. 
443; Id., Sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 209; Id., Sez. IV, 16 maggio 1985, n. 184; Id., Sez. IV, 17 novembre 
1984, n. 858), per converso, ritenendo controinteressata l�Amministrazione controllata, dichiarava inammissibili 
i ricorsi non notificati a quest�ultima nelle ipotesi in cui la P.A.: a) avesse ricevuto un beneficio 
economico dal provvedimento di controllo negativo; b) si fosse trovata in effettivo contrasto di interessi 
con il ricorrente; c) avesse manifestato comportamenti adesivi.
298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
gli interessi che le giustificano sono eterogenei e non sovrapponibili (15). 
3. L�impugnativa degli atti di controllo della Corte dei conti: la tesi sandulliana 
(16) dell�insindabilit� per la neutralit� e il �disinteresse� delle funzioni 
di controllo esercitate viene recepita dalle Sezioni unite 
In relazione all�impugnazione degli atti di controllo della Corte dei conti 
sono state generalmente condivise le tesi sandulliane dell�inammissibilit� del 
(15) �L�ente pubblico i cui atti sono sottoposti al controllo di altro organo ha un interesse alla 
conservazione in vita di tali atti identificabile nella tutela della propria attivit� volitiva, sia essa discrezionale 
o vincolata, compressa dall�atto negativo di controllo; pertanto, la posizione che nell�ambito 
del processo amministrativo assume l�amministrazione che ha emanato il provvedimento poi annullato 
in sede di controllo viene a coincidere con quella del soggetto al quale il provvedimento stesso avrebbe 
recato beneficio e non gi� con la posizione dell�organo di controllo al quale deve essere notificato il ricorso; 
ne consegue che l�ente controllato non assume la veste di controinteressato in senso tecnico nei 
riguardi del ricorso proposto dal beneficiario degli effetti dell�atto annullato e ci� nemmeno se dall�eventuale 
accoglimento del proposto gravame l�ente verrebbe a sopportare un maggior onere finanziario 
atteso che l�amministrazione per il carattere pubblico che le � proprio � tenuta ad improntare la 
sua azione esclusivamente al rispetto della legge� (Cons. Stato, A.P., 21 giugno 1996, n. 9). 
La soluzione ha trovato adesioni nella giurisprudenza successiva (Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2000, 
n. 4575; in termini Cons. Stato, Sez. V, 18 giugno 2001, n. 3213). 
Non �, tuttavia, mancata qualche manifestazione di dissenso relativa a fattispecie di adesione dell�Amministrazione 
controllata ai riscontri evidenziati da quella controllante rilevando che, in tali situazioni, 
potrebbe profilarsi un contrasto tra gli interessi del ricorrente e quelli della P.A. controllata (Cons. Stato, 
Sez. V, 23 gennaio 1998, n. 53, che riprende la posizione della sezione IV del Consiglio dell�8 ottobre 
1996, n. 1095). 
Sul punto non pu� essere sottaciuto che, secondo giurisprudenza costante, l�individuazione del soggetto 
controinteressato, che si concreta nell�accertamento della contestuale sussistenza in capo al soggetto 
dell�elemento formale (identificazione o identificabilit� risultante dal provvedimento impugnato) e di 
quello sostanziale (titolarit� di una situazione di interesse di segno omogeneo e contrario rispetto a quella 
del ricorrente principale), va effettuata in relazione al momento in cui l�atto amministrativo impugnato 
viene adottato, essendo irrilevante ogni sopravvenienza di fatto o di diritto. L�adesione dell�Amministrazione 
controllata ai riscontri dell�Autorit� tutoria � necessariamente successiva all�adozione dell�atto 
negativo di controllo impugnato e a nulla rileva che la prima, per la sopravvenienza fattuale (propria 
determinazione di adeguarsi alle indicazioni emergenti dall�atto di controllo), modifichi la propria situazione 
soggettiva che si trasforma in una posizione di interesse simile a quello dell�Autorit� controllante. 
Al tempo dell�adozione dell�atto di controllo impugnato, quindi, la P.A. controllata era 
cointeressata e tale rimane ai fini dell�applicazione della normativa sul contraddittorio nel processo amministrativo, 
non essendo il controinteressato sopravvenuto parte necessaria del giudizio amministrativo. 
La posizione di cointeressata dell�Amministrazione controllata ha consentito alla giurisprudenza di affermarne 
la legittimazione ad impugnare l�atto di controllo negativo e ad intervenire in senso adesivo 
nel giudizio da altri incardinato per l�annullamento dell�atto di controllo (Cons. Stato, Sez. IV, 8 ottobre 
1996, n. 1095; Cons. Stato, Sez. V, 5 novembre 1999, n. 1837). 
Giova rilevare che nel caso in cui l�Amministrazione controllata si sia adeguata alle indicazioni dell�organo 
tutorio, l�impugnativa va estesa a queste successive determinazioni, a pena di improcedibilit� del 
ricorso originario (avente ad oggetto l�atto di controllo negativo) per sopravvenuta carenza di interesse, 
essendo stata assorbita la lesivit� dell�atto di controllo negativo nel nuovo provvedimento di amministrazione 
attiva. 
(16) A.M. SANDULLI, Funzioni pubbliche neutrali e giurisdizione, in Riv. dir. proc., 1964, (200-
DOTTRINA 299 
ricorso per difetto assoluto di giurisdizione fondate sulla posizione di neutralit� 
e terziet� della Corte (le cui guarentigie assicurano l�indipendenza dell�Istituzione 
dal governo e l�imparzialit� di giudizio dei suoi magistrati), nonch� sul 
carattere �disinteressato� e �distaccato� dell�esercizio delle proprie funzioni 
(che sono svolte al di fuori e al di sopra di qualsiasi specifico interesse pubblico 
e finalizzate a garantire la legalit� assicurando il rispetto dell�ordinamento 
senza preferenze in favore di interessi pubblici specifici), di guisa che 
tali poteri non possono essere ricondotti all�attivit� amministrativa che � 
�un�attivit� istituzionalmente �impegnata� (e ci� anche quando sia attivit� 
di controllo)� (17). 
216); ID., In materia di giurisdizione nei confronti dei decreti di assoggettamento di enti pubblici al 
controllo della Corte dei conti e nei confronti degli atti di controllo della Corte, in Giust. civ., 1964, I, 
1336-1340; ID., Atti della Corte dei conti e sindacato giurisdizionale, in Giur. it., 1972, III, 465-470; La 
Corte dei conti nella prospettiva costituzionale. Repliche, in AA.VV, La Corte dei conti strumento di 
attuazione della Costituzione nella materia della finanza pubblica, Atti del convegno �Corte dei conti 
e finanza pubblica�, Napoli-Salerno, 19-21 gennaio 1979, Napoli, ESI, 1979, 27-53 (per le Repliche, 
pag. 328-336), poi in Dir. soc., 1979, 33-61; ID., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, Jovene, 
1989, 410-411. 
Sulle tesi del giurista napoletano L. GIAMPAOLINO, La Corte dei conti nel pensiero di Aldo Sandulli, in 
Riv. C. conti, 2005, I, 349 ss.; G. CAIANIELLO, Postfazione a Luigi Giampaolino, La Corte dei conti nel 
pensiero di Aldo Sandulli, in Riv. C. conti, 2005, I, 359 ss. 
(17) A.M. SANDULLI, In materia di giurisdizione nei confronti dei decreti di assoggettamento di 
enti pubblici al controllo della Corte dei conti e nei confronti degli atti di controllo della Corte, in Giust. 
civ., 1964, I, 1339-1340; in precedenza Id., Funzioni pubbliche neutrali e giurisdizione, in Riv. dir. proc., 
1964, 205-206, opera nella quale il Sandulli aveva equiparato l�attivit� consultiva del Consiglio dei 
Stato e quella di controllo della Corte dei conti sottolineando l�estraneit� delle due Istituzioni alla pubblica 
amministrazione e la finalizzazione delle rispettive attivit� alla realizzazione dell�ordinamento 
giuridico, da cui l�ascrizione di tali funzioni nelle �forme di �neutralit�� propria e piena�. 
La posizione � stata condivisa in dottrina da G. CORREALE, Le pronunce di controllo della Corte dei 
conti ed il giudice amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, I, 859-878 (�la sezione del controllo 
della Corte dei conti � corpo deliberante, ma non amministrativo, bens� magistratuale, titolare di una 
funzione non amministrativa, ma certamente, quanto meno, neutrale: il che rende il Consiglio di Stato 
� sempre e comunque � carente di giurisdizione, rispetto alle pronunce della sezione medesima�). Il 
Correale, riprendendo le posizioni sandulliane, ha chiarito che l�impugnativa di un atto di controllo negativo 
della Corte � inammissibile per carenza di interesse in quanto la �Corte non � titolare di alcuna 
potest� di incidere autoritativamente sulla situazione dell�amministrato, n� di operare lesioni nella di 
lui sfera giuridica. Ne consegue che l�atto della Corte non modifica la situazione, n� pregiudica, in 
alcun modo, i beni dell�amministrato, per la semplice ragione che la Corte stessa � posta al di fuori, 
anzi, al di sopra, di tale situazione, ab origine � vale a dire istituzionalmente � in quanto non � deputata 
alla cura dell�interesse pubblico specifico nel perseguimento del quale pu� venire ad essere coinvolta 
la situazione del privato [�] La Corte, allora, ha natura neutrale e siede da �terza�, rispetto al rapporto 
esistente fra l�amministrazione e l�amministrato. In quanto tale, cio�, nella sua qualit� di non �amministratrice� 
del rapporto, di figura priva della giuridica possibilit� di creare una situazione di soggezione 
in capo all�amministrato � rispetto ad essa terzo, non amministrato � la Corte stessa non pu� 
essere considerata soggetto, autore di un atto oggettivamente amministrativo [�] La funzione di controllo 
demandata al magistrato, diversamente dalla attivit� amministrativa di controllo che viene esercitata 
nell�interno della pubblica amministrazione, da parte di organi amministrativi, non tende alla 
tutela degli interessi perseguiti in concreto dall�Amministrazione controllata, bens� alla tutela di interessi 
e di quei valori obiettivi nei quali si identifica l�ordinamento giuridico e quello contabile in specie� 
(pag. 863 ed 866).
300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Per Aldo Maria Sandulli, quindi, l�attivit� di controllo della Corte dei 
conti si svolge �unicamente in funzione della realizzazione dell�ordinamento 
giuridico (Stato-ordinamento)� come �funzione esplicata in veste obiettiva e 
neutrale (e perci� disinteressata) e quindi al di fuori e al di sopra di qualsiasi 
specifico interesse pubblico� (18). 
Spetta, quindi, al Sandulli il merito di aver sistematizzato e dotato di un 
solido fondamento scientifico la tesi dell�insindacabilit� degli atti di controllo 
della Corte dei conti che era gi� stata ampiamente sostenuta dalla giurisprudenza 
amministrativa (19). 
Si sancisce, in tal modo, che la Corte dei conti, nell�esercizio delle funzione 
di controllo, interviene dall�esterno non solo formalmente (non � pubblica 
amministrazione in senso tecnico) ma anche sostanzialmente (non opera 
(18) A.M. SANDULLI, In materia cit., loc. cit. 
(19) Cons. Stato, 30 gennaio 1903, in Foro it., 1903, III, 17, e Cons. Stato, sez. IV, 19 giugno 
1903, in Giur. it., IV, 1903, 177 ss., con annotazione critica di F. CAMMEO, La competenza della IV Sezione 
sugli atti amministrativi delle autorit� non amministrative e la posizione costituzionale della Corte 
dei conti, in Giur. it., 1903, IV, 177. 
Per quest�ultima decisione �La Corte dei conti, secondo i principi informativi della sua istituzione, non 
pu� altrimenti considerarsi che quale emanazione del potere parlamentare, in virt� di delegazione permanente 
delle camere, e quale magistratura suprema ed autonoma, sotto i due aspetti indipendente dal 
potere esecutivo [�] La Corte dei conti appartiene all�ordine costituzionale e per taluni aspetti all�ordine 
giudiziario, ma in nessun caso rientra nell�orbita del potere esecutivo e nel novero degli organi 
amministrativi, non dovendo rispondere dei proprii atti ad altra autorit� che al Parlamento per quanto 
riguarda l�adempimento del mandato parlamentare, e non avendo sopra di s� che la corte di cassazione 
in quanto possano i suoi giudicati esorbitare dai confini della sua giurisdizione speciale�. 
La Sezione IV ha, in tal modo, recepito la teoria di VITTORIO EMANUELE ORLANDO che, nei suoi Principi 
di diritto costituzionale, Firenze, Barbera, 1889, 143, n. 220, aveva rilevato il ruolo costituzionale della 
Corte dei conti che trarrebbe �la propria autorit� da una vera delegazione di poteri da parte del Parlamento� 
(in termini Id., Principi di diritto amministrativo, Firenze Barbera, 1891, 82 ss. �di un�alta importanza 
� poi il carattere costituzionale che la Corte dei conti riveste e per cui essa rientra nell�orbita 
del potere legislativo assicurando, in virt� di una delegazione del Parlamento, che il bilancio esercitato 
dall�amministrazione corrisponda rigorosamente a quello approvato dalle Camere�). 
La tesi dell�Orlando, nonostante autorevoli dissensi (F. CAMMEO, La competenza della IV Sezione cit.; 
S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo italiano, Milano, Societ� editrice libraria, 1906, 126), � 
stata ampiamente accolta dai Padri costituenti. In proposito si richiamano gli interventi di Mortati, Einaudi 
e Perassi nella discussione del 27 gennaio 1947 in seconda Sottocommissione della Commissione 
per la Costituzione, nonch� la relazione di presentazione del progetto di Costituzione del Presidente 
Ruini del 6 febbraio 1947, tutti concordi nel riconoscere posizione e rilevanza costituzionale alla Corte 
dei conti la cui �ausiliariet�� si riferirebbe pi� che al Governo, dal quale deve rimanere indipendente, 
alla Repubblica (Ruini) e al Parlamento (Mortati, Einaudi e Perassi). 
La giurisprudenza successiva (Cons. Stato, ad. plen., 25 gennaio 1961, n. 1, in Cons. St., 1961, I, 3; 
Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 1963, n. 572, ivi, 1963, I, 952; 4 ottobre 1963, n. 597, ivi, 1304; Cons. 
giust. amm. reg. sic., 14 dicembre 1962, n. 548, ivi, 1963, I, 2104) ha ribadito l�insindacabilit� facendo 
leva anche su argomentazioni giuridiche diverse: rifacendosi alla giurisprudenza consolidata delle Sezioni 
unite (Cass., sez. un., 3 luglio 1953, n. 2073, in Foro it., 1953, I, 1094; 5 luglio 1965, n. 1396, in 
Mass. foro it., 1965, 403) � stata esclusa l�impugnabilit� degli atti di controllo della Corte dei conti in 
quanto non formalmente imputabili ad un��autorit� amministrativa� n� sostanzialmente amministrativi 
sottolineando che l�art. 26 t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 contempla la giurisdizione del Consiglio esclusivamente 
nei confronti di atti soggettivamente e oggettivamente amministrativi.
DOTTRINA 301 
per la cura di interessi pubblici specifici), di tal che non pu� essere considerata 
una parte. Il Sandulli, in sede di commento (aspramente critico) ad un�isolata 
pronuncia del Consiglio di Stato che aveva ammesso il sindacato giurisdizionale 
sugli atti di controllo della Corte dei conti (20), decisione annullata senza 
rinvio dalla Cassazione (21) e priva di seguito in giurisprudenza amministrativa, 
ha ipotizzato la possibilit� per la Corte dei conti in sede di controllo di 
agire in qualit� di autonomo potere dello Stato ricorrendo in Cassazione per 
difetto assoluto di giurisdizione e, in caso di esito negativo, alla Corte costituzionale 
con ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (22). 
Tale orientamento � stato confermato in un saggio successivo (23) nel 
quale, peraltro, il giurista ha sancito, con ancora maggiore incisivit� rispetto 
al passato, la �rilevanza costituzionale� delle funzioni di controllo della Corte 
che � �garante della legalit� nell�esercizio della attivit� della pubblica amministrazione 
[�] al servizio dell�ordinamento giuridico in s� e per s� e/o 
della comunit� unitariamente intesa� e, come il Consiglio di Stato, presenta 
attribuzioni a �carattere binario� essendo ad essa devoluti �compiti di controllo 
e compiti giurisdizionali� (24). Sandulli, ha avuto cura di precisare, altres�, 
che il carattere di ausiliarit� posto dalla Costituzione non si riferisce 
all�Istituzione, bens� alle funzioni esercitate (25). Ci�, peraltro, non determinerebbe 
�un ruolo secondario e servente di esse� perch� �quando una funzione 
accessiva rispetto ad altre viene svolta da un organo (e, a maggior 
ragione, da un soggetto) non solo in posizione di terziet�, ma altres� (non in 
quanto esponente di particolari interessi soggettivi, bens�) in quanto espressione 
soltanto dell�ordinamento e/o della comunit� unitariamente intesa, il 
ruolo di essa � pur differenziato nell�essenza e nella portata � � nondimeno 
primario (nel senso di non derivato e non subalterno)� (26). 
In considerazione delle numerose tipologie di potere di controllo esercitabile 
dalla Corte dei conti la casistica giurisprudenziale si presenta quanto 
mai varia. 
Di seguito si cercher� di fornire un�analisi sistematica degli orientamenti 
giurisprudenziali e dottrinali evidenziando come i principi generali identificati 
(20) Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 1972, n. 501. 
(21) Cass., sez. un., 23 novembre 1974, n. 3806, in Cons. St., 1975, II, 206, in Foro it., 1975, I, 
36 e in Foro amm., 1975, I, 1, 216 ss. 
(22) A.M. SANDULLI, Atti della Corte dei conti e sindacato giurisdizionale, in Giur. it., 1972, III, 
468-470. 
(23) A.M. SANDULLI, La Corte dei conti nella prospettiva costituzionale, in AA.VV, La Corte dei 
conti strumento di attuazione della Costituzione nella materia della finanza pubblica, Atti del convegno 
�Corte dei conti e finanza pubblica�, Napoli-Salerno, 19-21 gennaio 1979, Napoli, ESI, 1979, 27-29, 
poi in Dir. soc., 1979, 33-35. 
(24) A.M. SANDULLI, La Corte dei conti nella prospettiva costituzionale cit., 27. 
(25) A.M. SANDULLI, La Corte dei conti nella prospettiva costituzionale cit., 27. 
(26) A. M. SANDULLI, La Corte dei conti nella prospettiva costituzionale cit., 28.
302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
dalle Corti in relazione all�impugnativa degli atti di controllo amministrativo 
sia stata adeguata e modulata onde tenere in considerazione i valori e gli interessi 
costituzionali che la Corte dei conti � chiamata a far rispettare con neutralit�, 
autonomia ed indipendenza. 
4. L�insindacabilit� degli atti di controllo preventivo di legittimit� 
In relazione alle (residue) ipotesi di atti di controllo preventivo di legittimit� 
(27), la giurisprudenza ha sempre considerato inammissibile l�impugnazione 
di questa tipologia di atti della Corte dei conti, residuando al privato 
quella degli atti che l�Amministrazione abbia posto in essere a seguito dei dicta 
del giudice contabile (28). 
Il difetto assoluto di giurisdizione � stato giustificato sulla base della natura 
�neutrale� di tale tipologia di controllo che viene, peraltro, esercitato in senso 
�disinteressato�, cio� a garanzia del rispetto delle regole oggettive dell�ordinamento 
e non per la cura di interessi pubblici specifici (29). Alla mancanza di 
(27) La legge 14 gennaio 1994, n. 20, ha, difatti, limitato le categorie di atti assoggettati al 
controllo preventivo di legittimit�, mentre l�art. 27, comma 7, della legge 24 novembre 2000, n. 340, 
ha semplificato il procedimento di controllo riconoscendo �esecutivit�� (rectius efficacia) agli atti 
controllati con il decorrere di sessanta giorni dalla ricezione. 
(28) Superando il vecchio orientamento espresso in numerose risalenti decisioni che avevano 
prospettato soluzioni divergenti (Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 1903, in Giur. it., 1903, III, 110; 
2 aprile 1909, in Giur. it., 1909, III, 217; 2 febbraio 1912, in Giur. it., 1912, III, 386, e in Foro it., 
1912, III, 308-313, con nota di U. FORTI, Corte dei conti e ricorso alla IV Sezione del Consiglio di 
Stato; 13 marzo 1914, in Giur. it., 1914, III, 172; 30 dicembre 1914, in Giur. it., 1915, III, 79 con 
nota di F. CAMMEO, Il ricorso alle IV sezione contro i provvedimenti conseguenti ad un rifiuto di registrazione 
da parte della Corte dei conti), la giurisprudenza amministrativa ha costantemente ammesso 
l�impugnabilit� del provvedimento col quale l�Amministrazione avesse comunicato 
all�interessato di non poter dar corso ad un decreto a causa del rifiuto di registrazione della Corte 
dei conti in quanto con tale comunicazione, da considerarsi provvedimento tacito o implicito, l�Amministrazione 
farebbe propri i motivi addotti dalla Corte (Cons. Stato, sez. VI, 6 luglio 1956, n. 781, 
in Cons. St., 1956, n. I, 884 e in Foro amm., 1957, I, 42; ad. plen., 25 gennaio 1961, n. 1, in Giur. 
it., 1961, III, 193, con nota di JEMOLO, in Giur. cost., 1961, 1487, con note di NIGRO e D�ALBERGO, 
in Giust. civ., 1961, II, 344, con nota di BORZELLINO; sez. VI, 8 novembre 1961, n. 841, in Cons. St., 
1961, I, 1947; sez. IV, 31 luglio 1963, n. 572, in Cons. St., 1963, I, 952; sez. IV, 4 ottobre 1963, n. 
597, in Cons. St., 1963, I, 1304; sez. IV, 28 giugno 1966, n. 562, in Cons. St., 1966, I, 1186; sez. VI, 
22 dicembre 1966, n. 985, in Cons. St., 1966, I, 2346; sez. IV, 8 gennaio 1974, n. 30, in Foro. it., 
1974, III, 301). 
Nella giurisprudenza pi� recente Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1996, n. 636, in Cons. St., 1996, I, 
771 e in Rep. foro it., 1996, voce Giustizia amministrativa, n. 189 (ҏ da escludere l�impugnabilit� 
degli atti di controllo della Corte dei conti perch� essi sono sottratti al sindacato giurisdizionale 
ammesso dall�art. 113 Cost., contro gli atti dell�amministrazione, trattandosi di atti emanati nell�esercizio 
di una funzione imparziale, svincolata dall�indirizzo politico ed amministrativo del governo, 
provenienti da un organo estraneo all�apparato della pubblica amministrazione�); in termini 
Cons. Stato, sez. IV, 8 ottobre 1996, n. 1089, in Rep. foro it., 1996, voce Giustizia amministrativa, 
n. 190; Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2004, n. 642. 
(29) Si tratta della menzionata tesi del Sandulli che ha trovato autorevoli risonanze in dottrina 
(secondo G. GUARINO, Atti e poteri amministrativi, Milano, 1994, 257, �il rifiuto del visto da parte
DOTTRINA 303 
soggettivit� amministrativa e ai caratteri della funzione svolta, si affianca, 
quindi, l�assenza di lesivit� immediata degli atti di controllo preventivo, mentre 
tale caratteristica � ravvisabile negli eventuali provvedimenti successivi dell�amministrazione 
controllata che saranno, invece, direttamente impugnabili. 
A questi principi si � richiamata anche la celebre pronuncia delle Sezioni 
unite (30) che ha cassato la decisione del Consiglio di Stato con cui era stato 
ritenuto impugnabile un atto di controllo della Corte dei conti (31). La Corte 
della Corte dei conti non � impugnabile in sede giurisdizionale, poich� la Corte dei conti � disciplinata, 
dal diritto positivo, non come un�amministrazione, ma come una magistratura [�] i terzi possono 
far valere le loro eventuali ragioni avverso una determinazione della Corte dei conti, che si 
reputi errata in punto di diritto, solo impugnando il nuovo atto che l�amministrazione adeguandosi 
al controllo emetta in sostituzione di quello non approvato�). 
(30) Cass., sez. un., 23 novembre 1974, n. 3806 (dichiara il difetto assoluto di giurisdizione 
nei confronti degli atti di controllo della Corte dei conti recependo le ricostruzioni dottrinali sandulliane), 
in Giust. civ., 1975, I, 784, con annotazioni di L. GIAMPAOLINO, In tema di impugnabilit� 
degli atti di controllo della Corte dei conti e A. MASCIA, Atti di controllo della Corte dei conti e legitimatio 
ad causam, in Cons. St., 1975, II, 206, in Foro it., 1975, I, 36, con nota di M. GAGLIARDI, 
e in Foro amm., 1975, I, 1, 216 ss. 
(31) Si tratta della gi� menzionata decisione Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 1972, n. 501, in 
Giur. it., 1972, III, 1, 465, con annotazione critica di A.M. SANDULLI, Atti della Corte dei conti e 
sindacato giurisdizionale, in Foro it., 1972, IV, 332, con commento adesivo di A. ROMANO, Atti di 
controllo della Corte dei conti e sindacato giurisdizionale amministrativo, in Rass. avv. St., 1972, I, 
1098, con nota di R. CARAFA, Insindacabilit� in s.g. degli atti della Corte dei conti, in Giust. civ., 
1973, II, 105, in Foro amm., 1972, I, 2, 747, in Le regioni, 1972, 19, con nota di BERTI. 
Tra le opinioni critiche nei confronti della decisione del Consiglio di Stato R. CARAFA, Insindacabilit� 
in sede giurisdizionale degli atti della Corte dei conti, in Rass. avv. Stato, 1972, I, IV, 1098- 
1104; G. CORREALE, Le pronunce di controllo della Corte dei conti ed il giudice amministrativo, in 
Riv. trim. dir. pubbl., 1973, 859 ss.; F. NUNZIATA, Disarmonie nella giustizia amministrativa, in Foro 
amm., 1973, II, 213; F. PASQUALUCCI, Controllo esterno e sindacato giurisdizionale, in Foro amm., 
1973, II, 117; F. SATTA, Spartizione del potere tra i giudici, in Dir. soc., 1973, 152-167. 
In linea generale, prima della pronuncia del Consiglio di Stato, la scienza giuridica italiana era animata 
da un intenso dibattito tra coloro che riconducevano le funzioni di controllo della Corte dei 
conti a quelle giurisdizionali o, comunque, ne riconoscevano il rilievo costituzionale (escludendone 
la sindacabilit� giurisdizionale innanzi al Consiglio di Stato) e quelli che le ascrivevano alla sfera 
dell�amministrazione (ammettendone conseguentemente l�impugnabilit� diretta). 
Tra i principali esponenti del primo orientamento F. NICOLOSI, La Corte dei conti, Pisa, 1878, 32 ss. 
(spec. 40-41); G. PASINI, Legge sull�istituzione della Corte dei conti nel Regno d�Italia, Torino, 1883, 
410-543; G. ARCOLEO, Il bilancio dello Stato e il sindacato parlamentare, Napoli, 1880, 130 ss.; V. 
TANGO, Corte dei conti, in Dig. it., VIII, parte IV, 1899, 72-204; V.E. ORLANDO, Principi di diritto 
costituzionale, Firenze, Barbera, 1889, 143, n. 220 (il maestro fondatore della scuola nazionale di 
diritto pubblico sottolinea il ruolo costituzionale della Corte dei conti che trarrebbe �la propria autorit� 
da una vera delegazione di poteri da parte del Parlamento�; in termini ID., Principi di diritto 
amministrativo, Firenze Barbera, 1891, 82 ss. ove precisa che �di un�alta importanza � poi il carattere 
costituzionale che la Corte dei conti riveste e per cui essa rientra nell�orbita del potere legislativo 
assicurando, in virt� di una delegazione del Parlamento, che il bilancio esercitato 
dall�amministrazione corrisponda rigorosamente a quello approvato dalle Camere�, nonch� ID., 
Principi di diritto costituzionale, 1912, 170, ove ribadisce l�esistenza di una delega di poteri fatta 
dal Parlamento alla Corte); S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, Milano, 1906, 12 ss. 
(ove il primo allievo dell�Orlando adotta una sistematizzazione delle funzioni di tipo misto) e ID., 
Corso di diritto costituzionale, Padova, CEDAM, 1943, 378 (ove si afferma che la Corte � un �or-
304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
gano di importanza costituzionale�; E. VICARIO, La Corte dei conti in Italia, 1912; A. SALANDRA, 
Corso di lezioni di diritto amministrativo, II (Parte speciale), Roma, Athenaeum, 1912, 740 ss. 
(anch�egli discorre di attribuzioni costituzionali, giurisdizionali e di controllo); C.F. FERRARIS, Diritto 
amministrativo, Padova, Editrice universitaria, II, 1922, 137 ss. (avvertendo dell�utilizzo del termine 
sorveglianza in luogo di quello controllo ripartisce le Istituzioni in corpi deliberanti, consultivi e 
sorveglianti ed inserisce la Corte dei conti - che esercita funzioni di riscontro e sindacato - tra questi 
ultimi, mentre il Consiglio e l�Avvocatura dello Stato tra quelli consultivi); A. LONGO, Appunti di 
diritto amministrativo (lezioni dell�anno accademico 1927-1928), Palermo, Arti grafiche Castiglia, 
1928, 81 (secondo il quale �la Corte dei conti � emanazione del potere legislativo ed organo di controllo 
del medesimo sul potere esecutivo� e per tale ragioni � affidataria di attribuzioni di natura costituzionale, 
contenziosa ed amministrativa); S. SICA, Contributo ad una teoria generale dei controlli 
giuridici nello Stato di diritto, in Foro amm., 1935, IV, 41-56 (la Corte sarebbe un�Istituzione di carattere 
comprimario necessariamente costituzionale); G. ROHERSSEN, Conflitti tra la Corte dei conti 
in sede di controllo ed il Consiglio di Stato, in Foro amm., 1939, IV, 39-40 (che s�interessa della 
questione del visto di un atto amministrativo adottato in sede di ottemperanza ad una decisione del 
Consiglio di Stato di cui si erano interessati in precedenza anche L. RAGNISCO, Interferenze di competenza 
tra il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, in Foro amm., 1932, IV, 37 e GUIDA, Dei rapporti 
tra l�attivit� di controllo della Corte dei conti, il Consiglio di Stato e l�A.G.O., in Studi 
D�Amelio, II, 220); S. LESSONA, Introduzione al diritto amministrativo, Firenze, Editrice universitaria, 
1952, 101-102 (la Corte dei conti � �organo che integra la funzione del Parlamento� cui competono, 
altres�, funzioni amministrative e giurisdizionali di spettanza rispettivamente degli Uffici 
amministrativi della Corte e del personale di magistratura); C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, 
I, Padova, CEDAM, 1969, 550 assegna alla Corte una �rilevante posizione costituzionale� in quanto 
Istituzione �ausiliaria del Parlamento�; R. ALESSI, Principi di diritto amministrativo, Milano, Giuffr�, 
1974, 147 secondo il quale la Corte dei conti � �organo massimo, costituzionale, di controllo 
[e] giurisdizionale�. 
Tra i sostenitori del secondo orientamento F. CAMMEO, La competenza della IV Sezione sugli atti 
amministrativi delle autorit� non amministrative e la posizione costituzionale della Corte dei conti, 
in Giur. it., 1903, IV, 177 ss.; F. D�ALESSIO, Istituzioni di diritto amministrativo, 1932, I, 327-328; 
O. RANELLETTI, La Corte dei conti nella legge 3 aprile 1933, n. 255, in Riv. dir. pubbl., 1933, I, 624; 
A RISPOLI, Istituzioni di diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 1938, 95-96. 
Gli studi successivi di GIUSEPPE FERRARI (Gli organi ausiliari, Milano, 1966) e ALDO MARIA SANDULLI 
(Funzioni pubbliche neutrali e giurisdizione, in Riv. dir. proc., 1964, 200-216; In materia di 
giurisdizione nei confronti dei decreti di assoggettamento di enti pubblici al controllo della Corte 
dei conti e nei confronti degli atti di controllo della Corte, in Giust. civ., 1964, I, 1336-1340; Atti 
della Corte dei conti e sindacato giurisdizionale, in Foro amm., 1972, III, 464-470; La Corte dei 
conti nella prospettiva costituzionale, in AA.VV,, La Corte dei conti strumento di attuazione della 
Costituzione nella materia della finanza pubblica, Atti del convegno �Corte dei conti e finanza pubblica�, 
Napoli-Salerno, 19-21 gennaio 1979, Napoli, ESI, 1979, 27-53 e 328-336, anche in Dir. soc., 
1979, 2-61) arricchirono il ventaglio delle possibili ricostruzioni di preziose idee che, come si vedr�, 
sarebbero state di l� a poco avallate dalle Sezioni unite e dalla giurisprudenza amministrativa. 
Giova, comunque, ricordare che i Padri costituenti non hanno avuto alcun dubbio in merito alla posizione 
costituzionale della Corte dei conti e alla estrema rilevanza delle funzioni di controllo alla 
medesima assegnate nel quadro della tutela della legalit� delle gestioni finanziarie pubbliche. 
COSTANTINO MORTATI ebbe ad osservare che �la rilevanza costituzionale della Corte dei conti sorge 
dal fatto che, secondo quanto � stato sempre inteso dal 1862 sino ad oggi, l�istituto della Corte dei 
conti � un organo ausiliario del Parlamento nella importante funzione del controllo finanziario� 
(discussione del 27 gennaio 1947 della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione). 
In piena consonanza, il Perassi, rilev� la �necessit� di menzionare nella Costituzione la 
Corte dei conti, perch� la sua funzione di controllo si ricollega, come giustamente � stato osservato 
dall�onorevole Mortati stesso, con quella specifica del Parlamento� (discussione del 27 gennaio 
1947 della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione). 
Del resto, sempre per il Mortati, in considerazione dell��enormit� delle spese che lo Stato � oggi 
costretto a sopportare [�] obiettare che neanche la Corte dei conti ha eseguito sempre soddisfa-
DOTTRINA 305 
regolatrice ha giustificato l�inammissibilit� dell�impugnativa nei confronti dell�atto 
di controllo motivando che la Corte dei conti �non appartiene all�apparato 
della pubblica amministrazione, ma � un organo ad essa esterno ed 
indipendente; sotto il profilo oggettivo, gli atti di controllo, non sono diretti a 
soddisfare interessi amministrativi concreti, mirando soltanto a far rispettare 
la legalit� e, per quanto non abbiano natura giurisdizionale e non siano 
emessi in sede contenziosa, sono tuttavia pronunciati super partes ed esprimono 
una posizione neutrale, ben diversa dalla posizione che caratterizza 
l�operato delle pubbliche amministrazioni� (32). La pronuncia ha, altres�, fatto 
leva sulla natura procedimentale del controllo che, come tale, esaurisce i suoi 
effetti nei rapporti tra controllore e controllato �senza diretta incisione delle 
posizioni soggettive dei terzi [�] In ogni caso infatti l�atto, il comportamento 
o l�omissione, se risultano lesivi di posizioni soggettive altrui, sono ad essa 
(l�amministrazione) imputabili, perch� ad essa e non alla Corte dei conti, � 
fatto obbligo di svolgere la propria azione nel rispetto di quelle posizioni� 
(33).
La teoria sandulliana dell�insindabilit� fondata sul carattere neutrale e disinteressato 
del potere esercitato dalla Corte dei conti in sede di controllo � 
stata, poi definitivamente accolta dalle Sezioni unite con una decisione di poco 
successiva con cui si � definitivamente cristallizzato il principio di diritto secondo 
cui �gli atti di controllo della Corte dei conti sono sottratti al sindacato 
giurisdizionale ammesso dall�art. 113 Cost. contro gli atti della pubblica amministrazione, 
trattandosi di funzione imparziale svincolata dall�indirizzo politico 
ed amministrativo del governo, provenienti da un organo estraneo 
all�apparato della pubblica amministrazione� (34). 
L�assunto, peraltro, non fa venir meno la tutela giurisdizionale per il privato 
che sia pregiudicato dall�attivit� dell�amministrazione controllata conseguenziale 
al decisum della Corte dei conti in sede di controllo. L�interessato, 
difatti, potr� in ogni caso sollecitare una pronuncia espressa dell�Amministrazione, 
pur se, ai fini dell�ammissibilit� del ricorso, sar� sufficiente impugnare 
la mera comunicazione con cui si manifesti, anche implicitamente o tacitacentemente 
il controllo sulle spese pubbliche [�] non � una ragione per negare l�importanza del 
controllo sulle spese pubbliche [che], anzi costituisce una ragione in pi� per rendere maggiormente 
efficace tale controllo e rafforzare il potere della Corte dei conti� (discussione del 27 gennaio 1947 
della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione). 
Sulla stessa linea, Einaudi segnal� addirittura che �la Corte dei conti ha costituito e costituisce ancora 
il terrore di tutti coloro che si propongono di locupletarsi ai danni della pubblica finanza� (discussione 
del 27 gennaio 1947 della seconda Sottocommissione della Commissione per la 
Costituzione). 
(32) Cass., sez. un., 23 novembre 1974, n. 3806. 
(33) Cass., sez. un., 23 novembre 1974, n. 3806. 
(34) Cass., sez. un., 8 ottobre 1979, n. 5186, in Cons. Stato, 1980, II, 85, in Giur. it., 1980, I, 
1, 1913 e in Rep. foro it., 1980, voce �Corte dei conti�, n. 21.
306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
mente, la volont� di non poter procedere ulteriormente rinviando all�atto di 
controllo negativo della Corte dei conti (35). 
Sulla base di questi principi le Sezioni unite, pur dichiarando il difetto 
assoluto di giurisdizione in relazione all�impugnativa spiegata avverso l�atto 
di controllo negativo della Corte dei conti, dettero concreta soddisfazione alla 
pretesa patrimoniale del privato argomentando che quest�ultimo aveva in ogni 
caso chiesto nel ricorso introduttivo il riconoscimento del proprio diritto contestando 
l�appiattimento delle posizioni dell�Amministrazione su quelle del 
Giudice contabile in sede di controllo, pretesa che il Consiglio di Stato aveva 
peraltro gi� accolto (36). 
In altri termini, in relazione a tutti gli atti di controllo della Corte dei conti, 
viene in rilievo una deroga (limitata all�inimpugnabilit� di quelli negativi, in 
quanto quella afferente a quelli positivi � conforme ai principi generali) alle 
regole di impugnazione valevoli per gli altri atti di controllo giustificata dalla 
speciale natura neutrale, terza, imparziale e disinteressata delle funzioni esercitate 
della Corte che non determina, giova ribadirlo, alcuna limitazione alla 
tutela del privato. Quest�ultimo, difatti, � pienamente legittimato ad impugnare 
il provvedimento dell�Amministrazione che abbia recepito il giudizio di controllo 
oppure ad insorgere nei confronti dell�inerzia serbata dall�ente controllato. 
5. L�insindacabilit� dei referti-relazione di controllo sulla gestione degli enti 
della Repubblica (Stato, Autonomie, enti sovvenzionati) 
In un momento storico caratterizzato da un�organizzazione del controllo 
magistratuale neutrale che poneva al centro della propria azione quello di carattere 
preventivo di legittimit� era del tutto logico che la questione dell�assoggettabilit� 
a sindacato giurisdizionale degli atti di esercizio delle funzioni 
di controllo della Corte dei conti si fosse posta in relazione a tale tipologie di 
provvedimenti. 
L�adeguamento della funzione di controllo neutrale al nuovo assetto istituzionale 
della Repubblica risultante dalla riforma del Titolo V della Costituzione 
e di quella dell�organizzazione amministrativa ha fatto spostare la 
(35) Del resto, in relazione a pretese patrimoniali, secondo la giurisprudenza amministrativa consolidata, 
si ritiene da lungo tempo sufficiente la mera inerzia dell�Amministrazione (Cons. Stato, sez. 
V, 28 settembre 1973, n. 655; sez. IV, 23 ottobre 1973, n. 850; sez. IV, 4 dicembre 1973, n. 1187). 
(36) Si trattava della pretesa di un Avvocato dello Stato comandato presso la Regione Friuli-Venezia 
Giulia a vedersi riconosciuto il medesimo trattamento economico gi� goduto presso l�Avvocatura 
generale dello Stato (il Consiglio di Stato con la decisione della Sezione VI del 2 maggio 1972, n. 501, 
riconobbe la spettanza della quota di riparto degli onorari nella misura pari a quella annuale che aveva 
effettivamente conseguito argomentando che le c.d. propine fanno parte del trattamento economico costituendo 
indennit� fissa e continuativa in forza delle disposizioni vigenti applicabili all�Amministrazione 
di provenienza).
DOTTRINA 307 
questione della sindacabilit� degli atti di controllo della Corte dei conti a quelli 
sulla gestione di carattere collaborativo introdotti dalla legge 14 gennaio 1994, 
n. 20. 
Anticipando sinteticamente le conclusioni che saranno rassegnate, giova 
rilevare sin d�ora che, in linea con le pi� recenti decisioni della Corte costituzionale 
(37), non si pu� non riconoscere l�eterogeneit� tra l�attivit� gestoria 
complessivamente assoggettata a controllo magistratuale e neutrale della Corte 
dei conti (unitamente a quella, ad esso conseguenziale, di indirizzo politico e 
solo mediatamente amministrativa che �, in ogni caso, meramente eventuale) 
e quest�ultima. Di qui l�estensione delle considerazioni finora ampiamente 
condivise per l�attivit� di controllo preventivo su atti a quello successivo sulla 
gestione, che, peraltro, si connota di un�autonomia pi� ampia rispetto al primo 
non costituendo pi� l�esito di una fase endoprocedimentale (c.d. integrativa 
dell�efficacia) del procedimento teso all�adozione di un provvedimento finale 
controllato, bens� un mero atto di indirizzo diretto alle Assemblee elettive nazionali 
e regionali titolari del potere legislativo e di indirizzo politico a tutela 
dell�unit� economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica 
allargata. 
A suffragio di questa ricostruzione giova ricordare che, Aldo Maria Sandulli, 
nella fase storica in cui erano allo studio varie ipotesi di riforma dei tradizionali 
controlli preventivi di legittimit�, aveva acutamente segnalato che le 
garanzie di neutralit� ed indipendenza gi� riconosciute dalla giurisprudenza 
costituzionale e della Corte regolatrice in favore del controllo preventivo della 
Corte dei conti, avrebbero dovuto continuare a caratterizzare le nuove forme 
di controllo sulla gestione ispirate alla verifica dell�efficienza, dell�efficacia e 
dell�economicit� dell�azione amministrativa (38). 
L�opzione ermeneutica si profila in linea con il pensiero dei Padri costituenti 
(39) che hanno inteso garantire le funzioni di controllo della Corte non 
attraverso una statica cristallizzazione dell�esistente, bens� in senso dinamico 
sottolineando la strumentalit� delle funzioni di controllo sulle gestioni pubbliche 
(al tempo essenzialmente riferite a quella dello Stato e degli enti sovvenzionati) 
e di quello preventivo su atti (nel testo finale proposto da Mortati 
si prefer� adottare il termine �di legittimit�� in luogo di quello �di legalit�� 
(37) C. cost., 6 luglio 2006, n. 267 e 7 giugno 2007, n. 179. 
(38) A.M. SANDULLI, La Corte dei conti nella prospettiva costituzionale, in AA.VV, La Corte dei 
conti strumento di attuazione della Costituzione nella materia della finanza pubblica, Atti del convegno 
�Corte dei conti e finanza pubblica�, Napoli-Salerno, 19-21 gennaio 1979, Napoli, ESI, 1979, 46 e 
334-336. 
(39) In proposito si rinvia ai pi� volte richiamati interventi di Mortati, Einaudi e Perassi in sede 
di discussione del testo dell�art. 100 Cost. nella seconda Sottocommissione della Commissione per la 
Costituzione (dibattito del 27 gennaio 1947) e alla relazione del 6 febbraio 1947 di presentazione del 
progetto di Costituzione del Presidente Ruini.
308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
presente nell�originaria proposta di Bozzi senza tuttavia voler mettere in discussione 
il principio sostanziale che tale tipologia di controllo ҏ una delle 
garanzie fondamentali dello Stato di diritto: con esso infatti si esercita un giudizio 
sulla conformit� o meno dell�atto del Governo alla legge�) all�esercizio 
dei poteri Parlamentari di indirizzo politico e legislativo. 
Appare, pertanto, ragionevole e logico che, con la riforma in senso autonomistico 
della Repubblica, essendo stati sostituiti i controlli statali con quelli 
di un�Istituzione equidistante dai vari livelli di Governo (la Corte dei conti), 
nonch� quelli generalizzati di tipo preventivo su atti con quelli, del pari a carattere 
generale, sulla gestione in senso stretto (che vanno a complementare 
quelli - preesistenti - sulla gestione finanziaria), tali nuove forme di controllo 
devono godere delle medesime guarentigie costituzionali gi� riconosciute al 
proprio predecessore/dante causa. 
Con l�adeguamento del sistema dei controlli alla riforma costituzionale 
sull�assetto istituzionale della Repubblica e a quelle dell�organizzazione e 
dell�azione amministrativa si � inteso, difatti, migliorare la qualit� delle tecniche 
e delle modalit� di vigilanza su tutti gli Enti che compongono la Repubblica 
(o fanno comunque parte della c.d. finanza pubblica allargata) al fine di 
assicurare il sano e corretto utilizzo delle risorse pubbliche derivanti dal prelievo 
fiscale. 
Se, quindi, tali obiettivi sono stati perseguiti attraverso l�introduzione di 
una nuova, generalizzata e pi� efficace forma di controllo che ha sostituito 
quello preventivo di legittimit� su atti di tipo generalizzato, accusato di aver 
prodotto fenomeni di coamministrazione e/o rallentamenti nell�azione amministrativa, 
sarebbe estremamente contraddittorio non riconoscere all�erede/avente 
causa (il controllo sulla gestione) la medesima copertura costituzionale attribuita 
al de cuius/dante causa (il controllo preventivo di legittimit�), nonch� 
irragionevole non consentire al primo di attingere linfa vitale dalle disposizioni 
costituzionali di cui all�art. 100 Cost. nella qualit� di legittimo erede del proprio 
predecessore. 
Venendo ai passaggi logici a sostegno delle assunzioni che precedono, 
giova rilevare che la giurisprudenza ha escluso l�autonoma impugnabilit� degli 
atti di controllo sulla gestione della Corte dei conti che si traducano in relazioni 
o referti meramente informativi in quanto tale tipologia di atti sono connotati 
dall�assenza di lesivit� immediata essendo preordinati ex lege a stimolare meri 
processi di autocorrezione degli Enti controllati attraverso l�attivazione di poteri 
di indirizzo politico e regolazione delle Assemblee elettive destinatarie 
del referto di controllo (40). 
Oltre all�argomento di carattere generale, valevole in relazione ad ogni 
ipotesi di controllo della Corte dei conti, fondato sulla natura neutrale delle 
(40) TAR Lazio, sez. I, 3 aprile 1998, n. 1212, in Foro it., 1998, III, 396.
DOTTRINA 309 
funzioni esercitate �a garanzia obiettiva dell�ordinamento, al fine di assicurare 
in maniera disinteressata l�osservanza delle leggi e, dunque, in modo svincolat[
o] dall�indirizzo politico ed amministrativo del governo� (41), anche in 
considerazione della estraneit� della Corte all�apparato della pubblica amministrazione, 
con particolare riferimento all�attivit� di relazione/referto (da presentare 
al Parlamento) sulla gestione degli enti cui lo Stato contribuisce in via 
ordinaria (art. 100 Cost. e legge 12 marzo 1958, n. 259), la giurisprudenza 
amministrativa ha sottolineato il carattere inautonomo dell�atto di controllo 
(atto successivo alla gestione e destinato all�Assemblea elettiva) che assume 
natura collaborativa e, per definizione, non � idoneo a produrre effetti lesivi 
immediati e diretti sulle situazioni soggettive dei terzi che possono essere pregiudicati 
solo in via indiretta e mediata laddove il Parlamento e il Ministero 
vigilante adottassero eventuali misure correttive (42). 
Le menzionate argomentazioni valgono a maggior ragione anche per il 
controllo sulla gestione di tutte le Pubbliche amministrazioni introdotto dall�art. 
3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, che presenta analoga natura collaborativa 
referente. 
La Corte dei conti, difatti, dopo aver effettuato un giudizio di raffronto 
tra fattispecie e parametro normativo, non impone misure specifiche all�ente 
pubblico ma, segnalando disfunzioni e criticit� gestionali, indica, ove possibile, 
come eliminarle riportando l�attivit� amministrativa nei limiti della legalit� 
finanziaria e contabile (43). Anche quando si riferisce a regole di tipo 
economico, peraltro, la Corte applica, in ogni caso, le disposizioni di legge 
che alle medesime rinviano, riconoscendo loro uno specifico rilievo giuridico 
nell�ambito dell�ordinamento giuridico finanziario e contabile, assicurando 
l�unit� economica della Repubblica e il coordinamento della finanza pubblica 
allargata attraverso un giudizio ispirato a criteri univoci ed omogenei che la 
Corte, con la propria coordinata organizzazione, � idonea ad assicurare. Del 
resto, i magistrati della Corte sono, in quanto giudici, tenuti ad applicare solo 
(41) TAR Lazio, sez. I, 3 aprile 1998, n. 1212, cit. 
(42) �Il referto �, invero, atto non autonomo � in quanto interno ad un procedimento il cui 
atto conclusivo appartiene alla competenza di altro organo � nonch� atto privo di effetti diretti ed 
immediati poich� questi ultimi sono riconnessi all�esercizio del definitivo potere di valutazione rimesso, 
innanzitutto, al Parlamento, secondo l�espressa previsione dell�art. 100 Cost. e, poi, all�amministrazione 
vigilante ed al Ministero del Tesoro, ex lege 259/1958, in relazione alle attribuzioni 
amministrative riconosciute dall�ordinamento a detti dicasteri [�] � da escludere l�ammissibilit� 
di una impugnativa giurisdizionale del �referto� in questione, tenuto conto che esso non ha n� 
natura formale n� natura sostanziale di atto amministrativo � perch�, come gi� detto, proveniente 
da organo estraneo all�apparato amministrativo e perch� espressione concreta di una funzione neutrale 
� n� � dotato di autonomia nell�ambito del procedimento nel quale � inserito n�, infine, � idoneo 
a produrre effetti diretti ed immediati, essendo preordinato all�esercizio di diversi e separati poteri 
esercitati da altri e distinti organi dell�ordinamento� (TAR Lazio, sez. I, 3 aprile 1998, n. 1212, 
cit.). 
(43) C. cost., 7 giugno 2007, n. 179.
310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
la legge e le regole cui essa faccia rinvio positivizzandole o assegnando loro 
uno specifico rilievo giuridico: le eventuali regole economiche applicate, 
quindi, in omaggio al principio di legalit�, assumono rilievo esclusivamente 
nei limiti specificamente previsti dalla legge (44). 
(44) PAOLO SALVATORE ha autorevolmente segnalato l�intervenuto allargamento dei confini del 
principio di legalit� che �per evitare che venga svuotato del suo valore pregnante, va ridisegnato alla 
luce dell�evoluzione del�ordinamento nel suo complesso, che negli ultimi anni ha ricevuto particolari 
accelerazioni grazie a significativi contributi giurisprudenziali [�] La legalit� oggi non � pi� fotografabile 
mediante un semplice giudizio di conformit� al parametro costituito dalla norma, ma esprime, e 
sintetizza, un situazione di compatibilit� dell�agire che ha come termini di comparazione valori, principi, 
regole enucleabili da un ordinamento giuridico complesso, caratterizzato da una molteplicit� di fonti 
ed, altres�, coordinato e rapportato con altri ordinamenti� (P. SALVATORE, La legalit� nell�amministrazione, 
in Giurisd. amm., 2007, 97-101). Il principio di legalit�, quindi, �deve assumere contenuti e contorni 
nuovi liberandosi dalla gabbia della esercitazione logica di raffronto tra fattispecie e norma e 
penetrando invece nel nucleo essenziale dell�attivit� dell�Amministrazione per verificare la sostanziale 
correttezza ed adeguatezza nei confronti degli obiettivi affidati [�] La legalit�, si confronta, altres�, 
con altri procedimenti di produzione giuridica diversi dalla legge, tratti da scienze diverse dalla tradizionale 
esperienza giuridica. L�attivit� di regolazione del mercato, ai vari livelli, in cui ha modo di manifestarsi 
utilizza concetti e regole non solo estranee alla tradizionale esperienza giuridica, perch� tratta 
delle altre scienze se non addirittura da parametri storicamente propri ad un determinato assetto della 
societ� civile, ma necessariamente generiche e fluide, dovendo potenzialmente essere idonee a racchiudere 
in se stesse una realt� fenomenica in continuo movimento. Sul piano dell�altro termine del binomio, 
l�attivit� da valutare, � noto che la nuova Amministrazione per risultati tende a soppiantare sempre pi� 
l�Amministrazione tradizionale per atti e conseguentemente il metro di valutazione dell�operato dell�Amministrazione 
tende a spostarsi dalla legittimit� formale alla bont� sostanziale all�idoneit� cio� 
dell�attivit� a conseguire fini di utilit�. La verifica di tale attivit� da parte del Giudice non pu� non abbandonare 
la tipologia del giudizio di conformit� (tra norma ed atti) per privilegiare quella del giudizio 
di idoneit� ed adeguatezza, il che impone, come si � visto, il ricorso sempre pi� frequente e diffuso a 
criteri e principi generali dell�ordinamento nonch� a regole tecniche di fonte extralegale congruenti 
con gli interessi curati dalle singole Amministrazioni� (Id., I nuovi orizzonti del principio di legalit�, in 
Cons. St., 2005, II, 1619-1626). 
Anche Carlo Chiappinelli, riportandosi ai lavori di MARIO R. SPASIANO (Funzione amministrativa e legalit� 
di risultato, Torino, 2003), ha sottolineato che le regole economiche di efficienza, economicit� 
ed efficacia, costituendo parametri giuridici e non economici, integrano ed allargano il contenuto del 
principio di legalit� sostanziale (C. CHIAPPINELLI, Principio di legalit� ed amministrazioni pubbliche: 
profili evolutivi in tema di controllo, in Atti del LIII Convegno di studi di scienza dell�amministrazione 
�Il principio di legalit� nel diritto amministrativo che cambia� (Varenna, 20-22 settembre 2007), Milano, 
Giuffr�, 2008, 555 ss.). 
In tal modo, il giudizio relativo al rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicit� posti, tra 
l�altro, dall�art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, attua il buon andamento dell�azione amministrativa 
contemplato dall�art. 97 Cost. e, nell�ottica del coordinamento della finanza pubblica allargata, contribuisce 
alla tutela dell�unit� economica della Repubblica e della sana, legittima e regolare gestione dei 
bilanci pubblici. 
Del resto, l�applicazione delle regole economiche, nella misura in cui esse siano rilevanti per il diritto, 
� un fenomeno sempre pi� diffuso nelle aule giudiziarie sia civili, che penali ed amministrative (si pensi 
alle consulenze tecniche tese all�accertamento dei danni e alla stima dei medesimi in materia di responsabilit� 
civile, a talune nuove figure sintomatiche dell�eccesso di potere, ai giudizi in materia di responsabilit� 
per le gestioni di amministratori di societ�, all�identificazione del mercato rilevante in materia 
antitrust, etc.). 
Per l�inquadramento storico-evolutivo del principio di legalit� B. SORDI, Il principio di legalit� nel 
diritto amministrativo che cambia. La prospettiva storica, in Atti del LIII Convegno di studi di scienza
DOTTRINA 311 
A ci� si aggiunga che, come statuito di recente dalla Corte costituzionale, 
recependo le critiche mosse dalla dottrina pi� attenta (45) agli obiter dicta 
delle Sezioni unite (46), il controllo collaborativo deve differenziarsi dall�attivit� 
che eventualmente ad esso consegua che, peraltro, preme rilevare, non 
ha necessariamente carattere amministrativo (47), potendo concretarsi anche 
in atti di indirizzo politico o di regolazione. Del resto, non � privo di interesse 
mettere in risalto che l�attivit� di controllo preventivo (ritenuta pacificamente 
insindacabile) ha una pi� stretta afferenza con l�attivit� amministrativa controllata 
in quanto determina il blocco degli effetti del provvedimento nelle 
more del controllo, mentre la nuova tipologia di controllo collaborativo � ontologicamente 
eterogenea rispetto all�attivit� amministrativa che viene giudicata 
nella sua globabit� (la gestione) attraverso un raffronto tra fattispecie e 
dell�amministrazione �Il principio di legalit� nel diritto amministrativo che cambia� (Varenna, 20-22 
settembre 2007), Milano, Giuffr�, 2008, 33-60 e in Dir. amm., 2008, 1-28 e per quello dell�emersione 
dei c.d. poteri impliciti G. MORBIDELLI, Il principio di legalit� e i c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 
2007, 710 ss., nonch� in Atti del LIII Convegno di studi di scienza dell�amministrazione �Il principio 
di legalit� nel diritto amministrativo che cambia� (Varenna, 20-22 settembre 2007), Milano, Giuffr�, 
2008. 
Per un interessante studio di comparazione tra l�utilizzo interno e quello comunitario dei principi di efficienza, 
efficacia, economicit� e buon andamento E. BONELLI, Efficienza e sistema dei controlli tra 
Unione europea e ordinamento interno, Torino, Giappichelli, 2003. 
(45) G. D�AURIA (annotazione a Cass., sez. un., 10 giugno 1998, n. 5762), in Foro it., 1998, I, 
2078 e P. MADDALENA, Il controllo successivo sulla gestione esercitato dalla Corte dei conti nella giurisprudenza 
della Corte costituzionale, della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, in Cons. St., 
II, 523 ss. 
(46) Cass., sez. un., 10 giugno 1998, n. 5762. 
Le Sezioni unite, difatti, con un mero obiter irrilevante ai fini della decisione sulla questione di giurisdizione 
relativa alla fattispecie controversa (che afferiva esclusivamente all�atto preliminare di identificazione 
dell�ente da assoggettare al controllo sulla gestione e non agli eventuali e successivi atti di 
controllo), avevano ultroneamente affermato (confondendo, peraltro, la fase preliminare al controllo 
con quella di controllo e discostandosi anche dalla decisione, per esse vincolante, della Corte costituzionale 
che avevano in precedenza interessato - C. cost., 30 dicembre 1997, n. 470), che anche il controllo 
ex art. 3, comma 4 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, sarebbe compatibile �con la tutela giurisdizionale 
rispetto agli atti in cui si traduce [�] non [essendo] dubitabile che essa (sempre che �non vengano in 
rilievo � ragioni connesse alla natura del controllo quale funzione imparziale: Corte cost. n. 470 del 
1997, n. 5 del �Considerato in diritto�) si atteggi secondo le modalit� proprie di quella istituita con riguardo 
all�azione amministrativa alla cui efficienza, il controllo stesso � finalizzato: sicch� rispetto a 
quegli atti � ripetibile lo schema consueto dell�affidamento della tutela giurisdizionale all�autorit� giudiziaria 
ordinaria, quante volte, in presenza di atti posti in essere in carenza di potere, si faccia questione 
di un diritto civile o politico; e, invece, all�autorit� giudiziaria amministrativa, allorch� si faccia questione 
di cattivo uso di un potere effettivamente esistente�. 
L�affermazione si traduce in un postulato indimostrato apodittico e per certi versi contraddittorio in 
quanto omette di considerare che l�attivit� collaborativa svolta dalla Corte dei conti in sede di controllo 
sulla gestione, come riconosciuto dalla Corte costituzionale (C. cost., 7 giugno 2007, n. 179), non ha alcuna 
natura amministrativa atteso che Corte dei conti, Istituzione indipendente e neutrale rispetto all�ente 
controllato, non cura alcun interesse pubblico specifico ma effettua un giudizio teso ad assicurare il rispetto 
delle regole di diritto oggettivo costituenti l�ordinamento giuridico finanziario e contabile nazionale 
e comunitario. 
(47) C. cost., 7 giugno 2007, n. 167.
312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
parametro normativo. Il fatto che il controllo sia finalizzato all�adozione di 
misure correttive da parte delle Assemblee elettive (o degli organi di governo 
competenti) non implica alcun esercizio o compartecipazione allo svolgimento 
dell�eventuale attivit� (di natura non necessariamente amministrativa) 
succedanea al controllo della Corte (48). Opinando diversamente si tradirebbe 
la ratio storica della riforma dei controlli esterni che sono stati pensati e voluti 
proprio per accrescere il rispetto della libert� di azione degli enti controllati, 
specie laddove si tratti di Autonomie (49). Saranno, difatti, le Assemblee elettive 
nazionali, regionali e locali (ed i relativi organi di Governo) a scegliere 
se, in che misura e con quali modalit� conformarsi alle indicazioni della Corte 
dei conti e, in quest�ipotesi, saranno impugnabili le relative misure attuative 
autonomamente ed eventualmente adottate dagli enti pubblici controllati. 
Per il controllo collaborativo, quindi, valgono, a maggior ragione, le argomentazioni 
che hanno indotto la giurisprudenza civile ad amministrativa 
ad affermare l�insindacabilit� giurisdizionale degli atti di controllo della Corte 
dei conti per difetto assoluto di giurisdizione (50). 
Come � stato rilevato dalla Consulta, anche il controllo sulla gestione 
potrebbe ascriversi fra le attivit� tipiche di un organo terzo e neutrale costituzionalmente 
deputato ad espletare le funzioni di �garante imparziale dell�equilibrio 
economico-finanziario del settore pubblico� (51) per la 
salvaguardia di �interessi pubblici generali, costituzionalmente garantiti a 
tutela della Collettivit� e dell�ordinamento� (52). 
In sede di controllo sulla gestione, difatti, la Corte dei conti non esercita 
un�attivit� amministrativa bens� un potere neutrale e �disinteressato� ispirato 
al principio del contraddittorio e comunque di natura collaborativa. 
Non � chiaro, quindi, su quali basi si possano ritenere atti formalmente 
e sostanzialmente amministrativi le relazioni ed i referti di controllo sulla gestione 
della Corte dei conti, assoggettandoli a sindacato giurisdizionale. 
Nel senso dell�insindacabilit� militano una serie di argomentazioni che 
sono state, peraltro, utilizzate anche dalla Corte costituzionale occupandosi 
della legittimazione della Corte dei conti in sede di controllo preventivo di 
(48) C. cost., 7 giugno 2007, n. 179. 
(49) S. CASSESE, I moscerini e gli avvoltoi. Sistema dei controlli e riforma della Costituzione, in 
Atti del convegno �Sistema dei controlli e riforma della Costituzione�, Milano, 11-12 dicembre 1992, 
Roma, 1995, IPZS, 21-58. 
In proposito, altres�, Id., Le disfunzioni dei controlli amministrativi, in S. CASSESE (a cura di), I controlli 
nella Pubblica Amministrazione, Bologna, Il Mulino, 1993, 13-22. 
(50) L�impugnazione spiegata avverso il provvedimento di controllo della Corte dei conti va dichiarata 
inammissibile, salva la sindacabilit� dell�eventuale azione amministrativa successiva. 
(51) C. cost., 30 dicembre 1997, n. 470, in Cons. St., 1997, II, 2032. 
(52) P. MADDALENA, Il controllo successivo sulla gestione esercitato dalla Corte dei conti nella 
giurisprudenza della Corte costituzionale, della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, in Cons. 
St., 2002, II, 523.
DOTTRINA 313 
legittimit� a sollevare questione di legittimit� costituzionale ai sensi dell�art. 
1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (53). 
In primo luogo non � senza interesse rilevare che l�Istituzione che esercita 
il controllo sulla gestione � un collegio composto �di magistrati, dotati 
delle pi� ampie garanzie di indipendenza (art. 100, secondo comma, Cost.), 
che, analogamente ai magistrati dell�ordine giudiziario, si distinguono tra 
loro �solo per diversit� di funzioni� (art. 10 legge 21 marzo 1953, n. 161)� 
(54). La Consulta ha, difatti, ricordato che la Costituzione annovera la Corte 
dei conti �accanto alla magistratura ordinaria ed al Consiglio di Stato, tra 
le "supreme magistrature" (art. 135 Cost.)� in quanto � �istituzionalmente investita 
di funzioni giurisdizionali a norma dell'art. 103, secondo comma, 
Cost.�, essendo, peraltro, �l�unico organo di controllo che, nel nostro ordinamento, 
goda di una diretta garanzia in sede costituzionale� (55). 
In secondo luogo, giova evidenziare che in sede di controllo sulla gestione 
la Corte esercita le proprie funzioni di raffronto tra parametro e fattispecie 
nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, applicando, 
peraltro, le regole procedurali, storicamente riferite a quello preventivo di legittimit�, 
valevoli in generale per l�attivit� di controllo (56). La Corte costituzionale 
(pronunciatasi in relazione al procedimento di controllo preventivo) 
ha rinvenuto gli elementi formali e sostanziali riconducibili al contraddittorio 
nelle seguenti circostanze: 1) nel deferimento della pronuncia al collegio 
nell�ipotesi in cui il magistrato istruttore sia in dissenso con le valutazioni 
dell�amministrazione; 2) della possibilit� per l�amministrazione di partecipare 
alla seduta fissata per la discussione e di depositare memorie, osservazioni e 
controdeduzioni; 3) nella necessit� che la deliberazione sia corredata da sobria 
motivazione (57). 
I menzionati elementi indicati dalla Consulta ed affidati all�autorevole 
penna di Vezio Crisafulli, sono del pari presenti in relazione al controllo sulla 
gestione al quale si applica la medesima disciplina sui procedimenti di controllo 
dettata dal testo unico sulla Corte dei conti (58). La dottrina pi� autorevole 
ha, difatti, evidenziato che il principio del contraddittorio viene 
ampiamente rispettato anche nell�esercizio delle funzioni di controllo sulla 
(53) C. cost., 12 novembre 1976, n. 226, in Giur. cost., 1976, I, 1882, con nota di G. AMATO, Il 
Parlamento e le sue Corti, ivi, 1984-1990. 
(54) C. cost., 12 novembre 1976, n. 226 (punto 3). 
(55) C. cost., 12 novembre 1976, n. 226 (punto 3). 
(56) L�art. 3, comma 9, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, contempla un rinvio alle disposizioni 
sul controllo (�per l�esercizio delle funzioni di controllo, si applicano in quanto compatibili con le disposizioni 
della presente legge, le norme procedurali di cui al testo unico delle leggi sulla Corte dei 
conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni�). 
(57) C. cost., 12 novembre 1976, n. 226 (punto 3). 
(58) Art. 3, comma 9, l. 14 gennaio 1994, n. 20.
314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
gestione delle pubbliche amministrazioni (59): dopo la comunicazione all�amministrazione 
dell�inserimento nel programma di controllo sulla gestione 
(60), il magistrato relatore effettua l�istruttoria procedendo 
all�audizione dei rappresentanti dell�amministrazione e nell�ipotesi in cui 
le osservazioni pervenute non consentano di superare i profili di criticit� 
riscontrati, la decisione passa al collegio che, previa instaurazione di un�ulteriore 
fase di contraddittorio (comunicazione all�amministrazione della 
possibilit� di depositare memorie ed essere ascoltata nell�adunanza collegiale), 
giudica definitivamente udito il magistrato relatore che deve dare 
anche conto, nella stesura della decisione finale, della posizione e delle giustificazioni 
addotte dall�amministrazione (61). 
(59) A. CAROSI, Il metodo ed il procedimento nel controllo sulla gestione, in www.amcorteconti.it 
(Carosi, in linea con gli standards INTOSAI, propone di implementare linee-guida e manuali per il controllo 
sulla falsariga della Corte dei conti europea anche perch� il contraddittorio, �parte essenziale di 
quelle garanzie procedimentali del controllo affermate dalla giurisprudenza costituzionale� presenta 
una �stretta inerenza [�] non solo alla tutela del controllato, bens� al rafforzamento dell�impianto probatorio 
e, quindi, del referto costruito su di esso�, in quanto �la possibilit� per l�Amministrazione di addurre 
prove e valutazioni contrarie rispetto a quelle emergenti dalla fase istruttoria e dalla bozza di 
relazione sottoposta al collegio costituisce� anche �un dovere, gravante sul controllato in ossequio al 
principio normativo per cui va assicurata alle assemblee elettive ed alla collettivit� una informazione 
corretta e obiettiva�). 
In termini M. SCIASCIA, Il diritto delle gestioni pubbliche, Milano, 2007, 654-655 (�L�audizione�, che 
�consiste nell�ascoltare le ragioni degli esponenti di vertice delle amministrazioni controllate�, �deve 
necessariamente essere preceduta da un invito agli organi interessati, che contenga � oltre alla data dell�adunanza 
� gli estremi della gestione in esame, con allegata copia della regolazione pervenuta dall�ufficio 
di controllo, al fine di consentire alle amministrazioni invitate di poter controdedurre efficacemente 
in mancanza di un contraddittorio preliminare. Tali indicazioni sono funzionali rispetto alla comprensione 
dei motivi effettivi che hanno condotto le amministrazioni ad assumere determinati comportamenti [�] 
Dell�audizione viene redatto processo verbale che viene firmato da tutti gli intervenuti ed allegato agli 
atti del procedimento. A seguito della discussione � sempre che non occorra un supplemento istruttorio 
ad iniziativa diretta � la Sezione assume una deliberazione articolata, in cui sono esternate le osservazioni 
conclusive, positive e/o negative, sulla gestione esaminata�). 
(60) Con la comunicazione dell�inserimento nel programma di controllo (chiaramente limitata all�ipotesi 
di controllo sulla gestione in senso stretto) si apre il contraddittorio nei confronti dell�Ente controllato. 
Aldo Carosi ha, difatti, osservato che �se pu� essere consentita una metafora giurisdizionale, il 
programma di controllo contiene il petitum, inteso come ambito dell�attivit� controllata, e la causa petendi, 
ovverosia i motivi per cui il controllo esterno viene selezionato e delimitato in un pi� ampio ambito 
gestionale� (A. CAROSI, Il metodo ed il procedimento nel controllo sulla gestione cit.). 
Le Sezioni riunite, in base agli art. 5 e 6 del regolamento di organizzazione del Consiglio di presidenza 
del 19 giugno 2008 (in G.U. del 2 luglio 2008, n. 153), definiscono, tenendo conto delle priorit� indicate 
dal Parlamento, il quadro di riferimento programmatico, anche pluriennale, delle indagini di finanza pubblica 
e dei controlli sulla gestione unitamente ai relativi indirizzi di coordinamento e criteri metodologici 
di massima, ponendo particolare attenzione al rispetto del contraddittorio con l�Amministrazione interessata. 
(61) Accanto alle previsioni generali sul controllo risultanti dal testo unico sulla Corte dei conti 
(applicabile giusto rinvio di cui all�art. 3, comma 9, della legge 14 gennaio 1994, n. 20), l�organizzazione 
afferente lo svolgimento delle funzioni di controllo � stata disciplinata dal regolamento delle Sezioni riunite 
del 14 giugno 2000 (pubblicato in G.U. del 6 luglio 2000, n. 156, e modificato con successive deliberazioni 
2/2003 e 1/2004, rispettivamente in G.U. del 16 luglio 2003, n. 163 e 3 gennaio 2005, n. 1).
DOTTRINA 315 
In terzo luogo, venendo alle regole applicate nel giudizio di controllo, 
non pu� essere negato il loro valore giuridicamente rilevante, con �esclusione 
di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine strettamente giuridico� 
(62). Sotto questo profilo, richiamando quanto osservato 
sull�evoluzione storica in senso sostanziale del principio di legalit�, non 
pu� essere sottaciuto che anche il controllo sulle gestioni pubbliche esercitato 
dalla Corte � �volto unicamente a garantire la legalit�� a �tutela del 
diritto oggettivo� (63) ispirandosi a regole di diritto positivo. 
La tutela dell�unit� economica della Repubblica, il coordinamento della 
finanza pubblica allargata, gli equilibri dei bilanci di tutti gli enti partecipanti 
al conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni (strumento 
rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilit� e 
crescita comunitario), il rispetto del divieto costituzionale di indebitamento 
per spese di parte corrente (c.d. golden rule) e dei parametri imposti dalle 
leggi finanziarie in materia di patto di stabilit� interno, nonch� quello dei 
principi di efficienza, efficacia ed economicit� di cui all�art. 1 della legge 
7 agosto 1990, n. 241 (di attuazione di quello di buon andamento contemplato 
dall�art. 97 Cost.), costituiscono obiettivi di diritto positivo posti da 
fonti specifiche a tutti i livelli di regolazione (comunitario, costituzionale 
e nazionale). 
Al perseguimento di tali finalit� � preordinato il controllo neutrale e 
disinteressato della Corte dei conti che si caratterizza, attraverso la predeterminazione 
dei criteri e dei parametri rilevanti applicabili che sono stati 
adeguati alle recenti riforme dell�apparato istituzionale della Repubblica 
(modifica del Titolo V della Costituzione) e a quelle dell�organizzazione 
amministrativa, quale controllo multilivello omogeneo e coordinato di natura 
imparziale, neutrale e �disinteressato�. 
Con l�art. 3, comma 62, l. 24 dicembre 2007, n. 244, tale potere regolamentare (esercitato per la prima 
volta con delibera del 19 giugno 2008, in G.U. del 2 luglio 2008, n. 153) � transitato dalle Sezioni riunite 
al Consiglio di presidenza che delibera su proposta del Presidente. 
L�analisi delle delibere di controllo della Corte dei conti dimostra che il principio del contraddittorio viene 
tenuto in altissima considerazione, concedendosi agli Enti controllati uno spazio di difesa ed ascolto di 
gran lunga pi� ampio di quello riservato all�Amministrazione nelle procedure di controllo preventivo di 
legittimit� al tempo della decisione della Consulta 12 novembre 1976, n. 226. Nelle relazione finale, difatti, 
non solo � sovente presente una diffusa parte specificamente dedicata alla descrizione delle osservazioni 
istruttorie e alle difese proposte nelle memorie e nel corso dell�audizione in adunanza, ma la 
Sezione di controllo le richiama anche nei vari passaggi della relazione medesima [in proposito, inter 
plures, Sez. contr. Stato, 13 novembre 2006, n. 15/2006/G (pag. 72-82); 11 dicembre 2008, 25/2008/G 
(pag. 37-46); 9 giugno 2008, n. 11/2008/G (pag. 39-43); 20 dicembre 2007, n. 21/2007/G (23-27); 29 
maggio 2007, n. 12/2007/G (pag. 51-55)]. 
Del resto, l�esistenza del contraddittorio nelle procedure di controllo sulla gestione � stato oramai positivamente 
riconosciuto anche nella legislazione pi� recente (art. 11, comma 2, l. 4 marzo 2009, n. 15). 
(62) C. cost., 12 novembre 1976, n. 226 (punto 3.). 
(63) C. cost., 12 novembre 1976, n. 226 (punto 3.).
316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
L�attivit� di giudizio svolta �, pertanto, tesa ad assicurare il rispetto delle 
regole oggettive dell�ordinamento giuridico, anche contabile e finanziario (64), 
prescindendo dalla cura specifica di interessi pubblici settoriali (ed in ci� si 
concretizza, tra l�altro, il criterio discretivo rispetto all�attivit� amministrativa, 
anche di controllo, che viene esercitata senza le garanzie che fornisce il giudice 
contabile (65)). 
Le argomentazioni sinora esposte attestano come sia criticabile, anche 
perch� in contrasto con la giurisprudenza costituzionale pi� recente (66), ritenere 
sindacabili in sede giurisdizionale le relazioni di controllo sulla gestione 
della Corte dei conti sull�erroneo assunto della natura amministrativa delle 
medesime (67) che � stata, per converso, recisamente negata dalla Consulta 
(64) I magistrati della Corte, in quanto giudici, applicano sempre e comunque le regole dell�ordinamento 
giuridico. Eventuali �regole economiche�, come gi� segnalato, possono avere la rilevanza assegnata 
alle medesime dai principi giuridici e dalle norme specifiche relative al controllo sulla gestione. 
(65) Di qui la neutralit� ed indipendenza del giudizio di controllo che, come rilevato la Corte costituzionale 
pronunciandosi in relazione al controllo preventivo di legittimit�, si differenzia �nettamente 
dai controlli c.d. amministrativi, svolgentisi nell�interno della pubblica amministrazione; ed � altres� diverso 
anche da altri controlli, che pur presentano le caratteristiche da ultimo rilevate, in ragione della 
natura e della posizione dell�organo cui � affidato� (C. cost., 12 novembre 1976, n. 226 (punto 3). 
(66) C. cost., 7 giugno 2007, n. 179. 
(67) L�argomento, pur frequentemente addotto a sostegno della sindacabilit�, che si fonda sulla 
circostanza che la Corte costituzionale in una non pi� recente decisione (C. cost., 12 luglio 1995, n. 335) 
aveva escluso che la Corte dei conti, in sede di controllo sulla gestione, potesse sollevare questioni di legittimit� 
costituzionale, � stato oramai superato dalla Consulta medesima (che, nella decisione 7 giugno 
2007, n. 179, ha sancito che le funzioni di controllo sulla gestione non possono essere ricondotte all�area 
del potere amministrativo) e dalla morfologia strutturale e operativa di tale tipologia di controllo neutrale 
e disinteressato (che, come si � detto, � finalizzato al rispetto dell�ordinamento oggettivo, nel quale rientra 
anche la c.d. legalit� finanziario-contabile, e largamente ispirato, quanto alle procedure seguite, al principio 
del contraddittorio). 
Il richiamato argomento si presenta, peraltro, erroneo ed inconferente. 
Non vi �, difatti, alcuna corrispondenza biunivoca tra insindacabilit� giurisdizionale e potere di sollevare 
questioni di legittimit� costituzionale. 
Se � vero che il riconoscimento da parte della Corte costituzionale della qualit� a quo determina conseguenzialmente, 
sul piano della impugnabilit� delle decisioni emesse, l�insindacabilit� da parte del giudice 
amministrativo non venendo in considerazione atti formalmente e sostanzialmente amministrativi, non � 
altrettanto corretto ritenere che, esclusa la qualit� di giudice a quo, non si possa ricollegare l�insindacabilit� 
ad altre giustificazioni quali quelle connesse alla posizione costituzionale dell�Autorit� ed ai caratteri 
neutrali e disinteressati delle funzioni esercitate che determinano, del pari, l�inesistenza di atti formalmente 
e sostanzialmente amministrativi. 
Appare, quindi, erroneo il ragionamento che, per inferire la sindacabilit� giurisdizionale dei relativi atti, 
fa discendere dall�assenza di qualit� di giudice a quo la necessaria riconducibilit� delle funzioni all�area 
dell�amministrazione (in omaggio alla c.d. teoria della residualit� per la quale tutto ci� che non � espressione 
del potere legislativo o giurisdizionale avrebbe natura amministrativa), atteso che, come accade per 
la Corte dei conti, l�insindacabilit� per difetto assoluto di giurisdizione, come riconosciuto in pi� occasioni 
dalle Sezioni unite e della Corte costituzionale, si fonda sulla neutralit� ed il �disinteresse� delle funzioni 
di controllo esercitate. 
Ritornando alla decisione 335/95, giova mettere in risalto che quest�ultima, richiamando quella del 27 
gennaio 1995, n. 29, costituisce una pronuncia fortemente condizionata dall�assenza di conoscenze effettive 
e reali in merito al funzionamento e all�ontologia del nuovo controllo sulla gestione, al tempo in-
DOTTRINA 317 
con la decisione del 7 giugno 2007, n. 179. Gli atti in cui s�invera l�esercizio 
delle funzioni di controllo neutrale della Corte, difatti, avendo natura collaborativa, 
conformemente alla ratio storica della riforma dei controlli, tesa ad 
eliminare ogni rischio di compartecipazione del controllore nell�attivit� del 
controllato (68), non condividono, contrariamente ai c.d. controlli amministrativi, 
l�esercizio del potere amministrativo e, pertanto, non possono essere 
accomunati al medesimo regime giuridico, ivi comprese le impugnative giurisdizionali, 
degli atti amministrativi �di adeguamento� con cui si curano pur 
sempre specifici interessi pubblici. 
trodotto da appena un anno (legge 14 gennaio 1994, n. 20). Per tale ragione devono ritenersi oramai superate 
dalla legislazione successiva e dalle procedure e dalle tecniche di controllo da lungo tempo utilizzate 
dalla Corte dei conti le argomentazioni ostative presenti nella decisione 335/95 fondante 
essenzialmente sulla ritenuta assenza sia di �elementi formali e sostanziali riconducibili alla figura del 
contraddittorio� (sul punto la decisione si presenta anche in contrasto con la precedente pronuncia del 12 
novembre 1976, n. 226, atteso che sussistono nel controllo sulla gestione i medesimi elementi che avevano 
determinato il giudizio positivo sul controllo preventivo di legittimit�), sia di ogni giuridicit� delle valutazioni 
afferenti il rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicit�. 
Un giudizio ispirato da specifici obiettivi di diritto positivo sanciti a livello comunitario e nazionale [tutela 
dell�unit� economica della Repubblica, coordinamento della finanza pubblica allargata, equilibri dei bilanci 
di tutti gli enti partecipanti al conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni (parametro 
rilevante ai fini del rispetto del patto di stabilit� e crescita comunitario), rispetto del divieto 
costituzionale di indebitamento per spese di parte corrente (c.d. golden rule), e dei parametri imposti 
dalle leggi finanziarie in materia di patto di stabilit� interno, nonch� quello dei principi di efficienza, efficacia 
ed economicit� di cui all�art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (di attuazione di quello di buon 
andamento contemplato dall�art. 97 Cost.)] e teso ad assicurare e garantire il rispetto dell�ordinamento 
giuridico, anche contabile e finanziario, quindi la tutela del diritto obiettivo, non pu� essere bollato, in 
assenza di riscontri effettivi su una precisa realt� operativa da valutare (inesistente al tempo della decisione 
29/95), come controllo �empirico ispirato, pi� che a precisi parametri normativi, a canoni di comune 
esperienza che trovano la loro razionalizzazione nelle conoscenze tecnico-scientifiche proprie delle vari 
discipline utilizzabili ai fini della valutazione dei risultati dell�azione amministrativa�, anche in considerazione 
della gi� menzionata evoluzione sostanziale del principio di legalit�. Si aggiunga peraltro che, 
anche laddove la valutazione dei risultati intervenisse attraverso l�utilizzo di tecniche e scienze non strettamente 
giuridiche, tale caratteristica non pu� non connotare il giudizio finale che afferisce, per converso, 
all�intervenuta violazione dei principi giuridici di efficienza, efficacia, economicit�, buon andamento, 
sana e legittima gestione, costituente il cuore del controllo sulla gestione, cui consegue, secondo l�unanimemente 
condivisa teoria generale del controllo fortiana e gianniniana, l�adozione di puntuali �misure� 
giuridiche (c.d. momento comminatorio del controllo che nel concreto, avendo carattere collaborativo, si 
dirige agli organi di indirizzo politico), ossia specifiche conseguenze regolate e previste pur sempre dall�ordinamento 
giuridico. 
In questo quadro si segnala la recente ordinanza di rimessione della C. conti, sez. contr. Lombardia, ord. 
1� giugno 2009, n. 125, originata proprio in un giudizio di controllo teso all�applicazione degli specifici 
parametri giudici del patto di stabilit� interno (art. 1, commi 681 e 683, l. 27 dicembre 2006, n. 296 � finanziaria 
2007) della cui costituzionalit� si � dubitato. 
(68) S. CASSESE, I moscerini e gli avvoltoi. Sistema dei controlli e riforma della Costituzione, in 
Atti del convegno �Sistema dei controlli e riforma della Costituzione�, Milano, 11-12 dicembre 1992, 
Roma, 1995, IPZS, 21-58. 
In proposito, altres�, Id., Le disfunzioni dei controlli amministrativi, in S. CASSESE (a cura di), I controlli 
nella Pubblica Amministrazione, Bologna, Il Mulino, 1993, 13-22, ove si sono denunciati i rischi connessi 
alle patologiche �negoziazioni� collegate all�esercizio del controllo preventivo di legittimit� che avrebbero 
determinato quello del potere amministrativo per �accordi� tra controllato e controllante.
318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Osservando che �i costituenti non accettarono l�idea che i controlli sono 
parte della funzione amministrativa� (69) e deplorando le storture patologiche 
cui aveva dato luogo il controllo preventivo di legittimit� (70), Sabino 
Cassese, che sar� poi il padre della riforma dei controlli (legge 14 gennaio 
1994, n. 20) largamente ispirata alle idee gianniniane, aveva, difatti, auspicato 
una profonda rivisitazione della materia tesa all�introduzione di tipologie 
di controllo successivo sulla gestione di matrice anglosassone per 
evitare il rischio che il controllante possa influenzare il controllato al punto 
da assumere la veste di �codecisore�(71). 
Alterare tali chiare e precise coordinate di sistema, assegnando alle 
funzioni di controllo sulla gestione della Corte dei conti natura amministrativa, 
significa tradire e sovvertire le idee che sono alla base della riforma 
in senso costituzionale dei controlli che ha introdotto quello successivo su 
tutte le gestioni pubbliche quale strumento specifico di verifica del rispetto 
del principio del buon andamento (art. 97 Cost.) e di quelli di efficienza, 
efficacia ed economicit� dell�azione amministrativa che costituiscono pur 
sempre attuazione del primo. 
6. La sindacabilit� degli atti preliminari all�esercizio del controllo magistratuale 
neutrale tesa alla verifica dell�inesistenza del potere: l�identificazione 
degli enti le cui gestioni vanno assoggettate a controllo e i confini 
di quest�ultimo 
Diversamente dagli atti di controllo della Corte dei conti, sono, per 
converso, sindacabili in sede giurisdizionale le determinazioni preliminari 
con cui si identifichino gli enti da assoggettare a controllo. 
Giova premettere che gli enti sovvenzionati controllati ex l. 21 marzo 
1958, n. 259, sono identificati, al fine di definire l�esistenza di un�effettiva 
contribuzione dello Stato, attraverso un d.P.R. su proposta del Presidente 
del Consiglio dei Ministri di concerto con il Ministero dell�economia e delle 
finanze ed quello competente (72), mentre quelli le cui gestioni vanno controllate 
ai sensi della legge 14 gennaio 1994, n. 20, sono individuati dalla 
Corte dei conti medesima in conformit� alle priorit� stabilite dalle Commissioni 
parlamentari (73). 
�, dunque, possibile che un ente possa dolersi dell�erronea ricomprensione 
tra i soggetti controllabili (74). 
(69) S. CASSESE, I moscerini e gli avvoltoi cit., 28. 
(70) S. CASSESE, I moscerini e gli avvoltoi cit., 34-35. 
(71) S. CASSESE, I moscerini e gli avvoltoi cit., 33. 
(72) Art. 3 l. 21 marzo 1958, n. 259. 
(73) Art. 1, 473� co., l. 27 dicembre 2006, n. 296, modificato dall�art. 3, 65� co., l. 24 dicembre 
2007, n. 244.
DOTTRINA 319 
Le Sezioni unite (75), in una controversia in cui l�A.C.I. aveva impugnato 
il decreto presidenziale con cui era stato sottoposto al controllo della 
Corte dei conti ex lege 259/1958, hanno chiarito che il predetto decreto di 
identificazione degli enti pubblici cui lo Stato contribuisce in via ordinaria 
costituisce, a prescindere dalla sua natura giuridica dichiarativa o ricognitiva, 
un �mero atto amministrativo, giurisdizionalmente impugnabile e sindacabile� 
che precede ed � strumentale all�esercizio delle funzioni neutrali 
di controllo della Corte dei conti che lo presuppongono e con esse non va 
confuso, anche ai fini dell�impugnativa giurisdizionale (�la emanazione del 
decreto anzidetto non � ancora attivit� di controllo della Corte dei conti�). 
Secondo le Sezioni unite, peraltro, la situazione soggettiva attivabile in sede 
giudiziale, nel concreto, non avrebbe avuto la consistenza di diritto soggettivo 
ma di mero interesse legittimo in quanto �la sfera di autonomia o di 
autarchia dell�ACI � commisurata e contrassegnata dal suo stato di soggezione 
al potere direttivo ed a quello di vigilanza, legislativamente e statutariamente 
affidati ai ministeri competenti. Non � quindi a parlare di un 
suo status libertatis, assimilabile a quello della persona fisica e quindi generatore 
di una serie di diritti soggettivi nei confronti della P.A.� (76). Peraltro, 
le Sezioni unite, anticipando considerazioni che sarebbero state 
applicate dalla giurisprudenza successiva, hanno precisato che, pur se la 
posizione dell�ente che sia assoggettato a forme penetranti di controllo a 
tutela del pubblico interesse ha, di regola, natura di interesse legittimo nei 
confronti dell�esercizio di questi poteri, � comunque necessario verificare 
�di volta in volta [�] se si tratti di pretesa riguardante un potere del tutto 
inesistente, nel senso di mancanza assoluta di una norma che autorizzi la 
P.A. a porre l�ente in una posizione di soggezione� (77). 
(74) Ci� � avvenuto in relazione alla delibera 43/1995 con cui la Corte dei conti ha sottoposto a 
controllo la gestione degli ordini e dei collegi professionali. La Corte costituzionale ha ritenuto legittimo 
attribuire alla Corte il potere di identificare i soggetti sottoposti a controllo (C. cost., 30 dicembre 1997, 
n. 470, in Foro. it., 1998, I, 1765, con nota di G. D�AURIA, Corte dei conti e controllo sulla gestione 
degli ordini professionali). In termini Cons. Stato, I, parere 388/1998. 
Sulla questione in dottrina F. BATTINI, Pu� un ente pubblico evitare il controllo della Corte dei conti?, 
in Giorn. dir. amm., 1995, 67-74. 
(75) Cass., sez. un., 28 aprile, 1964, n. 1016, in Foro it., 1964, I, 921 con nota di S. D�ALBERGO, 
in Foro amm., 1964, I, 1, 347, in Rass. avv. St., 1964, I, 472 con nota di G. ZAGARI, Osservazioni sul 
controllo della Corte dei conti sugli Enti pubblici, e in Giust. civ., 1964, I, 1336 ss., con commento di 
A.M. SANDULLI, In materia di giurisdizione nei confronti dei decreti di assoggettamento di enti pubblici 
al controllo della Corte dei conti e nei confronti degli atti di controllo della Corte, con cui il giurista 
napoletano riprende il discorso generale gi� impostato in Funzioni pubbliche neutrali e giurisdizione, 
in Riv. dir. proc., 1964, 200 ss. 
Sulla decisione anche C. ANELLI, Sulla sindacabilit� davanti al giudice amministrativo degli atti di controllo 
della Corte dei conti, in Foro amm., 1965, II, 72-89. 
(76) Cass., sez. un., 28 aprile, 1964, n. 1016. 
(77) Cass., sez. un., 28 aprile, 1964, n. 1016.
320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Con una decisione pi� recente (78), le Sezioni unite, innovando rispetto 
al passato, hanno chiarito che l�identificazione dei soggetti nei cui confronti 
sussiste la contribuzione statale (79) non costituisce un mero atto dichiarativo 
bens� costitutivo dovendo riconoscersi �che ogni ente pubblico, come persona 
giuridica, gode, nei confronti della P.A. sopraordinata, di una sfera giuridica 
che non pu� essere incisa dai pubblici poteri al di fuori dei casi e dei limiti 
previsti dalla legge [�] La qualit� di soggetto giuridico tanto pubblico che 
privato, conferisce un diritto al proprio status, e cio� all�esercizio dei poteri 
e delle facolt� consentite dalla legge e dallo statuto, con esclusione di ogni 
ingerenza estranea che non sia consentita dalla legge, per cui anche il superamento 
dei presupposti condizionanti il potere attribuito alla P.A. sovraordinata 
costituisce difetto di tale potere e non degrada quel diritto soggettivo� 
(80). Nel concreto, peraltro, la giurisdizione dell�A.G.O. era stata giustificata 
dall�inesistenza di una base normativa sulla quale fondare il menzionato potere 
di controllo. Di qui l�assenza di ogni degradazione del diritto soggettivo 
della SIAE a non essere assoggettata a vigilanza (81). 
Le menzionate decisioni delle Sezioni unite vengono erroneamente riportate 
alla tematica dell�impugnativa degli atti di controllo della Corte dei 
conti.
Va, infatti, segnalato che nel primo caso l�impugnativa del decreto di assoggettamento 
dell�ACI era stata spiegata nei confronti della Presidenza del 
Consiglio dei Ministri, mentre nella seconda ipotesi la controversia era stata 
originata da un atto di citazione della SIAE nei confronti della Presidenza del 
Consiglio dei Ministri e del Ministero del Tesoro proposta innanzi al Tribunale 
civile di Roma tesa all�accertamento dell�inesistenza dei presupposti di 
legge per l�assoggettamento dell�ente attore al controllo della Corte dei conti 
ex legge 259/1958. La Corte dei conti non era stata parte in causa in alcuno 
dei menzionati giudizi. Ci� conferma che in relazione a tali tipologie di controversie 
non viene in rilievo l�esercizio dei poteri neutrali della Corte dei 
conti ma solo atti ad essi prodromici e strumentali di natura amministrativa 
(a seconda delle ricostruzioni di tipo dichiarativo � come ha opinato la prima 
(78) Cass., sez. un., 9 agosto 1996, n. 7327, in Giust. civ., 1990, I, 3193 con nota di A TRIPALDI, 
In memoria del controllo della Corte dei conti sulla SIAE. 
(79) Operata ex lege dal Presidente della repubblica su proposta del Presidente del Consiglio di 
concerto con il Ministero dell�economia e delle finanze e quello competente, non dalla Corte dei conti. 
(80) Cass., sez. un., 9 agosto 1996, n. 7327, cit. 
(81) Hanno osservato le Sezioni unite che �non rientrano nell�ambito dell�esercizio del potere 
(sottoposto al controllo di legittimit� della giustizia amministrativa) le condizioni di esistenza del potere 
stesso, i suoi limiti esterni ed i suoi presupposti; in primo luogo, in mancanza dell�esistenza di quell�atto 
che la legge prevede, non vi pu� essere esercizio del potere, perch� � in mancanza dell�atto � esiste soltanto 
una manifestazione di opinione o un�attivit� di indagine, ovvero addirittura un mero �fatto�, come 
tali insufficienti ad incidere sulla consistenza del diritto soggettivo� (Cass., sez. un., 9 agosto 1996, n. 
7327, cit.).
DOTTRINA 321 
delle due decisioni � o costitutivo � come ha ritenuto la seconda pronuncia). 
�, per converso, correttamente ascritta alla tematica del controllo della 
Corte dei conti, ma non a quella dell�impugnativa degli atti di controllo neutrale 
e �disinteressato� della medesima, la successiva decisione delle Sezioni 
unite (82) del 1998 che ha ad oggetto la determinazione preliminare (proveniente 
dalla Corte medesima) di identificazione dei soggetti da assoggettare 
a controllo sulla gestione di cui all�art. 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 
(83). La Cassazione, ribadendo le considerazioni gi� espresse in relazione 
agli atti preliminari adottati dalla Presidenza del Consiglio ai sensi della l. 21 
marzo 1958, n. 259, ha confermato la sindacabilit� degli atti preliminari al 
controllo sulla gestione con cui la Corte dei conti abbia individuato gli Enti 
pubblici da assoggettare a controllo. A fronte di questo potere preliminare, 
difatti, le Amministrazioni vantano un diritto soggettivo (status libertatis) attivabile, 
secondo le regole generali sul riparto di giurisdizione, innanzi 
all�A.G.O (84). Resta fermo, quindi, il principio dell�insindacabilit� degli atti 
in cui si estrinsechi l�esercizio del potere di controllo neutrale e �disinteressato� 
anche perch� le Sezioni unite erano obbligate al rispetto di quanto statuito 
dalla Corte costituzionale con la sentenza 30 dicembre 1997, n. 470 
(sollecitata proprio dalle medesime Sezioni unite in quel giudizio), secondo 
la quale il menzionato principio di insindacabilit� potrebbe trovare una deroga 
esclusivamente in relazione agli atti preliminari al controllo, ferma restando 
l�inammissibilit� di ogni azione giurisdizionale intentata nei confronti dei 
(successivi) atti con cui venga effettivamente esercitata la funzione di controllo 
(sulla gestione) (85). La Corte costituzionale, difatti, dando per presupposto 
e condiviso il principio dell�insindacabilit� degli atti di controllo 
neutrale della Giudice contabile, ha ribadito che resta sindacabile esclusivamente 
�la verifica delle condizioni e dei presupposti di esistenza del potere 
esercitato� in quanto in tale ipotesi �non vengono in rilievo le ragioni, connesse 
alla natura del controllo quale funzione imparziale, che [�] la giuri- 
(82) Cass., sez. un., 10 giugno 1998, n. 5762, in Foro it., 1998, I, 2078, con nota di G. D�AURIA. 
(83) Potere che � stato ritenuto costituzionalmente legittimo della Consulta (C. cost., 30 dicembre 
1997, n. 470). 
(84) Ribadendo il principio dell�insindabilit� degli atti di controllo in senso stretto, applicando il 
criterio generale del riparto fondato sulla causa petendi in relazione agli atti preliminari o strumentali 
al controllo, le Sezioni unite differenziano la questione della titolarit� e dei limiti del potere di controllo 
(al di l� dei quali, sussistendo una carenza di potere, verrebbe in rilievo la giurisdizione dell�A.G.O.) da 
quella afferente l�accertamento della legittimit� dello svolgimento del potere (laddove, prospettandosi 
una questione di cattivo uso di un potere strumentale e preliminare effettivamente esistente, si rientrerebbe 
nella giurisdizione del G.A.). 
(85) Cos� G. D�AURIA, Nota a Cass., sez. un., 10 giugno 1998, n. 5762 cit. (secondo il quale resterebbero, 
quindi, esclusi dal sindacato giurisdizionale i contenuti costituenti l�essenza del controllo in 
quanto estranei all�attivit� strictu sensu amministrativa e, quindi, privi di qualsiasi diretta incidenza lesiva), 
nonch� Id., I controlli, in A. SANDULLI (a cura di), Diritto amministrativo applicato, in Corso di 
diritto amministrativo diretto da S. CASSESE, Milano, Giuffr�, 2005, 264.
322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
sprudenza ha ritenuto idonee a giustificare la sottrazione degli atti al sindacato 
giurisdizionale� (86). 
Nel quadro del criterio generale di riparto prospettato si colloca la recente 
decisione del Consiglio di Stato intervenuta in materia di atti preliminari all�esercizio 
del potere di controllo su enti sovvenzionati (87). Il Consiglio, conformandosi 
alla richiamata giurisprudenza precisando che nella fattispecie 
sottoposta al proprio giudizio non veniva �in discussione il principio della insindacabilit� 
delle pronunce o determinazioni di controllo della Corte dei 
conti� che �si fonda su ragioni connesse alla natura del controllo quale funzione 
imparziale, estranea all�apparato della pubblica amministrazione� (88), 
(86) C. cost., 30 dicembre 1997, n. 470. 
(87) Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2008, n. 3053. 
Del pari, in linea con la giurisprudenza della Corte regolatrice, appare la decisione della medesima Sezione 
VI del 27 giugno 2001, n. 3530 (in Foro amm., 2001, 1657-1659 e in Cons. St., 2001, I, 1462) venendo 
in rilievo un atto di controllo della Corte dei conti adottato in carenza assoluta di potere (quindi 
lesivo di diritti soggettivi) ed impugnato nell�ambito di una controversia assoggettata alla giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo. 
Per le Sezioni unite, difatti, il principio dell�insindacabilit� dell�atto di controllo non pu� trovare applicazione 
in presenza di una carenza assoluta di potere di controllo in quanto l�inesistenza di quest�ultimo 
non pu� non determinare quella dell�atto di controllo che si svolgerebbe per le vie di fatto (�e) non rientrano 
nell�ambito dell�esercizio del potere (sottoposto al controllo di legittimit� della giustizia amministrativa) 
le condizioni di esistenza del potere stesso, i suoi limiti esterni ed i suoi presupposti essenziali; 
in primo luogo, in mancanza dell�esistenza di quell�atto che la legge prevede, non vi pu� essere esercizio 
del potere, perch� � in mancanza dell�atto � esiste soltanto una manifestazione di opinione o un�attivit� 
di indagine, ovvero addirittura un mero �fatto�, come tali insufficienti ad incidere sulla consistenza del 
diritto soggettivo di cui supra; f) non si vuol dire che vale sempre l�ipotesi reciproca, e che cio�, se l�atto 
� emanato, nei suoi confronti vi � solo l�interesse legittimo che pu� difendersi dinanzi al Giudice amministrativo. 
Pu� infatti aversi inesistenza del potere, anche in presenza di un atto emanato al di fuori 
dei casi tassativi per i quali il potere � conferito [�] h) neppure ha rilievo l�attivit� di controllo che la 
Corte dei conti ha attuato da vari anni: se essa � stata intesa in esecuzione del sistema del 1939, manca 
di base normativa (almeno dal 1958) e costituisce attivit� di fatto illecita (in quanto lesiva di un diritto); 
se � stata intesa in attuazione del solo art. 100 Cost., difetta del presupposto della legge che lo stesso 
art. 100 prevede come indefettibile presupposto del controllo; se � stata intesa in attuazione del l. n. 
259, manca il presupposto essenziale, nel quadro del funzionamento della legge, che non pu� prescindere 
dalla tutela della posizione dell�ente controllato (art. 3, 1� comma, secondo inciso), e cio� da uno strumento 
provvedimentale che funge da passaggio necessario fra la previsione astratta della norma e l�attuazione 
di essa. Il provvedimento, pure in tal caso, non pu� essere sostituito da un�attivit� di fatto o da 
un accertamento compiuto in sede diversa (e cio� nella sede stessa del controllo), perch� questo accertamento 
deve essere compiuto dall�organo governativo a cui la legge (prevista indefettibilmente all�art. 
100 Cost.) conferisce il potere di incisione sulla sfera giuridica degli enti. La suddetta lesione di fatto 
della sfera giuridica si presenta come lesione di una posizione di diritto soggettivo, la cui tutela � pertanto 
devoluta alla giurisdizione ordinaria� - Cass., sez. un., 9 agosto 1996, n. 7327). 
(88) �Non � qui in discussione il principio della insindacabilit� delle pronunce o determinazioni 
di controllo della Corte dei conti; tale principio si fonda su ragioni connesse alla natura del controllo 
quale funzione imparziale, estranea all�apparato della pubblica amministrazione (Cass. Civ., sez. un., 
10 giugno 1998, n. 5762). Tuttavia, tale regola non trova applicazione in relazione agli esiti della previa 
verifica delle condizioni e dei presupposti di esistenza del potere di controllo esercitato e, quindi, allorch� 
si ponga �la questione di interpretazione della norma vigente�, alla stregua della quale tale verifica 
deve essere condotta (Corte cost., 30 dicembre 1997, n. 470; richiamata anche da Cass. civ., sez. un.,
DOTTRINA 323 
ha ritenuto spettante alla Corte dei conti il potere di assoggettare a controllo, 
attraverso una specifica richiesta di trasmissione preliminare, a carattere generale, 
che investa un lungo arco temporale, ampie categorie di atti di enti determinati 
rientranti nel novero di quelli sovvenzionati ai sensi della legge 21 
marzo 1958, n. 259, purch�, tuttavia, tale atto preliminare al controllo sia suffragato 
da precise e concrete esigenze istruttorie debitamente esplicitate. Il 
Consiglio, quindi, ribadendo il principio dell�insindacabilit� degli atti di esercizio 
del potere di controllo (89), non ha dubitato della spettanza, in capo alla 
Corte dei conti, del potere preliminare al menzionato controllo (90), ma ne ha 
censurato le modalit� di esercizio, radicando, in tal modo, la propria giurisdizione, 
venendo in rilievo non una carenza, bens� un cattivo uso del potere �preliminare�, 
secondo le coordinate fissate dalle Sezioni unite (91). 
7. L�inimpugnabilit� dei pareri della Corte dei conti resi in sede consultiva 
In base all�art. 7, 8� co., l. 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. legge La Loggia), 
le Autonomie possono richiedere alle sezioni regionali di controllo della Corte 
dei conti pareri in materia di contabilit� pubblica (92). 
5762/98)�. Il �sindacato giurisdizionale� difatti ҏ escluso per i soli atti di effettivo esercizio del controllo 
caratterizzati dall�imparzialit�, e non anche per gli atti, preliminari all�esercizio del controllo, 
con cui si determina di assoggettare a controllo determinati enti o, come nel caso di specie, determinate 
categorie di atti adottati da un ente� (Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2008, n. 3053). 
(89) Il principio di insindacabilit� � stato ribadito e condiviso anche da Cass., sez. un., 25 maggio 
2001, n. 220; Cons. St., sez. IV, 12 marzo 1996, n. 303; Id., sez. IV, 20 maggio 1996, n. 636; Id., sez. 
IV, 23 novembre 2000, n. 6241; Id., sez. I, 25 luglio 2001, n. 553. 
(90) Secondo il Consiglio tale potere preliminare pu�, in linea astratta, essere strumentale sia alla 
relazione al Parlamento, che per la formulazione di rilievi (potere, quest�ultimo, costituzionalmente necessario 
� in proposito C. cost., 17 maggio 2001, n. 139, in Giur. cost., 2001, 1109, che ha annullato 
l�art. 3, comma 1, D.lgs. 30 luglio 1999, n. 286, con cui il potere di avanzare rilievi era stato soppresso). 
(91) Cass. civ., sez. un., 10 giugno 1998, n. 5762. 
(92) Sulla nuova competenza consultiva A. BALDANZA, L�attivit� consultiva: i pareri in materia 
di contabilit� pubblica, in V. TENORE, La nuova Corte dei conti: responsabilit�, pensioni, controlli, Milano, 
2008, 1067 ss.; E.F. SCHILTZER, La nuova funzione consultiva della Corte dei conti per regioni ed 
enti locali nella riduttiva lettura della sezione autonomie, in Foro amm./Cons. St., 2006, 1609; Id., Ancora 
sull�esercizio della funzione consultiva della Corte dei conti per regioni ed enti locali da parte 
della sezione, in Foro amm./Cons. St., 2006, 2652 (annotazione critica alla deliberazione della Sezione 
autonomie del 12 luglio 2006, n. 12/AUT/2005, con cui la sezione centrale si era giustapposta a quella 
regionale nella definizione del merito del quesito proposto dalla sezione di controllo della Liguria); S. 
SFRECOLA, Prospettive della funzione consultiva della Corte dei conti in materia di contabilit� pubblica 
nei confronti delle regioni e degli enti locali dopo la legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. �La Loggia�), 
in www.amcorteconti.it 
Giova ricordare che una funzione consultiva era gi� prevista dall�art. 13 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 
(t.u. C.d.c.). Per ampi riferimenti M. SCIASCIA, La funzione di controllo nell�ordinamento amministrativo 
italiano, Napoli, ESI, 1991, 68-69. 
Per un�analisi sistematica dei pareri consultivi delle sezioni regionali di controllo M.T. POLITO (a cura 
di), Rassegna dell�attivit� consultiva delle Sezioni regionali di controllo, Corte dei conti (Sezione delle 
Autonomie/Coordinamento sezioni regionali di controllo), Roma, 2008. 
324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
� dubbia la riconducibilit� di tali atti alla funzione di controllo in senso 
stretto in quanto qui la Corte, pur applicando nei limiti della compatibilit� la 
procedura relativa al controllo preventivo di legittimit� (93), esercita una funzione 
che pi� che al giudizio di confronto tra fattispecie e parametro (controllo) 
o all�attivit� di mera consulenza giuridica appare ascrivibile a quella consultiva 
(94), sia pure a carattere indipendente e magistratuale, tesa all�accertamento del 
diritto applicabile. La Sezione di controllo, difatti, rispondendo ad un quesito 
sottopostole dall�Amministrazione, si limita esclusivamente a offrire chiarimenti 
in ordine a criticit� ermeneutiche o applicative dell�ordinamento giuridico finanziario-
contabile, dichiarando, invece, inammissibili le richieste tendenziose 
delle Amministrazioni che non mirino ad ottenere un�interpretazione della legislazione 
contabile e finanziaria ma che sollecitino piuttosto una scelta della Corte 
circa l�attivit� gestionale da svolgere (95) o che siano tese ad �elidere o attenuare 
posizioni di responsabilit� su fatti gi� compiuti� (96). 
L�inimpugnabilit� autonoma dei pareri resi dalla Corte, in tale ipotesi potrebbe 
dipendere piuttosto che dall�esercizio di una funzione magistratuale neutrale, 
dall�impossibilit� di attribuire ai menzionati atti una portata 
immediatamente e concretamente lesiva (97). 
La Corte, difatti, non esercita una funzione amministrativa attiva, n� partecipa 
all�esercizio della funzione altrui, n� cura interessi pubblici, ma si limita 
(93) Corte conti, sez. autonomie, delibera del 27 aprile 2004 di adozione degli �Indirizzi e criteri 
generali per l�esercizio della funzione consultiva�, diramati con nota del Presidente della Corte del 20 
maggio 2004, n. 6204, pubblicati in Foro it., 2006, III, 29. Con tale atto di indirizzo sono stati dettati i 
criteri atti a garantire l�uniformit� di comportamento e, quindi, individuati i soggetti legittimati alla richiesta, 
l�ambito oggettivo della funzione consultiva, l�ufficio competente a rendere il parere, a seconda 
del carattere generale o locale dello stesso, il procedimento per l�esercizio della funzione e la tempistica. 
(94) Cos�, efficacemente, S. GALASSO, Funzione consultiva delle sezioni regionali del controllo 
della Corte dei conti, in www.contabilita-pubblica.it, il quale distingue la funzione consultiva da quelle 
giurisdizionali e di controllo gi� spettanti alla Corte dei conti, evidenziando che la prima, analogamente 
a quella svolta dal Consiglio di Stato, � finalizzata alla tutela dell�ordinamento in senso oggettivo, e non 
pu�, quindi, per definizione essere diretta a proteggere interessi di una parte, sia pure pubblica. La funzione 
consultiva, pur non essendo ascrivibile all�area del controllo, analogamente a quest�ultima sarebbe 
comunque finalizzata a stimolare l�autocorrezione dell�ente richiedente (c.d. funzione collaborativa). 
In generale, per la differenza tra attivit� di controllo e di consulenza, D. SORACE, Diritto delle amministrazioni 
pubbliche, Bologna, Il Mulino, 2007, 199-200. 
(95) In quest�ipotesi si determinerebbe un�inammissibile coamministrazione (C. conti, sez. contr. 
Piemonte, 24 luglio 2008, par. 21/2008; S. GALASSO, Funzione consultiva cit.) tanto avversata dagli ispiratori 
della riforma dei controlli (S. CASSESE, I moscerini e gli avvoltoi. Sistema dei controlli e riforma 
della Costituzione, in Atti del convegno �Sistema dei controlli e riforma della Costituzione�, Milano, 
11-12 dicembre 1992, Roma, 1995, IPZS, 21-58. 
In proposito, altres�, Id., Le disfunzioni dei controlli amministrativi, in S. CASSESE (a cura di), I controlli 
nella Pubblica Amministrazione, Bologna, Il Mulino, 1993, 13-22). 
(96) Corte conti, sez. autonomie, delibera del 27 aprile 2004 di adozione degli �Indirizzi e criteri 
generali per l�esercizio della funzione consultiva�, diramati con nota del Presidente della Corte del 20 
maggio 2004, n. 6204, pubblicati in Foro it., 2006, III, 29. 
(97) S. GALASSO, Funzione consultiva cit.
DOTTRINA 325 
ad offrire all�Amministrazione richiedente chiarimenti in ordine al quadro normativo 
applicabile alla fattispecie sottoposta al suo giudizio, restando in capo 
all�Amministrazione il potere di esercitare la funzione di indirizzo politico o 
quella amministrativa. 
La Corte dei conti, quindi, anche in quest�ipotesi, non adotta atti formalmente 
e sostanzialmente amministrativi (trattandosi di un�attivit� consultiva neutrale 
simile a quella esercitata dal Consiglio di Stato) che, per converso, saranno 
eventualmente posti in essere dall�Amministrazione. Solo questi ultimi saranno 
idonei a produrre effetti lesivi potendo, in tal modo, formare oggetto di sindacato 
giurisdizionale. 
Non � privo di interesse rilevare, difatti, che il parere della Corte che sia richiesto 
in relazione all�esercizio di un�attivit� di carattere amministrativo non � 
n� obbligatorio n� vincolante (la legge che disciplina il procedimento amministrativo 
relativo alla funzione amministrativa esercitata peraltro non lo contempla 
affatto), mentre � l�Ente locale che liberamente lo sollecita (e non possono essere 
escluse a priori richieste abusive e strumentali) e, senza vincoli di sorta, vi d� 
seguito nei modi e tempi dal medesimo prescelti nella massima libert�. 
8. L�inimpugnabilit� degli atti interlocutori o soprassessori adottati dall�autorit� 
di controllo 
� pacifica in giurisprudenza la non impugnabilit� degli atti con cui l�autorit� 
di controllo abbia sollecitato chiarimenti o documenti all�Amministrazione controllata 
(c.d. atti soprassessori) per la carenza di un interesse a ricorrere attuale 
e concreto in considerazione dell�assenza di una lesione immediata e diretta 
(98).
Laddove essi abbiano carattere di meri atti preliminari al controllo su enti 
sovvenzionati, � stato chiarito che la Corte dei conti non possa imporre, ai soggetti 
sottoposti a tale controllo, obblighi comunicativi amplissimi e generici 
aventi ad oggetto una serie indeterminata ed indistinta di atti di gestione senza 
alcun riferimento a precise e specifiche esigenze che, ad esempio, possono sussistere 
laddove essa �rilevi anomalie, disfunzioni, irregolarit� o anche la semplice 
opportunit� di approfondire determinati aspetti della gestione ed estendere 
il controllo ad altri atti� (99). La violazione di tale principio potrebbe deter- 
(98) Inter plures Cons. Stato, sez. V, 6 giugno 1990, n. 502, in Foro amm., 1990, 1465 (ҏ inammissibile 
l�impugnazione di atti interlocutori di un organo di controllo, tenuto conto della mancanza di 
oggettiva lesivit� degli stessi, e avuto riguardo alla circostanza che i destinatari di atti amministrativi 
con effetti loro favorevoli non sono titolari, finch� il controllo non sia stato eseguito e l�atto abbia acquisito 
definitiva esecutivit�, di alcuna posizione giuridica per cui non possono impugnare i provvedimenti 
interni alla procedura di controllo privi di ogni definitiva statuizione�). 
(99) Cons. Stato, 19 giugno 2008, n. 3053. 
In dottrina G. D�AURIA, I controlli, in A. SANDULLI (a cura di), Diritto amministrativo applicato cit., 
266.
326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
minare l�esperimento, accanto ai rimedi giurisdizionali ordinari, anche del ricorso 
per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, laddove sussistano i 
relativi presupposti. 
9. L�inimpugnabilit� delle relazioni dei servizi di controllo interno 
Per le medesime ragioni (inesistenza di una lesione attuale e concreta di 
una situazione soggettiva e finalizzazione allo stimolo di processi autocorrettivi) 
deve escludersi l�impugnabilit� delle relazioni predisposte dai servizi di 
controllo interno (100) che producono esclusivamente effetti limitati all�ordinamento 
interno dell�Amministrazione. 
Saranno, per converso, impugnabili le determinazioni finali autonomamente 
assunte dall�Amministrazione all�esito dell�eventuale processo autocorrettivo 
stimolato dal referto del servizio di controllo interno che funge solo 
da strumento conoscitivo di natura referente teso a fornire agli organi di vertice 
politico-amministrativo preziose informazioni in merito allo svolgimento 
dell�attivit� ed al funzionamento dell�organizzazione amministrativa. 
(100) Sui controlli interni in generale D. ACANFORA, Profili del controllo interno nella P.A., in 
Riv. C. conti, 1995, V, 189 ss.; I. BORRELLO, Il nuovo �sistema� dei controlli interni, in Giorn. dir. amm., 
2000, 1 ss.; L. CAVALLINI CADEDDU (a cura di), Controlli interni nelle pubbliche amministrazioni e decreto 
legislativo n. 286 del 1999, Torino, Giappichelli, 2002; G. COGLIANDRO, Elogio del controllo di 
gestione, in Riv. C. conti, 1993, III, 288 ss.; G. COGLIANDRO, Il controllo interno: problemi e (possibili) 
soluzioni, in Riv. trim. sc. amm., 3-4/1998, 203 ss.; G. COGLIANDRO, Controllo di gestione e controllo 
strategico: analogie e differenze, in Riv. C. conti, 2000, I, 215 ss.; G. D�AURIA (a cura di), Glossario 
dei controlli interni nelle pubbliche amministrazioni, in Riv. C. conti, 1/2009, 147-227, alla cui accuratissima 
bibliografia si rinvia; M.L. DE CARLI, L�attuazione dei servizi di controllo/nuclei di valutazione 
negli enti locali, in Riv. C. conti, 5/1998, 278 ss.; R. LOMBARDI, Contributo allo studio della funzione di 
controllo. Controlli interni ed attivit� amministrativa, Milano, Giuffr�, 2003; B. MANNA, Controlli di 
gestione e metodi di valutazione, in Riv. C. conti, 2001, I, 281 ss.; E.F. SCHLITZER (a cura di), Il sistema 
dei controlli interni nelle pubbliche amministrazioni, Milano, 2002; A. VILLA, Il controllo di gestione 
nella Pubblica Amministrazione, in Riv. C. conti, 2001, I, 310 ss.
DOTTRINA 327 
L� azione collettiva pubblica nel sistema di controllo 
dell�efficienza della Pubblica Amministrazione 
Rapporti con le azioni collettive private 
Adele Quattrone* 
L� azione collettiva pubblica disciplinata dal Decr. Leg.vo 198/2009 in 
attuazione dell�art. 4 della Legge Delega 15/99, si pone, in un� ottica di politica 
legislativa, come strumento di controllo dell� efficienza della pubblica amministrazione 
e, nell�ordinamento giuridico generale, come istituto innovativo 
del diritto sostanziale e degli strumenti di tutela giurisdizionale, avuto riguardo 
alla natura delle situazioni giuridiche riconosciute in capo al singolo ed alla 
correlativa predisposizione delle azioni a tutela. 
La portata innovativa dell�istituto si coglie sin dagli esordi del testo legislativo, 
nella �scelta� dei soggetti legittimati all�azione: l�art. 1, comma 1, 
del Decr. Leg.vo 198 riconosce, infatti, la titolarit� dell�azione collettiva pubblica 
�ai titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralit� 
di utenti e di consumatori� nei confronti di una P.A. o di un 
concessionario di pubblico servizio, in relazione ad �una lesione diretta, concreta 
ed attuale dei propri interessi� derivante da uno dei comportamenti tipizzati 
dalla norma e consistenti nella violazione di standard qualititativi ed 
economici o nella violazione di doveri di azione. 
La legittimazione ad agire riconosciuta in prima battuta al singolo � estesa 
(4� comma), al ricorrere dei medesimi presupposti, alle associazioni rappresentative 
della pluralit� dei consumatori ed utenti per la tutela degli interessi 
dei propri associati che si affermino lesi dalla P.A. o dal concessionario di pubblico 
servizio in conseguenza delle medesime condotte. 
La graduazione dei soggetti attivi dell�azione operata dall�art. 1 - singoli/
associazioni - mette in evidenza l�intenzione del legislatore di fare della 
legittimazione del singolo portatore dell�interesse diffuso (verosimilmente non 
a caso definito titolare, nonostante il diverso suggerimento dato dal Consiglio 
di Stato in sede consultiva, nel parere sullo schema del decreto legislativo reso 
in data 9 giugno 2009)(1), il nucleo centrale della nuova azione collettiva, 
(*) Avvocato dello Stato. 
La presente relazione � stata redatta dall�Autrice in occasione del convengo sul tema della �class 
action� tenutosi presso la sede del TAR di Reggio Calabria il 12 e 13 marzo u.s. 
(1) Nel prefato parere il Consiglio di Stato evidenzia come la situazione giuridica protetta con 
l�azione collettiva � quella pluralistica dell�interesse diffuso, la cui titolarit� spetta alla collettivit� di 
utenti e consumatori. Nei confronti del singolo componente della classe la situazione legittimante all�azione 
� data piuttosto dalla situazione di contatto, ovvero �dall�inerenza di tale interesse�.
328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
spostando il baricentro della tutela degli interessi superindividuali (collettivi 
e diffusi) dagli enti esponenziali ai singoli cittadini. 
Con riferimento ai soggetti dell�azione pu�, dunque, cogliersi la portata 
innovativa dell�azione collettiva pubblica rispetto alle forme tradizionali di 
tutela degli interessi collettivi e diffusi, elaborate per via giurisprudenziale (2), 
ovvero introdotte dal legislatore (si pensi alle norme che riconoscono alle associazioni 
rappresentative di interessi diffusi la legittimazione procedimentale 
- art. 9 L. 241/90, o processuale - art. 91 c.p.p. e L. 349/1986 istitutiva del Ministero 
dell�Ambiente), e rispetto - come si vedr� oltre - ai corrispondenti strumenti 
di tutela privatistica. 
Proprio mediante il superamento dell�impostazione tradizionale legata al 
paradigma individuale della tutela giurisdizionale amministrativa (ritagliato 
sull�art. 26 della legge sul Consiglio di Stato) e, sul piano della tutela degli 
interessi superindividuali, al binomio interesse collettivo - ente esponenziale, 
l�azione collettiva nei confronti della P.A. si pone nel sistema ordinamentale 
come strumento di partecipazione dei cittadini alla �cosa pubblica� intesa 
come amministrazione, riguardata non nel momento finale dell�adozione dell�atto 
o del singolo rapporto, ma, in forma anticipata, nel momento dell�organizzazione 
e della gestione complessiva della funzione e del servizio (3). 
In tale contesto, l�azione collettiva pubblica � destinata ad operare come 
strumento di stimolo che, attraverso il controllo diretto del cittadino sul processo 
di produzione del servizio pubblico (considerato nella duplice accezione 
di funzione e di servizio in senso proprio), persegue lo scopo di attivare nell�ambito 
dei pubblici poteri un circolo virtuoso che favorisca lo svolgimento 
efficiente del servizio: alla base della L. 15/2009 e dei Decr. Leg.vi attuativi 
nn. 150/2009 e 198/2009 pu� riconoscersi l� approdo ultimo di una nuova idea 
di Amministrazione pubblica, intesa come �servizio reso al cittadino�, dove il 
parametro di valutazione non � dato tanto dalla legittimit� dell�atto amministrativo, 
quanto dal criterio economico dell�efficienza, rispetto al quale il principio 
cardine del buon andamento rileva in termini di risultato (4). 
(2) Si fa riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato - Ad. Plen. n. 24 del 19 ottobre 1979, 
che, in occasione della nota vicenda dell�associazione ambientalista Italia Nostra, apr� la strada al riconoscimento 
programmatico della tutelabilit� in sede giurisdizionale degli interessi diffusi, attraverso 
l�affermazione della legittimazione processuale delle associazioni che, usando il bene ed assumendone 
per statuto la tutela, possano riconoscersi come centri di imputazione dell�interesse superindividuale 
che al bene si riconnette. La tutela giurisdizionale del c.d. interesse diffuso viene resa possibile attraverso 
un processo di collettivizzazione dell�interesse superindividuale, che da interesse diffuso, presente allo 
stato magmatico nella collettivit�, viene riqualificato in interesse collettivo, mediante la personalizzazione 
in capo ad un centro di aggregazione rappresentativo. 
(3) Cfr. ancora parere Consiglio di Stato citato. 
(4) Il passaggio dall�amministrazione per atti all�amministrazione di risultato � sottolineato dal 
Consiglio di Stato nel parere del 9 giugno 2009. In tale occasione il Consiglio di Stato ha pure avuto 
modo di sottolineare come la trasformazione della funzione della P.A. nel senso dell�implementazione
DOTTRINA 329 
In questo senso azione collettiva pubblica ed azioni collettive private confluiscono 
in un sistema di tutela unitario, che ha come oggetto l� interesse, particolarmente 
avvertito nelle democrazie economiche occidentali, all�efficienza 
del sistema di produzione di beni e servizi, riguardato nei due versanti pubblico 
e privato, differenziandosi i due strumenti di tutela per il fatto che, mentre 
nell�azione collettiva pubblica la funzione di stimolo opera in modo diretto, 
ancorch� compulsato da un interesse proprio del singolo che agisce giudizialmente, 
essendo la disfunzione dell�agire della P.A. l� oggetto diretto del giudizio 
e la misura ripristinatoria dell�efficienza il risultato precipuamente e 
direttamente perseguito, nelle azioni collettive private l� impulso ad una maggiore 
efficienza del sistema di imprese viene conseguito indirettamente, attraverso 
l�irrogazione di misure sanzionatorie (preventive-inibitorie o risarcitorie) 
che tendono principalmente al soddisfacimento di situazioni soggettive private 
(collettive o individuali omogenee), e che, per l�appunto indirettamente, grazie 
alla funzione generalpreventiva svolta dai sistemi sanzionatori, tentano di rimuovere 
quelle situazioni di squilibrio nel mercato (posizioni anticoncorrenziali, 
pratiche commerciali abusive) che, traducendosi in minore efficienza del 
sistema produttivo, costituiscono un costo per la collettivit�. 
Di qui anche il parallelismo che pu� riscontrarsi nel modus operandi delle 
due azioni. 
Legittimazione ed interesse ad agire. Le posizioni giuridiche tutelate 
La funzione di stimolo e di controllo di cui s� � detto � stata realizzata 
nell�azione collettiva pubblica attraverso la previsione di una legittimazione 
ad agire allargata. 
L� art. 1 Decr. Leg.vo 198/2009 attribuisce in prima battuta (comma 1) la 
titolarit� della c.d. class action pubblica ai titolari di interessi giuridicamente 
rilevanti ed omogenei per una pluralit� di utenti e di consumatori, ed in via 
accessoria (comma 4) alle associazioni rappresentative di consumatori ed 
utenti a tutela degli interessi dei propri rappresentati. 
Per comprendere perch� si parla di legittimazione ad agire allargata occorre 
affrontare il problema della definizione categoriale della situazione giuridica 
tutelata in capo al soggetto titolare dell�azione. 
La lettera della norma, in base alla quale la legittimazione ad agire � riconosciuta, 
innanzitutto, in capo ai titolari di interessi giuridicamente rilevanti 
ed omogenei per una pluralit� di utenti e consumatori in presenza di una lesione 
diretta concreta ed attuale dei propri interessi, derivante da taluna delle 
di parametri di efficienza ed efficacia sia il risultato di un complesso travaglio riformista che prende le 
mosse dalla L. 241/90 per arrivare alla Legge delega n. 15/2009 attraverso le leggi Bassanini, la riforma 
del Titolo V della Costituzione e la L. 112/2008.
330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
condotte tipizzate dalla norma, potrebbe far propendere per la tesi che si tratti 
di interessi individuali riferibili ad una pluralit� indeterminata di soggetti, in 
capo ai quali si ripetono in modo omogeneo; cio� di situazioni giuridiche individuali 
caratterizzate dalla serialit�. 
Secondo questa tesi l�azione collettiva pubblica non rappresenterebbe una 
novit� nell�ordinamento, trattandosi pur sempre della tutela di interessi individuali, 
secondo i casi concreti (la giurisdizione del G.A. � esclusiva) diritti 
soggettivi, mediati dall�esercizio di una funzione amministrativa, o interessi 
legittimi e quindi di normale legittimazione ad agire del titolare della posizione 
tutelata. 
La prospettiva cambia se si guarda all�oggetto dell�azione, consistente 
nella violazione dei termini o nella mancata emanazione di atti amministrativi 
generali obbligatori (non normativi), nella violazione di obblighi stabiliti nelle 
carte di servizi, nella violazione di standard di efficienza e qualit�. Si tratta, 
evidentemente, di comportamenti che si riferiscono a modelli di azione generale, 
incidenti su beni della vita non soltanto omogenei per una pluralit� di 
soggetti, ma, di pi�, attribuibili in modo indifferenziato ad una collettivit� indeterminata 
e quindi, in tal senso, riconducibili alla categoria degli interessi 
superindividuali (5). 
Si tratta dunque di un�azione data eccezionalmente al singolo per la tutela 
di un interesse non esclusivamente proprio, ma metaindividuale in quanto riferibile 
in modo non frazionabile alla classe, e che il singolo pu� far valere in 
concreto non uti singulus, ma in quanto componente di una collettivit� di utenti 
o consumatori in presenza di una lesione diretta, concreta ed attuale di un proprio 
non meglio qualificato interesse, in conseguenza dell�agire disfunzionale 
della P.A (6). 
La lesione concreta diretta ed attuale di tale interesse, che integra, sul 
piano delle condizioni dell�azione, l�interesse ad agire (art. 100 c.p.c.) concorre 
a definire la posizione legittimante del ricorrente, alla quale viene recuperato, 
per tale via, un certo grado di differenziazione e personalizzazione: il ricorrente 
agisce uti singulus e non semplicemente quisque de populo, per la tutela di un 
interesse riferibile alla �classe� di utenti o consumatori cui appartiene, attraverso 
la proposizione di un�azione nella quale il risultato, consistendo nel ri- 
(5) Di azione a tutela di interessi diffusi parla il Consiglio di Stato nel parere citato. Per la tesi 
della natura superindividuale delle situazioni giuridiche tutelate dalla norma, definite come interessi o 
diritti collettivi cfr. VELTRI, Class action pubblica: prime riflessioni, in rivista LexItalia.it. 
(6) La necessit� della lesione diretta concreta ed attuale di un interesse proprio del soggetto �, peraltro, 
l�elemento che discrimina l�azione collettiva dall�azione popolare, riconosciuta nei casi tassativamente 
determinati dalla legge al quisque de populo per la tutela dell�interesse pubblico generale. Per 
la distinzione, per�, fra azioni popolari sostitutive, in cui l�oggetto della tutela � effettivamente l� interesse 
pubblico generale, ed azioni popolari correttive, in cui il soggetto agisce anche a tutela di un proprio interesse 
leso, cfr. GALLI, Corso di Diritto Amministrativo, CEDAM, 1996.
DOTTRINA 331 
pristino diretto del corretto svolgimento della funzione o della corretta erogazione 
del servizio, ridonda (in caso di esito favorevole del ricorso) a vantaggio 
della collettivit� medesima; ma tanto il ricorrente collettivo pu� fare a condizione 
che la disfunzione dell�apparato amministrativo denunciata venga a 
�contatto�, con effetti pregiudizievoli, con la sua sfera di interesse (7). 
Col presupposto della lesione diretta, concreta ed attuale di un interesse 
proprio del soggetto sembra riproporsi nel contenuto della posizione legittimante 
il requisito della vicinitas, cio� dello stabile collegamento ambientale 
tra l�agente e la zona in cui � localizzabile il bene che si assume leso dall�azione 
amministrativa, che la giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva 
individuato come requisito qualificante della legittimazione ad agire per le associazioni 
di tutela degli interessi diffusi (8). 
Cos�, ad esempio, il ricorso per l�efficienza del sistema scolastico proposto 
dinanzi ad un Tribunale Amministrativo Regionale potr� avere ad oggetto 
solo disfunzioni che si siano verificate nel sistema scolastico dell�ambito locale 
in cui risiede il ricorrente e di cui il ricorrente afferma di fruire, mentre non 
sembra che l� incardinamento di un ricorso dinanzi ad un TAR locale potr� riguardare 
il sistema scolastico globalmente considerato, a prescindere cio� dalla 
configurabilit�, per l� appunto, di una lesione, diretta, concreta ed attuale dell�interesse 
del ricorrente. 
Tale limite sembra porsi anche per le associazioni dei consumatori e degli 
utenti in ipotesi operanti su base nazionale, atteso che l�azione � data, ai sensi 
del 4� comma dell�art. 1, al ricorrere degli stessi presupposti previsti per il ricorso 
del singolo. 
Ed infatti i due presupposti della legittimazione ad agire e dell� interesse 
ad agire confluiranno nel contenuto del ricorso, che dovr� quindi contenere 
l�affermazione del ricorrente di essere titolare dell�interesse plurimo ed omogeneo 
per una pluralit� di consumatori o di utenti, cio� l�affermazione dell�appartenenza 
del ricorrente ad una classe/categoria di consumatori o utenti; 
l�affermazione della lesione di un proprio interesse derivante dalla condotta 
disfunzionale della P.A. o del concessionario di un servizio pubblico. 
Tali deduzioni, che concorrono a definire evidentemente anche la causa 
petendi, saranno verosimilmente oggetto di una verifica preventiva di ammissibilit� 
del ricorso da parte del G.A., sicch� la mancanza della previsione 
(7) Nel senso che la posizione legittimante del singolo nell�azione di classe pubblica non � data 
tanto dalla �titolarit� diffusa�, quanto dall�inerenza della res collettiva, attualizzata dal �contatto� dell�agire 
disfunzionale pubblico con la sfera giuridica del singolo, cfr. Consiglio di Stato parere prefato. 
(8) Da Cons. di Stato, Ad. Plen. 19 ottobre 1979 n. 24 si � ritenuto necessario che la sfera di azione 
dell�ente sia strettamente connessa al territorio in cui si trova il bene a fruizione collettiva, al fine di radicare 
l�interesse in una situazione sociale spazialmente determinata, fornendo in tal modo un criterio 
di differenziazione idoneo a scorporare l�interesse concretamente tutelato dall�interesse pubblico generale. 

332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
espressa di un preventivo vaglio di ammissibilit� dell�azione collettiva pubblica 
rispetto alla class action privata sembra integrare una differenza pi� formale 
che sostanziale. 
Nell�azione collettiva privata la legittimazione ad agire � diversamente 
articolata, secondo che si tratti dell�azione inibitoria prevista e disciplinata 
dagli art. 139 e 140 del codice del consumo, o dell�azione collettiva risarcitoria 
prevista dall�art. 140 bis, come modificato dalla L. 99/2009 (9). 
L� inibitoria privata � data in via esclusiva alle associazioni dei consumatori 
ed utenti, normativamente qualificate, a tutela degli interessi collettivi dei 
loro rappresentati contro un comportamento abusivo o dannoso dell�impresa 
posto in essere nell�esercizio di pratiche commerciali, ovvero nell�ambito di 
rapporti contrattuali e non. La legittimazione dell�associazione ai sensi degli 
artt. 139 e 140 del codice del consumo � ritagliata sul paradigma tradizionale 
nel quale la tutela degli interessi collettivi � attribuita agli enti esponenziali 
della collettivit� cui si imputa in maniera indifferenziata l�interesse tutelato. 
La legittimazione delle associazioni � dunque ordinaria e non sostitutiva (art. 
81 c.p.c.), poich� l�associazione agendo ad esempio per il ritiro del prodotto 
difettoso o per il ritiro di clausole abusive da contratti di massa, o per inibire 
il reiterarsi di pratiche anticoncorrenziali, agisce a vantaggio della collettivit� 
di utenti e consumatori in s� considerata (10). 
L� azione collettiva risarcitoria, come la collettiva pubblica, si connota 
per la legittimazione ad agire allargata: l� azione ex art. 140 bis � riconosciuta 
per la tutela di un interesse individuale omogeneo al singolo appartenente alla 
classe, il quale pu� agire anche per il tramite di associazioni cui d� mandato 
o di comitati cui partecipa. Tuttavia, nella class action la posizione giuridica 
tutelata non � riferibile in maniera indifferenziata ad una collettivit� di soggetti, 
ma ha natura individuale e seriale, imputandosi a titolo individuale ad una pluralit� 
di soggetti in capo ai quali si struttura in modo omogeneo, attesa l� identit� 
del soggetto passivo del rapporto - stessa impresa, e l�identit� o omogeneit� 
della fonte costitutiva del diritto, costituita da un fatto produttivo di un interesse 
plurioffensivo. L� azione � data a tutela dei diritti contrattuali o extracontrattuali 
dei consumatori e utenti nei confronti di una impresa, ovvero di 
normali diritti relativi: si parla di diritti individuali isoformi, di situazioni giu- 
(9) La L. 99/2009 ha modificato il testo dell�art. 140 bis del codice del consumo introdotto dalla 
L. 244/2007, che riconosceva la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno alle associazioni 
rappresentative degli utenti e dei consumatori in via esclusiva, riconoscendo ai singoli solo la possibilit� 
di intervento. 
(10) Come osserva VELTRI, op. cit., la collettiva pubblica e l�inibitoria privata si somigliano per 
la natura della posizione giuridica tutelata, che � in entrambi i casi superindividuale; si distinguono per 
il fatto che nella collettiva pubblica la tutela giurisdizionale dell�interesse superindividuale � attribuita 
anche al singolo componente della collettivit� di consumatori o utenti incisa dalla disfunzione dell�apparato 
amministrativo, mentre l� inibitoria privata � strutturata sul binomio interesse superindividualeente 
esponenziale.
DOTTRINA 333 
ridiche soggettive che si ripetono in modo seriale in capo ad una pluralit� di 
soggetti a causa della omogeneit�/ identit� dell�evento lesivo (11). 
Nella azione collettiva risarcitoria la legittimazione ad agire allargata 
opera attraverso l�attribuzione al singolo componente della classe (representative 
plaintiff) del potere di agire in nome e per conto proprio ed anche in 
rappresentanza degli altri componenti della classe e si risolve nel cumulo soggettivo, 
ovvero nella confluenza in un unico processo e nella gestione da parte 
di un unico attore di una pluralit� di domande di soggetti diversi (accomunate 
dal titolo dedotto dall�attore di classe) nei confronti della stessa impresa (12). 
Sul piano processuale il risultato del cumulo � realizzato attraverso il meccanismo 
dell�adesione dei singoli consumatori o utenti all�azione promossa 
dall�attore di classe, opt in (13). 
L� adesione, strumento processuale nuovo, proprio dell�azione di classe 
risarcitoria, si differenzia nettamente dall�intervento, ancorch�, come l�intervento 
�serve� a realizzare la concentrazione di una pluralit� di azioni, connesse 
per il titolo o per l�oggetto, in un unico giudizio, per esigenze di economia 
processuale e di coerenza del sistema, evitando contrasti di giudicati. 
Innanzitutto, l�adesione all�azione di classe si esercita (art. 140 bis, 
comma 3) senza ministero di difensore: l� aderente non assume la qualit� di 
parte nel giudizio, nel quale � rappresentato dall�attore di classe. Ne consegue 
che le cause di interruzione (come morte o perdita della capacit� processuale) 
e di sospensione che colpiscono i singoli aderenti non producono effetto sul 
giudizio di classe; si realizza, inoltre, un evidente snellimento del giudizio, 
anche in senso economico, se si pensa che gli aderenti non saranno destinatari 
degli atti processuali, di parte e del giudice (con risparmio, fra le altre cose, 
delle spese e dell�alea delle notifiche). 
Coerente con tale sistema l�esclusione dell�ammissibilit� dell�intervento 
volontario, sia autonomo che adesivo dipendente, tenuto conto del rinvio generale 
fatto dal comma 10 dell�art. 140 bis all�art. 105 c.p.c. 
Al fine di rendere effettiva la possibilit� dell�adesione � previsto un sistema 
di pubblicit� dell�azione di classe le cui modalit� concrete sono rimesse al Tri- 
(11) Sulla natura degli interessi tutelati con la class action risarcitoria, nel senso che si tratta di 
diritti individuali omogenei o isoformi, cfr. REMO CAPONI, Il nuovo volto della class action, in Foro italiano 
novembre 2009; nello stesso senso cfr. GIULIO VELTRI, op. cit. 
(12) Nel senso che l�azione di classe si esaurisce nel cumulo e nella gestione congiunta delle 
azioni individuali degli aderenti ad opera di un componente della classe, cfr. REMO CAPONI, op. cit. 
(13) Per il sistema dell�opt in l�azione di classe italiana si distingue dalle class actions di origine 
statunitense. In queste l�estensione degli effetti della pronuncia giudiziale resa nel giudizio collettivo 
opera automaticamente in favore o contro l�intera classe, indipendentemente da una scelta volontaria 
degli appartenenti alla classe medesima. Questi, se vogliono sottrarsi al giudicato, debbono �chiamarsi 
fuori�, mediante il sistema dell�opt out. Sulla struttura ed il modello di funzionamento della class action 
nel diritto statunitense, cfr. PIETRO RESCIGNO, Sulla compatibilit� fra il modello processuale della class 
action ed i principi fondamentali dell�ordinamento giuridico italiano, in Giurisprudenza italiana, 2000.
334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
bunale che le stabilir� caso per caso. L� osservanza da parte dell�attore di classe 
delle forme di pubblicit� stabilite dal Tribunale con l� ordinanza che ammette 
l�azione � condizione di procedibilit� della domanda (art. 140 bis, comma 9). 
Ulteriore precipitato dell�esigenza di economicit� e concentrazione del 
giudizio � che l�adesione comporta la rinuncia alle azioni individuali risarcitorie 
o restitutorie fondate sul medesimo titolo dedotto nell�azione di classe; 
inoltre, decorsi i termini per l�adesione, non sono pi� proponibili azioni di classe 
fondate sul medesimo titolo, mentre quelle gi� proposte e pendenti debbono 
essere riunite obbligatoriamente secondo le regole processuali della litispendenza 
e connessione (comma 14). Sono tuttavia fatte salve le azioni individuali: 
in tal modo si realizza il bilanciamento fra il diritto costituzionale di difesa e 
l�esigenza di economia processuale sottesa all�azione di classe. 
Il fatto che l�aderente agisce nel processo per mezzo dell�attore collettivo 
implica che la sua domanda � condizionata dalle scelte processuali dell�attore 
di classe. Si pone quindi il problema dei rapporti fra il representative plaintiff 
e la massa di aderenti. 
In dottrina si � parlato dell�adesione come di un atto complesso, nel quale 
coesiste la duplice natura processuale e negoziale (14): l�adesione vale, cio�, 
al tempo stesso come atto di esercizio dell�azione e come mandato mediante il 
quale si conferisce al mandatario - attore di classe, il potere di compiere atti 
giuridici in nome e per conto dell�aderente-mandante (15). 
L� art. 140 bis non contiene una disciplina esaustiva del rapporto fra proponente 
e aderente (16). Le uniche regole positive riguardano gli effetti del giudicato 
e delle rinunce e transazioni intervenute fra le parti, le quali sono 
inopponibili agli aderenti che non vi abbiano espressamente consentito. Per il 
(14) Per la tesi della duplice natura dell�adesione, da un lato negoziale, assimilabile al mandato 
con rappresentanza, e dall�altro processuale, cfr. REMO CAPONI, op. cit. 
(15) Esclude che l�attore collettivo agisca in qualit� di sostituto processuale, quale soggetto che 
agisce in nome proprio per far valere un diritto altrui anche GIUSEPPE FINOCCHIARO, La nuova class action, 
Le regole processuali, in Guida al Diritto, gennaio 2010. 
(16) Per il contenuto dell�atto di citazione e dell�atto di adesione, cfr. GIUSEPPE FINOCCHIARO, op. 
cit. L� atto di citazione con cui viene introdotto il giudizio di classe deve contenere gli elementi previsti 
dall�art. 163 c.p.c.; in particolare, l�attore di classe dovr� dedurre e provare l�esistenza di un�azione di 
classe, ovvero l�esistenza di un diritto seriale nei confronti dell�impresa convenuta riconducibile ad una 
delle ipotesi previste dall�art. 140 bis; la titolarit� dell�azione, cio� la propria appartenenza alla classe e 
la propria capacit� di rappresentare gli interessi di questa. Tali elementi saranno oggetto, fra gli altri, 
del vaglio preliminare di ammissibilit� dell�azione da parte del Tribunale (art. 140 bis, comma 6). 
Come atto di esercizio dell�azione, l�atto di adesione deve contenere gli elementi dell�editio actionis 
previsti dall�art. 163 da n. 1 a 4, mentre pu� escludersi la parte della vocativo in ius, gi� contenuta nell�atto 
di citazione. 
L�elezione di domicilio e gli elementi costitutivi del diritto fatto valere sono espressamente richiesti dal 
comma 3 dell�art. 140 bis: l�aderente deve quindi dedurre il diritto al risarcimento o alla restituzione 
derivante da un fatto costitutivo identico a quello dedotto dall�attore di classe (causa petendi); dovr� altres� 
dedurre e provare il danno in concreto verificatosi nella propria sfera giuridica; dovr�, infine, formulare 
la richiesta di risarcimento o di restituzione (petitum).
DOTTRINA 335 
resto, tenuto conto della natura negoziale dell�atto di adesione, la disciplina dei 
rapporti fra proponente ed aderente pu� essere integrata, per quanto non espressamente 
previsto, dalla disciplina del mandato. 
In generale, pu� dirsi che l�attore collettivo non pu� compiere atti che importino 
disposizione del diritto in contesa se non ha avuto mandato in tale senso 
dall�aderente. Tale limite deve intendersi riferito agli atti negoziali; se infatti 
venisse esteso anche agli atti processuali, se cio� occorresse il preventivo assenso 
dell�aderente per il compimento di qualunque atto del processo, tenuto 
conto del fatto che qualsiasi scelta processuale dell�attore incide sulla controversia 
ed indirettamente sul diritto oggetto del giudizio, si frustrerebbe lo spirito 
dell�azione di classe, che � quello della gestione congiunta di una pluralit� di 
domande da parte di un unico attore nei confronti dello stesso convenuto. 
Si pu� porre per� il problema dell� impugnazione della sentenza sfavorevole; 
l�acquiescenza � infatti atto processuale il cui effetto, consistente nel passaggio 
in giudicato della sentenza, si riverbera sulla posizione sostanziale 
oggetto del giudizio. Non pare che l�opponibilit� del giudicato, favorevole all�impresa, 
nei confronti dell�aderente possa ritenersi condizionato dal preventivo 
assenso di questo; piuttosto, ferma l�opponibilit� del giudicato agli aderenti, 
eventuali contestazioni di questi potranno essere fatte valere nel rapporto fra 
attore di classe ed aderente secondo le regole del mandato (ad esempio applicando 
l�art. 1710 c.c.) (17). 
Altro aspetto della legittimazione ad agire allargata e del cumulo processuale 
della class action risarcitoria � ravvisabile nella particolare efficacia del 
giudicato. In deroga al limite soggettivo del giudicato posto nell�art. 2909 c.c. 
� espressamente previsto (comma 14) che la sentenza fa stato anche nei confronti 
degli aderenti, nonostante questi non assumano la qualit� di parte in senso 
processuale. Si tratta, a ben vedere, di una deroga pi� di forma che di sostanza, 
tenuto conto del fatto che gli aderenti sono pur sempre parti in senso sostanziale, 
agendo in giudizio, o meglio deducendo nel giudizio collettivo una propria 
domanda per il tramite dell�attore collettivo (18). 
Nell� azione collettiva pubblica mancano previsione analoghe in tema di 
adesione e di giudicato, ma le differenze rispetto alla class action risarcitoria 
(17) In senso analogo cfr. GIUSEPPE FINOCCHIARO, op. cit. Invece, per la necessit� del preventivo 
assenso degli aderenti alla rinuncia all�impugnazione, cfr. REMO CAPONI, op. cit. 
(18) Secondo GIUSEPPE FINOCCHIARO, in op. cit., nel processo di classe possono individuarsi tre 
tipologie di parti, con poteri differenziati e destinatarie di effetti diversi: 1. soggetti che sono parti sia in 
senso processuale che in senso sostanziale, che possono compiere cio� tutti gli atti del processo e sono 
destinatari di tutti gli effetti di questo, compreso il provvedimento finale: l�impresa e l�attore di classe; 
2. soggetti che sono soltanto parte in senso processuale e che, essendo titolari del potere di compiere gli 
atti processuali, non sono assoggettati agli effetti del giudicato: le associazioni e i comitati che hanno 
promosso l�azione di classe; 3. parti in senso sostanziale, che sono solo destinatari degli effetti del giudicato: 
gli aderenti; cfr. GIUSEPPE FINOCCHIARO, op. cit.
336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
non sono sostanziali. Se si considera, infatti, che l�azione collettiva pubblica 
consente di agire al singolo per la tutela di un interesse collettivo e che, quindi, 
il provvedimento giurisdizionale tutela ex se la collettivit� di utenti o consumatori 
alla quale si riferisce l� interesse leso dall�agire disfunzionale della P.A. 
o del concessionario del pubblico servizio, si comprende come disposizioni 
analoghe in materia di adesione o di giudicato nell�azione collettiva pubblica 
sarebbero risuonate pleonastiche. 
Quanto al giudicato, se si considera la natura superindividuale dell�interesse 
tutelato, non frazionabile e riferibile in modo indifferenziato alla collettivit�, 
l�oggetto della tutela, consistente in una disfunzione che si registra in 
un agire generale dell�Amministrazione o nell�organizzazione di un servizio 
pubblico, quindi una condotta necessariamente incidente sulla generalit� dei 
consociati, il contenuto della pronuncia giudiziale, consistente in un ordine di 
ripristino della corretta performance amministrativa, � evidente come sia connaturata 
alla struttura dell�azione collettiva pubblica l�efficacia erga omnes 
del giudicato, non diversamente da quanto avviene nell�ordinario giudizio generale 
di legittimit�, in cui, congiuntamente all�atto amministrativo concretamente 
e direttamente lesivo dell�interesse legittimo del singolo ricorrente, si 
impugni, quale atto presupposto, un atto amministrativo generale normativo 
(regolamento) o non normativo (circolare, P.R.G.), dal quale si assume che 
l�atto attuativo ripete i vizi secondo il meccanismo dell�invalidit� derivata. 
In luogo dell�adesione e a differenza dell�azione collettiva risarcitoria, 
nell�azione collettiva pubblica � espressamente prevista la possibilit� dell� intervento. 
La legittimazione all�intervento � riconosciuta ai soggetti che si trovano 
nella medesima situazione giuridica del ricorrente (comma 3); l� 
ammissibilit� dell�intervento � dunque condizionata, principalmente, all�allegazione 
da parte dell�interveniente della titolarit� dell�interesse inciso dalla 
disfunzione dell�organizzazione o del servizio dedotta in giudizio, e quindi 
dall�affermazione della propria appartenenza alla classe di consumatori o 
utenti alla quale si riferisce la condotta censurata; ed in secondo luogo, tendenzialmente, 
secondo il tipo di intervento, all�allegazione dell�interesse concretamente 
leso dalla condotta disfunzionale proprio dell�interveniente 
(interesse ad intervenire). 
Pu� ritenersi, invero, che nel caso di intervento ad adiuvandum o ad opponendum, 
ferma restando la necessit� di allegare (e provare) l� appartenenza 
alla classe di soggetti interessati alla disfunzione amministrativa, trattandosi 
di intervento non autonomo ma subordinato (appunto adesivo) al ricorso principale, 
possa prescindersi dall�allegazione di una lesione concreta diretta ed 
attuale di un interesse proprio dell�interveniente; tale deduzione appare, invece, 
irrinunciabile nell� intervento litisconsortile, concretando tale tipo di intervento 
una sorta di autonoma azione del terzo nei confronti di una delle parti 
del giudizio (la P.A. o il concessionario di pubblico servizio).
DOTTRINA 337 
Per effetto della notifica dell�atto di intervento il singolo interveniente 
assume la qualit� di parte nel giudizio collettivo: pu�, quindi, compiere gli atti 
processuali propri della parte ed � destinatario degli atti processuali delle altre 
parti e del giudice; inoltre, gli eventi interruttivi e le cause di sospensione che 
lo riguardano sono rilevanti nel processo (19). 
Oggetto della domanda e contenuto del provvedimento giudiziale 
La differente natura della posizione giuridica tutelata nelle due azioni, 
pubblica e privata, si riverbera sul piano degli strumenti di tutela e del tipo di 
provvedimento giudiziale. 
La class action pubblica presenta profili di analogia con la collettiva inibitoria 
privata: in entrambi i casi l� interesse tutelato ha natura superindividuale. 
L�art. 140 del codice del consumo stabilisce che pu� essere chiesta al giudice 
o a) l�inibitoria di atti e comportamenti lesivi, in funzione sia preventiva 
sia propriamente inibitoria, allo scopo di impedire il reiterarsi o il permanere 
di condotte lesive; o b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare 
gli effetti dannosi delle violazioni accertate, con funzione cio� riparatoria, di 
condanna da un fare specifico. 
Analogamente, ai sensi dell�art. 4 del Decr. L.vo 198/2009, il Giudice, 
accertata la violazione, l�omissione o l�inadempimento, ordina alla pubblica 
amministrazione o al concessionario di porvi rimedio in un congruo termine. 
La class action pubblica � connotata quindi, dall�atipicit� del contenuto 
del provvedimento giudiziale, che verr� ritagliato dal G.A. sull�oggetto concretamente 
dedotto in giudizio, e che potr� assumere, secondo i casi, portata 
inibitoria, ovvero riparatoria (si pensi, ad esempio, all�adozione delle misure 
organizzative necessarie a ripianare il disservizio o a rimuovere la disfunzione 
dell�organizzazione dell�ufficio), ovvero ancora propulsiva, come, in partico- 
(19) Cfr. il parere del Consiglio di Stato del 9 giugno 2009, il quale evidenzia come a differenza 
del giudizio generale di legittimit�, nel quale, attesa la perentoriet� del termine per impugnare, � ammesso 
solo l� intervento adesivo dipendente (ad adiuvandum o ad opponendum), nel giudizio collettivo, 
che non ha natura impugnatoria e nel quale l�oggetto della cognizione giudiziale � un comportamento 
posto in essere in violazione di doveri o di standard di efficienza e qualit� al fine di ottenere il ripristino 
del corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, � ammissibile anche l�intervento 
litisconsortile. Vero � che, nel regolare le modalit� dell�azione, l� art. 3 prevede come condizione 
di proponibilit� del ricorso, l�onere dell�istante di diffidare preventivamente l�Amministrazione con l�assegnazione 
di un termine di 90 giorni per l� adozione degli interventi satisfattivi degli interessati, e che 
il ricorso deve essere proposto nel termine perentorio di un anno dalla scadenza del termine �dato� con 
la diffida. Non sembra per� che lo spirare di tale termine comporti la consumazione dell�azione. Deve 
ritenersi, infatti, avuto riguardo per l� appunto all�oggetto del giudizio, analogamente al ricorso in materia 
di silenzio provvedimentale o in materia di accesso agli atti amministrativi, che il ricorso collettivo potr� 
essere promosso anche dopo la scadenza del termine annuale previa nuova diffida, ove permanga la situazione 
di disfunzione e la lesione di un interesse giuridicamente rilevante.
338 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
lare, nel caso della violazione dei termini o della mancata adozione di atti 
amministrativi generali obbligatori (20). 
Rispetto al giudizio generale di legittimit�, dove il potere di cognizione 
del G.A. � circoscritto alla verifica dei vizi di legittimit� specificamente 
dedotti nei motivi di ricorso, ed il potere decisorio alla pronuncia caducatoria, 
nell�azione collettiva la sfera della cognizione e della pronuncia giudiziale 
si delinea pi� ampia, ai limiti della giurisdizione di merito. Vero � 
che, mentre la Legge delega (art. 4, 2� comma, lett. l) n. 2 del Decr. Leg.vo 
198/2009) parla espressamente di giurisdizione di merito, il Decr. Leg.vo 
198 non esplicita tale carattere della giurisdizione. Sembra, per�, sussumibile 
nei poteri decisori assegnati al G.A. in materia di azione collettiva, 
anche in vista dell�eventuale successivo giudizio di ottemperanza, che il 
G.A. possa dare indicazioni circa le misure da adottarsi per rimuovere la 
disfunzione, possa cio� pronunciare sentenze di condanna ad un fare spe- 
(20) Per l�analogia dell�azione collettiva pubblica per la mancata adozione di atti amministrativi 
generali con il ricorso in materia di silenzio ex art. 21 bis L. TAR, cfr. GIULIO VELTRI, op. cit., il quale 
evidenzia anche il rischio di possibili sovrapposizioni fra le due norme. Del resto il ricorso ex art. 21 bis 
per la mancata adozione da parte della P.A. di atti amministrativi generali � stato gi� ammesso dalla giurisprudenza 
(cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sent. del 26 febbraio 2010 n. 1146, in materia di omessa 
adozione di atti di aggiornamento dei tariffari per il rimborso delle prestazioni sanitarie). 
Lo stesso Autore evidenzia il rischio di sovrapposizioni di tutela e di giurisdizione nell�ipotesi di violazione 
di standard di efficienza e qualit� riferita alla materia dei pubblici servizi e quindi la necessit� di 
procedere ad una sorta di actio finium regundorum fra i due tipi di azione collettiva pubblica e privata. 
Invero, l�art. 140, 11 comma del codice del consumo stabiliva che resta ferma la giurisdizione esclusiva 
del G.A. in materia di servizi pubblici, ai sensi dell�art. 33 del Decr. Leg.vo 80/98; fatti salvi i rapporti 
individuali di utenza e le controversie meramente risarcitorie, riservate alla giurisdizione del G.O. 
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 204 del 2004, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, 
fra gli altri, l�art. 33 del Decr. Leg.vo 80/98, come modificato dall�art. 7 della L. 205 del 2000, nella 
parte in cui attribuisce alla giurisdizione esclusiva del G.A. la materia dei servizi pubblici ivi comprese 
le controversie di diritto soggettivo. Per effetto della pronuncia manipolativa della Consulta sono rimaste 
al G.A. le controversie in materia di pubblici servizi in cui viene in rilevo l�esercizio di un potere. 
Il problema si ripropone alla luce del Decr. Leg.vo 198 del 2009 che conferma nella materia dei servizi 
pubblici la giurisdizione esclusiva del G.A, mentre l�art. 140 bis, comma 12, in combinato - disposto 
con il Decr. Leg.vo 198, lascia intendere che l� azione collettiva risarcitoria � esperibile dinanzi al G.O. 
anche nei confronti dei concessionari di pubblici servizi. 
Nell�opera citata l�Autore ritiene che il distinguo fra azione collettiva privata e pubblica in materia di 
servizi pubblici va fatto alla luce del diverso ambito oggettuale sul quale le due azioni incidono. Se 
l�azione riguarda il disservizio in quanto tale, e quindi il contatto contrattuale o extracontrattuale fra 
utente o collettivit� di utenti e impresa, si versa nell�ambito della giurisdizione del G.O. che potr� essere 
adito, secondo i casi con azione inibitoria o risarcitoria. Se invece, oggetto dell�azione � l�organizzazione 
in quanto tale, sia pure riguardata attraverso il disservizio, dedotto non come oggetto diretto della cognizione 
del Giudice, ma come elemento sintomatico dell�inefficienza del sistema, si versa nell�ambito 
della giurisdizione amministrativa, con l�azione collettiva pubblica. 
Il problema della possibile sovrapposizione delle azioni collettive, pubblica e privata, nella materia dei 
pubblici servizi � del resto presa espressamente in considerazione nella Legge Delega 15/99 e risolto, 
al fine di evitare duplicazioni di giudizi e possibili contrasti di giudicati, nell�art. 2 del Decr. Leg.vo 
198/2009, che detta la regola dell�alternativit� delle due azioni e della prevalenza del giudizio civile rispetto 
a quello amministrativo, quanto alla tutela inibitoria (1� e 2� comma). 
DOTTRINA 339 
cifico (21). 
La disfunzione nell�esercizio della funzione amministrativa �, in realt�, 
un in s� dell�azione giurisdizionale amministrativa, se si considera che l� 
eccesso di potere, come vizio di legittimit� dell�atto amministrativo, nelle 
diverse figure sintomatiche in cui pu� in concreto presentarsi, � il vizio attraverso 
il quale si � tradizionalmente censurato l�esercizio disfunzionale 
del potere, ovvero lo sviamento dalla sua causa tipica (22). 
Nell�azione collettiva pubblica, per�, come sottolineato dal Consiglio 
di Stato nel parere reso sullo schema del decreto legislativo, a parte l�ipotesi 
della violazione dei termini fissati inderogabilmente dalla legge per l� adozione 
di atti generali obbligatori (in cui sembra riproporsi il vizio della violazione 
di legge, ma solo in apparenza perch� la violazione dei termini non 
� presa in considerazione in s�, ma come sintomo di una disfunzione dell�organizzazione 
amministrativa), il parametro sul quale fondare il giudizio 
non � dato dalla legittimit� dell�atto amministrativo (che pu� mancare), ma 
dall�efficienza della funzione amministrativa complessivamente considerata, 
ovvero da un parametro che non � di legittimit� ma piuttosto economico 
(23). 
Strumenti di tutela 
Le due azioni collettive, pubblica e privata, si presentano parallele 
anche sul piano degli strumenti di tutela. 
La tutela collettiva privata � articolata nelle due azioni inibitoria (artt. 
139 e 140 codice del consumo) e risarcitoria (art. 140 bis codice del consumo). 
Con l�esperimento della class action ex art. 140 bis in particolare � 
possibile per la classe di consumatori ed utenti chiedere l� accertamento 
della responsabilit� dell�impresa e la condanna al risarcimento del danno 
ed alle restituzioni. 
Ai sensi del comma 12, �se accoglie, il Tribunale pronuncia sentenza 
di condanna con cui liquida ai sensi dell� art. 1226 c.c., le somme definitive 
dovute a coloro che hanno aderito all� azione o stabilisce il criterio omo- 
(21) Di giurisdizione di merito parla espressamente il Consiglio di Stato nel parere reso sullo 
schema del decreto legislativo, in data 6 settembre 2009. 
(22) Nel senso che l�eccesso di potere � il vizio con cui si deduce l�agire disfunzionale della P.A. 
cfr. ROCCO GALLI, op. cit. 
(23) Sottolinea il Consiglio di Stato nel prefato parere come il principio del buon andamento dell�amministrazione, 
tratto dall�art. 97 Cost. venga assunto nel nuovo contesto normativo in una dimensione 
che non � pi� soltanto quella della legalit�, nel senso che l�atto legittimo � di per s� segno di un 
esercizio del potere conforme al buon andamento, ma piuttosto quella economica dell�efficienza, che 
pu� in ipotesi anche prescindere dal parametro della stretta legittimit�.
340 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
geneo di calcolo per la liquidazione di dette somme�. 
La norma prevede, quindi, due soluzioni alternative di definizione del 
giudizio di classe. Tendenzialmente la decisione giudiziale avr� un contenuto 
di condanna, nell� ipotesi in cui, verosimilmente, sia possibile stabilire 
senza dilazione l�entit� del risarcimento. Il rinvio all�art. 1226 c.c., in tale ipotesi, 
opera come criterio obbligatorio per il Giudice (equit� sostitutiva) e non 
sussidiario, nel senso che, nel caso di specie, l� applicazione del criterio equitativo 
prescinde dal presupposto dell� impossibilit� di provare il danno nel suo 
preciso ammontare, e ci� in considerazione dell�opportunit� di evitare i costi 
ed i tempi di un accertamento minuzioso del �quantum� individualmente risarcibile 
a ciascuno di coloro che hanno preso parte al giudizio (24). In alternativa, 
il Giudice potr� emettere sentenza con la quale accerta la responsabilit� 
dell�impresa e fissa i criteri per il risarcimento del danno. 
In subordine il Tribunale potr� adottare pronuncia di accertamento della 
responsabilit� e fissare solo i criteri per la determinazione del risarcimento. 
Questo rimarr� rimesso ad una serie di giudizi individuali, ovvero potr� essere 
oggetto di trattative fra l�impresa e la classe dei consumatori, favorite dallo 
spatium deliberandi previsto fra il deposito della sentenza ed il momento in 
cui questa diviene esecutiva (25). 
La tutela collettiva pubblica non contempla la possibilit� di chiedere il 
risarcimento del danno. L�art. 1, 6� comma, fa salvi, per�, i rimedi ordinari. 
L� esclusione della tutela risarcitoria implica il divieto di cumulo della tutela 
atipica per il ripristino dell�efficienza con la tutela risarcitoria, in deroga 
a quanto previsto in via generale dall�art. 35 del Decr. Leg.vo 80/98 come modificato 
dall�art. 7 L. 205/2000 per le ipotesi di giurisdizione esclusiva. 
Occorre, per� considerare, che l�ordine giudiziale di ripristinare lo standard 
di efficienza o di adottare l�atto obbligatorio omesso pu� integrare una 
riparazione in forma specifica. Del resto, il rinvio ai rimedi risarcitori ordinari 
denota che solo in apparenza il sistema di tutela collettiva pubblica � �monco� 
rispetto al sistema privato. 
In proposito si osserva, da un lato, che rinvio ai rimedi ordinari non pare 
significare necessariamente rinvio alla giurisdizione ordinaria, e, dall�altro, 
necessariamente rinvio alle azioni individuali ordinarie. 
Tale ultimo versante, ancorch� il rinvio ai rimedi ordinari richiami in 
prima battuta l�azione risarcitoria individuale, riferibile ad un bene della vita 
proprio del soggetto, in quanto differenziato rispetto alla generalit� dei consociati, 
deve per� tenersi presente l�esperibilit�, in materia di pubblici servizi 
della class action privata dinanzi al G.O., del resto espressamente prevista dal 
(24) Nel senso detto cfr. GIUSEPPE FINOCCHIARO, op. cit. 
(25) Si afferma in dottrina che, nell�ipotesi in esame, la sentenza � di accertamento e non di condanna 
generica; in tal senso cfr. REMO CAPONI, op. cit.; GIUSEPPE FINOCCHIARO, op. cit. 
DOTTRINA 341 
comma 12 dell�art. 140 bis. 
Sul piano della giurisdizione, occorre considerare la riserva tendenziale 
alla giurisdizione ordinaria, ribadita da Corte Costituzionale in sentenza 204 
del 2004, della cognizione dei diritti soggettivi. Quindi in linea di massima, 
sulle questioni risarcitorie dovrebbe ritenersi competente il G.O. Occorre per� 
considerare l�art. 7 L. 205/2000, che nelle materie devolute alla sua giurisdizione 
esclusiva, come quella in esame, riserva al G.A. anche la cognizione 
delle questioni risarcitorie. Sembra che l�art. 7 L. 205/2000 sia destinato ad 
esercitare una forza attrattiva della giurisdizione sulle questioni risarcitorie in 
ipotesi connesse con le ipotesi di violazione degli standard di efficienza per 
cui � �data� class action pubblica. Con la conseguenza che, il divieto di cumulo 
di cui si � detto sembra comporter� nell�applicazione concreta una riedizione, 
nella sfera della giurisdizione amministrativa, del c.d. doppio binario 
di tutela (26). 
Conclusioni comparative 
La sostanziale omogeneit� dei due sistemi di tutela, pubblico e privato, 
lascia presagire l�uso concorrenziale nella prassi applicativa delle due azioni, 
almeno nella materia dei pubblici servizi, in cui l�eventualit� di sovrapposizioni 
� concreta e del resto avvertita dal Legislatore che, attraverso l�art. 2 del 
Decr. Leg.vo 198, ha sentito l� esigenza di �dare� regole risolutive del possibile 
concorso di azioni. 
Considerata la maggiore ampiezza del sindacato del G.A., grazie anche 
all�officialit� dell�istruttoria propria del giudizio amministrativo, che dovrebbe 
consentire un pi� agevole e penetrante accertamento dell�inefficienza dell�organizzazione 
del servizio pubblico, � possibile ipotizzare la prevalenza dell�azione 
pubblica rispetto a quella privata anche nella materia dei pubblici 
servizi. Di contro, l� espunzione dalla tutela collettiva dell�azione risarcitoria, 
rinviata ai mezzi ordinari, potrebbe indurre ad avviare direttamente una class 
action in materia di pubblici servizi nella quale la disfunzione dell�organizzazione 
del servizio potr� essere dedotta e conosciuta anche direttamente dal 
G.O., quale fatto lesivo, costitutivo della pretesa risarcitoria. 
(26) Sull�esperibilit�, in ipotesi, dell�azione risarcitoria ex art. 2 bis L. 241/1990 per il caso di 
violazione dei termini per l�adozione di atti amministrativi generali obbligatori, cfr. GIULIO VELTRI, op. 
cit.
342 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
EROS o VIRUS? 
Sovranit� alimentare e diritto dei giudici 
Grazia Sanna* 
Il Presidente Salvatore Giacchetti, nella sua relazione al XXXVIII Convegno 
di Varenna intitolata �Profili problematici della cosiddetta illegittimit� 
comunitaria� (in Giur. Amm. sic. 1992, pag. 879 e ss.) aveva paragonato l�effetto 
delle norme comunitarie sull�ordinamento nazionale a quello delle �termiti�, 
preconizzando che le prime avrebbero lentamente scavato dall�interno 
l�ordinamento nazionale, pur lasciandone apparentemente intatta la struttura 
esteriore. In tempi pi� recenti, Giovanni Virga (cfr. il commento alle sentenze 
della Corte Costituzionale n. 348 e n. 349 del 2007 intitolato �Le �termiti� 
comunitarie ed i �tarli� dei trattati internazionali�, Lexitalia.it n. 10/2007), 
nel considerare la riforma dell�art. 117 della Costituzione che prevede la necessit� 
di armonizzare il diritto interno con �i vincoli derivanti [�] dagli obblighi 
internazionali� e, quindi, l�obbligo per il legislatore ordinario di 
rispettare le norme contenute in accordi internazionali mediante �un rinvio 
mobile� alla norma convenzionale di volta in volta conferente, ha evocato 
l�immagine del �tarlo� per descrivere gli effetti dei trattati internazionali sul 
diritto interno. A mio sommesso avviso, una metafora assai adatta a descrivere 
compiutamente il salto di qualit� avvenuto nella realt� giuridica italiana ad 
opera della legislazione sovra-nazionale prodotta nell�ultima met� del XX� 
secolo � l�azione del virus, che � in grado di servirsi �mimeticamente� del 
DNA della cellula invasa per fini di auto-replicazione, per poi distruggerne 
la coerenza interna e determinarne l�implosione. 
In s� e per s� non vi sarebbe nulla di male, se il silente processo di mutazione 
della costituzione materiale che il fenomeno implica fosse frutto di 
scelte consapevoli e condivise da tutta la collettivit�, e se avvenisse in modo 
trasparente. 
** *** ** 
1. Premessa - 2. Crisi della sovranit� nazionale, dello stato di diritto e delle garanzie 
dei diritti fondamentali nell�epoca attuale - 3. Limiti alla potest� normativa statale in materia 
agro-alimentare. Cenni - 4. Sovranit� alimentare e diritto fondamentale al cibo. Work in pro- 
(*) Avvocato in Roma. 
Il presente studio sulla giurisprudenza in materia di biotecnologia non necessariamente risponde 
ad un indirizzo ponderato della Rassegna, ma contiene informazioni e spunti di grande interesse 
che si � ritenuto importante mettere a disposizione dei Lettori (ndr).
DOTTRINA 343 
gress.... - 5. Fenomeni acquisitivi da eventi materiali: la sentenza della Corte Suprema canadese 
Schmeiser/Monsanto (21.05.2004/SCC 034 - file n. 29437) - 6. La giurisprudenza come 
fonte di produzione del diritto e la globalizzazione giudizaria - 7. Conclusioni. 
1. Premessa 
Per quanto inconferente possa apparire, il titolo scelto per questo studio 
riflette una realt� che si connota esattamente in questi termini. L�analisi che ci 
apprestiamo a compiere muove, infatti, dalla constatazione che le scelte legislative 
sovra-nazionali - e, quindi, nazionali - in materia agro-alimentare 
vanno, inequivocabilmente, verso la promozione di un modello agricolo caratterizzato 
dalla sostituzione dei processi riproduttivi vegetali e animali naturali 
con interventi emulativi di bioingegneria, che si caratterizzano per 
l�impiego di vettori di clonazione virali e batterici e sono finalizzati alla produzione 
di �fotocopie autoreplicanti� originate da un prototipo chimerico 
creato in laboratorio (1) e protetto da brevetto. Le colture OGM implicano, 
(1) Un nuovo organismo vivente pu� essere generato in due modi: per esercizio della funzione riproduttiva 
naturale oppure per mezzo di biotecnologie, attraverso un processo di manipolazione che si 
serve di sequenze geniche estratte da ceppi virali e batterici come vettori di clonazione. In natura la 
creazione di nuove specie � avvenuta, da sempre, secondo le leggi ed i limiti dell�ereditariet� genetica 
studiate e descritte da Mendel in poi. La scoperta del DNA ricombinante, risalente agli anni �70, ha provocato 
una rivoluzione nel mondo scientifico ed economico, in quanto permette la creazione di ibridi 
vegetali ed animali derivati dalla combinazione di sequenze geniche estratte da individui che possono 
appartenere anche a regni diversi (ad esempio: l�oncotopo, un topo sul quale sono stati impiantati geni 
umani e di pollo infetti; il salmone contenente l�ormone della crescita RbGH, per accelerarne, appunto, 
la crescita; il mais modificato mediante inserzione del gene responsabile della produzione della tossina 
BT nel Bacillus Turingiensis, per conferire al medesimo mais di sopportare l�irrorazione massiccia di 
fitofarmaci). La duplicazione della cellula ospite d� luogo alla replicazione (o clonazione molecolare) 
della molecola di DNA ricombinante, producendone cos� molte copie che possono essere impiegate per 
scopi vari. In Italia, l'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati � regolata 
dal decreto legislativo n. 224 dell�8 luglio 2003 - Attuazione della direttiva 2001/18/CE concernente 
l�emissione deliberata nell�ambiente di organismi geneticamente modificati (Gazzetta Ufficiale n. 194 
del 22 agosto 2003, S.O. n. 138). L�Allegato A-1 al decreto, elenca le tecniche di modificazione genetica 
ammesse: �...Le tecniche di modificazione genetica di cui all'art. 3, comma 1, lettera b), punto 1, comprendono, 
tra l'altro: 1) tecniche di ricombinazione dell'acido nucleico che comportano la formazione 
di nuove combinazioni di materiale genetico mediante inserimento in un virus, in un plasmide batterico 
o in qualsiasi altro vettore, di molecole di acido nucleico prodotte con qualsiasi mezzo all'esterno di un 
organismo, nonch� la loro incorporazione in un organismo ospite nel quale non compaiono per natura, 
ma nel quale possono replicarsi in maniera continua; 2) tecniche che comportano l'introduzione diretta 
in un organismo di materiale ereditabile preparato al suo esterno, tra cui la microiniezione, la macroiniezione 
e il microincapsulamento; 3) fusione cellulare, inclusa la fusione di protoplasmi, o tecniche di 
ibridazione per la costruzione di cellule vive, che presentano nuove combinazioni di materiale genetico 
ereditabile, mediante fusione di due o pi� cellule, utilizzando metodi non naturali�. Uno dei problemi 
di maggior rilievo implicati dalla liberalizzazione di queste tecniche � costituito dal trasferimento orizzontale 
dei geni manipolati, cio� dalla loro capacit� di superare le barriere di specie e di persistere in 
natura (cfr. Camera dei Deputati, XIII Legislatura -XII Commissione - Seduta del 13 giugno 2000- Indagine 
conoscitiva n. 12, pag. 14; inoltre, GM Science Exposed: Hazards Ignored, Fraud, Regulatory 
Sham, and Violation of Farmers' Rights, ISIS CD Book, 2007, una raccolta di 160 articoli scientifici
344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
sul piano dei fatti, la possibilit� di trasferimento orizzontale del gene brevettato 
grazie alla capacit� di penetrazione del virus come veicolo di replicazione del 
gene modificato e, sul piano giuridico, come vedremo, la possibilit� di rivendicazione 
della propriet� di quel gene ovunque si trovi, anche nel corpo ospite 
che lo accoglie e lo moltiplica. 
Tutto ci� sembra rispondere allo scopo precipuo di assoggettare nel modo 
pi� pervasivo possibile la capacit� generatrice della Terra alle istanze di controllo 
e dominio privato di cui sono latori alcuni gruppi di interesse economico 
transnazionale, che detengono il monopolio di questo specifico know how (2). 
presentata al Parlamento europeo il 12 giugno del 2007 che documenta, oltre alla violazione dei diritti 
degli agricoltori, i rischi derivanti dalle manipolazioni genetiche e le frodi scientifiche perpetrate per 
avvantaggiare l�industria (Institute for Science in Society, Comunicato Stampa del 21 giugno 2007 su: 
http://www.i-sis.org.uk/Scientists_for_a_GM_free_Europe.php). Oltre alla resistenza umana agli antibiotici 
per assorbimento dei marker resistenti - tantՏ che, rispetto alla previgente dir. 90/220/ CE, la direttiva 
2001/18/CE vieta gli OGM contenenti geni di resistenza agli antibiotici utilizzati in terapia - e 
ad altri rischi per la salute, come l�effetto documentato in Ewen S. and Pusztai in A. Effect of diets containing 
genetically modified potatoes expressing Galanthus nivalis lectin on rat small intestine, pubblicato 
su The Lancet, Oxford, il 16 ottobre 1999, volume n. 354 [9187], pag.1353-4, questa capacit� di 
�trasmigrazione� degli OGM esplica effetti dannosi anche sulla biodiversit�. Infatti, l�inquinamento dei 
microrganismi del suolo da polline OGM � stato apprezzato fino a 21 km. di distanza, come risulta dallo 
studio pubblicato dall�Institute for Science in Society sull�omonima rivista n. 18 del 2003, pag. 26-27 
dal titolo Chronicle for an ecological disaster foretold consultabile su www.i-sis.org.uk/CEDF.php - 
32k, confermato dal recente studio di Van de Water, P.K., L.S. Watrud, E.H. Lee, C. Burdick, and G.A. 
King. Long-Distance GM Pollen Movement of Creeping Bentgrass using Modeled Wind Trajectory Analysis, 
pubblicato su Ecological Applications 17 (4), p. 1244-1256, Ithaca, N.Y., 2007, e inoltre, l'introduzione 
nell'ambiente di organismi modificati necessita di un largo impiego di mezzi tecnici, quali 
insetticidi, diserbanti e fitofarmaci, fino quattro volte superiore rispetto al convenzionale. L�imponente 
quantit� di evidenze scientifiche esistenti rende poco pi� che una formula vuota di significato il concetto 
di �coesistenza� tra coltivazioni transgeniche e coltivazioni tradizionali, posto a fondamento della legge 
n. 5 del 2005 di �Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279, 
recante disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale 
e biologica�. �Coesistenza� in pratica significa una sola cosa: contaminazione e replica del 
gene brevettato. Un breve cenno merita l�ulteriore sviluppo della biotecnologia che ha portato alla produzione 
del DNA sintetico. L�idea alla base della biologia sintetica � quella di separare i componenti 
fondamentali delle cellule per poi ricostruire nuovi organismi. Se l�ingegneria genetica si occupa prevalentemente 
di spostare un gene preesistente da un organismo ad un altro, la biologia sintetica intende 
progettare forme di vita che non esistono in natura, analizzare il progetto per assicurarsi che funzioni, e 
poi realizzarlo specificando ogni bit di DNA da inserire in un organismo per determinarne forma e funzione 
in modo controllato e prevedibile. Con il titolo � pendente la domanda di brevetto per la vita artificiale 
(The Economist 14 giugno 2007), la stampa ha dato notizia della richiesta di brevetto per Synthia, 
che dovrebbe essere il nome della nuova �creatura� totalmente sintetica. 
(2) Una conferma che questa sia la direzione scelta dai decisori politici si pu� ricavare dal fatto 
che la Food and Drug Administration (FDA), ente consultivo istituzionale statunitense in materia di sicurezza 
alimentare, nel 2006 ha espresso parere favorevole alla commercializzazione di carne e latticini 
da animali clonati (bovini, ecc.), ritenendoli sostanzialmente equivalenti a quelli normali (FDA Issues 
Draft Documents on the Safety of Animal Clones, FDA News, Dec. 28, 2006, http://www.fda.gov/bbs/topics/
NEWS/2006/NEW01541. html - North Carolina Journal of Law &Technology). Alcune ONG che 
curano gli interessi della societ� civile e la difesa dell�ambiente hanno molto opportunamente sottolineato 
che il solo intento sotteso da questa decisione � sostenere la corsa al controllo del mercato alimentare, 
avviando nella zootecnia e in altri settori la �fabbrica� di animali OGM: �... � indispensabile che il pro-
DOTTRINA 345 
Il mezzo prescelto per attribuire vincolativit� giuridica a siffatta operazione 
di privatizzazione � principalmente il brevetto (3), un istituto giuridico 
totipo prescelto, tra i mille scarti delle modifiche genetiche, venga riprodotto con la clonazione. La riproduzione 
naturale disperderebbe infatti le caratteristiche artificialmente immesse in laboratorio... 
Dopo l�imposizione delle sementi geneticamente modificate e privatizzate (le royalties relative al brevetto 
vengono riscosse ad ogni risemina) gli Stati Uniti, con la clonazione animale, intendono dare il �via libera� 
ai nuovi OGM - questa volta animali anzich� vegetali - per consentire, ancora una volta, la riscossione 
dei diritti di brevetto ad ogni ciclo riproduttivo� (comunicato stampa del Comitato Scientifico 
Equivita 31 dicembre 2006 http://www.equivita.it/). Al riguardo, � necessario sottolineare che anche in 
ambito europeo, nel marzo 2007, la Commissione ha avanzato formale richiesta di parere all�European 
Food Safety Authority (EFSA) in merito alle implicazioni della clonazione animale sulla sicurezza alimentare. 
Il comitato scientifico dell'EFSA, il 9 gennaio 2008, ha reso pubblico un progetto di parere favorevole 
all'uso di animali clonati per fornire carne, latte e formaggi (cfr. http://www.efsa.europa.eu/), 
fissando nel contempo al 25 febbraio 2008 il termine per la definizione di una consultazione pubblica 
(sic!) sul tema. Recentemente, il Consiglio dei Ministri dell�agricoltura UE ha approvato un disegno di 
legge che va verso la definitiva approvazione di questa pratica (Lussemburgo, 22 giugno 2009, comunicato 
stampa n. 188, su www.consilium.europa.eu). 
(3) Fino agli anni '80, le piante e gli animali, interi o nelle loro parti, non erano brevettabili anche 
se era possibile proteggere le nuove variet� vegetali tramite titoli speciali, riconosciuti dalla legislazione 
di alcuni paesi industrializzati e confluiti nella Convenzione internazionale UPOV del 1961, che istituiva 
l'Union de Protection des Obteniteurs Vegetales e riconosceva i diritti di coloro che "costituiscono" una 
novit� vegetale (plant breeders' rights). Nel 1980, sotto l'incalzare dell�industria biotecnologica, l'applicabilit� 
dei brevetti � stata estesa alle innovazioni riguardanti la �materia� vivente a partire dalla sentenza 
della Corte Suprema degli Stati Uniti n. 447 U.S. 303 del 16 giugno 1980 sul caso Diamond vs. 
Chakrabharty. Dopo quella sentenza, negli USA, l'applicabilit� dei brevetti copre tutte le forme viventi 
(eccetto l'uomo intero, almeno per ora) e le loro parti (anche umane): cellule, sequenze geniche, genoma. 
Per una completa panoramica delle tematiche connesse si rinvia a Intellectual Property Rights and the 
life science industries: a twentieth century history, Graham Dutfield. Burlington, VT: Ashgate Publishing 
Company, 2003. 288 pp. ISBN 0-7546-2111-1; Intellectual Property Rights in Animal Breeding and 
Genetics, Max Rothschild, Scott Neumann, Oxford University Press, 2003). Nell'Unione Europea la direttiva 
98/44/CE concernente la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche e finalizzata ad 
armonizzare la normativa europea in materia, nonch� a promuovere gli investimenti nel campo delle 
biotecnologie, e a favorire la libera circolazione dei brevetti biotech nel mercato unico, ha introdotto un 
regime di protezione brevettuale per le innovazioni biotecnologiche, garantendo la brevettabilit� delle 
invenzioni che riguardano le piante quando la loro applicazione non � limitata ad una particolare variet�, 
ma ad una pluralit� di variet�. Da qualche tempo, per�, le domande depositate presso l�Ufficio Europeo 
Brevetti (EPO), non riguarderebbero solo gli Ogm, ad esempio i semi di soia Round-up Ready, ma anche 
le varianti vegetali convenzionali, come nel caso della domanda di brevetto presentata nel 2007 all�EPO 
per una variet� di soia a composizione oleosa migliorata (WO 2004/006659) che concerne intere porzioni 
del genoma della pianta, utilizzate nel quadro di tecnologie convenzionali per migliorare gli esiti della 
selezione convenzionale (ad esempio la selezione assistita da marcatori). Uno degli esempi pi� preoccupanti 
di tale fenomeno riguarderebbe le domande di brevetto depositate dalla Syngenta su porzioni 
immense del genoma del riso e sul loro impiego nella coltivazione di qualsiasi vegetale alimentare che 
sia dotato di informazioni genetiche simili a quelle del riso, ad esempio mais e grano (fonte: www.equivita.
it; www.no-patents-on-seeds.org/index.php?option=com_content&task=view&i). 
La legislazione europea � un atto dovuto nella misura in cui i paesi dell'UE (Unione Europea) aderiscono 
all�OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio - WTO). Tra gli accordi della OMC ha una notevole 
importanza l'accordo sui Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPs) che estende, 
quasi a livello mondiale, l'obbligo di applicazione dei brevetti al settore farmaceutico e agricolo (Legge 
29 dicembre 1994, n. 747 di ratifica ed esecuzione degli atti concernenti i risultati dei negoziati dell'Uruguay 
Round adottati a Marrakech il 15 aprile 1994 - Accordi GATT/TRIPs - in Suppl. ordinario n. 
1, alla Gazzetta Ufficiale n. 7 del 10 gennaio 1995; Direttiva 2004/48/CE del Parlamento Europeo e del
346 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
che in passato ha svolto la nobile funzione di rendere pubblica la conoscenza 
a fini di utilit� generale proteggendo e stimolando la creativit� individuale, 
ma il cui significato � stato fortemente alterato dal nuovo diritto della propriet� 
intellettuale che lo ha trasformato in un strumento di enclosure al servizio dei 
protagonisti del mercato globale. Nuovo scopo non dichiarato del brevetto � 
la rimozione del sapere gi� di pubblico dominio a vantaggio di pochi, cos� 
come l�appropriazione di beni comuni a beneficio dei privati (4). Nel settore 
agro-alimentare, l'erosione del dominio pubblico si � focalizzata su due 
ambiti particolarmente importanti: la conoscenza e le sementi. 
A partire dal secondo dopoguerra, il passaggio dall�agricoltura tradizionale 
a quella industriale, la �Rivoluzione Verde� degli anni �60 (pacchetto 
CGIAR - Consultative Group on International Agricultural 
Research) ed infine la �rivoluzione biotecnologica�, hanno determinato 
negli stati nazionali la progressiva formazione di raccolte legislative (per 
Consiglio del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di propriet� intellettuale, Pubblicata sulla G.U.U.E. 
L 157 del 30 aprile 2004). L�Italia ha recepito la Direttiva 98/44/UE con il Decreto Legge 10 gennaio 
2006, n. 3 (in Gazzetta Ufficiale n. 8 dell'11 gennaio 2006) convertito nella legge n. 78 del 22 febbraio 
2006, (in Gazzetta Ufficiale n. 58 del 10 marzo 2006), introducendo alcune limitazioni. La Legge 
78/2006, segue sostanzialmente il dettato normativo della Direttiva UE e fornisce, per la prima volta 
nel nostro ordinamento, un�espressa definizione di ci� che � brevettabile (art. 3); ci� che � soggetto a licenza 
obbligatoria (art. 6); l�ambito della tutela dei brevetti (art. 8); le modalit� di deposito, accesso e 
di nuovo deposito di materiale biologico (art. 10). 
(4) Per un�analisi ad ampio spettro delle problematiche collegate alla privatizzazione dei beni comuni 
si rinvia DAVID BOLLIER Silent Theft, Ed. Rutledge Londra, 2002. A mero titolo esemplificativo, 
dato lo sconcerto che ha creato nell�opinione pubblica, vale la pena ricordare la vicenda del brevetto sul 
silenzio rilasciato alla John Cage Trust (Protecting the Sound of Silence in 4'33": A Timely Revisit of 
Basic Principles in Copyright Law, Chang Lim Saw, European Intellectual Property Review n. 12 del 
2005, pag. 467). Alquanto significativo il brevetto che ha consentito la privatizzazione di pelle e ossa 
umane, nei limiti delle loro caratteristiche di superconduttivit� elettrica. Brevetto Microsoft del 22 giugno 
2004: licenza numero 6.754.472 rilasciata dall�Ufficio brevetti degli Stati Uniti, PTO col titolo �Metodi 
e apparecchi per trasmettere energia e dati usando il corpo umano�. Nell�ambito delle tematiche concernenti 
l�impiego delle risorse fitogenetiche in ambito agricolo si rinvia a: Is Policy towards Intellectual 
property Rights addressing the Real Problems? The case of Unauhorized Appropriation of Genetic Resources, 
di A. TSIOUMANIS, K. MATTAS e E. TSIOUMANIS in Journal of Agricutural and Environmental 
Ethics, Vol. 16 n. 6, Novembre 2003, Springer-Neetherland. Per un�analisi giuridica delle principali problematiche 
relative all�appropriazione di risorse genetiche e del sapere tradizionale, si rinvia all�articolo 
di KARL MUTTER, Traditional knowledge related to genetic resources and its protection as intellectual 
property in Colombia, in European Intellectual Property Review n. 9 del 2005, pag. 327-333. Per un�accurata 
ricostruzione del fenomeno noto come �biopirateria� e sulla necessit� di protezione della Biodiversit�: 
Biopirateria, di V. SHIVA, Napoli, Ed. Cuen 1999 e V. SHIVA Monocolture della mente Torino, 
Bollati Boringhieri, 1995 e, inoltre, gli articoli Patents and Biological Diversity Conservation, destruction 
or decline? Exploiting genetic resources in Queensland under the Biodiscovery Act (Qld), CHARLES 
LAWSON in European Intellectual Property Review n. 8 del 2006, pag. 418 ss. e MGBEOJI IKECHI, Global 
biopiracy: patents, plants and indigenous knowledge, University of British Columbia (UBC Press) 
Vancouver, 2006. In Italia, il Centro Studi sui Demani Civici e le propriet� Collettive dell�Universit� 
di Trento diretto dal Prof. Nervi e l�associazione A.P.R.O.D.U.C. di Roma (www.demaniocivico.it) curano 
l�attivit� di ricerca e documentazione relativa alle problematiche legate ai tentativi di privatizzazione 
dei demani civici e delle propriet� collettive.
DOTTRINA 347 
lo pi� frutto della codificazione di standard predisposti dall�industria agricola 
(5) ) che costringono in un imbuto dal collo sempre pi� stretto ci� che 
l�agricoltore, ormai semplice componente di un ingranaggio ideato e diretto 
da altri, pu� o non pu� fare, se vuole stare sul mercato. Questo modello 
agricolo ha comportato la sostituzione del concetto di �organismo 
agricolo� con quello di �monocoltura� e, pur encomiabile nelle sue motivazioni 
di fondo perch� mirava a scongiurare lo spettro della fame, ha tuttavia 
avuto un impatto devastante sulla vitalit� della terra, sull�ambiente, 
sulla biodiversit�, sul consumo scellerato di risorse non pi� rinnovabili, 
sul clima, sulla salute umana e sulla compagine sociale di intere nazioni. 
L�entit� dei problemi generati � stata tale da rendere necessaria l�adozione 
di strumenti legislativi internazionali per salvare il salvabile (la Convenzione 
di Rio de Janeiro sulla protezione della Diversit� biologica del 1992 
ed il correlato Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza del 2000, per 
citare solo i pi� importanti) mentre, sul fronte del diritto umano fondamentale 
ad alimentarsi in modo adeguato, la situazione relativa alla sicurezza 
alimentare � globalmente peggiorata (come denunciato gi� in SOFI 
2006) (6) e, in prospettiva, peggiorer� ancora. La crisi alimentare in corso 
non fa che confermare la previsione. 
Nonostante questi effetti negativi la rotta non � mutata se � vero che 
persino nell�Iraq devastato dalla guerra sembra sia stato esportato, oltre 
alla democrazia, anche il modo di fare agricoltura dei �liberatori�. Infatti, 
uno dei primi provvedimenti dell�Autorit� Provvisoria della Coalizione, � 
(5) Questo trend, accentuato dal sistema del libero commercio mondiale, procede attraverso la 
creazione di norme tecniche tendenti a realizzare una sostanziale equivalenza delle qualit� tecniche 
dei prodotti e dei processi produttivi, per eliminare ogni possibile barriera protezionistica alla libera 
circolazione dei valori economici attraverso i confini degli stati membri. Cos� tutte le regole di diversa 
natura che potrebbero implicare effetti di protezionismo mediante restrizioni quantitative alla libera 
circolazione dei prodotti, delle merci, dei servizi, ecc. (ivi comprese le norme di legge che nel perseguire 
altri obiettivi, nell�attuare i fini tradizionali degli ordinamenti giuridici statali, producano misure 
di effetto equivalente a tali restrizioni), assumono automaticamente il carattere di barriere commerciali, 
opponendosi di fatto a questo processo di normalizzazione di diversa natura. Ebbene, attraverso questo 
effetto di contrapposizione dell�ordine globale rispetto all�ordinamento giuridico statale si consuma la 
neutralizzazione dell�interesse generale a vantaggio di privilegiati interessi particolari (cos� F. BILANCIA, 
Lo Stato democratico nel sistema globale. Spunti di Riflessione, Quaderni della Rassegna parlamentare, 
Milano, 2003, pag. 620-629. Per una profonda analisi del rapporto tra diritto e mercato e della 
�mutazione genetica� del primo da strumento regolativo a strumento economico, si rinvia a E. SANTORO, 
Lo stato di diritto nell�era della globalizzione, Giappichelli, Torino, 2008, pag. 92 ss. 
(6) A dieci anni dal Vertice Mondiale dell�Alimentazione, che aveva promesso di dimezzare il 
numero delle persone sottonutrite entro il 2015, denuncia il direttore generale della FAO Jacques Diouf 
durante la conferenza per la presentazione del rapporto annuale SOFI (State Of Food Insecurity), nei 
paesi in via di sviluppo ci sono pi� persone affamate oggi � 820 milioni � di quante non ce ne fossero 
nel 1996 �...E lungi dal diminuire questo numero � in realt� in aumento, alla media di quattro milioni 
l'anno� (Lo Stato dell�Insicurezza Alimentare nel Mondo 2006, FAO Comunicato Stampa, Roma, 30 
ottobre 2006 pubbl. su: www.fao.org/newsroom/it/).
348 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
stata la riforma della previgente legislazione in materia di propriet� intellettuale 
(C.P.A. Order No. 81 del 26 ottobre 2004), un intervento che ha 
praticamente sortito l�effetto di sopprimere il diritto degli agricoltori iracheni 
a riutilizzare le proprie sementi autoctone per i prossimi 20 anni, assoggettando 
nel contempo il paese alla necessit� di ricorrere a forniture 
sementiere estere ad alto contenuto tecnologico e al rispetto di regole estranee 
alle tradizioni agricole locali, ancora vive nella �mezzaluna fertile� 
della Mesopotamia (7). La circostanza, al di l� del caso emblematico, lascia 
(7) Nel 2003 una bomba ha distrutto l�edificio che ospitava la banca genetica delle sementi irachene 
ad Abu Grahib (fonte: M. BUSSOLATI, Biopirateria, Brevetti e Sovranit� agricola, ISDR n. 0 
Roma, 2005, pag 109), dove si conservavano i campioni di molte specie vegetali utilizzate dai contadini 
iracheni, frutto di un processo di selezione iniziato nel X� secolo avanti Cristo che, grazie al lavoro e 
alla sapienza di generazioni di contadini, aveva consentito soprattutto la creazione di variet� di grano 
adatte al particolare clima dell�area. Secondo un rapporto stilato dalla FAO fino a quel momento, circa 
il 97 per cento delle sementi utilizzate in Iraq provenivano dal mercato locale (M. BUSSOLATI, Biopirateria, 
Brevetti e Sovranit� agricola, ISDR cit., ivi, pag 109). Nel giugno del 2004, con l�intento dichiarato 
di aiutare l�Iraq liberato, l�Amministratore dell�Autorit� Provvisoria della Coalizione L. Paul 
Bremer III, ha introdotto una legislazione di 100 �Ordini� per modificare il precedente sistema normativo, 
tra i quali l� �Ordine 81�, che detta la nuova disciplina in materia di "Brevetti, Design Industriale, 
Informazioni Segrete, Circuiti Integrati e Diversit� Vegetale" (Patent, Industrial Design, 
Undisclosed Information, Integrated Circuits and Plant Variety Law of 2004, CPA Order No. 81, 26 
ottobre 2004) in riforma della precedente legislazione irachena sulla propriet� intellettuale, che risaliva 
al 1970. Per un commento sulle implicazioni del nuovo regime normativo si rinvia agli articoli US 
Seeking to Totally Re-Engineer Iraqi Traditional Farming System into a US Style Corporate Agribusiness, 
Jeremy Smith, The Ecologist, Londra, 2005, http://www.theecologist.org/article.html?article=
487 11feb2005 e Iraq's New Patent Law: A Declaration of War Against Farmers, Focus on the 
Global South and GRAIN, Girona 25, E-08010 Barcelona, Spain, 15 ottobre 2004, su www.grain.org. 
Storicamente, le leggi irachene proibivano la propriet� privata di risorse biologiche, mentre la legge 
introdotta dall�Autorit� Provvisoria della Coalizione consente diritti di privativa sulle sementi. Il paragrafo 
sulla Plant Variety Protection (PVP) introdotto con l�Order 81, � un diritto di Propriet� Intellettuale 
particolare (IPR), ovvero un tipo di brevetto che attribuisce diritti di esclusiva sul materiale 
vegetale a un plant breeder che dichiari di aver scoperto o creato una nuova variet�. La protezione 
PVP non ha nulla a che fare con la conservazione di una data variet�, ma protegge gli interessi commerciali 
di ibridatori privati (solitamente grosse compagnie multinazionali) che dichiarano di aver 
creato nuove piante. I requisiti richiesti per ottenere la protezione PVP implicano che le piante devono 
soddisfare gli standard della Convezione UPOV ossia devono essere: �nuove, distinte, uniformi e stabili�. 
Le sementi naturali prodotte dai contadini in modo tradizionale non possiedono queste caratteristiche 
e quindi i semi �di qualit�� che possono beneficiare della protezione PVP sono dominio esclusivo 
delle grandi industrie sementiere, che godono anche del diritto esclusivo di produrre, riprodurre, vendere, 
esportare importare e stoccare le variet� protette (solitamente bisognose di ingenti quantit� di additivi 
chimici per sopravvivere). Il termine temporale di protezione dell�uso esclusivo � di 20 anni per 
le coltivazioni vegetali comuni e 25 per gli alberi e le viti. In tale periodo la variet� protetta � di fatto 
propriet� del breeder, dunque nessun altro pu� piantare o altrimenti usare tali variet� senza pagare i 
diritti al detentore del brevetto. Questo nuovo regime normativo, comporta per gli agricoltori iracheni 
il divieto di conservare e ripiantare per l�anno seguente le sementi delle piante registrate con il PVP, 
che in pratica saranno le sole disponibili sul mercato (cfr.: Patent, Industrial Design, Undisclosed Information, 
Integrated Circuits and Plant Variety Law of 2004, CPA Order No. 81, 26 Aprile 2004, consultabile 
su: www.iraqcoalition.org/regulations/20040426_CPAORD_81_Patents_Law.pdf). 
Il primo e pi� immediato effetto della riforma � che l�agricoltore � costretto ad acquistare nuove sementi 
ogni anno, perdendo cos� una parte fondamentale della propria autonomia di produttore. Questo esem-
DOTTRINA 349 
senz�altro intuire la volont� delle istituzioni globali di confermare la tendenza 
inaugurata a suo tempo con il menzionato modello agricolo basato 
sulla monocoltura, gi� rivelatosi fallimentare sotto il profilo dei costi ambientali 
e sociali, e di tenere in spregio sia le riserve espresse dalle voci pi� 
responsabili del mondo scientifico sia il desiderio dei consumatori. 
In questa situazione occorre chiedersi se gli Stati siano ancora, ed eventualmente 
in quale misura, titolari di un autonomo potere di determinazione 
della propria politica agro-alimentare. 
La questione, da un lato, va inquadrata nell�ambito del tema pi� generale 
della crisi della sovranit� negli Stati nazionali e dei relativi fenomeni 
di dislocazione e concentrazione di una parte dei poteri statali a favore di 
nuovi soggetti internazionali; dall�altro, va esaminata in relazione alle reazioni 
sempre pi� decise della societ� civile che - su scala globale e nazionale 
- ha recentemente promosso numerose iniziative volte ad affermare la 
�sovranit� alimentare�(8), cio� il diritto dei popoli a decidere autonomamente 
quale modello di produzione agricola praticare per garantire nel presente 
e nel futuro un�alimentazione sana e sicura che consenta di sostenere, 
oltre al corpo (se si aderisce all�idea feuerbachiana che �L�Uomo � ci� che 
mangia�(9), anche mente e spirito. 
Tra questi due poli si colloca il ruolo che, nelle more del processo di 
riconfigurazione degli equilibri nazionali ed internazionali sul piano strettamente 
legislativo, potrebbe giocare la cosiddetta �Internazionale dei Giudici�. 
Con questa locuzione intendo alludere alla crescente attivit� di 
pio ricalca la modalit� a doppio binario, ormai consolidata, con cui le multinazionali agro-biotecnologiche 
hanno portato avanti le loro strategie di concentrazione: hanno acquisito le principali imprese 
sementiere, fino alla scomparsa di una industria sementiera indipendente dall�industria agrochimica, 
organizzando successivamente una forte azione di lobbying per il rafforzamento dei diritti di propriet� 
intellettuale esclusivi riguardanti sia il germoplasma, sia le conoscenze ad esso associate. Le due conseguenze 
molto negative dal punto di vista ambientale e sociale di tale strategia, riguardano la negazione 
del diritto secolare degli agricoltori di riutilizzare parte del proprio raccolto come semente e l�appropriazione 
da parte del detentore del titolo di propriet� delle innovazioni e delle conoscenze incorporate 
nelle variet� tradizionali. 
(8) Per �sovranit� alimentare� si intende il diritto dello Stato nazionale di definire le politiche 
desiderate in materia alimentare e agricola, di proteggere e regolamentare la produzione ed il commercio 
agricolo nazionale, decidere in quale modo il cibo deve essere prodotto, quali specie � permesso 
coltivare localmente e quali specie devono essere importate, salvaguardando l�auto-sufficienza della 
produzione. 
(9) LUDWIG FEUERBACH Das Geheimnis des Opfers oder Der Mensch ist, was er i�t (Il mistero 
del sacrificio, ovvero l�uomo � ci� che mangia), in L. Feuerbach: Gesammelte Werke II, Kleinere 
Schriften IV (1851-1866). Akademie Verlag, Berlin 1990, 26-52. Per quanto possa occorrere, inoltre, 
� doveroso segnalare che molte tradizioni culturali diverse dalla nostra (India, Cina, Tibet, Mongolia, 
ad esempio) hanno individuato ben prima dell�Occidente le strette correlazioni esistenti tra alimentazione 
e salute, (Integrated approaches towards drug development from Ayurveda and other Indian systems 
of medicine, Pulok K. Mukherjee and Atul Wahile School of Natural Product Studies, Department 
of Pharmaceutical Technology, Universit� di Jadavpur University, Calcutta 700032, India, Journal of 
Ethnopharmacology, Volume 103, n. 1, 3 gennaio 2006, pag. 25-35).
350 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
cooperazione tra corti nazionali e straniere, che ha dato luogo al fenomeno 
di cross fertilization del diritto domestico soprattutto per effetto del richiamo, 
in via interpretativa, alle sentenze pronunciate dalle Corti appartenenti 
ad altri ordinamenti. Fenomeno questo, che va letto in relazione anche 
alla creazione di tribunali e commissioni arbitrali internazionali, designati 
in assenza di garanzie che ne assicurino effettivamente terziet� ed imparzialit�, 
per decidere questioni inerenti a materie delicatissime che impattano 
significativamente la qualit� della vita dei singoli e i loro diritti fondamentali. 
All�interno del quadro tracciato, la sentenza del 21 maggio 2004/SCC 
034 - file n. 29437 pronunciata dalla Corte Suprema Canadese sul caso 
Monsanto/Schmeiser (10), la cui portata non esito a definire storica, apre 
scenari di indubbio interesse. 
La questione decisa dalla Suprema Corte canadese, riguardava un caso 
di contaminazione accidentale delle coltivazioni di colza convenzionale di 
propriet� del signor Schmeiser ad opera di semi OGM di colza Roundup 
Ready (brevetto Monsanto) portati dal vento, i cui geni modificati per resistere 
al glifosate avevano �colonizzato� quelli tradizionali dell�anziano 
agricoltore. Quest�ultimo, rifiutandosi di acquistare altre sementi - dato che 
da oltre 40 anni, ogni anno, conservava e riutilizzava le proprie - aveva riseminato 
quelle contaminate che contenevano il gene brevettato. 
La Monsanto, accertata la presenza del gene brevettato nelle piante 
dell�agricoltore, si era rivolta all�Autorit� Giudiziaria dando luogo ad una 
lunga vicenda giudiziaria ad esisto della quale la Corte Suprema canadese ha 
giudicato Schmeiser responsabile di patent infringement, cio�, di violazione 
del brevetto. Sulla base di una serie di considerazioni che verranno illustrate 
in seguito, per effetto della pronuncia sono stati consolidati i diritti di brevetto 
della Monsanto non solo sui semi contaminati, ma anche sulla produzione 
futura derivata da quelle sementi (in pratica, sulle nuove generazioni 
di piante �infettate� dall�OGM che esprimono i geni brevettati). 
Con il presente contributo intendiamo introdurre la questione se, in virt� 
delle nuove aperture dottrinali e giurisprudenziali che considerano favorevolmente 
il ricorso allo strumento ermeneutico della comparazione per age- 
(10) Con la citata sentenza Percy Schmeiser, un imprenditore agricolo canadese che aveva subito 
l�irreversibile inquinamento dei propri campi per accidentale contaminazione da colza MON Roundup 
Ready resistente al glifosate, nonostante la non colpevolezza provata in tre gradi di giudizio quanto all�accusa 
di �contrabbando� delle sementi geneticamente modificate della Monsanto, � stato ritenuto 
comunque responsabile di violazione del brevetto per aver riseminato le proprie sementi di colza contaminate. 
Per effetto di un argomentare impeccabile sul piano tecnico-giuridico quanto perverso nei 
suoi risultati, le conseguenze dell�inquinamento della colza tradizionale non - OGM sono state poste 
a carico dell�agricoltore che le ha subite. Recentemente Schmeiser ha intentato una causa contro la 
Monsanto per chiedere il risarcimento dei danni derivanti dall�inquinamento sofferto.
DOTTRINA 351 
volare il dialogo tra Corti Supreme e la globalizzazione giudiziaria, sia ipotizzabile 
il recepimento dei contenuti della sentenza Monsanto/Schmeiser 
anche in altri ordinamenti statali. 
2. Crisi della sovranit� nazionale, dello stato di diritto e delle garanzie dei 
diritti fondamentali nell�epoca attuale 
Lo Stato viene generalmente definito dalla dottrina classica come ordinamento 
giuridico originario caratterizzato dalla sovranit� interna ed 
esterna, cio� da una potestas superiorem non recognoscens che si esprime 
attraverso un popolo, un territorio e un governo. � pressoch� pacifico che 
si possa parlare di �Stato� in questa accezione solo a partire dal Trattato di 
Westfalia del 1648, che ne riconosceva la qualifica �...a quelle societ� politiche 
territoriali sovrane, contraddistinte da un�assoluta indipendenza sia 
dall�Impero che dal Papato�(11). 
Dopo il secondo evento bellico mondiale, la gran parte degli ordinamenti 
statali democratici da questo scaturiti si sono dotati di carte costituzionali 
ispirate a un modello che attribuiva la sovranit� al popolo, 
sottoponendo al principio di legalit� il corretto uso del potere sovrano (�La 
sovranit� appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti previsti 
dalla Costituzione�, art. 1, 2� c. della Costituzione italiana), entro il quadro 
di una democrazia rappresentativa che da un lato aspirava alla massima 
coincidenza possibile tra Stato-apparato e Stato-comunit� - e, dunque, alla 
migliore traduzione possibile della volont� dei governati da parte dei governanti 
- dall�altro, ad assicurare la pari dignit� e tutela di tutte le minoranze. 
In tale contesto, l�istituto della rappresentanza mirava a garantire che le decisioni 
politiche - le leggi e gli atti di governo - venissero prese tramite rappresentanti 
eletti con il suffragio universale dagli stessi soggetti cui erano 
destinate e, in alcuni casi, anche direttamente (es.: referendum). L�organicit� 
del sistema era assicurata da un assetto equilibrato dei vari poteri costituzionali, 
ispirato al principio della separazione del potere politico, esecutivo 
e giudiziario. 
Ma le cose stanno ancora cos�? 
A partire dall�ultimo quarto del secolo passato sovranit� nazionale e democrazia 
hanno subito una profonda crisi, originata dalla discrepanza tra la 
situazione reale ed il modello giuridico costituzionale previsto dal diritto 
positivo di rango costituzionale e dallo stato di diritto. 
Non vՏ chi non veda come nel mondo globalizzato i poteri economico, 
finanziario, militare e mass-mediatico si siano trasferiti prevalentemente al 
(11) P. BISCARETTI DI RUFFIA, Voce Stato, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 1993 XXX, 
pag. 1.
352 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
di fuori dei confini del diritto statale, in un contesto che li rende sempre pi� 
capaci di sottrarsi al controllo giurisdizionale nazionale e, nel contempo, 
anche di servirsene per i loro fini. 
La lex mercatoria si � affermata come �Grundnorm dell�ordinamento 
internazionale con la conseguente inversione del rapporto tra Stato e mercato: 
non � pi� la politica a governare e controllare l�economia, ma � l�economia 
a governare la politica�(12). 
Una volta perso il controllo delle dinamiche economiche, indispensabile 
per orientare lo sviluppo verso le finalit� individuate in sede politica, la sovranit� 
statale � stata progressivamente trasferita verso organizzazioni internazionali 
cui sono stati attribuiti, oltre al potere decisionale degli Stati 
nazionali in determinati settori, autonomi apparati burocratici e la capacit� 
di dettare in via autonoma norme direttamente incidenti sui rapporti interpersonali 
dei consociati degli Stati aderenti. 
Nell�ambito dei rapporti fra Stati nazionali ed interessi sovra-nazionali 
questa evoluzione � avvenuta gradualmente e �carsicamente�, in modo del 
tutto analogo a quanto � accaduto all�interno dell�ordinamento giuridico statale 
ove, anche il mutamento strisciante dell�assetto costituzionale dei poteri 
che ha poi condotto alla cosiddetta �costituzione silenziosa� (fatta di agenzie, 
istituti e reti plurali d�interessi, che affiancano e lentamente sostituiscono 
le costituzioni formali), � avvenuto dietro le quinte, in sordina e in modo 
non appariscente (13). 
Questa situazione ha minato l�impianto democratico dello stato nazionale 
nei suoi presupposti fondativi, sia nei paesi dell'Unione Europea (il cui 
deficit democratico consiste nel fatto che la maggior parte della legislazione 
in essi vigente � di origine comunitaria o sovra-nazionale, cio� direttamente 
o indirettamente prodotta da organi non rappresentativi, come la Banca Mondiale, 
il Fondo monetario internazionale, l'Organizzazione mondiale del 
Commercio, la Nato e simili), sia nei paesi poveri del sud del mondo. Come 
acutamente osservato (14), se la maggior parte delle norme vigenti in uno stato 
sono di origine extra-statale, il principio di legalit�, la riserva di legge, la soggezione 
del giudice alla legge, che fanno riferimento a una fonte tipicamente 
statale come la legge, vengono svuotati del loro senso originario insieme ai due 
principali elementi distintivi dello stato di diritto: la soggezione dei pubblici 
poteri alla legge e il controllo giurisdizionale sul loro operato ad opera di giudici 
(12) S. CASSESE La crisi dello Stato, Laterza, Bari, 2001, pag. 36-38. 
(13) M. CALISE, La costituzione silenziosa. Geografia dei nuovi poteri, Laterza, Roma-Bari, 1998, 
pag. 79-83. 
(14) LUIGI FERRAJOLI, Stato di diritto, democrazia e crisi dello Stato nazionale (Intervento al convegno 
internazionale Stato di diritto e diritti soggettivi. Questioni aperte, Firenze, 6 dicembre 2002) 
pubblicato su Jura Gentium, Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale, 
www.juragentium.unifi.it/it.
DOTTRINA 353 
indipendenti. Anche la forza delle Carte Costituzionali europee � stata piegata 
da limitazioni sempre pi� ampie, ed � proprio la trasversalit� del settore economico 
a porsi come punto di frizione tra la gerarchia dei valori tradizionali 
degli stati membri e quella liberista delle istituzioni europee e sovra-nazionali. 
In dottrina, alcuni Autori suggeriscono che questa crisi vada interpretata 
non solo come perdita della sovranit� in senso spaziale (�perdita dei confini 
del diritto�(15), ma anche come crisi dei valori positivistici che permeano l�idea 
di �Stato-normatore� in senso, appunto, positivistico, caratterizzato cio� dall�autonomia 
del diritto rispetto agli altri campi dell�agire e agli altri sistemi sociali. 
Con largo anticipo questa situazione venne preannunciata dalla migliore 
dottrina costituzionalistica, che fu in grado di prevedere come l�erosione della 
sovranit� avrebbe determinato la �perdita del centro� (16) nel diritto pubblico 
contemporaneo, per lasciare il posto a un�idea di diritto mite, fluido, incerto. 
In definitiva, il paradigma giuridico moderno sarebbe inadeguato a proiettarsi 
�oltre lo Stato� e, quindi, inidoneo ad affrontare il nuovo contesto caratterizzato 
da una discontinuit� di livello rispetto al passato. 
La crisi dovuta alla perdita della capacit� regolativa dello stato, percepita 
come un vuoto di diritto pubblico, di sfera pubblica, cio� di garanzia dei diritti 
fondamentali, un �vuoto non di diritto, ma di diritto pubblico... inevitabilmente 
colmato dal diritto privato... che si sostituisce alle forme tradizionali della 
legge e riflette immancabilmente la legge del pi� forte�(17), secondo alcuni 
orientamenti che si muovono all�interno della tradizione positivista sarebbe rimediabile 
solo con la rifondazione del diritto internazionale e con la costituzione 
di un nuovo diritto pubblico adeguato, basati non pi� sulla sovranit� degli 
(15) A. AMENDOLA, I confini del diritto, La crisi della sovranit� e l�autonomia del giuridico. Napoli, 
Edizioni Scientifiche, 2003, p. 1. L�Autore osserva che: � ... se la sovranit� garantiva insieme l�indipendenza 
territoriale e l�autonomia del diritto, va quantomeno indagato in quale misura la sua crisi 
metta in discussione non solo la determinazione territoriale dei singoli ordinamenti, ma anche il significato 
stesso dell�autonomia del diritto e della sua differenziazione dagli altri campi dell�agire e degli 
altri sistemi sociali�, e cio� l�autonomia del diritto dai campi dell�etico, del religioso, dell�economico. 
(16) G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Torino, Einaudi 1992, p. 8. Per la 
tradizione giuspositivistica, il diritto non pu� essere mite, poich� esso � organizzazione della coercizione. 
Il �diritto mite� � tale perch� composto da leggi, da diritti e da principi di giustizia e, nella misura in cui 
nel �diritto mite� si verifica una contaminazione tra diritto e morale, si verifica con ci� stesso anche una 
contaminazione tra diritto e politica. Lo �Stato di diritto� ha a che fare con una concezione rigorosamente 
legata al presupposto della coattivit� del diritto, che non pu� essere in alcun caso �diritto mite�. Invece, 
nella prospettiva dello �Stato costituzionale dei diritti� lo Stato � costituzionale e la costituzione fa da 
sistema di unificazione di una societ� pluralistica, unificazione che avviene non solo tramite la legge, 
ma anche tramite diritti e principi di giustizia materiale. E nei diritti e nei principi di giustizia vՏ un�evidente 
radice giusnaturalistica, mentre nelle leggi il richiamo � al positivismo. In questa delimitazione 
rispetto all�orizzonte positivistico, Zagrebelsky si oppone a Kelsen e dice che alla scientia juris avalutativa 
si sostituisce la juris prudentia. 
(17) L. FERRAJOLI, Principia Juris. Teoria del Diritto e della Democrazia, Laterza GFL, Roma- 
Bari 2007, pag. 531.
354 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
stati ma sulle autonomie dei popoli, in cui possa trovare spazio lo sviluppo di 
nuove istituzioni internazionali rappresentative (18). Una globalizzazione non 
solo economica ma anche politica, insomma, caratterizzata dalla pluralit� degli 
ordinamenti. 
Altre voci della cultura giuridica, al contrario, lamentando i limiti della 
neutralit� assiologica positivista di fronte agli interrogativi di carattere etico 
sollevati dalla globalizzazione economica, sostengono la necessit� di un cambiamento 
di paradigma ispirato a nuove connessioni forti tra diritto e morale, 
con aspirazioni di validit� erga omnes (19). L�ispirazione universalistica della 
teoria dei diritti fondamentali da questi proposta, tuttavia, si rivela forse ancor 
pi� inadatta rispetto a quella di derivazione positivistica per le sue tentazioni 
�monoculturali�. 
Tra le due posizioni fondamentali rappresentate con diverse gradazioni di 
�rigidit�� dai sostenitori dell�approccio positivistico anche in dimensione superstatale 
e le correnti caratterizzate da aspirazioni universalistiche, esiste un 
altro orientamento dottrinale che propone si possa lasciar spazio ad un positivismo 
soft, inclusivo, (20) considerato come l�approccio pi� adatto sia per trasformare 
profondamente il modo di intendere la separazione tra diritto e 
morale e le sue disfunzioni non pi� eludibili, sia per evitare l�abbandono della 
teoria giuridica descrittiva (positivismo metodologico) per una teoria dei diritti 
direttamente normativa (21). Il positivismo soft potrebbe diventare l�occasione 
(18) L. FERRAJOLI Principia Iuris. Teoria del Diritto e della Democrazia, Laterza, Roma-Bari, 
2007, pag. 548 ss. 
(19) Il maggior esponente di questa corrente dottrinale � Ronald Dworkin. In senso critico, FRANCESCO 
RIMOLI Universalizzazione dei diritti fondamentali e globalismo giuridico: qualche considerazione 
critica. I diritti fondamentali: problema teorico o strumento di conquista?, in Studi in onore di 
Gianni Ferrara, a cura di Gaetano Azzariti, Giappichelli Editore, Torino, 2005. 
(20) Tra i pi� illustri esponenti Jules Coleman e H.L.A. Hart. WILFRID J. WALUCHOW nella sua 
opera Inclusive Legal Positivism offre una descrizione e una difesa di quello che viene chiamato positivismo 
inclusivo od anche soft positivism. Ci� che caratterizza il positivismo inclusivo, differenziandolo 
dal �positivismo esclusivo� di Joseph Raz, sarebbe la tesi secondo cui la morale pu� giocare un ruolo 
nella determinazione dell�esistenza, del contenuto e del significato delle norme valide. L�argomentazione 
avanzata da Waluchow fa leva soprattutto su due fatti: a) in primo luogo, le corti si appellano a principi 
morali per risolvere e giustificare le loro decisioni, senza che questo costituisca creazione di nuovo diritto; 
b) in secondo luogo, i documenti normativi pi� in alto nella gerarchia delle fonti, le costituzioni, 
fanno esplicito riferimento a principi e valori morali condizionando l�attivit� legislativa senza che questo 
determini un abbandono della tesi della separazione fra diritto e morale. 
(21) Su questo punto Barberis avverte...�che una concezione generale dell�etica sia rilevante per 
la filosofia del diritto - in particolare per quel problema dei rapporti fra diritto, morale, o etica che � al 
centro della secolare discussione fra giuspositivismo e giusnaturalismo - pu� sembrare ovvio, ma non 
lo � affatto: la distinzione fra monismo e pluralismo etico � logicamente indipendente dalla distinzione 
fra positivismo giuridico e giusnaturalismo: tanto il giuspositivismo quanto il giusnaturalismo possono 
aderire, in etica, sia al monismo sia al pluralismo. Come sarebbe facile mostrare in dettaglio, alla tesi 
giuspositivista della separabilit� identificativa fra diritto e morale pu� aderire tanto un monista etico 
come Nino quanto un pluralista etico come Kelsen: come del resto alla tesi giusnaturalista della connessione 
giustificativa fra diritto e morale pu� aderire tanto un monista come Nino quanto un pluralista
DOTTRINA 355 
per l�apertura di spazi plurimi di �negoziazione del conflitto sociale e politico, 
in una visione del diritto che accetti definitivamente la sua continua permeabilit� 
non a un�etica fissata una volta per tutte nel cielo dei principi, ma agli 
esiti sempre rinegoziabili di tali conflitti�, e per la ricerca di un �vocabolario 
minimo� dei diritti fondamentali (22) condivisibile da tutti (secondo un�interpretazione 
�minimalista� del paradigma dei diritti), a partire dal quale possano 
trovare fondamento idee diverse di sviluppo umano. 
3. Limiti alla potest� normativa statale in materia agro-alimentare. Cenni 
Il settore agro-alimentare, rivestendo per sua natura rilevanza strategica, 
� stato interessato da una profonda evoluzione legislativa a partire dal secondo 
dopoguerra e vive, ormai da diversi anni, una fase di grande trasformazione 
caratterizzata dalla sempre maggior marginalit� della potest� legislativa nazionale. 
A una legislazione espressione della sovranit� dello Stato e a una regolamentazione 
dell�industria alimentare intesa in senso restrittivo e soggetta a 
controllori pubblici investiti di funzioni sanzionatorie, si � andato sostituendo 
un quadro complesso che segna il primato del diritto comunitario (23) e delle 
norme del commercio internazionale. 
come Finnis. Vi � per� almeno un tema, cruciale per l�odierno dibattito filosofico-giuridico, per il quale 
l�alternativa fra monismo e pluralismo etico appare immediatamente rilevante: il tema dell�interpretazione 
costituzionale. Si tratta di quel settore dell�interpretazione giuridica nel quale � pi� comune il ricorso 
a princ�pi, diritti e valori morali o pi� generalmente etici; del settore, in particolare, nel quale il 
conflitto fra valori non pu� considerarsi certo patologico, bens� fisiologico. � noto che, nella prassi effettiva 
delle Corti costituzionali, il conflitto fra i princ�pi � o fra gli stessi diritti o valori che essi incorporano, 
o ai quali rinviano � non viene risolto per mezzo dei comuni criteri di soluzione delle antinomie; 
di fronte a conflitti del genere, i giudici costituzionali ricorrono invece a quella particolare tecnica di 
soluzione dei conflitti che � la ponderazione o il bilanciamento: la valutazione di quale fra due princ�pi 
o valori confliggenti prevalga (non in generale, bens�) caso per caso�. M.BARBERIS, L�eterogeneit� del 
bene. Giusnaturalismo, giuspositivismo e pluralismo etico, in Paolo Comanducci � Riccardo Guastini 
(a cura di), Analisi e diritto 2002-2003. Ricerche di giurisprudenza analitica, Giappichelli, Torino, 2004, 
pp. 13-20. 
(22) Come argomentato nel contributo di D. ZOLO in M. Ignatieff, Una ragionevole apologia dei 
diritti umani, Milano, Feltrinelli, 2003 relativamente alla portata universalistica dei diritti umani, una 
volta sfatato il mito della loro indimostrata universalit� e indivisibilit�, occorre affermarli solo come 
�libert� negativa� e considerarli come un linguaggio che crea le basi per la deliberazione, un �vocabolario 
minimo�, appunto. Essi possono costituire il quid minimo umano nel quale possono attecchire idee diverse 
di sviluppo (entro un'ottica che prevede una pluralit� dei modelli di vita buona). La loro universalit� 
non dovrebbe poter andare oltre la protezione della sicurezza e la libert� di autodeterminazione degli 
individui. 
(23) A partire dagli artt. 2-3, artt. 34-46 (attuali 32 � 38 TCE) del Trattato di Roma del 1957 che 
prevedevano la creazione di una Politica Agricola Comunitaria (PAC) cui � stato conferito un carattere 
di specialit�. Alcuni spunti critici molto interessanti sono elaborati in G. F. LACCONE, Per una riflessione 
critica sulla Politica Agricola Comune europea, Storia della Politica Agricola Comune Europea, consultabile 
on-line su http://www.altragricoltura.org/fcbasilicata/cd/pac/storia_PAC_Laccone.pdf. pag 2:
356 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
A partire dal Trattato di Roma del 1957, l�Europa ha deciso di dotarsi di 
una Politica Agricola comune (articoli 38 � 46 , attuali 32 � 38 TCE) conferendole 
un carattere di specialit� e imprimendole un forte orientamento produttivistico 
per garantire l�autosufficienza alimentare e l�accessibilit� dei 
prezzi sul mercato. Per circa un trentennio ha perseguito tale finalit� fin verso 
la fine degli anni Ottanta, quando una serie di fattori hanno contribuito a determinare 
una svolta decisiva alla politica agricola comunitaria (PAC). L�entrata 
in vigore dell�Atto Unico (24), ha favorito l�allargamento della PAC a 
questioni non immediatamente legate alla produttivit� agraria: si � cominciato 
a parlare di sviluppo rurale inteso come insieme delle attivit� degli abitanti 
dell�ambiente rurale. Correlativamente la Commissione ha posto l�accento sull�importanza 
della salvaguardia della qualit� nel quadro della PAC, incentivando 
la rivalutazione delle metodiche produttive tradizionali con determinati 
strumenti, quali il riconoscimento di particolari tutele per le denominazioni 
d�origine e geografiche e per le specialit� tradizionali garantite. L�inserimento 
della tutela dell�ambiente fra le politiche comunitarie ha a sua volta 
giocato un ruolo fondamentale nella modifica della PAC, contribuendo a 
spostare l�obiettivo da una produzione di tipo essenzialmente �quantitativo�(
25) a uno sviluppo qualitativo in linea con la politica agraria comu- 
�La PAC � un processo complesso, tappa fondamentale di un percorso che, sotto il segno del mercato, 
nella seconda met� del XX secolo ha ricostruito l�unit� del sistema agricolo che, � bene ricordarlo, esisteva 
in Europa prima dell�avvento degli stati � nazione. Nel corso di quarant�anni di PAC � finito un 
mondo - quello dei contadini -, si � esaurito un mito - quello della modernizzazione delle campagne -, 
sono nati nuovi soggetti sociali (imprenditori agricoli molto spregiudicati, aziende multifunzionali, imprese 
efficienti polisettoriali, contadini ecologisti, lavoratori part-time, braccianti ultraflessibili intersettoriali, 
nuovi schiavi, ecc.); tutto ci� pone altre necessit� rispetto a quelle che mossero la nascita 
della PAC negli anni sessanta. � per questo che la PAC di oggi va necessariamente cambiata ed � su 
questo che si confrontano due diversi modi di vedere le cose tra quanti propendono per la trasformazione 
neoliberista del mondo � e tra essi anche una parte di quelli che si definiscono agricoltori � e quanti la 
osteggiano. I primi vogliono che la PAC cambi nel segno della �finanziarizzazione del sistema� (cio� 
del processo che omologa ai sistemi finanziari tutti i processi di produzione e scambio), perdendo parte 
di quei connotati sino ad ora avuti, e perseguendo il basso prezzo dei prodotti di base ed il mercato a 
flessibilit� totale; i secondi intendono trovare obiettivi e parole d�ordine coerenti e praticabili anche in 
campo agricolo, cercando di restituire ruolo e immagine alla figura dei contadini e dando all�agricoltura 
uno spazio proprio nell�ipotesi di �altro mondo possibile��. 
(24) L'Atto unico europeo (AUE), firmato a Lussemburgo e all'Aja ed entrato in vigore il 1� luglio 
1987, ha riformato il Trattato di Roma e posto le basi per una maggiore integrazione tra i paesi della 
Comunit� sotto tre profili: per un passaggio dal mercato comune al mercato unico, per nuovi e pi� importanti 
poteri alla Comunit� e per nuove regole di decisione degli organi comunitari. 
(25) L�esigenza di limitare i costi delle sovrapproduzioni, unita a quella di allineare le politiche 
dell�agricoltura comunitaria alle regole del GATT (secondo cui i sostegni alla produzione erano ammessi 
solo quando non interferivano sugli scambi) portarono, nel 1992, alla riforma Mac Sharry, per effetto 
della quale si � passati al sostegno diretto degli agricoltori con un sistema di aiuti compensativi concessi 
per unit� di superficie o di bestiame ad ogni agricoltore comunitario. I riformatori �... pretendevano di 
avviare una riforma non solo per ridurre le eccedenze produttive e l�onere delle spese, ma per correggere 
la distribuzione degli aiuti che arrivava ad attribuire l�80% delle risorse economiche al 20% degli agricoltori 
e per impedire il fenomeno di abbandono delle zone meno fertili e svantaggiate. La riforma Mac
DOTTRINA 357 
nitaria, anche se l�utilizzo di pratiche agricole poco rispettose dell�ambiente 
non � stato totalmente superato. 
La Commissione europea ha quindi presentato, nel 1997, l�Agenda 
2000, un insieme di interventi fra cui rientravano l�aumento della competitivit� 
dell'agricoltura europea con l'accostamento dei prezzi europei a 
quelli mondiali, la garanzia di qualit� degli alimenti per la tutela dei consumatori, 
la stabilit� dei redditi in agricoltura e adeguamento del livello di 
vita degli operatori agricoli, l�incremento dell'occupazione, la ricerca di 
forme di reddito alternativi per le imprese e la sostenibilit� ambientale della 
produzione agricola. L�attenzione del Legislatore europeo si � spostata dal 
prodotto al produttore, attribuendo agli agricoltori ruoli nuovi ed ulteriori 
di presidio ecologico, di salvaguardia del territorio di tutela delle tradizioni 
culturali ed eno-gastronomiche. Tali obiettivi, tuttavia, sono stati largamente 
disattesi. 
Il Regolamento (CE) n. 1782/03 (GUCE L 270 del 21 ottobre 2003), 
accogliendo nominalmente la sfida della creazione di un modello di sviluppo 
sostenibile ha attuato un�ulteriore riforma della politica agricola comune, 
innovandone profondamente gli strumenti di intervento e 
completando il processo iniziato nel 1992 con la riforma MacSharry. Le 
nuove regole, applicate a partire dal gennaio 2007, tendono all'equilibrio 
finanziario tra gli interventi di mercato e quelli di sviluppo rurale (spostando 
risorse dai primi ai secondi attraverso la cosiddetta modulazione), 
mutano le modalit� di sostegno al reddito dei produttori (introduzione del 
disaccoppiamento) e, infine, impongono il rispetto di norme vincolanti 
(condizionalit� CGO e BCAA (26)) per la conservazione dei suoli, per la 
protezione dell'ambiente e per il benessere degli animali. 
Il sistema cos� delineato deve confrontarsi con le problematiche derivanti 
dall�allargamento ad est dell�Unione europea e con le pressioni originate 
dal negoziato del Doha Development Round dell�OMC, che 
impongono un processo di riforma continuo. 
A proposito di quest�ultimo punto, occorre subito dire che l�importanza 
delle fonti internazionali nel diritto agro-alimentare e la loro incidenza sulle 
corrispondenti norme comunitarie e nazionali oggi � preponderante, tanto 
Sharry ha invece cristallizzato le posizioni e, priva di ogni sistema di modulazione, ha premiato la rendita, 
poich� ha concesso in modo direttamente proporzionale di pi� a chi aveva pi� terre arabili nelle 
zone pi� fertili. Non solo, ma il fatto di dare l�aiuto per ettaro in modo fisso, senza considerare le economie 
di scala, ha dato nelle mani dei grandi proprietari masse enormi di danaro che, lungi dall�essere 
reinvestite, sono restate nelle banche ad uso delle grandi manovre finanziarie del decennio passato; si 
� trattato di un tassello importante del processo di �finanziarizzazione dell�agricoltura��, cfr. G.F.LACCONE 
Per una riflessione critica sulla Poltitica Agricola Comune europea in Storia della Politica Agricola 
Comune Europea, ivi pag 11-12. 
(26) CGO: criteri di gestione obbligatori; BCAA: buone condizioni agronomiche e ambientali.
358 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
da potersi affermare che la gerarchia delle fonti di produzione normativa 
in questa materia si configura, in senso decrescente, come segue: Organizzazione 
Mondiale del Commercio (OMC), Unione Europea, Stato centrale 
(o Federale) e Regione. 
L�accordo istitutivo dell�Organizzazione Mondiale del Commercio prevede 
una rilevante rete di vincoli di natura soprattutto qualitativa (27) e, 
insieme all�Accordo Agricolo allegato al Trattato di Marrakesh, � orientato 
alla liberalizzazione dei mercati agricoli in base ai parametri che � ... verranno 
progressivamente irrigiditi... a seguito dei risultati del Millennium 
Round�(28) per ottenere l�abbattimento delle �barriere di tipo economico� 
(dazi doganali, prelievi, restituzioni e sovvenzioni all�agricoltura nazionale) 
e di quelle di tipo �tecnico�(29) e commerciale. In quest�ottica l�Accordo 
individua tre priorit� essenziali: -1. ridurre il sostegno interno all�agricoltura 
(parte IV artt. 6, 7); -2. ridurre progressivamente le sovvenzioni alle esportazioni 
(part. V , artt. 8, 9, 10); -3. aumentare l�accesso delle importazioni 
al mercato interno di ciascun Membro. 
La previsione di queste finalit�, necessariamente, limita i Membri 
dell�OMC (Stati e Comunit�) nella possibilit� di adottare una politica agricola 
autonoma. Tra gli accordi dell�OMC ha una notevole importanza l'accordo sui 
TRIP�s (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights), che sancisce 
l'obbligo di "rendere disponibili i brevetti per tutti i tipi di invenzioni, sia di 
prodotto che di processo, in tutti i campi della tecnologia" (art. 27.1) e di 
"provvedere alla protezione delle variet� vegetali o tramite brevetti o tramite 
un efficace sistema sui generis o tramite la combinazione dei due sistemi" (art. 
27.3b). L'importanza dell'accordo TRIP�s consiste nel tentativo di estendere 
geograficamente (sono membri dell�OMC circa 150 paesi) l'obbligo di appli 
(27) SILVIA MANSERVISI in Il nuovo diritto agrario comunitario. Atti del Convegno organizzato 
in onore del prof. Luigi Costato (in occasione del suo 70� compleanno), Ferrara-Rovigo, 19-20 novembre 
2004 / a cura di Ettore Casadei e Giulio Sbarbanti, Giuffr�, 2005, pag. 516 ss. 
(28) L. COSTATO, Politica Agricola Comunitaria e Commercio Internazionale, in Commercio Internazionale 
sostenibile? WTO e Unione europea, a cura di L. S. Rossi, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 
262. 
(29) A titolo esemplificativo, l�Accordo sulle Misure Sanitarie e Fitosanitarie in agricoltura, la 
cui incidenza � notevole perch� regola questioni di primissima importanza (ad esempio le modalit� applicative 
dell�atteggiamento precauzionale che influenzano la normativa sugli OGM. Il coordinamento 
fra Accordo Agricolo e l�SPS Agreement � operato dall�art. 14, parte VIII del primo). Per un�analisi del 
ruolo del Codex Alimentarius in qualit� di Ente promotore dei processi di �armonizzazione�/standardizzazione 
dei sistemi di regolamentazione della coesistenza tra colture OGM e non sotto l�Accordo 
sulle Misure Sanitarie e Fitosanitarie, si rimanda agli atti del Convegno tenutosi a Montpellier, il 14-15 
novembre del 2005 sugli International legal aspects of the co-existence between GM and non-GM products: 
approaches under international environment law and international trade law L. Boisson de Chazournes 
& M.-M. Mbengue Law Faculty of the University of Geneva, Department of Public International 
Law and International Organization, Uni Mail, 40, bd Pont-d�Arve, 1211 Gen�ve 4, Switzerland, pubblicato 
da Agripolis Productions (Montpellier) e scaricabile dal sito:www.gmcc05.com/pdf/GMCC05.pdf
DOTTRINA 359 
cazione dei brevetti al settore farmaceutico e agricolo. 
In Europa, l�adeguamento dell�ordinamento comunitario alle regole contenute 
nell�Accordo Agricolo e nel Trattato di Marrakech � avvenuto con 
l�emanazione del Regolamento n. 3290/94 del Consiglio del 22 dicembre 1994 
(G.U.C.E. n. L 349 del 31 dicembre 1994). L�art. 118 del Trattato di Lisbona, 
come ben illustrato dalla dottrina pi� recente, sembra destinato a rafforzare il 
sistema internazionale di protezione della propriet� intellettuale TRIP�s (30). 
Oltre alle norme internazionali derivanti dall�OMC e dall�Accordo Agricolo 
allegato, occorre ricordare numerose altre norme di diritto internazionale 
che si pongono come limiti alla potest� legislativa statale e comunitaria. Tra 
le pi� significative occorre menzionare la Convenzione sulla Diversit� Biologica 
(31), il protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza (32) il Trattato internazionale 
sulle Risorse Fitogenetiche per l�Alimentazione e l�Agricoltura (33), 
il Protocollo di Kyoto (34), ratificati sia dalla Comunit� Europea che dall�Italia, 
dotate per� di minore capacit� incisiva rispetto all�OMC e all�Accordo 
Agricolo per gli strumenti di enforcement di cui dispongono. Esistono anche 
degli organismi tecnici di rilevanza internazionale capaci di condizionare le 
modalit� di produzione agro-alimentare sul fronte igienico-sanitario, il cui 
ruolo su scala globale � andato man mano acquisendo sempre maggior incisivit� 
(35). 
(30) W. KINGSTON Intellectual Property in the Lisbon Treaty pubblicato sulla Rivista European 
Intellectual Property Rights , n. 11 del 2008, pag.439 (Sweet & Maxwell. ISSN (printed): 0142-0461). 
(31) Convenzione sulla Diversit� Biologica. Sottoscritta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992, ratificata 
in Italia con la legge n. 124 del 14 febbraio 1994 di �Ratifica ed esecuzione della convenzione 
sulla biodiversit�, con annessi, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992�. 
(32) Il Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza � un accordo supplementare alla Convenzione 
sulla Diversit� Biologica adottato il 29 gennaio 2000, cui l�Italia ha aderito il 29 Marzo 2004 con la 
Legge n. 27/2004 di �Ratifica ed esecuzione del Protocollo�. 
(33) Trattato Internazionale sulle Risorse Fitogenetiche per l'Alimentazione e l'Agricoltura, adottato 
dalla 31� riunione della Conferenza della FAO a Roma il 3 novembre 2001 e ratificato in Italia con 
la Legge 6 aprile 2004, n. 101, di �Ratifica ed esecuzione del Trattato internazionale sulle Risorse Fitogenetiche 
per l'Alimentazione e l'Agricoltura, adottato dalla 31� riunione della Conferenza della FAO a 
Roma il 3 novembre 2001�. 
(34) Protocollo di Kyoto allegato alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti 
climatici, sottoscritto a Kyoto l�11 dicembre 1997 e ratificato in Italia con la Legge 1� giugno 2002, n. 
120 di �Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite 
sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l'11 dicembre 1997�. 
(35) Ad esempio, la Commissione del Codex Alimentarius (creata congiuntamente dalla FAO e 
dall�Organizzazione Mondiale della Sanit� e attualmente riferimento consultivo in sede OMC), che promuove 
su scala globale un sistema di standard di controllo igienico ideato negli USA negli anni �60, 
con l�intento di assicurare che gli alimenti forniti agli astronauti della NASA non avessero alcun effetto 
negativo sulla loro salute, tale da mettere a rischio le missioni nello spazio (HACCP Hazard Analysis 
Critical Control Point). Questi standard, una volta incorporati nella legislazione diventano vincolanti 
per ogni operatore dell�industria agro-alimentare. In questi ultimi anni il quadro di riferimento � profondamente 
mutato soprattutto a causa dell�istituzione dell�Organizzazione Mondiale del Commercio 
creata nel 1995, a seguito del negoziato dell�Uruguay Round. In particolare, l�Accordo sulle misure sa-
360 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
La Corte di Giustizia dell�Unione Europea, inoltre, ha svolto un ruolo di 
fondamentale importanza nella definizione della politica agricola dei singoli 
stati membri (ad esempio, per quanto concerne la creazione delle condizioni 
per l�accoglimento delle biotecnologie in ambito agricolo sono state determinanti 
la sentenza 9 ottobre 2001, Causa C-377/98 e, da ultimo, la sentenza C- 
439/05 P e C-454/05-P di condanna dell�Austria per il bando all�immissione 
deliberata di OGM nell�ambiente, la sentenza C-429/01 del 27 novembre 2003 
di analogo contenuto, la sentenza C-6/99 del 21 marzo 2000). 
Infine, per completezza, � necessario accennare alle modifiche al titolo 
V della Costituzione introdotte dalla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 
2001, che hanno inciso notevolmente sulla definizione dei rapporti con il diritto 
internazionale, in particolare quello pattizio, attraverso la nuova formulazione 
dell�art. 117 1�comma che individua nel vincolo al rispetto degli 
obblighi internazionali convenzionali un limite all�esercizio della potest� legislativa 
di Stato e regioni (36). Prima della modifica dell�art. 117 della Cost. 
soltanto il diritto internazionale generale e consuetudinario erano espressamente 
presi in considerazione dall�art. 10, 1� e 2� comma della Costituzione, 
mentre mancava un esplicito riferimento all�attuazione dei trattati internazionali 
e degli obblighi comunitari. La nuova formulazione dell�art. 117 impegna 
nitarie e fitosanitarie (SPS) e l�Accordo sugli ostacoli tecnici al commercio (OTC) hanno assunto un 
ruolo determinante per le attivit� del Codex Alimentarius. Infatti, i due accordi richiamati riconoscono 
l�importanza dell�armonizzazione normativa a livello internazionale, al fine di ridurre al minimo il rischio 
che le norme sanitarie, fitosanitarie o altri regolamenti tecnici, possano tradursi in ostacoli ingiustificati 
al commercio. In particolare, con riferimento alla innocuit� dei prodotti alimentari l�accordo 
SPS ha esplicitamente individuato e scelto ai fini dell�armonizzazione le norme, le direttive e le raccomandazioni 
stabilite dalla Commissione del Codex Alimentarius, ritenendole scientificamente valide. 
In effetti, in caso di contenzioso in sede OCM, un Paese che applicasse misure pi� restrittive rispetto a 
quelle sabilite dal Codex potrebbe essere chiamato a fornire adeguata giustificazione scientifica. Pertanto, 
dopo l�Uruguay Round, le norme Codex che nel passato erano destinate ad una applicazione su base 
volontaria da parte dei Paesi membri hanno assunto una valenza assai pi� vincolante a livello mondiale. 
L�HACCP � stato introdotto in Europa con la direttiva 43/93/CEE - recepita in Italia con il Decr. Lgs. 
26 maggio 1997, n. 155 -, che prevede l'obbligo di applicazione del protocollo HACCP da parte di tutti 
gli operatori a qualsiasi livello della catena produttiva alimentare. Successivamente, questa normativa 
� stata sostituita con il regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 
aprile 2004, sull'igiene dei prodotti alimentari. Da allora il sistema HACCP � stato reso obbligatorio 
anche per le aziende che hanno a che fare con i mangimi per gli animali destinati alla produzione di alimenti 
(produzione delle materie prime, miscele, additivi, vendita, somministrazione. L�imposizione di 
standard unici con validit� globale ha suscitato non poche resistenze per l�impatto sui prodotti tradizionali 
tipici (molto note sono le vicende relative ai formaggi da latte crudo e ad altri prodotti tipici, ad es., il 
lardo di colonnata, che ovviamente non possono rientrare negli standard igienici previsti per gli astronauti). 
In tutto il mondo i piccoli produttori di generi alimentari e i commercianti di tipo tradizionale 
stanno progressivamente cessando l�attivit� a causa della gravosa legislazione che impone spese fuori 
dalla loro portata in nome di un��igiene contro-natura� (cfr. The Ecologist Special Report, giugno 2001, 
pubblicato in L'Ecologist italiano n. 3, luglio 2005). Profili di maggior problematicit� riguardano anche 
gli integratori alimentari e gli ingredienti della farmacopea delle medicine tradizionali. 
(36) B. CONFORTI, Sulle recenti modifiche della Costituzione Italiana in tema di rispetto degli obblighi 
internazionali e comunitari, in Foro It., 2002, p. 229 ss. 
DOTTRINA 361 
il legislatore statale e regionale al rispetto di tutti gli obblighi internazionali e, 
quindi, di tutti gli obblighi derivanti dai trattati e dalle fonti derivanti dai trattati 
(37): come acclarato dalla Corte Costituzionale, con le sentenze n. 348 e 349 
del 2007 citate supra, attualmente costituiscono parametro della costituzionalit� 
delle leggi e degli atti aventi forza di legge. 
4. Sovranit� alimentare e diritto fondamentale al cibo. Work in progress.... 
Negli ultimi anni molte componenti della cosiddetta societ� civile hanno 
accresciuto notevolmente la propria consapevolezza riguardo al valore dei beni 
ambientali, dell�acqua, dell�agricoltura e dell�alimentazione, interrogandosi 
altres� su quanto sia saggio consegnare nelle mani di un mercato oligarchicamente 
governato e dei suoi referenti tecnico-scientifici il futuro dell�accesso 
a tali risorse. Di conseguenza � aumentata la richiesta di partecipazione ai processi 
decisionali che interessano queste materie da parte di cittadini, consumatori, 
agricoltori ed ecologisti, che non vogliono pi� essere destinatari passivi 
di decisioni prese altrove. Nei paesi industrializzati, una forte spinta in questo 
senso � stata determinata sia dal verificarsi di eventi tragici legati alla sicurezza 
alimentare sotto il profilo igienico (quali, ad esempio, la morte di numerose 
persone dovuta al consumo di carni bovine contaminate dal virus dell�encefalopatia 
spongiforme; le morti e le intossicazioni causate dal triptofano OGM 
(38) negli USA; il caso del vino al metanolo in Italia), sia dalla preoccupazione, 
suffragata da sempre pi� numerose evidenze scientifiche (39), per 
(37) C. PINELLI I limiti generali alla potest� legislativa statale e regionale e i rapporti con l�ordinamento 
internazionale, in Foro it., 2001, V, p. 924 ss. 
(38) L�assunzione di un integratore contenente triptofano ottenuto da batteri OGM introdotto 
senza etichettatura nel mercato americano port�, rispettivamente, alla morte di 37 e all�intossicazione 
accertata di 1.580 persone. La modificazione genetica aveva comportato un'alterazione nel metabolismo 
dei batteri con la comparsa di metaboliti secondari tossici del tutto sconosciuti ed imprevisti (fonte: 
www.legambiente.eu/documenti/2002/2002ogm.pdf). Per una cronaca dettagliata dell�intera vicenda si 
rinvia al testo di JEFFREY M. SMITH, L�inganno a tavola, pubblicato da Nuovi Mondi Media, Modena, 
2004 pag. 86. 
(39) In una petizione alla Commissione per la Salute Pubblica del Parlamento Scozzese, la British 
Medical Association chiese l�immediata sospensione delle coltivazioni OGM in via sperimentale, come 
misura cautelativa per salvaguardare la salute pubblica (fonte BBC News, 20 novembre 2002). Le motivazioni 
a sostegno di quell�appello, oggi sono pi� che mai attuali. A titolo meramente esemplificativo, 
dato che la letteratura scientifica che accerta effetti dannosi degli OGM diventa sempre pi� imponente, 
si rinvia a: N. BENACHOUR e G. E. S�RALINI (University of Caen, Laboratory Estrogens and Reproduction, 
UPRES EA 2608, Institute of Biology, Caen 14032, Francia), La formula del glifosate induce apoptosi 
e necrosi nelle cellule umane ombelicali, embrionali e della placenta umana (Glyphosate Formulations 
Induce Apoptosis and Necrosis in Human Umbilical, Embryonic, and Placental Cells), pubblicato su 
Chem. Res. Toxicol., 2009, 22 (1), pag. 97�105 DOI: 10.1021/tx800218n; Rapporto governativo austriaco 
pubblicato il 5 Novembre 2008 a cura del Ministero della Salute, della famiglia e della Giovent� 
(ISBN 978-3-902611-24-6), che comprova un nesso di causalit� tra sterilit� e mais OGM NK 603 x 
MON 810. E inoltre: A.A.V.V., GM Science Exposed: Hazards Ignored, Fraud, Regulatory Sham, and
362 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Violation of Farmers' Rights, cit.; G. NACCI, M.D. The Threat of genetically Modified Organisms (Rivista 
americana del Gerson Institute (Gerson Heating Newsletters, Vol. 21, N. 3, maggio-giugno 2006, Parte 
I, pag.: 5, 7, 9) sulla pericolosit� del cibo OGM, che potrebbe indurre tumori maligni, leucemia e altre 
malattie infettive �...The transgenic viruses with which GMOs are treated today enter into the DNA of 
the plant, modifying it in a way which is unknown to us. These viruses are supposed to lie dormant but 
there is nothing to stop them reactivating in a manner similar to the well known RNA oncogenic viruses 
(Oncornavirus) or the DNA oncogenic viruses (both inducers of leukemia, sarcomas, carcinomas, gliomas). 
These viruses can also be the carriers of new diseases or syndromes whose dynamics are still unfortunately 
little understood (AIDS, Mad Cow Disease etc.), and whose origins remain very vague 
(perhaps transgenic viruses/GMO-Retroviruses)�; ALLISON R.F. Recombination in plants expressing 
viral transgenes, Seminars in Virology, 1996, Vol. 7, pag. 417-422; WINTERMANTELW.M., Isolation of 
recombinant viruses between Culiflower Mosaic Virus and a viral gene in transgenic plants under conditions 
of moderate selection pressure, sulla rivista Virology, ISSN 1044-5773, 1996 n. 223, pag. 156- 
164; R. STEINBRECHER e J. LATHAM, GM Gene Flow (B): Horizontal gene transfer of viral inserts from 
GM plants to viruses, presentato al congresso della Royal Society di Edimburgo, nella omonima citt�, 
il 27 gennaio .2003: GM Gene Flow: Scale and Consequences for Agriculture and the Environment, 
consultabile sul sito della Royal Society of Edinburgh http://www.royalsoced.org.uk/enquiries/gm 
_debate/index.htm. Secondo un importante studio condotto da un team di ricercatori guidati da IRINA 
ERMAKOVA (biologa dell�Institute of Higher Nervous Activity and Neurophysiology dell�Accademia Russia 
delle Scienze a Mosca e presentato il 10 ottobre 2005 al simposio annuale dell�American Academy 
of Environmental Medicine sulle modificazioni genetiche), una dieta a base di cibo geneticamente modificato 
� in grado di produrre danni sulla discendenza, (articolo in originale su: GM Food Dangers Directly 
Affect Biological Descendants and Future Generations, consultabile su 
www.food.gov.uk/multimedia/pdfs/acnfp_74_8.pdf). Numerosi altri casi, insieme al resoconto dei tentativi 
di discredito ai danni della reputazione scientifica dei ricercatori pi� onesti, sono riportati in JEFFREY 
M. SMITH, L�inganno a tavola, Bologna, Nuovi Mondi Media Edizioni, 2004 pag 9: �....Tyrene 
Hayes, uno scienziato dell'Universit� della California a Berkeley, nel suo laboratorio ha esposto giovani 
rane a dosi molto basse di atrazina, il diserbante pi� diffuso; i maschi si sono trasformati in ermafroditi, 
un risultato che fa pensare che l'atrazina possa essere un distruttore endocrino. Syngenta, la multinazionale 
che � il principale produttore di atrazina, per prima cosa ha tentato di bloccare questo studio. 
Quando Hayes ha continuato con fondi propri, ha provato a offrirgli due milioni di dollari perch� proseguisse 
le sue ricerche "in ambiente privato". Hayes ha declinato l'offerta e ha pubblicato il proprio 
lavoro negli Atti della National Academy of Sciences. Syngenta ha continuato ad attaccare quello studio 
e a fare di tutto perch� non divenisse lo strumento di politiche utili alla protezione della salute pubblica 
e dell'ambiente. Arpard Pusztai era riconosciuto come la pi� grande autorit� mondiale nel campo delle 
lectine quando lavorava al Rowett Institute di Aberdeen, in Scozia. Pusztai fu incaricato dal governo 
britannico di condurre una ricerca per valutare gli effetti prodotti dalle patate geneticamente modificate 
sulla salute. Perci�, si mise ad alimentare i ratti con patate transgeniche. Ci� che scopr� fu che i ratti 
manifestavano danni a vari tessuti e al sistema immunitario. Dopo che, con il consenso del suo istituto, 
ebbe reso pubblici i risultati della sua ricerca, Pusztai venne licenziato e fu orchestrata una campagna 
di enormi proporzioni per screditare il suo lavoro, campagna che comprese tra i suoi protagonisti le 
pi� alte autorit� dello stato. La sua casa fu svaligiata, i suoi appunti e i dati raccolti rubati. In seguito, 
i risultati delle sue ricerche furono pubblicati sulla rivista The Lancet. In un altro istituto di fama mondiale, 
la Cornell University, John Losey ha studiato gli effetti che il mais Bt, ottenuto con l'ingegneria 
genetica, pu� avere su specie non-target. Ha alimentato larve della farfalla monarca con foglie di una 
comune erba di campo cosparse di polline del mais Bt. Moltissime delle larve che avevano mangiato le 
foglie col polline Bt sono morte, mentre le larve del gruppo di controllo nutrite con foglie spolverate di 
polline non geneticamente modificato sono sopravvissute tutte. Questo studio innocente ha scatenato 
la furia della Monsanto e della Novartis, che continuano a ripetere che le loro colture Bt, appositamente 
ingegnerizzate per uccidere parassiti come il "bollworm" del cotone e la piralide del mais, non hanno 
alcun effetto sulle specie non-target. Uno scienziato dell'Universit� della California a Berkeley, Ignacio 
Chapela, ha scoperto che il polline del mais geneticamente modificato ha inquinato le variet� naturali 
che crescono in Messico, il centro mondiale della biodiversit� del mais; lo studio di Chapela � apparso 
sulla rivista Nature nel novembre del 2001. Quel lavoro avrebbe dovuto suonare come un grosso cam-
DOTTRINA 363 
l�imatto negativo sulla salute e sull�ambiente dell�ingegneria genetica impiegata 
in agricoltura e nei processi produttivi alimentari. Nei paesi in via di sviluppo, 
le esigenze di partecipazione ai processi decisionali che definiscono le 
politiche agricole nascono dalla constatazione che le misure imposte dalle istituzioni 
finanziarie internazionali preposte allo sviluppo sono la principale 
causa del peggioramento della situazione di povert� dei piccoli agricoltori 
(40), della distruzione delle economie di sussistenza, della promozione di un 
modello di produzione che aggrava il debito e dell�impoverimento di risorse 
preziose non rinnovabili (41). Ma anche nel cosiddetto mondo sviluppato, seppur 
apparentemente originata da istanze diverse, la rivendicazione di un ruolo 
effettivo nei processi decisionali in ambito agro-alimentare da parte delle varie 
componenti sociali coinvolte � sostanzialmente la stessa, ed � riconducibile al 
rifiuto di soggiacere ancora agli imperativi della nuova religione tecnocratica 
di cui le istituzioni globali si servono per imporre il pensiero unico in agricoltura 
(42), in un disegno complessivo che appare finalizzato a spazzare via sia 
panello d'allarme sul fatto che l'inquinamento portato dalle piante transgeniche pu� contaminare la 
biodiversit� per sempre. E invece il Bivings Group, l'agenzia che cura le pubbliche relazioni per Monsanto, 
ha lanciato una poderosa campagna [utilizzando soprattutto Internet] attraverso esperti che si 
sono spacciati per scienziati usando nomi fittizi. Gli editori di Nature, non abituati a forme di pressione 
cos� aggressive, hanno fatto qualcosa che non ha precedenti nei 133 anni di esistenza di questa rivista 
scientifica: hanno pubblicato una prudente lettera di parziale sconfessione del lavoro di Chapela. Le 
ripetute pressioni dei sostenitori del biotech hanno stroncato la carriera accademica di Chapela a Berkeley. 
La strategia di manipolazione dei risultati scientifici e dei sistemi di regolamentazione messa in 
atto dalle multinazionali pone serie minacce all'indipendenza della scienza e alla salute pubblica�. 
(40) C. DIOUF, presentazione del rapporto annuale FAO su Lo Stato dell�Insicurezza Alimentare 
nel Mondo (SOFI) 2006, gi� cit. sub nota n. 6. Sul fronte dei disastri socioeconomici, � sufficiente citare 
il fenomeno dei suicidi tra gli agricoltori Indiani - si parla di 200.000 casi - che hanno perso tutto dopo 
essersi lasciati sedurre dalle false promesse di migliori guadagni fatte dai promotori del cotone Bt OGM 
della Monsanto. Gli stessi agricoltori si sono poi trovati nell�impossibilit� di onorare i debiti contratti 
per acquistare gli input agricoli altamente tecnologici proposti dalla multinazionale (Somini Sengupta 
On India�s Farms, a Plague of Suicide, New York Times, 19 settembre 2006). 
(41) A titolo meramente esemplificativo: il disastro ambientale nelle pampas argentine coltivate 
con soya ogm Roundup Ready. Per una trattazione esaustiva dell�impatto socio-economico dell�introduzione 
delle coltivazioni GM si rinvia a: MIGUEL A. ALTIERI e WALTER A. PENGUE, Gm soya disaster 
in Latin America: Hunger, deforestation and socio-ecological devastation, Institute of Science in Society, 
Londra, 6 settembre 2005. Il rapporto annuale Chi trae beneficio dalle coltivazioni OGM? L�aumento 
dell�uso dei pesticidi di Friends of the Earth International, (pubblicato da FOEI Publications ad Amsterdam 
nel Gennaio 2008), ha concluso che, allo stato attuale, la presenza di OGM sul mercato causa 
l�aumento e non la riduzione dei pesticidi tossici in agricoltura, oltre ad aver fallito nello scopo di risolvere 
il problema della fame e della povert�. 
(42) Come ebbe a spiegare pazientemente agli europei, contrari ai prodotti geneticamente modificati 
Ann Foster, l'agente pubblicitaria britannica della Monsanto: �... la gente avr� la soia Roundup 
Ready, che lo voglia o no� (MARIAMARGARONIS, Nouvelle cuisine per i poveri, All. rivista del Manifesto 
n. 5, aprile 2000). Jean-Michel Duhamel, direttore della Monsanto per l�Europa meridionale, ha negato 
che gli OGM sarebbero stati imposti con la forza, ma contemporaneamente ha affermato che: "... entro 
10 anni gli OGM avranno raggiunto il punto di non ritorno� (Kenny Bruno, Say It Ain't Soy, Monsanto, 
Overview of GE soy and corn Gennaio/Febbraio 1997 VOL. 18, nn. 1 e 2 Organic Consumers Association 
OCA, su: http://www.purefood.org 6101 Cliff Estate Rd., Little Marais, Minnesota 55614). �La
364 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
coloro che hanno praticato con successo un�agricoltura davvero sostenibile 
sin dall�VIII millennio a.C. (43), sia coloro che ricorrono, con ottimi risultati 
pratici, a metodi di coltivazione che il mondo accademico neppure si degna 
di considerare. 
Nel corso degli anni, le grandi imprese agro-biotecnologiche hanno consolidato 
la loro posizione di preminenza sui mercati mediante progressive concentrazioni 
e acquisizioni che hanno provocato la quasi totale scomparsa delle 
industrie sementiere indipendenti dall�agro-chimica. In tal modo, oltre alla 
creazione delle condizioni di base per l�eliminazione di fatto della ricchissima 
variet� di sementi autoctone in favore di poche variet� standardizzate adatte 
alla monocoltura e ai criteri di produttivit� del mercato (44), si � pure determinata 
la sempre maggiore difficolt� a reperire sementi non manipolate e non 
bisognose di supporti chimici di sintesi. Inoltre, l�attribuzione dei titoli di propriet� 
sulle invenzioni biotecnologiche, divenuto obbligo in virt� dell�accordo 
sui TRIP�s dell�OMC, ha prodotto una forma di scambio non equilibrato nel 
mercato delle risorse genetiche sia perch� il prezzo remunera le nuove tecnologie 
ma non la �materia prima� ed il sapere tradizionale ad essa associato (cio� le 
innovazioni incorporate nelle sementi o nel materiale genetico utilizzato per le 
trasformazioni, dovute al sapiente lavoro di selezione plurisecolare degli agricoltori 
e al loro ruolo di custodi delle risorse genetiche come patrimonio collettivo), 
sia perch� il divieto imposto agli agricoltori di riutilizzare parte del proprio 
raccolto come semente restringe al massimo l�accesso agli input per l�esercizio 
dell�attivit� agricola tradizionale e familiare a chi possiede capitali adeguati. 
Gli effetti devastanti che questa situazione ha determinato ai danni della 
biodiversit� � largamente riconosciuto e, per quanto a prima vista il problema 
della sua erosione (45) appaia prevalentemente connesso alla materia �ambiente� 
vera strategia � introdurre una tale quantit� di inquinamento genetico che soddisfare il bisogno di cibo 
libero da OGM sar� impossibile. L�idea, molto semplicemente, � di inquinare pi� rapidamente di quanto 
gli stati non siano in grado di legiferare, e poi modificare le leggi per adattarle alla contaminazione.... 
Sostenuto da un sistema di diritti di propriet� intellettuale predatorio, l�agribusinesses � sulla buona 
strada per ottenere un�intera catena alimentare mondiale, cos� ibridata e inquinata senza speranza, da 
obbligare i legislatori a mettersi �mani in alto�. Tornando con la mente a quel momento, nel masticare 
il nostro cibo geneticamente modificato, potremmo ben esser in grado di ricordare il punto di svolta 
esatto in cui abbiamo perduto la libert� di scegliere le nostre opzioni alimentari� (NAOMI KLEIN, When 
choice becomes just a memory Londra, The Guardian, 21 giugno 2001). 
(43) La superiorit� dei metodi agricoli tradizionali � illustrata nella bella monografia di Sir A. 
HOWARD I diritti della terra. Alle radici dell�agricoltura naturale, SlowFood Editore, Bra, 2005. 
(44) Ad esempio, dalle 19.000 qualit� di riso coltivate in India negli anni �60 si � passati alle 
poche attuali. Analoghe osservazioni possono essere svolte a proposito delle variet� di mais, patate, fagioli 
ed alberi da frutto (cfr. SABUJ KUMAR CHAUDHURI del Department of Library and Information 
Science, Jadavpur University, Kolkata-32, West Bengal, India, Genetic Erosion of Agrobiodiversity in 
India and Intellectual Property Rights: Interplay and some Key Issues, Pubbl. Patentmatics, 2005, Vol. 
5, n. 6, pag. 3 su http://www.patentmatics.org/pub2005/pub6c.pdf). 
(45) Per erosione genetica si intende la perdita di diversit� genetica, inclusa la perdita di geni individuali 
e la perdita di particolari combinazioni di geni. Il termine �erosione genetica� talvolta � usato
DOTTRINA 365 
strictu sensu intesa, in realt� riguarda molto da vicino anche la �sicurezza alimentare�, 
ovvero la garanzia della disponibilit� di sufficienti risorse alimentari. 
Ci� vale non solo per i Paesi in via di Sviluppo, gi� prostrati da svariati problemi, 
ma anche per i paesi industrializzati. Per l�avventatezza dei ricercatori che sembrano 
aver anteposto le lusinghe del mercato all�uso responsabile della Scienza 
e, soprattutto, per l�avidit� di tanti speculatori senza scrupoli, potremmo ritrovarci 
a dover affrontare emergenze infinitamente pi� gravi di quella che nella 
seconda met� dell�800 devast� l�Irlanda con la Grande Carestia (46). 
La sostenibilit� ed i rischi del modello agricolo �monocolturale� fondato 
sulla chimica e sulla biotecnologia (che richiede, peraltro, l�impiego di quantit� 
sempre maggiori di sostanze inquinanti e la corsa al monopolio dell�accesso alle 
risorse genetiche) sono oggetto da tempo di un�approfondita analisi critica da 
parte della societ� civile, che ha dato luogo a numerose iniziative culminate poi 
nella elaborazione del concetto di �sovranit� alimentare�. 
Prima di soffermarci in dettaglio su questo fenomeno occorre spendere alcune 
parole per indicare i riferimenti giuridici internazionali che giustificano le 
azioni di rivendicazione della �sovranit� alimentare� - gi� intraprese su scala 
globale e locale da parte delle organizzazioni dei piccoli agricoltori, dei consumatori 
e dei movimenti di tutela ambientale - come mezzo per la realizzazione 
del diritto ad una alimentazione sana e sicura. 
Il diritto al cibo, come il diritto all�acqua, per loro natura, hanno molteplici 
implicazioni. 
Si tratta di diritti umani di enorme rilievo perch�, rispondendo ai bisogni 
pi� elementari della sopravvivenza, sono diritti senza i quali non si ha la possibilit� 
di godere degli altri diritti fondamentali: � evidente che, senza accesso all�alimentazione 
o all�acqua, automaticamente vengono a mancare tutti gli altri 
diritti fondamentali (la salute, la dignit�, ecc.) subordinati al superamento della 
condizione della fame e della sete. 
Il primo gruppo di riferimenti giuridici per la qualificazione del diritto ad 
una alimentazione adeguata come diritto umano � costituito da un complesso di 
in senso restrittivo (perdita di geni o di alleli), ma anche in senso lato (perdita di variet�). Secondo uno 
studio effettuato dalla FAO (The State of the World�s Plant Genetic Resources for Food and Agriculture, 
FAO, the United Nations, Rome, 1997) la principale causa dell�erosione genetica nei cultivar (riferita a 
81 paesi), � stata la sostituzione delle variet� locali con variet� e specie esotiche, unita alla pressione 
demografica, al degrado ambientale, all�impatto della legislazione e degli orientamenti politici, ai parassiti 
e alle pianti infestanti e, infine, al cambiamento dei sistemi agricoli e all�eccessivo sfruttamento 
di alcune specie. 
(46) Tra il 1848 ed il 1852, a causa dell�uniformit� genetica nella patata coltivata in Europa, 
un�epidemia di Phytofora Infestans distrusse completamente i raccolti irlandesi per cinque anni consecutivi. 
Solo quando fu individuata fra le migliaia di variet� di patate, ancora coltivate in Messico, quella 
resistente alla Phytofora Infestans e si provvide ad incrociarla con la variet� europea, si riusc� a debellare 
l�epidemia (C.FOWLER e P. MOONEY, Biodiversit� e Futuro dell�Alimentazione, Red Edizioni, Como, 
1993, pag.78).
366 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Convenzioni internazionali, a partire dall�espressa previsione della Dichiarazione 
Universale dei Diritti dell�Uomo del 1948, che all�art. 25 recita: �Ognuno 
ha il diritto ad uno standard di vita adeguato per la salute e benessere propri e 
della propria famiglia, incluso il cibo...�. 
Il diritto ad una alimentazione adeguata � stato poi riaffermato con il Patto 
Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali adottato dall�Assemblea 
generale ONU nel 1966, entrato in vigore nel 1976 e ratificato da 138 Stati (tra 
cui l�Italia, L. 25 ottobre 1977, n. 881), in cui si proclama che il diritto alla libert� 
dalla fame viene riconosciuto esplicitamente come fundamental human right 
giuridicamente vincolante per gli Stati aderenti (Art. 11: I Paesi facenti parte 
del Patto riconoscono il diritto di ognuno ad un adeguato standard di vita ... 
incluso il cibo adeguato ... e convengono di intraprendere azioni appropriate 
per realizzare questo diritto). Molti stati hanno incorporato questo principio 
nelle loro carte costituzionali. 
La Conferenza mondiale sui Diritti dell'Uomo, riunita a Vienna nel 1993, 
ha rappresentato un altro momento fondamentale nella riaffermazione del diritto 
al cibo allorch� gli stati del mondo hanno proclamato i diritti economici, sociali 
e culturali che si aggiungono ormai in modo complementare, equivalente e universale, 
ai diritti civili contenuti nella dichiarazione del 1948 (Vienna Declaration 
and Programme of Action, 14-25 giugno 1993: punto 31). 
Il Codice Internazionale di Condotta sul Diritto Umano ad una Alimentazione 
Adeguata, proposto per la prima volta alla vigilia del Vertice Mondiale 
sull'Alimentazione tenutosi a Roma nel 1996, ha poi ribadito con forza il ruolo 
centrale del diritto fondamentale alla sicurezza alimentare (Dichiarazione di 
Roma sulla sicurezza alimentare mondiale: "Noi, Capi di Stato e di Governo, 
riaffermiamo il diritto di ogni persona ad avere accesso ad alimenti sani e nutrienti, 
in accordo con il diritto ad una alimentazione appropriata e con il diritto 
fondamentale di ogni essere umano di non soffrire la fame"). 
Nell'aprile 2000, la Commissione per i diritti umani delle Nazioni unite ha 
nominato un relatore speciale incaricato di elaborare un Codice di Condotta per 
il Diritto all�Alimentazione e di formulare proposte sul modo di renderlo effettivo 
(Risoluzione n. 2000/10 del 17 aprile 2000, 52� seduta della Commissione 
ONU per i Diritti dell�Uomo, Ginevra, 2000). 
Altre due tappe istituzionali importanti sono rappresentate dalla Conferenza 
Paneuropea sulla Sicurezza e la Qualit� degli Alimenti tenutasi a Budapest nel 
2002, nella quale si � cercato di fare il punto sulla necessit� di proteggere i consumatori 
dall�aumento delle malattie di origine animale, mediante la creazione 
di un sistema di allarme rapido e la 24� Conferenza Regionale della FAO per 
l�Europa tenutasi in Francia a Montpellier nel maggio 2004, che ha riaffermato 
la non negoziabilit� del diritto alla sicurezza alimentare. Recentemente, il Vertice 
FAO del 3-5 giugno 2008 sulla sicurezza alimentare si � concluso ancora una 
volta con l�adozione di una dichiarazione che fa appello alla comunit� interna-
DOTTRINA 367 
zionale per incrementare l�assistenza ai paesi in via di sviluppo, in particolare 
quelli meno sviluppati e quelli che sono pi� colpiti dai prezzi alti dei generi alimentari. 
Il secondo gruppo di riferimenti giuridici, fa capo al principio di autodeterminazione 
dei popoli ed � sancito dagli articoli 1, par. 2, 55 e 76 della Carta 
delle Nazioni Unite. Questo principio � formalmente riconosciuto a tutti i popoli, 
in virt� dell'identico articolo l dei due Patti internazionali sui diritti umani del 
l966 (Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, adottato dall'Assemblea 
Generale il 16 dicembre 1966, � entrato in vigore il 23 marzo 1976 e Patto Internazionale 
sui Diritti Economici, Sociali e Culturali adottato dall'Assemblea 
Generale il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 3 gennaio 1976): �Tutti i popoli 
hanno il diritto di autodeterminazione. In virt� di questo diritto, essi decidono 
liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro 
sviluppo economico, sociale e culturale. (...) 3. Gli Stati parti del presente Patto, 
(...), debbono promuovere l'attuazione del diritto di autodeterminazione dei popoli 
e rispettare tale diritto, in conformit� alle disposizioni dello statuto delle 
Nazioni Unite�. 
La Dichiarazione Universale dei diritti dei popoli (Carta di Algeri, l976), � 
un importante atto politico non-governativo proclamato il 4 luglio 1976 che 
enuncia i diritti fondamentali dei popoli all'esistenza, all�autodeterminazione, 
alle risorse, alla cultura, all'ambiente. Espressamente vi si afferma: che ogni popolo 
ha diritto al rispetto della propria identit� nazionale e culturale (art. 2); che 
vanta il diritto imprescrittibile e inalienabile all'autodeterminazione e a decidere 
il proprio statuto politico in piena libert� e senza alcuna ingerenza esterna (art. 
5); che � legittimato a liberarsi da qualsiasi dominazione coloniale o straniera 
diretta o indiretta e da qualsiasi regime razzista (art. 6); che detiene diritti esclusivi 
sulle proprie ricchezze e risorse naturali nonch� il diritto a rientrarne in possesso 
se ne � stato spogliato, recuperando gli indennizzi pagati ingiustamente 
(art. 8); che pu� darsi il sistema economico e sociale da lui stesso scelto e perseguire 
la propria via di sviluppo economico in piena libert� e senza ingerenze 
esterne (art. 11). 
Il diritto all�autodeterminazione � riconosciuto anche dall'articolo 20 della 
Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli, entrata in vigore nel l986. L'Atto 
finale di Helsinki riconosce il diritto di autodeterminazione al principio VIII: 
�Gli Stati partecipanti rispettano l'eguaglianza dei diritti dei popoli e il loro diritto 
all'autodeterminazione...�. Infine, l'articolo l par. 2 della Dichiarazione 
delle Nazioni Unite sul Diritto allo Sviluppo del 1986, richiamando espressamente 
l'articolo l dei due Patti internazionali del l966, stabilisce che: �Il diritto 
umano allo sviluppo implica anche la piena realizzazione del diritto dei popoli 
all'autodeterminazione�. 
In questo panorama giuridico internazionale si colloca il concetto di �sovranit� 
alimentare�, frutto della elaborazione delle ONG pi� autorevoli e rap-
368 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
presentative sulla scena del dibattito agricolo mondiale. La sua prima espressa 
enunciazione risale alla dichiarazione finale del World Food Summit di Roma 
del 1996 e, da allora, � divenuto uno dei principali temi di discussione anche all�interno 
delle Agenzie specializzate dell�ONU. 
Numerosi eventi a carattere regionale ed internazionale, interamente dedicati 
al tema della �sovranit� alimentare�, hanno avuto luogo rispettivamente 
all�Avana nel 2001 (World Food Forum for Food Sovereignty); a Giacarta nel 
2004 (NGO/CSO, parti dell�International Planning Committee - IPC- per la Sovranit� 
Alimentare, in cooperazione con la 28� Conferenza Regionale della 
FAO); a Katmandu, nel 2006 (Food Sovereignty as a frame-work for Food and 
Agricultural Policies Declaration at �South Asian regional Seminar on preparing 
inputs for FAO special Session of the Committee on Food Security). 
Nel 2007, a Nyeleni, nel Mali, ha avuto luogo il primo Forum Mondiale 
per la �sovranit� alimentare�. I 600 delegati di oltre 90 paesi che vi hanno partecipato, 
hanno approvato una dichiarazione omonima in cui il concetto di Sovranit� 
viene messo a fuoco con gran precisione (47) come il diritto di tutti i 
popoli, di tutti gli stati e di tutte le nazioni a determinare da s� i loro sistemi e 
le loro politiche agro-alimentari per assicurare a tutti e alle future generazioni 
un cibo sufficiente, di buona qualit�, adeguato, economicamente accessibile, 
sano e culturalmente appropriato. Il Forum � stato anche 
l�occasione per denunciare l�uso distorto del Protocollo di Cartagena per la 
Biosicurezza adottato a protezione della Diversit� Biologica, per conseguire 
fini esattamente contrari a quelli dichiarati (48). 
In Italia, nel 2007, sono stati depositati presso la Corte di Cassazione 
due testi di legge di iniziativa popolare elaborati da una coalizione di associazioni 
di agricoltori e consumatori, con l�intento di stimolare la politica 
(47) Food sovereignty is the right of peoples to healthy and culturally appropriate food produced 
through ecologically sound and sustainable methods, and their right to define their own food and agriculture 
systems. It puts the aspirations and needs of those who produce, distribute and consume food at 
the heart of food systems and policies rather than the demands of markets and corporations. It defends 
the interests and inclusion of the next generation. It offers a strategy to resist and dismantle the current 
corporate trade and food regime, and directions for food, farming, pastoral and fisheries systems determined 
by local producers and users. Food sovereignty prioritises local and national economies and markets 
and empowers peasant and family farmer-driven agriculture, artisanal - fishing, pastoralist-led 
grazing, and food production, distribution and consumption based on environmental, social and economic 
sustainability. Food sovereignty promotes transparent trade that guarantees just incomes to all peoples 
as well as the rights of consumers to control their food and nutrition. It ensures that the rights to 
use and manage lands, territories, waters, seeds, livestock and biodiversity are in the hands of those of 
us who produce food. Food sovereignty implies new social relations free of oppression and inequality 
between men and women, peoples, racial groups, social and economic classes and generations. 
(48) MARIAMMAYET, Article 18(2)(a):The Trojan Horse of the Biosafety Protocol, African Centre 
for Biosafety, 2006, pubblicato sul sito www.biosafetyafrica.net/portal/index.php?option=com_content&
task=view&id=42&Itemid=34. A proposito del sabotaggio del Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza 
per mezzo di accordi bilaterali: GRAINS Bilateral biosafety bullies How corporations use 
bilateral trade channels to weaken biotech regulations, 2006, su http://www.grain.org.
DOTTRINA 369 
all�adozione di strumenti operativi volti a riconoscere e a rendere effettiva 
la Sovranit� Alimentare intesa come �... diritto dei popoli, delle comunit� 
e dei paesi a definire le proprie politiche agricole, della pesca, alimentari, 
della terra, in modo che siano ecologicamente, socialmente, economicamente 
e culturalmente appropriate alle condizioni specifiche di ciascuno. 
Questo comprende l�effettivo esercizio del diritto al cibo e alla produzione 
degli alimenti. Tutti i popoli hanno diritto ad una alimentazione sana, nutriente 
e culturalmente appropriata, cos� come hanno diritto a mantenere 
la capacit� di procurare nutrimento a se stessi e alla propria societ��(49). 
La �sovranit� alimentare� � proposta come una delle chiavi possibili 
con cui affrontare il rilancio dell�agricoltura italiana, mettendo al centro gli 
interessi dei produttori agricoli e dei consumatori. Si prevede, inoltre, l�introduzione 
di referendum sugli OGM, per permettere l�avvio di consultazioni 
popolari prima di dare il via alla liberalizzazione della loro 
produzione. 
Recentemente, Terra Preta, il Forum Internazionale sulla Crisi Alimentare, 
Biocarburanti e Sovranit� Alimentare, tenutosi a Roma il 2-4 giugno 
2008 in concomitanza con il vertice FAO, ha riaffermato �...che il paradigma 
della Sovranit� Alimentare dei Popoli forma la cornice guida per le 
azioni future (della societ� civile n.d.A.) e per la sopravvivenza dell�umanit�
�(50). 
Quello sin qui delineato � il quadro di riferimento complessivo che attiene 
tanto alla normativa internazionale vigente in materia di diritto al cibo 
e all�autodeterminazione dei popoli, quanto al processo in fieri di promozione 
di strumenti legislativi nuovi per affermare la �sovranit� alimentare�, 
come mezzo per garantire il diritto ad un cibo sano e sicuro alle generazioni 
presenti e future. 
A proposito delle norme internazionali vigenti sin qui richiamate, occorre 
rilevare che attualmente esse non prevedono strumenti vincolanti che 
impegnino gli stati contraenti a fornire di mezzi di garanzia effettiva la col- 
(49) L�approccio per l�affermazione della sovranit� alimentare, prefigura un�alternativa praticabile 
e offre un nuovo quadro di riferimento per affrontare il governo delle politiche agricole ed alimentari, 
a livello nazionale e a livello globale. La proposta, abbraccia un�insieme di temi: la riforma agraria, il 
territorio ed il suo controllo, il mercato locale, l�agrobiodiversit�, l�autonomia e l�autorganizzazione, 
l�agro-ecologia, la solidariet� e la cooperazione, l�indebitamento e la dipendenza, la salute e altri temi 
concernenti la produzione del cibo e l�alimentazione. Grazie a queste iniziative i produttori agricoli e di 
alimenti tornano ad essere visibili e centrali nel dibattito sul ruolo del mercato e delle sue regole. Promuovendo 
modelli di agricoltura, di distribuzione e di consumo alternativi (come il circuito corto e 
l�agro-ecologia), questi soggetti sociali, anche se spesso numericamente minoritari, escono dal loro isolamento, 
diventando attori del cambiamento. Pongono la societ� intera di fronte ad emergenze che vanno 
affrontate perch� si ripercuotono sulla qualit� della vita di tutti. 
(50) Terra Preta: Forum on the Food Crisis, Climate Change, Agrofuels and Food Sovereignty 
www.foodsovereignty.org //.
370 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
lettivit� governata, mentre sarebbe auspicabile che si provvedesse in tal 
senso per far s� che la protezione del diritto in questione possa operare, in 
sede nazionale, anche nel caso in cui la sovranit� risulti influenzata da accordi 
di commercio, di investimento o da accordi stipulati con le istituzioni 
finanziarie. 
Realisticamente parlando, infatti, nell�attuale contesto � assai arduo 
ipotizzare che gli stati provvedano spontaneamente per il �...fatto che subiscono 
senza alcuna opposizione, anzi, si prodigano a favorire, la totale 
funzionalizzazione degli istituti giuridici della tradizione liberale alle esigenze 
di mercato�(51), secondo le dinamiche che abbiamo precedentemente 
analizzato. L�onere di creare delle nuove forme di rappresentanza e nuovi 
strumenti di azione effettivi, dunque, incombe sulle componenti pi� sensibili 
della societ� civile e sulle forze che essa � in grado di coinvolgere nella 
costruzione di un nuovo paradigma dei diritti umani che sia in grado di bilanciare 
dialetticamente le prospettive totalizzanti delineate dalle ferree 
leggi del mercato. 
Non � questa la sede per analizzare in dettaglio le varie ipotesi proposte 
in ambito dottrinale per promuovere la migliore realizzazione dei diritti 
umani connessi alla produzione e all�accesso al cibo. 
Qui � sufficiente osservare che, in modo parzialmente diverso da 
quanto argomentato supra in via generale a favore di una �tutela minimale� 
dei diritti umani, per il diritto all�acqua e al cibo forse � necessario compiere 
un passo ulteriore, in considerazione della loro intrinseca natura che li rende 
meritevoli di un�attenzione speciale. In accordo e analogamente a quanto 
la dottrina pi� autorevole ha proposto per la tutela del diritto all�acqua, e 
sul rilievo che l�accesso a queste risorse ormai non dipende pi� da fatti naturali 
ma da scelte sociali, anche il diritto al cibo andrebbe qualificato come 
nuovo diritto sociale e come diritto collettivo, e garantito attraverso una 
�...diffusa riforma degli ordinamenti che (lo) includa fra i diritti sociali costituzionalmente 
garantiti ed azionabili in giudizio ... in favore di tutti i membri 
del gruppo sociale...�(52). 
Come gi� accennato, oltre che come diritto individuale, dovrebbe essere 
azionabile anche come diritto collettivo che il gruppo � ... attraverso i suoi 
(51) E. SANTORO, ivi, pag. 78. 
(52) D. ZOLO, Il diritto all�acqua come bene sociale e come diritto collettivo, Jura Gentium - Rivista 
di filosofia del diritto internazionale e della politica globale, I (2005), 1 - ISSN 1826-8269. Secondo 
l�Autore, i1 diritto all'acqua va inteso come "nuovo" diritto sociale e come diritto collettivo. 
�Come "diritto sociale" il diritto all'acqua pu� essere rivendicato dai cittadini di una determinata comunit� 
nei confronti delle proprie autorit� politiche e deve essere perci� socialmente garantito da tali 
autorit�. Come diritto collettivo il diritto all'acqua pu� essere rivendicato entro l'ordinamento giuridico 
internazionale dalle autorit� politiche legittimamente rappresentanti di un popolo insediato in un determinato 
territorio�.
DOTTRINA 371 
organi e rappresentanti pu� esercitare a nome di tutti i suoi membri all�interno 
di un determinato ordinamento giuridico, nazionale o internazionale�(53). 
Una ricostruzione in questa duplice chiave probabilmente � la pi� efficace indicazione 
da seguire anche nel percorso di rivendicazione della sovranit� alimentare 
per la realizzazione effettiva del diritto al cibo. 
5. Fenomeni acquisitivi da eventi materiali: la sentenza della Corte Suprema 
canadese Schmeiser /Monsanto (21.05.2004/SCC 034 - file n. 29437) 
Il contesto giuridico che agevola la concentrazione ed il controllo dell�approvvigionamento 
alimentare mondiale nelle mani di un ristretto gruppo 
di societ� multinazionali, ha ricevuto ulteriore impulso espansivo il 21 maggio 
2004, quando la Corte Suprema canadese ha pronunciato la sentenza 
21.05.2004/SCC 034 - file n. 29437 a favore della Monsanto Corporation nella 
causa intentata da quest�ultima contro Percy Schmeiser, produttore di colza 
nella provincia di Saskatchewan, Canada. 
La sentenza ha tratto origine da una vicenda che risale al 1997, quando 
l�agricoltore aveva scoperto sui suoi campi delle piante di colza resistenti ai 
diserbanti. La propriet� di resistere al diserbante Roundup � indotta nelle 
piante da un gene resistente al glifosate, brevettato dalla Monsanto. L�anno 
successivo Schmeiser aveva seminato i campi di colza utilizzando una parte 
del raccolto precedente conservato per quello scopo, come faceva da oltre quarant�anni. 
Inaspettatamente, in seguito a un�ispezione, la Monsanto l�aveva 
accusato di violazione del brevetto ottenuto per un tipo di colza transgenica 
denominata �Roundup Ready�, ed aveva avanzato un�esosa richiesta di risarcimento 
dei danni. La causa era poi proseguita perch� Schmeiser aveva rifiutato 
l�offerta di transazione propostagli dalla Monsanto che esigeva, tra le altre 
condizioni, pagamenti perpetui di royalties su tutti i raccolti futuri di colza 
(54), oltre a una dichiarazione pubblica con la quale egli avrebbe dovuto negare 
espressamente qualsiasi ipotesi di impollinazione incrociata della propria 
colza ad opera del vento o degli insetti. L�ultima condizione prevista nella proposta 
transattiva era che, in futuro, avrebbe dovuto astenersi da ogni dichiarazione 
pubblica sul procedimento giurisdizionale e sul suo contenuto. La 
Monsanto era consapevole di ci� che ogni agricoltore sa e che solo i propu- 
(53) D. ZOLO, Il diritto all�acqua come bene sociale e come diritto collettivo, Jura Gentium - Rivista 
di filosofia del diritto internazionale e della politica globale, I (2005) cit. 
(54) Occorre tenere in considerazione che la Monsanto richiede a chi intenda coltivare la colza 
RR, di sottoscrivere un contratto di licenza denominato Technology Use Agreement (TUA) in forza del 
quale il sottoscrittore � autorizzato ad acquistare i semi da licenziatari della stessa Corporation. Successivamente 
potr� piantare i semi e rivenderli ad intermediari commerciali autorizzati, ma non potr� vendere 
il raccolto a terzi o tenerli per uso privato (cfr. C. TOSELLO in Schmeiser vs Monsanto: il caso dei 
�semi portati dal vento�, Milano, Giuffr�, Rivista di Diritto Agrario, n. 1 del 2005, pag. 31).
372 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
gnatori di �separazione�, �barriere� e �soglie� per schermare i campi tradizionali 
dagli OGM finge di non conoscere, ossia che la propagazione incontrollata 
di geni brevettati mediante impollinazione incrociata, commistione di sementi 
conservate o diffusione di sementi durante il trasporto, sono un dato di fatto. 
Nonostante la pronuncia sfavorevole del tribunale di primo grado Schmeiser 
per� non si era arreso, anzi, aveva deciso di proseguire la causa portandola 
fino alla Corte Suprema, la quale, tuttavia, aveva dato definitivamente ragione 
alla multinazionale. 
Schmeiser, infatti, fu condannato per violazione del brevetto sulla colza 
RR Monsanto nonostante non avesse mai acquistato semi di colza RR, n� dai 
distibutori Monsanto n� al di fuori dei circuiti autorizzati, e non si fosse mai 
servito di alcuno dei vantaggi specifici associati alla coltivazione delle sementi 
brevettate, trasportate dal vento sulla sua propriet�. 
Prima di questa sentenza, la Corte Suprema canadese si era pronunciata 
su un�altra importante questione riguardante il tema della brevettabilit� delle 
forme viventi nella causa Harvard College c./ Canada Commissioner of Patents. 
Oggetto del contendere, in quel caso, era stato il riconoscimento della 
validit� del brevetto sull�Oncotopo, un topo geneticamente modificato per aumentare 
la propria suscettibilit� ai tumori a fini di ricerca. La decisione aveva 
acclarato che le forme di vita superiori (come le piante e gli animali) non sono 
brevettabili (55) e, di conseguenza, aveva ritenuto infondata la pretesa di accedere 
alla particolare protezione prevista dal Patent Act canadese in vigore. 
In quel procedimento giurisdizionale, per�, era stata rivendicata la validit� del 
brevetto sull�intera forma di vita superiore (il topo) mentre, nel caso dei semi 
di colza oggetto del presente studio, la Monsanto si � limitata a chiedere l�accertamento 
della validit� del diritto di propriet� intellettuale sulla singola cellula 
vegetale contenente il gene specifico resistente al glifosate. 
Nell�accogliere la domanda della Monsanto, la Corte ha preferito sorvolare 
sul �trascurabile particolare� che le piante OGM sono costituite interamente 
da cellule che esprimono il gene brevettato e dalla circostanza che quel 
gene chimerico � capace di trasferirsi, per impollinazione incrociata, in tutte 
le altre specie compatibili che incontri sul suo cammino entro il raggio di alcuni 
chilomentri (56). Le piante �infettate� a loro volta possono trasmettere 
alle generazioni successive il gene chimerico brevettato e, dalla sentenza Monsanto 
c./Schmeiser in poi, a quanto pare, anche la propriet� intellettuale. 
(55) Harvard Collegec./Canada (Commissioner of Patents), 4 SCR. 45, 2002 SCC 76, 
www.lexum.umontreal.ca/cscscc/ cgi-bin/disp.pl/en/pub/2002/ vol4/html/2002scr4_0045.html>. 
(56) Il polline contiene i codici genetici della pianta donatrice. La sua capacit� di trasferire geni 
brevettati, per effetto della sentenza in esame, come vedremo, ha importanti conseguenze sul regime di 
propriet� delle sementi, cfr. �The Biology and Ecology of Canola (Brassica Napus)� (2002), Office of 
the Gene Terminology Regulator,, su: http://www.non-gm-farmers.com/documents/brassicaOGTR.pdf> 
at pp. 5-6 (Gene Terminology).
DOTTRINA 373 
La sentenza in esame rappresenta una pietra miliare sulla via dell�affermazione 
dell�applicabilit� dei principi generali delle privative industriali anche 
alle �forme viventi�: ha esteso in modo significativo il concetto di �uso� al fine 
di determinare la violazione del brevetto e ha delineato la figura dell�utilizzatore 
inconsapevole, giungendo persino a modificare indirettamente il comune regime 
legale del diritto di propriet� e di alcuni istituti ad esso collegati (57). 
In primo luogo la sentenza affronta la questione se le particolari implicazioni 
legate all�impiego di una tecnica specifica (la biotecnologia) siano o meno 
riconducibili entro il corpus neutrale dei principi generali della legge canadese 
sui brevetti: sul punto, si pronuncia in senso affermativo (58). 
In seconda battuta, si occupa delle serie difficolt� connesse all�individuazione 
dei criteri (non tanto e non solo il dove, ma soprattutto il come) da adottare 
ai fini della demarcazione della linea tra forme di vita non brevettabili (ad es., 
piante ed animali) e forme di vita brevettabili (ad es., lieviti e batteri). Nei termini 
in cui la questione � stata posta, sia i membri del collegio giudicante favorevoli, 
sia quelli contrari, si sono trovati tutti d�accordo sul fatto che cellule 
e geni singolarmente intesi sono brevettabili, come gi� pacificamente accettato 
anche nella sentenza Harvard College c./Canada Commissioner of Patents 
(59). Su questo punto la Corte conferma che la pianta di colza in s�, come tutte 
le forme di vita superiori, non � brevettabile, mentre lo sono tutte le cellule e i 
geni che la compongono. Un�azione tesa a rivendicare la propriet� intellettuale 
sulla pianta intera sarebbe stata perci� senz�altro rigettata ma, nel caso che ci 
occupa, la domanda del titolare del brevetto Roundup Ready � stata accolta 
(57) BRUCE ZIFF, Travels with my plant: Monsanto v. Schmeiser Revisited, University of Ottawa 
Law and Technology Journal, 2005, pag. 501. La terra, l�acqua, il gas, il petrolio, sono tutti sostanze 
fuggevoli e quando migrano in natura, il titolo di propriet� pu� andare perduto. Lo stesso pu� accadere 
con i semi e il polline portati dal vento o trasportati dagli insetti. Alcuni diritti, contrariamente a quanto 
stabilito per i diritti di propriet� in generale, sono impermeabili a queste forze naturali. Usando le parole 
di BRUCE ZIFF, in Travels with my plant: Monsanto v. Schmeiser Revisited, cit., che rendono bene l�dea: 
�...some rights, such as patents, are impervious to those forces. They are, one might say, common-law 
resistant�. Alcuni diritti, sono impermeabili al diritto ordinario. Un�acuta osservazione dello stesso 
autore rileva che, a differenza di quanto previsto dal Copyright Act dove, in caso di violazione del diritto 
di propriet� intellettuale il violatore pu� ottenere la distruzione dell�oggetto materiale in cui si incorpora 
il copyright, nel caso del Patent Act questo potere non � previsto. 
(58) La Corte ha anche affermato che il Parlamento canadese � libero di decidere se regolamentare 
la materia in modo diverso. Tuttavia, come criticamente analizzato in BRUCE ZIFF, Travels with my plant: 
Monsanto v. Schmeiser Revisited, University of Ottawa Law and Technology Journal, 2005, pag. 506, 
in realt� occorre fare i conti con la cessione di sovranit� che in materia di brevetti � stata fatta in favore 
di altri attori sovranazionali, ad es. il NAFTA. 
(59) La Corte Suprema, al par. 23, cita se stessa, ricordando che gi� nella sentenza Harvard Mouse 
era stato pacificamente accettato (in obiter) che: un ovulo di oncotopo fertilizzato, geneticamente modificato 
� brevettabile, a prescindere dalla aspettativa del suo definitivo sviluppo in topo (�... par. 23 
Further, all members of the Court in Harvard Mouse noted in obiter that a fertilized, genetically altered 
oncomouse egg would be patentable subject matter, regardless of its ultimate anticipated development 
into a mouse (at para. 3, per Binnie J. for the minority; at para. 162, per Bastarache J. for the majority
�).
374 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
perch� la prospettazione � stata molto pi� sottilmente un�altra: la Monsanto si 
� limitata a chiedere una pronuncia sulla validit� del brevetto concesso sul gene 
e sulle cellule della pianta contenenti quel gene (60). Poich� tutte le forme di 
vita superiore sono composte da cellule, un brevetto sulle cellule di una pianta 
o di un animale attribuisce un controllo effettivo sull�utilizzo della pianta o 
dell�animale che le contenga. Quindi, affermando che il brevetto sulle cellule 
contenenti il gene resistente al glifosate � rivendicabile ovunque il gene si insinui, 
la Corte ha sostanzialmente ribaltato il precedente formatosi su Harvard 
College c./ Canada Commissioner of Patents perch�, l�ostacolo rappresentato 
dal divieto di brevettare forme di di vita superiori oggi � facilmente aggirabile 
ottenendo la protezione delle singole cellule che compongono una data forma 
di vita superiore (61). Anche se il brevetto sul gene non fa alcun riferimento a 
piante, raccolti o sementi, l�effetto pratico della sentenza � sicuramente quello 
di eliminare il divieto di brevetto delle forme di vita superiori elaborato precedentemente. 
Consapevole delle possibili conseguenze aberranti che, per effetto della 
capacit� autoreplicante dell�OGM, potevano derivare dalla piena applicazione 
del Patent Act alla materia biotech, la parte del Collegio giudicante minoritaria 
aveva tentato di opporsi appellandosi al principio secondo cui ci� che non viene 
espressamente dichiarato nel provvedimento concessorio di brevetto non � coperto 
(�...What is not claimed is disclaimed�), di talch� l�efficacia della tutela 
avrebbe dovuto arrestarsi �...nel punto in cui la cellula della pianta che contiene 
il gene chimerico isolato viene inserita nel mezzo di riproduzione per la rigenerazione
� (62). Ma, anche su questo punto, la parte del collegio che poi � pre- 
(60) Corte Suprema canadese, sentenza 21.05.2004/SCC 034 - file n. 29437 Paragrafi 1 e 22: 
�....This case concerns a large scale, commercial farming operation that grew canola containing a patented 
cell and gene without obtaining licence or permission. The main issue is whether it thereby breached 
the Patent Act, R.S.C. 1985, c. P-4. We believe that it did�; par. 22: �....This case is different from 
Harvard Mouse, where the patent refused was for a mammal. The Patent Commissioner, moreover, had 
allowed other claims, which were not at issue before the Court in that case, notably a plasmid and a somatic 
cell culture. The claims at issue in this case, for a gene and a cell, are somewhat analogous, suggesting 
that to find a gene and a cell to be patentable is in fact consistent with both the majority and the 
minority holdings in Harvard Mouse�. 
(61) NORMAN SIEBRASSE, Comment on Monsanto Canada Inc. v. Schmeiser, Siebrasse, N. 2005. 
Comment on Monsanto Canada Inc. v. Schmeiser, 83(3) Canadian Bar Review 967-992 (2005), pag. 4 
� Schmeiser was held to have infringed Monsanto�s patent by growing plants composed of the patented 
cells. In consequence it is now clear that a patent for the cells of a higher life form will give effectively 
the same protection as a patent for the higher life form itself�. 
(62) �par. 130 It is clear from the specification that Monsanto�s patent claims do not extend to 
plants, seeds, and crops. It is also clear that the gene claim does not extend patent protection to the 
plant. The plant cell claim ends at the point where the isolated plant cell containing the chimeric gene 
is placed into the growth medium for regeneration. Once the cell begins to multiply and differentiate 
into plant tissues, resulting in the growth of a plant, a claim should be made for the whole plant. However, 
the whole plant cannot be patented. Similarly, the method claim ends at the point of the regeneration of 
the transgenic founder plant but does not extend to methods for propagating that plant. It certainly does 
not extend to the offspring of the regenerated plant�.
DOTTRINA 375 
valsa ha preferito applicare i criteri standard in materia di interpretazione dei 
brevetti, sulla base della considerazione che non vi � norma che imponga di 
limitare la tutela �... dei geni e delle cellule solo quando si trovino in forma 
isolata nei laboratori� (63) e assumendo che il presupposto per il verificarsi 
della violazione non richiede che l�uso del gene chimerico avvenga esclusivamente 
in ambiente isolato (�par. 80... infringement does not require use of 
the gene or cell in isolation�). 
In terzo luogo, relativamente al concetto di �uso� riferito alla violazione 
del brevetto e alla valutazione del comportamento dell�utilizzatore inconsapevole 
(innocent bystander), i giudici hanno confermato l�applicabilit� dei 
principi generali che regolano la materia �brevetti� anche quando si riferiscono 
alla �materia vivente� (64). 
Partendo dal presupposto che per determinare se vi sia �uso� � sufficiente 
verificare se �... il presunto utilizzatore abbia privato il titolare del brevetto 
del suo diritto di monopolio all�utilizzo dell�invenzione� (65) la Corte Su- 
(63) �... par. 17 Everyone agrees that Monsanto did not claim protection for the genetically modified 
plant itself, but rather for the genes and the modified cells that make up the plant. Unlike our colleague, 
Arbour J., we do not believe this fact requires reading a proviso into the claims that would 
provide patent protection to the genes and cells only when in an isolated laboratory form�. Norman 
Siebrasse Comment on Monsanto Canada Inc. v. Schmeiser, cit. pag.15 �... More broadly, while patentee�s 
monopoly extends only to what is described in the claims, it extends to everything which can be 
described in a way which falls within the scope of the claims. The dissent�s view that the patentee is 
only entitled to a monopoly over embodiments of the invention which are particularly described in the 
claims (or perhaps in the specification as well) would be a radical rewriting of law which would undermine 
the entire patent system. It has long been established that the inventor is entitled to claim all embodiments 
of her inventive concept, not just those which she has particularly described. Otherwise, �the 
patent may be just as worthless as if it was invalid,� as �everyone will be free to use the invention in 
the unfenced area �. 
(64) �... par. 165 The Canadian Biotechnology Advisory Committee, in Patenting of Higher Life 
Forms and Related Issues (June 2002), suggests that the contrary may, in fact, be the case. The use of 
biologically replicating organisms as a �vehicle� for genetic patents may overcompensate the patentee 
both in relation to what was invented, and to other areas of invention. The Canadian Biotechnology Advisory 
Committee explains the point as follows (at p. 12): Because higher life forms can reproduce by 
themselves, the grant of a patent over a plant, seed or non.human animal covers not only the particular 
plant, seed or animal sold, but also all its progeny containing the patented invention for all generations 
until the expiry of the patent term (20 years from the priority date). In addition, much of the value of the 
higher life form, particularly with respect to animals, derives from the natural characteristics of the original 
organism and has nothing to do with the invention. In light of these unique characteristics of biological 
inventions, granting the patent holder exclusive rights that extend not only to the particular 
organism embodying the invention but also to all subsequent progeny of that organism represents a significant 
increase in the scope of rights offered to patent holders. It also represents a greater transfer of 
economic interests from the agricultural community to the biotechnology industry than exists in other 
fields of science�. 
(65) Ivi, par. 152 : � ... the test for determining �use� is not whether the alleged user has deprived 
the patentee of the commercial benefits flowing from his invention, but whether the alleged user has 
deprived the patentee of his monopoly over the use of the invention as construed in the claim�. The purpose 
of s. 42 is to define the exclusive rights granted to the patent holder. These rights are the rights to 
full enjoyment of the monopoly granted by the patent. Therefore, what is prohibited is �any act that in-
376 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
prema, al par. 67 della sentenza, ha ritenuto che Schmeiser avesse �usato intenzionalmente� 
le cellule di colza RR protette da brevetto nel momento in 
cui aveva seminato le proprie sementi inquinate dal gene chimerico, perch� 
�.... sapeva o avrebbe dovuto sapere� che i semi erano resistenti al glifosate e 
contenevano geni o cellule oggetto di rivendicazione. 
Di conseguenza, la Corte (par. 157) ha ritenuto superfluo accertare dell�intenzione 
specifica del violatore di trarre profitto dalla violazione del brevetto 
(�It is and always has been the law in relation to direct infringement 
that the knowledge or intention of the infringer is irrelevant�; Terrell on the 
Law of Patents, supra, at para. 8.08�; l�indagine sull�intenzione � ammessa 
solo nel caso di uso potenziale da parte di un utilizzatore inconsapevole) (66), 
come pure ha considerato irrilevante ai fini della decisione la prova dell�esistenza 
di un nesso causale tra la violazione del brevetto e l�eventuale vantaggio 
dell�utilizzatore. Pertanto, anche se dalla vendita del raccolto contaminato 
dall�OGM Schmeiser non ha tratto alcun beneficio diverso da quello che 
avrebbe ricavato vendendo la propria colza tradizionale, � stato comunque ritenuto 
responsabile di patent infringement. Quest�ultimo punto, tuttavia, se da 
un lato � servito ai giudici per fondare la condanna di Schmeiser, dall�altro � 
servito come argomento per negare alla Monsanto il diritto alla compensazione 
per il mancato guadagno, per il cui riconoscimento, invece, occorre provare 
l�esistenza di una causalit� diretta. 
Volendo azzardare alcune conclusioni si pu� affermare che le piante di 
colza contaminate dalla colza OGM sono rimaste formalmente propriet� di 
Schmeiser, il quale per� non pu� trarne le normali utilit�, cio� non pu� ripiantarle, 
non pu� venderle, non pu� farne delle talee per moltiplicarle. Esiste una 
sorta di regime di �comunione forzosa� tra la propriet� intellettuale dei geni 
di Monsanto e la propriet� delle sementi tradizionali di Schmeiser (come la 
Corte ha decretato al paragrafo 96, �... la propriet� non costituisce difesa dinanzi 
alla violazione di un brevetto�(67)), che attribuisce alla prima il monopolio 
all�utilizzo delle sementi, mentre, al secondo, non lascia altra scelta se 
non decidere se coltivarle sotto al giogo del brevetto, in un regime di semiservit�, 
oppure se non coltivarle affatto. Il piccolo particolare � che Schmeiser, 
terferes with the full enjoyment of the monopoly granted to the patentee�: H. G. Fox, The Canadian 
Law and Practice Relating to Letters Patent for Inventions (4th ed. 1969), at p. 349; see also Lishman 
v. Erom Roche Inc. (1996), 68 C.P.R. (3d) 72 (F.C.T.D.), at p. 77 �. 
(66) Il titolare del brevetto, per ottenere una inibitoria in via cautelare, non deve dimostrare che 
la controparte sapeva che l�uso costituisce una violazione, e l�inibitoria stessa impedisce specifici atti 
intenzionali futuri perch� rende nota la contestazione (cfr., ad esempio, il provvedimento cautelare accordato 
in primo grado richiamato alla Corte Suprema al par. 106 della sentenza de qua, che diffidava 
Schmeiser dal �piantare o coltivare sementi che sapeva o avrebbe dovuto sapere contenenti cellule o 
geni �as claimed in claims 1, 2, 5, 6, 22, 23, 27, 28 and 45 of the patent�, [quoted by the Court of Appeal 
2002 FCA 309 par. 74]). 
(67) ibid. par. 96 �...Ownership is no defence to a breach of the Patent Act�.
DOTTRINA 377 
questa �comunione�, non l�ha mai chiesta, n� cercata, n� voluta, ne ha solo 
subito gli effetti e non aveva alcun modo di difendersi. 
Stando cos� le cose, l�imprenditore che volesse continuare l�esercizio 
dell�agricoltura tradizionale conservando i semi sarebbe nei fatti impotente 
dinanzi agli effetti pratici di tipo acquisitivo legati ai diritti di privativa industriale 
garantiti dal brevetto biotech nei termini in cui si configura dopo questa 
sentenza, e quindi, in sostanza, viene privato della libert� di scegliere quale 
forma di agricoltura praticare. L�uso legittimo di un bene brevettato - giova 
ricordare - � possibile solo su contratto (licenza d�uso) e, quando il titolo 
manca (anche se l�utilizzatore di un dato bene immateriale ne � ignaro) il titolare 
del brevetto ha diritto ad esercitare i suoi poteri di privativa derivanti 
dal monopolio legale, chiedendo al giudice un provvedimento di inibitoria in 
via cautelare, ovvero rilasciando a sua discrezione la licenza d�uso. In un caso 
e nell�altro l�utilizzatore inconsapevole perde l�inconsapevolezza e, con essa, 
il controllo delle sementi contaminate dall�OGM per impollinazione incrociata. 
Inoltre, perde i poteri assicurati dal regime legale ordinario del diritto di 
propriet� sulle sementi tradizionali perch�, in tal caso, il principio accessorium 
sequitur principale viene invertito rispetto al suo significato classico a partire 
dalla sentenza in commento: il gene OGM � cosa principale rispetto al seme 
e alla pianta tradizionale. 
Questa rivoluzione copernicana si � verificata per effetto di una valutazione 
politico-economica avvenuta non gi� in sede politica, ma in via giurisdizionale, 
ad opera della Corte Suprema in Canada. Lo schema di scambio 
determinato per via giurisprudenziale, attualmente, si connota come segue: 
carta filigranata contro la libert� di disporre di beni reali essenziali per la vita 
o, detto altrimenti, la morte della libert� di coltivare secondo natura. Infatti, 
tutto quel che rimane all�imprenditore che pratica agricoltura convenzionale 
o tradizionale le cui sementi siano contaminate da un gene brevettato � il diritto 
ad ottenere un risarcimento del danno per l�inquinamento subito, ma in pratica 
non potr� pi� tornare a coltivare liberamente, a meno di non riuscire a procurarsi 
altre sementi non OGM che comunque, rimarrebbero sempre esposte al 
rischio di essere nuovamente contaminate e poi �espropriate� al secondo ciclo 
riproduttivo. 
Nella sentenza, la Corte ha riconosciuto le difficolt� che un potenziale 
violatore di brevetto davvero ignaro potrebbe incontrare nel contestare l�uso 
e provare la propria innocenza, allorch� si accorga che la pianta geneticamente 
modificata � presente - o � probabile che sia presente - sulle proprie terre coltivate. 
Riportando il parere del Canadian Biotechnology Advisory Committe 
(cfr. nota 78), al par. 165 della sentenza, la Corte ammette che l�impiego di 
organismi autoreplicanti come vettore per propagare i brevetti biotecnologici 
pu� remunerare in modo esagerato il titolare del brevetto, sia in relazione al
378 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
contenuto dell�invenzione, sia in relazione ad altri ambiti delle invenzioni: 
poich� le forme di vita superiori sono in grado di riprodursi - argomenta il Comitato 
- il brevetto su una pianta, un seme o un animale copre non solo quella 
particolare pianta, seme o animale oggetto di compravendita, ma anche la sua 
progenie che contiene l�invenzione brevettata per tutte le generazioni fino alla 
data di scadenza del brevetto (20 anni). E ci� senz�ombra di dubbio, implica 
un�enorme trasferimento di richezza dalla comunit� degli agricoltori all�industria 
biotech. 
Una delle soluzioni espressamente proposte dalla Corte � che sia il Parlamento 
ad occuparsene dato che, nel contesto delle biotecnologie agricole, la 
legge generale che definisce l�uso pu� solo risolvere in modo inadeguato le 
complessit� e le sfumature di un tema cos� complesso. 
Alcuni autori, tuttavia, hanno esplicitamente sollevato il dubbio che proprio 
la decisione della Corte Suprema canadese, nonostante l�approccio ultracauto 
scelto per la delicatezza della materia, abbia gravemente sottovalutato 
le implicazioni della propria statuizione. Per effetto dell�art. 1110 del North 
American Trade Agreement (NAFTA) di cui il Canada fa parte, gli investitori 
stranieri appartenenti agli stati firmatari, come � la Monsanto, sono protetti da 
un regime particolarmente stringente. Una nuova legislazione che vietasse i 
brevetti validi come quello della colza RR, probabilmente darebbe luogo a 
una richiesta di risarcimento. Cos� � vero, come si afferma nella sentenza, che 
il Parlamento canadese in teoria � libero di ribaltare la decisione della Corte 
Suprema con un atto legislativo: una siffatta legge sarebbe inattaccabile, ma 
non sarebbe a costo zero, perch� i titolari di brevetti che venissero privati del 
loro diritto potrebbero ben esigere il pagamento delle sanzioni previste dal 
NAFTA per gli anni di protezione brevettuale perduti. Considerato il numero 
di brevetti esistente, questo potrebbe costare miliardi di dollari, che gravebbero 
come onere fiscale sui cittadini canadesi. 
Per ironia della sorte, proprio la strada maestra indicata dalla maggioranza 
del collegio giudicante, cio� una sostanziale rivalutazione in sede politica della 
materia, sarebbe impraticabile per motivi assai pratici. Analoghe considerazioni 
possono essere svolte con riferimento a un�eventuale atto legislativo che 
innovasse unilateralmente gli aspetti della propriet� intellettuale legati al commercio 
e alle tariffe (68). 
(68) ZIFF ibid. pag. 506 : �The kind of legal fall-out from Monsanto described above is only a 
small part of the picture. There are various scientific and economic concerns associated with genetic 
patenting, and taken collectively, these may prompt a reconsideration of the wisdom of the holding in 
the case. The Supreme Court acknowledges that Parliament is free to do so....However, if you are 
Monsanto, different rules apply: NAFTA governs. Under article 1110 of NAFTA, foreign investors 
from the signatory states are protected against both direct and regulatory takings. Legislation that 
terminates ongoing patents such as the one for Roundup Ready canola probably triggers a right of 
compensation in favour of Monsanto, a foreign investor. So, it is true that Parliament is free�as in
DOTTRINA 379 
6. La giurisprudenza come fonte di produzione del diritto e la globalizzazione 
giudizaria 
�La politica che rinuncia alla guida o alla disciplina dell�economia non 
� meno �politica� di quella dirigistica o interventistica�(69) perch�, anche 
questa opzione, � frutto di una decisione politica. 
Questa condivisibile osservazione ben illustra l�attuale situazione, caratterizzata 
dall�assenza di una politica capace di svolgere il proprio ruolo istituzionale 
e che, perci�, produce �... un�inflazione di leggi, ciascuna dal 
contenuto normativo labile, il cui moltiplicarsi e accumularsi crea un diritto 
scarsamente governabile, generatore di effetti perversi�(70), delle leggi usa 
e getta, insomma (71). In questa situazione di apparente labilit� della politica 
il conflitto sociale viene polverizzato e la sua carica dirompente � affidata alla 
sfera giurisdizionale, investita suo malgrado di questioni politiche nella spelibre�
to reverse the Supreme Court of Canada ruling tomorrow. Such legislation would be unimpeachable. 
Nonetheless, it might not be free�as in gratis�since deprived patent-holders could well be 
entitled to the market value of the lost years of the patent protection. Given all of the existing claims, 
this could amount to recovery in the billions of dollars. It is sadly ironic, then, that the avenue that 
the majority claimed remained open, that is, a robust political reassessment is the one element that, 
for all practical purposes, has been foreclosed�.�However, if you are Monsanto, different rules apply: 
NAFTA governs. Under article 1110 of NAFTA, foreign investors from the signatory states are protected 
against both direct and regulatory takings. Legislation that terminates ongoing patents such 
as the one for Roundup Ready canola probably triggers a right of compensation in favour of Monsanto, 
a foreign investor. So, it is true that Parliament is free�as in libre�to reverse the Supreme 
Court of Canada ruling tomorrow. Such legislation would be unimpeachable. Nonetheless, it might 
not be free�as in gratis�since deprived patent-holders could well be entitled to the market value of 
the lost years of the patent protection. Given all of the existing claims, this could amount to recovery 
in the billions of dollars. It is sadly ironic, then, that the avenue that the majority claimed remained 
open, that is, a robust political reassessment is the one element that, for all practical purposes, has 
been foreclosed�. 
(69) N. IRTI, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Laterza, Roma-Bari, 2001, pag. 69 ss. 
La diretta dipendenza degli attuali sistemi ad economia di mercato dal potenziale di energia giuridico-
fattuale posto in essere dalla ideologia oggi dominante, si � impadronita della sovranit� degli 
Stati e li ha spinti a realizzare il contesto di �omogeneit� o uniformit� di discipline giuridiche, corrispondenti 
alla misura degli accordi inter-statuali�. 
(70) E. SANTORO, ivi, p. 54. 
(71) E. SANTORO ivi, p. 22-23. �...La legge, un tempo fondamento dell�ordinamento giuridico 
e fonte di qualificazione di tutto il diritto positivo, rischia di diventare un reperto archeologico ottonovecentesco. 
Per individuare le effettive fonti del diritto il giudice non deve soltanto guardare oltre 
l�orizzonte della legislazione, ma deve anche superare il recinto normativo dell�ordinamento statuale... 
Se per la tradizione eurocontinentale il giudice era soggetto solo alla legge, e da essa traeva 
il diritto di giudicare, la nuova configurazione delle fonti del diritto lo colloca al di sopra della legge, 
lo fa diventare �colui che decide il diritto�.... Il magistrato, da un lato si trova a fare il �giudice 
della legge�, dall�altro si trova spesso a fare i conti con norme incomplete, ridondanti o contraddittorie, 
che rendono velleitario qualsiasi tipo di sussunzione delle fattispecie concrete entro schemi 
normativi predeterminati. In questa situazione entra in crisi inevitabilmente la capacit� dell�ordinamento 
giuridico di garantire la �certezza del diritto�, cos� com�era stata classicamente concepita 
dalla tradizione continentale�.
380 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
ranza �... che assumano le sembianze di problemi privati grazie al cambiamento 
delle autorit� demandate ad affrontarle�(72). L�onere di decidere le 
grandi questioni del nostro tempo, quindi, si sposta in misura sempre maggiore 
dal parlamento alle aule dei tribunali e il diritto viene ad assumere contorni 
definiti nel momento della sua applicazione nel caso concreto, all�esito della 
lite. 
In dottrina � largamente accettato che la tendenza degli ordinamenti - 
compreso quello italiano - sia orientata verso l�affermazione di un primato 
della iurisdictio sulla legislatio (73) ma il quadro � ulteriormente complicato 
dal fatto che gli ordinamenti nazionali sono ormai caratterizzati - come illustrato 
precedentemente - da una legislazione che non � pi� di matrice esclusivamente 
nazionale, bens� frutto di un policentrismo normativo non coordinato 
n� differenziato nei gradi di legalit� (74). 
In questa sede non ci occuperemo del generale mutamento che attraversa 
la configurazione del potere giurisdizionale cos� come tradizionalmente inteso 
nella tradizione continentale, n� del ruolo di primo piano che le varie Corti 
Internazionali - a competenza generale o specializzate - e i vari organismi di 
amministrazione �privata� della giustizia su scala nazionale e sovra-nazionale 
vanno assumendo, ma ci limiteremo delineare i tratti pi� pregnanti del sottile 
fenomeno che assegna un ruolo assai importante alla giurisdizione come fonte 
di produzione del diritto e come strumento di �armonizzazione� e �globalizzazione� 
dello stesso. In particolare, accenneremo ai processi di cooperazione 
giudiziaria che mirano ad unificare le diverse culture giuridiche servendosi di 
tecniche ermeneutiche mutuate dal diritto comparato - ad es., la comparazione 
costituzionale - e dei limiti alla discrezionalit� del giudice nazionale rappresentati 
dall�obbligo di pronunciarsi in modo �conforme a...�. 
Si � gia evidenziato come ieri il giudice fosse tenuto esclusivamente al rispetto 
della legge nazionale e alla Grundnorm fondativa, mentre oggi � condizionato 
in misura significativamente pi� incisiva da una rete complessa di 
rapporti che travalicano i confini dello Stato. L�attivit� interpretativa tradizionalmente 
svolta in sede giurisdizionale, pertanto, da un lato si � complicata, dovendo 
tener conto di un complesso intreccio di fonti, ma dall�altro risulta 
considerevolmente compressa per effetto dell�applicazione del principio dell�interpretazione 
conforme: conforme alla Costituzione, conforme al diritto comu- 
(72) E. SANTORO, op. cit. p. 55. L�Autore, ricorda che �...come preconizzato da Carl Schmitt, 
la giurisdizionalizzazione del conflitto politico comporta la politicizzazione del ragionamento giuridico
�.
(73) F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, Edizioni Il Mulino - Collana 
Saggi - Bologna, 2004. 
(74) A. MARIANI MARINI, Avvocatura, diritto vivente e diritti fondamentali, in Diritto vivente, 
il ruolo innovativo della giurisprudenza a cura di Alarico Mariani Marini e David Cerri, Edizioni 
Plus, Pisa University Press, Pisa 2007, pag. 8.
DOTTRINA 381 
nitario, conforme alla CEDU e conforme al diritto internazionale. 
A proposito di questa nuova tendenza �conformistica� � stato autorevolmente 
affermato che: �....Se il confine tra il normare e l�interpretare esiste, questo 
confine pu� essere superato da un�applicazione non sorvegliata del principio 
dell�interpretazione conforme (alla costituzione)... Prudenza ancora maggiore 
� sollecitata dall�applicazione del principio dell�interpretazione conforme al diritto 
comunitario le cui funzioni regolatrici consentono l�assorbimento nella 
sfera di legalit� di un ordinamento dei contenuti normativi di un altro ordinamento. 
Quanto all�interpretazione conforme alla CEDU e al diritto internazionale, 
il principio dell�adeguamento interpretativo, pur apparentemente 
ampliando il catalogo dei diritti umani, talvolta assicura una protezione inferiore 
a quella della costituzione italiana. Anzi, l�eccessiva attenzione per i diritti 
umani extracostituzionali potrebbe condurre, in Italia, a un peggioramento della 
qualit� della protezione accordata ai diritti dei singoli nell�ordinamento interno, 
essendo a volte non sovrapponbili gli universi assiologici dei due ordinamenti. 
La diversa ispirazione dei documenti internazionali potrebbe influenzare la cultura 
degli interpreti delle costituzioni nazionali, inducendo letture nuove ma, 
non per questo, pi� garantiste. L�interpretazione conforme � una pratica giudiziaria 
che consente di ridurre le distanze tra ordinamenti, armonizzando per 
quanto possibile il contenuto di serie normative non coincidenti per origine e 
per legittimazione. La sua utilit� si arresta nel momento in cui cessa di essere 
un elemento di pacificazione, per divenire uno strumento di stravolgimento dei 
meccanismi di funzionamento dell�una e dell�altra fonte o ordinamento�(75). 
Le Corti Costituzionali, che storicamente hanno svolto il ruolo di �giudice 
delle leggi� servendosi della Costituzione nazionale come parametro di valutazione 
esclusivo della legittimit�, oggi sono obbligate a tener conto di parametri 
di costituzionalit� interposti che derivano dalla legislazione sovranazionale e 
sono invitate ad una apertura al dialogo con le Corti Supreme di altri paesi, in 
uno stretto confronto con altre tradizioni giuridiche. Appare perci� inevitabile 
che siano chiamate a gestire il difficile equilibrio tra il grado di protezione accordato 
ai diritti fondamentali corrispondenti alla scala assiologica incorporata 
nella Costituzione nazionale, ed i valori e i principi �alieni� propri di altri ordinamenti 
o derivanti dalla �costituzionalizzazione� dagli impegni internazionali 
(il cui rispetto, a seguito della riforma dell�art. 117 della Costituzione e per effetto 
delle sentenze della Corte Costituzionale n. 348 e n. 349 del 2007, e n. 8/2008 
(75) F. LUCIANI, Le funzioni sistemiche della Corte Costituzionale, oggi, e l�interpretazione �conforme 
a�, disponibile sul sito internet http://www.federalismi.it., 16/2007. Vedi anche Convegno del 
Gruppo di Pisa svoltosi a Milano il 6 e 7 giugno 2008 su Interpretazione conforme e tecniche argomentative, 
le cui relazioni possono vedersi in www.unimi.it., citato in Esperienze di giustizia costituzionale, 
dinamiche istituzionali, teoria della Costituzione ANTONIO RUGGERI in corso di pubblicazione su Giurisprudenza 
costituzionale e consultabile sul sito www.associazionedeicostituzionalisti.it/dottrina/teoria 
generale/ruggeri2.html.
382 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
� divenuto parametro interposto di costituzionalit�). 
Per fornire un�indicazione di quale sia il clima di entusiasmo che circonda 
il tema della cooperazione internazionale che afferisce alla giurisdizione, anche 
se non mancano voci di dissenso sia in Italia che all�estero (e soprattutto negli 
USA), � sufficiente riflettere sull�opinione espressa dall�ex Presidente della Corte 
Suprema norvegese a proposito delle forme attive di collaborazione tra le Corti 
Supreme. Ad avviso dell�Alto Magistrato: �... costituisce un obbligo naturale 
che, per quanto nelle nostre possibilit�, prendiamo parte al dibattito europeo 
ed internazionale ed alla reciproca interazione fra le corti. � un dovere delle 
corti nazionali � ed in particolar modo delle corti di grado pi� elevato di un 
piccolo Stato � contribuire all�introduzione di nuovi principi giuridici dal mondo 
esterno nelle decisioni dei giudici nazionali�(76). Particolarmente interessante, 
� l�uso dell�aggettivo �piccolo�, riferito a uno stato nazionale sovrano, e questa 
notazione ci serve per introdurre il tema dei caveat, sollevati dalla dottrina a 
proposito della grande promozione culturale del principale metodo interpretativo 
impiegato allo scopo, come vedremo pi� avanti. 
Il processo di dialogo tra Corti Supreme, denominato talvolta anche constitutional 
cross fertilization, � possibile grazie al metodo della comparazione 
giuridica, una tecnica interpretativa che attualmente viene evocata con grande 
insistenza. 
Esiste una linea ermeneutica comparativa che vede con grande favore l�utilizzazione 
funzionale da parte delle Corti Supreme, e in genere dei giudici nazionali, 
di modelli di decisione resi da giudici stranieri, in un�ottica di apertura 
verso la circolazione di modelli giuridici che vanno dal � ... vero e proprio �trapianto� 
di regole e decisioni... al caso di imitazione e recezione, sia il caso di 
naturale convergenza dei modelli... sia il caso di convergenza necessitata ad 
opera dell�applicazione delle direttive comunitarie e dei provvedimenti introdotti 
negli ordinamenti nazionali per dare loro attuazione, sia ancora della 
formazione di un humus comune...�(77). 
Il metodo comparativo, secondo questo approccio funzionale, dovrebbe 
essere �... non pi� confinato nell�area cognitiva, ma utilmente sfruttato nell�ambito 
della professione forense e quindi dinanzi alle corti giudicanti�(78). 
In dottrina il dibattito � molto vivace e i suoi toni si accendono particolarmente 
su quest�ultimo punto (cio� sull�uso della comparazione con effetti 
(76) ANGIOLETTA SPERTI, Il dialogo tra le corti costituzionali ed il ricorso alla comparazione giuridica 
nella esperienza pi� recente, in Rivista di diritto costituzionale, Giappichelli, Torino, 2006, pag. 
127. 
(77) G. ALPA. Il Giudice e l�uso delle sentenze straniere. Modalit� e tecniche della comparazione 
giuridica. La giurisprudenza civile, in Rassegna Forense, Quaderni, n. 19 , Il giudice e l�uso delle sentenze 
straniere. Modalit� e tecniche della comparazione giuridica, a cura di G. Alpa, Giuffr�, Milano, 
2006, pag. 35. 
(78) G. ALPA. ivi, pag. 38.
DOTTRINA 383 
direttamente normativi proposto dai funzionalisti, che mira ad accentuare 
gli elementi di uniformit� tra le diverse culture giuridiche alla ricerca di 
�standard� comuni, versus quello adottato dalle correnti di ispirazione strutturalista, 
che tendono ad evidenziare la diversit� delle varie tradizioni)(79). 
Il principale motivo di confronto, come ben evidenziato da autorevole 
dottrina costituzionalistica italiana � che, la comparazione, �...quando venga 
trasferita dal piano dell�ispirazione e dell�ausilio nei processi di riforma 
costituzionale su quello dei canoni di interpretazione del testo costituzionale, 
scardina sia il sistema Westfalia e le gerarchie interne alla statualit�, che 
le consolidate certezze sul ruolo del giudice costituzionale e sui confini della 
sua attivit� interpretativa ... perch� fa rifluire nell�interpretazione costituzionale 
la rete delle interdipendenze che condizionano in misura crescente 
lo stato costituzionale contemporaneo�(80). Ergo, � innegabile che esista 
una �.. linea di tensione tra comparazione costituzionale e tradizione del diritto 
pubblico dello stato nazione�(81), che rinvia al nodo dei rapporti tra la 
sovranit� nazionale e tutto quanto la condiziona. 
A questo proposito, � stato affermato che �...i processi di integrazione 
sovra-nazionale, quanto pi� esigono il mantenimento di raccordi flessibili 
e dinamici tra i diversi ordinamenti, tanto pi� lasciano spazio ai canoni comparativi 
sul terreno dell�interpretazione. L�esperienza della �creazione giurisprudenziale� 
europea di un sistema dei diritti nell�ordinamento europeo 
multilivello, dimostra che il metodo comparativo resta ancora il presupposto 
necessario per la ricerca dei principi generali che trascendono i confini 
degli stati...� (82). E tale ricerca dei principi generali �universali� costituirebbe, 
per l�appunto, la via che configura l�uso della comparazione riferita 
al rapporto tra orientamenti distinti come veicolo per l�elaborazione di un 
monismo operante sul terreno dell�interpretazione (83). Il rischio maggiore, 
pertanto, � che �UNA� interpretazione possa affermarsi come quella �giusta�, 
degradando tutte le altre e rendendole un p� meno �giuste� o meno �autorevoli�. 
(79) Per una disamina approfondita vedi A. SOMMA, Metodi e scopi della comparazione giuridica 
nelle decisioni delle corti, in Il Giudice e l�uso delle sentenze straniere. Modalit� e tecniche della comparazione 
giuridica. La giurisprudenza civile, in Rassegna Forense, Quaderni, n. 19, Giochi senza frontiere. 
Diritto comparato e tradizione giuridica in Ars Interpretandi, 2003, pag. 327 ss.; P. G. MONATERI 
e A. SOMMA Alien in Rome. L�uso del diritto comparato come interpretazione analogica ex art. 12 delle 
preleggi, in Foro it, 1999,V, c. 47 ss. 
(80) P. RIDOLA La giurisprudenza Costituzionale e la comparazione, Rassegna Forense, Quaderni, 
n. 19, Il giudice e l�uso delle sentenze straniere. Modalit� e tecniche della comparazione giuridica, a 
cura di G. ALPA, Giuffr�, Milano, 2006, pag. 17-18. 
(81) P. RIDOLA ibid., pag. 16. 
(82) RIDOLA ibid., pag. 30-31. 
(83) C. PINELLI Adeguamento del diritto comunitario e interpretazione costituzionale, nota a sentenza 
n. 443 del 1997, in Giur. Cost. 1997, pag. 3915 ss.
384 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Qui � naturale domandarsi se sia possibile ipotizzare, anche con riferimento 
alla giurisdizione, la creazione �silenziosa� di un sistema gerarchico 
dall�apparenza �soft� capace di imbrigliare la comunit� delle Corti supreme 
e di trasformarle in una corporazione sedotta ad uniformarsi al modus interpretandi 
di chi ha la capacit� di imporsi tecnologicamente, militarmente, finanziariamente, 
economicamente e culturalmente. Sul punto, si pu� 
concordare con chi sostiene che, se la comparazione rimane essenzialmente 
una forma di comunicazione tra ordinamenti diversi e aventi pari dignit� e 
forza, questo pericolo sar� scongiurato, in caso contrario, cio� se �si costituiscono 
monopoli o primati nell�interpretazione (84) �, potrebbe diventare 
lo strumento principe per assicurare una globalizzazione giudiziaria retta dal 
�diritto del pi� forte� (che, oltretutto, potr� sfruttare la forza di penetrazione 
capillare della giurisdizione e il lavoro degli apparati giudiziari nazionali 
per servire interessi economici situati altrove). 
7. Conclusioni 
A partire dagli anni �60 gli stati nazionali hanno attuato la progressiva 
cessione della sovranit� nazionale in materia agro-alimentare in favore di 
organismi sovra-nazionali, fortemente condizionati dagli interessi di grandi 
gruppi transnazionali, promotori di un modello agricolo industriale dipendente 
dall�economia del petrolio. 
L�adesione all�OMC, all�Accordo Agricolo allegato e sopratutto ai TRIP�s, 
ha rappresentato il punto culminante di questo lungo processo in cui si 
� preferito gradualmente far ricorso alle norme tecniche (85) (espressione 
(84) PAOLO RIDOLA, ibid., pag. 32. Sull�argomento vedi anche ELIGIO RESTA, Diritto vivente, in 
Diritto vivente, il ruolo innovativo della giurisprudenza a cura di Alarico Mariani Marini e David Cerri, 
Edizioni Plus, Pisa University Press, Pisa 2007, pag. 82-83. 
(85) F. BILANCIA, Lo Stato democratico rappresentativo nel sistema Globale A.A VV., Ripensare 
lo Stato, (a cura di S. Labriola), Atti del convegno di Napoli, 22-23 marzo 2002, pubblicato su Quaderni 
della Rassegna parlamentare, 2003 Giuffr�, Milano, pag. 620 ss. �... Norme tecniche vs. norme 
giuridiche. Prime conclusioni. Il sistema del libero commercio mondiale procede, come � noto, attraverso 
la realizzazione di una rete di regole tendenti a realizzare una sostanziale equivalenza delle qualit� 
tecniche dei prodotti e dei processi produttivi al fine di eliminare ogni possibile barriera 
protezionistica alla libera circolazione di tali valori economici attraverso i confini degli Stati membri. 
Cos� tutte le regole di diversa natura che potrebbero implicare effetti di protezionismo mediante restrizioni 
quantitative alla libera circolazione dei prodotti, delle merci, dei servizi, ecc., ivi comprese 
le norme di legge che nel perseguire altri obiettivi, nell�attuare i fini tradizionali degli ordinamenti 
giuridici statali, producano misure di effetto equivalente a tali restrizioni, assumono automaticamente 
il carattere di barriere commerciali, opponendosi di fatto a questo processo di normalizzazione. Ebbene, 
attraverso questo effetto di contrapposizione dell�ordine globale rispetto all�ordinamento giuridico 
statale si consuma la neutralizzazione dell�interesse generale a vantaggio di privilegiati interessi 
particolari, muta cio� il fondamento politico del sistema delle �fonti� del diritto. Ad assumere rilievo, 
pertanto, non � pi� il profilo sostanziale della norma � che non � pi� giuridica � non � pi� la sua 
natura bens� il contenuto regolativo suo proprio, la sua funzione. Il denotato regolativo diviene cio�
DOTTRINA 385 
di interessi particolari), piuttosto che alla legge generale (espressione del 
processo di sintesi e composizione di tutti gli interessi in gioco), lungo la linea 
di tendenza che mira a ridefinire il diritto come un prodotto Lj la carte�(86) 
al servizio dell�impresa, capace di riconvertire le dinamiche economiche in 
dinamiche giuridiche e viceversa. In tal modo l�Arte del coltivare, patrimonio 
comune degli uomini, che nel corso dei millenni � stata liberamente praticata 
con la pi� straordinaria capacit� di adattamento creativo alle diverse condizioni 
geografiche e climatiche, � stata posta sotto al giogo del controllo tecnocratico 
di ispirazione industriale. 
Charles Benbrook - gi� direttore per l�Agricoltura della �Academy of 
Science� negli USA - in occasione di un convegno tenutosi a Roma presso la 
Camera dei Deputati il 18 maggio 2003 (87) ha riferito che gli studi fatti su 
8.200 siti sperimentali universitari negli Stati Uniti dimostrano che gli OGM 
non producono di pi�, bens� dal 7 al 10% in meno, mentre inquinano 4 volte 
di pi� rispetto alle colture convenzionali. Il Rapporto 2008 della prestigiosa 
Organizzazione no-profit �Amici della Terra International�, intitolato �Who 
benefits from GM crops: the rise in pesticide use�, conferma i dati di Benbrock 
in senso peggiorativo (l�uso del glifosate, sostanza cancerogena (88) e incidente 
sulla fertilit� umana (89), � aumentato in USA di 15 volte in 11 anni). Il 
direttore della Soil Association britannica, Lord P. Melchett, dice che: �... i 
prodotti con i quali le compagnie biotech dicono di poter �sfamare il mondo� 
non hanno mai recato un aumento di produzione complessivo ma, al contrario, 
servente ad un particolare sistema di interessi, diviene strumento per la realizzazione di finalit� altre 
rispetto a quelle proprie dello Stato democratico-rappresentativo�. Sul problema del rapporto tra norme 
tecniche ed etichette vedi anche L. COSTATO Direttive comunitarie e sentenze della Corte di Giustizia 
sulle norme tecniche e sui relativi accordi in sede WTO, in Rivista di Diritto Agrario, Giuffr�, Milano, 
2008, pag. 83 ss. 
(86) M.R. FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella societ� transnazionale, 
Il Mulino, Bologna, 2000, pag. 49 ss. 
(87) Fonte: OGM. Lettera Aperta di Equivita al Governo, 15 Giugno 2008 consultabile su: 
http://www.palcoscenico.it/agroalimentare/transgenico-ogm/21468-ogm. 
(88) Uno studio degli oncologi Dr. Lennart Hardell e Dr. Miikael Erikson pubblicato in Svezia 
(LENNART HARDELL, M. D., PhD., Dip. Di Oncologia, Orebro Medical Centre, Orebro, Svezia e MIIKAEL 
ERIKSON, M.D., PhD., Dip. Di Oncologia, Univerity Hospital, Lund, Svezia A Case-Control Study of 
Non-Hodgkin Lymphoma and Exposure to Pesticides, Cancer, 15 marzo 1999, Vol. 85, N�6) rivela il 
legame tra l�erbicida glifosate e il linfoma non-Hodgkin, una forma di cancro molto diffusa: 
(http://www.foei.org/en/media/archive/2008/gm-crops-increase-pesticides); cfr. anche RICHARD S., MOSLEMI 
S., SIPAHUTAR H., BENACHOUR N. and SERALINI G.E. (Laboratoire de Biochimie et Biologie Moleculaire, 
USC-INCRA, Universit� de Caen, France) Differential effects of glyphosate and Roundup 
on human placental cells and aromatase, pubb. Su Environ Health Perspect. 2005 n. 6, Vol. 113, pag. 
716-20). 
(89) L�ultima conferma, in ordine di tempo, giunge dallo studio commissionato dal governo austriaco, 
pubblicato nel novembre del 2008 a cura del Ministero della salute (A.Velimirov, C. Binter, J. 
Zentek, Biological effects of transgenic maize NK603xMON810 fed in long term reproduction studies 
in mice, ISBN 978-3-902611-24-6), disponibile sul sito del Bundesministerium f�r Gesundheit, Familie 
und Jugend, Sektion IV Radetzkystra�e 2, 1031 Vienna.
386 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
una riduzione�(90). Ci� nonostante, i governi europei, mentre dichiarano di 
voler garantire un livello di protezione della salute dei consumatori e dell�ambiente 
�alto�, vanno anch�essi avanti nel processo di apertura alla loro coltivazione 
e commercializzazione, a dispetto delle proteste della societ� civile, 
degli avvertimenti della scienza pi� responsabile e nonostante la disponibilit� 
di diverse soluzioni alternative per risolvere i problemi esistenti, che vengono 
gi� praticate con successo su piccola scala. 
� opportuno chiedersi, allora, quale sia il vero scopo dell�imposizione 
delle nuove specie OGM. Posto che, come si � detto, la coesistenza di colture 
OGM e non OGM � tecnicamente impossibile, se i primi non servono a soddisfare 
i bisogni dei consumatori e invece devastano l�ambiente ponendo a repentaglio 
la salute delle popolazioni e la sicurezza alimentare globale, se 
significano la fine dell�agricoltura cos� come l�abbiamo conosciuta sin�ora, 
perch� vengono promossi con tanta insistenza? Chi ne beneficia? Quale interesse 
serve, nei settori legati all�agricoltura e all�allevamento, la separazione 
delle fasi �riproduttiva� e �produttiva� delle creature il cui sacrificio consente 
a noi umani di vivere? Se piante ed animali si sono liberamente riprodotti secondo 
natura per tanti millenni, esisteranno pur delle forti motivazioni etiche 
o, quantomeno, prudenziali (onde evitare il rischio di impoverire ulteriormente 
il patrimonio genetico vegetale ed animale e proteggere la biodiversit�), che 
dovrebbero impedici di interferire oltre. 
Il presente studio ha preso le mosse dalla considerazione che per creare 
le entit� chimeriche � necessario ricorrere ad un processo di manipolazione 
genetica che impiega sequenze geniche di plasmodi, virus e batteri e che mira 
a sostituirsi totalmente, in prospettiva, ai processi riproduttivi naturali di piante 
ed animali. La brevettabilit� di queste forme di vita create in laboratorio - affermata 
prima dalla giurisprudenza (91) e poi protetta anche sul piano legi- 
(90) P. MELCHETT, Soil Association report shows GM crops do not yield more, sometimes less 
Press release 14 aprile 2008 su www. Soilassociation.org/. 
(91) Il tema �sensibile� delle biotecnologie e della ammissibilit� dei brevetti sulla �materia vivente� 
� stato affidato in prime cure alla giurisprudenza di alcuni paesi che hanno svolto un ruolo quasi 
pionieristico di preparazione per l�introduzione di una legislazione ad hoc �rivoluzionaria�. Il contributo 
delle Corti alla governance delle biotecnologie e la loro influenza sugli orientamenti politici nazionali 
� ben documentato (per una dettagliata analisi del ruolo della giurisprudenza nella promozione delle 
biotecnologie si rinvia a CHRISTINE ROTHMAYERALLISON, Courts and the biotechnology revolution: Policy 
making in Canada, USA and Switzerland, Paper presented at the 2006 CPSA Annual Conference at 
York University, Toronto, 1-3/06/ 2006). L�apertura alla brevettabilit� degli organismi viventi � stata affermata 
per la prima volta dalla Corte Suprema degli USA con la sentenza 447 U.S. 303 del 16\06\1980 
sul caso Diamond/Chakrabharti. Nel 1971, un microbiologo indiano, Mr. Ananda Chakrabharti, si rivolse 
al PTO, l�Ufficio dei Brevetti e Marchi degli Stati Uniti, per registrare un microrganismo geneticamente 
manipolato. L�Ufficio respinse la richiesta, affermando che la legge americana vietava la brevettabilit� 
di forme viventi. A sostegno del proprio provvedimento di reiezione, l�ufficio governativo richiam� la 
circostanza che nei pochi casi in cui i brevetti erano stati estesi a forme viventi (cio� ad alcuni tipi di 
piante), il Congresso aveva dovuto promulgare leggi ad hoc di carattere eccezionale. Mr. Chakrabharti
DOTTRINA 387 
slativo a livello nazionale e sovranazionale - ha trovato un eccezionale ulteriore 
possibilit� di espansione, ancora una volta sul piano giurisprudenziale, 
con la sentenza Monsanto/Schmeiser, la cui impeccabilit� sul piano logicogiuridico 
potrebbe farla assurgere a �precedente� e, teoricamente, determinare 
la diffusione di quell�indirizzo interpretativo anche in altri ordinamenti nazionali 
per via comparativa e in vista dell� �armonizzazione� degli indirizzi giurisprudenziali 
internazionali in materia di diritti di propriet� intellettuale sugli 
organismi viventi. Si tratta di un precedente i cui effetti di iniquit� sostanziale, 
pur riconosciuti dalla stessa Corte Suprema canadese, non sono agevolmente 
rimediabili sul piano legislativo, come gi� accennato al paragrafo 5. 
Di fronte al manifesto tentativo di privatizzare in modo omnipervasivo 
le pratiche agricole, e dunque di sottrarre ai loro legittimi titolari tutto ci� che 
attiene al libero esercizio dell�agricoltura e dell�allevamento - attivit� umane 
che la societ� civile sta riprendendo a collocare nella giusta prospettiva mano 
a mano che diviene consapevole della loro fondamentale importanza -, lo scenario 
che si profila � il seguente. 
Da un lato, esiste un movimento nazionale e globale �dal basso� che ha 
e la societ� presso cui prestava servizio proposero la questione in sede giurisdizionale e, con grande sorpresa 
generale, ottennero una pronuncia favorevole. La motivazione della sentenza recitava, infatti, che 
il microrganismo brevettato: �...era pi� simile a composti chimici inanimati, come reagenti e catalizzatori, 
che a cavalli, api, rose e lamponi�. La causa prosegu� il suo corso e prosegu� dinanzi alla Corte Suprema 
Federale. L�Ufficio Brevetti, affiancato dalla People�s Business Commission, si affannarono a 
dimostrare come il caso all�esame della Corte riguardasse direttamente il valore e il significato della 
vita. Se la validit� del brevetto fosse stata confermata - argomentavano - �... la vita costruita, piccola o 
grande che sia non sarebbe pi� considerata vita, ma solo un comune reagente chimico� (cos� cit. in �Il 
secolo Biotech� di J. RIFKIN). La People�s Business Commission dichiar�, inoltre, che una sentenza favorevole 
avrebbe aperto le porte alla prassi di brevettare, in futuro, tutte le forme di vita. Nel 1980, la 
richiesta di Mr. Chakrabharti fu definitivamente accolta e, conseguentemente, per la prima volta nella 
storia, fu affermato il principio della brevettabilit� della vita manipolata geneticamente. La decisione 
della Corte Suprema costitu� la premessa fondamentale per il processo di privatizzazione e sfruttamento 
commerciale delle risorse genetiche, negli Stati Uniti e altrove. Ai fini della valutazione del suo impatto 
nel mondo dell�economia pu� essere interessante notare che, pochi mesi dopo la pubblicazione della 
sentenza, una piccola societ� - la Genentech, oggi un colosso - offr� al pubblico pi� di un milione di 
azioni a 35 dollari l�una. Nei primi venti minuti di contrattazione, il valore di un�azione era salito a 89 
dollari. Nel tardo pomeriggio, l�azienda biotech aveva guadagnato 36 milioni di dollari). In questo solco, 
si inserisce la sentenza della Corte Suprema canadese Schmeiser/ Monsanto che segna un punto di svolta 
in favore dell�industria molto significativo perch�, per la prima volta e con grande autorevolezza, estende 
fino alle estreme conseguenze i principi che regolano i brevetti in generale anche alle biotecnologie 
agricole. Quei principi, sono stati espressamente dichiarati coerenti con le prescrizioni TRIP�s (Corte 
Suprema Canada cit. sub nota n. 10, preambolo della sentenza, ultimo cpv. �...The conclusion on the 
scope of the respondents� patent claims, that is determinative of both validity and infringing use, is consistent 
with the Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights�). Monsanto aveva 
gi� vinto almeno sette cause contro gli agricoltori che avevano infranto le regole stabilite dal contratto 
di concessione delle sementi. Il caso Schmeiser per� ha richiamato l�attenzione dei media di tutto il 
mondo perch� decidendo la questione dei semi portati dal vento nei termini descritti, ha stabilito regole 
che condizionano la libert� di piantare e coltivare in stridente contrasto con il modo di sentire di tutte le 
popolazioni agricole del pianeta.
388 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
dato luogo al processo di rivendicazione della �sovranit� alimentare�, intesa 
come diritto fondamentale individuale e come diritto dei popoli la cui protezione 
� indispensabile per garantire un livello adeguato di sicurezza alimentare 
(come safety e come security) alle generazioni presenti e future. Si tratta di un 
processo in fieri. 
Dall�altro, esiste un sistema sovra-nazionale e nazionale, per il quale evidentemente 
il settore agricolo riveste importanza strategica, che si � attrezzato 
per tempo - come una macchina da guerra - e ha piegato lo strumento legislativo 
per concentrare in poche mani e in modo illiberale il controllo di tutte le fasi 
della filiera agro-alimentare. 
Tra queste due situazioni che si fronteggiano con evidente asimmetria di 
forze i veri arbritri della situazione saranno i giudici nazionali e soprattutto le 
Corti Costituzionali, la cui azione sar� cruciale nel determinare se il nostro destino 
di consumatori alimentari verr� segnato da una caduta definitiva nel �modello 
virale� sotto al giogo dei brevetti o se potr� sperare nella conservazione 
della libert� di scegliere l�agricoltura secondo natura. 
Ci troviamo al punto cruciale della Storia in cui l�essere umano ha i mezzi 
tecnologici per sostituirsi alla Natura nella sua funzione di �creatrice della vita�, 
ma per esercitare questo potere deve ricorrere all�utilizzazione di forme di vita 
elementari, infinitamente pi� antiche dell�uomo stesso (virus, batteri e plasmidi), 
che potrebbero rivelarsi la giusta nemesi. Giova tenere a mente che le 
parole �ibrido�(92) e �hybris�, la tracotanza, condividono la stessa radice linguistica. 
Se dovessimo limitare la nostra riflessione al quadro normativo esistente 
e all�orientamento espresso nella pronuncia della Corte canadese, le prospettive 
future non sarebbero rassicuranti. 
Tuttavia, i prevedibili risultati cui condurrebbe l�affermazione del modello 
di sviluppo economico parassitario e triste che l�industria transnazionale 
promuove e sostiene, stridono in modo intollerabile con ci� che � ancora vivo 
della nostra civilt� giuridica, con la nostra coscienza civile, con il senso di rispetto 
per la storia, per le tradizioni alimentari e culturali e con la dignit� che 
tutti i popoli del pianeta meritano. E, proprio la ripugnanza che questa prospettiva 
suscita, ha indotto gli esponenti pi� sensibili del mondo scientifico e 
giuridico, gli agricoltori e la societ� civile a reagire con numerose campagne 
(92) Per un curioso accostamento della funzione dell�ibrido a quella delle law firms vedi E. SANTORO, 
ibidem, pag. 94: �Le law firms, per i capitali che attraggono, si affermano oggi come i luoghi 
privilegiati di produzione del sapere giuridico che si sviluppa all�ombra del potere economico. Allo 
stesso tempo si configurano come un ibrido tra societ� di professionisti che vendono un servizio sul 
mercato ed entit� organicamente inserite nelle strutture delle grandi corporation internazionali. Questa 
natura ibrida si ripercuote sul sapere giuridico che producono. Le technicalities e le nuove modalit� di 
scambio che esse mettono a punto, pur essendo nate su commissione ed essendo quindi legate a specifici 
interessi, si trovano comunque ammantate della legittimazione del �diritto�....�.
DOTTRINA 389 
di respiro internazionale che mirano ad ottenere il riconoscimento della �sovranit� 
alimentare� sul piano legislativo, come mezzo per realizzare il diritto 
ad un cibo sicuro, sano e adeguato e �libero�. 
Forse � davvero giunto il momento di guardare in faccia la realt� e di dire 
basta a questo finto �libero mercato�, che si risolve in un oligopolio dell�offerta 
ai danni della domanda (93). 
In questa delicata fase storica caratterizzata da un grande squilibrio tra i 
singoli individui e le loro comunit� e il potere dei colossi internazionali (che 
dispongono di meccanismi ricattatori capaci di scardinare la coerenza sistemica 
degli stati e sono protetti da una legislazione ancilla del mercato, per la 
quale poco contano gli interessi e i valori della collettivit� umana e il destino 
di tutte le altre creature viventi), spetter� alla magistratura svolgere il complito 
gravoso e davvero difficile di proteggere in concreto i diritti umani connessi 
ai temi sin qui trattati. Ricorrendo alle parole di un attento giuspubblicista gi� 
citato, si pu� affermare che: �...La Costituzione pu� essere interpretata in 
senso conforme al diritto comunitario o convenzionale solo a patto di non dimenticare 
che i valori di riconoscimento dell�ordine costituzionale italiano, 
comunitario, convenzionale ed internazionale non sono sempre coincidenti 
sicch� l�armonizzazione � praticabile solo laddove si riesca a salvaguardare 
i valori costituzionali nella loro complessa unit� sistemica. CՏ bisogno di 
una Corte Costituzionale perch� oggi, solo garantendo la costituzione si garantisce 
l�originaria decisione costituente della popolazione, realizzando il 
principio democratico. Spetta alla Corte, nel confronto con i suoi competitori, 
garantirsi l�intangibilit� del ruolo che le compete nell�ordinamento� (94). 
Concludendo, � sulla sensibilit� ed il coraggio delle Corti costituzionali 
che incombe la grande responsabilit� di far pendere l�ago della bilancia in un 
senso o nell�altro, in una corsa contro il tempo in cui ci� che � in gioco, a 
quanto pare, non � solo la promozione di un modello agricolo piuttosto che 
un altro. Forse aveva ragione Fukuoka quando affermava che: �...lo scopo 
vero dell�agricoltura non � coltivare le piante, ma la coltivazione ed il perfezionamento 
degli esseri umani�(95). Se cos� fosse, esiste certamente una ragione 
di pi� per proteggere, passando per la protezione dell�agricoltura 
naturale, anche l�umanit� dell�uomo. 
(93) NICO VALERIO, Ma quale �mercato libero�: � un oligopolio di offerte ai danni della domanda, 
Salon Voltaire, 5 dicembre 2008, consultabile sul sito: http://salon-voltaire.blogspot.com/. 
(94) F. LUCIANI, ivi. 
(95) M. FUKUOKA, La rivoluzione del filo di paglia, Fiesole, 1980, Quaderni d�Ontignano, pag. 
139.
R E C E N S I O N I 
DOMENICO MEZZACAPO, Dirigenza pubblica e tecniche di tutela 
(Pubblicazioni del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Universita� degli Studi 
di Roma �La Sapienza�, Jovene editore, Napoli 2010) 
Presentazione di Giuseppe Santoro-Passarelli* 
Il volume analizza l�impatto della cosiddetta. riforma �Brunetta� sui problemi 
aperti della dirigenza pubblica, evidenziando come alcune contraddizioni 
nei principi e criteri direttivi di cui alla legge delega n. 15 del 2009 si 
riverberino sulla disciplina attuativa dettata dal d. lgs. n. 150 del 2009. 
Non cՏ dubbio, infatti, che proprio la dirigenza sia chiamata ad assumere 
un ruolo cruciale nella pubblica amministrazione riformata, ai fini di molti 
degli obiettivi perseguiti dalle nuove disposizioni: una migliore organizzazione 
del lavoro, elevati standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi, 
il riconoscimento di meriti e demeriti, l�incremento dell�efficienza del 
lavoro pubblico ed il contrasto alla scarsa produttivit� e all�assenteismo. 
Sennonch�, da una parte, alcune disposizioni sembrano voler rafforzare 
la distinzione tra politica e amministrazione, garantendo una maggiore autonomia 
dei dirigenti nei confronti degli organi di vertice politico. D�altra parte, 
la massiccia rilegificazione operata dalla riforma lascia trasparire una netta 
sfiducia nelle capacit� manageriali della dirigenza, predeterminando i comportamenti 
da attuare e limitando gli spazi per autonome valutazioni. 
Dopo aver dato conto delle tappe della privatizzazione della dirigenza 
pubblica, il volume si sofferma sulla disciplina dell�accesso alla dirigenza, sul 
regime degli incarichi e sulla responsabilit� dirigenziale, per poi esaminare le 
tecniche di tutela dei diritti del dirigente e, indirettamente, a garanzia della 
funzione pubblica. 
(*) Ordinario di diritto del lavoro, SAPIENZA Universit� di Roma.
392 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Tra le disposizioni che sembrano voler rafforzare l�autonomia della dirigenza 
devono essere menzionati l�art. 28-bis e i nuovi commi 1-bis e 1-ter 
dell�articolo 19 del d. lgs. n. 165 del 2001. 
L�art. 28-bis introduce modalit� concorsuali di accesso alla prima fascia 
dei ruoli dirigenziali, garantendo ad ogni dirigente della seconda fascia la possibilit� 
di passare alla prima indipendentemente dal gradimento dell�organo 
di vertice politico e dall�attribuzione di incarichi di livello generale per il periodo 
necessario. 
I nuovi commi 1-bis e 1-ter consentono un maggior controllo delle scelte 
operate in sede di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali attraverso 
l�imposizione di procedure pi� trasparenti e di obblighi di motivazione prima 
non espressamente previsti dalla legge. L�analisi evidenzia, tuttavia, la limitata 
portata di queste nuove disposizioni, ritenute non idonee ad assicurare una effettiva 
tutela del dirigente pretermesso nella procedura di conferimento di un 
determinato incarico. 
Secondo l�Autore, con la sola eccezione del conferimento degli incarichi 
a soggetti esterni, unico caso in cui la motivazione � richiesta quale requisito 
di validit� dell�atto di conferimento, in generale i nuovi obblighi di motivazione 
sono spesso solo formali e si esauriscono nel rapporto tra pubblica amministrazione 
e soggetto interessato al conferimento di un determinato 
incarico. 
Viene messo in evidenza, inoltre, che dai nuovi obblighi di motivazione 
non discende necessariamente anche l�obbligo di comparazione tra pi� aspiranti, 
nonostante la nuova normativa imponga alla pubblica amministrazione 
di predeterminare criteri di scelta. L�art. 19, comma 1, del d. lgs. n. 165 del 
2001, pur riformato, continua ad accontentarsi di una semplice verifica di congruit� 
tra il curriculum del dirigente e le caratteristiche dell�incarico da assegnare. 
Emerge, dunque, una latente contraddizione all�interno dello stesso art. 
19, che non pu� che risolversi negando l�esistenza di un obbligo legale di comparazione 
tra pi� aspiranti nell�ambito della procedura di conferimento di un 
determinato incarico. 
Nessun controllo delle scelte operate dall�organo di vertice politico pu� 
essere garantito, inoltre, nelle ipotesi di spoils system, di cui all�art. 19, comma 
8, del d. lgs. n. 165 del 2001. Anche alla luce di alcune sentenze gi� intervenute 
in materia, l�Autore prospetta dubbi di legittimit� costituzionale della normativa 
in vigore incentrata su meccanismi automatici di cessazione ex lege degli 
incarichi in corso al cambio di governo. Un migliore bilanciamento tra i principi 
di imparzialit� e buon andamento dell�amministrazione dovrebbe imporre, 
invece, motivati provvedimenti di cessazione, di cui il governo si assume la 
responsabilit�, e idonei a garantire ai dirigenti cessati la tutela giurisdizionale. 
In linea generale, tuttavia, � proprio sul versante delle tutele giurisdizionali 
che il regime privatistico mostra le sue maggiori criticit�: non a caso la
RECENSIONI 393 
corte costituzionale, pur approvando la privatizzazione del rapporto di lavoro 
pubblico, ha sempre affermato la necessit� di predisporre un�adeguata cornice 
legale volta a garantire l�imparzialit� dell�amministrazione. 
Una volta riconosciuta la natura privatistica degli atti di conferimento 
degli incarichi, per�, la mancata previsione di un obbligo di comparazione e 
la limitata portata dei nuovi obblighi di motivazione non sembrano garantire 
una tutela giurisdizionale adeguata. 
Il volume sottolinea la difficolt� di ricorrere all�annullabilit� e alla nullit�, 
come pure all�azione di adempimento, per recuperare le tradizionali garanzie 
pubblicistiche. Le tecniche di tutela privatistiche, dunque, non supportate da 
apposite norme di legge volte a limitare l�autonomia privata, non riescono a 
garantire l�imparzialit� della pubblica amministrazione ed i diritti del funzionario 
pubblico. Da un lato, infatti, il soggetto da tutelare � spesso terzo rispetto 
all�attribuzione dell�incarico; dall�altro lato, lo stretto collegamento tra dirigenza 
ed organizzazione pu� rendere difficile in molti casi separare le esigenze 
di tutela della funzione dalla garanzia dei diritti del dipendente. 
La stessa tutela della funzione, da assicurarsi indirettamente, attraverso 
l�istituto della responsabilit� dirigenziale, non appare da sola sufficiente, perch� 
interviene soltanto ex post e richiede l�attivazione e l�effettiva operativit� 
di meccanismi di valutazione fino ad oggi del tutto inefficienti. 
Soltanto il tempo dir� se le nuove disposizioni, sotto questo punto di vista, 
riusciranno dove le precedenti hanno fallito, certamente � difficile pensare che 
quello che a tutti gli effetti deve essere un profondo cambiamento culturale 
della pubblica amministrazione e della classe dirigente in particolare possa essere 
imposto per legge, quando, tra l�altro, molte delle nuove disposizioni evidenziano 
una netta sfiducia nelle capacit� della dirigenza di rendersi parte 
attiva di tale cambiamento. 
L�Autore, nelle conclusioni, identifica nell�attenzione alla trasparenza un 
possibile fattore di differenziazione tra la cosiddetta riforma Brunetta e le altre 
riforme che l�hanno preceduta e certamente, esso costituisce una leva fondamentale 
ai fini dell�auspicato raggiungimento degli obiettivi che la nuova normativa 
si propone ma che, tutto sommato, restano quelli di sempre, finora mai 
pienamente raggiunti. 
La trasparenza, e il diffuso controllo sociale sull�operato delle pubbliche 
amministrazioni che ne potrebbe derivare, dovrebbe sostituire lo stimolo al 
miglioramento continuo che nel settore privato � dato dal mercato e in assenza 
del quale il lavoro pubblico si � storicamente attestato su livelli meno efficienti. 
CՏ da dire, tuttavia, che l�inefficienza delle pubbliche amministrazioni 
dipende anche e forse soprattutto da altri fattori, tra i quali un principio di distinzione 
tra politica e amministrazione mai pienamente attuato, anzi spesso 
del tutto negato.
394 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2010 
Il volume di Domenico Mezzacapo, in conclusione, si segnala per l�incisivit� 
delle argomentazioni, per la chiarezza dell�esposizione e l�equilibrio 
delle soluzioni proposte ai numerosi problemi interpretativi sollevati dal cosiddetto 
decreto �Brunetta�. 
Si tratta di una delle prime opere che non si limitano ad una lettura a caldo 
della nuova normativa in tema di dirigenza, proponendone, invece, una ricostruzione 
critico-sistematica di pi� ampio respiro ricca di spunti di riflessione. 
Essa, dunque, costituisce un importante contributo ai fini dell�ulteriore sviluppo 
del dibattito su questa materia.
Finito di stampare nel mese di giugno 2010 
Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. 
Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma