ANNO LXI - N. 3 LUGLIO-SETTEMBRE 2009 
RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 
PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO
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INDICE - SOMMARIO 
TEMI ISTITUZIONALI 
Vittorio Cesaroni, �Le ragioni (anche) dell�interesse pubblico per un diritto 
sempre ragionevole�. Relazione tenuta nella sala dell�Adunanza Generale 
del Consiglio di Stato al Convegno del 15 maggio 2009 su �Azione 
risarcitoria e giudice amministrativo�. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Relazione Associazione Avvocati e Procuratori dell�Avvocatura dello 
Stato tenuta a Palazzo dei Congressi, Roma, il 5 maggio 2009 in occasione 
dell�evento �Giornata per la giustizia� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 
Tavola rotonda sugli aiuti di Stato. Interventi di Guido Corso, Gianni De 
Bellis, Sergio Fiorentino, Sabino Fortunato, Paolo Gentili e Giampaolo 
Rossi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Chiara Di Seri, La responsabilit� dello Stato per gli atti amministrativi 
�anticomunitari� in materia di I.v.a. Un�ipotesi di violazione del principio 
di �equivalenza procedurale� (Corte di Giustizia CE, conclusioni dell�Avvocato 
Generale del 9 luglio 2009 nella causa C-118/08). . . . . . . . . 
Flaminia Giovagnoli, Titolarit� e gestione delle farmacie nella normativa 
comunitaria ed italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giuseppe Albenzio, Il caso Guiso-Gallisay c.Italia. Intervento all�udienza 
del 17 giugno 2009 dinanzi alla Grande Camera della Corte dei diritti 
dell�uomo di Strasburgo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
1.- Le decisioni 
Wally Ferrante, Prescrizione del diritto al risarcimento del danno nei confronti 
dello Stato per violazioni del diritto comunitario (Corte di Giustizia 
CE, sent. 24 marzo 2009 nella causa C-445/06). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giuseppe Fiengo, Un utile riassunto sul tema degli �appalti in house� 
(Corte di Giustizia CE, sent. 10 settembre 2009 nella causa C-573/07) 
2. - I giudizi in corso 
Wally Ferrante, Politica sociale, causa C-229/08 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Wally Ferrante, Giustizia e affari interni, causa C-292/08 . . . . . . . . . . . 
Sergio Fiorentino, Ravvicinamento delle legislazioni, causa C-324/08. . 
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�� 15 
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Wally Ferrante, Politica sociale, causa C-336/08 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Wally Ferrante, Spazio di libert�, sicurezza e giustizia, causa C-347/08 
Wally Ferrante, Propriet� intellettuale, causa C-518/08 . . . . . . . . . . . . . 
Wally Ferrante, Libert� di stabilimento, causa C-565/08 . . . . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Gianluca Fatato, Contratto a termine: illegittimit� costituzionale della disciplina 
sanzionatoria differenziata (Corte Cost., sent. 8-14 luglio 2009 
n. 214). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Morena Pirollo, La funzione dell�istanza di prelievo nei ricorsi per equa 
riparazione dell�irragionevole durata del processo. Nella giurisprudenza 
della Corte di Cassazione ed alla luce dei nuovi interventi normativi 
(Cass., Sez. I civ., sent. 6 marzo 2003 n. 3347; Cass., Sez. I civ., 17 aprile 
2003 n. 6180; Cass. civ., SS.UU., sent. 23 dicembre 2005 n. 28507; Cass., 
Sez. I civ., sent. 28 novembre 2008 n. 28482) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giuseppe Zuccaro, Sugli effetti della cancellazione delle societ� dal registro 
delle imprese. La parola alle Sezioni Unite (Cass., Sez. I civile, 
sent. 15 settembre 2009 n. 19804) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Emanuela Pazzano, Il rispristino degli �esami di riparazione�. Incertezze 
giurisprudenziale e questioni applicative in merito all�ordinanza ministeriale 
n. 92 del 5 novembre 2007 del Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� 
e della Ricerca (TAR Piemonte, Sez. II, sent. 12 settembre 2008 
n. 1891). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Roberto Antillo, La revoca delle misure di prevenzione di natura patrimoniale. 
Questioni insolute e nuove problematiche (TAR Calabria, Sez. 
Reggio Calabria, sent. 28 gennaio 2009 n. 81). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Fabrizio Doddi, Il carattere assoluto dell�insindacabilit� degli atti politici 
(TAR Puglia, Bari, Sez. III, sent. 18 maggio 2009 n. 1183). . . . . . . . . . . 
Riccardo Montagnoli, Sul rifiuto dell�ufficiale di stato civile di effettuare 
le pubblicazioni per un matrimonio tra omosessuali (CdA Brescia, Sez. I 
civ., decreto 2 luglio 2009 n. 69; Trib. Venezia, Sez. III civ., ord. 4 aprile 
2009). Vincenzo Rago, Note critiche sul relativismo giuridico . . . . . . . . 
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Massimo Bachetti, Richiesta interessi per tardivo rimborso spese legali - 
AL 19546/05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Federica Varrone, Ricorso avverso cartella esattoriale, Nuova Tirrena 
S.p.A. c. Ministero Sviluppo Economico - AL 39982/08. . . . . . . . . . . . . . 
pag. 184 
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�� 341
Luca Ventrella, Obbligo da parte dei pubblici ufficiali di segnalare alla 
Procura della Repubblica gli obiettori di coscienza che, seppure precettati, 
non hanno svolto il servizio di leva - AL 26186/08. . . . . . . . . . . . . . 
RECENSIONI 
Federico Basilica e Fiorenza Barazzoni, Diritto amministrativo e politiche 
di semplificazione, Maggioli Editore, 2009. Prefazione di Franco Gaetano 
Scoca. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Renato Federici, Guerra o diritto? Il diritto umanitario e i conflitti armati 
tra ordinamenti giuridici, Editoriale Scientifica, 2009. Recensione di Antonella 
Anselmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Sara Caiazza, Rilevanza giuridica del deposito dell�istanza di prelievo 
nella applicazione della legge n. 89/2001 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Pasquale Fava, �L�ingiustizia costituzionalmente qualificata� �a tipicit� 
elastica� e l�opzione �qualitativa� della �gravit� del danno� e della �seriet� 
della lesione�. Il danno non patrimoniale nel seguito di SS.UU. 11 
novembre 2008 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Flavio Ferdani, L�informazione, la formazione e le buone prassi: cardini 
per la sicurezza sui luoghi di lavoro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Andrea Scalzo, L�abuso del diritto spazia dalla propriet� al voto assembleare 
attraverso la violazione del principio di buona fede. . . . . . . . . . . 
pag. 344 
�� 347 
�� 350 
�� 355 
�� 359 
�� 375 
�� 390
T E M I I S T I T U Z I O N A L I 
Azione risarcitoria e giudice amministrativo 
�Le ragioni (anche) dell�interesse pubblico 
per un diritto sempre ragionevole� 
di Vittorio Cesaroni* 
Il tema del convegno � quanto mai interessante e soprattutto di massima 
attualit�, ed investe diversi profili che non possono essere trattati tutti compiutamente 
nel ristretto ambito della odierna relazione. Affrontarlo - almeno 
secondo l�angolo visuale di un difensore istituzionale della parte pubblica, ma 
caratteristico del resto di tutte le problematiche di diritto processuale amministrativo 
(secondo i precetti, tra gli altri, del grande Maestro Mario Nigro) - 
impone di considerare in fondo il sistema di tutela giurisdizionale del cittadino 
nei confronti della P.A. nella assoluta peculiarit� del giudizio amministrativo, 
contrassegnato da una parte pubblica necessaria e nel nostro ordinamento in 
via primaria dalla tutela di una situazione giuridica soggettiva speciale quale 
quella dell�interesse legittimo al corretto esplicarsi dell�azione amministrativa. 
Ma, aggiungo subito, del �legittimo interesse� del privato a che questa tutela 
sia il pi� possibile effettiva, piena e satisfattiva ed ottenuta in tempi ragionevoli, 
pur a fronte della esigenza di sottoporre a sindacato le imprescindibili, 
spesso complesse, ragioni dell�interesse pubblico che, non � inutile ribadire, 
costituiscono il quid pluris peculiare del processo amministrativo. 
Considerazione dell�interesse pubblico, anche dell�interesse pubblico, e 
ricerca costante della pi� effettiva e soddisfacente tutela degli amministrati, 
la cui domanda di giustizia nei confronti della P.A., per molteplici ragioni (� 
(*) Avvocato dello Stato. Relazione al Convegno del 15 maggio 2009 in occasione del Premio 
Antonio Sorrentino, convengo tenutosi nella Sala dell�Adunanza Generale del Consiglio di Stato.
2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
inutile tacerlo) � cresciuta in questi ultimi anni in maniera esponenziale, generalizzata 
e sempre pi� sofisticata (oserei dire aggressiva), merito anche della 
capacit� di risposta attenta, a dispetto di ogni difficolt�, da parte del giudice 
amministrativo. 
E qui so di far felice, credo, il Presidente de Lise che, tra gli altri, non ha 
mai mancato, nelle relazioni istituzionali (gi� come Presidente del TAR del 
Lazio) e nei qualificati interventi, di ribadire con fermezza che, gi� hic et nunc 
utilizzando tutte le tecniche di tutela consentite (fino a quelle persino atipiche) 
e magari con l�intervento illuminato del legislatore, occorre ormai, in linea 
del resto con la Convenzione europea dei diritti dell�uomo, �abbracciare un 
modello processuale che consenta al giudice amministrativo di emanare pronunce 
che, pi� che dare torto all�amministrazione, diano ragione al privato 
definendo au fond la res controversa� (Palazzo Spada, 6 aprile 2009, convegno 
su �Giusto processo e processualprocedimento�) 
Senza mai dimenticare che �il compito, o meglio il fine, della giustizia 
nei riguardi della pubblica amministrazione � costituito dalla tutela del singolo 
cittadino, ma, al contempo, dalla garanzia del corretto funzionamento 
dell�amministrazione, nel suo stesso interesse; perch� la rimozione di un atto 
illegittimo deve aiutare a rendere legittimi gli analoghi atti successivi; e perch� 
l�interesse della p.a. �, in realt�, l�interesse di tutti i cittadini�. E questa � musica 
sinfonica per un avvocato dello Stato. 
E� in questa ottica, e soprattutto in questa ottica, che vengo al tema centrale. 
Ribaltando l�ordine espositivo di una nota trasmissione televisiva di inchiesta 
(che tra l�altro tende a bacchettare non poco l�amministrazione 
italiana), vorrei iniziare subito con una �buona notizia�, ovvero con una felice 
constatazione, sul quale cՏ ormai unanime consenso. 
La buona notizia per il sistema di tutela, rectius delle tutele, di giustizia 
amministrativa sono i passi avanti invero ciclopici fatti nella giusta direzione 
suesposta nell�arco dell�ultimo decennio. 
Solo dieci anni fa si era in una situazione che appare oggi ai nostri occhi, 
ammettiamolo, quasi arcaica. 
Si aveva infatti un sistema di riparto di giurisdizione fondato come sempre 
sulla natura della situazione giuridica soggettiva, ma caratterizzato da una tutela 
ripartita e dimidiata tra giudice ordinario e giudice amministrativo nei 
confronti della P.A., a tutto scapito del cittadino, che strideva con la ragionevolezza, 
con la concentrazione dei giudizi e quindi con la pienezza ed effettivit� 
della tutela. 
Il giudice amministrativo poteva annullare con privilegio esclusivo l�atto 
amministrativo illegittimo, ma - stante il principio quasi dogmatico della irrisarcibilit� 
dell�interesse legittimo - non poteva accordare la eventuale tutela risarcitoria 
di completamento, aggiuntiva e consequenziale al detto annullamento. 
Il Giudice ordinario, pur non potendo incidere in via diretta e principale
TEMI ISTITUZIONALI 3 
sul provvedimento amministrativo, aveva sostanzialmente il monopolio della 
tutela di tipo risarcitorio, successiva e conseguente all�annullamento, ma ci� 
a dispetto quanto meno della celerit� e della concentrazione dei giudizi. 
Oggi - a soli dieci anni dalla svolta epocale della celebre sentenza delle 
Sezioni Unite n. 500 del 1999, invero anticipata sul piano normativo e settoriale 
dall�art. 13, D.lgs. n. 142 del 1992 in tema di appalti pubblici comunitari, che 
faceva cadere il tab� soprattutto culturale (ne va dato atto alla Suprema Corte) 
della non risarcibilit� della lesione di interessi legittimi, sia pure allora attraverso 
la configurazione di un diritto soggettivo di stampo prettamente civilistico 
- abbiamo ottenuto altri due risultati rilevanti, ritengo, nella giusta direzione. E 
ci� � merito del legislatore (con l�art. 7, introdotto ex legge n. 205/2000), della 
Corte Costituzionale (sentenza n. 204/2004 ribadita dalla 191/2006, e dalla n. 
351 del 24 ottobre 2008) e del dialogo ragionevole, come si dice, tra i supremi 
plessi giurisdizionali, di giustizia amministrativa e ordinaria. 
E� ora attribuita, per via normativa, in via generalizzata al giudice amministrativo 
(non solo nell�ambito della giurisdizione esclusiva, ma nell�ambito 
della sua giurisdizione di legittimit�) la cognizione della risarcibilit� dei danni 
derivanti da lesione di interessi legittimi. 
Come � stato significativamente rilevato (Aldo Linguiti, Le nuove frontiere 
del giudice amministrativo), ci� non � fine a s� stesso, n� � dovuto solo 
alla esigenza di concentrazione presso un unico giudice di tutte le conseguenze 
derivanti dall�adozione di un provvedimento illegittimo (ovvero mancata adozione 
di atti dovuti o legittimamente attesi). E� frutto a ben vedere di una tardiva, 
ma inarrestabile mutata concezione ed evoluzione dello stesso interesse 
legittimo. Emerge una posizione giuridica di valore sostanziale convergente 
alla realizzazione insieme dell�interesse pubblico (all�origine unico obiettivo 
dell�esercizio del potere) e, al contempo, dell�interesse del privato destinatario 
dell�esercizio del potere stesso via via meglio riconosciuto e protetto. 
In altri termini anche l�interesse legittimo, come tutte le posizioni giuridiche 
volte ad ottenere un risultato patrimonialmente apprezzabile, giunge a 
meritare quella forma di tutela che � espressa dalla risarcibilit� dei danni derivanti 
dalla loro illegittima lesione, quale misura sostitutiva ed equivalente 
alla violazione dell�ordinamento. 
Grazie anche alle precisazioni della Corte Costituzionale nella nota sentenza 
n. 204/2004, la riconosciuta risarcibilit� dell�interesse legittimo, non costituisce 
materia nuova, ma solo un ulteriore forma di tutela dello stesso 
interesse legittimo nascente dal cattivo esercizio del potere autoritativo. 
Il riconoscimento formale intervenuto a livello positivo (ex legge n. 
205/2000) della risarcibilit� dei danni da lesioni di interesse legittimo, con 
contestuale attribuzione anche di tali ipotesi di tutela, aggiuntiva e consequenziale 
all�annullamento, per quanto eventuale, al giudice amministrativo � stato 
accettato del resto (in parte qua) dalla Suprema Corte regolatrice che, rime-
4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
ditando il proprio iniziale indirizzo, ha affermato che, afferendo anche la tutela 
risarcitoria (come quella demolitoria primaria) ai rimedi giustiziali contro il 
cattivo esercizio della pubblica funzione, la relativa competenza giurisdizionale 
non pu� che assegnarsi al giudice amministrativo quale �giudice naturale 
della legittimit� dell�esercizio della funzione pubblica� (Cass. SS.UU. ord.za 
n. 13659/06 del giugno 2006). 
Il cittadino ha dunque ottenuto una nuova tutela, ulteriore ed eventuale, 
strettamente riconnessa alla tutela dell�interesse legittimo dinanzi ad unico 
giudice, il giudice amministrativo, lo stesso giudice signore del sindacato sulla 
funzione pubblica, che quindi pu� dare, entro i limiti e i caratteri della propria 
giurisdizione sull�interesse pubblico, tutela piena e maggiormente satisfattiva 
all�interessato. 
Confortati dalle pronunce costituzionali che pongono con chiarezza l�accento 
sulle forme di tutela, traendone le dovute conseguenze sul piano del riparto 
delle giurisdizioni, non cՏ pi� l�esigenza primordiale di andare a trasfigurare 
l�interesse legittimo e a configurare il diritto al risarcimento come un diritto soggettivo, 
autonomo e parallelo, di impronta marcatamente civilistica. 
La tesi per cos� dire pancivilistica � diritto soggettivo al risarcimento ex 
art. 2043 c.c. di competenza del giudice ordinario � pu�, e deve, a nostro avviso 
cedere il passo alla impostazione coerentemente amministrativistica del 
tema, una volta che per ammissione condivisa la tutela risarcitoria riconnessa 
all�interesse legittimo (ovvero al controllo anche consequenziale sull�esercizio 
della funzione pubblica) avviene ad opera del giudice amministrativo nell�ambito 
del giudizio amministrativo, che ha come carattere tipico ed esclusivo 
quel sindacato, in prima battuta di tipo demolitorio. Del resto tale ultimo potere 
annullatorio non viene escluso alla luce del risarcimento dei danni, ma anzi la 
reintegrazione in forma specifica viene espressamente riconosciuta come una 
forma per realizzare il risarcimento: il giudice amministrativo, �nell�ambito 
della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all�eventuale 
risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma 
specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali (art. 7, legge n. 
1034/1971, come modificato dalla legge n. 205/2000). 
E qui come � noto nasce, o meglio residua, il problema, tutto interno alla 
struttura e alla logica della giurisdizione amministrativa, della cd. pregiudiziale 
amministrativa, ovvero della necessit� o meno della previa domanda di impugnazione 
dell�atto amministrativo, e conseguente dichiarazione di annullamento, 
ai fini della conseguente domanda di risarcimento danni. 
Posizione ripetutamente e fermamente sostenuta dall�Adunanza Plenaria 
del Consiglio di Stato (sin dal 2003 e poi con la n. 12/2007), ed affermata recentemente 
anche dalla Sezione IV, con sentenze n. 1917/09 del 31 marzo 
2009 e n. 2435/09 del 21 aprile 2009. La decisione di marzo 2009, pur ritenendo 
ammissibile la domanda senza preclusioni d�ordine processuale, e
TEMI ISTITUZIONALI 5 
quindi affermando la propria giurisdizione, statuisce che la domanda risarcitoria 
da provvedimento non impugnato (o tardivamente impugnato) � infondata 
nel merito, in quanto la mancata impugnazione dell�atto fonte del danno 
consente a tale atto di operare in modo precettivo dettando la regola del caso 
concreto, ed impedisce cos� che il danno possa essere considerato ingiusto od 
illecita la condotta tenuta dall�Amministrazione in esecuzione dell�atto inoppugnato. 
L�Adunanza Plenaria n. 12/2007 � stata addirittura sottoposta al vaglio 
delle Sezioni Unite in punto di giurisdizione, che con la nota sentenza n. 
30254/08 del 23 dicembre 2008, con ampia motivazione, ha ribadito che deve 
ritenersi ammissibile dinanzi al giudice amministrativo una domanda risarcitoria 
autonoma (ovvero senza previo annullamento dell�atto illegittimo), intesa 
alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall�esercizio illegittimo della 
funzione amministrativa, spingendosi a statuire che �la decisione del giudice 
amministrativo, che neghi tale tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul 
presupposto che l�illegittimit� dell�atto debba essere stata precedentemente richiesta 
e dichiarata in sede di annullamento, � viziata da violazione di norme 
sulla giurisdizione ed � soggetta a cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione�. 
Su questo punto dunque il contrasto tra Consiglio di Stato e Corte di Cassazione 
appare ancora netto, anche se al riguardo ci permettiamo di essere moderatamente 
ottimisti, nonostante tutto, anche alla luce della dimostrata 
capacit� di dialogo ragionato tra i supremi plessi, entrambi ugualmente motivati 
comunque dall�attenzione per la pi� piena ed effettiva tutela che l�ordinamento, 
considerato in modo sistematico, deve riconoscere. 
In tale ottica dobbiamo solo augurarci tutti che dopo essere arrivati, per i 
passi significativi illustrati, assai vicini alla meta, non si ripiombi invece� a 
met� del guado. 
Certo � che la querelle a distanza si � recentissimamente rinvigorita. La 
Sezione VI del Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 2436/09 del 21 aprile 
2009, esplicitando consapevolmente la problematica e il contrasto esistente, 
ha rimesso all�Adunanza Plenaria la questione della pregiudizialit� amministrativa, 
ipotizzando tra l�altro anche violazioni di diversi precetti costituzionali. 
Va dato atto, oltre che della argomentatissima motivazione sotto tutti i 
profili, della chiarezza, sicuramente inusuale, in cui si afferma di dover pronunciare 
una sentenza, ove costretti in adesione non condivisa alla Cassazione, 
una sentenza �suicida� (letteralmente). Si rimette pertanto alla Plenaria la questione 
della pregiudizale �nella lettura dell�art. 7 datane dalla Cassazione e 
con il principio di ragionevolezza anche sistematica, con i principi costituzionali 
considerati, e con le seguenti norme costituzionali�.� (artt. 81, u.c.; 
art. 97; art. 113, co.3; artt. 103 e 113). 
E� facile ipotizzare una possibile rimessione della Plenaria al Giudice del
6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
vaglio costituzionale. Sarebbe auspicabile magari un consapevole intervento 
del legislatore. 
A prescindere dal merito, lasciatemi dire - con il massimo rispetto dovuto 
alla Suprema Corte, alla rispettabilit� di tutte le posizioni ermeneutiche, ma 
nella ricerca comunque delle concezioni culturali sottese in dati periodi anche 
alle decisioni dei giudici - che francamente, quale cultore ed operatore del diritto 
amministrativo, trovo paradossale, e quantomeno ingeneroso, che il giudice 
amministrativo tutto, Consiglio di Stato e Tribunali Amministrativi 
Regionali, che ha sempre affinato negli anni la sua capacit� di dare sempre 
pi� penetrante tutela sul versante della tutela tipica dell�interesse legittimo, 
sia in sede di giurisdizione di legittimit�, che esclusiva (basti pensare che tutte 
le leggi sul procedimento e sul processo amministrativo di regola hanno �fotografato� 
quanto gi� sapientemente acquisito nelle aule di giustizia), possa 
essere ora tacciato di giudice conservatore, timidamente sulla difensiva proprio 
nel momento dell�acquisizione di una nuova forma di tutela (risarcitoria da 
interesse legittimo) al suo armamentario giuridico. 
Comprendo la facile obiezione, che forse in parte pu� essere comprensibile: 
non sar� proprio forse perch� il giudice amministrativo sta abdicando ingiustificatamente 
al suo ruolo anche innovativo, non riuscendo ad andare oltre 
alla secolare tutela pur sempre principale di tipo demolitorio? 
Sommessamente non riteniamo, peraltro, che il reale nodo cruciale sia 
questo. 
Invero la sensazione � che alla concezione pancivilistica ricordata, che 
ora non pu� trovare pi� ingresso, forse si vuole sostituire, con esiti inprevedibili 
nel campo amministrativistico, una concezione panrisarcitoria, che finisce 
per mettere giocoforza in secondo piano la tutela primaria dell�interesse legittimo 
attraverso l�annullamento dell�atto o comunque l�accertamento, necessario 
e preventivo, dell�illegittimit� dell�azione amministrativa, sia pure con 
il massimo riguardo agli effetti consequenziali; mettendo altres� in discussione 
- di qui forse non � infondato il riferimento ad opzioni di tipo �suicida� - l�essenza 
stessa del giudizio amministrativo, per come costituzionalmente concepito 
e consolidato. 
Non si potr� negare che, in nome di una apparente battaglia a favore di 
una pi� ampia tutela del privato nei confronti della P.A., si finisce per incidere 
e snaturare tutta la struttura, e l�intima logica, del processo amministrativo, 
come processo - per questo si � evidenziato in apertura, anche con l�ausilio 
delle efficaci parole� presidenziali - tra parte pubblica e privato, in cui devono 
necessariamente essere considerate e attentamente valutate anche le ragioni 
di interesse pubblico sottese all�esercizio della funzione amministrativa, sia 
pure al fine di soddisfare, per quanto possibile, la domanda di giustizia del 
privato. 
Il tempo � tiranno e non posso dar conto di tutte le, a mio avviso, efficaci
TEMI ISTITUZIONALI 7 
considerazioni contenute nell�ordinanza ultima di rimessione alla Plenaria 
della VI Sezione. 
La mia tesi di fondo, come forse si � compreso, � che a legislazione invariata 
ragioni di coerente ordinamento giuridico, costituzionalmente fondato, 
di struttura del giudizio amministrativo, di principi profondi dell�attivit� amministrativa 
(dalla presunzione di legittimit� dell�atto alla certezza e all�esigenza 
di consolidamento delle situazioni di diritto pubblico), di logica e 
ragionevolezza, anche nell�interesse di una tutela effettiva e globale da riconoscere 
al privato destinatario dell�azione della P.A. e di rispetto delle ragioni 
dell�interesse pubblico pi� generale, portano a propendere affinch� tale problematica, 
a partire dalla pregiudiziale, venga comunque governata e regolata 
nell�ambito della giurisdizione amministrativa, alla quale ormai � pacificamente 
attribuita. 
Non � dunque - o non pu� essere pi� - un problema di giurisdizione, perch� 
come visto il giudice amministrativo non nega affatto la propria giurisdizione, 
ma decide sui propri poteri di tutela riconosciuti dall�ordinamento, 
costituzionalmente affermati. 
Non ho dubbi che il giudice amministrativo, pressato non solo dalla Cassazione 
ma dalla sempre pi� incessante e originale domanda di giustizia, sapr� 
affinare nel tempo le forme di tutela possibili ma, quando cՏ in campo (anche) 
l�interesse pubblico, l�idea di un diritto soggettivo pieno, autonomo e parallelo, 
al risarcimento del danno deve comunque fare i conti con l�assetto e la coerenza 
del sistema ordinamentale, che allo stato attuale non consentono addirittura 
che la tutela principale di tipo impugnatorio o di riconoscimento della 
legittima pretesa sostanziale (quanto agli interessi di tipo pretensivo) assuma 
connotazioni di carattere recessivo e residuale rispetto alla tutela risarcitoria. 
Ben venga, per ora, la giurisdizione piena del giudice amministrativo con 
la tutela risarcitoria, ulteriore aggiuntiva ed eventuale, ma non certo svincolata 
dal preventivo necessario accertamento dell�illegittimit� dell�azione amministrativa. 
Accertamento che non pu� avvenire nel nostro vigente ordinamento sotto 
forma di disapplicazione in via principale da parte del giudice amministrativo 
dell�atto amministrativo, non impugnato o non tempestivamente impugnato, 
ai fini di dare autonomo ingresso all�azione risarcitoria. 
Appare altres� francamente inaccettabile una concezione di illiceit�-ingiustizia 
del danno che prescinda dal presupposto necessario, anche se non 
sufficiente oltretutto, della dichiarata illegittimit� dell�operato amministrativo. 
Tra i vari argomenti contrari viene citato anche l�art. 21 octies della legge 
n. 241/90, come modificato dalla legge n. 15/2005, laddove consente al giudice 
di non annullare l�atto pur in presenza di vizi formali procedimentali, laddove 
il contenuto dispositivo non avrebbe potuto nella sostanza essere diverso. Qui 
l�illegittimit� (formale) consentirebbe - se prospetta - di dare ingresso al-
8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
l�azione risarcitoria, pur in assenza dell�annullamento; ma ci permettiamo di 
dissentire perch� innanzitutto vi � comunque una domanda in via principale 
sull�atto e poi � la riprova che, a fronte delle documentate ragioni di interesse 
pubblico allegate in giudizio, l�atto � da ritenersi sostanzialmente legittimo, e 
infatti non annullabile, senza possibile pretesa ulteriore. 
Anche sul piano pragmatico, poi, per ragionare al di l� delle disquisizioni 
giuridiche formali, si pensi alle conseguenze poco congrue, per usare un eufemismo, 
che potrebbero derivare ove si lasciasse la scelta all�interessato (anzi 
agli interessati) - gi� ex se inammissibile nel campo del diritto amministrativo, 
per i motivi ricordati - tra impugnazione dell�atto in via principale al fine della 
sua rimozione e domanda autonoma al fine del risarcimento del danno comunque 
patito, svincolata dall�accertamento della illegittimit� dell�attivit� amministrativa. 
Avremmo da un lato un incentivo al disinteresse della P.A. verso 
una reale legalit� della propria azione, potendo confidare sull�intangibilit� del 
proprio operato in ipotesi di atti illegittimi, laddove si rischia (come male minore, 
al di l� dei profili di responsabilit�) solo l�eventuale risarcimento. 
Ma quel che � pi� grave - quale mero esempio, senza voler dare suggerimenti 
criminosi (per i quali purtroppo la realt� sovente supera la fantasia) - 
si potrebbe giungere ad accordi collusivi tra interessati e controinteressati 
(penso alle gare d�appalto) in cui la ditta in ipotesi illegittimamente aggiudicataria 
si accordi con la ditta illegittimamente esclusa (e potenziale vincitrice), 
affinch� quest�ultima non presenti o non coltivi il ricorso giurisdizionale di 
annullamento, �accontentandosi� del successivo probabile risarcimento danni: 
qui avremmo s� la piena tutela di due privati, ma con doppio esborso e doppio 
danno erariale! 
Al di l� di ogni temporanea pessimistica considerazione, � lecito pronosticare 
che si giunger�, o per via giurisprudenziale o per via normativa, alfine 
ad un soddisfacente concordato sul punto che assicuri, come evidenziato in 
apertura, che il giudizio amministrativo, anche con riferimento alla nuova tutela 
risarcitoria, non venga snaturato nella sua struttura e nelle sue funzioni 
primarie, come unico giudizio capace, ontologicamente e storicamente, di coniugare 
un penetrante sindacato di controllo sulla funzione pubblica, nel rispetto 
delle ragioni dell�interesse pubblico, con le esigenze di effettivit� della 
tutela richiesta dal privato. 
Il Presidente Caianiello affermava che le sentenze devono essere soprattutto 
ragionevoli, in modo da essere facilmente comprese ed accettate. 
Lasciatemi concludere affermando, non senza orgoglio e convinzione, 
che l�Avvocatura dello Stato cercher� in ogni caso di rappresentare le ragioni 
dell�Amministrazione nel giudizio, confidando in un diritto sempre �ragionevole� 
per l�interesse pubblico in uno con le legittime aspettative dei privati.
TEMI ISTITUZIONALI 9 
�Giornata per la giustizia� 
Relazione Associazione Avvocati e Procuratori 
dell�Avvocatura dello Stato 
(Palazzo dei Congressi, Roma, 5 maggio 2009) 
L�iniziativa �Giornata per la Giustizia� � finalizzata a sensibilizzare opinione 
pubblica, mondo dell�informazione politico ed istituzionale, economico 
e del lavoro sul problema dell�inadeguatezza delle risorse, di cui attualmente 
dispone il cd. sistema giustizia, per rendere un servizio soddisfacente al cittadino. 
L�evento ha carattere eccezionale perch� per la prima volta nella storia 
di questo Paese vede coinvolte in un unico consesso tutte le componenti del 
mondo Giustizia. Personale togato e non togato concentrano i loro sforzi verso 
un comune obiettivo: richiamare l�attenzione su dati concreti in modo di restituire 
al dibattito quella obiettivit� che manca nei grandi midia. 
In questo contesto l�Avvocatura dello Stato, ignorata dal grande pubblico, 
ritiene di avere un ruolo di primo piano perch� la gestione del contenzioso e 
la consulenza a favore delle amministrazioni dello Stato ed altri enti patrocinati 
offre un osservatorio assolutamente privilegiato delle patologie dell�azione 
amministrativa. Questo osservatorio fornisce l�opportunit� di suggerire alle 
amministrazioni interventi correttivi per fare in modo che esse, nella loro attivit�, 
si conformino sempre pi� al rispetto delle norme ed intendano le loro 
funzioni come strumento per il perseguimento di un interesse pubblico che � 
soprattutto al servizio del cittadino. 
Il conseguimento dell�obiettivo richiede ovviamente un�adeguata dotazione 
di mezzi in termini di avvocati, personale amministrativo, risorse finanziarie. 
Affari e dotazione personale 
La dotazione organica � stabilita ex art. 6 comma 1 d.lgs. 165 del 2001 
sulla base del fabbisogno che per l�Avvocatura dello Stato � da individuarsi 
nel numero complessivo degli affari contenzioni e consultivi. 
Nel 2008 il totale ammontava a 169.371. Nel 2001 gli affari corrispondevano 
a 208.580 unit�. Il calo che si � registrato nel 2006 di circa trentamila 
unit� � da attribuirsi alla perdita del contenzioso degli invalidi civili, passato 
alla competenza dell�INPS. Per il resto il trend complessivo � abbastanza costante. 
Anzi rispetto al 2007 vi � stato un incremento di circa 10.000 unit� (da 
attribuirsi in gran parte all�aumento del contenzioso della legge Pinto). 
Sotto il profilo della tipologia di contenzioso, si registra una crescita imponente 
della percentuale di affari riguardanti indennizzo per irragionevole
10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
durata del processo (17%), ed una mole rilevante di affari in materia tributaria 
(21%), di cui solo circa il 60% costituisce contenzioso avanti alla Suprema 
Corte di Cassazione. 
Per quanto attiene alla ripartizione sulla base delle autorit� giudiziarie � 
prevalente il contenzioso avanti ai giudici amministrativi, cassazione e giudici 
civili. Infatti su di un totale di 35.942, gli affari avanti al giudice amministrativo 
corrispondono a 10.760 unit�, alla cassazione 9.582, ai giudici di merito 
13.870. 
Relativamente infine alle amministrazioni assistite il contenzioso � incentrato 
prevalentemente su Economia e Finanze (27,31%), Agenzia delle entrate 
(23%), Interno (19,81%), Istruzione e Ricerca 10,23%. 
A fronte quindi di un contenzioso, che si � mantenuto abbastanza stabile, 
si � invece registrata una riduzione del personale amministrativo in servizio 
mentre l�organico degli avvocati � fermo al 1991 a 370 unit�. Dopo circa due 
decenni di vacanze solo nel 2008 si � arrivati ad una situazione di pieno organico.
La pianta organica degli impiegati � ferma al 1995. All�epoca la dotazione 
era di 951 unit�. 
Da quella data � in atto il blocco delle assunzioni che non ha consentito 
di bandire concorsi per l�assunzione di personale amministrativo. La legge 
311 del 2004 art. 1 comma 93 ha disposto la rideterminazione delle dotazioni 
organiche delle pubbliche amministrazioni apportando una riduzione non inferiore 
al 5% della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico. 
In ottemperanza a tale norma con DPCM del 14 novembre 2005 sono 
state determinate le dotazioni organiche delle aree funzionali, delle posizioni 
economiche e dei profili professionali del personale amministrativo dell�Avvocatura 
dello Stato. 
Nel gennaio 2007 l�organico da 951 � passato a 878 unit� che corrisponde 
all�attuale dotazione. Nel 2007 le vacanze rispetto alla pianta organica ammontavano 
a 55 unit�, nel 2008 a 70 unit�, nel 2009 a 77 unit�. 
Con la procedura di riqualificazione sono stati disposti in deroga al blocco 
delle assunzioni 12 passaggi dall�area b all�area c e 23 dall�area b all�area a. 
Anche quest�anno � stata chiesta ulteriore deroga per 10 passaggi da b a 
c e 1 da a a b. 
Si fa presente altres� che nella finanziaria del 2006 art. 1 commi da 404 
a 408 � stato disposto il taglio del 15 % degli addetti alle funzioni non istituzionali. 
Quindi il rapporto avvocati e impiegati amministrativi in questi anni si � 
considerevolmente ridotto, con conseguente sempre minore disponibilit� di 
personale di supporto degli avvocati soprattutto per le funzioni di segreteria.
TEMI ISTITUZIONALI 11 
Particolare criticit� situazione personale amministrativo 
Di recente � stata attuata una procedura di riqualificazione del personale. 
Non � stato per� ancora possibile dare un assetto di funzioni all�interno dell�Avvocatura 
corrispondenti alle nuove posizioni funzionali. 
Le piante organiche sono state rideterminate, come in tutte le pubbliche 
amministrazioni sulla base del dato storico senza procedere ad una ricognizione 
degli effettivi carichi di lavoro e dei cicli produttivi (tempi standard attivit�, 
individuazione atti ed operazioni di ogni sequenza procedimentale, 
domanda reale e potenziale di servizio ecc.). 
Il personale negli ultimi quindici anni � stato assunto in Avvocatura tramite 
procedure di mobilit� da altre amministrazioni. Non sono stati banditi 
concorsi. La media di et� conseguentemente � abbastanza elevata. Occorrerebbe 
un ricambio generazionale. 
Invece le amministrazioni affini della giustizia amministrativa (TAR, 
Consiglio di Stato, Corte dei Conti) hanno potuto bandire concorsi. 
Inoltre l�Avvocatura non ha, a differenza della giustizia amministrativa, 
lo strumento dell�autonomia finanziaria che le consentirebbe certamente una 
pi� efficace gestione delle risorse tramite un proprio badget senza dover attendere 
ogni volta l�epletamento delle defatiganti procedure burocratiche dell�amministrazione 
delle finanze. Ci� consentirebbe anche una maggiore 
elasticit� per l�assunzione di nuovo personale senza gravare con nuove spese 
sul bilancio dello Stato. 
Di importanza fondamentale � anche l�istituzione di un ruolo dirigenziale 
di II livello che solleverebbe la segreteria generale dallo svolgimento di incombenze 
amministrative non proprio conformi alla natura professionale del 
ruolo degli avvocati dello Stato. Inoltre la dirigenza costituirebbe una stimolante 
prospettiva di sviluppo di carriera per il personale amministrativo dell�Avvocatura. 
Vi � infine carenza di incentivi retributivi legati alla produttivit�. In questi 
anni la retribuzione fissa � cresciuta pi� di quella di II livello, invece, per stimolare 
il personale ad una maggiore produttivit�, sarebbe necessario, ad avviso 
della Scrivente uno stanziamento per compensi premiali correlati al 
conseguimento di obiettivi su specifici progetti. 
Si richiama altres� l�attenzione su di una esigenza di istituire la nuova figura 
professionale di collaboratore amministrativo di supporto all�avvocato 
dello Stato per uno svolgimento pi� qualificato dell funzioni di segreteria ed 
istruttorie. 
Sono infine in atto importanti progetti di informatizzazione dell�Avvocatura 
che consentiranno sicuramente una riduzione del personale addetto soprattutto 
a certe funzioni elementari come la protocollazione, le verifiche del 
servizio esterno ecc., cos� destinando le risorse ad attivit� pi� qualificate.
12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Interventi sul contenzioso 
- Legge Pinto 
Il contenzioso in questi ultimi anni non � aumentato, vi � una tendenza 
ad un trend costante. Particolare criticit� si registra per la situazione legge 
Pinto. In Avvocatura generale negli ultimi due anni si � passati da 6000 ad 
8000 affari per una percentuale giunta al 17% degli affari complessivi dell�Avvocatura 
dello Stato. Come dato nazionale dal 2002 al 2006 vi � stato un 
incremento del 800% dei ricorsi ex lege Pinto con un aumento della spesa che 
da 1,8 milioni di euro � passata attualmente a circa 90 milioni di euro a seguito 
anche dell�accumulo di crediti pregressi. Si stima che la spesa nel giro di qualche 
anno potr� arrivare a 500 milioni di euro. L�Avvocatura � quasi sempre 
soccombente in questi giudizi, le amministrazioni non dispongono di sufficienti 
dotazioni di bilancio per pagare gli indennizzi. Perci� vengono instaurate 
procedure esecutive con ulteriore aggravio per l�erario. Inoltre le Corti d�Appello 
per ogni lite condannano l�amministrazione anche alle rifusione delle 
spese. Nel 2002 fu varato un decreto legge che prevedeva una procedura transattiva 
preventiva affidata all�Avvocatura dello Stato. Il decreto � poi decaduto. 
I governi che sono succeduti non hanno ritenuto di dover intervenire sulla 
materia. E� opportuno a nostro giudizio che venga riesaminata l�eventualit� di 
introdurre una procedura amministrativa sulle richieste di indennizzo ex lege 
Pinto che eviterebbe gli oneri aggiuntivi delle spese di giudizio e delle procedure 
esecutive, consentendo anche una migliore programmazione delle risorse 
da destinare al pagamento degli indennizzi. 
- ADR
L�unione europea, proprio allo scopo di deflazionare il contenzioso, raccomanda 
ai governi, ove possibile, di introdurre forme di risoluzione non contenziosa 
delle controversie. 
L�esperienza della conciliazione in Italia non ha avuto un grande successo, 
in quanto ancora lontana dalla cultura del mondo forense che tende a privilegiare 
la soluzione pi� remunerativa del ricorso alla lite. Occorre introdurre, 
anche nelle controversie con l�amministrazione statale, forme di risoluzione 
alternativa delle controversie, con disincentivi alla lite come condanna alle 
spese, acquisizione di elementi di prova dal comportamento delle parti nella 
procedura conciliativa, previsioni di compensi adeguati per gli avvocati che 
favoriscano la conclusione dell�accordo, una massiccia attivit� di formazione 
degli avvocati verso una cultura della conciliazione. 
Per quanto riguarda in particolare l�amministrazione statale vanno superate 
certe rigidit� di difesa incondizionata e pregiudiziale di atti per non incorrere 
in responsabilit�. Gli atti chiaramente illegittimi possono essere 
annullati senza dover necessariamente attendere il giudicato. La discrezionalit�
TEMI ISTITUZIONALI 13 
va utilizzata anche nell�ottica di cercare soluzioni compositive. 
- Class action ed udienze tematiche 
Recentemente � stata introdotta con legge delega la class action nei confronti 
della pubblica amministrazione. La norma sar� operativa con i decreti 
attuativi. L�utilizzo di tal istituto va incrementata nell�ottica di una migliore 
gestione del contenzioso seriale. 
Al medesimo fine andrebbe anche potenziato il ricorso alle udienze tematiche 
nelle quali vengono concentrate cause avente medesimo oggetto. In 
tal prospettiva va ottimizzato l�uso del mezzo informatico. 
- Politica del contenzioso 
E� in atto un progetto con l�Agenzia delle Entrate che consentir� una protocollazione 
automatica degli affari, acquisita direttamente dal sistema. I dati 
inseriti non saranno solo quelli tradizionali del singolo affare come numero 
contenzioso o consultivo, nome delle parti, autorit� giudiziaria adita, attribuzione 
codice materia. Si inseriranno dati anche sul referente normativo e questione 
giuridica di ogni singolo affare. I suddetti dati consentiranno di 
classificare contenziosi e consultivi sulla base del referente normativo o questione 
giuridica. Per cui ogni avvocato potr� digitando un determinato comando 
individuare tutti gli affari collegati. 
Questo supporto informatico costituisce un formidabile strumento di politica 
del contenzioso, gestito secondo un disegno globale che sar� un prezioso 
ausilio per l�attivit� legislativa e per la regolamentazione delle attivit� delle 
singole amministrazioni. 
Associazione Avvocati e Procuratori dello Stato
I L C O N T E N Z I O S O 
C O M U N I TA R I O E D 
I N T E R N A Z I O N A L E 
Tavola rotonda sugli aiuti di Stato 
Relatori: Guido Corso, Gianni De Bellis, Sergio Fiorentino, 
Sabino Fortunato, Paolo Gentili e Giampaolo Rossi 
Il 9 giugno 2009 a Roma, presso lo studio legale amministrativo-commerciale 
dei professori Corso, Fortunato e Rossi si � tenuto un incontro di studio 
sul tema degli aiuti di Stato nel quadro della crisi economica globale. 
L�attualit� dell�argomento � di chiara evidenza politico-istituzionale, a seguito 
della pluralit� degli interventi attuati dagli Stati membri dell�UE per fronteggiare 
la crisi, ma la questione offre spunti di particolare interesse anche per 
riflessioni di carattere scientifico e sistematico, in quanto l�attuale situazione 
impone una riconsiderazione degli orientamenti sugli aiuti di Stato che erano 
maturati negli ultimi anni nella giurisprudenza e nella prassi comunitaria. Si � 
rivelato utile, per tale analisi, il confronto tra gli studiosi (gli amministrativisti 
Guido Corso e Giampaolo Rossi e il privatista Sabino Fortunato) e gli avvocati 
dello Stato, Gianni De Bellis, Sergio Fiorentino e Paolo Gentili, che, a vario 
titolo, si occupano delle questioni in sede comunitaria e di Corte di Giustizia. 
Ne � risultato un panorama complesso, ma foriero di molte prospettive e temi. 
Il materiale pubblicato � il resoconto registrato dell�incontro, che la 
dott.ssa Enrica Blasi, dottoranda di ricerca presso l�Universit� Roma 3, si � 
presa la briga di riordinare� 
Intervento del Prof. Avv. Sabino Fortunato* 
Oggi io ho il compito di dare da un lato un inquadramento sistematico 
della materia, e dall�altro di soffermarmi sugli aiuti di Stato nel settore finan- 
(*) Professore ordinario di diritto commerciale - Facolt� di giurisprudenza - Universit� Roma 3.
16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
ziario, nel settore bancario. 
Diciamo che nelle comunicazioni della Commissione, in particolare 
quella del 25 ottobre 2008 e del 22 gennaio 2009 cՏ un riferimento al carattere 
sistemico o settoriale delle crisi. 
Per quanto concerne la crisi finanziaria, in particolare, si riconosce senza 
dubbio il suo carattere sistemico, mentre per quel che riguarda la crisi degli 
altri settori si sottolinea che essa non necessariamente ha carattere sistemico, 
perch� in un primo momento (lo si legge soprattutto nella comunicazione 
dell�ottobre del 2008), subito dopo lo scoppio della bolla speculativa americana, 
sembrava che il problema fosse solo ed esclusivamente relativo al settore 
finanziario. Poi, con il progredire della crisi, il carattere sistemico di essa ha 
cominciato a dilatarsi e ad investire altri settori, per cui nella comunicazione 
del gennaio 2009 si fa un piccolo passo indietro, nel senso che si riconosce 
che anche per i settori dell�economia reale possono porsi problemi di carattere 
sistemico. 
Questa sottolineatura vale soprattutto ad evidenziare qual � la base giuridica 
dell�intervento che consente gli aiuti di Stato in questa fase: l�art. 87 par. 
3 lettera b) del Trattato Comunitario. 
Ci� perch� gli aiuti di Stato trovano la loro disciplina nel Trattato Comunitario 
e si fondano su un divieto generale; perch� nella logica dell�Unione 
Europea e del Trattato sono tendenzialmente incompatibili col principio del 
mercato comune e della libera concorrenza. Quindi l�ammissibilit� degli aiuti 
di Stato � legata o a previsioni espresse del Trattato (il paragrafo 2 dell�art. 87 
del Trattato prevede le ipotesi di aiuti de iure, cio� quelli consentiti per espressa 
previsione del Trattato, ma sono casi estremamente limitati, ipotesi collegate 
a politiche sociali), e poi cՏ soprattutto il paragrafo 3 dell�art. 87, che riguarda 
gli aiuti ammissibili previa valutazione discrezionale della Commissione, e 
qui, come sapete, la Commissione ha elaborato nel tempo una serie di indirizzi 
la cui portata giuridica � una sorta di autolimitazione nella valutazione degli 
aiuti che i singoli Stati membri definiranno. 
Quindi crisi sistemica e crisi di settore: in questa ottica delle comunicazioni 
della Commissione, vale a ricondurre alla base giuridica dell�art. 87 paragrafo 
3, gli aiuti che vengono messi in atto dalle legislazioni degli Stati 
membri in questo momento di crisi. 
Si tratta degli aiuti destinati a �porre rimedio a un grave turbamento all�economia 
di uno stato membro�. Quindi l�idea che questa crisi possa coinvolgere 
l�intera economia di uno Stato membro � il presupposto per cui � 
possibile attrezzare degli aiuti specifici in questa fase. 
Proprio perch� legati al grave turbamento dell�economia degli Stati membri, 
gli aiuti hanno carattere eccezionale e temporaneo (soprattutto il carattere 
della temporaneit� � sottolineato a pi� riprese nelle varie comunicazioni della 
Commissione europea). 
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 17 
Sotto questo profilo, per andare a quelle che sono le fonti normative degli 
aiuti di Stato che si sono messi in atto in questo periodo, � importante ricordare 
da un lato la comunicazione del 22 gennaio 2009 (che � stata poi modificata 
da una successiva comunicazione del 25 febbraio 2009) che individua il cd. 
�quadro di riferimento temporaneo� per gli aiuti in questa fase di crisi. Si tratta 
di aiuti la cui temporaneit� � legata alla durata della crisi e comunque viene 
fissato un termine entro cui questi aiuti possono essere attivati (31.12.2010), 
soggetto ad una prima verifica nel 31.12.2009, in cui gli Stati membri, unitamente 
alla Commissione, valuteranno se la situazione abbia avuto una evoluzione 
in senso positivo grazie agli aiuti disposti e, quindi, se essi debbano 
essere bloccati o no. 
Per il settore finanziario poi, al di l� delle comunicazioni che riguardano 
l�economia reale, vanno ricordate due comunicazioni: una del 25 ottobre 2008 
e quella che chiarisce la precedente riguardo gli interventi di ricapitalizzazione 
del sistema bancario. 
Tutto ci� relativamente alle fonti di carattere comunitario. 
Sul piano delle fonti di carattere nazionale, degli interventi che riguardano 
il settore creditizio, come tutti sapete ci sono stati gli interventi del D.L. 
155/2008 convertito nella L. 190/2008, con la garanzia dello Stato sui depositi 
bancari al dettaglio e la previsione di una sottoscrizione di aumenti di capitale 
per le imprese (bancarie) in difficolt�, che hanno problemi di adeguatezza patrimoniale, 
con l�emissione di azioni senza diritto di voto e privilegiate nella 
distribuzione dei dividendi. 
Vi � poi il D.L. 157/2008, convertito in L. 2/2009, che contempla tre tipologie 
di interventi che hanno la finalit� di favorire l�accesso del sistema bancario 
alla liquidit�, e si tratta: 
1) della garanzia dello Stato sulla emissione di nuove passivit� bancarie, 
con durata residua fra 3 mesi e 5 anni; 
2) della garanzia dello Stato a favore di soggetti che offrono alle banche 
titoli utilizzabili per operazioni di rifinanziamento presso l�Eurosistema; 
3) di operazioni temporanee di scambio fra titoli di Stato e passivit� bancarie 
di nuova emissione. 
Questi interventi sono stati seguiti dal D.M. 27.11.2008, di attuazione, e 
sono stati autorizzati mediante una decisione preventiva positiva da parte della 
Commissione: decisione 520a/2008. 
CՏ un altro tipo di intervento, sempre previsto dal D.L. 155/2008, che 
corrisponde ai famosi Tremonti Bonds: si tratta della possibilit� da parte del 
Tesoro di sottoscrivere obbligazioni, strumenti finanziari speciali, a tasso di 
rendimento vicino ai prezzi di mercato, anzi in realt� tendenzialmente maggiorato, 
con lo scopo di rafforzare il patrimonio di vigilanza delle banche fondamentalmente 
sane, non quelle in difficolt�, intendendo per sane quelle che
18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
lo erano nella situazione precedente allo scoppio della crisi. 
Il criterio � che a questo aiuto di Stato accedano banche e gruppi quotati, 
che comunque siano da ritenere fondamentalmente sani e che devono avere un 
incentivo all�uscita (dalla misura): cio� la fissazione del tasso di rendimento a 
certi livelli � concepita nella prospettiva della temporaneit� dell�intervento, e 
questo riguarda sia gli interventi di ricapitalizzazione per le imprese in difficolt�, 
sia gli interventi di patrimonializzazione delle imprese fondamentalmente sane. 
Il concetto � che si tratti di un intervento temporaneo, che non deve riproporre 
logiche conosciute in altri momenti storici. 
Voglio ricordare un bell�intervento di Giulio Napolitano, che, nella ricostruzione 
di questo sistema degli aiuti, soprattutto nel settore finanziario, ha 
richiamato le teorie di Giannini e Nigro sulla pubblicizzazione del credito. 
Non cՏ dubbio che questi interventi tendono a ridisegnare l�assetto dei rapporti 
tra mercato e settore pubblico, ma in che limite stiamo assistendo al riassetto 
dei rapporti fra Stato e mercato nel settore del credito? 
Giannini aveva inquadrato il credito inizialmente nel settore del servizio 
pubblico, tesi poi superata anche dal TUB del 1993, e seguita dalla tesi dell�ordinamento 
sezionario, da molti contrastata, soprattutto dai giuscommercialisti 
(per primo Renzo Costi); mentre ricorderete le posizioni pi� 
pragmatiche di Mario Nigro, tendenti a evidenziare pi� i profili pubblicistici 
del credito sotto vari moduli di intervento. 
In qualche modo, in maniera pi� pragmatica, questi interventi prospettati 
sulla base del quadro comunitario, sono interventi che si caratterizzano per il 
loro carattere di temporaneit�. L�idea � quindi quella per cui passata la bufera 
della crisi, il rapporto fra Stato e mercato ritorni ai criteri seguiti fino a poco 
prima dello scoppio della crisi. Sar� possibile o no? 
Pensate al problema della ricapitalizzazione delle banche o alla patrimonializzazione 
del patrimonio di vigilanza delle banche ad opera dello Stato: 
sono interventi che dovrebbero avere il carattere di temporaneit�, ma sappiamo 
bene che anche l�IRI, quando fu istituita, aveva carattere temporaneo. 
Prof. Avv. G. Rossi 
Io dico sempre che il carattere temporaneo si vede dopo. 
Prof. Avv. S. Fortunato 
Vorrei sottolineare un dato: che questo carattere di temporaneit� dovrebbe 
passare anche attraverso alcune misure che si introducono nell�ambito degli 
interventi statali. Ripeto, gli incentivi all�uscita dalla misura sono legati ai 
costi per il privato, per la banca che voglia accedere a queste misure, che sono 
tendenzialmente commisurati ai prezzi di mercato o addirittura sono leggermente 
maggiori. 
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 19 
� anche vero che a volte cՏ la tendenza a diminuire il costo di alcune 
misure: ad esempio, - siamo pi� nell�ambito degli interventi a tutela dell�economia 
reale - garanzie su prestiti a medie e piccole imprese, dove si prevede 
in via temporanea l�abbattimento delle commissioni per garanzie prestate dallo 
Stato su prestiti per l�innovazione, la ricerca, su prestiti all�economia reale. 
Per il sistema bancario la tendenza � a favorire questi interventi, ma non a condizioni 
di eccessivo favore, perch� peraltro il quadro comunitario di riferimento 
individua alcuni criteri di base per questi interventi straordinari. 
La comunicazione del 25.10.2008 indica i criteri che la Commissione, 
nella sua valutazione di ammissibilit� degli interventi, dovr� seguire per l�ammissione 
di regimi generali di aiuto. 
Gli aiuti devono essere: 
i) mirati all�obiettivo, che � quello di porre rimedio al grave turbamento 
dell�economia di uno Stato membro, 
ii) proporzionati allo scopo, e quindi limitati al minimo indispensabile, 
iii) fondati su criteri oggettivi non discriminatori di ammissibilit�, 
iv) avere carattere temporaneo, e quindi corredati da adeguati incentivi 
all�uscita, 
v) essere sorretti da misure di salvaguardia per evitare abusi e indebite interferenze 
nella concorrenza; ecco perch� agli aiuti si accompagna l�obbligo dei 
beneficiari di non avere politiche commerciali aggressive o non utilizzare gli 
aiuti per politiche espansive al di l� di certi limiti (quindi alla concessione dell�aiuto 
si accompagna la sottoscrizione di un protocollo di intenti con riguardo 
a comportamento non aggressivo che dovr� tenere l�impresa sovvenzionata). 
Gli aiuti sono sottoposti a verifiche periodiche e sono seguiti, a crisi ultimata, 
da misure di adeguamento del settore e/o da misure di ristrutturazione 
o liquidazione del beneficiario. 
In sostanza, a seconda che si tratti di una impresa in difficolt� o di una 
impresa fondamentalmente sana, la fine del momento critico dovrebbe portare 
poi, ad aiuto gi� erogato, un piano di ristrutturazione. Un piano di ristrutturazione 
si pu� tradurre in un vero e proprio piano di liquidazione. 
L�aiuto � adeguato anche alla condizione soggettiva del beneficiario, e 
qui vale quel principio che dicevo, volto a distinguere tra imprese in difficolt� 
e imprese fondamentalmente sane prima della crisi. Questa distinzione � collegata 
alla valutazione del profilo di rischio dell�impresa che accede all�aiuto. 
Perci� l�aiuto deve avere carattere per cos� dire differenziato, cio� deve potersi 
commisurare alle dimensioni, al profilo di rischio dell�impresa che accede alla 
concessione dell�aiuto. 
Le tipologie degli aiuti sono quelli che vi ho indicato in precedenza. 
Potremmo parlare di interventi di pubblicizzazione finanziaria (come 
dice Napolitano): si tratta di tutte le operazioni di garanzie sui depositi bancari
20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
e al dettaglio, oltre che delle garanzie statali e delle operazioni di scambio temporaneo 
per consentire alle banche di accedere ad una adeguata provvista di liquidit� 
(quelle tre operazioni di cui vi parlavo prima); si pu� trattare di 
interventi di pubblicizzazione proprietaria, e qui abbiamo l�intervento di 
sottoscrizione delle azioni senza diritto di voto ma privilegiate nella distribuzione 
dei dividendi, si pu� trattare di interventi di pubblicizzazione funzionale, 
e qui veniamo al profilo pi� delicato, cio� i famosi Tremonti Bonds: il 
rafforzamento di patrimoni di vigilanza di banche fondamentalmente sane mira 
non solo a perseguire la stabilit� de sistema bancario, ma anche la riattivazione 
dei flussi creditizi a favore dell�economia reale. Qui cՏ un problema di raccolta, 
perch� si deve avere liquidit� sufficiente per fare l�erogazione e bisogna avere 
soprattutto la domanda, cio� ci vogliono domande da parte delle imprese, del 
sistema delle imprese dell�economia reale. Quindi � un meccanismo da solo 
non risolutivo della problematica. In questo senso parliamo di interventi di pubblicizzazione 
funzionale, cio� funzionale alla riattivazione di questi flussi creditizi. 
Poi ci sono interventi di pubblicizzazione regolamentare, ad esempio 
negli Usa le banche di investimento sono state riportate sotto la vigilanza della 
Fed e quindi un ritorno alla minore liberalizzazione della operativit� del settore 
creditizio. Questi interventi regolamentari (pensate alla teoria del legal standard 
a livello internazionale) sono il punto in cui le polemiche sono pi� alte, le problematiche 
maggiori e quindi � pi� difficile ridisegnare le regole. 
Volevo sottolineare un ultimo aspetto: la concessione di questi aiuti � legata 
al rispetto di un procedimento amministrativo. 
L�aiuto per il settore finanziario, bancario, � concesso su istanza della 
banca, cio� della parte interessata, quindi il procedimento si attiva su iniziativa 
di parte. La domanda va presentata al Ministero, al Dipartimento del Tesoro, 
e contemporaneamente all�Autorit� di vigilanza, e qui lo schema nazionale ripete 
un modulo raccomandato a livello comunitario: cio� l�istruttoria sulla situazione 
soggettiva del potenziale beneficiario e sulle condizioni per cui si 
chiede di accedere all�aiuto, deve essere svolta da un organo tecnico, dall�autorit� 
di vigilanza. 
Quindi le fasi sono: domanda di parte, istruttoria svolta dall�autorit� di vigilanza, 
giudizio favorevole o negativo dell�autorit�, che viene espresso senza 
portarlo a conoscenza della parte interessata ma trasmesso al Tesoro, e infine 
il Ministero adotta la decisione finale senza essere vincolato dal parere dell�autorit�, 
perch� nell�ammettere l�aiuto il Ministero valuta anche le condizioni generali 
complessive dell�economia (cio� se, considerati i flussi e la situazione 
complessiva, si possa ritenere opportuna e utile la misura predisposta). 
Quindi il provvedimento finale dell�amministrazione ha in qualche modo 
il carattere della decisione politica. 
Al provvedimento finale dell�amministrazione si aggiungono una serie 
di atti negoziali.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 21 
L�Abi ha stipulato un accordo quadro col Ministero per la regolamentazione 
dei rapporti e la sottoscrizione dei famosi protocolli d�intenti che devono 
essere sottoscritti tra la banca beneficiaria e il Ministero, sia ai fini dell�adempimento 
degli impegni organizzativi interni alla struttura che accede all�aiuto 
(per esempio sottoscrizione di un codice etico che riguardi la remunerazione 
del management), sia ai fini del rispetto degli impegni nella erogazione all�esterno 
(famiglie e imprese) del credito. 
Quali sono i meccanismi sanzionatori di fronte a inadempienze di questo 
tipo? Tutto l�armamentario proprio dell�istituto della concessione? La revoca? 
Questo profilo � ancora da capire. 
Ultimo aspetto � un sistema di monitoraggio, che presuppone la raccolta 
dei dati e si sviluppa mediante la sollecitazione di un sistema bancario al rispetto 
dell�erogazione del credito, attraverso meccanismi di denuncia; sono i 
famosi osservatori istituiti presso le Prefetture (sistema molto criticato per il 
rischio di una ingerenza da parte dell�autorit� politico-amministrativa nel sistema 
di erogazione del credito e quindi nella valutazione del merito creditizio 
dell�imprenditore che ricorre a questa erogazione). CՏ un impegno per chi ricorre 
allo strumento obbligazionario a mantenere inalterati i flussi di erogazione 
del credito per un triennio rispetto al biennio precedente, ma questo � 
un discorso che riguarda una verifica di dati anonimi, aggregati, che non ha 
nulla a che fare col meccanismo della denuncia presso la Prefettura della mancata 
erogazione o diniego. 
Sono giustiziabili i provvedimenti dell�autorit� amministrativa (Ministero 
Economia e Finanze) in materia di concessione dell�aiuto? 
Il diniego certamente s�, il contraddittorio � rinviato proprio al momento 
della giustiziabilit�; prima pu� essere attivato dinanzi al Ministero (non dinanzi 
all�autorit� di vigilanza), ma in sede giudiziaria sicuramente cՏ la possibilit� 
di far valere le proprie ragioni. 
E il provvedimento positivo? Probabilmente no, ma con l�evoluzione 
della tematica degli interessi legittimi (soprattutto nel contrasto tra giurisprudenza 
della Cassazione e del Consiglio di Stato in materia di pregiudiziale) 
forse forme di tutela risarcitoria sono pensabili anche di fronte al provvedimento 
positivo che produce effetti distorsivi della concorrenza. 
Intervento dell�Avv. Sergio Fiorentino* 
Vorrei dare una prima informazione su uno strumento predisposto dal Governo, 
che proprio oggi dovrebbe essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale: si 
(*) Capo dell�ufficio legislativo del Ministero delle politiche europee e Avvocato dello Stato.
22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
tratta di una direttiva della Presidenza del Consiglio, adottata previa intesa 
con le Regioni, che ha lo scopo di consentire di implementare uno degli atti 
comunitari a cui si riferiva prima il Professor Fortunato, cio� la comunicazione 
del 22 gennaio 2009, poi modificata il 25 febbraio 2009, che appunto reca il 
quadro di riferimento temporaneo comunitario per le misure di aiuto di Stato 
a sostegno dell�accesso al finanziamento (quelle misure che il Professor Fortunato 
definiva di sostegno all�economia reale). 
Infatti nel contesto del pacchetto delle misure adottate dalla Commissione 
per far fronte alla crisi economica e finanziaria (che era stato poi prefigurato 
nel piano europeo di ripresa economica adottato con la comunicazione del 26 
novembre 2008 e anticipato dagli orientamenti dell�ottobre a cui si riferiva il 
Professore), si inserisce questa misura col duplice obiettivo, enunciato dalla 
Commissione, di sbloccare la situazione di stallo nella concessione dei prestiti 
bancari alle imprese, garantendo la continuit� del loro accesso ai finanziamenti, 
e di incoraggiare le imprese a continuare a investire �nel futuro� (cos� 
dice la Commissione testualmente, riferendosi alla crescita sostenibile, agli 
obiettivi ambientali raggiunti dalle industrie europee, rispetto ai quali la Commissione 
intravede il pericolo di un arretramento a causa della crisi; obiettivi 
ambientali che vuole favorire). 
La Commissione si preoccupa di ricordare che questi obiettivi e in generale 
quelli gi� enunciati nel piano europeo di ripresa economica (cio� stimolare 
la crescita della domanda e far rinascere la fiducia dei consumatori, ridurre il 
costo umano del rallentamento della crescita e determinare la condizioni affinch� 
ci possa essere una ripresa economica), possono essere raggiunti usando 
le misure gi� esistenti. 
La Commissione anzi invita a usare le misure gi� esistenti per far fronte 
a questa crisi e siccome il diritto comunitario prevede il divieto di aiuti di Stato 
alle imprese ma non esclude l�intervento pubblico nell�economia, ricorda che 
gli Stati membri hanno a disposizione misure di politica economica generale, 
che in quanto destinate a tutte le imprese stabilite in un certo territorio, non 
possono essere considerate aiuti, perch� prive del carattere della selettivit�, 
che � uno dei caratteri fondamentali per individuare gli aiuti di Stato. 
Inoltre la Commissione ricorda che gli Stati membri possono concedere 
sostegno finanziario direttamente ai consumatori, attraverso misure (come 
quella della rottamazione o quella destinata all�acquisto dei prodotti verdi) che 
a loro volta non costituiscono aiuti di Stato, a condizione che siano concesse 
senza discriminazioni connesse all�origine del prodotto (perch� in presenza 
delle stesse avremmo distorsioni al mercato e alla concorrenza, e quindi si 
tratterebbe di aiuti di Stato). 
Per esempio, per chi ha seguito il dibattito politico negli ultimi mesi, avr� 
visto che la misura individuata dal Governo della rottamazione dei veicoli e 
degli elettrodomestici in una prima stesura incontrava questo rischio di discri-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 23 
minazione, perch� prevedeva la stipula di protocolli di intesa tesi al mantenimento 
dell�occupazione, che necessariamente potevano essere sottoscritti solo 
dalle imprese nazionali e si finiva per discriminare le altre imprese comunitarie; 
tanto che poi � stato eliminato il vincolo tra concessione dell�aiuto ai consumatori 
e stipula del protocollo di intesa. 
Un�altra misura che si era affacciata nel dibattito comunitario era quella 
del divieto di delocalizzazione: cio� si attribuiva vantaggio ai consumatori 
nell�acquisto di quei soli prodotti di imprese che si impegnavano a non delocalizzare. 
Qui non c�era tanto un vulnus al divieto di discriminazione all�origine 
del prodotto, ma un vulnus alla libert� di stabilimento; la misura � stata 
poi contenuta nei confini dello spazio economico europeo, quindi cՏ un vincolo 
a non delocalizzare al di fuori dello spazio economico europeo. 
Quindi la Commissione dopo aver ricordato le misure di carattere generale 
che gli Stati membri hanno gi� a disposizione, ha ricordato il quadro esistente 
in materia di aiuti di Stato cio� i regolamenti di esenzione e gli 
orientamenti, che gi� consentono un ampio margine di manovra agli Stati 
membri. 
Si tratta: 
i) del regolamento generale di esenzione per categoria, 
ii) del regolamento sugli aiuti di importanza minore (cd. regolamento de 
minimis). 
Tuttavia dopo questa descrizione di carattere generale la Commissione 
prende atto che lo stato di crisi economica giustifica l�adozione di una nuova 
misura, come questa comunicazione, caratterizzata dalla eccezionalit�, dimostrata 
anche alla temporaneit� dell�intervento, per consentire uno spazio di 
manovra maggiore agli Stati membri e quindi interventi pi� mirati e magari 
selettivi. 
La base giuridica di questa comunicazione � l�art. 87 paragrafo 3 lettera 
b) del Trattato, relativo agli aiuti destinati a porre rimedio a un grave turbamento 
dell�economia di uno Stato membro. CՏ qui un�interpretazione estensiva 
di questa deroga (il contrasto col principio per cui nel caso delle deroghe 
l�interpretazione deve essere restrittiva � giustificato dal fatto che il grave turbamento 
di uno Stato membro pu� essere grave turbamento di tutti gli Stati 
membri). 
Dal punto di vista delle fonti del diritto comunitario derivato, la comunicazione 
non � un regolamento di esenzione, come ad esempio il de minimis. 
Il regolamento di esenzione esclude le misure in esso contemplate dalla categoria 
di aiuto di Stato. Ad esempio nel caso del de minimis, cՏ una presunzione 
legale di non incidenza di quella misura sugli scambi negli Stati membri, 
il che comporta che l�autorit� pubblica che concede un aiuto de minimis non 
ha l�obbligo di notificare e poi attendere l�autorizzazione della Commissione. 
Questa invece � una comunicazione che ha un fondamento nel Trattato, nella
24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
norma che prevede gli aiuti che possono essere considerati compatibili dalla 
Commissione. Quindi la Commissione si autovincola con questa comunicazione 
nella sua discrezionalit�, cio� detta una serie di condizioni al ricorrere 
delle quali considerer� compatibili le misure di aiuto. 
Questo per� non esclude l�obbligo che discende dall�art. 88. 
Ecco quindi che si poneva il problema che si � pensato di risolvere con 
la direttiva di cui fra poco parleremo. 
Prima vorrei descrivere quali sono le cinque tipologie di aiuto ammesse: 
1) aiuti di importo limitato e compatibile, gi� ribattezzato �super de minimis� 
perch� sono aiuti di ogni tipologia (come nel de minimis) e con le stesse 
esclusioni del de minimis (cio� gli aiuti all�esportazione, alla pesca e alla produzione 
agricola primaria) ma con un limite di 2 volte e mezzo di quello del 
de minimis. Tuttavia non � un super de minimis perch� il de minimis non richiede 
la notifica, questo s�, perch� la base normativa di riferimento � diversa. 
2) aiuti concessi sotto forma di garanzie: si consente agli Stati membri di 
intervenire nella concessione di garanzie alle imprese sino al 25% del premio 
annuale per le piccole e medie imprese e al 15% per le grandi imprese, 
3) aiuti sotto forma di tasso ad interesse agevolato, secondo un tasso che 
� definito nella comunicazione ed � inferiore a quello di mercato, 
4) aiuti per la produzione di prodotti verdi, che anticipano standard europei 
ambientali destinati a operare solo in futuro o superano questi standard 
5) aiuti relativi al capitale di rischio, che per� si deve innestare su regimi 
gi� esistenti. 
Tutte queste misure non sono riservate alle piccole e medie imprese 
(tranne l�ultima). 
La parte interessante della comunicazione � quella che riguarda la semplificazione 
delle procedure amministrative, perch� proprio sul presupposto 
che la base giuridica della comunicazione era il perturbamento dell�economia 
di uno stato membro la Commissione ha sollecitato da parte di tutti gli Stati 
membri la notifica di un unico regime. Ecco perch� si � posto il problema che 
abbiamo ritenuto di poter risolvere con la direttiva della Presidenza del Consiglio, 
cio� la necessit� anche pratica, sollecitata dalla Commissione, di avere 
un unico regime da notificare alla Commissione e da autorizzare. Sul modello 
di quello che � avvenuto anche in altri paesi avevamo pensato a un decreto 
legge, poi si � ragionato sul fatto che dal punto di vista normativo non c�erano 
innovazioni da introdurre se non per una parte che riguarda il monitoraggio, 
perch� la fonte � tutta comunitaria, e allora si � pensato allo strumento della 
direttiva del Presidente del Consiglio. Naturalmente poich� si andava a incidere 
sulle funzioni e sui poteri delle Regioni e degli Enti locali, cՏ stata la 
previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni (raggiunta l�8 aprile 2009).
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 25 
Questo testo traduce in un articolato tutte queste condizioni contenute 
nella comunicazione e ha un taglio discorsivo. 
La misura � stata notificata alla Commissione, che ad oggi ha gi� autorizzato 
quattro dei cinque regimi previsti (sono decisioni del 20 maggio non 
ancora pubblicate in GUCE ma gi� efficaci perch� l�efficacia delle decisioni 
della Commissione deriva dalla notifica allo Stato membro). 
Nell�art. 2 della direttiva del Presidente del Consiglio cՏ una condizione 
generale: le imprese, per poter beneficiare di questi aiuti, non dovevano 
trovarsi in condizioni di difficolt� alla data del 30 giugno 2008; condizione 
che si inserisce sulla scia di quella che � sempre stata la volont� della Commissione, 
cio� evitare che gli aiuti concessi fossero usati per rimediare a situazioni 
di crisi che prescindono dalla congiuntura internazionale. Possono 
avere accesso a queste misure anche le imprese che siano entrate in crisi dopo 
il 30 giugno 2008, che � una data convenzionale di avvio della crisi economica 
mondiale. 
Quindi sostanzialmente si dice che si possono aiutare anche le imprese 
in crisi che sono entrate in crisi a causa della crisi mondiale ma non quelle che 
erano in crisi per conto loro. 
E poi al comma 4 cՏ una norma interessante, che sarebbe stata pi� interessante 
mantenendo la forma del decreto legge, che generalizza la clausola 
per cui nessuna impresa pu� beneficiare di aiuti se non ha restituito eventuali 
aiuti incompatibili di cui risultava essere beneficiaria nel momento in cui ha 
ricevuto la misura concessa. 
Queste condizioni riguardano tutte e cinque le misure, poi ci sono condizioni 
particolari per le singole misure. Ad esempio per i de minimis le due condizioni 
sono che gli aiuti siano concessi in forma di regime, cio� deve essere 
previsto per una categoria di soggetti non particolareggiate, e devono essere 
trasparenti (riguardo la metodologia di calcolo dell�aiuto); con questi vincoli 
e quelli generalizzati, cio� che non si tratti di aiuti alla pesca, all�esportazione 
e all�agricoltura, gli aiuti de minimis sono una misura di carattere generale. 
Qual � il grado di vincolativit� di questa direttiva rispetto a tutte le autorit� 
pubbliche che possono concedere aiuti? Da un lato rispetto alle Regioni cՏ 
un vincolo che deriva dalla leale collaborazione, essendoci stata l�intesa, ma 
a parte questo il problema potrebbe porsi per tutte le misure di aiuto che devono 
essere concesse con norma primaria di legge. 
Quindi che senso ha con una direttiva vincolare il legislatore al rispetto 
di certe misure? In realt� si tratta piuttosto di un onere: siccome gli aiuti che 
rispettano questa cornice devono essere solo comunicati alla Commissione e 
non notificati, col rispetto di queste condizioni ci si inserisce nell�ambito di 
applicazione di questa autorizzazione gi� concessa dalla Commissione, e
26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
quindi non � necessaria altra procedura di notifica. Se non si rispettano queste 
condizioni si tratta di misure diverse che andranno a loro volta notificate e autorizzate. 
Intervento dell�Avv. Paolo Gentili* 
Ho cercato di analizzare le evoluzioni che sono state elaborate dalla giurisprudenza 
comunitaria su certi aspetti che si potevano trattare in maniera abbastanza 
serena prima della crisi e che ora, in questo quadro di grande 
mutamento della materia degli aiuti di Stato, potrebbero risultare critici e potrebbero 
indurre la giurisprudenza a rivedere alcune sue posizioni o vedere se 
nella giurisprudenza ante crisi ci siano gi� degli spunti utilizzabili anche in 
tempo di crisi. 
CՏ anche il problema della giustiziabilit�, che si pone soprattutto a livello 
comunitario. 
Ci sono vari aspetti da cui si potrebbe affrontare il discorso, mi baser� 
sulla traccia classica dei quattro elementi costitutivi degli aiuti di Stato. 
Primo elemento fondamentale � quello della natura pubblica del beneficio 
che va all�impresa toccata dall�aiuto di Stato. 
L�atteggiamento della giurisprudenza ante crisi � molto estensivo: il concetto 
di pubblicit� della risorsa � molto ampio e si ricostruisce spesso in maniera 
indiretta. Ma proprio perch� si ricostruisce in maniera flessibile e quindi 
cՏ incertezza sulla nozione, troviamo qui degli spazi in cui la giurisprudenza 
potrebbe fare retromarcia, perch� sono spazi connessi all�alveo dell�art. 87 per 
via di interpretazione giurisprudenziale. 
Il concetto materiale della pubblicit� � trattato dalla sentenza del 17 giugno 
1999 Rinaldo-Piaggio. Si trattava della Legge Prodi e dell�ammissione 
di questa industria aereonautica al regime della Legge Prodi, di una revocatoria 
di un pagamento fatto da questa impresa poco prima di essere ammessa all�amministrazione 
straordinaria e dell�azione con decreto ingiuntivo fatta dal 
creditore di questo credito. Nasce la questione pregiudiziale che il regime della 
Legge Prodi possa essere considerato foriero di aiuti di Stato. Su un punto poteva 
effettivamente esserci questa evenienza, per il fatto che quando l�impresa 
va in amministrazione straordinaria ottiene la garanzia dello Stato per la sua 
esposizione debitoria, almeno da un certo livello in s� e la garanzia dello Stato 
incide ovviamente sul bilancio pubblico; quindi il concetto originario di pubblicit� 
era evidente e noi lo ammettevamo tanto che avevamo fatto la notifica 
della legge alla Commissione. Ma non avevamo fatto altre notifiche riguardo 
altri articoli della legge Prodi diversi dal quello sulla garanzia, perche non ri- 
(*) Avvocato dello Stato.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 27 
tenevamo esistere altri aspetti di pubblicit�, si trattava di una deroga al regime 
fallimentare ma non ritenevamo esserci niente di pubblico. 
Invece la Corte di Giustizia ha risposto al quesito dicendo che cՏ tutto 
un substrato di pubblicit� intrinseco all�intero sistema della legge Prodi, perch� 
essa permette la sospensione di una serie di pagamenti di crediti (che nel caso 
di specie era il pagamento di un credito a un privato), che indistintamente possono 
riguardare anche i crediti pubblici, i crediti fiscali e previdenziali. Siccome 
� potenzialmente coinvolto anche un credito pubblico, cՏ un potenziale 
effetto sul bilancio pubblico e questo rende la semplice norma della legge 
Prodi che dice che sono sospesi i pagamenti delle imprese in amministrazione 
straordinaria, una norma portatrice di aiuti di Stato, perch� potenzialmente 
pu� coinvolgere risorse pubbliche. Addirittura l�altra disposizione considerata 
dalla Corte � quella che consente la prosecuzione dell�impresa in crisi al di l� 
dei casi in cui in base alla legge fallimentare sarebbe consentito (normalmente 
sta al giudice delegato disporre la continuazione dell�impresa; ai sensi di questa 
norma � invece il Ministro che con un suo decreto dispone la prosecuzione 
dell�impresa): anche questo sarebbe aiuto di Stato perch� se l�impresa continua 
a funzionare pur quando un�impresa concorrente sarebbe esclusa dal mercato 
perch� il giudice fallimentare non autorizzerebbe la sua prosecuzione, pu� ottenere 
comunque un flusso di cassa che la mette in grado di far fronte alla sue 
obbligazioni; ma in questo caso allora perch� non deve anche far fronte ai suoi 
debiti, compresi quelli di carattere pubblicistico? 
La Corte qui si rende conto che poteva essere andata oltre il segno e precisa 
che se ci sono queste ricadute sul bilancio pubblico, questi effetti potenziali 
e questa pubblicit� dell�aiuto determinata da norme giuridiche che non 
costano nulla al bilancio (perch� la legge non costa), verr� accertato dal giudice 
nazionale caso per caso, nel singolo contenzioso che nasce nell�ambito della 
procedura di amministrazione straordinaria. 
Anche qui cՏ lo spazio per un ripensamento della giurisprudenza: si potrebbe 
dire che quando cՏ un intervento organico, strutturale, basato su un regime 
complessivo e non a favore di una singola impresa, mirante a superare 
situazioni di grave crisi industriale, non cՏ un�incidenza sul bilancio, anche 
quando ci siano delle misure sospensive di crediti di diritto pubblico, perch� 
questo � funzionale al riequilibrio dell�economia complessiva. 
La Corte in sede di pronuncia pregiudiziale dice solo cosa pu� definirsi 
aiuto di Stato e cosa no, se si recupera questo spazio si pu� addirittura dire 
che non cՏ l�aiuto a monte. 
Ricostruendo questa giustificazione organica della misura e a fronte di 
una complessa manovra di politica economica, il tema dell�esistenza o meno 
dell�aiuto si collega col tema del secondo elemento della nozione di aiuto di 
Stato, cio� quello della selettivit�: se favorisce alcune imprese o categorie di
28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
imprese o se invece � una misura di tipo generale. 
La Corte ha affermato che la selettivit� viene meno se la misura � l�espressione 
di una concezione complessiva dell�ordinamento di politica economica 
del diritto pubblico dell�economia, se si riferisce organicamente in questo sistema, 
pur favorendo certo soggetti e non altri non � selettiva e non da luogo 
ad aiuto, salvo negarlo nel caso concreto. 
Questo � uno spazio molto oscillante, quindi anche qui ci potrebbe essere 
possibilit� per la Corte di modificare la propria giurisprudenza e ricondurre 
molte misure di questo tipo ad un nesso organico con la normazione economica 
complessiva e con le manovre complessive di politica economica che finora 
la Corte ha negato. 
Mi viene in mente la sentenza sulle Azzorre, del 6 settembre 2006, C- 
88/03, che riguardava il regime fiscale di favore per le isole Azzorre. Queste 
isole hanno un ambito amplissimo di autonomia previsto nella Costituzione 
del Portogallo, quasi un ambito di sovranit�, hanno un loro Parlamento. 
Questo Parlamento ha fatto una legge basandosi su una autorizzazione 
contenuta in un articolo della Costituzione portoghese (che corrisponde al nostro 
articolo 119), che riduce del 30% l�imposta sul reddito delle persone giuridiche 
e del 15% sulle persone fisiche, a pioggia, su tutto il territorio delle 
Azzorre. 
Nasce la questione se questo sia un aiuto di Stato, nel senso soprattutto 
se ci sia il carattere selettivo. Il Portogallo dice di no perch� la situazione delle 
isole Azzorre non � paragonabile a quella di chi abita sul continente, addirittura 
il Trattato estende la sua applicazione alle Azzorre espressamente all�art. 
299, e questo dimostra la loro considerazione come territorio a s� stante rispetto 
al Portogallo, quindi non ci pu� essere la selettivit�. La Corte di Giustizia 
invece, nel respingere il ricorso del Portogallo, aveva detto che le 
Azzorre non sono paragonabili al resto dell�Europa, quindi non cՏ selettivit� 
se tutti gli abitanti e le imprese delle Azzorre ricevono questo beneficio fiscale, 
salvo una categoria di operatori, cio� le banche, che non possono mai essere 
considerati soggetti sperduti nell�Atlantico, perch� per quella che � la loro natura 
intrinseca sono soggetti che si pongono sempre in concorrenza con tutti 
gli operatori comunitari. Quindi la misura del Portogallo era autorizzata salvo 
nella parte in cui si riferiva alle banche. Il Portogallo ribatte su questo, ma 
prima di contestare nel merito la distinzione fatta dalla Commissione tra soggetti 
che non sono banche e banche, il Portogallo contesta proprio in s� la qualificazione 
di quella misura come aiuto, che non � selettivo perch� si collega 
a una politica organica dello Stato portoghese, di sostegno all�economia di 
queste sue ex colonie che hanno una situazione strutturale, e non episodica, di 
arretramento economico; quindi essendo normale per il Portogallo dover disporre 
a sostegno di questi soggetti una misura di questo tipo, per giunta non 
deliberata dal Governo centrale portoghese ma dal Parlamento locale, deve
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 29 
essere considerata coerente e quindi certamente non selettiva. Questo argomento 
� respinto dalla Corte, che afferma che non cՏ una misura organica 
perch� di questo beneficio che ottengono le Azzorre qualcun altro fa le spese; 
perch� se le Azzorre hanno un minor gettito fiscale qualcuno deve colmare la 
differenza, e infatti l� interveniva una specie di fondo nazionale perequativo, 
per cui dal Portogallo continentale partivano dei finanziamenti che arrivavano 
nelle Azzorre a compensare il minor gettito fiscale. La Corte dice che � vero 
che il Governo interviene a favore delle regioni strutturalmente arretrate, ma 
� anche vero che qualcuno deve pagare per questo, il che d� alla misura un 
carattere specifico, facendo venire meno la coerenza e l�organicit� della misura. 
Il ragionamento della Corte potrebbe essere tranquillamente capovolto, 
dicendo che se cՏ una situazione di federalismo generale e in particolare fiscale, 
che ci sia da una parte un regime fiscale agevolato per le regioni svantaggiate 
e dall�altra un regime fiscale di solidariet� tra regioni in condizioni 
economiche normali e quelle in condizioni economiche svantaggiate attraverso 
i fondi perequativi, � di per s� organico, fa parte del meccanismo, altrimenti 
esso non potrebbe mettersi in moto, nel caso in cui una regione per concedere 
agevolazioni fiscali ai propri operatori, ai propri cittadini, ai propri residenti, 
dovesse subire un tale deperimento del gettito da compromettere il livello dei 
servizi pubblici. Allora � un circolo vizioso, ed � chiaro che � un altro soggetto 
a dover garantire con il fondo perequativo che il livello del servizio pubblico 
sia assicurato. 
La Corte ebbe paura in fondo di fare un�apertura eccessiva su questa nozione 
di organicit� che esclude l�aiuto, nozione che essa stessa aveva introdotto 
e che poi ha applicato con questa grande prudenza. Forse se si verificasse oggi 
il caso delle Azzorre la Corte direbbe che esiste il requisito dell�organicit�. La 
fiscalit� di vantaggio la pu� fare solo chi non attinge a fondi perequativi, quindi 
chi ha dei fondi sufficienti, quindi le regioni gi� ricche. 
Un altro campo interessante � quello degli aiuti in materia di servizi 
pubblici. Qui di nuovo il tema � quello dell�esistenza dell�aiuto e della selettivit�. 
Il problema � di capire quando l�aiuto che va ad una impresa pubblica si 
considera compensativo dei costi di pubblico servizio che su quella impresa 
gravano e quando ci� non avviene, sia sovracompensativo e quindi per la parte 
che non compensa diventa un aiuto. 
Nella sentenza Altmark furono dettate le quattro condizioni per cui si 
pu� escludere che una sovvenzione di una impresa pubblica costituisca un 
aiuto: sono condizioni estremamente late e discrezionali che aprono la strada 
al cambiamento di orientamento. 
Le quattro condizioni sono: 
1) che ci sia una chiara definizione degli obblighi di servizio pubblico, il 
cd. principio di missione: l�impresa beneficiaria deve essere effettivamente
30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
incaricata dell�adempimento di obblighi di servizio pubblico definiti in modo 
chiaro (anche sulla �chiarezza� si pu� lavorare, finora � prevalso un criterio 
molto restrittivo di chiarezza, perch� ci sono stati casi in cui aiuti alle imprese 
pubbliche sono stati bocciati perch� si � detto non cՏ chiarezza nell�affidamento 
della missione pubblica, che va invece tenuta presente), 
2) parametri di calcolo della compensazione che devono essere definiti 
preventivamente in modo obiettivo e trasparente: qui si pu� lavorare molto 
sui parametri temporali (nelle convenzioni di servizio pubblico si prendono 
alla base i periodi di tempo), 
3) la compensazione non pu� eccedere quanto necessario per coprire interamente 
o in parte i costi originati dall�adempimento degli obblighi di servizio, 
4) quando la scelta dell�impresa da incaricare dell�adempimento di obbligo 
di servizio pubblico non venga effettuata nell�ambito di una procedura 
di appalto pubblico (che consenta di selezionare chi � in grado di fornire i 
servizi al costo minore), il livello della necessaria compensazione deve essere 
determinato sulla base di un�analisi dei costi che una impresa media gestita 
in modo efficiente e adeguatamente dotata di mezzi di trasporto al fine di 
soddisfare le esigenze di servizio pubblico, avrebbe dovuto sopportare per 
adempiere a tali obblighi. Bisogna fare l�ipotesi dell�operatore corretto in 
normale gestione e su quella base calcolare l�importo della compensazione; 
quindi non di un operatore deficitario, inefficiente quali sono normalmente 
(sembra ipotizzare la sentenza) gli operatori pubblici. Questo quarto pilastro 
della nozione di aiuto di Stato riferito alla compensazione dei servizi pubblici 
� quello che traballa di pi� in una condizione di crisi, perch� in quel caso 
come si fa a stabilire la posizione di un operatore in normale esercizio, assumerlo 
a parametro e fare riferimento solo a quello? Oggi probabilmente questo 
va ampiamente rivisto perch� situazioni di gestione deficitaria possono 
diventare normali anche al di fuori del settore dei servizi pubblici, per operatori 
di tipo puramente privato, perch� oggi per gli operatori il problema non 
� guadagnare, ma rimanere sul mercato. Quindi cՏ una situazione di crisi 
globale, in cui l�operatore continua a operare anche in perdita pur di non 
uscire di scena e aspettare di potersi risollevare, quindi se � normale per l�operatore 
operare in perdita, a maggior ragione lo � per il soggetto incaricato di 
un pubblico servizio e questo pu� incidere sulla misura degli interventi pubblici 
a favore di quei soggetti. 
Oggi forse cՏ uno spazio per largheggiare nell�identificazione di un pubblico 
servizio, perch� � la crisi che rende normale l�erogazione pubblica di 
tanti servizi che in tempi normali non considereremmo pubblici servizi. CՏ 
spazio per una ripubblicizzazione a livello di nozione di molti servizi che avevamo 
negli anni privatizzato. 
Se si ripubblicizza tutta un�area di servizi (primo requisito) e si largheggia
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 31 
molto nell�identificare il parametro dell�operatore normale, dei costi dell�operatore 
normale (quarto requisito), perch� l�operatore normale in un periodo di 
crisi non esiste, si apre tutta un�area di possibile intervento pubblico a sostegno 
di servizi essenziali per l�economia, che possono essere interessanti anche al 
di l� di quelle che sono le codificazioni che fa la Commissione nelle sue comunicazioni. 
Quindi nella giurisprudenza Altmark, che � una giurisprudenza 
restrittiva, forse, riletta alla luce della crisi, si possono individuare degli spiragli 
in cui inserirsi o comunque degli strumenti operativi su cui i governi nazionali 
potrebbero pensare di lavorare. 
Intervento dell�avv. Gianni De Bellis* 
Il mio intervento riguarda le modalit� di recupero degli aiuti fiscali una 
volta che siano stati dichiarati tali. 
Sul fatto che un aiuto fiscale possa costituire un aiuto di Stato si veda la 
sentenza 2 luglio 1974, Italia c. Commissione, C-173/73, avente ad oggetto 
una causa in cui la Corte stabil� che il criterio per individuare un aiuto di Stato 
non � tanto il tipo di misura adottato, ma gli effetti che tale misura pu� comportare. 
Quindi afferm� espressamente che anche una misura fiscale pu� costituire 
un aiuto di Stato. 
Le modalit� con cui un aiuto fiscale pu� essere concesso sono varie: 
esenzioni temporanee o definitive da un tributo, crediti di imposta, aliquote 
ridotte, modifiche della base imponibile, riporto di perdite, condono fiscale 
non generalizzato ecc. 
Uno dei problemi principali che si pone nel caso di aiuti di Stato dichiarati 
tali e concessi mediante agevolazioni fiscali, � la natura giuridica dell�aiuto 
che si va a recuperare: si tratta di un credito tributario oppure ha natura civilistica? 
� noto che le Sezioni Unite della Cassazione (1), chiamate a pronunciarsi 
sull�azione di ripetizione dell�indebito, si sono spesso interrogate sulla natura 
tributaria o meno del credito in restituzione; si sono chieste, cio�, se esso conservi 
l�originaria natura ovvero se sia qualificabile alla stregua di un indebito 
oggettivo ex art. 2033 cod. civ. La questione non � di poco conto, perch� se si 
tratta di ripetizione dell�indebito si applica la prescrizione decennale, mentre 
se si tratta di un credito tributario operano le pi� brevi decadenze previste dalle 
singole leggi di imposta. Per fare un esempio, si possono prendere in considerazione 
le tasse di concessioni governative, che la Corte di giustizia (2) ha 
(*) Avvocato dello Stato. 
(1) Fra le pi� recenti, cfr. Cass. civ., Sez. Un., Ord., 5 marzo 2008, n. 5902; Cass. civ., Sez. Un., 
Ord., 19 novembre 2007, n. 23835; Cass. civ., Sez. Un., 24 aprile 2002, n. 6036. 
(2) V. sentenza 20 aprile 1993, nelle cause riunite C-71/91 e C-178/91.
32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
dichiarato incompatibili con la Direttiva n. 69/335 (3). Ebbene, quando si � 
trattato di agire per i rimborsi, l�Amministrazione ha eccepito l�intervenuta 
decadenza del termine triennale per chiedere il rimborso e questa linea � passata 
anche a livello comunitario sul presupposto della natura tributaria dei crediti. 
Ora, la domanda che ci si deve porre �: questa regola vale anche quando 
una determinata misura fiscale sia qualificata come aiuto di Stato? 
Oltre a quello della natura giuridica, un altro problema che si pone � 
quello della normativa � nazionale o comunitaria � applicabile. 
Questi problemi sono attualissimi, come dimostra il contenzioso sugli 
aiuti alle ex aziende speciali e municipalizzate, trasformate in societ� di capitali 
negli anni �90. 
Una decisione della Commissione del 5 giugno 2002 (4) ha qualificato 
come aiuti di Stato, imponendone il recupero, varie misure (5) adottate con 
riferimento alle societ� a prevalente partecipazione pubblica, risultanti dalla 
privatizzazione delle aziende speciali. Tale decisione � stata fatta oggetto di 
pi� ricorsi davanti alla Corte di Giustizia e al Tribunale di Primo Grado, rispettivamente 
da parte del Governo italiano e di numerose societ� di gestione 
dei servizi pubblici locali, che non hanno per� richiesto la sospensione della 
decisione impugnata. Di conseguenza l�Italia aveva comunque l�obbligo di 
recuperare medio tempore gli aiuti concessi, in attesa della definizione nel merito 
dei ricorsi proposti. Poich� ci� non � avvenuto, l�Italia � stata condannata 
per inadempimento dalla Corte di Giustizia con la sentenza 1� giugno 2006 
(in causa C-207/05), mentre si aspetta a giorni la sentenza che si pronunci sui 
ricorsi diretti a contestare nel merito la correttezza della decisione della Commissione. 
In realt� lo Stato italiano non era rimasto del tutto inerte in ordine al recupero 
degli aiuti in questione. Il Parlamento aveva infatti adottato una legge 
con la quale veniva attribuita la competenza per il recupero al Ministero degli 
Interni (la n. 62 del 2005), che si era rivelata per� inefficace. 
Una disciplina pi� incisiva, che non a caso � intervenuta dopo la condanna 
della Corte di Giustizia, � stata introdotta con il D.L. n. 10 del 2007 (6), il 
(3) Si tratta della direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE, concernente le imposte 
indirette sulla raccolta di capitali. 
(4) Decisione n. 2003/193/CE, relativa all'aiuto di Stato relativo alle esenzioni fiscali e prestiti 
agevolati concessi dall'Italia in favore di imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico. 
(5) L'articolo 3, commi 69 e 70, della legge n. 549/95 riservava un particolare regime fiscale alle 
societ� per azioni a prevalente capitale pubblico istituite ai sensi della legge n. 142/90, prevedendone: 
a) l'esenzione da tutte le imposte sui conferimenti relative alla trasformazione di aziende speciali e di 
aziende municipalizzate in societ� per azioni; b) l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito d'impresa, 
non oltre l'anno fiscale 1999, per le societ� per azioni a prevalente capitale pubblico. 
(6) Convertito, con modificazioni, dall�art. 1 della legge n. 46 del 2007.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 33 
quale (art. 1) ha spostato la competenza sull�Agenzia delle Entrate e ha previsto 
che venga emesso un apposito provvedimento (comunicazione-ingiunzione) 
impugnabile davanti alle Commissioni Tributarie. 
A questo punto si comprende come il problema della natura del credito 
avente ad oggetto le somme da recuperare assuma rilievo anche ai fini della 
giurisdizione. Orbene, se in base alla legge n. 62/2005 questo credito poteva 
in qualche modo essere qualificato come civilistico (in quanto si richiedeva 
la restituzione di una somma corrispondente all�aiuto fiscale che era stato concesso), 
in seguito alla disciplina del 2007, la quale attribuisce all�Agenzia delle 
Entrate il compito della riscossione e alle Commissioni Tributarie la competenza 
sui relativi ricorsi, viene da pensare che tale credito sia stato riqualificato 
come tributario. 
Soprattutto, poi, si pone il problema dell�applicabilit� del codice civile 
nazionale � che prevede, come � noto, la prescrizione decennale � all�obbligo 
dell�Italia di recuperare l�aiuto. 
A tal proposito abbiamo avuto delle sentenze che hanno ritenuto illegittimo 
il recupero, motivando nel senso dell�intervenuta prescrizione del relativo 
credito. 
Proponendo ricorso in Cassazione contro una di esse (7), la tesi sostenuta 
dall�Avvocatura � nel senso che il credito connesso al recupero di un aiuto di 
Stato, essendo disciplinato a livello comunitario dal Regolamento n. 659/1999, 
non � sottoposto all�art. 2946 cod. civ., bens� alla disciplina speciale contenuta 
nell�art. 15 del suddetto regolamento. Pur contemplando anch�essa un termine 
di prescrizione decennale, infatti, quest�ultima disposizione detta condizioni 
particolari con riferimento all�interruzione e alla sospensione del termine, la 
quali, nel caso di specie, impongono di non considerare prescritto il credito 
vantato. 
A ben vedere, in questo caso neanche si pone, a stretto rigore, un problema 
di disapplicazione della normativa interna per contrasto. Si tratta piuttosto 
di una materia che sfugge del tutto alla normativa interna, essendo 
rimessa esclusivamente nelle mani del legislatore comunitario. 
La questione degli aiuti alle ex municipalizzate � approdata anche davanti 
alla Corte Costituzionale cui � stata sottoposta la questione di legittimit� della 
normativa di recupero sotto il profilo della violazione dell�art. 53 della Costituzione. 
Si sosteneva nello specifico che il recupero equivalesse ad una sorta 
di tassazione retroattiva di un�attivit� economica posta in essere ormai da oltre 
dieci anni, il che sarebbe in contrasto con la Costituzione. 
La questione rischiava di far emergere il problema dei cc.dd. �controli- 
(7) La sentenza impugnata � la n. 322/14/08 emessa il 2.12/11.12.2008 dalla Commissione Tributaria 
Regionale di Roma, Sezione 14^. 
34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
miti�. Come � noto, i controlimiti si pongono al confine tra l�ordinamento comunitario 
e i principi costituzionali, e risolvono il problema della prevalenza 
in caso di conflitto. Essi coincidono infatti con i principi fondamentali della 
Costituzione, che secondo la Corte Costituzionale (8) costituiscono l�unica 
deroga al principio della prevalenza generalizzata del diritto comunitario. 
Difendendo la normativa di recupero � adottata in adempimento di un 
obbligo comunitario � davanti alla Corte costituzionale, l�Avvocatura dello 
Stato ha sostenuto in proposito che, anche a voler ipotizzare un problema di 
compatibilit� con l�art. 53 della Costituzione, non si era comunque in presenza 
di quei principi fondamentali della prima parte della Costituzione, in relazione 
ai quali soltanto si potrebbe ammettere la prevalenza del diritto nazionale sul 
diritto comunitario. 
La Corte Costituzionale con l�ordinanza n. 36 del 2009, non si � tuttavia 
pronunciata su tale questione, ma si � limitata ad affermare la non illegittimit� 
della normativa italiana, in quanto emanata in esecuzione di un obbligo sancito 
in una sentenza della Corte di Giustizia europea. N� vi era spazio, secondo la 
Corte, per un affidamento tutelabile, perch� l�operatore commerciale che riceve 
aiuti non notificati non pu� invocare il principio dell�affidamento a tutela 
della sua ignoranza �colpevole� (egli ha infatti l�onere di diligenza di accertare 
il rispetto della procedura comunitaria prevista per la concessione di aiuti di 
Stato). 
Nelle stesse difese in Corte Costituzionale, l�Avvocatura aveva anche 
adombrato l�ipotesi che un problema di contrasto con l�art. 53 della Costituzione 
neanche si ponesse, perch�, essendosi modificata � da tributaria a civilistica 
� la natura del credito, quest�ultimo non poteva essere assimilato ad 
una forma di tassazione. Ma la Corte, pur senza pronunciarsi espressamente, 
non ha condiviso su questo punto l�ipotesi dell�Avvocatura. Non l�ha condivisa 
perch�, affermando che nel merito l�art. 53 non era stato violato, implicitamente 
ha riconosciuto la natura tributaria del credito in questione. 
Deve aver pesato, in tal senso, l�opinione del relatore dell�ordinanza, il 
giudice prof. Franco Gallo, il quale, intervenendo prima di assumere l�incarico 
di giudice costituzionale ad un convegno sul tema degli aiuti di Stato (9), aveva 
gi� sostenuto la tesi della natura tributaria del credito oggetto di recupero. Ci� 
con la motivazione per cui, essendo il beneficio consistito nell�evitare la tassazione, 
nel momento in cui la norma istitutiva del beneficio fiscale viene 
espunta dall�ordinamento giuridico per effetto di una decisione della Com- 
(8) V. la sentenza 8 giugno 1984, n. 170 (c.d. sentenza Granital), che riprende sul punto quanto 
gi� affermato nella sentenza 27 dicembre 1973, n. 183 (c.d. sentenza Frontini). 
(9) Si tratta del convegno svoltosi a Roma il 17 settembre 2003 presso l�Aula Magna della Corte 
di Cassazione, sul tema �Aiuti di Stato nel Diritto Comunitario e misure fiscali�, i cui atti sono rinvenibili 
in Rass. trib., n. 6-bis, 2003. 
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 35 
missione (che dichiara l�aiuto incompatibile con l�art. 87 del Trattato), si ripristina 
la situazione originaria di debenza del tributo a suo tempo non corrisposto. 
Il problema diventa a questo punto quello della fonte del debito/credito 
restitutorio. � nella illegittimit� ab origine dell�aiuto? Oppure nella declaratoria 
di illegittimit� che ne fa la Commissione o la Corte in sede giurisdizionale? 
Quando si origina il debito? Se la prescrizione decorre (ex art. 2935 c.c.) 
dal momento in cui si pu� far valere il diritto, stabilire quando esso sorga � di 
certo rilevante. 
Si potrebbe in realt� discutere anche sulla stessa natura di diritto di credito 
del recupero, giacch� non si � in presenza di un interesse creditorio dello Stato, 
ma piuttosto di un obbligo dello Stato di recuperare; la ratio quindi non � 
quella di rientrare in possesso delle somme, ma quella di privare un soggetto 
del vantaggio indebitamente concessogli. 
Vi sono cause di risarcimento danni davanti al tribunale di Roma dove 
societ� che sono state costrette a restituire gli aiuti di Stato hanno chiamato in 
causa il Governo italiano sostenendo la responsabilit� di quest�ultimo per non 
aver notificato le misure qualificate come aiuto. 
La difesa del Governo ha fatto notare che se questo venisse condannato 
a risarcire i danni, paradossalmente incorrerebbe di nuovo in una infrazione. 
Cos� facendo, infatti, verrebbe vanificato l�effetto utile della stessa azione recuperatoria 
intrapresa. 
Sempre a proposito della tutela dell�affidamento, non va trascurato che 
l�ordinanza n. 36 del 2009 della Corte costituzionale contiene, tra l�altro, la 
significativa affermazione per cui il recupero degli aiuti � rispettoso dell�art. 
3 della Costituzione, in quanto ripristina il principio di parit� di trattamento 
fra gli operatori economici. In altri termini, l�alterazione delle regole della 
concorrenza viene equiparata ad una violazione del principio d�uguaglianza, 
il che a maggior ragione fa s� che gli operatori non possano �invocare, di regola, 
alcun legittimo affidamento nel godere di aiuti di Stato non compatibili 
con l�ordinamento comunitario�. 
Il principio della tutela dell�affidamento in materia di aiuti di Stato ha ricevuto 
poche applicazioni concrete. Questo perch�, se � vero che a livello teorico 
la Corte di Giustizia ha ammesso che vi possano essere dei casi 
eccezionali in cui si giustifica la non ripetizione (10) e che l�art. 14, paragrafo 
1, del citato regolamento 659/1999 prevede espressamente che la Commissione 
�non impone il recupero dell�aiuto qualora ci� sia in contrasto con un 
principio generale del diritto comunitario�, sul piano concreto situazioni di 
(10) Cfr., ad esempio, le sentenze: 24 novembre 1987, in C-223/85, Rijn-Schelde-Verolme Maschinenfabriken 
en Scheepswerven NV c. Commissione; 20 settembre 1990, in C-5/89, Commissione c. 
Repubblica federale di Germania. 
36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
questo tipo si sono verificate assai raramente. 
Se si permette la breve digressione, � interessate notare come il principio 
dell�affidamento, pur essendo uno dei principi fondamentali non solo del nostro 
ordinamento (l�ha detto anche la Corte costituzionale, che infatti lo evoca 
spesso congiuntamente ai principi di ragionevolezza e di certezza delle situazioni 
giuridiche (11) ), ma anche dell�ordinamento comunitario, sia nondimeno 
costantemente violato addirittura a livello giurisdizionale. Mi riferisco al solito 
problema dell�interpretazione sostanzialmente retroattiva del diritto, che si 
produce in conseguenza di mutamenti improvvisi negli orientamenti giurisprudenziali 
fino a quel momento consolidati. Cos�, ad esempio, se si propone 
un ricorso in Cassazione formulando un solo motivo comprensivo del quesito 
di diritto e del difetto di motivazione, e dopo tre anni la Corte di Cassazione 
(cambiando giurisprudenza) afferma che il motivo plurimo non si pu� fare 
(con la conseguenza che il ricorso a suo tempo proposto � inammissibile), si 
assiste ad violazione plateale del principio di affidamento, che � poi un principio 
di civilt� giuridica. 
� interessante anche vedere come trovi applicazione a livello comunitario 
il principio dell�affidamento al di fuori della materia degli aiuti di Stato. 
La Corte ha applicato il principio di affidamento in materia di IVA. In una 
causa greca in cui il Governo italiano � intervenuto, era accaduto che ad un armatore 
che effettuava il trasporto di persone era stato detto, con tanto di comunicazione 
dell�ufficio delle imposte, che certe operazioni a bordo non erano 
imponibili. Sennonch� tre anni dopo l�ufficio delle imposte ha cambiato idea, per 
cui ha chiesto all�armatore il pagamento di tutta l�IVA non versata e, come se non 
bastasse, gli ha perfino applicato le sanzioni. L�Italia � intervenuta sostenendo 
che dovesse valere in casi del genere il principio codificato all�art. 10 del nostro 
statuto del contribuente, per cui andrebbe pagato solo il tributo, ma non gli interessi 
moratori e le sanzioni. Invece la Corte ha ritenuto che non sia esigibile neppure 
il tributo, perch� vale in tal caso il principio dell�affidamento (12). 
Un�ultima questione che volevo segnalare riguarda la c.d. sentenza Lucchini 
(13), che � stata considerata per certi versi rivoluzionaria, in quanto veniva 
a scalfire il dogma dell�autorit� della cosa giudicata, prevedendone la 
disapplicazione quando osti al recupero di aiuti di Stato. Essa in realt�, lungi 
dal poter essere considerata rivoluzionaria, si limita ad affermare il principio 
(11) V., ex multis, la recente sentenza 30 gennaio 2009, n. 34. 
(12) Si tratta della sentenza 14 settembre 2006, nei procedimenti riuniti da C-181/04 a C-183/04. 
(13) CGCE, sentenza 18 luglio 2007, C-119/05, dove si legge che �Il diritto comunitario osta all�applicazione 
di una disposizione del diritto nazionale, come l�art. 2909 del codice civile italiano, volta 
a sancire il principio dell�autorit� di cosa giudicata, nei limiti in cui l�applicazione di tale disposizione 
impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilit� 
con il mercato comune � stata dichiarata con decisione della Commissione delle Comunit� 
europee divenuta definitiva�.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 37 
per cui non si pu� creare un giudicato su una materia che non � di competenza 
del giudice che ha pronunciato la sentenza. Cos�, poich� in materia di aiuti di 
Stato la competenza � della Commissione e poi, eventualmente, della Corte 
di giustizia adita in sede di ricorso, non si pu� riconnettere ad una sentenza 
pronunciata dal giudice nazionale la valenza di decisum non pi� contestabile. 
A ben vedere, troviamo gi� sancito un analogo principio nella legislazione 
nazionale, poich� il comma 2, n. 1, dell�art. 362 c.p.c. stabilisce che �Possono 
essere denunciati in ogni tempo con ricorso per cassazione: 1) i conflitti positivi 
o negativi di giurisdizione tra giudici speciali, o tra questi e i giudici ordinari�. 
Questa norma dimostra pertanto che, anche a livello interno, il dogma 
del giudicato non � cos� assoluto come sembra. 
Avv. P. Gentili 
Un caso che sto trattando ora riguarda gli aiuti alla cantieristica per difendersi 
dal Dumping coreano: in base ad un Regolamento comunitario si 
danno gli aiuti a imprese che abbiano stipulato contratti di costruzione navale 
soggetti a dumping coreano entro un certo periodo di tempo e stanziamo nella 
legge finanziaria tot milioni di euro. Arrivano una serie di domande riferite a 
quei contratti in quell�arco di tempo, che esauriscono lo stanziamento, per cui 
molti che avevano fatto richiesta in quel periodo di tempo autorizzato dal regolamento 
comunitario, restano senza soldi perch� mancava la copertura. Con 
la legge finanziaria di 3 anni dopo facciamo una integrazione dello stanziamento 
ma con riferimento a quel periodo l� per pagare quelli che non ne avevano 
usufruito. La Commissiona ha censurato questa misura dicendo che � 
aiuto di stato, perch� a termine scaduto avevamo stanziato i soldi e noi ci 
stiamo difendendo dicendo che ci stiamo riferendo a quel periodo autorizzato 
dal regolamento e che ci sono state pi� domande del previsto per cui si � dovuto 
interrompere lo stanziamento. L�importo non era considerato dal regolamento 
tanto che la comunit� nel suo complesso � stata citata dal WTO, dicendo 
che loro stanno facendo una serie di aiuti a pioggia alla cantieristica col pretesto 
che io vi faccio il dumping. Ma questo � l�aspetto interno. Noi diciamo 
che cՏ un affidamento, perch� il regolamento comunitario diceva �chi stipula 
contratti in quel periodo ha diritto�, l�impresa in buona fede si aspetta di averli 
quei soldi, non cՏ neanche un aiuto nuovo. Quando nella parte precontenziosa 
abbiamo invocato il principio di affidamento la Corte ha detto di no, che in 
materia di aiuti di stato assolutamente non cՏ affidamento. E di recente la 
Commissione proprio sul punto ha respinto. 
Prof. Avv. G. Rossi 
L�interesse dell�UE � che non si creino delle intese tra Stato e imprese 
private, quindi considerano lo Stato e le imprese nazionali come un unicum, e
38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
vogliono evitare che rapporti equivoci tra loro creino allo Stato nazionale un 
vantaggio competitivo. 
Avv. S. Fiorentino 
� stata sollevata una pregiudiziale in materia di aiuti di Stato: era una misura 
di aiuti di Stato autorizzata dalla Commissione con decisione di autorizzazione, 
poi annullata dal Tribunale con ricorso dei controinteressati, ma in 
questo caso essendoci l�autorizzazione della Commissione forse rientra in quei 
casi eccezionali in cui pu� esserci l�affidamento. 
Avv. G. De Bellis 
Esiste ora un contenzioso che si sviluppa davanti alle Commissioni tributarie 
riguardo il recupero degli aiuti alle ex municipalizzate e sta arrivando 
in Cassazione. Se cՏ una sentenza irrevocabile che nega il diritto alla restituzione, 
in base alla sentenza Lucchini disapplichiamo anche questa? Si pongono 
una serie di problemi: la sentenza Lucchini era un caso particolare in cui 
l�aiuto era stato ottenuto sulla base di un giudicato di una corte d�appello, nel 
cui giudizio per� non era mai stata eccepita la natura di aiuto di Stato delle 
provvidenze in contestazione. 
Ma se l�oggetto del contendere � proprio la valutazione della natura di 
aiuto di Stato o meno e quindi la sua recuperabilit�, e la giurisdizione � del 
giudice nazionale che deve fare questa verifica, il consentire la disapplicazione 
del giudicato formatosi proprio su quella causa, porrebbe dei seri problemi di 
tutela. In realt� la sentenza Lucchini specifica che la competenza comunitaria 
che esclude la competenza nazionale � quella che riguarda l�autorizzazione 
dell�aiuto e non il recupero. Quindi se passa in giudicato una sentenza nazionale 
che esclude il diritto alla ripetizione la decisione � vincolante per tutti e 
non dovrebbe esservi spazio per alcuna disapplicazione. 
Avv. P. Gentili 
Sempre a proposito delle ex municipalizzate abbiamo un contenzioso che 
poi era proprio per coincidenza la sentenza della Cass. a SS.UU. sul giudicato 
esterno. Si discuteva se le agevolazioni alle ex municipalizzate che l�agenzia 
delle entrate aveva sempre interpretato come limitate all�irpeg si estendessero 
anche all�iva. La Corte ha detto di no, ma alcune sentenza come quella a 
SS.UU. del 2006 (dove per la prima volta ha applicato il meccanismo del giudicato 
esterno tra diverse annualit� di imposta) si � formato un giudicato sulla 
debenza di quelle somme. Noi abbiamo dato un parere per cui (in applicazione 
della sentenza Lucchini quel rimborso non andava fatto) sta nascendo un contenzioso 
in cui le imprese dicono di avere la sentenza della Cassazione e loro
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 39 
dicono che quel giudicato non vale nulla. 
Intervento del Prof. Avv. Guido Corso* 
La filosofia politica ed economica del Trattato europeo, fondato sul principio 
di concorrenza ha due nemici: 
- le imprese che tendono ad abusare della loro posizione dominante, a 
concludere tra loro accordi tesi alla fusione e all�incorporazione, che hanno 
lo stesso effetto e via dicendo, 
- gli Stati, che limitano le libert� di circolazione delle merci, servizi, persone, 
libert� di stabilimento delle imprese e dei lavoratori autonomi. 
Gli aiuti di Stato sono collocati nella parte dedicata alla limitazione della 
concorrenza ad opera delle imprese, una collocazione singolare, ma G.Rossi 
ci ha dato la soluzione: si tende ad evitare la collusione degli Stati con le imprese, 
sicch� le norme sugli aiuti di Stato sono collocate l�. Si tratta di norme 
che hanno un�ascendenza nell�art. 1 GATT (1947), che proprio sul presupposto 
degli effetti distorsivi delle sovvenzioni pubbliche, obbliga gli alti contraenti 
a notificare alle altre parti tutti i provvedimenti di concessione o di mantenimento 
dei sussidi capaci di produrre effetti sulle esportazioni e importazioni. 
CՏ un articolo apposito, l�art. 4 lettera c) nel trattato istitutivo della CECA, 
che tra l�altro ha una formulazione molto rigorosa rispetto agli artt. 87 ss. del 
Trattato di Roma, perch� contiene un divieto assoluto agli aiuti di Stato, mentre 
l�art. 87 ne prevede un�incompatibilit� con i principi del Trattato subordinata 
al ricorrere di certe condizioni: si deve trattare di interventi dello Stato o fatti 
con risorse pubbliche (che significa che anche se a intervenire non � lo Stato 
ma un ente territoriale la soluzione non cambia), devono avere carattere selettivo, 
cio� essere misure di politica economica a carattere generale (per esempio 
un riduzione generalizzata di una aliquota fiscale o una riduzione generalizzata 
degli oneri sociali non sono aiuti di Stato) che non vengono definite proprio 
perch� possano ricomprendere una quantit� indeterminata di misure. La giurisprudenza 
comunitaria comprende una cronologia copiosissima: abbiamo le 
prestazioni positive, le sovvenzioni in senso stretto, i contributi sugli interessi, 
i conferimenti di capitale alle imprese (soprattutto pubbliche), ma anche attraverso 
misure di tipo negativo, come l�esonero di certe imprese o certe produzioni 
da oneri che dovrebbero gravare sulle imprese stesse. Le risorse 
pubbliche sono intese in senso lato, non solo riferite allo stato-persona in senso 
stretto (comprendente tutti gli enti pubblici che operano su un certo territorio), 
ma � anche una nozione che va intesa in un�accezione indiretta: l�attribuzione 
di una risorsa mediante l�esonero o l�esenzione da una obbligazione nei con- 
(*) Prof. ordinario di diritto amministrativo - Facolt� di giurisprudenza - Universit� Roma 3.
40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
fronti di determinati soggetti. 
L�ulteriore condizione � che si tratti di aiuti che distorcono la concorrenza: 
la valutazione dell�effetto distorsivo della concorrenza � ulteriore e presuppone 
la preventiva qualificazione della misura come aiuto di Stato, non � una conseguenza 
implicita nella nozione di aiuto di Stato ma � una qualificazione ulteriore 
dell�efficacia dell�aiuto. 
L�altra condizione � della incidenza sugli scambi fra gli Stati membri: la 
giurisprudenza comunitaria usa un significato molto ampio di questo concetto, 
arrivando ad affermare che una misura a favore di una impresa o un gruppo di 
imprese che non sono esportatrici, e quindi per definizione svolgono attivit� 
che non dovrebbe incidere sul mercato, svolgono una attivit� che incide sugli 
scambi nel momento in cui aumentano la produzione nazionale, in questo 
modo riducendo le possibilit� di ingresso in quello Stato delle imprese di altri 
Stati membri; oppure sono aiuti di Stato che incidono sugli scambi fra le imprese 
anche le misure volte a favorire l�investimento delle imprese nazionali 
in paesi terzi, perch� anche sotto questo profilo ci pu� essere una incidenza 
negativa sugli scambi. 
Questa � la regola. 
Le eccezioni sono di 2 tipi: 
1) gli aiuti che per definizione, e quindi ex s�, non sono incompatibili 
(paragrafo 2 art. 87 sono compatibili dice): si tratta di misure di carattere sociale 
spesso al di fuori della nozione di aiuto (aiuto rivolto ai consumatori). 
Gli interventi a favore delle imprese operanti in Abruzzo sarebbero esonerati 
dalla valutazione di compatibilit�, che esclude l�onere di previa notifica alla 
Commissione (che esiste per gli aiuti che possono essere dichiarati compatibili). 
Tale norma ha una caratterizzazione storica, anche se si ritiene che non 
sia stata abrogata, tanto che in una pronuncia degli anni �90 la Commissione 
ha precisato che questi aiuti concessi a determinate regioni della repubblica 
federale sono solo quelli volti a ovviare a deficit che risultano dalla divisione 
della Germania, quindi non si giustificano gli aiuti ai nuovi Lander coma aveva 
cercato di fare la Germania. 
2) Il paragrafo 3 riguarda gli aiuti che possono essere dichiarati compatibili 
e cio� quelli per i quali la valutazione della compatibilit� � rimessa ad 
una valutazione discrezionale ed � quello su cui si � attivato un grande contenzioso. 
Quali sono le previsioni: 
a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico nelle regioni ove il 
tenore di vita sia normalmente basso oppure si abbia una grave forma di sottooccupazione: 
l�art. 87 par. 3 lettera a) � stato ad esempio usato per giustificare 
tutta la normativa sul Mezzogiorno. 
Con una serie di precisazioni importanti nel senso che questa valutazione 
sul �tenore di vita normalmente basso� va riferita al contesto europeo, non
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 41 
nazionale. Sotto questo profilo ci fu un intervento della Commissione volto 
ad escludere dai benefici derivanti dalla normativa sul Mezzogiorno, quando 
ancora esisteva, l�Abruzzo, perch� si riteneva che esso aveva raggiunto un tenore 
di vita che ne comportava la fuoriuscita da questa previsione. 
b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto 
di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento 
dell'economia di uno Stato membro: si tratta per �grave turbamento 
dell�economia degli Stati membri� di una clausola praticamente mai applicata 
perch� in passato interpretata in maniera molto restrittiva. Invece ora su essa 
si fonda la nuova politica della Commissione in merito agli aiuti di Stato. Ci 
troviamo in una grande crisi che investe l�economia di tutti gli Stati membri, 
quindi la Commissione, con una serie di comunicazioni, ha ridefinito il quadro 
sugli aiuti di Stato alla luce di questa nuova base giuridica. Perch� nuova? 
Perch� gli aiuti di salvataggio, di ristrutturazione, che hanno costituito il grosso 
degli interventi degli Stati, in particolare dello Stato italiano, ricadevano sotto 
la clausola art. 87 par. 3 lettera c): gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo 
di talune attivit� o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le 
condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse, sono gli aiuti 
settoriali e regionali che oggi si rivelano insufficienti di fronte alla crisi mondiale. 
Qual � la svolta che a partire dalla comunicazione della Commissione 
dell�ottobre 2008 fino a quella dell�aprile 2009 si esprime in una duplice direzione: 
valorizzare tutte le normative che in anni precedenti erano state volte 
ad assicurare un certo grado di automatismo alla definizione di aiuti. Faccio 
un esempio: quando con regolamento de minimis si stabilisce che gli aiuti fatti 
alle piccole o medie imprese entro l�importo di 200.000 euro annui o nel triennio, 
sono ammissibili ex s�, si esclude che la misura eventualmente adottata 
dallo Stato debba essere sottoposta al vaglio della Commissione, sicch� cambia 
lo status della misura, che non � pi� una misura ai sensi dell�art. 87 par. 3, ma 
finisce con l�essere ricondotta agli aiuti automaticamente compatibili ex art. 
87 par. 2. 
Soprattutto nella comunicazione della Commissione dell�aprile 2009 queste 
determinazioni, comunicazioni, decisioni, dead lines, adottate immediatamente 
prima della crisi economica sono recuperate per dire che gli Stati, oltre 
a tali misure, possono usare tutto l�arsenale gi� a loro disposizione. 
L�arsenale parte dalle misure a favore delle banche e delle istituzioni finanziarie, 
che costituiscono il sistema che alimenta l�economia (liquidazioni 
guidate, forme di ricapitalizzazione, garanzie) per arrivare all�economia reale 
che forma oggetto dell�ultima comunicazione del 2009, in cui le stesse misure 
vengono estese dall�ambito delle istituzioni finanziarie all�ambito delle imprese 
operanti nel settore dell�economia reale. Sicch� oggi pi� generosamente 
che in passato sono possibili forme di garanzie pubbliche a favore delle imprese, 
il recupero del vecchio istituto del contributo in conto interesse e forme
42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
di agevolazione pubblica, il che attesta la preoccupazione da parte degli organi 
comunitari che ognuno degli Stati vada per conto suo pregiudicando i principi 
comunitari, e quindi la Commissione vuole assicurare il coordinamento tra le 
politiche, sicch� gli aiuti cambiano il loro status se la loro disciplina va dal livello 
statale a livello europeo, fermo restando che le singole misure vengono 
adottate dai singoli Stati. Si tratta di impedire che il singolo Stato si spari sui 
piedi o spari sulle spalle degli altri Stati. 
Intervento del Prof. Avv. Giampaolo Rossi* 
Io ho sempre sostenuto che il problema degli aiuti di Stato non deriva da 
una impostazione liberista dell�Unione Europea. Gli aiuti, l�espansione della 
sfera pubblica, si � avuta in modo massiccio dopo il Trattato di Roma. Spesso 
la dottrina ha confuso negli ultimi tempi l�obiettivo di realizzare il mercato 
comune, elidendo la parola comune. � chiaro che gli aiuti di Stato sono visti 
con sospetto perch� se uno Stato fosse libero di sostenere le proprie imprese 
nei modi e nelle quantit� che vuole non ci sarebbero i presupposti per il mercato 
unico, sarebbe falsata la concorrenza. Ma vale anche il contrario e su questo 
cՏ stata finora poca attenzione: i presupposti verrebbero a mancare anche 
se l�ordinamento complessivo di uno Stato quale risulta dalla norme, dai testi 
finanziari, dalla giurisprudenza, sfavorisse le imprese nazionali rispetto a 
quelle degli altri paesi. Quindi per capire bisogna ampliare la tematica degli 
aiuti per inquadrarla nell�insieme delle condizioni che gli ordinamenti determinano 
per la vita delle imprese che sono in concorrenza con quelle degli altri 
paesi. 
Mi limito a fare una comparazione: il sistema nazionale pu� determinare 
condizioni di favore o sfavore per le proprie imprese attraverso una serie di 
misure. Soprattutto nell�utility quando si ha il massimo favore? Quando l�impresa 
� in condizioni di monopolio o ha una riserva amplissima, non ha alcuna 
limitazione alla propria attivit� e quindi agisce completamente nel diritto privato, 
non ha vincoli nel reclutamento del personale, la retribuzione dei dirigenti. 
Al contrario vi sono le condizioni di sfavore: quella dei tetti allo sviluppo 
nel territorio nazionale, quella dell�impossibilit� di gestire produzione e rete 
contemporaneamente e quindi ci pu� essere separazione contabile o societaria 
o addirittura proprietaria, ci sono vincoli nel reclutamento del personale ed 
esiste responsabilit� amministrativa. 
Quanto alle gare, la gradazione favore-sfavore si articola secondo 3 parametri: 
(*) Prof. ordinario di diritto amministrativo - Facolt� di giurisprudenza - Universit� di Roma 3.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 43 
1) che l�impresa possa o no ricevere senza gara l�affidamento, 
2) che l�impresa debba o no ricorrere alle gare per i propri approvvigionamenti, 
3) che possa o no partecipare a gare per l�affidamento di attivit� in altri 
settori o altri territori. 
A seconda di come si determina questa griglia si determinano le condizioni 
di favore o sfavore. 
Le condizioni si accentuano quando in un paese ci sono condizioni marcate 
di favore mentre nel secondo ci sono condizioni di sfavore e le imprese 
del primo possono non solo godere di questo favore nel loro territorio, ma partecipare 
alle gare nell�altro paese nel quale � invece preclusa questa possibilit� 
alle imprese nazionali. 
Qui in Italia si ha una visione ancora provinciale e si sottovaluta che la 
competizione � soprattutto fra sistemi: sistemi nazionali, sistemi normativi. 
� evidente confrontando il sistema italiano con quello francese: in Francia 
hanno mantenuto la formula dell�ente pubblico economico, che non da problemi 
di affidamento diretto, vive nel diritto privato, non ha vincoli di reclutamento 
del personale, non ha vincoli di responsabilit� amministrativa, non 
deve fare le gare, perch� � uno stabilimento industriale e commerciale. 
In Italia si � data la preferenza alla S.p.A., formula equivoca anche perch� 
non � stata pensata organicamente, perch� � stata vista in un primo momento 
come momento di passaggio alla privatizzazione, poi in alcuni settori la privatizzazione 
� arrivata in altri no e vista con sfavore dalla giurisprudenza comunitaria 
per alcuni aspetti di equivocit� (golden share) ma soprattutto dalla 
giurisprudenza nazionale, che le ha applicato tutta una serie di profili pubblicistici 
che non ci sono in imprese analoghe che operano in altri paesi, e quindi 
la giurisprudenza ha interpretato sempre estensivamente la natura di organismo 
di diritto pubblico e le conseguenze che ne derivano salvo adottare un atteggiamento 
restrittivo ai fini dell�affidamento diretto; � stato introdotto anche il 
principio della responsabilit� amministrativa. 
Questi orientamenti sono stati consolidati dalla normativa che ha creato 
un sistema per cui questi che erano enti di privilegio oggi sono nell�ordinamento 
enti di sfavore. 
Questo � accentuato dagli orientamenti dell�autorit� antitrust, che non ha 
sufficiente consapevolezza delle dimensioni del mercato, per cui adotta degli 
orientamenti sicuramente condivisibili per profili dove il profilo concorrenziale 
� nazionale, ma che sono errati dal punto di vista giuridico e logico 
quando sono applicati alle imprese nazionali in un contesto di mercato che 
non � nazionale e creando una condizione di sfavore unilaterale. 
� del primo giugno 2009 la definizione di servizio universale nel trasporto 
ferroviario e affidamento dei conseguenti oneri di servizio, l�Antitrust dice:
44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
prendo atto che la legge non prevede la necessit� della gara, prendo atto che 
ci� corrisponde al regolamento comunitario per� per una serie di motivi � necessario 
fare le gare. Quello che colpisce � che il profilo della comparazione 
non � affatto preso in considerazione, non vi si accenna neanche. CՏ solo un 
punto in cui si dice che in Francia e Germania i finanziamenti al settore ferroviario 
sono molto maggiori di quelli italiani. 
� chiaro che un�autorit� competente solo in materia di mercato nazionale 
dovrebbe o ritrarsi quando il mercato ha una dimensione diversa o comunque 
tenere conto delle implicazioni che la concorrenza ha anche nel nostro paese. 
L�ultima riforma dei servizi pubblici italiani limita la possibilit� dell�affidamento 
in house in misura maggiore di quanto avvenga negli altri paesi. 
Nell�art. 23 bis punto f) � affermato il principio di reciprocit� ai fini dell�ammissione 
alle gare di imprese estere, e quindi si accetta l�idea che l�impresa 
nazionale possa avere delle condizioni pi� sfavorevoli rispetto alle 
imprese straniere. Nel settore energetico questo � molto evidente. 
In materia alimentare � intervenuta la Corte Costituzionale (sentenza 
443/1993): la normativa nazionale impediva alle imprese nazionali di usare 
per la pasta, materie prime meno nobili del grano duro, ma le imprese straniere 
non avevano questo limite e potevano tranquillamente competere con quelle 
nazionali nel territorio nazionale. La Corte ha dichiarato incostituzionale questa 
norma. 
Nel sistema francese (ma anche tedesco e spagnolo) le imprese che gestiscono 
il sistema postale sono enti pubblici economici e non fanno le gare. 
L�ultima direttiva comunitaria ha inserito il settore postale nei settori ex esclusi 
ma contiene una norma che prevede che gli stati nazionali possano scegliere 
tra il nuovo assetto disciplinato in direttiva e quello precedente, cosi la Francia 
potr� continuare a non fare gare e nel progetto di direttiva il meccanismo era 
tale per cui la societ� francese e tedesca potevano avere affidamento diretto, 
la societ� italiana no e fare anche la concorrenza da noi anche se in Italia non 
era possibile l�affidamento diretto, perch� era affermato il principio per cui 
l�affidamento diretto era possibile solo quando non vi fossero problemi di 
compensazione di oneri di servizio, ma questo problema non nasce dalla migliore 
efficienza, ma perch� vi sono tantissimi uffici postali e si ritiene che 
ogni paese debba avere la sua disciplina. 
Ora succede che l�operatore olandese fa la concorrenza negli alti paesi 
pagando il personale il 30 % in meno di quello che vengono pagati negli Stati 
in cui sono collocati. 
Oggi abbiamo un sistema che sfavorisce inconsapevolmente gli operatori 
nazionali rispetto a quelli dei paesi concorrenti, rafforzato dai fenomeni di nazionalizzazione 
che sono in atto in altri paesi. 
Fonde Strategique di Investiment, � una specie di nuova IRI che ha assorbito 
Renault e air France.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 45 
Qual � la risposta? Non pu� essere il protezionismo, l�aumento del pubblico, 
perch� il mercato si � sviluppato per motivi di evoluzione tecnologica. 
Ma abbiamo un sistema per cui gli Stati sub continentali (Cina e America) 
sono favoriti rispetto all�UE, perch� hanno pi� capacit� di manovra, perch� 
l�Unione � troppo attenta ad evitare squilibri tra paesi membri. All�interno 
dell�Ue sicuramente l�Italia � sfavorita rispetto agli Stati europei. Evitare le 
spinte ultraliberiste ma anche forme di protezionismo e acquisire questa consapevolezza 
culturale e evitare inconsapevole cedevolezza a partire dagli ordinamenti 
normativi e giurisdizionali e cercare ulteriori informazioni che 
consentono di rendere trasparente l�equilibrio esistente fra i vari paesi nell�aiuto 
e disaiuto di Stato.* 
** *** ** 
Ad integrazione del resoconto dell�incontro di studio sugli aiuti di Stato, 
si allega la relazione a cura dei dottori G.M. Caruso e F. Dinelli concernente 
altre modalit� di intervento pubblico, con soluzioni differenti per i singoli 
Stati, nei diversi settori dell�economia. 
�Casi di trattamento differenziato tra Stati 
nella disciplina dell�economia� 
a cura di G.M. Caruso e F. Dinelli 
Gli aiuti di cui all�art. 87 TCE costituiscono solo una delle modalit� di 
intervento pubblico nell�economia. 
Attraverso le altre discipline settoriali, i singoli Stati riescono e sono riusciti, 
infatti, ad intervenire con ulteriori misure che sono comunque in grado 
di assicurare dei vantaggi competitivi alle imprese nazionali. 
Fra i settori che si sono storicamente caratterizzati dalla presenza delle 
pi� significative asimmetrie normative, possono citarsi le seguenti esperienze: 
1) liberalizzazioni; 
2) determinazione di standard; 
3) evidenza pubblica. 
(*) Sull�in house providing e sulle societ� miste per la gestione dei pubblici servizi vedi da 
ultimo sentenza Corte di Giustizia C-573/07 Sea S.r.l. depositata il 10 settembre 2009, pubblicata 
in questa Rassegna, 101 e ss.
46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
1. Liberalizzazioni 
- Servizi pubblici locali 
Con la riforma dei servizi pubblici locali realizzata attraverso l�art. 23- 
bis del D.L. n. 112 del 2008, il legislatore italiano va oltre quanto affermato 
dalla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia CE in ordine alla piena 
equivalenza ed alternativit� tra i modelli gestori rappresentati dall�esternalizzazione 
a terzi con gara e dall�in house providing. Mentre la Corte di Giustizia, 
infatti, non si � mai espressa nel senso che il ricorso all�in house � legittimo 
soltanto se non � possibile ricorrere al mercato, il legislatore interno ha stabilito 
esattamente il contrario, e cio� che si pu� derogare alla regola generale dell�affidamento 
con gara del servizio solo �per situazioni che, a causa di peculiari 
caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del 
contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso 
al mercato�. 
Questa disposizione espone l�ordinamento interno alla penetrazione delle 
imprese straniere molto di pi� di quanto non avverrebbe nell�ipotesi in cui il 
mercato e l�in house venissero posti sullo stesso piano (1). � ovvio, infatti, 
che ad un maggior numero di gare corrispondono maggiori chances di aggiudicazione 
delle stesse da parte di imprese di altri Stati membri, mentre ricorrere 
con maggiore disinvoltura all�in house significa adottare una politica pi� protezionistica. 
La soluzione del legislatore italiano � persino pi� radicale di quella adottata 
da ordinamenti tradizionalmente pi� inclini alla valorizzazione delle istanze liberalizzatrici: 
basti pensare che in Inghilterra la scelta delle amministrazioni 
tra ricorso all�in house ed esternalizzazione � retta essenzialmente da motivazioni 
di ordine economico, afferenti la maggior convenienza nel caso concreto 
dell�una soluzione rispetto all�altra. In altri termini, il servizio interno viene 
posto a confronto con quello esterno, e si privilegia quello pi� conveniente. 
Inoltre, va considerato che in Francia, l�esistenza di aziende municipalizzate 
sotto forma di enti pubblici, ha agevolato il ricorso all�in house providing, 
assai pi� di quanto non sia avvenuto nel nostro ordinamento con 
l�utilizzo di societ� di capitali. 
- Settore energetico (2) 
L�adozione di direttive �a maglie larghe� ha consentito per lungo tempo 
(1) V. pi� ampiamente, sul punto, F. DINELLI, La riforma dei servizi pubblici locali, in www.amministrativamente.
com, p. 15 s. 
(2) Per un approfondimento, v. G. ROSSI, �Il settore dell�energia nel contesto europeo � Problemi 
giuridici ed istituzionali� in La cooperazione rafforzata e l�Unione economica. La politica europea dell�energia, 
a cura di D. Velo, pp. 138-243, Giuffr�, 2007.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 47 
una trasposizione della normativa comunitaria volta alla liberalizzazione del 
settore fortemente differenziata. 
Le divergenze pi� significative si sono registrate nei seguenti contesti: 
- Apertura del mercato dal lato della domanda: l�apertura del mercato 
elettrico � stata realizzata facendo leva sulla nozione di �clienti idonei�. Tale 
categoria di soggetti, determinata prevalentemente sulla base di coefficienti 
di consumo stabiliti a livello comunitario, dispone della possibilit� di scegliere 
un qualsiasi operatore per la fornitura del servizio. La disciplina comunitaria 
prevedeva la possibilit� di estendere la qualifica di clienti idonei abbassando 
i coefficienti di consumo, in modo che il grado di liberalizzazione del settore 
potesse essere commisurato al numero dei clienti idonei. 
Quasi tutti i paesi hanno elevato il grado di apertura del mercato. Cos� la 
Germania ha previsto sin dal 1998 che, indipendentemente dalla soglia di consumo, 
qualsiasi soggetto pu� essere definito come cliente idoneo (3). La Spagna 
ha adottato un sistema progressivo che ha comportato che gi� al 2003 tutti 
gli utenti potessero essere considerati come clienti idonei (4). Anche l�Italia 
ha adottato un sistema progressivo. 
Differente la soluzione adottata da Francia, Grecia e Lussemburgo, i quali 
hanno aperto il mercato solo entro i limiti minimi previsti dalla normativa comunitaria. 
La disomogenea apertura dei mercati nazionali si � tradotta in uno 
svantaggio competitivo ai danni degli operatori di quegli Stati ove � stata realizzata 
una significativa liberalizzazione. 
Inoltre, in Francia le norme inerenti alla durata minima legale dei contratti 
di fornitura dei clienti idonei, sembrano celare l�intento di tutelare l�operatore 
dominante. 
- Imposizione dei c.d. tetti antitrust. Alcuni Paesi hanno adottato misure 
volte a ridurre il potere di mercato degli ex monopolisti, imponendo complesse 
operazioni di disarticolazione dell�intera filiera produttiva. Fra gli 
interventi pi� significativi, va menzionato l�art. 8 della legge 79/1999, che ha 
previsto che nessun soggetto possa produrre o importare pi� del 50% del totale 
di energia elettrica prodotta e importata in Italia. Ancora pi� rigorosa la normativa 
britannica, ove il legislatore ha imposto il divieto di produrre pi� del 
15% dell�energia complessivamente distribuita. 
- Separazione fra gestore della rete e imprese produttrici. La Francia 
ha optato per un regime di recepimento minimale, in quanto la RTE - Reseau 
de transport de lՎl�ctricit�, che sebbene indipendente sotto il profilo gestio- 
(3) L�attuazione della prima direttiva elettricit� � avvenuta con la Legge di riforma del sell�industria 
energetica (Gesez zur Neuregelung des Energieirtschaftrechts) entrata in vigore il 29 aprile 
1998. 
(4) In Spagna, la trasposizione della normativa comunitaria in materia di apertura del mercato 
elettrico si � realizzata con l�emanazione della Ley del Sector Electrico, 27 novembre 1997, n. 54. 
48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
nale si configura come una semplice divisione di EdF (5). In Italia si � scelto 
un sistema di separazione proprietaria che � stato interpretato dalla giurisprudenza 
in termini rigorosi, fino ad impedire la concentrazione in capo al medesimo 
soggetto di partecipazioni nel gestore della rete e in imprese che operano 
nel settore (6). In Gran Bretagna la rete � gestita da National Grid company, 
societ� privata indipendente dagli altri operatori di mercato. 
- Golden share e concentrazioni societarie. Emblematico � il diverso 
esito delle vicende italiana e francese relative al tentativo di mantenimento 
del controllo pubblico sulle imprese operanti nel settore. 
Il caso italiano si � manifestato relativamente a AEM � EDISON e EdF, 
quando quest�ultima ha tentato di acquisire una rilevante partecipazione in EDISON 
attraverso un articolato intreccio di operazioni societarie e un�offerta pubblica 
di acquisto. Al fine di mantenere un significativo controllo sulle imprese 
interessate dal travagliato processo di privatizzazione in atto, l�Italia ha adottato 
misure legislative volte ad una rilevante diminuzione dei diritti di voto esprimibili 
in seno all�assemblea dei soci nei confronti di particolari soggetti. Segnatamente, 
con il D.L. 25 maggio 2001, n. 192 il Governo � intervenuto 
limitando al 2%, indipendentemente dall�effettiva entit� della partecipazione, 
i diritti di voto relativi alle partecipazioni di imprese operanti nel settore dell�elettricit� 
e del gas se pubbliche, non quotate e titolari di una posizione dominante. 
Seppur EdF non fosse menzionata, � indubbio che la normativa 
anzidetta aveva come riferimento situazioni analoghe a quella dove si trovava 
coinvolta la societ� francese, che vedeva cos� drasticamente sterilizzata la propria 
partecipazione in EDISON. Sennonch� la misura richiamata non � sopravvissuta 
alla sentenza 2 giugno 2005, C-174/04, con cui la Corte di Giustizia ha 
condannato l�Italia per violazione dell�art. 56 del TCE (libera circolazione dei 
capitali) (7). I successivi tentativi del legislatore italiano volti a mantenere il 
controllo sulle imprese pubbliche hanno avuto un epilogo analogo (8). 
(5) Sul punto v. la Loi 2000-108 relative � la modernisation e tau d�veloppement du service public de 
lՎlectricit�, che, tra l�altro, � stata adottata con circa un anno di ritardo rispetto alle previsioni comunitarie. 
(6) Sul punto v. Consiglio di Stato, 12 febbraio 2007, n. 550, ove si � confermata la legittimit� del 
provvedimento dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato che, nell�autorizzare l�acquisizione da 
parte di Cassa Depositi e prestiti del 29,99 % del capitale sociale di Terna S.p.A., allora detenuto da Enel 
S.p.A., ha, al contempo, imposto l�obbligo di dismissione da parte di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. della 
partecipazione del 10,2 % al capitale di Enel. 
(7) V. L. R. PERFETTI, Dal rilievo della soggettivit� pubblica (o l�enfasi delle privatizzazioni) alla tutela 
della concorrenza (o della rilevanza dei privilegi del monopolista e dei diritti dell�utente). Brevi riflessioni a 
partire dal caso Edison, EdF, AEM, in Serv. pubbl. app., III, 2006, p. 131 ss. Suppl. a cura di G. ROSSI, L�impresa 
europea di interesse generale. 
(8) Sul punto, da ultimo, v. la sentenza della Corte di giustizia 26 marzo 2009, causa C-326/07, che 
sempre relativamente ad una vicenda sorta con riferimento a AEM � EDISON, ha comportato la dichiarazione 
di illegittimit� comunitaria dell�art. 2449 c.c. relativo al potere di nomina di cui dispone lo Stato, indipendentemente 
dall�entit� della partecipazione azionaria, con riferimento agli amministratori delle societ� per azioni. 
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 49 
Rappresentativo al riguardo � il raffronto con l�esperienza francese laddove, 
non appena conosciuta l�intenzione dell�ENEL di realizzare un�OPA destinata 
a controllare SUEZ e ad acquisire attraverso questa la societ� 
ELECTRABEL, si � optato per la fusione di SUEZ on GAZ DE FRANCE attraverso 
uno scambio di azioni alla pari. L�operazione, che fu giustificata dal 
fine di conformare l�operatore francese alla politica dei c.d. �campioni nazionali
�, nascondeva un palese intento di contenimento della scalata dell�operatore 
italiano (9). 
- Monopolio sulla produzione nucleare. Le norme francesi affidano a 
EdF il monopolio legale della produzione nucleare. 
2. Condizioni di sfavore derivanti dall�imposizione di standard differenziati 
- In materia ambientale 
Il caso emblematico � quello afferente ai limiti di tollerabilit� nel campo 
delle emissioni di onde elettromagnetiche. 
I limiti stabiliti sulla base del principio di precauzione da parte dell�OMS 
sono stati, nella maggior parte dei Paesi, oggetto di un mero recepimento. In 
Inghilterra, negli Stati Uniti e in Olanda, i limiti sono stati significativamente 
innalzati, mentre altri Stati ancora si sono premurati di introdurre una disciplina 
pi� rigorosa. Fra questi, l�Italia ha addirittura ridotto di oltre dieci volte 
i limiti di emissione di onde elettromagnetiche stabiliti dall�OMS (10). 
- In materia alimentare 
Anche nel settore alimentare, la differenza tra le normative tecniche nazionali 
pu� comportare significative sperequazioni tra le imprese concorrenti. 
Un caso divenuto celebre a seguito di una importante sentenza della Corte costituzionale 
� quello della pasta. Il legislatore italiano prevedeva l�impiego necessario 
ed esclusivo di alcuni ingredienti, mentre negli altri Paesi era 
consentito utilizzarne molti altri. Non essendo consentito, sulla base del diritto 
comunitario, un divieto di importazione e di commercializzazione all�interno 
dello Stato italiano della pasta prodotta in altri Paesi dell�U.E., si era venuta a 
creare la situazione per cui i produttori interni erano sfavoriti rispetto ai loro 
concorrenti stranieri. Si trattava di un tipico esempio di �discriminazione alla 
rovescia�, che la Corte costituzionale ha censurato per contrasto con l�art. 3 
Cost. attraverso la sentenza n. 443 del 1997. 
(9) Sul punto, v. P. DEVOLV��, L�enterprise �urop�enne d�int�ret general, p. 32, in G. ROSSI (a 
cura di), L�impresa europea di interesse generale, cit. 
(10) La questione � ampiamente affrontata da F. DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nell�amministrazione 
di rischio, Milano, 2005.
50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
3. Evidenza pubblica 
In Francia, l�art. 25, della legge 2 luglio 1990, n. 568, come modificato 
dalla l. 31 dicembre 2003, n. 1365, a proposito dell�attivit� contrattuale di La 
Poste afferma che: �les relations de La Poste avec ses usagers, ses fournisseurs 
et les tiers sont r�gies par le droit commun. Les litiges auxquels elles 
donnent lieu sont port�s devant les juridictions judiciaires, � l'exception de 
ceux qui rel�vent, par leur nature, de la juridiction administrative�. L�art. 25 
� peraltro indicato dal successivo art. 27 (modificato a sua volta dalla legge 
20 maggio 2005, n. 516) come il parametro cui il Consiglio d�Amministrazione 
dovr� ispirarsi nel definire le procedure di conclusione e di controllo dei 
contratti da stipulare. Non sembra affatto agevole comprendere quale peso 
conferire a siffatte disposizioni nel contesto regolamentato in cui La Poste � 
chiamata ad operare alla luce delle direttive comunitarie sugli appalti. Tuttavia, 
la disposizione in questione � significativa della volont� del legislatore francese 
di non gravare l�operatore postale nazionale del vincolo pubblicistico rappresentato 
dalla necessit� di rispettare la normativa in materia di evidenza 
pubblica nell�ambito dello svolgimento della propria attivit� contrattuale. 
Si deve considerare, inoltre, il ritardo con cui si � data attuazione nel 
Paese transalpino alle direttive sugli appalti pubblici: la prima compiuta revisione 
dei testi normativi nazionali si � infatti avuta solo nel dicembre 2001, 
ossia a quasi dieci anni di distanza dall�intervento della Direttiva 92/50/CE 
relativa agli appalti di servizi. Anche tale circostanza appare decisamente significativa 
del maggior grado di resistenza che l�ordinamento francese tenta 
di opporre alla penetrazione di principi concorrenziali suscettibili di scalfire 
consolidati equilibri interni (11). 
(11) Per un approfondimento v. F. GUALTIERI, Limiti all�intervento pubblico in economia: squilibri 
e disallineamenti tra gli ordinamenti italiano e francese, in Servizi pubblici e appalti, 4, 2006, pp. 611- 
655.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 51 
La responsabilit� dello Stato per gli atti 
amministrativi �anticomunitari� 
in materia di I.v.a. 
Un�ipotesi di violazione del principio di 
�equivalenza procedurale� 
(Corte di Giustizia CE, conclusioni dell�Avvocato generale 
presentate il 9 luglio 2009 nella causa C-118/08) 
di Chiara Di Seri* 
1. La questione pregiudiziale 
Con una decisione del 1� febbraio del 2008, il Tribunal Supremo del Regno 
di Spagna (Sala de lo contencioso administrativo) ha rimesso alla Corte di Giustizia 
delle Comunit� Europee la questione pregiudiziale, oggetto della causa 
in epigrafe, sul problema del rapporto tra il principio dell�autonomia procedurale 
degli Stati membri nella disciplina sull�azione di responsabilit� per violazione 
del diritto comunitario ed i principi di equivalenza ed effettivit�. 
La Corte di Giustizia � stata chiamata a chiarire se la previsione legislativa 
di un differente regime per l�azione di risarcimento a carico dello Stato, in funzione 
del fatto che tale azione si fondi su atti amministrativi adottati in applicazione 
di una legge incostituzionale ovvero di una disposizione interna 
contraria al diritto comunitario, sia conforme ai principi comunitari di equivalenza 
e di effettivit�. 
Tale quesito � sorto nell�ambito di una controversia tra l�amministrazione 
spagnola ed una societ� di trasporti (Transportes Urbanos y Servicios Generales 
SAL), promotrice di un ricorso in sede giurisdizionale avverso una decisione 
del Consiglio dei Ministri che aveva respinto la domanda diretta a far valere la 
responsabilit� patrimoniale del legislatore spagnolo per aver adottato una legge 
in materia di I.v.a. che, limitando il diritto alla detrazione, era stata dichiarata 
incompatibile con il diritto comunitario (1) . 
Il Consiglio dei Ministri aveva motivato il rigetto della richiesta di risarcimento 
(pari all�importo dell�I.v.a., oltre agli interessi legali), affermando come 
la mancata contestazione, da parte della societ�, delle proprie autoliquidazioni 
(*) Dottore di ricerca in Diritto amministrativo - Universit� degli Studi di Roma Tre. 
(1) Corte di Giustizia delle Comunit� Europee, 6 ottobre 2005, in causa C-204/03 
Commissione/Spagna e la precedente Id., 8 novembre 2001, in causa C-338/98 Commissione/Paesi 
Bassi.
52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
nel termine quadriennale di prescrizione avesse interrotto il nesso di causalit� 
tra la contestata violazione del diritto comunitario e il danno subito. 
A sostegno della decisione erano state richiamate due sentenze del Tribunal 
Supremo (29 gennaio 2004 e 24 maggio 2005), secondo cui l�azione di 
risarcimento a carico dello Stato per violazione del diritto comunitario soggiace 
alla regola del previo esaurimento degli altri mezzi di ricorso, amministrativi 
e giurisdizionali, avverso l�atto amministrativo lesivo adottato in 
applicazione di una legge nazionale in contrasto con il diritto comunitario. 
Proprio sulla richiamata condizione di ammissibilit� della domanda risarcitoria 
- il previo esaurimento dei mezzi di ricorso - si incentra il dubbio 
del giudice a quo, poich� analoga modalit� procedurale non � contemplata 
nell�ordinamento spagnolo per l�azione di risarcimento promossa nei confronti 
dello Stato per i danni derivanti da atti amministrativi adottati in applicazione 
di una legge incostituzionale. 
L�esercizio di tale azione, infatti, nella giurisprudenza del Tribunal Supremo 
non risulta subordinato alla circostanza che il soggetto leso abbia previamente 
impugnato l�atto amministrativo pregiudizievole fondato sulla legge 
incostituzionale, muovendo dall�argomentazione secondo cui la legge comunque 
gode di �una presunzione di costituzionalit� e, di conseguenza, vige una 
presunzione di legittimit� degli atti amministrativi adottati in conformit� delle 
sue disposizioni. D�altra parte, i singoli non sono titolari dell�azione diretta a 
far valere l�incostituzionalit� delle leggi, ma possono unicamente chiedere al 
giudice che sollevi un�eccezione di incostituzionalit� nell�ambito, tra le altre 
ipotesi, dell�impugnazione di un atto amministrativo. (�) Un�interpretazione 
contraria avrebbe l�effetto di imporre ai singoli che possano essere pregiudicati 
da una legge che reputano incostituzionale, l�onere di impugnare tutti gli atti 
emanati in applicazione di detta legge - prima in sede amministrativa (in cui 
non � prevista la possibilit� di sollevare un�eccezione di incostituzionalit�), e 
poi dinanzi alla giurisdizione per il contenzioso amministrativo, esaurendo, 
ove necessario, tutte le istanze e i gradi di ricorso - al fine di esperire tutte le 
possibilit� che il giudice sollevi la questione di incostituzionalit��. 
Una tale ricostruzione non �, invece, accolta nelle citate pronunce del Tribunal 
Supremo nel caso in cui una legge sia in contrasto con il diritto comunitario 
�giacch� tale contraddizione pu� essere invocata direttamente dinanzi ai 
giudici spagnoli. Pertanto, la ricorrente ha avuto la possibilit� di impugnare 
l�atto di liquidazione prima per via amministrativa e poi in un procedimento 
contenzioso, e tanto l�autorit� amministrativa quanto il giudice successivamente 
avrebbero dovuto applicare direttamente il diritto comunitario. La ricorrente 
(�) era pienamente legittimata a far valere la contraddizione tra il diritto nazionale 
ed il diritto comunitario, che doveva essere direttamente applicato dal 
giudice nazionale, anche qualora non fosse stato invocato espressamente; di 
conseguenza, la dottrina dell�atto definitivo e inoppugnabile, unitamente al
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 53 
principio della certezza del diritto, giustificano una soluzione del presente caso 
in senso contrario (...) e portano quindi a disapplicare, nella fattispecie, la dottrina 
enunciata (�) e a respingere la domanda di risarcimento della ricorrente, 
giacch� quest�ultima, non avendo impugnato l�atto redatto dall�amministrazione 
tributaria, � tenuta a sopportare il pregiudizio arrecatole�, salva la possibilit� 
di esercitare, qualora non sia ancora prescritta, l�azione di ripetizione o 
di effettuare la detrazione di cui ha diritto, nel caso in cui non siano scaduti i 
termini a tal fine previsti dalla normativa in materia di I.v.a. 
In conclusione, secondo la giurisprudenza richiamata, ai fini dell�accertamento 
della responsabilit� patrimoniale dello Stato legislatore, l�ipotesi 
dell�antinomia tra diritto interno e diritto comunitario viene trattata in maniera 
diversa rispetto alle situazioni in cui una norma nazionale sia dichiarata incostituzionale, 
imponendosi al ricorrente l�obbligo di impugnare nei termini 
l�atto di liquidazione in via amministrativa e, successivamente, in sede giurisdizionale, 
con la conseguenza che, qualora la liquidazione non sia stata impugnata 
invocando l�applicazione diretta del diritto comunitario, il ricorrente 
� obbligato a sopportare il danno che gli � stato arrecato in virt� della dottrina 
dell�atto definitivo ed inoppugnabile. 
2. Il regime della responsabilit� dello Stato legislatore nell�ordinamento spagnolo
Il regime della responsabilit� per il fatto del legislatore previsto nell�ordinamento 
spagnolo � mutuato dalla disciplina della responsabilit� amministrativa 
per gli atti legittimi (2) . 
Tale disciplina propone un modello di responsabilit� dello Stato di tipo 
oggettivo, incentrata sul concetto di �lesione giuridica�. 
In particolare, l�art. 121 (3) della Ley de Expropriaci�n Forzosa (LEF) 
(2) Per una compiuta analisi della tematica si vedano LAZARI, Modelli e paradigmi della responsabilit� 
dello Stato, Torino, 2005, 173 e ss. ed il precedente ID., Lotta contro le immunit� o contro i mulini 
a vento? Profili comparatistica della responsabilit� oggettiva dello Stato, in Riv. It. Dir. Pubbl. 
Com., 1998, 359 e ss. nonch� alcuni fondamentali studi della dottrina spagnola, ed, in particolare, GARC�A 
DE ENTERR�A, La responsabilidad patrimonial del Estado Legislador en el Derecho Espa�ol, Navarra, 
2005, ID., El principio de protecci�n de la confianza leg�tima como suesposto t�tulo justificativo 
de la responsabilidad del Estado legislador, in Revista de Administraci�n P�blica, 2002, ID., El principio 
de la �responsabilidad de los poderes p�blicos�, in Revista espa�ola de derecho Costitucional, 
2003, GAL�N VIOQUE, La responsabilidad del Estado legislador, Barcelona, 2001, GARRIDO FALLA , 
Sobre la responsabilidad del Estrado Legislador, in Revista de Administraci�n P�blica, 1989. Si cfr.no 
infine i dibattiti dei Convegni La responsabilidad civil de la Administraci�n P�blica, Valladolid, 16,17 
e 18 ottobre 1997 e La responsabilidad patrimonial de los Poderes P�blicos en el marco de la estructura 
territorial del Estado, Siviglia, 20 e 21 novembre 1997. 
(3) L�articolo stabilisce cos� che �dar� tambi�n lugar a indemnizaci�n con arreglo al mismo procedimento 
toda lesi�n que los particulares sufran en los bienes y derechos a que esta Ley se refiere, 
sempre que aqu�lla sea consecuencia del funcionamiento normal o anormal se los servicios p�blicos�. 
54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
del 1954 ha codificato il principio della responsabilit� patrimoniale diretta con 
riferimento ad ogni attivit� amministrativa, sia di carattere provvedimentale 
che materiale, prescindendo dall�accertamento dell�elemento soggettivo della 
colpa e richiedendo esclusivamente la dimostrazione della sussistenza di una 
lesione, imputabile causalmente all�attivit� o inattivit� dell�amministrazione. 
Successivamente, l�art. 40 della Ley de R�gimen Jur�dico de la Administraci�n 
del Estado (LRJA) del 1957 ha esteso, al di l� della materia espropriativa, il 
principio secondo cui i cittadini hanno diritto di essere risarciti dei danni arrecati 
alla loro sfera giuridica. 
L�accoglimento del sistema �oggettivo� ha tuttavia tardato ad affermarsi in 
campo giurisprudenziale. Per lungo tempo, infatti, la giurisprudenza ha continuato 
a riferirsi alle previsioni della responsabilit� per colpa del C�digo Civil 
(4) e, solo a partire dagli anni Settanta, il Tribunal Supremo ha iniziato ad accogliere 
le richieste risarcitorie fondate sulla legge in materia espropriativa, riconoscendo, 
peraltro, nell�ottica di una riparazione integrale dei pregiudizi sofferti 
dal cittadino, la risarcibilit� dei danni da caso fortuito ed il danno morale (5) . 
Anche la Carta costituzionale del 1978, muovendo da una concezione solidaristica 
dello Stato, ha ribadito quanto stabilito dal legislatore negli anni 
precedenti, sancendo il divieto di arbitrariet� ed il principio di responsabilit� 
dei pubblici poteri (art. 9.3) (6) e, correlativamente, il diritto dei privati di essere 
indennizzati, nei termini stabiliti dalla legge, per qualunque lesione ai 
loro beni o diritti in conseguenza del funzionamento dei servizi pubblici, salva 
la forza maggiore. 
Un ulteriore elemento di novit� nella disciplina della responsabilit� patrimoniale 
dell�amministrazione � stato, infine, introdotto dalla Ley de R�gimen 
Jur�dico de la Administraci�nes P�blicas y del Procedimiento 
Administrativo Com�n (LRJPA) del 1992 che, al fine di limitare gli squilibri, 
messi in luce dalla dottrina, di �overcompensation�, ha fornito una definizione 
puntuale del danno sofferto indennizzabile (effettivo, valutabile economicamente, 
concreto e riferibile alla sfera patrimoniale del richiedente, tale da eccedere 
la soglia di tollerabilit� dei comuni oneri sociali) (7) . 
(4) Le disposizioni del C�digo Civil del 1889 contemplano infatti la possibilit� di riconoscere sia 
una responsabilit� dello Stato per fatti propri (art. 1902) che per fatti di terzi, laddove commessi da 
�agenti speciali� (artt. 1902 e 1903). 
(5) Si cfr.no in proposito TS, 19 maggio 1970 e Id., 12 marzo 1975. 
(6) Anche nel nostro ordinamento, nonostante il principio della generale insindacabilit� nel merito 
della legge previsto dall�art. 28 della L. n. 87 del 1953, � stato progressivamente riconosciuto alla Corte 
costituzionale un certo margine di apprezzamento sulle valutazioni discrezionali del legislatore attraverso 
il richiamo al principio di ragionevolezza e non arbitrariet� della legge. 
(7) Si tratta dell�art. 139 LRJPA, secondo cui �en todo caso el da�o alegado habr� de ser efectivo, 
evaluable econ�micamente e individualizado con relaci�n a una persona o grupo de personas� e dell�art. 
141 LRJPA, secondo cui �s�lo ser�n indemnizables las lesiones producidas al particolar provenientes 
de da�os que �ste no tenga el deber jur�dico de soportar de acuerdo con la Ley�.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 55 
Contestualmente, la giurisprudenza del Tribunal Supremo ha valorizzato 
l�accertamento del nesso causale, richiedendo che il danno lamentato dall�attore 
costituisca una conseguenza diretta, immediata ed esclusiva del funzionamento 
normale o anormale del servizio pubblico (8). In ossequio a tale 
orientamento giurisprudenziale, volto a circoscrivere i limiti massimi della responsabilit� 
oggettiva, una successiva legge del 1999 ha codificato l�invocabilit� 
della forza maggiore, quale causa di esclusione della responsabilit� (9). 
Il sistema della responsabilit� dello Stato legislatore, a differenza di quello 
della responsabilit� amministrativa sin qui esaminato, � invece lontano da una 
chiara ed unitaria regolamentazione ed anche la ricostruzione fornita dalla giurisprudenza 
non � unanime. 
Nelle sue prime sentenze, la Corte costituzionale spagnola, con riferimento 
agli interessi dei cittadini lesi per il fatto del legislatore in occasione di 
provvedimenti statali in materia economica, ha riconosciuto che le innovazioni 
legislative possono originare una �frustaci�n de las expectativas existentes, y 
en determinados casos, perjuicio econ�mico que puede merecer alg�n grado 
de compensaci�n� (10). La Corte ha inoltre incidentalmente affermato la responsabilit� 
del legislatore per l�adozione di leggi incostituzionali (11) . 
Anche il Tribunal Supremo, sviluppando le argomentazioni della Corte 
constitucional, ha mostrato in alcune decisioni di aderire all�impostazione favorevole 
alla responsabilit� dello Stato legislatore: tra le riconosciute ipotesi 
di risarcimento del danno connesso all�adozione di atti legislativi, le leggi dichiarate 
incostituzionali, quelle aventi contenuto espropriativo ed, infine, 
quelle la cui applicazione concreta necessiti di un certo grado di compensazione 
(12). 
Nonostante le richiamate aperture giurisprudenziali, nell�ordinamento 
spagnolo, analogamente a quanto avviene in quello italiano (13), il dogma 
(8) In tal senso, T, 4 giugno 1994, Id., 20 dicembre 1994, Id., 20 maggio 1995 e 20 giugno 1995. 
(9) Si tratta del riformato art. 141 LRJPA secondo cui �no ser�n indemnizables los da�os que se 
deriven de hechos o circunstancias que no se tubiere podido prever o evitar seg�n el estado de los conocimientos 
de la ciencia o de la t�cnica existentes en el momento de la producci�n de aqu�llos, todo 
ello sin perjuicio de las prestaciones asistenciales o econ�micas que las leys puedan establecer para 
esos casos�. 
(10) TC, 26 luglio 1986, n. 108. 
(11) TC, 13 febbraio 1997, n. 28 e Id., 19 ottobre 2000, n. 248. In argomento, si rinvia altres� agli 
scritti di GARC�A DE ENTERR�A, Sobre la responsabilidad patrimonial del estado como autor de una ley 
declarada incostitucional, in www.juridicas.unam.mx e DOMENECH PASCUAL, Responsabilidad patrimonial 
de la administraci�n por da�os derivados de una ley incostitucional, in Revista espa�ola de derecho 
Costitucional, 2001. 
(12) Per tali ipotesi, si cfr. TS, 11 ottobre 1991. 
(13) In Italia, il problema della sussistenza della responsabilit� del legislatore nell�esercizio della 
sua funzione di produzione delle leggi � affrontato dalla dottrina muovendo dal contemperamento operato 
dalla Costituzione del principio della sovranit� statale come potere illimitato, proprio dello Stato 
democratico, e quello di imputabilit� dei soggetti pubblici per lo svolgimento delle proprie funzioni,
56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
dell�irresponsabilit� dello Stato � lontano dall�essere messo in discussione 
nella sua essenza. 
Un�ulteriore conferma in questo senso � stata rintracciata nella citata 
legge del 1992 (LRJPA), che limita la responsabilit� del legislatore alle ipotesi 
in cui sia la stessa legge ad individuarne il fondamento e la misura: la controversa 
disposizione dell�art. 139.3 dispone infatti che �las administraciones 
p�blica indemnizar�n a los particulares por la aplicaci�n de actos legislativos 
de naturaleza no expropriatoria de derechos y que �stos no tenga nel deber 
jur�dico de soportar, cuando as� se establezca en los propios actos legislativos 
y en los t�rminos que especifiquen dichos actos�. 
Il fondamento della responsabilit� del legislatore si radica dunque nella 
teoria dell��autolimitazione�, non essendovi alcuna disposizione di carattere 
generale, a parte la volont� eccezionale di un potere una tantum costituito, in 
grado di delimitare il campo dell�azione del legislatore (14). 
Tale ricostruzione teorica risulta superata solo per l�adozione di atti legislativi 
a �rilevanza� comunitaria, con riferimento ai quali la nota giurisprudenza 
comunitaria in materia di responsabilit� extracontrattuale degli Stati membri 
per mancata attuazione delle direttive ha rappresentato una spinta determinante 
nel senso del riconoscimento della responsabilit� del legislatore (15) . 
corollario dello Stato di diritto. 
Con l�avvento dello Stato costituzionale, infatti, la sovranit� della legge trova un vincolo nella sovranit� 
della Costituzione: � stato pertanto autorevolmente sostenuto come che l�assoggettamento a controlli di 
legalit� dell'attivit� dello Stato e a controlli di legittimit�, e di legittimit� costituzionale in particolare 
degli atti legislativi e degli atti �politici� costituisca il presupposto per il riconoscimento di una responsabilit� 
del Legislatore per l�esercizio delle proprie funzioni (si vedano, al riguardo, BIFULCO, La responsabilit� 
dello Stato per gli atti legislativi, Padova, 1999 e PIZZORUSSO, La responsabilit� dello Stato 
per atti legislativi in Italia, in Foro It.., 2003, 178). 
(14) Per questo rilievo si veda LAZARI, Modelli e paradigmi della responsabilit� dello Stato, cit., 
235. 
(15) Si tratta della giurisprudenza inaugurata dalla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunit� 
Europee, 19 novembre 1991, in cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich. Al riguardo parte della dottrina 
spagnola ha ritenuto che il modello comunitario di responsabilit� dello Stato possa risultare in contrasto 
con quanto previsto nell�ordinamento interno, trattandosi di un sistema che d� una certa rilevanza 
alla colpa, risultando maggiormente affine alla categoria francese della responsabilit� pour faute, e che 
sanziona la condotta del legislatore, non solo per l�adozione di un atti non conformi al diritto comunitario, 
ma anche per l�omessa attuazione dello stesso (per tali dubbi si veda, in particolare, MUNOZ MACHADO, 
La formaci�n de un derecho com�n de la responsabilidad extracontractual del Estrado en el sistema 
comunitario europeo, in Estudios de jurisprudencias, 1992). 
Per un�analisi dell�impatto dell�affermata responsabilit� dello Stato per violazione del diritto comunitario 
nell�ordinamento italiano si vedano: DI MAJO, Responsabilit� e danni nelle violazioni comunitarie ad 
opera dello Stato, in Europa e Diritto Privato, 1998, 774 e ss. e TIZZANO, La tutela dei privati nei confronti 
degli Stati membri dell�Unione europea, in Foro It., 1995, IV, 13 e ss.; nonch�, pi� recentemente, 
CALZOLAIO, L�illecito dello Stato tra diritto comunitario e diritto interno. Una prospettiva compararistica, 
Milano, 2004; FERRARO, La responsabilit� risarcitoria degli Stati membri per violazione del diritto 
comunitario, Milano, 2008; FUMAGALLI, La responsabilit� degli Stati membri per la violazione del diritto 
comunitario, Milano, 2000 e SCODITTI, La responsabilit� dello Stato per violazione del diritto comunitario, 
in Danno e Resp., 2005, 5 e ss.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 57 
3. Le conclusioni dell�Avvocato generale 
L�Avvocato generale, prima di entrare nel merito della valutazione sulla 
compatibilit� dei principi enunciati dal Tribunal Supremo con quelli comunitari 
di equivalenza e di effettivit�, ha affrontato l�eccezione formulata dal governo 
spagnolo in ordine alla ricevibilit� della questione pregiudiziale. 
Secondo il governo spagnolo, infatti, la questione dovrebbe essere dichiarata 
irricevibile in quanto, in sede di un rinvio ex art. 234 T.C.E., la Corte � 
autorizzata a pronunciarsi esclusivamente sulla compatibilit� con il diritto comunitario 
di atti normativi interni e non anche sulla giurisprudenza emessa da 
un organo giurisdizionale, quale � il Tribunal Supremo, dato che esso stesso 
potrebbe modificare la propria giurisprudenza in ossequio all�obbligo di interpretazione 
conforme al diritto comunitario (16) . 
Tale ricostruzione dell�ambito di esercizio della funzione nomofilattica 
del giudice comunitario non � condivisa dall�Avvocato generale: se, come 
noto, il potere di interpretare in via pregiudiziale le norme comunitarie non 
comprende anche quello di pronunziarsi �direttamente� sulla compatibilit� tra 
norme interne e norme comunitarie (17), la Corte pu� �indirettamente� fornire 
(16) L�obbligo di interpretazione conforme al diritto comunitario � stato esplicitamente affermato 
dal giudice comunitario a partire dalla sentenza, 10 aprile 1984, in causa C-14/83, Von Colson, e poi 
diffusamente nella sentenza 13 novembre 1990, in causa C-106/89, Marleasing SA, secondo cui �l�obbligo 
degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, 
come pure l�obbligo, loro imposto dall�art. 5 (ora 10) del Trattato, di adottare tutti i provvedimenti generali 
o particolari atti a garantire l�adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati 
membri, ivi compresi, nell�ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali. Ne consegue che, nell�applicare 
il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla 
direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello 
scopo della direttiva, onde conseguire il risultato perseguito da quest�ultima e conformarsi pertanto all�art. 
189 (ora 249), comma 3, del Trattato�. 
Si cfr.no, in argomento, CAFARI PANICO, Per un�interpretazione conforme, in Dir. pubbl. Comp. Eu., 
1999, 383 e ss.; PALLOTTA, Interpretazione conforme e inadempimento dello Stato, in Riv. It. Dir. pubbl. 
Com., 2005, 253 e ss.; PINELLI, Interpretazione conforme (rispettivamente, a Costituzione e al diritto 
comunitario) e giudizio di equivalenza, in Giur. Cost., 2008, 1364 e ss.; RUVOLO, Interpretazione conforme 
e situazioni giuridiche soggettive, in Europa e Dir. Priv., 2006, 1407 e ss. L�importanza del rispetto 
dell�obbligo di interpretazione conforme da parte dei giudici nazionali � stata inoltre recentemente ribadita 
nella sentenza 5 ottobre 2004, in cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer (su cui si vedano, 
da ultimo, LENAERTS, CORTHAUT, Of birds and hedges: the role of primacy in invoking norms of EU law, 
in European Law Review, 2006, 287 e ss.). 
(17) In proposito, Corte di giustizia delle Comunit� Europee, 27 marzo 1963, in cause C-28, 29 
e 30/62, Da Costa en Schaake, afferma che �quando, nell�ambito concreto di una controversia vertente 
avanti un giudice nazionale, la Corte d� un�interpretazione del trattato, essa si limita a trarre dalla lettera 
e dallo spirito di questo il significato delle norme comunitarie, mentre l�applicazione alla fattispecie 
delle norme cos� interpretate rimane riservata al giudice nazionale: tale concezione corrisponde alla funzione 
assegnata alla Corte dall�art. 177, che mira a garantire l�unit� dell�interpretazione del diritto comunitario 
nei sei Stati membri�. Bisogna per� rilevare che, nella pratica delle pronunce pregiudiziali, 
l�interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte � spesso resa in modo tale che il giudice na-
58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
al giudice a quo tutti gli elementi di interpretazione del diritto comunitario 
utili a valutarne gli effetti in termini di disapplicazione del diritto interno incompatibile 
(18). 
L�Avvocato generale esclude, quindi, la sussistenza di limiti riferibili �alla 
natura delle disposizioni nazionali che possono, in questo modo, essere messe 
indirettamente in discussione in occasione di un rinvio pregiudiziale relativo 
all�interpretazione del diritto comunitario. Contrariamente a quanto sostiene 
il governo spagnolo, queste possono ben essere di origine giurisprudenziale. 
Del resto, la Corte � stata gi� invitata indirettamente a pronunciarsi in via pregiudiziale 
sulla conformit� della giurisprudenza al diritto comunitario� (19) , 
sottolineando come la domanda proposta miri a verificare la compatibilit�, 
con i principi comunitari di effettivit� ed equivalenza, delle norme nazionali 
relative alle azioni di risarcimento a carico dello Stato nell�interpretazione resa 
dal Tribunal Supremo. 
Venendo al merito della questione - da ritenersi, pertanto, ricevibile - l�Avvocato 
generale evidenzia preliminarmente come i principi di effettivit� ed 
equivalenza rappresentino un contrappeso al principio di autonomia proceduzionale 
possa evincere a quali condizioni la Corte ritenga sussista l�incompatibilit�, con conseguente 
effetto conformativo del giudice alla decisione. 
(18) Al riguardo si cfr.no le storiche decisioni Corte di giustizia delle Comunit� Europee, 15 giugno 
1964, in causa C-6/64, Costa e Id., 9 marzo 1978, in causa C-106/77, Simmenthal, su cui, tra i tanti, 
MARCH HUNNINGS, Rival Constitutional Courts: A Comment on Case 106/77, in Common Market Law 
Review, 1978, 483 e ss.; MENGONI, Note sul rapporto tra fonti di diritto comunitario e fonti di diritto interno 
degli Stati membri, in AA.VV., Diritto privato europeo e categorie civilistiche, a cura di Lipari, 
Napoli, 1998, 26 ss. 
Per una completa ricostruzione della problematica della disapplicazione, quale criterio per la risoluzione 
delle antinomie tra diritto interno e diritto comunitario, si vedano, tra i tanti: CELOTTO, La prevalenza del 
diritto comunitario sul diritto interno: orientamenti della Corte costituzionale e spunti di teoria generale, 
in Giur. Cost., 1992, 4481 e ss.; ID., Le �modalit�� di prevalenza delle norme comunitarie sulle norme 
interne: spunti ricostruttivi, in Riv. It., dir. pubbl. com., 1999, 1463 e ss. e ID., Concorrenza e conflitti tra 
criteri di risoluzione, in MODUGNO, Appunti per una teoria generale del diritto, La teoria del diritto oggettivo, 
Torino, 2000, 225 e ss.; ID., Legittimit� costituzionale e legittimit� comunitaria (prime considerazioni 
sul controllo di costituzionalit� in Italia come sistema �misto�), in Riv. Dir. Pubbl. Eu., 2002, 47 
e ss.; PAGOTTO, La disapplicazione della legge, Milano, 2008; PIZZORUSSO, Sull�applicazione del diritto 
comunitario da parte del giudice italiano, in Quad. Reg., 1989, 48 e ss. e ID., Interrogativi in tema di 
rapporti tra fonti comunitarie e fonti nazionali, in AA. VV., Le riforme istituzionali e la partecipazione 
dell�Italia all�Unione europea, Milano, 2002, 21 e ss.; RUGGERI, Fonti, norme criteri, ordinatori, Torino, 
2005, 215 e ss. ed, in precedenza, ID., Continuo e discontinuo nella giurisprudenza costituzionale, a partire 
dalla sent. n. 170 del 1984, in tema di rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento interno: 
dalla teoria della separazione alla prassi dell�integrazione intersistemica?, in Giur. Cost., 1991, 1598 e 
ss.; SILVESTRI, La diretta applicabilit� delle norme comunitarie, in Associazione Italiana dei costituzionalisti, 
Annuario 1999, La Costituzione Europea, Atti del XIV Convegno annuale, Padova, 2000; SORRENTINO, 
Brevi osservazioni sulle leggi contrastanti con norme comunitarie: incostituzionalit� e/o 
disapplicazione?, in Giur. Cost., 1975, II, 3237 e ss., ID., Ai limiti dell�integrazione europea: primato 
delle fonti o delle istituzioni comunitarie?, in Pol. Dir., 1994, 189 e ss. e ID., La rilevanza delle fonti comunitarie 
nell�ordinamento italiano, in Dir. commercio internaz., 1989, 452 e ss. 
(19) Conclusioni, punto 13.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 59 
rale degli Stati membri (20), preposto alla tutela dei diritti conferiti ai singoli 
dall�ordinamento comunitario. 
Mentre il principio di effettivit� impone che le modalit� procedurali nazionali 
assicurino una protezione effettiva dei diritti conferiti dal diritto comunitario, 
il principio di equivalenza esige che l�ordinamento nazionale 
garantisca a tutte le azioni che hanno il loro fondamento nel diritto comunitario 
un trattamento procedurale che sia favorevole almeno quanto quello applicabile 
a domande analoghe fondate sul diritto interno. 
Con riferimento al principio di equivalenza, la previsione, quale condizione 
di ammissibilit� dell�azione di responsabilit� a carico dello Stato, dell�avvenuto 
esaurimento degli altri mezzi di ricorso avverso l�atto 
amministrativo lesivo, oltre a costituire un principio generale comune agli ordinamenti 
giuridici degli Stati membri, appare in linea con la giurisprudenza 
della Corte in tema di ricevibilit� del ricorso diretto a far valere la responsabilit� 
extracontrattuale della Comunit�, secondo cui, in particolare, l�azione 
va ritenuta irricevibile, �quando � diretta contro la stessa illegittimit� e tende 
ad ottenere lo stesso risultato patrimoniale del ricorso di annullamento dell�atto 
dell�istituzione che arreca il pregiudizio e che la persona lesa ha omesso di 
esperire tempestivamente� (21), ossia quando il ricorso per il risarcimento dei 
danni dissimula, in realt�, un�azione di ripetizione dell�indebito. 
Una simile circostanza viene ravvisata nella controversia promossa dalla 
societ� spagnola che, contestando tempestivamente - nel termine, del tutto ragionevole, 
di 4 anni - la validit� dell�atto amministrativo di liquidazione, 
avrebbe potuto ottenere la riparazione integrale del danno allegato (l�importo 
dell�I.v.a. non detratta, oltre agli interessi legali). 
La valutazione sulla compatibilit� della citata condizione di ammissibilit� 
con il principio di equivalenza risulta pi� articolata in quanto, al fine di dimostrare 
l�esistenza di un obbligo di parit� di trattamento procedurale, occorre 
(20) Sull�autonomia procedurale degli Stati membri si vedano le pronunce: Corte di giustizia delle 
Comunit� europee, 16 dicembre 1976, in causa C-33/76, Rewe; Id., 16 dicembre 1976, in causa C-45/76, 
Comet; Id., 9 novembre 1983, in causa C-199/82, San Giorgio; Id., 25 febbraio 1988, in cause riunite 
C-331/85, 376/85 e 378/85, Bianco e Girare; Id., 24 marzo 1988, in causa C-104/86, Commissione/Italia; 
Id., 14 luglio 1988, in cause riunite C-123/87 e 330/87, Jeunehomme e a.; Id., 9 giugno 1992, in causa 
C-96/91, Commissione/Spagna; Id., 14 dicembre 1995, in causa C-312/93, Peterbroek e a. Si tratta di 
una giurisprudenza secondo cui, in assenza di misure di armonizzazione diretta delle procedure, spetta 
agli Stati membri indicare organi e le modalit� procedurali di tutela delle posizioni protette dal diritto 
comunitario, sebbene tale autonomia sia appunto condizionata dal rispetto di due requisiti: tali regole e 
procedure non devono essere meno favorevoli di quelle previste per le analoghe situazioni giuridiche 
soggettive protette dal diritto interno (principio di equivalenza); secondariamente tali procedure non devono 
essere tali da renderne impossibile o eccessivamente difficile la tutela (principio di effettivit�). Per 
una ricostruzione dei confini del principio, si veda RODRIGUEZ IGLESIAS, Sui limiti dell�autonomia procedimentale 
e processuale degli Stati membri, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2001, 5 e ss. 
(21) Conclusioni, punto 20.
60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
verificare la �comparabilit�� tra l�azione di risarcimento a carico dello Stato 
fondata su una legge incostituzionale e quella promossa a seguito della violazione 
del diritto comunitario. 
Tale raffronto viene cos� svolto in relazione ai parametri dell�oggetto, 
delle finalit� e degli elementi essenziali delle due azioni. 
Mentre appare non contestata la circostanza che l�oggetto (il risarcimento 
del danno) e la finalit� (accertamento dell�illiceit� del comportamento lesivo) 
delle due azioni di responsabilit� siano coincidenti, l�Avvocato generale si � 
espresso in senso critico nei confronti delle argomentazioni sulla diversit� 
degli elementi essenziali, addotte dal giudice a quo al fine di giustificare la 
differenza di trattamento procedurale. 
Secondo il giudice nazionale, infatti, il trattamento pi� favorevole riservato 
all�azione di responsabilit� per i danni derivanti da un atto amministrativo 
adottato in conformit� ad una legge incostituzionale si fonderebbe sull�eccessiva 
compressione della tutela giurisdizionale del privato, laddove la previsione 
della previa contestazione dell�atto amministrativo lesivo 
�condannerebbe il ricorso all�inefficacia�. 
Pi� particolare, tali difficolt� sarebbero legate, a monte, agli effetti incisivi 
delle pronunce di illegittimit� costituzionale ed alle stringenti condizioni di 
proponibilit� dell�incidente di costituzionalit� rispetto alle �questioni di comunitariet��. 
Quanto al primo profilo, il giudice di rinvio ha evidenziato il differente 
effetto delle pronunce pregiudiziali interpretative della Corte di giustizia e 
quello delle sentenze del Tribunal Constitucional che dichiarano l�incostituzionalit� 
di una legge spagnola, posto che solo queste ultime risultano dotate 
di effetti retroattivi, determinando l�invalidit� della legge censurata. 
Quanto al secondo profilo, il Tribunal Supremo ha messo in luce il decisivo 
rilievo della �presunzione di costituzionalit�� riconosciuta alla legge 
nell�ordinamento interno: presunzione che si riflette sulla titolarit� dell�azione 
diretta a far valere l�illegittimit� costituzionale, rimessa integralmente alle valutazioni 
del giudice a quo, e che comporta un�analoga presunzione di legittimit� 
degli atti amministrativi applicativi. 
Ad avviso dell�Avvocato generale, l�analisi degli elementi essenziali richiamati 
deve viceversa condurre a ritenere le due azioni sovrapponibili, con 
conseguente violazione del principio di equivalenza. 
Innanzitutto, l�Avvocato generale ricorda come alle pronunce pregiudiziali 
sia riconosciuta l�efficacia retroattiva implicita al genus delle sentenze 
interpretative, dal momento che l�interpretazione della norma resa dalla Corte 
di giustizia ne chiarisce e precisa il significato dalla sua entrata in vigore. 
Inoltre, a prescindere dalla qualificazione dell�effetto della pronuncia 
sulla legge, viene evidenziata l�analogia delle conseguenze sull�atto amministrativo 
applicativo: al riguardo lo stesso governo spagnolo ha precisato come
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 61 
l�invalidit� della legge incostituzionale non determini automaticamente quella 
degli atti amministrativi adottati sulla base di quest�ultima, spettando comunque 
al giudice cui � sottoposta la controversia determinare nel caso specifico 
l�incidenza dell�incostituzionalit� sui suddetti atti, anche in relazione al regime 
prescrizionale di impugnabilit� degli stessi (22). 
In secondo luogo, con riferimento al problema della discrezionalit� del 
giudice nel rimettere il dubbio di costituzionalit� o la �questione di comunitariet�
�, l�Avvocato generale sottolinea come, da una parte, l�obbligo di rinvio 
pregiudiziale gravante sui giudici di ultima istanza non prescinda da una valutazione 
sulla pertinenza e sulla necessit� del rinvio in ragione della teoria 
dell�acte clair (23), dall�altra, la libert� del giudice spagnolo di rinviare una 
questione di costituzionalit� della legge non � cos� ampia, anche alla luce del 
rimedio del recurso de amparo (24) . 
(22) Analogamente, nell�ordinamento italiano, neppure nell�ipotesi estrema di sopravvenuta �carenza 
assoluta� di potere, ossia di atto amministrativo adottato sulla base di una norma attributiva di un 
potere poi dichiarata incostituzionale, la sentenza di accoglimento � in grado di travolgere l�efficacia di 
un atto divenuto inoppugnabile. La circostanza che una legge incostituzionale non possa essere disapplicata 
da alcun organo dello Stato - essendo riservato solo ai giudici il potere di sospenderne l�applicazione, 
sollevando appunto la questione di costituzionalit� - comporta che l�atto posto in essere nell�esercizio di 
poteri fondati sulla legge incostituzionale non sia inesistente ma annullabile solo ove l�atto venga impugnato 
nei termini, sia pure per altri motivi, e sia stata sollevata, anche d�ufficio, la questione. 
In generale, con riguardo agli effetti temporali delle pronunce della Corte costituzionale si veda RUOTOLO, 
La dimensione temporale dell'invalidit� della legge, Padova, 2000; POLITI, Gli effetti nel tempo 
delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale: contributo ad una teoria dell'invalidit� costituzionale 
della legge, Padova, 1997; D�AMICO, Giudizio sulle leggi ed efficacia temporale delle decisioni 
di incostituzionalit�, Milano, 1993; AA.VV., Effetti temporali delle sentenze della Corte 
costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere: atti del seminario di studi tenuto al Palazzo 
della Consulta il 23 e 24 novembre 1988, Milano, 1989. 
(23) Per un approfondimento sulla teoria dell�atto chiaro si vedano BLANCHET, L�usage de la 
th�orie de l�acte clair en droit communautaire: une hypoth�se de mise en jeu de la responsabilit� de 
lՃtat fran�ais du fait de la fonction juridictionelle?, in Rev. Trim. Droit Europ�en, 2001, 397 e ss.; 
D�ALESSANDRO Intorno alla �Th�orie de l�acte clair�, in Giust. Civ., 1997, 1113 e ss.; RASMUSSEN The 
EC-Court�s Acte Claire Strategy in CILFIT, in European Law Review, 1984, 242 e ss.; BEBR, The Rambling 
Ghost of �Cohn-Bendit�: Acte Clair and the Court of Justice, in Common Market Law Review, 
1983, 439 e ss. 
(24) Ai sensi degli artt. 161 e 162 della Costituzione spagnola, infatti, il Tribunal Constitucional 
�ha giurisdizione su tutto il territorio spagnolo ed � competente a giudicare: A) del ricorso d'incostituzionalit� 
contro leggi e disposizioni normative aventi forza di legge (�); B) del ricorso di tutela (amparo) 
per la violazione dei diritti e delle libert� di cui all�art. 53.2 di questa Costituzione, nei casi e 
nelle forme stabiliti dalla legge; C) dei conflitti di competenza fra lo Stato e le Comunit� autonome, e 
dei conflitti fra queste ultime; D) delle altre materie che gli attribuiranno la Costituzione o le leggi organiche
� e �sono legittimati: A) a presentare il ricorso d'incostituzionalit�: il Presidente del Governo, 
il Difensore del popolo, cinquanta deputati, cinquanta senatori, gli organi collegiali ed esecutivi delle 
Comunit� autonome e, nel caso, le Assemblee delle stesse; B) a presentare il ricorso di tutela: qualsiasi 
persona fisica o giuridica che invochi un interesse legittimo, nonch� il Difensore del popolo e il Pubblico 
ministero. Negli altri casi, una legge organica stabilir� le persone e gli organi legittimati�. Sul recurso 
de amparo si vedano AA. VV., La giustizia costituzionale in Europa, a cura di Groppi e Olivetti, Milano, 
2004, e pi� specificatamente, P�REZ-TREMPS, El Recurso de amparo, Tirant lo Blanch, Valencia, 2004. 
62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Quanto alla presunzione di legittimit� costituzionale della legge, l�Avvocato 
generale ritiene che non si tratti di un idoneo elemento di comparazione, 
posto che la stessa costituisce un principio radicato nella separazione dei poteri 
�interna� all�ordinamento costituzionale, mentre quando l�amministrazione 
deve risolvere un�antinomia norme nazionali e comunitarie, essa non agisce 
pi� esclusivamente nell�ambito dell�ordinamento interno, dovendo confrontarsi 
�con due volont� legislative opposte, provenienti da due ordinamenti giuridici 
differenti sebbene integrati, e che si vedono riconoscere delle presunzioni 
di validit� differenti�: �pertanto, quando l�amministrazione disapplica una 
legge nazionale contraria al diritto comunitario, essa non fa venir meno la 
presunzione di validit� delle leggi nazionali n� pregiudica il principio costituzionale 
interno di separazione dei poteri. Al contrario, essa � di fronte ad 
un�equivalente presunzione di validit� della norma comunitaria e risolve tale 
conflitto sulla base del principio del primato del diritto comunitario� (25). 
L�Avvocato generale giunge quindi a rilevare come l�unica differenza tra 
le due azioni emerga nel rapporto tra l�amministrazione ed il soggetto leso, 
che - stante l�obbligo di disapplicazione gravante anche sull�amministrazione 
- gode di una protezione �a livello diffuso� contro la legge contraria al diritto 
comunitario della quale, invece, non gode contro la legge incostituzionale, in 
considerazione della presunzione di legittimit� della legge e dei suoi atti attuativi 
e della natura accentrata del controllo di costituzionalit�. 
Tale differenza non � tuttavia ritenuta idonea a giustificare la subordinazione 
dell�azione di risarcimento a carico dello Stato per violazione del diritto 
comunitario al previo esaurimento di tutti i mezzi di ricorso, �non soltanto 
amministrativi ma anche giurisdizionali�, avverso l�atto amministrativo adottato 
sulla base della legge �anticomunitaria�. 
L�Avvocato generale conclude, quindi, nel senso dell�incompatibilit� con 
il principio di equivalenza della denunciata norma di elaborazione giurisprudenziale 
sulle condizioni di ammissibilit� dell�azione di responsabilit� per violazione 
del diritto comunitario, trattandosi di una disciplina differenziata, pur 
in presenza di situazioni sovrapponibili, e pi� restrittiva. 
Corte di Giustiza delle Comunit� europee, conclusioni dell�Avvocato generale M. Poiares 
Maduro presente il 9 luglio 2009 (1) nella causa C-118/08 - Domanda di pronuncia pregiudiziale 
proposta dal Tribunal Supremo (Spagna) il 18 marzo 2008 - Transporte Urbanos y Servicios 
Generales S.A.L./Stato spagnolo. 
�Responsabilit� di uno Stato membro � Violazione del diritto comunitario � Principi di equivalenza 
e di effettivit�� 
(25) Conclusioni, punto 38.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 63 
1. Il rinvio all�autonomia procedurale degli Stati membri, preposta alla tutela dei diritti 
conferiti ai singoli dall�ordinamento giuridico comunitario, � tradizionalmente mitigato dall�obbligo 
per gli ordinamenti nazionali di rispettare i principi comunitari di equivalenza e di 
effettivit�. Il principio di effettivit� impone che le modalit� procedurali nazionali assicurino 
una protezione effettiva dei diritti conferiti dal diritto comunitario. Il principio di equivalenza, 
invece, esige che l�ordinamento nazionale garantisca a tutte le azioni che hanno il loro fondamento 
nel diritto comunitario un trattamento procedurale che sia favorevole almeno quanto 
quello applicabile a domande analoghe fondate sul diritto interno. Al fine di poter concludere 
nel senso dell�esistenza di un obbligo di parit� di trattamento procedurale, � opportuno dunque 
stabilire se le due azioni sono comparabili. Le difficolt� eventualmente connesse a una tale 
valutazione vengono illustrate dal presente caso di specie. 
I � Causa principale e questione pregiudiziale 
2. La questione pregiudiziale mira a stabilire se il fatto di applicare modalit� procedurali 
differenti a un�azione di risarcimento a carico dello Stato, in funzione del fatto che tale azione 
si fondi su una legge incostituzionale ovvero contraria al diritto comunitario, sia conforme ai 
principi comunitari di equivalenza e di effettivit�. 
3. Essa � stata rinviata dalla sezione per il contenzioso amministrativo del Tribunal Supremo 
(Spagna) nell�ambito di una controversia insorta tra la societ� Transportes Urbanos y Servicios 
Generales SAL e l�Administraci�n del Estado, avendo quest�ultima respinto l�azione diretta a 
far valere la responsabilit� dello Stato spagnolo per una legge contraria al diritto comunitario. 
4. All�origine della controversia vi � la legge spagnola 28 dicembre 1992, come modificata 
dalla legge 30 dicembre 1997, che limitava il diritto di un soggetto passivo alla detraibilit� 
dell�imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l��IVA�) relativa all�acquisto di beni o servizi 
finanziati mediante sovvenzioni e lo obbligava alla presentazione di dichiarazioni periodiche, 
le quali dovevano contenere il calcolo degli importi dell�IVA ripercossi e sopportati, pur procedendo 
all�effettuazione del saldo (autoliquidazioni). Tuttavia, occorre precisare che la normativa 
spagnola (2) riconosce al soggetto passivo il diritto di chiedere la rettifica delle proprie 
autoliquidazioni ed, eventualmente, di pretendere il rimborso delle somme indebitamente versate, 
purch� la richiesta venga avanzata entro quattro anni. 
5. Poich� la limitazione del diritto di detrarre l�IVA prevista dalla legge 28 dicembre 
1992 � stata dichiarata incompatibile con gli artt. 17, n. 2, e 19 della sesta direttiva 
77/388/CEE (3), la ricorrente nella causa principale, che aveva compiuto le autoliquidazioni 
per gli esercizi 1999 e 2000 e il cui diritto alla richiesta di una rettifica e all�esercizio di 
un�azione di ripetizione era prescritto al momento della pronuncia della sentenza Commissione/
Spagna, gi� citata, ha presentato una domanda al fine di ottenere il risarcimento dei 
danni sofferti, calcolati in EUR 1 228 366, 39, corrispondenti ai versamenti di IVA indebitamente 
riscossi dallo Stato spagnolo oltre ai rimborsi che avrebbe potuto vantare relativamente 
agli stessi esercizi. 
6. In data 12 gennaio 2007 il Consiglio dei ministri ha respinto la domanda, ritenendo che 
1 � Lingua originale: il francese. 
2 � Legge fiscale generale 17 dicembre 2003, n. 58/2003. 
3 � Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977 in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati 
membri relative alle imposte sulla cifra di affari � Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base 
imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1, in prosieguo: la �sesta direttiva IVA�). V. sentenza 6 ottobre 
2005, causa C-204/03, Commissione/Spagna (Racc. pag. I 8389).
64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
la mancata contestazione delle proprie autoliquidazioni da parte della ricorrente, nel termine 
quadriennale prescritto, aveva interrotto il nesso di causalit� diretta tra la contestata violazione 
del diritto comunitario e il danno che si asserisce subito. Detto in altri termini, la causa 
esclusiva del danno sarebbe la mancanza di tale contestazione. Per giustificare la sua decisione, 
il Consiglio dei ministri si � basato su due sentenze del Tribunal Supremo 29 gennaio 
2004 e 24 maggio 2005, secondo le quali le azioni di risarcimento a carico dello Stato per 
violazione del diritto comunitario soggiacciono a una regola di previo esaurimento degli altri 
mezzi di ricorso, amministrativi e giurisdizionali, avverso l�atto amministrativo lesivo, adottato 
in applicazione di una legge nazionale asseritamente in contrasto con il diritto comunitario. 
7. In data 6 giugno 2007 la ricorrente ha presentato un ricorso dinanzi al Tribunal Supremo 
avverso la decisione del Consiglio dei ministri di rigetto della sua domanda di risarcimento. 
Nell�ordinanza di rinvio il giudice a quo s�interroga sulla conformit� di tale 
condizione di previo esaurimento dei mezzi di ricorso, cui � subordinata l�azione di risarcimento 
a carico dello Stato per violazione del diritto comunitario, con i principi comunitari 
di equivalenza e di effettivit�. Rileva, infatti, che l�azione di risarcimento a carico dello 
Stato, fondata sulla incostituzionalit� di una legge, non � subordinata alla condizione che il 
soggetto leso abbia previamente impugnato l�atto che gli arreca pregiudizio fondato su tale 
legge. 
8. Il giudice a quo ha sottoposto inoltre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Se risulti contraria ai principi di equivalenza e di effettivit� l�applicazione di una diversa disciplina, 
elaborata dal Tribunal Supremo nelle sentenze 29 gennaio 2004 e 24 maggio 2005, 
ai casi riguardanti ricorsi diretti a far valere la responsabilit� patrimoniale dello Stato legislatore, 
in funzione del fatto che i detti ricorsi si fondino su atti amministrativi adottati in applicazione 
di una legge dichiarata incostituzionale ovvero di una norma dichiarata contraria al 
diritto comunitario�. 
II � Analisi giuridica 
9. Prima di fornire al giudice nazionale gli elementi di soluzione necessari ai fini della 
valutazione della compatibilit� della giurisprudenza controversa del Tribunal Supremo con i 
principi comunitari di equivalenza e di effettivit�, devono essere risolte le obiezioni addotte 
dal governo spagnolo in merito alla ricevibilit� della presente questione pregiudiziale. 
A � La ricevibilit� della questione pregiudiziale 
10. Il governo spagnolo ritiene che la questione pregiudiziale presentata dal giudice a quo 
sia irricevibile in quanto, nell�ambito di un rinvio pregiudiziale, la Corte � autorizzata a pronunciarsi 
esclusivamente sulla compatibilit� con il diritto comunitario degli atti amministrativi 
e normativi interni e non anche sulla giurisprudenza emessa da un organo giurisdizionale supremo, 
quale � il Tribunal Supremo, dato che esso stesso potrebbe modificare la propria giurisprudenza 
per renderla conforme alle esigenze comunitarie e che, pertanto, la presente 
questione pregiudiziale non sarebbe necessaria ai fini di una decisione nella controversia principale 
e sarebbe piuttosto assimilabile a un parere giuridico. 
11. L�osservazione del governo spagnolo relativa alla irricevibilit� del ricorso pregiudiziale 
non pu� evidentemente essere accolta. 
12. Da un lato, occorre anzitutto rammentare che, se la Corte non � competente a valutare, 
nell�ambito di un rinvio pregiudiziale, la compatibilit� delle disposizioni nazionali con le 
norme comunitarie, dopo aver eventualmente riformulato la questione rinviatale, essa pu� 
fornire al giudice a quo tutti gli elementi di interpretazione del diritto comunitario che po-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 65 
trebbero essergli utili a valutare gli effetti delle disposizioni di quest�ultimo (4). Nel caso di 
specie, la questione del Tribunal Supremo invita la Corte a interpretare i principi comunitari 
di equivalenza e di effettivit�, al fine di consentirgli di valutare il rispetto del diritto comunitario 
da parte della propria giurisprudenza. 
13. Dall�altro lato, non esiste evidentemente alcun limite riferibile alla natura delle disposizioni 
nazionali che possono, in questo modo, essere messe indirettamente in discussione in 
occasione di un rinvio pregiudiziale relativo all�interpretazione del diritto comunitario. Contrariamente 
a quanto sostiene il governo spagnolo, queste possono ben essere di origine giurisprudenziale. 
Del resto, la Corte � stata gi� invitata indirettamente a pronunciarsi in via 
pregiudiziale sulla conformit� della giurisprudenza al diritto comunitario (5). Infine, si deve 
aggiungere che, in ogni caso, una questione avente ad oggetto la giurisprudenza pu� sempre 
essere formulata come riferentesi alle disposizioni nazionali prese in considerazione dal giudice 
nazionale per enunciare le sue regole giurisprudenziali. In altre parole, la questione presentata 
nel caso di specie pu� essere intesa come diretta a conoscere se l�interpretazione delle 
norme nazionali relative alle azioni di risarcimento a carico dello Stato fornita dal Tribunal 
Supremo sia compatibile con i principi comunitari di equivalenza e di effettivit�. 
14. Infine, in linea di principio, spetta al solo giudice nazionale, cui � stata sottoposta la 
controversia, e che deve assumersi la responsabilit� dell�emananda decisione giurisdizionale, 
valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessit� di una pronuncia 
pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza 
delle questioni che sottopone alla Corte e, se le questioni vertono sull�interpretazione del diritto 
comunitario, la Corte � tenuta a statuire (6). Solo in via eccezionale la Corte potrebbe rifiutarsi 
di statuire e dichiarare la questione pregiudiziale irricevibile, segnatamente, laddove 
appaia in modo manifesto che quest�ultima non risponde a una necessit� oggettiva ai fini della 
soluzione della causa principale (7). Ci� non si verifica nella presente fattispecie. Se � vero 
che il Tribunal Supremo pu� modificare liberamente da s� la propria giurisprudenza per adeguarla, 
eventualmente, alle esigenze comunitarie, tuttavia esso ha ritenuto necessario interrogare 
la Corte in merito all�interpretazione dei principi di equivalenza e di effettivit� al fine di 
poter valutare la propria giurisprudenza. Ebbene, non appare in modo manifesto che si verifichi, 
nel caso di specie, una delle situazioni che porterebbero la Corte a mettere in discussione 
�la presunzione di rilevanza� di cui godono le questioni relative all�interpretazione del diritto 
comunitario sollevate dal giudice nazionale (8). 
15. Pertanto, la presente questione pregiudiziale � ricevibile. 
B � Sul principio di effettivit� 
4 � V. sentenze 3 ottobre 2000, causa C-58/98, Corsten (Racc. pag. I 7919, punto 24) e 9 luglio 2002, 
causa C-181/00, Flightline, Racc. pag. I 6139, punto 20). 
5 � V. sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, K�bler (Racc. pag. I 10239). 
6 � V. sentenze 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra (Racc. pag. I 2099, punto 38); 15 maggio 
2003, causa C-300/01, Salzmann (Racc. pag. I 4899, punti 29 e 30); Flightline, gi� citata (punto 
21), nonch� sentenza 23 aprile 2009, causa C-261/07, VTB VAB (non ancora pubblicata nella Raccolta, 
punto 32). 
7 � V., ad esempio, sentenza 17 maggio 1994, causa C-18/93, Corsica Ferries (Racc. pag. I 1783, punto 
14). 
8 � Per l�inventario di tali situazioni, v., da ultimo, sentenza 16 dicembre 2008, causa C-210/06, Cartesio 
(non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 67); v., ad esempio, in precedenza, sentenza 7 giugno 2007, 
cause riunite da C-222/05 a C-225/05, van der Weerd e a. (Racc. pag. I 4233, punto 22).
66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
16. Condizionare l�azione di responsabilit� a carico dello Stato per violazione del diritto 
comunitario di carattere legislativo al previo esaurimento degli altri mezzi di ricorso, amministrativi 
e giurisdizionali, avverso l�atto amministrativo all�origine del danno, adottato sulla 
base di una legge contraria al diritto comunitario, non sembra di per s� contravvenire al principio 
di effettivit� della tutela giurisdizionale. 
17. Peraltro, in virt� di una giurisprudenza consolidata, la nascita di un diritto al risarcimento, 
che deriva dal principio della responsabilit� dello Stato per danni causati ai soggetti 
da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili, � subordinata unicamente al soddisfacimento 
di tre condizioni: la norma giuridica violata deve essere preordinata a conferire 
diritti ai soggetti dell�ordinamento, la violazione di tale norma deve essere sufficientemente 
qualificata ed � necessario che vi sia un nesso causale diretto tra la violazione in parola e il 
danno subito dal soggetto leso (9). Tali condizioni sono �necessarie e sufficienti� per attribuire 
ai singoli un diritto al risarcimento (10). Pertanto, si potrebbe dedurre a priori che uno Stato 
membro non pu� subordinare il diritto al risarcimento alla condizione che l�avente diritto 
abbia previamente contestato la legittimit� dell�atto che � all�origine del danno del quale 
chiede il risarcimento, a pena di violare il principio di effettivit� della tutela giurisdizionale 
che � alla base del principio della responsabilit� degli Stati membri per violazione del diritto 
comunitario (11). 
18. Tuttavia, la giurisprudenza controversa del Tribunal Supremo si basa sul fatto che il 
soggetto leso avrebbe potuto ottenere il risarcimento dell�intero importo del danno allegato 
se avesse contestato nei termini la validit� dell�atto all�origine del danno. 
19. Ebbene, risulta da un principio generale comune agli ordinamenti giuridici degli Stati 
membri (12) che la determinazione del danno risarcibile da parte del giudice nazionale pu� 
dipendere dalla ragionevole diligenza manifestata dalla persona lesa nel limitare la portata 
del danno, ovverosia dal fatto che essa abbia tempestivamente esperito tutti i rimedi giuridici 
dei quali poteva ragionevolmente disporre per evitare il danno o limitarne l�entit� (13). 
20. D�altronde, la Corte ha dichiarato, da un lato, che la ricevibilit� del ricorso per responsabilit� 
extracontrattuale della Comunit� pu� essere subordinata all�esaurimento dei rimedi 
giurisdizionali nazionali di cui � possibile avvalersi per ottenere l�annullamento del provvedimento 
nazionale all�origine del danno, qualora tali rimedi giurisdizionali nazionali possano 
condurre al risarcimento dell�asserito danno (14), e, dall�altro lato, che l�azione per risarci- 
9 � V., per un riferimento recente, sentenza 24 marzo 2009, causa C-445/06, Danske Slagterier (non ancora 
pubblicata nella Raccolta, punti 19 e 20). 
10 � V. sentenze K�bler, gi� citata, (punto 57), e 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie 
du p�cheur e Factortame (Racc. pag. I 1029, punto 66). 
11 � V. sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C 9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I 5357). 
12 � V. sentenza 19 maggio 1992, cause riunite C-104/89 e C-37/90, Mulder e a./Consiglio e Commissione 
(Racc. pag. I 3061, punto 33). 
13 � V. sentenze Brasserie du p�cheur e Factortame, gi� citata (punti 84 e 85); 8 marzo 2001, cause 
riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a., (Racc. pag. I 1727, punto 101); 13 marzo 2007, 
causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (Racc. pag. I 2107, punto 124), nonch� 
sentenza Danske Slagterier, gi� citata (punti 60-62). 
14 � V. sentenze 26 febbraio 1986, causa 175/84, Krohn Import Export/Commissione (Racc. pag. 753, 
punto 27); 29 settembre 1987, causa 81/86, De Boer Buizen/Consiglio e Commissione (Racc. pag. 3677, 
punto 9), nonch� sentenza 30 maggio 1989, causa 20/88, Roquette fr�res/Commissione (Racc. p. 1553, 
punto 15).
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 67 
mento danni nei confronti della Comunit� � irricevibile, quando � diretta contro la stessa illegittimit� 
e tende ad ottenere lo stesso risultato patrimoniale del ricorso di annullamento dell�atto 
dell�istituzione che arreca il pregiudizio e che la persona lesa ha omesso di esperire 
tempestivamente (15). Ci� vale, in tali due casi, se l�importo delle pretese risarcitorie corrisponde 
all�importo che le autorit� nazionali o comunitarie hanno riscosso in violazione del 
diritto comunitario. In qualche modo dunque, la Corte oppone al ricorso per risarcimento dei 
danni un�eccezione di ricorso parallelo, nella misura in cui l�azione di ripetizione dell�indebito 
� ovverosia, se lo si preferisce, il ricorso di annullamento del provvedimento nazionale o comunitario 
di tassazione � dinanzi alle autorit� nazionali o comunitarie avrebbe consentito la 
riparazione del danno in modo adeguato (16) e quando il ricorso per risarcimento danni dissimula 
in realt� un�azione di ripetizione dell�indebito. 
21. Ebbene, la Corte ha parimenti statuito che �i presupposti in presenza dei quali sorge la 
responsabilit� dello Stato per i danni cagionati ai singoli in conseguenza della violazione del 
diritto comunitario non devono essere diversi, in mancanza di specifica giustificazione, da 
quelli che disciplinano la responsabilit� della Comunit� in circostanze analoghe. Infatti, la tutela 
dei diritti attribuiti ai singoli dal diritto comunitario non pu� variare in funzione della natura, 
nazionale o comunitaria, dell�organo che ha cagionato il danno� (17). 
22. Se si considera ora la causa principale, occorre rilevare che il danno di cui � richiesto 
il risarcimento consiste unicamente nell�importo dell�IVA, oltre agli interessi legali, che la ricorrente 
nella causa principale ha dovuto versare in violazione del diritto comunitario. In una 
simile ipotesi, per porre rimedio al danno subito sarebbe stato sufficiente che quest�ultima 
agisse per la ripetizione dei tributi indebitamente versati sulla base dell�effetto diretto delle 
disposizioni della sesta direttiva IVA violate(18). Infatti, si evince da costante giurisprudenza 
che il diritto di ottenere il rimborso dei tributi riscossi da uno Stato membro in contrasto con 
le norme di diritto comunitario � la conseguenza e il complemento dei diritti riconosciuti ai 
singoli dalla disposizione ad effetto diretto violata (19). Dunque, la ricorrente nella causa principale 
avrebbe potuto chiedere, come consentito dalla normativa spagnola, entro il termine 
impartito di quattro anni, la rettifica delle proprie autoliquidazioni per gli esercizi 1999 e 2000 
e il rimborso delle somme dell�IVA indebitamente versate relativamente a tali esercizi, ma 
essa ha omesso di farlo. In tali circostanze, subordinando la recevibilit� dell�azione di risarcimento 
a carico dello Stato legislatore per violazione del diritto comunitario a una previa 
contestazione dell�atto amministrativo all�origine del danno, adottato sulla base di una legge 
contraria al diritto comunitario, il Tribunal Supremo si limita dunque a subordinare l�azione 
15 � V. sentenze 12 novembre 1981, causa 543/79, Birke/Commissione e Consiglio (Racc. pag. 2669, 
punto 28) e causa 799/79, Bruckner/Commissione e Consiglio (Racc. pag. 2697, punto 19); ordinanza 
26 ottobre 1995, cause riunite C-199/94 P e C-200/94 P, Pevasa e Inpesca/Commissione (Racc. pag. I 
3709, punti 26-28), nonch� sentenza 14 settembre 1999, causa C-310/97 P, Commissione/AssiDom�n 
Kraft Products e a. (Racc. p. I 5363, punto 59). 
16 � V. sentenza 18 gennaio 2001, causa C 150/99, Stockholm Lind�park (Racc. pag. I 493, punto 35). 
17 � Sentenza Brasserie du p�cheur e Factortame, gi� citata, punto 42; nonch� sentenza 4 luglio 2000, 
causa C-352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione (Racc. pag. I 5291, punto 41). 
18 � Infatti, l�art. 17, n. 2 di tale direttiva si � visto riconoscere un effetto diretto (v. sentenza 6 luglio 
1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, (Racc. pag. I 1883, punti 32 36). 
19 � V., ad esempio, sentenze 9 novembre 1983, causa 199/82, San Giorgio (Racc. pag. 3595, punto 12) 
e Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, gi� citata.
68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
di responsabilit� all�esperimento dell�azione di ripetizione dell�indebito della quale la ricorrente 
nella causa principale avrebbe potuto avvalersi. 
23. Ne segue che il fatto di subordinare la ricevibilit� dell�azione di risarcimento a carico 
dello Stato per legge contraria al diritto comunitario alla condizione che la persona lesa abbia 
previamente impugnato l�atto amministrativo fondato su tale legge non �, in via di principio, 
contraria al principio di effettivit�, poich� contestando tempestivamente la validit� dell�atto 
lesivo, la vittima avrebbe potuto ottenere la riparazione dell�intero danno allegato. 
24. Affinch� il principio di effettivit� sia rispettato, � altres� necessario che il diritto nazionale 
non assoggetti il ricorso per responsabilit� extracontrattuale dello Stato per violazione 
di carattere legislativo del diritto comunitario a modalit� procedurali che rendano praticamente 
impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento. Inoltre, � necessario che il diritto 
nazionale non assoggetti l�azione di ripetizione dell�indebito, al cui previo esperimento 
� subordinata la ricevibilit� del suddetto ricorso per responsabilit�, a modalit� procedurali che 
rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l�esercizio di tale azione (20). 
25. Si tratta quindi di accertare se il termine quadriennale decorrente dalla presentazione 
da parte del soggetto passivo delle proprie autoliquidazioni, nell�ambito del quale il diritto 
spagnolo circoscrive la domanda di rettifica, renda praticamente impossibile o eccessivamente 
difficile l�esercizio dell�azione di ripetizione delle imposte versate in violazione del diritto 
comunitario. 
26. Su tale punto, il diritto comunitario ammette la fissazione di termini ragionevoli a pena di 
decadenza per l�esercizio dell�azione di ripetizione dell�indebito nell�interesse della certezza del 
diritto, che tutela nello stesso tempo il contribuente e l�amministrazione interessata (21). Tali termini 
ragionevoli non possono essere considerati come contrari al principio di effettivit�, anche 
se, per definizione, lo spirare di detti termini comporta il rigetto dell�azione esperita (22). � stato 
pertanto dichiarato ragionevole, in materia di ripetizione dell�indebito, un termine nazionale di 
decadenza di tre anni che decorre dalla data del pagamento dei tributi di cui trattasi (23). 
27. A maggior ragione, un termine di quattro anni, quale previsto dalla normativa spagnola, 
era dunque conforme al principio di effettivit�, nonostante fosse gi� decorso e non consentisse 
pi� di domandare la rettifica delle autoliquidazioni relative agli esercizi 1999 e 2000 nel momento 
in cui la Corte ha reso la propria sentenza in cui dichiara l�incompatibilit� della legge 
spagnola con le disposizioni della sesta direttiva IVA. Infatti, l�azione di ripetizione dell�indebito 
non dipende dal previo riscontro, da parte della Corte, del contrasto dell�imposizione 
con il diritto comunitario, dal momento che il principio del primato del diritto obbliga l�am- 
20 � Come ricordato iterativamente dalla giurisprudenza. V., ad esempio, relativamente al ricorso per 
responsabilit� a carico dello Stato per legge contraria al diritto comunitario, sentenze 10 luglio 1997, 
causa C-261/95, Palmisani (Racc. pag. I 4025, punto 27); 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants 
in the FII Group Litigation (Racc. pag. I 11753, punto 219); relativamente all�azione di ripetizione 
dell�indebito, sentenze Metallgesellschaft e a., gi� citata (punto 85), nonch� Test Claimants in the FII 
Group Litigation, gia citata (punto 203). 
21 � V. sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe Zentralfinanz e Rewe Zentral (Racc. pag. 1989, 
punto 5); 17 luglio 1997, causa C-90/94, Haahr Petroleum (Racc. pag. I 4085, punto 48); 17 novembre 
1998, causa C-228/96, Aprile (Racc. pag. I 7141, punto 19), nonch� sentenza 28 novembre 2000, causa 
C-88/99, Roquette Fr�res (Racc. pag. I 10465, punto 22). 
22 � V. sentenze 2 dicembre 1997, causa C-188/95, Fantask e a. (Racc. pag. I 6783, punto 48), e 28 novembre 
2000, Roquette Fr�res, gi� citata (punto 23). 
23 � V. sentenza 15 settembre 1998, causa C-231/96, Edis (Racc. pag. I 4951, punti 39 e 49).
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 
ministrazione e il giudice nazionale a scartare, di propria iniziativa, senza attendere una siffatta 
constatazione da parte della Corte, la legge fiscale che essi ritengono contraria al diritto comunitario 
(24). 
C � Il principio di equivalenza 
28. Si tratta, in questa sede, di stabilire se le differenti modalit� procedurali alle quali il diritto 
spagnolo assoggetta l�azione di risarcimento a carico dello Stato legislatore, in funzione 
del fatto che questa si fondi sulla violazione del diritto comunitario ovvero sull�inosservanza 
della Costituzione, non siano contrarie al principio di equivalenza. Infatti, la condizione di 
previo esaurimento dei mezzi di ricorso avverso l�atto amministrativo lesivo adottato in applicazione 
della legge vale solo per le azioni di risarcimento a carico dello Stato per legge 
contraria al diritto comunitario e non anche per quelle fondate su una legge incostituzionale. 
Le modalit� procedurali delle prime azioni sono quindi, a priori, pi� restrittive rispetto a quelle 
previste per le seconde. 
29. Ebbene, il rispetto del principio di equivalenza impone che le condizioni fissate dal diritto 
nazionale in materia di risarcimento del danno non siano meno favorevoli nel caso di responsabilit� 
fondata sul diritto comunitario rispetto a quando essa sia fondata sul diritto interno 
(25) o, ancora, che la modalit� procedurale controversa si applichi indifferentemente ai ricorsi 
fondati sulla violazione del diritto comunitario e a quelli fondati sull�inosservanza del diritto 
interno, fermo restando che uno Stato membro non � tenuto ad estendere a tutte le azioni di 
risarcimento fondate sulla violazione del diritto comunitario la sua disciplina interna pi� favorevole 
in materia di responsabilit� (26). 
30. Tuttavia, affinch� il principio di equivalenza trovi applicazione, � ancora necessario 
che i due ricorsi siano simili (27). Per poterlo stabilire, � necessario procedere ad una comparazione 
con riguardo al loro oggetto, alla loro finalit� e ai loro elementi essenziali (28). Poich� 
� chiaro che esse hanno in comune lo stesso oggetto (risarcimento del danno) e la stessa finalit� 
(illiceit� del comportamento lesivo), resta allora da stabilire se l�azione per responsabilit� 
dello Stato, fondata sulla violazione di carattere legislativo del diritto comunitario, differisca, 
nei suoi elementi essenziali (29), dall�azione per responsabilit� dello Stato per inosservanza 
della Costituzione da parte della legge, sicch� troverebbe giustificazione il diverso trattamento 
procedurale applicato dal diritto spagnolo. 
31. Per giustificare la differenza di trattamento procedurale tra le due azioni di responsabilit�, 
il giudice del rinvio avanza diverse considerazioni che, in sostanza, si risolvono nel- 
24 � V. sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal (Racc. pag. 629) e 22 giugno 1989, causa 
103/88, Costanzo (Racc. pag. 1839, punto 31). Pur nella consapevolezza dell�attuale presenza in Spagna 
di un dibattito sulla portata e le modalit� concrete di applicazione di tale obbligo comunitario (v. sentenza 
del Tribunal Constitucional 19 aprile 2004, n. 58/2004); note Alonso Garcia, R., CMLR 2005, pag. 535; 
Mart�n Rodr�guez, P. J., Revista Espanola de Derecho Constitucional, 2004, pag. 315. 
25 � V. sentenze gi� citate, Brasserie du p�cheur e Factortame (punto 67), Palmisani (punto 27), nonch� 
la sentenza Danske Slagterier (punto 31). 
26 � V., in tal senso, in merito all�azione di ripetizione dell�indebito, sentenza Edis, gi� citata (punto 
36). Va rilevato che la Corte utilizza indifferentemente le due procedure, mentre esse potrebbero non 
essere del tutto equivalenti (v., ad esempio, sentenza 1� dicembre 1998, causa C-326/96, Levez, Racc. 
pag. I 7835, punti 37 e 41). 
27 � Ovverosia �comparabili� (v. mie conclusioni nella causa van der Weerd e a., gi� citata, punto 15). 
28 � V. sentenza 16 maggio 2000, causa C-78/98, Preston e a. (Racc. pag. I 3201, punto 57). 
29 � V. nello stesso senso, sentenza Palmisani, gi� citata, punto 38.
70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
l�assunto che la previa contestazione dell�atto amministrativo lesivo �, a differenza del caso 
in cui il suddetto atto si fondi su una legge contraria al diritto comunitario, praticamente impossibile 
o eccessivamente difficile nel caso in cui tale atto sia stato adottato sulla base di una 
legge incostituzionale, sicch� imporla quale condizione preliminare all�azione di risarcimento 
a carico dello Stato legislatore per violazione della Costituzione condannerebbe tale ricorso 
all�inefficacia. In definitiva, il soggetto potrebbe pi� difficilmente contestare la costituzionalit� 
di una legge che la sua compatibilit� con il diritto comunitario. 
32. Ci� varrebbe anzitutto per via della differenza tra l�effetto delle sentenze del Tribunal 
Constitucional che dichiarano l�incostituzionalit� di una legge spagnola e quello delle pronunce 
pregiudiziali della Corte dalle quali emergerebbe l�incompatibilit� di una legge nazionale 
con il diritto comunitario. La dichiarazione di incostituzionalit� della legge determina la 
nullit� della stessa, cio� la sua scomparsa ex tunc, mentre, al contrario, una sentenza della 
Corte, da cui risulta l�incompatibilit� di una legge nazionale con il diritto comunitario non 
comporta di per s� la nullit� della suddetta legge. Ci� � incontestabile. 
33. Tuttavia, tale argomento relativo all�effetto retroattivo della dichiarazione di nullit� di 
una legge incostituzionale � in contrasto con la logica dell�argomentazione avanzata dal Tribunal 
Supremo a giustificazione del trattamento pi� favorevole concesso alle azioni di responsabilit� 
per leggi incostituzionali rispetto a quello applicato alle azioni di responsabilit� 
per leggi contrarie al diritto comunitario. Tale argomento deporrebbe piuttosto a favore della 
(maggiore) efficacia dei mezzi di ricorso avverso l�atto lesivo adottato in applicazione della 
legge incostituzionale e imporrebbe, di conseguenza, in nome del rispetto del principio di 
equivalenza, il previo esaurimento quale condizione anche dell�azione di responsabilit� dello 
Stato per violazione di carattere legislativo della Costituzione. 
34. Del resto, tale argomento � errato in fatto. In forza di una giurisprudenza ben consolidata 
(30), in linea di principio, gli effetti di una pronuncia pregiudiziale di interpretazione, se si 
guarda al loro valore dichiarativo, sono parimenti retroattivi: l�interpretazione di una norma 
comunitaria data dalla Corte chiarisce e precisa il significato e la portata di detta norma, quale 
avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore, sicch� tale 
interpretazione retroagisce alla data di entrata in vigore della norma interpretata e la norma di 
diritto cos� interpretata dev�essere applicata anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima 
della pronuncia della sentenza della Corte. Inoltre, come affermato dal giudice a quo e precisato 
in udienza dal governo spagnolo, la nullit� della legge incostituzionale spagnola non determina 
automaticamente la nullit� degli atti amministrativi adottati sulla base di quest�ultima; 
spetta al giudice cui � sottoposta la controversia determinare nel caso specifico la portata della 
nullit� della legge incostituzionale. Ne deriva che il soggetto, avvalendosi della dichiarazione 
di nullit� della legge incostituzionale, deve chiedere l�annullamento degli atti amministrativi 
adottati sulla base della legge e, se non agisce nei termini prescritti, potrebbe eventualmente 
scontrarsi, per ragioni di certezza del diritto, con l�autorit� di cosa definitivamente giudicata. 
In altri termini, decorso il termine di prescrizione, un contribuente non pu� pi� contestare 
l�avviso di accertamento, neanche avvalendosi di una dichiarazione di incostituzionalit� della 
legge fiscale. Anche qualora lo stesso diritto nazionale non preveda tale possibilit�, il diritto 
comunitario non obbliga l�organo amministrativo a rivedere una decisione perfino divenuta 
30 � V., da ultimo, sentenza 12 febbraio 2008, causa C-2/06, Kempter (Racc. pag. I 411, punti 35 e 36, 
e la giurisprudenza ivi citata).
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 
definitiva in seguito alla scadenza dei termini ragionevoli di ricorso, al fine di garantire la 
piena efficacia del diritto comunitario come interpretato nella pronuncia pregiudiziale posteriore, 
nonostante l�effetto ex tunc di quest�ultima (31). Non si ravvisa quindi una differenza 
significativa tra gli effetti delle dichiarazioni di incostituzionalit� di una legge nazionale ad 
opera del Tribunal Constitucional spagnolo e quelli delle pronunce pregiudiziali di interpretazione 
della Corte. 
35. La seconda differenza avanzata dal Tribunal Supremo, secondo la quale la previa contestazione 
dell�atto lesivo sarebbe pi� semplice quando esso � adottato in applicazione di una 
legge contraria al diritto comunitario rispetto al caso in cui si fondi su una legge incostituzionale, 
� legata alla presunzione di costituzionalit� della quale gode la legge spagnola. Da ci� 
derivano, infatti, due conseguenze. 
36. La prima � che il soggetto non � titolare dell�azione diretta a far valere l�incostituzionalit� 
della legge, egli pu� soltanto chiedere, ma non costringere, il giudice adito a rinviare 
tale questione al Tribunal Constitucional. Per contro, la Corte ha dichiarato che il principio 
del primato del diritto obbliga il giudice nazionale investito della causa, su richiesta di una 
delle parti, a disapplicare una legge contraria al diritto comunitario (32). Tuttavia, la dichiarazione 
dell�incompatibilit� di una legge con una norma comunitaria dipende molto spesso 
dall�interpretazione che si d� a quest�ultima e il rinvio pregiudiziale alla Corte effettuato, 
eventualmente, allo scopo di precisare la suddetta interpretazione �, anch�esso, estraneo a 
ogni iniziativa delle parti e dipende completamente dalla valutazione sulla pertinenza e la necessit� 
di detto rinvio compiuta dal giudice nazionale (33). Certamente, ai sensi dell�art. 234 
CE, i giudici nazionali le cui decisioni non sono suscettibili di ricorso, qualora si presenti una 
questione di interpretazione del diritto comunitario, devono rinviarne l�esame alla Corte. Come 
� noto, per�, la teoria dell�acte clair (34), in determinati casi e a determinate condizioni, libera 
il giudice nazionale supremo da tale obbligo di rimessione. Da un altro lato, la libert� del giudice 
spagnolo di rinviare una questione di costituzionalit� della legge non � cos� ampia. Infatti, 
si desume dagli artt. 163 della Costituzione spagnola e 35 della legge organica relativa al Tribunal 
Constitucional (35), come interpretati dallo stesso Tribunal Constitucional (36), che i 
soggetti, mettendo in discussione la costituzionalit� di una legge dinanzi al giudice investito 
della causa principale, possano costringere quest�ultimo a un previo esame e, qualora anch�egli 
ritenga la legge incostituzionale, a rimettere la detta questione di costituzionalit� della legge 
al Tribunal Constitucional. Le possibilit� di mettere in discussione, dinanzi al giudice nazionale 
della causa principale, la costituzionalit� della legge o la sua compatibilit� con il diritto 
comunitario non sono molto differenti (37). D�altra parte, occorre aggiungere che il soggetto, 
che non abbia ottenuto dal giudice nazionale il rinvio della questione di costituzionalit� della 
legge al Tribunal Constitucional, pu� avvalersi ancora della possibilit� di investire diretta- 
31 � V. sentenza 13 gennaio 2004, causa C-453/00, K�hne & Heitz (Racc. pag. I 837). 
32 � V. sentenza Simmenthal, gi� citata. 
33 � Per un riferimento recente, v. sentenze Cartesio, gi� citata, punti 90 e 91, nonch� Kempter, gi� 
citata, punti 41 e 42, e giurisprudenza ivi citata. 
34 � Sancita dalla Corte: v. sentenza 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit e a. (Racc. pag. 3415). 
35 � Ley Org�nica 3 ottobre 1979, n. 2/1979 (BOE del 5 ottobre 1979, pag. 23180). 
36 � V. sentenza 18 aprile 1988, n. 67/1988. 
37 � In tal senso v. anche Alonso Garcia, R., �La responsabilidad patrimonial del Estado-legislador, en 
especial en los casos de infracci�n del Derecho Comunitario�, QDL n. 19, 2009.
72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
mente di tale questione il Tribunal Constitucional avvalendosi dello strumento del �recurso 
de amparo� (ricorso per la tutela dei diritti fondamentali), mentre non dispone evidentemente 
di un simile mezzo per mettere direttamente in discussione la legge riguardo al diritto comunitario 
n� dinanzi al giudice nazionale n� dinanzi alla Corte. 
37. La seconda conseguenza che deriva dalla presunzione di costituzionalit� di cui gode la 
legge spagnola � che l�amministrazione � obbligata ad applicarla. Da ci� scaturisce una presunzione 
di legittimit� degli atti amministrativi che ne derivano. Detto in altri termini, ogni 
ricorso amministrativo inteso a mettere in discussione un atto amministrativo, a motivo dell�incostituzionalit� 
della legge che esso applica, deve essere respinto. Per contro, il principio 
del primato del diritto obbliga non soltanto il giudice nazionale ma altres� l�amministrazione 
nazionale a disapplicare una legge contraria al diritto comunitario (38) e, di conseguenza, ad 
accogliere un ricorso amministrativo presentato avverso il provvedimento amministrativo da 
essa derivato. 
38. Tuttavia, le due situazioni non sono realmente comparabili. La presunzione di costituzionalit� 
della legge nazionale deriva dall�autorit� superiore all�amministrazione riconosciuta 
al legislatore per interpretare la Costituzione. Soltanto il giudice costituzionale pu� vincere 
tale presunzione in un sistema centralizzato di controllo di costituzionalit�. Si tratta della conseguenza 
della separazione dei poteri interna all�ordinamento costituzionale di tale Stato. Ma, 
quando l�amministrazione deve dirimere un conflitto tra norme nazionali e comunitarie, essa 
non agisce pi� esclusivamente nell�ambito del proprio ordinamento costituzionale interno. Al 
contrario, essa deve confrontarsi con due volont� legislative opposte, provenienti da due ordinamenti 
giuridici differenti sebbene integrati, e che si vedono riconoscere delle presunzioni 
di validit� differenti. � questa la ragione per la quale il rispetto della legge nazionale che l�amministrazione 
deve osservare nell�ambito dell�ordinamento costituzionale interno non pu� essere 
puramente e semplicemente trasposto nell�ambito delle relazioni tra tale ordinamento 
giuridico e l�ordinamento giuridico comunitario. Considerato in s�, l�obbligo per l�amministrazione 
nazionale di non applicare norme nazionali incompatibili con il diritto comunitario, 
di qualunque tipo esse siano, non deriva da un�ipotetica presunzione inversa di incompatibilit� 
del diritto nazionale con il diritto comunitario. Piuttosto, � a causa del fatto che, nell�ordinamento 
giuridico comunitario, gli atti comunitari godono di una presunzione di validit� pari a 
quella di cui godono le leggi nazionali nell�ordinamento giuridico interno, che l�amministrazione 
deve disporre di un criterio per dirimere il conflitto tra il diritto comunitario e une legge 
nazionale allorquando essa si confronta con esso. Tale criterio � fornito dal principio del primato 
del diritto. Pertanto, quando l�amministrazione disapplica una legge nazionale contraria 
al diritto comunitario, essa non fa venir meno la presunzione di validit� delle leggi nazionali 
n� pregiudica il principio costituzionale interno di separazione dei poteri. Al contrario, essa � 
di fronte ad un�equivalente presunzione di validit� della norma comunitaria e risolve tale conflitto 
sulla base del principio del primato del diritto comunitario. In ogni caso, anche se i presupposti 
sono diversi e che, dunque, le due situazioni possono essere difficilmente comparate 
dal punto di vista dei principi, si ha che, sul piano pratico, il soggetto gode nei confronti dell�amministrazione 
di una protezione contro la legge contraria al diritto comunitario della quale 
non gode contro la legge incostituzionale. 
38 � V. sentenze Costanzo, gi� citata (punto 31), e 9 settembre 2003, causa C-198/01, CIF (Racc. pag. 
I 8055, punto 49).
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 
39. Tuttavia non � chiaro se le possibilit� pi� limitate delle quali dispongono i soggetti per 
contestare la costituzionalit� di una legge in funzione della presunzione di costituzionalit� 
della quale gode quest�ultima, confrontate a quelle per contestare la compatibilit� di una legge 
con il diritto comunitario, siano tali da giustificare che l�azione per responsabilit� dello Stato 
legislatore per violazione del diritto comunitario sia subordinata al previo esaurimento di tutti 
i mezzi di ricorso, amministrativi e giurisdizionali, avverso l�atto amministrativo lesivo, adottato 
in applicazione della legge, contrariamente a quanto accade per la responsabilit� dello 
Stato legislatore per la violazione della Costituzione. 
40. Come si � visto, in realt�, � solo dinanzi all�amministrazione che la tutela contro la 
legge incompatibile con il diritto comunitario � incontestabilmente pi� forte rispetto alla tutela 
contro la legge incostituzionale. A pena di violare il principio comunitario di equivalenza, 
una simile differenza non � tuttavia tale da giustificare la subordinazione dell�azione di risarcimento 
a carico dello Stato per violazione di carattere legislativo del diritto comunitario al 
previo esaurimento di tutti i mezzi di ricorso non soltanto amministrativi ma anche giurisdizionali 
avverso l�atto amministrativo adottato sulla base della legge, mentre tale condizione 
non � imposta nel caso di azione di risarcimento per una legge che violi la Costituzione. 
III � Conclusione 
41. Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che la questione sollevata dal Tribunal 
Supremo vada risolta nel modo seguente: 
�1) Subordinare l�azione di risarcimento a carico dello Stato per violazione di carattere legislativo 
del diritto comunitario alla previa contestazione della validit� dell�atto amministrativo, 
adottato in applicazione della legge, non � contrario al principio di effettivit�, in quanto 
attraverso la tempestiva contestazione della validit� di detto atto amministrativo, il soggetto 
avrebbe potuto ottenere la riparazione dell�intero danno allegato. 
2) Subordinare l�azione di risarcimento a carico dello Stato per violazione di carattere legislativo 
del diritto comunitario alla previa contestazione della validit� dell�atto amministrativo 
adottato in applicazione della legge � contrario al principio di equivalenza, in quanto 
l�azione per responsabilit� dello Stato per violazione di carattere legislativo della Costituzione 
non � subordinata a una tale condizione e le possibilit� di contestare l�atto amministrativo 
adottato in applicazione della legge non sono significativamente diverse a seconda che si contesti 
la sua costituzionalit� o la sua conformit� al diritto comunitario�.
74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Dossier 
Titolarit� e gestione delle farmacie 
nella normativa comunitaria ed italiana 
di Flaminia Giovagnoli* 
SOMMARIO: 1. Premessa; -2. Le farmacie private; -3. Le farmacie comunali; -4. L�intervento 
della Corte Costituzionale, 8-24 luglio 2003, n. 275; -5. Le principali novit� del decreto 
Bersani e la Circolare del Ministero della salute del 3 ottobre 2006, n. 3; -6. Il Consiglio di 
Stato Sez. V, 8 maggio 2007, n. 2118; -7. Il parere della Corte dei Conti, Sez. Reg. di Controllo 
per la Puglia del 27 febbraio 2008, n. 3; -8. La direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle 
qualifiche professionali e il decreto legge di recepimento del 6 novembre 2007, n. 206; -9. La 
sentenza della Corte di Giustizia delle Comunit� europee nella causa C-531/06 del 19 maggio 
2009; -10. Le conclusioni dell�Avvocato generale nelle cause riunite C-570/07 e C-571/07. 
1. Premessa 
Il presente lavoro si propone di offrire un quadro quanto pi� esaustivo e 
chiaro della disciplina relativa alla titolarit� e gestione delle farmacie in Italia. 
Ad una breve disamina delle due possibili forme di esercizio, l�una relativa 
alle farmacie private e l�altra alle farmacie comunali, seguir� un necessario 
rinvio alla giurisprudenza nazionale pertinente e la trattazione della recente e 
fondamentale sentenza C-531/06 della Corte di Giustizia (1) secondo cui la 
normativa nazionale vigente in Italia � compatibile con il Trattato delle Comunit� 
Europee e con le finalit� ivi contenute, non essendo ravvisabile alcuna 
vioalzione degli articoli 43 e 56 TCE. 
2. Le farmacie private 
La gestione delle farmacie private � attualmente disciplinata in numerosi 
provvedimenti legislativi ed in particolare nella legge 8 novembre 1991 n. 362 
contenente le norme di riordino del settore farmaceutico (2) e nella legge 2 
aprile 1968 n. 475 relativa alle disposizioni concernenti il servizio farmaceutico 
(3). La normativa prevede che la titolarit� di una farmacia possa essere conse- 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
(1) Pubblicata integralmente in Rassegna n. 2/09, 141 e ss., e riproposta per comodit� del lettore 
in appendice al presente articolo per le parti pi� rilevanti. 
(2) GU n. 269 del 16 novembre 1991. 
(3) GU n. 107 del 27 aprile 1968. 
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 
guita con procedure concorsuali, organizzate dalle Regioni e dalle Province 
Autonome di Trento e Bolzano, riservate ai cittadini degli Stati membri in possesso 
di diritti civili e politici ed iscritti all�albo professionale dei farmacisti o 
a societ� di persone e a societ� cooperative a responsabilit� limitata (4). 
Requisiti indispensabili per la titolarit� della farmacia, sono la laurea in 
farmacia e l�iscrizione al relativo albo (5). Nel caso in cui il titolare della farmacia 
sia una societ�, la direzione della stessa � affidata ad uno dei soci che ne 
� responsabile e di preminente importanza � il principio per cui la partecipazione 
alla societ� � incompatibile con qualsiasi altra attivit� esplicata nel settore 
della produzione (6), intermediazione e informazione scientifica del farmaco. 
Alle societ� titolari � fatto divieto di essere titolari dell�esercizio di pi� di quattro 
(7) farmacie ubicate nella provincia ove ha sede legale la societ�. Per quanto 
concerne le vicende successorie nella titolarit� dell�esercizio basti ricordare 
che, in caso di acquisto a titolo di successione (8) di una partecipazione in una 
societ�, qualora vengano meno i requisiti prescritti, l�avente causa cede la quota 
di partecipazione nel termine di due anni dall�acquisto. Tale termine si applica 
anche per la vendita della farmacia privata da parte degli aventi causa ai sensi 
del dodicesimo comma dell�articolo 12 della legge 2 aprile 1968, n. 475. 
3. Le farmacie comunali 
Per quanto riguarda la gestione delle farmacie comunali, cos� denominata 
perch� il titolare � il Comune mentre l�affidatario del servizio � un socio privato 
(9), occorre far riferimento al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, testo 
(4 ) La legge 4 agosto 2006 n. 248 �Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 
4 luglio 2006, n. 223 recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento 
e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonch� interventi in materia di entrate e di contrasto all�evasione 
fiscale�, all�articolo 5 ha eliminato il periodo �che gestiscano farmacie anteriormente alla data di 
entrata in vigore della presente legge� cos� come previsto nell�articolo 7, comma 1 della legge 8 novembre 
1991, n. 362. 
(5) La legge 4 agosto 2006 n. 248, articolo 5 ha riformato l�articolo 7, comma 2 della legge 8 novembre 
1991, n. 362 ove era previsto che la gestione delle farmacie private fosse riservata ai farmacisti 
iscritti all�albo della Provincia in cui ha sede la farmacia. 
(6) La legge 4 agosto 2006 n. 248, articolo 5, ha soppresso, dopo la parola �produzione�, il termine 
�distribuzione� dell�articolo 8, comma 1 a) della legge 8 novembre 1991, n. 362. 
(7) La legge 4 agosto 2006 n. 248, articolo 6 ter, ha elevato il numero massimo di farmacie di cui 
la societ� pu� essere titolare, da uno - come previsto nell�articolo 7, comma 5 della legge 8 novembre 
1991, n. 362 - a quattro. 
(8) La legge 4 agosto 2006 n. 248, articoli 9 e 10 ha modificato i commi 9 e 10 dell�articolo 7 
della legge 8 novembre 1991, n. 362. Cfr. infra paragrafo 5. 
(9) All�ente locale spetta la titolarit� della farmacia, con gli ampi poteri di cui sopra, mentre la 
gestione � di competenza del socio privato. Anche qualora la partecipazione al capitale societario sia 
prevalentemente privata, il comune assicura la prevalenza dell�interesse pubblico. Su tali profili la Repubblica 
italiana � stata invitata dalla Commissione a rispondere al quesito entro il 30 giugno 2008 in 
merito alla causa C-531/06, causa che verr� approfondita nel paragrafo 9. 
76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL) (10) e specificatamente 
all�articolo 116, comma 1, ivi contenuto (11). Ai sensi e per l�effetto di 
tale disposizione �Gli enti locali possono, per l�esercizio di servizi pubblici 
(12) costituire apposite societ� per azioni senza il vincolo della propriet� pubblica 
maggioritaria, anche in deroga a disposizioni di legge specifiche�. In ragione 
di ci� dunque i comuni possono costituire societ� per azioni i cui soci 
non debbono essere necessariamente farmacisti nel rispetto dei seguenti limiti. 
La scelta del socio privato di maggioranza deve avvenire con procedure ad evidenza 
pubblica, l�atto costitutivo delle societ� deve prevedere l�obbligo dell�ente 
locale di nominare uno o pi� amministratori e sindaci (13) ed inoltre, 
nel caso di servizi pubblici locali, una quota delle azioni pu� essere destinata 
all�azionariato diffuso e resta comunque sul mercato. L�ente pubblico � quindi 
chiamato a svolgere una serie di controlli e ad assicurare il rispetto delle prescrizioni 
imposte per una gestione del servizio a tutela della collettivit� in ossequio 
ai principi di efficienza ed economicit�. Il rapporto tra il Comune e il 
socio privato prescelto viene puntualmente regolato di volta in volta e diviene 
oggetto di controlli, decadenze e sanzioni rimesse alla volont� dell�ente locale 
(14). Quest�ultimo quindi, dotato di forti poteri pubblicistici e nel rispetto degli 
obblighi imposti dal codice civile, dal TUEL e dalla pertinente normativa, si 
assume una importante responsabilit�, a tutela dell�interesse pubblico della salute 
nei confronti della collettivit�, destinataria e fruitrice del servizio. 
4. L�intervento della Corte Costituzionale, 24 luglio 2003, n. 275 
Un intelligente ed approfondito esame della citata disciplina delle farmacie 
comunali non pu� prescindere da un rinvio al fondamentale intervento 
(10) GU n. 227 del 28 settembre 2000. 
(11) La normativa relativa alle modalit� di gestione delle farmacie comunali � stata oggetto nel 
corso del tempo di una serie di modifiche. In origine si � fatto ricorso allo strumento delle aziende 
speciali e delle gestioni in economia (come prevedeva il r.d. n. 2578 del 1925) ed in un secondo momento, 
con legge n. 142 del 1990 � stato introdotto lo strumento delle societ� di capitali a prevalente 
capitale pubblico. Al riguardo, il legislatore dapprima ha previsto la possibilit� di costituire societ� per 
azioni tra il Comune ed i farmacisti in servizio presso la farmacia di cui il Comune abbia acquisito la titolarit�, 
come previsto nell�articolo 9 della legge n. 475 del 1968, in seguito modificato dall�articolo 
10 della legge n. 362 del 1991 e successivamente, come sottolineato dal remittente, ha previsto la costituzione 
di societ� per azioni anche con prevalente capitale privato e senza predeterminazione legale dei 
soci ai sensi dell�articolo 116 del decreto legislativo n. 267 del 2000. 
(12) Il servizio farmaceutico � un servizio pubblico. L�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 
con ordinanza n. 1 del 30 marzo 2000 ha statuito che �Il titolare di una farmacia va considerato gestore 
di pubblico servizio in senso tecnico, ovverosia quello sanitario�. 
(13) Il Comune concorre alla formazione della volont� della societ�, � rappresentato nel consiglio 
di amministrazione e fa parte dell�organo di controllo interno. 
(14) Resta affidato alla volont� e alla disponibilit� del Comune il potere di modificare ed estinguere 
il rapporto con la societ� cui il servizio � affidato.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 77 
della Corte Costituzionale nella sentenza del 7 agosto 2003 n. 275. In questa 
occasione (15) la Consulta ha dichiarato l�illegittimit� costituzionale dell�articolo 
8, comma 1, lett. a) della legge 8 novembre 1991, n. 362, nella parte in 
cui non prevede che la partecipazione a societ� di gestione di farmacie comunali 
sia incompatibile con qualsiasi altra attivit� nel settore della produzione, 
distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco. 
La ratio dell�illegittimit� costituzionale della norma citata � evidente. Il Giudice 
ha voluto evitare ex ante il possibile conflitto di interessi derivante dalla 
sovrapposizione dell'attivit� di produzione e distribuzione del farmaco all'ingrosso 
con l'attivit� di gestione della farmacia. Prima di tale pronuncia la situazione 
di incompatibilit� e pericolo era vietata dalla specifica normativa 
solo nei confronti della persona fisica titolare della farmacia, mentre nessun 
analogo divieto vigeva invece per le farmacie comunali, alla cui gestione potevano 
partecipare anche societ� operanti nel settore della produzione e commercializzazione 
del farmaco. Tale diverso trattamento � apparso del tutto 
ingiustificato e irragionevole al giudice costituzionale che, premesso il comune 
interesse pubblico di tutela del bene �salute� in entrambe le gestioni 
del servizio, ha sostanzialmente uniformato la disciplina. Per tali ragioni, la 
norma censurata � stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte 
in cui non prevede che la partecipazione a societ� di gestione di farmacie comunali 
� incompatibile con qualsiasi altra attivit� nel settore della produzione, 
distribuzione (16), intermediazione ed informazione scientifica del farmaco. 
5. Le principali novit� del decreto Bersani e la Circolare del Ministero 
della salute del 3 ottobre 2006, n. 3 
Come si � avuto modo di comprendere sinora, la normativa nazionale 
nel settore del servizio pubblico farmacie � in continua evoluzione. I principali 
riferimenti legislativi sono per� tre: la legge 8 novembre 1991 n. 362 
(norme di riordino del settore farmaceutico), la legge 2 aprile 1968 n. 475 
(norme concernenti il servizio farmaceutico), nonch� il decreto legislativo 18 
agosto 2000 n. 267 (testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali 
- TUEL). 
Ai fini che ci interessano in questa sede, assume profili di notevole ri- 
(15) Il TAR della Lombardia, con ordinanza depositata il 26 luglio 2002, ha sollevato con riferimento 
agli articoli 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimit� costituzionale dell�articolo 
8, comma 1, lett. a) della legge 8 novembre 1991, n. 362, in relazione all�articolo 9 della medesima 
legge [recte: della legge 2 aprile 1968, n. 475], nella parte in cui non estende alle societ� che prendono 
parte alla gestione delle farmacie comunali il divieto, previsto per i farmacisti privati, di partecipare 
all'attivit� di produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del 
farmaco. 
(16) Cfr. supra nota 6.
78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
lievo la legge n. 248 del 4 agosto 2006 (17) che ha convertito in legge il 
decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 �Decreto Bersani� (18), predisponendo 
all�articolo 5 le misure urgenti nel campo della distribuzione dei farmaci (19). 
Prima dell�entrata in vigore della nuova disciplina, ai sensi dell�articolo 7, 
commi 5, 6 e 7 della legge 362 del 1991, la gestione delle farmacie private 
era riservata ai farmacisti iscritti all�albo della provincia in cui aveva sede 
l�esercizio. Per quanto riguardava le societ� titolari di farmacia, era previsto 
che ciascuna societ� potesse essere titolare di una sola farmacia ed ottenere 
la relativa autorizzazione purch� la farmacia fosse ubicata nella provincia 
ove aveva sede la societ� ed infine che il farmacista potesse essere socio di 
una sola farmacia. La nuova disciplina ha eliminato tali commi e le prescrizioni 
ivi contenute, con la previsione all�articolo 6 ter circa la possibilit� per 
le societ� di essere titolari dell�esercizio di non pi� di quattro farmacie ubicate 
ove la stessa ha la sede legale. Anche il regime di acquisto a titolo successorio 
� profondamente mutato: prima l�articolo 9 della citata legge stabiliva che in 
caso venissero meno i requisiti richiesti per la titolarit� l�avente causa dovesse 
cedere la partecipazione nel termine di tre anni dall�acquisizione. Mentre nel 
caso in cui l�avente causa era il coniuge, ovvero l�erede in linea retta entro il 
secondo grado, il suddetto termine veniva differito al compimento del trentesimo 
anno di et� dell�avente causa, ovvero, se successivo, al termine di 
dieci anni (20) dalla data di acquisizione della partecipazione, ci� valendo 
anche in caso di esercizio della farmacia privata da parte degli aventi causa 
(21). La nuova formulazione prevede all�articolo 9 che, qualora vengano 
meno i requisiti prescritti, l�avente causa cede la quota di partecipazione nel 
termine di due anni dall�acquisto, ci� valendo anche per la vendita della farmacia 
privata da parte degli aventi causa del farmacista. 
Premesso ci�, per completezza di informazione occorre rilevare che la 
nuova disciplina, integrata e specificata nella Circolare del Ministero della 
Salute del 3 ottobre 2006 n. 3, ha previsto la possibilit� di vendita di alcuni 
tipi di medicinali al di fuori delle farmacie, ponendo sempre e comunque l�ac- 
(17) GU n. 153 del 4 luglio 2006. 
(18) GU n. 186 dell�11 agosto 2006. Tale decreto, noto anche come �decreto sulle liberalizzazioni�, 
contiene varie misure finalizzate alla tutela del consumatore, alla promozione di assetti 
concorrenziali, al rilancio dell�economia e dell�occupazione attraverso la liberalizzazione di attivit� 
imprenditoriali e la creazione di nuovi posti di lavoro. 
(19) Si veda anche la Circolare del Ministero della Salute n. 3 del 30 ottobre 2006 relativa 
alla vendita di alcune tipologie di medicinali al di fuori della farmacia: �applicazione dell�articolo 
5, commi 1, 2, 3, 3 bis e 4 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 4 agosto 2006, n. 248�, GU n. 232 del 5 ottobre 2006 (da ora in poi abbreviato in Circolare). 
(20) Il predetto termine di dieci anni � applicabile esclusivamente nel caso in cui l�avente causa, 
entro un anno dalla data di acquisizione della partecipazione, si iscriva ad una facolt� di farmacia in 
qualit� di studente presso un�universit� statale o abilitata a rilasciare titoli aventi valore legale. 
(21) Articolo 12, comma 12 della legge dell�8 novembre 1991 n. 362. 
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 
cento sulla necessaria presenza e competenza del farmacista nel rapporto con 
il pubblico. La vendita al pubblico negli esercizi commerciali di cui all�articolo 
4, comma 1, d) ed e) del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114 (22) 
pu� essere effettuata, per quanto concerne i farmaci da banco o da automedicazione 
e tutti i farmaci e prodotti non soggetti a prescrizione medica (23), 
previa comunicazione al Ministero della Salute e alla Regione della sede 
dell�esercizio dell�attivit� (24). Tale vendita � consentita durante l�orario di 
apertura dell�esercizio, in un apposito reparto (25), alla presenza (26) e assistenza 
necessaria di uno o pi� farmacisti abilitati e iscritti all�ordine di appartenenza 
(27). Infine sono vietati concorsi e operazioni a premio, nonch� 
vendite sottocosto aventi ad oggetto i farmaci. Relativamente alla distribuzione, 
� fatta salva la possibilit� per ciascun distributore di determinare lo 
sconto sul prezzo indicato dal produttore o dal distributore sulla confezione 
del farmaco, purch� questo sia esposto in modo chiaro e leggibile al consumatore 
e sia praticato a tutti gli acquirenti. 
(22) La Circolare prevede tre tipologie di esercizi commerciali all�articolo 1. Gli esercizi di vicinato: 
aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq. nei Comuni con popolazione residente inferiore 
a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei Comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti; le 
medie strutture di vendita: gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente e 
fino a 1.500 mq. nei Comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq. nei 
Comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti ed infine le grandi strutture di vendita: 
gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente. 
(23) Si veda l�articolo 2 della Circolare. 
(24) L�articolo 7 della Circolare chiarisce che ҏ opportuno che la comunicazione inviata al Ministero 
della Salute, priva degli allegati, sia trasmessa anche a tale agenzia. Poich� inoltre la vigilanza 
sulla vendita al pubblico negli esercizi commerciali, ai sensi della normativa sul commercio, � di competenza 
dei comuni, appare necessario, al fine di consentire l�espletamento delle relative funzioni amministrative 
in materia di commercio, che la comunicazione di avvio dell�attivit� di vendita dei farmaci 
sia inviata per conoscenza anche al Comune dove ha sede l�esercizio.� Cfr. articolo 1 del decreto Bersani. 
(25) Ai sensi dell�articolo 5 della Circolare per �apposito reparto� deve intendersi uno spazio dedicato 
esclusivamente alla vendita e conservazione dei medicinali da banco o da automedicazione e di 
tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica. Tale spazio dedicato pu� assumere forme 
diverse in base al tipo di esercizio commerciale in cui ha luogo la vendita. Pu� trattarsi di un apposito 
corner oppure di un singolo scaffale o anche di una parte di uno scaffale, purch� gli spazi siano chiaramente 
separati in modo da escludere la commistione con altri tipi di prodotti 
(26) Nell�articolo 3 della Circolare � disposto che �La presenza del farmacista deve essere garantita 
per tutto l�orario di apertura dell'esercizio commerciale. Anche se non � tenuto a consegnare personalmente 
a tutti i clienti ogni singola confezione di medicinale, il farmacista � obbligato ad una assistenza 
�attiva� del cliente, mediante consigli, ove richiesti, ma anche ove riscontri un'incertezza nel comportamento 
del cliente. E� opportuno che il farmacista indossi il distintivo professionale adottato dalla Federazione 
nazionale degli ordini dei farmacisti che riporta il caduceo. In ogni caso il farmacista deve 
distinguersi chiaramente da eventuale altro personale che lavori nell�apposito spazio. E� opportuno che 
il titolare dell�esercizio commerciale comunichi all�ordine dei farmacisti territorialmente competente le 
generalit� del farmacista o dei farmacisti che svolgono le attivit� di cui all�articolo 5, comma 2 del decreto 
legge n. 223 del 4 luglio 2006, provvedendo in seguito agli eventuali, necessari aggiornamenti 
della comunicazione.� 
(27) Articolo 2 del decreto Bersani.
80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
6. Il Consiglio di Stato Sez. V, 8 maggio 2007, n. 2118 
Il rilievo e il merito dell�intervento in materia del Consiglio di Stato consiste 
nell�applicazione chiara e puntuale della normativa sulla titolarit� della 
farmacia in caso di gestione provvisoria ereditaria, offrendo al giudice amministrativo 
l�occasione per sottolineare che gli eredi del de cuius possono 
solo continuarne l�esercizio provvisorio, non essendo n� titolari n� responsabili 
di esso. Tale situazione rappresenta nella normativa nazionale una 
forma di gestione di farmacie da parte di soggetti non farmacisti. E� previsto 
che la farmacia ereditata deve essere gestita, per tutto il periodo transitorio, 
sotto la responsabilit� di un farmacista laureato. Pertanto gli eredi non possono, 
in tale contesto, essere assimilati ad altri gestori che non possiedono la 
qualit� di farmacisti. Si deve inoltre rilevare che detta eccezione ha soltanto 
effetti temporanei. Infatti gli eredi devono effettuare di regola il trasferimento 
dei diritti di gestione della farmacia ad un farmacista nel termine di un solo 
anno. Soltanto nel caso di una partecipazione ad una societ� di gestione di 
una farmacia costituita da farmacisti, gli aventi diritto dispongono di un termine 
pi� lungo per la sua cessione ossia tre anni a decorrere dall�acquisto 
della partecipazione. Tali eccezioni sono quindi volte a consentire agli aventi 
diritto di cedere la farmacia ad un farmacista entro un termine che non risulta 
irragionevole. 
Nel caso deciso dal Consiglio di Stato l�appellante era subentrata nella 
titolarit� della farmacia a seguito del decesso del marito. In tale qualit�, la ricorrente 
rivendicava il diritto a percepire l�indennit� di residenza per sedi disagiate, 
negatole dall�ASL de l�Aquila, che aveva ritenuto che detta indennit� 
spettasse al direttore responsabile della farmacia. La ricorrente sosteneva invece 
che l�emolumento in questione le competesse in quanto titolare della 
farmacia (28). Il TAR Abruzzo, sede de L�Aquila, con sentenza n. 435 del 31 
luglio 2002 respingeva il ricorso. La ricorrente quindi proponeva appello avverso 
la sentenza di primo grado, deducendone l�erroneit� e l�ingiustizia e 
chiedendone l�annullamento e/o la riforma, per erronea interpretazione degli 
articoli 2 e 3 della legge 8 marzo 1968, n. 221 (29). Senza voler indugiare 
sulla disciplina in materia di farmacie rurali, il Consiglio di Stato ha respinto 
(28) Oggetto della doglianza era la spettanza dell�emolumento al direttore della farmacia. Secondo 
la ricorrente tale beneficio economico spetta solo quando tale figura sostituisca il titolare nei casi consentiti 
(infermit�, ferie, servizio militare, ecc.) dai quali esula il caso in cui il direttore sostituisca stabilmente 
il titolare, comՏ nella specie. 
(29) L�articolo 1 della legge 8 marzo 1968, n. 221 stabilisce che le farmacie sono classificate 
in due categorie. Accanto alle farmacie urbane, situate in Comuni o centri abitati con popolazione 
superiore a 5.000 abitanti, sono previste le farmacie rurali ubicate in comuni, frazioni o centri 
abitati con popoazione non superiore a 5.000 abitanti. Non vengono classificate farmacie rurali quelle 
che si trovano nei quartieri periferici delle citt�, congiunti a queste senza discontinuit� di abitanti.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 81 
e, per l�effetto, confermato la sentenza impugnata sulla scorta delle seguenti 
considerazioni �quando la normativa discorre di titolare di farmacia, cui spetti 
l�indennit�, intende riferirsi al farmacista iscritto all�albo relativo e che conduce 
in concreto l�esercizio farmaceutico (30) �la gestione di una farmacia 
non pu� che essere curata da un soggetto in possesso del relativo diploma di 
laurea e della iscrizione al relativo albo �secondo l�articolo 12 della legge 
del 2 aprile 1968, n. 475, il quale stabilisce che nel caso di morte del titolare 
gli eredi possono entro un anno effettuare il trapasso della titolarit� della farmacia 
�a favore di farmacista iscritto nell�albo professionale, che abbia conseguito 
la titolarit� o che sia risultato idoneo in un precedente concorso. 
Durante tale periodo gli eredi hanno diritto di continuare l�esercizio in via 
provvisoria sotto la responsabilit� di un direttore.� 
7. Il parere della Corte dei Conti, Sez. Reg. di Controllo per la Puglia del 27 
febbraio 2008, n. 3. 
In materia di gestione delle farmacie comunali e nello specifico di societ� 
partecipate da amministrazioni pubbliche, appare interessante anche il contributo 
della Corte dei Conti a cui si � rivolto il Sindaco del Comune di Bitonto. 
Il sindaco, incerto sull�interpretazione ed applicazione dell�articolo 3, comma 
27 della legge del 24 dicembre 2007 n. 244 (31), chiedeva al giudice (32) se, 
dall�interpretazione del citato articolo, derivasse per il Comune l�impossibilit� 
(30) Nella specie l�appellante, essendo subentrata insieme ai figli nella titolarit� della farmacia 
jure successionis dal proprio marito deceduto, ha dovuto conferire incarico lavorativo ad un farmacista 
sostituto che ha assunto la responsabilit� della gestione dell�esercizio e al quale compete l�indennit� 
di residenza, in quanto in concreto gestisce la farmacia. 
(31) Si tratta della legge 24 dicembre 2007, n. 244 �Disposizioni per la formazione del bilancio 
annuale e pluriennale dello Stato� (legge finanziaria 2008). GU n. 300 del 28 dicembre 2007. 
L�articolo 3, comma 27, della legge finanziaria per il 2008 cos� dispone: �al fine di tutelare la concorrenza 
e il mercato, le amministrazioni di cui all�articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 
marzo 2001 n. 165, non possono costituire societ� aventi per oggetto attivit� di produzione di beni 
e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalit� istituzionali, n� 
assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza in tali societ�. 
E� sempre ammessa la costituzione di societ� che producono servizi di interesse generale e 
l�assunzione di partecipazioni in tali societ� da parte delle amministrazioni di cui all�articolo 1, 
comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, nell�ambito dei rispettivi livelli di competenza�. 
(32) La Corte dei Conti pu� rendere pareri in materia di �contabilit� pubblica�, ai sensi dell�articolo 
7, comma 8 della legge 5 giugno 2003 n. 131 �Disposizioni per l�adeguamento dell�ordinamento 
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3�. GU n. 132 del 10 Giugno 
2003. L�articolo dispone infatti che �Le Regioni possono richiedere ulteriori forme di collaborazione 
alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ai fini della regolare gestione finanziaria e 
dell�efficienza ed efficacia dell�azione amministrativa, nonch� pareri in materia di contabilit� pubblica. 
Analoghe richieste possono essere formulate, di norma tramite il Consiglio delle autonomie 
locali, se istituito, anche da Comuni, Province e Citt� metropolitane�.
82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
di assumere la gestione di farmacie mediante la costituzione di societ� di capitali 
e se tale attivit� fosse qualificabile come strettamente necessaria al perseguimento 
delle finalit� istituzionali dell�ente oppure come servizio di 
interesse generale. Oggetto della richiesta di parere � dunque la concreta qualificazione 
dell�attivit� di gestione delle farmacie comunali mediante l�utilizzo 
del modello societario previsto dall�articolo 9 della legge n. 475 del 1968 che 
consente ai comuni di ottenere, per met�, la titolarit� delle farmacie che si 
rendono vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito di revisione della 
pianta organica (33). 
Il giudice osserva preliminarmente che in materia di societ� partecipate 
la novella legislativa - tesa ad operare una riduzione del fenomeno della proliferazione 
di societ� pubbliche o miste, considerato una delle cause dell�incremento 
della spesa pubblica degli enti locali - prevede due tipologie di 
societ� partecipate espressamente consentite: le societ� che svolgono attivit� 
strettamente necessarie alle finalit� istituzionali degli enti e le societ� che producono 
servizi di interesse generale. Orbene la Sezione di controllo ha deciso 
che l�attivit� di gestione delle farmacie comunali � �esercizio di un pubblico 
servizio trattandosi, in particolare, di un�attivit� rivolta a fini sociali, secondo 
il disposto dell�articolo 112 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 che 
consente agli enti locali, nell�ambito delle rispettive competenze, di provvedere 
alla gestione dei servizi pubblici che abbiano ad oggetto la produzione di 
beni ed attivit� rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo 
economico e civile delle comunit� locali�. 
Logico corollario di quanto finora esposto � che rimane affidata alla valutazione 
dell�organo consiliare l�inquadramento della farmacia comunale tra 
le societ� che perseguono finalit� istituzionali dell�Ente o tra le societ� rivolte 
alla produzione di servizi di interesse generale. Detto ci�, la Sezione esclude 
che tale partecipazione possa ritenersi vietata in ragione del fatto che le farmacie 
comunali sono destinate a fornire un pubblico servizio in favore della 
collettivit� generale. 
8. La direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali 
e il decreto legge di recepimento del 6 novembre 2007, n. 206 
La direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 
settembre 2005 (34), relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali 
assume un ruolo di primaria importanza nel favorire la mobilit� del prestatore 
(33) La gestione di tali farmacie pu� avvenire in economia, a mezzo di aziende speciali o di 
consorzi tra comuni e mediante societ� di capitali. 
(34) GU L. 255 del 30 settembre 2005. Il decreto legislativo 6 novembre 2007 n. 206 � il decreto 
di attuazione di tale direttiva, GU n. 261 del 9 novembre 2007. La direttiva disciplina il riconoscimento
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 83 
di servizi negli Stati membri, con la predisposizione di una serie di strumenti 
che assicurano il riconoscimento automatico dei titoli di formazione (35). A 
tale fine anche l�esercizio dell�attivit� professionale di farmacista � disciplinato 
nella sezione II, all�articolo 45 (36) della direttiva citata nonch� del decreto 
legislativo di recepimento del 6 novembre 2007 n. 206, sezione VII, articoli 
50 e 51. La normativa nazionale per quanto concerne la formazione del farmacista 
prevede che l'ammissione alla formazione di farmacista � subordinata 
al possesso di un diploma di scuola secondaria superiore che dia accesso, per 
tali studi, alle universit�. Il titolo di formazione di farmacista sancisce una formazione 
della durata di almeno cinque anni, di cui almeno quattro anni d'insegnamento 
teorico e pratico a tempo pieno in una universit�, un istituto 
superiore di livello riconosciuto equivalente o sotto la sorveglianza di una universit� 
e sei mesi di tirocinio in una farmacia aperta al pubblico o in un ospedale 
sotto la sorveglianza del servizio farmaceutico di quest�ultimo, di modo 
che acquisisca le necessarie conoscenze e competenze (37) . 
delle qualifiche professionali per l�accesso alle professioni regolamentate coperte dalle direttive Sistemi 
generali 89/48/CEE, 92/51/CEE, 99/42/CE e dalle direttive settoriali 77/452/CEE, 77/453/CEE, 
78/686/CEE, 78/1026/CEE, 78/1027/CEE, 80/154/CEE, 85/155/CEE, 85/384/CEE, 85/432//CEE, 
85/433/CEE e 93/16/CEE riguardanti le professioni di infermiere professionale, odontoiatra, veterinario, 
ostetrica, architetto, farmacista e medico. 
(35) Un breve rinvio alla Direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno �direttiva 
Bolkestein�, dal nome del Commissario europeo per il mercato interno Frits Bolkestein che ne ha curato 
la redazione, appare opportuno. La direttiva � basata sugli articoli 47 n. 2 e 55 del TCE. Il principio 
della libera circolazione dei servizi, uno dei quattro pilastri del mercato comune sancito per la prima 
volta 50 anni fa con il Trattato di Roma, sembra oggi un obiettivo possibile in virt� della Direttiva 
2006/123 del 12 dicembre 2006. Per creare un vero mercato dei servizi entro il 2010, termine stabilito 
dall�Agenda di Lisbona, la direttiva Bolkestein si propone di fissare un quadro giuridico che consenta 
la liberalizzazione dei servizi al fine di fare dell�Unione Europea �l�economia basata sulla conoscenza 
pi� competitiva e pi� dinamica del mondo�. Il campo di applicazione della disciplina riguarda la libert� 
di stabilimento e la libert� di circolazione dei servizi, dato che gli ostacoli alla libera circolazione sono 
riscontrati per il prestatore di servizi, ossia qualsiasi persona fisica o giuridica che esplica un�attivit� 
economica non salariata e dietro retribuzione, a prescindere dal fatto che intenda stabilirsi in uno Stato 
membro diverso da quello di provenienza. 
(36) L�articolo 45 della direttiva � sostanzialmente riprodotto nell�articolo 51 del decreto di attuazione 
e stabilisce che �Gli Stati membri fanno s� che i possessori di un titolo di formazione in farmacia, 
a livello universitario o equivalente, siano autorizzati ad accedere e a esercitare almeno le seguenti 
attivit�, con l�eventuale riserva di una esperienza professionale complementare: preparazione della forma 
farmaceutica di medicinali, fabbricazione e controllo di medicinali, controllo di medicinali in un laboratorio 
di medicinali, immagazzinamento, conservazione e distribuzione di medicinali nella fase di commercio 
all�ingrosso e nelle farmacie aperte al pubblico e negli ospedali, nonch� diffusione di 
informazioni e consigli nel settore medicinali�. 
(37) Tale formazione non pu� prescindere da adeguate conoscenze dei medicinali e delle sostanze 
utilizzate per la loro fabbricazione, della tecnologia farmaceutica e del controllo fisico, chimico, biologico 
e microbiologico dei medicinali, del metabolismo e degli effetti dei medicinali, nonch� dell�azione 
delle sostanze tossiche e dell�utilizzazione dei medicinali stessi, che consentano di valutare 
i dati scientifici concernenti i medicinali in modo da potere su tale base fornire le informazioni appropriate 
nonch� da una familiarit� con le norme e le condizioni che disciplinano l�esercizio delle attivit�
84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
9. La sentenza della Corte di Giustizia delle Comunit� europee nella causa 
C-531/06 del 19 maggio 2009 
Tutela la sanit� pubblica e garantisce alla popolazione un rifornimento di 
medicinali sicuro e di qualit�, la disciplina italiana che riserva la titolarit� e la gestione 
delle farmacie ai farmacisti, persone fisiche laureate in farmacia e societ� 
di gestione composte esclusivamente da soci farmacisti, non essendo ravvisabile 
alcuna violazione degli articoli 43 (38) e 56 (39) del Trattato comunitario. La 
Corte di Giustizia nella sentenza C-531/06, in conformit� alle conclusioni dell�Avvocato 
generale Yves Bot (40), ha respinto interamente il ricorso promosso 
dalla Commissione nei confronti dell�Italia e della Germania (41). 
La Commissione, considerando il regime italiano di gestione delle farmacie 
incompatibile con il Trattato, aveva avviato il procedimento per inadempimento 
ex articolo 226, primo comma TCE (42). Il ricorso era diretto a 
dichiarare che l�Italia - avendo mantenuto in vigore una legislazione che consente 
la titolarit� dell�esercizio delle farmacie private alle sole persone fisiche 
laureate in farmacia e a societ� composte esclusivamente da soci farmacisti, 
nonch� disposizioni legislative che comportano l�impossibilit� per le imprese 
esercenti l�attivit� di distribuzione (43) di prodotti farmaceutici di acquisire 
farmaceutiche. A ci� si aggiunga che il ventiseiesimo �considerando� della direttiva 2005/36 afferma 
che �La presente direttiva non coordina tutte le condizioni per accedere alle attivit� nel campo della 
farmacia e all�esercizio di tale attivit�. In particolare, la ripartizione geografica delle farmacie e il monopolio 
della dispensa dei medicinali dovrebbe continuare ad essere di competenza degli Stati membri. 
La presente direttiva non modifica le norme legislative, regolamentari e amministrative degli Stati 
membri che vietano alle societ� l'esercizio di talune attivit� di farmacista o sottopongono tale esercizio 
a talune condizioni�. 
(38) L�articolo 43 TCE disciplina il diritto di stabilimento. 
(39) L�articolo 56 TCE � relativa alla circolazione dei capitali. . 
(40) Le conclusioni sono state depositate il 16 dicembre 2008. Importante sottolineare che, sebbene 
sia estremamente significativo l�apporto dell�Avvocato generale che, nella causa per la quale � designato 
propone una soluzione giuridica, � la Corte a decidere in ultima istanza. 
(41) La trattazione della causa C-531/06 si � svolta congiuntamente alle cause riunite C-171/07 
e C-172/07 poich� relative al regime di propriet� delle farmacie, rispettivamente nella disciplina italiana 
e tedesca. Le cause riunite C-171/07 e C-172/07 (Apothekerkammer des Saarlandes e a.) traggono origine 
dall�autorizzazione accordata dal competente ministero del Land della Saar alla DocMorris, societ� 
per azioni olandese, di gestire dal 1� luglio 2006 una farmacia a Saarbr�cken come succursale. La decisione 
del ministero � stata impugnata dinanzi al tribunale amministrativo del Land della Saar da vari 
farmacisti e dalle loro associazioni di categoria per difformit� dalla normativa tedesca la quale riserva 
ai soli farmacisti il diritto di possedere e gestire una farmacia. 
(42) Secondo l�articolo 226 TCE �La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia 
mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virt� del presente trattato, emette un parere motivato 
al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni. Qualora lo Stato in 
causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa pu� adire la Corte di 
giustizia�. 
(43) La Repubblica italiana ha fatto presente che il riferimento normativo al divieto per le imprese 
di distribuzione di acquisire partecipazioni nelle societ� di gestione di farmacie risultava improprio, 
stante la riforma del decreto Bersani.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 85 
partecipazioni nelle societ� di gestione di farmacie comunali - era venuta meno 
agli obblighi ad essa derivanti dagli articoli 43 e 56 del TCE (44) . 
In particolare la Commissione ha sostenuto che le misure in essa contenute 
sono eccessivamente restrittive e basate sulla presunzione che un farmacista 
che gestisce una farmacia sarebbe meno incline a privilegiare il proprio 
interesse personale a spese dell�interesse pubblico, oltre ad avere una portata 
decisamente esorbitante rispetto al raggiungimento dell�obiettivo di tutela della 
sanit� pubblica (45). 
La Repubblica italiana ha rammentato l�esistenza della riserva di competenza 
in capo agli Stati membri nel disciplinare il settore delle farmacie (ad 
esclusione delle questioni relative al mutuo riconoscimento dei diplomi) (46), 
affermando che le restrizioni sono comunque giustificate dall�interesse generale 
di tutela della sanit� pubblica. Secondo la tesi difensiva solo la presenza 
del farmacista titolare dell�esercizio della farmacia, dotato di conoscenze e 
di una necessaria esperienza specifica e completa, � garanzia del preminente 
interesse pubblico al rifornimento regolare di medicinali, rispetto alle considerazioni 
di carattere economico. 
Un secondo motivo di ricorso riguardava la gestione delle farmacie comunali 
ed in particolare le disposizioni nazionali che sanciscono l�impossibilit� 
per le imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici di acquisire 
partecipazioni nelle societ� di gestione delle farmacie comunali. La Repubblica 
italiana - dopo aver esplicitato alla Corte che le disposizioni di riferimento 
e la disciplina ivi contenuta era stata riformata dal decreto Bersani 
(47) - ha affermato che la normativa vigente viene legittimata dall�interesse 
pubblico di tutela della sanit�. Il divieto infatti si applica indiscriminatamente 
ed � diretto ad impedire alle imprese di distribuzione di promuovere, 
tramite le farmacie comunali, i medicinali dalle stesse commercializzati. Per 
(44) Si rileva che a sostegno della posizione della Repubblica italiana sono intervenuti: la Repubblica 
ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica di Lettonia, e la Repubblica 
austriaca. 
(45) La Commissione riteneva infatti che altre misure meno restrittive delle libert� sancite dagli 
articoli 43 TCE e 56 TCE, quali l�obbligo di presenza di un farmacista, l�obbligo di stipulare un�assicurazione 
o un sistema di controlli adeguati e di sanzioni efficaci avrebbe ben potuto assicurare la tutela 
della sanit� pubblica. 
(46) Cfr. paragrafo 7. 
(47) Cfr. paragrafo 5. La Corte, in sede di decisione, ha rilevato che la giurisprudenza � ormai 
costante nell�affermare che l�esistenza dell�inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione 
dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e 
che i mutamenti intervenuti in seguito non possono essere presi in considerazione dalla Corte. Su tale 
punto si rinvia a sentenza 30 gennaio 2002, causa C-103/00, Commissione/Grecia; sentenza 17 gennaio 
2008, causa C-152/05, Commissione/Germania. E� pacifico che, alla data di scadenza del termine stabilito 
nel parere motivato, la normativa nazionale non consentiva alle imprese di distribuzione di acquisire 
una partecipazione nelle societ� di gestione delle farmacie comunali, in quanto il decreto Bersani � 
stato adottato solo dopo tale data.
86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
quanto riguarda le misure alternative ipotizzate dalla Commissione, la Repubblica 
italiana ha sostenuto che queste, essendo meno vincolanti, non risultano 
idonee a conseguire l�obiettivo di interesse pubblico con la stessa efficacia. 
La Corte di Giustizia ha interamente respinto il ricorso della Commissione 
nei confronti della Repubblica italiana sulla scorta delle seguenti considerazioni. 
Sebbene dall�articolo 152 n. 5 TCE (48) emerga che il diritto 
comunitario attribuisce agli Stati membri la competenza in materia di previdenza 
sociale e quindi anche i servizi sanitari quali le farmacie (49), si comprende 
che, nell�esercizio di tale competenza, non possono essere disattese 
le disposizioni del Trattato relative alle libert� di circolazione, compresa le libert� 
di stabilimento e di circolazione dei capitali. In ragione di ci� agli Stati 
membri � posto il divieto di introdurre o mantenere ingiustificate restrizioni 
all�esercizio di queste libert� nell�ambito delle cure sanitarie (50) . Se � vero 
che la Corte ha ravvisato nella normativa italiana sui farmacisti restrizioni ai 
sensi degli articoli 43 TCE (51) e 56 TCE (52), corre l�obbligo constatare che 
la normativa nazionale si applica senza discriminazioni basate sulla nazionalit� 
e che la tutela della sanit� pubblica figura tra i motivi imperativi di interesse 
pubblico che possono giustificare restrizioni alle libert� di circolazione garantite 
dal Trattato, quali la libert� di stabilimento e la libera circolazione dei capitali. 
La giustificazione alla base delle restrizioni a dette libert� consiste nel 
garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit� 
e la disposizione di esclusione dei non farmacisti appare congrua e adeguata 
a ci�. Quindi compete allo Stato membro adottare misure che riducano, per 
quanto possibile, il rischio per la sanit� pubblica (53), sia in termini di nocu- 
(48) Si fa riferimento anche al ventiseiesimo �considerando� della direttiva 2005/36 e alla giurisprudenza 
della Corte. L�articolo 152, n. 5 TCE afferma che �L'azione comunitaria nel settore della sanit� 
pubblica rispetta appieno le competenze degli Stati membri in materia di organizzazione e fornitura di 
servizi sanitari e assistenza medica. In particolare le misure di cui al paragrafo 4, lettera a) non pregiudicano 
le disposizioni nazionali sulla donazione e l'impiego medico di organi e sangue�. 
(49) E� riservata alla discrezionalit� degli Stati membri decidere il livello di garanzia di tutela della 
sanit� pubblica e il modo in cui questo livello deve essere raggiunto. Sentenze 11 dicembre 2003, causa 
C-322/01, Deutscher Apothekerverband e 11 settembre 2008, causa C-141/07, Commissione/Germania. 
(50) Cfr. sentenze 16 maggio 2006, causa C-372/04, Watts, nonch� 10 marzo 2009, causa C 169/07, 
Hartlauer. 
(51) La disciplina nazionale riserva la gestione delle farmacie ai soli farmacisti, impedendo agli 
altri operatori economici di accedere a questa attivit� autonoma. 
(52) Riguardo all�articolo 56 TCE, la normativa nazionale impedisce agli investitori non farmacisti 
di altri Stati membri di acquisire partecipazioni in questo tipo di societ�. Detto ci� possono sussistere per 
il diritto comunitario restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali che, se 
applicate senza discriminazioni basate sulla nazionalit� e giustificate da motivi imperativi di interesse 
pubblico, sono atte a garantire la realizzazione dello scopo perseguito e non vanno oltre quanto necessario 
al raggiungimento di tale scopo. Si vedano sentenze 23 ottobre 2007, causa C-112/05, Commissione/Germania, 
6 dicembre 2007, cause riunite C-463/04 e C-464/04, Federconsumatori, 25 gennaio 2007, causa 
C-370/05. 
(53) Si veda sentenza 5 giugno 2007, causa C-170/04, Rosengren .
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 87 
menti alla salute che di sprechi finanziari. Sul primo aspetto � pacifico che i 
medicinali, che si distinguono sostanzialmente dalle altre merci per i loro effetti 
terapeutici, se assunti senza necessit� o in modo sbagliato o in assenza di 
consapevolezza dal paziente possono recare danni alla persona senza tralasciare 
la circostanza che un consumo eccessivo o un uso sbagliato di medicinali 
comporta uno spreco di risorse finanziarie, tanto pi� grave se si considera 
che il settore farmaceutico genera costi considerevoli e deve rispondere a bisogni 
crescenti, a fronte di risorse finanziarie non illimitate (54). La Corte ha 
statuito che �Con riguardo a tali rischi per la sanit� pubblica e per l�equilibrio 
finanziario dei sistemi di sicurezza sociale, gli Stati membri possono sottoporre 
le persone che si occupano della distribuzione dei medicinali al dettaglio 
a condizioni severe, con riferimento in particolare alle modalit� di commercializzazione 
di questi ultimi e alla finalit� di lucro. In particolare, essi possono 
riservare la vendita di medicinali al dettaglio, in linea di principio, ai 
soli farmacisti, in considerazione delle garanzie che questi ultimi devono offrire 
e delle informazioni che essi devono essere in grado di dare al consumatore. 
Al riguardo, e tenuto conto della facolt� riconosciuta agli Stati membri 
di decidere il grado di tutela della sanit� pubblica, si deve ammettere che questi 
ultimi possano esigere che i medicinali vengano distribuiti da farmacisti 
che godano di un�effettiva indipendenza professionale. Essi possono altres� 
adottare misure idonee ad eliminare o ridurre il rischio che tale indipendenza 
sia compromessa, dal momento che ci� potrebbe pregiudicare il livello di sicurezza 
e la qualit� del rifornimento di medicinali alla popolazione�. 
Senza voler ribadire quanto esposto nei paragrafi precedenti, appare sufficiente 
ricordare che la Corte - dopo aver brevemente analizzato le forme di 
gestione del servizio farmaceutico, farmacia privata, gestione jure successionis 
e farmacia comunale - ha statuito che la normativa italiana ha lo scopo di 
garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit� e, 
pertanto, la tutela della sanit� pubblica. La finalit� di lucro del farmacista � 
quindi temperata dalla sua formazione, esperienza professionale e dalla responsabilit� 
ad esso incombente, considerato che un�eventuale violazione delle 
disposizioni normative o deontologiche comprometterebbe non soltanto il valore 
del suo investimento, ma altres� la propria vita professionale a differenza 
dei non farmacisti (55). Allo stesso modo anche le disposizioni nazionali sulla 
gestione delle farmacie comunali, in cui l�ente locale � titolare e beneficia 
(54) Sulle cure ospedaliere si rinvia alla sentenza 13 maggio 2003, causa C-385/99, M�ller-Faur� 
e van Riet. Al riguardo si rileva l�esistenza di un nesso diretto tra tali risorse finanziarie e gli utili di 
operatori economici attivi nel settore farmaceutico poich� la prescrizione di medicinali � presa in carico, 
nella maggior parte degli Stati membri, dagli organismi di assicurazione malattia interessati. 
(55) Lo Stato membro pu� ritenere discrezionalmente che la gestione di una farmacia da parte di 
un non farmacista costituisca un rischio per la sanit� pubblica, in particolare per la sicurezza e la qualit� 
della distribuzione dei medicinali al dettaglio. 
88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
dello statuts di detentore di prerogative di potere pubblico, sono predisposte 
e finalizzate ad evitare che la gestione persegua solo scopi commerciali, a 
scapito delle esigenze della sanit� pubblica. Un ultimo cenno merita infine 
la risposta negativa della Corte sulla congruit� ed efficacia delle alternative 
misure ex post proposte dalla Commissione, in quanto, come si � avuto modo 
di spiegare, i rischi per l�indipendenza della professione di farmacista non 
possono essere esclusi, con la stessa efficacia, attraverso l�imposizione dell�obbligo 
di stipulare un�assicurazione per la responsabilit� civile derivante 
da fatto altrui (56). Alla luce di ci� si deve constatare che la normativa oggetto 
dell�inadempimento contestato � atta a assicurare la realizzazione dell�obiettivo 
volto a garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e 
di qualit� e, pertanto, la tutela della sanit� pubblica (57). 
10. Conclusioni 
Un ulteriore capitolo della vicenda �europea� delle farmacie pubbliche e 
private � maturato proprio in questi giorni, quando gi� era stato predisposto il 
presente articolo: l�Avvocato Generale M. Poiares Maduro ha rassegnato le 
proprie conclusioni sulle cause pregiudiziali spagnole riunite C-570/07 e C- 
571/07, sostenendo 
a) l�illegittimit� della normativa del Principato delle Asturie che privilegia 
il servizio svolto in una determinata localit� ai fini dell�assegnazione di una 
farmacia; 
b) l�illegittimit� �relativa� in mancanza di idonea giustificazione di pubblico 
generale interesse della normativa nazionale che fissa le cosidette piante 
organiche, nei minimi e nei massimi, delle farmacie; 
c) la rimessione al giudice nazionale e alla valutazione sul caso concreto 
della ragionevolezza e coerenza dei �limiti di distanza� tra un esercizio farmaceutico 
e l�altro. 
(56) Tale misura potrebbe permettere al paziente di ottenere un risarcimento finanziario per il 
danno da esso eventualmente subito, ma intervenendo a posteriori sarebbe meno efficace rispetto alla 
disposizione in oggetto, in quanto non impedirebbe in alcun modo al gestore interessato di esercitare 
un�influenza sui farmacisti stipendiati. 
(57) Tale conclusione non � rimessa in discussione dalla sentenza 21 aprile 2005, causa C-140/03, 
Commissione/Grecia, richiamata dalla Commissione, nella quale la Corte ha dichiarato che la Repubblica 
ellenica non ha adempiuto agli obblighi ad essa incombenti, ai sensi degli articoli 43 TCE e 48 TCE, 
adottando e mantenendo in vigore disposizioni nazionali che subordinano la possibilit� per una persona 
giuridica di aprire un negozio di ottica, in particolare, alla condizione che l�autorizzazione ad intraprendere 
e gestire l�attivit� di ottica sia rilasciata a nome di un ottico autorizzato, allo stesso tempo che la 
persona titolare dell�autorizzazione a gestire il negozio partecipi per almeno il 50% al capitale sociale, 
nonch� ai profitti e alle perdite. Tenuto conto del carattere particolare dei medicinali nonch� del loro 
mercato, e allo stato attuale del diritto comunitario, le considerazioni della Corte nella citata sentenza 
Commissione/Grecia non possono valere per il settore della distribuzione di medicinali al dettaglio. 
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 89 
Come si vede, dopo l�accettazione del principio che le liberalizzazioni 
possono trovare legittimi ostacoli nelle legislazioni nazionali a tutela della salute 
pubblica, la giurisprudenza comunitaria si muove nell�ottica di fissare regole, 
limiti e principi anche nel settore dei servizi pubblici riservati e/o gestiti, 
secondo le legislazioni nazionali, in un�ottica di �non mercato�. La materia 
quindi nella sua complessit� si avvia solo ora a trovare un assetto definitivo. 
(All. 1) 
Corte costituzionale, sentenza 8-24 luglio 2003 n. 275 - Pres. Chieppa, Red. Maddalena - 
Giudizio di legittimit� costituzionale in via incidentale dell'art. 8, comma 1, lett. a), della 
legge 8 novembre 1991, n. 362 (Norme di riordino del settore farmaceutico), in relazione all'art. 
9 della stessa legge [recte: della legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme concernenti il servizio 
farmaceutico)], promosso con ordinanza del 26 luglio 2002 dal Tribunale amministrativo regionale 
della Lombardia sul ricorso proposto da Federfarma (Avv.ti Lorenzo Acquarone, Agostino 
Gambino e Massimo Luciani) ed altri contro il Comune di Milano (Avv.ti Luca Radicati 
di Brozolo ed Elisabetta D'Auria). (L'Avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente 
del Consiglio dei ministri- AL 133399/02). 
Considerato in diritto 
1. - Il TAR della Lombardia ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, 
questione di legittimit� costituzionale dell'art. 8, comma 1, lett. a), della legge 8 novembre 
1991, n. 362 (Norme di riordino del settore farmaceutico), in relazione all'art. 9 della medesima 
legge [recte: della legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme concernenti il servizio farmaceutico)]. 
2. - Ad avviso del remittente, la norma denunciata, al fine di evitare un conflitto di interessi, 
vieta a chi ha la gestione di una farmacia privata qualsiasi attivit� nel settore della produzione, 
distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco, mentre non prevede 
analogo divieto per le farmacie comunali, alla cui gestione possono partecipare anche societ� 
operanti nel settore della produzione e commercializzazione del farmaco. Il giudice a quo assume 
il contrasto della disposizione censurata con i parametri invocati, in quanto del tutto irragionevole 
sarebbe la mancata estensione del suddetto divieto, posto a tutela dell'interesse 
generale alla salute, alla gestione delle farmacie comunali. 
3. - In via preliminare, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilit� sollevate da alcune 
delle parti in causa. 
3.1 - Va in primo luogo disattesa l'eccezione, sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, 
circa l'oscurit� del dispositivo dell'ordinanza di remissione, che, nel censurare l'art. 8, comma 
1, lett. a), della legge n. 362 del 1991, �a sproposito� fa riferimento all'art. 9 della legge n. 
362 del 1991. A ben vedere, infatti, � proprio la palese inconferenza della disposizione da ultimo 
citata a rendere evidente che il remittente � caduto in un mero errore materiale, in quanto 
dal contesto complessivo dell'ordinanza si evince chiaramente che il giudice a quo intendeva 
fare riferimento all'art. 9 della legge n. 475 del 1968. 
D'altra parte, � da sottolineare che l'indicazione di quest'ultimo articolo non appare affatto ne-
90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
cessaria ai fini della prospettazione della questione di legittimit� costituzionale, che, nella sostanza, 
si incentra esclusivamente sull'art. 8 della legge 362 del 1991. 
3.2 - Da respingere � altres� l'eccezione, anch'essa sollevata dall'Avvocatura generale dello 
Stato, oltre che dalla GEHE Italia s.p.a., secondo la quale il remittente avrebbe prospettato la 
questione in termini ambigui e perplessi. 
Infatti, il giudice a quo, mira ad ottenere, attraverso la dichiarazione di incostituzionalit� della 
norma censurata, l'estensione alle societ� che prendono parte alla gestione delle farmacie comunali 
del divieto previsto per i farmacisti privati di partecipare all'attivit� di produzione, distribuzione, 
intermediazione e informazione scientifica del farmaco. 
3.3 - Sono da disattendere anche le ulteriori eccezioni sollevate dall'Avvocatura generale dello 
Stato e dalla GEHE Italia s.p.a., circa la insussistenza dei presupposti per una pronuncia della 
Corte di tipo additivo. 
La Corte, infatti, ben pu� estendere l'ambito di applicazione di una norma quando, in relazione 
al valore costituzionale tutelato, lo esiga, secondo il criterio della ragionevolezza, la ratio 
della norma stessa. 
3.4 - Del pari sono infondate le eccezioni, anch'esse formulate dall'Avvocatura generale dello 
Stato e dalla GEHE Italia s.p.a., secondo cui il remittente si sarebbe immotivatamente discostato 
nell'interpretazione della disposizione denunciata dai discordanti precedenti del TAR 
della Lombardia e del Consiglio di Stato. 
� evidente, infatti, che il remittente non � necessariamente tenuto ad esplicitare le ragioni per 
le quali abbia ritenuto di discostarsi da isolati precedenti giurisprudenziali riguardanti fattispecie 
analoghe. 
3.5 - Va infine disattesa la eccezione sollevata dal Comune di Milano secondo la quale la questione 
sarebbe inammissibile per irrilevanza. 
Infatti � fuor di dubbio che l'eventuale dichiarazione di incostituzionalit� della norma in questione 
determinerebbe riflessi diretti sui requisiti soggettivi dei partecipanti alla gara indetta 
dal Comune di Milano, influendo, per questa via, sull'esito della stessa. 
4. - Nel merito la questione � fondata. 
Al riguardo appare opportuno accennare preliminarmente al quadro normativo di riferimento 
ed al correlato regime delle incompatibilit�. 
Nell'attuale sistema normativo, il servizio farmaceutico risulta fondamentalmente assicurato 
mediante la gestione delle farmacie private e comunali. 
La legge prevede che ogni Comune debba avere una pianta organica delle farmacie, nella 
quale deve essere indicato il numero, le singole sedi farmaceutiche e la zona di ciascuna di 
esse (art. 2 della legge n. 475 del 1968). 
Sulla base della pianta organica si realizza l'affidamento delle farmacie ai privati cittadini 
iscritti all'albo professionale dei farmacisti (art. 4 della legge n. 362 del 1991) o ai Comuni 
(art. 9, primo comma, della legge n. 475 del 1968). 
In particolare, l'art. 9 della legge n. 475 del 1968 prevede che la titolarit� delle farmacie che 
si rendano vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito della revisione della pianta organica 
pu� essere assunta per met� dal Comune. 
5. - Per quanto riguarda le modalit� di gestione delle farmacie private, l'art. 7 della legge n. 
362 del 1991 prevede che la titolarit� dell'esercizio della farmacia privata sia riservata a persone 
fisiche o a societ� di persone, nonch� alle societ� cooperative a responsabilit� limitata 
che gestivano farmacie anteriormente alla data di entrata in vigore della legge. Nel caso di 
gestione societaria, il medesimo art. 7 stabilisce che la direzione della farmacia sia affidata
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 91 
ad uno dei soci che ne � responsabile. 
6. - Quanto alle modalit� di gestione delle farmacie comunali, la normativa ha avuto nel corso 
del tempo una serie di modificazioni. In origine si � fatto ricorso allo strumento delle aziende 
speciali e delle gestioni in economia (come prevedeva il r.d. n. 2578 del 1925) ed in un secondo 
momento � stato introdotto lo strumento delle societ� di capitali a prevalente capitale pubblico 
(legge n. 142 del 1990). Al riguardo, il legislatore, dapprima ha previsto la possibilit� di costituire 
societ� per azioni tra il Comune ed i farmacisti che prestassero servizio presso la farmacia 
di cui il Comune avesse acquisito la titolarit� (art. 9 della legge n. 475 del 1968, come 
modificato dall'art. 10 della legge n. 362 del 1991) e successivamente, come sottolineato dal 
remittente, ha previsto la costituzione di societ� per azioni anche con prevalente capitale privato 
e senza predeterminazione legale dei soci (art. 116 del decreto legislativo n. 267 del 
2000). 
7. - Quanto al regime delle incompatibilit� per l'attivit� del singolo farmacista privato, deve 
anzitutto rilevarsi che queste sono state poste dal legislatore al fine di salvaguardare l'interesse 
pubblico al corretto svolgimento del servizio farmaceutico ed in ultima analisi alla salvaguardia 
del bene salute. 
Si tratta di norme che riguardano i settori della produzione, distribuzione ed intermediazione 
dei farmaci. 
Carattere di divieto generale ha l'art. 102 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione 
del testo unico delle leggi sanitarie), secondo il quale �L'esercizio della farmacia non 
pu� essere cumulato con quello di altre professioni o arti sanitarie�. 
Si riferisce invece pi� propriamente al settore della produzione l'art. 144 del medesimo testo 
unico, nel quale si legge che ҏ vietato il cumulo della direzione di una farmacia con la direzione 
di una officina, a meno che non si tratti di una officina gi� autorizzata di propriet� del 
farmacista e in diretta comunicazione con la farmacia�. 
Riguarda poi il settore della distribuzione un'altra norma dello stesso testo unico, quella di 
cui all'art. 171, secondo il quale �il farmacista che riceva per s� o per altri danaro o altra utilit� 
ovvero ne accetti la promessa allo scopo di agevolare in qualsiasi modo la diffusione di specialit� 
medicinali�a danno di altri prodotti dei quali abbia pure accettato la vendita � punito 
con l'arresto fino ad un anno e con l'ammenda da � 206,58 a � 516,46�. 
Ed occorre in proposito ricordare che per il singolo farmacista dipendente delle farmacie comunali, 
l'art. 372 del citato r.d. n. 1265 del 1934 prevede che ai farmacisti addetti a tali farmacie 
si applica quanto previsto per i sanitari condotti dal predetto testo unico delle leggi 
sanitarie, il quale, all'art. 78, stabilisce l'incompatibilit� dell'ufficio di sanitario condotto con 
la professione di commerciante. 
Concerne infine il settore dell'intermediazione l'art. 13 della legge n. 475 del 1968, secondo 
il quale �il titolare di una farmacia ed il direttore responsabile�non possono�esercitare la 
professione di propagandista di prodotti medicinali�. 
8. - Illuminante, nel descritto quadro normativo, appare il divieto di cui al citato art. 8 della 
legge n. 362 del 1991, secondo il quale la partecipazione a societ� di persone ed a societ� 
cooperative a responsabilit� limitata, che siano titolari dell'esercizio di una farmacia privata, 
� incompatibile �con qualsiasi altra attivit� esplicata nel settore della produzione, distribuzione, 
intermediazione e informazione scientifica del farmaco�. La formulazione usata, come 
� agevole osservare, risulta indicativa e comprensiva delle varie incompatibilit� che sopra si 
sono enumerate e che riguardano i singoli farmacisti. 
Di qui scaturisce chiara la ratio della norma: quella di rendere applicabile anche nei confronti
92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
dei partecipanti alle societ� di persone o alle societ� cooperative a responsabilit� limitata le 
incompatibilit� previste per i farmacisti persone fisiche titolari o gestori di farmacie, incompatibilit� 
che, come si � visto, sono disseminate in numerose disposizioni di legge. 
In questa prospettiva, come si nota, l'utilizzo di una formula onnicomprensiva per le incompatibilit� 
in questione, conferisce alla norma il valore di un principio generale applicabile a 
tutti i soggetti che, in forma singola o associata, siano titolari o gestori di farmacie. 
9. - E deve pertanto riconoscersi che la mancata previsione per le farmacie comunali di un 
tale tipo di incompatibilit� appare del tutto irragionevole, specie ove si consideri che il divieto 
in questione � stato posto dal legislatore proprio al fine di evitare eventuali conflitti di interesse, 
che possano ripercuotersi negativamente sullo svolgimento del servizio farmaceutico 
e, quindi, sul diritto alla salute. 
Per tali ragioni, la norma censurata va dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in 
cui non prevede che la partecipazione a societ� di gestione di farmacie comunali � incompatibile 
con qualsiasi altra attivit� nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione 
ed informazione scientifica del farmaco. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 8, comma 1, lett. a), della legge 8 novembre 
1991, n. 362 (Norme di riordino del settore farmaceutico), nella parte in cui non prevede che 
la partecipazione a societ� di gestione di farmacie comunali � incompatibile con qualsiasi 
altra attivit� nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica 
del farmaco. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 
2003. 
(All.2) 
Circolare del Ministero della salute del 3 ottobre 2006, n. 3 
Vendita di alcune tipologie di medicinali ad di fuori della farmacia: 
�applicazione dell�articolo 5, commi 1, 2, 3, 3 bis e 4 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 
223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248�. 
1. Introduzione 
L�art. 5 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, recante �Disposizioni urgenti per il rilancio 
economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche� 
interventi in materia di entrate e di contrasto all�evasione fiscale�, entrato in vigore lo stesso 
4 luglio, ha previsto la possibilita� di vendita di alcuni tipi di medicinali al di fuori delle farmacie. 
Nel testo modificato dalla legge di conversione (4 agosto 2006, n. 248, pubblicata 
nella Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2006, n. 186, S.O., entrata in vigore il giorno dopo la sua 
pubblicazione), il predetto articolo cos�� stabilisce, al comma 1: 
�Gli esercizi commerciali di cui all�art. 4, comma 1, lettere d), e) e f), del decreto legislativo 
31 marzo 1998, n. 114, possono effettuare attivita� di vendita al pubblico dei farmaci da banco
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 93 
o di automedicazione, di cui all�art. 9-bis del decreto legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, 
con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, e di tutti i farmaci o prodotti 
non soggetti a prescrizione medica, previa comunicazione al Ministero della salute e alla regione 
in cui ha sede l�esercizio e secondo le modalita� previste dal presente articolo. E� abrogata 
ogni norma incompatibile.�. 
Gli esercizi commerciali di cui all�art. 4, comma 1, lettere d), e) e f), del decreto legislativo 
31 marzo 1998, n. 114, sono i seguenti: 
i. esercizi di vicinato: aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq. nei comuni con 
popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei comuni con popolazione residente 
superiore a 10.000 abitanti; 
ii. medie strutture di vendita: gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto 
precedente e fino a 1.500 mq. nei comun con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti 
e a 2.500 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti; 
iii. grandi strutture di vendita: gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto 
precedente. 
Il corna 2 dell�art. 5 del decreto legge n. 223/2006 (sempre nel testo finale, risultante dalla 
legge di conversione) stabilisce che: 
�La vendita di cui al corna 1 e� consentita durante l�orario di apertura dell�esercizio commerciale 
e deve essere effettuata nell�ambito di un apposito reparto, alla presenza e con l�assistenza 
personale e diretta al cliente di uno o piu� farmacisti abilitati all�esercizio della professione 
ed iscritti al relativo ordine. Sono, comunque, vietati i concorsi, le operazioni a premio e le 
vendite sotto costo aventi ad oggetto farmaci.� 
Il comma 3 del medesimo articolo prevede che: 
�Ciascun distributore al dettaglio puo� determinare liberamente lo sconto sul prezzo indicato 
dal produttore o dal distributore sulla confezione del farmaco rientrante nelle categorie di cui 
al corna 1, purche� lo sconto sia esposto in modo leggibile e chiaro al consumatore e sia praticato 
a tutti gli acquirenti.�. 
2. Prodotti che possono essere venduti negli esercizi diversi dalle farmacie 
Possono essere venduti i medicinali industriali, non soggetti a prescrizione medica, comprendenti: 
medicinali da banco o di automedicazione e i restanti medicinali non soggetti a prescrizione 
medica menzionati agli articoli 87, comma 1, lettera e) e all�art. 96 del decreto 
legislativo 24 aprile 2006, n. 219, recante �attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive 
direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso 
umano, nonche� della direttiva 2003/94/CE�. 
Al momento alcuni farmaci industriali vendibili senza obbligo di ricetta medica, sono inseriti 
per tutte le loro indicazioni terapeutiche (Narcan, Sodio cloruro 0,9%, Glicerina fenica, Argento 
proteinato 0,5%, Acqua PPI), o per alcune patologia (Tautux, Siccaflud, Salvituss, Levotuss, 
Danka) in fascia A e quindi dispensati in farmacia a carico del Servizio sanitario 
nazionale. 
In attesa di una eventuale riclassificazione, si fa presente che anche tali farmaci possono essere 
venduti negli esercizi commerciali diversi dalle farmacie, ma non a carico del Servizio sanitario 
nazionale. Si ricorda, infatti, che le ricette del Servizio sanitario nazionale possono essere 
accettate esclusivamente dalle farmacie. 
Poiche� l�art. 5 del decreto legge n. 223/2006, come modificato dalla legge di conversione n.
94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
248/2006, non fa esplicito riferimento ai soli medicinali per uso umano, e� da ritenere che 
anche i medicinali per uso veterinario che possono essere acquistati senza ricetta medica rientrino 
nell�ambito di tale previsione normativa. 
Anche i prodotti omeopatici (che la normativa comunitaria ricomprende nella nozione di 
�medicinale�, come chiaramente precisato anche dal decreto legislativo n. 219/2006) possono 
essere venduti negli esercizi commerciali previsti dal predetto art. 5, quando sono classificati 
come medicinali vendibili senza presentazione di ricetta medica. Si fa presente, tuttavia, che 
al momento, in base ad una disciplina transitoria richiamata dall�art. 20 del predetto n. 
219/2006, i medicinali omeopatici (per uso umano) vengono venduti in confezioni conformi 
a quelle esistenti sul mercato alla data del 6 giugno 1995 (si veda al riguardo l�art. 5 del decreto 
legislativo 17 marzo 1995, n. 185, come modificato dall�art. 2 della legge 8 ottobre 1997, n. 
347, dall�art. 5 della legge 14 ottobre 1999, n. 362, dal corna 32 dell�art. 85 della legge 23 dicembre 
2000, n. 388 e dal corna 12 dell�art. 52 della legge 27 dicembre 2002, n. 289). 
Per questi prodotti in disciplina transitoria non si rinvengono elementi normativi sul regime 
di fornitura. Anche tali prodotti, peraltro, se venduti finora nelle farmacie senza ricetta (eventualmente 
in base a una dicitura sulla confezione apposta dal produttore sotto la propria responsabilita), 
possono essere venduti negli esercizi commerciali previsti dal predetto art. 5, 
essendo evidente che il decreto legge n. 223/2006 ha inteso consentire la vendita in esercizi 
diversi dalla farmacia, alle condizioni indicate nello stesso decreto, di tutti i medicinali finora 
acquistabili esclusivamente in farmacia senza prescrizione medica. 
Si ricorda che per la provincia di Bolzano, e� fatta salva la vigente normativa in materia di bilinguismo 
e di uso della lingua italiana e tedesca per le etichette e gli stampati illustrativi delle 
specialita� medicinali (corna 3-bis del medesimo art. 5) 
La possibilita� di vendita in esercizi diversi dalle farmacie non riguarda, invece, le preparazioni 
medicinali non industriali. Infatti il decreto-legge, non prevedendo specifiche deroghe alle 
norme vigenti, non consente ne� alcuna preparazione farmaceutica, ne� la vendita di �formule 
officinali� anche qualora siano preparate in una farmacia aperta al pubblico e, per composizione, 
risultino vendibili senza ricetta medica. Si ricorda a tal riguardo che, come stabilito 
dall�art. 3, corna 1, lettera b) del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, per �formule officinali
� si intendono medicinali preparati in farmacia in base alle indicazioni della Farmacopea 
europea o delle Farmacopee nazionali e destinati ad essere forniti direttamente ai pazienti 
della medesima farmacia. 
3. Presenza del farmacista 
La presenza del farmacista deve essere garantita per tutto l�orario di apertura dell�esercizio 
commerciale. Anche se non e� tenuto a consegnare personalmente a tutti i clienti ogni singola 
confezione di medicinale, il farmacista e� obbligato ad una assistenza �attiva� al cliente, mediante 
consigli, ove richiesti, ma anche ove riscontri un�incertezza nel comportamento del 
cliente. 
E� opportuno che il farmacista indossi il distintivo professionale adottato dalla Federazione 
nazionale degli ordini dei farmacisti che riporta il caduceo. In ogni caso il farmacista deve 
distinguersi chiaramente da eventuale altro personale che lavori nell�apposito spazio. E� opportuno 
che il titolare dell�esercizio commerciale comunichi all�ordine dei farmacisti territorialmente 
competente le generalita� del farmacista o dei farmacisti che svolgono le attivita� di 
cui all�art. 5, comma 2, del decreto-legge n. 223/2006, provvedendo in seguito agli eventuali,
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 95 
necessari aggiornamenti della comunicazione inviata. 
4. Self service 
La norma contenuta nell�art. 9-bis del decreto legge 18 settembre 2001, n. 347, per la parte in 
cui stabilisce che �E� ammesso il libero e diretto accesso da parte dei cittadini ai medicinali 
di automedicazione in farmacia�, deve intendersi operante anche negli esercizi commerciali 
previsti nell�art. 5. Pertanto, nell�apposito reparto, il farmaco puo� essere prelevato direttamente 
dal paziente, fermo restando l�obbligo per il farmacista di rispondere ad eventuali richieste 
da parte dei pazienti e di attivarsi nel caso risultasse opportuno il proprio intervento 
professionale. 
5. Apposito reparto 
Per �apposito reparto� deve intendersi uno spazio dedicato esclusivamente alla vendita e conservazione 
dei medicinali da banco o di automedicazione e di tutti i farmaci o prodotti non 
soggetti a prescrizione medica. Tale spazio dedicato puo� assumere forme diverse in base al 
tipo di esercizio commerciale in cui ha luogo la vendita. Puo� trattarsi di un apposito corner 
oppure di un singolo scaffale o anche di una parte di uno scaffale, purche� gli spazi siano chiaramente 
separati in modo da escludere la commistione con altri tipi di prodotti. 
6. Conservazione 
Devono essere rispettate tutte le norme in vigore in materia di conservazione dei farmaci, sianel 
locale di vendita che nell�eventuale magazzino annesso, ivi compresa la necessita� di stoccaggio 
separato da altri prodotti (anche nel caso in cui i medicinali debbano essere conservati 
in frigorifero) . Nella conservazione dei medicinali, sia nel punto vendita che nell�eventuale 
magazzino annesso, e� obbligatorio attenersi alle condizioni di conservazione (indicazione di 
temperatura e condizioni ambientali) riportate in etichetta per ciascun farmaco. Ove necessario, 
in base alle condizioni ambientali, puo� essere opportuno prevedere la climatizzazione 
dell�intero esercizio commerciale. 
Se sono richieste specifiche condizioni di temperatura, l�area di conservazione dei medicinali 
va equipaggiata, se necessario, con apparecchi idonei. Controlli adeguati assicurano che tutta 
l�area di conservazione pertinente e� mantenuta entro limiti di temperatura specificati. 
Si ritiene opportuno evidenziare che, per l�eventuale allestimento di un magazzino-deposito 
posto all�esterno dell�esercizio commerciale, destinato alla conservazione dei medicinali prima 
dell�avvio alla struttura o alle strutture di vendita, e� necessaria l�autorizzazione alla distribuzione 
all�ingrosso prevista dall�art. 100 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 (come 
modificato dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223). 
7. Comunicazione di inizio attivita� 
Come gia� ricordato, il decreto legge subordina l�inizio dell�attivita� di vendita dei farmaci 
non soggetti a prescrizione medica in esercizi commerciali diversi dalle farmacie a una preventiva 
comunicazione al Ministero della salute a alla Regione in cui ha sede l�esercizio. 
Peraltro, tenuto conto che, a livello centrale, le attivita� di vendita dei medicinali interessano 
direttamente anche l�Agenzia italiana del farmaco, e� opportuno che la comunicazione inviata
96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
al Ministero della salute, priva degli allegati, sia trasmessa anche a tale agenzia. 
Poiche�, inoltre, la vigilanza sulla vendita al pubblico negli esercizi commerciali, ai sensi della 
normativa sul commercio, e� di competenza dei comuni, appare necessario, al fine di consentire 
l�espletamento delle relative funzioni amministrative in materia di commercio, che la comunicazione 
di avvio dell�attivita� di vendita dei farmaci sia inviata per conoscenza anche al 
Comune dove ha sede l�esercizio. 
Per evitare duplicazioni di attivita�, e� necessario che le modalita� di invio della comunicazione 
prevista dall�art. 5 siano inquadrate nelle disposizioni sulla tracciabilita� del farmaco. 
8. Progetto tracciabilita� del farmaco 
Il decreto del Ministro della salute 15 luglio 2004 (Gazzetta Ufficiale n. 2, del 4 gennaio 2005) 
ha istituito presso l�Agenzia italiana del farmaco (AIFA) una banca dati centrale finalizzata a 
monitorare le confezioni dei medicinali all�interno del sistema distributivo (Progetto tracciabilita� 
del farmaco). 
Tale sistema di monitoraggio dei prodotti medicinali permettera� di localizzare in tempo reale 
la presenza di ogni singola confezione sul territorio nazionale e di tracciare i suoi percorsi nel 
sistema produttivo, distributivo e di smaltimento. L�utilizzo di questo sistema rafforza ed amplifica 
le misure di contrasto delle possibili frodi in danno della salute pubblica, del Servizio 
sanitario nazionale e dell�erario. 
Il corna 1 dell�art. 3 del medesimo decreto prevede che a ciascuno dei soggetti di cui all�art. 
5-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 540, e successive modificazioni ed integrazioni, 
sia assegnato dal Ministero della salute un identificativo univoco da pubblicare sul sito 
internet del Ministero stesso. 
Pertanto, i soggetti giuridici titolari di siti logistici in Italia, che effettuano la distribuzione finale 
di farmaci ai sensi dell�art. 5 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, devono includere 
nella comunicazione di inizio attivita� i dati necessari all�assegnazione di detto identificativo 
univoco. Tale comunicazione, da effettuarsi utilizzando il facsimile disponibile sul sito internet 
del Ministero della salute (http://www.ministerosalute.it), nella sezione �Tracciabilita� del farmaco
�, va inviata con raccomandata a/r al seguente indirizzo: 
Ministero della salute � Progetto �Tracciabilita� del farmaco� � Piazzale dell�Industria, 20 
� 00144 Roma. 
Si evidenzia la necessita� di compilare tutti e tre gli allegati avendo cura di datare e firmare 
l�allegato 1 che costituisce la designazione della persona responsabile della comunicazione 
informatica. 
Tutti coloro che hanno gia� inviato la comunicazione di inizio attivita� al Ministero della salute 
sono tenuti ad inviare una nuova comunicazione, secondo le modalita� previste nella presente 
circolare, entro il 31 ottobre 2006. 
Il responsabile della comunicazione designato, a seguito della registrazione nell�area 
riservata del Nuovo sistema informativo sanitario (NSIS) con le modalita� disponibili sull�apposita 
sezione del sito internet del Ministero della salute, potra� provvedere, attraverso apposite 
funzioni web, all�inseriento dei dati riferiti ai siti logistici in modo da ottenere automaticamente 
l�identificativo univoco di ciascun sito logistico. 
Sul sito internet del Ministero della salute saranno pubblicati quotidianaMente gli identificativi 
univoci assegnati ai diversi siti logistici, al fine di renderli disponibili a tutti i soggetti interessati.

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 97 
Tenuto conto che, come gia� detto, le attivita� di vendita dei medicinali interessano anche 
l�Agenzia italiana del farmaco, la comunicazione inviata al Ministero della salute, priva degli 
allegati, deve essere trasmessa anche al seguente indirizzo: 
Agenzia italiana del farmaco � via della Sierra Nevada, 60 � 00144 Roma. 
Con le stesse modalita�, fatte salve eventuali istruzioni e richieste integrative diramate dalle 
regioni e dai comuni nell�ambito delle proprie competenze, tale comunicazione deve essere 
inviata anche alla regione e al comune in cui ha sede l�esercizio commerciale. 
Ai fini del corretto funzionamento dell�intero sistema, e� indispensabile comunicare tempestivamente, 
alle Autorita� sopra indicate, ogni variazione intervenuta nei dati inviati, nonche� 
la cessazione dell�attivita� di vendita. Anche il facsimile del modello di comunicazione della 
cessazione dell�attivita� e� disponibile sul sito internet del Ministero della salute 
(http://www.ministerosalute.it), nella sezione �Tracciabilita� del farmaco�. 
9. Insegna 
Il legislatore non ha dato indicazioni sulle denominazioni che possono essere usate per individuare 
gli esercizi commerciali diversi dalle farmacie che vendono medicinali o il reparto 
�dedicato� all�interno dell�esercizio. In ogni caso non dovranno essere utilizzate denominazioni 
e simboli che possano indurre il cliente a ritenere che si tratti di una farmacia. Puo� 
essere consentito l�uso della denominazione �Parafarmacia�, considerato che il termine e� entrato 
nell�uso comune con riferimento ad esercizi diversi dalle farmacie in cui si vendono prodotti 
di interesse sanitario. 
Non si ravvisano ostacoli all�utilizzazione nel punto di vendita del simbolo riportato nel bollino 
di riconoscimento per i medicinali non soggetti a prescrizione medica (decreto ministeriale 
1� febbraio 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 33, dell�8 febbraio 2002). 
10. Pubblicita� 
Si ricorda che, ai sensi dell�art. 118 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, nessuna 
pubblicita� di medicinali presso il pubblico puo� essere effettuata senza autorizzazione del Ministero 
della salute. L�autorizzazione alla pubblicita� di un medicinale di autornedicazione 
puo� essere richiesta solo dal titolare dell�autorizzazione all�immissione in commercio; peraltro 
anche il titolare dell�esercizio commerciale e� responsabile della pubblicita� irregolare effettuata 
nel punto vendita (si ricorda che in base al corna 15 dell�art. 148 del decreto legislativo 
24 aprile 2006, n. 219, chiunque effettua pubblicita� presso il pubblico in violazione delle disposizioni 
del medesimo decreto legislativo e� soggetto alla sanzione amministrativa da duemilaseicento 
euro a quindicimilaseicento euro) 
11. Altri riferimenti normativi di interesse 
La vendita di medicinali in esercizi commerciali diversi dalla farmacia comporta l�obbligo, 
per i titolari dei punti vendita e per i farmacisti che prestano la loro attivita� professionale nei 
medesimi, di rispettare la normativa vigente in materia di vendita al pubblico di medicinali. 
A questo riguardo si ritiene opportuno richiamare, innanzi tutto, l�attenzione sulle norme concernenti 
la farmacovigilanza, in particolare quanto previsto dall�art. 132 del decreto legislativo 
24 aprile 2006, n. 219. 
Si ritiene importante ricordare che l�art. 443 del codice penale stabilisce che chiunque detiene
98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti e� punito 
con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire duecentomila (valore 
oggi, ovviamente, da calcolare in euro). Sanzioni penali sono previste dal decreto legislativo 
n. 219/2006 per altri comportamenti di particolare gravita�, quale ad esempio la vendita di 
medicinali privi di autorizzazione all�immissione in commercio. 
Si ritiene opportuno sottolineare che il titolare dell�esercizio commerciale puo� acquistare i 
medicinali solo da soggetti autorizzati che siano regolarmente registrati nel sistema della tracciabilita� 
del farmaco e quindi in possesso dello specifico identificativo univoco. Questi ultimi, 
a loro volta, sono tenuti a rifornire gli esercizi commerciali che hanno regolarmente comunicato 
l�inizio dell�attivita� a questo Ministero ai sensi dell�art. 5 del decreto legge 4 luglio 2006, 
n. 223, essendo evidente l�intento del decreto legislativo n. 219/2006 (vedasi art. 105) di evitare 
che la non disponibilita� per il pubblico di un medicinale dipenda dalla mancata fornitura 
ai venditori al dettaglio. 
12. Regime transitorio 
Con riferimento al paragrafo della presente circolare concernente la Comunicazione di inizio 
attivita� - Progetto di tracciabilita� del farmaco, si fa presente quanto segue. 
In sede di prima applicazione del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, i distributori autorizzati 
si sono trovati nella condizione di fornire i medicinali previsti dall�art. 5 del decreto legge citato, 
anche a titolari di esercizi commerciali diversi dalle farmacie sprovvisti dell�identificativo 
univoco che immette nel circuito della tracciabilita� del farmaco. 
A partire dal 1� gennaio 2007, i distributori potranno vendere i medicinali menzionati dal predetto 
art. 5 solo agli esercizi commerciali che, avendo regolarizzato la loro posizione con il 
Ministero della salute, saranno provvisti dell�identificativo univoco. 
Roma, 3 ottobre 2006 
Il Ministro della salute: Turco 
(All. 3) 
Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 8 maggio 2007 n. 2118 - Pres. Iannotta, Rel. Russo 
- R. D.B. (Avv.ti Duchi, Paoletti, Cavallaro) c. A.S.L. L�Aquila e Gestione liquidatoria A.S.L. 
L�Aquila Legge 549/95 (n. c.) e nei confronti Regione Abruzzo, Farmacia F. (n.c.) - Riforma 
sentenza TAR Abruzzo - L�Aquila n. 435/02. 
(...Omissis) 
D I R I T T O 
L�appello � infondato e va, pertanto, respinto. 
L�appellante rivendica il riconoscimento del diritto all�indennit� di residenza, prevista 
dall�art.115 del T.U.LL.SS. di cui al R.D. 27.7.1934, n.1265, nella sua pretesa qualit� di titolare 
di farmacia rurale e si oppone, pertanto, agli atti impugnati con cui l�Azienda Unit� locale sanitaria 
n.4 dell�Aquila ha negato tale diritto, chiedendo, altres�, la restituzione delle somme a 
tale titolo erogate (�. 4.860.000) per i periodi 1� e 2� semestre 1993 e 1� semestre 1994. 
In proposito il TAR, dopo aver giustamente rilevato che l�indennit� in argomento com-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 99 
pete ai titolari delle farmacie rurali ubicate in localit� con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti, 
ovvero al farmacista direttore responsabile che sostituisca il titolare nei casi consentiti, 
nonch� al farmacista che abbia la gestione provvisoria dell�esercizio (artt. 2 e 3 L. 8.3.1968, 
n.221 e art.1 L.R. 14.8.1981, n.28), ha correttamente chiarito che, quando la normativa discorre 
di titolare di farmacia, cui spetti l�indennit�, intende riferirsi al farmacista iscritto all�albo 
relativo e che conduce in concreto l�esercizio farmaceutico (cfr. art.7, comma 7�, 
L.8.11.1991, n.362). 
Nella specie, in tale condizione non versa la ricorrente, odierna appellante, la quale � 
subentrata, insieme ai di lei figli, nella titolarit� della farmacia jure successionis dal proprio 
marito, deceduto nel 1992, e ha dovuto conferire incarico lavorativo ad un farmacista sostituto 
che ha assunto la responsabilit� della gestione dell�esercizio e al quale, in tale veste, compete 
l�indennit� di residenza, in quanto in concreto gestisce la farmacia, in cui � tenuto a garantire 
la sua presenza. 
Contrariamente all�assunto dell�appellante, la gestione di una farmacia non pu� che essere 
curata da un soggetto in possesso del relativo diploma di laurea e della iscrizione al relativo 
albo. 
Ci� trova conferma proprio nella norma invocata dall�appellante, vale a dire l�art. 12 
della L. 2.4.1968, n. 475, il quale stabilisce che �nel caso di morte del titolare gli eredi possono 
entro un anno effettuare il trapasso della titolarit� della farmacia �a favore di farmacista 
iscritto nell�albo professionale, che abbia conseguito la titolarit� o che sia risultato idoneo 
in un precedente concorso. Durante tale periodo gli eredi hanno diritto di continuare l�esercizio 
in via provvisoria sotto la responsabilit� di un direttore�. 
N� pu� sostenersi, come pure fa l�appellante, che l�indennit� in questione spetti al direttore 
responsabile che sostituisce il titolare �nei casi consentiti� (ex art.3 L. n. 221/1968), 
che sarebbero solo e tassativamente quelli di cui all�art. 11 L. n. 475/1968 (che contempla la 
possibilit� della sostituzione temporanea del titolare con altro farmacista iscritto all�Ordine 
nei casi d�infermit�, gravi motivi di famiglia, gravidanza, parto e allattamento, adozione di 
minori e affidamento familiare, servizio militare, chiamata a pubbliche funzioni elettive, ferie), 
in quanto, come correttamente rilevato dal Tribunale, in base ad una lettura logico-sistematica 
delle varie disposizioni in materia, non pu� che concludersi nel senso che tra �i casi consentiti� 
di sostituzione rientra anche quello del farmacista che assume la direzione di una farmacia 
acquisita da altri jure haereditatis. 
Per le ragioni che precedono l�appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza 
impugnata. 
Si ravvisano, tuttavia, giusti motivi per disporre la compensazione integrale tra le parti 
delle spese, competenze ed onorari del presente grado di giudizio. 
P. Q. M. 
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando 
sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e, per l�effetto, conferma la sentenza impugnata.
100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
(All. 4) 
Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo per la Regione Puglia, deliberazione 27 febbraio 
2008 n. 3 - Pres. Grasso, Rel. Petrucci. Richiesta di parere formulata dal Sindaco del 
Comune di Bitonto. 
(Omissis...) 
La Sezione rileva che la richiesta di parere avente ad oggetto l�interpretazione e la concreta 
applicazione della recente normativa introdotta dall�art. 3 comma 27 e seguenti della L. 
24/12/2007 n. 244 in materia di societ� partecipate da amministrazioni pubbliche possa inquadrarsi 
nella materia di contabilit� pubblica rilevato che, come gi� evidenziato da questa 
Sezione nelle deliberazioni n. 99/2006 e n. 65/2007, sugli equilibri di bilancio degli Enti locali 
finiscono per incidere direttamente i risultati degli organismi partecipati spesso destinatari di 
cospicui trasferimenti dagli Enti e che possono anche produrre eventuali utili o dividendi in 
favore dell�Ente partecipante. 
Inoltre, il risultato economico finale della gestione degli enti locali deve comprendere anche 
il risultato della gestione operativa che comprende i costi sostenuti ed i ricavi conseguiti dall�esercizio 
di attivit� esterne svolte attraverso aziende speciali o societ� partecipate. 
Il quesito attiene, pertanto, alla materia della contabilit� pubblica e presenta, inoltre, carattere 
generale ed astratto essendo rivolto all�interpretazione di specifica normativa. 
Passando all�esame del quesito, il Sindaco richiede se la nuova disciplina introdotta dall�art. 
3, commi 27-32, della 24/12/2007 n. 244, recante la legge finanziaria per l�esercizio 2008, 
debba essere interpretata nel senso che impedisca al Comune di assumere, ai sensi dell�art. 9, 
comma 1, lett. d) della L. 02/04/1968 n. 475 come sostituito dall�art. 10 della L. 08/11/1991 
n. 362, la gestione delle farmacie di cui l�Ente abbia la titolarit� mediante la costituzione di 
societ� di capitali. 
L�art. 3, comma 27, della legge finanziaria per il 2008 cos� dispone: �al fine di tutelare la 
concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all�articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 
30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire societ� aventi per oggetto attivit� di 
produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie 
finalit� istituzionali, n� assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, 
anche di minoranza in tali societ�. E� sempre ammessa la costituzione di societ� che producono 
servizi di interesse generale e l�assunzione di partecipazioni in tali societ� da parte delle amministrazioni 
di cui all�articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, 
nell�ambito dei rispettivi livelli di competenza�. 
L�assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali deve essere autorizzata, 
secondo il disposto del comma 28, dall'Organo Consiliare con delibera motivata che accerti 
la sussistenza dei presupposti di cui al comma 27. 
La L. 244/2007 fissa, quindi, un termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della 
legge entro il quale le amministrazioni pubbliche devono cedere a terzi le societ� e le partecipazioni 
vietate ai sensi del comma 27. 
La novella legislativa in materia di societ� partecipate, tesa ad operare una riduzione del fenomeno 
della proliferazione di societ� pubbliche o miste considerato una delle cause dell�incremento 
della spesa pubblica degli enti locali, individua, pertanto, due tipologie di societ� 
partecipate espressamente consentite: societ� che svolgono attivit� strettamente necessarie 
alle finalit� istituzionali degli Enti e societ� che producono servizi di interesse generale.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 101 
La richiesta di parere si incentra proprio sulla concreta qualificazione dell�attivit� di gestione 
delle farmacie comunali mediante l�utilizzo del modello societario previsto dal citato art. 9 
della L. n. 475/1968 che consente ai comuni di ottenere, per met�, la titolarit� delle farmacie 
che si rendono vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito di revisione della pianta organica. 
La gestione di tali farmacie pu� avvenire in economia, a mezzo di aziende speciali o di consorzi 
tra comuni e mediante societ� di capitali. 
La Sezione ritiene che l�attivit� di gestione delle farmacie comunali costituisca esercizio di 
un pubblico servizio trattandosi, in particolare, di un�attivit� rivolta a fini sociali, secondo il 
disposto dell�art. 112 del D. Lgs. 18/08/2000 n. 267 che consente agli Enti locali, nell�ambito 
delle rispettive competenze, di provvedere alla gestione dei servizi pubblici che abbiano ad 
oggetto la produzione di beni ed attivit� rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo 
sviluppo economico e civile delle comunit� locali. 
Il concreto inquadramento della farmacia comunale tra le societ� che perseguono finalit� istituzionali 
dell�Ente o tra le societ� rivolte alla produzione di servizi di interesse generale � rimessa 
all�esclusiva valutazione dell�Organo Consiliare; tuttavia, ad avviso della Sezione, 
l�evidente connotazione delle farmacie comunali destinate a fornire un pubblico servizio in 
favore della collettivit� generale esclude che tale partecipazione possa ritenersi vietata. 
PQM 
Nelle su esposte considerazioni � il parere di questa Sezione Regionale di Controllo per la 
Puglia. 
(All. 5) 
Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Grande Sezione, sentenza 19 maggio 2009 
nella causa C-531/06 - Ricorso per inadempimento della Commissione delle Comunit� europee/
Repubblica italiana. (Avvocato dello Stato G. Fiengo - AL 6524/07). 
�Inadempimento di uno Stato � Libert� di stabilimento � Libera circolazione dei capitali � 
Artt. 43 CE e 56 CE � Sanit� pubblica � Farmacie � Disposizioni che riservano ai soli farmacisti 
il diritto di gestire una farmacia � Giustificazione � Rifornimento di medicinali alla 
popolazione sicuro e di qualit� � Indipendenza professionale dei farmacisti � Imprese di distribuzione 
di prodotti farmaceutici � Farmacie comunali� 
(Omissis... ) 
41 Nel caso in esame si deve rilevare che la Commissione considera, nel suo ricorso, due 
fattispecie diverse che possono rientrare nell�ambito di applicazione della normativa nazionale 
di cui trattasi. Da un lato, la Commissione considera la situazione in cui tale normativa impedisce 
ai non farmacisti di detenere, in societ� di gestione di farmacie, partecipazioni rilevanti 
che conferiscano loro una sicura influenza sulle decisioni di queste ultime. Dall�altro, gli addebiti 
della Commissione riguardano la situazione in cui tale normativa impedisce ad investitori 
di altri Stati membri che non siano farmacisti di acquisire, in tali societ�, partecipazioni 
di minore rilevanza che non attribuiscono una tale influenza.
102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
42 La normativa nazionale dev�essere pertanto esaminata alla luce sia dell�art. 43 CE sia 
dell�art. 56 CE. 
� Sull�esistenza di restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali 
43 Con riferimento all�art. 43 CE, risulta da una costante giurisprudenza che tale disposizione 
osta a qualsiasi provvedimento nazionale che, anche se si applica senza discriminazioni 
in base alla cittadinanza, possa ostacolare o scoraggiare l�esercizio, da parte dei cittadini comunitari, 
della libert� di stabilimento garantita dal Trattato (v., in particolare, sentenze 31 
marzo 1993, causa C.19/92, Kraus, Racc. pag. I.1663, punto 32, e 14 ottobre 2004, causa 
C.299/02, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I.9761, punto 15). 
44 Costituisce in particolare una restrizione ai sensi dell�art. 43 CE una normativa che subordina 
lo stabilimento, nello Stato membro ospitante, di un operatore economico di un altro 
Stato membro al rilascio di un�autorizzazione preventiva e che riserva l�esercizio di un�attivit� 
autonoma a taluni operatori economici che rispondono a esigenze predeterminate al cui rispetto 
� subordinato il rilascio di questa autorizzazione. Una siffatta normativa scoraggia, se 
non addirittura ostacola, operatori economici di altri Stati membri nell�esercizio, nello Stato 
membro ospitante, delle loro attivit� tramite un istituto di cura stabile (v., in tal senso, sentenza 
Hartlauer, cit., punti 34, 35 e 38). 
45 La norma di esclusione dei non farmacisti costituisce una siffatta restrizione poich� riserva 
la gestione delle farmacie ai soli farmacisti, impedendo agli altri operatori economici 
di accedere a questa attivit� autonoma nello Stato membro interessato. 
46 Riguardo all�art. 56 CE, si deve ricordare che devono essere qualificate come restrizioni, 
ai sensi del n. 1 di tale articolo, misure nazionali idonee a impedire o a limitare l�acquisizione 
di partecipazioni nelle imprese interessate o che possano dissuadere gli investitori degli altri 
Stati membri dall�investire nel capitale di queste ultime (v. sentenze 23 ottobre 2007, causa 
C.112/05, Commissione/Germania, Racc. pag. I.8995, punto 19, e 6 dicembre 2007, cause 
riunite C.463/04 e C.464/04, Federconsumatori e a., Racc. pag. I.10419, punto 21). 
47 Nel caso di specie la normativa nazionale prevede che i soci di societ� di gestione di 
farmacie possano essere soltanto farmacisti. Tale normativa impedisce pertanto agli investitori 
di altri Stati membri che non sono farmacisti di acquisire partecipazioni in questo tipo di societ�. 
48 Di conseguenza questa normativa introduce restrizioni ai sensi degli artt. 43 CE e 56, 
n. 1, CE. 
� Sulla giustificazione delle restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione 
dei capitali 
49 Le restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali, che siano 
applicabili senza discriminazioni basate sulla nazionalit�, possono essere giustificate da motivi 
imperativi di interesse pubblico, a condizione che siano atte a garantire la realizzazione dello 
scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario al raggiungimento di tale scopo (v. 
sentenze 25 gennaio 2007, causa C.370/05, Festersen, Racc. pag. I.1129, punto 26, e Hartlauer, 
cit., punto 44). 
50 Nella fattispecie si deve constatare, in primo luogo, che la normativa nazionale si applica 
senza discriminazioni basate sulla nazionalit�. 
51 In secondo luogo, la tutela della sanit� pubblica figura tra i motivi imperativi di interesse 
pubblico che possono giustificare restrizioni alle libert� di circolazione garantite dal Trattato 
quali la libert� di stabilimento (v., in particolare, sentenza Hartlauer, cit., punto 46) e la libera
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 103 
circolazione dei capitali. 
52 Pi� precisamente, restrizioni a dette libert� di circolazione possono essere giustificate 
dallo scopo di garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit� (v., 
in tal senso, citate sentenze Deutscher Apothekerverband, punto 106, e 11 settembre 2008, 
Commissione/Germania, punto 47). 
53 Si deve esaminare, in terzo luogo, se la disposizione di esclusione dei non farmacisti 
sia adeguata ad assicurare tale scopo. 
54 Al riguardo occorre che, qualora sussistano incertezze circa l�esistenza o l�entit� dei rischi 
per la salute delle persone, lo Stato membro possa adottare misure di tutela senza dover 
aspettare che la concretezza di tali rischi sia pienamente dimostrata. Inoltre lo Stato membro 
pu� adottare misure che riducano, per quanto possibile, il rischio per la sanit� pubblica (v., in 
tal senso, sentenza 5 giugno 2007, causa C.170/04, Rosengren e a., Racc. pag. I.4071, punto 
49), compreso, pi� precisamente, il rischio per il rifornimento di medicinali alla popolazione 
sicuro e di qualit�. 
55 In tale contesto si deve sottolineare il carattere molto particolare dei medicinali, che si 
distinguono sostanzialmente dalle altre merci per i loro effetti terapeutici (v., in tal senso, sentenza 
21 marzo 1991, causa C.369/88, Delattre, Racc. pag. I.1487, punto 54). 
56 In ragione di tali effetti terapeutici, i medicinali possono nuocere gravemente alla salute 
se assunti senza necessit� o in modo sbagliato, senza che il paziente possa esserne consapevole 
al momento della loro somministrazione. 
57 Un consumo eccessivo o un uso sbagliato di medicinali comporta inoltre uno spreco di 
risorse finanziarie, tanto pi� grave se si considera che il settore farmaceutico genera costi considerevoli 
e deve rispondere a bisogni crescenti, mentre le risorse finanziarie che possono essere 
destinate alla sanit�, qualunque sia il modo di finanziamento utilizzato, non sono illimitate 
(v., per analogia, riguardo alle cure ospedaliere, sentenze 13 maggio 2003, causa C.385/99, 
M�ller-Faur� e van Riet, Racc. pag. I.4509, punto 80, nonch� Watts, cit., punto 109). Al riguardo 
si deve rilevare che esiste un nesso diretto tra tali risorse finanziarie e gli utili di operatori 
economici attivi nel settore farmaceutico poich� la prescrizione di medicinali � presa 
in carico, nella maggior parte degli Stati membri, dagli organismi di assicurazione malattia 
interessati. 
58 Con riguardo a tali rischi per la sanit� pubblica e per l�equilibrio finanziario dei sistemi 
di sicurezza sociale, gli Stati membri possono sottoporre le persone che si occupano della distribuzione 
dei medicinali al dettaglio a condizioni severe, con riferimento in particolare alle 
modalit� di commercializzazione di questi ultimi e alla finalit� di lucro. In particolare, essi 
possono riservare la vendita di medicinali al dettaglio, in linea di principio, ai soli farmacisti, 
in considerazione delle garanzie che questi ultimi devono offrire e delle informazioni che essi 
devono essere in grado di dare al consumatore (v., in tal senso, sentenza Delattre, cit., punto 
56). 
59 Al riguardo, e tenuto conto della facolt� riconosciuta agli Stati membri di decidere il 
grado di tutela della sanit� pubblica, si deve ammettere che questi ultimi possano esigere che 
i medicinali vengano distribuiti da farmacisti che godano di un�effettiva indipendenza professionale. 
Essi possono altres� adottare misure idonee ad eliminare o ridurre il rischio che 
tale indipendenza sia compromessa, dal momento che ci� potrebbe pregiudicare il livello di 
sicurezza e la qualit� del rifornimento di medicinali alla popolazione. 
60 In tale contesto si devono distinguere tre categorie di potenziali gestori di farmacia, 
vale a dire la categoria delle persone fisiche che rivestono la qualit� di farmacisti, quella delle
104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
persone operanti nel settore dei prodotti farmaceutici quali produttori o grossisti, e quella delle 
persone che non hanno la qualit� di farmacisti n� svolgono un�attivit� in detto settore. 
61 Riguardo al gestore che possiede la qualit� di farmacista, non si pu� negare che esso 
persegua, come altre persone, una finalit� di lucro. Tuttavia, in quanto farmacista di professione, 
si ritiene che quest�ultimo gestisca la farmacia in base non ad un obiettivo meramente 
economico, ma altres� in un�ottica professionale. Il suo interesse privato, connesso alla finalit� 
di lucro, viene quindi temperato dalla sua formazione, dalla sua esperienza professionale e 
dalla responsabilit� ad esso incombente, considerato che un�eventuale violazione delle disposizioni 
normative o deontologiche comprometterebbe non soltanto il valore del suo investimento, 
ma altres� la propria vita professionale. 
62 A differenza dei farmacisti, i non farmacisti non hanno, per definizione, una formazione, 
un�esperienza e una responsabilit� equivalenti a quelle dei farmacisti. Pertanto si deve constatare 
che essi non forniscono le stesse garanzie fornite dai farmacisti. 
63 Di conseguenza uno Stato membro pu� ritenere, nell�ambito del suo margine di discrezionalit� 
richiamato al punto 36 della presente sentenza, che la gestione di una farmacia da 
parte di un non farmacista, a differenza della gestione affidata ad un farmacista, possa rappresentare 
un rischio per la sanit� pubblica, in particolare per la sicurezza e la qualit� della 
distribuzione dei medicinali al dettaglio, poich� la finalit� di lucro, nell�ambito di una siffatta 
gestione, non incontra elementi temperanti quali quelli, ricordati al punto 61 della presente 
sentenza, che caratterizzano l�attivit� dei farmacisti (v., per analogia, riguardo alla prestazione 
di servizi di assistenza sociale, sentenza 17 giugno 1997, causa C.70/95, Sodemare e a., Racc. 
pag. I.3395, punto 32). 
64 Uno Stato membro pu� pertanto, in particolare, nell�ambito di detto margine di discrezionalit�, 
valutare se un tale rischio esista con riferimento ai produttori e ai commercianti all�ingrosso 
di prodotti farmaceutici, per il motivo che questi ultimi potrebbero pregiudicare 
l�indipendenza dei farmacisti stipendiati incitandoli a promuovere i medicinali da essi stessi 
prodotti o commercializzati. Del pari, uno Stato membro pu� valutare il rischio che i gestori 
non farmacisti compromettano l�indipendenza dei farmacisti stipendiati, incitandoli a smerciare 
medicinali il cui stoccaggio non sia pi� redditizio, o procedano a riduzioni di spese di 
funzionamento che possono incidere sulle modalit� di distribuzione al dettaglio dei medicinali. 
65 In subordine, la Commissione sostiene che, nel caso di specie, la disposizione di esclusione 
dei non farmacisti non pu� essere giustificata dall�interesse pubblico, per l�incoerenza 
del modo in cui tale obiettivo � perseguito. 
66 Al riguardo, risulta dalla giurisprudenza della Corte che una normativa nazionale � idonea 
a garantire la realizzazione dell�obiettivo addotto solo se risponde realmente all�intento 
di raggiungerlo in modo coerente e sistematico (v. sentenze 6 marzo 2007, cause riunite 
C.338/04, C.359/04 e C.360/04, Placanica e a., Racc. pag. I.1891, punti 53 e 58; 17 luglio 
2008, causa C.500/06, Corporaci�n Dermoest�tica, non ancora pubblicata nella Raccolta, 
punti 39 e 40, nonch� Hartlauer, cit., punto 55). 
67 In questo contesto si deve rilevare che la normativa nazionale non esclude in modo assoluto 
la gestione di farmacie da parte di soggetti non farmacisti. 
68 Infatti l�art. 7, nn. 9 e 10, della legge n. 362/1991 prevede, eccezionalmente, che gli 
eredi di un farmacista che non possiedono essi stessi la qualit� di farmacisti possano gestire 
la farmacia ereditata per un periodo di uno, tre o dieci anni secondo la situazione personale 
degli eredi.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 105 
69 Tuttavia la Commissione non ha dimostrato che tale eccezione renderebbe la normativa 
nazionale incoerente. 
70 Anzitutto, quest�ultima si rivela giustificata riguardo alla tutela dei diritti e degli interessi 
patrimoniali legittimi dei familiari del farmacista deceduto. Al riguardo si deve constatare che 
gli Stati membri possono considerare che gli interessi degli eredi di un farmacista non siano 
tali da rimettere in discussione le esigenze e le garanzie derivanti dai loro rispettivi ordinamenti 
giuridici, cui i gestori che hanno la qualit� di farmacisti devono rispondere. In tale contesto 
si deve soprattutto prendere in considerazione la circostanza che la farmacia ereditata deve 
essere gestita, per tutto il periodo transitorio, sotto la responsabilit� di un farmacista laureato. 
Pertanto, gli eredi non possono, in tale concreto contesto, essere assimilati ad altri gestori che 
non possiedono la qualit� di farmacisti. 
71 Si deve inoltre rilevare che detta eccezione ha soltanto effetti temporanei. Infatti gli 
eredi devono effettuare, di regola, il trasferimento dei diritti di gestione della farmacia ad un 
farmacista nel termine di un solo anno. Soltanto nel caso di una partecipazione ad una societ� 
di gestione di una farmacia costituita da farmacisti gli aventi diritto dispongono di un termine 
pi� lungo per la sua cessione, poich� quest�ultimo � di tre anni a decorrere dall�acquisto di 
tale partecipazione. 
72 Tali eccezioni sono quindi volte a consentire agli aventi diritto di cedere la farmacia ad 
un farmacista entro un termine che non risulta irragionevole. 
73 Infine, anche se l�art. 7, nn. 9 e 10, della legge n. 362/1991 consente ad alcuni eredi un 
termine di dieci anni per la cessione della farmacia, termine che potrebbe rivelarsi irragionevole, 
si deve rilevare che, tenuto conto del suo campo di applicazione particolarmente ristretto, 
limitato al caso in cui l�avente causa sia il coniuge ovvero l�erede in linea retta entro il secondo 
grado del farmacista deceduto e al fatto che tale avente causa deve iscriversi, entro un anno 
dalla data di acquisizione della farmacia, ad una facolt� di farmacia in qualit� di studente, tale 
disposizione non potrebbe essere sufficiente a concludere che la normativa nazionale in parola 
� incoerente. 
74 La Commissione non ha neppure dimostrato che la normativa nazionale � incoerente 
nel consentire a taluni non farmacisti di gestire farmacie comunali, dal momento che prevede 
la possibilit� per i comuni di costituire, per la gestione di queste farmacie, societ� per azioni 
i cui soci non sono necessariamente farmacisti. 
75 Anzitutto, non vi sono elementi agli atti che permettano di affermare che i comuni, che 
beneficiano dello statuts di detentori di prerogative di potere pubblico, rischiano di lasciarsi 
guidare da uno scopo commerciale particolare e di gestire farmacie comunali a scapito delle 
esigenze della sanit� pubblica. 
76 Inoltre la Commissione non ha contestato gli elementi, sottoposti alla Corte dalla Repubblica 
italiana, volti a dimostrare che i comuni hanno estesi poteri di controllo sulle societ� 
incaricate della gestione delle farmacie comunali e che tali poteri permettono loro di salvaguardare 
il perseguimento dell�interesse pubblico. 
77 Secondo queste indicazioni, il comune interessato resta titolare di tali farmacie, definisce 
le modalit� concrete della gestione in esse del servizio farmaceutico e bandisce una gara di 
appalto per scegliere il socio della societ� incaricata della gestione della farmacia, fermo restando 
che le disposizioni dirette ad assicurare il rispetto di tali modalit� sono inserite sia nel 
bando di gara di appalto, sia negli strumenti contrattuali che disciplinano i rapporti giuridici 
tra il comune e la societ� interessata. 
78 Risulta inoltre dalle indicazioni non contestate della Repubblica italiana che il comune
106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
conserva la competenza a designare uno o pi� amministratori e revisori contabili della societ� 
incaricata della gestione della farmacia comunale e partecipa cos� all�elaborazione delle decisioni 
e al controllo interno delle attivit� di quest�ultima. Le persone in tal modo designate 
hanno il potere di controllare che detta farmacia comunale persegua sistematicamente l�interesse 
pubblico e di evitare che l�indipendenza professionale dei farmacisti stipendiati venga 
compromessa. 
79 Infine, secondo queste stesse indicazioni, il comune interessato non rimane privato 
della possibilit� di modificare o sciogliere il rapporto giuridico con la societ� incaricata della 
gestione della farmacia comunale al fine di realizzare una politica commerciale che ottimizzi 
il perseguimento dell�interesse pubblico. 
80 Di conseguenza, in assenza di elementi di prova sufficienti da parte della Commissione, 
la normativa nazionale riguardante le farmacie comunali non pu� essere considerata incoerente. 
81 Tenuto conto di quanto precede, si deve constatare che la normativa oggetto dell�inadempimento 
contestato � atta a garantire la realizzazione dell�obiettivo volto ad assicurare un 
rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit� e, pertanto, la tutela della sanit� 
pubblica. 
82 In quarto luogo, si deve esaminare se le restrizioni alla libert� di stabilimento e alla 
libera circolazione dei capitali vadano oltre quanto necessario al fine di raggiungere detto 
obiettivo, vale a dire se non esistano misure meno restrittive delle libert� garantite dagli artt. 
43 CE e 56 CE che consentano di raggiungerlo in modo altrettanto efficace. 
83 Al riguardo la Commissione sostiene che detto obiettivo potrebbe essere raggiunto da 
misure meno restrittive, quali l�obbligo di presenza di un farmacista nella farmacia, l�obbligo 
di stipulare un�assicurazione o un sistema di controlli adeguati e di sanzioni efficaci. 
84 Tuttavia, tenuto conto del margine di discrezionalit� lasciato agli Stati membri, ricordato 
al punto 36 della presente sentenza, uno Stato membro pu� ritenere sussistente il rischio che 
le disposizioni normative dirette a garantire l�indipendenza professionale dei farmacisti non 
vengano in realt� osservate, tenuto conto che l�interesse di un non farmacista alla realizzazione 
di utili non sarebbe temperato come quello dei farmacisti indipendenti e che la subordinazione 
dei farmacisti, quali dipendenti stipendiati, ad un gestore potrebbe rendere difficile per essi 
opporsi alle istruzioni fornite da quest�ultimo. 
85 Orbene, la Commissione non ha presentato, al di fuori di considerazioni generali, alcun 
elemento atto a dimostrare quale sia il sistema concreto idoneo a garantire, con la stessa efficacia 
della disposizione preventiva di esclusione dei non farmacisti, che dette disposizioni 
normative vengano effettivamente osservate nonostante le considerazioni enunciate al punto 
precedente della presente sentenza. 
86 Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, i rischi per l�indipendenza 
della professione di farmacista non possono neppure essere esclusi, con la stessa efficacia, 
attraverso l�imposizione dell�obbligo di stipulare un�assicurazione, quale l�assicurazione della 
responsabilit� civile per fatto altrui. Infatti, anche se tale misura potrebbe permettere al paziente 
di ottenere un risarcimento finanziario per il danno da esso eventualmente sub�to, essa 
interviene a posteriori e sarebbe meno efficace rispetto a detta disposizione nel senso che non 
impedirebbe in alcun modo al gestore interessato di esercitare un�influenza sui farmacisti stipendiati. 
87 Pertanto, non � accertato che una misura meno restrittiva delle libert� garantite dagli 
artt. 43 CE e 56 CE, diversa dalla disposizione di esclusione dei non farmacisti, permetterebbe
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 107 
di garantire, in modo altrettanto efficace, il livello di sicurezza e di qualit� di rifornimento di 
medicinali alla popolazione che risulta dall�applicazione di tale disposizione. 
88 Di conseguenza, la normativa nazionale risulta idonea a garantire la realizzazione dell�obiettivo 
da essa perseguito e non va oltre quanto necessario per raggiungerlo. Pertanto si 
deve ammettere che le restrizioni derivanti da tale normativa possono essere giustificate da 
questo obiettivo. 
89 Tale conclusione non � rimessa in discussione dalla sentenza 21 aprile 2005, causa 
C.140/03, Commissione/Grecia (Racc. pag. I.3177), richiamata dalla Commissione, nella 
quale la Corte ha dichiarato che la Repubblica ellenica non ha adempiuto agli obblighi ad 
essa incombenti, ai sensi degli artt. 43 CE e 48 CE, adottando e mantenendo in vigore disposizioni 
nazionali che subordinano la possibilit� per una persona giuridica di aprire un negozio 
di ottica, in particolare, alla condizione che l�autorizzazione ad aprire e gestire il negozio di 
ottica sia rilasciata a nome di un ottico autorizzato, persona fisica, e che la persona titolare 
dell�autorizzazione a gestire il negozio partecipi per almeno il 50% al capitale sociale, nonch� 
ai profitti e alle perdite. 
90 Tenuto conto del carattere particolare dei prodotti medicinali nonch� del loro mercato, 
e allo stato attuale del diritto comunitario, le considerazioni della Corte nella citata sentenza 
Commissione/Grecia non sono trasponibili nel settore della distribuzione di medicinali al dettaglio. 
Infatti, a differenza dei prodotti ottici, i medicinali prescritti o utilizzati per ragioni terapeutiche 
possono, malgrado tutto, rivelarsi gravemente nocivi per la salute se assunti senza 
necessit� o in modo sbagliato, senza che il paziente possa esserne consapevole al momento 
della loro somministrazione. Inoltre, una vendita di medicinali che non sia giustificata dal 
punto di vista medico comporta uno spreco di risorse pubbliche finanziarie non comparabile 
a quello risultante da vendite ingiustificate di prodotti ottici. 
91 Alla luce di quanto precede, il primo motivo del ricorso deve essere respinto in quanto 
infondato. 
Sul secondo motivo 
Argomenti delle parti 
92 Con il secondo motivo la Commissione sostiene che il regime delle farmacie comunali 
viola gli artt. 43 CE e 56 CE. � vero che, da un lato, tale regime consentirebbe a soggetti non 
farmacisti di gestire, a talune condizioni, farmacie comunali, dal momento che prevede la 
possibilit� di costituire, per la loro gestione, societ� per azioni i cui soci non sono necessariamente 
farmacisti. Tuttavia, dall�altro, la normativa nazionale impedirebbe alle imprese di distribuzione 
di prodotti farmaceutici di acquisire partecipazioni in queste societ�, laddove una 
siffatta restrizione non pu� in alcun modo essere giustificata dagli obiettivi connessi alla tutela 
della sanit� pubblica. 
93 Infatti, in primo luogo, una normativa del genere non sarebbe adeguata al raggiungimento 
di tali obiettivi. Da un lato, essa si fonderebbe su un�errata presunzione secondo la 
quale un�impresa di distribuzione sarebbe maggiormente indotta, nella gestione di una farmacia 
comunale, a privilegiare il proprio interesse personale a scapito dell�interesse pubblico 
rispetto a persone non operanti nel settore della distribuzione farmaceutica. 
94 Dall�altro lato, detta normativa sarebbe incoerente, in quanto ammette deroghe di considerevole 
portata. In particolare, una persona potrebbe associarsi ad un�impresa di distribuzione 
e, ci� nonostante, gestire una farmacia comunale, a condizione che non occupi in 
quest�impresa una posizione cui siano connessi poteri di decisione e controllo. 
95 In secondo luogo, il divieto per le imprese di distribuzione di acquisire una partecipa-
108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
zione nelle farmacie comunali non sarebbe necessario, poich� l�obiettivo invocato potrebbe 
essere raggiunto con altre misure meno restrittive, quali l�obbligo di presenza di un farmacista 
nella farmacia, l�obbligo di stipulare un�assicurazione o la realizzazione di un sistema di controlli 
adeguati e di sanzioni efficaci. 
96 La Repubblica italiana controbatte rilevando che il secondo motivo sarebbe privo di 
fondamento, in quanto il decreto Bersani avrebbe soppresso il divieto per le imprese di distribuzione 
di acquisire partecipazioni nelle farmacie comunali. 
97 In ogni caso, un siffatto divieto non violerebbe l�art. 43 CE, in quanto potrebbe essere 
giustificato dall�interesse pubblico di tutela della sanit� pubblica. Tale divieto si applicherebbe 
indiscriminatamente e sarebbe diretto, infatti, ad impedire alle imprese di distribuzione di 
promuovere, tramite le farmacie comunali, i medicinali da esse commercializzati. Orbene, 
altre misure meno vincolanti non raggiungerebbero questo obiettivo di interesse pubblico con 
la stessa efficacia. 
Giudizio della Corte 
98 Riguardo, anzitutto, all�argomento della Repubblica italiana relativo all�adozione del 
decreto Bersani, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l�esistenza di un 
inadempimento dev�essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si 
presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che i mutamenti intervenuti 
in seguito non possono essere presi in considerazione dalla Corte (v., in particolare, sentenze 
30 gennaio 2002, causa C.103/00, Commissione/Grecia, Racc. pag. I.1147, punto 23, e 17 
gennaio 2008, causa C.152/05, Commissione/Germania, Racc. pag. I.39, punto 15). 
99 Nel caso di specie � pacifico che, alla data di scadenza del termine stabilito nel parere 
motivato, la normativa nazionale non consentiva alle imprese di distribuzione di acquisire 
una partecipazione nelle societ� di gestione delle farmacie comunali, in quanto il decreto Bersani 
� stato adottato solo dopo tale data. 
100 Si deve inoltre constatare che la normativa nazionale, considerata la giurisprudenza citata 
ai punti 43 e 46 della presente sentenza, comporta restrizioni ai sensi degli artt. 43 CE e 
56 CE. Infatti essa impedisce a taluni operatori economici, ossia quelli che esercitano un�attivit� 
di distribuzione di prodotti farmaceutici, di svolgere contemporaneamente un�attivit� 
nell�ambito di farmacie comunali. Del pari, una tale normativa impedisce ad investitori provenienti 
da Stati membri diversi dalla Repubblica italiana, costituiti da imprese di distribuzione, 
di acquisire partecipazioni in determinate societ�, vale a dire quelle cui � stata affidata 
la gestione di farmacie comunali. 
101 Con riferimento all�eventuale giustificazione di tali restrizioni, si deve anzitutto rilevare 
che la normativa nazionale si applica senza discriminazioni relative alla nazionalit� e che essa 
persegue l�obiettivo di assicurare un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di 
qualit�. 
102 Inoltre questa normativa � idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo. In primo 
luogo, come risulta dai punti 62-64 della presente sentenza, uno Stato membro pu� considerare 
che le imprese di distribuzione sono in grado di esercitare una certa pressione sui farmacisti 
stipendiati allo scopo di privilegiare l�interesse consistente nella realizzazione di utili. 
103 In secondo luogo, tenuto conto delle considerazioni enunciate in questi stessi punti 
della presente sentenza, lo Stato membro interessato pu� ritenere, nell�ambito del suo margine 
di discrezionalit�, che i poteri di controllo dei comuni sulle societ� cui � affidata la gestione 
delle farmacie comunali non siano adeguati ad evitare l�influenza delle imprese di distribuzione 
sui farmacisti stipendiati.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 109 
104 In terzo luogo, si deve rilevare che la Commissione non ha fornito elementi concreti e 
precisi in base ai quali la Corte potrebbe concludere che la normativa indicata nel secondo 
motivo � incoerente rispetto ad altre disposizioni nazionali, come quella che consente ad una 
persona di associarsi ad un�impresa di distribuzione nonch� ad una societ� cui � affidata la 
gestione di una farmacia comunale, a condizione che essa non occupi nella prima impresa 
una posizione cui siano connessi poteri di decisione e di controllo. 
105 Infine, riguardo al carattere necessario della normativa nazionale, si deve constatare 
che, come enunciato ai punti 84-86 della presente sentenza, uno Stato membro pu� considerare 
esistente il rischio che disposizioni normative dirette a garantire l�indipendenza professionale 
dei farmacisti possano, nella pratica, essere violate o eluse. Del pari, i rischi per la sicurezza 
e la qualit� del rifornimento di medicinali alla popolazione non possono essere esclusi, con la 
stessa efficacia, attraverso l�imposizione dell�obbligo di stipulare un�assicurazione, in quanto 
un siffatto strumento non impedirebbe necessariamente al gestore interessato di esercitare 
un�influenza sui farmacisti stipendiati. 
(...Omissis) 
(All. 6) 
Corte di Giustizia delle Comunit� europee, conclusioni dell�Avvocato Generale M. Poiares 
Maduro presentate il 30 settembre 2009 (1) nelle cause riunite C-570/07 e C-571/07 
- Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal Superior de Justicia de Asturias 
(Spagna) - Ricorrenti Jos� Manuel Blanco P�rez e Mar�a del Pilar Chao G�mez - (Avvocato 
dello Stato G. Fiengo - AL 16694/08). 
1. Non � nuovo il timore che i farmacisti in cerca di guadagni possano compromettere i 
loro obblighi professionali. � un problema che risale almeno ai tempi di Romeo e Giulietta di 
Shakespeare, quando Romeo convinceva un �povero diavolo� di speziale a vendergli il veleno 
con questi versi: 
�Sulle tue guance si legge la fame, 
negli occhi t�agonizza la miseria 
ed il bisogno; porti appesi al collo 
visibilmente il disprezzo del prossimo 
e la pi� misera pezzenteria; 
il mondo non tՏ amico, 
n� ti fu mai amica la sua legge; 
il mondo non ha legge 
che faccia ricco uno come te. 
Allora, perch� vuoi restare povero? 
Infrangila, la legge, e prendi questo!� (2). 
1 � Lingua originale: l�inglese. 
2 � William Shakespeare, Romeo e Giulietta, atto V, scena prima.
110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
2. Per riprendere i versi di Shakespeare, potremmo dire che il nodo della presente controversia 
� in che misura per garantire la qualit� dei servizi farmaceutici si debba prevedere l�arricchimento 
di alcuni farmacisti. Le autorit� asturiane, nonch� quelle di altri Stati membri con 
normative analoghe, giustificano infatti le proprie regole che limitano l�apertura di nuove farmacie 
essenzialmente con la necessit� di salvaguardare i giusti incentivi economici affinch� la 
fornitura di servizi farmaceutici avvenga nella maniera pi� ampia e migliore possibile. A loro 
avviso, ci� richiede, da un lato, una protezione delle farmacie esistenti dai �pericoli� della 
concorrenza e, dall�altro, uno stimolo per i farmacisti a orientarsi verso zone meno redditizie, 
ottenuto limitando l�accesso a quelle pi� redditizie. Non dubito che le condizioni economiche 
in cui viene fornito un servizio possano influire sulla fornitura del servizio stesso. Gli Stati 
possono legittimamente fondare le proprie normative su tali preoccupazioni laddove esse 
siano strumentali al perseguimento di un fine pubblico come quello della tutela della salute 
pubblica. Per contro, gli Stati non possono limitarsi semplicemente a invocare tale nesso 
eventuale per giustificare qualsiasi regime. Le leggi che concedono vantaggi economici speciali 
ad alcuni operatori economici rispetto ad altri devono essere sottoposte a un�accurata 
verifica. La questione di cui si discute nel caso di specie non si presta ad una soluzione semplice. 
Da un lato, la tutela della salute umana � di primaria importanza e la Corte � tenuta a 
rispettare le decisioni degli Stati membri in questo complesso settore. Dall�altro, � compito 
di codesto giudice porre rimedio a situazioni in cui le attivit� politiche locali siano state indotte 
a fornire vantaggi economici a determinati cittadini a discapito, tra l�altro, di cittadini 
di altri Stati membri. A tale compito non � possibile rinunciare solo perch� una controversia 
solleva questioni di salute pubblica. Invero, la necessit� dell�intervento di un arbitro imparziale 
� maggiore laddove gli interessi in gioco riguardano non solo un vantaggio economico, 
ma anche la salute umana. Conseguentemente, in risposta alle questioni sottoposte nella fattispecie, 
cercher� di ponderare gli interessi contrapposti sia adeguandomi alle valutazioni 
politiche degli Stati membri, sia esaminandone attentamente le modalit� di attuazione, alla 
ricerca di eventuali segnali di uno sviamento politico alla luce dei requisiti di unit� e coerenza 
sviluppati nella giurisprudenza della Corte relativamente alla normativa nazionale che ostacola 
la libera circolazione. 
I � Contesto fattuale e giuridico 
3. I ricorrenti nelle presenti cause sono entrambi cittadini spagnoli, farmacisti laureati 
ma non autorizzati ad aprire una farmacia e con un�esperienza pluriennale di esercizio della 
professione presso farmacie veterinarie. Poich� intendono gestire una farmacia propria, essi 
chiedono alla Comunit� autonoma delle Asturie, in Spagna, l�autorizzazione per aprire una 
nuova farmacia. L�autorizzazione viene loro negata con decisione del Ministero della salute 
e dei servizi sanitari del Principato delle Asturie, adottata in data 14 giugno 2002. Detta decisione 
� stata confermata dal Consiglio di governo delle Asturie il 10 ottobre 2002. I ricorrenti 
hanno impugnato la suddetta decisione dinanzi al Tribunal Superior de Justicia de 
Asturias. 
4. Le decisioni delle autorit� asturiane si basano sul decreto 19 luglio 2001, n. 72/01 che 
disciplina le farmacie e i servizi farmaceutici nel Principato delle Asturie e che istituisce un 
regime di autorizzazioni che comprende alcune restrizioni all�apertura di farmacie nella suddetta 
Comunit� autonoma, nonch� un regime che regola la concessione di licenze mediante 
concorso. I ricorrenti sostengono che questo decreto violi il loro diritto alla libert� di stabilimento 
sancito dall�art. 43 CE. Visti i dubbi sulla legittimit� del decreto ai sensi del diritto
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 111 
comunitario, il giudice nazionale ha sottoposto le due seguenti questioni pregiudiziali alla 
Corte di giustizia: 
�Se l�art. 43 CE osti a quanto stabilito agli artt. 2-4 del decreto del Principato delle 
Asturie 19 luglio 2001, n. 72, sull�apertura e l�esercizio di farmacie e dispensari, nonch� ai 
punti 4, 6 e 7 dell�allegato a tale decreto� (Causa C.570/07)� 
e 
�Se l�art. 43 CE osti alle disposizioni normative della Comunit� autonoma del Principato 
delle Asturie in materia di autorizzazione all�apertura di farmacie� (Causa C.571/07)�. 
5. Come sopra osservato, la normativa impugnata prevede restrizioni all�apertura di 
nuove farmacie e stabilisce criteri per selezionare i candidati a un concorso per l�assegnazione 
di licenze di apertura di nuove farmacie. Le limitazioni pi� importanti consistono in una restrizione 
in termini quantitativi, che definisce il numero di farmacie in una data area facendo 
riferimento alla relativa popolazione, e nel limite geografico che impedisce l�apertura di una 
farmacia a meno di 250 metri da un�altra. Le disposizioni specifiche sono le seguenti: 
�Articolo 2. Rapporto numero di farmacie/abitanti 
1. Per ogni zona farmaceutica il numero delle farmacie � stabilito in modo che vi sia una 
farmacia ogni 2 800 abitanti. Quando tale rapporto � superato, una nuova farmacia pu� essere 
aperta per la frazione superiore a 2 000 abitanti. 
2. In tutte le zone base del sistema sanitario e in tutte le entit� municipali pu� essere istituita 
almeno una farmacia. 
Articolo 3. Computo della popolazione 
Ai fini del presente decreto la popolazione � computata sulla base dei dati risultanti dall�ultimo 
censimento comunale. 
Articolo 4. Distanze minime 
1. La distanza tra le farmacie non pu�, di norma, essere inferiore a 250 metri, in qualunque 
zona farmaceutica esse siano ubicate. 
2. La distanza di 250 metri andr� osservata anche rispetto ai presidi sanitari delle zone 
farmaceutiche, sia pubblici sia privati convenzionati per l�assistenza extraospedaliera o ospedaliera, 
dotati di ambulatori o di Pronto soccorso, gi� in funzione o in costruzione. 
Non valgono distanze minime tra i presidi sanitari nelle zone farmaceutiche con un�unica 
farmacia n� nelle localit� dove esiste attualmente un�unica farmacia e nelle quali, considerate 
le caratteristiche del luogo, non � da prevedere l�apertura di nuove farmacie. 
Nell�uno come nell�altro caso occorre indicare le ragioni per l�inosservanza delle distanze 
minime da un presidio sanitario� (3). 
6. La normativa stabilisce diversi criteri per selezionare i candidati alle licenze. All�esperienza 
professionale e scolastica viene assegnato un punteggio in base a una molteplicit� 
di criteri. In caso di esperienza professionale maturata in centri con meno di 2 800 
abitanti, viene attribuito un punteggio pi� elevato rispetto ad altri tipi di attivit�. La legge 
prevede altres� quanto segue: 
�1. Il possesso dei requisiti e dei titoli stabiliti dalla presente Tabella deve essere formalmente 
certificato dall�Amministrazione o dalla persona competente. 
2. L�esperienza professionale e scolastica viene calcolata in mesi interi, anche se i periodi 
di attivit� sono discontinui. Periodi discontinui possono essere cumulati, per gruppi di 21 
3 - Decreto 72/01.
112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
giorni o di 168 ore equivalenti ad un mese, fino al raggiungimento di tale minimo. 
Nel caso di lavoro a orario ridotto, i meriti per esperienza professionale sono presi in conto 
come sopra, in proporzione al numero di ore previste per il lavoro a tempo pieno 
3. Una sola attivit� professionale viene presa in considerazione per uno stesso periodo, 
salvo trattarsi di due attivit� a orario ridotto. 
4. Non vengono presi in considerazione l�esperienza di farmacista titolare o contitolare 
di farmacia n� altri titoli di merito allorch� sono gi� valsi ad ottenere un�autorizzazione all�installazione. 
5. Sono considerati rispettivamente per il 50%, e poi sommati tra loro, i punteggi assegnati 
ai titoli dei candidati alla contitolarit� di una farmacia, ove i contitolari siano solo due. In caso 
di pi� contitolari, sono considerati per il 50% e poi sommati tra loro solo i punteggi assegnati 
ai titoli dei due candidati col punteggio, rispettivamente, pi� alto e pi� basso. 
6. Il punteggio per meriti professionali attribuito per l�attivit� svolta nel territorio del Principato 
delle Asturie � maggiorato del 20%. 
7. Nel caso in cui, in applicazione della presente Tabella, si ottenga parit� di punteggio, 
le autorizzazioni sono rilasciate secondo il seguente ordine di priorit�: 
a) i farmacisti che non sono stati titolari di farmacia. 
b) i farmacisti che sono stati titolari di farmacie in zone farmaceutiche o in comuni con 
meno di 2 800 abitanti. 
c) i farmacisti che abbiano svolto attivit� professionale nel Principato delle Asturie. 
d) i farmacisti con pi� titoli accademici� (4). 
II � Analisi 
A � Ricevibilit� 
7. Alcune parti sostengono l�irricevibilit� della presente causa in quanto i ricorrenti sono 
cittadini spagnoli che impugnano normative spagnole. Tuttavia, la Corte si � costantemente 
pronunciata a favore della ricevibilit� di tale tipologia di cause (5). Spetta esclusivamente al 
giudice nazionale valutare la necessit� di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di 
pronunciare la propria sentenza (6). La Corte fornisce l�interpretazione richiesta salvo che 
non risulti evidente la mancanza di relazione di quest�ultima con la causa a qua (7). Il giudice 
nazionale pu� necessitare dell�interpretazione richiesta del diritto comunitario anche se gli 
elementi di fatto in questione sono puramente interni, poich� �una risposta siffatta potrebbe 
essergli utile nell�ipotesi in cui il proprio diritto nazionale imporrebbe, in un procedimento 
come quello del caso di specie, di agire in modo che un produttore nazionale fruisca degli 
stessi diritti di cui godrebbe in base al diritto comunitario, nella medesima situazione, un produttore 
di un altro Stato membro� (8). Come ho gi� avuto modo di chiarire, ritengo che questa 
4 � Allegato: Tabella dei criteri di selezione per l�accesso alla titolarit� di una farmacia. 
5 � Sentenze 5 dicembre 2000, causa C-448/98, Guimont (Racc. pag. I.10663, punto 23); 5 marzo 2002, 
cause riunite C.515/99, da C.519/99 a C.524/99 e da C.526/99 a C.540/99, Reisch e a. (Racc. pag. 
I.2157, punto 26); 11 settembre 2003, causa C.6/01, Anomar e a. (Racc. pag. I.8621, punto 41); 30 
marzo 2006, causa C.451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti (Racc. pag. I.2941, punto 29); 5 
dicembre 2006, cause riunite C.94/04 e C.202/04, Cipolla e a. (Racc. pag. I.11421, punto 30), e 31 gennaio 
2008, causa C.380/05, Centro Europa 7 (Racc. pag. I.349, punto 69 
6 � V., per esempio, Centro Europa 7 (punto 52). 
7 � Sentenza Centro Europa 7 (punto 53) 
8 � Sentenza Guimont (punto 23).
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 113 
tesi sia avallata dallo spirito di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte di giustizia e 
dall�esigenza di evitare situazioni in cui l�applicazione congiunta della legge nazionale e del 
diritto comunitario determinino un trattamento sfavorevole dei propri cittadini da parte di uno 
Stato membro (9). Pertanto, la Corte dovrebbe fornire l�interpretazione richiesta dell�art. 43 
CE nel caso di specie. 
B � Sull�esistenza di una restrizione alla libert� di stabilimento 
8. Il diritto comunitario non incide sulla competenza degli Stati membri ad impostare i 
loro sistemi sanitari e di previdenza sociale (10). Sebbene le farmacie siano imprese commerciali, 
costituiscono anch�esse parte del sistema sanitario. Pertanto, gli Stati membri possono 
adottare, in particolare, norme destinate all�organizzazione di farmacie � cos� come fanno per 
altri servizi sanitari (11) � in quanto ci� rientra nella loro competenza ad impostare di tali sistemi. 
9. Nondimeno, gli Stati membri sono tenuti ad esercitare la propria competenza in quest�ambito 
nel rispetto delle libert� garantite dal Trattato, tra cui figura la libert� di stabilimento 
(12). La giurisprudenza della Corte ha chiarito che ogni provvedimento nazionale che possa 
ostacolare o scoraggiare l�esercizio, da parte dei cittadini comunitari, della libert� di stabilimento 
garantita dal Trattato costituisce un�interferenza con i diritti garantiti dall�art. 43, pur 
se applicabile senza discriminazioni in base alla cittadinanza (13). 
10. L�interferenza con le libert� fondamentali spesso si manifesta come un freno all�accesso 
al mercato nazionale, che deriva da provvedimenti posti a tutela delle quote di mercato di 
operatori gi� esistenti sul mercato nazionale (14). Costituisce una restrizione una previa autorizzazione 
che riserva l�esercizio di un�attivit� a taluni operatori economici che soddisfano 
requisiti predeterminati (15). Pi� in dettaglio, �qualora una disciplina nazionale subordini 
l�esercizio di un�attivit� ad una condizione connessa al fabbisogno economico o sociale di 
tale attivit�, essa costituisce una restrizione in quanto mira a limitare il numero dei prestatori 
di servizi� (16). Ci� detto, � stato ritenuto che la normativa nazionale che consentiva l�apertura 
di nuovi ambulatori dentistici autonomi solo qualora le autorit� locali avessero riscontrato 
una necessit� che giustificava l�apertura di nuovi ambulatori limitasse il diritto alla libert� di 
stabilimento (17). Siffatte limitazioni sono analoghe a quelle che sono state ritenute costituire 
un ostacolo alla libera circolazione delle merci in quanto intese a tutelare le posizioni di operatori 
economici esistenti, impedendo in tal modo l�accesso al mercato nazionale ai prodotti 
9 � V. mie conclusioni nella causa Centro Europa 7 (paragrafo 30). 
10 � Sentenze 19 marzo 2009, cause riunite C.171/07 e C.172/07, Apothekerkammer des Saarlandes e 
a., (Racc. pag. I.0000, punto 18), e 11 settembre 2008, causa C.141/07, Commissione/Germania (Racc. 
pag. I.6935, punto 22). 
11 � Sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 18) e causa Commissione/Germania( punto 
22) 
12 � Sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 18) e causa C.141/07, Commissione/Germania 
(punti 22 e 23). 
13 � Sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 22), e 10 marzo 2009, causa C.169/07, Hartlauer 
(Racc. pag. I.0000, punto 33). 
14 � V. le mie conclusioni in Cipolla e a., paragrafo 59. 
15 � Sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 23); Hartlauer (punto 34) e 6 marzo 2007, 
cause riunite C.338/04, C.359/04 e C.360/04, Placanica e a. (Racc. pag. I.1891, punto 42). 
16 � Sentenza Hartlauer (punto 36). 
17 � Sentenza Hartlauer (punto 39).
114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
provenienti da altri Stati membri (18). 
11. Applicando i suddetti modelli alle norme di cui si discute nel caso di specie, le quali 
subordinano l�apertura di nuove farmacie unicamente alla loro ubicazione e al numero di abitanti 
della zona di riferimento, risulta chiaramente che dette norme costituiscono una limitazione 
alla libert� di stabilimento. Tali condizioni consentono l�apertura di nuove farmacie 
solo in presenza di previa autorizzazione, che viene concessa unicamente dietro il soddisfacimento 
dei requisiti relativi all�ubicazione e al numero di abitanti. In effetti, esse sono del 
tutto simili alla condizione trattata nella sentenza Hartlauer, che imponeva di dimostrare una 
necessit� che giustificasse l�apertura di un nuovo ambulatorio. Qualora le autorit� nazionali 
ritengano che il numero di abitanti non sia sufficiente per giustificare la necessit� di una nuova 
farmacia, quest�ultima non potr� essere aperta. Congelando l�accesso al mercato, i provvedimenti 
in questione hanno l�effetto di impedire l�apertura di una nuova farmacia nelle Asturie 
a coloro che intendono farlo e, quindi, impediscono l�apertura di farmacie da parte di cittadini 
di altri Stati membri. 
C � Se una tale restrizione possa essere giustificata 
12. Dimostrare che la normativa nazionale limita la libert� di stabilimento � solo la prima 
fase della nostra indagine. Questi provvedimenti nazionali possono essere giustificati se soddisfano 
i seguenti quattro requisiti: �applicazione non discriminatoria, giustificazione per motivi 
imperativi di interesse pubblico, idoneit� a garantire il conseguimento dello scopo 
perseguito e limitazione a quanto necessario per il raggiungimento di questo� (19). 
1. Applicazione non discriminatoria 
13. Le disposizioni principali del decreto, ossia i requisiti riguardanti il numero di abitanti 
e la distanza minima, non sono discriminatorie e si applicano in egual misura a tutti i farmacisti 
(20). Ci� vale anche per i criteri stabiliti dalle autorit� asturiane in merito alla valutazione dei 
candidati nei concorsi per ottenere l�autorizzazione ad aprire una farmacia, i quali attribuiscono 
pi� punti ai farmacisti che hanno svolto l�attivit� in zone scarsamente servite (21). In 
linea di principio, tutti i farmacisti, a prescindere dal luogo di provenienza, hanno pari possibilit� 
di beneficiare di questa disposizione. 
14. Tuttavia, i criteri che attribuiscono ulteriore priorit� ai concorrenti che hanno svolto 
l�attivit� di farmacista nelle Asturie (22) costituiscono un�inammissibile discriminazione in 
base alla cittadinanza. Ci� � vero anche se, come nel caso della disposizione che favorisce i 
farmacisti che provengono da zone meno servite, essa non richiama apertamente il paese di 
origine e un farmacista di un altro Stato membro che lavora nelle Asturie potrebbe trarre vantaggio 
dalla suddetta disposizione; questo perch� essa considera l�esperienza maturata nelle 
Asturie di valore maggiore rispetto alla stessa esperienza in altri Stati membri (23). Siffatto 
18 � V., su questo punto, le mie conclusioni nelle cause riunite C.158/04 e C.159/04, Alfa Vita Vassilopoulos 
e Carrefour.Marinopoulos (Racc. pag. I.8135, paragrafo 47). 
19 � Sentenza 30 novembre 1995, causa C.55/94, Gebhard (Racc. pag. I.4165). V. anche sentenza 21 
aprile 2005, causa C.140/03, Commissione/Grecia (Ottici) (Racc. pag. I.3177). 
20 � V., per esempio, sentenza C.141/07, Commissione/Germania (punto 33). 
21 � V. punto 7, lett. b), dell�Allegato al decreto n. 72/01. 
22 � V. punti 6 e 7, lett. c), dell�Allegato al decreto n. 72/01. 
23 � V. sentenza Gebhard (punto 38). Si noti, altres�, che il vantaggio fornito ai farmacisti con esperienza 
maturata nelle Asturie non � connesso all�obiettivo di promuovere lo stabilimento in zone meno popolate, 
giacch� esso viene attribuito a tutti i farmacisti stabiliti nelle Asturie, a prescindere dal fatto che essi ab-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 115 
criterio non pu� essere giustificato in base alla giurisprudenza della Corte, giacch� l�attribuzione 
di pari valore alle qualifiche conseguite in altri Stati membri � un elemento cruciale per 
la libera circolazione. 
15. Tale conclusione non viene confutata dal fatto che anche i farmacisti spagnoli non provenienti 
dalle Asturie sono sfavoriti da questa politica. La Corte ha indicato chiaramente che 
per dimostrare la presenza di discriminazione �[n]on � infatti necessario che tutte le imprese 
di uno Stato membro siano avvantaggiate rispetto alle imprese straniere: � sufficiente che il 
regime preferenziale instaurato favorisca un prestatore nazionale� (24). Il riconoscimento di 
una priorit� da parte delle autorit� asturiane a coloro che hanno esercitato la professione nelle 
Asturie sfavorisce chiaramente i farmacisti che non provengono dal Principato, compresi 
quelli di altri Stati membri, nonch� i farmacisti asturiani che hanno scelto di esercitare la loro 
libert� di stabilimento in altri Stati membri. (25) Siffatta politica costituisce una restrizione 
discriminatoria alla libert� di stabilimento, che � vietata dal Trattato. 
16. Conseguentemente, nella valutazione delle altre condizioni che devono essere soddisfatte 
affinch� la normativa nazionale sia giustificata, limiter� la mia analisi agli elementi non 
discriminatori della suddetta normativa. 
2. Obiettivo di interesse pubblico 
17. L�obiettivo di interesse pubblico perseguito dalle restrizioni geografiche e da quelle 
sul numero di abitanti � quello di tutelare la salute pubblica fornendo servizi farmaceutici di 
qualit� ovunque nel territorio delle Asturie. La tutela della salute pubblica � indubbiamente 
un motivo imperativo di interesse generale (26). Numerosi argomenti delle parti ruotano attorno 
alla questione su quale sia il migliore approccio per tutelare la salute pubblica e � in 
particolare nel caso di specie � per ottenere, a livello territoriale, la pi� vasta assistenza farmaceutica 
di qualit�: quello che agevola l�apertura di nuove farmacie e promuove al contempo 
la concorrenza tra loro o quello che limita l�apertura di nuove farmacie in zone pi� popolate 
per limitare la concorrenza e favorirne l�apertura in zone meno popolate del paese. Le parti 
adducono elementi di prova in conflitto tra loro, tra cui l�esperienza maturata in Stati membri 
diversi, per dimostrare che l�approccio da esse preferito � il migliore per la tutela della salute 
pubblica. 
18. Su tale questione ritengo sia sufficiente osservare che ogni Stato membro gode di discrezionalit� 
nell�organizzare il proprio sistema di protezione della salute pubblica e la Corte 
� tenuta a rispettare la scelta dello Stato membro (27). Ci� � particolarmente vero quando 
l�assenza di consenso politico � corroborata dall�esistenza di importanti differenze tra le politiche 
condotte dagli Stati membri. Il fatto che uno Stato membro imponga norme meno severe 
di quelle imposte da un altro Stato membro o attribuisca priorit� ad un interesse rispetto 
biano o meno contribuito a tale obiettivo essendosi previamente stabiliti in zone meno popolate di tale 
regione. 
24 � Sentenze C.141/07, Commissione/Germania (punto 38), e 25 luglio 1991, causa C.353/89, Commissione/
Paesi Bassi (Mediawet) (Racc. pag. I.4069, punto 25). 
25 � V. sentenze 6 dicembre 2007, causa C.456/05, Commissione/Germania (Racc. pag. I.10517, punto 
58); 7 maggio 1991, causa C.340/89, Vlassopoulou (Racc. pag. I.2357), e 14 settembre 2000, causa 
C.238/98, Hocsman (Racc. pag. I.6623). 
26 � Sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 27); Hartlauer (punto 46) e C.141/07, Commissione/
Germania (punti 46 e 47). 
27 � V. sentenza Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 19).
116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
ad un altro non significa che l�uno o l�altro insieme di norme sia incompatibile con il diritto 
comunitario (28). La Corte ha inoltre espressamente riconosciuto che la pianificazione di servizi 
medici, e in particolare la loro distribuzione nel territorio dello Stato, rientra nell�ambito 
della suddetta discrezionalit� (29). Quando si � occupata di prodotti e servizi farmaceutici, la 
Corte ha stabilito che la fissazione dei prezzi (30) e la limitazione della concorrenza (31) costituiscono 
tecniche possibili per raggiungere gli anzidetti obiettivi di salute pubblica. 
19. Sebbene obiettivi di natura puramente economica non possano giustificare la restrizione 
delle libert� fondamentali (32), essi possono essere giustificati se necessari al buon funzionamento, 
dal punto di vista finanziario, del sistema sanitario (33). In particolare, �interessi di 
ordine economico che hanno lo scopo di mantenere un servizio medico ed ospedaliero equilibrato 
e accessibile a tutti� possono rappresentare un giusto interesse pubblico. Ci� pu� comprendere 
la pianificazione della �ripartizione geografica, [dell�]organizzazione e [del]le 
attrezzature di cui [tali servizi] sono dotat[i], o ancora la natura dei servizi medici che ess[i] 
sono in grado di fornire devono poter formare oggetto di una pianificazione, la quale, da un 
lato, risponde in linea di massima all�obiettivo di assicurare, nel territorio dello Stato membro 
interessato, la possibilit� di un accesso sufficiente e permanente ad una gamma equilibrata di 
cure ospedaliere di qualit� e, dall�altro, � espressione della volont� di garantire un controllo 
dei costi e di evitare, per quanto possibile, ogni spreco di risorse finanziarie, tecniche e umane� 
(34). Pertanto, concludo che assicurare una distribuzione di farmacie in tutto il territorio dovrebbe 
essere considerato un requisito imperativo di interesse generale e che lo Stato membro 
non � tenuto a utilizzare lo strumento della libera concorrenza per cercare di garantire servizi 
farmaceutici di qualit�. 
3. Se il decreto sia idoneo al conseguimento degli obiettivi enunciati e non vada oltre 
quanto necessario per raggiungerli. 
20. Sebbene debba essere tenuta in debita considerazione la valutazione delle autorit� legislative 
e regolamentari nazionali, la cui maggiore prossimit� alle situazioni locali e alla conoscenza 
specialistica le colloca nella posizione ottimale per individuare il modo migliore di 
soddisfare gli obiettivi delle politiche pubbliche come quello della tutela della salute pubblica, 
attenersi al giudizio di tali organismi non � privo di rischi (35). Questa stessa prossimit� potrebbe 
altres� creare situazioni in cui tali organismi costituiscano oggetto di uno �sviamento 
regolamentare� da parte degli interessi particolari dominanti in quella zona a discapito degli 
interessi dei consumatori e di potenziali concorrenti nazionali ed esteri. Esiste un particolare 
motivo di preoccupazione in un caso quale la presente fattispecie, ove la scelta politica compiuta 
dal governo locale assicura vantaggi economici a operatori gi� stabiliti a discapito di 
nuovi operatori. 
21. � proprio a tal riguardo che si pu� comprendere l�accresciuta importanza che il requisito 
28 � Sentenza 11 luglio 2002, causa C.294/00, Gr�bner (Racc. pag. I.6515, punto 46). 
29 � Sentenza C.141/07, Commissione/Germania (punto 61). 
30 � Sentenza 11 dicembre 2003, causa C-322/01, Deutscher Apothekerverband (Racc. pag. I.14887, 
punto 122). 
31 � Causa C.141/07, Commissione/Germania (punto 59). 
32 � V. nota 29 supra. 
33 � Sentenza 13 maggio 2003, causa C.385/99, M�ller.Faur� e van Riet (Racc. pag. I.4509, punto 73). 
34 � Causa C.141/07, Commissione/Germania (punti 60 e 61). 
35 � V. sentenza Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 19).
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 117 
di unit� e coerenza ha assunto nella giurisprudenza della Corte in sede di riesame delle modalit� 
con cui la normativa nazionale persegue i propri obiettivi dichiarati. Il requisito di unit� 
e coerenza prevede che �una normativa nazionale � atta a garantire la realizzazione dell�obiettivo 
fatto valere solo qualora risponda effettivamente all�intento di realizzarlo in modo coerente 
e sistematico� (36). Esso consente alla Corte di distinguere tra una normativa che 
persegue realmente un fine pubblico legittimo e una normativa che, in origine, avrebbe anche 
potuto avere quale scopo quello del perseguimento di tale obiettivo, ma che � stata deviata da 
determinati interessi particolari. Si pu� affermare al riguardo che si tratta di un requisito a tutela 
dell�integrit� dell�iter legislativo e regolamentare e della responsabilit� politica vera e 
propria. A mio avviso, questo requisito svolge un ruolo fondamentale nella valutazione che 
dev�essere effettuata nella fattispecie. 
22. Nella sentenza Hartlauer, la Corte ha dunque accolto la tesi dello Stato, secondo cui 
potrebbe essere necessario limitare il numero di studi medici al fine di mantenere un sistema 
medico efficiente. Tuttavia, essa ha osservato che la normativa non rifletteva realmente la 
preoccupazione di conseguire tale obiettivo, in quanto ambulatori autonomi e studi associati 
possono avere un impatto identico e solo i primi rientravano nella previsione normativa. Analogamente, 
anche se la Corte non ha contestato che i limiti alla pubblicit� televisiva per prodotti 
medico-chirurgici potrebbero essere giustificati da motivi connessi alla salute pubblica, 
essa ha osservato che la specifica normativa discussa nella causa Corporaci�n Dermoest�tica 
non era giustificata poich� si applicava a emittenti televisive nazionali ma non a quelle locali 
(37). Per contro, ritenendo giustificata la legge tedesca che prevede che le farmacie debbano 
essere gestite da farmacisti e che gli ospedali provvedano all�approvvigionamento di medicinali 
solo presso farmacie locali, la Corte si � pronunciata basandosi sostanzialmente sulla presunta 
unit� e coerenza delle disposizioni (38). 
23. La Corte ha applicato la stessa tecnica ad altri settori sensibili. Nell�ambito del gioco 
d�azzardo, per esempio, essa ha ritenuto che taluni limiti rigorosi imposti al numero delle licenze 
di gioco d�azzardo concesse da uno Stato fossero giustificati solo se coerenti rispetto 
all�obiettivo dichiarato di ridurre l�attivit� criminale e fraudolenta, incanalando i giocatori 
verso attivit� autorizzate (39). La Corte ha dichiarato che la legge non soddisferebbe tale requisito 
se il numero di licenze fissato fosse cos� esiguo che gli operatori autorizzati non costituirebbero 
un�alternativa attraente rispetto a quelli non autorizzati (40). 
24. Occorre pertanto valutare la misura in cui la normativa promuove effettivamente, in 
maniera costante e coerente, gli obiettivi che lo Stato membro ha addotto per giustificarla. 
Due giustificazioni principali sono fornite a sostegno delle restrizioni. Innanzitutto si sostiene 
che limitare l�accesso al mercato garantisce la presenza di servizi farmaceutici di qualit�. In 
secondo luogo si sostiene che le limitazioni fondate sul numero di abitanti e sulla zona geografica 
garantiscono a tutti l�accesso alle farmacie, costringendone la diffusione sull�intero 
territorio. Mi occuper� di ciascuna di esse nell�ordine. 
36 � Ibid. (punto 42). 
37 � Sentenza 17 luglio 2008, causa C.500/06, Corporaci�n Dermoest�tica (Racc. pag. I.5785, punti 
37.39). 
38 � Sentenze C.141/07, Commissione/Germania (punti 51.57), e Apothekerkammer des Saarlandes e 
a. (punti 41.50). 
39 � Sentenza Placanica (punto 55) 
40 � Sentenza Placanica (punto 55).
118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
a) Qualit� dei servizi farmaceutici 
25. La prima tesi, che appariva dominante nel corso dei dibattiti nelle recenti sentenze 
Apothekerkammer des Saarlandes e a. e Commissione/Italia (41), riguardante le disposizioni 
legislative tedesche e italiane secondo cui le farmacie devono essere gestite da farmacisti, 
svolge un ruolo meno importante nelle cause in esame. Tuttavia, alcune parti del procedimento 
indicano � e ci� sembra connesso al rischio � che una maggiore concorrenza tra farmacie pu�, 
per usare un�espressione colloquiale, indurre i farmacisti a �prendere scorciatoie�. 
26. In via preliminare, desidero osservare che spetta allo Stato dimostrare che la misura 
adottata � adeguata e necessaria per fornire un servizio di qualit� superiore (42). A parte Shakespeare, 
non sembra esservi alcun fondamento negli atti di causa per affermare che una maggiore 
concorrenza indurrebbe i farmacisti a diminuire la qualit� dei servizi da essi prestati. A 
tal riguardo, posso solo constatare che esiste un certo numero di contraddizioni nelle ipotesi 
che sono alla base di ampie sezioni del ragionamento di alcune parti e degli Stati membri. 
Talvolta, i farmacisti sono descritti come essenzialmente motivati dal guadagno economico, 
giacch� tutti mirerebbero a esercitare la professione solo in zone densamente popolate e, se 
soggetti al regime di concorrenza, sarebbero pronti a far prevalere il profitto sui loro obblighi 
professionali. Talaltra, quando in possesso di posizione �monopolista� in un�area densamente 
popolata, si ritiene che i farmacisti conducano la propria attivit� secondo gli obblighi professionali 
e si dedichino principalmente a fornire servizi farmaceutici di qualit�. Secondo le tesi 
di diverse parti, pare che la concorrenza trasformi i santi in peccatori. 
27. Va altres� rammentato che la natura dei servizi farmaceutici ha subito sostanziali modifiche: 
una volta il farmacista �faceva� i medicinali; oggi il farmacista si limita a dispensare 
farmaci �fatti� altrove nel rispetto di requisiti giuridici molto rigorosi relativi, per esempio, 
alla possibilit� di distribuire farmaci con o senza prescrizione. La Corte ha essa stessa ammesso 
ci� acconsentendo alla vendita su internet di medicinali senza obbligo di prescrizione 
medica (43). Non ritengo, pertanto, che lo Stato membro abbia dimostrato che una limitazione 
alla concorrenza sia necessaria o proporzionata all�obiettivo di fornire servizi farmaceutici di 
elevata qualit�. 
28. Occorre riconoscere che nelle recenti sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. 
e Commissione/Italia, che riguardavano normative nazionali che limitano ai farmacisti la propriet� 
delle farmacie, la Corte ha osservato che la necessit� di garantire una fornitura di medicinali 
sicura e di qualit� alla popolazione pu� giustificare restrizioni all�accesso alla propriet� 
di farmacie (44). Queste controversie, tuttavia, si riferivano alla questione della formazione 
professionale, dell�esperienza e della responsabilit� dei farmacisti, che, secondo la Corte, potevano 
avere per effetto che altri interessi professionali potessero temperare l�interesse alla 
realizzazione di utili (45). La Corte ha altres� ammesso tale restrizione sul presupposto specifico 
che i farmacisti godessero di un�effettiva autonomia professionale (46). Siffatta indipendenza 
derivava dai loro obblighi professionali e dal fatto che non erano legati alla 
41 � Sentenza 19 maggio 2009, causa C.531/06 (Racc. pag. I.0000) (Grande Sezione). 
42 � Sentenza Deutscher Apothekerverband (punto 123). 
43 � Sentenza Deutscher Apothekerverband. 
44 � Sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punti 28 e 39), e causa C.531/06, 
Commissione/Italia (punto 52). 
45 � Sentenza Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punti 37.39) 
46 � Ibid. (punti 33.37).
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 119 
produzione e alla distribuzione dei beni venduti nelle loro farmacie (47), il che avrebbe consentito 
loro di resistere maggiormente, rispetto ai non farmacisti, alle pressioni miranti ad un 
consumo eccessivo di medicinali e assicurava che la restrizione in questione sarebbe stata realmente 
strumentale all�obiettivo della sanit� pubblica. 
29. Tale argomentazione corrobora invero la tesi della incompatibilit� della legge asturiana 
con il diritto comunitario. Poich� ai farmacisti nelle Asturie � richiesto di fornire un servizio 
di un certo livello, non solo in forza della legge ma anche secondo i loro obblighi professionali, 
non dovrebbe esservi motivo di temere che la concorrenza li induca a ridurre il livello del 
loro servizio, violando cos� i loro obblighi giuridici ed etici. Se fossero state necessarie ulteriori 
tutele per l�adempimento degli obblighi professionali da parte dei farmacisti, nelle sentenze 
Apothekerkammer des Saarlandes e Commissione/Italia la Corte non avrebbe potuto concludere 
che il requisito della propriet� del farmacista fosse appropriato rispetto all�obiettivo di 
fornire un�assistenza di qualit�. 
b) Assicurare un�ampia ed equilibrata distribuzione geografica delle farmacie 
30. L�elemento pi� significativo invocato dalle parti a sostegno del decreto riguarda la necessit� 
di assicurare un�ampia ed equilibrata distribuzione geografica delle farmacie. In altre 
parole, garantire il pi� possibile alla popolazione la totale disponibilit� di servizi farmaceutici. 
Occorre distinguere tra i due criteri usati per raggiungere questo obiettivo: il requisito del numero 
di abitanti e quello della distanza minima tra farmacie. Entrambi devono essere valutati 
con riferimento alla relativa idoneit� a conseguire l�obiettivo della distribuzione geografica e 
al fatto che non superino quanto necessario a raggiungere tale obiettivo. 
31. I requisiti relativi al numero di abitanti possono, in linea di principio, essere idonei al 
conseguimento dell�obiettivo dell�ampia distribuzione di farmacie. Limitando la possibilit�, 
per i farmacisti, di aprire farmacie in aree urbane maggiormente redditizie, la norma li induce 
a considerare altre opportunit�. Tuttavia, questa non � una conseguenza automatica. Invero, 
se l�apertura di nuove farmacie in zone meno popolate fosse di per s� redditizia, ci� si verificherebbe, 
con ogni probabilit�, a prescindere da qualsiasi limitazione geografica. L�incremento 
di nuove aperture sarebbe, infatti, direttamente proporzionale alla facilit� con cui una farmacia 
pu� essere aperta e alla rilevanza della concorrenza per quote di mercato in zone pi� popolate. 
Al contrario, se, come alcune parti hanno sostenuto, il problema sta nel fatto che esiste una 
bassa probabilit� di profitto nelle zone meno popolate, il rischio � che nessuno sarebbe in ogni 
caso interessato ad aprire una farmacia nelle suddette zone. Dopo tutto, mi chiedo per quale 
motivo una persona dovrebbe dedicarsi a un�attivit� che genera perdite semplicemente perch� 
non ha accesso a un�attivit� che genera profitto. La mera limitazione delle aperture di nuove 
farmacie in zone pi� popolate non soddisferebbe il requisito di unit� e coerenza nel perseguimento 
dell�obiettivo pubblico dichiarato. Nel complesso, il sistema ha senso solo se la politica 
della limitazione delle nuove aperture in zone pi� popolate � legata a quella di favorire le far- 
47 � La separazione dalla produzione e dalla vendita all�ingrosso di prodotti farmaceutici costituisce, a 
mio avviso e alla luce della precedente giurisprudenza della Corte, il motivo fondamentale per cui detto 
giudice comunitario ha ammesso le norme dirette a limitare ai farmacisti l�accesso alla propriet� delle 
farmacie. Al punto 40 della suddetta sentenza, la Corte ha osservato che i farmacisti dipendenti di produttori 
o grossisti di prodotti farmaceutici potrebbero trovarsi in difetto del requisito di autonomia. Conseguentemente, 
si pu� ritenere che tali norme soddisfino il requisito di coerenza imposto dal diritto 
comunitario solo se � garantita l�autonomia dei farmacisti rispetto alla produzione o alla vendita all�ingrosso 
di prodotti farmaceutici.
120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
macie gi� presenti in zone meno popolate. Attribuendo la priorit� ai farmacisti che hanno 
aperto una farmacia in zone con meno di 2 800 abitanti, il decreto incentiva i farmacisti a stabilirsi 
in zone poco abitate che, diversamente, potrebbero non avere una farmacia, fornendo 
in contropartita maggiori probabilit� di vedersi concedere, in futuro, l�autorizzazione alla gestione 
di una farmacia in una zona pi� popolata (resa pi� redditizia dalle restrizioni). � plausibile 
che la prospettiva di poter gestire una farmacia in una zona a elevata densit� di 
popolazione in circostanze in cui ad altri sarebbe impedita l�apertura di una farmacia concorrente 
potrebbe effettivamente spingere i farmacisti a fornire i propri servizi, per un certo periodo 
di tempo, in zone poco abitate. Come ammesso in sede di udienza da alcune parti che 
sostengono l�attuale regime, � la prospettiva di un profitto monopolistico in una zona densamente 
abitata che induce i farmacisti a volersi stabilire inizialmente in zone meno popolate. 
Tuttavia, ci� si verificher� solo se il servizio in tali zone poco abitate attribuir� effettivamente 
a chi lo esercita la priorit� nell�assegnazione delle autorizzazioni in zone fortemente abitate. 
32. Come precedentemente esposto, � necessaria un�analisi pi� attenta dell�unit� e della 
coerenza del decreto per essere certi che esso persegua effettivamente tale obiettivo e non sia 
il risultato di uno sviamento da parte degli interessi particolari dei farmacisti gi� stabiliti (48). 
Due elementi del decreto pongono problemi. In primo luogo, questo regime dovrebbe favorire 
coloro che aprono farmacie in zone scarsamente servite rispetto a quelli che aspettano semplicemente 
l�occasione di aprirne una in una zona redditizia. Il punto n. 7 dell�Allegato attribuisce, 
in ogni caso, priorit� ai farmacisti non autorizzati rispetto a quelli autorizzati nella 
gestione di una farmacia in zone con meno di 2 800 abitanti. Inoltre, secondo il punto n. 4 
dell�Allegato, quando un farmacista apre una farmacia in un�area insufficientemente coperta, 
egli perde il vantaggio della precedente esperienza professionale maturata se cerca di aprire 
un�altra farmacia. Le conseguenze di tali disposizioni sono in qualche maniera mitigate dalla 
disposizione di cui al n. 1, lett. a), dell�Allegato, la quale attribuisce pi� punti all�esperienza 
in un�area scarsamente servita. Tuttavia, tali disposizioni fanno sorgere dubbi sull�unit� e coerenza 
della normativa. 
33. In secondo luogo, per poter ritenere che le normative perseguano realmente l�obiettivo 
della copertura universale, � necessario che le autorizzazioni nelle zone densamente abitate 
siano disponibili per coloro che hanno maturato esperienza in zone con pochi abitanti nel momento 
in cui i titolari delle autorizzazioni pi� redditizie intendono cessare la gestione della 
propria farmacia. Un regime che attribuisca ai titolari di autorizzazioni per la gestione di farmacie 
in aree densamente abitate un diritto di propriet� su tali autorizzazioni e consenta loro 
di vendere o cedere tali autorizzazioni a chi desiderano avrebbe l�effetto di limitare il numero 
di autorizzazioni disponibili nei riguardi di coloro che hanno �scontato� il periodo necessario 
in zone insufficientemente coperte. A chi intendesse spostarsi da una farmacia posta in una 
zona poco abitata verso un�altra farmacia sita in una zona con maggiore densit� di popolazione 
verrebbe richiesto il pagamento di un prezzo per la relativa autorizzazione, aumentato in funzione 
degli ulteriori utili che la farmacia sarebbe in grado di produrre grazie alle restrizioni 
48 � Sentenze 7 dicembre 2000, causa C.324/98, Telaustria e Telefonadress (Racc. pag. I.10745); 21 
luglio 2005, causa C.231/03, Coname (Racc. pag. I.7287); 13 ottobre 2005, causa C.458/03, Parking 
Brixen (Racc. pag. I.8585); 6 aprile 2006, causa C.410/04, ANAV (Racc. pag. I.3303); 13 settembre 
2007, causa C.260/04, Commissione/Italia (Racc. pag. I.7083), e 17 luglio 2008, causa C.347/06, ASM 
Brescia (Racc. pag. I.5641).
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 121 
sull�apertura di farmacie concorrenti (49). Tale regime indebolirebbe la struttura di incentivi 
che si ritiene sia a sostegno dell�approccio che limita l�apertura di nuove farmacie per incentivare 
la presenza di farmacie in aree poco abitate. Siffatto regime costituirebbe altres� un arricchimento 
per i singoli farmacisti in virt� della restrizione della concorrenza nel settore che 
li riguarda; questo � esattamente il tipo di sviamento regolamentare che le libert� garantite 
dal Trattato mirano a combattere. Le restrizioni al diritto di stabilimento devono essere giustificate 
da necessit� di interesse generale e non devono essere uno strumento di arricchimento 
privato. 
34. Passando alla questione se il requisito relativo al numero di abitanti oltrepasserebbe 
quanto necessario se fosse stato effettivamente strutturato in modo da rendere disponibili agli 
operatori in zone rurali i redditizi monopoli urbani, rilevo che le parti non hanno proposto 
nessun altro regime che sarebbe manifestamente preferibile. La Commissione sostiene che, 
invece di stabilire un numero massimo di farmacie, le Asturie dovrebbero imporre un numero 
minimo di farmacie pro capite e di opporsi all�apertura di nuove farmacie fino al raggiungimento 
di tale minimo. Tuttavia, il sistema anzidetto crea un problema di azione collettiva. 
Nessun singolo farmacista sarebbe incentivato ad aprire una farmacia rurale meno redditizia. 
Cos� comՏ, questo sistema non sembra ben congegnato per generare un ampio incremento 
del numero di farmacie in zone poco abitate. La Commissione fa riferimento alla Navarra, 
ove tale progetto � stato temporaneamente attuato. Tuttavia, considerando che il progetto della 
Navarra � stato modificato nel senso che prevede un numero massimo di farmacie e che molte 
delle comunit� pi� piccole in Navarra hanno perso le loro farmacie in base a detto progetto, 
non posso concludere che le Asturie abbiano ecceduto il loro potere discrezionale non adottando 
un siffatto modello. 
35. � stato altres� fatto valere che un modello completamente liberalizzato ha funzionato 
bene in altri Stati membri (50). Tuttavia, quel modello ha costituito oggetto di un�accesa discussione 
tra le parti e, come sopra osservato, vi erano prove in conflitto al riguardo. In tale 
contesto avrei sostenuto che un regime che limita l�apertura di nuove farmacie in zone pi� 
49 � In sede di udienza � stato fatto osservare che alcuni soggetti hanno pagato prezzi estremamente 
elevati per autorizzazioni a gestire farmacie in zone ad elevata densit� di popolazione. Il fatto che tali 
autorizzazioni vengano negoziate a prezzi elevati indica che un regime che era forse all�inizio un mezzo 
per fornire un sistema di servizi farmaceutici equilibrato dal punto di vista geografico � stato trasformato 
in un mercato puramente economico, alquanto lontano dagli intendimenti originali. � ovvio che la liberalizzazione 
di tale sistema possa influire negativamente su coloro che hanno versato somme considerevoli 
per autorizzazioni il cui valore � stato gonfiato da misure restrittive imposte dalle autorit� 
asturiane. Tuttavia, � sempre capitato che quando il diritto comunitario viene applicato in maniera da 
eliminare restrizioni alle libert� fondamentali, la conseguente liberalizzazione abbia fatto scaturire esiti 
negativi sui beneficiari di tali restrizioni. Nella sentenza Centro Europa 7 (causa C.380/05), per esempio, 
la Corte ha ritenuto che il diritto comunitario imponesse che a un�emittente fosse consentito trasmettere 
sulle frequenze ad essa attribuite da una normativa nazionale sulle licenze nonostante l�impatto che ci� 
aveva sugli interessi di utenti �de facto� delle stesse frequenze (v. punti 40 e 108.116 della sentenza). 
Se, in questa tipologia di cause, esista una possibile rivendicazione giuridica nei confronti dello Stato 
da parte di coloro che hanno investito in quel mercato in base a determinate aspettative sulla modalit� 
di regolamentazione del mercato stesso � un tipico problema di diritto nazionale, che, tuttavia, non � di 
competenza della Corte. 
50 � V. le osservazioni presentate da Blanco P�rez, Chao G�mez e Plataforma para la libre apertura de 
farmacias, pag. 38 (versione in lingua spagnola); v. anche le osservazioni scritte della Commissione, 
pagg. 27.28 (versione in lingua spagnola).
122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
popolate per promuoverne l�apertura in zone meno popolate sarebbe stato giustificato se organizzato 
in maniera pi� coerente e sistematica. In ogni caso, per gli anzidetti motivi, ci� non 
vale per il regime in vigore nelle Asturie. 
36. Riguardo al requisito geografico secondo cui non pu� essere aperta nessuna farmacia 
a meno di 250 metri di distanza da un�altra o da una clinica pubblica, occorre innanzi tutto 
esaminare se tale requisito sia idoneo al perseguimento dell�obiettivo di distribuzione delle 
farmacie sull�intero territorio. In primo luogo, va rilevato che tale politica incoraggerebbe 
detta distribuzione garantendo che le farmacie non si raggruppino in piccole aree commerciali 
centrali o nei pressi di centri sanitari, lasciando, cos�, sguarnite altre zone. Il provvedimento 
non � del tutto coerente, giacch� non contiene requisiti di distanza minimi con riferimento a 
zone farmaceutiche in cui � presente una sola farmacia (51). Tuttavia, questa eccezione non 
pregiudica l�adeguatezza della disposizione, in quanto la concentrazione non costituirebbe un 
problema laddove vi fosse una sola farmacia. Per giunta, pare ragionevole riconoscere che in 
zone di dimensioni cos� esigue l�area commerciale sia troppo piccola per consentire alle farmacie 
di disseminarsi. 
37. La seconda giustificazione consiste nel fatto che l�anzidetto requisito aumenta i profitti 
ricavabili da una farmacia che opera in un�area urbana, il che incentiva i farmacisti ad avviare 
attivit� in zone insufficientemente coperte allo scopo di ottenere, eventualmente, l�autorizzazione 
a operare in un�area densamente abitata. Riguardo a questo obiettivo, risulta che tale 
requisito sia stato applicato in maniera sistematica e coerente. Le parti non hanno apportato 
elementi di prova relativamente a deroghe recenti che avrebbero pregiudicato lo scopo dichiarato 
della norma. 
38. Se la cifra di 250 metri superi o meno ci� che � necessario per raggiungere questo 
scopo � una questione pi� difficile. Alcune parti sostengono che tale cifra sia obsoleta e non 
si addica alla maggiore densit� di popolazione oggigiorno riscontrata in molte zone. � anche 
possibile che il suddetto requisito avvantaggi alcune farmacie ben posizionate e presenti da 
lungo tempo a discapito di altre farmacie urbane, diminuendo in tal modo il potenziale utile 
futuro per la maggior parte dei singoli farmacisti che decidessero di esercitare la loro professione 
per un certo periodo in zone poco popolate. La valutazione del presente requisito dipende 
da diversi fattori, quali la densit� di popolazione e la distribuzione della popolazione all�interno 
di una comunit� e non sono stati portati sufficienti elementi di prova dinanzi alla Corte 
per consentirle di pronunciarsi su tale questione. Spetta al giudice nazionale valutare tale questione, 
alla luce della conoscenza pi� approfondita che egli possiede delle circostanze esistenti 
nelle Asturie, tenendo conto del livello di interferenza con il diritto di stabilimento, della 
natura dell�interesse pubblico invocato nonch� � considerata la quantit� e la distribuzione 
delle farmacie nelle Asturie e la distribuzione della popolazione � del livello di copertura universale 
che potrebbe essere raggiunto con sistemi meno restrittivi. 
III � Conclusione 
39. Alla luce di quanto sopra esposto, sono del parere che le questioni sottoposte alla Corte 
debbano essere risolte come segue: 
� l�art. 43 CE osta a una normativa nazionale del tipo di quella oggetto della causa principale 
secondo cui � necessaria un�autorizzazione per l�apertura di una nuova farmacia e viene 
51 � Art. 4, n. 2.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 123 
attribuita la priorit� a coloro che hanno maturato esperienza in una zona del territorio di tale 
Stato membro. 
� L�art. 43 CE osta ad una normativa nazionale del tipo di quella oggetto della causa principale 
secondo cui l�autorizzazione per l�apertura di una nuova farmacia � soggetta al soddisfacimento 
di un requisito connesso al numero di abitanti allo scopo di promuovere l�apertura 
di farmacie in zone meno popolate se tale scopo non � perseguito in maniera coerente e sistematica, 
in particolare se la medesima normativa non avvantaggia chiaramente coloro che 
aprono farmacie in zone insufficientemente servite rispetto a coloro che si limitano ad attendere 
di poter aprire una farmacia in una zona redditizia e conferisce un diritto di propriet� 
sulla licenza di apertura della farmacia in maniera da pregiudicare l�efficacia del regime di 
incentivi. 
� Riguardo al requisito che impone una distanza minima tra le farmacie, spetta al giudice 
nazionale determinare se la distanza specifica imposta sia giustificata, tenendo conto del livello 
di interferenza con il diritto di stabilimento, della natura dell�interesse pubblico invocato nonch� 
� considerata la quantit� e la distribuzione delle farmacie nelle Asturie e la distribuzione 
e la densit� della popolazione � del livello di copertura universale che potrebbe essere raggiunto 
con sistemi meno restrittivi. 
(All. 7) 
Cause pendenti avanti alla Corte di Giustiza 
in tema di farmacie 
C-570/07 e C-571/07 Blanco P�rez et Chao G�mez/Consejeria de salud y servicios sanitarios 
e.a. 
(Contingentamento delle farmacie in funzione del numero di abitanti, obbligo di distanze minime 
e criterio preferenziale dell'esperienza maturata nel Principato delle Asturie) 
*** 
C-315/08 Angelo Grisoli/Regione Lombardia e Comune di Roccafranca 
(Contingentamento delle farmacie in funzione del numero di abitanti) 
Il rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato mira ad un'interpretazione della Corte di giustizia 
sulla compatibilit� della disciplina italiana (il Testo Unico delle leggi sanitarie � Regio decreto 
n. 1265/1934), con i principi del Trattato CE circa la protezione della salute pubblica e dei 
consumatori (artt. 152 e 153). 
Le questioni riguardano le regole sulla presenza di un'unica sede farmaceutica nei comuni 
con popolazione inferiore a quattromila abitanti, e l'assoggettamento dell'istituzione della seconda 
sede farmaceutica nei comuni con popolazione inferiore a quattromila abitanti, a condizioni 
specifiche (l'eccedenza di popolazione di almeno il cinquanta per cento dei parametri, 
la distanza di almeno tremila metri dall'esercizio esistente, e la presenza delle particolari esigenze 
dell'assistenza farmaceutica in rapporto alle condizioni topografiche e di viabilit�). 
L'esistenza delle condizioni � valutata a cura sia delle aziende sanitarie locali sia nell'ordine 
professionale locale o comunque delle amministrazioni competenti in tema di organizzazione 
e controllo del servizio di assistenza farmaceutica. 
124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
(La causa � sospesa sino alla pronuncia delle cause riunite C-570/07 e C-571/07 Blanco 
Perez) 
*** 
C-60/09 Lucio Rubano/ Regione Campania, Comune di Cusano Mutri 
Il TAR Campania ha chiesto alla Corte di giustizia se siano compatibili con gli artt. 152 e 153 
del Trattato dell.unione Europea 
- la presenza di un.unica sede farmaceutica nei comuni con popolazione inferiore a quattromila 
abitanti. 
- l.assoggettamento dell.istituzione della seconda sede farmaceutica, nei comuni con popolazione 
superiori ai quattromila abitanti, a condizioni quali l.eccedenza di popolazione di almeno 
il cinquanta per cento dei parametri, la distanza di almeno tremila metri dall.esercizio esistente, 
e la presenza delle particolari esigenze dell.assistenza farmaceutica in rapporto alle condizioni 
topografiche e di viabilit�, da valutare a cura sia delle unit� sanitarie (aziende sanitarie locali) 
sia dell.ordine professionale locale o comunque delle amministrazioni competenti in tema di 
organizzazione e controllo del servizio di assistenza farmaceutica. 
*** 
C-217/09 Maurizio Polisseni contre A.S.L. N. 14 V.C.O. Omega 
Domanda pregiudiziale del TAR Piemonte 
*** 
C- 393/08 Sbarigia Emanuela/Azienda USL RM/A 
La ricorrente, dott.ssa Sbarigia, in ragione dell'ubicazione nel centro storico della farmacia di 
cui � titolare, ha chiesto all'ASL RM/A l'esonero dal periodo di chiusura estiva per ferie 2006. 
Tale istanza � stata respinta. 
Avverso il provvedimento la dott.ssa Sbarigia ha presentato ricorso, in pendenza del quale ha 
ulteriormente chiesto di essere autorizzata a non effettuare la chiusura annuale per ferie, ad 
effettuare un orario di apertura al pubblico pi� esteso e a non osservare il turno di chiusura 
estivo. Anche tale istanza � stata respinta. 
Il TAR del Lazio, al quale la dott.ssa Sbarigia ha richiesto l'annullamento della deliberazione 
dell'AUSL ROMA A, propone alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale vertente sui 
divieti imposti dalla legge regionale Lazio n. 26/2002 sull'assoggettamento alla previa discrezionale 
valutazione dell'amministrazione, per poter ottenere nel Comune di Roma la deroga 
ai suddetti divieti. 
Si pone il dubbio della compatibilit� dei vincoli normativi in questione da un lato con i principi 
comunitari di tutela della libera concorrenza e della libera prestazione dei servizi, dall'altro 
con gli artt. 152 e 153 CE, nei quali si prevede un'azione della CE volta alla tutela della salute. 
(Procedura scritta in corso)
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 125 
Il caso Guiso-Gallisay c.Italia. Intervento all� udienza 
del 17 giugno 2009 dinanzi alla Grande Camera della 
Corte dei diritti dell�uomo di Strasburgo* 
COURT EUROP�ENNE DES DROITS DE L�HOMME 
Requ�te n. 58858/00 
Guiso Gallisay c. l�Italie 
pour article 1 du Protocole n. 1 de la Convention 
AUDIENCE DE GRANDE CHAMBRE DU 17 JUIN 2009 
1. Il faut tout d�abord dissiper certains malentendus que la partie requ�rante 
a sem� expr�s, dans le but de d�tourner la Cour sur ce qui est r�ellement 
l�occupazione acquisitiva (ou expropriation indirecte, comme la Cour l�appelle). 
Cette forme d�expropriation se caract�rise comme suit: 
a) une occupation d�urgence du terrain a lieu sur la base d�une d�claration 
d�utilit� publique tout � fait l�gitime et d�un acompte de l�indemnit�; 
b) cette occupation se prolonge au-del� de la p�riode autoris�e (qui est 
en g�n�ral de 5 ans), mais, entre-temps, aucun d�cret formel d�expropriation 
n�est rendu, ou ce d�cret est �mis en retard, � savoir au del� du d�lai pr�vu; 
c) entre temps la construction de l�ouvrage publique est achev�e; 
d) cette situation entra�ne que les juridictions doivent n�cessairement 
trouver une solution pour r�tablir l�ordre juridique viol� et reconduire la situation 
dans la sph�re du droit: le terrain ne peut pas �tre rendu au particulier 
parce que sur le terrain litigieux un ouvrage d�utilit� publique a �t� d�sormais 
r�alis� par l�administration avec les ressources issues de la contribution fiscale 
et, par ailleurs, la proc�dure administrative a �t� entam�e l�gitimement, ainsi 
qu�un acompte de l�indemnit� a �t� d�j� octroy� au particulier dans la plus 
grande partie des cas. Quelle est donc la solution trouv�e par les juridictions 
nationales? Reconna�tre l�ill�galit� de l�administration (sous l�angle de l�article 
2043 du code civil), d�clarer qu�un transfert de propri�t� doit se consid�rer 
comme ayant eu lieu (� cause de l�existence, sur le terrain litigieux, de l�ouvrage 
d�utilit� publique), ainsi qu�octroyer au particulier une somme � titre de 
d�dommagement ; 
e) auparavant cette somme n�atteignait pas la valeur v�nale du bien ex- 
(*) Innovando nella tradizione che vuole presente all�udienza solo l�Agente , in questa causa - su 
richiesta della Presidenza del Consiglio - ha partecipato anche l�Avvocato dello Stato.
126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
propri� mais, en vertu d�une loi de 1996, seulement 55% de cette derni�re; 
par la suite le Gouvernement a enti�rement r�solu, sous l�angle des mesures 
g�n�rales, ce probl�me par l�intervention de la Cour Constitutionnelle (arr�t 
n� 349/2007) et du L�gislateur (article 2 �� 89-90 loi de budget 2007), comme 
d�ailleurs reconnu par la Cour elle-m�me (voir, ex pluribus, � 31 de l�arr�t qui 
nous occupe). 
2. Dans son opinion dissidente la juge Tulkens affirme textuellement que 
� il n�est pas contest� que la situation en l�esp�ce est celle de la privation arbitraire 
de biens �; au contraire, le Gouvernement conteste cette conclusion, 
�tant donn�e l�existence d�un arr�t d�clarant qu�un transfert de propri�t� doit 
se consid�rer comme ayant eu lieu ainsi que d�un d�dommagement. Or, pourriez 
vous r�ellement consid�rer qu�une telle situation, o� les cons�quences de 
l�ing�rence litigieuse ont �t� toutes effac�es au niveau national, sauf en ce qui 
concerne le montant de l�indemnit� qui sՎl�ve seulement au 55% de la valeur 
v�nale, soit donc comparable � une � mainmise illicite � ? Une r�ponse positive 
�quivaudrait � un attachement excessif � la forme, et par cons�quent il 
faudrait aussi estimer que, par exemple, le non-respect d�une date butoir ou 
l�oubli d�un tampon sur une feuille serait plus grave qu�une expropriation d�cr�t�e 
dans le respect scrupuleux de toutes les formalit�s et de tous les d�lais, 
mais sans indemnit�, laquelle chose repr�senterait le contraire d�un jugement 
bas� sur lՎquit� ! En effet, ce qu�il est important de souligner, � propos de 
l�expropriation indirecte, est que le particulier ne subit pas un dommage mat�riel 
plus �lev� du simple fait que l�expropriation s�est achev�e avec un jugement 
plut�t qu�avec un acte administratif. Bien entendu, il y a les frais de 
la proc�dure, mais ces derniers sont � la charge de l�administration perdante; 
il pourrait y avoir un dommage r�sultant du retard dans le paiement de l�indemnit�, 
mais celui-ci est couvert par les int�r�ts et la r��valuation; enfin il 
pourrait y avoir un dommage r�sultant de la dur�e excessive de la proc�dure, 
mais il s�agit d�un dommage moral qui peut �tre indemnis� par un moyen appropri�, 
pr�vu par la loi nationale. 
3. En effet, cr�er, comme le voudrait la partie requ�rante, une cat�gorie 
unique de � d�possession illicite �, dans laquelle seraient ins�r�s des cas tout 
� fait diff�rents et non homog�nes entre eux, et appliquer, de fa�on g�n�ralis�e 
et automatique, les crit�res Papamichalopoulos, pr�n�s par les requ�rants, � 
n�importe quelle affaire qui, d�apr�s la Cour, entre dans cette cat�gorie de la 
� d�possession illicite �, conduit, sans aucun doute, � des r�sultats d�raisonnables, 
injustes et incompatibles avec l�esprit et le but de la Convention, alors 
que la proc�dure devant la Cour porte sur un jugement avec �quit� (et lՎquit� 
repr�sente le contraire de l�automaticit� et de l�attachement � la forme). Dans 
l�affaire italienne, en effet, nous avons a) un arr�t d�clarant qu'un transfert de 
propri�t�, du particulier � l�administration, doit se consid�rer comme ayant eu 
lieu, arr�t qui a donc donn� la � s�curit� juridique � concernant la privation
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 127 
du terrain (� 88 arr�t au principal). M�me au cas o� l�arr�t serait appel�, l�appel 
concernerait exclusivement le montant de l�indemnit�, alors que le point concernant 
le passage de propri�t� du bien acquiert l�autorit� de la chose jug�e 
tout de suite, sur la base du principe tantum devolutum quantum appellatum, 
tir� de l�article 342 c.p.c.; ainsi que b) un d�dommagement; bref, une situation 
telle � �liminer la violation pour la plupart, � la lumi�re de la m�me jurisprudence 
de la Cour. Au contraire, la situation dans l�affaire Papamichalopoulos 
�tait tout � fait diff�rente: il s�agissait d�un terrain de vastes dimensions qui 
avait �t� occup� par une dictature militaire, sans aucune base l�gale, sans indemnit�, 
et en dehors d�un but d�utilit� publique, et o� la propri�t� �tait rest�e 
au particulier et celui-ci n�avait eu aucune possibilit� juridique de redresser 
la situation incrimin�e, comme d�ailleurs l�arr�t sur le fond le montre (1). 
4. Il est important de souligner aussi que, dans l�affaire Papamichalopoulos, 
les requ�rants grecs avaient un terrain qui poss�dait un � potentiel de 
d�veloppement touristique � consid�rable et, donc, pour cette raison, ils avaient 
con�u la construction d�un complexe h�telier qui avait re�u l�assentiment 
de l�autorit� administrative (cet �l�ment avait jou� un r�le dans la d�cision de 
la Cour sur la satisfaction �quitable (Papamichalopoulos, art. 50, � 37). Dans 
les affaires italiennes, au contraire, et notamment dans notre affaire qui concerne 
un terrain d�nu� de tout int�r�t, la partie requ�rante voudrait appliquer 
les m�mes crit�res sans nullement exiger la preuve de l�existence d�une situation 
comparable et voudrait donc transformer ainsi, en une pr�somption irr�fragable, 
ce qui, dans l�affaire grecque, �tait un fait concr�tement d�montr�. 
En d�finitive, il faut accepter l�id�e de restituer � l�affaire Papamichalopoulos 
son caract�re d�affaire singuli�re, non susceptible de poser un principe d�application 
g�n�rale. 
5. Ceci dit, le Gouvernement Italien a, depuis toujours, pens� que la mati�re 
qui nous occupe m�rite une r�flexion m�re et profonde et que cette opinion 
soit bien fond�e est d�montr�: a) par des nombreuses contradictions dans 
lesquelles la Cour, elle-m�me, est parfois tomb�e dans ses pr�c�dents en la 
mati�re, ainsi que b) par la circonstance tr�s significative que les conclusions, 
dans la pr�sente affaire, de la partie requ�rante et de la partie intervenue ad 
adjuvandum sont diff�rentes. 
6. Quant au premier aspect, que l�on songe � certaines affaires turques 
(1) � 41. L�occupation des terrains litigieux par le Fonds de la marine nationale a repr�sent� une 
ing�rence manifeste dans la jouissance du droit des requ�rants au respect de leurs biens. Elle ne relevait 
pas de la r�glementation de l�usage de biens, au sens du second alin�a de l�article 1 du Protocole no 1 
(P1-1). D�autre part, les int�ress�s n�ont pas subi d�expropriation formelle: la loi no 109/1967 n�a pas 
transf�r� la propri�t� desdits terrains au Fonds de la marine nationale. 45. La Cour estime que la perte 
de toute disponibilit� des terrains en cause, combin�e avec lՎchec des tentatives men�es jusqu�ici pour 
rem�dier � la situation incrimin�e, a engendr� des cons�quences assez graves pour que les int�ress�s 
aient subi une expropriation de fait incompatible avec leur droit au respect de leurs biens �.
128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
(I.R.S. et autres, 20 juillet 2004, Kadriye Y�ld�z et autres, 10 octobre 2006, B�rek�io.ullar� 
(��kmez) et autres, 19 octobre 2006, Ari et autres, 3 avril 2007) 
dont les circonstances de fait sont bien plus graves que celles des affaires italiennes. 
L�arr�t I.R.S. est significatif: l�Etat sՎtait empar� d�un terrain des requ�rants 
en dehors de toute l�galit� et sans aucune garantie proc�durale et les 
propri�taires n�avaient eu aucune possibilit� de r�action efficace; or, le simple 
fait que cette situation d�ill�galit� continue se f�t prolong�e pendant 20 ans 
ou plus avait permis aux juridictions internes d�appliquer une sorte d�usucapion 
(sui generis, en raison de l�impossibilit� effective pour les propri�taires 
de faire valoir leurs droits en temps utile) et de d�clarer apr�s coup que la propri�t� 
des biens �tait pass�e � l�Etat en leur refusant en m�me temps toute indemnisation 
en application d�une loi r�troactive; cependant la Cour a cru voir 
une diff�rence avec les affaires italiennes d�expropriation et a donc calcul� 
autrement le dommage mat�riel. 
7. C�est l� un exemple qui montre le degr� d�incertitude juridique qui d�coule 
de l�adoption du � crit�re de la mainmise �. 
8. Quant au deuxi�me aspect (concernant les incoh�rences de nos contreparties), 
la partie requ�rante demande, seulement maintenant, la restitution 
du bien, y compris les ouvrages publiques y construits, outre un d�dommagement 
� titre de perte de jouissance, ou, faute de cette restitution, un dommage 
mat�riel correspondant � une somme couvrant la valeur actuelle du terrain (� 
la lumi�re d�une estimation ad hoc faite par un expert mandat� par la Cour), 
augment�e du co�t de construction des b�timents publiques construits sur le 
terrain, outre la perte de jouissance, d�duction faite de la somme d�j� per�ue 
au niveau national: celui-ci est le param�tre de d�dommagement utilis� dans 
l�affaire Papamichalopoulos. Il faut enfin ajouter, d�apr�s les requ�rants, les 
dommages moraux, aussi. Il faut ajouter que, pour ce qui est du dommage mat�riel, 
la partie requ�rante a, au cours de toute la proc�dure, chang� bien trois 
fois ses pr�tentions: dans la requ�te introductive elle a pr�n� la m�me m�thode 
de calcul recommand�e par le Gouvernement et accept�e par la Chambre, dans 
les observations sur la satisfaction �quitable devant la Chambre elle a demand� 
plus de 15 millions d�euro � titre de dommage mat�riel, devant la Grande 
Chambre ses pr�tentions en mati�re de dommage mat�riel descendent � presque 
6 millions d�euro. Voil� un exemple qui d�montre, � lui seul, les incoh�rences 
de la m�thode de calcul pr�n�e par les requ�rants. 
9. La tierce partie, intervenue en soutien de la partie requ�rante, demande, 
au contraire, la valeur v�nale du terrain, �tablie par les juridictions nationales, 
plus index du co�t de la vie et int�r�ts-moratoires, plus le 10% � titre de perte 
de chance d�une possible cession volontaire, plus frais et d�pens du litige national, 
plus le montant d� � titre d�imp�ts. D�apr�s la tierce partie, il faut enfin 
ajouter les dommages moraux � en mesure ad�quate par rapport � la gravit� 
de la violation et en tenant compte de l�incidence que celle-ci a eu sur la vie
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 129 
de la victime �. 
10. Les th�ses des deux contreparties ne sont pas simplement en contradiction 
entre elles: elles sont mal fond�es aussi, comme le Gouvernement est 
en mesure de le d�montrer. 
11. Quant � la partie requ�rante, il faut dire que: a) elle n�a jamais demand� 
la restitution du terrain, ni au niveau national ni dans sa requ�te d�pos�e 
� la Cour: m�me dans cette derni�re, la partie requ�rante s�est born�e � demander 
un d�dommagement � la hauteur de la diff�rence entre la valeur v�nale 
du bien et le montant per�u, � savoir le 45% de ladite valeur v�nale; b) en tout 
cas, il serait difficile de restituer le bien, car la partie requ�rante �tait propri�taire 
seulement d�une petite partie indivisible du terrain (chacun des trois requ�rants 
�tait copropri�taire dans un pourcentage de 29/360); c) sur le terrain 
litigieux un ouvrage d�utilit� publique a �t� d�sormais r�alis� par l�administration 
avec les ressources issues de la contribution fiscale et donc, sur la base 
d�un principe fondamentale de droit, la restitution n�est pas praticable; d) l�existence 
d�un arr�t d�clarant officiellement qu�un transfert de propri�t� doit se 
consid�rer comme ayant eu lieu est de nature � estimer hors de question toute 
hypoth�se de restitution; e) enfin, comme la Cour l�a soulign� � maintes reprises, 
elle n�a aucune comp�tence en mati�re de d�cision sur la restitution 
d�un bien litigieux (voir, ex pluribus, l�affaire Jensen et Rasmussen c. Danemark, 
dec. du 20 mars 2003). Il se pose, donc, un probl�me uniquement de 
qualit� du redressement, attendu que le param�tre du d�dommagement, pr�vu 
par la loi 662/96, nՎtait pas � la hauteur de la valeur pleine, �tablie par la jurisprudence 
europ�enne, et c�est donc exclusivement sur ce type de redressement 
qu�il faut se pencher au niveau europ�en. 
12. Et du reste, que les pr�tentions de la partie requ�rante soient tout � 
fait absurdes est d�montr� par un calcul tr�s simple: pour que le d�dommagement 
soit raisonnable, les requ�rants doivent recevoir encore le restant 45% 
de la valeur v�nale du bien, montant � actualiser par int�r�ts moratoires et 
index du co�t de la vie: la somme qui en r�sulte sՎl�ve presque � 900.000 
euro (la somme de 1.800.000 euro, liquid�e dans l�arr�t du 21 octobre 2008, 
est le r�sultat d�une erreur, � savoir de l�inclusion de l�indemnit� d�occupation 
dans les calculs de la valeur marchande du bien, comme d�ailleurs la m�me 
partie requ�rante le rel�ve, de fa�on indirecte, � la page 27 de son m�moire). 
D�apr�s les observations de la partie requ�rante sur la satisfaction �quitable, 
au contraire, la somme au titre du seul dommage mat�riel sՎl�verait � 
15.360.641 euro, donc plus de 15 millions d�euro pour un terrain de 18.000 
m�tres carr�s (en tenant compte qu�il s�agissait de copropri�t� et que la quote� 
part des trois requ�rants �tait de 87/360 pour les trois): presque 1.000.000 par 
m�tre carr�, donc, pour un terrain, de surcro�t, d�nu� de tout int�r�t, situ� dans 
une zone p�riph�rique d�une petite ville peu connue. Une pr�tention, donc, 
qui � elle seule d�montre son caract�re absurde. 
130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
13. Quant � la partie intervenante, elle soutient quՈ la valeur v�nale du 
terrain, �tablie par les juridictions nationales, augment�e de l�index du co�t 
de la vie et des int�r�ts-moratoires, il faut ajouter: 
a) 10% � titre de perte de chance d�une possible cession volontaire, mais, 
� ce propos, le Gouvernement fait remarquer que la cession volontaire du bien 
fait abstraction de la forme de l�expropriation, �tant donn� que ladite cession 
peut �tre conclue apr�s la d�claration d�utilit� publique et jusquՈ ce que le 
d�cret d�expropriation n�est pas �mis (2), ainsi que l�augmentation de 10% de 
l�indemnit� est accord�e m�me si la cession n�a pas eu lieu � cause d�un fait 
non imputable au particulier (3). Par cons�quent, il est faux de dire que l�expropriation 
indirecte emp�che le particulier de conclure la cession volontaire 
du bien, �tant donn� qu�une des conditions de ladite cession est justement le 
manque du d�cret d�expropriation, condition qui s�av�re en cas d�expropriation 
indirecte; 
b) les frais et d�pens du litige national, mais ces derniers sont impos�s, 
par les juridictions nationales, � l�administration, en tant que partie perdante 
de la proc�dure; il n�y a pas donc lieu de les faire payer deux fois � l�Etat; 
c) le montant d� � titre d�imp�ts, mais il faut souligner que les dispositifs 
des jugements de la Cour, en mati�re d�expropriation, se lisent toujours comme 
suit: � l�Etat d�fendeur doit verser aux requ�rants la somme suivant �, plus 
tout montant pouvant �tre d� � titre d�imp�t � ; la Cour tenant d�j� en compte, 
donc, la possibilit� d�imp�ts sur la somme, la partie intervenante voudrait encore 
une fois doubler les sommes � payer de la part de l�Etat. 
14. Les pr�tentions de la tierce partie sont donc manifestement mal fond�es, 
sauf en ce qui concerne les dommages moraux qu�elle demande soient 
liquid�s � en mesure ad�quate par rapport � la gravit� de la violation et en tenant 
compte de l�incidence que celle-ci a eu sur la vie de la victime �. A ce 
sujet, le Gouvernement est d�accord avec la tierce partie: la majeure ou mineure 
gravit� de la violation se r�percute sur le dommage moral, mais non pas 
sur le dommage mat�riel; la nature ou la gravit� � juridique � de la violation, 
que l�on peut appeler le crit�re de la � mainmise ill�gale � ou de la � d�possession 
illicite �, n�est pas un crit�re appropri� pour lՎvaluation du dommage 
mat�riel, �tant donn� que la somme allou�e au titre du dommage mat�riel a 
une fonction purement compensatoire pour le requ�rant. Du reste, aucun principe 
conventionnel, d�autant moins celui d�coulant de l�art. 1 du Prot. 1 nՎta- 
(2) Art. 45 �1 R�pertoire de l�expropriation: �Fin da quando � dichiarata la pubblica utilit� dell'opera 
e fino alla data in cui � eseguito il decreto di esproprio, il proprietario ha il diritto di stipulare 
col soggetto beneficiario dell'espropriazione l'atto di cessione del bene o della sua quota di propriet��. 
(3) Art. 37 �2 R�pertoire de l�expropriation: �Nei casi in cui � stato concluso l'accordo di cessione, 
o quando esso non � stato concluso per fatto non imputabile all'espropriato ovvero perch� a questi � 
stata offerta un'indennit� provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi in quella determinata 
in via definitiva, l'indennit� � aumentata del 10 per cento�.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 131 
blit une hi�rarchie entre les divers, possibles manquements, m�me parce que, 
s�il en f�t ainsi, on aurait une incoh�rence �vidente, � savoir: � pr�judice �conomique 
�gal, compensation diff�rente en fonction d�un �l�ment qui n�a aucune 
incidence sur l�ampleur du dommage. Que l�on songe, par exemple, au 
d�faut de � base l�gale �; tout d�abord, m�me dans cette notion de � base l�gale 
�, compte tenu de son ampleur, il pourrait y avoir manquement et manquement; 
en deuxi�me lieu, ce d�faut n�autorise nullement l�octroi d�une satisfaction 
�quitable, au titre du dommage mat�riel, sup�rieure � celle qui serait 
allou�e en pr�sence d�un autre manquement, par exemple le manque de proportionnalit�. 
Eventuellement, le dommage moral pourrait jouer un r�le dans 
ce sens, mais jamais le dommage mat�riel. Le dommage moral pourrait y jouer 
un r�le et en effet il le joue: que l�on songe, en mati�re de dommage moral, � 
la diff�rence tr�s importante entre l�affaire d�expropriation directe Scordino I 
(euro 4.000, � titre de dommage moral, aux quatre requ�rants) et l�affaire d�expropriation 
indirecte Carbonara et Ventura (euro 200.000, � titre de dommage 
moral, aux quatre requ�rants). En effet, la m�thode de calcul pr�vue en cas de 
� mainmise illicite � entra�ne une multiplication de facteurs faisant double 
emploi et, par cons�quent, une augmentation spectaculaire et immotiv�e du 
d�dommagement. 
15. Ce qu�il faut mettre en �vidence est que la Cour risque de tomber dans 
une contradiction manifeste si elle affirme, d�une part, que � l�indemnisation 
� fixer en l�esp�ce devra refl�ter l�id�e d�un effacement total des cons�quences 
de l�ing�rence litigieuse � et soutient, d�autre part, que � le caract�re illicite 
de pareille d�possession se r�percute par la force des choses sur les crit�res 
� employer pour d�terminer la r�paration due par l�Etat d�fendeur, les cons�quences 
financi�res d�une mainmise licite ne pouvant �tre assimil�es � celles 
d�une d�possession illicite � (� 36 arr�t Pasculli c. Italie); contradiction manifeste, 
�tant donn� que, pour r�parer int�gralement le pr�judice subi, il faut 
tenir compte de l�ampleur du pr�judice et non pas de ce qui l�a caus�. 
En outre, on pourrait interpr�ter la deuxi�me phrase dans le sens que la 
Cour a tendance � attribuer � l�indemnisation pour dommage mat�riel un but 
punitif ou dissuasif � lՎgard de lՃtat d�fendeur. Or, le Gouvernement est 
d�avis que la Convention, qui, � l�instar de tout trait�, nՎchappe pas � l�obligation 
d�interpr�tation litt�rale, n�assigne � la Cour aucun pouvoir de sanctionner 
l�Etat concern� par le biais d�une sur-�valuation du dommage mat�riel. Il 
y avait, certes, dans le pass�, une jurisprudence de la Cour, par exemple en 
mati�re de dur�e de proc�dure, d�apr�s laquelle l�accumulation de violations 
syst�matiques est constitutive d�une pratique incompatible avec la Convention 
et constitue une circonstance aggravante, mais pour parvenir � cela il faut non 
seulement une accumulation de violations identiques ou analogues, suffisamment 
nombreuses, mais une tol�rance officielle, aussi, alors qu�en l�esp�ce, le 
Gouvernement a enti�rement r�solu ce probl�me, comme d�ailleurs reconnu
132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
par la Cour elle-m�me (voir, ex pluribus, � 31 de l�arr�t qui nous occupe). 
16. En outre, � l�appui de leurs th�ses, aussi bien la Cour, dans l�arr�t Papamichalopoulos, 
que la partie requ�rante et la tierce partie mentionnent un 
vieil arr�t de 1928 de la Cour permanente de justice internationale dans l�affaire 
de l�Usine de Chorz�w; or, nous sommes en mesure de d�montrer que 
l�interpr�tation, qui est donn�e aux principes fondamentaux de droit international 
d�coulant de cet arr�t de la Cour de justice internationale, est une interpr�tation 
clairement incorrecte. En effet, d�apr�s la CJI, la restitution en nature 
est valablement remplac�e par le � paiement d'une somme correspondant � la 
valeur qu'aurait la restitution en nature �, auquel pourrait s�ajouter, � s�il y a 
lieu � (c�est-�-dire, � condition qu�un pr�judice ult�rieur soit �tabli dans son 
existence et son ampleur), un d�dommagement � pour les pertes subies et qui 
ne seraient pas couvertes par la restitution en nature ou le paiement qui en 
prend la place �. La Cour Europ�enne, au contraire, pr�sume l�existence, outre 
le dommage li� � la perte de la propri�t�, d�un pr�judice ult�rieur de telle ampleur 
qu�il n�est pas compens� par l�actualisation et, donc, chiffre automatiquement 
ce pr�judice ult�rieur, lui-m�me hypoth�tique, � la hauteur de la 
valeur brute des oeuvres r�alis�es par l�Etat ou de leur co�t de construction, 
en l�ajoutant � la valeur actualis�e du terrain. En bref, le dommage ult�rieur, 
que la CJI exige soit sp�cifiquement prouv� par l�int�ress�, est par la Cour 
Europ�enne automatiquement calcul� en fonction de l�existence des constructions. 
Cette fa�on d�indemnisation est non seulement contraire aux principes 
de la CJI (de surcro�t mentionn�s par la m�me Cour Europ�enne), mais elle 
se heurte � un simple raisonnement d�ordre logique: d�apr�s un principe g�n�ral 
largement accept� dans les syst�mes juridiques europ�ens, la restitution 
en nature doit se faire apr�s r�tablissement des conditions dans lesquelles l�objet 
� restituer se trouvait au moment de la d�possession; il n�est donc pas correct, 
en droit, de dire que � les b�timents forment une composante de la 
restitutio in integrum � (� 40 de l�arr�t Papamichalopoulos sur la satisfaction 
�quitable); bien au contraire, d�apr�s un principe g�n�ral et une logique banale, 
les b�timents constituent un �l�ment �tranger par nature � la restitutio in integrum. 
Cette jurisprudence Papamichalopoulos, donc, n�est nullement coh�rente 
avec le principe affirm� par la CJI, dont elle d�clare s�inspirer. 
17. D�apr�s le Gouvernement, les crit�res Papamichalopoulos ne sont 
pas critiquables seulement par rapport � leur application aux affaires italiennes 
d�expropriation, ils sont critiquables aussi en soi: et en effet, dans son m�moire, 
le Gouvernement a �num�r� bien 13 raisons pour lesquelles ces crit�res 
doivent �tre consid�r�s critiquables en soi, 13 raisons qu�il serait impossible, 
pour des raisons de temps, de r�p�ter de nouveau oralement. Il suffit de dire 
que lier la m�thode de calcul du pr�judice mat�riel � la gravit� de la violation 
m�conna�t le principe de subsidiarit�, est mal fond� sous un angle logique, 
produit des in�galit�s injustifi�es (par exemple, deux propri�taires expropri�s
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 133 
d�un bien parfaitement �quivalent et dans des conditions identiques seront indemnis�s 
de mani�re diff�rente selon l�usage public qui est fait de leur bien: 
construction d�un �difice co�teux et de grande valeur ou, � l�inverse, r�alisation 
d�une oeuvre simple, peu co�teuse et d�nu�e d�int�r�t commercial, donc 
� pr�judice �conomique �gal, compensation diff�rente en fonction d�un �l�ment 
al�atoire, comme al�atoire est d�ailleurs la date � laquelle la Cour rend 
son arr�t, date qui certes influence la valeur du terrain). Enfin ladite m�thode 
ne correspond nullement aux principes juridiques en vigueur dans les Etats 
europ�ens. En effet, d�apr�s une r�gle g�n�rale dՎconomie et de droit largement 
partag�e dans les Etats europ�ens, la m�thode normale de r��valuation 
d�un bien est l�actualisation de la valeur initiale, � partir du fait illicite ou de 
l�arr�t tranchant le diff�rend, en proportion de la d�pr�ciation de la monnaie: 
d�autre part celle-ci n�est que la m�thode que la Cour, elle-m�me, utilise d�j� 
lorsque il faut d�duire, de la somme que l�Etat doit verser aux requ�rants, l�indemnit�, 
� actualiser, obtenue par ces derniers au plan national en son temps 
(4). L�estimation ex novo de la valeur � actuelle � d�un bien � une date donn�e, 
au contraire, ne se justifie qu�en pr�sence d�un commencement de preuve indiquant 
de mani�re pr�cise et concluante que des circonstances particuli�res 
ont influenc� la hausse du march� de mani�re non proportionnelle � l�inflation. 
18. Toujours � ce propos, les articles 934 et 936 du code civil italien, � 
l�instar de tous les codes europ�ens, �tablissent que, dans les diff�rends entre 
particuliers, le propri�taire de bonne foi d�un terrain peut retenir la construction 
sur son terrain, faite par un tiers, pourvu qu�il lui donne le co�t de construction; 
la ratio sous-jacente de cette norme est dՎviter aussi bien un enrichissement 
ill�gitime du propri�taire du terrain (qui n�avait pas support� les frais de l�investissement) 
qu�une perte injuste de la part du constructeur, alors que, d�apr�s 
les crit�res Papamichalopoulos, l�Etat devrait d�penser deux fois la somme 
correspondant au co�t de construction. Et d�autre part il ne saurait nullement 
se justifier sur le plan logique et de lՎquit� qu�un particulier obtienne gratuitement 
la valeur positive d�un investissement que d�autres ont r�alis� (et pay�) 
� sa place. 
19. En conclusion, par le biais d�une multiplication de plusieurs facteurs 
faisant double emploi, la partie requ�rante voudrait obtenir un d�dommagement 
spectaculaire qui, de fa�on immotiv�e, transforme une violation de la 
propri�t�, en grande partie d�j� r�gl�e au plan interne, dans une v�ritable au- 
(4) Voir, � ce sujet, ex pluribus, arr�t Pasculli c. Italie, � 39. Elle d�cide que l�Etat devra verser 
� l�int�ress� une somme correspondant � la valeur actuelle du terrain, augment�e de la plus-value apport�e 
par la pr�sence du b�timent � qui en l�esp�ce a �t� estim�e au m�me niveau que le co�t de construction 
� et qui est susceptible de compenser le requ�rant �galement pour toute autre perte subie. De 
cette somme il convient ensuite de d�duire l�indemnit� se rapportant � la valeur du terrain obtenue par 
le requ�rants au plan national (� savoir 216 707 170 ITL de 1986, soit 111 919, 91 EUR, voir � 19 de 
l�arr�t au principal) et actualis�e (soit environ 236 000 EUR).
134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
baine injustifi�e pour le requ�rant: ce qui se heurte aux principes de la logique, 
du droit et de lՎquit� et qui, en plus, tourne au d�triment de la grande masse 
des particuliers, � savoir des contribuables, �tant donn� que ce sont les contribuables 
qui supporteront la charge des sommes, dont nous discutons. 
20. Le Gouvernement est donc d�avis que la nouvelle m�thode de d�dommagement 
choisie par la Chambre est en soi conforme aux exigences de la 
Convention et, donc, qu�il ne faut pas la remettre en cause. Par cons�quent, 
on demande � la Cour d�accepter les conclusions de la Chambre, en corrigeant 
l�erreur de calcul du dommage mat�riel faite dans l�arr�t de la Chambre et en 
fixant � 900.000 euro le montant du dommage mat�riel, et enfin de rejeter les 
pr�tentions de la partie requ�rante comme �tant mal fond�es. 
Nicola Lettieri Giuseppe Albenzio 
co-Agent du Gouvernement Avocat d�Etat
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 135 
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA CE 
Prescrizione del diritto al risarcimento del 
danno nei confronti dello Stato per 
violazioni del diritto comunitario 
(Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Grande Sezione, 
sentenza del 24 marzo 2009 nella causa C-445/06) 
Con la sentenza resa dalla Grande Sezione il 24 marzo 2009, causa C- 
445/06, Danske, la Corte di giustizia delle Comunit� europee ha affermato importanti 
principi in materia di prescrizione del diritto al risarcimento del danno 
nei confronti dello Stato per violazione del diritto comunitario ed in particolare 
per effetto dell�omessa, tardiva o errata trasposizione di una direttiva comunitaria. 
ComՏ noto, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza 
19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e Bonifaci; sentenza 
5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93 Brasserie du P�cheur e 
Factortame; sentenza 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani; sentenza 25 
febbraio 1999, causa C-131/97, Carbonari; sentenza 30 settembre 2003, causa 
C-224/01, K�bler; sentenza 13 giugno 2006, causa C-173/03, Traghetti del 
mediterraneo; ordinanza 23 aprile 2008, causa C-201/05, The Test Claimants 
in the CFC and Dividend Group Litigation) il principio della responsabilit� 
degli Stati per violazione del diritto comunitario, pur non essendo espressamente 
previsto, trova il suo fondamento in due norme del Trattato: l�art. 10 
che sancisce il principio di leale collaborazione degli Stati e l�art. 288 che prevede 
la responsabilit� extracontrattuale della Comunit�, conformemente ai 
principi generali comuni ai diritti degli Stati membri. Classico esempio di violazione, 
da parte degli Stati, del diritto comunitario � la mancata, tardiva o non 
corretta trasposizione di una direttiva, obbligo imposto dall�art. 249 del Trattato. 
Ci� premesso, la citata sentenza del 24 marzo 2009 ha confermato innanzitutto 
che, in mancanza di una normativa comunitaria che regoli in modo diretto 
e puntuale la responsabilit� degli Stati membri per violazione del diritto 
comunitario, spetta ai singoli ordinamenti nazionali disciplinare le modalit� 
procedurali dei ricorsi diretti a garantire la piena tutela dei diritti conferiti alle 
persone dal diritto comunitario, fermo restando che le condizioni e i termini 
stabiliti dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento del danno non 
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA CE
136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano azioni analoghe di 
natura interna (principio di equivalenza) e non possono essere congegnate in 
modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere 
il risarcimento (principio di effettivit�). 
A tale proposito, � stato ritenuto ragionevole il termine di decadenza triennale 
previsto dalla legislazione tedesca nella causa principale (punti 31 e 32). 
Al riguardo, va ricordato che la Corte di giustizia (sentenza del 10 luglio 1997, 
causa C-261/95, Palmisani, punto 29) aveva gi� ritenuto congruo il termine 
di decadenza annuale fissato dall�art. 2, comma 7 del d.lgs. 27 gennaio 1992, 
n. 80 per il danno derivante dalla mancata attuazione della direttiva 
80/987/CEE concernente la tutela dei lavoratori in caso di insolvenza del datore 
di lavoro. 
Quanto all�interruzione o alla sospensione dei termini di prescrizione per 
effetto della presentazione di un ricorso per inadempimento, la Corte di giustizia 
ha inoltre affermato che spetta agli Stati membri disciplinare tali aspetti 
purch� siano osservati i principi di equivalenza e di effettivit�, ribadendo che 
non si pu� subordinare il risarcimento del danno al presupposto di una previa 
constatazione, da parte della Corte, dell�inadempimento imputabile allo Stato 
membro per violazione del diritto comunitario, elemento significativo ma non 
indispensabile (punti 36 � 38). Sotto tale profilo, la Corte ha quindi concluso 
che la circostanza che un ricorso per inadempimento non abbia l�effetto di interrompere 
o di sospendere il termine di prescrizione non rende impossibile o 
eccessivamente difficile, per il soggetto, esercitare i diritti conferitigli dal diritto 
comunitario, n� lede il principio dell�equivalenza, tenuto conto delle peculiarit� 
della procedura ex art. 226 CE che non � tesa a tutelare diritti propri 
della Commissione e non � quindi assimilabile, sotto tale aspetto, al rimedio 
nazionale previsto per la responsabilit� amministrativa, azionato dal soggetto 
leso (punti 39 e 45). 
Quanto alla decorrenza della prescrizione, la Corte ha affermato che il 
diritto comunitario non osta a che il termine di prescrizione di un�azione di risarcimento 
nei confronti dello Stato, basata sulla carente trasposizione di una 
direttiva, inizi a decorrere dalla data in cui i primi effetti lesivi di detto scorretto 
recepimento si siano verificati, anche qualora tale data sia antecedente alla 
corretta e completa trasposizione della direttiva in questione nell�ordinamento 
nazionale, dovendosi ritenere che il principio contrario affermato nella sentenza 
del 25 luglio 1991, causa C-208/90, Emmott, fosse determinato dalle 
circostanze particolari di detta causa (punto 56). 
La Corte ha infine chiarito che spetta al giudice nazionale stabilire la conformit� 
al diritto comunitario di una legislazione, come quella tedesca, che 
esclude il risarcimento del danno ove il soggetto leso non abbia dato prova di 
una ragionevole diligenza, omettendo, dolosamente o colposamente, di evitare 
la realizzazione del danno mediante la proposizione delle azioni previste dal
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 137 
diritto nazionale. Al riguardo, la Corte ha comunque escluso che la probabilit� 
che in tale sede il giudice adito sollevi una questione pregiudiziale ex art. 234 
CE renda non esigibile dai soggetti lesi l�esperimento dei mezzi di ricorso a 
loro disposizione in quanto l�utilizzo di tale strumento di cooperazione tra la 
Corte e i giudici nazionali non contribuisce assolutamente a rendere eccessivamente 
difficile l�esercizio dei diritti attribuiti al singolo dal diritto comunitario 
(punti 64 e 65). 
Al riguardo, si ricorda che la recente sentenza delle SS.UU. della Corte 
di cassazione del 17 aprile 2009, n. 9147 ha stabilito che la domanda risarcitoria 
per tardiva trasposizione di direttiva comunitaria non rientra nello schema 
della responsabilit� extracontrattuale ma in quello della responsabilit� ex lege 
dello Stato inadempiente, di natura indennitaria per attivit� non antigiuridica 
e sussistente a prescindere dalla sussistenza del dolo o della colpa e dal carattere 
non self executing della direttiva, con conseguente applicabilit� della prescrizione 
decennale. La natura risarcitoria del diritto vantato nei confronti dello 
Stato per violazione del diritto comunitario era stata invece in precedenza affermata 
non solo dalla stessa Corte di cassazione (Cass. 9 novembre 1994, n. 
9339) ma anche dalla Corte costituzionale (sentenza 16 giugno 1993, n. 285). 
Avv. Wally Ferrante* 
Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Grande Sezione, sentenza 24 marzo 2009 
nella causa C-445/06 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof 
(Germania) - Danske Slagterier/Bundesrepublik Deutschland. (Avvocato dello Stato W. Ferrante 
- AL 8375/07). 
Misure di effetto equivalente � Polizia sanitaria � Scambi intracomunitari � Carni fresche � 
Controlli veterinari � Responsabilit� extracontrattuale di uno Stato membro �Termine di prescrizione 
� Determinazione del danno. 
(... Omissis) 
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione degli artt. 5, n. 1, lett. 
o), e 6, n. 1, lett. b), sub iii), della direttiva del Consiglio 26 giugno 1964, 64/433/CEE, relativa 
alle condizioni sanitarie per la produzione e l�immissione sul mercato di carni fresche (GU 
1964, n. 121, pag. 2012), come modificata dalla direttiva del Consiglio 29 luglio 1991, 
91/497/CEE (GU L 268, pag. 69; in prosieguo: la �direttiva 64/433�), degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 
della direttiva del Consiglio 11 dicembre 1989, 89/662/CEE, relativa ai controlli veterinari 
applicabili negli scambi intracomunitari, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno 
(GU L 395, pag. 13), nonch� dell�art. 28 CE. 
(*) Avvocato dello Stato.
138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
2 Tale domanda � stata sottoposta nell�ambito di una controversia fra la Danske Slagterier 
e la Repubblica federale di Germania, vertente su una richiesta di risarcimento danni. 
Contesto normativo 
La normativa comunitaria 
3 L�art. 5, n. 1, della direttiva 64/433 cos� prevede: 
�Gli Stati membri provvedono affinch� siano dichiarati non idonei al consumo umano dal veterinario 
ufficiale: 
(...) 
o) le carni che presentino intenso odore sessuale�. 
4 L�art. 6, n. 1, della medesima direttiva dispone quanto segue: 
�Gli Stati membri provvedono affinch�: 
(...) 
b) le carni: 
(...) 
iii) fatti salvi i casi di cui all�articolo 5, paragrafo 1, lettera o), di suini maschi non castrati 
di peso, espresso in carcassa, superiore a 80 chilogrammi, tranne qualora lo stabilimento sia 
in grado di garantire, in base a un metodo riconosciuto secondo la procedura di cui all�articolo 
16 oppure, in mancanza di tale metodo, secondo un metodo riconosciuto dall�autorit� competente 
interessata, che � possibile individuare le carcasse che presentano un intenso odore 
sessuale, 
siano munite del bollo speciale stabilito dalla decisione 84/371/CEE [della Commissione 3 
luglio 1984, che stabilisce le caratteristiche del bollo speciale per le carni fresche di cui all�articolo 
5, lettera a), della direttiva 64/433/CEE del Consiglio (GU L 196, pag. 46)] e sottoposte 
al trattamento previsto dalla direttiva 77/99/CEE [del Consiglio 21 dicembre 1976, 
relativa a problemi sanitari in materia di scambi intracomunitari di prodotti a base di carne 
(GU 1977, L 26, pag. 85)]; 
(...) 
g) i trattamenti previsti alle lettere precedenti siano effettuati nello stabilimento d�origine 
o in qualsiasi altro stabilimento designato dal veterinario ufficiale; 
(...)�. 
5 Le disposizioni della direttiva 64/433 dovevano essere trasposte nel diritto nazionale 
entro il 1� gennaio 1993. 
6 L�art. 5, n. 1, della direttiva 89/662 stabilisce che: 
�Gli Stati membri destinatari adottano le seguenti misure di controllo: 
a) la competente autorit� pu�, nei luoghi di destinazione della merce, verificare tramite 
controlli veterinari per sondaggio non discriminatori il rispetto delle condizioni poste dall�articolo 
3; in tale occasione essa pu� procedere a prelievi di campioni. 
Inoltre, se la competente autorit� dello Stato membro di transito o dello Stato membro destinatario 
dispone di elementi di informazione che consentano di ipotizzare un�infrazione, possono 
essere effettuati altres� controlli durante il trasporto della merce sul suo territorio, incluso 
il controllo di conformit� dei mezzi di trasporto; 
(...)�. 
7 Ai sensi dell�art. 7, n. 1, della direttiva in parola: 
�Se, in occasione di un controllo effettuato nel luogo di destinazione della spedizione o durante 
il trasporto, la competente autorit� di uno Stato membro constata: 
(...)
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 139 
b) che la merce non soddisfa le condizioni previste dalle direttive comunitarie o, in mancanza 
di decisioni sulle norme comunitarie previste dalle direttive, dalle norme nazionali, essa 
pu� lasciare allo speditore o al suo mandatario, se le condizioni di salubrit� o di polizia sanitaria 
lo consentono, la scelta tra: 
� la distruzione della merce, oppure 
� la sua utilizzazione ad altri fini, compresa la rispedizione su autorizzazione della competente 
autorit� del paese dello stabilimento d�origine. 
(...)�. 
8 Infine, l�art. 8 della direttiva in questione cos� dispone: 
�1. Nei casi previsti dall�articolo 7, la competente autorit� di uno Stato membro destinatario 
si mette immediatamente in contatto con la competente autorit� dello Stato membro speditore. 
Quest�ultima prende tutte le misure necessarie e comunica alla competente autorit� del primo 
Stato membro la natura dei controlli effettuati, le decisioni prese e le relative motivazioni. 
(...) 
2. (�) 
Le decisioni adottate dalla competente autorit� dello Stato destinatario devono essere comunicate, 
con l�indicazione delle relative motivazioni, allo speditore o al suo mandatario, nonch� 
alla competente autorit� dello Stato membro speditore. 
A richiesta dello speditore o del suo mandatario, le decisioni motivate devono essergli comunicate 
per iscritto con l�indicazione delle vie di ricorso offerte dalla legislazione vigente nello 
Stato membro di destinazione, nonch� della forma e dei termini prescritti per il ricorso stesso. 
(...)�. 
La normativa nazionale 
9 Ai sensi dell�art. 839 del codice civile tedesco (B�rgerliches Gesetzbuch), nella versione 
in vigore fino al 31 dicembre 2001 (in prosieguo: il �BGB�): 
�(1) Il pubblico ufficiale che, con un comportamento doloso o colposo, violi gli obblighi 
impostigli dal proprio ufficio nei confronti di un terzo � tenuto a risarcire al terzo il danno 
che ne deriva. Se il pubblico ufficiale ha agito solo colposamente, egli � tenuto al risarcimento 
solo se il soggetto leso non riesce ad ottenerlo in altro modo. 
(2) Il pubblico ufficiale che violi gli obblighi imposti dal proprio ufficio nel giudizio in 
una causa � responsabile del danno derivante solo ove la violazione dell�obbligo costituisca 
un reato. La presente norma non � applicabile ad un rifiuto o ad un ritardo contrario al proprio 
dovere nell�esercizio dell�ufficio. 
(3) L�obbligo di risarcimento non sussiste se il soggetto leso abbia omesso, dolosamente 
o colposamente, di evitare il danno avvalendosi di un mezzo d�impugnazione�. 
10 L�art. 852 del BGB prevedeva: 
�(1) Il diritto al risarcimento del danno derivante da un atto illecito si prescrive in tre anni 
dal momento in cui il soggetto leso viene a conoscenza del danno e dell�identit� della persona 
obbligata al risarcimento; in trent�anni dalla commissione dell�atto, indipendentemente dalla 
suddetta conoscenza. 
(2) Ove siano in corso trattative circa il risarcimento del danno da corrispondere fra l�obbligato 
al risarcimento e l�avente diritto allo stesso, la prescrizione � sospesa fino a quando 
una delle due parti non si rifiuti di continuare le trattative. 
(3) Qualora l�obbligato al risarcimento abbia ottenuto un beneficio mediante l�atto illecito 
a spese del soggetto leso, egli � tenuto alla restituzione anche dopo il decorso della prescrizione 
in base alle disposizioni sulla restituzione dell�indebito�.
140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Causa principale e questioni pregiudiziali 
11 La Danske Slagterier, un�associazione di categoria di imprese danesi di macelli, organizzate 
in cooperative, e di allevatori di suini, che agisce sulla base del diritto ad essa delegato 
dai propri membri, chiede alla Repubblica federale di Germania il risarcimento dei danni dovuti 
per una violazione del diritto comunitario. Detta associazione addebita allo Stato in parola 
di avere, in violazione del diritto comunitario, imposto dal 1993 al 1999 un divieto all�importazione 
di carni di suini maschi non castrati. A suo parere siffatto divieto avrebbe causato 
agli allevatori di suini e ai macelli, nel corso del periodo menzionato, un danno pari ad almeno 
DEM 280 milioni. 
12 All�inizio degli anni �90 � stato lanciato in Danimarca un progetto chiamato �Male- 
Pig-Projekt�, diretto all�allevamento di suini maschi non castrati. Orbene, detto tipo di allevamento, 
interessante da un punto di vista economico, presenta il rischio che la carne, dopo 
essere stata riscaldata, emani un intenso odore sessuale. Secondo alcuni ricercatori danesi si 
pu� constatare detta intensit� olfattiva gi� nel corso dell�operazione di macellazione, misurando 
il tenore di scatolo. Per tale ragione, in Danimarca, tutte le linee di macellazione sono 
state equipaggiate di strumenti di misurazione dello scatolo, al fine di consentire di individuare 
e scartare la carne che presentasse l�odore in questione. All�epoca la Repubblica federale di 
Germania ha ci� nondimeno ritenuto che detta intensit� olfattiva fosse dovuta all�ormone androstenone, 
la cui formazione pu� essere evitata tramite la castrazione in una fase precedente, 
e che il tenore di scatolo, considerato isolatamente, non potesse costituire di per s� un metodo 
affidabile per identificare l�odore sessuale. 
13 Nel gennaio 1993 la Repubblica federale di Germania ha informato le massime autorit� 
veterinarie degli Stati membri che la norma di cui all�art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva 64/433 
era stata trasposta nel diritto nazionale in modo da fissare un valore di .g/g 0,5 di androstenone, 
indipendentemente dal limite di peso. Qualora, infatti, detto valore fosse superato, la 
carne presenterebbe un intenso odore sessuale e pertanto sarebbe inidonea al consumo umano. 
Con ci� essa sottolineava che solo il test immuno-enzimatico modificato del prof. Claus era 
riconosciuto come metodo specifico che permette di evidenziare l�androstenone, e che le carni 
di suini maschi non castrati, che superassero tale valore limite, non potevano essere importate 
in Germania quali carni fresche. 
14 Numerosi lotti di carni suine provenienti dalla Danimarca sono quindi stati esaminati 
dalle autorit� tedesche e respinti a causa del superamento del valore limite di androstenone. 
Peraltro, gli allevatori di suini e le imprese di macelli che avevano praticamente interrotto la 
produzione di suini maschi castrati hanno dovuto riavviarla per non compromettere le esportazioni 
verso la Germania. La Danske Slagterier fa valere che, se le carni di suini esportate 
fossero provenute, come previsto dal Male-Pig-Projekt, da suini non castrati, sarebbe stato 
possibile realizzare un risparmio in termini di costi di almeno DEM 280 milioni. 
15 Il Landgericht Bonn (Tribunale di Bonn), investito dalla Danske Slagterier, il 6 dicembre 
1999, di un�azione di responsabilit� civile nei confronti della Repubblica federale di Germania, 
ha ritenuto tale azione fondata per il periodo a partire dal 7 dicembre 1996, respingendola in 
quanto prescritta nella parte relativa alle richieste di risarcimento dei danni sorte anteriormente 
a detta data. L�Oberlandesgericht K�ln (Corte d�appello di Colonia), adito in appello, ha dichiarato 
complessivamente giustificata nel merito la domanda. Con un ricorso per cassazione 
(�Revision�) dinanzi al Bundesgerichtshof (Corte federale di cassazione tedesca), la Repubblica 
federale di Germania vuole ottenere il rigetto integrale della domanda. 
16 La Corte, peraltro, con la sentenza 12 novembre 1998, causa C-102/96,
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 141 
Commissione/Germania (Racc. pag. I 6871), ha dichiarato che la Repubblica federale di Germania 
� venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi degli artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 
1, lett. b), della direttiva 64/433, nonch� ai sensi degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della direttiva 89/662, 
da un lato, avendo imposto l�obbligo di marchiare e sottoporre a trattamento termico le carcasse 
di suini maschi non castrati quando le carni, indipendentemente dal peso degli animali, 
presentino una concentrazione di androstenone superiore a .g/g 0,5, individuata mediante il 
test immuno-enzimatico modificato del prof. Claus, e, dall�altro, avendo considerato che, in 
caso di superamento del limite di .g/g 0,5 di androstenone, le carni presentino un intenso 
odore sessuale, il che ha come conseguenza di renderle inidonee al consumo umano. 
17 In tale contesto il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre 
alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
�1) Se il combinato disposto degli artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1, lett. b), (...) sub iii), della 
direttiva [64/433] e degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della direttiva 89/662 (...) conferiscano ai produttori 
e ai commercianti di carni suine una posizione giuridica che, in caso di errori di trasposizione 
o di applicazione, possa far sorgere un diritto, fondato sull�ordinamento comunitario, ad un 
risarcimento da parte dello Stato. 
2) Se i produttori e commercianti di carni suine possano, a prescindere dalla risposta alla 
prima questione, lamentare la violazione dell�art. 30 del Trattato CE [divenuto art. 28 CE] 
per motivare un diritto, fondato sull�ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte 
dello Stato in caso di trasposizione e applicazione della suddetta direttiva contrarie al diritto 
comunitario. 
3) Se il diritto comunitario imponga che la prescrizione del diritto, fondato sull�ordinamento 
comunitario, ad un risarcimento da parte dello Stato venga interrotta in seguito a un 
procedimento per inadempimento ai sensi dell�art. 226 CE o se, comunque, venga sospesa 
fino alla conclusione di tale procedimento, quando manchi un rimedio giuridico interno efficace 
per costringere lo Stato membro a trasporre una direttiva. 
4) Se il termine di prescrizione per un diritto, fondato sull�ordinamento comunitario, ad 
un risarcimento da parte dello Stato che si basi sulla carente trasposizione di una direttiva e 
su un conseguente divieto (di fatto) di importazione, cominci a decorrere, a prescindere dal 
diritto nazionale applicabile, solo a partire dalla completa trasposizione della direttiva, oppure 
se il termine di prescrizione possa cominciare a decorrere, conformemente al diritto nazionale, 
gi� dal momento in cui si sono prodotti i primi effetti lesivi e ne siano prevedibili altri. Qualora 
la completa trasposizione di una direttiva dovesse incidere sull�inizio del termine di prescrizione, 
se ci� valga in generale o soltanto nei limiti in cui la direttiva conferisca un diritto ai 
soggetti dell�ordinamento. 
5) Se, considerato che gli Stati membri non devono stabilire condizioni per fare valere il 
diritto, fondato sull�ordinamento comunitario, ad un risarcimento del danno da parte dello 
Stato pi� sfavorevoli rispetto ad altre azioni del medesimo genere che coinvolgono solo il diritto 
interno e che l�attribuzione di un risarcimento non deve essere resa di fatto impossibile 
o oltremodo difficile, sussistano obiezioni di principio nei confronti di una normativa nazionale 
ai sensi della quale l�obbligo di risarcimento non sorge quando la persona lesa ha dolosamente 
o colposamente omesso di far ricorso alle vie giudiziarie per evitare il danno. Se 
parimenti sussistano obiezioni nei confronti di questa �priorit� di tutela del diritto primario�, 
qualora essa sia sottoposta alla condizione di dovere essere ragionevolmente esigibile dall�interessato. 
Se sia irragionevole esigerla gi� ai sensi del diritto comunitario, qualora il giudice 
adito non possa presumibilmente risolvere le questioni controverse di diritto comunitario
142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
senza un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (...), o qualora sia gi� pendente un procedimento 
per inadempimento ai sensi dell�art. 226 CE�. 
Sulle questioni pregiudiziali 
Sulla prima e seconda questione 
18 Con le prime due questioni, che vanno trattate congiuntamente, il giudice del rinvio 
chiede, in sostanza, se il combinato disposto degli artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1, lett. b), sub 
iii), della direttiva 64/433 e degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della direttiva 89/662 conferiscano ai produttori 
e ai commercianti di carni suine, qualora dette direttive non siano correttamente trasposte 
o applicate, una posizione giuridica tale da far sorgere un diritto, fondato 
sull�ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello Stato per violazione del diritto 
comunitario e se, in siffatte circostanze, possano far valere una violazione dell�art. 28 CE per 
motivare il diritto a un risarcimento, stante la menzionata responsabilit� dello Stato. 
19 In proposito occorre preliminarmente ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, 
il principio della responsabilit� dello Stato per danni causati ai soggetti dell�ordinamento 
da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili � inerente al sistema del Trattato 
CE (sentenze 19 novembre 1991, cause riunite C 6/90 e C 9/90, Francovich e a., Racc. pag. I 
5357, punto 35; 5 marzo 1996, cause riunite C 46/93 e C 48/93, Brasserie du p�cheur e Factortame, 
Racc. pag. I 1029, punto 31; 23 maggio 1996, causa C 5/94, Hedley Lomas, Racc. 
pag. I 2553, punto 24, nonch� 8 ottobre 1996, cause riunite C 178/94, C 179/94 e da C 188/94 
a C 190/94, Dillenkofer e a., Racc. pag. I 4845, punto 20). 
20 La Corte ha dichiarato che ai soggetti lesi � riconosciuto un diritto al risarcimento 
purch� siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica comunitaria violata 
sia preordinata a conferire loro diritti, che la violazione di tale norma sia sufficientemente 
qualificata e, infine, che esista un nesso causale diretto tra la violazione in parola e il danno 
subito dai soggetti lesi (v. citate sentenze Brasserie du p�cheur e Factortame, punto 51; Hedley 
Lomas, punto 25, nonch� Dillenkofer e a., punto 21). 
21 Per quanto riguarda la prima condizione, la Corte ha avuto occasione di esaminare la 
responsabilit� degli Stati membri per violazioni del diritto comunitario nei casi di mancata 
trasposizione di direttive tendenti a realizzare il mercato interno (v., in particolare, citate sentenze 
Francovich e a. nonch� Dillenkofer e a.). Tuttavia, a differenza delle controversie all�origine 
delle due menzionate sentenze, ove solamente il diritto derivato aveva creato un 
contesto giuridico che conferiva diritti ai soggetti, la causa principale tratta di una situazione 
in cui una delle parti della causa principale, ossia la Danske Slagterier, afferma che l�art. 28 
CE le attribuirebbe gi� i diritti che essa invoca. 
22 A tal proposito occorre ricordare che � pacifico che l�art. 28 CE ha efficacia diretta, nel 
senso che conferisce ai soggetti diritti che gli stessi possono direttamente far valere davanti 
ai giudici nazionali e che la violazione di dette norme pu� dar luogo a risarcimento (sentenza 
Brasserie du p�cheur e Factortame, cit., punto 23). 
23 La Danske Slagterier si avvale altres� delle disposizioni delle direttive 64/433 e 89/662. 
Come risulta dal tenore del titolo e dal primo �considerando� della direttiva 89/662, quest�ultima 
� stata adottata nella prospettiva della realizzazione del mercato interno, proprio come 
la direttiva 91/497, che modifica la direttiva 64/433, cos� come precisa il terzo �considerando� 
della stessa. La libera circolazione delle merci � quindi uno degli obiettivi delle direttive in 
parola che, attraverso l�eliminazione delle disparit� esistenti fra gli Stati membri in materia 
di prescrizioni sanitarie per le carni fresche, sono dirette a favorire gli scambi intracomunitari. 
Il diritto conferito dall�art. 28 CE viene dunque precisato e concretizzato dalle direttive di cui
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 143 
trattasi. 
24 Relativamente al contenuto delle direttive 64/433 e 89/662, si deve rilevare che esse disciplinano, 
in particolare, i controlli sanitari e la certificazione delle carni fresche prodotte in 
uno Stato membro e consegnate in un altro. Come risulta, segnatamente, dall�art. 7, n. 1, lett. 
b), della direttiva 89/662, gli Stati membri possono opporsi alle importazioni di carni fresche 
solamente quando la merce non soddisfa le condizioni previste dalle direttive comunitarie o 
in talune circostanze molto particolari, come in caso di epidemie. Il divieto per gli Stati membri 
d�impedire l�importazione conferisce ai soggetti il diritto di commercializzare la carne 
fresca conforme alle prescrizioni comunitarie in un altro Stato membro. 
25 Peraltro, dal combinato disposto delle direttive 64/433 e 89/662 emerge che le misure 
dirette ad individuare un intenso odore sessuale di suino maschio non castrato sono state oggetto 
di armonizzazione comunitaria (sentenza Commissione/Germania, cit., punto 29). Detta 
armonizzazione vieta pertanto agli Stati membri, nell�ambito tassativamente armonizzato, di 
giustificare l�ostacolo alla libera circolazione delle merci per ragioni diverse da quelle previste 
dalle direttive 64/433 e 89/662. 
26 Di conseguenza, si devono risolvere le prime due questioni dichiarando che i soggetti 
lesi dalla trasposizione e dall�applicazione carenti delle direttive 64/433 e 89/662 possono avvalersi 
del diritto alla libera circolazione delle merci per chiamare in causa la responsabilit� 
dello Stato per violazione del diritto comunitario. 
Sulla terza questione 
27 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto comunitario 
imponga che, quando la Commissione delle Comunit� europee avvia un procedimento 
per inadempimento ex art. 226 CE, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei 
confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto comunitario, 
previsto dalla normativa nazionale, sia interrotto o sospeso durante tale procedimento, quando 
nello Stato interessato non esistono rimedi giuridici efficaci che consentano di esigere da quest�ultimo 
la trasposizione di una direttiva. 
28 Una cronologia dei fatti della causa principale consente di chiarire detta questione. 
Dalla decisione di rinvio risulta infatti che il procedimento per inadempimento nei confronti 
della Repubblica federale di Germania, all�origine della citata sentenza Commissione/Germania, 
� stato avviato il 27 marzo 1996. I primi effetti dannosi sono stati subiti dai soggetti 
lesi a partire dal 1993, ma � solamente nel dicembre 1999 che questi ultimi hanno proposto 
ricorso per far valere la responsabilit� dello Stato. Se, come prospettato dal giudice del rinvio, 
si applicasse il termine di prescrizione di tre anni di cui all�art. 852, n. 1, del BGB, il decorso 
di detto termine inizierebbe dalla met� del 1996, data in cui, secondo tale giudice, i soggetti 
lesi hanno avuto conoscenza del danno e dell�identit� della persona su cui gravava la responsabilit�. 
Pertanto, nella causa principale, il diritto al risarcimento nei confronti dello Stato sarebbe 
prescritto. Alla luce di ci�, � rilevante per la soluzione della controversia accertare se il 
deposito di un ricorso per inadempimento da parte della Commissione abbia avuto effetti sul 
termine di prescrizione in parola. 
29 Tuttavia, per poter fornire una risposta utile al giudice a quo occorre verificare, in via 
preliminare, la questione implicitamente sollevata da quest�ultimo, ossia se il diritto comunitario 
osti all�applicazione per analogia del termine di prescrizione di tre anni di cui all�art. 
852, n. 1, del BGB nella causa principale. 
30 Relativamente all�applicazione dell�art. 852, n. 1, del BGB, la Danske Slagterier ha, infatti, 
lamentato una mancanza di chiarezza dell�ordinamento giuridico tedesco quanto alla
144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
norma nazionale sulla prescrizione applicabile al diritto al risarcimento nei confronti dello 
Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto comunitario, dato che detta questione 
non � ancora stata oggetto di misure legislative n� di decisioni delle corti supreme e 
che la dottrina � parimenti divisa su tale argomento, essendo ipotizzabili vari fondamenti giuridici. 
L�applicazione, per la prima volta e per analogia, del termine ex art. 852 del BGB ai ricorsi 
per far valere la responsabilit� dello Stato per violazione del diritto comunitario 
costituirebbe una violazione dei principi di certezza e chiarezza del diritto, cos� come dei principi 
di effettivit� e di equivalenza. 
31 In proposito si deve rilevare che, secondo costante giurisprudenza, in mancanza di una 
normativa comunitaria, spetta all�ordinamento giuridico nazionale di ogni Stato membro designare 
i giudici competenti e disciplinare le modalit� procedurali dei ricorsi diretti a garantire 
la piena tutela dei diritti conferiti alle persone dal diritto comunitario. � quindi nell�ambito 
del diritto nazionale in tema di responsabilit� che allo Stato incombe porre rimedio alle conseguenze 
del danno provocato, fermo restando che le condizioni, segnatamente quanto ai termini, 
stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono 
essere meno favorevoli di quelle che riguardano azioni analoghe di natura interna (principio 
di equivalenza) e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile 
o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (principio di effettivit�) (v., in particolare, 
sentenze Francovich e a., cit., punti 42 e 43, nonch� 10 luglio 1997, causa C 261/95, Palmisani, 
Racc. pag. I 4025, punto 27). 
32 Per quanto concerne quest�ultimo principio, la Corte ha riconosciuto compatibile con 
il diritto comunitario la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell�interesse 
della certezza del diritto, a tutela sia del contribuente sia dell�amministrazione interessata 
(v. sentenza 17 novembre 1998, causa C 228/96, Aprile, Racc. pag. I 7141, punto 19 
e giurisprudenza ivi citata). Infatti, termini del genere non sono tali da rendere praticamente 
impossibile o eccessivamente difficile l�esercizio dei diritti attribuiti dall�ordinamento giuridico 
comunitario. A tal proposito appare ragionevole un termine nazionale di decadenza triennale 
(v., in particolare, sentenze Aprile, cit., punto 19, nonch� 11 luglio 2002, causa C 62/00, 
Marks & Spencer, Racc. pag. I 6325, punto 35). 
33 Ci� posto, dal punto 39 della menzionata sentenza Marks & Spencer risulta parimenti 
che un termine di prescrizione, per adempiere la sua funzione di garantire la certezza del diritto, 
dev�essere stabilito previamente. Orbene, una situazione caratterizzata da un�incertezza 
normativa significativa pu� costituire una violazione del principio di effettivit�, poich� il risarcimento 
dei danni causati alle persone da violazioni del diritto comunitario imputabili ad 
un Stato membro potrebbe essere reso eccessivamente gravoso nella pratica, se detti soggetti 
non potessero determinare il termine di prescrizione applicabile con un ragionevole grado di 
certezza. 
34 Spetta al giudice nazionale, tenuto conto del complesso degli elementi che caratterizzano 
la situazione di fatto e di diritto all�epoca dei fatti di cui alla causa principale, verificare, alla 
luce del principio d�effettivit�, se l�applicazione per analogia del termine ex art. 852, n. 1, del 
BGB alle domande di risarcimento dei danni provocati a seguito della violazione del diritto 
comunitario da parte dello Stato membro interessato fosse sufficientemente prevedibile dai 
soggetti. 
35 Peraltro, relativamente alla compatibilit� dell�applicazione per analogia del termine in 
parola con il principio di equivalenza, spetta parimenti al giudice nazionale accertare se, considerata 
siffatta applicazione, le condizioni per il risarcimento dei danni causati ai soggetti
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 145 
dalla violazione del diritto comunitario da parte di detto Stato membro non siano state meno 
favorevoli rispetto a quelle applicabili al risarcimento di danni analoghi di natura interna. 
36 Quanto all�interruzione o sospensione del termine di prescrizione in occasione della 
presentazione di un ricorso per inadempimento, dalle considerazioni che precedono risulta 
che spetta agli Stati membri disciplinare detto tipo di modalit� procedurali, purch� siano osservati 
i principi di equivalenza e di effettivit�. 
37 Al riguardo va rilevato che non si pu� subordinare il risarcimento del danno al presupposto 
di una previa constatazione, da parte della Corte, di un inadempimento del diritto comunitario 
imputabile allo Stato (v. citate sentenze Brasserie du p�cheur e Factortame, punti 
94-96, e Dillenkofer e a., punto 28). 
38 Infatti, la constatazione dell�inadempimento � certo un elemento significativo, ma non 
indispensabile per verificare che sia soddisfatta la condizione secondo cui la violazione del 
diritto comunitario dev�essere sufficientemente qualificata. Inoltre, i diritti conferiti ai soggetti 
non possono dipendere dalla valutazione della Commissione in ordine all�opportunit� di avviare 
un procedimento ex art. 226 CE nei confronti di uno Stato membro, n� dalle eventuali 
sanzioni della Corte che dichiari l�inadempimento (v. sentenza Brasserie du p�cheur e Factortame, 
cit., punti 93 e 95). 
39 Un soggetto pu� quindi presentare una domanda di risarcimento osservando le modalit� 
previste a tal fine dal diritto nazionale senza dover attendere la pronuncia di una sentenza che 
dichiari la violazione del diritto comunitario da parte dello Stato membro. Di conseguenza, 
la circostanza che un ricorso per inadempimento non abbia l�effetto di interrompere o sospendere 
il termine di prescrizione non rende impossibile o eccessivamente difficile, per il soggetto, 
esercitare i diritti conferitigli dal diritto comunitario. 
40 La Danske Slagterier, peraltro, fa valere una violazione del principio di equivalenza, in 
quanto il diritto tedesco prevede l�interruzione del termine di prescrizione qualora venga azionato 
in parallelo un rimedio giuridico nazionale conformemente all�art. 839 del BGB; ebbene, 
un ricorso ex art. 226 CE dev�essere assimilato a siffatto genere di rimedio giuridico. 
41 In proposito occorre rilevare che, al fine di una pronuncia sull�equivalenza delle norme 
procedurali, si deve accertare in modo oggettivo ed astratto l�analogia delle norme di cui trattasi 
in considerazione della loro rilevanza nel procedimento complessivamente inteso, dello 
svolgimento del procedimento medesimo e delle specificit� di tali norme (v., in tal senso, sentenza 
16 maggio 2000, causa C 78/98, Preston e a., Racc. pag. I 3201, punto 63). 
42 Nella valutazione dell�analogia delle norme in parola occorre tenere conto delle particolarit� 
della procedura ex art. 226 CE. 
43 A tale riguardo va ricordato che, nell�esercizio delle competenze di cui � investita in 
forza dell�art. 226 CE, la Commissione non � tenuta a dimostrare il proprio interesse ad agire 
(v. sentenze 4 aprile 1974, causa 167/73, Commissione/Francia, Racc. pag. 359, punto 15, e 
10 aprile 2003, cause riunite C 20/01 e C 28/01, Commissione/Germania, Racc. pag. I 3609, 
punto 29). La Commissione, infatti, ha il compito di vigilare d�ufficio e nell�interesse generale 
sull�applicazione, da parte degli Stati membri, del diritto comunitario e di far dichiarare l�esistenza 
di eventuali inadempimenti degli obblighi che ne derivano, allo scopo di farli cessare 
(v. citate sentenze Commissione/Francia, punto 15, e 10 aprile 2003, Commissione/Germania, 
punto 29). 
44 L�art. 226 CE non � dunque inteso a tutelare i diritti propri della detta istituzione. Spetta 
soltanto ad essa decidere se sia opportuno iniziare un procedimento per la dichiarazione di un 
inadempimento e, se del caso, per quale comportamento od omissione tale procedimento
146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
debba essere intrapreso (sentenza 2 giugno 2005, causa C 394/02, Commissione/Grecia, Racc. 
pag. I 4713, punto 16 e giurisprudenza ivi citata). In proposito la Commissione dispone quindi 
di un potere discrezionale, che esclude il diritto dei soggetti di esigere dalla stessa istituzione 
di decidere in un senso determinato (v. sentenza 14 febbraio 1989, causa 247/87, Star 
Fruit/Commissione, Racc. pag. 291, punto 11). 
45 Occorre, pertanto, constatare che il principio di equivalenza � rispettato da una normativa 
nazionale che non prevede l�interruzione o la sospensione del termine di prescrizione del diritto 
al risarcimento nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione 
del diritto comunitario quando la Commissione abbia avviato un procedimento ex art. 226 
CE. 
46 Alla luce di tutte le considerazioni precedenti si deve pertanto risolvere la terza questione 
dichiarando che il diritto comunitario non richiede che, quando la Commissione avvia un procedimento 
per inadempimento ex art. 226 CE, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento 
nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto 
comunitario, previsto dalla normativa nazionale, sia interrotto o sospeso durante tale procedimento. 
Sulla quarta questione 
47 Con la quarta questione il giudice del rinvio chiede se il termine di prescrizione di 
un�azione di risarcimento nei confronti dello Stato, basata sulla carente trasposizione di una 
direttiva, inizi a decorrere, a prescindere dal diritto nazionale applicabile, unicamente a partire 
dalla completa trasposizione di tale direttiva, o se il termine in parola cominci a decorrere, 
conformemente al diritto nazionale, dalla data in cui i primi effetti lesivi di detta scorretta trasposizione 
si siano verificati e ne siano prevedibili altri. Qualora la completa trasposizione 
incida sul decorso del termine di prescrizione di cui trattasi, il giudice a quo chiede se ci� 
valga in generale o soltanto quando la direttiva attribuisca un diritto ai soggetti dell�ordinamento. 
48 In proposito giova ricordare che, come menzionato ai punti 31 e 32 della presente sentenza, 
in mancanza di una normativa comunitaria, spetta agli Stati membri disciplinare le modalit� 
procedurali dei ricorsi diretti a garantire la piena tutela dei diritti conferiti ai soggetti 
dal diritto comunitario, norme sulla prescrizione incluse, purch� tali modalit� rispettino i principi 
di equivalenza e di effettivit�. Occorre inoltre ricordare che la fissazione di termini di ricorso 
ragionevoli, a pena di decadenza, rispetta siffatti principi e, in particolare, non si pu� 
ritenere che renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l�esercizio dei diritti 
attribuiti dall�ordinamento giuridico comunitario. 
49 Nemmeno la circostanza che il termine di prescrizione previsto dal diritto nazionale 
inizi a decorrere dal momento in cui si sono verificati i primi effetti lesivi, e che siano prevedibili 
ulteriori effetti analoghi, � tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente 
difficile l�esercizio dei diritti attribuiti dall�ordinamento giuridico comunitario. 
50 La sentenza 13 luglio 2006, cause riunite da C 295/04 a C 298/04, Manfredi e a. (Racc. 
pag. I 6619), cui fa riferimento la Danske Slagterier, non � tale da inficiare detta conclusione. 
51 Ai punti 78 e 79 della citata sentenza, la Corte ha considerato che non � da escludersi 
che un termine di prescrizione breve per la proposizione di un ricorso per risarcimento danni, 
decorrente dal giorno in cui un�intesa o una pratica concordata � stata posta in essere, possa 
rendere praticamente impossibile l�esercizio del diritto di chiedere il risarcimento del danno 
causato da tale intesa o pratica vietata. In caso di infrazioni continuate o ripetute, non � quindi 
impossibile che il termine di prescrizione si estingua addirittura prima che sia cessata l�infra-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 147 
zione e, in tal caso, chiunque abbia sub�to danni dopo la scadenza del termine di prescrizione 
si troverebbe nell�impossibilit� di presentare un ricorso. 
52 Orbene, ci� non si verifica nella fattispecie della causa principale. Dalla decisione di 
rinvio, infatti, risulta che il termine di prescrizione di cui trattasi nella presente controversia 
non pu� cominciare a decorrere prima che il soggetto leso abbia avuto conoscenza del danno 
e dell�identit� della persona tenuta al risarcimento. In siffatte circostanze � quindi impossibile 
che un soggetto che ha sub�to un danno si trovi in una situazione nella quale il termine di prescrizione 
inizi a decorrere, e addirittura si estingua, senza che detto soggetto nemmeno sappia 
di essere stato leso, caso che invece si sarebbe potuto verificare nel contesto della controversia 
all�origine della citata sentenza Manfredi e a., ove il termine di prescrizione cominciava a decorrere 
dal momento in cui veniva posta in essere l�intesa o la pratica concordata, e di cui taluni 
interessati potevano avere conoscenza unicamente in un momento decisamente 
successivo. 
53 Quanto alla possibilit� di stabilire il momento iniziale del termine di prescrizione prima 
della completa trasposizione della direttiva in parola, � vero che, al punto 23 della sentenza 
25 luglio 1991, causa C 208/90, Emmott (Racc. pag. I 4269), la Corte ha dichiarato che, al 
momento della trasposizione corretta della direttiva, lo Stato membro inadempiente non pu� 
eccepire la tardivit� di un�azione giudiziaria avviata nei suoi confronti da un soggetto al fine 
di tutelare i diritti che ad esso riconoscono le disposizioni della direttiva, e che un termine di 
ricorso di diritto nazionale pu� cominciare a decorrere solo da tale momento. 
54 Tuttavia, come confermato dalla sentenza 6 dicembre 1994, causa C 410/92, Johnson 
(Racc. pag. I 5483, punto 26), dalla sentenza 27 ottobre 1993, causa C 338/91, Steenhorst- 
Neerings (Racc. pag. I 5475), deriva che la soluzione elaborata nella menzionata sentenza 
Emmott era giustificata dalle circostanze proprie di detta causa, dove la decadenza dai termini 
arrivava a privare totalmente la ricorrente nella causa principale della possibilit� di far valere 
il suo diritto alla parit� di trattamento in virt� di una direttiva comunitaria (v., altres�, sentenze 
17 luglio 1997, causa C 90/94, Haahr Petroleum, Racc. pag. I 4085, punto 52, e cause riunite 
C 114/95 e C 115/95, Texaco e Olieselskabet Danmark, Racc. pag. I 4263, punto 48, nonch� 
15 settembre 1998, cause riunite da C 279/96 a C 281/96, Ansaldo Energia e a., Racc. pag. I 
5025, punto 20). 
55 Orbene, nella causa principale, n� dal fascicolo n� dai dibattimenti nel corso della fase 
orale risulta che l�esistenza del termine controverso abbia condotto, come nella causa all�origine 
della citata sentenza Emmott, a privare totalmente i soggetti lesi della possibilit� di far 
valere i loro diritti dinanzi ai giudici nazionali. 
56 La quarta questione va pertanto risolta dichiarando che il diritto comunitario non osta 
a che il termine di prescrizione di un�azione di risarcimento nei confronti dello Stato, basata 
sulla carente trasposizione di una direttiva, inizi a decorrere dalla data in cui i primi effetti lesivi 
di detta scorretta trasposizione si siano verificati e ne siano prevedibili altri, anche qualora 
tale data sia antecedente alla corretta trasposizione della direttiva in parola. 
57 Alla luce della risposta data alla prima parte della quarta questione, non � necessario risolvere 
la seconda parte della stessa. 
Sulla quinta questione 
58 Con la quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto comunitario 
osti ad una disposizione come quella di cui all�art. 839, n. 3, del BGB, la quale prevede che 
un soggetto non possa ottenere il risarcimento del danno di cui abbia omesso, dolosamente o 
colposamente, di evitare la realizzazione mediante le azioni in giudizio a sua disposizione. Il
148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
giudice a quo precisa la sua questione, chiedendo se siffatta disciplina nazionale sia contraria 
al diritto comunitario nella misura in cui sia applicata a condizione che il ricorso a tale mezzo 
di tutela giuridica possa ritenersi ragionevolmente a disposizione dell�interessato. Il giudice 
del rinvio vorrebbe infine sapere se agire in giudizio possa considerarsi ragionevole qualora 
sia probabile che il giudice adito sollevi una questione pregiudiziale ex art. 234 CE, o qualora 
sia stato avviato un procedimento per inadempimento ex art. 226 CE. 
59 Come ricordato nell�ambito delle soluzioni alle due questioni precedenti, in mancanza 
di una normativa comunitaria in materia, spetta agli Stati membri disciplinare le modalit� procedurali 
delle azioni in giudizio dirette a garantire la tutela dei diritti conferiti ai soggetti dal 
diritto comunitario, purch� tali modalit� rispettino i principi di equivalenza e di effettivit�. 
60 Relativamente all�impiego delle vie giudiziarie disponibili, la Corte ha dichiarato, al 
punto 84 della citata sentenza Brasserie du p�cheur e Factortame, per quanto riguarda la responsabilit� 
di uno Stato membro per violazione del diritto comunitario, che il giudice nazionale 
poteva verificare se il soggetto leso avesse dato prova di una ragionevole diligenza per 
evitare il danno o limitarne l�entit� e, in particolare, se esso avesse tempestivamente esperito 
tutti i rimedi giuridici a sua disposizione. 
61 Invero, in forza di un principio generale comune agli ordinamenti giuridici degli Stati 
membri, la persona lesa, per evitare di doversi accollare il danno, deve dimostrare di avere 
agito con ragionevole diligenza per limitarne l�entit� (sentenze 19 maggio 1992, cause riunite 
C 104/89 e C 37/90, Mulder e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. I 3061, punto 33, e 
Brasserie du p�cheur e Factortame, cit., punto 85). 
62 Sarebbe tuttavia contrario al principio di effettivit� imporre ai soggetti lesi di esperire 
sistematicamente tutti i mezzi di tutela giudiziaria a loro disposizione, tenendo conto che ci� 
causerebbe difficolt� eccessive o non si potrebbe ragionevolmente esigerlo da loro. 
63 Nella sua sentenza 8 marzo 2001, cause riunite C 397/98 e C 410/98, Metallgesellschaft 
e a. (Racc. pag. I 1727, punto 106), la Corte ha infatti dichiarato che l�esercizio dei diritti che 
le norme del diritto comunitario direttamente applicabili conferiscono ai privati sarebbe reso 
impossibile o eccessivamente difficoltoso se le loro domande di risarcimento, fondate sulla 
violazione del diritto comunitario, dovessero essere respinte o ridotte per il solo motivo che 
i privati non abbiano richiesto di beneficiare del diritto ad essi conferito dalle norme comunitarie, 
e negato loro dalla legge nazionale, impugnando il rifiuto dello Stato membro con i 
mezzi di ricorso previsti a tale scopo, richiamandosi al primato e all�applicabilit� diretta delle 
disposizioni del diritto comunitario. In tal caso non sarebbe stato ragionevole esigere dai soggetti 
lesi che azionassero i mezzi di ricorso a loro disposizione, dal momento che dette persone 
avrebbero dovuto effettuare in ogni caso anticipatamente il pagamento controverso e che, 
anche qualora il giudice nazionale avesse dichiarato il carattere anticipato di tale pagamento 
incompatibile con il diritto comunitario, i soggetti di cui trattasi non avrebbero potuto ottenere 
gli interessi dovuti su detto importo e si sarebbero esposti ad un�eventuale sanzione (v., in tal 
senso, sentenza Metallgesellschaft e a., cit., punto 104). 
64 Di conseguenza si deve concludere che il diritto comunitario non osta all�applicazione 
di una disciplina nazionale quale quella ex art. 839, n. 3, del BGB, a condizione che si possa 
ragionevolmente esigere dal soggetto leso l�utilizzo dell�azione in giudizio in parola. Spetta 
al giudice del rinvio valutare, alla luce del complesso delle circostanze della causa principale, 
se tale caso si verifichi nella fattispecie. 
65 Quanto alla possibilit� che la via giudiziaria cos� intrapresa sia lo spunto per la proposizione 
di una domanda di pronuncia pregiudiziale e all�incidenza che ci� possa avere sulla
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 149 
ragionevolezza di detta via giudiziaria, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, 
il procedimento ex art. 234 CE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici 
nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d�interpretazione 
del diritto comunitario necessari per risolvere le controversie dinanzi ad essi pendenti (v. sentenze 
16 luglio 1992, causa C 83/91, Meilicke, Racc. pag. I 4871, punto 22, e 5 febbraio 2004, 
causa C 380/01, Schneider, Racc. pag. I 1389, punto 20). I chiarimenti cos� ottenuti dal giudice 
nazionale consentono quindi di agevolare ad esso l�applicazione del diritto comunitario, cosicch� 
l�utilizzo di tale strumento di cooperazione non contribuisce assolutamente a rendere 
eccessivamente difficile per il soggetto l�esercizio dei diritti attribuitigli dal diritto comunitario. 
Non sarebbe pertanto ragionevole non utilizzare un�azione in giudizio per il solo motivo 
che in seguito ad essa venga probabilmente proposta una domanda di pronuncia pregiudiziale. 
66 Ne risulta che la forte probabilit� che in seguito a un�azione in giudizio venga proposta 
una domanda di pronuncia pregiudiziale non costituisce di per s� un motivo per concludere 
che l�utilizzo di detto mezzo non sia ragionevole. 
67 Quanto alla ragionevolezza dell�obbligo di utilizzare i mezzi di ricorso disponibili 
quando un ricorso per inadempimento sia pendente dinanzi alla Corte, basti constatare che il 
procedimento ex art. 226 CE � assolutamente indipendente dai procedimenti nazionali e non 
li sostituisce. Come esposto relativamente alla soluzione della terza questione, un ricorso per 
inadempimento costituisce, infatti, un sindacato obiettivo di legittimit� nell�interesse comune. 
Anche se il risultato di un ricorso del genere pu� essere funzionale agli interessi del soggetto, 
resta ci� nondimeno ragionevole che quest�ultimo cerchi di evitare la realizzazione del danno 
azionando tutti i mezzi a sua disposizione, ossia utilizzando le vie giudiziarie disponibili. 
68 Da ci� deriva che l�esistenza di un ricorso per inadempimento pendente dinanzi alla 
Corte o la probabilit� che la Corte sia investita di una domanda di pronuncia pregiudiziale 
non possono costituire, di per s�, un motivo sufficiente per concludere nel senso dell�irragionevolezza 
del ricorso ad un mezzo di tutela per via giudiziaria. 
69 Si deve pertanto risolvere la quinta questione dichiarando che il diritto comunitario non 
osta all�applicazione di una disciplina nazionale, la quale prevede che un soggetto non possa 
ottenere il risarcimento del danno di cui abbia omesso, dolosamente o colposamente, di evitare 
la realizzazione mediante le azioni in giudizio a sua disposizione, a condizione che si possa 
ragionevolmente esigere dal soggetto leso l�utilizzo dell�azione in parola, il che spetta al giudice 
del rinvio valutare, alla luce del complesso delle circostanze della causa principale. La 
probabilit� che il giudice nazionale proponga una domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 
234 CE o l�esistenza di un ricorso per inadempimento pendente dinanzi alla Corte non possono 
costituire, di per s�, un motivo sufficiente per concludere che non sia ragionevole far ricorso 
a un�azione in giudizio. 
Sulle spese 
70 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un 
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese 
sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 
1) I soggetti lesi dalla trasposizione e dall�applicazione carenti delle direttive del Consiglio 
26 giugno 1964, 64/433/CEE, relativa alle condizioni sanitarie per la produzione e 
l�immissione sul mercato di carni fresche, come modificata dalla direttiva del Consiglio
150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
29 luglio 1991, 91/497/CEE, e del Consiglio 11 dicembre 1989, 89/662/CEE, relativa ai 
controlli veterinari applicabili negli scambi intracomunitari, nella prospettiva della realizzazione 
del mercato interno, possono avvalersi del diritto alla libera circolazione delle 
merci per chiamare in causa la responsabilit� dello Stato per violazione del diritto comunitario. 
2) Il diritto comunitario non richiede che, quando la Commissione delle Comunit� 
europee avvia un procedimento per inadempimento ex art. 226 CE, il termine di prescrizione 
del diritto al risarcimento nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile 
di una violazione del diritto comunitario, previsto dalla normativa nazionale, sia interrotto 
o sospeso durante tale procedimento. 
3) Il diritto comunitario non osta a che il termine di prescrizione di un�azione di risarcimento 
nei confronti dello Stato, basata sulla carente trasposizione di una direttiva, 
inizi a decorrere dalla data in cui i primi effetti lesivi di detta scorretta trasposizione si 
siano verificati e ne siano prevedibili altri, anche qualora tale data sia antecedente alla 
corretta trasposizione della direttiva in parola. 
4) Il diritto comunitario non osta all�applicazione di una disciplina nazionale, la quale 
prevede che un soggetto non possa ottenere il risarcimento del danno di cui abbia omesso, 
dolosamente o colposamente, di evitare la realizzazione mediante le azioni in giudizio a 
sua disposizione, a condizione che si possa ragionevolmente esigere dal soggetto leso 
l�utilizzo dell�azione in parola, il che spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce del 
complesso delle circostanze della causa principale. La probabilit� che il giudice nazionale 
proponga una domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 234 CE o l�esistenza di un ricorso 
per inadempimento pendente dinanzi alla Corte non possono costituire, di per s�, 
un motivo sufficiente per concludere che non sia ragionevole far ricorso a un�azione in 
giudizio.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 151 
Un utile riassunto sul tema 
degli �appalti in house� 
(Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Terza Sezione, 
sentenza 10 settembre 2009 nella causa C-573/07) 
Il dibattito pubblicato in apertura della presente sezione della Rassegna 
ed, in ispecie, l�intervento del prof. Giampaolo Rossi, mostrano un particolare 
legame tra la problematica degli aiuti di Stato, soprattutto in relazione alle imprese 
che gestiscono servizi pubblici locali, ed il tema dell�in house providing 
e del partenariato pubblico/privato. 
Le aperture da ultimo fatte dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia 
ad un pi� sereno rapporto con questi temi, non sembrano trovare tuttavia facile 
accoglienza nella legislazione nazionale e nella giurisprudenza del Consiglio 
di Stato. Questo orientamento in Italia potrebbe provocare quell�effetto di �disaiuto 
di Stato� che proprio il prof. Rossi mette in evidenza nel suo intervento: 
le imprese nazionali che gestiscono appalti in house e/o di partenariato restano 
penalizzate rispetto ad omologhe imprese che operano negli altri Stati membri 
(soprattutto in Francia e Spagna). 
Si pubblica di seguito la decisione depositata dalla Corte di Giustizia il 10 
settembre ultimo scorso su una questione pregiudiziale proposta dal TAR della 
Lombardia su un affidamento senza gara del servizio di raccolta, trasporto e 
smaltimento di rifiuti solidi urbani in comuni in certa misura �consorziati�. 
L�importanza della decisione, che risolve la questione pregiudiziale, ritenendo 
gli affidamenti non ostativi con le norme comunitarie, consiste nell�aver raccolto 
in un unico documento, in relazione alle questioni poste dal giudice italiano, 
due anni di progressivo chiarimento/superamento delle tesi pi� radicali 
adombrate nelle celebri decisioni Stadt Halle e Parking Brixen. Il quadro che 
ne risulta conferisce agli appalti in house e alle societ� miste una dignit� non 
residuale e notevoli spazi di intervento nel settore dei pubblici servizi, in relazione 
alle specifiche missioni che gli enti amministrativi intendono affidare a 
tali strutture. E� una rivincita dei �servizi pubblici� nel nuovo contesto dell�Europa 
che riscopre l�intervento pubblico nei settori in crisi. 
Quasi da contrappunto a questa importante evoluzione della giurisprudenza 
europea, il nuovo testo dell�articolo 23 bis del D.L. 25 giugno 2008 
n.112, introdotto dall�art. 15 del D.L. 25 settembre 2009 n. 135, Disposizioni 
urgenti per l�attuazione di obblighi comunitari e per l�esecuzione di sentenze 
della Corte di Giustizia delle Comunit� europee, in G.U. n. 223 del 25 settembre 
2009, sembra muoversi in direzione diversa dalla sentenza C-573/07, Sea 
s.r.l., e dagli orientamenti europei che emergono in tema di impresa pubblica. 
G.F.
152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Terza Sezione, sentenza 10 settembre 2009 
nel procedimento C-573/07 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale 
Amminsitrativo Regionale per la Lombardia (Italia) il 28 dicembre 2007 - Sea s.r.l./Comune 
di Ponte Nossa - (Avv. dello Stato G. Fiengo - AL 9414/08). 
�Appalti pubblici � Procedure di aggiudicazione � Appalto relativo al servizio di raccolta, 
trasporto e smaltimento di rifiuti urbani � Assegnazione senza gara d�appalto � Assegnazione 
ad una societ� per azioni il cui capitale sociale � interamente detenuto da enti pubblici, ma 
il cui statuto prevede la possibilit� di una partecipazione di capitale privato� 
(...Omissis) 
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione degli artt. 12 CE, 43 
CE, 45 CE, 46 CE, 49 CE e 86 CE. 
2 Tale domanda � stata presentata nell�ambito di una controversia tra la Sea Srl (in prosieguo: 
la �Sea�) e il Comune di Ponte Nossa, in merito all�assegnazione da parte di quest�ultimo 
di un appalto relativo al servizio di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti urbani alla 
Servizi Tecnologici Comuni � Se.T.Co. SpA (in prosieguo: la �Setco�). 
Contesto normativo 
La normativa comunitaria 
3 L�art. 1 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 
2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici 
di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), prevede quanto segue: 
�(�) 
2. a) Gli �appalti pubblici� sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o pi� 
operatori economici e una o pi� amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l�esecuzione 
di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva. 
(�) 
d) Gli �appalti pubblici di servizi� sono appalti pubblici diversi dagli appalti pubblici di lavori 
o di forniture aventi per oggetto la prestazione dei servizi di cui all�allegato II. 
(�) 
4. La �concessione di servizi� � un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto 
pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste 
unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo�. 
4 Ai sensi dell�art. 20 di tale direttiva: 
�Gli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell�allegato II A sono aggiudicati secondo 
gli articoli da 23 a 55�. 
5 L�art. 28 di detta direttiva dispone che gli appalti sono aggiudicati, salvo eccezioni, mediante 
procedura aperta o mediante procedura ristretta. 
6 Secondo l�art. 80 della direttiva 2004/18, gli Stati membri dovevano mettere in vigore 
entro il 31 gennaio 2006 le disposizioni necessarie per conformarsi a quest�ultima. 
7 L�allegato II A di tale direttiva comprende una categoria 16 che contempla l��Eliminazione 
di scarichi di fogna e di rifiuti; disinfestazione e servizi analoghi�. 
La normativa nazionale e l�ambito statutario 
8 L�art. 2341 bis del codice civile italiano cos� dispone: 
�I patti, in qualunque forma stipulati, che al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il go-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 153 
verno della societ�: 
a) hanno per oggetto l�esercizio del diritto di voto nelle societ� per azioni o nelle societ� che 
le controllano; 
b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in societ� che le 
controllano; 
c) hanno per oggetto o per effetto l�esercizio anche congiunto di un�influenza dominante su 
tali societ�, non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per 
questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili 
alla scadenza. 
Qualora il patto non preveda un termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere 
con un preavviso di centottanta giorni. 
Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai patti strumentali ad accordi di collaborazione 
nella produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi a societ� interamente possedute 
dai partecipanti all�accordo�. 
9 L�art. 2355 bis del codice civile prevede quanto segue: 
�Nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto 
pu� sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e pu�, per un periodo non superiore 
a cinque anni dalla costituzione della societ� o dal momento in cui il divieto viene introdotto, 
vietarne il trasferimento. 
Le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di 
organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della societ� o degli 
altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell�alienante; resta ferma l�applicazione 
dell�articolo 2357. Il corrispettivo dell�acquisto o rispettivamente la quota di liquidazione 
sono determinati secondo le modalit� e nella misura previste dall�articolo 2437 
ter. 
La disposizione del precedente comma si applica in ogni ipotesi di clausole che sottopongono 
a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il 
gradimento e questo sia concesso. 
Le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal titolo�. 
10 Il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante testo unico delle leggi sull�ordinamento 
degli enti locali (Supplemento ordinario alla GURI n. 227 del 28 settembre 2000), 
come modificato dal decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti 
per favorire lo sviluppo e per la correzione dell�andamento dei conti pubblici (Supplemento 
ordinario alla GURI n. 229 del 2 ottobre 2003), convertito in legge, a seguito di modifica, 
dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 (Supplemento ordinario alla GURI n. 274 del 25 novembre 
2003; in prosieguo: il �decreto legislativo n. 267/2000�), stabilisce all�art. 113, quinto 
comma: 
�L�erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa 
dell�Unione europea, con conferimento della titolarit� del servizio: 
a) a societ� di capitali individuate attraverso l�espletamento di gare con procedure ad evidenza 
pubblica; 
b) a societ� a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso 
l�espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia 
di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo 
emanate dalle autorit� competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche; 
c) a societ� a capitale interamente pubblico a condizione che l�ente o gli enti pubblici
154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
titolari del capitale sociale esercitino sulla societ� un controllo analogo a quello esercitato sui 
propri servizi e che la societ� realizzi la parte pi� importante della propria attivit� con l�ente 
o gli enti pubblici che la controllano�. 
11 L�art. 1, terzo comma, dello statuto della Setco, � cos� formulato: 
�Stante la natura della societ�, possono essere soci enti pubblici locali cos� come individuati 
dall�articolo 2, comma 1, d.lgs. n. 267/2000, nonch� altre pubbliche amministrazioni e imprese 
pubbliche dotate di personalit� giuridica la cui attivit� e la cui esperienza possano offrire opportunit� 
favorevoli al pieno raggiungimento degli scopi sociali�. 
12 Secondo l�art. 1, quarto comma, di detto statuto: 
�Non � ammessa la partecipazione di privati o di enti diversi ed in ogni caso di soggetti la cui 
partecipazione, qualitativamente e/o quantitativamente anche minoritaria, possa determinare 
una alterazione dei meccanismi di �controllo analogo� (come definiti dalle successive disposizioni 
e dalla disciplina comunitaria e nazionale) ovvero una incompatibilit� gestionale rispetto 
alla vigente normativa�. 
13 L�art. 3 dello statuto della Setco precisa quanto segue: 
�1. La Societ� ha per oggetto la gestione dei servizi pubblici locali e dei servizi pubblici 
locali sovracomunali riguardanti esclusivamente gli enti pubblici locali affidanti i relativi servizi 
ai sensi degli articoli 113 e seguenti del d.lgs. n. 267/2000 (�) anche tramite convenzione 
tra Enti Locali. 
(�) 
3. I servizi e le attivit� sopra indicate: 
� potranno essere svolti anche a favore di soggetti privati quando ci� non contrasti con 
gli obiettivi sociali ovvero sia funzionale al miglior conseguimento degli stessi; 
(�)�. 
14 L�art. 6, quarto comma, di tale statuto cos� stabilisce: 
�La societ�, per eventualmente favorire l�azionariato diffuso a livello locale (dei cittadini e/o 
degli operatori economici) o [l�azionariato] dei dipendenti, potr� emettere anche azioni privilegiate 
(�)�. 
15 L�art. 8 bis di detto statuto enuncia quanto segue: 
�1. L�affidamento diretto di servizi pubblici locali alla societ� potr� essere disposto, nel rispetto 
della vigente normativa nazionale e comunitaria, da parte di soci rappresentanti enti 
locali (�soci affidanti�) relativamente a tutti o alcuni dei settori specificati nell�art. 3 corrispondenti 
alle seguenti Divisioni: Divisione n. l: Rifiuti; Divisione n. 2: Acqua; Divisione n. 
3: Gas; Divisione n. 4: Turismo; Divisione n. 5: Energia; Divisione n. 6: Servizi di utilit� generale. 
2. La societ� gestisce i servizi in via esclusiva a favore dei soci affidanti ed in ogni caso 
nell�ambito dei territori di competenza di dette Amministrazioni. 
3. I soci esercitano, congiuntamente e/o disgiuntamente, i pi� ampi poteri di direzione, coordinamento 
e supervisione sugli organi ed organismi societari ed in particolare: possono convocare 
gli organi societari per chiarimenti sulle modalit� di svolgimento dei servizi pubblici 
locali; richiedono periodicamente e comunque almeno due volte l�anno relazioni sulla gestione 
dei servizi e sull�andamento economico finanziario; esercitano forme di controllo di gestione 
con le modalit� stabilite dai regolamenti interni delle Amministrazioni affidanti; esprimono 
il proprio preventivo consenso, da intendersi quale condizione di legittimit�, per ogni modifica 
statutaria inerente la gestione dei servizi pubblici locali. 
4. Le divisioni determinano l�applicazione di meccanismi di controllo analogo, congiunto
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 155 
e differenziato secondo le modalit� previste dal presente atto e dai relativi contratti di servizio. 
5. I soci affidanti esercitano i poteri relativamente alle divisioni per le quali hanno deliberato 
l�affidamento diretto dei servizi. Ai fini della efficace gestione dei citati servizi gli organi e 
dipendenti della societ� rispondono dell�attivit� svolta anche agli organismi individuati dal 
presente atto. 
6. Il controllo da parte dei soci affidanti, oltre che mediante le prerogative di azionista 
della societ� cos� come definite dal diritto societario, viene svolto attraverso: un Comitato 
unitario di indirizzo e controllo politico-amministrativo (di seguito �Comitato unitario�); un 
Comitato tecnico di controllo per ogni divisione (di seguito �Comitato tecnico�). 
7. I soci non affidanti possono partecipare, senza diritto di voto, alle riunioni del Comitato 
unitario (�) e del Comitato tecnico (�) per ogni divisione. La maggioranza assoluta dei 
membri dei citati Comitati pu� disporre l�esclusione dalla partecipazione a singole riunioni 
ovvero a fasi di una riunione dei soci non affidanti dandone motivata giustificazione in sede 
di verbale di ogni riunione�. 
16 L�art. 8 ter dello statuto della Setco � cos� formulato: 
�1. Il Comitato unitario (...) � formato: da un rappresentante per ogni socio affidante individuato 
fra il legale rappresentante dell�Ente, l�Assessore delegato o un Consigliere delegato 
pro-tempore in carica; da un funzionario, con compiti di supporto e verbalizzazione e senza 
diritto di voto, nominato congiuntamente dai soci affidanti nel corso della prima riunione ed 
individuato fra i segretari, direttori generali ovvero i dirigenti (o responsabili dei servizi negli 
enti privi di personale con qualifica dirigenziale) in servizio presso almeno uno degli enti affidanti. 
2. Il Comitato unitario esercita funzioni consultive, di indirizzo e decisionali ai fini dell�esercizio 
del controllo analogo ed in particolare: a) esercita nei confronti degli organi e degli 
organismi della societ� le competenze e le prerogative riconosciute al Consiglio, alla Giunta 
ed al Sindaco/Presidente relativamente al controllo sui propri uffici e servizi. Il controllo si 
esplica su tutti gli aspetti di organizzazione e funzionamento dei servizi oggetto di affidamento; 
b) detta gli indirizzi ai Comitati di divisione ai fini della gestione coordinata ed unitaria 
dei servizi nonch� nelle materie e per gli aspetti coinvolgenti pi� divisioni; c) designa i rappresentanti 
degli Enti locali in seno al Consiglio di Amministrazione della societ�; d) designa 
il Presidente del Consiglio di Amministrazione e del collegio sindacale e ne dispone la revoca 
nei casi indicati dal presente statuto; e) detta gli indirizzi per la nomina degli amministratori 
delegati e del Direttore generale della societ�; f) adotta la proposta del piano programma, del 
bilancio economico di previsione pluriennale, del bilancio economico di previsione annuale 
nonch� del rendiconto consuntivo annuale; g) effettua audizioni degli organi di vertice della 
societ� sentendo, almeno una volta l�anno, il Presidente e/o il Direttore Generale; h) riceve 
periodiche relazioni sullo svolgimento dei servizi pubblici locali da parte degli organi di vertice 
della societ� con cadenza almeno semestrale; i) pu� delegare alcune delle proprie funzioni 
ad uno o pi� Comitati tecnici anche in modo differenziato in relazione alla specificit� delle 
relative competenze; l) esprime il preventivo parere sugli atti degli amministratori oggetto di 
approvazione assembleare nei casi previsti dal presente statuto. 
3. Il Comitato unitario si riunisce in via ordinaria almeno una volta l�anno e in via straordinaria 
su richiesta: a) di uno dei soci affidanti; b) del legale rappresentante della societ��. 
17 Ai sensi dell�art. 8 quater di detto statuto: 
�1. � istituito un Comitato tecnico (�) per ciascuna delle seguenti divisioni: Divisione n.
156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
1: Rifiuti; Divisione n. 2: Acqua; Divisione n. 3: Gas; Divisione n. 4: Turismo; Divisione n. 
5: Energia; Divisione n. 6: Servizi di utilit� generale. 
2. Il Comitato tecnico (�) � formato: da un rappresentante di ogni socio affidante individuato 
fra i segretari, direttori generali ovvero i dirigenti (o responsabili dei servizi negli enti 
privi di personale con qualifica dirigenziale), in servizio presso almeno uno degli enti affidanti. 
(�) 
3. Uno stesso soggetto pu� far parte di Comitati tecnici di pi� divisioni. 
4. Il Comitato tecnico, in particolare: a) esercita nei confronti degli organi e degli organismi 
della societ� le competenze e le prerogative riconosciute agli organi tecnici dell�Amministrazione 
sui propri uffici. Il controllo si esplica su tutti gli aspetti di organizzazione e funzionamento 
dei servizi oggetto di affidamento limitatamente alle materie di competenza della 
divisione e nel rispetto delle direttive del Comitato unitario; b) supporta il Comitato unitario 
nelle decisioni inerenti l�organizzazione ed il funzionamento dei servizi di competenza della 
divisione; c) esercita le funzioni delegate dal Comitato unitario; d) coordina i sistemi di controllo 
di gestione della societ�; e) propone al Comitato unitario o agli organi della societ� 
l�adozione degli atti necessari al coordinamento dell�azione societaria con gli obiettivi delle 
Amministrazioni affidanti come risultano dal Piano Esecutivo di Gestione e dal Piano degli 
Obiettivi; f) fornisce un supporto tecnico-amministrativo all�attivit� della societ� con le modalit� 
stabilite dai regolamenti delle Amministrazioni affidanti e/o dalla convenzione di disciplina 
dei rapporti fra queste; g) segnala eventuali disfuzioni nella gestione dei servizi e 
propone i correttivi da apportare alla regolamentazione comunale ed agli atti di regolamentazione 
dei servizi pubblici locali�. 
18 L�art. 14 dello stesso statuto precisa quanto segue: 
�1. L�Assemblea ordinaria, salve le prerogative degli organismi di controllo analogo, congiunto 
e differenziato di cui ai precedenti articoli 8 bis, 8 ter e 8 quater, delibera sulle materie 
previste dalla legge e dal presente statuto tenuto conto delle direttive, degli indirizzi e delle 
eventuali prescrizioni impartite dai citati organismi relativamente alla organizzazione e gestione 
dei servizi pubblici locali affidati direttamente alla societ�. 
(�) 
3. Sono sottoposti alla preventiva autorizzazione dell�Assemblea ordinaria, su conforme 
parere favorevole del Comitato unitario di cui al precedente art. 8 ter relativamente alle parti 
inerenti l�organizzazione ed il funzionamento dei servizi pubblici locali, i seguenti atti degli 
amministratori: 
a) piano programmatico, bilanci economici di previsione pluriennale 
ed annuale, nonch� il bilancio infrannuale di assestamento del 
bilancio di previsione; 
b) costituzione di societ� di capitale aventi scopi strumentali o 
complementari a quello della societ�; acquisto di partecipazioni 
anche minoritarie in dette societ�, nonch� loro dismissione; 
c) attivazione di nuovi servizi previsti dallo Statuto o dismissione di 
quelli gi� esercitati; 
d) acquisti ed alienazioni di immobili e di impianti, mutui ed altre 
operazioni similari, di qualsiasi tipo e natura, che comportino un 
impegno finanziario di valore superiore al 20% del patrimonio 
netto risultante dall�ultimo bilancio approvato; 
e) linee guida per la formulazione delle tariffe e dei prezzi dei servizi
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 157 
erogati, qualora non soggetti a vincoli di legge o fissati da organi o 
autorit� ad essi preposti. 
(�) 
5. L�Assemblea ed il Comitato unitario possono fornire il proprio assenso al compimento 
degli atti di cui ai precedenti punti anche condizionando lo stesso a determinate prescrizioni, 
vincoli o adempimenti a carico degli amministratori. In tal caso gli amministratori relazionano 
in merito al rispetto delle prescrizioni entro il termine stabilito nell�atto di autorizzazione o, 
in assenza, entro 30 giorni dal compimento dell�atto stesso. 
6. Gli enti locali soci, che rappresentino almeno un ventesimo del capitale sociale, e ciascun 
socio affidante per il tramite del Comitato unitario, ove ritengano che la societ� non abbia 
eseguito o non stia eseguendo l�atto in conformit� all�autorizzazione concessa, possono richiedere, 
ai sensi dell�art. 2367, comma 1, [del codice civile], l�immediata convocazione 
dell�Assemblea affinch� adotti i provvedimenti che riterr� pi� opportuni nell�interesse della 
societ�. 
7. L�esecuzione degli atti soggetti a preventiva autorizzazione senza che sia stato richiesto 
ed ottenuto il preventivo assenso assembleare ovvero il conforme parere del Comitato unitario 
nei casi previsti dallo statuto ovvero la mancata esecuzione dell�atto in conformit� all�autorizzazione 
concessa potr� configurare giusta causa per la revoca degli amministratori. 
8. Il consiglio di amministrazione che non intenda eseguire l�atto autorizzato dall�Assemblea, 
adotta, entro il termine di quindici giorni decorrenti dal giorno in cui � stata assunta la 
deliberazione assembleare, apposita motivata deliberazione, che deve essere immediatamente 
trasmessa agli Enti locali soci e, per le materie relative alla gestione dei servizi pubblici locali, 
al Comitato unitario. Il Comitato unitario, relativamente alle decisioni inerenti la organizzazione 
e/o la gestione dei servizi pubblici locali, entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione 
del consiglio di amministrazione pu� adottare una decisione di conferma del proprio 
parere e/o delle proprie prescrizioni. L�atto adottato sar� vincolante per l�organo di amministrazione. 
(�)�. 
19 L�art. 16 di detto statuto enuncia quanto segue: 
�1. La societ� � amministrata da un Consiglio di Amministrazione, con poteri di ordinaria 
e straordinaria amministrazione, fatti salvi quelli, che per legge o per statuto: 
a) sono riservati all�Assemblea, 
b) sono soggetti a preventiva autorizzazione assembleare, 
c) sono riservati agli organismi di controllo analogo di cui agli 
articoli 8 bis e seguenti dello statuto. 
2. Il Consiglio di Amministrazione � formato da n. 3 (tre) a 7 (sette) membri, nominati 
dall�Assemblea su designazione del Comitato unitario di cui all�art. 8 ter. In ogni caso ai soci 
affidanti spetta la nomina diretta, la revoca e la sostituzione di un numero di amministratori 
(ivi compreso il Presidente del consiglio di amministrazione) proporzionale all�entit� della 
propria partecipazione e comunque superiore alla met� degli stessi. 
(...) 
6. Il Consiglio di Amministrazione adotta le decisioni inerenti l�organizzazione e/o la gestione 
dei servizi pubblici locali oggetto di affidamento diretto nel rispetto degli indirizzi adottati 
dagli organismi di controllo di cui agli articoli 8 bis e seguenti del presente atto. 
(�)�.
158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Causa principale e questione pregiudiziale 
20 La Sea, aggiudicataria a seguito di pubblica gara dell�appalto del servizio di raccolta, 
trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilati nel territorio del Comune di Ponte 
Nossa, ha fornito detto servizio per un periodo di tre anni, dal 1� gennaio 2004 al 31 dicembre 
2006. 
21 La Setco � una societ� per azioni partecipata da alcuni comuni della Val Seriana, il cui 
azionista di maggioranza � il Comune di Clusone. 
22 Con decisione 16 dicembre 2006, il Comune di Ponte Nossa ha deciso di diventare 
socio minoritario della Setco in vista dell�affidamento diretto a quest�ultima del servizio di 
cui trattasi a decorrere dal 1� gennaio 2007. 
23 Il 23 dicembre 2006 i comuni azionisti della Setco, tra cui il Comune di Ponte Nossa, 
hanno conformato lo statuto di tale societ� per sottoporla ad un controllo analogo a quello 
esercitato sui propri servizi, conformemente all�art. 113, quinto comma, lett. c), del decreto 
legislativo n. 267/2000. 
24 Con decisione 30 dicembre 2006, il Comune di Ponte Nossa ha assegnato direttamente 
alla Setco, dal 1� gennaio 2007, il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi 
urbani ed assimilati nel suo territorio, senza previa gara pubblica. 
25 Il 2 gennaio 2007 la Sea ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale 
per la Lombardia avverso le decisioni 16 e 30 dicembre 2006 del Comune di Ponte Nossa. 
26 La Sea, in particolare, ha fatto valere che il Comune di Ponte Nossa, assegnando direttamente 
alla Setco il servizio di cui trattasi, ha violato l�art. 113, quinto comma, del decreto 
legislativo n. 267/2000, nonch� gli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE, in quanto esso non esercita 
sulla Setco un controllo analogo a quello che effettua sui propri servizi, cos� come richiesto 
per l�assegnazione diretta di un servizio ad un�impresa partecipata dall�amministrazione aggiudicatrice. 
27 Il giudice del rinvio ritiene che taluni elementi potrebbero suscitare dubbi riguardo all�esercizio 
sulla Setco da parte del Comune di Ponte Nossa di un controllo analogo a quello 
effettuato sui propri servizi. 
28 Da un lato, la partecipazione di privati al capitale della Setco, sebbene attualmente inesistente, 
sarebbe potenzialmente possibile. A tale riguardo, il giudice del rinvio precisa che 
tale partecipazione, nonostante l�espressa esclusione di soci privati dal capitale della Setco 
prevista all�art. 1, quarto comma, del suo statuto, sembrerebbe possibile in base all�art. 6, 
quarto comma, dello stesso statuto nonch� in forza dell�art. 2355 bis del codice civile italiano. 
29 Dall�altro, riguardo ai poteri di controllo effettivamente attribuiti al Comune di Ponte 
Nossa nei confronti della Setco, il giudice a quo si chiede se possa esistere un controllo analogo 
a quello che esso esercita sui propri servizi dal momento che possiede solo una partecipazione 
minoritaria in detta societ�. 
30 Ci� considerato, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha deciso di 
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Se sia compatibile con il diritto comunitario ed in particolare con la libert� di stabilimento 
ovvero di prestazione di servizi, con il divieto di discriminazione e con gli obblighi di parit� 
di trattamento, di trasparenza e di libera concorrenza di cui agli artt. 12 CE, 43 CE, 45 CE, 46 
CE, 49 CE e 86 CE, l�affidamento diretto di un servizio di raccolta, trasporto e smaltimento 
di rifiuti solidi urbani ed assimilati ad una societ� per azioni a capitale interamente pubblico 
e statuto conformato � ai fini dell�art. 113 del decreto legislativo n. 267/2000 � cos� come 
esposto in motivazione�.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 159 
Sulla questione pregiudiziale 
31 In via preliminare si deve rilevare che l�affidamento di un servizio di raccolta, trasporto 
e smaltimento di rifiuti urbani, come quello di cui trattasi nella causa principale, pu� rientrare, 
secondo le specificit� della contropartita di tale servizio, nella definizione di appalto pubblico 
di servizi o in quella di concessione di servizi pubblici ai sensi, rispettivamente, dell�art. 1, n. 
2, lett. d), o n. 4, della direttiva 2004/18. 
32 In base agli elementi contenuti nella decisione di rinvio e nel fascicolo trasmesso alla 
Corte dal giudice del rinvio, il contratto in esame nella causa principale potrebbe costituire 
un appalto pubblico di servizi, in particolare per il fatto che il contratto intervenuto tra la Setco 
e il Comune di Ponte Nossa per la prestazione dei servizi in oggetto prevede che quest�ultimo 
versi alla Setco il corrispettivo per i servizi da essa forniti. 
33 Un appalto siffatto potrebbe rientrare nella direttiva 2004/18, in quanto appalto di servizi 
di eliminazione di rifiuti appartenenti alla categoria 16 dell�allegato II A di tale direttiva. 
34 La decisione di rinvio, tuttavia, non contiene le informazioni necessarie per determinare 
se si tratti di una concessione di servizi o di un appalto pubblico di servizi e, in quest�ultimo 
caso, se siano soddisfatte tutte le condizioni di applicazione di detta direttiva. In particolare, 
essa non precisa se l�importo dell�appalto di cui trattasi nella causa principale superi la soglia 
di applicazione di quest�ultima. 
35 In ogni caso, la questione se la causa principale tratti di una concessione di servizi o di 
un appalto pubblico di servizi nonch� la questione se, in quest�ultimo caso, un siffatto appalto 
di servizi rientri o meno nell�ambito di applicazione della direttiva 2004/18 non influiscono 
sulla risposta che la Corte deve dare alla questione pregiudiziale sottoposta. 
36 Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte, una gara non � obbligatoria in caso di 
contratto a titolo oneroso concluso con un ente giuridicamente distinto dall�autorit� locale 
che costituisce l�amministrazione aggiudicatrice, qualora tale autorit� eserciti su detto ente 
un controllo, analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e, nel contempo, tale ente 
realizzi la parte pi� importante della propria attivit� con l�ente o con gli enti locali che lo controllano 
(v., in tal senso, sentenza 18 novembre 1999, causa C 107/98, Teckal, Racc. pag. I 
8121, punto 50). 
37 Orbene, detta giurisprudenza rileva sia per l�interpretazione della direttiva 2004/18 sia 
per quella degli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE nonch� dei principi generali di cui essi costituiscono 
la specifica espressione (v., in tal senso, sentenze 11 gennaio 2005, causa C 26/03, Stadt 
Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I 1, punto 49, nonch� 13 ottobre 2005, causa C 458/03, Parking 
Brixen, Racc. pag. I 8585, punto 62). 
38 Occorre ricordare che, nonostante il fatto che taluni contratti non rientrino nell�ambito 
di applicazione delle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, le amministrazioni 
aggiudicatrici che li stipulano sono tenute a rispettare i principi fondamentali del Trattato CE 
(v., in tal senso, sentenza 7 dicembre 2000, causa C 324/98, Telaustria e Telefonadress, Racc. 
pag. I 10745, punto 60, nonch� ordinanza 3 dicembre 2001, causa C 59/00, Vestergaard, Racc. 
pag. I 9505, punto 20). 
39 Per quanto concerne l�aggiudicazione di appalti pubblici di servizi, le amministrazioni 
aggiudicatrici devono rispettare, in particolare, gli artt. 43 CE e 49 CE nonch� i principi di 
parit� di trattamento e di non discriminazione in base alla cittadinanza cos� come l�obbligo di 
trasparenza che ne discende (v., in tal senso, sentenze Parking Brixen, cit., punti 47-49, e 6 
aprile 2006, causa C 410/04, ANAV, Racc. pag. I 3303, punti 19-21). 
40 L�applicazione delle regole enunciate agli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE, nonch� dei prin-
160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
cipi generali di cui esse costituiscono la specifica espressione, � tuttavia esclusa qualora, al 
contempo, l�ente locale che costituisce l�amministrazione aggiudicatrice eserciti sull�ente aggiudicatario 
un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi e detto ente realizzi 
la parte pi� importante della sua attivit� con l�autorit� o le autorit� che lo controllano 
(v., in tal senso, sentenze Teckal, cit., punto 50; Parking Brixen, cit., punto 62, nonch� 9 giugno 
2009, causa C 480/06, Commissione/Germania, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 
34). 
41 La circostanza che l�ente aggiudicatario si costituisca sotto forma di societ� di capitali 
non esclude in alcun modo l�applicazione dell�eccezione ammessa dalla giurisprudenza richiamata 
al punto precedente. Nella citata sentenza ANAV, la Corte ha riconosciuto l�applicabilit� 
di tale giurisprudenza nel caso di una societ� per azioni. 
42 Il giudice del rinvio rileva che, nonostante il fatto che l�art. 1, terzo e quarto comma, 
dello statuto della Setco riservi ad enti pubblici l�accesso al capitale di quest�ultima, l�art. 6, 
quarto comma, di tale statuto prevede che la Setco possa emettere azioni privilegiate per favorire 
eventualmente l�azionariato, a livello locale, dei cittadini e degli operatori economici 
o l�azionariato dei dipendenti. 
43 Nel corso dell�udienza, il Comune di Ponte Nossa ha fatto valere che detto art. 6, quarto 
comma, avrebbe dovuto essere abrogato in sede di modifica dello statuto della Setco avvenuta 
il 23 dicembre 2006, ma vi � rimasto per errore. Sempre secondo il Comune di Ponte Nossa, 
tale art. 6, quarto comma, � stato abrogato successivamente. Spetta al giudice nazionale verificare 
la realt� di questi elementi, i quali potrebbero portare ad escludere la possibilit� che il 
capitale della Setco sia aperto ad investitori privati. 
44 La decisione di rinvio solleva la questione se un�amministrazione aggiudicatrice possa 
esercitare su una societ� di cui � azionista, con la quale intende concludere un contratto, un 
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi nel caso in cui esista la possibilit�, sebbene 
non concretizzata, che investitori privati entrino nel capitale della societ� di cui trattasi. 
45 Per risolvere tale questione va ricordato che la circostanza che l�amministrazione aggiudicatrice 
detenga, da sola o insieme ad altri enti pubblici, l�intero capitale di una societ� 
concessionaria potrebbe indicare, pur non essendo decisiva, che tale amministrazione aggiudicatrice 
esercita su detta societ� un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi 
(v., in tal senso, sentenze 11 maggio 2006, causa C 340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei, 
Racc. pag. I 4137, punto 37, nonch� 13 novembre 2008, causa C 324/07, Coditel Brabant, 
non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 31). 
46 Per contro, la partecipazione, anche minoritaria, di un�impresa privata al capitale di 
una societ� alla quale partecipi anche l�amministrazione aggiudicatrice in questione esclude 
in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta societ� un controllo analogo a 
quello che essa esercita sui propri servizi (v., in tal senso, citate sentenze Stadt Halle e RPL 
Lochau, punto 49, nonch� Coditel Brabant, punto 30). 
47 Di regola, l�esistenza effettiva di una partecipazione privata al capitale della societ� aggiudicataria 
deve essere verificata nel momento dell�affidamento dell�appalto pubblico di cui 
trattasi (v., in tal senso, sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., punti 15 e 52). Pu� anche 
assumere rilevanza tenere conto della circostanza che, nel momento in cui un�amministrazione 
aggiudicatrice affida un appalto ad una societ� di cui detiene l�intero capitale, la legislazione 
nazionale applicabile prevede l�apertura obbligatoria della societ�, a breve termine, ad altri 
capitali (v., in tal senso, citata sentenza Parking Brixen, punti 67 e 72). 
48 In via eccezionale, circostanze particolari possono richiedere che siano presi in consi-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 161 
derazione avvenimenti intervenuti successivamente alla data di aggiudicazione dell�appalto 
in esame. � quanto avviene, in particolare, nel caso in cui le quote della societ� aggiudicataria, 
precedentemente detenute interamente dall�amministrazione aggiudicatrice, vengano cedute 
ad un�impresa privata appena dopo l�aggiudicazione a tale societ� dell�appalto di cui trattasi 
nell�ambito di una costruzione artificiale diretta ad eludere le norme comunitarie in materia 
(v., in tal senso, sentenza 10 novembre 2005, causa C 29/04, Commissione/Austria, Racc. 
pag. I 9705, punti 38-41). 
49 Certamente, non pu� escludersi che le quote di una societ� vengano vendute a terzi in 
qualunque momento. Tuttavia, il fatto di ammettere che questa mera possibilit� possa sospendere 
indefinitamente la valutazione sul carattere pubblico o meno del capitale di una societ� 
aggiudicataria di un appalto pubblico non sarebbe conforme al principio di certezza del diritto. 
50 Se il capitale di una societ� � interamente detenuto dall�amministrazione aggiudicatrice, 
da sola o con altre autorit� pubbliche, al momento in cui l�appalto in oggetto � assegnato a 
tale societ�, l�apertura del capitale di quest�ultima ad investitori privati pu� essere presa in 
considerazione solo se in quel momento esiste una prospettiva concreta e a breve termine di 
una siffatta apertura. 
51 Ne risulta che in una situazione come quella di cui trattasi nella causa principale, in cui 
il capitale della societ� aggiudicataria � interamente pubblico e in cui non vi � alcun indizio 
concreto di una futura apertura del capitale di tale societ� ad investitori privati, la mera possibilit� 
per i privati di partecipare al capitale di detta societ� non � sufficiente per concludere 
che la condizione relativa al controllo dell�autorit� pubblica non � soddisfatta. 
52 Tale conclusione non � inficiata dalle considerazioni contenute nel punto 26 della sentenza 
21 luglio 2005, causa C 231/03, Coname (Racc. pag. I 7287), in base alle quali il fatto 
che una societ� come quella in esame nella causa all�origine della citata sentenza sia aperta 
ai capitali privati impedisce di considerarla come una struttura di gestione interna di un servizio 
pubblico nell�ambito dei comuni che ne fanno parte. Infatti, in questa causa, il servizio 
pubblico era stato attribuito ad una societ� a prevalente capitale pubblico, e dunque misto, al 
momento di tale assegnazione (v. citata sentenza Coname, punti 5 e 28). 
53 Va tuttavia precisato che, nell�ipotesi in cui un appalto fosse stato attribuito senza indizione 
di una gara ad una societ� a capitale pubblico alle condizioni stabilite nel punto 51 della 
presente sentenza, il fatto che, successivamente, ma sempre durante il periodo di validit� di 
tale appalto, gli azionisti privati siano ammessi a partecipare al capitale di detta societ� costituirebbe 
un cambiamento di una condizione fondamentale dell�appalto che necessiterebbe di 
un�indizione di gara. 
54 Bisogna capire poi se, nel caso in cui un�autorit� pubblica diventi socia di minoranza 
di una societ� per azioni a capitale interamente pubblico al fine di attribuire a quest�ultima la 
gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorit� pubbliche socie di detta societ� 
esercitano su quest�ultima, per essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano 
sui propri servizi, debba essere esercitato individualmente da ognuna di queste autorit� o possa 
essere esercitato congiuntamente dalle stesse. 
55 La giurisprudenza non impone che il controllo esercitato in un siffatto caso sulla societ� 
aggiudicataria sia individuale (v., in tal senso, citata sentenza Coditel Brabant, punto 46). 
56 Infatti, allorch� varie autorit� pubbliche scelgono di svolgere alcune delle loro missioni 
di servizio pubblico facendo ricorso ad una societ� che esse detengono in comune, � di norma 
escluso che una di tali autorit� che possiede soltanto una partecipazione minoritaria in tale
162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
societ� eserciti da sola un controllo determinante sulle decisioni di quest�ultima. Richiedere 
che il controllo esercitato da un�autorit� pubblica in un caso del genere sia individuale avrebbe 
la conseguenza d�imporre una gara di appalto nella maggior parte dei casi in cui un�autorit� 
siffatta intendesse associarsi ad una societ� detenuta da altre autorit� pubbliche al fine di attribuirle 
la gestione di un servizio pubblico (v., in tal senso, citata sentenza Coditel Brabant, 
punto 47). 
57 Un risultato simile non sarebbe conforme al sistema delle norme comunitarie in materia 
di appalti pubblici e di concessioni. Si riconosce, infatti, che un�autorit� pubblica ha la possibilit� 
di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, 
amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entit� 
esterne non appartenenti ai propri servizi (citate sentenze Stadt Halle e RPL Lochau, punto 
48; Coditel Brabant, punto 48, e Commissione/Germania, punto 45). 
58 Detta possibilit� per le autorit� pubbliche di ricorrere ai propri strumenti per adempiere 
alle loro missioni di servizio pubblico pu� essere utilizzata in collaborazione con altre autorit� 
pubbliche (v., in tal senso, sentenze 19 aprile 2007, causa C 295/05, Asemfo, Racc. pag. I 
2999, punto 57, e Coditel Brabant, cit., punto 49). 
59 Occorre quindi riconoscere che, nel caso in cui varie autorit� pubbliche detengano una 
societ� cui affidano l�adempimento di una delle loro missioni di servizio pubblico, il controllo 
che dette autorit� pubbliche esercitano sull�ente in parola pu� venire da loro esercitato congiuntamente 
(v., in tal senso, citata sentenza Coditel Brabant, punto 50). 
60 Nel caso di un organo collegiale, la procedura utilizzata per adottare la decisione, segnatamente 
il ricorso alla maggioranza, non incide (v. citata sentenza Coditel Brabant, punto 
51). 
61 Neanche tale conclusione � inficiata dalla citata sentenza Coname. Di sicuro la Corte, 
al punto 24 di quest�ultima, ha considerato che una partecipazione dello 0,97% � talmente 
esigua da non consentire ad un comune di esercitare un controllo sul concessionario che gestisce 
un servizio pubblico. Tuttavia, in questo stralcio di detta sentenza, la Corte non affrontava 
la questione se un siffatto controllo potesse essere esercitato in maniera congiunta (v. 
citata sentenza Coditel Brabant, punto 52). 
62 Del resto, la Corte ha dichiarato successivamente, nella citata sentenza Asemfo (punti 
56 61), che, in talune circostanze, la condizione relativa al controllo esercitato dall�autorit� 
pubblica aggiudicatrice poteva essere soddisfatta nel caso in cui quest�ultima detenesse solamente 
lo 0,25% del capitale di un�impresa pubblica (v. citata sentenza Coditel Brabant, punto 
53). 
63 Ne discende che se un�autorit� pubblica diventa socia di minoranza di una societ� per 
azioni a capitale interamente pubblico al fine di attribuirle la gestione di un servizio pubblico, 
il controllo che le autorit� pubbliche associate a detta societ� esercitano su quest�ultima pu� 
essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, qualora 
esso sia esercitato congiuntamente dalle stesse. 
64 La questione pregiudiziale sottoposta dal giudice del rinvio � volta inoltre a determinare 
se strutture decisionali come quelle previste dallo statuto della Setco siano atte a consentire 
ai comuni azionisti di esercitare effettivamente sulla societ� che detengono un controllo analogo 
a quello esercitato sui propri servizi. 
65 Per valutare se l�amministrazione aggiudicatrice eserciti sulla societ� aggiudicataria un 
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi � necessario tener conto di tutte le disposizioni 
normative e delle circostanze pertinenti. Da questo esame deve risultare che la so-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 163 
ciet� aggiudicataria � soggetta a un controllo che consente all�amministrazione aggiudicatrice 
di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilit� di influenza determinante sia 
sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta societ� (v., in tal senso, citate 
sentenze Carbotermo e Consorzio Alisei, punto 36, nonch� Coditel Brabant, punto 28). 
66 Fra le circostanze pertinenti delineate dalla decisione di rinvio va considerata anzitutto 
la legislazione applicabile, in secondo luogo la questione se la societ� di cui trattasi abbia una 
vocazione commerciale e, infine, i meccanismi di controllo previsti dallo statuto della Setco. 
67 Per quanto riguarda la legislazione applicabile, l�art. 113, quinto comma, lett. c), del 
decreto legislativo n. 267/2000 prevede che l�erogazione del servizio possa essere attribuito, 
nel rispetto della normativa dell�Unione europea, a societ� a capitale interamente pubblico a 
condizione che l�ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale �esercitino sulla societ� 
un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la societ� realizzi la parte pi� 
importante della propria attivit� con l�ente o gli enti pubblici che la controllano�. 
68 Adottando tali disposizioni, il legislatore italiano ha ripreso testualmente la formulazione 
delle condizioni enunciate al punto 50 della citata sentenza Teckal, e confermate in varie sentenze 
successive della Corte. Una siffatta legislazione nazionale � in linea di principio conforme 
al diritto comunitario, fermo restando che l�interpretazione di tale disciplina deve a sua 
volta essere conforme alle esigenze del diritto comunitario (v., in tal senso, citata sentenza 
ANAV, punto 25). 
69 Peraltro, dalla decisione di rinvio emerge che i comuni azionisti della Setco hanno modificato 
lo statuto di tale societ� il 23 dicembre 2006, al fine di sottoporre quest�ultima ad un 
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, conformemente all�art. 113, quinto 
comma, lett. c), del decreto legislativo n. 267/2000. 
70 Il fatto che detta modifica dello statuto della Setco miri a garantire il rispetto della normativa 
comunitaria in materia risulta altres� dall�art. 8 bis, primo comma, di tale statuto. 
71 Del resto, nessun elemento del fascicolo indica che detto statuto sia stato modificato 
allo scopo di eludere le norme comunitarie in materia di appalti pubblici. 
72 Infine, come risulta dalla decisione di rinvio, sia il contesto legislativo sia quello statutario 
pertinenti consentono agli enti locali minori di affidare direttamente la gestione di servizi 
pubblici locali di rilevanza economica a societ� a capitale interamente pubblico solo se tali 
enti esercitano sulla societ� un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi 
del diritto comunitario. Secondo il giudice nazionale, l�espressione �controllo analogo�, tuttavia, 
non � ivi definita. 
73 Per quanto concerne la questione se la societ� di cui trattasi abbia una vocazione commerciale 
che rende precario il controllo di enti che ne sono gli azionisti, occorre esaminare la 
portata geografica e materiale delle attivit� di tale societ� nonch� la possibilit� per quest�ultima 
d�instaurare relazioni con imprese private. 
74 L�art. 3 dello statuto della Setco, intitolato �Oggetto sociale�, prevede che quest�ultima 
gestisca i servizi pubblici locali riguardanti esclusivamente gli enti pubblici locali che affidano 
detti servizi. 
75 Inoltre l�art. 8 bis, secondo comma, di tale statuto enuncia che la Setco gestisce i servizi 
in via esclusiva a favore dei soci affidanti e nell�ambito dei territori di competenza di questi 
ultimi. 
76 Disposizioni siffatte, da un lato, indicano che l�ambito geografico delle attivit� della 
societ� aggiudicataria di cui trattasi nella causa principale non si estende oltre il territorio dei 
comuni che ne sono gli azionisti e, dall�altro, che questa societ� mira a gestire i servizi pubblici
164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
soltanto riguardo a tali comuni. 
77 Tuttavia, l�art. 3, terzo comma, di detto statuto prevede che la Setco possa svolgere servizi 
anche a favore di soggetti privati quando ci� non contrasti con gli obiettivi sociali ovvero 
sia funzionale al miglior conseguimento degli stessi. 
78 Nel corso dell�udienza la Setco ha affermato che il potere di cui essa dispone di trattare 
con imprese private costituisce un accessorio indispensabile all�esecuzione delle proprie missioni 
di servizio pubblico. A titolo esemplificativo essa ha menzionato la raccolta differenziata 
dei rifiuti, la quale potrebbe rendere necessaria la rivendita ad enti specializzati di talune categorie 
di materiale recuperato a scopo di riciclaggio. Secondo la Setco, si tratterebbe di attivit� 
accessorie alla raccolta di rifiuti e non di attivit� che esulano dall�attivit� principale. 
79 Si deve considerare che, anche se il potere riconosciuto alla societ� aggiudicataria di 
cui trattasi nella causa principale di fornire servizi ad operatori economici privati � meramente 
accessorio alla sua attivit� principale, il che deve essere verificato dal giudice del rinvio, l�esistenza 
di tale potere non impedisce che l�obiettivo principale di detta societ� rimanga la gestione 
di servizi pubblici. Pertanto, l�esistenza di un potere siffatto non � sufficiente per ritenere 
che detta societ� abbia una vocazione commerciale che rende precario il controllo di enti che 
la detengono. 
80 Tale conclusione � confermata dal fatto che la seconda condizione posta al punto 50 
della citata sentenza Teckal, in base alla quale la societ� aggiudicataria deve svolgere la parte 
pi� importante della sua attivit� con gli enti locali che la controllano, consente che questa societ� 
eserciti un�attivit� avente un carattere marginale con altri operatori diversi da questi enti 
(v., in tal senso, citata sentenza Carbotermo e Consorzio Alisei, punto 63). Tale condizione 
sarebbe priva di oggetto se la prima condizione di cui al punto 50 della citata sentenza Teckal 
fosse interpretata nel senso di vietare ogni attivit� accessoria, anche con il settore privato. 
81 Per quanto concerne i meccanismi di controllo stabiliti dallo statuto della Setco, dal fascicolo 
risulta che i soci, con le modifiche apportate allo statuto il 23 dicembre 2006, hanno 
inteso sovrapporre all�assemblea generale e al consiglio di amministrazione, quali previsti 
dal diritto societario italiano, strutture decisionali non esplicitamente prescritte da tale diritto, 
dirette a garantire sulla Setco un controllo analogo a quello che essi esercitano sui propri servizi. 
Si tratta, in particolare, di assicurare un controllo rafforzato, da un lato, tramite il Comitato 
unitario e, dall�altro, tramite un Comitato tecnico per ogni divisione responsabile delle 
diverse attivit� della Setco. 
82 Come emerge dagli artt. 8 ter e 8 quater di detto statuto, il Comitato unitario e i Comitati 
tecnici sono formati da rappresentanti degli enti azionisti. Ognuno di questi enti possiede un 
voto in seno a detti Comitati, indipendentemente dalle dimensioni dell�ente di cui trattasi o 
dal numero di azioni che esso detiene. 
83 Peraltro, gli artt. 8 bis-8 quater dello statuto della Setco attribuiscono al Comitato unitario 
e ai Comitati tecnici ampi poteri di controllo e di decisione. 
84 Parallelamente, l�art. 14 di tale statuto limita i poteri dell�assemblea generale imponendo 
a quest�ultima di tener conto degli indirizzi e delle prescrizioni impartite dai Comitati summenzionati 
e richiedendo un parere favorevole del Comitato unitario prima che l�assemblea 
generale possa autorizzare l�adempimento di taluni atti da parte degli amministratori della societ�. 
85 Parimenti, l�art. 16 di detto statuto restringe l�autonomia decisionale del consiglio di 
amministrazione imponendogli di rispettare i poteri riservati a detti Comitati e subordinando 
le sue decisioni all�osservanza delle prescrizioni emanate da questi ultimi.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 165 
86 Tenuto conto della portata dei poteri di controllo e di decisione che esse attribuiscono 
ai Comitati istituiti nonch� della circostanza che questi ultimi sono composti da rappresentanti 
degli enti azionisti, le disposizioni statutarie come quelle della societ� aggiudicataria di cui 
trattasi nella causa principale devono essere intese nel senso di mettere gli enti azionisti in 
grado di esercitare, tramite detti Comitati, un�influenza determinante sia sugli obiettivi strategici 
che sulle decisioni importanti di tale societ�. 
87 Tuttavia, il giudice del rinvio ritiene che gli artt. 8 bis 8 quater dello statuto della Setco, 
laddove riguardano il Comitato unitario e i Comitati tecnici, siano assimilabili ai patti parasociali 
di cui all�art. 2341 bis del codice civile italiano. Esso ne deduce che il controllo analogo 
a quello che gli enti azionisti esercitano sui propri servizi, su cui verte il meccanismo di detti 
Comitati, potrebbe essere ininfluente. 
88 Si tratta di una questione interpretativa delle norme nazionali la cui soluzione incombe 
al giudice del rinvio. 
89 Fatta salva la verifica da parte di quest�ultimo dell�operativit� delle disposizioni statutarie 
in oggetto, ne risulta che in circostanze come quelle di cui alla causa principale il controllo 
esercitato attraverso organi statutari dagli enti azionisti sulla societ� aggiudicataria pu� 
essere considerato tale da consentire a tali enti di esercitare su detta societ� un controllo analogo 
a quello esercitato sui propri servizi. 
90 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre risolvere la questione pregiudiziale 
sottoposta nel seguente modo: 
Gli artt. 43 CE e 49 CE, i principi di parit� di trattamento e di non discriminazione in base 
alla cittadinanza cos� come l�obbligo di trasparenza che ne discende non ostano all�affidamento 
diretto di un appalto pubblico di servizi ad una societ� per azioni a capitale interamente 
pubblico qualora l�ente pubblico che costituisce l�amministrazione aggiudicatrice eserciti su 
tale societ� un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e tale societ� realizzi 
la parte pi� importante della propria attivit� con l�ente o con gli enti locali che la controllano. 
Fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio dell�operativit� delle disposizioni statutarie 
di cui trattasi, il controllo esercitato dagli enti azionisti sulla detta societ� pu� essere considerato 
analogo a quello esercitato sui propri servizi in circostanze come quelle di cui alla 
causa principale, in cui: 
� l�attivit� di tale societ� � limitata al territorio di detti enti ed � esercitata fondamentalmente 
a beneficio di questi ultimi, e 
� tramite organi statutari composti da rappresentanti di detti enti, questi ultimi esercitano 
un�influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta 
societ�. 
Sulle spese 
91 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un 
incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese 
sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara: 
Gli artt. 43 CE e 49 CE, i principi di parit� di trattamento e di non discriminazione in 
base alla cittadinanza cos� come l�obbligo di trasparenza che ne discende non ostano all�affidamento 
diretto di un appalto pubblico di servizi ad una societ� per azioni a capitale 
interamente pubblico qualora l�ente pubblico che costituisce l�amministrazione aggiudicatrice 
eserciti su tale societ� un controllo analogo a quello che esercita sui propri ser-
166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
vizi e questa societ� realizzi la parte pi� importante della propria attivit� con l�ente o 
con gli enti locali che la controllano. 
Fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio dell�operativit� delle disposizioni 
statutarie di cui trattasi, il controllo esercitato dagli enti azionisti sulla detta societ� pu� 
essere considerato analogo a quello esercitato sui propri servizi in circostanze come 
quelle di cui alla causa principale, in cui: 
� l�attivit� di tale societ� � limitata al territorio di detti enti ed � esercitata fondamentalmente 
a beneficio di questi ultimi, e 
� tramite organi statutari composti da rappresentanti di detti enti, questi ultimi 
esercitano un�influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti 
di detta societ�. 
** *** ** 
Il nuovo Art. 23-bis del Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112. Adeguamento alla disciplina 
comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica. 
1. Le disposizioni del presente articolo disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi 
pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine 
di favorire la pi� ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libert� di stabilimento e di 
libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi 
di interesse generale in ambito locale, nonche' di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalit� 
ed accessibilit� dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, 
ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un 
adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiariet�, proporzionalit� e 
leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi 
pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili, salve 
le disposizioni in materia di distribuzione del gas naturale, le disposizioni del d.lgs. 16 marzo 
1999 n. 79 e della L. 23 agosto 2004 n. 239 in materia di distribuzione di energia elettrica, 
nonch� quelle del d.lgs. 19 novembre 1997 n. 422, relativamente alla disciplina del trasporto 
ferroviario regionale.* 
2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria: 
a) a favore di imprenditori o di societ� in qualunque forma costituite individuati mediante 
procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce 
la Comunit� europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei 
principi di economicit�, efficacia, imparzialit�, trasparenza, adeguata pubblicit�, non discriminazione, 
parit� di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalit�; 
b) a societ� a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio 
avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui 
alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualit� di socio e l�attribuzione 
dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione 
non inferiore al 40 per cento. 
(*) Il testo in corsivo � stato ricostruito, non risultando univoco in G.U.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 167 
3. In deroga alle modalit� di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali 
che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche 
del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, 
l�affidamento pu� avvenire a favore di societ� a capitale interamente pubblico, partecipata 
dall�ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall�ordinamento comunitario per la gestione 
cosiddetta �in house� e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in 
materia di controllo analogo sulla societ� e di prevalenza dell�attivit� svolta dalla stessa con 
l�ente o gli enti pubblici che la controllano. 
4. Nei casi di cui al comma 3, l�ente affidante deve dare adeguata pubblicit� alla scelta, motivandola 
in base ad un�analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente 
gli esiti della predetta verifica all�Autorit� garante della concorrenza e del mercato 
per l�espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della 
predetta relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole.� 
4-bis. L�Autorit� garante della concorrenza e del mercato, in forza dell�autonomia organizzativa 
e funzionale attribuita dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni, 
individua, con propria delibera, le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali 
assumono rilevanza ai fini dell�espressione del parere di cui al comma 4.� 
5. Ferma restando la propriet� pubblica delle reti, la loro gestione pu� essere affidata a soggetti 
privati. 
6. E' consentito l'affidamento simultaneo con gara di una pluralit� di servizi pubblici locali 
nei casi in cui possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. In 
questo caso la durata dell'affidamento, unica per tutti i servizi, non pu� essere superiore alla 
media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore. 
7. Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze e d'intesa con la Conferenza 
unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive 
modificazioni, possono definire, nel rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i 
diversi servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e 
favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell'espletamento dei servizi, nonche' l'integrazione 
di servizi a domanda debole nel quadro di servizi pi� redditizi, garantendo il raggiungimento 
della dimensione minima efficiente a livello di impianto per pi� soggetti gestori e la 
copertura degli obblighi di servizio universale. 
8. Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai commi 2 e 3 � il 
seguente: 
a) le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari 
in materia di cosiddetta �in house� cessano, improrogabilmente e senza necessit� di deliberazione 
da parte dell�ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011; 
b) le gestioni affidate direttamente a societ� a partecipazione mista pubblica e privata, qualora 
la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel 
rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, 
al tempo stesso, la qualit� di socio e l�attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione 
del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessit� di apposita deliberazione dell�ente 
affidante, alla data del 31 dicembre 2011; 
c) le gestioni affidate direttamente a societ� a partecipazione mista pubblica e privata, qualora 
la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel 
rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali abbiano avuto ad oggetto, al
168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
tempo stesso, la qualit� di socio e l�attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione 
del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio; 
d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1� ottobre 2003 a societ� a partecipazione pubblica 
gi� quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell�articolo 2359 
del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la 
partecipazione pubblica, si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza 
pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, 
ad una quota non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2012; ove siffatta condizione 
non si verifichi, gli affidamenti cessano, improrogabilmente e senza necessit� di 
apposita deliberazione dell�ente affidante, alla data del 31 dicembre 2012; 
e) le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque 
entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessit� di apposita deliberazione dell�ente 
affidante. 
9. Le societ�, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, 
anche non appartenenti a Stati membri dell�Unione europea, che, in Italia o all�estero, gestiscono 
di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici 
locali in virt� di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai 
sensi del comma 2, lettera b), nonch� i soggetti cui � affidata la gestione delle reti, degli impianti 
e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall�attivit� di erogazione 
dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti 
territoriali diversi, n� svolgere servizi o attivit� per altri enti pubblici o privati, n� direttamente, 
n� tramite loro controllanti o altre societ� che siano da essi controllate o partecipate, n� partecipando 
a gare. Il divieto di cui al primo periodo opera per tutta la durata della gestione e 
non si applica alle societ� quotate in mercati regolamentati. I soggetti affidatari diretti di 
servizi pubblici locali possono comunque concorrere alla prima gara svolta per l�affidamento, 
mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, dello specifico servizio gi� a loro affidato.� 
10. Il Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro il 31 dicembre 
2009, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 
1997, n. 281, e successive modificazioni, nonche' le competenti Commissioni parlamentari, 
emana uno o pi� regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, 
n. 400, al fine di: 
a) prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari cosidetti in house di servizi pubblici locali 
al patto di stabilit� interno, tenendo conto delle scadenze fissate al comma 8, e l'osservanza 
da parte delle societ� in house e delle societ� a partecipazione mista pubblica e privata di procedure 
ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e l'assunzione di personale; 
b) prevedere, in attuazione dei principi di proporzionalit� e di adeguatezza di cui all'articolo 
118 della Costituzione, che i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le 
funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata; 
c) prevedere una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione dei 
servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilit�; 
d) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici 
locali, individuando le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi 
pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, 
nonche' in materia di acqua; 
e) la lettera e) � soppressa;
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 169 
f) prevedere l'applicazione del principio di reciprocit� ai fini dell'ammissione alle gare di imprese 
estere; 
g) limitare, secondo criteri di proporzionalit�, sussidiariet� orizzontale e razionalit� economica, 
i casi di gestione in regime d'esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre 
attivit� economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili 
con le garanzie di universalit� ed accessibilit� del servizio pubblico locale; 
h) prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti 
e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di 
recupero degli investimenti; 
i) disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di propriet� del precedente gestore, 
necessari per la prosecuzione del servizio; 
l) prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti 
dei servizi; 
m) individuare espressamente le norme abrogate ai sensi del presente articolo. 
11. L'articolo 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto 
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, e' abrogato nelle parti incompatibili 
con le disposizioni di cui al presente articolo. 
12. Restano salve le procedure di affidamento gi� avviate alla data di entrata in vigore della 
legge di conversione del presente decreto.
170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA CE 
Causa C-229/08 - Materia trattata: politica sociale - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht Frankfurt am Main 
(Germania) il 28 maggio 2008 - Colin Wolf/Stadt Frankfurt am Main). (Avvocato 
dello Stato W. Ferrante - AL 31235/08 - Disparit� di trattamento in 
base all�et� per l�assunzione nei pubblici impieghi). 
L�INTERVENTO ORALE DEL GOVERNO ITALIANO* 
Signor Presidente, signori Giudici, signor Avvocato Generale, 
1. Le questioni pregiudiziali sono state sollevate nel corso di una controversia 
nella quale, � stata respinta la domanda del ricorrente di assunzione con 
contratto di formazione per tecnico di medio livello nei vigili del fuoco per 
superamento dell�et� massima di trent�anni. 
2. Il ricorrente chiede alla convenuta il risarcimento del danno ritenendo 
che il rifiuto costituisca una discriminazione diretta fondata sull�et� mentre la 
convenuta considera legittimo detto rifiuto in quanto oggettivamente e ragionevolmente 
giustificato da una finalit� legittima. 
3. Come evidenziato anche nelle osservazioni scritte della Commissione, 
con le prime nove questione pregiudiziali, il Giudice del rinvio chiede nella 
sostanza alla Corte di precisare se l�articolo 6, n. 1, della direttiva 2000/78/CE 
permetta agli Stati membri di mantenere una legislazione che, pur prevedendo 
astrattamente delle disparit� di trattamento, fissando un limite massimo di et� 
per l�assunzione, non costituisca discriminazione in ragione dell�et� perch� 
mezzo proporzionato al conseguimento di finalit� legittime. 
4. Il riferimento alle finalit� di politica del lavoro, di mercato del lavoro 
e di formazione professionale, a giustificazione della disparit� di trattamento 
in ragione dell�et�, � rinvenibile non solo nell�art. 6 n. 1 della direttiva ma 
anche nel �considerando� 25, che riconosce espressamente che, in talune circostanze, 
delle disparit� di trattamento in funzione dell�et� possano essere giustificate. 
5. Nella recente sentenza del 5 marzo 2009, causa C-388/07, Age Concern 
England, la Corte di giustizia ha affermato che l�art. 6, paragrafo 1 della 
direttiva 2000/78/CE deve essere interpretato nel senso che non osta ad un 
provvedimento nazionale che non contenga un elenco puntuale delle finalit� 
(*) V. Osservazioni del Governo italiano, Rassegna n. 2/09, 159-169.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 171 
che giustificano un�eventuale deroga al principio del divieto delle discriminazioni 
fondate sull�et� e che spetta al giudice nazionale verificare se la normativa 
nazionale risponda ad una finalit� legittima di politica sociale. 
6. Per quanto riguarda in particolare l�attivit� lavorativa oggetto della 
causa principale e cio� quella di vigile del fuoco, il diciottesimo e il diciannovesimo 
considerando della direttiva fanno espresso riferimento ai requisiti necessari 
per svolgere efficientemente le funzioni cui sono chiamate, 
nell�interesse generale, le forze armate e di polizia, precisando che, per salvaguardare 
l�operativit� del relativo servizio, gli Stati membri possono escludere 
l�applicabilit� delle disposizioni della direttiva relative all�handicap o all�et�. 
7. Molto opportunamente quindi la Corte ha posto alcuni quesiti al Governo 
tedesco per accertare se la fissazione di un limite massimo di et� per 
l�assunzione nel corpo dei vigili del fuoco risponda ad esigenze ulteriori rispetto 
alle due segnalate dal giudice del rinvio e cio� quella di assicurare una 
struttura dell�et� equilibrata e quella di garantire un periodo di lavoro minimo 
prima del diritto al pensionamento. 
8. Specificamente, la Corte ha chiesto al Governo tedesco di chiarire se 
una delle ragioni giustificative di tale limite di et� siano collegate ad una particolare 
attitudine fisica alla funzione da svolgere. 
9. Il Governo tedesco, con approfondita e motivata risposta ai quesiti, ha 
confermato che la fissazione di un limite massimo di et� per l�assunzione � 
direttamente correlata a motivi di interesse generale per garantire l�operativit� 
ed il buon funzionamento del corpo dei pompieri professionali. 
10. Per quanto concerne il tecnico di medio livello dei vigili del fuoco, le 
mansioni espletate richiedono prestazioni fisiche eccezionalmente impegnative, 
con particolare riferimento agli interventi per sedare gli incendi e per portare 
soccorso alle persone. 
11. Tali interventi, che richiedono l�utilizzo di un�attrezzatura protettiva 
del peso di almeno 30 kg e il dispiego di sforzi fisici molto rilevanti, richiedono 
capacit� respiratorie, muscolari e di resistenza che possono essere assicurate 
solo da soggetti giovani. 
12. Il Governo tedesco ha infatti precisato che, per tali tipi di intervento, 
non vengono mai utilizzati pompieri di et� superiore ai 50 anni per il contrasto 
degli incendi e a 45 anni per il soccorso alle persone che spesso devono essere 
materialmente trasportate per essere tratte in salvo. 
13. E� evidente quindi che se si assumessero vigili del fuoco anche di 40 
anni, tenuto conto del periodo di formazione di due anni, alcuni di loro potrebbero 
essere utilizzati per tali delicate e fondamentali funzioni per la sicurezza 
dei cittadini per un periodo limitatissimo. 
14. Non si pu� quindi concordare con quanto affermato dalla Commissione 
ai punti 53 e 54 delle osservazioni in ordine al fatto che l�esigenza di 
assicurare un equilibrata distribuzione dell�et� non costituirebbe un obiettivo
172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
legittimo ai sensi dell�art. 6, paragrafo 1 della direttiva. 
15. I pompieri pi� anziani hanno infatti il diritto di continuare a lavorare 
fino a sessant�anni ma dopo i quarantacinque o i cinquant�anni, a causa del fisiologico 
decadimento fisico, debbono necessariamente essere adibiti a mansioni 
meno faticose, come quelle della tutela dell�ambiente o del soccorso agli 
animali, che richiedono minore sforzo fisico. 
16. Ove non vi fosse un ricambio generazionale che assicuri, per un periodo 
di tempo ragionevolmente lungo, la sostituzione dei pompieri pi� anziani 
nelle mansioni �sul campo� con l�assunzione di giovani di et� non superiore 
ai trent�anni, il Governo tedesco ha convincentemente dimostrato che sarebbe 
gravemente compromessa la funzionalit� del servizio di pubblico interesse 
svolto dai vigili del fuoco. 
17. E� stato infatti posto in rilievo che l�attivit� di questi ultimi � particolarmente 
usurante e che l�esposizione al caldo, all�umidit�, al rumore nonch� 
il sollevamento di carichi pesanti e lo svolgimento di turni notturni possono 
anche comportare un invecchiamento precoce e l�accelerazione del processo 
di indebolimento fisico. 
18. E� quindi tanto pi� necessario assicurare il reclutamento di forze giovani 
che possano svolgere le funzioni pi� delicate e pesanti per il maggior numero 
di anni possibile, compatibilmente con l�esigenza di garantire ai pi� 
anziani di poter continuare a lavorare con mansioni meno pesanti anche dopo 
il compimento dei quarantacinque o cinquant�anni. 
19. Come ricordato dalla Corte di Giustizia nella sentenza Palacios de la 
Villa, causa C-411/05, punto 71, spetta dunque alle autorit� competenti degli 
Stati membri trovare un giusto equilibrio tra i differenti interessi in gioco. 
20. N� si pu� condividere quanto affermato dalla Commissione al punto 
56 delle proprie osservazioni. 
21. Questa, pur riconoscendo che la necessit� di assicurare un periodo di 
lavoro minimo prima del pensionamento costituisce una finalit� legittima per 
giustificare una disparit� di trattamento in ragione dell�et�, alla luce di quanto 
previsto dall�art. 6, paragrafo 2, lettera c) della direttiva, ritiene che il mezzo 
utilizzato non sia proporzionato al fine perseguito in quanto potrebbero essere 
assunte anche persone di 35 o di 40 anni senza compromettere l�equilibrio finanziario 
del datore di lavoro. 
22. Con tale assunto, la Commissione non solo si sostituisce al giudice 
nazionale nella valutazione dell�adeguatezza e proporzionalit� dei mezzi per 
il raggiungimento di una finalit� riconosciuta come legittima ma contravviene 
a quanto chiaramente affermato da codesta Corte nella citata sentenza Age 
Concern England, ove si dice appunto che spetta al giudice nazionale apprezzare 
se i mezzi prescelti siano appropriati e necessari, alla luce dell�ampio 
margine discrezionale di cui gli Stati membri dispongono in materia di politica 
sociale.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 173 
23. La posizione della Commissione appare tanto pi� contraddittoria considerando 
che essa stessa ha bandito dei concorsi per l�assunzione di funzionari, 
fissando dei limiti massimi di et�. 
24. Si veda in proposito la sentenza del Tribunale di primo grado del 8 
ottobre 2004, cause riunite T-219/02 e T-337/02 che ha rigettato i ricorsi dei 
candidati esclusi dalla partecipazione al concorso per superamento del limite 
di et�. 
25. In particolare, ai punti da 95 a 100, il Tribunale di primo grado ha affermato 
che le ragioni addotte dalla Commissione per giustificare la fissazione 
di un limite massimo di et� per il reclutamento e cio� la necessit� di offrire 
prospettive di carriera adeguate e l�esigenza di un periodo minimo di attivit� 
prima accedere alla pensione sono conformi alla direttiva 2000/78/CE. 
26. Tale secondo obiettivo in particolare consente di mantenere l�equilibrio 
finanziario del sistema previdenziale comunitario. 
27. Il Tribunale soggiunge poi che la nomina dei funzionari deve tener 
conto dell�interesse del servizio pubblico e non di quello individuale del candidato. 
28. Conclude quindi il Tribunale che la fissazione di limiti di et� nelle 
procedure selettive bandite dalla Commissione � giustificata da obiettivi ragionevoli 
e non viola il principio generale di non discriminazione. 
29. Come correttamente ricordato dall�Irlanda nelle proprie osservazioni 
scritte, la stessa Commissione, nella Comunicazione dell�8 luglio 2008 al 
Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo 
e al Comitato delle regioni sull�applicazione della direttiva 2000/78/CE riconosce 
che molti Stati membri prevedono nelle loro legislazioni nazionali deroghe 
generali al principio di non discriminazione fondate sull�et� ed in 
particolare limiti di et� per accedere all�impiego, soprattutto nel settore pubblico. 
30. In tale Comunicazione, la Commissione ammette che i limiti di et� 
possono rivelarsi necessari, in taluni settori, per assicurare il rinnovamento 
generazionale dei lavoratori e per incoraggiare l�assunzione in determinate 
professioni. 
31. Alla luce di ci�, l�Irlanda ritiene correttamente che i limiti di et� all�assunzione 
debbano essere accettati, in particolare per i servizi pubblici di 
soccorso e di sicurezza, al fine di garantire una prestazione efficace ed adeguata, 
tenuto conto della natura fisica di numerosi aspetti di tale attivit� lavorativa. 
32. Per quanto riguarda infine la decima questione pregiudiziale e il sesto 
quesito posto dalla Corte con riferimento all�indicazione dei casi concreti in 
cui in Germania il datore di lavoro non � responsabile per la violazione del 
divieto di discriminazione e non � quindi tenuto ad alcun risarcimento, la Germania 
ha chiarito che l�art. 15, paragrafo 1 dell�AGG (legge generale sulla
174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
parit� di trattamento), relativo ai danni materiali, presuppone l�imputabilit� 
del danno al datore di lavoro. 
33. Secondo il Governo tedesco, tale norma prevede un�inversione dell�onere 
della prova e una presunzione di responsabilit� in capo al datore di lavoro 
che, per esonerarsi da tale responsabilit�, deve provare di non aver 
causato colpevolmente il danno all�istante. 
34. Il Governo tedesco soggiunge inoltre di non avere conoscenza di casi 
in cui � stata esclusa la responsabilit� del datore di lavoro, potendosi ipotizzare 
casi puramente teorici come quello del datore di lavoro affetto da una patologia 
mentale non diagnosticata o del datore di lavoro minore di et�. 
35. Il Governo tedesco precisa inoltre che la richiesta risarcitoria avanzata 
nella causa principale attiene ad un pregiudizio morale con conseguente applicazione 
dell�art. 15, paragrafo 2 dell�AGG che non prevede alcun esonero 
di responsabilit� del datore di lavoro, contemplando al contrario tale norma 
un�ipotesi di responsabilit� oggettiva. 
36. Alla luce di tali chiarimenti, il predetto art. 15 non pu� che ritenersi 
pienamente conforme all�art. 17 della direttiva che, tra l�altro, come correttamente 
sottolineato dall�Irlanda, non prevede un obbligo, ma solo una facolt�, 
degli Stati membri di prevedere un risarcimento per le violazioni delle norme 
nazionali attuative della direttiva. 
37. Si richiamano le conclusioni gi� rassegnate. 
Lussemburgo, 7 luglio 2009 Avv.Wally Ferrante 
Causa C-292/08 - Materia trattata: giustizia e affari interni - Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Hoge Raad der Nederlanden 
(Paesi Bassi) il 2 luglio 2008 - German Graphics Graphische Maschinen 
GmbH/Alice van der Scheer, in qualit� di curatore del fallimento della Holland 
Binding BV. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 35668/08). 
LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 
1) Se l�art. 25, n. 2 del regolamento sull�insolvenza debba essere interpretato 
nel senso che i termini �ove questo (nella fattispecie la Convenzione 
di Bruxelles) si applichi� comportano che, prima di dichiarare l�applicabilit� 
delle disposizioni sul riconoscimento e sull�esecuzione di detta Convenzione 
a decisioni diverse da quelle di cui all�art. 25, n. 1 del regolamento sull�insolvenza, 
occorre esaminare se queste esulano dall�ambito di applicazione 
sostanziale di detta Convenzione, in forza dell�art. 1, n. 2, parte iniziale e lett. 
b) della Convenzione stessa.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 175 
2) Se l�art. 1, n. 2, parte iniziale e lett. b) della Convenzione di Bruxelles, 
in combinato disposto con l�art. 7, n. 1 del regolamento sull�insolvenza, debba 
essere interpretato nel senso che la circostanza che un bene su cui grava la 
riserva di propriet� nel momento in cui � aperta la procedura avverso l�acquirente 
si trova nel territorio dello Stato membro dove la procedura � stata 
aperta comporta che un�azione del venditore basata sulla riserva di propriet�, 
come quella della German Graphics, deve essere considerata come un�azione 
che riguarda il fallimento, ai sensi dell�art. 1, n. 2, parte iniziale e lett. b) della 
convenzione di Bruxelles, e che pertanto esula dall�ambito di applicazione 
sostanziale di tale regolamento. 
3) Se ai fini della soluzione della seconda questione sia rilevante che, ai 
sensi dell�art. 4, n. 2, parte iniziale e lett. b) del regolamento sull�insolvenza, 
� il diritto dello Stato membro di apertura della procedura a determinare quali 
beni siano oggetto di spossessamento. 
IL FATTO 
La Corte di Cassazione olandese ha sollevato le suddette questioni pregiudiziali 
nell�ambito di una controversia avente ad oggetto una vendita con 
riserva di propriet� alla quale � seguito il fallimento dell�impresa acquirente. 
In particolare, il 1� novembre 2006 il Tribunale di Utrecht dichiarava il 
fallimento di un�impresa dei Paesi Bassi, e, un mese dopo, il Tribunale di 
Braunschweig, in Germania, accoglieva la domanda di una impresa tedesca 
che chiedeva fosse emanato, contro l�impresa fallita, un ordine di restituzione 
di alcuni beni mobili venduti alla controparte con riserva di propriet�. 
Il giudice olandese dei provvedimenti di urgenza dichiarava esecutivo 
l�ordine emesso in Germania, ai sensi del regolamento n. 44 del 2001 (Bruxelles 
I), ma, successivamente, il Collegio revocava la dichiarazione di esecutivit�, 
rilevando un difetto di contraddittorio con la curatela e 
l�inapplicabilit� del regolamento insolvenza (n. 1346 del 2000) rispetto alla 
domanda fondata sulla vendita con riserva di propriet�. 
La Corte di legittimit� olandese ha, per un verso, accolto il ricorso principale 
proposto dall�impresa tedesca, osservando che il curatore fallimentare 
aveva avuto notifica del provvedimento che ingiungeva esecutivamente la restituzione 
dei beni, e, per altro verso, ha esaminato il conseguente ricorso incidentale 
sollevando la questione pregiudiziale. 
I dubbi interpretativi del Collegio si incentrano sull�articolo 25, comma 
2, del regolamento insolvenza, ove � previsto che le decisioni diverse da quelle 
di cui al paragrafo 1, e quindi, in particolare, quelle non relative alla procedura 
fallimentare (dall�apertura alla chiusura), quelle che non �derivano� da essa e 
quelle che non le sono �strettamente connesse�, circolano, al livello transfrontaliero, 
attraverso il regolamento Bruxelles I (in cui � stata trasfusa la corri-
176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
spondente Convenzione di Bruxelles del 1968, cui la norma letteralmente si 
riferisce), in �quanto applicabile�. 
Il regolamento in parola, esclude dal suo campo di applicazione la disciplina 
dei �fallimenti� (art. 1, comma 2, lettera b). Di qui la questione, sulla 
sua applicabilit� o meno, e contestualmente, il dubbio se l�azione del venditore 
con riserva di propriet�, contro l�acquirente fallito, sia o meno connessa al fallimento 
e ricada o meno nell�ambito di applicabilit� del regolamento insolvenza. 
Peraltro, quest�ultimo, prevede, in linea generale, che sia la legge dello 
Stato di apertura della procedura a regolare il regime di spossessamento dei 
beni (art. 4, comma 2, lettera b), disponendo per� che, in caso di vendita con 
riserva di propriet� e fallimento dell�acquirente, �l�apertura della procedura 
di insolvenza nei confronti dell�acquirente di un bene non pregiudica i diritti 
del venditore fondati sulla riserva di propriet� allorch� il bene, nel momento 
in cui � aperta la procedura, si trova nel territorio di uno Stato diverso dallo 
Stato di apertura� (art. 7, comma 1). 
LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 
Secondo il Governo italiano, il dubbio sembra risolvibile nel senso che 
la domanda del venditore non deriva dal fallimento, potendo essere proposta 
indipendentemente dall�apertura della procedura concorsuale, n�, per lo stesso 
motivo, risulta strettamente connessa al procedimento fallimentare, non esistendo 
alcun collegamento con iniziative della curatela o con lo stato non pi� 
in bonis del fallito (altrimenti ogni causa coinvolgente il curatore sarebbe strettamente 
connessa alla procedura fallimentare, e la norma non avrebbe pi� 
senso alcuno). 
L�art. 7, comma 1, costituisce una deroga al principio per cui la legge 
dello Stato di apertura regola lo spossessamento dei beni, in quanto si vuole 
impedire che vi sia una legge nazionale che regoli tale aspetto in pregiudizio 
dei diritti del venditore, anche quando il bene si trovi in un altro Stato. 
Peraltro, l�art. 4 del regolamento insolvenza fa espressamente salve le disposizioni 
contrarie del regolamento medesimo, restringendo l�applicabilit� 
della legge dello Stato di apertura della procedura nei casi espressamente disciplinati 
dallo stesso Legislatore comunitario, come quello della vendita con 
riserva di propriet�. 
Il citato art. 7, dunque, evidenzia che il profilo relativo ai diritti del venditore 
nella vendita con riserva di propriet� � �estraneo� all�ambito strettamente 
fallimentare, almeno a quello transnazionale, nella logica del diritto 
processuale comunitario. Analoga logica emerge dal comma 2 dell�art. 7 che 
regola il caso opposto del fallimento del venditore. 
Anche nella disciplina fallimentare italiana, l�articolo 73 del r.d. n. 267
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 177 
del 1942, come modificato da ultimo con d.lgs. n. 169 del 2007, dispone che 
�nella vendita con riserva di propriet�, in caso di fallimento del compratore, 
se il prezzo deve essere pagato a termine o a rate, il curatore pu� subentrare 
nel contratto con l�autorizzazione del comitato dei creditori; il venditore pu� 
chiedere cauzione a meno che il curatore paghi immediatamente il prezzo con 
lo sconto dell�interesse legale�, e �qualora il curatore si sciolga dal contratto, 
il venditore deve restituire le rate di prezzo gi� riscosse, salvo il diritto ad un 
equo compenso per l�uso della cosa�, mostrando di far salvi i diritti del venditore 
e non di assoggettarlo genericamente al concorso con gli altri creditori. 
Pertanto, la fattispecie sottesa alla pregiudiziale sembra sia da considerare 
soggetta all�articolo 25, n. 2 del regolamento insolvenza - che disciplina i casi 
in cui la decisione non sia di natura endofallimentare, n� derivante dal fallimento, 
n� strettamente connessa allo stesso - con conseguente applicazione 
del regolamento Bruxelles I, cui la norma, per questi casi, rimanda. 
Il regolamento Bruxelles I esclude dal suo campo di applicazione solo i 
�fallimenti� (art. 1, comma 2, lettera b) e quindi non la domanda in questione. 
** ** ** 
Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito 
nel senso che l�art. 25, n. 2 del regolamento sull�insolvenza debba essere interpretato 
nel senso che i termini �ove la Convenzione di Bruxelles si applichi� 
comportano che, prima di dichiarare l�applicabilit� delle disposizioni sul riconoscimento 
e sull�esecuzione di detta Convenzione a decisioni diverse da 
quelle di cui all�art. 25, n. 1 del regolamento sull�insolvenza, occorre esaminare 
se queste esulano dall�ambito di applicazione sostanziale di detta Convenzione, 
in forza dell�art. 1, n. 2, parte iniziale e lett. b) della Convenzione 
stessa. 
Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il secondo quesito 
nel senso che l�art. 1, n. 2, parte iniziale e lett. b) della Convenzione di 
Bruxelles, in combinato disposto con l�art. 7, n. 1 del regolamento sull�insolvenza, 
debba essere interpretato nel senso che la circostanza che un bene su 
cui grava la riserva di propriet� nel momento in cui � aperta la procedura avverso 
l�acquirente si trova nel territorio dello Stato membro dove la procedura 
� stata aperta comporta che un�azione del venditore basata sulla riserva di propriet�, 
come quella della German Graphics, non deve essere considerata come 
un�azione che riguarda il fallimento, ai sensi dell�art. 1, n. 2, parte iniziale e 
lett. b) della convenzione di Bruxelles e che pertanto rientra dall�ambito di applicazione 
sostanziale di tale regolamento. 
Il Governo italiano propone infine alla Corte di risolvere il terzo quesito 
nel senso che, ai fini della soluzione della seconda questione non sia rilevante 
che, ai sensi dell�art. 4, n. 2, parte iniziale e lett. b) del regolamento sull�insolvenza, 
� il diritto dello Stato membro di apertura della procedura a deter-
178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
minare quali beni siano oggetto di spossessamento in quanto l�art. 7 deve considerarsi 
un�eccezione alla regola generale di cui al citato art. 4. 
Roma, 30 ottobre 2008 Avv.Wally Ferrante 
Causa C-324/08 - Materia trattata: ravvicinamento delle legislazioni 
- Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der Nederlanden 
(Paesi Bassi) l�11 luglio 2008 - Makro Zelfbedieningsgroothandel 
CV, Metro Cash & Carry BV e Remo Zaandam BV/Diesel SpA. (Avvocato 
dello Stato S. Fiorentino - AL 36101/08). 
LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 
1) Se, nel caso in cui prodotti recanti un marchio, siano stati precedentemente 
immessi nel mercato all�interno del SEE, ma non dal titolare del marchio 
n� con il suo esplicito consenso, per valutare se ci� sia avvenuto con il 
consenso (implicito) del titolare del marchio, ai sensi dell�art. 7, n.1, della 
Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni 
degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (89/104/CE), occorra 
applicare gli stessi criteri stabiliti per il caso in cui tali prodotti siano 
stati precedentemente immessi in commercio al di fuori del SEE da parte del 
titolare del marchio o con il suo consenso. 
2) In caso di soluzione negativa della prima questione, quali criteri - desumibili 
o meno dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, citata al precedente 
punto 3.6.4.2, nella sentenza 22 giugno 1994, causa C-9/93, IHT 
Danzinger/Ideal Standard, Racc. 1994, pag. I-2757 - debbano essere applicati 
alla prima ipotesi formulata in tale questione per stabilire se sussista un consenso 
(implicito) del titolare del marchio, ai sensi della direttiva menzionata. 
LA NORMATIVA COMUNITARIA RILEVANTE 
I quesiti posti nell�ordinanza di rinvio portano sull�interpretazione di alcune 
disposizioni della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 
89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia 
di marchi di impresa (in prosieguo la �direttiva�). 
L�articolo 5 della direttiva, rubricato �diritti conferiti dal marchio d�impresa
�, stabilisce quanto segue: 
�1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. 
II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel 
commercio:
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 179 
a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a 
quelli per cui esso � stato registrato; 
b) un segno che, a motivo dell�identit� o della somiglianza di detto segno col 
marchio di impresa e dell'identit� o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti 
dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio 
di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione 
tra il segno e il marchio di impresa. 
2. (...) 
3. Si pu� in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 
2 sono soddisfatte: 
a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento; 
b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure 
di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno; 
c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno; 
d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicit� 
4. � 5.) (...) �. 
L�articolo 7 della direttiva, intitolato �esaurimento del diritto conferito 
dal marchio d�impresa�, al paragrafo 1 dispone: 
�1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello 
stesso di vietare l�uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio 
[in una parte contraente dell�Accordo sullo Spazio economico europeo](
1) con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso�. 
Gli articoli 5 e 7 della direttiva esprimono la regola dell�esaurimento comunitario, 
secondo la quale il diritto attribuito dal marchio non consente al 
suo titolare di vietare l�uso del medesimo per prodotti messi in commercio nel 
SEE con questo marchio da esso stesso o con il suo consenso. 
L�effetto di tali disposizioni � limitato ai soli casi in cui i prodotti siano 
immessi in commercio nel SEE. Riferendosi all�immissione sul mercato all�interno 
del SEE, il legislatore comunitario ha infatti, implicitamente negato 
che l�immissione sul mercato al di fuori del SEE esaurisca il diritto del titolare 
del marchio, cos� permettendo a quest�ultimo di controllare la prima immissione 
sul mercato nel SEE dei prodotti contrassegnati dal marchio. Ne consegue 
che il titolare del marchio � legittimato a vendere i propri prodotti al di 
fuori di questa zona, senza che questa messa in commercio esaurisca i suoi 
diritti all�interno del SEE (v. sentenze 1� luglio 1999, causa C-173/98, Sebago 
e Maison Dubois, punto 21; 8 aprile 2003, causa C-244/00, Van Doren + Q, 
punto 26; 18 ottobre 2005, causa C-405/03, Class International, punto 33). 
(1) Ai sensi dell�art. 65, n. 2, e del punto 4 dell�Allegato XVII all�Accordo sullo Spazio economico 
europeo del 2 maggio 1992 (GU 1994 L 1, pag. 3), l�art. 7, n. 1 della direttiva, ai fini del suddetto 
accordo, dev�essere interpretato sostituendo le parole originali �nella Comunit�� con �in una parte contraente
�.
180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
La Corte ha, al riguardo, precisato che - dovendosi interpretare gli articoli 
da 5 a 7 della direttiva nel senso che essi contengono un�armonizzazione completa 
delle norme relative ai diritti conferiti dal marchio d�impresa - la direttiva 
medesima non pu� essere interpretata nel senso che essa lasci agli Stati membri 
la possibilit� di stabilire nel loro diritto nazionale l�esaurimento dei diritti 
conferiti dal marchio per prodotti posti in commercio in paesi terzi (v. sentenza 
16 luglio 1998, causa C-355/96, Silhouette International Schmied, punti 25 e 
26). 
Il consenso, cio� la rinuncia del titolare al suo diritto esclusivo di vietare 
ai terzi d�importare prodotti contrassegnati con il suo marchio, costituisce 
l�elemento determinante per l�estinzione di tale diritto. La nozione di �consenso
� utilizzata nell�art. 7, n. 1, della direttiva deve, pertanto, essere interpretata 
uniformemente nell�ordinamento giuridico comunitario: diversamente 
potrebbe derivarne, per i titolari di marchi, una tutela variabile in funzione 
della legge nazionale volta a volta applicabile, con inevitabile pregiudizio 
dell�obiettivo di stabilire una �medesima tutela� �negli ordinamenti giuridici 
di tutti gli Stati membri�, fissato e giudicato �fondamentale� nel nono �considerando� 
della direttiva (sentenza 20 novembre 2001, cause riunite C-414 - 
416/99, Davidoff e a., punti da 41 a 43). 
Nella sentenza Davidoff da ultimo citata, la Corte ha altres� individuato i 
requisiti di efficacia del consenso all�immissione in commercio all�interno 
dello spazio economico europeo di prodotti messi in commercio al di fuori di 
quest�ultimo, stabilendo che esso deve essere manifestato in forma inequivoca 
(�con certezza�), anche se non necessariamente in forma espressa. Tuttavia 
in nessun caso pu� ritenersi che il consenso tacito sia integrato dal mero silenzio 
del titolare del marchio. Fatto salvo tale limite, costituisce questione di 
fatto, rimessa alla valutazione del giudice nazionale, stabilire se una condotta 
del titolare del marchio costituisca, nel caso concreto, manifestazione tacita 
di una volont� di consentire un�immissione in commercio all�interno dello 
Spazio economico europeo. 
I FATTI E LA CONTROVERSIA NELLA CAUSA PRINCIPALE 
La resistente in cassazione, titolare del marchio denominativo Diesel, ha 
convenuto dinnanzi al Tribunale di Amsterdam la Makro, unitamente al suo 
socio accomandatario, chiedendo una pronuncia che inibisse ai convenuti l�ulteriore 
uso nel commercio del proprio marchio, oltre al risarcimento dei danni. 
Le convenute hanno chiesto il rigetto delle domande invocando il principio 
dell�esaurimento di cui all�articolo 7, par. 1, della direttiva, recepito dall�articolo 
13, lett. a), n. 9 del Benelux Merkenwet (Legge del Benelux sui 
marchi). 
Nel corso dei diversi gradi del giudizio sono stati accertati i seguenti fatti:
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 181 
i) una societ�, denominata Distribution Italian Fashion Sociedad Anonima (in 
prosieguo: la �Difsa�) era distributrice dei prodotti della Diesel in Spagna, 
Portogallo e Andorra; 
ii) questa societ� ha stipulato il 29 settembre 1994 un contratto di distribuzione 
esclusiva con la societ� di diritto spagnolo Flexi Casual Sociedad Limitada 
(in prosieguo: la �Flexi Casual�), avente ad oggetto la vendita nei suddetti 
Paesi di alcuni prodotti recanti, tra l�altro, il marchio denominativo Diesel (tra 
cui calzature). Una clausola di tale contratto autorizzava la Flexi Casual ad 
eseguire �prove casuali�, mediante offerta e vendita ai propri clienti, con calzature 
del marchio Diesel e con altre da essa disegnate, che reputasse adatte 
al mercato nel quale operava, al fine di �determinare con certezza le esigenze 
del mercato�; 
iii) poco tempo dopo (l�11 novembre 1994) la Difsa ha altres� rilasciato alla 
Flexi Casual una concessione di produzione e distribuzione di calzature da 
essa disegnate, a guisa di campioni di prova e sondaggi di mercato, affinch� 
queste potessero essere offerte alla Diesel per la distribuzione o per la �cessione 
della licenza di produzione�; 
iv) il 21 ottobre 1997 un amministratore della Flexi Casual ha rilasciato alla 
societ� Cosmos World S.L. (in prosieguo la �Cosmos�) una concessione per 
la produzione e la vendita di calzature, borse e cinture del marchio Diesel. Nel 
contratto si dichiara che il diritto di Flexi Casual di rilasciare la concessione 
avrebbe fonte nel contratto intercorso con la Difsa; 
v) la Cosmos ha prodotto e immesso calzature recanti i marchi Diesel. Le calzature 
prodotte dalla Cosmos non sono mai state presentate alla Difsa e/o alla 
Diesel per il loro consenso; 
vi) Nell�estate 1999 la Makro ha posto in vendita calzature recanti il marchio 
denominativo Diesel. Tali calzature erano state acquistate, attraverso una controllata 
della Makro, da due ditte spagnole che a loro volta le avevano acquistate 
dalla Cosmos. 
La Corte di cassazione dei Paesi Bassi ha, inoltre, riferito che, anche in 
forza di preclusioni determinatesi nel processo, devono considerarsi accertate 
anche le seguenti ulteriori situazioni di fatto e di diritto: 
a) n� la Diesel, n� la sua distributrice Difsa hanno voluto conferire alla Flexi 
Casual o alla Cosmos un diritto generale di immettere (su larga scala) calzature 
recanti il marchio Diesel attraverso il contratto del 29 settembre 1994 (e in 
particolare attraverso la clausola 1.4); 
b) � da escludere che la Makro abbia potuto intendere che la Flexi Casual o 
la Cosmos potessero derivare un simile diritto da quel contratto; 
c) anche ammesso che la Flexi Causal potesse derivare dalla concessione 
dell�11 novembre 1994 stipulata con Difsa maggiori diritti di quelli derivanti 
dal precedente contratto del 29 settembre 1994, stipulato dalle stesse parti, da 
ci� non discende che essa o la Cosmos avessero un diritto generale di produrre
182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
calzature con il marchio denominativo Diesel; 
d) le calzature in questione, pertanto, non sono state immesse nel mercato del 
SEE dalla Diesel e neppure con il consenso esplicito della stessa. 
LE MOTIVAZIONI DEL GIUDICE DEL RINVIO 
Lo Hoge Raad, richiamati i criteri enunciati dalla sentenza Davidoff a 
proposito della regola dell�esaurimento, ha ritenuto che non si possa escludere 
che tali criteri, reputati di �carattere alquanto rigido�, risentano del fondamento 
di tale sentenza, costituito dalla necessit� di tutelare la libert� del titolare 
del marchio di immettere nel mercato i propri prodotti al di fuori del SEE 
senza che ci� pregiudichi l�esercizio all�interno del SEE dei diritti derivanti 
dal marchio. 
E� quindi sorto nel Giudice remittente il dubbio che, allorquando si debba 
verificare l�operativit� della regola dell�esaurimento con riguardo a prodotti 
immessi precedentemente nel mercato del SEE � situazione, questa, della 
quale non si sarebbe occupata la sentenza Davidoff � possa individuarsi un 
criterio diverso e �pi� ampio� di quelli orientati sul controllo da parte del titolare 
del marchio sulla prima immissione nel mercato del SEE. Questo criterio 
dovrebbe avrebbe riguardo alla realizzazione della funzione del marchio come 
garanzia di provenienza e qualit�. 
LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 
Analisi primo quesito 
La questione che si pone consiste nello stabilire se l�immissione in commercio, 
all�interno di SEE da parte della Cosmos, di calzature recanti il marchio 
Diesel, costituisca esaurimento del diritto conferito dal marchio di 
impresa. 
Poich� � pacifico che questa commercializzazione � avvenuta senza il 
consenso espresso del titolare del marchio, diviene necessario stabilire quale 
sia il diritto applicabile alla fattispecie e, nel caso in cui si propenda per l�applicazione 
di regole uniformi di diritto comunitario, individuare i criteri alla 
stregua dei quali deve accertarsi se sia stato manifestato un consenso tacito. 
Alla prima questione la Corte ha gi� dato risposta affermativa, allorquando 
ha affermato che gli articoli da 5 a 7 della direttiva realizzano una armonizzazione 
completa delle norme relative ai diritti conferiti dal marchio e 
che essi, pertanto, definiscono i diritti di cui godono i titolari dei marchi all�interno 
della Comunit� (v., inter alia, sentenze Silhouette International 
Schmied, cit., punti 25 e 29, Van Doren + Q, cit., punto 32, Davidoff, punto 
39). 
Ne consegue che la regola dell�esaurimento poggia su disposizioni armo-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 183 
nizzate e che, in tale contesto, anche la nozione di consenso deve ricevere 
un�interpretazione uniforme. Il consenso costituisce, infatti, l�elemento determinante 
per l�applicazione della regola dell�esaurimento: qualora la sua nozione 
dipendesse dall�ordinamento nazionale degli Stati membri, potrebbe 
derivarne, per i titolari dei marchi, una tutela variabile in funzione della legge 
di volta in volta applicabile. Questi principi sono stati affermati dalla giurisprudenza 
Davidoff (v., in particolare, punti 41 � 43), nel conteso di argomentazioni 
che non risentono della peculiarit� del caso concreto, nel quale si 
trattava di verificare se il consenso all�immissione dei prodotti fosse stato implicitamente 
prestato in connessione con il consenso manifestato all�immissione 
nel mercato al di fuori del SEE. 
E�, pertanto, sicuramente da rifiutare la soluzione prospettata da una delle 
parti del giudizio a quo, secondo la quale la questione se il titolare del marchio 
abbia prestato il suo consenso deve essere risolta alla luce del diritto nazionale 
spagnolo. 
Passando al profilo sostanziale del quesito, ritiene il Governo italiano che 
la questione vada risolta tenendo conto dei criteri stabiliti nella giurisprudenza 
Davidoff e Van Doren + Q. L�applicazione di questi criteri si impone, nel presente 
caso, a maggior ragione, perch� diversamente rischierebbe di risultarne 
pregiudicata anche la funzione del marchio (rischio che, nelle precedenti occasioni, 
era escluso, trattandosi, in buona sostanza, esclusivamente di garantire 
il titolare del marchio contro il rischio della c.d. �importazione parallela�, 
senza che fosse messa in causa la funzione del marchio quale garanzia dell�origine 
e della qualit� del prodotto). 
Si � visto, infatti, nella Sezione II del presente scritto che gli effetti previsti 
dall�articolo 7 della direttiva sono limitati ai soli casi in cui i prodotti 
siano immessi in commercio nel SEE. Ci� vuol dire che l�immissione di prodotti 
recanti il marchio al di fuori del mercato del SEE, sia pure con il consenso 
del titolare, � un fatto irrilevante ai fini dell�applicazione della regola dell�esaurimento: 
ci� che occorre accertare � se vi sia stata commercializzazione 
dei prodotti nel SEE da parte del titolare del marchio o con il suo consenso. 
I principi enunciati nella sentenza Davidoff sono finalizzati all�accertamento 
di tale ultima circostanza, che � la medesima circostanza che occorre 
accertare nel giudizio di rinvio. 
La circostanza che in quell�occasione si trattasse di verificare se il consenso 
fosse stato tacitamente manifestato in connessione (in �circostanze anteriori, 
concomitanti o posteriori�) con il consenso, sicuramente prestato, 
all�immissione in commercio al di fuori del SEE, costituisce un�evenienza di 
mero fatto, che non modifica i termini della questione se non nel senso di circoscrivere 
l�oggetto della prova al momento della autorizzazione all�importazione 
(essendo invece pacifico che il marchio era stato apposto sui prodotti 
con il consenso del titolare). 
184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Non vi � ragione pertanto per elaborare, ai fini della prova dell�esistenza 
del consenso tacito, criteri diversi e pi� elastici di quelli individuati nella sentenza 
Davidoff, la cui applicazione si impone a maggior ragione nel caso di 
specie. 
Analisi secondo quesito 
In considerazione della risposta che � stata suggerita per il primo quesito, 
il Governo italiano non suggerir� risposte rispetto al secondo quesito. 
Conclusioni 
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce 
alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame affermando 
che: 
Nel caso in cui prodotti recanti un marchio, siano stati precedentemente 
immessi nel mercato all�interno del SEE, ma non dal titolare del marchio n� 
con il suo esplicito consenso, per valutare se ci� sia avvenuto con il consenso 
(implicito) del titolare del marchio, ai sensi dell�art. 7, n.1, della Prima direttiva 
del Consiglio 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli 
Stati membri in materia di marchi d'impresa (89/104/CE) 1, occorre applicare 
i criteri stabiliti nella sentenza 20 novembre 2001, cause riunite C-414 - 
416/99, Davidoff e a., secondo i quali il consenso pu� essere tacito quando � 
desumibile da circostanze le quali, valutate dal giudice nazionale, esprimano 
con certezza una rinuncia del titolare del diritto ad opporsi a un�immissione 
in commercio dei prodotti recanti il marchio. 
Roma, 14 novembre 2008 Avv. Sergio Fiorentino 
Causa C-336/08 - Materia trattata: politica sociale - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Landessozialgericht Berlin-Brandenburg 
(Germania) il 18 luglio 2008 - Christel Reinke/AOK Berlin. (Avvocato 
dello Stato W. Ferrante - AL 36103). 
LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 
1) Se il diritto al rimborso delle spese di cui all�art. 34, nn. 4 e 5 del regolamento 
n. 574/72 comprenda anche le spese sostenute per le cure mediche 
urgenti prestate alla titolare di una pensione avente diritto all�erogazione delle 
prestazioni ai sensi dell�art. 31 del regolamento n. 1408/71 in una clinica privata 
del luogo di dimora, qualora l�ospedale competente abbia rifiutato tali 
cure, sotto forma di prestazione in natura, a causa di sovraffollamento;
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 185 
2) Se il rimborso delle spese possa limitarsi alle tariffe di rimborso di cui 
all�art. 34, n. 4 del regolamento n. 574/72, qualora l�istituzione competente 
effettui il pagamento della prestazione in natura degli ospedali non sulla base 
di tariffe astratte e generali, bens� sulla base di singoli contratti individuali e 
il diritto nazionale non preveda alcuna limitazione della prestazione in natura 
alle cure mediche in determinati ospedali; 
3) Se una disposizione nazionale secondo la quale il rimborso delle spese 
per cure mediche in una clinica privata situata in un altro Stato membro dell�Unione 
europea � escluso anche nel caso di cure mediche urgenti sia compatibile 
con gli artt. 49 CE, 50 CE nonch� con l�art. 18 CE. 
L�ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA 
Il giudice remittente � stato investito di una controversia nella quale la 
ricorrente, una cittadina tedesca residente in Germania iscritta al regime obbligatorio 
di assicurazione malattia in quanto titolare di una pensione, ha chiesto 
al proprio servizio sanitario, la convenuta AOK di Berlino, il rimborso 
delle spese mediche sostenute, mentre si trovava in Spagna in vacanza, per 
prestazioni mediche di carattere vitale ricevute in via d�urgenza in una clinica 
privata dopo che l�ospedale pubblico ne aveva rifiutato l�accettazione per mancanza 
di posti. 
In particolare, nell�agosto del 2003, la ricorrente, per la quale si era sospettato 
un colpo apoplettico, � stata ricoverata nel reparto di terapia intensiva 
di una clinica privata di Marbella per 12 giorni ed � stata poi trasferita nel reparto 
di terapia respiratoria artificiale di un ospedale pubblico di Marbella non 
appena vi � stata disponibilit� di posti letto. 
A fronte della spesa di � 21.954,18 addebitata alla ricorrente dalla clinica 
privata, la convenuta le ha rimborsato l�importo di � 12.883,84, basandosi 
sulla tariffa media applicata nell�agosto 2003 dai reparti di terapia intensiva 
di cinque ospedali di Berlino in quanto la legislazione spagnola non prevede 
in tali casi tariffe di rimborso. 
La controversia verte sulla spettanza della differenza tra quanto pagato 
dalla ricorrente e quanto rimborsatole dalla convenuta. 
In base alla legislazione tedesca, le prestazioni ospedaliere ricevute in 
altri Stati dell�Unione europea possono essere rimborsate solo se previamente 
approvate dal regime di assicurazione malattia, il che nella fattispecie non � 
accaduto in quanto si � trattato di prestazione medica urgente, la cui necessit� 
si � manifestata mentre la ricorrente si trovava gi� all�estero in vacanza. 
Dall�ordinanza di rimessione, risulta inoltre che la ricorrente non ha scelto 
di propria iniziativa di ricevere la prestazione presso la struttura privata ma 
che tale determinazione � stata presa dall�ospedale pubblico sulla base di una 
valutazione medica legata alla gravit� della malattia ed in ragione dell�insuf-
186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
ficienza di posti letto nel reparto per i ricoveri d�urgenza. 
LA NORMATIVA COMUNITARIA 
L�art. 31 n. 1 lettera a) del regolamento CEE n. 1408/71 relativo all�applicazione 
dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati ed ai loro 
familiari che si spostano all�interno della Comunit� - come modificato dall�art. 
1 del regolamento CE n. 631/2004 a decorrere dal 1 giugno 2004 e da ultimo 
abrogato dall�art. 90 del regolamento CE n. 883/2004 che ha interamente ridisciplinato 
la materia - dispone che il titolare di una pensione che abbia diritto 
alle prestazioni mediche secondo la legislazione di uno Stato membro beneficia 
delle prestazioni in natura erogate dall�istituzione del luogo di dimora 
(nella specie, la Spagna) a carico dell�istituzione del luogo di residenza del titolare 
(nella specie, la Germania). 
L�art. 34 del regolamento 574/72, che stabilisce le modalit� di applicazione 
del regolamento 1408/71, prevede che quando non � possibile espletare 
durante la dimora in un Paese membro diverso da quello di residenza le formalit� 
per la verifica della sussistenza dei requisiti soggettivi per ricevere le 
prestazioni sanitarie, l�istituzione competente pu� effettuare il rimborso delle 
spese sostenute, in base alle tariffe applicate dall�istituzione del luogo di dimora 
(paragrafo 1). 
Ai sensi del paragrafo 4 della stessa norma, il rimborso pu� essere effettuato 
dall�istituzione competente in base alle proprie tariffe, sempre che il rimborso 
sia permesso, che le spese da rimborsare non superino un determinato 
importo fissato dalla commissione amministrativa e che il lavoratore subordinato 
o autonomo o il titolare di pensione o di rendita abbia dato il proprio consenso 
per farsi applicare detta disposizione. In nessun caso l'importo del 
rimborso pu� essere superiore a quello delle spese realmente sostenute. 
Ai sensi dell�art. 1 della decisione della commissione amministrativa delle 
Comunit� europee per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti del 24 giugno 
1999, n. 176, relativa al rimborso da parte dell�istituzione competente di 
uno Stato membro delle spese sostenute durante il soggiorno in un altro Stato 
membro secondo la procedura di cui all�art. 34, paragrafo 4, del regolamento 
n. 574/72, l�importo massimo delle spese sostenute cui si riferisce quest�ultima 
disposizione � fissato in � 1000. 
LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 
Primo quesito 
Con il primo quesito, il Landessozialgericht di Berlino chiede alla Corte 
di Giustizia di pronunciarsi sull�interpretazione dell�art. 34, nn. 4 e 5, del regolamento 
574/72 al fine di stabilire se la titolare di una pensione possa avere
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 187 
il rimborso delle spese mediche sostenute per le cure che le sono state prestate 
in via d�urgenza in una clinica privata del luogo di dimora temporaneo in altro 
Stato rispetto a quello di residenza, non potendole essere assicurate dalla struttura 
pubblica per sovraffollamento. 
Dalla lettura combinata dei paragrafi 1 e 4 dell�articolo 34 del regolamento 
574/72, si evince che la regola in materia di rimborsi delle spese sostenute 
durante la dimora in un altro Stato membro � quella che il concorso alle 
spese avvenga sulla base delle tariffe dell�istituzione di quel luogo. 
In deroga a questa regola, il rimborso pu� avvenire anche sulla base delle 
tariffe dell�istituzione del luogo di iscrizione al servizio sanitario nazionale 
solo se il rimborso sia permesso, le spese da rimborsare non superino un predeterminato 
importo e il titolare del diritto alla prestazione abbia dato il proprio 
consenso alla diversa disposizione. 
I diritti conferiti da tali disposizioni sono diretti ad agevolare la libera circolazione 
degli assicurati sociali, come affermato dalla Corte di giustizia con 
le sentenze 12 luglio 2001, causa C-368/98, Vanbraekel, punto 32; 25 febbraio 
2003, causa C-326/00, IKA, punti 38 e 51; 23 ottobre 2003, causa C-56/01, 
Inizan, punto 21. 
La finalit� di tali disposizioni � infatti quella di garantire la libera circolazione 
delle persone all�interno del territorio comunitario di modo che i diritti 
di cui i cittadini godono nel proprio Paese non possano essere compressi in 
conseguenza dello spostamento in un altro Paese membro. 
In entrambi i casi, per�, il presupposto del diritto al concorso pubblico 
alle spese sembrerebbe essere quello che le cure siano state prestate comunque 
ed in ogni caso in una struttura pubblica o accreditata. 
L�art. 13, n. 3 del SGB V (Codice della previdenza sociale tedesco) peraltro 
non sembra prevedere espressamente il rimborso di spese mediche erogate 
da strutture private in altro Stato membro, limitandosi a disporre che �la 
cassa malattia, ove non possa fornire in tempo una prestazione urgente o rifiuti 
ingiustamente una prestazione, occasionando in tal modo spese agli assicurati 
che pagano essi stessi tale prestazione, � tenuta a rimborsarne l�importo agli 
assicurati nei limiti in cui la detta prestazione � necessaria�. 
Ci� premesso, si osserva che la Corte di giustizia sembra gi� aver affrontato 
un problema analogo nella sentenza del 19 aprile 2007, causa C-444/05, 
Stamatelaki, che ha affermato la non conformit� al diritto comunitario ed in 
particolare all�art. 49 CE di una normativa (nella specie la legislazione ellenica) 
che esclude qualsiasi rimborso, da parte di un ente previdenziale nazionale, 
delle spese sostenute in occasione del ricovero di un suo assicurato presso 
cliniche private situate in altri Stati membri (nella specie Regno Unito), fatta 
eccezione per quelle relative alle cure prestate ai bambini di et� inferiore ai 
14 anni. 
In detta sentenza, si precisa che, per quanto sia pacifico che il diritto co-
188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
munitario non restringe la competenza degli Stati membri in materia di organizzazione 
dei loro sistemi previdenziali e che, in mancanza di un�armonizzazione 
a livello comunitario, spetta alla legislazione di ciascuno Stato 
membro determinare le condizioni per la concessione delle prestazioni in materia 
previdenziale, ci� nondimeno, nell�esercizio di tale competenza, gli Stati 
membri devono rispettare il diritto comunitario, in particolare le disposizioni 
relative alla libera prestazione dei servizi (punto 23). 
La Corte di giustizia ha inoltre sottolineato che dette disposizioni comportano 
il divieto per gli Stati membri di introdurre o mantenere ingiustificate 
restrizioni dell�esercizio di questa libert� anche nell�ambito delle cure sanitarie 
(sentenze 12 luglio 2001, causa C-157/99, Smits e Peerbooms, punti 44 - 46; 
16 maggio 2006, causa C-372/04, Watts, punto 92). 
Se tale principio � applicabile nel caso in cui un cittadino abbia scelto di 
avvalersi di prestazioni mediche specialistiche in strutture private all�estero 
(come nel caso della sentenza Stamatelaki citata), a maggior ragione deve essere 
applicato nel caso in cui il bisogno urgente della cura medica insorga 
quando il cittadino si trovi gi� in uno altro Stato membro e non sia possibile 
avvalersi della struttura pubblica per sovraffollamento. 
Altrimenti, una normativa che escluda in modo assoluto il rimborso di 
tali spese confliggerebbe non solo con il divieto di restrizioni alla libera prestazione 
dei servizi (artt. 49 e 50 CE) ma anche con il diritto di libera circolazione 
dei cittadini (art. 18 CE). 
Nel caso di specie, infatti, il rimborso non � stato escluso in modo assoluto 
ma � stato limitato nel suo ammontare. 
Al primo quesito, il Governo italiano ritiene quindi di dare risposta positiva. 
Secondo quesito 
Con il secondo quesito, il giudice remittente chiede alla Corte in che misura 
debba essere riconosciuto il rimborso delle spese nel caso in cui l�istituzione 
competente effettui il pagamento della prestazione non sulla base delle 
tariffe astratte ma sulla base di contratti individuali ed il diritto nazionale non 
preveda alcun limite nel richiedere le prestazioni stesse. 
A norma dell�art. 31, n. 1, lett. a) del regolamento n. 1408/71, l�assistenza 
sanitaria al cittadino che si reca per turismo e/o studio in un Paese nello spazio 
economico europeo � garantita per prestazioni necessarie secondo modalit� e 
regole che il Paese straniero ospitante eroga ai propri assistiti. 
Il principio sotteso alla norma sembrerebbe, pertanto, essere quello che 
il cittadino di un Paese membro di residenza diverso da quello di dimora debba 
ricevere in questo le stesse prestazioni che vengono garantite ai residenti, mentre 
non sembra che lo stesso principio possa ampliarsi fino a ricomprendervi 
il diritto del cittadino comunitario a ricevere prestazioni non garantite in
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 189 
quest�ultimo Paese, non essendo uguali i sistemi sanitari dei vari Paesi membri, 
ovvero, a maggior ragione, a prestazioni quantitativamente e qualitativamente 
diverse rispetto a quanto lo stesso Paese di residenza gli riconosca. 
In proposito, il giudice remittente, nel prendere in esame la legislazione 
spagnola, ha rilevato che una persona residente in Spagna non avrebbe diritto 
di farsi rimborsare dal sistema sanitario spagnolo le spese per la degenza in 
una clinica privata. 
Certamente, va per� tenuto conto del fatto che la ricorrente non ha scelto 
liberamente di farsi curare da una struttura privata ma � stata ivi ricoverata 
solo in ragione dell�urgenza e dell�assenza di posti letto nella struttura pubblica.
Ci� detto, va ricordato che l�art. 34 del regolamento n. 574/72 - nel caso 
in cui le formalit� previste agli art. 20, 21, 23 e 31 non abbiano potuto essere 
espletate e cio� se l�interessato non abbia presentato all�istituzione del luogo 
di dimora un attestato che certifichi che ha diritto alle prestazioni mediche - 
stabilisce un limite alla rimborsabilit� in caso di prestazioni erogate all�estero 
in forma indiretta (e quindi anche da strutture private) pari ad un importo di � 
1.000 e, comunque, non superiore alla spesa effettivamente sostenuta dall�interessato; 
ci� allo scopo di proteggere i sistemi sanitari da oneri finanziari 
sproporzionati. 
Pertanto deve ritenersi che la condotta tenuta dalla AOK, che ha rimborsato 
alla ricorrente � 12.883,84 su complessivi � 21.954,18, sia del tutto coerente 
con il combinato disposto dell�art. 31 del Reg. (CEE) 1408/71 e dell�art. 
34, nn. 4 e 5, del Reg. (CEE) 574/72. 
Infatti, in base al suddetto quadro normativo, all�assicurata tedesca temporaneamente 
soggiornante in Spagna, sono applicabili una serie di diritti e 
limiti: in primo luogo, il diritto a ricevere prestazioni �medicalmente necessarie�; 
in secondo luogo il diritto al rimborso, anche se la prestazione � stata 
fornita da una struttura privata. 
Quanto ai limiti, il rimborso � soggetto a due condizioni: la prima riguarda 
il tetto stabilito dalla commissione amministrativa per la sicurezza sociale dei 
lavoratori migranti (� 1.000); la seconda stabilisce che non � consentito rimborsare 
pi� delle spese realmente sostenute (nel caso della ricorrente: � 
21.954,18). 
Alla luce di quanto sopra, occorre sottolineare che l�AOK non ha messo 
in dubbio di dover rimborsare tali spese, ma solo di dover effettuare un rimborso 
integrale. 
Pertanto, la condotta della AOK, che ha rimborsato circa la met� della 
spesa effettiva (� 12.883,84), appare non solo conforme alla richiamata normativa 
ma anche di maggior favore. 
La Corte di Giustizia ha peraltro gi� avuto modo di affermare la conformit� 
al diritto comunitario di una prassi seguita da una cassa malattia, nel-
190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
l�ambito dell�attuazione di una normativa nazionale (anche il quel caso si trattava 
della legislazione tedesca) che consiste nel rimborsare integralmente le 
spese mediche sostenute dai suoi iscritti in occasione di una permanenza in 
un altro Stato membro se tali spese non superano un importo di DEM 200 
(sentenza del 14 ottobre 2004, causa C-193/03, Bosch). 
Infatti, la giurisprudenza comunitaria ha ripetutamente dichiarato che non 
si pu� escludere che il rischio di grave pregiudizio per l�equilibrio economico 
del sistema previdenziale possa costituire, di per s�, una ragione imperativa 
di pubblico interesse in grado di giustificare un ostacolo al principio della libera 
prestazione dei servizi (Corte di giustizia, sentenze 28 aprile 1998, causa 
C-158/96, Kohll, punto 41; 13 maggio 2003, causa C-385/99, M�ller-Faur� e 
van Riet, punto 73). 
La Corte ha parimenti ritenuto che l�art. 46 del Trattato consente agli Stati 
membri di limitare la libera prestazione dei servizi medici e ospedalieri, applicando 
la deroga giustificata da motivi di sanit� pubblica, qualora ci� sia necessario 
per la conservazione di un sistema sanitario equilibrato ed accessibile 
a tutti. 
Infatti l�equilibrio del regime previdenziale nazionale potrebbe essere 
compromesso qualora gli assicurati avessero la facolt� di fare ricorso a cliniche 
private situate in altri Stati membri, senza alcun limite al rimborso, tenuto 
conto del costo elevato delle prestazioni dalle stesse erogate che supera largamente 
quelle fornite in un ospedale pubblico. 
Come correttamente osservato dal giudice remittente, se non fosse possibile 
limitare il rimborso in base a tariffe nazionali oggettive, non discriminatorie 
e trasparenti, lo Stato di residenza sarebbe costretto a colmare le lacune 
del sistema sanitario di un altro Stato membro tramite la totale assunzione 
delle spese per le cure mediche prestate in una struttura privata a causa dell�insufficienza 
della struttura pubblica. 
Del resto, nella sentenza Stamatelaki citata, la Corte ha ritenuto che sarebbe 
stata proporzionata allo scopo perseguito di garantire l�equilibrio del sistema 
previdenziale la definizione di limiti massimi rimborsabili (punto 35), 
ritenendo non proporzionato solo il carattere assoluto della non rimborsabilit� 
prevista, in quel caso, della legislazione ellenica. 
Anche nella sentenza M�ller-Faur� e van Riet citata � stato chiarito che 
spetta ai soli Stati membri determinare la portata dell�assicurazione malattia 
di cui beneficiano gli assicurati, cosicch� quando questi ultimi si recano senza 
previa autorizzazione in uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede la 
cassa malattia cui appartengono per farsi ivi curare, possono esigere la presa 
a carico delle cure loro fornite solo nei limiti della copertura garantita dal regime 
di assicurazione malattia dello Stato membro di iscrizione (punto 98). 
Al secondo quesito quindi il Governo italiano ritiene di dare risposta positiva.

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 191 
Terzo quesito 
Con il terzo quesito, il giudice remittente ha chiesto, infine, di sapere se 
la normativa nazionale tedesca, che escluderebbe qualsiasi rimborso delle 
spese per cure mediche in una clinica privata situata in un altro Stato membro, 
sia compatibile con gli articoli 18, 49 e 50 del Trattato. 
In proposito, occorre rilevare che gli articoli 49 e 50 del Trattato CE sembrano 
orientati ad impedire che uno Stato tenga comportamenti protezionistici 
nei confronti di prestatori di servizi di altro Stato per avvantaggiare i prestatori 
residenti. 
Dette norme sono quindi finalizzate ad assicurare la libera concorrenza 
tra operatori di due Stati diversi. 
Tuttavia, all�evidenza, nel caso di specie, la situazione � stata di altro genere, 
giacch� non si � trattato di proteggere operatori tedeschi rispetto ad operatori 
spagnoli, ma di curare nell�immediatezza l�interessata, naturalmente in 
Spagna, dove, in assenza di posti letto nella struttura pubblica spagnola, � dovuta 
necessariamente intervenire una struttura privata, sempre spagnola. 
Infatti, la ricorrente dovendo ricevere cure �urgenti�, che non � stato possibile 
apprestare nella struttura pubblica per carenza di recettivit� della stessa, 
su autonoma decisione dell�ospedale pubblico, � stata ricoverata presso una 
struttura privata, cosa che ha fatto sorgere un�obbligazione contrattuale in capo 
alla ricorrente, senza che la stessa abbia operato una libera scelta in tal senso. 
Ci� detto, va sottolineato che, dall�ordinanza di rimessione emerge che, 
nel caso di specie, il rimborso delle spese mediche non � stato affatto escluso 
bens� � stato effettuato parzialmente e in misura comunque ben superiore al 
massimale di � 1000 fissato dall�art. 1 della decisione della commissione amministrativa 
per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti e pertanto il quesito, 
che presuppone una legislazione che escluda in toto il rimborso, 
sembrerebbe essere privo di oggetto. 
Alla luce di quanto sopra, al terzo quesito il Governo italiano ritiene di 
dare risposta positiva. 
** ** ** 
Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito 
nel senso che il diritto al rimborso delle spese di cui all�art. 34, nn. 4 e 5 del 
regolamento n. 574/72 comprenda anche le spese sostenute per le cure mediche 
urgenti prestate alla titolare di una prestazione avente diritto all�erogazione 
delle prestazioni ai sensi dell�art. 31 del regolamento n. 1408/71 in una clinica 
privata del luogo di dimora, qualora l�ospedale competente abbia rifiutato tali 
cure, sotto forma di prestazione in natura, a causa di sovraffollamento. 
Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il secondo quesito 
nel senso che il rimborso delle spese possa essere parziale e limitarsi alle 
tariffe di rimborso di cui all�art. 34, n. 4 del regolamento n. 574/72, qualora
192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
l�istituzione competente effettui il pagamento della prestazione in natura degli 
ospedali non sulla base di tariffe astratte e generali, bens� sulla base di singoli 
contratti individuali e il diritto nazionale non preveda alcuna limitazione della 
prestazione in natura alle cure mediche in determinati ospedali. 
Il Governo italiano propone infine alla Corte di affermare che il terzo 
quesito � privo di oggetto in quanto nella fattispecie vi � stato un rimborso 
parziale delle spese per cure mediche urgenti in una clinica privata situata in 
un altro Stato membro dell�Unione europea e non un�esclusione totale del rimborso, 
della quale si � chiesta la compatibilit� con gli artt. 18, 49 CE, 50 CE. 
Roma, 13 novembre 2008 Avv. Wally Ferrante 
Causa C-347/08 - Materia trattata: spazio di libert�, sicurezza e giustizia 
- Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landesgerichts 
FeldKirch (Austria) il 28 luglio 2008 - Vorarlberger Gebietskrankenkasse 
gegen WGV/Schw�bische Allgemeine Versicherungs AG. (Avvocato dello 
Stato W. Ferrante - AL 36135/08). 
LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 
1) Se il rinvio di cui all�articolo 11, n. 2, del regolamento CEE del Consiglio 
22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, 
il riconoscimento e l�esecuzione delle decisioni in materia civile e 
commerciale all�articolo 9, n.1, lett. b), del medesimo regolamento debba essere 
interpretato nel senso che un organismo di assicurazione sociale, cessionario 
ex lege dei diritti della persona direttamente lesa (art. 332 della ASVG 
� Allgemeine Sozialversicherungs-gesetz-legge generale sull�assicurazione 
sociale) possa promuovere dinanzi al giudice del luogo di uno Stato membro 
dove il detto organismo ha la sua sede un�azione nei confronti dell�assicuratore, 
in quanto siffatta azione diretta sia ammissibile e l�assicuratore abbia 
la sua sede nel territorio di uno Stato membro. 
2) In caso di soluzione affermativa della questione sub 1: se tale competenza 
sussista anche nel caso in cui la persona direttamente lesa al momento 
di proporre l�azione dinanzi al giudice, non abbia alcun domicilio o dimora 
abituale nello Stato membro dove l�organismo di assicurazione sociale ha la 
sua sede. 
L�ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA 
La fattispecie all�esame del giudice rimettente austriaco trae origine da
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 193 
un sinistro stradale occorso in Germania tra la sig.ra Daniela Kerti, una cittadina 
domiciliata in Austria all�epoca dei fatti (e successivamente trasferitasi 
in Germania) che ha riportato lesioni personali e la sig.ra Christine Gaukel, 
una cittadina domiciliata in Germania. 
La Vorarlberger Gebietskrankenkasse, organismo di assicurazione sociale 
con sede in Austria, ha rimborsato alla propria assicurata Sig.ra Kerti le spese 
mediche da questa sostenute e si � surrogata nei suoi diritti nei confronti della 
WGV � Schw�bische Allgemeine Versicherungs AG, compagnia assicurativa 
della Sig.ra Gaukel, ritenuta responsabile del sinistro, con sede in Germania. 
L�organismo di assicurazione sociale austriaco ha citato in giudizio la 
compagnia di assicurazione tedesca dinanzi al proprio foro nazionale in Austria.
Il giudice di primo grado austriaco ha dichiarato la propria incompetenza, 
ritenendo che l�azione andava proposta in Germania, non potendosi considerare 
l�attore come persona direttamente lesa ai sensi del combinato disposto 
degli articoli 11, n. 2 e 9 n. 1, lett. b) del regolamento n. 44/2001. 
Il giudice d�appello (e di ultimo grado in ragione del valore della controversia) 
chiede alla Corte di giustizia se l�organismo di assicurazione sociale, 
essendo subentrato nei diritti della propria assicurata, possa invocare, come 
avrebbe potuto fare quest�ultima, il foro speciale dell�attore, in base alle richiamate 
norme, in luogo del foro generale del convenuto, in base all�art. 2 
del regolamento. 
LA NORMATIVA COMUNITARIA 
Oggetto dell�ordinanza di remissione � l�interpretazione degli artt. 11, n. 
2, e 9, n. 1 lett. b) del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 
2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e 
l�esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. 
La disciplina regolamentare in materia assicurativa, quasi identica a 
quella contenuta nella Convenzione di Bruxelles, stabilisce, nei casi in cui sia 
l�assicurato ovvero il contraente o il beneficiario della polizza a promuovere 
l�azione nei confronti dell�assicuratore, la possibilit� di convenire in giudizio 
l�assicuratore oltre che dinanzi ai giudici dello Stato in cui quest�ultimo � domiciliato 
(articolo 9, n. 1 lett. a)), anche davanti al giudice del luogo in cui � 
domiciliato l�attore, per i casi in cui l�assicuratore abbia il domicilio in uno 
Stato membro (articolo 9, n. 1, lett. b) del regolamento). 
A fronte di tali previsioni, che coprono tutti i settori assicurativi, il regolamento 
contempla alcuni fori supplementari, per quanto di interesse, con riferimento 
all�ipotesi di assicurazione della responsabilit� civile, prevedendo 
che sia competente anche il giudice del luogo in cui si � verificato l�evento 
dannoso (articolo 10) nonch� il giudice presso il quale � stata proposta l�azione
194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
esercitata dalla persona lesa contro l�assicurato (articolo 11, n. 1). 
L�articolo 11, n. 2 dispone che sono applicabili all�azione diretta proposta 
dalla persona lesa contro l�assicuratore gli articoli 8, 9 e 10. 
Ai sensi del considerando n. 13 del regolamento n. 44/2001 � espressamente 
indicato che nei contratti di assicurazione, come in quelli di consumo 
e di lavoro, � �opportuno tutelare la parte pi� debole con norme in materia di 
competenza pi� favorevoli ai suoi interessi rispetto alle regole generali�. 
Tale principio trova conferma nel considerando 16 bis della direttiva del 
Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2005, 2005/14/CE, che integra 
la direttiva 16 maggio 2000, n. 2000/26/CE in materia di assicurazione della 
responsabilit� civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, che cos� dispone: 
�Ai sensi del combinato disposto dell�articolo 11, paragrafo 2, e dell�articolo 
9, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 44/2001 del 
Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, 
il riconoscimento e l�esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale 
... la parte lesa pu� citare in giudizio l�assicuratore della responsabilit� 
civile nello Stato membro in cui essa � domiciliata�. 
LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 
Primo quesito 
Ci� premesso, il Governo italiano ritiene che al primo quesito posto alla 
Corte debba darsi risposta negativa e che le norme in questione debbano essere 
interpretate nel senso che un organismo di assicurazione sociale, cessionario 
ex lege dei diritti della persona direttamente lesa non possa promuovere 
un�azione nei confronti dell�assicuratore dell�altra parte coinvolta nel sinistro 
dinanzi al giudice del luogo ove detto organismo ha la sua sede. 
Nel regolamento n. 44/2001, le norme sulla competenza sono ispirate 
all�esigenza di proteggere la parte socialmente pi� debole e pertanto l�applicazione 
di queste disposizioni, come pi� volte ribadito dalla Corte di Giustizia, 
deve essere compiuta ispirandosi a tale canone ermeneutico (cfr. sentenza 14 
luglio 1983, in causa 201/82, Gerling, nella quale la Corte di giustizia, con riferimento 
alle norme sulla competenza in materia di assicurazione della Convenzione 
di Bruxelles, ha affermato la necessit� di interpretarle nell�ottica di 
tutelare il soggetto pi� debole). 
Il regolamento n. 44/2001 ha peraltro rafforzato tale tutela rispetto a 
quella che risultava dall�applicazione della Convenzione di Bruxelles (cfr. 
Corte di giustizia, sentenza del 13 dicembre 2007, causa C-463/06, Odenbreit, 
punto 28). 
Nel caso di specie, per� appare difficile considerare �parte debole� un organismo 
di assicurazione sociale che ha presumibilmente pari forza rispetto 
alla societ� di assicurazione della controparte.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 195 
Per effetto della cessione dei diritti del danneggiato, la controversia diviene 
tra due imprese assicuratrici e viene meno la giustificazione di derogare 
alla disciplina generale sul foro competente, non essendovi l�esigenza di tutelare, 
con norme di favore, una parte �debole� rispetto ad una parte �forte�. 
In presenza di tali circostanze, quindi, non � necessario apprestare una 
tutela speciale per quanto attiene ai rapporti tra professionisti del settore assicurativo, 
fra i quali nessuno pu� verosimilmente trovarsi in una posizione di 
debolezza rispetto all�altro. 
N� gli artt. 11, n. 2 e 9, n. 1 lett. b) del regolamento n. 44/2001 menzionano, 
oltre alla persona lesa, al contraente dell�assicurazione, all�assicurato e 
al beneficiario anche il cessionario dei diritti della parte lesa, come avrebbero 
potuto agevolmente prevedere qualora avessero inteso estendere anche a tale 
ipotesi il regime di competenza speciale in questione. 
In proposito, in relazione ad una controversia sorta nell�ambito di un contratto 
di riassicurazione, la Corte di giustizia ha gi� sottolineato l�inapplicabilit� 
delle norme sulla competenza speciale in materia di assicurazioni, di cui 
agli articoli 7-12 bis della Convenzione di Bruxelles, nei rapporti tra riassicurato 
e riassicuratore, in considerazione del fatto che le due parti del contratto, 
essendo entrambi professionisti, posti in posizione paritetica, non necessitano 
di quella particolare tutela individuata nelle norme della sezione 3 (sentenza 
del 13 luglio 2000, causa C-412/98, Group Josi). 
Secondo una giurisprudenza costante della Corte di giustizia (sentenza 
12 maggio 2005, causa C-112/03, Soci�t� financi�re et industrielle du Peloux) 
risulta poi che le disposizioni di favore del foro speciale in questione muovono 
da una preoccupazione di tutela dell�assicurato, il quale, nella maggior parte 
dei casi, � la persona economicamente pi� debole e giuridicamente meno 
esperta, che si trova di fronte ad un contratto predeterminato le cui clausole 
non possono essere oggetto di trattative. 
Da ci� deriva che le norme sulla competenza in materia di assicurazione 
all�uopo previste non possono essere estese a favore di soggetti giuridici per 
i quali tale protezione non appaia giustificata. 
Nel caso in esame non sembra potersi dubitare del fatto che l�appellante 
e l�appellato sono in posizione paritaria, sia dal punto di vista economico che 
giuridico, e non vi � quindi alcuna valida ragione per applicare all�appellante 
una norma di favore che sarebbe spettata esclusivamente alla persona lesa che 
gli ha ceduto il proprio credito nei confronti dell�assicurazione del danneggiante. 
Inoltre, trattandosi di competenza derogatoria rispetto alla regola generale 
del domicilio del convenuto, in linea di principio, la norma deve considerarsi 
di stretta interpretazione. 
L�estensione analogica della disposizione in questione si giustificherebbe 
solo in ragione della posizione debole del danneggiato rispetto a quella del-
196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
l�assicuratore e quindi sulla base del principio affermato dalla richiamata giurisprudenza 
comunitaria, in base al quale la funzione di tutela del contraente 
ritenuto economicamente pi� debole e giuridicamente meno esperto implica 
che le norme sulla competenza speciale possano essere estese a favore di 
quelle persone per le quali tale protezione appare giustificata (argomentando 
a contrario rispetto a quanto affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza 
del 26 maggio 2005, causa C-77/04, Groupement d�inter�t �conomique GIE 
R�union europ�enne e a. che ha invece escluso l�estensione analogica di un 
criterio di competenza eccezionale nei rapporti tra due imprese di assicurazione). 
Quanto al pericolo che sullo stesso fatto giudichino giurisdizioni di Stati 
membri diversi, si ritiene che tale eventualit� � insita in ogni ipotesi di previsione 
di fori alternativi, come nel caso di specie sarebbe comunque possibile 
anche a prescindere dalla soluzione data al quesito. 
Il regolamento n. 44/2001 prevede, infatti, in materia di assicurazione 
della responsabilit� civile, la competenza generale del foro del convenuto (art. 
2), la competenza speciale del foro dell�attore qualora questo sia il contraente 
dell�assicurazione, l�assicurato, un beneficiario o la parte lesa in caso di azione 
diretta contro l�assicuratore (art. 9, n. 1, lett. b) e art. 11, n. 2), la competenza 
del locus commissi delicti (art. 10) che, in ipotesi, potrebbe essere un terzo 
Stato membro, diverso da quelli in cui sono rispettivamente domiciliate le parti 
in causa o hanno sede le rispettive compagnie di assicurazione. 
In tali casi, la pendenza di pi� cause vertenti sullo stesso fatto andr� risolta 
alla luce dei principi generali in materia di litispendenza e connessione (art. 
27 e seguenti del regolamento), ove le parti siano le stesse ovvero le cause 
siano connesse, pur essendo tra parti parzialmente diverse, come nel caso prospettato 
dal giudice a quo di azione per i danni materiali proposta dall�organismo 
cessionario del credito e di azione per i danni morali proposta dalla 
persona lesa. 
Secondo quesito 
Il Governo italiano osserva che la soluzione negativa fornita al primo quesito 
rende superflua la risposta al secondo quesito, rilevando comunque che, 
a maggior ragione, va esclusa la competenza derogatoria nel caso in cui la persona 
direttamente lesa non risieda pi�, al momento della proposizione dell�azione, 
nello Stato membro in cui ha sede l�organismo di assicurazione 
sociale cessionario ex lege del credito. 
Se infatti � gi� contestabile, come argomentato in relazione al primo quesito, 
che la surrogazione nei diritti sostanziali dell�assicurato comporti automaticamente 
anche la surrogazione nei suoi diritti processuali, ci� va 
senz�altro escluso quando, al momento della proposizione dell�azione, lo 
stesso assicurato non avrebbe potuto giovarsi del foro di favore (l�Austria) per
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 197 
aver mutato il proprio domicilio che � andato a coincidere con quello del convenuto 
(la Germania). 
Conclusioni 
Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il quesito nel 
senso che il rinvio di cui all�articolo 11, n. 2, del regolamento n. 44/2001, all�articolo 
9, n.1, lett. b), del medesimo regolamento debba essere interpretato 
nel senso che un organismo di assicurazione sociale, cessionario ex lege dei 
diritti della persona direttamente lesa non possa promuovere dinanzi al giudice 
del luogo di uno Stato membro dove il detto organismo ha la sua sede 
un�azione nei confronti dell�assicuratore. 
La soluzione negativa fornita al primo quesito rende superflua la risposta 
al secondo quesito. 
Roma, 21 novembre 2008 Avv. Wally Ferrante 
Causa C-518/08 - Materia trattata: propriet� intellettuale - Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal de grande instance de 
Paris (Francia) il 27 novembre 2008 - Fundaci� Gala-Salvador Dal�, Visual 
Entidad de Gesti�n de Artistas Pl�sticos/Soci�t� des Auteurs dans les arts graphiques 
et plastiques, Juan-Leonardo Bonet Domenech, Eulalia-Mar�a Bas 
Dal�, Mar�a Del Carmen Domenech Biosca, Antonio Domenech Biosca, Ana- 
Mar�a Busquets Bonet, M�nica Busquets Bonet. (Avvocato dello Stato W. Ferrante 
- AL 4007/09 - Diritti sulle vendite successive di opere d�arte). 
LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 
1) Se, successivamente all'entrata in vigore della direttiva 27 settembre 
2001 [2001/84/CE], la Francia possa mantenere un diritto sulle successive 
vendite di opere d'arte riservato agli eredi ad esclusione dei legatari o aventi 
causa. 
2) Se le disposizioni transitorie di cui all'art. 8, nn. 2 e 3, della direttiva 
27 settembre 2001 consentano alla Francia di applicare un regime derogatorio. 
I FATTI DI CAUSA 
La domanda pregiudiziale trae origine da una controversia che vede contrapposti, 
da un lato, gli eredi del pittore Salvador Dal�, deceduto il 23 gennaio 
1989, successori ab intestato, i quali hanno aderito alla �Societ� des Auteurs
198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
dans les Arts Graphiques et Plastiques� (ADAGP), il cui statuto, all�art. 2d, 
afferma che �i titolari della totalit� o di parte dei diritti patrimoniali sull�opera 
di un autore possono affidare alla societ� la gestione del diritto sulle successive 
vendite quale definito per la Francia dagli artt. L122-8 e L123-7, secondo 
comma del Code de la Propri�t� Intellectuelle� e, dall�altra, la �Fondazione 
Dal�� a cui lo Stato spagnolo, nominato da Salvador Dal�, con testamento del 
20 settembre 1982, legatario universale dei suoi diritti di propriet� intellettuale, 
aveva affidato l�esercizio dei poteri di amministrazione e di sfruttamento dei 
diritti di propriet� intellettuale derivanti dall�opera dell�artista nonch� la societ� 
Visual Entidad de Gestion de Artistas Plasticos (VEGAP), societ� di gestione 
collettiva di diritto spagnolo, cui la Fondazione Dal� ha conferito un 
mandato esclusivo di gestione collettiva ed esercizio dei suoi diritti per il 
mondo intero sull�opera di Dal�. 
Dunque la Fondazione Dal� e la VEGAP sostengono di essere, secondo 
la legge spagnola, uniche beneficiarie di tutti i diritti dell�opera del pittore, ivi 
compresi i diritti sulle successive vendite delle sue opere mentre l�ADAGP 
ha applicato le disposizioni del diritto francese che escludono i legatari e aventi 
causa dal beneficio del diritto sulle vendite successive. 
LA NORMATIVA COMUNITARIA RILEVANTE 
Innanzitutto, va precisato che, ai sensi dell�art. 1 della direttiva 
2001/84/CE relativa al diritto dell�autore di un�opera d�arte sulle successive 
vendite dell�originale, per �vendita successiva�, si intende ogni vendita successiva 
alla prima cessione da parte dell�autore che comporti l�intervento, in 
qualit� di venditori, acquirenti o intermediari, di professionisti del mercato 
dell�arte come le case d�asta, le gallerie d�arte e, in generale, qualsiasi commerciante 
di opere d�arte. 
La direttiva non riguarda quindi solo i diritti sulle vendite post mortem 
ma anche quelli sulle vendite, appunto, successive alla prima ad opera di intermediari 
professionisti. 
Tali diritti possono essere esclusi dagli Stati membri in relazione al prezzo 
della vendita nonch� alla prossimit� temporale della vendita stessa rispetto 
all�acquisto dell�opera direttamente dall�autore. 
Ai sensi dell�art. 6 della direttiva 2001/84/CE, i diritti sulle vendite successive 
spettano all�autore e, fatto salvo l�art. 8 paragrafo 2, dopo la sua morte, 
agli aventi causa. 
A norma dell�art. 8 citato la durata della protezione del diritto corrisponde 
a quella stabilita dall�articolo 1 della direttiva 93/98/CEE concernente l�armonizzazione 
della durata di protezione del diritto d�autore, in base al quale i 
diritti d�autore di opere letterarie ed artistiche, ai sensi dell�articolo 2 della 
Convenzione di Berna, durano tutta la vita dell�autore e sino al termine del
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 199 
settantesimo anno dopo la sua morte indipendentemente dal momento in cui 
l�opera � stata resa lecitamente accessibile al pubblico. 
Secondo il paragrafo 2 del citato art. 8, in deroga al paragrafo 1, gli Stati 
membri che non applicano il diritto sulle successive vendite di opere d�arte 
alla data di entrata in vigore della direttiva non sono tenuti, per un periodo che 
termina non oltre il 1� gennaio 2010, ad applicare il diritto a favore degli aventi 
causa dell�artista dopo la sua morte. 
Il successivo paragrafo 3 precisa che uno Stato membro al quale sia applicabile 
il paragrafo 2 pu� disporre di altri due anni al massimo, se necessario, 
per permettere agli operatori economici in detto Stato membro di adeguarsi 
gradualmente al sistema del diritto sulle successive vendite di opere d�arte 
mantenendo nel contempo la loro validit� economica prima che sia tenuto ad 
applicare il diritto a favore degli aventi causa dell�artista dopo la sua morte. 
LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 
Sul primo quesito posto alla Corte 
Il giudice del rinvio chiede alla Corte se sia conforme alla direttiva 
2001/84/CE l�art. L123-7 del Code de la Propri�t� Intellectuelle francese in 
base al quale �dopo il decesso dell�autore, il diritto sulle successive vendite 
di opere d�arte menzionato all�art. L122-8 spetta agli eredi e, per quanto riguarda 
l�usufrutto di cui all�art. L123-6 al coniuge, ad esclusione di tutti i legatari 
e aventi causa per l�anno in corso e i successivi settant�anni�. 
La normativa francese include quindi tra i beneficiari dei diritti sulle successive 
vendite i successori a titolo universale - gli eredi - ed esclude i successori 
a titolo particolare mortis causa o inter vivos - i legatari e gli aventi 
causa. 
Secondo il Governo italiano, tale scelta appare legittima alla luce del considerando 
27 della citata direttiva in base al quale � necessario determinare 
i beneficiari del diritto sulle successive vendite di opere d�arte nel rispetto 
del principio di sussidiariet� e non � opportuno intervenire sul diritto di 
successione degli Stati membri. 
La direttiva non riguarda quindi l�armonizzazione del diritto successorio, 
lasciando impregiudicato, in ossequio al principio di sussidiariet�, il diritto 
di ogni Stato membro di individuare i beneficiari dei compensi sulle vendite 
successive di opere d�arte nel rispetto della normativa nazionale in materia di 
successioni. 
La direttiva parte dal presupposto che non tutti i Paesi membri riconoscono 
il diritto sulle vendite successive di opere d�arte e che i regimi nazionali 
che lo riconoscono non sono uniformi (considerando 7 e 8). 
Alla luce di ci�, nei considerando 9 e 14 della direttiva, il legislatore comunitario 
osserva che l�importanza delle divergenze esistenti tra le disposi-
200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
zioni nazionali in materia d� luogo a distorsioni della concorrenza ed a fenomeni 
di delocalizzazione delle vendite all�interno della Comunit�, comportando 
disparit� di trattamento tra gli artisti a seconda di dove sono vendute le 
loro opere. 
Di qui la necessit� di adottare delle misure di armonizzazione per ovviare 
alle disparit� esistenti, che potrebbero creare o mantenere condizioni di concorrenza 
falsate, senza che sia tuttavia necessario armonizzare ogni disposizione 
delle legislazioni degli Stati membri in materia di diritto sulle 
successive vendite di opere d�arte, essendo sufficiente, nell�intento di lasciare 
il pi� ampio margine possibile alle decisioni nazionali, limitare l�armonizzazione 
alle disposizioni nazionali che pi� direttamente si ripercuotono sul 
funzionamento del mercato interno (considerando 15). 
In proposito la Corte di giustizia, nella sentenza 20 ottobre 1993, cause 
riunite C-92/92 e C-326/92, Phil Collins, ha chiarito che l�oggetto del diritto 
d�autore e dei diritti connessi, quali disciplinati dalle legislazioni nazionali, � 
quello di assicurare la tutela dei diritti morali ed economici dei loro titolari. 
La tutela dei diritti morali consente agli autori e agli artisti di opporsi a qualsiasi 
deformazione, mutilazione o altra modifica dell�opera che possa recare 
pregiudizio al loro onore o alla loro reputazione mentre la tutela dei diritti economici 
prevede la facolt� di sfruttare commercialmente la messa in circolazione 
dell�opera (punto 20). 
La Corte ha inoltre rilevato, nella predetta sentenza, che i diritti esclusivi 
conferiti dalla propriet� letteraria ed artistica sono tali da incidere sia sugli 
scambi di beni e di servizi, sia sui rapporti di concorrenza nella Comunit� e, 
per tale motivo, tali diritti, bench� disciplinati dalle leggi nazionali, sono soggetti 
alle prescrizioni del Trattato. 
Ci� detto, va rilevato che il diritto successorio - con le divergenze che 
possono esistere da Stato a Stato, che la direttiva non intende mettere in discussione 
- mira in genere ad assicurare la continuit� nei rapporti attivi e passivi 
facenti capo al de cuius. 
Solitamente, gli ordinamenti giuridici degli Stati membri ritengono meritevole 
di tutela l�interesse dei parenti a mantenere nell�ambito della cerchia 
familiare il patrimonio del defunto. 
E� per questo che le legislazioni nazionali riservano spesso ai parenti pi� 
prossimi (cosiddetti eredi legittimari) una quota dell�eredit� sia in assenza di 
un testamento, sia in presenza di un testamento che destini ad altri una parte 
del patrimonio eccedente quella disponibile dal testatore (cosiddetta successione 
necessaria). 
Tale sembra essere il caso della legislazione francese che, pur in presenza 
di un testamento di Salvador Dal�, che conferisce allo Stato spagnolo la qualit� 
di legatario dei suoi diritti di propriet� intellettuale, riconosce la qualit� di eredi 
ai suoi parenti pi� prossimi pur in assenza di un testamento a loro favore.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 201 
Nell�ambito della successione mortis causa, le legislazioni nazionali distinguono 
di norma tra successione a titolo universale, con l�acquisto della 
qualit� di erede e successione a titolo particolare, in caso di disposizione testamentaria 
a titolo di legato. 
Mentre l�istituzione di erede non pu� mai mancare perch� � la stessa legge 
che sopperisce nell�individuare i successori legittimi ove non vi abbia provveduto 
il defunto, il legato pu� essere disposto solo per testamento. 
Inoltre, mentre l�erede � in grado di assicurare quella continuit� globale 
e pressoch� assoluta nei rapporti gi� facenti capo al de cuius, succedendo in 
universum ius e rispondendo degli eventuali debiti anche ultra vires, quasi 
continuandone la persona, il che � particolarmente significativo nel caso del 
diritto di autore, il legatario succede esclusivamente in quel singolo, individuato 
rapporto espressamente indicato dal defunto nel testamento. 
In assenza di un�armonizzazione a livello comunitario dei concetti di 
�erede� e di �legatario�, frutto di una precisa scelta in tal senso del legislatore 
comunitario in ossequio al principio di sussidiariet�, appare opportuno che la 
definizione del termine �aventi causa� dopo la morte dell�autore di cui all�art. 
6 della direttiva resti abbastanza elastico da consentire il rispetto dei diritti 
successori dei vari Stati membri. 
Appare quindi pienamente legittima e conforme allo spirito della direttiva 
- che intende lasciare un certo margine alle normative nazionali nell�individuare 
i beneficiari del diritto sulle successive vendite nel rispetto delle diversit� 
delle legislazioni in materia di successione - la disposizione del Code de la 
Propri�t� Intellectuelle che riserva agli eredi detto diritto in quanto evidentemente 
ritenuti pi� idonei a continuare la personalit� del defunto, che si esprime 
in modo particolarmente pregnante in tema di diritto di autore. 
Sul secondo quesito posto alla Corte 
Con il secondo quesito, formulato, anche se non espressamente, solo in 
subordine, in caso di risposta negativa al primo quesito, il giudice del rinvio 
chiede alla Corte se le disposizioni transitorie di cui all�art. 8 della direttiva 
consentano alla Francia di applicare un regime derogatorio. 
Avendo risposto al primo quesito nel senso che la Francia pu� mantenere 
un diritto sulle successive vendite di opere d�arte riservato agli eredi, in quanto 
� lasciato agli Stati membri un certo margine per definire il concetto di �aventi 
causa� dopo la morte dell�autore, non sarebbe necessario rispondere al secondo 
quesito, in esito al quale sarebbe consentito alla Francia di mantenere tale normativa 
solo in via transitoria fino al 1 gennaio 2010, termine prorogabile di 
due anni. 
In realt�, comunque, il regime transitorio di cui all�art. 8, paragrafi 2 e 3 
della direttiva non appare applicabile alla Francia. 
A norma del citato paragrafo 2, gli Stati membri che non applicano il
202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
diritto sulle successive vendite di opere d�arte alla data di entrata in vigore 
della direttiva non sono tenuti, per un periodo che termina non oltre il 1 gennaio 
2010, ad applicare il diritto a favore degli aventi causa dell�artista dopo 
la sua morte. 
In base a tale disposizione, gli Stati membri che non prevedono una disciplina 
dei diritti sulle successive vendite alla data di entrata in vigore della 
direttiva possono non applicarla per un certo periodo a favore degli aventi 
causa dell�artista dopo la sua morte ma debbono applicarla a favore dell�autore.
La legislazione francese invece gi� disciplinava alla data di entrata in vigore 
della direttiva, nel Code de la Propri�t� Intellectuelle, il diritto sulle successive 
vendite di opere d�arte non solo a favore dell�autore ma anche a favore 
degli eredi. 
Non sembra quindi che la norma transitoria sia applicabile alla legislazione 
francese, che appare sin dall�inizio conforme alla direttiva che, come si 
� detto nella risposta al primo quesito, lascia liberi gli Stati, nel rispetto del 
principio di sussidiariet�, di individuare il novero dei beneficiari del diritto di 
cui all�art. 6 nel rispetto del diritto di successione dei vari ordinamenti. 
** ** ** 
Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito 
affermando che, successivamente all�entrata in vigore della direttiva 
2001/84/CE, la Francia possa mantenere un diritto sulle successive vendite di 
opere d�arte riservato agli eredi ad esclusione dei legatari o aventi causa in 
quanto gli Stati membri sono liberi di individuare i beneficiari di cui all�art. 6 
della direttiva, nel rispetto del principio di sussidiariet�, sulla base dei rispettivi 
diritti di successione, sui quali la direttiva non interviene a fini di armonizzazione, 
come emerge dal considerando 27. 
Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di ritenere non necessario 
rispondere al secondo quesito alla luce della risposta fornita al primo quesito 
e comunque di affermare che la norma transitoria di cui all�art. 8, n. 2 e 3 della 
direttiva 2001/84/CE non � applicabile alla legislazione francese che gi� disciplinava 
il diritto sulle successive vendite alla data di entrata in vigore della 
direttiva. 
Roma, 26 marzo 2009 Avv. Wally Ferrante
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 203 
Causa C-565/08 - Materia trattata: libet� di stabilimento - Ricorso 
presentato il 19 dicembre 2008 - Commissione delle Comunit� 
europee/Repubblica italiana. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 
3557/069 - Procedura di infrazione massimi tariffe forensi). 
LA MEMORIA DI CONTROREPLICA DEL GOVERNO ITALIANO* 
1. Con ricorso proposto ai sensi dell�art. 226 CE, notificato il 12 gennaio 
2009, la Commissione delle Comunit� Europee ha adito la Corte di Giustizia 
delle Comunit� Europee allo scopo di far constatare che, prevedendo delle disposizioni 
che impongono agli avvocati l�obbligo di rispettare le tariffe massime, 
la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi imposti dagli articoli 
43 e 49 del trattato CE. 
2. Il Governo italiano, con controricorso del 23 febbraio 2009, ha concluso 
ribadendo che nell�ordinamento italiano i massimi tariffari non possono 
considerarsi inderogabili e che pertanto le disposizioni controverse non integrano 
misure restrittive della libert� di stabilimento e della libert� di prestazione 
dei servizi. 
3. Con la presente memoria, il Governo italiano intende controdedurre 
alle argomentazioni esposte dalla Commissione con la memoria di replica del 
29 aprile 2009 e, in subordine, preso atto che la Commissione non ha desistito 
dalla propria posizione di ritenere la normativa in questione restrittiva ai sensi 
degli articoli 43 e 49 CE, contestare la pretesa impossibilit� di giustificare la 
misura alla luce degli obiettivi di garantire l�accesso alla giustizia in Italia, la 
tutela dei destinatari e la buona amministrazione della giustizia. 
4. Innanzitutto, va sottolineato che il Governo italiano non ha affatto inteso 
comprimere il diritto di difesa della Commissione, come lamentato da 
quest�ultima ai punti 50-57 della memoria di replica, bens� ha ritenuto talmente 
assorbente l�assenza del carattere restrittivo del diritto di stabilimento e del 
diritto di libera prestazione dei servizi della normativa italiana, come radicalmente 
modificata nel corso della procedura di infrazione prima dell�emissione 
del parere motivato, da ritenere che la Commissione ne avrebbe tratto 
le dovute conseguenze in ordine alla piena conformit� della nuova normativa 
ai principi comunitari di riferimento, tanto da ritenere del tutto superfluo 
l�esame delle eventuali giustificazioni che presuppongono invece l�accertata 
natura restrittiva della misura. 
5. Si ricorder� che la procedura di infrazione, iniziata ormai quasi quattro 
anni fa, ha avuto un andamento altalenante, estendendo e poi riducendo pi� 
volte il proprio ambito. 
(*) V. Controricorso del Governo italiano, Rassegna n.2/09, 192-206.
204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
6. Inizialmente, con la lettera di costituzione in mora del 13 luglio 2005, 
erano infatti sotto accusa le sole tariffe minime e massime per le attivit� stragiudiziali 
e solo con riferimento all�art. 49 CE. 
7. Con la costituzione in mora complementare del 23 dicembre 2005, la 
procedura si � estesa anche alle tariffe per l�attivit� giudiziale ed altres� in relazione 
alla presunta violazione dell�art. 43 CE; inoltre � stata contestata l�incompatibilit� 
della normativa italiana con l�art. 49 CE per la mancata 
considerazione degli effetti indotti dalla presenza di un avvocato locale. 
8. Con la seconda lettera di costituzione in mora complementare del 23 
marzo 2007, la procedura si � ridotta alla contestazione delle sole tariffe massime, 
essendo stati nelle more abrogati i minimi tariffari inderogabili. 
9. Con il parere motivato del 3 aprile 2008, la Commissione ha altres� 
abbandonato, restringendo ulteriormente l�ambito della procedura, la contestazione 
attinente all�asserita violazione dell�art. 49 CE sotto il profilo della 
mancata considerazione degli effetti indotti dalla presenza di un avvocato locale. 
10. Per tale motivo, il Governo italiano si era augurato che, alla luce delle 
circostanziate deduzioni del controricorso, la Commissione avrebbe preso atto 
del venir meno dell�oggetto principale del ricorso per inadempimento inizialmente 
incentrato, per la stragrande maggioranza degli argomenti, sulla illegittimit� 
dei minimi di tariffa inderogabili ed ormai sostanzialmente svuotato, a 
seguito della modifica normativa, delle ragioni addotte a sostegno della non 
conformit� ai principi comunitari, come gi� evidenziato al punto 24 del controricorso. 
Sulla derogabilit� dei massimi tariffari 
11. Come si � gi� ricordato nel controricorso l�inderogabilit� a pena di 
nullit� era prevista dall�ordinamento italiano esclusivamente per le tariffe minime: 
art. 24 della legge n. 794 del 1942 (punti 7 e 47); art. 4, comma 1 del 
Capitolo I e art. 9 del Capitolo III del D.M. 8 aprile 2004, n. 127 (punti 50 e 
53). 
12. Per le tariffe massime, mai dichiarate da alcuna norma di legge 
come inderogabili, obbligatorie o vincolanti, � invece da sempre consentita, 
sia da prima che dopo il decreto Bersani (D.L. n. 223 del 2006 convertito in 
legge n. 248 del 2006), che sul punto non ha apportato alcuna modifica, ampia 
possibilit� di superarle, sia per volont� delle parti, che rimane il primo criterio 
di determinazione del compenso professionale ai sensi dell�art. 2233 del codice 
civile (riportato al punto 17 del controricorso), sia da parte del giudice. 
13. Lo stesso decreto Bersani, nell�abrogare �la fissazione di tariffe obbligatorie 
fisse o massime� fa salve �le eventuali tariffe massime prefissate in 
via generale a tutela degli utenti�. 
14. Detta legge non stabilisce quindi expressis verbis l�obbligo di rispet-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 205 
tare le tariffe massime, come sostenuto al punto 11 della replica, in quanto il 
termine �obbligatorie� � utilizzato solo per le (abrogate) tariffe minime e non 
anche per le (tutt�ora vigenti) tariffe massime. 
15. La tariffa professionale resta quindi in vigore ma l�applicazione della 
stessa integra un criterio sussidiario che entra in gioco solo in mancanza di 
pattuizione tra le parti e che serve comunque ad orientare il giudice nella liquidazione 
del compenso. 
16. L�art. 61, comma 2 del R.D. n. 1578 del 1933 (riportato al punto 6 
del controricorso) prevede inoltre che l�onorario dell�avvocato che, salvo 
patto speciale, � determinato sulla base delle tariffe, �pu� essere anche maggiore 
di quello liquidato a carico della parte condannata alle spese� in relazione 
�alla specialit� della controversia o al pregio o al risultato dell�opera 
prestata�, fermo restando il potere (preventivo o successivo) del Consiglio 
dell�ordine di verificare la congruit� del compenso richiesto. 
17. La liquidazione del giudice non � quindi vincolante nei rapporti 
cliente-avvocato, potendo le parti concordemente superare l�importo liquidato 
sulla base delle tariffe forensi. 
18. Ci� � confermato anche dalla documentazione prodotta dalla Commissione 
con la memoria di replica ed in particolare dalla nota del Consiglio 
dell�ordine degli Avvocati di Torino del 1 settembre 2008 (all. 2, p. 1) in base 
alla quale �Criterio principale � la pattuizione tra le parti (art. 2233 c.c.). Criterio 
sussidiario, in mancanza di pattuizione, � l�applicazione della tariffa. 
Qualora non possa essere determinato in applicazione della tariffa, il compenso 
� liquidato dal giudice� e dalla Circolare n. 22-C/2006 del 4 settembre 
2006 del Consiglio Nazionale Forense (all. 1, p. 4) ove si legge, a proposito 
del patto di quota lite, che �l�avvocato pu� chiedere al giudice di liquidare il 
proprio compenso secondo quanto stabilito nel patto (che civilisticamente parlando, 
� valido) ma come sopra si � detto il suo comportamento pu� essere 
segnalato all�Ordine di riferimento perch� ne controlli la correttezza deontologica 
con riguardo alla proporzionalit� del compenso rispetto all�attivit� 
prestata�. 
19. Ci� dissolve ogni dubbio della Commissione (punto 30 della replica) 
in ordine alla possibilit� del patto di quota lite di superare i massimi tariffari. 
Ci� � possibile non solo perch�, come si � detto pi� volte, tali limiti non sono 
inderogabili ma anche perch� il compenso parametrato in percentuale sul risultato 
della lite � determinato sulla base di un metodo di calcolo forfettario 
che prescinde del tutto dalle diverse voci della tariffa, sempre fermo restando 
il potere del Consiglio dell�Ordine di verificare la congruit� del compenso. 
20. Non si comprende poi perch� la Commissione qualifichi tale accordo 
tra cliente e professionista, idoneo a derogare ai limiti massimi di tariffa, come 
�un caso limitato e specifico� (punto 32 della replica). Al contrario, l�abrogazione 
del divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli
206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
obiettivi perseguiti (art. 2, comma 1 lett. a) del decreto Bersani) costituisce 
una norma - questa si innovativa � di portata generale. 
21. A parte tale innovazione, anche i casi gi� previsti dalle tariffe forensi 
in base ai quali � possibile superare i massimi di tariffa non costituivano e non 
costituiscono affatto �ipotesi limitate e ben determinate� o addirittura �limitatissime 
eccezioni�, come sostenuto dalla Commissione ai punti 20 e 22 della 
replica 
22. In tutte le cause di particolare importanza, complessit� o difficolt� 
per le questioni giuridiche trattate, il che non appare affatto costituire 
un�ipotesi limitata o eccezionale, le parti possono stabilire, senza alcun necessario 
parere del Consiglio dell�ordine, l�aumento fino al doppio dei massimi 
di tariffa e, dimentica la Commissione (al punto 21, lettera b della replica), 
anche fino al quadruplo per la materia penale (art. 1, comma 2 del Capitolo 
II del D.M. 8 aprile 2004 n. 127). 
23. Il previo parere del Consiglio dell�ordine � invece richiesto, in caso 
di straordinaria importanza della controversia per la materia civile e stragiudiziale, 
per aumentare il compenso fino al quadruplo nonch�, in caso di 
manifesta sproporzione tra la prestazione professionale e l�onorario previsto 
dalla tariffa, per aumentare il compenso anche oltre tale limite. 
24. Non corrisponde al vero quindi che il massimo tariffario possa comunque 
essere aumentato solo sino al doppio o sino a quadruplo (punto 22 
della replica), potendo lo stesso essere aumentato, ricorrendo le citate circostanze, 
senza alcun limite. 
25. Quanto alla necessit�, in taluni casi, del parere del Consiglio dell�ordine 
degli avvocati, si ritiene che detta previsione sia del tutto conforme alle 
esigenze di evitare quegli eccessi e quegli abusi in relazione ai quali la stessa 
Commissione ritiene opportuno un controllo del Consiglio dell�ordine competente 
(punto 93 del ricorso). 
26. Peraltro, entrambi i documenti citati, prodotti dalla Commissione con 
la memoria di replica (all.ti 1 e 2), affermano che gli importi massimi �continuano 
ad essere derogabili� alle condizioni gi� previste. 
27. Infatti, il Governo italiano non ha sostenuto che il decreto Bersani ha 
eliminato l�inderogabilit� delle tariffe massime (punto 19 della replica) ma 
semplicemente che tale inderogabilit� non vi � mai stata, avendo riguardato 
in passato solo le tariffe minime. 
28. Peraltro, va sottolineato che gli ordini professionali hanno tentato di 
fornire una lettura restrittiva della portata del decreto Bersani, come risulta 
dallo stesso provvedimento dell�Autorit� Garante della Concorrenza e del 
Mercato del 15 gennaio 2009, prodotto dalla Commissione con la memoria di 
replica (all. 3). 
29. In tale documento, a p. 8 si legge che �nel corso degli incontri svolti 
con i rappresentanti degli ordini e dall�esame delle modifiche apportate ai
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 207 
codici deontologici in seguito all�entrata in vigore della legge Bersani emerge 
un generale tentativo, pi� accentuato per alcune categorie professionali, di 
riproporre la vincolativit� di livelli tariffari convenzionali tramite il riferimento 
deontologico diretto ai concetti di decoro e dignit� della professione� 
(evidenza nostra). 
30. Emblematica �, secondo tale provvedimento, �la prima presa di posizione 
del Consiglio Nazionale Forense che, proprio in considerazione dell�entrata 
in vigore della legge Bersani, nel settembre 2006, ha diramato una 
circolare, successivamente ritirata, nell�ambito della quale, oltre a dare 
un�interpretazione restrittiva della riforma complessivamente considerata, 
ha precisato che, anche se le tariffe minime non sono pi� obbligatorie per 
legge, il comportamento dell�avvocato che richieda un compenso inferiore al 
minimo tariffario pu� essere sindacato ai sensi degli articoli 5 e 43, punto II 
del codice deontologico in quanto il compenso irrisorio, non adeguato, al di 
sotto della soglia minima, lede la dignit� dell�avvocato e si discosta dall�art. 
36 Cost.� (evidenza nostra). 
31. La Commissione ha quindi citato a sostegno delle proprie tesi una 
Circolare del C.N.F. (all. 1) dallo stesso successivamente ritirata, evidentemente 
in quanto avvedutosi che la portata liberalizzatrice della legge Bersani 
non poteva essere messa in discussione da norme deontologiche non solo precedenti 
ma anche subordinate nella gerarchia delle fonti, come ammesso dallo 
stesso C.N.F. al punto 2 della citata Circolare del 4 settembre 2006. 
32. Peraltro, l�art. 2, comma 3 del decreto Bersani dispone che �le disposizioni 
deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina, che contengono le 
prescrizioni di cui al comma 1 [riportato al punto 16 del controricorso] sono 
adeguate, anche con l�adozione di misure a garanzia della qualit� delle prestazioni 
professionali, entro il 1 gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, 
a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto 
previsto dal comma 1 sono in ogni caso nulle� (evidenza nostra). 
33. Anche l�articolo di dottrina prodotto dalla Commissione con la memoria 
di replica (all. 4) pur affermando, con il valore che pu� assumere una 
tesi dottrinale, che la modifica normativa ha mantenuto l�obbligatoriet� del limite 
massimo di tariffa, precisa altres� che �lo stesso decreto Bersani detta la 
regola per cui il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e 
dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, 
sulla base della tariffa professionale. Si noti che l�espressione �sulla 
base della tariffa� non significa �applicando le tariffe minime o massime�. Il 
giudice deve applicare il criterio dell�adeguatezza all�importanza dell�opera 
e al decoro della professione ma senza alcun parametro cogente. Il riferimento 
alla tariffa professionale costituisce solo una base, su cui poter operare 
dei calcoli per la determinazione in concreto. E� evidente che il professionista 
potr� sottrarsi alla discrezionalit� del giudice con lo strumento del contratto
208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
con il cliente.� (evidenza nostra). 
34. Le tariffe forensi (minime o massime) non sono quindi cogenti ma 
costituiscono un importante ed indicativo parametro per il giudice e per le 
parti. 
35. Per rispondere all�interrogativo posto dalla Commissione al punto 33 
della replica, si osserva che il Legislatore italiano ha abrogato l�obbligatoriet� 
delle sole tariffe minime e non anche di quelle massime perch� solo le prime 
erano espressamente inderogabili a pena di nullit�. 
36. L�obbligatoriet� delle tariffe massime non � stata abolita, (punto 35 
della replica) perch�, come si � gi� esposto e dimostrato, tale obbligatoriet� 
non vi � mai stata. 
37. Peraltro, se nella fase precontenziosa le autorit� italiane non hanno 
mai negato che le tariffe massime fossero obbligatorie, va detto che le stesse 
non hanno nemmeno espressamente affermato che lo fossero. 
38. La lettera del 21 maggio 2007 del Ministero della Giustizia, citata al 
punto 39 della replica, nell�affermare che �resta fermo il limite degli onorari 
massimi�, non indica che tali onorari debbono considerarsi inderogabili e anzi 
precisa che �anche il giudice pu� superare questa soglia in caso di sproporzione 
manifesta tra l�opera ed il compenso� (e non �solo il giudice�, come erroneamente 
riportato dalla Commissione al punto 20 del ricorso); il che vuol 
dire che sia il giudice, sia le parti possono superare detta soglia. 
39. Peraltro, ammesso e non concesso che le autorit� italiane abbiano, 
nella fase precontenziosa, qualificato come vincolanti le tariffe massime, � pacifico 
che lo Stato membro pu�, nella successiva fase contenziosa, sostenere 
una tesi anche non prospettata in precedenza. 
40. Basti pensare che, in caso contrario, ove le autorit� nazionali non rispondano 
alla costituzione in mora e al parere motivato, come spesso accade, 
lo Stato membro rimarrebbe privo di ogni difesa innanzi alla Corte di giustizia, 
il che non � ragionevolmente sostenibile. 
41. In merito a quanto osservato dalla Commissione ai punti 4 e 5 nonch� 
ai punti da 42 a 48 della replica, si sottolinea che il Governo italiano non ha 
mai sostenuto, ne avrebbe mai potuto, che le direttive 98/5/CE e 77/249/CEE 
deroghino agli articoli 43 e 49 del Trattato e che debbano prevalere sugli stessi. 
42. Si � invece sostenuto che la normativa italiana, che non prevede pi� 
alcuna inderogabilit� delle tariffe, � pienamente conforme ai principi generali 
di cui agli articoli 43 e 49 CE (riferibili ad ogni tipo di attivit� non salariata, 
di impresa o di prestazione di servizi), di cui le richiamate direttive sono una 
specificazione per quanto riguarda, rispettivamente, l�esercizio permanente 
della professione di avvocato e l�esercizio effettivo della libera prestazione di 
servizi da parte degli avvocati nel territorio dell�Unione europea. Il riferimento 
alle stesse, che disciplinano in dettaglio i relativi principi delle due citate 
norme del Trattato, appare quindi tutt�altro che �inutile�.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 209 
43. Quanto alla giurisprudenza comunitaria, che renderebbe le considerazioni 
della resistente del tutto superate (punto 47 della replica), va ricordato 
innanzi tutto che, con la sentenza del 19 febbraio 2002, causa C-35/99, Arduino, 
la Corte di giustizia ha ritenuto che gli articoli 10 e 81 del Trattato ovvero 
le regole della concorrenza non ostino all�adozione da parte di uno Stato 
membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di 
un progetto stabilito da un ordine professionale forense, una tariffa che fissi 
dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell�ordine, qualora tale 
misura statale sia adottata nell�ambito di un procedimento come quello previsto 
dalla normativa italiana (punto 44). 
44. Successivamente, la Corte di giustizia ha confermato la correttezza 
della normativa italiana che regola l�accesso alla professione forense, possibile 
anche per i prestatori transfrontalieri (ordinanza del 17 febbraio 2005, causa 
C-250/03, Mauri). 
45. Per quanto riguarda in particolare la sentenza del 5 dicembre 2006, 
cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla, invocata dalla Commissione, va 
ricordato che detta sentenza, pur essendo stata depositata dopo l�entrata in vigore 
del decreto Bersani, si � occupata della legislazione italiana previgente 
(le conclusioni dell�Avvocato generale M. Poiares Maduro sono state depositate 
il 1 febbraio 2006, anteriormente alla predetta modifica normativa) ed 
esclusivamente con riferimento agli onorari minimi (punto 44). 
46. Si ritiene quindi che le considerazioni contenute nella predetta sentenza 
possano solo in parte applicarsi al caso di specie, attesa la modifica del 
quadro normativo e considerato l�oggetto (superstite) del ricorso per inadempimento: 
i massimi tariffari. 
47. Ci� nonostante, va sottolineato che la predetta decisione non solo ha 
ritenuto la normativa italiana che stabiliva un limite tariffario minimo inderogabile 
conforme alle regole della concorrenza (punto 54) ma con riferimento 
all�art. 49, pur ritenendo che tale previsione integri una restrizione alla libera 
prestazione dei servizi, ha ritenuto che la tutela dei consumatori, da un lato, e 
della buona amministrazione della giustizia, dall�altro, sono obiettivi che rientrano 
tra quelli che possono essere ritenuti motivi imperativi di interesse pubblico 
in grado di giustificare una restrizione della libera prestazione dei servizi 
(punto 64). 
48. La Corte ha altres� affermato che spetta al giudice nazionale determinare 
se, nella causa principale, la restrizione della libera prestazione dei servizi 
creata dalla normativa nazionale rispetti tali condizioni, tenendo conto di 
alcuni elementi indicati dalla stessa Corte (punto 65). 
49. In particolare, la Corte ha rilevato che �se � vero che una tariffa che 
fissi onorari minimi non pu� impedire ai membri della professione di fornire 
servizi di qualit� mediocre, non si pu� escludere a priori che tale tariffa consenta 
di evitare che gli avvocati siano indotti, in un contesto come quello del
210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
mercato italiano, il quale, come risulta dal provvedimento di rinvio, � caratterizzato 
dalla presenza di un numero estremamente elevato di avvocati iscritti 
e in attivit�, a svolgere una concorrenza che possa tradursi nell�offerta di prestazioni 
al ribasso, con il rischio di un peggioramento della qualit� dei servizi 
forniti� (punto 67). 
50. La Corte ha quindi ammesso che, in linea di principio, il mantenimento 
di minimi tariffari inderogabili possa essere strumentale a garantire la 
qualit� delle prestazioni, demandando al giudice nazionale di verificare, anche 
alla luce della concreta situazione della professione in Italia, se la disapplicazione 
generalizzata dei minimi tariffari possa comportare il rischio di incidere 
negativamente sul livello dei servizi prestati dagli avvocati, stimolando la concorrenza 
sui prezzi a discapito di quella sugli aspetti qualitativi dell�attivit� 
professionale. 
51. In questa sede, invece, la Commissione sembra voler chiedere alla 
Corte di accertare essa stessa, in astratto, con riferimento ai massimi tariffari, 
ci� che nella predetta sentenza � stato invece ritenuto di pertinenza del giudice 
nazionale, che deve e pu� operare un accertamento in concreto. 
52. Come si � detto, inoltre, la citata sentenza � intervenuta su un quadro 
normativo ormai radicalmente mutato, che ha espunto l�inderogabilit� delle 
tariffe minime o fisse, che ha eliminato il divieto di parametrare il compenso 
al raggiungimento di un esito positivo della lite e che ha abrogato il divieto di 
svolgere pubblicit� informativa, con l�intento di ridurre quella �asimmetria 
informativa� riconosciuta dalla Corte al punto 68 della sentenza in esame. 
In subordine, sulla possibilit� di giustificare la misura restrittiva 
53. Come si � ampiamente avuto modo di dimostrare nel controricorso e 
nei precedenti punti della controreplica, il Governo italiano ritiene che la previsione 
di limiti tariffari massimi non costituisca una misura restrittiva della 
libert� di stabilimento e della libert� di prestazione dei servizi. 
54. Tuttavia, in via meramente subordinata, il Governo italiano deduce 
che anche laddove si volesse sostenere che detta previsione costituisca una 
misura restrittiva ai sensi degli articoli 43 e 49 CE, la stessa sarebbe pienamente 
giustificabile da obiettivi che la stessa Commissione, al punto 74 del 
ricorso, riconosce che potrebbero in linea teorica costituire motivi imperativi 
di interesse pubblico ai sensi della giurisprudenza comunitaria. 
55. La Corte di giustizia ha infatti da tempo affermato che il pubblico interesse 
connesso alla tutela dei destinatari dei servizi giustifica una restrizione 
alla libera prestazione dei servizi, se idonea allo scopo e non esorbitante da 
quanto necessario per raggiungere l�obiettivo (sentenza del 25 luglio 1991, 
causa C-76/90, Saeger, punti 16 e 17) 
56. Per quanto riguarda in primo luogo l�obiettivo di garantire l�accesso 
alla giustizia in Italia, la Commissione ritiene che l�esigenza di assi-
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 211 
curare l�accesso alla giustizia a tutti i cittadini sarebbe gi� garantita dalle disposizioni 
sul patrocinio a spese dello Stato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, 
n. 115. 
57. In tal modo, la Commissione non considera per� l�esigenza di tutelare 
la stragrande maggioranza dei cittadini che non hanno comunque accesso al 
gratuito patrocinio che prevede dei limiti di reddito bassissimi (art. 76 del 
D.P.R. citato): � 9.723,84 elevati a � 10.628,16 con D.M. 20 gennaio 2009 in 
G.U. 27 marzo 2009, n. 72. Peraltro, se l�interessato convive con il coniuge o 
con altri familiari, il reddito � costituito dalla somma dei redditi conseguiti da 
ogni componente della famiglia, compreso l�istante, salva l�elevazione di � 
1032,91 per ognuno dei familiari conviventi (art. 92 del D.P.R. citato). 
58. Inoltre, al di fuori del processo penale, per i giudizi civili, amministrativi, 
contabili, tributari e negli affari di volontaria giurisdizione, il cittadino 
non abbiente � ammesso al gratuito patrocinio quando le sue ragioni non risultino 
manifestamente infondate (art. 74 del D.P.R. citato) mentre anche chi 
ha presumibilmente torto pu� liberamente decidere di resistere in giudizio e 
ha diritto di accedere alla giustizia a costi ragionevoli e proporzionati all�attivit� 
richiesta. 
59. Sono quindi meritevoli di tutela tutti coloro che, pur non potendo usufruire 
del gratuito patrocinio, non abbiano un livello reddituale che consenta 
loro di accedere a servizi giuridici a condizioni economiche eccessivamente 
onerose. 
60. N� pu� ritenersi di riservare tale possibilit�, come prospettato dalla 
Commissione al punto 98 del ricorso, alle sole cause concernenti i diritti fondamentali 
della persona quali quelle in materia penale e di diritto di famiglia, 
dovendo lo Stato assicurare l�uguaglianza nell�accesso alla giustizia non solo 
a tutti i cittadini ma anche in tutte le materie. 
61. Il diritto di difesa, in generale e in ogni processo, costituisce peraltro 
esso stesso un diritto fondamentale sia per l�ordinamento nazionale che per 
quello sopranazionale, come dimostra l�art. 6 della Convenzione europea dei 
diritti dell�uomo. 
62. N� sembra che la possibilit� per i clienti di negoziare, di volta in volta, 
il compenso con i propri avvocati, adattandolo ai servizi da rendere nel caso 
di specie, anzich� applicare le tariffe forensi, garantirebbe una migliore tutela 
al cliente medio, che solitamente non possiede gli strumenti per valutare i costi 
dell�attivit� professionale ed � anzi garantito dall�esistenza di tariffe che fungano 
da parametro di riferimento. 
63. Per quanto riguarda i rapporti business to business, nulla vieta ai 
clienti che possano permettersi tariffe pi� elevate, per ottenere un servizio pi� 
complesso e qualificato, di concludere un accordo in tal senso, espressamente 
consentito dall�art. 2233 c.c., nel pieno rispetto della loro autonomia contrattuale.

212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
64. Peraltro, come gi� ricordato al punto 41 del controricorso, non corrisponde 
al vero che gli avvocati che svolgono la professione in Italia sarebbero 
tenuti a fatturare i propri servizi sulla base di un elenco tassativo di prestazioni 
legali contenute nel tariffario e non potrebbero determinare il proprio onorario 
con altri metodi, ad esempio in base al tempo dedicato allo studio della pratica. 
Ci� � invece esplicitamente ammesso dal punto 10 del Capitolo III del D.M. 
127 del 2004. 
65. Per quanto riguarda, in secondo luogo, l�obiettivo di garantire la 
tutela dei destinatari dei servizi, ancor pi� debole appare la posizione della 
Commissione, secondo la quale le tariffe massime non escluderebbero fatturazioni 
abusive o illecite. 
66. In realt�, la pretesa di compensi illeciti o abusivi esorbita, in quanto 
tale, dalla fissazione di limiti massimi: questi sono infatti riferiti ad una fatturazione 
lecita. 
67. Peraltro, le altre misure gi� esistenti nell�ordinamento italiano finalizzate 
ad evitare tale fenomeno non sono di per s� sufficienti o sono comunque 
pi� gravose per il consumatore rispetto alla fissazione preventiva ed in 
linea generale di tariffe massime. 
68. Ci si riferisce in particolare alla tesi della Commissione secondo la 
quale l�esame di abilitazione alla professione forense dovrebbe essere finalizzato 
anche ad infondere il rispetto di regole deontologiche e ad evitare cos� 
futuri episodi di fatturazione abusiva o comunque eccessiva da parte del professionista 
(punto 91 del ricorso). 
69. In proposito, va da s� che un esame di abilitazione, anche se vertente 
sull�apprendimento di norme deontologiche, non pu� evitare fenomeni di fatturazione 
illecita su base generale. 
70. Una rigida selezione � certamente una condizione necessaria per un 
buon livello qualitativo e deontologico dell�avvocato ma altrettanto certamente 
non � una condizione sufficiente. 
71. Quanto alla possibilit� di contestare gli onorari ritenuti eccessivi o 
abusivi innanzi al Consiglio dell�ordine, titolare di un potere disciplinare nei 
confronti dei suoi membri, o di chiedere il risarcimento dei danni nei confronti 
del proprio avvocato in sede giurisdizionale, si tratta di strumenti di tutela esistenti 
nell�ordinamento italiano ma sicuramente pi� gravosi e dispendiosi rispetto 
alla tutela offerta dalla preventiva fissazione per legge di tetti massimi, 
anche tenuto conto del fatto che il cliente non sempre sarebbe in grado di valutare, 
in assenza di parametri di riferimento, l�eccessivit� della pretesa. 
72. Le sanzioni disciplinari e il risarcimento del danno costituiscono infatti 
rimedi repressivi adottabili a posteriori e cio� dopo che il danno all�interesse 
del cliente e alla buona amministrazione della giustizia si � prodotto. La 
previsione dei limiti massimi di tariffa consente invece di prevenire il verificarsi 
di tali danni.
IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 213 
73. Anche alla notevole asimmetria informativa tra cliente e prestatore 
del servizio, insita nella professione di avvocato in quanto connotata da particolare 
tecnicismo, il decreto Bersani ha tentato di porre rimedio, eliminando 
il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicit� informativa �circa i titoli e le 
specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto nonch� il 
prezzo e i costi complessivi delle prestazioni, secondo criteri di trasparenza e 
veridicit� del messaggio il cui rispetto � verificato dall�ordine� (art. 2, comma 
1, lettera b). 
74. Anche tale misura non appare per� sufficiente in quanto limitata a garantire 
conoscibilit� e trasparenza dei prezzi solo nei rapporti tra cliente ed 
avvocato e non anche in caso di liquidazione delle spese a favore della controparte 
vittoriosa. 
75. A tale proposito, per quanto riguarda, in terzo luogo, l�esigenza 
di garantire la buona amministrazione della giustizia, si osserva che la prevedibilit� 
del costo della prestazione, ed in particolare delle spese legali che 
si pu� essere condannati a rifondere all�avversario in caso di soccombenza - 
a prescindere dal compenso dovuto al proprio avvocato che rimane autonomamente 
concordabile - pu� essere assicurata solo mediante la predisposizione 
di tariffe massime che garantiscono, con una certa approssimazione, una previsione 
del costo da sostenere. 
76. Non corrisponde al vero, poi, che le tariffe sarebbero obbligatorie per 
gli avvocati ma non vincolerebbero il giudice nella liquidazione delle spese 
(punto 106 del ricorso). 
77. Infatti la tariffa costituisce un utile parametro per il giudice per liquidare 
l�importo dei rimborsi dovuti dalla parte soccombente alla parte vittoriosa, 
tra le quali, per definizione, non esiste un accordo sul punto, come invece 
pu� esistere tra la parte ed il proprio avvocato. 
78. Ci� detto, i limiti massimi possono essere superati dalle parti esattamente 
nelle stesse ipotesi in cui possono essere superati dal giudice ed in particolare 
con riferimento alla natura e all�importanza della controversia, al 
numero delle questioni trattate, all�attivit� svolta dall�avvocato, ai risultati ed 
ai vantaggi anche non patrimoniali del giudizio, al pregio dell�opera prestata, 
al particolare impegno, alla complessit� dei fatti e alla difficolt� delle questioni 
giuridiche trattate, alla manifesta sproporzione tra la prestazione dell�avvocato 
e l�onorario previsto (artt. 4 e 5 del Capitolo I; art. 1 del Capitolo II; artt. 1 e 
9 del Capitolo III della tariffa forense). 
79. Alla luce delle richiamate norme, va quindi decisamente contestata 
l�affermazione, contenuta al punto 87 del ricorso, secondo la quale le tariffe 
non sarebbero in alcun modo correlate alla qualit� dei servizi resi. 
80. Quanto al rilievo della Commissione secondo la quale, ove le autorit� 
italiane avessero voluto regolare la liquidazione delle spese da parte del giudice, 
sarebbero dovute intervenire su tali norme e non in materia di tariffe
214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
degli avvocati (punto 105 del ricorso), si osserva che i due aspetti sono strettamente 
correlati. 
81. Se � vero infatti che a norma dell�art. 61, comma 2 del R.D. n. 1578 
del 1933 (riportato al punto 6 del controricorso) l�onorario dell�avvocato nei 
confronti del cliente �in relazione alla specialit� della controversia o al pregio 
o al risultato dell�opera prestata pu� essere anche maggiore di quello liquidato 
a carico della parte condannata alle spese� � anche vero che i due profili 
non possono essere totalmente avulsi l�uno dall�altro in quanto ci� creerebbe 
una divaricazione irragionevole tra la liquidazione delle spese giudiziali e l�effettivo 
costo delle attivit� svolte. 
82. La tariffa forense costituisce quindi una obiettiva base di riferimento 
sia per il giudice, sia per le parti nei rapporti con i loro avvocati. 
83. Da tutto quanto sopra, emerge che la fissazione di limiti massimi nelle 
tariffe forensi costituisce una misura necessaria ed idonea allo scopo di garantire 
imperativi motivi di interesse pubblico quali l�accesso alla giustizia da 
parte di tutti i cittadini, la tutela dei destinatari dei servizi e la buona amministrazione 
della giustizia. 
Conclusioni 
84. Il Governo italiano conclude quindi nel senso che, nell�ordinamento 
italiano i massimi tariffari non possono considerarsi inderogabili e che pertanto 
le disposizioni controverse non integrano misure restrittive della libert� di stabilimento 
e della libert� di prestazione dei servizi. 
85. In subordine, il Governo italiano ritiene che dette misure siano comunque 
giustificate in quanto necessarie ed idonee allo scopo di garantire imperativi 
motivi di interesse pubblico quali l�accesso alla giustizia da parte di 
tutti i cittadini, la tutela dei destinatari dei servizi e la buona amministrazione 
della giustizia. 
Roma, 15 giugno 2009 Avv. Wally Ferrante
I L C O N T E N Z I O S O 
N A Z I O N A L E 
Contratto a termine: illegittimit� costituzionale 
della disciplina sanzionatoria differenziata 
(Corte Costituzionale, sentenza 8-14 luglio 2009 n. 214) 
SOMMARIO: 1.- La norma illegittima. 2.- La decisione. 3.- Le ulteriori implicazioni. 4.- 
Le questioni infondate. 
1. La disciplina del contratto a termine, nell�attuale assetto definito, dopo 
innumerevoli rimaneggiamenti, dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 
368, torna a costituire oggetto di valutazione del Giudice delle Leggi (1). Svariate 
ordinanze di rimessione, infatti, hanno sottoposto al vaglio della Corte 
Costituzionale, la conformit� alla Carta Fondamentale di alcune delle disposizioni 
del citato decreto. Si tratta, in particolare, degli articoli 1, comma 1 e 
11, dell�articolo 2, comma 1-bis e dell�articolo 4-bis. 
L�appartenenza di tutte le norme censurate allo stesso testo normativo ha 
indotto la Corte alla riunione dei giudizi al fine della loro decisione con 
un�unica pronuncia. Delle diverse disposizioni, tuttavia, solo l�articolo 4-bis 
� stato dichiarato, con la sentenza del 14 luglio 2009, n. 214 in esame, costituzionalmente 
illegittimo, mentre le altre disposizioni sono state ritenute conformi 
alla costituzione. 
La norma dichiarata illegittima � stata introdotta con decretazione d�urgenza 
nel corpus normativo preesistente (2). Essa, in caso di violazione della 
(1) La Corte Costituzionale, infatti, con sentenza 4 marzo 2008, n. 44 ha dichiarato la illegittimit� 
dell�articolo 10, commi 9 e 10 nonch� dell�articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, 
n.368, nella parte in cui abroga l�articolo 23, comma 2, della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull�organizzazione 
del mercato del lavoro), relativo al lavoro stagionale. 
(2) L�articolo 4-bis del D. lgs. 368/2001 � stato aggiunto dal comma 1-bis dell�articolo 21 del D.L. 
25 giugno 2008, n. 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133. 
216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
normativa inderogabile in materia di contratto a termine (ed in particolare nei 
casi di assenza di ragioni giustificatrici del termine, assenza di forma scritta o 
proroga del termine oltre i limiti consentiti), prevede una disciplina sanzionatoria 
differenziata, e attenuata, rispetto a quella valevole per la generalit� dei 
casi come individuata dalla prevalente giurisprudenza. 
Per questi, invero, nelle ipotesi di insussistenza delle ragioni giustificative 
del termine apposto al contratto di lavoro subordinato, in assenza di espressa 
normativa soccorre l�orientamento prevalente della Corte di Cassazione, secondo 
cui la clausola corrispondente deve ritenersi nulla. A tale nullit� consegue, 
in applicazione dei principi generali in materia di nullit� parziale del 
contratto, l�invalidit� parziale della clausola medesima e quindi l�instaurarsi 
di un rapporto di lavoro a tempo determinato (3). Per la Suprema Corte, infatti, 
l�apposizione del termine ai contratti di lavoro, sebbene legittimata dalla clausola 
generale prevista dall�articolo 1, comma 1, del d.lgs 368/2001 (che richiede 
ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive), deve ritenersi 
pur sempre una ipotesi derogatoria (e quindi applicabile solo nel rispetto della 
disciplina dettata al riguardo), stante il principio generale confermato dal 
comma 1 del medesimo articolo (in base al quale il contratto di lavoro subordinato 
� stipulato di regola a tempo determinato). 
La norma in esame, invece, la cui rubrica reca �Disposizione transitoria 
concernente l�indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione 
del termine�, stabilisce che, in caso di violazione di quanto previsto dagli 
articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 368/2001, il datore di lavoro sia tenuto 
unicamente ad indennizzare il prestatore di lavoro con una indennit� di importo 
tra 2,5 e 6 mensilit� dell�ultima retribuzione globale di fatto. Si tratta, 
peraltro, di una disciplina applicabile ai soli giudizi in corso alla data di entrata 
in vigore della norma e fatte salve le sentenze passate in giudicato. In base a 
tale differenziazione, pertanto, quanti abbiano gi� promosso ricorso avverso 
l�apposizione di un termine ingiustificato (ovvero non risultante da atto scritto 
o, ancora, prorogato oltre i limiti), per ottenere, avvalendosi dell�orientamento 
sopra richiamato - ove il giudice accerti la nullit� della clausola di apposizione 
del termine - la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, 
potranno ottenere esclusivamente un indennizzo economico, a differenza 
di quanti, invece promuovano l�iniziativa giudiziaria in un momento 
successivo. 
La formulazione della norma nella versione entrata in vigore � stata oggetto 
di un travagliato iter parlamentare. L�introduzione di un articolo 4-bis al 
decreto legislativo 368/2001, infatti, compare la prima volta in sede di con- 
(3) Cass., Sez. lav., 21 maggio 2008, n.12985 in Riv. It. Dir. Lav., 2008, 4, 891, con nota di A. 
OLIVIERI.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 217 
versione del decreto legge 112/2008. Nell�originaria redazione (4), tuttavia, il 
testo reca una disciplina dagli effetti ben pi� dirompenti rispetto alla formulazione 
definitiva. La versione iniziale, infatti, prevede l�indennizzo in luogo 
della conversione dei contratti a tempo determinato come regola, tanto che un 
successivo comma estende tale espressa regolamentazione, a scanso di interpretazioni 
restrittive, anche ai giudizi in corso (5). Con una brusca inversione 
di tendenza, la formulazione definitiva attribuisce, invece, carattere transitorio 
alla norma e ne confina l�applicazione ai soli giudizi in corso. 
Si tratta, dunque, di una norma che rispetto al sistema vigente quale individuato 
dalla giurisprudenza, appare porsi come eccezione, caratteristica 
quest�ultima confermata dalla limitata efficacia temporale della disposizione. 
In tal senso, peraltro, si sono pronunciati i giudici di legittimit� (6) che hanno 
precisato trattarsi di una norma non suscettibile di interpretazione estensiva 
n� di applicazione al di fuori dei casi ivi contemplati (cio� delle controversie 
che abbiano ad oggetto il sistema sanzionatorio del contratto a termine per 
violazione delle disposizioni indicate dalla norma medesima con esclusione, 
per esempio, della continuazione del rapporto oltre la scadenza fino al ventesimo 
giorno prevista dall�articolo 5, comma 1, del d.lgs 368/2001). 
L�intervento della Cassazione, pur delimitando la portata ed il carattere 
della norma, non ne ha fugato i dubbi di compatibilit� con la Costituzione, 
sollevati da pi� parti soprattutto sotto il profilo del trattamento differenziato 
di situazioni identiche. � stata, in particolare, evidenziata la disparit� di trattamento 
legislativo �ben potendosi dubitare della ragionevolezza di una differenziazione 
di situazioni eguali fondata solo sulla data di introduzione del 
giudizio� (7). 
(4) A.C. 1386-A (testo approvato il 25 giugno 2008 dalle Commissioni permanenti della Camera 
dei Deputati). 
(5) L�A.C. 1386-A cit., infatti, prevedeva l�inserimento, nel decreto legge da convertire, delle seguenti 
disposizioni: 
1-ter. Dopo l�articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001,n. 368, � aggiunto il seguente:�ART. 4- 
bis. � (Indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine). � 
1. In caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro � tenuto ad indennizzare 
il prestatore di lavoro con un�indennit� di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo 
di sei mensilit� dell�ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati 
nell�articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni�. 
1-quater. Fatte salve salve le sentenze passate in giudicato, le disposizioni dell�articolo 4-bis del decreto 
legislativo 6 settembre 2001, n. 368, introdotto dal comma 1-ter del presente articolo, si applicano anche 
ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 
(6) C. Cass., sez. lav., 10 novembre 2008, n.26935, in Mass. giur. lav., 2008, 48, 16 con nota di 
G.FALASCA. 
(7) A. VALLEBONA, in Mass. Giur. lav., 2008,10,775. L�Autore ritiene, inoltre, che nessun problema 
di costituzionalit� si porrebbe se, invece, �fosse emanata una norma a regime, anche retroattiva, 
di eliminazione dell�effetto legale di conservazione necessaria di un contratto a tempo indeterminato 
per determinati vizi del contratto a termine, poich� tale effetto non � costituzionalmente obbligato�(Mass. 
Giur.Lav., 2008,11,859).
218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
2. Ed infatti con ben diciannove distinte ordinanze, altrettanti giudici 
hanno sollevato dinanzi alla Corte Costituzionale questioni di legittimit� della 
norma in argomento (8). I giudici a quibus, premettendo che in caso di violazione 
delle prescrizioni contenute nell�art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, pu� 
essere disposta, secondo il �diritto vivente� - sopra richiamato - la conversione 
del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e riconosciuta al lavoratore 
una tutela risarcitoria piena, hanno lamentato, in primis (9), la violazione 
dell�articolo 3 della costituzione. A parere dei giudici rimettenti la norma 
non solo � fonte di disparit� di trattamento - collegata comՏ al solo dato temporale 
del momento di proposizione del ricorso giudiziale - tra lavoratori che 
si trovano nella identica situazione di fatto - ma � anche irragionevole per tre 
distinti profili: a) perch� interviene nei rapporti di diritto privato sacrificando 
arbitrariamente il diritto del lavoratore assunto illegittimamente a tempo determinato 
a godere della tutela garantita dalla legge vigente all�epoca dell�instaurazione 
del rapporto e favorendo contemporaneamente il datore di lavoro 
che ha dato luogo all�illegittimit�; b) perch� non � ravvisabile alcuna giustificazione 
razionale nel fatto che la disposizione modifichi la regola sostanziale 
rispetto ad una categoria di soggetti, riducendo la tutela mentre pendono i giu- 
(8) Si tratta delle Corti di appello di Torino (r.o. n. 427 del 2008), Genova (r.o. n. 441 del 2008), 
Bari (r.o. n. 12 del 2009), Caltanissetta (r.o. n. 43 del 2009), Venezia (r.o. n. 93 del 2009), L�Aquila (r.o. 
n. 95 del 2009) e Roma (r.o. n. 102 del 2009), e dei Tribunali di Roma (r.o. n. 413 del 2008), Ascoli Piceno 
(r.o. nn. 442 e 443 del 2008), Trieste (r.o. n. 4 del 2009), Viterbo (r.o. n. 22 del 2009), Milano (r.o. 
nn. 25, 26, 27, 28, 86 e 87 del 2009) e Teramo (r.o. n. 70 del 2009). 
(9) Le altre norme costituzionali di cui si lamenta la violazione sono: gli artt. 3, primo comma, e 
24 Cost., perch� la norma v�ola il generale principio dell'affidamento legittimamente posto dal cittadino 
sulla certezza dell'ordinamento giuridico l�art. 10 Cost., poich� la norma lede il principio di parit� di 
trattamento che � principio generale del diritto internazionale e comunitario che l�Italia si � impegnata 
a rispettare; gli artt. 11, secondo periodo, e 117, primo comma, Cost., perch� la norma, riducendo la 
tutela accordata in precedenza dall'ordinamento ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, 
viola la clausola 8, punto 3, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 
1999/70/CE e, conseguentemente, l�obbligo del legislatore interno di rispettare i vincoli derivanti dall�ordinamento 
comunitario ed internazionale; l�art. 24 Cost., perch� la norma compromette il diritto di 
difesa dei lavoratori ricorrenti, sottraendo loro la possibilit� di ottenere il vantaggio della conversione 
del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la cui prospettiva aveva direttamente condizionato 
l�esercizio del loro diritto di azione; l�art. 111 Cost., con riferimento al principio del giusto processo, 
perch� la norma censurata modifica, nel corso dei procedimenti giudiziali, la tutela sostanziale 
accordabile al diritto azionato, senza che ricorrano idonee ragioni oggettive o generali; gli artt. 101, 102, 
secondo comma, e 104, primo comma, Cost., poich� un intervento legislativo che riguardi solamente 
alcuni giudizi in corso ad una certa data � privo del requisito di astrattezza proprio delle norme giuridiche 
ed assume un carattere provvedimentale generale invasivo dell�ambito riservato alla giurisdizione; l�art. 
117, primo comma, Cost., in connessione con l�art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti 
dell�uomo e delle libert� fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (ratificata dalla legge 4 agosto 
1955, n. 848), il quale impedisce al legislatore di intervenire con norme ad hoc per la risoluzione di 
controversie in corso; l�art. 117, primo comma, Cost., poich� la norma censurata costituisce un completamento 
o una modifica del d.lgs. n. 368 del 2001 e dunque un'applicazione della direttiva 1999/70/CE 
e avrebbe pertanto dovuto rispettare la clausola di non regresso enunciata nella clausola 8, punto 3, dell�accordo 
quadro recepito dalla medesima direttiva.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 219 
dizi, proprio e solo per il fatto di avere una causa in corso; c) perch� la delimitazione 
temporale del trattamento discriminatorio si riferisce alla mera pendenza 
del processo, e quindi ad una circostanza assolutamente accidentale. 
A sostegno, invece, della legittimit� della norma, la difesa erariale ha richiamato 
il presupposto di fatto della disposizione, rappresentato dalla 
�enorme dilatazione del contenzioso diretto a contestare la validit� dell�apposizione 
del termine ai contratti di lavoro, con possibile vanificazione, a 
causa dell�incertezza delle conseguenze economiche delle dichiarazioni di invalidit� 
delle clausole oppositive del termine, delle finalit� della riforma della 
disciplina del contratto a tempo determinato operata dal d.lgs. n. 368 del 2001 
(aumento delle possibilit� di accesso al lavoro subordinato per lavoratori destinati 
altrimenti a forme ancora pi� precarie di lavoro)�. Sarebbe, inoltre, 
esclusa qualsivoglia discriminazione dei lavoratori interessati dai contenziosi 
in corso anche perch� la soluzione offerta dalla giurisprudenza circa le conseguenze 
della dichiarazione di invalidit� del termine apposto al contratto di lavoro 
non sarebbe mai pervenuta, invece, a costituire un �diritto vivente�. 
La Corte ha ritenuto fondata la questione di legittimit� sollevata con riferimento 
all�articolo 3 - con assorbimento delle questioni relative agli altri 
parametri costituzionali - in quanto situazioni di fatto identiche (contratti di 
lavoro a tempo determinato stipulati nello stesso periodo, per la stessa durata, 
per le medesime ragioni ed affetti dai medesimi vizi), risultano destinatarie 
di discipline sostanziali diverse per la mera e del tutto casuale circostanza 
della pendenza di un giudizio alla data (sganciata da qualsiasi ragione giustificatrice) 
del 22 agosto 2008 (giorno di entrata in vigore dell�art. 4-bis del 
d.lgs. n. 368 del 2001). Si tratta, prosegue la Corte, di una discriminazione 
priva di ragionevolezza, n� collegata alla necessit� di accompagnare il passaggio 
da un certo regime normativo ad un altro; l�intervento del legislatore, 
infatti, non ha toccato la disciplina relativa alle condizioni per l�apposizione 
del termine o per la proroga dei contratti a tempo determinato, ma ha semplicemente 
mutato le conseguenze della violazione delle previgenti regole limitatamente 
ad un gruppo di fattispecie selezionate in base alla circostanza, 
del tutto accidentale, della pendenza di una lite giudiziaria tra le parti del rapporto 
di lavoro. 
3. La decisone della Corte se ha come effetto principale quello di eliminare 
dall�ordinamento una norma che appariva, fin dall�origine, di dubbia legittimit�, 
pone ulteriori spunti di riflessione su una questione pi� ampia e 
dibattuta relativa al contratto a termine. 
Il Giudice delle Leggi, infatti, attribuisce natura di �diritto vivente� all�orientamento 
giurisprudenziale della Corte di Cassazione, sopra richiamato, 
che riconosce la conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a 
tempo pieno, quale naturale effetto della violazione delle norme sulla appo-
220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
sizione del termine. Tale autorevole riconoscimento consacra, quindi, l�operativit� 
dell�effetto legale di conservazione del contratto a tempo indeterminato 
- espressamente previsto dal legislatore per le sole ipotesi di cui 
all�articolo 5 del d.lgs 368/2001 (continuazione del rapporto e successione 
di contratti oltre i limiti stabiliti) - anche nelle ipotesi di apposizione di un 
termine privo di giustificazione (articolo 1, comma 1 del medesimo decreto) 
(10). In realt� tale riconoscimento appare insito nella stessa norma dell�articolo 
4-bis che ponendosi quale eccezione al sistema, avrebbe attribuito, in 
tutte le ipotesi di violazione della normativa, rango di regola implicita all�effetto 
legale di conservazione del contratto a tempo indeterminato (11). 
4. Le ulteriori disposizioni sottoposte al giudizio di legittimit� della Corte, 
ma ritenute costituzionalmente legittime, sono le seguenti. 
a) articolo 1, comma 1 e articolo 11 del d.lgs 368/2001: termine apposto 
per ragioni sostitutive - onere di indicazione del nominativo del lavoratore 
sostituito. 
L�articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 368/2001 prevede la possibilit� 
di apporre un termine al contratto di lavoro subordinato purch� ricorrano 
ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo anche 
se riferibili alla ordinaria attivit� del datore di lavoro. L�articolo 11 del medesimo 
decreto ha, inoltre, disposto l�abrogazione dell�intera legge 18 aprile 
1962, n. 230 che, nella ipotesi di assunzione a termine per la sostituzione di 
lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, richiedeva obbligatoriamente 
la indicazione scritta del nominativo del lavoratore sostituito (12). 
(10) L�orientamento giurisprudenziale che riconosce la conversione del contratto anche al di fuori 
delle ipotesi espressamente previste � fortemente criticato in dottrina. � stato infatti rilevato che l�effetto 
conservativo non pu� essere ricavato dalla Costituzione (e si citano al riguardo le sentenze della Corte 
Costituzionale 41/2000 e 89/2003), �n� pu� essere ricavato interpretivamente dal principio generale di 
inderogabilit� con efficacia sostitutiva ex art. 1419, comma 2, c.c., delle norme di protezione minimale 
del lavoratore, poich� le disposizioni sulla giustificazione sui divieti del termine non hanno questa funzione 
di tutela del singolo lavoratore al contrario di quelle sugli abusi da successione non a caso tutte 
munite di espressa comminatoria di conversione in contratto a tempo determinato� (A. VALLEBONA, in 
Mass. Giur. Lav., 2008, 10, 775). 
(11) � stato, infatti, rilevato che �la norma sembra implicitamente avallare la tesi � secondo la 
quale al di fuori della disciplina transitoria, la trasgressione degli articoli 1, 2, e 4 determina una trasformazione 
del contratto di lavoro in quello a tempo indeterminato. Non sarebbe infatti giustificato 
ammettere un trattamento indennitario, peraltro alquanto blando, per i giudizi in corso, e ritenere invece 
che, in termini generali, le ipotesi di trasgressione di cui agli articolo 1, 2 e 4 diano luogo alla mera 
nullit� del contratto nei termini prescritti nell�articolo 1419, comma 1, c.c. � il legislatore sembra accreditare 
la lettura pi� rigorista del d.lgs.368/2001, anche se poi interviene per attenuarne la precettivit� 
per svuotare il pesante contenzioso che ne � derivato� (G.FERRARO, Il contratto a termine tormentato, 
in Mass. Giur. lav., 2008, 10, 738). 
(12) Si tratta, in particolare, dell�articolo 1, secondo comma, lettera b), che ammette la apposizione 
del termine �quando l�assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti e per i quali sussiste il 
diritto alla conservazione del posto, semprech� nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome 
del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione�.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 221 
Secondo i giudici rimettenti, l�abolizione dell�onere di indicazione del 
nominativo del lavoratore sostituito si porrebbe in contrasto con gli articoli 
76 e 77 della Costituzione, per eccesso di delega (13). 
La questione � stata, invece, ritenuta priva di fondamento dalla Corte Costituzionale 
con una sentenza interpretativa di rigetto (14), che si richiama al 
comma 2 dell�articolo 1 del d.lgs. 368/2001. Tale disposizione, infatti, richiede, 
per l�efficacia del termine, che lo stesso risulti direttamente o indirettamente da 
atto scritto nel quale siano specificate le ragioni dell�apposizione. Nel caso di 
sostituzione a termine di un lavoratore, pertanto, tale disposizione, a parere della 
Corte, impone che il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione, 
risultino per iscritto. In conclusione non sussiste eccesso di delega in 
quanto le norme impugnate non hanno innovato alcunch�, sotto il profilo esaminato, 
rispetto alla disciplina gi� contenuta nella abrogata legge 230/1962 (15). 
b) articolo 2, comma 1-bis, del d.lgs. 368/2001: apposizione del termine 
(13) Le ordinanze di rimessione del Tribunali di Roma (r.o. m.413 del 2008), e di Trani (r.o. n.434 
del 2008), denunciano la violazione dell�articolo 77 della Costituzione �poich� la legge di delega 29 
dicembre 2000, n. 422 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell�Italia 
alle Comunit� Europee - Legge comunitaria 2000), in esecuzione della quale � stato emanato il 
d.lgs. n. 368 del 2001, attribuiva al Governo esclusivamente il potere di attuare la direttiva 1999/70/CE, 
la quale non conteneva alcuna disposizione in tema di presupposti per l�apposizione delle clausole del 
termine�. Denunciano inoltre la violazione dell�articolo 76 �poich� la menzionata legge n. 422 del 2000 
non prevedeva princ�pi direttivi ulteriori rispetto all'attuazione della direttiva 1999/70/CE la quale, alla 
clausola 8, punto 3, dell'accordo quadro da essa recepito, dispone che l�applicazione dell'accordo non 
pu� costituire un motivo per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell�ambito coperto 
dall�accordo stesso, mentre le disposizioni censurate, eliminando la necessit� dell'indicazione del nominativo 
del lavoratore sostituito, determinerebbero un arretramento della tutela garantita ai lavoratori 
dal precedente regime�. Il Tribunale di Roma lamenta anche la violazione dell�articolo 117, primo 
comma, della Costituzione per violazione dei vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario. 
(14) Cos� A. VALLEBONA, in Mass. Giur. Lav., 2009, 8/9, 2). 
(15) La Corte precisa: �Invero, l�art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega n. 422 del 2000 
consentiva al Governo di apportare modifiche o integrazioni alle discipline vigenti nei singoli settori 
interessati dalla normativa da attuare e ci� al fine di evitare disarmonie tra le norme introdotte in sede 
di attuazione delle direttive comunitarie e, appunto, quelle gi� vigenti. In base a tale principio direttivo 
generale, il Governo era autorizzato a riprodurre, nel decreto legislativo di attuazione della direttiva 
1999/70/CE, precetti gi� contenuti nella previgente disciplina del settore interessato dalla direttiva medesima 
(contratto di lavoro a tempo determinato). Infatti, inserendo in un unico testo normativo sia le 
innovazioni introdotte al fine di attuare la direttiva comunitaria, sia le disposizioni previgenti che, attenendo 
alla medesima fattispecie contrattuale, erano alle prime intimamente connesse, si sarebbe garantita 
la piena coerenza della nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico, in conformit� con 
quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega. Non sussiste neppure la 
denunciata lesione dell�art. 76 Cost., poich� le norme censurate, limitandosi a riprodurre la disciplina 
previgente, non determinano alcuna diminuzione della tutela gi� garantita ai lavoratori dal precedente 
regime e, pertanto, non si pongono in contrasto con la clausola n. 8.3 dell�accordo-quadro recepito 
dalla direttiva 1999/70/CE, secondo la quale l�applicazione dell'accordo non avrebbe potuto costituire 
un motivo per ridurre il livello generale di tutela gi� goduto dai lavoratori. Per la stessa ragione (insussistenza, 
sotto il profilo in esame, di un contrasto con la normativa comunitaria) � infondata la censura 
formulata in riferimento all�art. 117, primo comma, Cost., il quale impone al legislatore di 
rispettare i vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali�. 
222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
ai contratti di lavoro subordinato nel settore delle poste. 
L�articolo 2, comma 1-bis, del d.lgs 368/2001, prevede l�apposizione di 
un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato quando l�assunzione 
sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, per 
un periodo complessivo massimo di sei mesi compresi tra aprile e ottobre di 
ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale 
non superiore al 15 per cento dell�organico aziendale, riferito al 1� 
gennaio dell�anno cui le assunzioni si riferiscono. 
Il giudice rimettente ritiene che tale disposizine violi l�articolo 3, primo 
comma, della Costituzione poich� la norma introdurrebbe, ai danni dei lavoratori 
operanti nel settore postale, una disciplina del lavoro differenziata e 
priva di ragionevolezza (16). 
La Corte, tuttavia, ha ritenuto non fondata la questione specificando, proprio 
con riferimento all�articolo 3 Cost., che la norma impugnata costituisce 
la tipizzazione legislativa di una ipotesi di valida apposizione del termine effettuata 
in base ad una valutazione preventiva ed astratta nient�affatto irragionevole. 
Alle imprese che svolgono attivit� di preminente interesse generale, 
proprio perch� tenute all�adempimento di gravosi oneri connessi con l�attivit� 
medesima, pu� infatti essere ragionevolmente riconosciuta una certa flessibilit� 
nel ricorso (entro limiti quantitativi comunque fissati inderogabilmente 
dal legislatore), allo strumento del contratto a tempo determinato (17). 
Dott. Gianluca Fatato* 
Corte costituzionale, sentenza 8-14 luglio 2009 n. 214 - Pres. Amirante, Red. Mazzella - 
Giudizi di legittimit� costituzionale dell�art. 2, comma 1-bis, del decreto legislativo 6 settembre 
2001 n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro 
a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES), degli artt. 1, comma 1, e 11 
del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 e dell�art. 4-bis, del medesimo decreto legislativo, 
introdotto dall�art. 21, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Di- 
(16) Il Tribunale di Roma (r.o. n. 217 del 2008), lamenta, altres�, la violazione degli articoli 101, 
102 e 104 Cost., perch� l�introduzione di una �acasualit�� per le assunzioni a termine nel settore postale 
sottrarrebbe ingiustificatamente al giudice ordinario il potere di verifica delle effettive ragioni oggettive 
e temporanee poste alla base di dette assunzioni. 
(17) La Corte ha dichiarato non fondata la questione anche sotto il profilo della pretesa violazione 
degli articoli 101, 102 e 104 Cost. in quanto �la norma censurata si limita a richiedere, per la stipula 
di contratti a termine da parte delle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, requisiti 
diversi rispetto a quelli valevoli in generale (non gi� l'indicazione di specifiche ragioni temporali, bens� 
il rispetto di una durata massima e di una quota percentuale dell'organico complessivo). Pertanto il 
giudice ben pu� esercitare il proprio potere giurisdizionale al fine di verificare la ricorrenza in concreto 
di tutti gli elementi di tale dettagliata fattispecie legale�. 
(*) Funzionario presso l� Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche 
sociali.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 223 
sposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione 
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, 
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 - Presidente del Consiglio dei Ministri (Avv.ti F.Tortora. 
P.Gentili, S. Fiorentino). 
(...Omissis...) 
Considerato in diritto 
1. � Con separate ordinanze, le Corti di appello di Torino, Genova, Bari, Caltanissetta, Venezia, 
L�Aquila e Roma ed i Tribunali di Roma, Trani, Ascoli Piceno, Trieste, Viterbo, Milano 
e Teramo hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, 11, 24, 76, 77, 101, 102, 104, 111 e 
117, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimit� costituzionale degli artt. 1, 
comma 1, 2, comma 1-bis, 4-bis ed 11 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione 
della direttiva 1999/70/CE relativa all�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato 
concluso dall�UNICE, dal CEEP e dal CES). 
2. � La parziale identit� di molte delle questioni proposte e l�appartenenza di tutte le norme 
censurate allo stesso testo normativo rendono opportuna la riunione dei giudizi al fine della 
loro decisione con un�unica sentenza. 
3. � I Tribunali di Roma (r.o. n. 413 del 2008) e di Trani (r.o. n. 434 del 2008) dubitano, in 
particolare, della legittimit� degli artt. 1, comma 1, e 11 del d.lgs. n. 368 del 2001. 
La prima delle predette norme stabilisce che �� consentita l�apposizione di un termine alla 
durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, 
organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attivit� del datore di lavoro� [le 
parole �anche se riferibili alla ordinaria attivit� del datore di lavoro�, sono state aggiunte dall�art. 
21, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo 
economico, la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione della finanza pubblica 
e la perequazione tributaria), convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133]. 
L�art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001, invece, dispone, al comma 1, l�abrogazione, tra l�altro, 
dell�intera legge 18 aprile 1962, n. 230 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), 
la quale, all�art. 1, secondo comma, lettera b), consentiva l�apposizione del termine al 
contratto di lavoro subordinato �quando l�assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti 
e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, semprech� nel contratto di 
lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione
�. 
Ad avviso dei rimettenti, le norme censurate, nel sopprimere l�art. 1, secondo comma, lettera 
b), della legge n. 230 del 1962 e, quindi, nell�abolire l�onere dell�indicazione del nominativo 
del lavoratore sostituito quale condizione di liceit� dell�assunzione a tempo determinato di 
altro dipendente, violerebbero l�art. 77 Cost., poich� la legge di delega 29 dicembre 2000, n. 
422 (Disposizioni per l�adempimento di obblighi derivanti dall�appartenenza dell�Italia alle 
Comunit� Europee - Legge comunitaria 2000), in esecuzione della quale � stato emanato il 
d.lgs. n. 368 del 2001, attribuiva al Governo esclusivamente il potere di attuare la direttiva 
1999/70/CE, la quale non conteneva alcuna disposizione in tema di presupposti per l�apposizione 
delle clausole del termine. Sussisterebbe contrasto, poi, con l�art. 76 Cost., poich� la 
menzionata legge n. 422 del 2000 non prevedeva princ�pi direttivi ulteriori rispetto all'attuazione 
della direttiva 1999/70/CE la quale, alla clausola 8, punto 3, dell�accordo quadro da 
essa recepito, dispone che l�applicazione dell�accordo non pu� costituire un motivo per ridurre
224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell�ambito coperto dall�accordo stesso, mentre 
le disposizioni censurate, eliminando la necessit� dell�indicazione del nominativo del lavoratore 
sostituito, determinerebbero un arretramento della tutela garantita ai lavoratori dal precedente 
regime. Infine, ad avviso del solo Tribunale di Roma, sarebbe leso anche l�art. 117, 
primo comma, Cost., per violazione dei vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario. 
3.1. � La questione non � fondata nei termini di seguito precisati. 
Entrambi i rimettenti omettono di considerare adeguatamente che l�art. 1 del d.lgs. n. 368 
del 2001, dopo aver stabilito, al comma 1, che l�apposizione del termine al contratto di lavoro 
� consentita a fronte di ragioni di carattere (oltre che tecnico, produttivo e organizzativo, 
anche) sostitutivo, aggiunge, al comma 2, che �L�apposizione del termine � priva di effetto 
se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni 
di cui al comma 1�. 
L�onere di specificazione previsto da quest�ultima disposizione impone che, tutte le volte 
in cui l�assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, 
risulti per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione. Infatti, 
considerato che per �ragioni sostitutive� si debbono intendere motivi connessi con l�esigenza 
di sostituire uno o pi� lavoratori, la specificazione di tali motivi implica necessariamente 
anche l�indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire e delle cause della loro sostituzione; 
solamente in questa maniera, infatti, l�onere che l�art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 368 
del 2001 impone alle parti che intendano stipulare un contratto di lavoro subordinato a tempo 
determinato pu� realizzare la propria finalit�, che � quella di assicurare la trasparenza e la veridicit� 
della causa dell�apposizione del termine e l�immodificabilit� della stessa nel corso 
del rapporto. 
Non avendo gli impugnati artt. 1, comma 1, ed 11 del d.lgs. n. 368 del 2001 innovato, sotto 
questo profilo, rispetto alla disciplina contenuta nella legge n. 230 del 1962, non sussiste la 
denunciata violazione dell�art. 77 della Costituzione. 
Invero, l�art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega n. 422 del 2000 consentiva al Governo 
di apportare modifiche o integrazioni alle discipline vigenti nei singoli settori interessati 
dalla normativa da attuare e ci� al fine di evitare disarmonie tra le norme introdotte in sede di 
attuazione delle direttive comunitarie e, appunto, quelle gi� vigenti. 
In base a tale principio direttivo generale, il Governo era autorizzato a riprodurre, nel decreto 
legislativo di attuazione della direttiva 1999/70/CE, precetti gi� contenuti nella previgente disciplina 
del settore interessato dalla direttiva medesima (contratto di lavoro a tempo determinato). 
Infatti, inserendo in un unico testo normativo sia le innovazioni introdotte al fine di 
attuare la direttiva comunitaria, sia le disposizioni previgenti che, attenendo alla medesima 
fattispecie contrattuale, erano alle prime intimamente connesse, si sarebbe garantita la piena 
coerenza della nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico, in conformit� con quanto 
richiesto dal citato art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega. 
Non sussiste neppure la denunciata lesione dell�art. 76 Cost., poich� le norme censurate, 
limitandosi a riprodurre la disciplina previgente, non determinano alcuna diminuzione della 
tutela gi� garantita ai lavoratori dal precedente regime e, pertanto, non si pongono in contrasto 
con la clausola n. 8.3 dell�accordo-quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE, secondo la 
quale l�applicazione dell�accordo non avrebbe potuto costituire un motivo per ridurre il livello 
generale di tutela gi� goduto dai lavoratori. 
Per la stessa ragione (insussistenza, sotto il profilo in esame, di un contrasto con la normativa 
comunitaria) � infondata la censura formulata in riferimento all�art. 117, primo comma, Cost.,
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 225 
il quale impone al legislatore di rispettare i vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario e 
dagli obblighi internazionali. 
4. � Il Tribunale di Roma (r.o. n. 217 del 2008) dubita della legittimit� costituzionale dell�art. 
2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001, aggiunto dall�art. 1, comma 558, della legge 23 
dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale 
dello Stato - Legge finanziaria 2006). In virt� di tale disposizione � consentita l�apposizione 
di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato quando l�assunzione sia effettuata 
da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste per un periodo massimo complessivo 
di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente 
distribuiti e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell�organico 
aziendale, riferito al 1� gennaio dell�anno cui le assunzioni si riferiscono. 
Ad avviso del rimettente, la norma, consentendo alle aziende concessionarie di servizi nei 
settori delle poste di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato (oltre che per le causali 
e nelle forme previste dall�art. 1 dello stesso d.lgs. n. 368 del 2001) anche liberamente entro 
i limiti temporali e quantitativi in essa indicati, violerebbe, da un lato, l�art. 3, primo comma, 
Cost., poich� introdurrebbe, ai danni dei lavoratori operanti nel settore delle poste, una disciplina 
differenziata del lavoro a termine priva di ragionevolezza e di valide ragioni giustificatrici 
e, dall�altro, gli artt. 101, 102 e 104 Cost., perch� l�introduzione di una �acasualit�� per 
le assunzioni a termine nel settore postale sottrarrebbe ingiustificatamente al giudice ordinario 
il potere di verifica delle effettive ragioni oggettive e temporanee poste alla base di dette assunzioni. 
4.1. � La questione non � fondata. 
Innanzitutto non � ravvisabile alcuna lesione dell�art. 3 della Costituzione. 
La norma censurata costituisce la tipizzazione legislativa di un�ipotesi di valida apposizione 
del termine. Il legislatore, in base ad una valutazione � operata una volta per tutte in via generale 
e astratta � delle esigenze delle imprese concessionarie di servizi postali di disporre di 
una quota (15 per cento) di organico flessibile, ha previsto che tali imprese possano appunto 
stipulare contratti di lavoro a tempo determinato senza necessit� della puntuale indicazione, 
volta per volta, delle ragioni giustificatrici del termine. 
Tale valutazione preventiva ed astratta operata dal legislatore non � manifestamente irragionevole. 
Infatti, la garanzia alle imprese in questione, nei limiti indicati, di una sicura flessibilit� 
dell�organico, � direttamente funzionale all�onere gravante su tali imprese di assicurare lo 
svolgimento dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione 
degli invii postali, nonch� la realizzazione e l�esercizio della rete postale pubblica i 
quali �costituiscono attivit� di preminente interesse generale�, ai sensi dell�art. 1, comma 1, 
del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 (Attuazione della direttiva 1997/67/CE concernente 
regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per 
il miglioramento della qualit� del servizio). 
In particolare, poi, in esecuzione degli obblighi di fonte comunitaria derivanti dalla direttiva 
1997/67/CE, l�Italia deve assicurare lo svolgimento del c.d. �servizio universale� (cio� la raccolta, 
il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 chilogrammi; 
la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione dei pacchi postali fino a 20 chilogrammi; 
i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii assicurati: art. 3, comma 2, del 
d.lgs. n. 261 del 1999); tale servizio universale �assicura le prestazioni in esso ricomprese, di 
qualit� determinata, da fornire permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse
226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane, a prezzi accessibili a 
tutti gli utenti� (art. 3, comma 1); l�impresa fornitrice del servizio deve garantire tutti i giorni 
lavorativi, e come minimo cinque giorni a settimana, salvo circostanze eccezionali valutate 
dall'autorit� di regolamentazione, una raccolta ed una distribuzione al domicilio di ogni persona 
fisica o giuridica (art. 3, comma 4); il servizio deve esser prestato in via continuativa 
per tutta la durata dell�anno (art. 3, comma 3). 
Non �, dunque, manifestamente irragionevole che ad imprese tenute per legge all�adempimento 
di simili oneri sia riconosciuta una certa flessibilit� nel ricorso (entro limiti quantitativi 
comunque fissati inderogabilmente dal legislatore) allo strumento del contratto a tempo determinato. 
Si aggiunga che l�art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001 impone alle aziende di comunicare 
ai sindacati le richieste di assunzioni a termine, prevedendo cos� un meccanismo di 
trasparenza che agevola il controllo circa l�effettiva osservanza, da parte datoriale, dei limiti 
posti dalla norma. 
La questione non � fondata neppure sotto il profilo della pretesa violazione degli artt. 101, 
102 e 104 della Costituzione. 
La norma censurata si limita a richiedere, per la stipula di contratti a termine da parte delle 
imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, requisiti diversi rispetto a quelli valevoli 
in generale (non gi� l�indicazione di specifiche ragioni temporali, bens� il rispetto di 
una durata massima e di una quota percentuale dell�organico complessivo). Pertanto il giudice 
ben pu� esercitare il proprio potere giurisdizionale al fine di verificare la ricorrenza in concreto 
di tutti gli elementi di tale dettagliata fattispecie legale. 
5. � Con diciannove distinte ordinanze, le Corti di appello di Torino (r.o. n. 427 del 2008), 
Genova (r.o. n. 441 del 2008), Bari (r.o. n. 12 del 2009), Caltanissetta (r.o. n. 43 del 2009), Venezia 
(r.o. n. 93 del 2009), L�Aquila (r.o. n. 95 del 2009) e Roma (r.o. n. 102 del 2009), ed i Tribunali 
di Roma (r.o. n. 413 del 2008), Ascoli Piceno (r.o. nn. 442 e 443 del 2008), Trieste (r.o. 
n. 4 del 2009), Viterbo (r.o. n. 22 del 2009), Milano (r.o. nn. 25, 26, 27, 28, 86 e 87 del 2009) e 
Teramo (r.o. n. 70 del 2009), hanno sollevato questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 4- 
bis del d.lgs. n. 368 del 2001, introdotto dall�art. 21, comma 1-bis, del d.l. n. 112 del 2008. 
La norma censurata dispone che �Con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata 
in vigore della presente disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di 
violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro � tenuto unicamente 
ad indennizzare il prestatore di lavoro con un�indennit� di importo compreso tra un minimo 
di 2,5 ed un massimo di sei mensilit� dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo 
ai criteri indicati nell�articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti 
individuali), e successive modificazioni�. 
I giudici rimettenti, premettendo che, secondo il �diritto vivente�, in caso di violazione 
delle prescrizioni contenute nell�art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, pu� essere disposta la conversione 
del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e riconosciuta al lavoratore 
una tutela risarcitoria piena, affermano che l�art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001 violerebbe: 
l�art. 3 Cost., poich� � fonte di irragionevole disparit� di trattamento, collegata al solo dato 
temporale del momento di proposizione del ricorso giudiziale, tra lavoratori che si trovano 
nella identica situazione di fatto (r.o. nn. 413, 427, 441, 442 e 443 del 2008; 4, 12, 25, 26, 27, 
28, 43, 86, 87 e 93 del 2009); l�art. 3 Cost., in quanto introduce una disciplina priva di ragionevolezza, 
perch�: a) interviene nei rapporti di diritto privato sacrificando arbitrariamente il 
diritto del lavoratore assunto illegittimamente a tempo determinato a godere della tutela ga-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 227 
rantita dalla legge vigente all�epoca dell�instaurazione del rapporto e favorendo contemporaneamente 
il datore di lavoro che ha dato luogo all�illegittimit� (r.o. nn. 442 e 443 del 2008); 
b) non � ravvisabile alcuna giustificazione razionale nel fatto che la disposizione modifichi 
la regola sostanziale rispetto ad una categoria di soggetti, riducendo la tutela mentre pendono 
i giudizi, proprio e solo per il fatto di avere una causa in corso (r.o n. 102 del 2009); c) la delimitazione 
temporale del trattamento discriminatorio si riferisce alla mera pendenza del processo, 
e quindi ad una circostanza assolutamente accidentale (r.o. nn. 22, 70 e 95 del 2009); 
gli artt. 3, primo comma, e 24 Cost., perch� v�ola il generale principio dell�affidamento legittimamente 
posto dal cittadino sulla certezza dell�ordinamento giuridico (r.o. nn. 413 del 2008; 
12, 22 e 70 del 2009); l�art. 10 Cost., poich� lede il principio di parit� di trattamento che � 
principio generale del diritto internazionale e comunitario che l�Italia si � impegnata a rispettare 
(r.o. nn. 25, 26, 27, 28, 86 e 87 del 2009); gli artt. 11, secondo periodo, e 117, primo 
comma, Cost., perch�, riducendo la tutela accordata in precedenza dall�ordinamento ai lavoratori 
assunti con contratto a tempo determinato, v�ola la clausola 8, punto 3, dell�accordo 
quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE e, conseguentemente, 
l�obbligo del legislatore interno di rispettare i vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario 
ed internazionale (r.o. nn. 442 e 443 del 2008); l�art. 24 Cost., perch� compromette 
il diritto di difesa dei lavoratori ricorrenti, sottraendo loro la possibilit� di ottenere il vantaggio 
della conversione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la cui prospettiva 
aveva direttamente condizionato l�esercizio del loro diritto di azione (r.o. nn. 427 del 2008; 
24, 25, 26, 27, 28, 43, 86, 87, 93 e 102 del 2009); l�art. 111 Cost., con riferimento al principio 
del giusto processo, perch� la norma censurata modifica, nel corso dei procedimenti giudiziali, 
la tutela sostanziale accordabile al diritto azionato, senza che ricorrano idonee ragioni oggettive 
o generali (r.o. nn. 93 e 102 del 2009); gli artt. 101, 102, secondo comma, e 104, primo 
comma, Cost., poich� un intervento legislativo che riguardi solamente alcuni giudizi in corso 
ad una certa data � privo del requisito di astrattezza proprio delle norme giuridiche ed assume 
un carattere provvedimentale generale invasivo dellՈmbito riservato alla giurisdizione (r.o. 
nn. 413 del 2008 e 22 del 2009); l�art. 117, primo comma, Cost., in connessione con l�art. 6 
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali firmata 
a Roma il 4 novembre 1950 (ratificata dalla legge 4 agosto 1955, n. 848), il quale impedisce 
al legislatore di intervenire con norme ad hoc per la risoluzione di controversie in corso (r.o. 
nn. 413 e 441 del 2008; 4, 12, 22, 43, 25, 26, 27, 28, 70, 86, 87, 93, 95 e 102 del 2009); l�art. 
117, primo comma, Cost., poich� la norma censurata costituisce un completamento o una modifica 
del d.lgs. n. 368 del 2001 e dunque un�applicazione della direttiva 1999/70/CE e avrebbe 
pertanto dovuto rispettare la clausola di non regresso enunciata nella clausola 8, punto 3, dell�accordo 
quadro recepito dalla medesima direttiva (r.o. nn. 25, 26, 27, 28, 86 e 87 del 2009). 
5.1. � Nel giudizio introdotto dall�ordinanza n. 4 del 2009 � intervenuta l�associazione �Articolo 
21 Liberi di�, che non era parte nel relativo giudizio a quo. 
Per costante giurisprudenza di questa Corte, possono partecipare al giudizio incidentale di 
legittimit� costituzionale le sole parti del giudizio principale e i terzi portatori di un interesse 
qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio (da ultimo, 
sentenza n. 47 del 2008). L�associazione �Articolo 21 Liberi di� motiva il proprio intervento 
con la necessit� di rappresentare alla Corte che il lavoro precario � largamente diffuso anche 
nel settore dell�editoria e della radiotelevisione. L�interesse dell�associazione �, quindi, privo 
di correlazione con le specifiche e peculiari posizioni soggettive dedotte nel giudizio principale 
ed il suo intervento deve essere dichiarato inammissibile. 
228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
5.2. � Le questioni sollevate dalle Corti di appello di Torino, Caltanissetta, Venezia e L�Aquila 
e dal Tribunale di Teramo sono inammissibili per insufficiente motivazione sulla rilevanza. 
Infatti gli atti di rimessione nulla dicono circa la legittimit� o meno del termine apposto ai 
contratti di lavoro oggetto dei relativi giudizi a quibus. Pertanto questa Corte non � posta in 
condizione di verificare la sussistenza, nelle singole fattispecie, del requisito della rilevanza, 
perch� ben potrebbe darsi che, in quelle ipotesi, non sussista violazione n� dell�art. 1, n� dell�art. 
2, n� dell�art. 4 del d.lgs. n. 368 del 2001, con conseguente inapplicabilit� dell�art. 4-bis 
del d.lgs. n. 368 del 2001 nei giudizi principali. 
5.3. � La questione sollevata dalla Corte d�appello di Bari � inammissibile per un�analoga 
ragione. Infatti, il giudice a quo si esprime in termini meramente possibilistici circa la fondatezza 
della tesi � sostenuta dal lavoratore � della nullit� del termine apposto al contratto per 
cui � causa e, quindi, neppure in tal caso questa Corte pu� essere certa della rilevanza della 
questione. 
5.4. � Le questioni sollevate dal Tribunale di Milano sono inammissibili per difetto di rilevanza, 
perch� nella motivazione di ciascun atto di rimessione si legge che il relativo giudizio 
a quo � stato promosso dopo l�entrata in vigore della norma censurata, mentre l�art. 4-bis del 
d.lgs. n. 368 del 2001 si applica solamente alle controversie in corso alla data della sua entrata 
in vigore. 
5.5. � Residuano, pertanto, le questioni sollevate dalle Corti d�appello di Genova e di Roma 
e dai Tribunali di Roma, Ascoli Piceno, Trieste e Viterbo. 
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l�inammissibilit� di tali questioni (ad 
eccezione di quella sollevata dal Tribunale di Roma), perch� i rimettenti non hanno spiegato 
per quale ragione, nella fattispecie concreta oggetto del loro giudizio, pur ammettendo che il 
termine sia stato illegittimamente apposto, non si dovrebbe dichiarare l�estinzione del rapporto 
per mutuo consenso. 
L�eccezione non � fondata. 
In effetti, l�ordinanza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 442 del 2008 espressamente d� atto 
dell�infondatezza dell�eccezione di estinzione del rapporto per mutuo consenso sollevata dal 
datore di lavoro nel giudizio principale. 
Nelle ordinanze delle Corti di appello di Genova e di Roma sono indicate le eccezioni sollevate 
in secondo grado dalle parti datoriali e tra esse non figura quella di estinzione del rapporto 
per mutuo consenso; ci� � sufficiente al fine di ritenere rilevante la questione di 
legittimit� dell�art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001 nei relativi giudizi principali, poich� questi 
ultimi sono giudizi di secondo grado nei quali, in difetto di una specifica eccezione sollevata 
dalla parte interessata, il giudice non pu� affermare l�estinzione del rapporto di lavoro per 
mutuo consenso. 
Analogamente, nell�ordinanza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 443 del 2008 sono riportate 
tutte le difese del datore di lavoro e, tra queste, non vՏ l�eccezione di estinzione per mutuo 
consenso, non rilevabile d�ufficio. 
Nella propria ordinanza di rimessione il Tribunale di Trieste lascia impregiudicata l�eccezione 
di estinzione per mutuo consenso formalmente eccepita dal datore di lavoro e tuttavia 
aggiunge che, in ogni caso, nella fattispecie oggetto del giudizio a quo, vi sarebbero gli estremi 
per la dichiarazione della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dalla 
data di sottoscrizione del primo contratto di lavoro a tempo determinato tra le parti alla scadenza 
dell�ultimo; conseguentemente, l�art. 4-bis impedirebbe anche tale, sia pure ridotta, declaratoria 
di conversione del rapporto.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 229 
L�ordinanza del Tribunale di Viterbo � stata pronunciata nel corso di un giudizio cautelare 
promosso poco dopo la scadenza del contratto a termine, onde � avendo il lavoratore immediatamente 
reagito in sede giudiziale � non sussiste la circostanza del consistente lasso di 
tempo intercorso tra la scadenza del termine e la proposizione del ricorso giudiziale richiesta 
dalla giurisprudenza di legittimit� per poter affermare che si sia formato un mutuo consenso 
per l�estinzione del rapporto. 
5.6. � Con riferimento alle questioni sollevate proprio dal Tribunale di Viterbo, il Presidente 
del Consiglio dei Ministri eccepisce, inoltre, la loro inammissibilit� perch�, dalla motivazione 
dell�ordinanza di rimessione, apparirebbe che la fattispecie dedotta nel giudizio principale sia 
da ricondurre all�ambito di operativit� dell�art. 5 del d.lgs. n. 368 del 2001 (che disciplina 
l�ipotesi della successione dei contratti a termine), fattispecie cui non si applica l�art. 4-bis 
dello stesso d.lgs. n. 368. 
L�eccezione non � fondata. 
Infatti il Tribunale di Viterbo afferma espressamente che l�ordine di riammissione in servizio 
della lavoratrice � contenuto nell�ordinanza pronunciata ai sensi dell�art. 700 cod. proc. civ. 
contro la quale � stato proposto il reclamo che il rimettente deve decidere � � stato pronunciato 
perch� il giudice di prime cure aveva ritenuto la violazione dell�art. del d.lgs. n. 368 del 2001 
per omessa indicazione delle causali dell�assunzione a tempo determinato, fattispecie che 
rientra pacificamente nell'�mbito di operativit� dell�art. 4-bis del d.lgs. n. 368. 
5.7. � Nel merito le questioni sollevate in riferimento all�art. 3 Cost. dalle Corti d�appello 
di Genova e di Roma e dai Tribunali di Roma, Ascoli Piceno, Trieste e Viterbo sono fondate. 
In effetti, situazioni di fatto identiche (contratti di lavoro a tempo determinato stipulati 
nello stesso periodo, per la stessa durata, per le medesime ragioni ed affetti dai medesimi vizi) 
risultano destinatarie di discipline sostanziali diverse (da un lato, secondo il diritto vivente, 
conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato e risarcimento del danno; dall�altro, 
erogazione di una modesta indennit� economica), per la mera e del tutto casuale circostanza 
della pendenza di un giudizio alla data (anch�essa sganciata da qualsiasi ragione 
giustificatrice) del 22 agosto 2008 (giorno di entrata in vigore dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 
del 2001, introdotto dall'art. 21, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112). 
Siffatta discriminazione � priva di ragionevolezza, n� � collegata alla necessit� di accompagnare 
il passaggio da un certo regime normativo ad un altro. Infatti l�intervento del legislatore 
non ha toccato la disciplina relativa alle condizioni per l�apposizione del termine o per la 
proroga dei contratti a tempo determinato, ma ha semplicemente mutato le conseguenze della 
violazione delle previgenti regole limitatamente ad un gruppo di fattispecie selezionate in 
base alla circostanza, del tutto accidentale, della pendenza di una lite giudiziaria tra le parti 
del rapporto di lavoro. 
Deve pertanto essere dichiarata lillegittimit� costituzionale dell�art. 4-bis del d.lgs. n. 368 
del 2001, con assorbimento delle questioni sollevate in riferimento ad altri parametri costituzionali 
dalle Corti d�appello di Genova e di Roma e dai Tribunali di Roma, Ascoli Piceno, 
Trieste e Viterbo. 
P.Q.M. 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
riuniti i giudizi, 
1) dichiara l�illegittimit� costituzionale dell�art. 4-bis del decreto legislativo 6 settembre 
2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all�accordo quadro sul lavoro a
230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
tempo determinato concluso dall�UNICE, dal CEEP e dal CES), introdotto dall�art. 21, comma 
1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, 
la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione 
tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; 
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimit� costituzionale del medesimo art. 4-bis 
del d.lgs. n. 368 del 2001, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 10, 11, 24, 111, 117, primo 
comma, della Costituzione, dalle Corti di appello di Torino, Bari, Caltanissetta, Venezia e 
L�Aquila e dai Tribunali di Milano e Teramo con le ordinanze indicate in epigrafe; 
3) dichiara non fondate le questioni di legittimit� costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 
11 del d.lgs. n. 368 del 2001, sollevate, in riferimento agli artt. 76, 77 e 117, primo comma, 
della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l�ordinanza n. 413 del 2008 e dal Tribunale di 
Trani con l�ordinanza indicata in epigrafe; 
4) dichiara non fondata la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 2, comma 1-bis, 
del d.lgs. n. 368 del 2001, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 101, 102 e 104 
della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l�ordinanza n. 217 del 2008. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l�8 
luglio 2009.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 231 
Dossier 
La funzione dell�istanza di prelievo nei 
ricorsi per equa riparazione dell�irragionevole 
durata del processo 
Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione 
ed alla luce dei nuovi interventi normativi 
IN ALLEGATO: 1.- Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 6 marzo 2003 
n. 3347. 2.- Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 17 aprile 2003 n. 6180. 
3.- Corte Suprema di Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza 23 dicembre 2005 n. 28507. 
4.- Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 28 novembre 2008 n. 28428. 
E� noto che nel comparto della giustizia amministrativa esiste un notevole 
arretrato di giudizi tuttora pendenti imputabile soprattutto all�atteggiamento 
sventato che i vari Governi, succedutisi nel corso degli ultimi trenta anni, 
hanno mostrato rispetto alla giurisdizione amministrativa nel momento culminante 
della formazione della legge di bilancio, destinandole risorse finanziarie 
a dir poco esigue. Cos� il modesto organico del personale di magistratura 
(meno di cinquecento giudici) e l�altrettanto striminzito organico del personale 
di segreteria (meno di mille dipendenti) non sono stati in grado di assicurare 
uno svolgimento celere delle cause, nonostante uno sforzo encomiabile, ma 
purtroppo vano davanti alle centinaia di migliaia di ricorsi ammassati in archivi 
cartacei straripanti. 
Certamente, l�incapacit� della giurisdizione amministrativa di far fronte 
tempestivamente alla domanda di giustizia si traduce in un malessere che non 
va sottovalutato: questi ritardi rappresentano, a volte, quasi un diniego di giustizia 
per i ricorrenti ma sono dannosi anche per le stesse amministrazioni, che 
restano esposte al possibile annullamento dei propri atti dopo molti anni, 
quando diventa pi� difficile ripristinare le situazioni giuridiche lese nel quadro 
di una composizione legittima ed efficace degli interessi, mediante il corretto 
esercizio dell�attivit� amministrativa. 
Le innumerevoli problematiche legate all�arretrato della giustizia amministrativa 
italiana hanno sollecitato l�introduzione, nella prassi e nella stessa 
giurisprudenza (Consiglio di Stato, sentenza 15 settembre 1986, n. 676), di 
quella che ha assunto la comune denominazione di �istanza di prelievo�, riconoscendosi 
cio� ad una delle parti la possibilit� di produrre al presidente 
medesimo una (ulteriore) richiesta, �intesa a far pervenire il giudizio ad una 
sollecita definizione�, attraverso la quale il giudice, dietro illustrazione dei
232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
concreti motivi di urgenza, � stimolato ad anticipare l�udienza di discussione 
del ricorso (1), con la consequenziale deroga del rigido criterio cronologico 
di trattazione delle cause fondato sulla data della domanda di fissazione. Tale 
istanza, della quale si pu� rinvenire una qualche traccia nelle norme procedurali 
(2) (art. 51, comma 2, del Regio Decreto n. 642 del 1907: �Nello stesso 
decreto di fissazione di udienza il Presidente pu�, ad istanza di parte o d�ufficio, 
dichiarare il ricorso urgente�), svolge la funzione primaria di impedire 
l�estinzione del ricorso giurisdizionale per perenzione ordinaria, una volta che 
sia stata presentata dal difensore del ricorrente con apposito atto distinto dal 
ricorso introduttivo. 
(1) A questo proposito giova ricordare che la giurisprudenza della CEDU, se per un verso ha ritenuto 
che, nei casi in cui � possibile, grava sulla parte l�onere di promuovere l�accelerazione dell�iter 
processuale, chiedendo, ad esempio, di anticipare l�udienza (CEDU 15 novembre 1996, Ceteroni c. Italia), 
sul presupposto che le parti stesse debbono partecipare con diligenza agli adempimenti, astenersi 
dal ricorrere ad espedienti dilatorie e �servirsi delle possibilit� offerte dall�ordinamento interno per abbreviare 
il giudizio�, senza peraltro porre in essere manovre al di fuori della norma (CEDU 7 luglio 
1989, Union Alimentaria Sanders c. Spagna), dall�altro ha tuttavia affermato che � compito degli Stati 
membri �organizzare il rispettivo sistema giudiziario in modo tale da assicurare una durata ragionevole 
dei procedimenti� (CEDU 13 luglio 1983, Zimmermann c. Svizzera; CEDU 25 giugno 1987, Baggetta 
c. Italia; CEDU 24 maggio 1991, Caleffi c. Italia; Pugliese c. Italia; Vocaturo c. Italia), onde il principio 
del termine ragionevole enunciato dall�art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea �non esonera i 
tribunali dall'obbligo di procedere senza dilazioni� (CEDU 7 luglio 1989, cit.) ed il fatto, in specie, che 
il ricorrente non abbia inoltrato alcuna istanza per far fissare con urgenza la discussione della causa costituisce 
una ragione che �non giustifica... i gravi ritardi in cui (siano) incorse le autorit� nazionali� 
(CEDU 24 maggio 1991, Vocaturo c. Italia, cit.). 
Se pure, quindi, nella sfera della giurisdizione amministrativa, al pari di quanto accade in quella civile 
(l� dove figura la possibilit� di ricorrere all'abbreviazione di termini, all�anticipazione di udienze e ad 
istanze sollecitatorie di vario genere), � ammissibile che la parte ricorrente abbia l�onere di attivarsi al 
fine di promuovere, con il suo comportamento, una speciale celerit� del processo o, comunque, la pi� 
rapida conclusione di esso, sollecitando appunto l�uso, da parte del giudice, dei suoi poteri officiosi e 
riducendo cos� la durata che si stia palesando irragionevole, occorre tuttavia riconoscere che l�Amministrazione 
deve comunque provvedere ad organizzare gli uffici giudiziari in modo tale che questi ultimi 
- pure nel caso in cui gli utenti non risultino diligenti nella cura dei propri interessi - siano in grado di 
provvedere in tempi sufficientemente celeri, ovvero in modo tale che venga assicurata la ragionevole 
durata dei processi, in condizioni non soltanto normali ma anche di emergenza. 
(2) La norma di procedura regolante l�istanza in discorso, nel trentennio di vita dei TAR ha ricevuto 
costante e diffusa applicazione nella fissazione delle udienze innanzi ai Tribunali Amministrativi 
Regionali, essendo altres� prevista l�annotazione delle istanze di urgenza nel registro delle domande di 
fissazione di udienza dal comma 1 dell�art. 24 del Regolamento di esecuzione della L. n. 1034 del 1971 
approvato con D.P.R. n. 214 del 1973. 
Ne deriva che la diffusione dello strumento acceleratorio costituito dalla proposizione della menzionata 
istanza di prelievo al fine di pervenire alla (pi�) sollecita discussione del ricorso innanzi al T.A.R. � 
frutto, anche ad avviso della Corte di Cassazione, pi� che di una prassi di applicazione estensiva ai relativi 
giudizi di norma posta in altra sedes materiae, di una applicazione diffusa e sistematica dei principi 
impliciti nella norma regolamentare dell�annotazione delle istanze d�urgenza (art. 24 c. 1 D.P.R. n. 214 
del 1973 cit.), applicazione che ben si pu� definire come integrante il diritto vivente della procedura innanzi 
ai T.A.R. (che oggi vede il ricorso alla previsione di un invito alla riproposizione di istanza di sollecito 
per i ricorsi �ultradecennali�, la cui inosservanza � sanzionata con l�adozione del decreto di 
perenzione ex art. 9 L. n. 205 del 2000).
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 233 
L�istanza di prelievo, tuttavia, nata quale strumento atto a consentire l�accesso 
ad una corsia preferenziale nella lunga corsa per la definizione del giudizio, 
ha assunto notevole centralit� ai fini dell�accoglimento dei ricorsi per il 
ristoro della irragionevole durata del processo, secondo il disposto dell�art. 2, 
comma 1, L. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. Legge Pinto). 
La citata norma introduce nell�ordinamento giuridico interno un rimedio 
specifico per tutelare il diritto ad un�equa riparazione del danno patrimoniale 
e non patrimoniale cagionato dall�irragionevole prolungarsi dei tempi del giudizio, 
come gi� previsto dall�art. 6, � 1, della Convenzione per la salvaguardia 
dei diritti dell�Uomo e delle libert� fondamentali del 1950, ratificata dalla L. 
4 agosto 1955, n. 848 (3). 
In buona sostanza, viene offerta tutela ai tutti quei cittadini che si sono 
trovati costretti, loro malgrado e per cause indipendenti dalla loro volont�, ad 
attendere anni per vedere definito un processo. Le sofferenze psicologiche, le 
ansie ed i patemi d�animo, che inevitabilmente colpiscono chi si trova a dover 
sopportare le lungaggini processuali, trovano ristoro nel riconoscimento di un 
diritto all�indennit� da ritardo da richiedere allo Stato. Naturalmente tale riconoscimento 
dovr� passare attraverso l�accertamento di determinati criteri, 
quali la complessit� della causa, il comportamento delle parti, del giudice e di 
ogni altra autorit� chiamata a concorrere o comunque a contribuire alla definizione 
del processo. 
Ebbene, proprio in virt� della sua straordinaria funzione accelerativa, 
nello scenario prospettato dal Legislatore con la legge n. 89/2001, il deposito 
della domanda di prelievo viene a configurarsi come una particolare forma di 
collaborazione tra gli avvocati delle parti e gli uffici di segreteria del giudice 
amministrativo per una pi� agevole definizione del giudizio, l�omessa presentazione 
della stessa manifestando � al contrario � un marcato disinteresse della 
parte ricorrente alla durata del giudizio e, per questa via, l�assenza di una presunta 
�sofferenza morale� causata da tale durata. Su questo punto nei primi 
indirizzi giurisprudenziali delle Corti di appello, competenti a pronunciarsi 
sul risarcimento del danno per violazione del termine ragionevole del giudizio, 
si sono evidenziate due tesi diametralmente contrapposte: un primo indirizzo 
considerava la mancata presentazione dell�istanza di prelievo da parte dell�avvocato 
difensore, durante la pendenza del processo amministrativo, come una 
(3) Lo strumento di tutela introdotto dalla predetta L. n. 89/2001 ha decisamente contribuito a 
sgravare la Corte di giustizia dei diritti dell�Uomo di Strasburgo dall�ingente numero di ricorsi presentati 
dai cittadini italiani, e tutela in maniera pi� efficace gli interessi dei singoli, considerando anche la sussidiariet� 
della tutela offerta dalla Convenzione dei diritti dell�Uomo rispetto ai pi� incisivi rimedi offerti 
da ciascun ordinamento nazionale. Inoltre, la L. 24 marzo 2001, n. 89 trova un valido e solido sostegno 
di rango costituzionale nell�art. 111 Cost., cos� come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 
1999, n. 2, che ha codificato per la prima volta nella nostra carta costituzionale il principio del giusto 
processo.
234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
responsabilit� diretta e personale della parte per le lungaggini giudiziali, con 
la conseguente negazione del diritto all�equa riparazione per l�eccessiva durata 
del processo (4); diversamente, un secondo e pi� ortodosso indirizzo giurisprudenziale 
valutava irrilevante la citata omessa presentazione, condannando 
lo Stato a risarcire il danno. 
In verit� il fatto che per prassi l�accoglimento o il rigetto dell�istanza di 
prelievo venga affidato alla valutazione ampiamente discrezionale del presidente 
(art. 51, cit. �Il presidente pu�� dichiarare il ricorso urgente�) induce 
a dubitare sulla sua efficacia reale di affrettare la conclusione del giudizio attraverso 
una decisione sul merito. 
La questione concernente la rilevanza � in sede di accertamento della pretesa 
violazione all�obbligo di rispetto del termine ragionevole di cui all�art. 6 
par. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo (art. 2 
comma 2 L. n. 89 del 2001) � della mancata tempestiva proposizione della 
istanza di prelievo al Presidente del T.A.R. ha destato sin da subito l�interesse 
anche della giurisprudenza di legittimit�. Tuttavia, la soluzione data al quesito 
in esame non � stata, nelle pronunzie della Corte di Cassazione, del tutto omogenea. 
Mentre, infatti, con alcune pronunzie pubblicate nel 2002 (5) i giudici 
di legittimit� hanno affermato la rilevanza assorbente che assume il rinvio al 
comportamento delle parti nell�accertamento della violazione della durata ragionevole 
(art. 2, comma 2, L. n. 89 del 2001), s� da escludere l�addebitabilit� 
all�Amministrazione dei tempi imputabili alla negligente condotta delle parti 
(4) Cos�, ex exemplis, Corte d�Appello di Genova, Decreto 18 giugno 2002; Corte d�Appello, Napoli, 
Decreto 5 marzo 2002 e Corte d�Appello di Roma, Decreto 27 dicembre 2001/15 gennaio 2002, la 
quale ha ritenuto che il mancato tempestivo deposito (solo supposto ma non provato) dell�istanza di 
prelievo costituisse un comportamento dilatorio della ricorrente, addebitandole l�intero ritardo nella decisione 
del ricorso e lasciando cos� intendere che, senza istanza di prelievo, non potesse essere discusso 
e deciso un ricorso, con evidente confusione tra istanza di fissazione dell�udienza di discussione ed 
istanza di prelievo. Lo stesso giudice, qualificando erroneamente l�istanza di prelievo come un obbligo 
processuale il cui inadempimento bloccherebbe o ritarderebbe il processo, ha fatto derivare dalla sua 
tardiva presentazione addirittura l�insussistenza giuridica della lamentata violazione del diritto all�equa 
riparazione ex legge n. 89/2001, pur materialmente presente, laddove una simile tardiva presentazione, 
configurandosi esattamente in termini di mancato esercizio di una facolt� ai fini dell�eventuale accelerazione 
del processo, al pi� poteva essere tenuta presente, come fattore riduttivo, nella quantificazione 
del danno da liquidare. 
(5) Confronta Cass. 5 novembre 2002, n. 15445 e Cass. 14 novembre 2002, n. 15992, ove si stabilisce 
che, nel valutare il comportamento delle parti, il giudice debba �escludere la liquidazione del 
previsto indennizzo allorch� la parte, col suo comportamento, abbia concorso a determinare la durata 
che si assume eccessiva; in tale prospettiva, � legittimo considerare, oltre che il ritardo nella presentazione, 
da parte del ricorrente nel giudizio amministrativo, della richiesta di fissazione di udienza ai 
sensi dell'art. 23 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, il mancato tempestivo inoltro dell�stanza di prelievo, 
a nulla rilevando che detta istanza costituisca una facolt�, e non un obbligo, per il ricorrente, atteso 
che colui il quale non ha fatto ricorso ai mezzi acceleratori posti a sua disposizione 
dall�ordinamento non pu� poi allegare, a fondamento del diritto all�equa riparazione del danno da ritardo, 
la maggiore durata che il mancato avvalimento di essi, valutabile alla stregua di un comportamento 
inerte, ha introdotto nella procedura�.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 235 
stesse nel non avvalersi dello strumento acceleratorio disponibile (6), la sentenza 
del 6 marzo 2003, n. 3347 ha puntato � con ampia e diffusa applicazione 
diretta dei principi della giurisprudenza della CEDU � sulla permanente inadempienza 
dell�Amministrazione nel non aver organizzato il servizio in modo 
da assicurare celerit� �...anche a favore degli utenti che non risultino diligenti 
nella cura dei propri interessi...�. 
Dall�ultimo citato arresto derivava un orientamento minoritario secondo 
cui la mancata presentazione dell�istanza di prelievo non poteva influire sul calcolo 
dei termini del processo (7), bens� incidere unicamente sulla determinazione 
dell�entit� dell�equa riparazione spettante con riferimento all�art. 1227, comma 
2, c.c. (richiamato nella L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3), il quale esclude il 
risarcimento dei danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando l�ordinaria 
diligenza, col risultato che la durata irragionevole del processo, ancorch� 
accertata, non potrebbe porsi esclusivamente a carico dello Stato. 
Cinonostante, il prevalente orientamento giurisprudenziale, consolidatosi 
in seno alla Corte di Cassazione fino all�affermarsi della ormai famosa decisione 
a Sezioni Unite n. 28507/2005, ha ritenuto che in tema di equa riparazione ai 
sensi della Legge 24 marzo 2001 n. 89, la negligenza della parte ricorrente dinanzi 
al Tribunale Amministrativo Regionale nella presentazione dell�istanza 
di prelievo � strumento offerto dall�ordinamento processuale per pervenire alla 
pi� sollecita definizione del ricorso � trova la sua collocazione non gi� nella 
sedes materiae della liquidazione del danno (art. 1227, comma 2, c.c.), ma 
nello scrutinio di �adeguatezza� del comportamento della parte ex art. 2, 
comma 2, della legge citata, tra gli elementi costituitivi del fatto generatore 
di indennizzo, rilevando cio� come comportamento oggettivo, determinante 
(6) Nello stesso senso, le corti di merito, (vedi, ex multis, Corte d�Appello, Napoli, Decreti 26 
marzo 2004, 16 luglio-2 ottobre 2004, 25 ottobre 2004 e 10 giugno 2005 e Corte d�Appello, Venezia, 
decreto 8 luglio 2004), hanno negato l�addebitabilit� della durata del giudizio innanzi al TAR alla responsabilit� 
dello Stato, non avendo il ricorrente inoltrato l�istanza di prelievo, ritenuto impulso di parte 
indispensabile alla sollecita definizione del giudizio amministrativo, e statuendo che solo con la proposizione 
della detta istanza (ed a partire da quella data) il decorrere del tempo avrebbe potuto costituire 
comportamento omissivo, generante stato di tensione-danno morale, e conseguentemente determinante 
il momento di partenza ai fini della valutazione dell'arco di durata del processo. 
(7) �Ai fini dell�apprezzamento della fondatezza della domanda, proposta a norma degli articoli 
2 e 3 della legge 24 marzo 2001, n. 89, di equa riparazione del danno, patrimoniale e non patrimoniale, 
che possa essere derivato al ricorrente per effetto del ritardo eccedente il termine ragionevole di cui al 
primo comma del citato art. 2, la mancanza di opportuni impulsi sollecitatori, provenienti dalla parte 
interessata, tesi ad ottenere una pi� spedita trattazione della causa, del genere della cosiddetta �istanza 
di prelievo� nel processo amministrativo, non incide sul calcolo dei tempi del processo stesso, nel senso 
che il difetto di un tale comportamento rileva ai soli fini della liquidazione dell�equa riparazione anzidetta, 
onde la possibilit� di addivenire alla richiesta di simili anticipazioni (come, in senso pi� largo, 
ad altre istanze di natura analoga) integra l�ordinaria diligenza processuale ed il relativo, mancato 
esercizio, a differenza dell'ipotesi in cui mezzi siffatti non risultino previsti dall'ordinamento, esclude 
che la durata irragionevole del giudizio venga imputata esclusivamente allo Stato� (Cass. Civ., Sez. I, 
sentenza 6 marzo 2003, n. 3347).
236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
la mancata attivazione dell�organo di giustizia amministrativa, valutabile come 
causa, o come concausa, della non ragionevolezza del tempo trascorso; ne deriva 
che soltanto con la proposizione di detta istanza (ed a partire da quella 
data) il decorrere del tempo diventa esclusivo parametro di valutazione del 
comportamento dell�organo di giustizia ai fini dello scrutinio della ragionevolezza 
della durata del processo. Pi� precisamente, il Giudice di legittimit� ha 
affermato che: �a) la scelta legislativa - di collocare il comportamento delle 
parti, al pari di quello del giudice e di ogni altra pubblica autorit�, tra gli oggetti 
dello scrutinio di merito sulla irragionevolezza della durata del processo 
(art. 2 c. 2 L. n. 89 del 2001 cit.) - appare eloquente dell�obiettivo politico perseguito, 
in coerenza con il rifiuto di fissare astratti parametri cronologici di 
durata ragionevole: la valutazione di irragionevolezza non deve discendere 
dalla pervasiva presunzione di addebitabilit� all�Amministrazione di ogni durata 
rapportabile a carenza nell�organizzazione del servizio ma dalla equilibrata 
ponderazione del ruolo avuto, nel concreto del processo in disamina, dai 
suoi attori pubblici e privati rispetto alla domanda di giustizia che quella controversia, 
con la sua complessit� o semplicit�, proponeva allo Stato-apparato; 
b) in tal senso, la negligenza della parte istante nel non essersi avvalsa dello 
strumento di attivazione od acceleratorio che il �diritto vivente� ha messo a 
sua disposizione nel processo innanzi ai T.A.R. rileva come comportamento 
oggettivo che ha dato causa - altrettanto oggettivamente - alla mancata attivazione 
dell'organo di giustizia e che l�art. 2 comma 2 L. n. 89 del 2001 pi� 
volte citato impone di valutare come causa, o concausa, della non ragionevolezza 
del tempo trascorso: di talch�, se a nulla rileva sottolineare la non obbligatoriet� 
della proposizione dell�istanza e se altrettanto non rileva notare 
che, alla sua presentazione, non si rinviene l�espressa previsione di un obbligo 
per il Presidente del TAR di procedere alla immediata fissazione, � assolutamente 
rilevante il tempo in cui l�istanza viene proposta nel senso che con la 
sua proposizione, e solo da quella data, il decorrere del tempo diventa esclusivo 
parametro di valutazione del comportamento dell�organo di giustizia ai fini 
dello scrutinio della ragionevolezza della durata (a carico del quale la proposizione 
stessa, in forza del richiamato diritto vivente, determina una palese 
�traslatio� degli oneri di attivazione e del correlato disvalore per l�inosservanza); 
c) se, dunque, l�efficienza causale della tempestiva o tardiva proposizione 
dell��istanza di prelievo� trova la sua collocazione propria nello 
scrutinio di �adeguatezza� del comportamento della parte (art. 2 c. 2 della L. 
n. 89 del 2001), ne discende l�impropriet� della sua considerazione nella 
�sedes materiae� della liquidazione del danno (l�art. 1227 c.c. cpv. richiamato 
dall�art. 2056 c.c. al quale fa rinvio il comma 3 dell�art. 2 della legge n. 89 del 
2001). Ed invero, l�uso che la parte faccia, od ometta, di una opportunit� processuale 
offertale dall�ordinamento � naturalmente quanto esclusivamente 
compreso tra gli oggetti dello scrutinio sulla irragionevolezza della durata del
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 237 
processo e cio� tra gli elementi costitutivi del fatto generatore dell�obbligo di 
indennizzo, e non pu� rifluire, in seconda battuta, anche nella sede dello scrutinio 
della diligenza del creditore nell�elidere al possibile i danni arrecati (a 
ci� ostando i formulati rilievi di ordine sistematico sul carattere assorbente del 
ruolo avuto dagli �attori� del processo nella sua durata)� (Corte di Cassazione, 
Sez. I, sentenza 17 aprile 2003, n. 6180). 
Tale orientamento giurisprudenziale, come gi� anticipato, ha subito un violento 
contraccolpo con la sentenza resa a Sezioni Unite n. 28507 del 23 dicembre 
2005 (8), allorquando il Supremo Giudice di legittimit� ha statuito, in 
adesione all�indirizzo espresso dalla Corte di Strasburgo ma ancora fortemente 
minoritario nel panorama giurisprudenziale nazionale, che: �in tema di equa 
riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla 
definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all�art. 6, paragrafo 
1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� 
fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, 
con riferimento al periodo intercorso dall�instaurazione del relativo 
procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata 
della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell�istanza 
di prelievo od alla ritardata presentazione di essa. La previsione di 
strumenti sollecitatori, infatti, non sospende n� differisce il dovere dello Stato 
di pronunciare sulla domanda, in caso di omesso esercizio degli stessi, n� implica 
il trasferimento sul ricorrente della responsabilit� per il superamento del 
termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione 
del comportamento della parte al solo fine dell�apprezzamento della entit� 
del lamentato pregiudizio nel senso, peraltro, che il mancato ricorso agli 
anzidetti strumenti pu�, semmai, essere valutato agli effetti di una �diminuzione� 
di tale entit�, non anche nel senso che l�esperimento, al contrario, di 
simili rimedi pu� consentire al giudice di �aumentare� l�entit� stessa�. Tale 
indirizzo � stato, negli anni seguenti, riconfermato dalla stessa Cassazione (9). 
Pertanto, secondo la posizione che la Suprema Corte ancora oggi s�guita 
(8) Preme qui segnalare, per scrupolo, che gi� nell�anno precedente era intervenuta una nuova 
pronuncia (Cass. 13 dicembre 2004, n. 23187) con la quale, in adesione all'orientamento ripetutamente 
espresso dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la Suprema Corte aveva proceduto alla revisione 
dell'interpretazione sinora prevalente, affermando che la lesione del diritto ad una ragionevole durata 
del processo andasse riscontrata, anche per le cause proposte davanti al giudice amministrativo, con riferimento 
al periodo di tempo decorso dall'instaurazione del procedimento, senza che su di esso potesse 
incidere la mancata o ritardata presentazione dell'istanza di prelievo. Tale interpretazione aveva altres� 
trovato conferma nelle decisioni che si erano succedute sulla questione nei mesi successivi (Cass. 21 
settembre 2005, n. 18759; 12 ottobre 2005, n. 19801). 
(9) Confronta, ex multis, Cass. civ. Sez. I, 06.02.2009, n. 3049; Cass. civ. Sez. I, 21.01.2009, n. 
1561; Cass. civ. Sez. I, 20.01.2009, n. 1410; Cass. civ. Sez. I, 17.12.2008, n. 29495; Cass. civ. Sez. I, 12 
gennaio 2007, n. 575; Cass. civ. Sez. Unite, 23 dicembre 2005, n. 28507; Cass. civ. Sez. I, 21 febbraio 
2006, n. 3782; Cass. 24438/06.
238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
nel mantenere (bench� - come si avr� modo di rilevare pi� avanti - solo con 
riferimento ai giudizi pendenti prima del 25 giugno 2008), l�omessa o la tardiva 
presentazione dell�istanza di prelievo assumono rilevanza esclusivamente 
ai fini della quantificazione dell�indennizzo sotto il profilo della valutazione 
del comportamento osservato dalla parte, ma non possono viceversa valere ad 
escludere il riconoscimento del denunciato pregiudizio (10), ci� per l�ovvia 
ragione che la negligenza della parte nel non avvalersi del predetto strumento 
acceleratorio mal si concilia con lo stato di tensione, di preoccupazione e con 
il conseguente danno morale che l�eccessiva durata del processo sarebbe presuntivamente 
in grado di provocare, assurgendo, al contrario, a sintomo di 
scarso patimento psicologico e carenza di interesse alla sollecita definizione 
del giudizio. 
A tal proposito il supremo giudice di legittimit� ha riconosciuto che l�accertata 
mancata presentazione di tale atto pu� costituire valido motivo per 
scendere al di sotto dei parametri di liquidazione stabiliti dalla Corte Europea 
in Euro 1.000/1.500 per anno di ritardo (Cass. n. 16707 del 2008; n. 14955 
del 2008), purch� tale scostamento non avvenga in modo eccessivo e irragionevole, 
rendendo simbolica o esageratamente inferiore l�entit� della liquidazione 
(11). 
Tale nuovo orientamento appare coerente con la funzione attribuita nella 
dimensione processuale amministrativa all�istanza di prelievo, la quale non � 
indispensabile condizione per ottenere la sollecita decisione dinanzi al T.A.R., 
ma, al contrario, strumento d�accelerazione della fissazione dell'udienza di discussione 
in ragione della dichiarata o ravvisata urgenza del ricorso, la quale 
deve ritenersi sussistente allorquando le istanze in esso formulate debbono 
trovare una rapida pronuncia per suffragare l�interesse ad agire ex art. 100 
c.p.c., nel senso che una pronuncia tardiva non potrebbe pi� essere emessa o 
sarebbe comunque svuotata di significato (12). 
(10) Questa interpretazione si � consolidata nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 
24438 del 2006) anche in riferimento al giudizio in materia pensionistica innanzi alla Corte dei Conti, 
nel quale l�assenza dell�istanza di prelievo non serve a qualificare il comportamento della parte sotto il 
profilo dell�an debeatur, bens� va collocata sul terreno della valutazione del patema d�animo inferto 
dalla durata del processo (Cass. n. 8156 del 2006). 
(11) Cfr., ex multiis, Cass. Civ. Sez. I, Ord., 14 gennaio 2009, n. 781; Cass. Civ. Sez. I, 12 gennaio 
2009, n. 406; Cass. Civ., Sez. I, Ord. 16 aprile 2009, n. 9058; Cass. Civ. Sez. I, 08 ottobre 2008, n. 
24845; Cass. Civ. Sez. I, 22 maggio 2007, n. 11936. 
(12) D�altra parte, si tratta di un indirizzo certamente mantenuto dalla Suprema Corte in continuit� 
con la pi� volte proclamata responsabilit� dello Stato per l�eccessiva durata di un procedimento giudiziario, 
a prescindere dall�accertata colpa nella gestione del procedimento stesso da parte del giudice cui 
esso era stato affidato: �lo Stato risponde non solo per il comportamento negligente degli organi giudiziari, 
ma pi� in generale per il fatto di non avere provveduto ad organizzare il proprio sistema giudiziario 
in modo da consentirgli di soddisfare con ragionevole velocit� la domanda di giustizia (v. sentenza 12 
ottobre 1992, Boddeart c/Belgio; id. 25 giugno 1987, Baggetta c/ Italia). (�) pertanto, non � necessario 
andare alla ricerca della negligenza del giudice che ha seguito il singolo caso portato all�attenzione
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 239 
In proposito, preme precisare che l�ormai consolidato principio per cui 
la tardiva presentazione dell�istanza di prelievo pu� rilevare solo ai fini della 
valutazione del comportamento della parte in ordine all�apprezzamento della 
entit� del lamentato pregiudizio, non postula altres� che dalla tempestiva presentazione 
dell�istanza in questione derivi necessariamente ed automaticamente 
un incremento dell�indennizzo rispetto a quello determinabile sulla base 
dei criteri normalmente seguiti: sul punto in esame, d�altronde, numerosi ricorrenti 
non hanno omesso censure tese a far valutare la presentazione dell�istanza 
di prelievo quale elemento di incremento del plafond di indennizzo. 
La Corte di Cassazione ha, per�, fermamente giudicato infondato l�orientamento 
de quo, per la ragione che la manifestazione di diligenza del privato 
non pu� tradursi in una sorta di sanzione aggiuntiva per lo Stato apparato che 
ritardi il giudizio. Dunque, per il Supremo Giudice, la presentazione di istanze 
di prelievo non pu� comportare in nessun caso una maggiore responsabilit� 
del Governo italiano ai fini della liquidazione del danno determinato dall�irragionevole 
durata del processo, e ci� non solo perch� nessun aggravamento 
di responsabilit� � previsto dalla norma per l�Amministrazione in tal caso, ma 
anche perch�, in forza delle novit� legislative intervenute di recente, la suddetta 
istanza � ora condizione imprescindibile per la proponibilit� del ricorso 
ex art. 2, legge n. 89/2001 (13). 
L�importante arresto della Corte di legittimit� a sezioni unite n. 28507/05 
non pu�, tuttavia, essere ritenuto definitivamente dirimente l�annosa questione 
della rilevanza dell�istanza di prelievo nei giudizi in materia di equa riparazione 
in quanto, con il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito 
nella L. 6 agosto 2008, n. 133, il Legislatore ha profondamente innovato 
il giudizio ex legge Pinto, trasformando l�istanza di cui all�art. 51 del Regio 
Decreto 17 agosto 1907, n. 642 in una vera e propria condizione di proponibilit� 
dell�azione indennitaria ex art. 2 della citata legge n. 89/2001. 
Il citato art. 54, comma 2, statuisce infatti: �la domanda di equa riparazione 
non � proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in 
cui si assume essersi verificata la violazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 
89, art. 2, comma 1, non � stata presentata un'istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 
1907, n. 642, art. 51, comma 2�. 
della Corte o dei suoi collaboratori interni o esterni all�organizzazione giudiziaria (�) poich� anche 
nei casi un cui, per la situazione logistica in cui � costretto a lavorare, da questi non sarebbe stato possibile 
esigere di pi� di quanto ha fatto in termini di velocit� di definizione del procedimento, il fatto 
stesso che lo stato delle strutture e dell�organizzazione abbia reso inevitabili rinvii molto lunghi tra 
un�udienza e l�altra e tempi d�attesa anche di anni tra il completamento dell�istruttoria e la decisione 
della causa � gi� sufficiente ad affermare la responsabilit� dello Stato per la difettosa concezione ed 
organizzazione del sistema giudiziario� (vedi anche Corte d�Appello, Napoli, decreti 17 luglio 2008, 4 
agosto 2008, 20 ottobre 2008). 
(13) Confronta Cass. civ. Sez. I, Ordinanza 28 gennaio 2009, n. 2139; Cass. civ. Sez. I, Ordinanza 
26 gennaio 2009, n. 1820; Cass. civ. Sez. I, Ordinanza 19 gennaio 2009, n. 1154.
240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Questo significa che, a far data dal 25 giugno 2008 (entrata in vigore della 
normativa de qua), l�omessa presentazione dell�istanza di prelievo nel processo 
presupposto potr� costituire argomento fondante un�eventuale eccezione 
di proponibilit� della domanda di equa riparazione, avendo cos� il Legislatore 
chiaramente inteso ascrivere anche alla responsabilit� del privato ricorrente 
l�eccessiva durata di un procedimento amministrativo. Diversamente, la tardiva 
presentazione della stessa rispetto al termine indicato dall�art. 51, R.D. 
n. 642/1907, potr� essere assunta a sintomo dello scarso patema d�animo sopportato 
dalla parte istante. 
In buona sostanza, se ne desume che se da un lato l�obbligo di definire il 
giudizio principale per il Giudice Amministrativo sorge soltanto per effetto 
del deposito notificato e non, invece, dalla data di presentazione dell�istanza 
di prelievo (che in tale sede costituisce soltanto un atto d�impulso processuale), 
dall�altro lato � parimenti incontestabile che il Legislatore del 2008, prevedendo 
per il processo amministrativo � e soltanto per il processo amministrativo 
� una specifica condizione di proponibilit� della domanda indennitaria 
per irragionevole durata del giudizio, ha inteso delimitare l�ambito di applicazione 
della stessa legge Pinto, �responsabilizzando� coloro i quali intendano 
proporre un ricorso dinanzi al Giudice amministrativo. 
Obiettivo del legislatore � stato, infatti, quello di porre un argine normativo 
all�emorragia di denaro pubblico connessa ai pagamenti per l�equa riparazione 
di cui alla legge n. 89/2001 con riferimento ai processi amministrativi, 
valorizzando proprio quella disposizione del regolamento di procedura dinanzi 
al Consiglio di Stato (art. 51 del R.D. n. 642/1907) che prevedeva la possibilit� 
di distinguere i ricorsi che necessitavano di una trattazione urgente da quelli 
che invece non avevano bisogno di una decisione immediata, rimettendo proprio 
alla parte istante il potere di discernere, tramite la presentazione di 
un�istanza definita volgarmente �di prelievo�, ci� che rivestiva carattere di urgenza 
da ci� che non rivestiva tale carattere. Ovviamente, in mancanza della 
presentazione di detta istanza, non poteva non presumersi che proprio la parte 
istante non avesse un interesse particolare alla trattazione urgente del ricorso 
e comunque che non subisse alcun pregiudizio dal ritardo nella decisione del 
ricorso nel merito. Altrettanto ovviamente si deve oggi arguire che, dopo l�entrata 
in vigore dell�art. 54 del D.L. n. 112/2008, un pregiudizio per il ritardo 
nella definizione del processo amministrativo sia assolutamente inconfigurabile 
fino a quando non venga depositata dal ricorrente un�istanza di trattazione 
urgente del ricorso, in mancanza della quale l�organo giudicante � certamente 
autorizzato a decidere prima quei ricorsi in relazione ai quali sia stata presentata, 
appunto, un�istanza di prelievo. 
Si osservi, poi, che nel rispetto dei principi dettati agli artt. 11 e 15 delle 
disposizioni sulla legge in generale, concernenti la successione delle leggi nel 
tempo, e coerentemente al consolidato orientamento della Cassazione, deve ri-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 241 
tenersi che il citato art. 54 costituisca ius superveniens e non sia, pertanto, ratione 
temporis applicabile ai processi principali pendenti prima del 25 giugno 
2008: in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, 
infatti, gli atti processuali gi� compiuti restano regolati, secondo il fondamentale 
principio del tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati 
posti in essere e sfuggono al regime dei nuovi interventi legislativi (14). 
Ne deriva che, essendo la retroattivit� della legge processuale un effetto 
prevedibile dal legislatore con norme transitorie ma non liberamente attuabile 
dall�interprete, l�applicazione dell�art. 54, comma 2, decreto legge n. 112/2008 
ad azioni indennitarie ex legge n. 89/2001 proposte anteriormente alla data 
della sua entrata in vigore determinerebbe un�indebita applicazione retroattiva 
della legge processuale, quindi un error in procedendo ricorribile in Cassazione 
ex art. 360, comma 2, n. 3. 
Non appare tuttora chiaro, per di pi�, se il citato intervento normativo 
vada applicato unicamente quando anche il processo principale sia stato istaurato 
successivamente al 25 giugno 2008 ovvero (secondo un�interpretazione 
meno rigorosa) possa giudicarsi sufficiente a tal fine la sola instaurazione del 
processo per equa riparazione. 
In proposito preme dare atto dell�originale posizione manifestata pi� volte 
dalla difesa erariale in relazione ad istanze indennitarie proposte successivamente 
alla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 112 del 2008, quando 
il presupposto processo principale fosse per� precedente alla data in questione. 
Sostiene l�Avvocatura dello Stato, infatti, che l�innovata disciplina introdotta 
dall�art. 54, comma 2, Decreto Legge n. 112 del 2008 e individuante nell�istanza 
di prelievo una indispensabile condizione di proponibilit� del ricorso 
ex legge Pinto, debba ritenersi applicabile tutte le volte che, pur essendo il 
giudizio presupposto precedente alla data del 25 giugno 2008, non cos� possa 
dirsi per il corrispondente giudizio indennitario, essendo stato lo stesso istaurato 
dopo l�entrata in vigore del D.L. n. 112/2008 e andando, conseguentemente, 
soggetto al nuovo regime normativo. La pi� gravosa disciplina 
(14) Cfr. Corte di Cassazione, sentenza 28 novembre 2008, n. 28428, ove si afferma che: �premesso, 
infatti, come il D.l. n. 112 del 2008 sia entrato in vigore il 25 giugno 2008, ovvero (ai sensi dell�art. 
85 di esso) il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, deve, nella specie, 
osservarsi che, in difetto di esplicite previsioni contrarie (tale essendo esattamente il caso in esame) il 
principio di immediata applicazione della legge processuale sopravvenuta ha riguardo soltanto agli 
atti processuali successivi all�entrata in vigore della legge stessa, alla quale non � dato incidere, pertanto, 
sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio 
del tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio sono stati posti in essere (�), un generale criterio 
di �affidamento� legislativo (desumibile dall�art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale) precludendo 
la possibilit� di ritenere che gli effetti dell�atto processuale gi� formato al momento 
dell�entrata in vigore della nuova disposizione (domanda appunto di equa riparazione) siano da quest�ultima 
regolati, quanto meno nei casi (come quello in esame) in cui la retroattivit� della disciplina 
varrebbe a comprimere la tutela della parte, senza limitarsi a modificare la mera tecnica del processo�.
242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
andrebbe, quindi, applicata a tutti i giudizi in materia di equa riparazione sorti 
dopo il 25 giugno 2008, irrilevante essendo il momento in cui si � originata la 
principale vicenda processuale. 
L�intransigente orientamento in questione �, indubbiamente, originato 
dall�esasperata ed ormai irrefrenabile corsa degli avvocati di parte a presentare 
istanze di prelievo nell�imminente proposizione di un�azione indennitaria per 
l�irragionevole durata del processo amministrativo presupposto, onde scongiurare 
il timore di una pronuncia di improcedibilit� della Corte d�appello capace 
di paralizzare irrimediabilmente l�azione de qua. 
Sulla questione, ormai sempre pi� incandescente, � lecito attendere una 
risolutiva pronuncia della Corte Suprema. Certamente, un generale principio 
di affidamento impone al Giudice di legittimit� l�increscioso dovere di applicare 
con rigore le regole, anche processuali, riguardanti la successione delle 
leggi nel tempo; e tuttavia, non pu� non sottolinearsi l�opportunit� che la Corte 
abbia in debita considerazione gli obiettivi perseguiti dal Legislatore con la 
succitata novella, per un verso diretta a responsabilizzare i privati che si trovino 
a dover affrontare un processo (i quali, pertanto, non sono pi� considerati 
vittime inconsapevoli di un sistema di giustizia farraginoso e lento), per l�altro 
verso tesa a contenere l�enorme sperpero di denaro pubblico derivante dal proliferare 
di ricorsi ex legge n. 89 del 2001. 
Rimane impregiudicata la questione se l�istanza di prelievo, alla luce del 
predetto recente intervento legislativo, non costituisca soltanto una condizione 
di proponibilit� della domanda di equa riparazione (condizione che, si ricordi, 
vale soltanto per i procedimenti pendenti dopo la data del 25 giugno 2008), 
ma rappresenti altres� un incombente processuale idoneo a rendere eventualmente 
irrilevante il tempo decorso anteriormente al deposito della stessa 
istanza di prelievo, al fine del computo del termine di ragionevole durata del 
giudizio. 
La Corte di Cassazione ha, finora, eluso la problematica, affermando che 
�l�inapplicabilit� della norma ratione temporis rende inutile qui approfondire 
se essa stabilisca soltanto una condizione di proponibilit� della domanda, ovvero 
renda anche irrilevante il tempo decorso anteriormente al deposito dell�istanza 
di prelievo, al fine del computo del termine di ragionevole durata 
del giudizio� (Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza n. 24901/2008). 
Un�interpretazione sintonica con gli obiettivi perseguiti dal Legislatore 
nel predisporre la novit� legislativa induce, comunque, a ritenere che l�istanza 
in questione vada oggi intesa non solo quale condizione di proponibilit� dell�azione 
per il ristoro della irragionevole durata del processo amministrativo, 
ma altres� come vero strumento giuridico idoneo a �sterilizzare� il tempo decorso 
anteriormente al deposito dell�istanza stessa, con la conseguente irrilevanza 
dello stesso al fine del computo del termine di irragionevole durata 
soggetto a riparazione monetaria. Ci� per la ragione che se nessuna disposi-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 243 
zione della legge TAR o del regolamento di procedura dinanzi al Consiglio di 
Stato esclude oggi la possibilit� di presentare un�istanza di prelievo contestuale 
al deposito del ricorso dinanzi al Giudice Amministrativo, risulta evidente 
come, da un lato, la mancata presentazione di un�istanza per la trattazione urgente 
del ricorso andrebbe interpretata quale sicura manifestazione di disinteresse 
alla immediata trattazione della causa e, dall�altro, che la parte ricorrente 
non subirebbe pregiudizio alcuno per il ritardo nella pronuncia della sentenza 
da parte del Giudice amministrativo. 
A conclusione dell�intricata disamina operata pare opportuno riepilogare 
brevemente quale debba essere oggi � alla luce di una lettura conciliante le 
nuove disposizioni normative con l�orientamento osservato dalla Corte di Cassazione 
� il rilievo da accordare all�istanza di prelievo, quale incidenza essa 
abbia nei giudizi riguardanti la materia della cd. legge Pinto e quali impedimenti, 
casomai ce ne fossero, derivino dalla sua omessa presentazione. 
Certamente, in relazione ai procedimenti istaurati precedentemente alla 
data del 25 giugno 2008, l�omessa presentazione dell�istanza di prelievo non 
� causa impediente il riconoscimento della denunciata violazione del diritto 
alla ragionevole durata del processo assumendo, a rigore, rilievo esclusivamente 
ai fini dell�apprezzamento dell�entit� dell�indennizzo sotto il profilo 
della valutazione del comportamento negligente della parte ricorrente e potendo, 
conseguentemente, indurre il giudice ad uno scostamento rispetto ai parametri 
di liquidazione indicati dalla Corte di Strasburgo. 
Ne deriva che il mancato ricorso a tale strumento non potr� fungere da 
argomento fondante un�eccezione di improcedibilit� del ricorso ex art. 2, legge 
n. 89 del 2001, non avendo il Legislatore individuato in capo al privato alcuna 
responsabilit� connessa all�irragionevole durata del processo. 
Per quanto attiene, invece, ai procedimenti istaurati a far data dal 25 
giungo 2005 (quindi successivi al momento di entrata in vigore del Decreto 
Legge n. 112/2008) l�ottemperanza dell�obbligo di presentazione dell�istanza 
di prelievo � da considerarsi condizione imprescindibile per l�eventuale domanda 
di equa riparazione, solo la tardiva presentazione della stessa potendo, 
semmai, essere utilizzata quale prova dello scarso interesse per il 
giudizio e dell�inconsistente patema d�animo collegato alla sua non celere 
definizione. 
Dott.ssa Morena Pirollo* 
(*) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatua dello Stato.
244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Cassazione civile, Sezione Prima, sentenza 6 giugno 2003 n. 3347 
Svolgimento del processo 
Con ricorso alla Corte di Appello di Roma, R. D. S., premesso di avere instaurato davanti al 
Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, mediante ricorso in data 26/29 luglio 
1986, un giudizio nei riguardi del Comune di Benevento per l'annullamento di alcuni atti amministrativi 
relativi all�approvazione di una variante al Piano Regolatore Generale del Comune 
medesimo e premesso altres� che la controversia era stata quindi definita in primo grado con 
la sentenza depositata il 10 novembre 1999 a seguito della presentazione di istanza di prelievo, 
chiedeva che, previo accertamento della violazione dell�art. 6, paragrafo 1, della Convenzione 
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, sotto il profilo del mancato rispetto del termine 
ragionevole di durata del processo, venisse disposta la condanna della Presidenza del 
Consiglio dei Ministri al pagamento di quanto dovutole a titolo di equa riparazione del danno, 
patrimoniale e non, subito in conseguenza di siffatta durata. 
Si costituiva in giudizio l�Amministrazione convenuta, resistendo alla pretesa avversaria. 
Il giudice adito, con decreto emesso in data 27 dicembre 2001/15 gennaio 2002, rigettava il 
ricorso, assumendo: 
a) che il procedimento instaurato davanti ai giudici amministrativi fosse complesso, atteso che 
oggetto dell�impugnativa era una variante al P.R.G. sopra indicato e che la parte ricorrente aveva 
proposto ben ventuno motivi di gravame; 
b) che l'intero periodo di pendenza del giudizio in questione non fosse imputabile al comportamento 
dell�Amministrazione, posto che il momento decisivo per accertare l'esistenza di un 
simile comportamento era costituito dalla presentazione dell'istanza di prelievo, laddove, nella 
specie, la ricorrente non ne aveva indicato la data ed era perci� da presumere, semmai, che la 
medesima istanza fosse stata avanzata poco tempo prima della decisione. 
Avverso siffatto decreto, propone ricorso per cassazione la De Stasio, deducendo due motivi 
di impugnazione, ai quali resiste la Presidenza del Consiglio dei Ministri con controricorso. 
Motivi della decisione 
Deve innanzi tutto essere disatteso il preliminare rilievo di improponibilit� e/o inammissibilit� 
della domanda, avanzato dall'Amministrazione controricorrente sull'assunto che, trattandosi di 
un caso nel quale si verte sulla ragionevolezza o meno della durata di un processo amministrativo, 
erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto infondata la relativa eccezione (di inammissibilit� 
appunto) sollevata in sede di merito dalla stessa Amministrazione in riferimento alla 
pretesa inapplicabilit� della legge n. 89 del 2001 alla fattispecie. 
In realt�, dalla lettura dell�impugnato decreto si evince come detta Corte non abbia minimamente 
statuito in ordine alla riferita questione (della cui prospettazione neppure, del resto, � 
traccia nel medesimo provvedimento), senza che, d�altra parte, l�odierna censura della controricorrente 
involga in alcun modo la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ovvero del 
solo astrattamente suscettibile di essere denunziato in un simile contesto. 
Tanto premesso, con il primo motivo di gravame, lamenta la ricorrente violazione e falsa applicazione 
dell�art. 2 della legge n. 89 del 2001, degli artt. 6 e 53 della Convenzione per la 
salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, dell�art. 111 della Costituzione, 
dell�art. 23 della legge n. 1034 del 1971 e degli artt. 51 e 53 del regio decreto n. 642 del 1907, 
in relazione all�art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, nonch� omessa, insufficiente e contraddit-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 245 
toria motivazione, in relazione all�art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., assumendo: 
1a) che la Corte capitolina cade nelle censure rubricate quando ritiene che il mancato tempestivo 
deposito (solo supposto ma non provato) dell�istanza di prelievo costituisca un comportamento 
dilatorio dell�odierna ricorrente, addebitandole l�intero ritardo nella decisione del ricorso e lasciando 
cos� intendere che, senza istanza di prelievo, non possa essere discusso e deciso un ricorso, 
con evidente confusione tra istanza di fissazione dell�udienza di discussione ed istanza 
di prelievo, laddove, nella specie, essendo stata la prima di queste ultime due istanze inoltrata, 
a mezzo il deposito stesso del ricorso, il 4 ottobre 1986, � da tale data che ogni impulso processuale 
� stato trasferito all�Autorit� Giurisdizionale Amministrativa, onde l�inerzia dell�Ufficio 
nel fissare l�udienza, indipendentemente dall�onere facoltativo per la parte impugnante 
di depositare l�istanza di prelievo, imponeva alla Corte territoriale di giudicare pi� rigorosamente 
le responsabilit� dell�Amministrazione convenuta; 
1b) che il giudice del merito erra quando ritiene che la particolare complessit� della materia 
trattata nello specifico giudizio sia implicita nella natura degli atti impugnati e nel numero 
dei motivi di ricorso, atteso che, trattandosi di una variante al PRG comunale, in seguito alla 
quale veniva modificata la destinazione urbanistica del terreno di propriet� della ricorrente 
(da edilizia residenziale privata a servizi pubblici essenziali, con chiaro preordino all�esproprio), 
il tema affrontato era, in definitiva, di pura legittimit� e meramente documentale, onde 
non presentava alcun grado di difficolt�, non richiedendo alcuna attivit� istruttoria. 
Con il secondo motivo di impugnazione, del cui esame congiunto con il precedente si palesa 
l�opportunit� involgendo esso, almeno in parte (nei termini appresso specificati), questioni 
simili se non addirittura identiche, lamenta la ricorrente violazione dell�art. 2, comma terzo, 
della legge n. 89 del 2001, degli artt. 13 e 19 della Convenzione europea gi� sopra richiamata, 
dell�art. 2697 c.c. e degli artt. 8, 115 e 116 c.p.c., degli artt. 1223, 1226, 1227, 2043, 2056 e 
2059 c.c., nonch� degli artt. 2, 24 e 111 della Costituzione, in relazione all�art. 360 c.p.c., 
primo comma, nn. 3 e 5, deducendo: 
2a) che la Corte territoriale � incorsa in errore l� dove, in primo luogo, ha posto a carico della 
parte ricorrente l�onere della prova del suo comportamento processuale, anche per quello che 
riguarda la data di presentazione della cosiddetta istanza di prelievo, ha secondariamente apprezzato 
la prova fornita dalla ricorrente in modo illogico e �contra legem� (avendo dimostrato 
la medesima ricorrente di avere richiesto copia o certificazione sull'istanza in parola ed 
avendone detta Corte richiesto l�acquisizione, senza che n� l�una n� l�altra iniziativa abbiano 
sortito esito alcuno), ha infine elevato un supposto effetto processuale (la celere trattazione, 
cio�, a seguito della presentazione dell'istanza di prelievo) a nozione di fatto rientrante nella 
comune esperienza; 
2b) che lo stesso giudice, qualificando erroneamente l�istanza di prelievo come un obbligo 
processuale il cui inadempimento bloccherebbe o ritarderebbe il processo, ha fatto derivare 
dalla sua tardiva presentazione addirittura l�insussistenza giuridica della violazione lamentata, 
pur materialmente presente, laddove una simile tardiva presentazione, configurandosi esattamente 
in termini di mancato esercizio di una facolt� ai fini dell'eventuale accelerazione del 
processo, al pi� poteva essere tenuta presente, come fattore riduttivo, nella quantificazione 
del danno da liquidare; 
2c) che, assodata l�eccedenza della durata ragionevole, � indubbio che la ricorrente abbia subito 
un disagio nel non vedere decisa la propria questione in tempi corrispondenti, mentre, 
del resto, la possibilit� di indennizzare tale disagio prescinde da qualsiasi onere probatorio, 
essendo il relativo danno morale �in re ipsa�.
246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
I due motivi, nei limiti di cui appresso, sono fondati. 
Per quanto attiene, innanzi tutto, alla censura meglio illustrata sotto il capo 1b), si osserva 
che questa � inammissibile. 
La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto la complessit� del procedimento instaurato avanti i 
giudici amministrativi in quanto: 
a) oggetto dell�impugnativa era una variante al Piano Regolatore Generale del Comune di Benevento; 
b) la parte impugnante aveva proposto �ben ventuno motivi di impugnazione�. 
Per contro, l�odierna ricorrente ha specificatamente censurato soltanto la prima delle due �rationes 
decidendi� sopra riportate, nulla avendo dedotto in ordine alla seconda, relativa appunto 
alla proposizione di �ben ventuno motivi di impugnazione�. 
Deve, pertanto, trovare applicazione il consolidato principio secondo cui, qualora la decisione 
del giudice di merito si fondi su pi� ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente 
idonea a sorreggerla, come nella specie, l�omessa impugnazione, con il ricorso 
per cassazione, pure di una soltanto di tali ragioni determina l�inammissibilit�, per difetto di 
interesse, anche del gravame proposto avverso le altre, in quanto l�eventuale accoglimento di 
quest�ultimo non inciderebbe sulla �ratio decidendi� non censurata, con la conseguenza che 
la pronuncia impugnata resterebbe pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa 
(Cass. 18 aprile 1998, n. 3951; Cass. 28 agosto 1999, n. 9057; Cass. 23 aprile 2002, n. 5902). 
Circa, poi, le censure riportate sotto i capi 1a) e 2b) che precedono, si osserva che la Corte 
territoriale non ha ritenuto che l�intero periodo di pendenza di un giudizio amministrativo sia 
ascrivibile al comportamento della Pubblica Amministrazione, in violazione del disposto dell�art. 
6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e 
delle libert� fondamentali, avendo assunto in particolare: 
a) che, nella specie, la sentenza la quale ha definito il procedimento � stata emanata dopo il 
deposito della cosiddetta �istanza di prelievo�, come affermato dalla stessa ricorrente; 
b) che tale istanza pu� essere considerata come il momento decisivo per accertare l�esistenza 
o meno di un comportamento imputabile alla medesima Amministrazione; 
c) che fin quando, cio�, la parte impugnante non decida, secondo i propri interessi, di presentare 
la suddetta istanza, non pu� essere addossata all�Amministrazione la completa quiescenza 
del procedimento, rimesso, in ogni caso, all'iniziativa delle parti, laddove, invece, allorquando 
l�attivit� processuale, nonostante la richiesta di una di queste, si sia protratta per un periodo 
da considerare eccessivo, non pu� dubitarsi della riferibilit� di tale circostanza alla stessa Amministrazione. 
Ci� posto, giova premettere che, alla stregua della normativa anteriore all�entrata in vigore 
della legge 21 luglio 2000, n. 205 (inapplicabile al caso di specie �ratione temporis�), segnatamente 
costituita dagli artt. 23 e 25 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei Tribunali 
Amministrativi Regionali), dall�art. 40 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Testo 
Unico delle leggi sul Consiglio di Stato) e dall�art. 35 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 
642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), 
la fase finale del processo davanti al giudice amministrativo si concretizza nell�udienza di discussione 
del ricorso, la cui fissazione, nella generalit� dei casi, postula la presentazione, ad 
opera del ricorrente o di qualunque altra parte costituita, di un�apposita istanza diretta al presidente 
dell�organo giurisdizionale adito, la quale deve essere avanzata nel termine massimo 
di due anni dal deposito del ricorso medesimo (o dall�ultimo atto di procedura, quante volte 
occorra riproporla, ex art. 23, primo comma, legge n. 1034 del 1971, come nel caso in cui
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 247 
venga ordinata un�istruttoria ovvero la causa venga cancellata dal ruolo), a pena di estinzione 
del giudizio per perenzione (rilevabile d�ufficio e tale da travolgere ogni atto processuale precedentemente 
compiuto), cos� determinando l�assoggettamento del rapporto processuale all�impulso 
d�ufficio, nel senso esattamente che, dopo la presentazione della domanda di 
fissazione dell�udienza, l�ulteriore svolgimento del processo � dominato dal potere di iniziativa 
del giudice amministrativo, secondo quanto traspare dal fatto che la normativa fissa solo i termini 
relativi alla produzione di documenti ed alla presentazione di memorie (art. 23, quarto 
comma, legge n. 1034 del 1971) e che la stessa partecipazione delle parti all�udienza � meramente 
eventuale, potendosi procedere all'assegnazione del ricorso ed alla decisione anche in 
assenza del loro intervento (art. 55 regio decreto n. 642 del 1907). 
Per quanto riguarda, poi, i giudizi davanti al Consiglio di Stato, il legislatore, con la disposizione 
contenuta nell�art. 53, primo comma, del regio decreto n. 642 del 1907 da ultimo citato, 
che la prevalente dottrina reputa applicabile anche ai giudizi di primo grado davanti ai Tribunali 
Amministrativi Regionali, ha previsto che la determinazione del giorno dell�udienza per 
la discussione del ricorso (da parte del presidente mediante il provvedimento ex art. 51, primo 
comma, dello stesso regio decreto n. 642 del 1907) abbia luogo nel rispetto dell�ordine cronologico 
di presentazione delle relative domande di fissazione dell�udienza anzidetta, ovvero 
di iscrizione di queste ultime nell�apposito registro all�uopo tenuto presso la segreteria (si vedano 
anche gli art. 23 della legge n. 1034 del 1971 e art. 24 del D.P.R. 21 aprile 1973, n. 214). 
Peraltro, tale ordine pu� essere sovvertito, determinandosi in questo modo una diversa �precedenza�, 
in esito all�esercizio, ancora ad opera del presidente, dei propri poteri di accelerazione 
nella chiamata dei ricorsi, consentendogli esattamente l�art. 51, secondo comma, del 
regolamento del Consiglio di Stato (regio decreto n. 642 del 1907) di dichiararne alcuni �urgenti�, 
vuoi ad istanza di parte vuoi d�ufficio, onde l�introduzione, nella prassi e nella stessa 
giurisprudenza (Cons. Stato 15 settembre 1986, n. 676), di quella che ha assunto la comune 
denominazione di �istanza di prelievo�, riconoscendosi cio� ad una delle parti la possibilit� 
di produrre al presidente medesimo una (ulteriore) richiesta, �intesa a far pervenire il giudizio 
ad una sollecita definizione�, attraverso la quale il giudice, dietro illustrazione dei concreti 
motivi di urgenza, � stimolato ad anticipare l�udienza di discussione del ricorso. 
Tanto premesso, si osserva come la giurisprudenza della CEDU, se per un verso ha ritenuto 
che, nei casi in cui � possibile, grava sulla parte l�onere di promuovere l�accelerazione 
dell��iter� processuale, chiedendo, ad esempio, di anticipare l�udienza (CEDU 15 novembre 
1996, Ceteroni c. Italia), sul presupposto che le parti stesse debbono partecipare con diligenza 
agli adempimenti, astenersi dal ricorrere ad espedienti dilatorie e �servirsi delle possibilit� 
offerte dall'ordinamento interno per abbreviare il giudizio�, senza peraltro porre in essere manovre 
al di fuori della norma (CEDU 7 luglio 1989, Union Alimentaria Sanders c. Spagna), 
abbia tuttavia affermato che � compito degli Stati membri �organizzare il rispettivo sistema 
giudiziario in modo tale da assicurare una durata ragionevole dei procedimenti� (CEDU 13 
luglio 1983, Zimmermann c. Svizzera; CEDU 25 giugno 1987, Baggetta c. Italia; CEDU 24 
maggio 1991, Caleffi c. Italia; Pugliese c. Italia; Vocaturo c. Italia), onde il principio del termine 
ragionevole enunciato dall'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea �non esonera 
i tribunali dall�obbligo di procedere senza dilazioni� (CEDU 7 luglio 1989, cit.) ed il fatto, in 
specie, che il ricorrente non abbia inoltrato alcuna istanza per far fissare con urgenza la discussione 
della causa costituisce una ragione che �non giustifica... i gravi ritardi in cui (siano) 
incorse le autorit� nazionali� (CEDU 24 maggio 1991, Vocaturo c. Italia, cit.). 
Se pure, quindi, nella sfera della giurisdizione amministrativa, al pari di quanto accade in
248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
quella civile (l� dove figura la possibilit� di ricorrere all�abbreviazione di termini, all�anticipazione 
di udienze e ad istanze sollecitatorie di vario genere) e a differenza di quanto affermato 
dalla stessa CEDU riguardo al processo penale (l� dove, pur negandosi che siano computabili 
i ritardi dovuti alla fuga o alla latitanza dell�imputato - CEDU 19 ottobre 1999, Gelli c. Italia 
- e, pi� in generale, i ritardi dovuti a condotte dilatorie o ostruzionistiche, non si � escluso dal 
calcolo della durata processuale il tempo trascorso per la semplice non collaborazione di chi 
sia sottoposto a procedimento penale: CEDU 15 luglio 1982, Eekle c. Repubblica Federale 
Tedesca; CEDU 25 febbraio 1993, Dobbertin c. Francia; CEDU 7 agosto 1996, Ferrantelli e 
Santangelo c. Italia), � ammissibile che la parte ricorrente abbia l�onere di attivarsi al fine di 
promuovere, con il suo comportamento, una speciale celerit� del processo o, comunque, la 
pi� rapida conclusione di esso, sollecitando appunto l�uso, da parte del giudice, dei suoi poteri 
officiosi e riducendo cos� la durata che si stia palesando irragionevole, occorre tuttavia riconoscere 
che l�Amministrazione deve comunque provvedere ad organizzare gli uffici giudiziari 
in modo tale che questi ultimi, pure nel caso in cui gli utenti non risultino diligenti nella cura 
dei propri interessi, siano in grado di provvedere in tempi sufficientemente celeri, ovvero in 
modo tale che venga assicurata la ragionevole durata dei processi, in condizioni non soltanto 
normali ma anche di emergenza (CEDU 13 luglio 1983, cit.; CEDU 25 giugno 1987, cit.). 
Ove, poi, a ci� si aggiunga il rilievo secondo il quale l�art. 2056 c.c., richiamato dall�art. 2 
della legge n. 89 del 2001, costituisce un limite insuperabile alla liquidazione equitativa, cos� 
postulando che il giudice, da un lato, non possa comunque indennizzare (ad esempio) i pregiudizi 
prevedibili di cui all�art. 1225 c.c., non contemplato dal predetto art. 2056 c.c., nonch�, 
dall�altro lato, che il medesimo giudice debba considerare, ex art. 1227, secondo comma, c.c., 
i pregiudizi suscettibili di essere evitati dal postulante con l�uso dell�ordinaria diligenza, deve 
concludersi che il difetto di opportuni impulsi sollecitatori tesi ad ottenere una pi� spedita 
trattazione della causa (del genere appunto dell��istanza di prelievo� sopra considerata) non 
incida sul calcolo dei tempi del processo, nel senso che il difetto di un comportamento, ad 
opera della parte interessata, attivamente rivolto al conseguimento ed all�attuazione del diritto 
ad una ragionevole durata del processo stesso, la cui lesione si vuole compensata attraverso 
un ristoro economico, rileva ai soli fini della liquidazione dell�equa riparazione, operando la 
normativa in esame sul piano della quantificazione del danno e non dell��an debeatur�, onde 
la possibilit� di addivenire alla richiesta di anticipazioni di udienza (come, pi� in generale, ad 
istanze sollecitatorie di altra natura) integra l�ordinaria diligenza processuale ed il relativo, 
mancato esercizio, a differenza dell'ipotesi in cui mezzi siffatti non siano previsti dall�ordinamento, 
esclude che la durata irragionevole del processo venga imputata esclusivamente allo 
Stato. 
Pertanto, restando assorbite le ulteriori censure illustrate sotto le lettere 2a) e 2c) che precedono, 
atteso che i vizi rispettivamente denunciati con siffatte censure �dipendono� evidentemente 
dallo stesso assunto, erroneo, dal quale la Corte territoriale ha preso le mosse (potere 
cio� l�istanza di prelievo �essere considerata il momento decisivo per accertare l�esistenza o 
meno di un comportamento imputabile alla P.A.�) di cui alle censure sin qui esaminate, il ricorso 
merita accoglimento per quanto di ragione, onde il provvedimento impugnato va cassato 
in relazione alle censure accolte, con rinvio, anche ai fini delle spese, alla Corte di Appello di 
Roma in diversa composizione, affinch� detto giudice provveda a statuire sulla controversia 
demandata alla sua cognizione facendo applicazione del seguente principio di diritto: �Ai fini 
dell�apprezzamento della fondatezza della domanda, proposta a norma degli articoli 2 e 3 
della legge 24 marzo 2001, n. 89, di equa riparazione del danno, patrimoniale e non patrimo-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 249 
niale, che possa essere derivato al ricorrente per effetto del ritardo eccedente il termine ragionevole 
di cui al primo comma del citato art. 2, la mancanza di opportuni impulsi sollecitatori, 
provenienti dalla parte interessata, tesi ad ottenere una pi� spedita trattazione della causa, del 
genere della cosiddetta �istanza di prelievo� nel processo amministrativo, non incide sul calcolo 
dei tempi del processo stesso, nel senso che il difetto di un tale comportamento rileva ai 
soli fini della liquidazione dell'equa riparazione anzidetta, onde la possibilit� di addivenire 
alla richiesta di simili anticipazioni (come, in senso pi� largo, ad altre istanze di natura analoga) 
integra l�ordinaria diligenza processuale ed il relativo, mancato esercizio, a differenza 
dell�ipotesi in cui mezzi siffatti non risultino previsti dall�ordinamento, esclude che la durata 
irragionevole del giudizio venga imputata esclusivamente allo Stato�. 
P.Q.M. 
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa il provvedimento impugnato in relazione 
alle censure accolte e rinvia, anche ai fini delle spese, alla Corte di Appello di Roma in 
diversa composizione. 
Cos� deciso in Roma, il 30 settembre 2002. 
** *** ** 
Cassazione civile, Sezione Prima, sentenza 17 aprile 2003 n. 6180 
Svolgimento del processo 
Con ricorso - in riassunzione ex art. 6 L. n. 89 del 2001 dal procedimento instaurato innanzi 
alla Corte Europea dei Diritti dell�Uomo - depositato innanzi alla Corte d�Appello di Roma, 
Russo Ennio lamentava, in contraddittorio con il Presidente del Consiglio dei Ministri, l�irragionevole 
durata di un procedimento svoltosi innanzi al TAR Campania ed avente ad oggetto 
l�annullamento di un atto della DPT di Benevento. Precisava all'uopo: di aver notificato il ricorso 
il 13 novembre 1996 depositandolo in data 12 dicembre 1996, contestualmente istando 
per la fissazione dell'udienza ai sensi dell�art. 23 L. n. 1034 del 1971, di aver depositato in 
data 17 febbraio 1999 la cd. istanza di prelievo, di non aver ancora visto decidere la causa; 
gli aver quindi diritto all�equa riparazione, essendo irragionevole la durata di un sol grado di 
giudizio di oltre cinque anni. 
Costituitosi il PdCdM, la ad�ta Corte di Roma con decreto 23 gennaio 2002 rigettava la domanda 
affermando: che il ricorso doveva ritenersi infondato per due concorrenti, ma autonome, 
�rationes decidendi�; che, in primo luogo, nella specie non poteva ravvisarsi durata 
irragionevole del processo dato che l'istanza di prelievo era del 17 febbraio 1999 e che una 
durata inferiore ai tre anni (computata dalla data dell'istanza) non poteva ritenersi irragionevole 
n� alla stregua della giurisprudenza della CEDU n� sulla base delle pronunzie italiane; che in 
secondo luogo il preteso danno non era neanche configurabile essendo stati innanzi al TAR 
chiesti accessori di un credito per l�importo di L. 5.544.924 senza che, allo stato, in difetto di 
una decisione, potesse intravedersene la fondatezza e posto che il danno patrimoniale sarebbe 
stato interamente eliminato dalla pronunzia e l'esiguit� del �petitum� induceva ad escludere 
alcun danno morale. 
Per la cassazione di tale decreto il Russo ha proposto ricorso notificandolo il 5 aprile 2002. Il 
PdCdM ha notificato controricorso il 30 aprile 2002. Il ricorrente ha depositato memoria ex 
art. 378 c.p.c.
250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Motivi della decisione 
Con il primo motivo del ricorso si denunzia violazione degli artt. 2 L. n. 89 del 2001, 23 L. 
n. 1034 del 1971, 51 e 53 R.D. n. 642 del 1907 e vizio di motivazione, per avere la Corte di 
merito ritenuto comportamento imputabile alla parte istante, ed escludente la durata irragionevole 
del processo, la formulazione di una istanza di prelievo solo nel febbraio 1999, cosi 
equivocando sulla natura, di semplice facolt� processuale, di tale sollecitazione e cosi trascurando 
di indagare sulla complessit� o semplicit� della causa e pertanto mancando di addebitare 
all�Autorit� Giudiziaria Amministrativa i cinque anni di totale sua inerzia nella (pur necessaria) 
trattazione del procedimento. 
Con il secondo motivo, al primo subordinato, si denunzia violazione dell�art. 2 co. 3 L. n. 89 
del 2001, art. 2697 c.c., artt. 115-116 c.p.c., artt. 1223-1226-1227 c.c., artt. 2056-2059-2043 
c.c., per avere la Corte di Roma escluso la sussistenza del danno risarcibile formulando all�uopo 
una prognosi sull�esito possibile del processo ed un giudizio sulla inesistenza del danno 
morale per l�esiguit� del �petitum� e, quindi, erroneamente collegando al diritto vantato l�interesse 
alla ragionevole durata del processo. 
Ritiene il Collegio, dissentendo dalle censure esposte nell'ampio primo motivo del ricorso, 
che la assai sintetica - ma chiara - statuizione della Corte territoriale, adottata come prima 
delle due alternative �rationes decidendi�, sia conforme al diritto (e pro parte non impugnata 
in modo pertinente) e vada pertanto, con le opportune integrazioni, pienamente confermata. 
Giova premettere che questa Corte ha gi� avuto modo di pronunziare sulla questione della rilevanza 
- in sede di accertamento della protesa violazione all�obbligo di rispetto del termine 
ragionevole di cui all�art. 6 par. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo 
(art. 2 comma 2 L. n. 89 del 2001) - della mancata tempestiva proposizione della cd. �istanza 
di prelievo� al Presidente del T.A.R. da parte del ricorrente che, pure, abbia adempiuto all�obbligo 
di avanzare la tempestiva istanza di fissazione di udienza (statuita a pena di perenzione 
del giudizio dall�art. 23 della L. n. 1034 del 1971, sul punto non novellato dall�art. 1 
comma 3 della L. n. 205 del 2000). 
Ed in tutte e tre le pronunzie allo stato emesse (Cass. 15445/02, 15992/02, 3347/03) si � avuto 
modo di formulare alcune osservazioni - sulla premessa, comune alla vicenda processuale qui 
in esame, della inapplicabilit� �ratione temporis� delle nuove norme di cui alla legge n. 205 
del 2000 - che appare opportuno rammentare ed integrare con ulteriori rilievi, utili alla soluzione 
della questione sottoposta. 
E� dunque da precisare che: 
- accanto all�obbligo (art. 23 L. n. 1034 del 1971) di presentazione dell�istanza di fissazione 
di udienza nel biennio dal deposito del ricorso e di sua rinnovazione all�esito dell'espletamento 
dell�eventuale istruttoria (la cui inosservanza � dall�art. 25 sanzionata dall�estinzione, per perenzione, 
del procedimento), sussiste l'onere della istanza di prelievo in discorso; 
- tale istanza � prevista dagli artt. 51 c. 2 e 53 c. 2 R.D. n. 642 del 1907 (Regolamento per la 
procedura innanzi al Consiglio di Stato) come strumento per pervenire - in ragione della dichiarata 
o ravvisata urgenza del ricorso - alla pi� sollecita trattazione della causa, determinando 
il Presidente dell�organo ad una fissazione con precedenza rispetto all'ordine di trattazione risultante 
dalle date di iscrizione dei ricorsi; 
- la test� cennata norma di procedura regolante l�istanza in discorso, nel trentennio di vita dei 
TAR ha ricevuto costante e diffusa applicazione nella fissazione delle udienze innanzi ai Tribunali 
Amministrativi Regionali, essendo pervero prevista l�annotazione delle istanze di ur-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 251 
genza nel registro delle domande di fissazione di udienza dal comma 1) dell�art. 24 del Regolamento 
di esecuzione della L. n. 1034 del 1971 approvato con D.P.R. n. 214 del 1973; 
- la diffusione dello strumento acceleratorio costituito dalla proposizione della menzionata 
istanza di prelievo al fine di pervenire alla (pi�) sollecita discussione del ricorso innanzi al 
T.A.R. � frutto, ad avviso del Collegio, ben pi� che di una prassi di applicazione estensiva ai 
relativi giudizi di norma posta in altra �sedes materiae�, di una applicazione diffusa e sistematica 
dei principi impliciti nella norma regolamentare dell�annotazione delle istanze d�urgenza 
(art. 24 c. 1 D.P.R. n. 214 del 1973 cit.), applicazione che ben si pu� definire come integrante 
il diritto vivente della procedura innanzi ai T.A.R. (che oggi vede il ricorso alla previsione di 
un invito alla riproposizione di istanza di sollecito per i ricorsi �ultradecennali�, la cui inosservanza 
� sanzionata con l�adozione del decreto di perenzione: art. 9 L. n. 205 del 2000); 
- test� rammentata �istituzionalizzazione� dello strumento acceleratorio costituito dalla istanza 
di prelievo per la fissazione dei ricorsi innanzi ai T.A.R. rende dunque sterile - ai fini che occupano 
- decidere se il ricorrente abbia facolt� od obbligo di proporla, quel che rileva essendo 
l�onere dal diritto assegnato alla parte ricorrente di avvalersi di tale istanza per trarre il suo ricorso 
da una condizione di inerte quiescenza a quella della sua (tempestiva e sollecita, od ingiustificatamente 
differita) effettiva trattazione. 
Fatte queste premesse � per� d�obbligo osservare che la soluzione data al quesito che su tali 
premesse deve trovare risposta non � stata - nelle pronunzie di questa Corte dianzi citate - del 
tutto omogenea, avendo le pronunzie pubblicate nel 2002 attestato la propria statuizione sulla 
rilevanza assorbente che assume il rinvio al comportamento delle parti nell'accertamento della 
violazione della durata ragionevole (art. 2 c. 2 L. n. 89 del 2001), s� da escludere addebitabilit� 
all�Amministrazione dei tempi imputabili alla negligente condotta delle parti stesse nel non 
avvalersi dello strumento acceleratorio disponibile, ed invece puntando la sent. 3347/03 - e 
con ampia e diffusa applicazione diretta dei principi della giurisprudenza della CEDU - sulla 
permanente inadempienza dell�Amministrazione nel non aver organizzato il servizio in guisa 
da assicurare celerit� �...anche a favore degli utenti che non risultino diligenti nella cura dei 
propri interessi...� e semmai potendo la negligenza delle parti private rilevare ai sensi dell�art. 
1227 c.c. comma 2 nella sede della liquidazione di cui al comma 3 dell'art. 2 della L. n. 89 
del 2001. 
Ritiene il Collegio, dissentendo dall�indirizzo seguito dal pi� recente pronunziato di questa 
Corte, che debbasi privilegiare la prima opzione ermeneutica, posto che: 
- la scelta legislativa - di collocare il comportamento delle parti, al pari di quello del giudice 
e di ogni altra pubblica autorit�, tra gli oggetti dello scrutinio di merito sulla irragionevolezza 
della durata del processo (art. 2 c. 2 L. n. 89 del 2001 cit.) - appare eloquente dell�obiettivo 
politico perseguito, in coerenza con il rifiuto di fissare astratti parametri cronologici di durata 
ragionevole: la valutazione di irragionevolezza non deve discendere dalla pervasiva presunzione 
di addebitabilit� all�Amministrazione di ogni durata rapportabile a carenza nell�organizzazione 
del servizio ma dalla equilibrata ponderazione del ruolo avuto, nel concreto del 
processo in disamina, dai suoi attori pubblici e privati rispetto alla domanda di giustizia che 
quella controversia, con la sua complessit� o semplicit�, proponeva allo Stato-apparato; 
- in tal senso, la negligenza della parte istante nel non essersi avvalsa dello strumento di attivazione 
od acceleratorio che il �diritto vivente� ha messo a sua disposizione nel processo innanzi 
ai T.A.R. rileva come comportamento oggettivo che ha dato causa - altrettanto 
oggettivamente - alla mancata attivazione dell'organo di giustizia e che l�art. 2 comma 2 L. n. 
89 del 2001 pi� volte citato impone di valutare come causa, o concausa, della non ragionevo-
252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
lezza del tempo trascorso: ditalch�, se a nulla rileva sottolineare la non obbligatoriet� della 
proposizione dell'istanza e se altrettanto non rileva notare che, alla sua presentazione, non si 
rinviene l�espressa previsione di un obbligo per il Presidente del TAR di procedere alla immediata 
fissazione, � assolutamente rilevante il tempo in cui l�istanza viene proposta nel senso 
che con la sua proposizione, e solo da quella data, il decorrere del tempo diventa esclusivo 
parametro di valutazione del comportamento dell'organo di giustizia ai fini dello scrutinio 
della ragionevolezza della durata (a carico del quale la proposizione stessa, in forza del richiamato 
diritto vivente, determina una palese �traslatio� degli oneri di attivazione e del correlato 
disvalore per l�inosservanza); 
- se, dunque, l�efficienza causale della tempestiva o tardiva proposizione dell�istanza di prelievo 
trova la sua collocazione propria nello scrutinio di �adeguatezza� del comportamento. 
della parte (art. 2 c. 2 della L. n. 89 del 2001), ne discende l'impropriet� della sua considerazione 
nella �sedes materiae� della liquidazione del danno (l�art. 1227 c.c. cpv. richiamato 
dall�art. 2056 c.c. al quale fa rinvio il comma 3 dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001). Ed invero, 
l�uso che la parte faccia, od ometta, di una opportunit� processuale offertale dall�ordinamento 
� naturalmente quanto esclusivamente compreso tra gli oggetti dello scrutinio sulla 
irragionevolezza della durata del processo e cio� tra gli elementi costitutivi del fatto generatore 
dell�obbligo di indennizzo, e non pu� rifluire, in seconda battuta, anche nella sede dello scrutinio 
della diligenza del creditore nell�elidere al possibile i danni arrecati (a ci� ostando i formulati 
rilievi di ordine sistematico sul carattere assorbente del ruolo avuto dagli �attori� del 
processo nella sua durata). 
Alla luce delle esposte considerazioni appare immune da censure in diritto fa valutazione operata 
dalla Corte di merito la cui decisione, integrata e corretta la relativa motivazione nei sensi 
sopra indicati, ed immune da vizi logici restando la residua parte della statuizione, deve essere 
ritenuta conforme a diritto. 
L�impugnato decreto, infatti, ha preso atto della proposizione della istanza di prelievo ad oltre 
due anni dal deposito del ricorso e si � mosso sull�assunto della ragionevolezza del passaggio 
di meno di tre anni dopo la proposizione stessa. 
Orbene, pu� conclusivamente e sinteticamente affermarsi che: 
1) da un canto, il decreto ha ravvisato nel negligente comportamento del ricorrente la ragione 
della imputabilit� a suo carico della durata del processo anteriore alla sua iniziativa; 
2) dall�altro canto, il provvedimento ha considerato come ragionevole il tempo intercorso tra 
l'istanza stessa e la proposizione della domanda riparatoria; 
3) il decreto � poi passato a formulare discutibili quanto pleonastiche considerazioni sulla assenza 
di danno in concreto; 
4) la prima statuizione - con le integrazioni della motivazione in diritto dianzi precisate - pu� 
essere ritenuta conforme a diritto; 
5) la seconda statuizione (afferente la durata del processo per la frazione temporale certamente 
imputabile all'Amministrazione) � frutto di una valutazione avverso la quale nel motivo non 
sono indicati vizi logici di sorta ma sono addotte solo generiche ragioni di dissenso nel merito 
(e con richiamo ad alcuni pronunziati della CEDU); 
6) la terza statuizione - di sostegno di una alternativa �ratio decidendi� - non viene pi� in rilievo; 
7) pertanto, deve essere rigettato il primo motivo, e dalla correlata conferma della statuizione 
di rispetto del termine ragionevole di durata del processo, va dichiarato discendere l'assorbimento 
del secondo mezzo, afferente le riportate considerazioni sulla esistenza e consistenza 
del danno risarcibile.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 253 
Ritiene il Collegio che sussistano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio 
di legittimit�. 
P.Q.M. 
La Corte di Cassazione, rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio. 
Cos� deciso in Roma, il 13 Marzo 2003. 
** *** ** 
Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 23 dicembre 2005 n. 28507 
Svolgimento del processo 
Con ricorso depositato il 17 aprile 2002 C.C.S. conveniva in giudizio dinanzi alla Corte d�appello 
di Genova la Presidenza del Consiglio dei Ministri per sentirla condannare al pagamento 
di una somma a titolo di equo indennizzo dei danni patrimoniali e non patrimoniali per la non 
ragionevole durata di cinque giudizi da lui promossi dinanzi al TAR per la Toscana, rispettivamente 
il 6 giugno 1990, il 9 novembre 1993, il 28 novembre 1997, il 16 febbraio 1998 e il 
6 marzo 1998, tuttora in attesa di fissazione dell'udienza di discussione. 
Con decreto del 18 giugno-17 luglio 2002 la corte adita rigettava la domanda osservando preliminarmente 
che il ricorrente non aveva titolo per far valere eventuali danni riferibili a ritardi 
maturati prima del 18 aprile 2001, data di entrata in vigore della l. n. 89 del 2001. 
Quindi, passando a esaminare i vari processi pendenti, affermava che per il primo di essi, promosso 
dalla sig.ra M.T.S., madre del ricorrente che in qualit� di erede aveva provveduto alla 
riassunzione, la domanda non poteva trovare accoglimento poich� la riassunzione era avvenuta 
solo il 4 settembre 2001, e non era trascorso neppure un anno dal momento in cui era divenuto 
parte processuale; che per il secondo e il terzo la domanda era priva di fondamento essendo 
decorsi solo tre anni dalla presentazione dell'istanza di prelievo; che parimenti infondata doveva 
ritenersi la domanda per il quarto e il quinto processo per i quali l'istanza di prelievo 
non era stata neppure presentata. 
Contro la sentenza ricorre per cassazione con due motivi C.C.S. 
Non ha presentato difese la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 
Con ordinanza del 9 marzo-26 giugno 2002 � stata disposta la rimessione degli atti al Primo 
Presidente che ha provveduto all�assegnazione del ricorso alle Sezioni unite per la risoluzione 
della questione di particolare importanza relativa all'individuazione del momento in cui sorge 
il diritto alla durata ragionevole del processo nonch� del contrasto di giurisprudenza relativo 
all�accertamento del momento iniziale ai fini del computo del termine di durata del processo 
amministrativo. 
Motivi della decisione 
Con il primo motivo viene denunciata la violazione e la falsa applicazione dell�art. 6, n. 1, 
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo ratificata con la l. 848/1955, in 
relazione all�art. 360, n. 3, c.p.c. e si contesta l�affermazione secondo cui solo dalla data di 
entrata in vigore della l. 89/2001 sarebbe sorto il diritto all�equa riparazione, prima non esistente 
nel vigente sistema positivo, con la conseguente esclusione della legittimazione degli 
eredi alla proposizione della domanda di equo indennizzo per l�eccessiva durata di un processo 
instaurato dal loro dante causa prima di tale data.
254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
La questione � stata sinora decisa in senso negativo dalla giurisprudenza di questa Corte la 
quale ha considerato che la l. 89/2001 contempla senza limitazioni temporali le violazioni del 
canone di ragionevole durata del processo verificatesi dopo la ratifica della Convenzione dei 
diritti dell'uomo, ma che, in assenza di una espressa previsione di retroattivit� della norma 
interna costitutiva del diritto all�equo indennizzo, resta esclusa la nascita di tale diritto in capo 
a un soggetto deceduto prima della sua entrata in vigore e, conseguentemente, la sua trasmissibilit� 
agli eredi (Cassazione 17650/2002; 360/2003); e ci� anche se la parte, poi deceduta, 
avesse gi� proposto ricorso alla Corte di Strasburgo in quanto la fattispecie riparatoria prevista 
dalla normativa comunitaria non costituiva un diritto azionabile dinanzi a un giudice diverso 
da quello europeo. Tali considerazioni trovavano un ulteriore elemento di conferma nel rilievo 
che la norma transitoria dell�art. 6 della l. 89/2001 aveva natura di norma sostanziale e non 
processuale e non prevedeva alcun traslatio iudicii ma consentiva unicamente una circoscritta 
e limitata applicazione retroattiva del nuovo istituto dell'equa riparazione con riferimento ai 
soli giudizi per i quali si fosse gi� avuto il tempestivo deposito del ricorso dinanzi alla Corte 
di Strasburgo e non fosse ancora intervenuta una dichiarazione di ricevibilit� del ricorso stesso 
(Cassazione 5264/2003). 
Ci� premesso, merita accoglimento l�invito a riconsiderare la fondatezza di tale orientamento 
interpretativo, contenuto nell'ordinanza di rimessione, sulla base dell'evoluzione della giurisprudenza 
delle Sezioni unite le quali, con le sentenze in data 1339/2004, 1340 e 1341 hanno 
identificato il fatto costitutivo prefigurato dall'art. 2 della l. 89/2001 proprio nel mancato rispetto 
del termine ragionevole di durata del processo stabilito dall'art. 6 della Convenzione 
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, e hanno negato, conseguentemente, che la fattispecie 
prevista dalla norma interna assumesse connotati diversi da quelli stabiliti dalla Convenzione, 
rispetto alla quale essa andrebbe considerata non gi� costitutiva del diritto all'equa riparazione 
per la non ragionevole durata del processo, bens� unicamente istitutiva della via di ricorso interno, 
prima inesistente, diretta ad assicurare una tutela pronta ed efficace alla vittima della 
violazione del canone di ragionevole durata del processo in attuazione del disposto dell�art. 
13 della Convenzione il quale stabilisce il diritto a un ricorso effettivo davanti a un�istanza 
nazionale il cui esperimento preventivo opera, a norma dell'art. 35, come condizione di procedibilit� 
del ricorso alla Corte di Strasburgo che, ai sensi dell'art. 34, era proponibile in via 
immediata e diretta prima dell�introduzione del ricorso negli ordinamenti nazionali. 
Va ricordato al riguardo che l�art. 1 della Convenzione stabilisce che �le Parti Contraenti riconoscono 
ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libert� definiti dal 
titolo primo della Convenzione�, tra i quali � compreso il diritto ad un processo equo e di durata 
ragionevole (art. 6), che dev�essere tutelato attraverso il ricorso a un�istanza nazionale 
(art. 13), la cui introduzione nell�ordinamento vigente � avvenuta tardivamente, solo a seguito 
del moltiplicarsi delle condanne nei confronti dello stato in sede comunitaria per il pregiudizio 
derivante dalla non ragionevole durata dei processi. 
La l. 848/1955, provvedendo a ratificare e rendere esecutiva la Convenzione, ha introdotto 
nell�ordinamento interno i diritti fondamentali, aventi natura di diritti soggettivi pubblici, previsti 
dal titolo primo della Convenzione e in gran parte coincidenti con quelli gia indicati nell�art. 
2 Cost., rispetto al quale il dettato della Convenzione assume una portata confermativa 
ed esemplificativa (Corte costituzionale, 388/1999). 
La natura immediatamente precettiva delle norme convenzionali a seguito di ratifica dello 
strumento di diritto internazionale � stata gi� del resto riconosciuta esplicitamente dalla giurisprudenza 
di questa Corte che ha affermato l�avvenuta abrogazione dell�art. 34, comma 2,
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 255 
del r.d.l. 511/1946, nella parte in cui escludeva la pubblicit� della discussione della causa nel 
giudizio disciplinare a carico di magistrati per contrasto con la regola della pubblicit� delle 
udienze sancito dall'art. 6 della Convenzione che pone precisi limiti alla discussione della 
causa a porte chiuse (Sezioni unite 7662/1991); parimenti ha riconosciuto il carattere di diritto 
soggettivo fondamentale, insopprimibile anche dal legislatore ordinario, al diritto all�imparzialit� 
del giudice nell'amministrazione della giustizia, con richiamo allart. 6 della Convenzione 
(Cassazione 4297/2002), e, infine, ha espressamente riconosciuto la natura sovraordinata 
alle norme della Convenzione sancendo l�obbligo per il giudice di disapplicare la norma interna 
in contrasto con la norma pattizia dotata di immediata precettivit� nel caso concreto 
(Cassazione 10542/2002). 
Deve essere quindi superato l�orientamento secondo cui la fonte del riconoscimento del diritto 
all�equa riparazione dev'essere ravvisata nella sola normativa nazionale (Cassazione 11046/2002; 
11987/2002; 16502/2002; 5664/2003; 13211/2003) e ribadito il principio che il fatto costitutivo 
del diritto all'indennizzo attribuito dalla legge nazionale coincide con la violazione della norma 
contenuta nell�art. 6 della convenzione, di immediata rilevanza nel diritto interno. 
N� appare meritevole di consenso la distinzione adombrata in sede di discussine orale, tra diritto 
ad un processo di ragionevole durata, introdotto dalla Convenzione per la salvaguardia 
dei diritti dell�uomo (o addirittura ad essa preesistente come valore costituzionalmente protetto), 
e diritto all'equa riparazione, che sarebbe stato introdotto solo con la l. 89/2001, in 
quanto la tutela assicurata dal giudice nazionale non si discosta da quella precedentemente 
offerta dalla Corte di Strasburgo, alla cui giurisprudenza � tenuto a conformarsi il giudice nazionale 
(Sezioni unite 1340/2004). 
Da ci� consegue che il diritto all�equa riparazione del pregiudizio derivato dalla non ragionevole 
durata del processo verificatosi prima dell�entrata in vigore della l. 99/2001 va riconosciuto 
dal giudice nazionale anche in favore degli eredi della parte che abbia introdotto prima 
di tale data il giudizio del quale si lamenta la non ragionevole durata, col solo limite che la 
domanda di equa riparazione non sia stata gi� proposta alla Corte di Strasburgo e che questa 
si sia pronunciata sulla sua ricevibilit�. 
L�accoglimento del primo motivo di ricorso non preclude l�esame del secondo motivo, avente 
natura autonoma, con il quale si lamenta il vizio di motivazione su un punto decisivo della 
controversia con riferimento all�affermazione, posta a fondamento della statuizione di rigetto 
della domanda di equa riparazione per l�eccessiva durata dei processi pendenti dinanzi al giudice 
amministrativo, secondo cui la mancata o tardiva presentazione dell'istanza di prelievo 
escluderebbe la permanenza di un interesse alla decisione in capo al ricorrente, non essendo 
dato riscontare l�esistenza di una presunzione generale in tal senso. 
Va premesso al riguardo che nel sistema vigente prima dell�entrata in vigore della l. 205/2000 
- al quale deve farsi riferimento per i giudizi dei quali si lamenta nella specie la non ragionevole 
durata - il processo amministrativo richiede, dopo il deposito del ricorso, un solo necessario, 
infungibile impulso di parte costituito dalla presentazione nei due anni dal deposito del 
ricorso (o dall'ultimo atto della procedura quando venga ordinata un�attivit� istruttoria o la 
causa sia stata cancellata dal ruolo) di un�apposita istanza di fissazione, in mancanza della 
quale la causa si estingue per perenzione; una volta presentata tale istanza, infatti, il processo 
� dominato dal potere di iniziativa del giudice e non costituisce, perci�, adempimento necessario 
l�istanza di prelievo del ricorso dal ruolo, prevista dall�art. 51, comma 2, r.d. 642/1907, 
che ha il solo fine di fare dichiarare il ricorso urgente onde ottenerne la trattazione anticipata 
sovvertendo l�ordine cronologico di iscrizione delle domande di fissazione dell�udienza di
256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
discussione. 
Orbene, con riferimento al problema dell�individuazione del momento iniziale dal quale decorre 
la durata del procedimento amministrativo instaurato prima dellentrata in vigore della 
l. 205/2000 la giurisprudenza prevalente afferma che esso coincide con quello della presentazione 
dell'istanza di prelievo, ritenendo sufficiente a tal fine l�onere posto a carico del ricorrente 
di avvalersene per trarre il ricorso da una condizione di quiescenza e ottenerne 
l�effettiva trattazione, in considerazione del fatto che l�art. 2, comma 2, della l. 89/2001 esclude 
l�addebitabilit� all�Amministrazione dei tempi imputabili alla negligente condotta della parte 
che non si sia avvalsa dello strumento acceleratorio posto a sua disposizione, sicch� solo dal 
momento della presentazione di tale istanza il decorso del tempo potrebbe considerarsi parametro 
esclusivo di valutazione del comportamento del giudice adito al fine di valutare la ragionevolezza 
della durata del processo (Cassazione 15445/2002; 15992/2002; 6180/2003; 
22503/2004). 
A tale interpretazione si contrappone un orientamento minoritario secondo cui la mancata presentazione 
dell�istanza di prelievo non pu� influire sul calcolo dei termini del processo, ma 
potrebbe incidere unicamente sulla determinazione dell�entit� dell'equa riparazione spettante 
con riferimento al dettato dell'art. 2056 c.c. richiamato nell�art. 2 della l. 89/2001, che a sua 
volta richiama l�art. 1227, il quale al secondo comma esclude il risarcimento dei danni che il 
danneggiato avrebbe potuto evitate usando l�ordinaria diligenza, col risultato che la durata irragionevole 
del processo, ancorch� accertata, non potrebbe porsi esclusivamente a carico dello 
Stato (Cassazione 3347/2003). 
Va segnalato che successivamente alla ordinanza di rimessione degli atti al Primo Presidente, 
� intervenuta una nuova pronuncia (Cassazione 23187/2004) con la quale, in adesione all�orientamento 
ripetutamente espresso dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ha gi� 
proceduto alla revisione dell�interpretazione sinora prevalente affermando che la lesione del 
diritto ad una ragionevole durata del processo va riscontrata, anche per le cause proposte davanti 
al giudice amministrativo, con riferimento al periodo di tempo decorso dall�instaurazione 
del procedimento, senza che su di esso possa incidere la mancata o ritardata presentazione 
dell�istanza di prelievo. 
Tale interpretazione, che ha incontrato il consenso delle decisioni che si sono succedute sulla 
questione in esame (Cassazione 18759/2005; 19801/2005), merita ulteriore conferma in considerazione 
del fatto - evidenziato nella motivazione della citata pronuncia - che la presenza 
di strumenti sollecitatori non sospende n� differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla 
domanda, n� implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilit� per il superamento del 
termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento 
della parte al solo fine dell�apprezzamento dell'entit� del lamentato pregiudizio. 
In conclusione il ricorso merita accoglimento e conseguentemente il decreto impugnato dev�essere 
cassato con rinvio della causa ad altro giudice il quale si conformer� ai principi di 
diritto innanzi enunciati. 
Al giudice di rinvio viene rimessa altres� la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione 
P.Q.M. 
La Corte, pronunciando a Sezioni unite, accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia 
la causa ad altra sezione della Corte di appello di Genova, cui rimette altres� la pronuncia 
sulle spese del giudizio di cassazione. 
Cos� deciso in Roma, il 15 dicembre 2005.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 257 
** *** ** 
Cassazione civile, Sezione Prima, sentenza 28 novembre 2008 n. 28428 
Svolgimento del processo 
Con ricorso depositato il 16.4.2004, G.B. chiedeva alla Corte di Appello di Roma che, previo 
accertamento della violazione dell�art.6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia 
dei diritti dell�uomo (d�ora in avanti, per brevit�, denominata semplicemente �Convenzione 
europea�), sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di durata del 
processo, venisse disposta la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento 
di quanto dovutogli a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale subito in 
conseguenza del fatto: 
a) che, in data 28.10.1974, aveva proposto ricorso alla Corte dei Conti avverso il decreto n. 
1056/l973 del Ministero della Difesa, mediante il quale gli era stato negato il trattamento di 
pensione privilegiata ordinaria; 
b) che, in data 30.6.1998, aveva presentato istanza di sollecito; 
c) che, in data 23.2.2001, detto Giudice aveva pronunciato sentenza di rigetto; 
d) che tale decisione, con ricorso notificato il 22.2.2002, era stata impugnata davanti alla Corte 
dei Conti, Sezione Giurisdizionale Centrale, la quale aveva pronunciato sull�appello mediante 
sentenza in data 11.6.2003. 
Si costituiva in giudizio l�Amministrazione convenuta, resistendo alla pretesa avversaria. 
La Corte territoriale adita, con decreto emesso in data 25.10.2004/4.10.2005, rigettava il ricorso, 
assumendo che la durata del giudizio presupposto dovesse considerarsi ragionevole, 
atteso che il giudizio di primo grado era stato definito nel termine di anni tre circa dal deposito 
dell�istanza di prelievo, laddove il giudizio di secondo grado era stato definito nel termine di 
sedici mesi circa dalla proposizione dell�appello, onde non risultavano superati i termini solitamente 
indicati dalla Corte di Strasburgo per giudizi similari. 
Avverso tale decreto, ricorre per cassazione il B., deducendo due motivi di gravame, ai quali 
non resiste la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 
Ai sensi dell�art.375 c.p.c., � stata fissata l�adunanza in camera di consiglio. 
Motivi della decisione 
Con il primo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente violazione e falsa applicazione 
della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6 della Convenzione europea, nonch� della L. n. 585 del 
1971, art. 20 e della L. n. 19 del 1994, art. 6, concernenti le norme processuali del Giudice 
contabile, assumendo: 
a) che le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza n. 28507 del 2005, in adesione 
all�orientamento ripetutamente espresso dalla giurisprudenza europea, hanno affermato che 
la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo va riscontrata, anche per le cause 
proposte davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo di tempo decorso dall�instaurazione 
del procedimento, senza che su di esso possa incidere la mancata o ritardata 
presentazione dell�istanza di prelievo o di sollecito; 
b) che la Corte territoriale ha ignorato la speciale normativa processualistica del Giudice contabile, 
alla quale � completamente sconosciuto l�uso dell�istanza di prelievo; 
c) che, solo con la riforma del 1994 (L. n. 19) ed in riferimento ai processi pendenti, il legi-
258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
slatore ha espressamente prescritto all'art. 6 che la parte, la quale ne aveva interesse, doveva 
proporre, nel termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione della segreteria della sezione, 
istanza per la prosecuzione del giudizio, sanzionando l�inottemperanza con l�estinzione dello 
stesso, dichiarata d�ufficio; 
d) che, pertanto, fino alla novella del 1994, l�odierno ricorrente non aveva alcun potere di impulso 
processuale, governando il principio dell�officialit�, laddove, successivamente, egli ha 
utilizzato tutti gli strumenti messi a disposizione dall'ordinamento per il regolare svolgimento 
del processo. 
Il motivo � manifestamente fondato. 
La Corte territoriale, con apprezzamento di per s� incensurato, ha dato conto del fatto: 
a) che, in data 28.10.1974, � stato proposto dal B. ricorso alla Corte dei Conti avverso il Decreto 
n. 1056 del 1973, del Ministero della Difesa, mediante il quale gli era stato negato il 
trattamento di pensione privilegiata ordinaria; 
b) che, in data 30.6.1998, il medesimo B. ha presentato istanza di sollecito; 
c) che, in data 23.2.2001, il Giudice contabile ha pronunciato sentenza di rigetto; 
d) che tale decisione, con ricorso notificato il 22.2.2002, � stata impugnata davanti alla Corte 
dei Conti, Sezione Giurisdizionale Centrale, la quale ha pronunciato sull�appello mediante 
sentenza in data 11.6.2003. 
La stessa Corte territoriale, peraltro, ha ritenuto che �il termine del giudizio presupposto deve 
considerarsi ragionevole, atteso che il giudizio di primo grado � stato definito nel termine di 
anni tre circa dal deposito dell'istanza di prelievo, mentre il giudizio di secondo grado � stato 
definito nel termine di sedici mesi circa dalla proposizione dell'appello, sicch� non risultano 
superati i termini solitamente indicati dalla Corte di Strasburgo per giudizi similari�. 
Argomentando in tal modo, il Giudice di merito non ha fatto corretta applicazione del principio, 
uniformemente enunciato da questa Corte all�esito della pronuncia delle Sezioni Unite 
n. 28507 del 23 dicembre 2005 (cos�, in termini, Cass. 29 marzo 2006, n. 7118; Cass. 21 aprile 
2006, n. 9411; Cass. 28 aprile 2006, n. 9853; Cass. 11 maggio 2006, n. 10894; Cass. 7 luglio 
2006, n. 15603; Cass. 14 novembre 2006, n. 24258; Cass. 16 novembre 2006, n. 24438, onde, 
in questo senso, appunto, la manifesta fondatezza del motivo in esame), secondo cui, in tema 
di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione 
del processo in un termine ragionevole, di cui all�art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea, 
va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al 
periodo intercorso dall�instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza 
del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione 
alla mancanza dell�istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, l� dove, cio�, la 
previsione di strumenti sollecitatori non sospende n� differisce il dovere dello Stato di pronunciare 
sulla domanda, in caso di omesso esercizio degli stessi, n� implica il trasferimento 
sul ricorrente della responsabilit� per il superamento del termine ragionevole di definizione 
del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell'apprezzamento 
dell'entit� del lamentato pregiudizio. 
N�, in contrario, pu� essere tratto argomento dalla recente disposizione contenuta nel D.L. 
25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito nella L. 6 agosto 2008, n. 133, l� dove 
tale disposizione recita �La domanda di equa riparazione non � proponibile se nel giudizio 
dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui alla 
L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, non � stata presentata un'istanza ai sensi del R.D. 
17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2�.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 259 
Premesso, infatti, come il D.L. n. 112 del 2008 sia entrato in vigore il �25 giugno 2008�, ovvero 
(ai sensi dell'art. 85 di esso) �il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale�, 
deve, nella specie, osservarsi che, in difetto di esplicite previsioni contrarie (tale 
essendo esattamente il caso in esame), il principio dell�immediata applicazione della legge 
processuale sopravvenuta ha riguardo soltanto agli atti processuali successivi all�entrata in 
vigore della legge stessa, alla quale non � dato di incidere, pertanto, sugli atti anteriormente 
compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio del tempus regit 
actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere (come, di nuovo nella specie, 
la domanda di equa riparazione avanzata il 16.4.2004), un generale criterio di �affidamento� 
legislativo (desumibile dall�art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale) precludendo la 
possibilit� di ritenere che gli effetti dell�atto processuale gi� formato al momento dell�entrata 
in vigore della nuova disposizione (domanda appunto di equa riparazione) siano da quest'ultima 
regolati, quanto meno nei casi (come quello in esame) in cui la retroattivit� della disciplina 
verrebbe a comprimere la tutela della parte, senza limitarsi a modificare la mera tecnica 
del processo (Cass. 12 maggio 2000, n. 6099). 
Del resto, � appena il caso di osservare come l�orientamento giurisprudenziale sopra riportato 
sia stato ribadito da questa Corte anche in relazione alle cause davanti al Giudice contabile e, 
segnatamente, a quelle pensionistiche, rispetto alle quali, cio�, trovasi parimenti affermato 
che la lesione del diritto alla definizione del processo nel termine ragionevole va riscontrata 
con riguardo al periodo intercorso dall�instaurazione del procedimento, ovvero tenendo conto 
del tempo complessivo dell'attesa della risposta sulla domanda di giustizia, senza che una simile 
decorrenza del predetto termine di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti 
in seguito alla mancanza (o al ritardo nella presentazione) dell�istanza di prelievo o di sollecitazione 
o di trattazione anticipata, ove pure prevista dalla prassi degli uffici giudiziari quale 
strumento acceleratorio (Cass. 21 febbraio 2006, n. 3782; Cass. 7 aprile 2006, n. 8156). 
Pertanto, risultando inammissibile il secondo motivo di gravame (attraverso il quale � stato 
lamentato che, una volta accertata la violazione del termine ragionevole, non bisogna tener 
conto del solo tempo eccedente, ma l�indennizzo va riconosciuto e applicato per ogni anno di 
durata del processo e non per ogni anno di ritardo, laddove, per�, la Corte territoriale ha rigettato 
il ricorso per equa riparazione sulla base dell�assorbente rilievo di cui al motivo che 
precede, senza minimamente statuire in ordine al profilo dedotto con tale secondo motivo), il 
ricorso odierno merita accoglimento nei sensi di cui in motivazione, onde l�impugnato decreto 
deve essere cassato in relazione alle censure accolte e, ravvisata la sussistenza delle condizioni 
indicate dall�art. 384 c.p.c., comma 1, ultima parte, (nel testo, applicabile ratione temporis, 
anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), nel senso esattamente 
che il periodo eccedente la ragionevole durata del giudizio presupposto risulta determinato in 
�24�anni (dovendosi detrarre dalla durata complessiva di quest�ultimo, da apprezzare in circa 
�29� anni, ovvero dall'inizio, in data 28.10.1974, sino alla pronuncia, in data 11.6.2003, della 
sentenza della Corte dei Conti in sede di appello, la durata �normale� di due gradi di giudizio, 
stimata pari a complessivi anni �5�) e che pu�, del resto, ripercorrendo gli arresti della Corte 
europea dei diritti dell�uomo, individuarsi nell'importo di Euro 1.000,00, la base di calcolo 
dell'equa riparazione per ciascun anno in relazione al danno non patrimoniale (Cass. 23 aprile 
2005, n. 8568; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1630; Cass. 13 aprile 2006, n. 8714; Cass. 7 dicembre 
2006, n. 26200; Cass. 22 dicembre 2006, n. 27503; Cass. 24 gennaio 2007, n. 1605; Cass. 1 
marzo 2007, n. 4845), suscettibile di venire innalzata fino ad euro 1.500,00 (ed anche al di 
sopra) per le (sole) ipotesi che presentino specifiche e peculiari connotazioni di intensit� dello
260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
stress e dell�ansia da attesa di una decisione liberatoria, la Presidenza del Consiglio dei Ministri 
deve essere condannata al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 
24.000,00, oltre agli interessi legali dalla domanda (16.4.2004) sino al saldo. 
La sorte delle spese del giudizio di merito e di quello di legittimit� segue il criterio della soccombenza, 
liquidandosi dette spese, rispettivamente, in complessivi Euro 1.075,00, di cui 
Euro 475,00 per diritti ed Euro 500,00 per onorari, nonch� in complessivi Euro 700,00, di cui 
Euro 600,00 per onorari, oltre, in ambedue i casi, le spese generali (nella misura percentuale 
del 12,50% sull�importo degli onorari medesimi) e gli accessori (I.V.A. e Cassa Previdenza 
Avvocati) dovuti per legge. 
Le (sole) spese riguardanti il giudizio di legittimit� vanno, infine, distratte a vantaggio del difensore 
Avv. A. Marchetti, il quale se ne � dichiarato antistatario proponendo la relativa istanza 
ex art. 93 c.p.c., laddove analogo provvedimento non pu� essere adottato in ordine alle spese 
riguardanti il giudizio di merito, risultando dalla stessa intestazione dell'impugnato decreto 
come l�anzidetto difensore non fosse munito di �procura� (secondo quanto richiesto dal gi� 
citato art. 93 c.p.c.) in quest�ultimo giudizio. 
P.Q.M. 
La Corte: 
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato in relazione 
alle censure accolte e, decidendo la causa nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio 
dei Ministri al pagamento, in favore di B.G., della somma di Euro 24.000,00, oltre agli interessi 
legali dalla domanda sino al saldo, nonch� al rimborso, in favore del ricorrente, delle 
spese dei giudizi di merito e di legittimit�, liquidate, rispettivamente, in complessivi Euro 
1.075,00, di cui Euro 475,00, per diritti ed Euro 500,00, per onorari ed in complessivi Euro 
700,00, di cui Euro 600,00, per onorari, oltre, in ambedue i casi, le spese generali e gli accessori 
dovuti per legge, disponendo la distrazione delle spese del giudizio di legittimit� a vantaggio 
del difensore antistatario Avv. A. Marchetti. 
Cos� deciso in Roma, il 4 luglio 2008.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 261 
Sugli effetti della cancellazione delle 
societ� dal registro delle imprese 
La parola alle Sezioni Unite 
(Corte di Cassazione, Sezione Prima, sentenza 15 settembre 2009 n. 19804) 
Con la sentenza interlocutoria del 15 settembre 2009 n. 19804, la I sez. 
civile della Corte di Cassazione, dopo aver preso atto dell'esistenza di un contrasto 
in seno alle sezioni semplici, ha rimesso la causa al Primo Presidente per 
l�eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, al fine di stabilire se la cancellazione 
dal registro delle imprese comporta o meno l�estinzione della societ�. 
Secondo una prima interpretazione - che ripropone l�orientamento giurisprudenziale 
tradizionale consolidatosi, antecedentemente alla riforma del diritto 
societario, con riguardo al previgente art. 2456, comma 2, c.c - anche a 
seguito della modifica apportata all�art. 2495 c.c., dall�art. 4, d. lgs. 17 gennaio 
2003, n. 6, la formale cancellazione della societ� dal registro delle imprese non 
comporta la sua estinzione, che � determinata, invece, soltanto dalla effettiva 
liquidazione dei rapporti giuridici pendenti, che alla stessa societ� fanno capo, 
nonch� dalla definizione di tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi 
(cfr. Cass., sez. III civ., 15 gennaio 2007, n. 646; Id., sez. civ. III, 23 maggio 
2006, n. 12114; prima della riforma delle societ�, cfr. Cass. 18 agosto 2003, n. 
12078; Id. 26 aprile 2001, n. 6078; Id. 12 giugno 2000, n. 7972; Id. 4 ottobre 
1999, n. 11021; Id. 14 maggio 1999, n. 4774; Id. 20 ottobre 1998, n. 10380 e 
Id. 5 settembre 1996, n. 8099). 
Secondo un altro indirizzo - che invece � divenuto maggioritario a seguito 
della riforma del diritto delle societ� - ai sensi del novellato art. 2495, comma 
2, c.c., la cancellazione dal registro delle imprese produce l�effetto costitutivo 
dell�estinzione irreversibile della societ�, anche in presenza di crediti insoddisfatti 
e di rapporti ancora non definiti (cfr. Cass., sez. I civ., 12 dicembre 2008, 
n. 29242; Id., sez. II civ., 15 ottobre 2008, n. 25192; Id. sez. lav., 18 settembre 
2007, n. 19347; Id. sez. I civ., 28 agosto 2006, n. 18618). 
L�orientamento giurisprudenziale favorevole all�estinzione delle societ� 
cancellate dal registro delle imprese si fonda sul rilievo secondo il quale il 
nuovo testo dell'art. 2495 c.c., comma 2, anteponendo al vecchio testo dell�art. 
2456, comma 2, c.c. (che prevede le azioni dei creditori insoddisfatti nei confronti 
di soci e liquidatori), la proposizione "Ferma restando l'estinzione della 
societ�", manifesterebbe la volont� del legislatore di stabilire che la cancellazione 
produce l'effetto costitutivo dell'estinzione irreversibile della societ� 
anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti. 
Esso pu� essere cos� riassunto:
262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
a) a seguito della modifica apportata all�art. 2495 c.c., dall�art. 4, d. lgs. 
17 gennaio 2003, n. 6, oggi vige nel nostro ordinamento il principio generale 
secondo il quale alla cancellazione dal registro delle imprese consegue l�irreversibile 
estinzione della societ�; 
b) tale principio trova applicazione non solo alle societ� di capitali ed alle 
societ� cooperative (alle quali espressamente fa riferimento il vigente art. 2495 
c.c.), ma anche alle societ� di persone (e ci� costituisce una novit� assoluta 
nel panorama giurisprudenziale, atteso che la stessa Corte di Cassazione aveva 
continuato a sostenere, anche dopo la riforma del diritto delle societ�, che l�art. 
2495 c.c., non poteva trovare applicazione alle societ� di persone - cfr., per 
tutte, Cass., sez. civ. III, 23 maggio 2006, n. 12114). 
c) la natura meramente ricognitiva della nuova disposizione comporta 
che l�art. 2495 c.c. si applica retroattivamente, anche ai rapporti giuridici pendenti 
alla data del 1 gennaio 2004, con la sola esclusione dei rapporti giuridici 
gi� esauriti e degli effetti gi� in precedenza irreversibilmente verificatisi; 
d) con riguardo ai processi in corso, si afferma che questi non possano 
pi� proseguire nei confronti o su iniziativa della persona giuridica cancellata, 
con conseguente inammissibilit� delle azioni proposte nei confronti o su iniziativa 
della societ� estinta. 
Che l�incipit del comma 2 dell�art. 2495 c.c. abbia posto fine all�annosa 
querelle in ordine all�efficacia, costitutiva o dichiarativa, della cancellazione 
della societ� dal registro delle imprese, risolvendola in favore della prima soluzione 
(in tal senso si � espressa anche la prevalente dottrina commentando 
la riforma delle societ�, cfr. ASSOCIAZIONE PREITE, Il nuovo diritto delle societ�. 
Societ� di capitali e cooperative, a cura di G. Olivieri, G. Presti, F. Vella, 
Bologna, 2003, pagg. 356-366, V. BUONOCORE, in AA. VV., Istituzioni di diritto 
commerciale, a cura di V. Buonocore, Torino, 2003, pag. 272; G. F. CAMPOBASSO, 
Manuale di diritto commerciale, Torino, 2003, pag. 320; F. CORSI, 
Le nuove societ� di capitali, Milano, 2003, pag. 279; F. GALGANO, Il nuovo 
diritto delle societ�, nel Trattato Galgano, 2003, pag. 410; V. SALAFIA, Scioglimento 
e liquidazione delle societ� di capitali, in Societ�, 2003, pag. 382), 
� messo in discussione dalla sentenza in commento, n. 19804 del 15 settembre 
2009, secondo la quale l'interpretazione proposta dell'art. 2495 c.c. troverebbe 
nella lettera della legge soltanto un modesto supporto, e nessuno nella legge 
delega, che dava, invece, mandato al legislatore delegato di disciplinare "gli 
effetti della cancellazione della societ� dal registro delle imprese" (L. 3 ottobre 
2001, n. 366, art. 8, comma 1, lett. a). 
A ci� si aggiunga che dalla lettura della relazione illustrativa (ove si legge, 
al � 12, che: �Per la residua disciplina (artt. 2491 - 2496) si � ritenuto di poter 
riprodurre sostanzialmente la disciplina esistente�� ) emerge che il legislatore 
del 2003 non sembra essersi mosso, inequivocabilmente, nella direzione 
di assegnare efficacia costitutiva alla cancellazione della societ�.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 263 
Ne deriva l�esigenza - evidenziata dalla sentenza in commento, e a cui 
dovranno dare risposta le Sezioni Unite della Corte di Cassazione - di ricercare 
una soluzione interpretativa che contemperi l�anzidetto orientamento giurisprudenziale 
favorevole all�estinzione della societ� cancellata, con l�interesse 
ad una effettiva tutela dei creditori sociali (specie, fra questi ultimi, quelli che 
come il fisco e gli enti previdenziali intervengono dopo un lungo periodo di 
tempo), e che potrebbe passare attraverso la distinzione, nell�ambito delle 
cc.dd. sopravvenienze, tra le sopravvenienze vere e proprie e le passivit� note, 
con la conseguenza di escludere l�effetto estintivo della cancellazione soltanto 
nel caso in cui i liquidatori abbiano omesso dolosamente o colposamente di 
soddisfare i creditori sociali, conosciuti o conoscibili usando l�ordinaria diligenza, 
al momento della cancellazione della societ� (cfr., in tal senso, G. MINERVINI, 
La fattispecie estintiva delle societ� per azioni e il problema delle 
cc.dd. sopravvenienze, in Riv. trim. dir, proc. civ., 1952, pag. 1009). 
Giuseppe Zuccaro* 
Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 15 settembre 2009 n. 19804 - Pres. Luccioli, 
Rel. Panzani - R. A. (Avv.ti S. Cersosimo e M. P.G. Guerra ) c. R.A.S., Riunione Adriatica di 
Sicurt� S.p.A. (Avv.ti R. Michele e C. F. Galantini). 
(... Omissis ...) 
MOTIVI DELLA DECISIONE 
1. Con il primo motivo il R. deduce difetto e contraddittoriet� della motivazione in relazione 
all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione dell'art. 2456 c.c.. 
Argomentando anche dalla giurisprudenza formatasi dopo la riforma societaria con riferimento 
all'art. 2495 c.c. novellato, oltre che dall'insegnamento di Corte costituzionale 319/2000, il 
ricorrente sostiene che la cancellazione della societ� dal registro delle imprese ne determina 
l'estinzione, anche quando sopravvivano rapporti di debito e credito. 
La Corte d'appello nell'affermare che la cancellazione, secondo la disciplina pregressa dettata 
dall'art. 2456 vecchio testo c.c. avrebbe un valore dichiarativo e nel concludere, tuttavia, che 
si avrebbe non un'estinzione automatica, ma una semplice presunzione di estinzione, avrebbe 
reso un'affermazione contraddittoria. Ne deriverebbe che la notifica della sentenza 9786/93 
alla societ� nella sua sede non potrebbe essere valida e non potrebbe pertanto aver avuto effetti 
interruttivi della prescrizione. Non si comprenderebbe inoltre in base a quali elementi la Corte 
di merito avrebbe potuto ritenere superata la presunzione di estinzione della societ� da essa 
stessa affermata. 
(... Omissis) 
2. E' preliminare l'esame del primo motivo di ricorso. 
(*) Procuratore dello Stato.
264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Questa Corte con recenti decisioni ha affermato che in tema d'interpretazione del nuovo diritto 
societario, la modifica dell'art. 2495 cod. civ., D.Lgs. n. 6 del 2003, ex art. 4, secondo la quale 
la cancellazione dal registro delle imprese determina, contrariamente a quanto previsto per la 
disciplina previgente dall'art. 2456 c.c., l'estinzione della societ�, si applica anche alle societ� 
di persone, nonostante la prescrizione normativa indichi esclusivamente quelle di capitali e 
quelle cooperative ed, inoltre la norma, per la sua funzione ricognitiva, � retroattiva e trova 
applicazione anche in ordine alle cancellazioni intervenute anteriormente al 1 gennaio 2004, 
data di entrata in vigore delle modifiche introdotte dal citato D.Lgs. n. 6 del 2003, con la sola 
esclusione dei rapporti esauriti e degli effetti gi� irreversibilmente verificatisi (Cass. 28.8.2006, 
n. 18618; Cass, 18.9.2007, n. 19347; Cass. 15.10.2008, n. 25192; Cass. 12.12.2008, n. 29242). 
Nella fattispecie esaminata Cass. 18618/06 in sede di giudizio di opposizione a dichiarazione 
di fallimento ha ritenuto che, nel caso in cui la dichiarazione di fallimento sia stata chiesta da 
una societ� successivamente cancellata dal registro delle imprese, non occorre procedere all'integrazione 
del contraddittorio nei confronti della stessa, non avendo il giudizio ad oggetto 
l'accertamento del diritto di quest'ultima, e non vertendosi dunque in un'ipotesi di litisconsorzio 
sostanziale, giustificato dalla qualit� di parte del rapporto sostanziale controverso, ma in 
un'ipotesi di litisconsorzio processuale, in relazione alla quale la cancellazione della societ� 
istante esclude la possibilit� di una integrazione del contraddittorio nei confronti della stessa, 
in quanto estinta, ben potendo il giudizio proseguire tra le altre parti. 
Cass. 29242/08 ha ritenuto inammissibile la proposizione del ricorso per cassazione per inesistenza 
del soggetto proponente e conseguente difetto di rappresentanza processuale, trattandosi 
di societ� in nome collettivo cancellata dal registro delle imprese dopo la notifica 
dell'atto di appello, senza che l'evento fosse stato dichiarato in quel giudizio. Cass. 19347/07 
ha, analogamente, dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei confronti di un consorzio 
cancellato dal registro delle imprese, in quanto soggetto inesistente e Cass. 25192/08 ha pronunciato 
negli stessi termini con riferimento a societ� in nome collettivo cancellata dal registro 
sin dall'8.1.2003. 
In senso contrario con numerose pronunce, anche recenti, la Corte, facendo seguito ad un 
orientamento giurisprudenziale consolidatosi nel tempo tanto da essere considerato dalla Corte 
costituzionale come "diritto vivente" (Corte Cost. 319/2000), e facendo riferimento alla disciplina 
vigente anteriormente alla riforma societaria, ha ritenuto con riguardo sia alle societ� 
di persone che alle societ� di capitali che l'atto formale di cancellazione di una societ� dal registro 
delle imprese, cos� come il suo scioglimento, con instaurazione della fase di liquidazione, 
non determina l'estinzione della societ� ove non siano esauriti tutti i rapporti giuridici 
ad essa facenti capo a seguito della procedura di liquidazione, ovvero non siano definite tutte 
le controversie giudiziarie in corso con i terzi, e non causa, conseguentemente, in relazione a 
detti rapporti rimasti in sospeso e non definiti, la perdita della legittimazione processuale della 
societ� e un mutamento nella rappresentanza sostanziale e processuale della stessa, che permane 
in capo ai medesimi organi che la rappresentavano prima della cancellazione (ex multis 
Cass. 15.1.2007, n. 646; in Cass. 23.5.2006, n. 12114; Cass. 2.3.2006, n. 4652; Cass. 
28.5.2004, n. 10314; Cass. 12.6.2000, n. 7972; Cass. 17.3.1998, n. 2869; Cass. 2.4.1999, n. 
3221; Cass. 11.6.1968, n. 1849). 
Il primo orientamento si fonda sul rilievo, compiutamente sviluppato da Cass. 18618/06 cui 
hanno aderito senza ulteriori argomenti le successive pronunce, che il nuovo testo dell'art. 
2495 c.c., comma 2, antepone al vecchio testo, che prevede le azioni dei creditori insoddisfatti 
nei confronti di soci e liquidatori, la proposizione "ferma restando l'estinzione della societ�".
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 265 
In tal modo, si afferma, il legislatore della riforma avrebbe chiaramente manifestato la volont� 
di stabilire che la cancellazione produce l'effetto costitutivo dell'estinzione irreversibile della 
societ� anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti. Tale 
volont� sarebbe implicitamente confermata dalla previsione che i creditori insoddisfatti possono, 
entro un anno dalla cancellazione, notificare presso l'ultima sede della societ� la domanda 
proposta nel confronti di soci e liquidatori; si tratterebbe di una agevolazione che 
riproduce esattamente quella prevista dall'art. 303 c.p.c., comma 2, per la notifica della riassunzione 
agli eredi della parte defunta. La disposizione in questione, entrata in vigore il 1 
gennaio 2004, troverebbe applicazione anche alle cancellazioni gi� iscritte nel registro delle 
imprese. Essa, infatti, disciplinerebbe diversamente, rispetto al diritto vivente nella sino ad 
oggi incontroversa interpretazione giurisprudenziale (la dottrina prevalente gi� riteneva, invece, 
che la cancellazione determinasse l'irreversibile estinzione della societ�), non la cancellazione 
(ma i suoi effetti, id est la situazione giuridica della societ� cancellata. Si osserva 
in proposito che il principio della irretroattivit� della legge comporta che la legge nuova non 
possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, 
a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita, se in tal modo si disconoscano gli effetti gi� verificatisi 
del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze 
attuali e future dello stesso. Lo stesso principio comporta, invece, che la legge nuova possa 
essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua 
entrata in vigore, ancorch� conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina 
disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi 
totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso 
tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore. In questa 
prospettiva l'art. 2495 c.c. nuovo testo non avrebbe disciplinato le condizioni per la cancellazione 
della societ�, che presuppone sempre la liquidazione e l'approvazione del relativo bilancio 
finale, ma i soli effetti della cancellazione. La nuova disciplina, pertanto, troverebbe 
applicazione "retroattivamente con l'attribuzione ex nunc di effetti nuovi a fatti pregressi". 
Va sottolineato che non incide sull'esegesi della norma dettata dall'art. 2495 c.c. nuovo testo 
la sentenza n. 319 del 21 luglio 2000 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimit� 
della L. Fall., art. 10, nella parte in cui prevedeva, secondo le conclusioni dell'orientamento 
giurisprudenziale all'epoca consolidato, "che il termine di un anno dalla cessazione dell'impresa, 
entro il quale pu� intervenire la dichiarazione di fallimento, decorra, per l'impresa 
collettiva, dalla liquidazione effettiva dei rapporti facenti capo alla societ�, invece che dalla 
cancellazione della societ� stessa dal registro delle imprese". L'individuazione per l'imprenditore 
collettivo di un dies a quo formale, perch� legato alla cancellazione, e non sostanziale, 
quale quello fondato sulla cessazione della attivit� d'impresa, � legata, infatti, nella pronuncia 
del giudice delle leggi( all'esigenza di una disciplina se non uniforme, quantomeno coordinata 
con quella stabilita per la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore individuale cessato, 
ove sia intervenuta la cancellazione dal registro delle imprese, rispettosa del principio di ragionevolezza 
in forza del quale l'imprenditore collettivo non pu� essere esposto sine die alla 
dichiarazione di fallimento e cio� fino all'estinzione di tutti i rapporti giuridici facenti capo 
alla societ� cancellata. Tale interpretazione non contrasta, ma anzi presuppone, l'orientamento 
giurisprudenziale disatteso da Cass. 18618/06 e dalle altre pronunce che a quest'ultima si sono 
conformate. 
Va poi aggiunto che l'interpretazione proposta dell'art. 2495 c.c. trova soltanto un modesto 
supporto nella lettera della legge (� stato infatti sostenuto che l'inciso "Ferma restando l'estin-
266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
zione della societ�", con cui si apre l'art. 2495 c.c., comma 2, sarebbe indizio della natura 
d'interpretazione autentica della norma) e nessuno nella legge delega, che dava mandato al 
legislatore delegato di disciplinare "gli effetti della cancellazione della societ� dal registro 
delle imprese" (L. 3 ottobre 2001, n. 366, art. 8, comma 1, lett. a), e che il legislatore della riforma 
societaria, modificando le disposizioni di attuazione del codice civile (cfr. in particolare 
gli artt. 223 bis e ss. disp. att. c.c.), � intervenuto in numerosi casi, ma non in quello in esame, 
a regolare il passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina. N� il nuovo orientamento fa propria 
l'interpretazione del vecchio art. 2456 c.c. sostenuta dalla dottrina, in contrasto con l'orientamento 
giurisprudenziale all'epoca consolidato, n� sostiene che la nuova norma detti una disposizione 
d'interpretazione autentica della vecchia disciplina, come pur � stato sostenuto, ma 
afferma, come s'� detto, che la nuova disposizione contenuta nell'art. 2495 c.c. si applica anche 
alle cancellazioni poste in essere anteriormente all'entrata in vigore della nuova normativa. 
Cass. 18618/06 e le altre pronunce ad essa conformi si sono inoltre occupate di questioni di 
carattere processuale (necessit� d'integrazione del contraddittorio o di prosecuzione del giudizio 
nei confronti della societ� estinta), mentre nel caso di specie � questione dell'effetto interruttivo 
della prescrizione connesso alla notificazione effettuata nei confronti della societ� 
cancellata, interruzione che secondo la sentenza impugnata gioverebbe al creditore anche nei 
confronti del socio condebitore solidale nei limiti della quota di liquidazione percepita. Tuttavia, 
ove si aderisca all'orientamento inaugurato da Cass. 18618/06, e si ritenga che l'effetto 
estintivo della societ� si determini con efficacia ex tunc sin dal momento della cancellazione, 
quale effetto sopravvenuto in ragione della nuova disposizione di legge, non sarebbe possibile 
considerare il rapporto esaurito, sussistendo controversia pendente tra le parti, n� si potrebbe 
arbitrariamente far decorrere l'effetto estintivo da una data diversa da quella della cancellazione 
della societ� dal registro delle imprese (rectius, all'epoca dal registro presso la cancelleria 
commerciale), ancorch� assai risalente nel tempo. 
Atteso il contrasto tra i due orientamenti, gi� denunciato dalla 3^ Sezione civile di questa 
Corte con l'ordinanza 9 aprile 2009, n. 8665, con rilievi in parte differenti da quelli qui svolti, 
e la complessit� delle questioni di cui le pronunce che hanno dato vita al nuovo orientamento 
non si sono potute occupare, appare opportuno che la questione sia rimessa alle Sezioni Unite 
di questa Corte. 
P.Q.M. 
la Corte rimette la causa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 luglio 2009. 
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2009 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 267 
Il ripristino degli �esami di riparazione� 
Incertezze giurisprudenziali e questioni applicative in merito 
all�ordinanza ministeriale n. 92 del 5 novembre 2007 del 
Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca 
(Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, 
Sezione Seconda, sentenza 12 settembre 2008 n. 1891) 
SOMMARIO: Premessa. 1.- I termini della questione. 2.- La decisione del T.A.R. e la ricostruzione 
del relativo panorama normativo e giurisprudenziale. 3.- Quale incidenza ha la 
mancata attivazione o la non ammissione ai corsi di recupero nel giudizio di non ammissione 
alla classe successiva, ammesso che vi sia un obbligo delle istituzioni scolastiche ad attivare 
le relative attivit�? 
Premessa 
I genitori di un alunno, frequentante il terzo anno di un liceo scientifico 
statale, ricorrevano al TAR Piemonte avverso il provvedimento di non ammissione 
alla classe successiva assunto all�esito dello scrutinio di classe di fine 
anno. I ricorrenti, nello specifico, denunciavano l�illegittimit� del giudizio 
espresso dal Consiglio di classe sotto diversi profili, evidenziando, in particolare, 
che le cinque insufficienze, causa della bocciatura, sarebbero state determinate 
dalla mancata ammissione dello studente alla frequenza dei corsi di 
recupero attivati dall�istituto scolastico. 
Il giudice ad�to riteneva la doglianza fondata e meritevole di accoglimento, 
annullando di conseguenza il provvedimento impugnato (1). 
Sul piano normativo la pronuncia risultava fondata sulla estrema valoriz- 
(1) Sentenza n. 1776/2008, di cui si trascrive parte della motivazione: � in relazione al primo dei 
motivi in valutazione, va rilevato che nel corso dell�anno scolastico 2007 � 2008 il Consiglio di Classe 
ha disposto interventi di recupero nei confronti dello studente Andrea Marconi solo in relazione alle insufficienze 
riscontrate in scienze e disegno, consistiti esclusivamente in attivit� di studio individuale. 
Tuttavia, dalla pagella del primo quadrimestre risulta un�insufficienza anche in lingua e letterature latine, 
mantenuta anche in sede di scrutinio finale, mentre dai verbali di riunione del Consiglio di Classe 
del 28.3.2008 e del 30.4.2008 sono emerse insufficienze anche in matematica, fisica ed educazione 
fisica, inoltre dalla scheda allegata al verbale di scrutinio di giugno 2008 risulta un�insufficienza pure 
in filosofia. A fronte di ulteriori insufficienze, espressive di �un peggioramento progressivo della situazione 
nel corso dell�anno�, di cui si d� atto nel verbale di scrutinio finale, il Consiglio di classe non ha 
predisposto interventi di recupero delle ulteriori carenze rilevate, pure attivati verso altri studenti gravati 
da plurime insufficienze, con conseguente violazione degli artt. 4 e 6 dell�ordinanza ministeriale n. 92 
del 05.11.2007. 
Ne deriva la fondatezza del motivo in esame, in quanto l�amministrazione non ha predisposto interventi 
di recupero in relazione ad alcune delle insufficienze che pure erano state rilevate nel corso dell�anno 
scolastico a carico dello studente A. M.�.
268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
zazione dell�obbligo di �attivare gli interventi di recupero� che l�art. 2 comma 
IV della Ordinanza Ministeriale n. 92/2007 pone a carico degli istituti scolastici, 
postulando in sostanza il principio che la stessa insufficienza del profitto, 
rilevata all�esito dello scrutinio, fosse indice e dimostrazione della denunciata 
insufficienza degli interventi attivati. 
A fronte di un cos� pericoloso precedente, l�Amministrazione proponeva 
appello al Consiglio di Stato, il quale sospendeva in sede cautelare l�efficacia 
della sentenza impugnata (2). 
Nelle more della decisione l�istituto scolastico, ottemperando alla decisione 
assunta dal giudice di prime cure, aveva tuttavia provveduto a rinnovare 
lo scrutinio annullato dal TAR, riconvocando il consiglio di classe e adottando 
un nuovo provvedimento di non ammissione diversamente motivato, nuovamente 
impugnato dagli interessati dinanzi al medesimo TAR. 
Tale secondo giudizio veniva definito con la sentenza n. 1891/2008, qui 
pubblicata, con la quale il Tribunale, mutando il proprio precedente orientamento, 
respingeva il ricorso, in ragione della rilevata �inutilit� di eventuali 
corsi di recupero, a cagione della �presenza di insufficienze diffuse, tali da 
non permettere di pronosticare un esito positivo alle attivit� di recupero�, prognosi 
suffragata inoltre anche dalla constatazione che detti corsi � si sono 
rivelati improduttivi�. 
1. I termini della questione 
La decisione con cui il TAR piemontese si � pronunciato sul secondo ricorso 
proposto dai genitori dello studente non ammesso alla classe successiva 
si segnala in particolare per l�agile e puntuale ricostruzione dei principi normativi 
in materia di giudizio di valutazione scolastica, in conformit� con consolidati 
indirizzi giurisprudenziali. 
Per meglio apprezzare il relativo iter logico, � opportuno prendere le 
mosse dalle censure mosse dai ricorrenti, articolate in sei motivi di ricorso. 
Con il primo motivo di gravame si deduceva sotto diversi profili la violazione 
del giudicato derivante dalla sentenza emessa dal collegio piemontese 
sul precedente ricorso, mentre le dedotte illegittimit� della valutazione adottata 
dal consiglio di classe con riferimento all�attivit� di recupero ed all�attribuzione 
dei voti costituivano oggetto di ulteriori motivi di doglianza. 
(2) Cons. Stato, ord. n. 5033/2008: �Ritenuto che, allo stato, ad una prima e sommaria delibazione, 
tipica di questa fase, il complessivo andamento dell�anno scolastico impedisce di prevedere 
agevolmente un esito della vertenza favorevole alla parte interessata (tenuto conto delle 
numerose insufficienze riscontrate in varie materie caratterizzanti o meno l�indirizzo d�istituto), 
il che impone l�accoglimento dell�istanza cautelare, con riforma dell�impugnata sentenza breve�. 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 269 
2. La decisione del Tar e la ricostruzione del relativo panorama normativo e 
giurisprudenziale sotteso 
La sentenza presenta rilevanti profili di interesse in relazione alla corretta 
applicazione dell�ordinanza ministeriale n. 92/2007, oltre che alla rilevanza 
della discrezionalit� tecnica insita nelle valutazioni espresse dal consiglio di 
classe in sede di scrutinio scolastico, insindacabili dal giudice amministrativo 
se non per profili di evidente illogicit� e contraddittoriet�. 
Traendo spunto dal primo motivo di ricorso (violazione di precedente 
giudicato), il collegio dipana l�iter argomentativo lungo il quale articola l�intera 
decisione. 
Segnatamente il giudice, richiamandosi ad una risalente giurisprudenza, 
ha ritenuto legittimo l�operato dell�istituto scolastico, il quale, ottemperando 
alla sentenza di annullamento, ha provveduto al riesame della posizione dello 
studente, riconvocando appositamente il consiglio di classe. Una diversa soluzione 
si sarebbe tradotta in una violazione della disposizione di cui all�art. 
6, commi 5 e 3 dell�O.M. n. 92/2007 (3), in quanto l�istituto scolastico, in ipotesi 
di accoglimento della tesi dei ricorrenti, avrebbe dovuto ammettere lo studente 
ai corsi di recupero estivi, nonostante le cinque insufficienze ostative in 
tal senso. 
In parallelo il collegio coglie l�occasione per ribadire, in linea con la giurisprudenza 
maggioritaria (4), che la valutazione adottata dal consiglio di classe 
in sede di scrutinio finale costituisce espressione di attivit� valutativa discrezionale 
non sindacabile dal giudice amministrativo se non esclusivamente sotto 
(3) L�art. 6 dell�O.M. n. 92/2007 rubricato �Scrutinio Finale� ai commi 3 e 5 espressamente 
prevede: �Per gli studenti che in sede di scrutinio finale, presentino uno o pi� discipline valutazioni 
insufficienti, il consiglio di classe, sulla base dei criteri predeterminati stabiliti, procede ad 
una valutazione della possibilit� dell�alunno di raggiungere gli obbiettivi formativi e di contenuto 
propri delle discipline interessate entro il termine dell�anno scolastico, mediante lo studio personale 
svolto autonomamente o attraverso la frequenza di appositi interventi di recupero. Si procede 
invece al giudizio finale nei confronti degli studenti per i quali il consiglio di classe abbia espresso 
una valutazione positiva, anche a seguito degli interventi di recupero seguiti, nonch� nei confronti 
degli studenti che presentino insufficienze tali da comportare un immediato giudizio di non promozione�. 
(4) Non � superfluo richiamare la decisione del Consiglio di Stato del 14/1/2004 n. 68 a tenore 
della quale �la valutazione degli studenti da parte del consiglio di classe costituisce l�espressione 
di un giudizio sulla loro preparazione, frutto di un apprezzamento discrezionale di carattere 
tecnico didattico non sindacabile se non sotto il profilo della illogicit� o contraddittoriet��, nonch� 
la giurisprudenza di alcuni tribunali amministrativi concordi nel ritenere che �l�esito dello 
scrutinio finale relativo alla promozione di un alunno e la valutazione del grado di insufficienza 
della preparazione raggiunta nelle materie oggetto del corso, nonch� la compatibilit� di questa 
con le possibilit� di recupero dell�alunno, costituiscono espressione di un giudizio di merito � 
quale esercizio di discrezionalit� tecnica � che spetta unicamente al consiglio di classe, non censurabile 
in sede di legittimit� innanzi al giudice amministrativo se non in presenza di evidenti illogicit��. 

270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
i profili della illogicit� manifesta e della palese contraddittoriet� (5). 
Entrando poi, nel vivo della questione, il giudice richiama la normativa 
vigente per effetto della quale, conformemente a quanto previsto dal citato art. 
6 comma 3 dell�O.M. del 5/11/2007 n. 92, i Consigli di classe hanno il potere 
� dovere di valutare l�avvenuto raggiungimento da parte degli alunni degli 
obiettivi formativi entro la fine dell�anno scolastico, mediante lo studio personale 
svolto autonomamente o attraverso la frequenza di appositi interventi di 
recupero, dovendosi in caso contrario rinviare il giudizio finale, a norma del 
comma successivo; ci� che non toglie, peraltro, che, per gli studenti che abbiano 
riportato insufficienze tali da escludere la possibilit� di recupero, ci� si traduca, 
ai sensi del 5� comma, in un immediato giudizio di non promozione. 
A tal proposito il collegio ha cura di sottolineare che il numero e la tipologia 
delle insufficienze che determinano la non ammissione alla classe successiva 
sono definite ed adottate dal collegio docenti all�inizio dell�anno 
scolastico. 
Nel caso di specie l�istituto scolastico ha stabilito che non sarebbero stati 
ammessi alla classe successiva gli studenti che avessero riportato quattro insufficienze, 
ovvero tre insufficienze gravi. 
Lo studente interessato, oltre ad un pessimo curriculum scolastico connotato 
da due pregresse bocciature, all�esito dell�anno scolastico riportava ben 
sette insufficienze, ridotte poi benevolmente a cinque dal medesimo consiglio 
di classe, di cui tre conseguite nelle materie di indirizzo. A ci� si aggiunga il 
giudizio negativo espresso dagli insegnanti in sede di scrutinio finale, tradottosi 
in una previsione sfavorevole in ordine alle concrete possibilit� che 
l�alunno potesse colmare le proprie lacune e frequentare utilmente il successivo 
anno scolastico. 
In queste condizioni il collegio ha ritenuto l�operato del Consiglio di 
classe corretto non solo in sede di scrutinio finale perch� conseguente �alla 
cogente normativa di settore� (6), ma anche in sede di riesame, in ottempe- 
(5) Segnatamente il giudice adito osserva che: �la valutazione delle prove d�esame costituisce attivit� 
che � tipica manifestazione di discrezionalit� tecnica (T.A.R. Campania-Napoli, sez. VI, 16 aprile 
2007, n. 3680) che non � sindacabile se non sotto il profilo di macroscopici errori e vizi estrinseci (T.A.R. 
Molise, 19 luglio2006, n. 610) o in presenza di evidenti illogicit� (T.A.R. Lombardia -Milano, sez. VI, 
18 gennaio 2006, n. 102) o contraddittoriet� (Consiglio di Stato, sez. VI, 14.1.2004, n. 68) e rispetto 
alla quale, quindi, non essendo consentito al Giudice amministrativo di sostituirsi all�organo amministrativo 
valutatore, il suindacato giudiziale � ammesso �solo nei ristretti limiti dell�illogicit� e della 
contraddittoriet� manifeste in quanto, diversamente opinando, il tribunale indebitamente finirebbe per 
invadere l�area dell�insindacabile merito valutativo riservata al succitato organo tecnico�. ( T.A.R. Toscana, 
sez. I, 16 novembre 2005, n. 6223; in terminis T.A.R. Toscana, sez. I, 24.5.2007, n. 797)�. 
(6) Osserva il collegio: �Reputato, pertanto, corretto l�operato del Consiglio di classe l� dove ha 
formulato il giudizio di non ammissione del giovane Marconi alla classe successiva in applicazione dei 
criteri di non promozione prestabiliti nella citata riunione del Collegio dei docenti, in forza dei commi 
3 e 5 dell�art. 6 dell�O.M. n. 92/2007 e considerato altres� che il provvedimento oltre ad enunciare i 
giudizi e i voti - con apprezzamento espressivo di discrezionalit� tecnica insindacabile se non per i pro-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 271 
ranza alla precedente pronuncia dello stesso giudice. 
In merito, infatti, il TAR adito non ha rilevato alcuna violazione del precedente 
giudicato in contrasto con la decisione assunta dal medesimo qualche 
settimana prima: nella precedente occasione, infatti, non era dato rinvenire 
alcun riferimento in merito alle modalit� che il Consiglio di classe avrebbe 
dovuto seguire nel rinnovare lo scrutinio, e ci� in quanto � come riportato in 
sentenza � �ci� che rileva, ai fini dell�autotutela, promossa in sede cautelare, 
� che il nuovo giudizio si appalesi congruo, motivato e logico e mostri di fondarsi 
su tutti gli elementi di valutazione previsti� (7). 
Ed ecco farsi strada un nuovo principio giurisprudenziale riassumibile in 
questi termini: deve ritenersi pienamente legittimo l�operato del consiglio di 
classe che, in ottemperanza ad una pronuncia di annullamento del giudizio di 
non ammissione di uno studente alla classe successiva, abbia riesaminato il 
provvedimento assunto attraverso il riesame dei giudizi formulati nelle singole 
materie, posto che un nuovo scrutinio equivarrebbe ad un rinvio del giudizio 
non consentito per effetto dell�art. 6, commi 3 e 5 dell�O.M. n. 92/2007 (8). 
3. Quale incidenza ha la mancata attivazione o la non ammissione ai corsi di 
recupero nel giudizio di non ammissione alla classe successiva, ammesso che 
vi sia un obbligo delle istituzioni scolastiche ad attivare le relative attivit�? 
Altro aspetto degno di nota e di non secondaria importanza, ad avviso di 
chi scrive, attiene all�incidenza o meno dell�attivazione e frequenza dei corsi 
fili, nella specie insussistenti, dell�evidente illogicit� e contraddittoriet� � ha anche illustrato, con un 
giudizio ugualmente di puro merito del pari insindacabile, che le insufficienze del Marconi sono diffuse 
e �tali da non permettere di pronosticare un esito positivo alle attivit� di recupero�, convincimento fondato 
anche sulla considerazione dell�improduttivit� in cui � esitata l�attivit� di recupero parzialmente 
effettuata dal ricorrente: �visti gli esiti di quelli svolti in itinere a gennaio��. 
(7) La difesa erariale aveva rilevato che il giudice nel disporre l�annullamento del provvedimento 
impugnato aveva omesso di definire gli obblighi di comportamento a cui l�Amministrazione avrebbe 
dovuto conformarsi nell�adozione del nuovo provvedimento. Dall�omessa indicazione � se pu� realmente 
ritenersi tale � la controparte ha tratto spunto per sostenere l�illegittimit� del nuovo provvedimento assunto 
dal consiglio di classe perch� elusivo del precedente giudicato. Ci� che � doveroso rammentare 
in questa sede, passato sotto banco, ma evidenziato dall�Avvocatura dello Stato, � che l�efficacia del 
precedente giudicato deve limitarsi alla verifica della correttezza formale dello scrutinio, non potendo 
estendersi alla valutazione di merito riservata, in quanto tale e per pacifica giurisprudenza, al consiglio 
di classe, il quale, nel rinnovare le operazioni, � pienamente libero di confermare il precedente orientamento, 
ancorch� sulla base di valutazioni in parte riformulate, purch� debitamente ed adeguatamente 
motivate. 
(8) �� (omissis) ... non potendosi quindi sostenere che l�Amministrazione avrebbe dovuto sottoporre 
a nuovo scrutinio lo studente, in quanto ci� sarebbe equivalso ad un rinvio del giudizio non consentito 
- a causa delle ben cinque insufficienze riportate dallo studente - dal combinato disposto dei 
commi 3 e 5 dell�art. 6 dell�O.M. n. 92/2007 in relazione ai �criteri preventivamente stabiliti� (art. 6, 
comma 3, O.M. n. 92/2007 cit.) assunti dall�Istituto in via generale nella deliberazione del Collegio dei 
docenti per l�A.S. 2007/2008 del 27/11/2007.�
272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
di recupero da parte dello studente sul giudizio finale di non ammissione alla 
classe successiva. 
In merito si rendono opportune alcune considerazioni, quanto mai necessarie 
a fronte dell�apparente inconciliabilit� fra quanto sostenuto dal TAR Piemonte 
nella sentenza n. 1766/2008 e quanto successivamente statuito dal 
medesimo Tribunale nella decisione in commento. 
Nella prima, infatti, il giudice aveva ritenuto fondato il ricorso dello studente 
bocciato sulla base della mancata predisposizione degli interventi di recupero 
in relazione ad alcune materie, nonch� in ragione della mancata 
ammissione del ricorrente alle attivit� di recupero attivate nei confronti di altri 
studenti. 
In realt�, entrambe le sentenze, nonostante la loro inconciliabilit� di 
fondo, costituiscono valida occasione per mettere in luce alcuni aspetti della 
normativa del settore. 
Nell�ottica di assicurare il diritto allo studio, l�art. 2, 6� comma, della pi� 
volte citata O.M. n. 92/2007 prevede espressamente a carico delle istituzioni 
scolastiche lo specifico obbligo di attivare gli interventi di recupero volti a 
sostenere gli studenti in difficolt� onde prevenire l�eventuale insuccesso scolastico. 
Tuttavia il diritto allo studio, al pari di altri diritti, � condizionato dall�attuazione 
che il legislatore stesso ne d� mediante il bilanciamento dell�interesse 
tutelato con altri interessi parimenti rilevanti, fra i quali si annovera la disponibilit� 
delle risorse organizzative e finanziarie. 
A conferma di ci�, la stessa disposizione ha cura di precisare che alla 
competenza dei singoli istituti scolastici spetta il compito di �provvedere alla 
determinazione del numero degli interventi e della consistenza oraria da assegnare 
a ciascuno di essi� avendo peraltro cura di commisurare i suddetti 
interventi �in modo coerente rispetto al numero degli studenti ed alla diversa 
natura dei relativi fabbisogni, nonch� all�articolazione dei moduli prescelti 
ed alla disponibilit� delle risorse�. 
Alla luce del suesposto dettato normativo si evince, pertanto, che la 
scuola, se vincolata alla predisposizione degli interventi di recupero, resta pienamente 
libera di determinarne contenuti e modalit� tali da assicurare all�utenza 
lo svolgimento di un adeguato programma. 
Ma la citata O.M. non lascia nulla al caso avendo cura di individuare specificamente 
i fruitori delle suddette attivit� di recupero: �gli studenti che riportano 
voti di insufficienza negli scrutini intermedi e coloro per i quali i 
consigli di classe deliberino di sospendere il giudizio di ammissione alla classe 
successiva negli scrutini finali� (9). 
La ricorrenza dei presupposti normativamente tipizzati � comunque ri- 
(9) 5� comma dell�art. 2 dell�O.M. n. 92/2007. 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 273 
messa all�apprezzamento discrezionale del consiglio di classe che, in considerazione 
dei giudizi insufficienti riportati nelle singole materie unitamente 
ad un giudizio prognostico di esito positivo sulle capacit� di recupero, riterr� 
opportuno inserire i singoli studenti fra i destinatari dei corsi, proprio in ragione 
delle loro concrete possibilit� di colmare le carenze accumulate, posto 
che �il diritto allo studio � tutelato dall�ordinamento come possibilit� concreta 
per i discenti di acquisire cognizioni ed abilit�, e non gi� come un mero passaggio 
da una classe scolastica a quella successiva a prescindere dall�effettivo 
incremento della preparazione, e ci� nell�interesse sia del discente stesso, sia 
nell�evidente interesse pubblico alla formazione culturale e professionale dei 
cittadini� (10). 
Coerentemente altro Tribunale amministrativo (11) osserva che �sul giudizio 
finale di non ammissione dello studente alla classe superiore non possono 
in alcun modo incidere l�incompleta, carente o addirittura omessa 
attivazione dei corsi di recupero da parte della scuola, tenuto conto che il giudizio 
di non ammissione si fonda sull�insufficiente rendimento scolastico e 
quindi sull�insufficiente preparazione e maturazione per accedere alla successiva 
e pi� impegnativa fase degli studi�. 
Dott.ssa Emanuela Pazzano* 
Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Seconda, sentenza 12 settembre 
2008 n. 1891 - Pres. Bianchi - Est. Graziano - Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� 
e della Ricerca (Avv. dello Stato M. Prinzivalli - AL 4742/08) c/ R.M. e C.S. n.q. di 
legali rappresentanti esercenti la patria potest� del minore A.M. (Avv. S. Guerrizio). 
(...Omissis) 
Ravvisato il carattere manifesto di uno dei requisiti e presupposti che a norma dell�art. 26, 
comma 4 della legge n. 1034/71, introdotto dalla legge n. 205/2000, consentono d�ufficio al 
Collegio, in sede di decisione dell�incidente cautelare, di definire il giudizio nel merito, con 
sentenza succintamente motivata, sulla sola base dell�accertata completezza e integrit� del contraddittorio, 
anche senza che sia dato avviso alle parti di siffatta possibilit�, come invece � necessario 
per la definizione in via immediata del giudizio a norma dell�art. 21, comma 9 della 
citata legge T.A.R. (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 5.7.2008, n. 1487; Sez. I, 9.9.2008, n. 1888); 
Constatato che a seguito della Sentenza della Sezione n. 1766 del 26.7.2008 l�Istituto scolastico 
intimato ha proceduto al riesame in via di autotutela del provvedimento di non ammissione 
dello studente alla classe successiva, in linea con quanto il Consiglio di Stato ha gi� 
ritenuto legittimo, addirittura in una fattispecie di riconvocazione della commissione degli 
(10) T.A.R. Sicilia - Catania ordinanza n. 1871/2001. 
(11) T.A.R. Puglia - Bari decisione n. 6504/2004. 
(*) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato.
274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
esami di maturit� a seguito di un giudicato cautelare, statuendo che �ci� che rileva, ai fini 
dell�autotutela, promossa in sede cautelare, � che il nuovo giudizio si appalesi congruo, motivato 
e logico e mostri di fondarsi su tutti gli elementi di valutazione previsti� (Consiglio 
Stato, Sez. VI, 23 febbraio 1999, n. 195) non potendosi quindi sostenere che l�Amministrazione 
avrebbe dovuto sottoporre a nuovo scrutinio lo studente, in quanto ci� sarebbe equivalso 
ad un rinvio del giudizio non consentito � a causa delle ben cinque insufficienze riportate 
dallo studente - dal combinato disposto dei commi 5 e 3 dell�art. 6 dell�O.M. 5.11.2007, n. 92 
in relazione ai �criteri preventivamente stabiliti� (art. 6, comma 3, O.M. 5.11.2007 cit.) assunti 
dall�Istituto in via generale nella deliberazione del Collegio dei docenti per l�A.S. 2007/2008 
del 27.11.2007 (doc. 9 produz. Avv. Stato); 
rammentato, in punto di diritto, che la valutazione delle prove d'esame costituisce attivit� che 
� tipi-ca manifestazione di discrezionalit� tecnica (T.A.R. Campania - Napoli, sez. VI, 16 
aprile 2007, n. 3680) che non � sindacabile se non sotto il profilo di macroscopici errori e vizi 
estrinseci (T.A.R. Molise, 19 luglio 2006, n. 610) o in presenza di evidenti illogicit� (T.A.R. 
Lombardia - Milano, Sez. III, 18 gennaio 2006, n. 102) o contraddittoriet� (Consiglio di Stato, 
Sez. VI, 14.1.2004, n. 68) e rispetto alla quale quindi, non essendo consentito al Giudice amministrativo 
di sostituirsi all�organo amministrativo valutatore, il sindacato giudiziale � ammesso 
�solo nei ristretti limiti dell�illogicit� e della contraddittoriet� manifeste in quanto, 
diversamente opinando, il tribunale indebitamente finirebbe per invadere l�area dell�insindacabile 
merito valutativo riservata al succitato organo tecnico�. (T.A.R. Toscana, Sez. I, 16 novembre 
2005, n. 6223; in terminis, T.A.R. Toscana, I, 24.5.2007, n. 797); 
considerato, conseguentemente, che il riesame del provvedimento compiuto dal Consiglio di 
Classe del Liceo Scientifico Statale intimato nella riunione del 12.8.2008, riesame che - ripetesi 
- � l�unico obbligo che poteva predicarsi gravare sull�Istituto in adempimento della Sentenza 
n. 1766/2008 della Sezione, appare immune dai profili di evidente illogicit� o 
contraddittoriet� nei cui ristretti limiti, come sopra ricordato, la giurisprudenza unanime, condivisa 
dalla Sezione, consente il sindacato del Giudice amministrativo, essendo, al contrario, 
il provvedimento impugnato, congruamente motivato atteso che � dato ricostruire con precisione 
l�iter logico seguito, in quanto dal verbale censurato emerge che: 
1) i �singoli docenti relazionano sui risultati conseguiti dall�alunno e formulano la proposta 
di voto secondo i criteri di valutazione deliberati dal Collegio dei Docenti del 25.10.2005�, 
proposta di voto che, tra l�altro, viene �debitamente motivata con apposita scheda�costituente 
�parte integrante del presente verbale� (verbale del 12.8.2008, pag. 1 � doc. 1 Avvocatura di 
Stato) dovendosi pertanto escludere in modo assoluto profili di carenza di motivazione nei 
giudizi e nello stesso voto alfanumerico,dal momento che la predetta scheda riporta giudizi 
analitici, per ciascuna materia, riferiti ai parametri dell�impegno, dell� attenzione e partecipazione, 
del progresso nel corso dell�anno e del profitto, espressi in termini di �adeguato/inadeguato� 
(impegno), �situazione peggiorata, situazione invariata, situazione migliorata 
(progresso nel corso dell�anno), �scarsa/discontinua/costante(attenzione e partecipazione),�insufficiente/
insufficiente/sufficiente/discreto/buono/ottimo� (profitto). Traspare, dunque, dal 
giudizio per ciascuna materia espresso in riferimento ai singoli predetti parametri, un quadro 
motivatorio completo ed adeguato, dal quale poi scaturisce, sempre per ciascuna materia, 
l�espressione alfanumerica di un voto, che a parere del Collegio si profila coerente con il relativo 
giudizio (ad es., relativamente alla materia �filosofia�, il voto di cinque � la risultante 
dei giudizi di inadeguato impegno, scarsa attenzione e partecipazione, situazione peggiorata 
quanto al parametro del progresso nel corso dell�anno, insufficiente quanto al parametro del
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 275 
profitto; relativamente alla materia �fisica� assolutamente caratterizzante un Liceo Scientifico, 
il voto di cinque � la risultante di insufficiente impegno, discontinua partecipazione e attenzione, 
situazione peggiorata quanto al parametro del progresso nel corso dell�anno, insufficiente 
profitto); 
2) in base ai criteri di promozione prestabiliti in via generale e astratta, in ossequio all�art. 6, 
comma 3 dell�O.M. n. 92/2007, il Collegio dei docenti, in persona del Presidente, ha ricordato 
che sarebbero stati dichiarati non promossi gli alunni che avessero riportato quattro insufficienze 
o tre di cui due gravi e che solo in casi eccezionali e motivati gli studenti in questione 
potranno essere ammessi se avranno evidenziato sforzi per colmare le lacune della preparazione 
e se, malgrado la mediocrit� del profitto posseggano sufficienti capacit� critiche ed 
espressive; indicazioni che appaiono al Collegio assolvere gli obblighi di motivazione, di trasparenza 
e di buon andamento dell�azione amministrativa; 
3) a pag. 2 del verbale in analisi vengono poi riportati i voti alfanumerici risultanti dalla tabella 
prima analizzata, dalla quale risultano cinque insufficienze, ancorch� lievi, tra l�alto in materie 
importanti (latino, fisica, filosofia, scienze e disegno) delle quali una addirittura caratterizzante 
il percorso di studi scientifici (fisica). Non solo, ma in matematica e storia il Consiglio di classe 
ha elevato il relativo voto, portandolo da un voto medio di 5,5 e 5,8 alla sufficienza piena; 
4) indi nel verbale gravato vengono anche riportati i giudizi sinotticamente enunciati nella tabella 
allegata e prima scandagliata, i quali condensano la motivazione di non ammissione 
(Impegno inadeguato in quasi tutte le discipline; attenzione e partecipazione scarse e discontinue 
in quasi tutte le discipline; insufficienze di disegno e scienze relative al I� quadrimestre, 
non recuperate; peggioramento significativo nell�ultimo periodo dell�anno; carenza di risultati 
positivi in una situazione di ripetenza; assenza di risultati positivi anche in occasione della 
frequenza di corsi di recupero in latino: risulta, cio�, che l�alunno � stato ammesso ad attivit� 
i recupero in latino, svolte mediante corsi attivati il 10,15,16 3 e 17 gennaio 2008 e riuscite 
improduttive), il tutto evidenziando, a parere della Sezione, un quadro motivazionale assolutamente 
adeguato, congruo e dettagliato; 
ricordato che la determinazione di non ammissione di cui al censurato verbale del Consiglio 
di classe consegue necessariamente alla cogenza della normativa di settore, ove si consideri 
che l�O.M. 5.11.2007 n. 92, la quale, al pari di tutte le ordinanze ministeriali in materia scolastica 
ha, per giurisprudenza pacifica, natura regolamentare, cio� fonte di diritto, all�art. 6, 
comma 3 attribuisce al Consiglio di classe il potere � dovere di prestabilire in via generale ed 
astratta, dei criteri in base ai quali, per gli studenti riportanti in sede di scrutinio finale valutazioni 
insufficienti in una o pi� discipline, valutare la �possibilit� dell�alunno di raggiungere 
gli obiettivi formativi (�) entro il termine dell�anno scolastico, mediante lo studio personale 
svolto autonomamente o attraverso la frequenza di appositi interventi di recupero�, all�uopo 
rinviandosi, in siffatte, ipotesi, il giudizio finale (art. 6, comma 4, O.M. cit.), statuendo, peraltro, 
il comma 5 dell�art. 6 in analisi, che �si procede, invece, al giudizio finale (�) nei confronti 
degli studenti che presentino insufficienze tali da comportare un immediato giudizio di 
non promozione�. Orbene, in forza della delineata potest� di autoregolamentazione � che 
muove nel segno dell�autonomia didattica che il nuovo quadro ordinamentale ha vieppi� riconosciuto 
alle Istituzioni scolastiche - attribuita alle scuole dal combinato disposto dei commi 
3 e 5 dell�art. 6 dell�O.M. n. 92/57 il Liceo Scientifico Cavalieri, nella riunione del Collegio 
dei Docenti del 27.11.2007 ha stabilito che l�alunno che avesse riportato quattro insufficienze, 
o tre di cui due gravi anche in assenza di debiti non colmati, non potesse essere promosso (v. 
Criteri di non promozione, pagg. 3-4 verbale Collegio Docenti del 27.11.2007 di cui a Doc.
276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
9, produz. Avvocatura Stato); 
reputato, pertanto, corretto l�operato del Consiglio di Classe l� dove ha formulato il giudizio di 
non ammissione del giovane M. alla classe successiva in applicazione dei Criteri di non promozione 
prestabiliti nella citata riunione del Collegio dei docenti, in forza dei commi 3 e 5 dell�art. 
6 dell�O.M. n. 92/2007, e considerato altres� che il provvedimento (punto 7), oltre ad enunciare 
i giudizi e i voti - con un apprezzamento espressivo di discrezionalit� tecnica insindacabile se 
non per i profili, nella specie insussistenti, dell�evidente illogicit� e contraddittoriet� � ha anche 
illustrato, con un giudizio ugualmente di puro merito del pari insindacabile, che le insufficienze 
del M. sono diffuse e �tali da non permettere di pronosticare un esito positivo alle attivit� di recupero�, 
convincimento fondato anche sulla considerazione dell�improduttivit� in cui � esitata 
l�attivit� di recupero parzialmente effettuata per il ricorrente: �visti gli esiti di quelli svolti in itinere 
a gennaio� (va sottolineato che dal rapporto del Dirigente scolastico del 29.8.2008, versato 
in atti, emerge che �i corsi di scienze e disegno non sono stati attivati per la Classe 3A per nessuno 
degli allievi a causa di problemi di ordine finanziario�); 
ribadito che l�Istituto non aveva l�obbligo di rinviare il giudizio sul ricorrente ai sensi del 
comma 4 dell�art. 6 ,O.M. n. 92/2007, atteso che lo studente aveva riportato ben cinque insufficienze 
e che in applicazione dei ricordati Criteri di non promozione di cui alla deliberazione 
del Collegio Docenti del 27.11.2007 assunta in forza della potest� sopra delineata 
riconosciuta dall�art. 6, comma 3 dell�O.M. n. 92/2007, il conseguimento di sole 4 insufficienze 
� o tre di cui due gravi � comporta la non ammissione dello studente alla classe successiva; 
evidenziato ancora che alla riedizione, rectius, rinvio dello scrutinio del Marconi ai sensi dell�art. 
6, comma 4 O.M. cit. richiesto dalla difesa nell�atto introduttivo, oltre che nella diffida 
all�Istituto, o-stava il disposto di cui al successivo comma 5 del medesimo art. 6 pi� volte citato, 
l� dove dispone che �si procede INVECE (cio�, invece che al rinvio del giudizio, n.d.s.) 
al GIUDIZIO FINALE (�) nei confronti degli studenti che presentino insufficienze tali da 
comportare un immediato giudizio di non promozione�, conseguendone che avendo il Marconi 
riportato ben 5 insufficienze, anche in esi-to al riesame approfondito del giudizio effettuato 
dal Consiglio di classe col provvedimento gravato in ottemperanza alla sentenza precedente 
della Sezione, l�alunno de quo andava sottoposto �al giudizio finale� in forza del riportato 
comma 5, poich� in applicazione dei pi� volte ricordati Criteri di non promozione, rivenienti 
fonte e legittimazione della potest� commessa ai Consigli di classe dall�art. 6, comma 3 O.M. 
cit., non poteva essere promosso alla successiva classe; 
reputato pertanto insussistenze e non predicabile il lamentato vizio di violazione del giudicato 
di cui alla precedente sentenza della Sezione, alla quale l�Istituto ha a parere del Collegio correttamente 
prestato esecuzione riesaminando approfonditamente e compiutamente il suo precedente 
giudizio; 
rammentato che questo Tribunale, tra l�altro, ha gi� giudicato �legittimo il giudizio di non 
promozione - basato su di un apprezzamento discrezionale di carattere tecnico-didattico, sindacabile 
solo per illogicit� o contraddittoriet� - di un allievo di liceo scientifico che abbia riportato 
insufficienze in numerose materie� (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 1 settembre 2006, n. 
3185) e segnalato che anche altra giurisprudenza, nell�esprimere il medesimo avviso ha sancito, 
con riguardo a caso similare a quello all�esame, la legittimit� del giudizio di non promozione 
di uno studente in presenza di cinque insufficienze, affermando che �la mancata 
ammissione di uno studente alla classe superiore trova ragionevole ed esaustiva giustificazione 
nelle cinque insufficienze da lui riportate (�) e nella obiettiva impossibilit� di un recupero
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 277 
nell�anno successivo a quello di scrutinio, in ragione delle carenze nella preparazione complessiva 
riscontrate dal Consiglio di classe�. (T.A.R. Puglia - Bari, Sez. I, 16.9.2004, n. 3998); 
ritenuto che si appalesa infondato anche il III, esteso motivo di ricorso, con il quale parte ricorrente 
ripropone in questo giudizio le censure gi� svolte in occasione del ricorso n. 
973/2008, di violazione di vari articoli dell�O.M. n. 92/2007 e dell�O.M. n. 90/2001, nonch� 
di norme di legge, in relazione alla mancata effettuazione nei confronti dell�alunno M., di iniziative 
e corsi di recupero scolastico, carenza che gli avrebbe impedito di porre rimedio alla 
sua lacunosa formazione. La cennata ritenuta infondatezza origina in primis dall�osservazione, 
pi� sopra riportata, contenuta al punto 7 del verbale del 12.8.2008, l� dove il Consiglio di 
classe d� conto, secondo un apprezzamento prettamente discrezionale scevro di illogicit� e 
contraddittoriet� e come tale sottratto al sindacato di questo Giudice, dell�inutilit� di eventuali 
ulteriori corsi di recupero, a cagione della �presenza di insufficienze diffuse, tali da non permettere 
di pronosticare un esito positivo alle attivit� di recupero�, prognosi suffragata inoltre 
anche dalla constatazione che detti corsi (cui in parte il M. � stato ammesso) si sono rivelati 
improduttivi: � visti gli esiti di quelli svolti in itinere a gennaio�(relativamente al latino, nei 
giorni 10,15,16,17 gennaio). Infondatezza poi dichiarabile, in punto di diritto, sulle orme di 
pacifica giurisprudenza, che, vigente gi� l�O.M. 21.5.2001, n. 90 che all�art. 13 contemplava 
gi� l�adozione di iniziative di recupero, ha autorevolmente statuito anche di recente che �sulla 
legittimit� del giudizio finale espresso in sede di valutazione per l�ammissione alla classe successiva 
non possono in alcun modo incidere - per giurisprudenza consolidata - la mancata attivazione 
nel corso dell�anno scolastico delle iniziative di sostegno concretantesi in appositi 
corsi di recupero (�) che non sono di per s� sufficienti a giustificare o a modificare l�esito 
negativo delle prove di esame ed atteso che il giudizio di non ammissione di un alunno alla 
classe superiore si basa esclusivamente sulla constatazione sia dell�insufficiente preparazione 
dello studente, sia dell�incompleta maturazione professionale, ritenute necessarie per accedere 
alla successiva fase di studi�. (Consiglio di Stato, Sez. VI, 20.10.2005, n. 5914; in termini, 
T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. III, 18.1.2006, n. 102; T.A.R. Toscana, Sez. I, 15.10.2001, 
n. 1479); 
ritenuta del pari destituita di fondamento la censura di eccesso di potere per disparit� di trattamento 
dedotta con il VI motivo di ricorso, posto che tale doglianza non pu� trovare ingresso in 
materia di non ammissione di alunni alla classe successiva, secondo pacifica giurisprudenza 
condivisa dal Collegio: �in quanto si verte in materia di valutazione della complessiva personalit� 
del soggetto e, quindi, qualunque raffronto - avvenendo fra situazioni non omogenee, anche se 
i voti fossero uguali - non pu� assumere alcun valore dimostrativo della eventuale disparit�, potendo 
essere diversa la risposta di due soggetti all�impegno scolastico� (T.A.R. Sardegna, 15 luglio 
2002, n. 882), affermandosi anche che �al giudice amministrativo non � consentito, se non 
in caso di manifesta e palese illogicit�, valutare la disparit� di trattamento nel giudizio attribuito 
ad uno studente rispetto ad altri compagni di classe, poich� ci� implicherebbe la sostituzione 
del giudice all'amministrazione scolastica nella valutazione del rendimento e del profitto degli 
alunni� (T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. IV, 3 febbraio 2006, n. 178); 
reputati pertanto insussistenti i vizi di violazione di legge, elusione del giudicato, violazione 
degli art. 2 e 5 della O.M. n. 92/2007, eccesso di potere per ingiustizia manifesta, irragionevolezza, 
contraddittoriet�, assoluta carenza di motivazione, erroneit� istruttoria e difetto dei 
presupposti e gli altri di cui a tutti i motivi di ricorso da intendersi, come sopra avvertito, richiamati 
in toto in questa sede; 
opinato, pertanto, che i provvedimenti in questa sede impugnati si appalesano legittimi poich�
278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
immuni dai lamentati vizi di violazione di legge - in riferimento alle varie norme invocate nei 
diversi motivi di gravame - eccesso di potere nelle figure sintomatiche tutte sviluppate nell�atto 
introduttivo e, in specie, relativamente alla lamentata insufficienza e assoluta carenza di motivazione, 
contraddittoriet�, disparit� di trattamento, difetto di istruttoria, sviamento, illogicit�; 
ritenuto, per tutte le ragioni sinora illustrate, che il ricorso si profila manifestamente infondato 
e che va pertanto respinto, ravvisando, peraltro, il Collegio eque ragioni per disporre la compensazione 
delle spese di lite tra le costituite parti; 
P.Q.M. 
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, Seconda Sezione, definitivamente pronunciandosi 
sul ricorso in epigrafe, lo Respinge.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 279 
La revoca delle misure di prevenzione 
di natura patrimoniale 
Questioni insolute e nuove problematiche 
(Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione 
Staccata di Reggio Calabria, sentenza 28 gennaio 2009 n. 81) 
Il procedimento inerente la revoca delle misure di prevenzione di natura 
patrimoniale continua a prestarsi per l�approfondimento di taluni aspetti di ordine 
processuale e di diritto sostanziale. Ed infatti, un nodo non ancora sciolto 
attiene alla esatta individuazione dell�Amministrazione tenuta a partecipare 
al relativo giudizio; mentre nuove problematiche si affacciano dalla riconosciuta 
possibilit� di revoca della confisca definitiva, giusto sentenza della S.C. 
n. 57/2007. 
Si spiega, pertanto, come le due diverse controversie giudiziali intentate, 
di recente, rispettivamente, dinanzi al Tribunale civile ed al Tar di Reggio Calabria, 
con rituale notifica presso gli Uffici dell�Avvocatura Distrettuale dello 
Stato di Reggio Calabria, siano motivo per soffermarsi ulteriormente. 
** *** ** 
Il giudizio pendente dinanzi al Tribunale Ordinario di Reggio Calabria. 
La legittimazione passiva dello Stato nei giudizi di approvazione del conto di 
gestione a seguito della revoca delle misure di prevenzione di natura patrimoniale. 
Con atto di citazione notificato in data 10.06.2008 il Ministero dell�Economia 
e delle Finanze � stato convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di 
Reggio Calabria perch� fosse pronunciata nei cuoi confronti la condanna al 
pagamento degli interessi legali che sarebbero �� maturati sulla complessiva 
somma di euro 555.746,20, anticipata per il pagamento delle spettanze dei 
custodi-amministratori e dei loro coadiutori e poi restituita in virt� della sentenza 
del 02.05.2003, interessi che vanno calcolati dalla data del distacco 
delle singole somme (componenti la maggior somma pari ad euro 555.746,20) 
dalla disponibilit� di essi attori, avvenuto a partire dal 3 marzo 1997, fino 
alla emissione della sentenza del 02.05.2003, con a quale ne fu disposta la 
restituzione e fino all�integrale e concreto pagamento; per l�effetto condannarla, 
a favore dei signori M. e B. al pagamento di euro 59.968,70 quali interessi 
che vanno calcolati dalla data del distacco delle singole somme 
(componenti la somma pari euro 555.746,20) rispettivamente separate per la 
gestione del patrimonio sottoposto a vincolo ablativo, a partire dal 3 marzo
280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
1997, sino alla sentenza del 02.05.2003, per come si evince dal prospetto 
analitico allegato (doc. 10) e sino all�integrale pagamento��. 
Al riguardo, chiariscono gli attori che �Con sentenza del 02.05.2003, depositata 
il 09.10.2003, divenuta definitiva in data 25.2.2004 8, il Tribunale 
di Reggio Calabria, sezione Misure di Prevenzione, dispose la restituzione 
delle somme anticipate dal signor M. R. che vennero, pertanto, poste a carico 
dello Stato� Tuttavia, nel procedimento di prevenzione a carico degli odierni 
attori non fu mai sancito alcunch� in senso alla corresponsione degli interessi 
legali maturati dalle suddette somme dalla data del rispettivo loro distacco 
dalla disponibilit� dei coniugi, fino alla emissione della sentenza del 
2.9.2003, con la quale ne fu disposta la restituzione�. 
A corredo della esposizione dei fatti del giudizio gli attori spiegano che, 
prima di intraprendere il giudizio in oggetto, il Tribunale di Reggio Calabria, 
Sezione Misure di Prevenzione, adito dagli istanti, con decreto n.02/05 del 
25.03.2005, ha dichiarato inammissibile l�istanza tesa a conseguire il pagamento 
degli interessi legali in oggetto, giacch� detta richiesta si sarebbe dovuto 
formulare in concomitanza alla richiesta di rendimento del conto. 
Provvedimento quest�ultimo confermato dalla Corte d�appello, giusto 
decreto n. 07/07 del 17.01.2007, e dalla Suprema Corte che, con sentenza n. 
2558/07 del 21.06.2007, nel rigettare il ricorso in cassazione, ha affermato 
che �rilevato che il procedimento relativo al giudizio di rendiconto disciplinato 
dal regolamento adottato con decreto interministeriale 1.2.1991, n. 293, 
in attuazione dell�art. 7 d.l. n. 230/1989, convertito in l. n. 282/1989, e devoluto 
alla cognizione del collegio del giudice delegato alla procedura ed, 
in caso di contestazioni, del collegio competente per le misure di prevenzione, 
si esaurisce con l�approvazione del conto o con la pronuncia della sentenza 
conseguente alla istruzione della causa di cui al comma 6 del citato art. 5 e 
dell�eventuale fase dell�impugnazione, per cui, una volta � come nella specie 
� definito tale procedimento, viene a cessare la competenza del giudice della 
prevenzione ed ogni pretesa ulteriore creditoria non pu� che essere azionata 
secondo le ordinarie procedure del giudizio civile�. 
La controversia in oggetto che, evidentemente, si rivela interessante 
anche per quanto attiene la possibilit� che si possano esperire ulteriori azioni 
successivamente al procedimento di approvazione del rendiconto, consente 
di porre in discussione la consueta prassi giudiziaria per la quale il Ministero 
dell�Economia e delle Finanze � considerato contraddittore naturale in ordine 
ai procedimenti di revoca delle misure di prevenzione di natura patrimoniale, 
ovvero in ordine ai procedimenti di revoca del sequestro patrimoniale, di revoca 
della confisca non definiva e di revoca della confisca definitiva. 
Si ritiene cio� che il soggetto legittimato a partecipare all�approvazione 
del conto della gestione ed alla conseguente definitiva imputazione delle 
spese al patrimonio del proposto o all�erario, sia il predetto Ministero finan-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 281 
ziario, il quale in tal modo garantirebbe con il suo intervento l�integrit� del 
contraddittorio necessaria affinch� si possa procedere ai siffatti incombenti. 
Del resto, in tal senso, si � registrata una presa di posizione dell�Avvocatura 
dello Stato che ha avuto modo di sostenere che l�Amministrazione a 
cui imputare le spese della procedura di prevenzione fosse quella finanziaria. 
Si fa riferimento ad un precedente del Tribunale di Reggio Calabria del 2002, 
nel quale procedimento la locale Avvocatura Distrettuale dello Stato si � costituita 
in giudizio spiegando le opportune difese per il Ministero dell�Economia 
e delle Finanze e sollevando, nel contempo, il difetto di legittimazione 
passiva dell�Agenzia del Demanio e dell�Agenzia delle Entrate. 
E� anche vero, tuttavia, che si conta un altro precedente con riferimento 
al quale l�Avvocatura erariale ha formulato ricorso per cassazione incidentale 
e condizionato, avverso una decisione del Tribunale di Milano, riproponendo, 
dinanzi ai giudici di legittimit�, il difetto di legittimazione passiva, gi� eccepito 
nella precedente fase di merito, sul rilievo che il Ministero della Giustizia 
non risponderebbe degli atti del Tribunale imputabili allo Stato persona e che 
il Ministero delle Finanze non avrebbe titolo ad essere evocato in giudizio in 
relazione a beni non acquisiti allo Stato per effetto della confisca. 
In mancanza della indicazione dell�Amministrazione che doveva considerarsi 
legittimata in luogo dei predetti dicasteri, ai sensi dell�art. 4 della 
legge 25.3.1958 n. 260, il relativo ricorso sul punto � stato rigettato (Cass. 
Civile, sezione I, 26 giugno 2001, n. 8697). 
La S.C. ha, al riguardo, precisato che il limite introdotto dalla disposizione 
di cui all�art. 4 della legge n. 260/1958, in virt� del quale l�errore di 
identificazione della persona alla quale l�atto introduttivo del giudizio e ogni 
altro atto si doveva notificare (e che deve essere eccepito dall�Avvocatura 
dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona 
a cui notificare l�atto), opera non solo con riguardo alla ipotesi di erronea 
�vocatio in ius� in luogo del Ministero titolare, di altra persona preposta ad 
un ufficio della stessa, ma anche con riferimento all�ipotesi di �vocatio in 
ius� di un Ministero diverso da quello effettivamente competente in relazione 
alla materia dedotto in giudizio. 
Ci� posto, considerato che correttamente si � proceduto a rilevare, nel 
primo dei casi citati, il difetto di legittimazione passiva delle Agenzie fiscali, 
secondo il modesto avviso di chi scrive, da una pi� attenta disamina della 
normativa in materia, soggetto legittimato passivamente in sede giudiziale 
nei giudizi di cui trattasi � l�Amministrazione della Giustizia. 
Al riguardo, l�art. 2-octies della legge 31.5.1965 n. 575 al primo comma 
stabilisce che �le spese necessarie o utili per la conservazione e l�amministrazione 
dei beni sono sostenute dall�amministratore mediante prelevamento 
delle somme da lui riscosse a qualunque titolo�; mentre al secondo comma 
la citata norma prevede che, nell�ipotesi in cui dalla gestione dei beni seque-
282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
strati non siano ricavabili somme sufficienti per il pagamento delle spese di 
cui al primo comma, le somme occorrenti �sono anticipate dallo Stato, con 
diritto al recupero nei confronti del titolare del bene in caso di revoca del sequestro�; 
il terzo comma, infine, statuisce che �� le somme per il pagamento 
del compenso all�amministratore, per il rimborso delle spese da lui sostenute 
per i suoi coadiutori e quelle di cui al comma 4 dell�articolo 2-septies sono 
inserite nel conto della gestione; qualora le disponibilit� del predetto conto 
non siano sufficienti per provvedere al pagamento delle anzidette spese, le 
somme correnti sono anticipate, in tutto o in parte, dallo Stato, senza diritto 
a recupero. Se il sequestro � revocato, le somme suddette sono poste a carico 
dello Stato�. 
Dal che discende che le spese necessarie o utili per la conservazione dei 
beni rimangono sempre imputabili al patrimonio dei prevenuti, ed, al contrario, 
quelle relative al compenso dell�amministratore e dei suoi coadiutori sono 
inserite nel conto di gestione e che qualora il predetto conto non abbia sufficiente 
disponibilit� provvede lo Stato senza diritto di recupero o, altrimenti, 
sono poste definitivamente a carico dello Stato se il sequestro � revocato. 
In merito, � proprio la Suprema Corte di Cassazione, con la gi� citata 
sentenza n. 8697/2001, a chiarire che �� coerentemente alla operata individuazione 
di una doppia categoria di spese � (a) necessarie per la conservazione 
e l�amministrazione dei beni; (b) per il pagamento del compenso 
all�amministratore � il legislatore ha approntato una doppia disciplina, rispettivamente, 
nei commi primo e secondo (per le spese sub a) e nel comma 
terzo dell�art. 2 octies l. 575-1965 (per quelle sub b). 
Disciplina cos� diversificata, dunque, in funzione della finalit� degli 
esborsi (e non della pretesa consecuzione o meno delle eventuale revoca del 
sequestro ad una precedente confisca del bene!, in applicazione, per le spese 
sub a), del principio che i costi di gestione e conservazione del bene sequestrato 
seguono il bene stesso e, con esso, il suo titolare (trattandosi di costi 
che sarebbero comunque su di lui gravanti anche se il bene non fosse uscito 
dalla sua sfera di disponibilit�); ed in applicazione, per le somme sub b), del 
parallelo principio, di pari portata generale, che le spese giudiziali (e tali 
sono quelle per compenso all�ausiliario giudiziario, in quanto inserite all�interno 
del procedimento giurisdizionale di applicazione della misura di sicurezza) 
debbono essere imputate secondo i criteri della soccombenza e della 
causalit�. 
Con la conseguenza che dette ultime spese (per compenso all�amministratore, 
in caso di revoca del sequestro, non possono far carico al titolare 
del bene, che � andato esente da ogni responsabilit� anche in ordine alla 
causazione della procedura, e debbono essere allora poste a carico dello 
Stato, come appunto dispone il riferito comma terzo (2� alinea) della norma 
in esame�. 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 283 
Ne deriva, alla stregua di quanto appena detto, che il diverso orientamento, 
in precedenza affermato, per il quale soggetto legittimato a sostenere 
le spese della procedura sia il Ministero finanziario, non sembra rivelarsi pertinente, 
considerato che l�Amministrazione in questione non � parte nella procedura 
di applicazione delle misure di prevenzione (n� lo diviene allorch� la 
confisca passi ingiudicato, subentrando in tal caso la competenza dell�Agenzia 
del Demanio). 
Parimenti, non sembra possibile sostenere nemmeno l�opposta interpretazione 
per la quale tanto il Ministero dell�Economia e delle Finanze che 
quello della Giustizia siano carenti di legittimazione in sede processuale, cos� 
come affermato nel precedente richiamato. 
Ed infatti, fermo quanto gi� argomentato per il primo dei due Ministeri, 
la individuazione dell�Amministrazione della Giustizia, quale organo competente 
ai fini della liquidazione dei compensi che ci occupano, si giustifica 
nella considerazione che gli amministratori giudiziari ed i loro coadiutori assumo, 
nella circostanza, la veste di ausiliari del Giudice competente (delegato) 
alla procedura; pertanto, il pagamento dei compensi agli amministratori 
ed ai coadiutori non pu� non essere ricollegato alla pi� generale previsione 
del rimborso dei compensi spettanti agli ausiliari dei giudici. 
Il che consente anche di poter dare il giusto rilievo alla circolare del 
29.11.1995 n. 307 con la quale il Ministero delle Finanze ha chiarito, alla 
luce del nuovo impianto normativo dettato dal decreto legge 14.06.1989 n. 
230 convertito, con modificazioni, nella legge 04.08.1989 n. 282, che la competenza 
a liquidare i compensi citati va differenziata a secondo se si tratti di 
sequestro, di confisca non definitiva o di confisca definitiva. 
Tale decreto contempla, tra l�altro, per quanto qui di interesse, quanto 
segue: 
- i beni confiscati ai sensi della citata legge n. 575/1965 sono devoluti 
allo Stato e la competenza dell�Amministrazione delle Finanze a gestire i 
beni in parola inizia dalla comunicazione alla Intendenza di Finanza competente, 
da parte delle Cancellerie dei Tribunali, delle Corti d�Appello e della 
Corte di Cassazione, della definitivit� del provvedimento di confisca; 
- la gestione dei beni confiscati viene continuata dall�amministratore, 
nominato a suo tempo dal Tribunale, sotto la direzione dell�Intendente di Finanza 
o di altro funzionario dal medesimo delegato sino all�esaurimento delle 
operazioni di liquidazione ovvero sino a quando non sia stata data attuazione 
al decreto del Ministero delle Finanze con il quale viene disposta la destinazione 
dei beni immobili e dei beni costituititi in azienda; 
- al rimborso ed all�anticipazione delle spese sostenute dall�amministratore 
per la gestione dei beni, nonch� alla liquidazione dei compensi spettanti 
all�amministratore ed ai suoi coadiutori, che non trovino copertura nelle risorse 
della gestione, provvede l�Intendente di finanza, a tal fine avvalendosi
284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
di apposite aperture di credito disposte a suo favore sui fondi dello specifico 
capitolo istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero delle Finanze. 
Secondo la predetta circolare tutta la fase del sequestro, poich� non determina 
alcuna devoluzione dei beni allo Stato, si svolge presso l�Autorit� 
giudiziaria e, pertanto, sar� quest�ultima a liquidare i compensi dovuti agli 
amministratori. 
Per quanto concerne la fase della confisca non definitiva deve distinguersi 
tra la confisca intervenuta prima dell�entrata i vigore del D.L. 14-6- 
1989 n. 230 convertito in legge 4.8.1982 n. 282, e la confisca non definitiva 
adottata dopo l�entrata in vigore di detta normativa. 
Nel primo caso, poich� la confisca � considerata immediatamente esecutiva 
e gli amministratori operano - ai sensi dell�art. 7, comma 5, della stessa 
normativa - sotto la direzione dell�Intendente di finanza (ora il Responsabile 
o il Titolare degli Uffici delle locali Agenzie fiscali), il provvedimento di liquidazione 
dei compensi � rimesso alla diretta competenza dell�ex Intendenza 
di Finanza. 
Viceversa, nella rimanente ipotesi di confisca non definitiva, adottata 
dopo l�entrata in vigore della su menzionata legge, giacch� la misura patrimoniale 
non � pi� considerata immediatamente esecutiva, la liquidazione 
dei compensi in parola, contrariamente alle prime ipotesi, � attribuita all�Autorit� 
giudiziaria. 
Riguardo, infine, agli atti di confisca definitiva, che risultano consolidati 
sotto l�egida della normativa del 1989, la liquidazione dei compensi spetta, 
dal momento della sua istituzione, all�Agenzia del Demanio, che all�uopo attinge 
da appositi capitoli dello stato di previsione della spesa. 
Coerentemente alla ratio del quadro normativo su riportato e del contenuto 
della circolare test� citata, � parere dello scrivente, che anche per le fattispecie 
che derivino dall�accoglimento delle istanze di revoca della confisca 
definitiva, nei limiti in cui si discuta sulla imputazione delle spese per i compensi 
pagati agli amministratori ed alle ulteriori spese della medesima natura, 
deve ritenersi competente l�Amministrazione della Giustizia. 
E ci� per quelle stesse ragioni opportunamente messe in evidenza dalla 
Corte di cassazione secondo le quali ��. dette ultime spese (per compenso 
all�amministratore, in caso di revoca del sequestro, non possono far carico 
al titolare del bene, che � andato esente da ogni responsabilit� anche in ordine 
alla causazione della procedura, e debbono essere allora poste a carico 
dello Stato, come appunto dispone il riferito comma terzo (2� linea) della 
norma in esame�. 
In altri termini, dall�asserito principio affermato dalla S.C., � possibile 
evincere che: (a) nei casi di revoca delle misure di prevenzione patrimoniale, 
le spese per i compensi dovuti all�amministratore non debbono gravare sugli
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 285 
interessati, non avendo questi dato causa alle misure di prevenzione di cui si 
tratta; e (b) che, poich� l�applicazione di siffatte misure interviene nell�ambito 
del procedimento giurisdizionale con riferimento al quale l�Amministrazione 
statale non risulta evocata (gli interessi pubblici sono rappresentati 
dagli Uffici della Procura della Repubblica presso i Tribunali o dalle Procure 
Generali presso le Corte d�Appello), le spese in oggetto non possono che configurasi 
come spese di giustizia. 
Per altro, il T.U. delle Spese di Giustizia di cui al D.P.R. 30 maggio 2002 
n. 115, prevede all�art. 1 che �Le norme del presente testo unico disciplinano 
le voci e le procedure di spesa dei processi: il pagamento da parte dell�erario, 
il pagamento da parte dei privati, l�annotazione e la riscossione. Disciplinano, 
inoltre, il patrocinio a spese dello Stato, la riscossione delle spese di 
mantenimento, delle pene pecuniarie; delle sanzioni amministrative pecuniarie 
e delle sanzioni pecuniarie processuali�. 
Il successivo articolo 2 specifica, poi, il campo di applicazione, prevedendo 
che �Le norme del presente testo unico si applicano al processo penale, 
civile, amministrativo, contabile e tributario, con l�eccezione di quelle espressamente 
riferite dal presente testo unico ad uno o pi� processi...� 
Il quadro normativo regolato dal citato T.U. �, quindi, compatibile con 
l�interpretazione per la quale le spese inerenti i compensi degli amministratori 
del patrimonio oggetto delle misure di prevenzione di natura patrimoniale, 
poi revocate, siano da imputarsi all�Amministrazione della giustizia. 
** *** ** 
Il giudizio pendente dinanzi al Tar di Reggio Calabria. Le conseguenze 
relative alla revoca della confisca definitiva: disamina e commento alla sentenza 
del Tar Reggio Calabria n. 81 del 11 febbraio 2009. 
SOMMARIO: 1. La sentenza della S.C. a Sezione unite n. 57/2007 (c.d. sentenza 
Auddino) sulla applicabilit� della revoca alla misura di prevenzione di 
natura patrimoniale della confisca; 2. La sentenza n. 81/2009 del Tar di Reggio 
Calabria sull�obbligo riparatore della perdita patrimoniale; 3. La determinazione 
dell�Amministrazione ai fini della restituzione del bene ed il 
giudice al quale appartiene la cognizione in merito; 4. Analogie con l�art. 
43 del T.U. dpr 8 giugno 201 n. 327; 5. L�incidenza della sussistenza di condizioni 
oggettive che non consentono la restituzione del bene nella sua originaria 
consistenza; I limiti dei poteri conferiti al G.A. quale giudice 
dell�ottemperanza del giudicato civile; 6. La proponibilit� della ulteriore 
domanda risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo in sede di ottemperanza. 

286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
1. La sentenza della S.C. a Sezione unite n. 57/2007 (c.d. sentenza Auddino) 
sulla applicabilit� della revoca alla misura di prevenzione di natura patrimoniale 
della confisca 
La S.C., a Sezioni unite, con sentenza n. 57 dell�8.1.2007, chiamata a risolvere 
il perdurante contrasto in merito alla questione se la misura della confisca 
di cui all�art. 2 ter, terzo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575, 
fosse revocabile alla stregua del procedimento previsto dall�art. 7, secondo 
comma, della legge 27.12.1956 n. 1423 (ed al pari delle misure personali di 
prevenzione), ne ha definitivamente sancito l�applicabilit�, connotando l�istituto, 
al pari del rimedio della revisione, con finalit� riparatoria rispetto ad un 
errore giudiziario. 
In particolare, con la citata sentenza la S.C. ha chiarito che l�istituto della 
revoca di cui all�art. 7, secondo comma, della legge 27.12.1956 n. 1423, si rivela 
strutturalmente incompatibile con la confisca, quale revoca ex nunc (essendo 
la revoca ex nunc ipotizzabile soltanto per le misure di prevenzione di 
cui � costante l�esecuzione al momento in cui viene avanzata la relativa richiesta), 
e, viceversa, pienamente compatibile con la predetta misura, quale 
rimedio da adottarsi in termini di revisione e, quindi, con effetti ex tunc, in 
contemplazione di una invalidit� genetica del provvedimento. 
Con la pronuncia in esame, quindi, la Corte di legittimit�, nel naturale 
bilanciamento tra le esigenze di certezza giuridica derivante dalla pretesa irreversibilit� 
della ablazione e la funzione di revisione del provvedimento sanzionatorio 
viziato fin dall�inizio, ha salvaguardato il preminente principio 
dell�obbligo riparatore prefigurato dall�art. 24 della Costituzione e circoscritto 
l�efficacia delle norme previste in materia di revidibilit� di giudicato ex artt. 
630 e s.s. del codice di procedura penale al campo delle prove, condizionando 
la possibilit� di promuovere l�istanza di revoca della confisca ai casi di: a) 
prove nuove sopravvenute (e tali sono anche quelle non valutate nemmeno 
implicitamente); b) inconciliabilit� di provvedimenti giudiziari; c) di procedimento 
di prevenzione fondato su atti falsi o su un altro reato. 
L�avversa tesi, pur sostenuta in giurisprudenza (ed in dottrina), secondo 
la quale la revoca della confisca definitiva si poneva in contrasto con il principio 
della irreversibilit� degli esiti conseguenti alla disposta misura, in considerazione 
degli effetti istantanei e non permanenti (uno acto perficitur) della 
decisione che la conteneva, al pari di una sorta di espropriazione per pubblico 
interesse, dove il pubblico interesse � identificato nella generale finalit� di prevenzione 
penale (1), viene superata dal Supremo Collegio con l�obbiezione 
(1) E� appena il caso di ricordare che, ai sensi dell�art. 2 novies della legge 31-5-1965 n. 575, una 
volta intervenuta la confisca definitiva, l�immobile confiscato viene acquisto definitivamente al patri-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 287 
che l�irreversibilit� dell�ablazione non esclude la possibilit� di una restituzione, 
per determinazione discrezionale della Pubblica amministrazione, e, quanto 
meno, provoca l�insorgenza di un obbligo riparatore della perdita patrimoniale. 
2. La sentenza n. 81/2009 del TAR di Reggio Calabria sull�obbligo riparatore 
della perdita patrimoniale 
Per ci� che riguarda gli effetti restitutori, il punto nodale della recente 
sentenza n. 57/07 sembra proprio essere la previsione della restituzione del 
bene, per determinazione discrezionale dell�Amministrazione, ovvero l�insorgenza, 
in alternativa, dell�obbligo riparatore. 
Con la sentenza n. 81 dell�11.02.2009 il TAR di Reggio Calabria, in veste 
di Giudice dell�ottemperanza, ha accolto il ricorso con il quale il ricorrente 
ha chiesto, stante l�inefficacia delle rituali diffide, l�esecuzione del decreto penale 
di revoca della confisca definitiva passato in giudicato, oltre al risarcimento 
del danno. 
Il predetto Tribunale, in relazione alle domande proposte dall�interessato, 
e previo rigetto delle eccezioni sollevate dalla Difesa erariale, cos� statuiva: 
�... P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo per la Calabria, sezione staccata 
di Reggio Calabria, pronunciando sul ricorso n. � limitatamente alla domanda 
di esecuzione del giudicato, lo accoglie e per l�effetto dichiara l�obbligo 
del Ministero delle Finanze e dell�Agenzia del Demanio di Reggio 
Calabria, per quanto di ciascuna competenza, di adottare le determinazioni 
amministrative e contabili necessarie per corrispondere alla sig.ra �. la 
somma di Euro �. salva la facolt� di procedere a restituzione in natura del 
bene indicato nel decreto n. 16/01 del 13.1 - 18.5.2001 della Corte di Appello 
di Reggio Calabria - Sezione Misure di Prevenzione. 
All�uopo assegna alle predette Amministrazioni il termine di giorni sessanta 
(60) dalla comunicazione o notificazione, anche a cura di parte, della 
presente sentenza, per ottemperare al giudicato. 
Per il caso di inadempienza ulteriore, nomina Commissario ad acta �. 
perch� provveda, entro ulteriori novanta (90) giorni dal termine predetto, al 
pagamento della somma sopra indicata, a spese delle Amministrazioni intimate. 
Liquida al verificatore Euro 2000,00. 
Riserva alla trattazione in pubblica udienza la decisione in ordine alla 
domanda risarcitoria, previa regolarizzazione, ove necessario del ricorso ai 
monio dello Stato e la successiva destinazione dei beni confiscati � effettuata con provvedimento del 
direttore centrale del demanio del Ministro delle finanze. Dopo la confisca anche l�amministratore di 
cui all�art. 2 sexies della legge citata svolge le proprie funzioni sotto il controllo del competente ufficio 
del Ministero delle finanze (le competenze prima affidate al Ministero sono ora dell�Agenzia del Demanio).

288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
fini del versamento del contributo unificato, mandando alla segreteria per la 
verifica di tale adempimento da parte dei ricorrenti ��. 
Il Tribunale � giunto a siffatta decisione dopo aver proceduto alla preliminare 
disamina sull�ammissibilit� del rimedio giurisdizionale azionato. La 
difesa erariale, invero, in sede di discussione e nel proprio atto di costituzione 
in giudizio, aveva eccepito il difetto di giurisdizione dell�adito TAR, quale 
giudice dell�ottemperanza, in relazione alla domanda con la quale il ricorrente 
ha chiesto, per l�appunto, la restituzione del bene in forza del predetto decreto 
penale di revoca di confisca. 
Il Collegio ha ritenuto che tale azione potesse essere esperita nulla incidendo 
il fatto che oggetto dell�ottemperanza fosse il decreto del Giudice penale, 
definitorio di giudizio di opposizione di terzo alla confisca preventiva. 
Scrive al riguardo il Collegio, �Oltre all�argomento testuale desumibile 
dall�art. 37 l. tar - che ammette il rimedio dell�ottemperanza per l�adempimento 
dell�obbligo di conformarsi al �giudicato� dell�autorit� giudiziaria ordinaria, 
senza limitare il rimedio alle sole sentenze -, depone in tal senso la 
qualificazione del decreto (di cui � incontestato il passaggio in giudicato) 
come provvedimento definitorio della controversia al pari della sentenza, sicch� 
nessun dubbio pu� porsi sulla proponibilit� del ricorso per ottemperanza 
davanti al giudice amministrativo per la sua esecuzione, al pari di quanto si 
ammette, ormai pacificamente, per i decreti ingiuntivi. 
Neppure pu� accedersi alla tesi, sostenuta dalla difesa erariale, secondo 
cui, venendo in rilievo posizioni di diritto soggettivo (in particolar modo la 
titolarit� della propriet� del bene in questione), la controversia apparterrebbe 
alla giurisdizione del giudice ordinario. 
Trattandosi, infatti, di giudizio per l�esecuzione del giudicato, la consistenza 
della posizione soggettiva � del tutto irrilevante, essendo la materia attribuita 
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (v. art. 21 
septies l. 241/90), dovendosi ammettere la g.e per le azioni di esecuzione del 
giudicato originate non solo da provvedimenti violativi o elusivi di questo (gli 
unici per cui la norma appena citata espressamente la prevede), ma anche da 
comportamenti inerti rispetto alle prescrizioni dell�autorit� giudiziaria. 
In altri termini, la considerazione dirimente che si agisce per l�esecuzione 
di una decisione passata in giudicato (poco importa se emessa nella forma di 
sentenza o decreto), vale ad escludere ogni rilievo della consistenza della posizione 
soggettiva fatta valere, ferma restando la eventuale giurisdizione concorrente 
del G.O. (come avviene in ipotesi di procedure esecutive proposte 
dinanzi a questo, ritenuti pacificamente ammissibili unitamente al giudizio di 
ottemperanza)�. 
Ad avviso, quindi, del Giudicante, il Giudice amministrativo, in sede di 
ottemperanza, � pienamente legittimato a statuire in merito alla domanda di 
restituzione del bene oggetto di revoca di confisca definitiva. 
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 289 
3. La determinazione dell�Amministrazione ai fini della restituzione del bene 
ed il giudice al quale appartiene la cognizione in merito 
L�assunto, in verit� lascia perplessi, nonostante si sia a conoscenza che, 
secondo la giurisprudenza amministrativa, le sentenze di condanna dell�Amministrazione 
siano eseguibili tanto in sede ordinaria che amministrativa (vedi, 
ex plurimis, Consiglio Stato , sez. IV, 25 maggio 2005, n. 2670: �Anche per le 
sentenze di condanna dell'amministrazione al pagamento di somme di danaro 
da parte del g.o., il soggetto pu� scegliere tra l�esecuzione forzata secondo le 
norme del codice di rito e l�esecuzione in sede amministrativa ex art. 27 n. 4 
r.d. 26 giugno 1924 n. 1054). 
A parere di chi scrive, infatti, il TAR con la decisione in commento non 
ha statuito sul punto nodale della recente sentenza n. 57/07, poich� non ha statuito 
in ordine alla facolt� rimessa all�Amministrazione di decidere se restituire 
il bene o meno. 
Sembrerebbe cio� che il Giudice adito, nel porre a carico dell�Amministrazione 
l�onere di adottare, nel termine di giorni 60, le determinazioni amministrative 
e contabili necessarie per corrispondere la somma all�uopo 
quantificata dal nominato verificatore, facendo salva la facolt� della P.A. di 
procedere a restituzione in natura del bene indicato, abbia sottovalutato la questione 
che pi� di ogni altro aspetto poteva giustificare il radicamento della sua 
giurisdizione: ossia l�obbligo dell�Amministrazione a determinarsi circa la restituzione 
del bene. 
Del resto, l�equivoca assegnazione a cura del TAR del termine entro il 
quale l�Amministrazione � tenuta a provvedere al pagamento del controvalore, 
salva la restituzione del bene, maschera chiaramente il tentativo di ordinare 
in via principale alla P.A. di determinarsi sul punto, e contraddice l�assunto 
iniziale dello stesso Giudicante secondo il quale l�Amministrazione non ha 
l�obbligo della restituzione in natura. 
Si ritiene, conseguentemente, che la giurisdizione del Giudice amministrativo 
possa sussistere - quale giudice dell�ottemperanza - nei limiti in cui 
occorra pregiudizialmente investire l�Amministrazione affinch� comunichi le 
sue determinazioni in merito e ci� anche se si � del parere che sia onere dell�Amministrazione 
manifestare la volont� di non voler restituire il bene che 
risulti vincolato ad una specifica destinazione o debitamente modificato ed 
utilizzato. 
4. Analogie con l�art. 43 del T.U. dpr 8 giugno 201 n. 327 
La problematica, in realt�, risulta gi� disciplinata in materia di espropriazione, 
e precisamente dall�art. 43 del testo unico di cui al DPR 8 giugno 2001 
n. 327. Norma questa che, per evidente ragioni di identit� di ratio, pu� essere
290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
presa a riferimento anche nella fattispecie in esame, non fosse altro per il fatto 
che � la stessa S.C. che, nel motivare la sentenza n. 57/07, assimila la confisca, 
come su detto, ad un espropriazione per pubblico interesse. 
E� risaputo che in virt� della citata disposizione, con la quale si sono recepiti 
i principi provenienti della giurisprudenza comunitaria, ha cessato di 
avere efficacia nel nostro ordinamento l�istituto dell�occupazione acquisitiva 
(approvativa) e si � subordinata la possibilit� di acquisire gli immobili utilizzati 
e modificati, in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o 
dichiarativo di pubblica utilit�, per scopi di interesse pubblico, all�adozione 
di un espresso provvedimento discrezionale dell�ente espropriante. 
Prevede la disposizione in argomento che l�Autorit� che utilizza un bene 
immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed 
efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilit�, pu� 
disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario 
vadano risarciti i danni. 
Prevede, ancora, la norma test� citata che l�atto di acquisizione pu� essere 
emanato anche quando sia stata esercitata una azione volta alla restituzione 
del bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, ed in questo caso, l�Amministrazione 
che ne ha interesse o chi utilizza il bene pu� chiedere che il giudice 
amministrativo disponga la condanna al risarcimento del danno con esclusione 
della restituzione del bene senza limiti di tempo. 
Sembra allora sostenibile ritenere che anche nella situazione venutasi a 
creare a seguito della revoca della confisca definitiva l�Amministrazione debba 
attivarsi per emettere una sorta di atto di acquisizione qualora non volesse restituire 
l�immobile. 
Ora, mentre � indubbia la giurisdizione (esclusiva) del Giudice amministrativo 
per le controversie di cui all�art. 43 del su nominato T.U., almeno nei 
casi in cui l�azione risarcitoria � riconducibile all�esercizio del potere attribuito 
alla P.A. (2), non altrettanto pu� affermarsi, contrariamente alla decisone del 
Tar, con riferimento all�azione di restituzione derivante dalla revoca della confisca 
definitiva. 
L�azione di restituzione del bene oggetto di revoca di confisca dovrebbe 
(2) �Rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui all�art. 53 del T.U. n. 
327 del 2001 un'azione di risarcimento dei danni proposta dai proprietari di un�area occupata dalla 
P.A. nel periodo di vigenza della dichiarazione di pubblica utilit�, allorch� la procedura ablatoria non 
abbia avuto la sua naturale conclusione mediante adozione di un tempestivo e valido decreto di esproprio; 
in tal caso, infatti, l�illecito costituito dalla radicale trasformazione del suolo occupato ai fini 
della realizzazione dell�opera pubblica appare comunque direttamente riconducibile all�esercizio da 
parte della P.A. dei poteri ad essa attribuiti dalla legge per la cura del pubblico interesse, risultando la 
vicenda sostanziale contrassegnata dal collegamento con l�esercizio, sia pure viziato, del potere amministrativo 
secondo le forme tipiche disegnate dall�ordinamento� (Consiglio di Stato, Sez. IV - sentenza 
26 febbraio 2009 n. 1136).
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 291 
trovare la sua naturale sede di trattazione giudiziale dinanzi al Giudice civile 
e dovrebbe essere questo Giudice a dover provvedere tanto in ordine alla presa 
in possesso del bene, quanto in merito alla domanda che attiene all�obbligo 
riparatore, accertando e quantificando l�equivalente monetario. 
I motivi addotti dal TAR, per i quali, a suo avviso, � possibile riconoscere 
la giurisdizione del G.A., si rivelano opinabili poich� non vi sono provvedimenti 
amministrativi da assumere nella dedotta circostanza, occorrendo piuttosto 
che l�interessato proceda in via esecutiva, immettendosi nel possesso 
dell�immobile con l�apposito istituto della esecuzione forzata. 
Le �determinazioni amministrative e contabili necessarie per corrispondere 
la somma di Euro complessivi �� quale controvalore dovuto a titolo riparatore, 
costituiscono incombenze solo eventuali, che non possono essere 
anteposte alla facolt� della P.A. di decidere sulla restituzione del bene e, comunque, 
seguono il relativo giudizio teso all�accertamento del valore da corrispondere 
per la causale. 
Si ritiene, cio�, che per l�accertamento dell�obbligo riparatore, la sede 
naturale sia quella del processo civile ordinario, che gi� conosce degli aspetti 
indennitari che derivino dal perpetrato pregiudizio che subiscono talune situazioni 
giuridiche perfette in forza di attivit� legittimamente intraprese (non vi 
pu� essere dubbio alcuno che l�attivit� giurisdizionale posta in essere nell�ambito 
della procedura di applicazione della misura della patrimoniale abbia carattere 
legittimo). 
Non di meno, risultava agli atti del procedimento dinanzi al Tar che 
l�Agenzia del Demanio, per motivi di opportunit�, aveva intrapreso bonarie 
trattative nei confronti di controparte per giungere ad una soluzione transattiva, 
visto che la restante parte dell�edificio (a sei piani f.t.), dopo l�intervenuta 
confisca, era stato adibito a finalit� di ordine pubblico (era stato adibito ad 
alloggio di servizio dei militari dell�Arma dei Carabinieri). 
Rilevava, poi, l�Agenzia del Demanio che la restituzione dei due appartamenti 
che occupavano l�intero secondo piano f.t., di cui l�interessato chiedeva 
la restituzione, sebbene astrattamente praticabile, (gli immobili non 
erano stati � volutamente - utilizzati per tutto il tempo della pendenza della 
lite) non poteva, per�, essere effettuata nella originaria consistenza, essendo 
stati eseguiti dei lavori per i quali erano state ricavate tre diverse unit�. 
5. L�incidenza della sussistenza di condizioni oggettive che non consentono 
la restituzione del bene nella sua originaria consistenza. I limiti dei poteri 
conferiti al G.A. in sede di ottemperanza di un giudicato civile. 
Sebbene il TAR abbia dato atto della intervenuta modificazione della conformazione 
del bene, la pronuncia in commento lascia senza soluzione quanto 
rappresentato dall�Amministrazione in ordine alla possibilit� di restituire l�im-
292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
mobile nella sua originaria consistenza. 
Non di meno, ci si chiede se sia possibile che, nell�ambito dei poteri conferiti 
al G.A. nel giudizio di ottemperanza, il giudicante possa statuire obblighi 
(come l�eventuale obbligo di riduzione in pristino stato), che non emergono 
dal contenuto del giudicato formatosi sul decreto penale con cui la competente 
Corte d�appello ha disposto la revoca della confisca definitiva (e niente di pi�). 
E� stato gi� ben evidenziato, in un articolo a commento alla sentenza n. 
997/03 del TAR Marche, come �il Giudice dell�ottemperanza, nello svolgimento 
della attivit� esecutiva ad esso demandata, non possa integrare la sentenza 
civile, entrando nel merito e ampliando il dictum del G.O., altrimenti 
sconfinerebbe in un campo di giurisdizione che non gli compete� (3). 
Ed ancora � stato evidenziato che �il G.A. pu� adottare statuizioni analoghe 
a quelle che potrebbero emettersi in un nuovo giudizio di cognizione solo 
in relazione a questioni devolute alla sua giurisdizione, mentre non pu� esercitare 
analoghi poteri di integrazione allorch� la sentenza della cui ottemperanza 
si tratta sia stata resa da un giudice appartenente ad un diverso ordine 
giurisdizionale e la questione rientri nella giurisdizione di quest�ultimo� (Cfr. 
Consiglio di Stato, sez. IV, 7 ottobre 1999, n. 1099). 
E che �Se il Giudice dell�ottemperanza, con la sua decisione e con la nomina 
del commissario ad acta, si attribuisse un potere dispositivo che non 
trova la sua causa nella precedente decisione di merito, oltre che incidere in 
concreto su rapporti affidati alla giurisdizione dell�AGO, avrebbe anche quale 
ulteriore conseguenza quella di attribuire efficacia di giudicato ad un provvedimento 
amministrativo del tutto nuovo, adottato con la pi� ampia discrezionalit�, 
ed il cui esame sarebbe sottratto alla stessa giurisdizione 
amministrativa, non potendo di certo equipararsi il ricorso avverso i provvedimenti 
del commissario ad acta al normale controllo di legittimit� spettante 
agli organi della giurisdizione amministrativa� (Cass. Civ., Sez. Un., 15 luglio 
1986, n. 4568) (4). 
Per altro, nel momento in cui l�Amministrazione ha mostrato interesse 
per una soluzione negoziale (viste le trattative di bonario componimento) e 
tenuto, comunque, conto che il bene non era utilizzato dall�Amministrazione, 
la fase giudiziale relativa al preventivo accertamento della determinazione 
(3 ) �Il G.A. dell�ottemperanza, a fronte di statuizioni giudiziali precise e determinate ed alla 
natura di diritto soggettivo delle posizioni azionate, deve svolgere una attivit� esecutiva (alla quale non 
sono del tutto estranei e preclusi i poteri di sostituzione nel merito delle determinazioni, anche negoziali), 
senza possibilit� d�integrare la sentenza civile e senza la facolt� di incidere sulla sfera di discrezionalit� 
della Amministrazione pubblica� (Tar Marche 19-09-2003 n.997). 
(4 ) �L�esecuzione del giudicato del giudice del lavoro innanzi al giudice amministrativo (Commento 
alla sentenza TAR Marche 19 settembre 2003 n. 997)� di FRANCESCA ZARLETTI- In Diritto & Diritti 
- Rivista giuridica elettronica, pubblicata su Internet all�indirizzo http://www.diritto.it, ISSN 
1127-8579, inserito in Diritto & diritti nel marzo 2004.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 293 
della P.A. che, come su riferito, poteva giustificare il radicamento della giurisdizione 
del TAR, non era da considerati dovuta, sicch�, in ossequio ai generali 
criteri di riparto della giurisdizione, si rivela erronea, per carenza dei presupposti 
processuali, la pronuncia con la quale il Tribunale ha condannato, l�Amministrazione 
al pagamento del controvalore del bene. Qualora, infine, si 
accrediti la plausibile interpretazione per la quale l�effetto restitutorio discenda 
direttamente dal decreto di revoca della confisca passato in giudicato, l�assunto 
motivazionale, con il quale il TAR riconosce in favore della P.A. solo la facolt� 
di restituire il bene in natura, non pare cogliere nel segno. 
In altri termini, l�ambito giudiziale pertinente alle pretese del ricorrente 
� sempre pi� corrispondente a quello processuale civile, potendo l�interessato, 
in questa sede, chiedere l�immissione in possesso nel bene nello stato di fatto 
e di diritto in cui si trova (5), ovvero ottenere, ai sensi dell�art. 2058 c.c. (6), 
il risarcimento del danno in forma specifica (la riduzione in pristino), facendo 
cos� sorgere in testa all�Amministrazione l�obbligo di ricostituire la situazione 
di fatto antecedente alla procurata lesione: sarebbe poi il giudicato formatosi 
su questa domanda a poter essere posto in esecuzione tramite il giudizio di ottemperanza. 
Salva l�azione diretta ad ottenere, in forza dell�art. 2931 c.c. (7), 
che l�obbligo della riduzione in pristino sia eseguito a spese dell�obbligato 
nelle forme stabilite dal codice di procedura civile. 
6. La proponibilit� della ulteriore domanda risarcitoria dinanzi al giudice 
amministrativo in sede di ottemperanza 
Strutturalmente, si ribadisce, al giudice dell�ottemperanza � fatto divieto 
di adottare misure che in qualche modo integrano (o che addirittura innovano) 
il contenuto del giudicato con comandi in esso non rinvenibili (Consiglio di 
Stato, Sezione VI, sentenza dell�11.11.2006 n. 6819) (8). 
(5) Si ricorda che ai sensi Art. 612, c.p.c.: [I] �Chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una 
sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, 
deve chiedere con ricorso al giudice dell'esecuzione. [II] Il giudice dell'esecuzione provvede 
sentita la parte obbligata. Nella sua ordinanza designa l'ufficiale giudiziario che deve procedere all'esecuzione 
e le persone che debbono provvedere al compimento dell'opera non eseguita o alla distruzione 
di quella compiuta�). 
(6) Recita l�art. 2058, c.c., che disciplina il Risarcimento in forma specifica: [I] �Il danneggiato 
pu� chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile. [II] Tuttavia 
il giudice pu� disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma 
specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore�. 
(7) Secondo l�articolo 2931 c.c., rubricato �Esecuzione forzata degli obblighi di dare�: �Se non 
� adempiuto un obbligo di fare, l�avente diritto pu� ottenere che esso sia eseguito a spese dell�obbligato 
nelle forme stabilite dal codice di procedura civile�. 
(8) �Il ricorso, per il capo in cui � rivolto a chiedere l�esecuzione, da parte del Ministero per i beni 
e le attivit� culturali, dell�obbligo di compiere tutti gli atti necessari alla reintegrazione della dott.ssa D. 
nelle mansioni corrispondenti alle sue professionalit� e alla attribuzione di incarichi conformi alla sua
294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Coerentemente ai dettami giurisprudenziali su indicati, non � dato seguire 
come il TAR possa conoscere dei profili risarcitori che solo in via mediata si 
pongono in correlazione con il giudicato di cui si chiede l�ottemperanza. L�istituto 
dell�ottemperanza del giudicato civile, si rammenta, venne concepito, dapprima, 
come obbligo di annullare l�atto amministrativo che fosse stato 
disapplicato, in quanto non conforme a legge, dal giudice ordinario e, dopo 
qualche tempo, fu esteso, in via giurisprudenziale, anche alle decisioni di condanna 
al pagamento di somme di denaro. 
Si rimane, pertanto, inevitabilmente perplessi sul contenuto del capo di 
sentenza con la quale il TAR si � riservato di assumere la decisione sulla domanda 
con la quale il ricorrente ha chiesto il risarcimento dei danni in considerazione 
alla mancata restituzione del bene. 
Avv. Roberto Antillo* 
Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, 
sentenza 28 gennaio 2009 n. 81 - Pres. G. Caruso - Cons. D. Burzichelli - Ef. Estensore 
D. Zonno - Ministero Economia e Finanze e Agenzia del Demanio (avv. dello Stato R. Antillo 
- AL 4887/07) c/ M.C. M. (avv.ti S. Dattola e A. Gangemi). 
(... Omissis) 
FATTO e DIRITTO 
Con ricorso del 18.12.1991 innanzi al Tribunale di Reggio Calabria, Sezione per le misure di 
Prevenzione, la sig.ra ..... proponeva opposizione di terzo avverso il decreto di confisca di un 
fabbricato, del 20.12.1984, emesso a carico di L. D., allegando che, in virt� del contratto intercorso 
con la impresa costruttrice (riconducibile al proposto per la misura di prevenzione), 
ella aveva ceduto il terreno per la realizzazione dell�erigendo edificio, in cambio della propriet� 
di uno degli appartamenti da realizzarsi. Ne rivendicava, pertanto la propriet�, assumendo 
la sua totale estraneit� alla procedura di prevenzione, non ricorrendo nei suoi confronti 
i presupposti per la confisca. 
La Corte di Appello di Reggio Calabria - Sezione Misure di Prevenzione (investita della controversia 
su appello dell�Amministrazione), con decreto n. 16/01 del 13.1 - 18.5.2001, disponeva: 
�la revoca della confisca dell�appartamento sito alla seconda elevazione fuori terra, a 
qualifica, oltre alla dotazione di tutte le basilari risorse umane e strumentali dell�ufficio, � inammissibile. 
Ed invero, il giudicato del quale si discute, conformemente, del resto, al petitum proposto innanzi al giudice 
del lavoro (quale si evince dalla motivazione della sentenza di quest�ultimo), si � limitato a sanzionare, 
attraverso la condanna al risarcimento del danno, l�inadempimento dell�Amministrazione 
all'obbligo contrattualmente assunto di adibire la dipendente a mansioni proprie della qualifica da essa 
rivestita, senza recare, invece, anche la condanna della medesima Amministrazione a rimuovere gli effetti 
del �demansionamento�, affidando al lavoratore l�originario incarico ovvero un altro di contenuto equivalente� 
(per tale possibilit�, cfr. Cass. Sez. Lav., n. 425 del 12 gennaio 2006). 
(*) Avvocato dello Stato
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 295 
destra dell�ingresso esteso mq. 175 circa e descritto planimetricamente nell�allegato 13 alla 
consulenza di parte redatta il 9.10.95 dal consulente di parte ing. Stefano De Luca, oltre al 
corrispondente posto macchina ed alla propriet� pro-quota delle parti condominiali, disponendo 
la consegna di tale bene alla legittima proprietaria C. M., vedova M., nata a Reggio 
Calabria il 4 dicembre 1910�. 
Il decreto della Corte non � stato impugnato ed � divenuto definitivo in data 28.7.2001. 
Nonostante il passaggio in giudicato del suddetto provvedimento e nonostante le espresse richieste 
formulate dall�istante a mezzo di diffida e messa in mora del 28.2.2003 (all.6) ed a 
mezzo atto di diffida ad adempiere entro il termine di 30 giorni, del 28.3.2007 notificato il 
13.4.2007, con espresso avvertimento di azione in sede giudiziaria per l�esecuzione, l� Amministrazione 
non ha inteso dare esecuzione al giudicato. 
Nelle more l�Agenzia del Demanio, ha acquisito la gestione del bene e ne ha modificato la 
conformazione. 
Ricorrono i sig.ri M., in qualit� di procuratori della sig.ra C., per ottenere l�esecuzione del 
provvedimento sopra indicato, nonch� per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla 
protratta mancata disponibilit� del bene in questione, la cui locazione avrebbe consentito un 
guadagno. 
All�udienza del 28.1.09 la causa � stata trattenuta in decisione. 
Va preliminarmente vagliata l�ammissibilit� del rimedio giurisdizionale azionato, avendo la 
difesa erariale contestato, in sede di discussione e nel proprio atto di costituzione in giudizio, 
la possibilit� di agire con giudizio di ottemperanza per ottenere l�esecuzione di un decreto 
della Corte di Appello di restituzione di un bene confiscato a seguito di applicazione di misura 
di prevenzione. 
Il Collegio ritiene che possa esperirsi tale azione anche laddove la pronuncia per la cui ottemperanza 
si agisca sia rappresentata da decreto del Giudice penale, definitorio di giudizio 
di opposizione di terzo alla confisca preventiva. 
Oltre all�argomento testuale desumibile dall�art. 37 l. tar - che ammette il rimedio dell�ottemperanza 
per l�adempimento dell�obbligo di conformarsi al �giudicato� dell�autorit� giudiziaria 
ordinaria, senza limitare il rimedio alle sole sentenze -, depone in tal senso la qualificazione 
del decreto (di cui � incontestato il passaggio in giudicato) come provvedimento definitorio 
della controversia al pari della sentenza, sicch� nessun dubbio pu� porsi sulla proponibilit� 
del ricorso per ottemperanza davanti al giudice amministrativo per la sua esecuzione, al pari 
di quanto si ammette, ormai pacificamente, per i decreti ingiuntivi. 
Neppure pu� accedersi alla tesi, sostenuta dalla difesa erariale, secondo cui, venendo in rilievo 
posizioni di diritto soggettivo (in particolar modo la titolarit� della propriet� del bene in questione), 
la controversia apparterrebbe alla giurisdizione del giudice ordinario. 
Trattandosi, infatti, di giudizio per l�esecuzione del giudicato, la consistenza della posizione 
soggettiva � del tutto irrilevante, essendo la materia attribuita alla giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo (v. art. 21 septies l. 241/90), dovendosi ammettere la g.e per le azioni 
di esecuzione del giudicato originate non solo da provvedimenti violativi o elusivi di questo 
(gli unici per cui la norma appena citata espressamente la prevede), ma anche da comportamenti 
inerti rispetto alle prescrizioni dell�autorit� giudiziaria. 
In altri termini, la considerazione dirimente che si agisce per l�esecuzione di una decisione 
passata in giudicato (poco importa se emessa nella forma di sentenza o decreto), vale ad escludere 
ogni rilievo della consistenza della posizione soggettiva fatta valere, ferma restando la 
eventuale giurisdizione concorrente del G.O. (come avviene in ipotesi di procedure esecutive
296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
proposte dinanzi a questo, ritenuti pacificamente ammissibili unitamente al giudizio di ottemperanza). 
Ci� posto il ricorso � nel merito fondato, sia pure nei limiti di seguito precisati. 
I ricorrenti, in qualit� di procuratori della destinataria del decreto di revoca della confisca del 
bene, ne hanno chiesto la restituzione, ovvero, ed in via subordinata, il pagamento dell�equivalente 
al valore venale del bene (v. dichiarazione a verbale di udienza dell�8.10.08). 
Non pu� essere accolta la domanda di restituzione in natura, mentre nulla pu� essere opposto 
all�accoglimento della domanda subordinata. 
Ostano all�accoglimento della domanda di restituzione i principi affermati dalla Suprema 
Corte e compiutamente espressi nella sentenza SU 57/06 (ricorrente Auddino). 
La Corte, nell�esaminare e risolvere in senso positivo la questione relativa all�ammissibilit� 
della revoca della confisca disposta in sede di misura di prevenzione (ipotesi del tutto identica 
a quella che ha dato origine alla pronuncia per la cui ottemperanza si agisce con il presente 
ricorso) ha puntualizzato in modo inequivoco che: �Dato dunque tale carattere istantaneo e 
non permanente (uno actu perficitur), la confisca si connota come irrevocabile, cosa sottolineata 
da autorevole dottrina anche sulla base della considerazione che la misura in questione 
rappresenta, in sostanza, una sorta di espropriazione per pubblico interesse, identificato, 
quest�ultimo, nella generale finalit� di prevenzione penale. 
Infatti, al provvedimento che la ordina consegue un trasferimento a titolo originario del bene 
sequestrato nel patrimonio dello Stato. 
Con il che si pone un suggello finale a una situazione che deve ritenersi ormai �esaurita�. 
Se simili considerazioni appaiono in s� fuori discussione, sembra tuttavia che per una sorta 
di equivoco esse siano state trasposte senza distinzioni di sorta nella problematica riguardante 
la revoca della confisca accessoria a una misura personale di prevenzione, prevista dalla L. 
27 dicembre 1956, n. 1423, art. 7, comma 2. Pi� in particolare � vero che l'irreversibile risultato 
ablatorio, conseguente alla definitivit� del provvedimento, rende anche la confisca in 
esame insensibile a successivi mutamenti della situazione che abbiano recato modificazioni 
alla pericolosit� del soggetto inciso o che abbiano addirittura fatto cessare la sua pericolosit�. 
Risultato questo gi� derivante dal carattere istantaneo e non permanente di ogni disposizione 
di confisca in quanto tale, ma nella specie rafforzato dalla natura di sanzione patrimoniale, riconosciuta 
alla nostra confisca, risposta a una acquisizione illecita di beni, situazione per sua 
natura insuscettiva di evoluzione (giurisprudenza costante, cfr. ex plurimis Cass. sez. 2^, 28 
marzo 1996, n. 1438 Olivieri). 
Non � per� egualmente vero che l�irreversibilit� dell�ablazione impedisca di accertare, oggi 
per allora, e nello spazio non precluso dalla definitivit� del provvedimento, l�originaria insussistenza 
dei presupposti che hanno condotto alla sua emanazione.� 
Dunque, in base al principio di diritto affermato con la sentenza citata deve ritenersi che: 
� consentita nell�ordinamento la revoca della confisca disposta in sede di misure di prevenzione; 
tuttavia, anche al verificarsi di tale evenienza, l�acquisto in capo al patrimonio dello Stato 
conseguente alla iniziale confisca (sia pure revocata con efficacia ex tunc, in seguito all�accertamento 
dell�originaria insussistenza dei presupposti che hanno condotto alla sua emanazione) 
resta immodificabile (si tratta cio� di �ablazione irreversibile�) ; 
�una volta riconosciuta l�invalidit� del titolo, la ritenuta irreversibilit� dell'ablazione non 
esclude la possibilit� di una restituzione, per determinazione discrezionale della Pubblica Amministrazione, 
e, quanto meno, provoca l�insorgenza di un obbligo riparatorio della perdita
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 297 
patrimoniale, priva di giustificazione sin dal momento in cui si � verificata.� (cos� SU cit.). 
Ne consegue che la restituzione in natura del bene afferisce alla sfera della discrezionalit� 
dell�Amministrazione che pu�, pertanto, risolversi in tal senso, ma pu� legittimamente preferire 
la restituzione per equivalente, a titolo indennitario. 
Escluso, pertanto, l�obbligo di restituzione in natura (e ferma la possibilit� per l�amministrazione 
di optare per tale soluzione), non � ammissibile che la p.a. possa, con comportamenti 
dilatori quali quelli assunti in relazione alla vicenda portata all�attenzione del Collegio, sottrarsi 
a qualsivoglia esecuzione del decreto di revoca della confisca. 
Stante, pertanto: 
l�esistenza di una decisione passata in giudicato; 
la regolare diffida ex art, 90 reg. proc.; 
il perdurante inadempimento nell�esecuzione; 
l�amministrazione intimata va condannata al pagamento di somma equivalente al bene da restituire. 
In proposito il Collegio, per determinare esattamente tale valore, ha disposto apposita verificazione, 
ordinando di stimare l�appartamento oggetto di controversia, senza tener conto delle 
opere, medio tempore, realizzate dall�amministrazione. 
Il verificatore ha adempiuto con estrema precisione all�incarico affidato, eseguendo indagini 
che si segnalano per puntualit�, approfondimento e attendibilit�, avendo avuto cura di valutare 
il prezzo al mq di appartamenti posti in zone analoghe della citt�; di escutere operatori immobiliari; 
di esaminare l�epoca di costruzione dell�immobile e la sua collocazione nel territorio 
urbano, nonch� il suo pregio in relazione agli esercizi commerciali - e non - da cui � servita 
la zona, ai mezzi di trasporto ed ad altri indici tutti di rilievo; effettuando in ultimo la valutazione 
anche con metodo analitico o per capitalizzazione dei redditi e calcolando, cos�, il valore 
medio al mq. 
Il valore cos� ottenuto, pari ad Euro complessivi 237.722,84 esprime compiutamente il valore 
del bene all�attualit�. 
Al pagamento di tale somma va pertanto condannata l�amministrazione, salva la possibilit� 
di restituire il bene in natura. 
All�amministrazione va assegnato, per provvedere, in favore dei ricorrenti, quali procuratori 
della destinataria del provvedimento di revoca della confisca, il termine di giorni 60 (sessanta) 
dalla comunicazione, in via amministrativa (o dalla sua notificazione se anteriore), della presente 
decisione. 
Al tempo stesso il Collegio nomina, quale Commissario ad acta, il geom. Sorbello, dir. trib. 
in quiescenza, al quale � stato in precedenza affidato l�incarico di verificatore e che si � distinto 
per la puntualit� nell�adempimento e la cui nomina si rende opportuna perch� gi� a conoscenza 
degli atti di causa. 
Ove l�indicato termine di 60 (sessanta) giorni decorra infruttuosamente, dovr� provvedere a 
tutti gli adempimenti occorrenti per il pagamento della somma indicata nel successivo termine 
di 90 (novanta) giorni. 
In particolare il Commissario � legittimato ad eseguire tutti gli atti e gli adempimenti necessari 
per dare concreto soddisfacimento al diritto di credito, salvo che l�amministrazione non si determini 
nell�assegnato termine di 60 giorni per la restituzione in natura del bene. 
Resta esclusa dalla presente pronuncia ogni decisione in ordine all�ulteriore domanda risarcitoria 
determinata dal ritardo nella restituzione del bene. 
La trattazione di tale specifica richiesta di condanna va riservata alla pubblica udienza da de-
298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
terminarsi a seguito di decreto presidenziale su presentazione dell� istanza di fissazione 
udienza e previa regolarizzazione, ove necessario, del ricorso sotto il profilo fiscale, ai fini 
del contributo unificato. 
Le spese della presente fase seguono la soccombenza. In dispositivo vengono altres� liquidate 
le spese di verificazione. 
P.Q.M. 
Il Tribunale Amministrativo per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, pronunciando 
sul ricorso n. 837/07, limitatamente alla domanda di esecuzione del giudicato, lo accoglie e 
per l�effetto dichiara l�obbligo del Ministero delle Finanze e dell�Agenzia del Demanio di 
Reggio Calabria, per quanto di ciascuna competenza, di adottare le determinazioni amministrative 
e contabili necessarie per corrispondere alla sig.ra C. la somma di Euro complessivi 
237.722,84, salva la facolt� di procedere a restituzione in natura del bene indicato nel decreto 
n. 16/01 del 13.1 - 18.5.2001 della Corte di Appello di Reggio Calabria - Sezione Misure di 
Prevenzione. 
All�uopo assegna alle predette Amministrazioni il termine di giorni sessanta (60) dalla comunicazione 
o notificazione, anche a cura di parte, della presente sentenza, per ottemperare al 
giudicato. 
Per il caso di inadempienza ulteriore, nomina Commissario ad acta, il geom. Sorbello Paolo, 
dir. trib. in quiescenza, perch� provveda, entro ulteriori novanta (90) giorni dal termine predetto, 
al pagamento della somma sopra indicata, a spese delle Amministrazioni intimate. 
Liquida al verificatore Euro 2000,00. 
Liquida in complessivi Euro 2000,00 il compenso del Commissario ad acta e pone l�onere 
della relativa spesa a carico dell�Amministrazione intimata. 
Riserva alla trattazione in pubblica udienza la decisione in ordine alla domanda risarcitoria, 
previa regolarizzazione, ove necessario del ricorso ai fini del versamento del contributo unificato, 
mandando alla segreteria per la verifica di tale adempimento da parte dei ricorrenti. 
Condanna le amministrazioni resistenti al pagamento in solido, in favore della parte ricorrente, 
delle spese per la verificazione, nonch� di quelle di lite che liquida in euro 2000,00 per diritti 
ed onorari, oltre al rimborso del contributo unificato, IVA e CPA come per legge. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 28/01/2009.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 299 
Il carattere assoluto dell�insindacabilit� 
degli atti politici 
(Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, 
Bari, Sezione Terza, sentenza 18 maggio 2009, n. 1183) 
SOMMARIO: 1.- La vicenda processuale. 2.- Sulla categoria degli atti politici: note distintive� 
3.- � e possibili forme di tutela. 4.- Considerazioni conclusive. 
1. La vicenda processuale 
La pronuncia in rassegna offre lo spunto per riflettere su taluni profili di 
indubbio rilievo indagando, tramite una motivazione efficace e pregnante, 
sull�ubi consistam dell�atto politico con argomentazioni difficilmente confutabili 
in linea di mero principio. 
In particolare, la sezione terza del tribunale amministrativo regionale per 
la Puglia, sede di Bari, � stata chiamata a valutare se un decreto del Presidente 
della Repubblica, emanato su proposta del Ministro dell�Interno, volto a rideterminare 
i collegi uninominali provinciali di Bari, risponda effettivamente ad 
una scelta legittima attuata dal ministro e dal Capo dello Stato nell�esercizio 
delle loro prerogative o non leda l�asserito interesse del Comune ricorrente a 
mantenere integro il proprio elettorato. 
L�iter argomentativo che si snoda nell�intera pronuncia appare, gi� ad una 
prima lettura, chiaro ed incisivo, quasi non voglia lasciar campo a dubbi di 
ordine interpretativo. 
A venire in rilievo �, invero, il carattere �politico� che connota l�atto impugnato 
(il Decreto del Presidente della Repubblica del 6 aprile 2009 recante 
�Determinazione dei collegi uninominali provinciali della Provincia di Bari�): 
il tribunale amministrativo subito precisa che esso rappresenta �indiscutibilmente� 
un atto politico ai sensi dell�art. 31 r.d. n. 1054/1924 (norma da ritenersi 
tuttora vigente). 
Quindi, portandosi nel medesimo solco tracciato dalla giurisprudenza (Tar 
Lazio, Roma, sez. III, 16 novembre 2007, n. 11271; Tar Veneto, Venezia, sez. 
II, 5 marzo 2004, n. 527; Tar Abruzzo, L�Aquila, 07 ottobre 2003, n. 839; 
Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1397; Tar Puglia, Bari, sez. I, 19 dicembre 
1998, n. 930), i giudici amministrativi pugliesi affermano che la �politicit�� 
(e la consequenziale insindacabilit� in sede giurisdizionale) di un atto 
debba desumersi dalla compresenza di tre elementi (cumulativi): 1) elemento 
soggettivo (dovendo provenire da un organo preposto all�indirizzo e alla direzione 
al massimo livello della cosa pubblica); 2) elemento oggettivo (dovendo 
inerire la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri
300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione ed essendo 
espressione della funzione di direzione e indirizzo politico coinvolgendo i supermi 
interessi dello Stato e delle sue istituzioni fondamentali); 3) libert� nella 
scelta dei fini, svincolata, cio�, da obiettivi prefissati e lasciata alla determinazione 
sovrana, sottratta a qualsivoglia controllo che non sia del pari politico 
dell�autorit�. 
Ebbene, nella specie, discutendosi di un atto promanante da un organo preposto 
all�indirizzo e alla direzione al massimo livello della cosa pubblica (il 
Ministro dell�Interno quale soggetto proponente e il Presidente della Repubblica 
quale soggetto emanante) (1), concernente il funzionamento di un pubblico potere 
nella sua organica struttura (id est, elezione del Consiglio provinciale di 
Bari), per di pi� libero nella scelta dei fini (con l�unico limite segnato dall�osservanza 
dei parametri costituzionali), non si pu� non riconoscerne la natura 
squisitamente �politica�. 
Affinch� un atto possa qualificarsi come �politico� ex art. 31 t.u.c.d.s. n. 
1054/1924 � come tale sottratto a controllo giurisdizionale � non � sufficiente, 
infatti, che esso contenga una valutazione di ordine politico, essendo necessario 
altres� che costituisca espressione della fondamentale funzione di direzione 
e di indirizzo politico del Paese e coinvolga i supremi interessi dello 
Stato e delle sue istituzioni fondamentali. 
Con riferimento, invece, alla prospettazione offerta dal Comune, il Tar 
Puglia - Bari esclude la sussistenza dei dedotti vizi di legittimit� sub specie di 
violazione di legge, non avendo le censure sollevate dal medesimo ricorrente 
alcun fondato riscontro n� legislativo (lo stesso cita delle mere circolari amministrative 
e semplici ordini del giorno parlamentari, privi della bench� minima 
natura normativa vincolante) n� costituzionale (2). Parimenti, data la 
natura �politica� del d.p.r. impugnato, non ritiene configurabile alcun vizio di 
legittimit� sub specie di eccesso di potere nella decisione (politica, appunto, 
e come tale libera) di smembrare l�elettorato del Comune ricorrente, �come 
peraltro accaduto per altri Comuni di piccole dimensioni nell�ambito del medesimo 
d.p.r.� 
(1) Non a caso la sentenza in parola, richiamando la dottrina costituzionalistica, ritiene l�atto impugnato 
qualificabile come atto formalmente presidenziale e sostanzialmente governativo poich� deliberato 
su proposta di altro organo governativo (rectius Ministro dell�Interno). 
(2) Sostiene il Tar Puglia - Bari che �le norme costituzionali che il Comune ricorrente assume essere 
state violate dal d.p.r. impugnato (rectius artt. 3, 48 e 51 Cost.) non appaiono a questo Collegio ad 
una attenta disamina disattese. Invero la previsione di cui agli artt. 3, 48 e 51 Cost. relativamente all�eguaglianza 
del diritto di voto non pu� considerarsi violata dalla decisione �politica� impugnata poich� 
la nuova determinazione dei collegi uninominali provinciali della Provincia di Bari di cui al d.p.r. 
gravato nella parte in cui vengono ridefinite le circoscrizioni dei collegi uninominali n. 24 (Collegio di 
Molfetta I) e n. 34 (Collegio di Terlizzi-Giovinazzo) per l�elezione del Consiglio provinciale di Bari non 
rappresenta di certo una limitazione ovvero una discriminazione rispetto all�esercizio del diritto fondamentale 
di elettorato sia attivo che passivo ed anzi � neutra rispetto all�esercizio di tale diritto�.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 301 
2. Sulla categoria degli atti politici: note distintive ... 
Come � noto, la categoria degli atti politici � stata individuata sin dall�origine 
con criteri rigorosi e tassativi, sia prima dell�entrata in vigore della 
Costituzione del 1948 - dove veniva ancorata dalla giurisprudenza alla sussistenza 
della cd. �ragion di Stato�, prescindendo dagli eventuali motivi specifici 
che ne potevano aver ispirato in concreto l�emanazione (3) -, sia dopo il 1948, 
allorquando, in ossequio al principio della indefettibilit� della tutela giurisdizionale 
ai sensi degli artt. 24 e 113 della Costituzione, sono stati inclusi in essa 
gli atti che attengono alla direzione suprema e generale dello Stato considerato 
nella sua unit� e nelle sue istituzioni fondamentali (4), la cui ratio � stata individuata 
dal giudice amministrativo (5) nelle esigenze unitarie, salvaguardate 
dagli organi decisionali dello Stato, chiamati ad adottare atti �liberi nella scelta 
dei fini�. Viceversa, come sottolineato dalle sezioni unite della Corte di cassazione 
(6), �gli atti amministrativi anche se connotati da un alto tasso di discrezionalit�, 
sono comunque legati ai fini posti dalla legge� nel 
perseguimento di obiettivi di funzionalit�, economicit� ed efficacia dell�azione 
amministrativa concretamente esercitabile. 
Infatti, per quanto ampia possa presentarsi, la discrezionalit� facente capo 
alla P.A. nell�esercizio dell�attivit� amministrativa risulter� sempre connotata 
da una duplice limitazione concretantesi, per un verso, nell�impossibilit� di 
destinare un atto per fini diversi da quelli per i quali il relativo potere di adozione 
� stato conferito e, per altro verso, nel vincolo fondamentale del perseguimento 
delle finalit� pubbliche, predeterminate in sede politico-legislativa, 
finalit� cui l�intera azione amministrativa deve tendere. 
Sicch�, come osservato da autorevole dottrina (7), la differenza che realmente 
intercorre tra atto politico ed atto amministrativo va ravvisata nella carenza 
di discrezionalit� nel primo. L�atto politico � totalmente libero da vincoli 
e nei fini. L�atto amministrativo, invece, poich� deve sottostare alla legge, � 
discrezionale, nel senso che deve rispettare i vincoli nell�apprezzamento della 
situazione di fatto che la legge pone alla determinazione dell�autorit� amministrativa. 
Sempre riguardo alla distinzione tra atti politici e provvedimenti amministrativi, 
si ritiene (8) l�atto politico, nel paradigma interpretativo, caratteriz- 
(3) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 dicembre 1946, n. 351. In dottrina, cfr. A. AMORTH, Scritti giuridici, 
1931-1939, (a cura di E. FERRARI), Milano, 1999, 185, che sottolineava �il carattere politico di quegli atti 
che da queste supreme considerazioni dell�interesse generale dello Stato nella sua unit� sono causati��. 
(4) Cfr. l�accenno fatto in Corte Cost., 19 marzo 1993, n. 103, in Giur. Cost., 1993, 841 ss. 
(5) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2001, n. 340. 
(6) Cfr. Cass., sez. un., 13 novembre 2000, n. 1170, in Mass. Foro it., 2000, 1731. 
(7) Cfr. Cfr. P. VIRGA, Diritto Amministrativo, I principi, Milano, 2001, 15. 
(8) Cfr. P. VIRGA, op. cit., 16. 
302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
zato dai due profili - richiamati anche nella sentenza in commento: il primo, 
di tipo soggettivo, �dovendo provenire l�atto da organo di pubblica amministrazione, 
seppure preposto in modo funzionale e, nella specifica vicenda, all�indirizzo 
e alla direzione al massimo livello della cosa pubblica�, e il 
secondo di tipo oggettivo, �dovendo riguardare la costituzione, la salvaguardia 
e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella 
loro coordinata applicazione� (9). 
In altri termini, deve trattarsi di un atto proveniente da un organo il cui 
dovere istituzionale deve essere inequivocabilmente riconducibile alla cura - 
sub specie di attivit� di indirizzo e direzione - della cosa pubblica e deve essere 
formato sulla base di motivi ispirati esclusivamente dall�opportunit� politica, 
dunque non suscettibili di valutazione in sede giurisdizionale. 
Con la logica e necessitata conseguenza che, enunciando gli obiettivi fondamentali 
alla cui attuazione dovr� provvedere anche la P.A., deve armonizzarsi 
soltanto con la Costituzione e con le statuizioni in essa contenute 
(principio del numerus clausus degli atti politici). 
3. �e possibili forme di tutela 
Si � detto che l�insindacabilit� giurisdizionale dell�atto politico scaturisce 
sul piano normativo direttamente dalla previsione di cui all�art. 31 t.u.c.d.s. 
26 giugno 1924 n. 1054 (10), che riprendendo la disposizione di cui all�art. 
24 della L. 31 marzo 1889, n. 5992, stabilisce l�inammissibilit� del ricorso al 
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale avverso atti e provvedimenti emanati 
dal Governo nell�esercizio del potere politico. 
Detta norma, �scritta sol perch� all�epoca alla quale risale � e cio� nel 
1889 � si riteneva che gli atti posti in essere dal potere esecutivo nell�esercizio 
della funzione di governo non si distinguessero se non sul piano finalistico 
dagli atti amministrativi� (11) sembrerebbe non avere pi� diritto di cittadinanza 
nel nostro ordinamento, stante l�inderogabilit� del principio sancito expressis 
verbis dall�art. 113 della Costituzione, secondo cui �contro gli atti della 
Pubblica Amministrazione � sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti 
e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o 
amministrativa�. 
(9) Cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1397; Cass., sez. un., 25 giugno 1993, 
n. 7075, in Foro it., 1994, I, 3175 ss. 
(10) L�art. 31 del T.U. 26 giugno 1924 n. 1054 configura un�ipotesi eccezionale (come tale soggetta 
a stretta interpretazione anche in applicazione del principio costituzionale di cui all�art. 113 Cost.) 
di sottrazione al sindacato giurisdizionale di atti soggettivamente e formalmente amministrativi, sul presupposto 
che gli stessi costituiscano espressione della fondamentale funzione di direzione ed indirizzo 
politico del Paese. 
(11) Cos� A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 18 ss.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 303 
L�odierna �superfluit�� della norma in parola sarebbe confermata, secondo 
autorevole dottrina, anche dagli artt. 2 e 3 della legge Tar, relativi all�oggetto 
dell�impugnativa dinanzi all�organo di giustizia amministrativa di primo grado 
(ovvero �atti e provvedimenti� emessi da organi ed enti pubblici territoriali e 
non) che, letti in combinato disposto con l�art. 26 del r.d. 26 giugno 1924 n. 
1054 (che individua �gli atti o i provvedimenti di un�autorit� amministrativa o 
di un corpo amministrativo deliberante�), chiariscono come non possano formare 
oggetto di impugnativa gli atti che non provengono da un�autorit� amministrativa 
o che non abbiano valore di atti amministrativi (12). 
Il venir meno dell�insindacabilit� degli atti politici sarebbe stato necessitato 
anche dalla mancata riproposizione formale dello sbarramento di cui all�art. 31 
cit. nel testo della legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali. 
Tali rilievi, per�, possono essere facilmente superati laddove si consideri 
che la richiamata norma costituzionale (e il principio dalla stessa veicolato) 
deve essere intesa come riferita esclusivamente agli atti amministrativi, e non 
anche a quelli politici, per la sottoposizione di questi ultimi ad un regime del 
tutto particolare, ostativo alla loro inclusione nell�art. 113 Cost.. 
N� argomenti di segno contrario possono ricavarsi dal dato meramente 
letterale che la preclusione di cui all�art. 31 del t.u.c.d.s. non sia stata prevista 
nella legge TAR, posto che detta ultima normativa rinvia, per quanto non 
espressamente regolato, proprio al testo unico del 1924 (13). 
Tuttavia, pur nella sua attuale vigenza nel nostro ordinamento - come ricordato, 
per inciso, anche dalla decisione in commento - la norma di cui all�art. 
31 cit. deve essere interpretata come avente carattere eccezionale, non suscettibile 
di applicazione analogica, proprio al fine di non vedere vanificata l�effettiva 
operativit� di uno dei principi costituzionali che rappresenta al 
contempo un baluardo per le garanzie del cittadino contro tutti gli atti della 
pubblica amministrazione ed un limite insuperabile - pena l�illegittimit� costituzionale 
della legge - per il Parlamento (14). 
(12) Cfr. A. M. SANDULLI, op. cit., 1336 ss. Si � soffermato sulla suddetta norma anche L. MAZZAROLLI, 
Quadro generale della giustizia amministrativa, in Diritto amministrativo, AA.VV., Bologna, 
2005, 397, ss., uniformandosi alla tesi di Sandulli in ordine alla sua superfluit� e sottolineando che altrimenti, 
cio� �se a tale norma si attribuisse, un valore limitativo in ordine all�impugnabilit� degli atti, 
che in sua mancanza, dovrebbero ritenersi impugnabili davanti al giudice amministrativo�, la norma in 
questione ormai �dovrebbe reputarsi abrogata per effetto del disposto dell�art. 113 della Costituzione; 
conclusione cui invece non � dato pervenire se al citato art. 31 si attribuisce un rilievo meramente ricognitivo 
di un dato che comunque varrebbe, anche senza quella disposizione, cio� il riconoscimento dagli 
atti politici quali atti di natura diversa rispetto agli atti amministrativi�. 
(13) Sul punto, cfr. R. GALLI-D. GALLI, Corso di diritto amministrativo, Padova, 2001, 145 ss. 
(14) Cfr. G. BERTI, Commentario della Costituzione, a cura di G. BRANCA, La magistratura, tomo 
IV, artt. 111-113, Roma, 1987, 85 ss. In senso conforme, si � espresso anche G. ABBAMONTE, Completezza 
ed effettivit� della tutela giudiziario secondo gli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, in Studi 
in onore di FELICIANO BENVENUTI, Modena, 1996, 37 ss.
304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Del resto, � stata la stessa giurisprudenza sia civile che amministrativa (15) 
- richiamata nella pronuncia de qua - a difendere la portata generale dell�art. 113 
Cost., postulando espressamente la necessit� che ogni scelta derogatoria rispetto 
ai principi ivi espressi sia supportata da norme di carattere costituzionale, sicch� 
esclusivamente lo specifico rilievo costituzionale e politico della scelta effettuata 
potrebbe giustificare una limitazione alla suddetta disposizione. 
Chiarito come in linea di principio gli atti politici sfuggano tuttora al sindacato 
di legittimit� del giudice amministrativo, in virt� dell�art. 31 cit., resta 
parimenti esclusa anche la possibilit� di esperire, avverso gli stessi, ricorso 
innanzi al giudice ordinario (16) per due ordini di ragioni concorrenti. 
Ora, se � vero che la funzione politica si esercita allo stesso livello di 
quella legislativa, la quale � essa stessa funzione politica, che l�azione politica 
viene svolta da organi superiorem non recognoscentes, che per essa opera, in 
base alla Costituzione, un sistema in s� conchiuso di controlli e sanzioni di 
ordine politico e di ordine giuridico (17), sembra doversene trarre la logica 
conclusione che l�ordinamento non ha voluto riconoscere ai singoli una tutela 
giurisdizionale immediata nei confronti dell�esercizio della funzione politica 
(ferma restando, comunque, per il giudice la facolt� di conoscere dell�atto politico, 
non fosse altro per stabilire se debba o meno qualificarsi come tale). 
L�insindacabilit� degli atti politici di cui all�art. 31 cit. presenta, infatti, carattere 
assoluto e vale, quindi, tanto nei confronti del G.A. quanto nei confronti 
dell�A.G.O (18). 
Inoltre, la fruibilit� della tutela invocabile in sede civile �, come noto, legislativamente 
limitata alle sole ipotesi in cui la lesione lamentata dal ricorrente 
concerna un diritto soggettivo (art. 2 della L. n. 2248 del 1865, all. E, 
sull�abolizione del contenzioso). 
Orbene, come meglio si dir� in seguito, risulta essere estremamente re- 
(15) Cfr. Cass., sez. un., 18 maggio 2006 n. 11623 e Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 2007, n. 209, 
in Rivista CdS, 131 ss. 
(16) Cfr. A. SANDULLI, op. cit., 18. L�Autore, muovendo dalla risalente impostazione che vedeva 
nel discrimen tra gli atti di gestione e atti d�imperio il criterio di riparto tra la giurisdizione del giudice 
ordinario e quella del giudice amministrativo, giunge a formulare considerazioni di ordine critico rispetto 
alla norma di cui all�art. 2 della legge sul contenzioso amministrativo relativamente ai �provvedimenti 
del potere esecutivo o dell�autorit� amministrativa�. Quest�ultima, lungi dal poter giustificare la sindacabilit� 
da parte del giudice ordinario degli atti politici posti in essere dal potere esecutivo non autorizza 
a ritenere che il legislatore, parlando di �provvedimenti del potere esecutivo� abbia inteso riferirsi anche 
agli atti politici. 
(17) Esclusa, come illustrato, l�esperibilit� di tutti i rimedi utilizzabili a fronte di atti amministrativi, 
rispetto agli atti politici opera, tuttavia, un sistema di controlli e di sanzioni di carattere politico, di 
competenza del corpo elettorale e del Parlamento, i quali possono, ad esempio, non riconfermare gli organi 
che si siano resi responsabili di un�attivit� ritenuta meritevole di censura, ovvero (con riferimento 
alle Camere), esprimersi con un voto di sfiducia. 
(18) Cfr. G. PALATIELLO, Il concetto di atto politico �giustiziabile�, in questa Rassegna, 4, 2008, 
324 ss.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 305 
mota, se non addirittura inesistente, la possibilit� di una lesione immediata a 
seguito dell�emanazione di un atto politico, considerato che ogniqualvolta quest�ultimo 
venisse ad incidere direttamente su di una situazione di diritto soggettivo, 
l�interesse individuale verrebbe assorbito nell�interesse della 
collettivit� (19). 
In ogni caso, l�insindacabilit� degli atti politici in sede giurisdizionale risulta 
ampiamente giustificata dalla valutazione del loro ambito operativo. 
Considerato, infatti, che essi recano normalmente direttive di carattere 
generale, non si presentano idonei ad incidere immediatamente sulle posizioni 
giuridiche dei destinatari, che al pi� possono essere pregiudicate dall�emanazione 
di successivi atti volti a dargli attuazione. Nell�ipotesi, poi, in cui gli atti 
de quibus contengano delle disposizioni puntuali, capaci di sortire in maniera 
immediata il pregiudizio di posizioni individuali, il loro contrasto con i principi 
costituzionali � come detto, unico limite all�attivit� politica � potr� essere portato 
all�attenzione della magistratura attraverso due diversi strumenti: (i) la 
possibilit� di sollevare conflitto di attribuzione innanzi alla Corte Costituzionale; 
(ii) quindi, nel caso di atto politico avente carattere legislativo, la proponibilit� 
dell�eccezione di incostituzionalit�, il cui accoglimento impone allo 
Stato il ripristino della situazione pregressa o il risarcimento dei danni (20). 
4. Considerazioni conclusive 
Con la sentenza in rassegna, il Tar Puglia ha respinto il ricorso presentato 
dal Comune di Giovinazzo, ritenendo che il provvedimento impugnato rientri 
nella categoria degli atti politici sottratti al sindacato giurisdizionale ex art. 31 
t.u.c.d.s. 
La decisione s�impone all�attenzione dell�interprete, oltre che per la sua 
chiarezza espositiva, anche per la singolare virata impressa in un contesto giurisprudenziale 
ormai caratterizzato dalla progressiva erosione della categoria 
degli atti politici, erosione indotta proprio dalla diffusa necessit� di limitare il 
descritto deficit di tutela giurisdizionale attraverso una rigorosa interpretazione 
restrittiva del concetto di atto politico (21). 
Infatti, pur non allontanandosi dalle conclusioni restrittive cui sinora � 
giunta la giurisprudenza sia civile che amministrativa sull�insindacabilit� degli 
atti politici, il Tar Puglia - Bari, con la sentenza de qua, nel riconoscere la natura 
politica dell�atto impugnato, ha contribuito a ridare attualit� al principio 
(19) Cfr. A.M. SANDULLI, op. cit., 18. 
(20) Cfr. R. GALLI-D. GALLI, op. cit, 234. 
(21) Cfr., fra le pi� recenti, Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 2007, n. 209; TAR Sicilia, sez. I, 3 
maggio 2007, n. 765; Tar Puglia �Lecce, sez. I, 10 ottobre 2007, n. 895 Tar Puglia - Lecce, sez. I, 9 gennaio 
2008, n. 12 sulla natura non politica dell�atto di revoca dell�assessore comunale.
306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
contenuto nell�art. 31 t.u.c.d.s., nonch� un�autonoma dignit� ontologica e giuridica 
alla categoria stessa degli atti politici, spesso confusa o fatta confluire 
in quella, pi� garantistica, degli atti di cd. alta amministrazione, sindacabili in 
sede giurisdizionale (22). 
La decisione in commento perviene ad una lettura in termini di atto politico 
del decreto presidenziale impugnato attraverso un passaggio motivazionale 
molto chiaro che dalla rilevata �assenza di paramenti normativi alla cui 
stregua valutarne la legittimit� (se non le disposizioni di rango costituzionale)� 
fa scaturire la consequenziale non configurabilit� di �soggetti lesi interessati 
all�annullamento del medesimo�legittimati a contestare in sede 
giurisdizionale amministrativa la presente decisione politica� (23). 
Cos� argomentando (24), il tribunale amministrativo pugliese ha sostanzialmente 
fatto propria la tesi, sopra richiamata, di chi ravvisa la ratio ultima 
dell�insindacabilit� degli atti politici proprio nella loro intrinseca inidoneit� 
ad incidere in via immediata e diretta sulle posizioni giuridiche dei soggetti 
destinatari, atteso il loro contenuto fortemente �politico�, inerente cio� all�indirizzo 
generale da imprimere allo Stato in un dato momento storico. 
Ha cos� riguardato il problema dell�ubi consistam dell�atto politico dal 
punto di vista della posizione legittimante, ribadendo che di fronte agli atti 
politici non insorge in capo ad eventuali interessati, alcuna situazione giuridica 
soggettiva tutelabile. 
Dott. Fabrizio Doddi* 
(22) Si � soffermato sul rapporto tra principio di legalit� ed atti di alta amministrazione G. VACIRCA, 
Il principio di legalit� e il giudice amministrativo, relazione al 53� Convegno di studi amministrativi, 
Varenna, 20-22 settembre 2007, Il principio di legalit� nel diritto amministrativo che cambia, 
evidenziando come il principio di legalit� � stato sovente richiamato in sede giurisprudenziale per ammettere 
la sindacabilit� di provvedimenti connotati da elevata discrezionalit� (di alta amministrazione) 
di nomina e scelta dei dirigenti. L�Autore, inoltre, pone in rilievo come esclusivamente la ragionevole 
e adeguatamente ponderata valutazione della realt� di fatto � nel rispetto di un minimum di principi giuridici- 
nella quale opera l�amministrazione possa condurre la medesima ad una scelta di opportunit� che 
risponda al principio di buon andamento. 
(23) Cfr. Tar Puglia-Bari, sentenza in commento. 
(24) Si legge nella sentenza de qua che �Invero, se il Comune di Giovinazzo ricorrente agisce in 
giudizio quale ente locale autonomo non si configura nel caso di specie alcuna lesione delle sue prerogative 
nella scelta ministeriale e presidenziale di smembrare il territorio del Comune medesimo a livello 
di determinazione dei collegi elettorali uninominali; pertanto vi sarebbe in tal caso difetto di interesse 
e di legittimazione ad agire del Comune. Se viceversa il Comune ricorrente agisce in giudizio quale 
ente esponenziale della collettivit� locale va tuttavia evidenziato che le azioni popolari sono rigorosamente 
tassative e non � configurabile, n� � prevista dal legislatore nel caso di specie alcuna azione popolare 
in capo al singolo cui si possa sostituire il Sindaco del Comune quale rappresentante � come 
detto - della comunit� locale; ed anzi a tutto concedere la sostituzione che � implicita nelle azioni popolari 
tassativamente previste dal legislatore (cfr. art. 9 d.lgs. n. 267/2000 [TUEL]) avviene in senso 
opposto e cio� � il singolo a sostituirsi rispetto all�inerzia dell�ente locale�. 
(*) Dottore in giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 307 
Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, Seziona Terza, sentenza 18 
maggio 2009 n. 1183 - Pres. A. Urbano - Ref. Est. F. Cocomile - Comune di Giovinazzo 
(Avv. N. Calvani) c. Ministero dell�Interno + altri (Avv. dello Stato G. C. Matteo). 
(... Omissis) 
FATTO e DIRITTO 
Il presente ricorso deve essere respinto, dovendosi conseguentemente prescindere dall�eccezione 
di integrazione del contraddittorio nei confronti dei candidati e dei cittadini votanti nei 
collegi nn. 24 e 34 e dalle altre eccezioni preliminari sollevate dall�Avvocatura Distrettuale 
dello Stato di Bari. 
Invero il Comune di Giovinazzo in persona del Sindaco pro tempore chiede l�annullamento, 
previa sospensiva, del decreto del Presidente della Repubblica del 6 aprile 2009 (pubblicato 
in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 82 del giorno 8 aprile 2009), recante in epigrafe 
�Determinazione dei collegi uninominali provinciali della Provincia di Bari� nella parte 
in cui vengono ridefinite le circoscrizioni dei collegi uninominali n. 24 (Collegio di Molfetta 
I) e n. 34 (Collegio di Terlizzi-Giovinazzo) per l�elezione del Consiglio provinciale di Bari, 
prevedendosi pertanto lo �smembramento� del Comune di Giovinazzo, andando cos� differenti 
porzioni di detto Comune a formare parte dei due menzionati collegi uninominali e privando 
in tal modo i cittadini di Giovinazzo - a dire del Comune ricorrente - della possibilit� di avere 
un proprio rappresentante nel Consiglio provinciale di Bari. 
Detto d.p.r. � stato adottato ai sensi dell�art. 9, comma 4 legge n. 122/1951 e successive modifiche 
recante norme per l�elezione dei Consigli provinciali (�La tabella delle circoscrizioni 
dei collegi sar� stabilita, su proposta del Ministro dell�Interno con decreto del Presidente della 
Repubblica da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale�). 
L�atto impugnato rappresenta indiscutibilmente un atto �politico� ai sensi dell�art. 31 r.d. n. 
1054/1924 Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato) in forza del quale �Il ricorso al Consiglio 
di Stato in sede giurisdizionale non � ammesso se trattasi di atti o provvedimenti emanati 
dal Governo nell�esercizio del potere politico� (norma da ritenersi tuttora vigente). 
Tale previsione normativa � certamente estensibile anche ai giudizi dinanzi ai Tribunali Amministrativi 
Regionali in forza della disposizione di cui all�art. 19, comma 1, legge n. 
1034/1971 alla stregua della quale nel corso di detti giudizi si osservano le norme di procedura 
operanti dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e quindi anche l�art. 31 r.d. 
n. 1054/1924. 
La �politicit�� (e la consequenziale insindacabilit� in sede giurisdizionale) dell�atto secondo 
giurisprudenza ormai consolidata (cfr. T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, 16 novembre 2007, n. 
11271; T.A.R. Veneto Venezia, Sez. II, 05 marzo 2004, n. 527; T.A.R. Abruzzo L�Aquila, 07 
ottobre 2003, n. 839; Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1397; T.A.R. Puglia Bari, sez. 
I, 19 dicembre 1998, n. 930; T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 25 gennaio 1993, n. 22) � desumibile 
da tre elementi che l�atto in questione deve possedere cumulativamente: 1) elemento 
soggettivo (dovendo provenire da organo preposto all�indirizzo e alla direzione al massimo 
livello della cosa pubblica); 2) elemento oggettivo (dovendo riguardare la costituzione, la salvaguardia 
e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata 
applicazione ed essendo espressione della funzione di direzione e indirizzo politico 
coinvolgendo i supremi interessi dello Stato e delle sue istituzioni fondamentali); 3) libert� 
nella scelta dei fini, svincolata cio� da obiettivi prefissati e lasciata alla determinazione so-
308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
vrana, sottratta a qualsiasi controllo che non sia del pari politico dell�autorit�. 
Trattasi in altri termini di �... atti che, in apparenza soggettivamente e formalmente �amministrativi�, 
costituiscono tuttavia espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo 
politico del Paese e �coinvolgono i supremi interessi dello Stato e delle sue istituzioni 
fondamentali�, non essendo sufficiente (a qualificare un atto come �atto politico�) che �vi intervenga 
una valutazione di ordine politico�. In tali casi, ma solo in essi, che configurano ipotesi 
eccezionali, e di stretta interpretazione, l�atto considerato pu� sottrarsi a controllo 
giurisdizionale.� (cfr. T.A.R. Abruzzo L�Aquila, 07 ottobre 2003, n. 839). 
Come evidenziato dal Consiglio di Stato, Sez. V, 23 gennaio 2007, n. 209: 
�� fino ad epoca recente la categoria degli atti politici � stata individuata con criteri restrittivi, 
sia prima dell�entrata in vigore della Costituzione del 1948, evidenziandosi che essi debbono 
trovare causa obiettiva nella ragione di Stato indipendentemente dai motivi specifici che ne 
abbiano in concreto determinato l�emanazione (v. la decisione di questo Consiglio, Sez. IV n. 
351 del 20.1.21946), sia principalmente dopo il 1948 in ossequio al principio della indefettibilit� 
della tutela giurisdizionale ai sensi degli artt. 24 e 113 della Costituzione, e sono stati 
inclusi in essa generalmente gli atti che attengono alla direzione suprema e generale dello 
Stato considerato nella sua unit� e nelle sue istituzioni fondamentali (v. l�accenno fatto in 
Corte cost. n. 103 del 19.3.1993). 
E� stato al riguardo precisato che gli atti politici costituiscono espressione della libert� (politica) 
commessa dalla Costituzione ai supremi organi decisionali dello Stato per la soddisfazione 
di esigenze unitarie ed indivisibili a questo inerenti (v. la decisione di questo Consiglio, 
sez. IV n. 340 del 14.4.2001) e che essi sono liberi nella scelta dei fini, mentre gli atti amministrativi, 
anche quando sono espressione di ampia discrezionalit�, sono comunque legati ai 
fini posti dalla legge (v. Cass. S.U. n. 1170 del 13.11.2000). 
Si � sottolineato inoltre che essi sono caratterizzati da due profili: l�uno soggettivo, dovendo 
provenire l�atto da organo di pubblica amministrazione, seppure preposto in modo funzionale 
e, nella specifica vicenda, all�indirizzo e alla direzione al massimo livello della cosa pubblica, 
e l�altro oggettivo, dovendo riguardare la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei 
pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione (v. le decisioni 
di questo Consiglio, Sez. IV, n. 1397 del 12.3.2001 e n. 217 del 29.9.1996)�. 
Le Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr. sentenza n. 7075/1993) ad esempio hanno considerato 
il decreto presidenziale di nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica 
ai sensi dell�art. 59, comma 2 Cost. atto tipicamente �politico� ex art. 31 r.d. n. 
1054/1924 insindacabile in sede giurisdizionale poich� posto in essere nell�esercizio di una 
funzione diversa da quella amministrativa classica. 
Non vi � dubbio che il d.p.r. impugnato in questa sede volto a rideterminare i collegi uninominali 
provinciali della Provincia di Bari in vista delle ormai imminenti elezioni amministrative 
ridefinendo, tra l�altro, la circoscrizioni dei collegi uninominali n. 24 (Collegio di Molfetta 
I) e n. 34 (Collegio di Terlizzi-Giovinazzo) presenti congiuntamente i tre requisiti predetti necessari 
alla configurazione dell�atto �politico� ex art. 31 r.d. n. 1054/1924. Trattasi infatti di 
atto promanante da un organo preposto all�indirizzo e alla direzione al massimo livello della 
cosa pubblica (nel caso di specie Ministro dell�Interno quale soggetto proponente e Presidente 
della Repubblica quale soggetto emanatite) il d.p.r. in esame riguarda poi il funzionamento di 
un pubblico potere nella sua organica struttura (i.e. elezione del Consiglio provinciale di Bari). 
Infine va evidenziato che � atto indubbiamente libero nella scelta dei fini rimessi alla valutazione 
insindacabile (se non con riferimento all�osservanza dei parametri costituzionali che
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 309 
nel caso di specie, come si vedr�, non risultano violati) dell�organo lato sensu �politico�. 
Dal punto di vista della dottrina costituzionalistica l�atto in esame � qualificabile come atto 
formalmente presidenziale e sostanzialmente governativo poich� deliberato su proposta di 
altro organo governativo (rectius Ministro dell�Interno). 
La politicit� dell�atto � tale per cui non si configurano a fronte dello stesso soggetti lesi interessati 
all�annullamento del medesimo, data peraltro l�assenza di paramenti normativi alla cui 
stregua valutartie la legittimit� (se non le disposizioni di rango costituzionale). 
Non � caso che nella presente fattispecie le disposizioni (volte ad impedire o quantomeno a 
disincentivare lo smembramento dei comuni nella formazione dei collegi elettorali) asseritamente 
violate dal d.p.r. impugnato altro non sono che ordini del giorno dei due rami del Parlamento 
(in particolare ordine del giorno approvato dalla Camera dei deputati nella seduta 
dell�il.01.1951 ed ordine del giorno approvato dal Senato nella seduta del 27.02.1951) che 
certo non hanno natura normativa vincolante e dettano unicamente un indirizzo, peraltro assai 
risalente nel tempo, rivolto all�attivit� del Governo. 
Pertanto, non avendo le censure sollevate dal ricorrente fondamento e riscontro legislativo 
(lo stesso cita inoltre la circolare della Direzione centrale dei servizi elettorali n. 93 del 
06.11.2002, la circolare del Ministero dell�Interno n. 2472 del 26.09.2007 e la circolare della 
Prefettura di Bari - Ufficio Territoriale del Governo prot. ti. 375/4.2.9/UPE che si muove nella 
stessa direzione dei menzionati ordini del giorno parlamentari), non � configurabile alcun 
vizio di legittimit� sub specie di violazione di legge. 
Peraltro le norme costituzionali che il Comune ricorrente assume essere state violate dal d.p.r. 
impugnato (rectius artt. 3, 48 e 51 Cost.) non appaiono a questo Collegio ad una attenta disamina 
disattese. Invero la previsione di cui agli artt. 3, 48 e 51 Cost. relativamente all�eguaglianza 
del diritto di voto non pu� considerarsi violata dalla decisione �politica� impugnata 
poich� la nuova determinazione dei collegi uninominali provinciali della Provincia di Bari di 
cui al d.p.r. gravato nella parte in cui vengono ridefinite le circoscrizioni dei collegi uninominali 
n. 24 (Collegio di Molfetta I) e n. 34 (Collegio di Terlizzi-Giovinazzo) per l�elezione del 
Consiglio provinciale di Bari non rappresenta di certo una limitazione ovvero una discriminazione 
rispetto all�esercizio del diritto fondamentale di elettorato sia attivo che passivo ed 
anzi � neutra rispetto all�esercizio di tale diritto. 
Data la natura �politica� del d.p.r. impugnato non � parimenti configurabile alcun vizio di legittimit� 
sub specie di eccesso di potere nella decisione di smembrare il Comune di Giovinazzo, 
come peraltro accaduto per altri Comuni di piccole dimensioni nell�ambito del 
medesimo d.p.r. 
Inoltre va evidenziato che l�argomento della �politicit�� e consequenziale insindacabilit� in 
sede giurisdizionale del d.p.r. de quo si riconnette inscindibilmente all�assenza di soggetti 
qualificati legittimati a contestare in sede giurisdizionale amministrativa la presente decisione 
�politica�. 
Invero, se il Comune di Giovinazzo ricorrente agisce in giudizio quale ente locale autonomo 
non si configura nel caso di specie alcuna lesione delle sue prerogative nella scelta ministeriale 
e presidenziale di smembrare il territorio del Comune medesimo a livello di determinazione 
dei collegi elettorali uninominali; pertanto vi sarebbe in tal caso difetto di interesse e di legittimazione 
ad agire del Comune. 
Se viceversa il Comune ricorrente agisce in giudizio quale ente esponenziale della collettivit� 
locale va tuttavia evidenziato che le azioni popolari sono rigorosamente tassative e non � configurabile, 
n� � prevista dal legislatore nel caso di specie alcuna azione popolare in capo al
310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
singolo cui si possa sostituire il Sindaco del Comune quale rappresentante - come detto - della 
comunit� locale; ed anzi a tutto concedere la sostituzione che � implicita nelle azioni popolari 
tassativamente previste dal legislatore (cfr. art. 9 d. lgs n. 267/2000 [TUELI]) avviene in senso 
opposto e cio� � il singolo a sostituirsi rispetto all�inerzia dell�ente locale. 
Come evidenziato dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 novembre 1987, n. 708) 
�Nel vigente ordinamento l�azione popolare costituisce rimedio del tutto eccezionale e non � 
pertanto ammissibile al di fuori dei casi tassativamente previsti dal legislatore.�. 
In tal senso si sono espressi anche T.A.R. Lombardia Milano, sez. Il, 14 maggio 2007, n. 3071, 
T.A.R. Molise, 20 gennaio 1989, n. 3 e Cons. Giust. Amm. Sicilia, 2 giugno 1987, n. 14. 
Non � quindi ammissibile alcuna azione popolare in capo al Sindaco del Comune di Giovinazzo 
ricorrente. 
Dalle considerazioni espresse in precedenza consegue il rigetto del ricorso. 
Considerata la peculiarit� della controversia, la natura e la qualit� delle parti, sussistono giuste 
ragioni di equit� per compensare le spese di giudizio. 
P.Q.M. 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. III, definitivamente 
pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo respinge. Spese compensate.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 311 
Sul rifiuto dell�ufficiale di stato civile 
di effettuare le pubblicazioni 
per un matrimonio tra omosessuali 
(Corte di Appello di Brescia, Sezione I civile, decreto del 2 luglio 2009 n. 69; 
Tribunale di Venezia, Sezione III civile, ordinanza del 4 aprile 2009) 
SOMMARIO: 1.- La fattispecie. 2.- La questione dell�applicabilit� dell�art. 98 c.c. 3.- La 
nozione di matrimonio secondo l�ordinamento interno ed il carattere essenziale dell�omosessualit� 
biologica dei nubendi. 4.- Profili di costituzionalit�. L�ordinanza Tribunale Venezia 4 
febbraio - 3 aprile 2009. 5.- Il matrimonio negli ordinamenti comunitario ed internazionale. 
1. La fattispecie 
Una coppia di omosessuali presenta all�ufficiale di stato civile richiesta 
di eseguire le pubblicazioni prescritte in vista della celebrazione del matrimonio; 
l�ufficiale di stato civile oppone formale rifiuto, in considerazione del 
fatto che entrambi i nubendi sono di sesso maschile mentre il matrimonio presuppone 
la loro eterosessualit�, dovendosi ritenere contrario all�ordine pubblico 
il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Contro il rifiuto i due 
propongono ricorso al Tribunale ai sensi dell�art. 98 cod. civ., chiedendo che 
sia ordinato all�ufficiale di stato civile di procedere alle pubblicazioni di matrimonio, 
previa eventuale rimessione alla Corte costituzionale della questione 
di legittimit� costituzionale degli artt. 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis cod. civ. 
(quelli cio� che fanno riferimento quanto meno implicito all�eterosessualit� 
dei nubendi) con riferimento agli artt. 2, 3, 10 co. 2, 13 e 29 Cost.. 
Il Tribunale di Bergamo, respinta l�eccezione preliminare di inammissibilit� 
del ricorso sollevata dalla difesa del Sindaco (passivamente legittimato 
in quanto ufficiale di stato civile ed in tale veste difeso dall�Avvocatura dello 
Stato quale ufficiale di Governo), rigetta la domanda con l�ordinanza in esame, 
attraverso l�iter motivazionale che cos� si pu� sintetizzare: 
- bench� nell�ordinamento manchi una definizione esplicita dell�istituto 
matrimoniale, ci� dipende dal fatto che si intende richiamata �la nozione di 
matrimonio frutto della evoluzione secolare del diritto privato, che, seppure 
implicita, fa parte del sentire comune, mai messo in discussione�, secondo cui 
�il matrimonio � una unione formale e stabile tra un uomo e una donna, essenzialmente 
diretta alla procreazione e all�educazione dei figli�; tale richiamo 
� confermato dalle disposizioni (artt. 107 e 143 c.c.) che fanno esplicito riferimento 
all�eterosessualit� dei coniugi; 
- la pretesa illegittimit� costituzionale delle disposizioni in esame, dedotta 
dai ricorrenti sul presupposto della definizione implicita fatta propria dal Tri-
312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
bunale, non sussiste, giacch� dagli artt. 2 e 3 Cost. non � ricavabile un diritto 
costituzionalmente garantito a contrarre matrimonio, a prescindere dalle disposizioni 
positive che regolano l�istituto; 
- l�insussistenza di impedimenti in senso proprio alla celebrazione del 
matrimonio (giacch� gli artt. 84 e seguenti c.c. non contemplano in tal senso 
l�identit� di sesso tra i nubendi) � irrilevante, giacch� il legislatore ha evidentemente 
inteso tale dato come assolutamente pacifico �sulla base della nozione 
consolidata e pacifica del matrimonio tradizionale�; 
- nessuna norma internazionale contempla il diritto di due persone dello 
stesso sesso di contrarre matrimonio tra loro. 
In seguito a reclamo degli interessati, la Corte d�appello di Brescia conferma 
il provvedimento del giudice di primo grado, sia quanto alla reiezione 
dell�eccezione preliminare, sia quanto al merito; in particolare essa approfondisce 
la questione di legittimit� costituzionale e la dichiara manifestamente 
infondata osservando che la Costituzione �non contempla il matrimonio fra 
le esplicazioni della personalit� umana da garantire (artt. 2 e 3), n� rivolge 
attenzione a tale istituto giuridico se non, in via indiretta, attraverso l�art. 29, 
ove nel prevedere espressamente la tutela della famiglia e del principio di 
uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (quest�ultima affermazione direttamente 
collegata alla eterosessualit� dell�unione ed alla tradizionale disparit� 
di fatto e di diritto fra maschio e femmina), fa riferimento all�istituto del 
matrimonio solo quale necessario presupposto per la tutela cos� accordata�, 
mentre spetta al legislatore (che finora non ha ritenuto di dover intervenire) 
l�eventuale predisposizione di �istituti giuridici idonei a tutelare e regolamentare, 
con strumenti anche assimilabili a quelli previsti in materia matrimoniale, 
unioni non riconducibili al modello tradizionale del matrimonio e non 
necessariamente caratterizzate dall�identit� di sesso dei loro partecipanti�. 
2. La questione dell�applicabilit� dell�art. 98 c.c. 
La difesa erariale aveva eccepito l�inammissibilit� del ricorso ex art. 98 
cod. civ. sostenendo che questo rimedio concerne i casi di rifiuto di eseguire 
le pubblicazioni per ragioni connesse all�esistenza di impedimenti preclusivi, 
in concreto, di un matrimonio astrattamente celebrabile, laddove nella fattispecie 
la contestazione non verteva sull�esistenza di impedimenti, quanto 
sull�assenza di un requisito essenziale del matrimonio, talch� da un lato doveva 
escludersi che quello prefigurato dai ricorrenti potesse definirsi matrimonio, 
dall�altro oggetto della loro domanda non era tanto la pretesa di conseguire le 
pubblicazioni quanto piuttosto quella di veder riconosciuto il loro preteso diritto 
di celebrare il matrimonio, da cui la necessit� di procedere all�accertamento 
di tale diritto nelle forme processuali ordinarie. 
Il rimedio processuale apprestato dall�art. 98 c.c. integra un controllo in
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 313 
sede di giurisdizione volontaria, diretto non tanto all�accertamento di diritti 
soggettivi, quanto piuttosto alla verifica della corretta attuazione delle proprie 
funzioni da parte dell�autorit� amministrativa, ancorch� attribuito alla competenza 
di un organo giurisdizionale; nella fattispecie, al contrario, non � realmente 
in discussione il fatto che l�ufficiale di stato civile abbia correttamente 
adempiuto agli obblighi del suo ufficio, valutando la regolarit� della documentazione 
presentatagli, bens� il fatto che tali obblighi sussistessero in presenza 
di una richiesta finalizzata a quello che egli ha ritenuto (in realt�) non essere 
un matrimonio. Si potrebbe forse chiosare che in realt� male ha fatto l�ufficiale 
di stato civile a ricevere la domanda di pubblicazione, giacch� questa gi� presupporrebbe 
la verifica della sua preordinazione ad un atto qualificabile come 
matrimonio: sicch�, in presenza di una richiesta presentata da una coppia omosessuale, 
egli avrebbe dovuto opporre il rifiuto (non gi� di eseguire le pubblicazioni, 
quanto) di ricevere la domanda stessa in quanto non preordinata ad un 
atto qualificabile come matrimonio. Solo dopo aver verificato che le pubblicazioni 
sono finalizzate ad un matrimonio, in quanto richieste da persone di sesso 
diverso, l�ufficiale di stato civile potrebbe procedere a verificare la regolarit� 
della documentazione presentata e l�eventuale esistenza di impedimenti, opponendo 
eventualmente un rifiuto impugnabile nella forma dell�art. 98 c.c. 
Tanto il Tribunale quanto la Corte d�appello hanno respinto l�eccezione 
sulla scorta di un�interpretazione rigorosa della domanda proposta in sede di 
volontaria giurisdizione: in sostanza, avendo i ricorrenti impugnato il diniego 
di pubblicazione � a questo che deve limitarsi la cognizione del giudice, verificando 
la legittimit� di tale rifiuto nelle forme per ci� prescritte dalla disposizione 
richiamata. Secondo la Corte d�appello, in particolare, l�ammissibilit� 
del matrimonio tra omosessuali � dedotta solo come questione incidentale per 
vagliare la legittimit� del rifiuto opposto dall�ufficiale di stato civile ad eseguire 
le pubblicazioni, che costituisce l�oggetto principale del processo. 
Tuttavia � innegabile, ad avviso di chi scrive, che il vero significato del 
rifiuto opposto alla richiesta dei ricorrenti fosse di negare non tanto la possibilit� 
di eseguire le pubblicazioni relative al matrimonio tra i richiedenti, 
quanto piuttosto la possibilit� di eseguire le pubblicazioni in funzione di un 
atto che non � qualificabile come matrimonio. D�altra parte oggetto della domanda 
non era tanto la pretesa che l�ufficiale di stato civile procedesse alle 
pubblicazioni, quanto piuttosto che successivamente celebrasse il matrimonio: 
in altri termini e al di l� delle formule usate, i ricorrenti chiedevano fosse accertato 
il loro (preteso) diritto soggettivo di celebrare il matrimonio. 
A ben vedere il Tribunale (a differenza della Corte d�appello) ha in qualche 
modo riconosciuto la fondatezza di tale osservazione, laddove ha affermato essere 
vero �che gli opponenti non tendono sostanzialmente a censurare la legittimit� 
del diniego opposto dall�ufficiale dello stato civile, n� a dimostrare 
l�esistenza di requisiti formali per contrarre matrimonio, negati dallo stesso,
314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
bens� ad ottenere una statuizione sul loro preteso diritto di contrarre matrimonio 
come persone dello stesso sesso, per le quali l�ordinamento esclude l�istituto 
del matrimonio�; tuttavia non ne ha tratte le logiche conseguenze, 
affermando di doversi in sostanza attenere al contenuto della domanda, quale 
emerge dal rimedio attivato dai ricorrenti. Cos� facendo, per�, esso non ha tenuto 
conto che il giudice � tenuto a qualificare la domanda in considerazione 
del suo effettivo contenuto, desumibile non solo da aspetti formali (quali il richiamo 
alla disposizione che si reputa applicabile o una particolare formulazione 
delle conclusioni), ma anche dalle argomentazioni spese a suo sostegno. 
D�altra parte, ponendosi nella diversa prospettiva di un�eventuale statuizione 
di accoglimento della domanda, pare indiscutibile che prima di stabilire 
se si debba ordinare all�Ufficiale di stato civile di procedere alle pubblicazioni 
matrimoniali, verificando se sussistano tutti i presupposti che la legge richiede 
a tale scopo, sia necessario accertare se quello cui le pubblicazioni sono preordinate 
sia effettivamente un matrimonio; in altri termini, prima di stabilire se 
esistano o meno i presupposti per eseguire le pubblicazioni relativamente a 
quella coppia di nubendi, occorre stabilire se in effetti essi si possano definire 
nubendi. 
Ad avviso di chi scrive, pertanto, la domanda proposta esulava dall�ambito 
del procedimento speciale previsto dall�art. 98 c.c. ed avrebbe dovuto essere 
qualificata come domanda di accertamento del diritto (soggettivo e di 
natura pubblicistica) preteso dai ricorrenti di contrarre matrimonio tra loro. 
Non si dimentichi che nel nostro ordinamento il matrimonio non pu� essere 
qualificato come negozio giuridico meramente privatistico, giacch� esso assume 
riflessi pubblicistici sia per quanto concerne le modalit� di perfezionamento, 
essendo necessario che esso sia dichiarato dall�Ufficiale di stato civile 
(art. 107 c.c.) o comunque di altro soggetto cui l�ordinamento riconosca eccezionalmente 
funzioni equipollenti (il sacerdote cattolico nel matrimonio concordatario 
o il ministro di altri culti religiosi, cfr. art. 83 c.c.), sia per quanto 
attiene ai rapporti giuridici che ne derivano, che non coinvolgono solo i coniugi, 
ma anche i terzi (con particolare riferimento alla prole) e lo Stato (che 
rispetto alle coppie di coniugi vanta pretese, ad esempio all�assolvimento dei 
doveri di cui all�art. 147 c.c., e riconosce diritti, incentrati sul principio di cui 
all�art. 29 Cost.) (1). 
Resta da chiedersi se sia poi cos� rilevante il rito da seguire, posto che si 
convenga sull�interpretazione dell�effettiva portata della domanda e quindi del 
processo e della statuizione finale. L�opinione di chi scrive � che il procedi- 
(1) Ci� consente anche di replicare agevolmente all�obiezione del Tribunale di Bergamo circa 
la difficolt� di individuare l�eventuale legittimato passivo di un ipotetico giudizio di accertamento del 
diritto di contrarre matrimonio, dovendosi convenire con l�indicazione, adombrata dallo stesso Tribunale, 
del Ministero dell�interno, quale ramo dell�amministrazione statale deputato alla cura dei rapporti di cui 
si � detto.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 315 
mento previsto per i procedimenti di giurisdizione volontaria non offra sempre 
adeguate garanzie di rispetto del contraddittorio e di approfondimento probatorio; 
sotto il primo profilo, pu� essere significativo il richiamo a Trib. Roma 
28.6.1980 (in Foro It. 1981, I, 869) non tanto per il contenuto della decisione 
(forse la prima sul tema oggetto di quella che qui si commenta), quanto per il 
fatto che ad essa il collegio pervenne omettendo di convocare ed ascoltare le 
parti in camera di consiglio, ritenendo la questione risolvibile de plano. Quanto 
al profilo probatorio, si potrebbe pensare che le valutazioni commesse al giudice 
in sede di giurisdizione volontaria non richiedano approfondimenti di fatto che 
vadano oltre l�esame di documenti, ma nella fattispecie, ad esempio, avrebbe 
assunto rilevanza essenziale l�affermazione dei ricorrenti circa la sopravvenuta 
modificazione dell�opinione pubblica a proposito delle unioni omosessuali, circostanza 
che avrebbe pur richiesto un adeguato sostegno probatorio. 
3. La nozione di matrimonio secondo l�ordinamento interno ed il carattere essenziale 
dell�eterosessualit� biologica dei nubendi 
Il Tribunale di Bergamo (i cui rilievi la Corte d�appello si � limitata a definire 
�assolutamente pertinenti e (�) condivisi�) ha ritenuto che nell�ordinamento, 
contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, esista una precisa, 
bench� implicita, nozione di matrimonio, e che ci� escluda il potere / dovere 
dell�interprete di ricostruirla di momento in momento storico, anche in funzione 
dell�evoluzione socio culturale del Paese. Sempre dal punto di vista 
dell�ordinamento interno, i ricorrenti sostenevano che non esisterebbe un esplicito 
divieto di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso (e che pertanto 
ci� sarebbe consentito). 
Le due questioni debbono essere esaminate congiuntamente, in quanto 
strettamente connesse: in tanto, infatti, si pu� porre la questione di un eventuale 
divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso in quanto si sia prima 
dimostrato che possa in astratto definirsi matrimonio, alla stregua dell�ordinamento 
italiano, l�atto con cui due persone dello stesso sesso, in presenza di 
tutti gli altri requisiti di legge e nelle forme prescritte dall�art. 107 c.c., dichiarino 
di volersi prendere l�un l�altro quale rispettivo coniuge. 
Orbene se � vero che non esiste nell�ordinamento una definizione esplicita 
del matrimonio � vero tuttavia che la nozione di esso � desumibile implicitamente 
dal sistema stesso e tra l�altro ed in particolare dalle disposizioni che 
sotto pi� aspetti fanno evidente riferimento alla disparit� di sesso tra i nubendi. 
Gli stessi ricorrenti non negavano tale circostanza, adducendo tuttavia che tale 
innegabile evidenza dipende dal fatto che, all�epoca di redazione del codice 
civile, la concezione del matrimonio secondo i canoni socialmente prevalenti 
non contemplava la prospettiva di coppie di nubendi dello stesso sesso: in sostanza, 
il legislatore non avrebbe inteso operare implicitamente una scelta
316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
esclusiva nel senso dell�eterosessualit� dei coniugi, ma si sarebbe limitato ad 
adottare il registro linguistico corrispondente al costume del tempo, implicitamente 
operando una sorta di rinvio formale alle concezioni socio - culturali 
che si sarebbero sviluppate in epoca successiva. Sicch� oggi, dovendosi ritenere 
superata la concezione di allora, dovrebbe riconoscersi che nell�ambito 
dell�istituto matrimoniale trovano collocazione anche i rapporti analoghi a 
quello coniugale ma intrattenuti tra persone dello stesso sesso. 
Una prima obiezione a tale opinione riguarda il fatto che, se � indubbiamente 
vero che la considerazione sociale dell�omosessualit� e delle relazioni 
tra persone omosessuali � decisamente mutata nell�odierna societ� rispetto 
all�epoca di redazione del codice civile, � tutto da dimostrare che tale mutamento 
implichi il riconoscimento della possibilit� di estendere l�istituto matrimoniale 
a comprendere anche coppie omosessuali (2). 
Ma siffatta opinione pare priva di fondamento in linea di diritto: la circostanza 
che la disciplina dettata nel codice civile presupponga, nella sua formulazione, 
la disparit� di sesso dei coniugi non � un mero accidente dovuto 
all�epoca di redazione del testo, ma significa in realt� che tale disparit� assurge 
a presupposto caratterizzante l�istituto cos� come recepito dal legislatore. In 
altri termini, il legislatore non ha inteso dettare una disciplina applicabile a 
qualsiasi fenomeno sociale definibile matrimonio nelle varie epoche successive, 
bens� disciplinare quella specifica fattispecie che nel 1941 si definiva 
matrimonio; non vi � traccia alcuna di una volont� del legislatore di individuare 
l�oggetto della disciplina mediante rinvio formale alle concezioni di matrimonio 
vigenti in una data epoca, mentre � evidente la sua intenzione di 
disciplinare l�istituto definito all�epoca come matrimonio e che era e resta caratterizzato 
dalla disparit� di sesso tra i nubendi, indipendentemente dall�evoluzione 
sociale e culturale che possa essere avvenuta in seguito (3). 
In questo senso la Suprema Corte, in accordo con la dottrina, ha pi� volte 
individuato la disparit� di sesso come elemento essenziale del matrimonio, la 
cui carenza ne comporta non la nullit�, ma l�inesistenza in quanto �profonda 
anormalit�� che �snatura essenzialmente la struttura e la funzione della fattispecie 
negoziale� (cfr. Cass. 14.2.1975, n. 569, nonch� pi� incidentalmente 
Cass. 24.11.1983, n. 7020). Sicch� la disparit� di sesso tra i nubendi costituisce 
principio essenziale della disciplina del matrimonio, al punto da essere coperto 
dall�inviolabilit� propria delle disposizioni di ordine pubblico internazionale 
(2) Sul punto, come gi� si � accennato sopra a proposito dei limiti del procedimento di giurisdizione 
volontaria, sarebbe stato comunque necessario un adeguato approfondimento probatorio. 
(3) Cfr. Corte d�appello di Firenze 27.6.2008: �L�istituto del matrimonio � storicamente delineato 
dalle legislazioni come una disciplina positiva di origine pubblica (�) volta a regolamentare gli effetti 
che l�ordinamento giuridico dello Stato, in un determinato contesto storico e sociale, riconosce alla 
convivenza tra persone. Non costituisce una istituzione pregiuridica (come ad esempio la famiglia), n� 
tanto meno un diritto fondamentale dell�individuo�.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 317 
(4), e solo il legislatore pu� estenderne la disciplina a fattispecie cui essa non 
era originariamente riservata, quali pacificamente quella prospettata nel ricorso 
di cui si tratta. Non ha senso quindi porsi il problema dell�esistenza o meno di 
norme che vietano il matrimonio tra coppie omosessuali: l�eterosessualit� non 
� un requisito di validit� del matrimonio, ma rientra nella definizione stessa 
dell�istituto quale recepito dall�ordinamento, sicch� la questione non � se il 
matrimonio omosessuale sia vietato, ma se esso sia definibile matrimonio. La 
risposta, come precedentemente dimostrato, � negativa. 
4. Profili di costituzionalit�. L�ordinanza Tribunale Venezia 4 febbraio - 3 
aprile 2009 
Tale impostazione pone in realt� il diverso problema se sia costituzionalmente 
legittimo che il contenuto (diritti e doveri, tra i coniugi e verso terzi) 
della disciplina del matrimonio sia limitato a questo ambito e non sia esteso a 
situazioni che, pur non definibili come matrimonio alla stregua della vigente 
legislazione, presentino caratteri di analogia con tale istituto. In effetti, nell�ambito 
del ricorso era stata prospettata la questione di legittimit� costituzionale 
degli artt. 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis c.c., per asserito contrasto con 
gli artt. 2, 3, 10 co. 2, 13, 29 e 117 co. 1 Cost., che il Tribunale ha ritenuto manifestamente 
infondata; a diversa conclusione � tuttavia giunto il Tribunale di 
Venezia che in analoga fattispecie ha sollevato questione di legittimit� costituzionale 
degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis c.c., per 
contrasto con gli artt. 2, 3, 29 e 117 co. 1 Cost., �nella parte in cui, sistematicamente 
interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale 
possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso� 
(ordinanza 4.2 - 3.4.2009). 
In realt� ad avviso di chi scrive � dubbia la stessa rilevanza della questione, 
cos� come prospettata, nei giudizi in cui � stata sollevata: oggetto della 
controversia, infatti, non sono i rapporti giuridici che conseguirebbero al rifiuto 
di considerare matrimonio l�atto che i ricorrenti vorrebbero compiere, bens� 
la qualificazione di tale atto come matrimonio o meno; la qualificazione giuridica 
di un fatto non pu� per s� essere lesiva di alcun principio costituzionale, 
laddove saranno eventualmente specifiche disposizioni relative al rapporto 
matrimoniale a poter essere valutate in termini di costituzionalit� ove si dubiti 
del fatto che sia legittima tale limitazione; ma anche in tale ipotesi, non ne deriverebbe 
l�illegittimit� costituzionale della nozione implicita di matrimonio 
posta a base della relativa disciplina, bens� quella delle singole disposizioni 
che disciplinano il rapporto matrimoniale in quanto non estese ad altre fatti- 
(4) Ci� tra l�altro giustifica il diniego di trascrivere nei registri di stato civile i matrimoni tra omosessuali 
contratti nei Paesi dove ci� � attualmente consentito.
318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
specie. L�errore del giudice remittente, ad avviso di chi scrive, risiede nell�aver 
ritenuto che il presunto divieto di qualificare come matrimonio l�unione omosessuale 
sia il risultato del combinato disposto delle disposizioni che fanno riferimento 
all�eterosessualit� degli sposi, laddove al contrario, come si ritiene 
di aver argomentato in precedenza, ci� � la conseguenza (e non la causa) dell�opzione 
del legislatore di fare riferimento ad un determinato fenomeno sociale 
per qualificarlo come matrimonio (5). 
In realt� l�esclusione di determinate situazioni dall�ambito applicativo 
della disciplina del matrimonio non pare in conflitto con alcuna disposizione 
costituzionale: per quanto concerne infatti i parametri di cui agli artt. 2 e 3 
Cost., � agevole osservare da un lato che nessun ostacolo � posto ai ricorrenti 
a che contraggano matrimonio alle medesime condizioni in cui ci� � consentito 
a chiunque altro (e cio� con una persona dell�altro sesso), sicch� non vi � alcuna 
limitazione dei diritti inviolabili della persona n� alcuna disparit� di trattamento; 
in realt� la questione � mal posta, giacch� oggetto della denuncia dei 
ricorrenti non � tanto l�impossibilit� di contrarre matrimonio (per ci� che l�ordinamento 
qualifica come tale) bens� la limitazione della disciplina del matrimonio 
entro i limiti oggettivi che il legislatore ha stabilito e cio� con esclusione 
dell�unione tra persone dello stesso sesso. 
Posto che � ravvisabile tra le due situazioni una innegabile differenza (6), 
sia per l�intrinseca natura dell�unione (che nel caso di omosessuali non pu� 
neppure in astratto essere preordinata alla generazione della prole) sia per la 
differente considerazione sociale che le due forme di vincolo tuttora ricevono, 
la limitazione stabilita dal legislatore � senza dubbio razionale e giustificata e 
non pu� essere sospettata di violazione del principio di uguaglianza. 
Altra questione sarebbe eventualmente, come gi� sottolineato, se sia costituzionalmente 
legittimo, in relazione agli artt. 2 e 3 Cost., riservare al matrimonio 
(o ai coniugi o alla famiglia fondata sul matrimonio) determinati 
effetti che potrebbero in astratto essere ricondotti anche ad altre situazioni che 
con il matrimonio presentino parziale affinit�. Non sfugge tra l�altro che proprio 
questa � la prospettiva in cui si muovono gli atti comunitari ed internazionali 
su cui i ricorrenti avrebbero voluto far leva per sostenere la loro tesi: 
nessuno di essi indica la necessit� di qualificare come matrimonio la comunanza 
di vita di coppie omosessuali, al contrario essi pongono l�accento sulla 
(5) Tra l�altro gli artt. 93, 96 e 98, a differenza degli altri denunciati dal Tribunale di Venezia, non 
sembrano alludere ad alcuna differenza di sesso tra gli sposi, mentre ci� risulta chiaramente dalle altre 
disposizioni che presuppongono i concetti di marito e moglie. 
(6) Come ribadito anche di recente dalla Corte costituzionale, 24.3.2009, n. 86: �Questa Corte ha 
ripetutamente posto in evidenza la diversit� tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio, in 
ragione dei caratteri di stabilit�, certezza, reciprocit� e corrispettivit� dei diritti e doveri che nascono 
soltanto da tale vincolo, individuando le ragioni costituzionali che giustificano un differente trattamento 
normativo tra i due casi nella circostanza che il rapporto coniugale trova tutela diretta nell�art. 29 Cost.�
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 319 
necessit� di garantire a tali coppie una tutela corrispondente a quella che il 
matrimonio consente (7). 
Premesso che pare evidentemente estranea al tema la menzione dell�art. 
13 Cost., che riguarda la libert� personale fisica, sembra fuorviante per contro 
il tentativo di invocare a fondamento della pretesa in questa sede azionata la 
tutela della famiglia prevista dall�art. 29 Cost., giacch� questo (a differenza 
di quanto si � finora detto del matrimonio in relazione alla disciplina codicistica) 
rinvia ad un modello pregiuridico di famiglia definita societ� naturale 
e perci� caratterizzata (tra l�altro) dall�astratta idoneit� della coppia alla procreazione 
(essendo per contro irrilevante che tale idoneit� sussista in concreto) 
e quindi dalla disparit� di sesso (8). 
Sotto tale profilo l�ordinanza di rimessione del Tribunale di Venezia richiede 
tuttavia una chiosa, laddove argomenta sulla scorta delle pronunce della 
Corte costituzionale che, nel tempo, hanno contribuito a ridisegnare quella che 
il collegio veneziano definisce �accezione costituzionale di famiglia�, aprendola 
alle modificazioni imposte dall�evoluzione sociale per estendere la tutela 
apprestata dalla norma a tutte le situazioni di fatto avvicinabili alla famiglia 
legittima (donde la necessit� di disancorare il matrimonio, che della famiglia 
costituisce il fondamento costituzionale, dalla limitazione alla nozione del codice 
civile). Se non ch� il Tribunale veneziano pare ignorare che la giurisprudenza 
richiamata ridisegna i rapporti sul presupposto della nozione 
istituzionale di matrimonio, da un lato eliminando le differenze tra marito e 
moglie all�interno del matrimonio, dall�altro affermando la tendenziale equiparazione 
di figli legittimi e naturali. Sicch� la giurisprudenza richiamata dal 
Tribunale di Venezia, anzich� ridimensionare, presuppone la nozione codici- 
(7) Si pu� anzi ritenere che nel prescrivere il riconoscimento di una tutela corrispondente a quella 
delle coppie unite in matrimonio, queste stesse fonti presuppongano la qualificazione delle altre forme 
di convivenza in termini diversi dal matrimonio. 
(8) Si veda sul punto DAL CANTO, Matrimonio tra omosessuali e princip� della Costituzione italiana, 
in La legge spagnola sul matrimonio tra persone dello stesso sesso e la tutela delle coppie omosessuali 
in Italia, Foro It. 2005, V, 256 e segg.: �A noi sembra, in particolare, che l�art. 29 Cost. faccia 
riferimento ad un modello di famiglia che, pur suscettibile di sviluppi e cambiamenti, sia caratterizzato 
da un �nucleo duro� di cui il legislatore ordinario non pu� liberamente disporre. Tale previsione, in questo 
diversamente dal pi� essenziale art. 32 Cost. spagnola, deve interpretarsi nel senso che la tutela in 
essa prevista vada esclusivamente riferita ad un tipo di organizzazione familiare che, in mancanza di 
termini migliori, potremmo intendere come �tradizionale�, definibile nella sua essenza, citando da uno 
dei pi� diffusi dizionari della lingua italiana, quale �legame affettivo tra due persone di sesso diverso. 
(�) Accogliendo questa impostazione si deve allora respingere, nel senso di considerarla costituzionalmente 
illegittima, l�eventualit� che in Italia, attraverso una legge ordinaria, venga consentito l�accesso 
al matrimonio alle coppie di persone dello stesso sesso. N� pare di grande pregio l�argomento, talora richiamato 
a questo proposito, secondo cui impedire tale accesso determinerebbe una discriminazione 
nei confronti di alcuni soggetti rispetto ad altri: infatti, tale argomento presuppone di avere di fronte due 
situazioni equiparabili trattate in modo irragionevolmente diverso, mentre si tratta di situazioni dissimili, 
o meglio di situazioni che la Costituzione vigente impone di tenere distinte, e alle quali perci� devono 
essere dedicate discipline giuridiche, magari per alcuni aspetti analoghe, ma autonome e differenziate.
320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
stica del matrimonio, salvo eliminare le disparit� che ne possono derivare rispetto 
ad altre situazioni ad esso non riconducibili. 
A dir poco singolare � poi la menzione, sempre da parte del Tribunale di 
Venezia, della L. 14.4.1982, n. 164 �Norme in materia di rettificazione di attribuzione 
di sesso�, che fa riferimento ad una situazione, quella del disallineamento 
tra sesso biologico e identit� sessuale, che non ha nulla a che vedere 
con l�omosessualit� (in cui sesso biologico ed identit� sessuale coincidono 
come nel caso delle persone eterosessuali, ma l�orientamento sessuale si manifesta 
verso persone dello stesso sesso). Sicch� prevedere lo scioglimento del 
matrimonio contratto precedentemente alla rettificazione del sesso attribuito 
nell�atto di nascita (art. 4) non fa che confermare l�essenziale caratterizzazione 
eterosessuale del matrimonio nel vigente ordinamento. 
5. Il matrimonio negli ordinamenti comunitario ed internazionale 
Neppure le disposizioni sopranazionali, poste dai ricorrenti a fondamento 
della loro pretesa (sia in quanto ex se applicabili, sia in quanto parametri di legittimit� 
costituzionale attraverso il rinvio contenuto negli artt. 10 co. 2 e 117 
co. 1 Cost.), contemplano il diritto delle coppie omosessuali ad accedere all�istituto 
matrimoniale; al contrario, la Corte di giustizia CE da un lato, nella 
sentenza 31.5.2001 in cause riunite C-122/99 P e C-125/99 P (in Giust. Civ. 
2001, I, 2581), ha espressamente fatto ricorso alla nozione di matrimonio come 
�unione di due persone di sesso diverso� secondo la definizione comunemente 
accolta dagli Stati membri, ritenendola sottesa alle disposizioni dell�ordinamento 
comunitario che vi fanno riferimento e valendosene per giudicare su una 
questione in materia di trattamento retributivo del personale dipendente della 
Comunit� europea; dall�altro lato ha ribadito la netta distinzione tra la problematica 
dell�ammissibilit� del matrimonio tra omosessuali e quella dell�equiparazione, 
a determinati fini, tra matrimonio e convivenze di fatto registrate 
(sentenze 7 gennaio 2004 in causa C-117/01 e 1 aprile 2008 in causa C-267/06). 
Va ricordata anche la pi� risalente sentenza Corte di giustizia CE 
17.2.1998 in causa C-249/96, nella quale il giudice comunitario aveva fornito 
un panorama delle posizioni espresse in argomento non solo da organi comunitari, 
ma anche da altri giudici sovranazionali, affermando che �31.(�) sebbene 
il Parlamento europeo abbia dichiarato (�) di deplorare qualsiasi 
discriminazione motivata dalla tendenza sessuale di un individuo, ci� nondimeno 
la Comunit� non ha sino ad ora emanato norme che comportino 
un�equiparazione del genere. 32. Per quanto riguarda lordinamento giuridico 
degli Stati membri, sebbene per taluni di essi la comunione di vita tra due persone 
dello stesso sesso venga equiparata al matrimonio, bench� in modo incompleto, 
nella maggior parte degli Stati membri essa non viene considerata 
equivalente alle relazioni eterosessuali stabili fuori del matrimonio se non per
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 321 
quanto riguarda un numero limitato di diritti oppure non � oggetto di nessun 
riconoscimento particolare. 33. Da parte sua la Commissione europea dei diritti 
dell'uomo considera che, nonostante i mutamenti odierni delle mentalit� 
nei confronti dell�omosessualit�, le relazioni omosessuali durevoli non rientrano 
nell'ambito d'applicazione del diritto al rispetto della vita famigliare tutelato 
dall'art. 8 della Convenzione (v. in particolare le decisioni 3 maggio 
1983, X e Y/Regno Unito, n. 9369/81, D R 32 pag. 220; 14 maggio 1986; 
S./Regno Unito, n. 11716/85, D R 47 pag. 274, paragrafo 2, e 19 maggio 1992, 
Kerkhoven e Hinke/Paesi Bassi, n. 15666/89, non pubblicata, paragrafo 1) e 
che norme nazionali volte a garantire, a scopo di tutela della famiglia, un trattamento 
pi� favorevole alle persone coniugate e alle persone di sesso opposto 
conviventi more uxorio rispetto alle persone dello stesso sesso che abbiano 
relazioni durevoli non sono in contrasto con l�art. 14 della Convenzione che 
vieta in particolare le discriminazioni fondate sul sesso (v. decisioni S./Regno 
Unito, loc. cit., paragrafo 7; 9 ottobre 1989; C e LM/Regno Unito, n. 
14753/89, non pubblicata, paragrafo 2, e 10 febbraio 1990, B/Regno Unito, 
n. 16106/90, D R 64 pag. 278, paragrafo 2). 34. In un diverso contesto la 
Corte europea dei diritti dell'uomo interpreta del resto l�art. 12 della Convenzione 
nel senso che si applica unicamente al matrimonio tradizionale tra due 
persone di sesso biologico diverso (v. Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenze 
17 ottobre 1986, Rees, Serie A n. 106, pag. 19, paragrafo 49, e 27 settembre 
1990, Cossey, Serie A n. 184, pag. 17, paragrafo 43). 35. Da quanto 
precede si desume che allo stato attuale del diritto nella Comunit�, le relazioni 
stabili tra due persone dello stesso sesso non sono equiparate alle relazioni 
tra persone coniugate o alle relazioni stabili fuori del matrimonio tra persone 
di sesso opposto. Di conseguenza, un datore di lavoro non � tenuto in forza 
del diritto comunitario ad equiparare la situazione di una persona che abbia 
una relazione stabile con un compagno dello stesso sesso a quella di una persona 
che sia coniugata o abbia una relazione stabile fuori del matrimonio con 
un compagno di sesso opposto�. 
Anche la Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea, nella sua stesura 
pi� recente (Strasburgo, 12.12.2007, in Gazz. Uff. U.E., C 303/1 del 
14.12.2007), prevede che �Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia 
sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio� 
(art. 9); nella �Spiegazione relativa all'articolo 9 � Diritto di sposarsi e di costituire 
una famiglia�, che accompagna la Carta si legge: �Questo articolo si 
basa sull'articolo 12 della CEDU, che recita: �A partire dall�et� minima per 
contrarre matrimonio, l�uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare 
una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l�esercizio di tale 
diritto�. La formulazione di questo diritto � stata aggiornata al fine di disciplinare 
i casi in cui le legislazioni nazionali riconoscono modi diversi dal matrimonio 
per costituire una famiglia. L�articolo non vieta n� impone la
322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso. 
Questo diritto � pertanto simile a quello previsto dalla CEDU, ma la sua portata 
pu� essere pi� estesa qualora la legislazione nazionale lo preveda�. Infatti 
l�art. 12 Convenzione europea dei diritti dell�uomo (CEDU), richiamato come 
si � appena visto dalla Carta dei diritti fondamentali, stabilisce che �A partire 
dall�et� maritale, l�uomo e la donna hanno diritto di sposarsi e di formare una 
famiglia, secondo le leggi nazionali che regolano l�esercizio di questo diritto�. 
A questo riguardo la Corte europea dei diritti dell�uomo ha sottolineato che �Il 
diritto di sposarsi garantito dall�art. 12 si riferisce al tradizionale matrimonio 
tra persone di opposto sesso biologico. Ci� risulta anche dalla lettera della disposizione, 
che rende evidente che l�art. 12 � finalizzato soprattutto a tutelare 
il matrimonio come base della famiglia. Inoltre l�art. 12 dispone che l�esercizio 
del diritto sia soggetto alle leggi nazionali degli Stati contraenti. Le limitazioni 
in tal modo introdotte non devono limitare o ridurre il diritto in modo o misura 
tali da vanificare l�essenza fondamentale del diritto. Tuttavia, il divieto legale 
imposto nel Regno Unito al matrimonio di persone che non siano di opposto 
sesso biologico non pu� dirsi suscettibile di cagionare tale effetto�. 
Avv. Riccardo Montagnoli* 
Corte d�appello di Brescia, Sezione I Civile, decreto 2 luglio 2009 n. 69 - Pres. P. Dess� - 
Cons. Rel. D. Pianta - (Avv. dello Stato R. Montagnoli - AL 2206/08) 
(... Omissis) 
In data 1ottobre 2008 l�Ufficiale di Stato Civile del Comune di Bergamo aveva formalmente 
risposto negativamente alla richiesta di B. C. e D. S. riguardante le pubblicazioni di matrimonio, 
motivando con la contrariet� all�ordine pubblico del matrimonio fra persone dello 
stesso sesso, peraltro non disciplinato n� previsto da alcuna. norma vigente. 
Avverso tale provvedimento i predetti avevano proposto ricorso al Tribunale di Bergamo a sensi 
degli artt. 98 c.c., 95 d.P.R. n. 396/2000 e 737 cp.c., chiedendo ordinarsi all�Ufficiale di Stato 
Civile di procedere alle richieste pubblicazioni, eventualmente previa sospensione del processo 
al fine di rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimit� degli artt. 107, 108, 143, 
143 bis, 156 bis c.c. in relazione agli artt. 2, 3 10 comma 2, 13 e 29 della Costituzione. 
Si era costituito in giudizio il Sindaco del Comune di Bergamo, in qualit� di Ufficiale del Governo, 
eccependo l�inammissibilit� e comunque l�infondatezza del ricorso. 
Con il provvedimento ora assoggettato a reclamo il Tribunale di Bergamo, dopo aver respinto 
l�eccezione preliminare svolta dall�Avvocatura dello Stato e reputato manifestamente infondate 
le questioni di legittimit� costituzionale sollevate dai ricorrenti, ha respinto il ricorso. 
I primi Giudici hanno rilevato come sia infondata l�affermazione dei ricorrenti, a stregua della 
quale non esiste una definizione normativa di matrimonio, in quanto, in realt�, pur mancan- 
(*) Avvocato dello Stato
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 323 
done una definizione generale, sono ripetuti i richiami fatti dal diritto positivo alla nozione di 
matrimonio quale risulta sia dalla secolare evoluzione del diritto privato che dal comune sentire 
sin qui mai messo in discussione. Cos� che, anche richiamandosi proprio quegli articoli 
del codice civile della cui conformit� al dettato costituzionale i ricorrenti dubitano, si ricava 
la pacifica configurazione del matrimonio quale unione fra due persone di sesso diverso che 
vogliono prendersi rispettivamente come marito e come moglie. 
N�, ad avviso del Tribunale, vi� spazio per le dedotte questioni di costituzionalit�, in quanto 
l�art. 29 della Costituzione, che si occupa espressamente della famiglia, come societ� naturale 
fondata sul matrimonio, fa palese riferimento alla rievocata, nozione derivante dall�evoluzione 
del diritto e del costume. E neppure dagli artt. 2 e 3 Cost., che tutelano i diritti inviolabili 
della persona e il diritto di uguaglianza, pu� ricavarsi l�esistenza di un diritto di rango costituzionale 
a contrarre matrimonio al di l� delle condizioni prefigurate dall�ordinamento giuridico 
o di un diritto incondizionato a sposarsi. 
� parimenti infondata, secondo il Tribunale, l�affermazione per cui il diritto qui propugnato 
troverebbe riscontro e riconoscimento nelle normative comunitarie e sopranazionali, anche 
perch� proprio l�art. 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell�Uomo si riferisce al matrimonio 
tradizionale fra due persone di sesso diverso. 
Avverso tale provvedimento B. C. e D. S. hanno proposto reclamo alla Corte d�Appello con 
ricorso depositato in data 5 marzo 2009, con il quale vengono, in sostanza, riproposte le questioni 
gi� devolute alla conoscenza del Tribunale, con riferimento: 
- alla effettiva nozione di matrimonio (non) ricavabile dal diritto positivo, ancorch� vi siano 
nel corpo del codice civile alcuni articoli che sembrano presupposte la. necessit� che i nubendi 
appartengano a sesso diverso, laddove sarebbe compito del Giudice applicare un�interpretazione 
evolutiva dell�istituto che tenga conto del mutare della societ�; 
- all�inesistenza di un divieto riguardante il matrimonio fra persone dello stesso sesso ed al 
dovere della magistratura, nell�inerzia del legislatore, di adeguare, in via interpretativa l�ordinamento 
giuridico in guisa da renderlo conforme ai principi costituzionali; 
- all�esistenza, in ogni caso, di un contrasto fra la Costituzione italiana e il divieto del matrimonio 
fra persone dello stesso sesso, cosi come � agevole trarre dal testo degli art. 2 e 29, 
anche alla luce di recenti pronunce del Giudice delle Leggi: di talch�, nel caso della ritenuta 
incompatibilit� fra la vigente normativa, come sopra richiamata, e l�eventualit� di un matrimonio 
fra persone dello stesso sesso, si sollecita ancora la rimessione della questione alla 
Corte Costituzionale. 
Si � costituita in giudizio l�Avvocatura dello Stato, nell�interesse del Ministero degli Esteri, 
rinnovando l�eccezione d�inammissibilit� del ricorso e chiedendo in ogni caso la reiezione 
dell�impugnazione. 
Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo la reiezione del reclamo. 
A scioglimento della riserva assunta all�odierna udienza camerale, la Corte osserva quanto segue. 
Il ricorso � ammissibile, in quanto perfettamente corrispondente allo schema normativo dell�art. 
98 c.c.: le parti hanno impugnato il diniego opposto dall�Ufficiale di Stato Civile alla richiesta 
delle pubblicazioni dei prospettato matrimonio richiedendo l�intervento del Tribunale 
al quale hanno sottoposto, in via incidentale, per vagliare la legittimit� del rifiuto, la questione 
riguardante la compatibilit� con il diritto vigente del matrimonio fra persone dello stesso sesso 
e prospettando, per il caso di risposta negativa, il dubbio di incostituzionalit� delle norma da 
cui si potrebbe ricavare il relativo divieto. 
Esso � comunque infondato. 
324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Non pu� dubitarsi, innanzi tutto, che sotto nessun aspetto possa reputarsi la conformit� del 
matrimonio fra persone dello stesso sesso al modello prefigurato tanto dalla tradizione, quanto 
dal diritto positivo (prima e dopo la riforma del 1975), quanto infine dalla Costituzione della 
Repubblica. I richiami effettuati dal Tribunale di Bergamo sono assolutamente pertinenti e 
vanno in questa sede ampiamente condivisi (del resto anche i reclamanti finiscono per ritenerli 
insuperabili e ne traggono lo spunto per sollecitare la Corte affinch� sollevi questione d� legittimit� 
costituzionale). 
Appare opportuno affrontare pi� approfonditamente la questione di legittimit� costituzionale, 
su cui C. e S. hanno particolarmente insistito in sede di discussione orale. 
La questione � manifestamente infondata. 
Va premesso che storicamente all�istituto del matrimonio le legislazioni hanno da sempre affidato 
il ruolo di predisporre una disciplina positiva destinata a regolamentare gli effetti (di 
natura personale, patrimoniale e successorio) che di volta in volta vengono riconosciuti alla 
convivenza fra persone che nell�ambito ditale struttura giuridica vogliono inquadrare la convivenza 
famigliare. Di qui l�attenzione posta dal legislatore ordinario alla regolamentazione 
dei diritti e doveri reciproci fra i coniugi e fra questi e, se vi sono, i figli. 
La Costituzione della Repubblica italiana, invece, non contempla il matrimonio fra le esplicazioni 
della personalit� umana da garantire (artt. 2 e 3), n� rivolge attenzione a tale istituto 
giuridico se non, in via indiretta, attraverso l�art. 29, ove nel prevedere espressamente la tutela. 
della famiglia e dei principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi (quest�ultima affermazione 
direttamente collegata alla eterosessualit� dell�unione ed alla tradizionale disparit� 
di fatto e di diritto fra maschio e femmina), fa riferimento all�istituto del matrimonio solo 
quale necessario presupposto per la tutela cosi accordata. 
La doglianza espressa dai reclamanti, dunque, non pu� che rivolgersi al legislatore, che sino ad 
ora ha ritenuto di non dover apprestare istituti giuridici idonei a tutelare e regolamentare, con 
strumenti anche assimilabili a quelli previsti in materia matrimoniale, unioni non riconducibili 
al modello tradizionale dei matrimonio e non necessariamente caratterizzate dall�identit� di 
sesso dei loro partecipanti. Unioni che, tuttavia, non sono affatto vietate, ancorch� non siano, 
per come si � detto, allo stato suscettibili di generare al loro interno ed anche verso l�esterno 
specifiche situazioni giuridicamente regolate e protette. N�. come ha efficacemente sottolineato 
il Tribunale di Bergamo, alle ragioni espresse dai reclamanti pu� essere di giovamento l�invocare 
pretesi sostegni da parte della normativa comunitaria o sovranazionale, essendo paradigmatico 
l�esempio, portato in quella sede, dell�art. 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell�uomo, 
che non a caso riconosce il diritto dell�uomo e della donna di sposarsi e di formare una famiglia. 
La natura della controversia suggerisce l�opportunit� di compensare le spese della presente 
procedura. 
P.Q.M. 
Respinge il reclamo. 
Tribunale Ordinario di Venezia, Sezione III civile, ordinanza del 4 aprile 2009 - Pres. 
Gionfrida - Giud. Rel. Guerra. 
(... Omissis) 
I ricorrenti hanno proposto ricorso avverso il provvedimento datato 3.7.2008 con il quale l�ufficiale 
dello stato civile del Comune di Venezia ha rifiutato di procedere alla pubblicazione di
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 325 
matrimonio dagli stessi richiesta, ritenendo l�assoluta illegittimit� della pubblicazione �in 
forza del complesso normativo fondante l�ordinamento giuridico italiano e la contrariet� all�ordine 
pubblico costituito da principi fondamentali di rango sia costituzionale che ordinario�, 
cos� motivando il diniego: �Considerato che la richiesta pubblicazione di matrimonio, intesa 
ad ottenere la celebrazione del matrimonio civile in questo Comune, � stata resa da due nubendi 
dello stesso sesso; Considerato che il fine della pubblicazione � quello di dare pubblicit� 
al matrimonio per consentire eventuali opposizioni e, soprattutto, di verificare preventivamente 
la sussistenza delle condizioni richieste e la mancanza di impedimenti previsti dal codice 
civile, al fine di avere garanzia che il matrimonio, una volta celebrato, sar� pienamente 
valido ed efficace; Considerato che l�istituto del matrimonio, nell�ordinamento giuridico italiano 
� inequivocabilmente incentrato sulla diversit� di sesso dei coniugi, desumibile dall�insieme 
delle disposizioni che disciplinano l�istituto del matrimonio, tanto che tale diversit� di 
sesso costituisce presupposto indispensabile, requisito fondamentale per la fattispecie del matrimonio, 
a tal punto che l�ipotesi contraria, relativa a persone dello stesso sesso, � giuridicamente 
inesistente e certamente estranea alla definizione del matrimonio, almeno secondo 
l�insieme delle normative tuttora vigenti; Richiamato il decreto 10 giugno 2005 del Tribunale 
di Latina, relativo ad una richiesta di trascrizione di matrimonio, contratto all�estero, tra persone 
dello stesso sesso, nel quale viene specificato che: �...Alla luce di quanto precede deve 
allora concludersi che elemento essenziale per poter qualificare nel nostro ordinamento la fattispecie 
matrimonio � la diversit� di sesso dei nubendi ed in tal senso si � pronunciata la Corte 
di Cassazione che nel distinguere in subiecta materia la categoria dell'inesistenza da quella 
della nullit�, ha precisato che ricorre l�ipotesi dell�inesistenza quando manchi quella realt� 
fenomenica che costituisce la base naturalistica della fattispecie, individuandone i requisiti 
minimi essenziali nella manifestazione di volont� matrimoniale resa da due persone di sesso 
diverso davanti ad un ufficiale celebrante (Cass. n. 7877/2000; 1304/1990; 1808/1976). D�altronde 
non � senza ragione che, nel nostro codice civile, tra gli impedimenti al matrimonio 
(quali et�, capacit�, libert� di stato, parentela, delitto - artt. 84, 86, 87, 88 c.c.-) non � prevista 
la diversit� di sesso dei coniugi e ci� ovviamente non perch� tale condizione sia irrilevante, 
bens� perch� essa, a differenza dei semplici impedimenti, incide sulla stessa identificazione 
della fattispecie civile che, nel nostro ordinamento, possa qualificarsi matrimonio�. Visto il 
parere del Ministero dell�Interno espresso con nota del 28.07.2004, prot. 04006451 - 
15100/15952, nel quale viene specificato che: �...in merito alla possibilit� di trascrivere un 
atto di matrimonio contratto all�estero tra persone dello stesso sesso, si precisa che in Italia 
tale atto non � trascrivibile in quanto nel nostro ordinamento non � previsto il matrimonio tra 
soggetti dello stesso sesso in quanto contrario all�ordine pubblico, ai sensi dell'art. 18 del DPR 
396/2000�. Visto la circolare del Ministero dell�Interno n. 55 in data 18.10.2007 prot. n. 
15100/397/0009861, relativa ai matrimoni contratti all'estero tra persone dello stesso sesso, 
nella quale viene affermato che �...in mancanza di modifiche legislative in materia, il nostro 
ordinamento non ammette il matrimonio omosessuale e la richiesta di trascrizione di un simile 
atto compiuto all�estero deve essere rifiutata perch� in contrasto con l�ordine pubblico interno�, 
escludendo categoricamente qualsiasi possibilit� di matrimonio tra persone dello stesso 
sesso; Ritenuto, pertanto, che la sopraindicata richiesta di pubblicazione riguarda ipotesi giuridicamente 
inesistente e non assimilabile all'istituto del matrimonio secondo la disciplina 
prevista dal nostro ordinamento� (doc. 1 del fascicolo attoreo). 
A sostegno del ricorso sono state svolte ampie argomentazioni in diritto, con le quali si � rilevato 
che nel nostro ordinamento non esisterebbe una nozione di matrimonio, n� un divieto
326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
espresso di matrimonio tra persone dello stesso sesso - non essendo previsto tra i requisiti per 
contrarlo la disparit� sexus (ex art. 84 c.c.) -, che inoltre gli atti del Ministero degli Interni 
citati nel provvedimento si riferirebbero all�ordine pubblico internazionale e non all'ordine 
pubblico interno (che invece andrebbe richiamato nel caso di specie), che comunque tali atti 
sarebbero contrari alla Costituzione e alla Carta di Nizza e quindi da disapplicare, che in ogni 
caso l�interpretazione letterale delle norme codicistiche posta a fondamento dell�atto di diniego 
da parte del Comune sarebbe contraria alla Costituzione italiana, ed in particolare agli artt. 2, 
3, 10 comma 2�, 13, 29. 
Sulla base di tali argomenti i ricorrenti hanno chiesto al Tribunale, in via principale, di ordinare 
all�ufficiale di stato civile del comune di Venezia di procedere alla pubblicazione del matrimonio 
rifiutata e, in via subordinata, di sollevare la questione di legittimit� costituzionale - 
previa positiva valutazione della rilevanza e non manifesta infondatezza - degli artt. 107, 108, 
143, 143 bis e156 bis c.c. rispetto agli artt. 2, 3, 10 comma 2, 13, 29 Cost., rimettendo gli atti 
alla Corte Costituzionale. 
Con il ricorso in esame si chiede quindi che il Tribunale si pronunci in ordine al tema - assai 
dibattuto non solo fra i giuristi e non solo nel nostro Paese - relativo alla riconoscibilit� del 
diritto delle persone omosessuali di contrarre matrimonio con persone del proprio sesso. 
Nel nostro sistema il matrimonio tra persone dello stesso sesso non � n� previsto, n� vietato 
espressamente. � certo tuttavia che n� il legislatore del 1942, n� quello riformatore del 1975 
si sono posti la questione del matrimonio omosessuale, all�epoca ancora non dibattuta, almeno 
nel nostro Paese. 
Pur non esistendo una norma definitoria espressa, l�istituto del matrimonio, cos� come previsto 
nell'attuale ordinamento italiano, si riferisce indiscutibilmente solo al matrimonio tra persone 
di sesso diverso. Se � vero che il codice civile non indica espressamente la differenza di sesso 
fra i requisiti per contrarre matrimonio, diverse sue norme, fra cui quelle menzionate nel ricorso 
e sospettate d�incostituzionalit�, si riferiscono al marito e alla moglie come �attori� 
della celebrazione (107 e 108), protagonisti del rapporto coniugale (art. 143 e ss. ) e autori 
della generazione (artt. 231 e ss.) . 
Reputa il Tribunale che, proprio per il chiaro tenore delle norme sopra indicate, non sia posibile 
- allo stato della normativa vigente - operare un�estensione dell�istituto del matrimonio 
anche a persone dello stesso sesso. Si tratterebbe di una forzatura non consentita ai giudici 
(diversi da quello costituzionale), a fronte di una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio 
come unione di un uomo e di una donna. 
D�altra parte, non si pu� ignorare il rapido trasformarsi della societ� e dei costumi avvenuto 
negli ultimi decenni, nel corso dei quali si � assistito al superamento del monopolio detenuto 
dal modello di famiglia normale, tradizionale e al contestuale sorgere spontaneo di forme diverse, 
seppur minoritarie, di convivenza, che chiedono protezione, si ispirano al modello tradizionale 
e come quello mirano ad essere considerate e disciplinate. Nuovi bisogni, legati anche 
all�evoluzione della cultura e della civilt�, chiedono tutela, imponendo un'attenta meditazione 
sulla persistente compatibilit� dell�interpretazione tradizionale con i principi costituzionali. 
Il primo riferimento costituzionale con il quale confrontarsi, suggerito anche dai ricorrenti, � 
sicuramente quello di cui all�art. 2 della Costituzione, nella parte in cui riconosce i diritti inviolabili 
dell�uomo (diritti gi� proclamati dalla Costituzione ovvero individuati dalla Corte 
Costituzionale) non solo nella sua sfera individuale ma anche, e forse soprattutto, nella sua 
sfera sociale, ossia, secondo la formula della norma, �nelle formazioni sociali ove si svolge 
la sua personalit��, fra le quali indiscutibilmente la famiglia deve essere considerata la prima
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 327 
e fondamentale espressione. La famiglia � infatti la formazione sociale primaria nella quale 
si esplica la personalit� dell�individuo e nella quale vengono quindi tutelati i suoi diritti inviolabili, 
conferendogli uno status (quello di persona coniugata) che assurge a segno caratteristico 
all'interno della societ� e che conferisce un insieme di diritti e di doveri del tutto 
peculiari e non sostituibili tramite l�esercizio dell'autonomia negoziale. 
Il diritto di sposarsi configura un diritto fondamentale della persona riconosciuto sia a livello 
sovranazionale (artt. 12 e 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell�Uomo del 1948, 
artt. 8 e 12 CEDU e ora agli artt. 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione Europea 
proclamata a Nizza il 7.12.2000), sia dall�art. 2 della Costituzione. � un diritto inteso sia nella 
sua accezione positiva di libert� di contrarre matrimonio con la persona prescelta (cos� anche 
Corte Cost. n. 445/2002 ), sia in quella negativa di libert� di non sposarsi e di convivere senza 
formalizzare l'unione (cos� Corte Cost. 13.5.1998 n. 166). 
La libert� di sposarsi (o di non sposarsi) e di scegliere il coniuge autonomamente riguarda la 
sfera dell'autonomia e dell�individualit� ed � quindi una scelta sulla quale lo Stato non pu� 
interferire, a meno che non vi siano interessi prevalenti incompatibili; ora, nell�ipotesi in cui 
una persona intenda contrarre matrimonio con altra persona dello stesso sesso il Tribunale 
non individua alcun pericolo di lesione ad interessi pubblici o privati di rilevanza costituzionale, 
quali potrebbero essere la sicurezza o la salute pubblica . 
L�unico importante diritto con il quale potrebbe eventualmente ipotizzarsi un contrasto � quello 
dei figli di crescere in un ambiente familiare idoneo, diritto che corrisponde anche ad un indiscutibile 
interesse sociale. � chiaro tuttavia che tale interesse potrebbe incidere esclusivamente 
sul diritto delle coppie omosessuali coniugate di avere figli adottivi, diritto che � distinto, e 
non necessariamente connesso, rispetto a quello di contrarre matrimonio, tanto che alcuni ordinamenti 
stranieri, come si specificher� pi� avanti, pur introducendo il matrimonio tra omosessuali, 
hanno espressamente escluso il diritto di adozione; in ogni caso, nell'attuale 
ordinamento italiano ogni adozione di minorenni presuppone la valutazione di idoneit� affettiva 
e di capacit� genitoriale della coppia (si veda l�art. 6.2 della L. 184/1983), evidentemente funzionale 
alla valutazione dell�interesse del minore adottando, essendo cos� esclusa ogni automaticit� 
tra il matrimonio, la richiesta di adozione e la decisione del Tribunale per i minorenni. 
Il secondo parametro di riferimento da prendere in esame, strettamente connesso al precedente, 
� quello di cui all�art. 3 della Costituzione, che vieta ogni discriminazione irragionevole, conferendo 
a tutti i cittadini �...pari dignit� sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, 
di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali�, impegnando lo Stato a 
�...rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libert� e 
l�eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana...� Essendo, 
per quanto sopra rilevato, il diritto di contrarre matrimonio un momento essenziale di espressione 
della dignit� umana, si ritiene che esso debba essere garantito a tutti, senza discriminazioni 
derivanti dal sesso o dalle condizioni personali (quali l�orientamento sessuale), con 
conseguente obbligo dello Stato d'intervenire in caso di impedimenti all�esercizio. 
Ne consegue che se lo scopo del principio di cui all�art. 3 della Costituzione � vietare irragionevoli 
disparit� di trattamento, la norma - implicita nel nostro sistema - che esclude gli omosessuali 
dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, cos� seguendo il 
proprio orientamento sessuale (n� patologico, n� illegale), non abbia alcuna giustificazione 
razionale, soprattutto se raffrontata con l�analoga situazione delle persone transessuali, che, 
ottenuta la rettificazione di attribuzione di sesso in applicazione della l. 14.4.1982 n. 164 possono 
contrarre matrimonio con persone del proprio sesso di nascita. Al riguardo va rammentato
328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
che la coerenza con la Costituzione della legge n. 164/1982 � stata riconosciuta dalla Corte 
Costituzionale con la sentenza n. 165 del 6.5.1985 e che le valutazioni espresse dalla Corte 
sulla norma sospettata d'incostituzionalit� confortano la tesi qui sostenuta, essendo stata riconosciuta 
la legittimit� costituzionale non tanto sulla base del fatto che i soggetti abbiano 
compiuto e portato a termine un trattamento medico-chirurgico e che vi sia stato il provvedimento 
del Tribunale (che tramite una sorta di fictio iuris attribuisce il sesso opposto), ma sulla 
base di argomenti di ben pi� ampio respiro. 
In particolare, la Corte ha definito l�orientamento del transessuale come �naturale modo di 
essere� sostenendo che la legge sospettata d�incostituzionalit� �si � voluta dare carico di questi 
�diversi� ponendo una normativa intesa a consentire l�affermazione della loro personalit� e 
in tal modo ad aiutarli a superare l�isolamento, l�ostilit� e l�umiliazione che troppo spesso li 
accompagnano nella loro esistenza cos� operando il legislatore italiano si � allineato agli orientamenti 
legislativi, amministrativi e giurisprudenziali, gi� affermati in numerosi Stati, fatti 
propri, all�unanimit� dalla Commissione della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo (decisione 
9 maggio 1978, nel caso Daniel OostenWijck contro Governo belga) e la cui adozione in tutti 
gli Stati membri della Comunit� � stata caldeggiata con una proposta di risoluzione presentata 
al Parlamento Europeo nel febbraio 1983 (...) la legge n. 164 del 1982 si colloca, dunque, 
nell�alveo di una civilt� giuridica in evoluzione, sempre pi� attenta ai valori, di libert� e dignit�, 
della persona umana�. 
In tale pronuncia si coglie l�attenzione della Corte nell�evidenziare le illegittime discriminazioni 
subite in precedenza dalle persone transessuali, con affermazioni pienamente mutuabili anche 
per gli omosessuali. La Corte � sembrata attenta a rispettare il principio secondo la quale il 
giudizio di costituzionalit� deve essere ancora pi� pregnante ove il sospetto riguardi categorie 
di persone che storicamente abbiano subito illegittime discriminazioni e che si debba presumere 
siano particolarmente suscettibili di subire ulteriori trattamenti ingiustificatamente sfavorevoli. 
Invero la legge n. 164 del 1982 ha profondamente mutato i connotati dell�istituto del matrimonio 
civile consentendone la celebrazione tra soggetti dello stesso sesso biologico d incapaci di procreare, 
valorizzando cos� l�orientamento psicosessuale della persona. Con riferimento all�assetto 
normativo sistematico delineato l�identit� di sesso biologico non pu� essere legittimamente invocata 
per escludere gli omosessuali dal matrimonio. Se � vero, infatti, che fattore meritevole 
di tutela � l�orientamento psicosessuale della persona, non appare in alcun modo giustificata la 
discriminazione tra coloro che hanno naturale orientamento psichico che li spinge ad una unione 
omosessuale, e non vogliono pertanto effettuare alcun interevento chirurgico di adattamento, n� 
ottenere la rettificazione anagrafica per conseguire un'attribuzione di sesso contraria al sesso 
biologico, - ai quali � precluso il matrimonio -, e i transessuali che sono ammessi al matrimonio 
pur appartenendo allo stesso sesso biologico ed essendo incapaci di procreare. 
D�altro canto, le opinioni contrarie al riconoscimento alla libert� matrimoniale tra persone 
dello stesso sesso, fatte proprie dall�Avvocatura dello Stato resistente, per giustificare la disparit� 
di trattamento invocano ragioni etiche, legate alla tradizione o alla natura. Si deve tuttavia 
obiettare che tali argomenti non sono idonei a soddisfare il rigore argomentativo richiesto 
dal giudizio di legittimit�, non solo perch�, come si � gi� messo in luce, i costumi familiari si 
sono radicalmente trasformati, ma soprattutto perch� si tratta di tesi alquanto pericolose 
quando si discute di diritti fondamentali, posto che l�etica e la natura sono state troppo spesso 
utilizzate per difendere gravi discriminazioni poi riconosciute illegittime; si pensi alla disuguaglianza 
tra i coniugi nel diritto matrimoniale italiano preriforma e al divieto delle donne 
di svolgere alcune professioni, entrambi fondati sulla convinzione che le donne fossero natu-
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 329 
ralmente pi� deboli; ancora, nell'esperienza anche attuale di altri Paesi, vanno ricordati il divieto 
di contrarre matrimoni interrazziali o interreligiosi e la punizione di atti sessuali tra omosessuali 
anche se privati, giustificati con la contrariet� all'etica, alla tradizione o addirittura 
alla religione. 
A ci� si aggiunga che, come si approfondir� pi� avanti, per i diritti degli omosessuali, cos� 
come per quelli dei transessuali, vi sono fortissime spinte, provenienti dal contesto europeo e 
sovranazionale, a superare le discriminazioni di ogni tipo, compresa quella che impedisce di 
formalizzare le unioni affettive. 
Tali sollecitazioni sono evidentemente tese a far s� che gli Stati introducano specifici supporti 
giuridici e non si limitino a mere affermazioni di principio; infatti, ogni difesa formale della 
libert�, priva di un reale supporto giuridico strutturale, � debole e priva di effettivit�, come 
insegna l�osservazione del cammino compiuto da altre categorie per raggiungere un livello 
accettabile di realizzazione dei propri diritti. Basti pensare, nell'esperienza italiana, a quanto 
� avvenuto per le persone detenute e per le persone affette da handicap: ci si riferisce, per i 
detenuti, alla c.d. riforma penitenziaria introdotta con la legge 26.7.1975 n. 354, con la quale 
il legislatore ha risposto con una normativa tra le pi� avanzate allo stimolo proveniente proprio 
da una storica sentenza della Corte Costituzionale dell�anno precedente (n. 204/1974), e per 
i disabili alla legge 5.2.1992 n. 104 (�Legge quadro per l�assistenza, l�integrazione sociale e 
i diritti delle persone handicappate�). 
Un�ulteriore giustificazione per negare il matrimonio omosessuale � spesso individuata nel disposto 
dell�art. 29, 1� comma della Costituzione, laddove si afferma che la Repubblica riconosce 
i diritti della famiglia come �societ� naturale fondata sul matrimonio�, essendosi ritenuto che 
con tale espressione si sia inteso tutelare il solo nucleo legittimo di carattere tradizionale, ossia 
l�unione di un uomo ed una donna suggellata dal vincolo giuridico del matrimonio. 
In realt�, il significato di tale espressione non � quello di riconoscere il fondamento della famiglia 
in un non meglio definito �diritto naturale�, quanto piuttosto di affermare la preesistenza 
e l�autonomia della famiglia - come comunit� originaria e pregiuridica -, dallo Stato, 
cos� imponendo dei limiti al potere del legislatore statale. 
Che questa fosse l�intenzione del legislatore storico � messo ben in luce negli atti relativi al 
dibattito svolto in seno all�Assemblea Costituente in relazione all�art. 29 Cost., come emerge 
dall'intervento dell�on. A. M. nel corso della adunanza plenaria del 15 gennaio 1947. In particolare, 
in relazione alla formula �la famiglia � una societ� naturale�, egli sottoline� che � ... 
non � affatto una definizione, anche se ne ha la forma esterna, in quanto si tratta in questo 
caso di definire la sfera di competenza dello Stato nei confronti di una delle formazioni sociali 
alle quali la persona umana d� liberamente vita�. Ed ancora: �Escluso che qui �naturale� 
abbia un significato zoologico o animalesco, o accenni ad un legame puramente di fatto, non 
si vuole dire con questa formula che la famiglia sia una societ� creata al di fuori di ogni vincolo 
razionale ed etico. Non � un fatto, la famiglia, ma � appunto un ordinamento giuridico e quindi 
qui �naturale� sta per �razionale�. D�altra parte non si vuole escludere che la famiglia abbia 
un suo processo di formazione storica, n� si vuole negare che vi sia sempre un pi� perfetto 
adeguamento della famiglia a questa razionalit� nel corso della storia; ma quando si dice �societ� 
naturale� in questo momento storico si allude a quell�ordinamento che, perfezionato attraverso 
il processo della storia, costituisce la linea ideale della vita familiare. Quando si 
afferma che la famiglia � una �societ� naturale�, si intende qualche cosa di pi� dei diritti della 
famiglia. Non si tratta soltanto di riconoscere i diritti naturali alla famiglia, ma di riconoscere 
la famiglia come societ� naturale, la quale abbia le sue leggi ed i suoi diritti di fronte ai quali
330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
lo Stato, nella sua attivit� legislativa, si deve inchinare. Era d�altra parte assai forte e recente 
il ricordo delle leggi razziali: il divieto di matrimonio di cittadini italiani di razza ariana con 
persone appartenenti ad altra razza, la subordinazione del matrimonio di cittadini italiani con 
persone di nazionalit� straniera al preventivo consenso del Ministero per l�Interno, il divieto 
per gli ebrei di sposarsi in terra italiana, l�obbligo d�improntare l�istruzione e l�educazione 
familiare al sentimento nazionale fascista, tutte norme dirette a salvaguardare uno specifico 
concetto di famiglia imposto dallo Stato. Proprio ricordando gli abusi compiuti a difesa di 
una certa tipologia di famiglia, i Costituenti intesero marcare il confine tra autonomia familiare 
e sovranit� statale, circoscrivendo i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua regolamentazione. 
Regolamentazione che � tuttavia consentita, rectius imposta, ai sensi del 2� comma 
dell�art. 29 Cost. e di quelli immediatamente seguenti, solo quando si rende necessario un intervento 
statale atto a garantire i valori, questi s� costituzionalizzati, dell�eguaglianza tra coniugi, 
dell�unit� familiare, del mantenimento, istruzione ed educazione dei figli. 
Il fatto che la tutela della tradizione non rientri nelle finalit� dell�art. 29 Cost. e che famiglia 
e matrimonio si presentino come istituti di carattere aperto alle trasformazioni che necessariamente 
si verificano nella storia, � poi indubitabilmente dimostrato dall�evoluzione che ha 
interessato la loro disciplina dal 1948 ad oggi. Il codice civile del 1942 recepiva un modello 
di famiglia basato su di un matrimonio indissolubile e su di una struttura gerarchica a subordinazione 
femminile; basti pensare al fatto che l�art. 143 parlava solo di obblighi reciproci e 
non di diritti, alla potest� maritale dell'art. 144, al dovere del marito di proteggere la moglie 
di cui all�art. 145, all�istituto della dote. Tale caratterizzazione autoritaria e gerarchica si traduceva, 
sul fronte penale, nella repressione del solo adulterio femminile, nella responsabilit� 
penale del marito solamente per abuso dei mezzi di correzione nei confronti della moglie, 
nella previsione del delitto d�onore, nell'estinzione del reato di violenza carnale a mezzo del 
matrimonio riparatore. Sono ben noti gli interventi della Corte Costituzionale a tutela dell�eguaglianza 
morale e giuridica dei coniugi, fra cui la storica sentenza n. 126/1968 che, nel 
dichiarare l�illegittimit� costituzionale dell�art. 559 comma 1 e 2 c.p. che puniva il solo adulterio 
della moglie, ha sottolineato proprio il mutamento della societ�, superando cos� il proprio 
orientamento precedente solo di pochi anni, con il quale, richiamandosi al �tradizionale concetto 
della famiglia, quale tuttora vive nella coscienza del popolo�, aveva dichiarato non fondata 
la medesima questione (sentenza n. 64/1961). Anche in questo caso � stata proprio la 
Corte Costituzionale ad aprire la strada ad una riforma del diritto di famiglia, attuata con la 
legge del 1975, effettivamente in linea con i principi di eguaglianza morale e giuridica dei 
coniugi, superando la tradizione ultramillenaria secondo la quale la donna nell�ambito della 
famiglia doveva rivestire un ruolo subordinato. Ancora, vanno menzionati la mancata costituzionalizzazione 
dell'indissolubilit� del matrimonio e la conseguente introduzione legislativa 
del divorzio, nonch� la progressiva attuazione per via legislativa (da ultimo con la l. 54/2006) 
del principio costituzionale di eguaglianza tra figli legittimi e figli naturali: tutti esempi che 
dimostrano come l�accezione costituzionale di famiglia, lungi dall�essere ancorata ad una conformazione 
tipica ed inalterabile, si sia al contrario dimostrata permeabile ai mutamenti sociali, 
con le relative ripercussioni sul regime giuridico familiare. 
Le considerazioni che precedono sul significato dell�espressione �societ� naturale� e sull�estraneit� 
della tutela del �matrimonio tradizionale� alle finalit� dell�art. 29 Cost. portano a ritenere 
prive di fondamento quelle tesi che giustificano l�implicito divieto di matrimonio tra persone 
dello stesso sesso ricorrendo ad argomenti correlati alla capacit� procreativa della coppia ed 
alla tutela della procreazione. Al riguardo sarebbe, peraltro, sufficiente sottolineare come n� la
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 331 
Costituzione, n� il diritto civile prevedano la capacit� di avere figli come condizione per contrarre 
matrimonio, ovvero l�assenza di tale capacit� come condizione di invalidit� o causa di 
scioglimento del matrimonio, essendo matrimonio e filiazione istituti nettamente distinti. 
Una volta escluso che sulla disposizione dell�art. 29 Cost. possa trovare fondamento il trattamento 
differenziato delle coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali, si ritiene che tale 
norma, proprio nel momento in cui attribuisce tutela costituzionale alla famiglia legittima - 
contribuendo essa, grazie alla stabilit� del quadro delle relazioni sociali, affettive ed economiche 
che comporta, alla realizzazione della personalit� dei coniugi -, lungi dal costituire un 
ostacolo al riconoscimento giuridico del matrimonio tra persone dello stesso sesso, possa assurgere 
ad ulteriore parametro, unitamente agli artt. 2 e 3, in base al quale valutare la costituzionalit� 
del divieto. 
Ulteriore riferimento costituzionale che rileva nella questione in esame �, pi� che quello di 
cui all�art. 10, 2� comma (suggerito dai ricorrenti) che riguarda la condizione giuridica dello 
straniero, quello di cui all'art. 117, 1� comma Cost., che vincola il legislatore al rispetto dei 
vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Vengono in rilievo 
al riguardo, quali norme interposte, innanzitutto gli artt. 8 (diritto al rispetto della vita 
privata e familiare), 12 (diritto al matrimonio) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione 
per la Salvaguardia dei Diritti dell�Uomo e delle Libert� Fondamentali. Con riferimento 
in particolare all�art. 8, la Corte Europea dei Diritti dell�Uomo ha accolto una nozione 
di �vita privata� e di tutela dell'identit� personale in essa insita, non limitata alla sfera individuale, 
bens� estesa alla vita di relazione, arrivando a configurare un dovere di positivo intervento 
degli Stati di rimediare alle lacune suscettibili di impedire la piena realizzazione 
personale. Sempre in relazione al medesimo articolo, nel caso Goodwin c. Regno unito, 
17/7/2002, la Corte di Strasburgo ha dichiarato contrario alla Convenzione il divieto di matrimonio 
del transessuale con persona del suo stesso sesso originario, per violazione del principio 
di rispetto della vita privata, superando il proprio precedente orientamento con il quale 
aveva ritenuto che il diritto di sposarsi garantito dall�art.12 CEDU potesse essere riferito solo 
a persone di sesso biologico opposto (Rees c. Regno Unito, 17/10/1986). Va evidenziato come, 
nel cambiare il proprio orientamento, la Corte abbia fatto riferimento a quello che ha definito 
come �the very essence of the right to marry� e all'artificiosit� dell�idea che i soggetti transessuali, 
dopo l�operazione, non sarebbero privati del diritto di sposarsi, potendo comunque 
sposare una persona del sesso opposto a quello loro originario. In altre parole, la Corte ha riconosciuto 
che non ha senso essere titolari di un diritto al matrimonio, se poi non si pu� scegliere 
con chi sposarsi. Richiamando e ampliando quanto sopra sostenuto relativamente al 
valore di quanto affermato nella sentenza n. 161/1985 della Corte Costituzionale, va ribadito 
che sono evidenti le analogie esistenti tra la fattispecie in merito alla quale la Corte Europea 
� stata chiamata ad esprimersi e quella del matrimonio omosessuale: anche le persone omosessuali 
non sono, formalmente, private del diritto di sposarsi con una persona del sesso opposto, 
ma � chiaro che non � a questo tipo di matrimonio al quale ambiscono al fine di 
realizzare la propria personalit�. 
Sempre con riguardo all�art. 117, 1� comma Cost., e specificamente in relazione all�obbligo per 
il legislatore statale e regionale di rispettare i vincoli posti dall�ordinamento comunitario, si deve 
ricordare come anche la Carta di Nizza sancisca i diritti al rispetto della vita privata e familiare 
(art. 7), a sposarsi ed a costituire una famiglia (art. 9) e a non essere discriminati (art. 21) fra i 
diritti fondamentali dell�Unione Europea. � interessante, peraltro, notare come l�art. 9 non contenga 
(deliberatamente secondo quanto affermato nelle �spiegazioni� della stessa Carta), a dif-
332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
ferenza dell'art. 12 CEDU, alcun riferimento �l�uomo e la donna�. Ora, � vero che la Carta di 
Nizza non assume valore vincolante, non essendo stato ratificato il Trattato di Lisbona nell'ambito 
del quale era stata inserita, tuttavia, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza, anche 
costituzionale, essa ha �carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti europei� (Corte 
Cost., sentenza n. 135/2002) e costituisce nella prassi un importante punto di riferimento sia per 
le istituzioni europee che per l'attivit� interpretativa dei giudici europei. 
Non si devono dimenticare in quest'ambito nemmeno gli atti delle Istituzioni Europee che da 
tempo invitano gli Stati a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al matrimonio di coppie 
omosessuali ovvero al riconoscimento di istituti giuridici equivalenti, atti che rappresentano, 
indipendentemente dal loro valore giuridico, la presa di posizione a favore del riconoscimento 
del diritto al matrimonio, o comunque, in termini pi� generali, alla unificazione legislativa, 
nell�ambito degli Stati membri, della disciplina dettata per la famiglia legittima da estendersi 
alle unioni omosessuali. Fin dal 1981, con la raccomandazione n� 924 del 1.10.1981, l�Assemblea 
Parlamentare del Consiglio d�Europa aveva sentito la necessit� di garantire la libert� 
di scelta dell�orientamento sessuale di ciascun individuo nonch� la dignit� delle coppie omosessuali 
all�interno della Comunit�. Sono seguite poi la Risoluzione sulla parit� dei diritti 
delle persone omosessuali nella Comunit� Europea in data 8.2.1994 con la quale il Parlamento 
europeo ha apertamente individuato come obiettivo delle azioni comunitarie la rimozione 
degli �ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto giuridico 
equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione 
delle unioni�, la Risoluzione sul rispetto dei diritti umani nell�Unione Europea del 
16.3.2000 con cui il Parlamento europeo ha chiesto �agli Stati membri di garantire alle famiglie 
monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parit� di diritti rispetto 
alle coppie sposate e alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di 
legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali�. Da ultimo, merita menzione anche 
la recentissima risoluzione del 14 gennaio 2009 sulla situazione dei diritti fondamentali nell�Unione 
Europea 2004-2008 che ha invitato gli Stati membri che si sono dotati di una legislazione 
relativa alle coppie dello stesso sesso a riconoscere le norme adottate da altri Stati 
membri e aventi effetti analoghi, ha esortato la Commissione a presentare proposte che garantiscano 
l�applicazione, da parte degli Stati membri, del principio di riconoscimento reciproco 
per le coppie omosessuali, sposate o legate da un�unione civile registrata, nella 
fattispecie quando esercitano il loro diritto alla libera circolazione previsto dal diritto dell�Unione 
Europea e ha invitato gli Stati membri che non l�abbiano ancora fatto, in ottemperanza 
al principio di parit�, ad adottare iniziative legislative per eliminare le discriminazioni 
cui sono confrontate alcune coppie in ragione del loro orientamento sessuale (par. 75-77). 
Infine, si deve prendere atto di come, in linea con tali risoluzioni del Parlamento Europeo e a 
conferma degli ormai consolidati mutamenti dei modelli e dei costumi familiari, nel diritto di 
molte nazioni di civilt� giuridica affine alla nostra, si stia delineando una nozione di relazioni 
familiari tale da includere le coppie omosessuali. In Olanda (l. 1/4/2001), Belgio (l. 1/6/2003) 
e Spagna (l. 30/6/2005) � stato rimosso tout court il divieto di sposare una persona dello stesso 
sesso; altri Paesi prevedono un istituto riservato alle unioni omosessuali (ci si riferisce alle 
Lebenspartnerschaft tedesche e alle registered partnership inglesi) con disciplina analoga a 
quella del matrimonio, o al quale � stata semplicemente estesa la disciplina matrimoniale, con 
l�esclusione, talvolta, delle disposizioni inerenti la potest� sui figli e l�adozione (Svezia, Norvegia, 
Danimarca, Finlandia, Islanda). Fra i Paesi che ancora non hanno introdotto il matrimonio 
o forme di tutela paramatrimoniali, molti comunque prevedono forme di registrazione
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 333 
pubblica delle famiglie di fatto, comprese quelle omosessuali (Francia, Lussemburgo, Repubblica 
Ceca). 
� sulla base di tutte le considerazioni esposte che il Tribunale � giunto al convincimento della 
non manifesta infondatezza della questione di illegittimit� costituzionale, pur parzialmente 
modificando i parametri di riferimento rispetto a quelli indicati dai ricorrenti, delle norme di 
cui agli artt. 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis e 231 c.c. laddove, sistematicamente interpretate, 
non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio 
con persone dello stesso sesso; valuter� la Corte, qualora ritenesse la questione fondata, se vi 
sia la necessit� di estendere la pronuncia anche ad altre disposizioni legislative interessate in 
via di consequenzialit� ai sensi dell�art. 27 della L. 87/1953. 
In punto di rilevanza, si osserva che l�applicazione delle norme indicate � evidentemente ineliminabile 
nell�iter logico-giuridico che questo remittente deve percorrere per la decisione: 
infatti, in caso di dichiarazione di fondatezza della questione cos� come sollevata, il rifiuto 
alle pubblicazioni - la cui richiesta dimostra inequivocabilmente la volont� di contrarre matrimonio 
- dovrebbe ritenersi, in assenza di altra causa di rifiuto, illegittima, mentre, in caso 
di non accoglimento, l�attuale stato della normativa imporrebbe una pronuncia di rigetto del 
ricorso. Per completezza si osserva che, a fronte del rifiuto alla pubblicazione da parte dell�ufficiale 
dello stato civile, essendo la pubblicazione una formalit� necessaria per poter procedere 
alla celebrazione del matrimonio, non � individuabile alcun altro procedimento 
nell'ambito del quale valutare la questione. 
P.Q.M. 
Visti gli artt. 134 Costituzione della Repubblica, 1 legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 e ss. 
della legge 11 marzo 1953 n. 87, 
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale 
degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis, nella parte in cui, sistematicamente interpretati, 
non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio 
con persone dello stesso sesso, per contrasto con agli artt. 2, 3, 29 e 117, 1� comma 
della Costituzione, 
Dispone l�immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, sospendendo il procedimento 
in corso. 
** *** ** 
Note critiche sul relativismo giuridico 
I due provvedimenti in commento ci offrono la possibilit� di esaminare 
i fondamenti della tutela giuridica e sociale del matrimonio. 
Con il primo, la Corte di Appello di Brescia, confermando una decisione 
del Tribunale di Bergamo, ha riconosciuto la legittimit� di un rifiuto dell�ufficiale 
di stato civile di procedere alla pubblicazione di un matrimonio tra 
omosessuali, tenuto conto che, secondo il sentire comune, �il matrimonio � 
una unione formale e stabile tra un uomo e una donna, essenzialmente diretta 
alla procreazione e all�educazione dei figli� (cos� il provvedimento del Tri-
334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
bunale di Bergamo, confermato dalla Corte). 
La Corte, in particolare, respingendo la relativa questione di costituzionalit�, 
ha precisato che la Costituzione �non contempla il matrimonio tra le 
esplicazioni della personalit� umane da garantire (artt. 2 e 3), n� rivolge attenzione 
a tale istituto giuridico se non, in via indiretta, attraverso l�art. 29 , 
ove nel prevedere espressamente la tutela della famiglia e del principio di 
uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (quest�ultima affermazione direttamente 
collegata alla eterosessualit� dell�unione ed alla tradizionale disparit� 
di fatto e di diritto tra maschio e femmina) fa riferimento all�istituto del 
matrimonio solo quale necessario presupposto per la tutela cos� accordata�. 
La Corte ha anche chiarito che spetterebbe, in ogni caso, al legislatore di 
predisporre �istituti giuridici idonei a tutelare e regolamentare, con strumenti 
anche assimilabili a quelli previsti in materia matrimoniale, unioni non riconducibili 
al modello tradizionale del matrimonio e non necessariamente caratterizzate 
dall�identit� di sesso dei loro partecipanti� 
Con il secondo il Tribunale di Venezia, sollevando una specifica questione 
di legittimit� costituzionale delle disposizioni del codice civile italiano che 
non consentono il matrimonio tra omosessuali, ha ritenuto che non ha �alcuna 
giustificazione razionale�, la norma, �implicita nel nostro sistema, che esclude 
gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso 
sesso�. 
Il Tribunale ha ritenuto che �il diritto di sposarsi configura un diritto fondamentale 
della persona, riconosciuto sia dalla Costituzione sia a livello sovranazionale�. 
E poich� �la libert� di sposarsi (o di non sposarsi) e di scegliere il coniuge 
autonomamente riguarda la sfera dell�individualit��, quella di sposarsi 
sarebbe �una scelta sulla quale lo Stato non pu� interferire, a meno che non vi 
siano interessi prevalenti incompatibili�, non essendo sussistenti �alcun pericolo 
di lesione ad interessi pubblici o privati di rilevanza costituzionale, quali 
potrebbero essere la sicurezza o la salute pubblica�, cos� come sarebbe stabilito 
anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell�Uomo, dalla Carta 
dei diritti fondamentali dell�Unione Europea e dalla Costituzione (in particolare 
gli articoli 2 e 3). 
Alla base delle istanze di coloro che chiedono una radicale riforma del 
diritto di famiglia, nel senso di provvedere al riconoscimento formale delle 
coppie omosessuali sembra esserci il desiderio di considerare il matrimonio 
ed ogni altra unione stabile tra individui, anche dello stesso sesso, non gi� un 
fatto sociale - quale esso � -, bens� un fatto �privato�, degno tuttavia di ricevere 
una piena tutela da parte dell�ordinamento. 
Gli omosessuali, cos� come hanno il diritto a non subire alcuna discriminazione 
a causa della loro identit�, hanno anche il diritto che i loro legami affettivi 
abbiano lo stesso riconoscimento dei corrispondenti legami
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 335 
eterosessuali. 
Questo punto di vista sembra essere del tutto ragionevole, tenuto conto 
dell�evoluzione del pensiero giuridico e sociale e, nel provvedimento di Venezia, 
� stato ricostituito in maniera molto ben articolata e con dotti riferimenti. 
Come � stato, di recente, precisato dal prof. D�Agostino, presidente dei 
giuristi cattolici e gi� Presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, in un articolo 
pubblicato su �L�Osservatore romano�, in questa visuale si intrecciano, 
per la verit�, punti di vista differenti tra loro. 
Alcuni (i c.d. liberazionisti) muovono dalla necessit� di considerare ormai 
obsoleto e repressivo l�istituto del matrimonio, sicch� �per ricomprendere in 
se stesso l�unione tra omosessuali, il matrimonio legale dovrebbe essere �depubblicizzato�, 
reso cio� sempre pi� simile a un mero con tratto di diritto privato, 
che per definizione va affidato nei suoi contenuti concreti alla pi� piena 
disponibilit� dei contraenti�: questa istanza � diretta ad iniziare una vera e 
propria battaglia libertaria, che teorizza un nuovo modello di convivenza di 
tipo essenzialmente individualistico, liberata dal peso del diritto. 
Secondo altri (i c.d. liberali), sarebbe �definitivamente tramontato l�ideale 
(o l�illusione) di un�etica (e in particolare di un�etica sessuale) universalmente 
condivisa e meritevole quindi di essere tutelata istituzionalmente�(cos� ancora 
D�Agostino), cos� che diritto non dovrebbe e potrebbe privilegiare alcuna 
forma privata di vita, ma dovrebbe riconoscerle tutte, senza nessuna discriminazione. 
Il diritto dovrebbe cos� perdere la propria innata caratteristica di formalizzare 
e garantire in maniera obiettiva gli istituti meritevoli di tutela per la 
societ�, per mettersi al servizio esclusivo dell�individuo e dei suoi privati e 
insindacabili desideri. 
Questa visuale - di tipo essenzialmentente relativistico - istintivamente 
non soddisfa, tenuto conto che non tutte le istanze ed i rapporti tra privati sono 
�giuridizzabili�: l�amicizia, pur se apprezzabile, pacificamente non � meritevole 
di tutela giuridica perch�, appunto, fatto privato. 
Per il matrimonio non � cos�: la scelta di un uomo ed una donna di unirsi 
in matrimonio non risponde ad un criterio individualistico, trattandosi di un 
istituto che preesiste alla volont� dei coniugi e che si fonda, piuttosto, su un 
riconoscimento pubblico, che tutti gli ordinamenti nazionali ed in tutte le epoche, 
hanno ritenuto di difendere. 
Ma, sotto questo profilo, la difesa del matrimonio eterosessuale da parte 
del diritto non � in funzione del semplice legame affettivo che lega i coniugi, 
ma si spiega per la necessit� di difendere il bene superiore della famiglia, cio� 
della cellula fondamentale della societ�, istituzione che non � soggetta a condizionamenti 
culturali, economici, sociali. 
Come viene chiarito in un documento della Congregazione per la dottrina
336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
della fede, �Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle 
unioni tra persone omosessuali�, �Nessuna ideologia pu� cancellare dallo spirito 
umano la certezza secondo la quale esiste matrimonio soltanto tra due 
persone di sesso diverso, che per mezzo della reciproca donazione personale, 
loro propria ed esclusiva, tendono alla comunione delle loro persone. In tal 
modo si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e 
alla educazione di nuove vite�. 
L�intuizione di tutti gli ordinamenti giuridici, ed in tutte le epoche, � 
quella che la difesa del matrimonio, per cos� dire, tradizionale, si spiega perch� 
il matrimonio, per sua struttura, regolamenta l�esercizio della sessualit� al fine 
di garantire l�ordine delle generazioni. 
Nella nostra Costituzione, gli artt. 29-31 sono, appunto, dedicati ai �Rapporti 
etico-sociali� e riconoscono �i diritti della famiglia come societ� naturale 
fondata sul matrimonio�, e tale riconoscimento � in funzione della tutela delle 
nuove generazioni. 
Gli artt. 30 e 31, in particolare, rendono evidente che la tutela della famiglia 
� preordinata alla tutela della c.d. parte debole della famiglia, che per molti 
anni � stata essenzialmente la �moglie� (matrimonio significa, propriamente, 
tutela della madre), oggi a seguito della riforma del diritto di famiglia, i figli, 
�anche se nati al di fuori del matrimonio� (art. 30), s� da garantire ad essi una 
adeguata difesa anche �nei casi di incapacit� dei genitori�. 
Le disposizioni del codice civile non si limitano a regolare i rapporti tra 
i coniugi, ma si dilungano a tutelare i figli, specie nelle situazioni di conflitto 
(si pensi ai provvedimenti in materia di affidamento dei figli in casi di separazione) 
o di precariet� (adozione). 
In una parola, il nostro ordinamento tutela il matrimonio in vista della tutela 
della sopravvivenza della specie. 
Pi� in generale, in tutti gli ordinamenti la famiglia � laicamente vista come 
il �luogo� privilegiato in cui gli essere umani acquistano una propria identit� 
(di mariti e mogli, padri e madri, figli e figlie). 
Gli stessi psicologi riconoscono pacificamente la necessit� di un bambino 
di avere una famiglia in cui siano presenti i ruoli sia del padre che della madre, 
che - in modo complementare - sono in grado di assicurargli una crescita normale, 
ordinata e completa. 
Queste caratteristiche, in un legame tra omosessuali, non possono costitutivamente 
essere presenti, trattandosi di un legame oggettivamente sterile 
(non sterile di fatto, come nelle coppie eterosessuali). 
Il diritto, in questo senso, prescindendo da ogni giudizio etico, � chiamato 
a chiarire le ragioni per le quali non possono estendersi al rapporto tra 
omosessuali gli stessi principi e la medesima tutela del matrimonio eterosessuale, 
trattandosi di situazioni del tutto diverse tra loro e non equiparabili, 
anche alla luce di quanto disposto dagli artt. 2 e 3 Cost.
IL CONTENZIOSO NAZIONALE 337 
Oltre che essere assente qualsiasi giudizio morale, non vi � alcuna discriminazione 
per i legami omosessuali, essendo - al contrario - pacifico che il 
diritto comune riconosce alle coppie omosessuali, oltre che a quelle di fatto, 
alcuni diritti, (e si pu� anche pensare di estendere ancora di pi� questi diritti), 
senza che sia necessario introdurre nel codice nuovi istituti (cos� si pensi al 
testamento, alla locazione della casa comune, all�acquisto in comune della 
propriet� di un bene, ad alcuni diritti in ambito sanitario, ecc). 
N� questa discriminazione pu� essere rinvenuta nella circostanza che alcuni 
di questi diritti devono essere attivati dalle persone conviventi di fatto, 
essendo questa caratteristica tipica del principio - questo s� moderno e laico 
- di autonomia della persona. 
Viene da pensare che il provvedimento di Venezia (cos� come gli argomenti 
utilizzati da alcuni giuristi) siano piuttosto diretti ad un riconoscimento, 
per cos� dire, �simbolico� delle unioni omosessuali, ma si tratta di una petizione 
che non pu� trovare ingresso in un rigoroso ragionamento giuridico. 
Il giurista deve, al contrario, interrogarsi sulle conseguenze che un istituto 
pu� portare alla evoluzione dell�ordinamento e ha il dovere di rigettare la richiesta 
di tutela, non perch� sia insensibile, tutte le volte che intuisce che tale 
tutela si risolve � come sembra nel caso di specie - in un danno e in un indebolimento 
delle strutture portanti della societ�. 
Avv. Vincenzo Rago* 
(*) Avvocato dello Stato.
P A R E R I D E L C O M I TAT O 
C O N S U LT I V O 
A.G.S. - Parere del 2 febbraio 2009 prot. n. 33508 - Richiesta interessi 
per tardivo rimborso spese legali. (Avv. Massimo Bachetti - AL 19546/05). 
�In riferimento alla nota di cui sopra relativa alla pretesa da parte del funzionario 
in oggetto del pagamento degli interessi sulla tardiva corresponsione 
del rimborso delle spese legali, si rappresenta quanto segue. 
1- Il Dott. L. F., funzionario di codesta Agenzia, ha chiesto la corresponsione 
di interessi per il tardivo rimborso delle spese legali dallo stesso sostenute 
sia per un giudizio penale che per quello da responsabilit� amministrativo 
contabile relative a parcelle liquidate dal Consiglio dell�Ordine degli avvocati 
di Venezia rispettivamente in data 8/9/2003 e 18/10/2004. 
Il predetto funzionario afferma di aver maturato il credito per interessi 
essendo intervenuto il relativo pagamento solo nel maggio 2006. 
L�Avvocatura distrettuale di Venezia con nota prot. 32805 del 10.3.2005, 
diretta per conoscenza anche a questa Avvocatura generale, in risposta alla 
nota prot. n. 10.01.2005/03/10 dell�Agenzia delle Entrate comunicava che 
l�istanza di rimborso spese in argomento era di competenza dell�Avvocatura 
Generale. Con nota datata 4 aprile ricevuta da questa avvocatura il 14.04.2005 
l�Agenzia delle Entrate D.R. Veneto trasmetteva l�istanza del dott. F. con relativa 
documentazione facendo peraltro presente che nonostante i ripetuti inviti 
l�interessato non avrebbe prodotto le fonti documentali che comprovino l�effettivo 
svolgimento dell�attivit� difensiva in quanto la liquidazione operata 
dal consiglio forense avrebbe reso ultronea ogni ulteriore indagine. 
Con raccomandata dell�1l aprile 2005 pervenuta il 14.04.2005 il legale 
del dott. F. inviava a questa Avvocatura la documentazione in suo possesso 
relativa al giudizio avanti alla Corte dei Conti. Alla predetta comunicazione 
non faceva seguito alcun sollecito da parte del Dott. F. 
Con successiva nota del 28/11/2005 prot. nn. 159641 e 159635 questa 
Avvocatura esprimeva il proprio parere di congruit� relativamente al giudizio 
pendente avanti alla Corte dei Conti mentre non si � in alcun modo pronunciata
340 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
n� � stata investita di specifica richiesta relativamente al giudizio penale. 
2- Le spese legali de quibus sono state rimborsate ai sensi dell�art. 2 bis 
della legge n. 639 del 1996 che recita �In caso di definitivo proscioglimento ai 
sensi di quanto previsto dal comma 1 dell�articolo 1 della legge 14 gennaio 
1994, n. 20, come modificato dal comma 1 del presente articolo, le spese legali 
sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate 
dall�amministrazione di appartenenza�. 
La norma ovviamente va coordinata con la disposizione generale dell�art. 
21 comma 1 del regolamento di amministrazione dell�Agenzia delle Entrate, il 
quale stabilisce, senza prevedere alcun termine per la definizione del procedimento, 
che �1�Agenzia, nella tutela dei propri diritti ed interessi ove si verifichi 
l�apertura di un procedimento di responsabilit� civile, penale ed amministrativo 
- contabile nei confronti del dipendente, per fatti od atti compiuti nell�adempimento 
dei compiti d�ufficio eroga al dipendente stesso, su sua richiesta 
e previo parere di congruit� dell�Avvocatura Generale dello Stato, il rimborso�. 
Il Consiglio di Stato ha affermato che �il vaglio di congruit� dell�organo 
o legale dello Stato costituisce esercizio di una discrezionalit� tecnica conferita 
dalla legge il che comporta la sua sindacabilit� in sede giurisdizionale limitatamente 
all�attendibilit� dei criteri tecnici prescelti e del procedimento applicativo� 
(ex multis, CdS sez. VI n. 5367/2004). 
Da tale principio deriva, come logico corollario, che il credito per rimborso 
spese legali sostenuto dai dipendenti diventa liquido a seguito del giudizio di 
congruit� dell�Avvocatura dello Stato, prima del quale non � possibile una 
quantificazione dell�esatto ammontare con la conseguente operativit� del principio 
di cui all�art. 1182 c.c.. (�i crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro 
producono interessi di pieno diritto salvo che la legge disponga diversamente�). 
Si pone per� il problema di stabilire se il rimborso in esame sia esigibile 
dal momento in cui viene reso all�amministrazione il parere di congruit� oppure 
sia necessario attendere la definizione del procedimento con l�atto che riconosce 
il diritto al rimborso da parte dell�amministrazione di appartenenza del dipendente. 
La questione va affrontata alla luce della giurisprudenza sia ordinaria 
(Cass.Sez.Unite 478 del 2006 ) che amministrativa (Consiglio di Stato sez. IV 
1681/07) che ha riconosciuto al beneficio del rimborso delle spese legali in favore 
dei dipendenti pubblici sottoposti a giudizi di responsabilit� civile penale 
ed amministrativa la natura giuridica di diritto soggettivo. Ci� implica che il 
riconoscimento del rimborso non ha effetto costitutivo dell�obbligazione che 
diviene liquida con il parere dell�Avvocatura dello Stato. 
Per quanto attiene al verificarsi del requisito ultimo della esigibilit�, si rileva 
che, non risultando a questa Avvocatura dello Stato uno specifico regolamento 
dell�Agenzia delle Entrate sul procedimento amministrativo, va applicato
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 341 
il termine generale di 90 giorni stabilito dall�art. 2 comma 3 legge 241 del 1990, 
che decorre dalla data in cui l�amministrazione riceve il parere dell�Avvocatura 
dello Stato. 
Si evidenzia, infine, che l�insorgenza del credito per interessi � subordinata 
alla effettiva corresponsione del compenso da parte del richiedente al proprio 
legale per l�attivit� professionale svolta e la decorrenza del termine di 90 giorni 
per il pagamento presuppone la previa produzione della quietanza di pagamento 
della somma di cui si chiede il rimborso. 
Nel caso di specie, non risulta che l�interessato abbia prodotto quietanza 
di pagamento del proprio legale contestualmente alla presentazione della istanza 
di rimborso provvedendo a tale incombenza solo al momento del pagamento 
da parte dell�amministrazione. 
Alla luce dei criteri suesposti, questa Avvocatura ritiene che non siano ravvisabili 
le condizioni per l�insorgenza del credito per interessi sulle spese legali 
rimborsate�. 
A.G.S. - Parere del 21 aprile 2009 prot. n. 124398 - Ricorso avverso 
cartella esattoriale, Nuova Tirrena S.p.A. c. Ministero Sviluppo Economico 
(Avv. Federica Varrone - AL 39982/08). 
�La Nuova Tirrena s.p.a., in data 29.7.1999, ha emesso polizza fideiussoria 
n. 403.566 a garanzia della restituzione delle anticipazioni provvisorie concesse 
da codesto Ministero alla Conceria San Salvator di Pierro Pompeo Carlo s.n.c. 
in forza della L. 488/1992. 
A seguito della revoca del decreto di concessione provvisoria, ed in assenza 
di restituzione di quanto indebitamente percepito, codesto Ministero, in 
esecuzione del provvedimento di revoca delle agevolazioni, ha provveduto ad 
attivare le procedure di recupero coattivo del credito a mezzo Concessionario 
per la Riscossione, con conseguente notifica all�impresa garante della cartella 
di pagamento. 
Avverso detta cartella la Nuova Tirrena s.p.a. ha proposto opposizione lamentandone 
l�illegittimit� per difetto di titolo esecutivo. 
In particolare, l�impresa ha eccepito che, nella specie, codesta Amministrazione 
non avrebbe potuto procedere all�iscrizione a ruolo del credito ai sensi 
dell�art. 21 del D.Lgs. 46/99, in quanto la pretesa creditoria scaturirebbe da un 
rapporto di diritto privato - consistente nella prestazione della garanzia fideiussoria 
riguardante l�erogazione delle agevolazioni previste dalla L. 488/92 a 
favore di un impresa destinataria del provvedimento ministeriale di revoca delle 
stesse - e che, quindi, sarebbe stato necessario ottenere previamente un titolo 
esecutivo. 
342 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
La Nuova Tirrena s.p.a. ha eccepito, inoltre, l�inapplicabilit� nei propri 
confronti dell�art. 24, comma 32, della L. 449/1997, secondo cui �il provvedimento 
di revoca delle agevolazioni disposte dal Ministro dell�Industria, del 
Commercio e dell�Artigianato in materia di incentivi all�impresa costituisce titolo 
per l�iscrizione a ruolo, ai sensi dell�art. 67, comma 2, del D.P.R. 28 gennaio 
1988, n. 43, e successive modificazioni, degli importi corrispondenti degli 
interessi e delle sanzioni�, in quanto detta norma si riferirebbe solo al diretto 
destinatario del provvedimento di revoca e non anche all�impresa garante. 
Il Tribunale di Roma ha disposto la sospensione della cartella esattoriale 
condividendo le argomentazioni difensive della ricorrente. 
Pi� precisamente, il Tribunale ha rilevato che per le entrate aventi causa 
in rapporti di diritto privato, come quelle oggetto di esame, l�iscrizione a ruolo 
� ammissibile solo in presenza di un titolo avente efficacia esecutiva, carente 
nella specie, e che l�art. 24, comma 32, D.Lgs. 449/1997 � applicabile solo nei 
confronti del soggetto beneficiario del contributo e non anche nei confronti 
dell�assicurazione garante. 
Ci� posto, considerati i recenti approdi giurisprudenziali, non sembra pi� 
sostenibile la tesi, rimarcata da codesta Amministrazione, secondo cui il provvedimento 
di revoca costituisce, ai sensi dell�art. 24, comma, 32, D.Lgs. 
449/1997, valido titolo esecutivo anche nei confronti delle imprese garanti alle 
quali � stato indirizzato. 
Al riguardo si osserva quanto segue. 
In via preliminare occorre evidenziare che, secondo la giurisprudenza di 
legittimit�, il rapporto intercorrente tra codesta Amministrazione e le imprese 
garanti ha natura privatistica e, conseguentemente, le entrate aventi causa in 
detto rapporto, ai sensi dell�art. 21 del D.Lgs. 46/1999, possono essere iscritte 
a ruolo solo �quando risultano da titolo avente efficacia esecutiva�. 
La Corte Suprema di Cassazione, ha, al riguardo, avuto modo di precisare 
che l�obbligazione fideiussoria e l�obbligazione principale sono autonome sia 
da un punto di vista soggettivo che oggettivo, in quanto il fideiussore � estraneo 
al rapporto richiamato dalla garanzia e la relativa obbligazione ha ad oggetto 
non la restituzione del contributo ma il pagamento di una somma equivalente 
per l�ipotesi di mancato adempimento del debitore principale, e, pertanto, il recupero 
dei contributi, avendo causa in un rapporto di diritto privato, pu� essere 
effettuato, ai sensi dell�art. 21 del D.Lgs. 46/1999, solo previa formazione di 
titolo esecutivo (Cass. SS.UU. 2655/2008). 
Posta, pertanto, la necessit� di un titolo esecutivo per procedere all�iscrizione 
a ruolo nei confronti delle imprese garanti, occorre chiarire se detto titolo 
possa essere costituito, ai sensi dell�art. 24, comma 32, della L. 449/1997, dal 
provvedimento di revoca dei contributi. 
E� noto che la giurisprudenza di merito non condivide l�opzione ermeneutica 
prospettata da codesta Amministrazione, e sostenuta dalla Scrivente nei
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 343 
numerosi giudizi pendenti, secondo cui il provvedimento di revoca costituisce 
titolo esecutivo anche nei confronti dell�impresa garante alla quale � stato indirizzato 
(cfr. ex multis, Corte di Appello di Roma, sentenza n. 4827/07; Tribunale 
di Roma sentenze nn. 16112/08; n. 6226/08; 14600/08; n. 20946/08; 
24868/04; Tribunale di Potenza n. 910/06; Tribunale di Napoli n. 10280/03; 
Tribunale di Roma ordinanze depositate in data 4.2.2009, G.I. dott. Oddi; 
9.1.2008, G.I. dott. Pontecorvo; 10.3.2008 G.I. dott.ssa Battisti; 10.4.2008, G.I. 
dott. Sacco). 
I principali argomenti posti a base delle pronunce giurisprudenziali sono 
i seguenti. 
In primo luogo si ritiene che l�efficacia soggettiva del titolo esecutivo (rectius, 
del provvedimento di revoca) non pu� estendersi a soggetti diversi dal diretto 
destinatario (o suo erede). In particolare, si afferma che il provvedimento 
di revoca ha efficacia limitata ai rapporti fra l�Amministrazione che eroga il 
contributo ed il beneficiario dello stesso, e soltanto nei rapporti tra tali soggetti 
pu� assumere valenza di titolo esecutivo per la restituzione delle somme erogate, 
mentre rispetto all�assicuratore ha semplicemente il valore di condizione 
sospensiva dell�attivazione della garanzia fideiussoria. La societ� garante �, infatti, 
totalmente estranea rispetto all�intero procedimento di attribuzione e successiva 
revoca del beneficio e la comunicazione della disposta revoca � 
effettuata al solo fine dell�attivazione della garanzia. 
Si osserva, inoltre, che l�art. 24, comma 32, della L. 449/1997, proprio in 
quanto derogante ad un principio generale di segno opposto sancito dall�art. 21 
del D.Lgs. 467/1999, non pu� essere esteso oltre i casi in esso specificamente 
previsti. 
Considerato che il provvedimento di revoca ha effettivamente quale unico 
destinatario il beneficiario e non anche il garante al quale � meramente comunicato, 
tenuto conto del carattere eccezionale dell�art. 24, comma 32, della L. 
449/1997, non appare pi� utilmente sostenibile la tesi che possa procedersi all�iscrizione 
a ruolo dei crediti nei confronti delle imprese obbligate in virt� 
della polizza fideiussoria sulla base del solo provvedimento di revoca. 
A conforto di quanto esposto si richiama anche l�art. 28 del D.L. 185/2008, 
convertito in Legge, con modificazioni, dall�art. 1, L. 28 gennaio 2009, n. 2, 
che dispone che �le pubbliche amministrazioni di cui all�articolo 1, comma 2, 
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, escutono le fideiussioni e le polizze 
fideiussorie a prima richiesta acquisite a garanzia di propri crediti di importo 
superiore a duecentocinquanta milioni di euro entro trenta giorni dal 
verificarsi dei presupposti dell�escussione; a tal fine, esse notificano al garante 
un invito, contenente l�indicazione delle somme dovute e dei presupposti di 
fatto e di diritto della pretesa, a versare l�importo garantito entro trenta giorni 
o nel diverso termine eventualmente stabilito nell�atto di garanzia. In caso di 
inadempimento del garante, i predetti crediti sono iscritti a ruolo, in solido
344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
nei confronti del debitore principale e dello stesso garante, entro trenta giorni 
dall�inutile scadenza del termine di pagamento contenuto nell�invito�. 
Dalla lettura della citata previsione normativa si possono, infatti, trarre 
due ordini di considerazioni. 
In primo luogo si evince che il legislatore ammette la possibilit� per l�Amministrazione 
di procedere, senza titolo esecutivo, all�iscrizione a ruolo dei 
propri crediti nei confronti delle imprese garanti e dei debitori in via del tutto 
eccezionale, in quanto ci� � consentito solo per crediti di ingente valore (duecentocinquanta 
milioni di euro). 
In secondo luogo la possibilit� di procedere all�iscrizione a ruolo, senza 
titolo esecutivo, nei confronti delle imprese garanti � stata prevista �expressa 
verbis�. 
Alla luce di quanto esposto, al fine di evitare ogni possibile contestazione 
da parte del garante, appare opportuno che alla formazione del titolo esecutivo 
si pervenga tramite procedimento per decreto ingiuntivo di cui agli artt. 633 e 
ss. cpc, interessando l�Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova la sede 
dell�ente garante�. 
A.G.S. - Parere del 20 maggio 2009 prot. n. 159414 - Obbligo da parte dei 
pubblici ufficiali di segnalare alla Procura della Repubblica gli obiettori di 
coscienza che, seppure precettati, non hanno svolto il servizio di leva. (Avv. 
Luca Ventrella - AL 26186/08). 
�In ordine al quesito posto con la nota in epigrafe, esaminata la documentazione 
trasmessa, si osserva quanto segue. 
Deve ritenersi - conformemente ai pi� recenti arresti giurisprudenziali 
della Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass., sez. I, 9 marzo 2007, n. 12363; 
16 novembre 2006, n. 42399) - che le innovazioni legislative di cui alla L. 14 
novembre 2000, n. 331 e successive integrazioni non abbiano abolito totalmente 
il servizio di leva militare obbligatoria, bens� ne abbiano soltanto limitato 
l�operativit� a specifiche situazioni e a casi eccezionali, di modo che non 
pu� considerarsi intervenuta l�abolitio criminis del reato relativo al rifiuto di 
prestare il servizio di leva, essendo invece tuttora vigente l�art. 14 della L. 8 
luglio 1998 n. 98 che tale reato prevede. 
La Suprema Corte ha pi� volte, di recente, affermato che la nuova normativa 
non avrebbe comportato la totale e generalizzata eliminazione del servizio 
militare obbligatorio (che � ancora previsto in riferimento a specifiche 
situazioni e a determinati casi eccezionali), ma avrebbe avuto piuttosto un effetto 
parzialmente abrogativo, tale da determinare la modificazione del contenuto 
del precetto penale, il quale non ricomprenderebbe pi� la condotta
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 345 
penalmente sanzionata dalle disposizioni di leggi precedenti. 
Le nuove disposizioni produrrebbero �riflessi peraltro anche per i giovani 
nati precedentemente e che non avevano risposto alla chiamata o avevano rifiutato 
di prestare il servizio di leva prima di averlo assunto, applicandosi 
anche in tal caso la disposizione pi� favorevole al reo, salvo che sia stata pronunciata 
sentenza irrevocabile� (Cass. pen. Sez. I, n. 12363/2007). 
Se � vero dunque che l�esito cui si giunge �, in ogni caso, quello di un�assoluzione 
perch� il fatto non � pi� previsto dalla legge come reato, in quanto 
�l�intervenuta sospensione del servizio militare di leva ridisegna la fattispecie 
penale del delitto di rifiuto della relativa prestazione eliminando il disvalore 
sociale della condotta incriminata� (Cass. pen. Sez. I, n. 25812/2007), � pur 
vero che - in mancanza, allo stato, di una pronuncia sul punto delle Sezioni 
Unite ed in attesa di un ulteriore consolidamento della giurisprudenza � tale 
orientamento della Suprema Corte non pu� ancora considerarsi alla stregua di 
�diritto vivente�. 
Allo stato, sembra dunque preferibile ritenere che i pubblici ufficiali siano 
ancora tenuti, ai sensi dell�art. 331 c.p.p., a denunciare alla competente Procura 
della Repubblica tutti gli obiettori che, seppur precettati, non abbiano adempiuto 
all�obbligo di leva, non potendo, peraltro, riconoscersi in capo ai medesimi 
pubblici ufficiali alcuna competenza in merito alla determinazione 
dell�attuale (ambito di) vigenza delle norme penali poste a tutela dell�obbligo 
di prestare il servizio civile; determinazione che invece spetta - in mancanza 
di un�espressa abrogazione - esclusivamente all�autorit� giudiziaria nell�esercizio 
della funzione giurisdizionale. 
Del resto, la stessa circostanza - segnalata da codesto Ufficio Nazionale 
per il Servizio Civile - secondo cui le Amministrazioni interessate spesso non 
sono in grado di accertare se il comportamento omissivo sia da attribuire a 
�rifiuto del servizio� oppure se sussistano condizioni tali da giustificare la 
mancata presentazione in servizio, non pu� che confermare la necessit� (e comunque 
l�opportunit�), de jure condito, di rimettere le relative valutazioni alla 
competente autorit� giudiziaria. 
Sul presente parere � stato sentito l�avviso del Comitato Consultivo di 
cui alla legge 103/79, che si � espresso in conformit� �.
R E C E N S I O N I 
FEDERICO BASILICA e FIORENZA BARAZZONI, Diritto 
amministrativo e politiche di semplicifazione. 
(Maggioli Editore, 2009) 
L�evoluzione del diritto amministrativo � sempre pi� influenzata dalle politiche 
di semplificazione. Nel volume si descrive tale evoluzione, facendo riferimento 
all'ordinamento comunitario, all�influsso della cooperazione in 
ambito Ocse e all�analisi comparata tra i principali sistemi giuridici europei. 
Nella prima parte si esaminano le iniziative assunte delle istituzioni comunitarie 
con il programma di Better Regulation, che punta non solo sulla riduzione 
dell�acquis communautaire, ma anche sulla consultazione, sull�analisi d'impatto 
della regolazione e sulla misurazione e riduzione degli oneri amministrativi. 
La seconda parte � dedicata alla semplificazione in ambito nazionale, 
all�Action plan e agli strumenti introdotti dal legislatore per ridurre l�eccesso 
di regolamentazione, eliminare gli oneri burocratici e accellerare i tempi dell'azione 
amministrativa. Gli autori mettono in risalto l�importante ruolo del 
Consiglio di Stato e il �dialogo� istituzionale tra Stato, Regioni e Autonomie 
locali, e tra Governo e Parlamento, attraverso la Commissione parlamentare 
per la semplificazione della legislazione. 
Nell�ambito della semplificazione normativa si analizzano lo strumento 
del �taglia-leggi� e le altre misure contenute nel decreto-legge n. 112 del 2008 
e nelle leggi n. 9 e n. 69 del 2009 volte ad assicurare l�accessibilit� del sistema 
e la �chiarezza dei testi normativi�. 
La parte conclusiva del volume si occupa della semplificazione ammini- 
Federico Basilica, Avvocato dello Stato. 
Fiorenza Barazzoni, Dirigente generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
348 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
strativa, illustrando le riforme intervenute in materia di procedimento amministrativo, 
di digitalizzazione della pubblica amministrazione, nonch� gli istituti 
di semplificazione e liberalizzazione, che a vario titolo hanno trovato 
collocazione nelle novelle alla legge 241 del 1990. Particolare attenzione � 
dedicata alle novit� contenute nel decreto-legge n.112 del 2008 e nella legge 
n. 69 del 2009, tra le quali spiccano il programma di misurazione e di riduzione 
degli oneri amministrativi e le iniziative dirette alla riduzione dei tempi dell�attivit� 
amministrativa, che fanno leva sulla responsabilizzazione dei dirigenti 
pubblici. 
Prefazione di Franco Gaetano Scoca* 
Il bel libro di Federico Basilica e Fiorenza Barazzoni affronta con grande 
competenza un tema molto attuale in un sistema giuridico in cui i testi normativi 
sono sottoposti a continue riforme e il diritto amministrativo � alla ricerca 
di un equilibrato assetto delle regole sul procedimento amministrativo, che 
consenta il giusto contemperamento tra esigenze di celerit� e speditezza ed 
esigenze di garanzia dei destinatari e di ottimizzazione dell�interesse pubblico. 
� ormai generalmente riconosciuta, sia in ambito internazionale che nazionale, 
l�importanza delle politiche di semplificazione al fine di migliorare 
l�efficienza della pubblica amministrazione, sostenere la competitivit� del 
Paese ed alleggerire gli oneri per cittadini ed imprese. 
Gli Autori spiegano, con ampi riferimenti, come la semplificazione sia 
gradualmente divenuta sinonimo di �qualit� della regolazione� o di better regulation, 
secondo l�espressione in voga negli ambienti comunitari, attraverso 
strumenti che operano sul sistema normativo non solo ex post ma anche ex ante. 
L�esigenza di una normazione di qualit� implica coerenza e chiarezza delle regole 
da un punto di vista giuridico-formale, sia per gli operatori che per i cittadini, 
che non possono essere ritenuti responsabili dell�applicazione di regole 
su cui anche le amministrazioni e i giudici rivelano contraddizioni o incertezze. 
Si tratta di un aspetto di grande rilevanza che trova nel libro una sua compiuta 
e articolata ricostruzione, dalla quale emerge l�importanza di pervenire a regole 
�di qualit�� anche sul piano della essenzialit� e minore onerosit� della normazione 
da un punto di vista economico-sostanziale, per cui una regola deve essere 
introdotta solo quando sia considerata indispensabile e se i benefici che si presumono 
siano superiori ai costi che ne possono derivare. 
� difficile non condividere la tesi esposta nel libro che, forte di solidi agganci 
dottrinali, ritiene che, pur in mancanza di un espresso riferimento nella 
Carta fondamentale, alla qualit� e alla chiarezza della regolamentazione possa 
(*) Professore ordinario di Diritto amministrativo presso l�Universit� degli Studi di Roma �La 
Sapienza�, Membro del Comitato scientifico della Rassegna.
RECENSIONI 349 
essere attribuito valore costituzionale per la loro connessione con le istanze 
di certezza del diritto, nonch� con il principio di uguaglianza davanti alla 
legge. 
Per gli Autori, l�intelligibilit� e l�accessibilit� del diritto non sono che un 
mezzo per garantire lo scopo ultimo della protezione delle libert� costituzionalmente 
garantite. 
Si tratta di temi che impegnano il costituzionalista e l�amministrativista, 
ma che richiedono lo sforzo congiunto anche di economisti ed esperti di statistica 
per i connessi profili di analisi di impatto della regolazione e misurazione 
degli oneri amministrativi. 
Gli strumenti essenziali della better regulation trovano nel libro di Federico 
Basilica e Fiorenza Barazzoni una puntuale e chiara illustrazione: il 
ruolo di ciascuno di essi viene ricostruito sia in ambito comunitario che in 
ambito nazionale e a tale analisi viene affiancata l�esposizione della prospettiva 
comparata degli strumenti ex ante ed ex post di qualit� della normazione 
in Europa. 
La parte conclusiva illustra diffusamente le riforme che sono intervenute 
di recente sul procedimento amministrativo e gli istituti di semplificazione e 
liberalizzazione, che a vario titolo hanno trovato collocazione nelle novelle 
del 2005 alla legge 241/1990, con un occhio attento anche alle novit� contenute 
nella manovra finanziaria del quarto Governo Berlusconi, che ha di recente 
licenziato un disegno di legge (Delega al Governo finalizzata 
all�ottimizzazione della produttivit� del lavoro pubblico - Atto Senato n. 847) 
ed un decreto-legge (d.l. 25 giugno 2008, n. 112 - Disposizioni urgenti per lo 
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione 
della finanza pubblica e la perequazione tributaria) che contengono iniziative 
di grande impatto sul piano della semplificazione amministrativa (si pensi alla 
discussa previsione di un indennizzo per ritardo dell�azione amministrativa) 
e della riduzione dell�inflazione legislativa (che ruota intorno allo strumento 
del c.d. taglia-leggi). 
Il libro non trascura la prospettiva comparatistica del fenomeno preso in 
esame e l�importanza della multilevel regulatory policy, ritenendo che le politiche 
e i meccanismi di coordinamento tra i diversi livelli di governo siano 
essenziali per lo sviluppo di una regolazione di alta qualit�. 
� stata in tal senso preziosa l�esperienza maturata sul campo dagli Autori, 
che in ambito OCSE hanno partecipato ai lavori del Gruppo Regulatory Management 
and Reform, sulla riforma della regolazione nei Paesi membri e non 
membri; in ambito comunitario hanno seguito i lavori del Consiglio Competitivit� 
e Crescita, con riferimento all�Agenda di Lisbona ed in particolare alle 
iniziative inerenti la c.d. Better Regulation; nell�ambito della cooperazione informale 
tra Ministri e Direttori Generali della Pubblica Amministrazione degli 
Stati membri dell�Unione Europea hanno partecipato alle attivit� dei Direttori
350 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
generali della Funzione Pubblica e del gruppo europeo dei Direttori per la Better 
Regulation. 
E infine, nell�ultimo lustro, hanno seguito, con varie responsabilit� e in 
posizione di primo piano, le attivit� del Governo italiano in materia di semplificazione, 
prendendo parte nel 2007 alla stesura del primo Piano d�azione 
italiano per la semplificazione e la qualit� della regolazione. 
Si tratta, in conclusione, di una opera utile, aggiornata e pienamente convincente. 
** *** ** 
RENATO FEDERICI, Guerra o diritto? Il diritto umanitario e i 
conflitti armati tra ordinamenti giuridici. 
(Editoriale Scientifica, 2009) 
La guerra come strumento alternativo al diritto nella composizione dei 
contrasti politici ed economici nonch� come conseguenza di scelte sociali e 
religiose dei popoli, � contrapposta alla regolazione giuridica. 
Il recente e pregiatissimo studio del Prof. Renato Federici giunge alla dimostrazione 
dell�alternativit� assoluta tra guerra e diritto, attraverso la nota 
teoria di Santi Romano sugli ordinamenti giuridici, e dopo aver affermato che 
il genere prossimo del diritto � la guerra. 
Attraverso un�approfondita disamina del pensiero filosofico e dell�evoluzione 
della scienza giuridica l�Autore perviene ad una definizione di 
�guerra� intesa come negazione del diritto, la cui descrizione fenomenica � 
spiegabile quale conflitto tra ordinamenti giuridici. 
La tesi � rifiutando le teorie normativistiche inidonee a spiegare il rapporto 
antitetico sopra descritto � si pone come sviluppo dommatico ed applicazione 
metodologica della nota teoria di Santi Romano sugli ordinamenti 
giuridici. 
Ed infatti solo il relativismo sotteso alla citata teoria - l�esistenza di una 
pluralit� di ordinamenti come espressione di societ� organizzate e del loro reciproco 
riconoscimento - riesce a spiegare il rapporto antitetico della guerra 
rispetto al diritto ma al contempo e non senza paradosso, l�identit� di funzioni 
tra le due categorie concettuali. 
Diritto e guerra si pongono infatti come strumenti alternativi rispetto alla 
composizione dei conflitti, in un rapporto di regola ed eccezione nonch� di 
necessaria successione temporale di talch� dal fallimento del diritto si origina 
la guerra i cui esiti tornano ad essere consacrati da regole del diritto (di norma
RECENSIONI 351 
i Trattati di Pace) per il mantenimento dei nuovi equilibri socio - economici 
scaturiti dal conflitto armato. 
La dichiarata matrice filosofica � da ricondurre al pensiero di Platone, 
Kant, Montesquieu, e infine Bobbio che gi� prefiguravano nelle federazioni 
tra gli Stati il mezzo politico per scongiurare la guerra. 
La fiducia di fondo di tale impostazione � che ampliando la sfera di operativit� 
del �Diritto� anche nelle relazioni internazionali tra gli Stati, si possano 
limitare i conflitti armati, intesi come autodistruzione del genere umano e assassinio 
di massa. 
In questa logica, non vi � spazio alcuno per giustificare la violenza: non 
esiste n� la guerra giusta n� quella legittima. 
Considerato inoltre che lo �ius ad bellum� � inteso quale espressione della 
Sovranit� esterna degli Stati - presupponendo dunque il loro mutuo riconoscimento 
-l�evoluzione del Diritto internazionale conferma, sia pure con molta 
difficolt�, la volont� politica della Comunit� internazionale di �ripudiare� la 
guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. 
La conseguenza di tale teoria � la negazione del �Diritto bellico� inteso 
come pretesa di disciplinare giuridicamente l�uso della forza e il ricorso alla 
violenza collettiva ed organizzata. 
Se infatti la guerra � negazione assoluta e imprescindibile del diritto nella 
risoluzione dei conflitti tra ordinamenti giuridici non vi � spazio per una qualificazione 
del diritto bellico inteso come �regolazione� dell�uso della forza. 
Semmai i compiti di Difesa nazionale e di disciplina delle Forze Armate 
sono espressione di Diritto interno volto ad organizzare gli apparati militari e 
non gi� i �rapporti bellici�, in s� considerati. 
Parimenti il Diritto umanitario � una branca del Diritto internazionale inteso 
come apposizione di limiti esterni ed eccezionali all�uso della forza a tutela 
dei fondamentali diritti naturali dell�Uomo e nel rispetto di sentimenti 
umanitari, universalmente condivisi (trattamento dei prigionieri, principi di 
proporzionalit�, difesa delle popolazioni civili, etc.). 
L�indagine - di estremo rigore scientifico - si snoda attraverso la chiara 
descrizione del processo evolutivo del diritto nella civilt� Occidentale, in una 
logica, condivisibile, di stretta connessione con i processi storici di riferimento. 
In questa prospettiva, l�evoluzione del pensiero filosofico greco - che rappresenta 
il fondamento di un primigenio �diritto pubblico�, in ragione del suo 
riferimento alla polis - � legata alla nascita di forme di governo in senso �democratico�; 
di converso le varie manifestazioni del potere politico e la ritenuta 
necessit� del ricorso alla guerra sono analizzate all�interno del pensiero bellicista: 
dal De Vitoria a Shmitt. 
Analogamente, secondo l�Autore, lo sviluppo della scienza giuridica e la 
diatriba tra giusnaturalisti (capostipite Grozio) e giuspositivisti (Kelsen) trova 
fondamento nella necessit� di individuare all�interno degli Stati moderni, l�es-
352 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
senza di �diritti umani� universalmente riconosciuti. 
In questa prospettiva l�origine del Diritto internazionale moderno � ricondotto 
all�equilibrio politico scaturito all�esito dei Trattati di Westfalia che 
segnano il passaggio epocale verso la nascita degli Stati moderni ed una pi� 
matura laicizzazione del diritto. 
Al di l� degli esiti ai quali approda la ricerca, lo studio ha anche il grande 
merito di collegare l�evoluzione del pensiero filosofico e giuridico, nonch� 
l�evoluzione del diritto occidentale, secondo una chiara ed accessibile lettura 
della Storia. 
Profondo conoscitore degli eventi storici e del loro pi� remoto significato 
l�Autore individua un percorso di progressiva �laicizzazione� del diritto e del 
mutamento graduale degli Stati in senso �democratico�. 
Da qui, nello sfondo dell�indagine, la descrizione della storia dell�Uomo, 
attraverso il pensiero filosofico e giuridico: dalla concezione platonica contrapposta 
a quella aristotelica, ai lineamenti del diritto feziale dei Romani; 
segue la descrizione del pensiero bellicista funzionale alle ragioni del potere 
temporale della Chiesa Cattolica fino alla rottura del protestantesimo quale 
base ideologica dei nuovi equilibri scaturiti dai Trattati di Westfalia, passaggio 
fondamentale per la nascita degli Stati moderni e del Diritto Internazionale. 
L�ulteriore stadio di questo processo storico - all�esito degli orrori dei 
conflitti mondiali e della guerra atomica - � rappresentato dallo Statuto delle 
Nazioni Unite sottoscritto a S. Francisco il 26 giugno 1945 e volto a porre limiti 
indiretti alla sovranit� statale. 
In tale contesto la guerra � posta - di norma - al di fuori dei sistemi di risoluzione 
dei conflitti. 
In tale nuovo contesto internazionale, gli Stati dovrebbero evitare il ricorso 
alla guerra per risolvere i contrasti che possono insorgere tra di essi col 
rivolgersi alla comunit� che rappresenta tutti gli Stati per chiedere di risolvere 
le controversie. Tuttavia la recente storia dimostra che raramente gli Stati rinunciano 
alla loro sovranit� per sottomettersi al giudizio, ad esempio, dell�ONU. 
Ci� potrebbe far credere che la guerra possa essere considerata come 
un istituto eccezionale previsto dal diritto rispetto a quelli ordinari, per la risoluzione 
delle contese. Invero, il fatto che le moderne costituzioni (e quindi 
anche quella italiana) ripudino la guerra come metodo di risoluzione delle diatribe 
internazionali non rende per ci� stesso giuridico questo metodo. Inoltre, 
il fatto che uno Stato preveda la possibilit� di difendesi dall�attacco dell�aggressore, 
non rende giuridica la guerra, ma consente all�aggredito di rispondere 
con gli stessi metodi utilizzati dall�assalitore. I quali, si ribadisce, sono diversi 
da quelli giuridici, ma non per questo inidonei a definire la controversia a favore 
dell�uno o dell�altro dei contendenti. Per questo motivo, tanto la guerra 
quanto la rivoluzione armata sono criteri di autodifesa primordiali con i quali 
si crede di poter risolvere una disputa con l�uso della violenza bellica, e cio�
RECENSIONI 353 
con l�utilizzo della forza che si contrappone all�esercito nemico. 
A tal proposito, giova ricordare che per vivere in pace occorre l�accordo, 
mentre per scatenare la guerra � sufficiente che uno Stato aggredisca un altro. 
In altre parole, lo studio del Federici completa e chiarisce la nota definizione 
del Clausewitz (secondo cui la guerra consiste nella prosecuzione della politica 
con altri mezzi), nel senso che la guerra � la continuazione delle scelte politiche 
con strumenti diversi non solo da quelli politici ma anche da quelli giuridici. 
Antonella Anselmo* 
(*) Avvocato del Foro di Roma.
D O T T R I N A 
Rilevanza giuridica del deposito 
dell�istanza di prelievo nella applicazione 
della legge n.89/2001 
di Sara Caiazza* 
Con la promulgazione dell�art. 54 del d.l. n. 112 del 25 giugno 2008, convertito 
in legge n. 133 del 6 agosto 2008, secondo cui �la domanda di equa 
riparazione non � proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo 
in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all�art. 2, comma 1, 
legge 24 marzo 2001, n. 89, non � stata presentata una istanza ai sensi dell�art. 
51 del Regio decreto 17 agosto 1907, n. 642� (Regolamento per la procedura 
dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), il legislatore affronta 
la questione giuridica relativa alla rilevanza del mancato deposito dell�istanza 
di prelievo, ai fini della proponibilit� della domanda di equa 
riparazione ex lege n. 89/2001, che abbia ad oggetto l�eccessiva durata di un 
giudizio amministrativo. 
ComՏ noto, la legge 89/2001 (la cd. �Legge Pinto�) ha introdotto in Italia 
(anche a seguito delle pressioni esercitate dagli organi del Consiglio d�Europa, 
oltre che, soprattutto, dalla CEDU, presso cui veniva depositato un numero 
sempre maggiore di ricorsi �italiani�) il diritto all�equa riparazione per chiunque 
ritenga di avere subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, per effetto 
del mancato rispetto del termine di ragionevole durata del processo, 
previsto dall�art. 6 della Convenzione Europea sui Diritti dell�Uomo e delle 
libert� fondamentali, ratificata in Italia con la legge del 4 agosto 1955, n. 848 
(*) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura distrettuale dello 
Stato di Napoli.
356 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
(cos� come modificata dalla legge 1 agosto 1973, di introduzione del citato 
art. 6). 
Altrettanto noto � che l�art. 51, comma 2, del Regio decreto n. 642/1907, 
nello stabilire che �nello stesso decreto di fissazione di udienza il Presidente 
pu�, ad istanza di parte o d�ufficio, dichiarare il ricorso urgente�, prevede la 
possibilit�, in capo al ricorrente del giudizio amministrativo, di produrre 
un�istanza al fine di far dichiarare il ricorso urgente, onde ottenerne la trattazione 
anticipata, scavalcando cos� il criterio cronologico di iscrizione delle 
domande di fissazione dell�udienza di discussione, previsto in via ordinaria. 
L�istanza di prelievo rappresenta, dunque, un indice, non solo, dell�urgenza 
del ricorso amministrativo, ma anche, dell�interesse della parte ad una 
pi� sollecita definizione del giudizio. 
Allo stato, pertanto, la questione, relativa alla rilevanza del mancato deposito 
dell�istanza di prelievo nel corso di un giudizio amministrativo del quale 
si lamenti l�irragionevole durata a norma della legge 89/2001, viene risolta 
dal legislatore nel senso della improcedibilit� della domanda di equa riparazione, 
nell�ipotesi, appunto, di carenza di tale requisito. 
L�art. 54 citato, prima facie, potrebbe far pensare che il legislatore abbia 
recepito l�orientamento giurisprudenziale (precedente alla sentenza delle 
SS.UU. n. 28507/2005) secondo cui il mancato deposito dell�istanza di prelievo 
doveva essere interpretato alla luce di quanto previsto dall�art. 2, comma 
2, della legge 89/2001, che, nel dare rilevanza, ai fini dell�accertamento della 
violazione, anche al comportamento delle parti, escludeva l�addebitabilit� 
all�Amministrazione dei tempi di eccessiva durata imputabili alla condotta 
della parte che non si era avvalsa dello strumento acceleratorio posto a sua disposizione: 
sosteneva la giurisprudenza, infatti, che solo a decorrere dal deposito 
dell�istanza di prelievo, l�eventuale ulteriore tempo decorso avrebbe 
potuto essere valutato dalla Corte di Appello adita al fine di giudicare della 
ragionevole durata (ex multis: Corte di Cassazione, sentenze nn. 22503/2004; 
6180/2003; 15992/2002; 15445/2002). 
Il predetto orientamento, comՏ noto, cambiava poi radicalmente (anche 
in adesione a quello ripetutamente espresso dalla Corte di Strasburgo, presso 
cui nuovamente venivano ad essere depositatati ricorsi italiani), con la sentenza 
della Corte di Cassazione n. 23187/2004 del 13 dicembre 2004, a cui 
hanno aderito le SS.UU. della Corte di Cassazione, con la sentenza del 23 dicembre 
2005, n. 28507/2005. 
Innovando la precedente interpretazione, la Corte di Cassazione escludeva 
che nei procedimenti davanti ai tribunali amministrativi regionali il ritardo riferibile 
all�organo di giustizia e la connessa insorgenza del diritto all�equa riparazione 
potessero essere configurabili soltanto se ed a partire dalla data in 
cui veniva depositata l�istanza di prelievo ed osservava che �il processo amministrativo 
richiede, dopo il deposito del ricorso, un solo necessario infun-
DOTTRINA 357 
gibile impulso di parte costituito dalla presentazione nei due anni dal deposito 
del ricorso (...) di una apposita istanza di fissazione, in mancanza della quale 
la causa si estingue per perenzione; una volta presentata tale istanza, infatti, 
il processo � dominato dal potere di iniziativa del giudice�. Tuttavia, veniva 
nel contempo evidenziato, che il mancato o ritardato deposito dell�istanza de 
quo potesse avere influenza sotto il diverso profilo della quantificazione dell�equa 
riparazione (1). 
Questo il quadro giurisprudenziale esistente, allorch� � intervenuta la disposizione 
normativa di cui all�art. 54 del d.l. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008, 
all�inizio citata che individua nel mancato deposito una condizione di procedibilit� 
del ricorso. 
In ordine alla sfera di applicabilit� dell�art. 54, legge 133/2008, occorre 
distinguere tra i giudizi introdotti precedentemente alla entrata in vigore della 
legge, da quelli introdotti successivamente. 
Per quanto concerne i primi, sia che siano stati gi� decisi, ovvero siano 
solo pendenti, in assenza di deroghe specifiche da parte del legislatore, � da 
ritenersi applicabile l�ordinario principio del tempus regit actum. Sul punto, 
del resto, � gi� intervenuta la Corte di Cassazione, 1 sez., con la recente sentenza 
n. 25421, del 17 ottobre 2008, che ha cos� chiarito: �In difetto di una disciplina 
transitoria e di esplicite previsioni contrarie, va infatti data continuit� 
all�orientamento di questa Corte, secondo il quale il principio dell�immediata 
applicabilit� della legge processuale concerne soltanto gli atti processuali 
(1) In relazione a tale indirizzo, interessante � stata la reazione della giurisprudenza della Corte 
di Appello di Napoli. Infatti, mentre alcuni decreti hanno interpretato il mancato deposito dell�istanza 
di prelievo, come circostanza del tutto irrilevante ai fini sia del riconoscimento del diritto, sia della quantificazione 
dell�indennizzo (cfr., ex multis, Corte di Appello di Napoli, 3 sez. civile, dr. Di Ruggiero, 
decreto n. 6742/2008 v.g); altri decreti, in conformit� con l�orientamento espresso dalle SS.UU., hanno 
interpretato tale mancato deposito esclusivamente come elemento configurabile un �concorso di colpa� 
della parte nell�avere determinato l�irragionevole durata; concorso di colpa sanzionato con una riduzione 
(in genere del 50%) dell�indennizzo annuo (cfr. ex multis Corte di Appello di Napoli, 2 sez. civile, dr. 
Di Mauro, decreto n. 1089/2007 v.g.). 
In altri decreti, invece, il mancato deposito dell�istanza � stato valutato sotto il profilo della carenza di 
interesse della parte ad una pi� sollecita prosecuzione del giudizio e, pertanto, si sono conclusi con il rigetto 
del ricorso (sul punto, cfr. Corte di Appello di Napoli, 3 sez. civile, dr. Piantadosi decreto n. 
8702/2007 v.g.). 
In particolare, secondo tale ultimo isolato orientamento, la mancata presentazione dell�istanza di prelievo 
se non esclude la sussistenza del diritto all�equa riparazione, non soltanto influisce sulla determinazione 
della relativa misura, ma pu� assumere valore sintomatico della mancanza di plausibili attese circa la 
verosimile fondatezza della pretesa esperita. Tale indirizzo si segnala per avere posto l�accento, ai fini 
della valutazione circa la fondatezza della domanda, sul concetto di inerzia del ricorrente che non abbia 
assunto tutte le iniziative offerte dal legislatore al fine di ottenere una pi� sollecita prosecuzione del giudizio. 
Con la 1. n. 133/2008, art. 54, invece, il legislatore sposta il thema detidendum per la Corte, dall�esame 
del comportamento inerte - rilevante, con riferimento all�art. 2, comma 2, legge 89/2001, ai fini della 
valutazione circa la fondatezza della domanda - ad un profilo squisitamente processuale, agevolando, 
cos�, il compito del giudice, tenuto ad una pi� rapida decisione.
358 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
successivi alla entrata in vigore della legge stessa, come ha affermato anche 
la Corte Costituzionale (sentenza n. 155/1990), quindi non incide su quelli 
anteriormente compiuti, i cui effetti, in virt� del principio tempus regit actum, 
restano regolati dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti in essere�. 
Per tutti i giudizi introdotti prima della entrata in vigore della 1. 133/08 
potr� considerarsi ancora valido, pertanto, l�orientamento consolidatosi con 
la sentenza delle SS.UU. n. 28507/05. 
Per quanto concerne i giudizi introdotti successivamente alla entrata in 
vigore dell�art. 54 della legge 133/08, si pone il problema della sfera di applicazione 
di quest�ultimo allorch� si lamenti l�eccessiva durata di giudizi amministrativi, 
ancora pendenti, con istanza di prelievo depositata dopo la entrata 
in vigore del predetto art. 54. 
Invero, con la disposizione in parola, il legislatore, ponendo una condizione 
di procedibilit� in ordine alla istanza di prelievo, esclude che tutto il periodo 
precedente al deposito di quest�ultima possa essere valutato; con la 
conseguenza che il periodo di fisiologica durata del processo amministrativo 
comincer� a decorrere successivamente al deposito dell�istanza e che, pertanto, 
un�eventuale eccessiva durata del processo potr� verificarsi solo dopo il decorso 
dei tre anni dal deposito della predetta istanza. 
Una differente interpretazione, del resto, renderebbe la norma priva di un 
campo di applicazione.
DOTTRINA 359 
"L�ingiustizia costituzionalmente qualificata" 
"a tipicit� elastica" e l�opzione "qualitativa" 
della "gravit� del danno" 
e della "seriet� della lesione" 
Il danno non patrimoniale nel seguito di SS.UU. 
11 novembre 2008 
di Pasquale Fava* 
SOMMARIO: 1.- La �tipicit� elastica� che fonda l��ingiustizia costituzionalmente qualificata� 
nella tripartizione categoriale delle �previsioni di legge� di cui all�art. 2059 c.c.: (la 
configurazione del danno non patrimoniale secondo Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 
26972/3/4/5). 2.- Le perplessit� riconnesse ad un�interpretazione quantitativa della �gravit� 
del danno� e della �seriet� della lesione� perorante un�inedita regola �de minimis�. 2.1- 
(Segue) L�accoglimento di una prospettiva qualitativa che impone una valutazione giudiziale 
pi� rigorosa sulle conseguenze lesive di natura esistenziale. 3.- Il seguito giurisprudenziale 
delle decisioni Carbone-Preden del 2008: la posizione delle Sezioni Unite e della Sezione 
prima. 3.1- (Segue) Le decisioni della Sezione terza. 3.2.- L�orientamento della Corte dei 
conti, del Consiglio di Stato e dei giudici civili di merito. 4.- Considerazioni finali: periscono 
le vesti del �danno esistenziale� ma la sua ontologia si reincarna in quello biologico (come 
sua componente personalizzante) e morale (nella sua nuova e pi� ampia configurazione). 
1. La �tipicit� elastica� che fonda l��ingiustizia costituzionalmente qualificata� 
nella tripartizione categoriale delle �previsioni di legge� di cui all�art. 2059 
c.c.: (la configurazione del danno non patrimoniale secondo Cass., sez. un., 
11 novembre 2008, n. 26972/3/4/5) 
L�analisi sistematica della giurisprudenza di legittimit� intervenuta dopo 
le decisioni Carbone-Preden dell�11 novembre 2008 (1) attesta la sostanziale 
condivisione del modello proposto dal Supremo Collegio di nomofilachia se- 
(*) Giudice della Corte dei Conti 
(1) Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974 e 26975, in Foro it., 2009, I, 120 
ss. con commento di A. PALMIERI, La rifondazione del danno non patrimoniale, all�insegna della tipicit� 
dell�interesse leso (con qualche attenuazione) e dell�unitariet�, di R. PARDOLESI, R. SIMONE, Danno esistenziale 
(e sistema fragile): �die hard�, e G. PONZANELLi, Sezioni unite: il �nuovo statuto� del danno 
non patrimoniale, in Giur. it., 2009, 61-72, con commento di G. CASSANO, Danno non patrimoniale ed 
esistenziale: primissime note critiche a Cassazione civile, Sezioni unite, 11 novembre 2008, n. 26972, 
259-261 e di V. TOMARCHIO, L�unitariet� del danno non patrimoniale nella prospettiva delle Sezioni 
Unite, 318-325,in Corr. giur., 2009, 48 ss., con commento di M. FRANZONI, Il danno non patrimoniale
360 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
condo cui le lesioni inferte a situazioni soggettive costituzionalmente protette 
(antecedentemente etichettate come danni esistenziali) non devono essere risarcite 
come categoria formalmente autonoma bens� a titolo di danno biologico 
o di danno morale nella sua nuova e pi� ampia configurazione. 
Le decisioni in rassegna hanno pienamente condiviso la tripartizione delle 
categorie di �previsioni di legge� (che consentono la liquidazione dei danni 
non patrimoniali contemplati dall�art. 2059 c.c.) e la natura giuridica �tipicamente 
elastica� di quella fondata su un��ingiustizia costituzionalmente qualidel 
diritto vivente, in Danno resp., 2009, 19 ss., con commento di A. PROCIDAMIRABELLI DI LAURO, Il 
danno non patrimoniale secondo le Sezioni unite. Un �de profundis� per il danno esistenziale?, di S. 
LANDINI, Danno biologico e danno morale soggettivo nelle sentenze della Cass. SS.UU. 26972, 26973, 
26974, 26975/2008, di C. SGANGA, Le Sezioni unite e l�art. 2059 c.c.: censure, riordini e innovazioni 
del dopo principio. 
Per la descrizione e l�inquadramento sistematico delle decisioni P. FAVA, Lineamenti storici, comparati 
e costituzionali del sistema di responsabilit� civile verso la European Civil Law, e G. DE ANGELIS, Il 
danno risarcibile (contrattuale, extracontrattuale e precontrattuale) ed il nesso di causalit�. La tutela 
per equivalente pecuniario: funzioni, tipologie e tecniche liquidative del risarcimento danni, in P. FAVA, 
La responsabilit� civile, Milano, Giuffr�, 2009. 
In dottrina, altres�, AA.VV., Il danno non patrimoniale. Guida commentata alle decisioni delle S.U., 11 
novembre 2008, n. 26972/3/4/5, Milano, Giuffr�, 2009; C. CASTRONOVO, Danno esistenziale: il lungo 
addio, in Danno resp., 2009, 5 ss.; P.G. MONATERI, Il pregiudizio esistenziale come voce del danno non 
patrimoniale, in Riv. civ. prev., 2009, 56 ss.; E. NAVARRETTA, Il valore della persona nei diritti inviolabili 
e la complessit� dei danni non patrimoniali, , in Riv. civ. prev., 2009, 63 ss.; S. PATTI, Le Sezioni Unite 
e la parabola del danno esistenziale, in Corr. giur., 2009, 415 ss.; D. POLETTI, La dualit� del sistema risarcitorio 
e l�unicit� della categoria dei danni non patrimoniali, in Riv. civ. prev., 2009, 76 ss.; C. SCOGNAMIGLIO, 
Il sistema del danno non patrimoniale dopo le decisioni delle Sezioni Unite, in Resp. civ. 
prev., 2009, ss.; G. VETTORI, Danno non patrimoniale e diritti inviolabili, in www.personamercato.it; P. 
ZIVIZ, Il danno non patrimoniale: istruzioni per l�uso, in Riv. civ. prev., 2009, 94 ss. 
Con le predette decisioni le Sezioni unite hanno avallato un sistema misto a tipicit� �stretta� ed �elastica� 
che ammette il risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. in presenza di: 1) un fatto 
astrattamente sussumibile all�interno di una fattispecie criminale (art. 185 c.p.), 2) una previsione specifica 
di legge che contempli espressamente la risarcibilit� del danno non patrimoniale e 3) un��ingiustizia 
costituzionalmente qualificata� chiarendo, in conformit� con quanto altrove gi� rilevato (P. FAVA, 
La rivitalizzazione costituzionalmente orientata del rapporto obbligatorio: gli orientamenti della giurisprudenza 
costituzionale, di quella di legittimit� e della scienza giuridica italiana, in ID., Le obbligazioni. 
Diritto sostanziale e processuale, Milano, Giuffr�, 2008, 153-213, nonch� ID., Personalismo 
costituzionale, drittwirkung e �tutela risarcitoria minima� delle situazioni soggettive costituzionalmente 
garantite: l�art. 2059 c.c. � norma a tipicit� �stretta�, �elastica� oppure atipica? (La protezione degli 
interessi e dei valori della persona umana attraverso il danno esistenziale di nuovo al cospetto delle 
Sezioni Unite), in Riv. Corte conti, 2007, 316-326, ove si era concluso per il rigetto della tesi della �stretta 
tipicit�� e l�accoglimento di un sistema a �tipicit� elastica�), che �il catalogo dei casi [�] non costituisce 
numero chiuso. La tutela non � ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti 
dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virt� dell�apertura dell�art. 2 Cost. ad un 
processo evolutivo, deve ritenersi consentito all�interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale 
indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realt� sociale siano, non genericamente 
rilevanti per l�ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della 
persona umana� (le situazioni soggettive previste dalla Convenzione europea dei diritti dell�uomo non 
ricevendo una costituzionalizzazione automatica - in tal senso C. cost., 24 ottobre 2007, n. 348 e 349 - 
non possono beneficiare tout court della tutela risarcitoria minima - punto 2.11. della decisione 
26972/08). 
DOTTRINA 361 
ficata� (2). Difatti, la tipicit� contemplata dall�art. 2059 c.c. avrebbe natura 
�stretta� in relazione a previsioni di legge contemplanti fattispecie di reato o 
di risarcibilit� espressa dei danni non patrimoniali oltre che �elastica� per 
quelle fondate sull��ingiustizia costituzionalmente qualificata� per le quali 
verrebbe in rilievo un �rinvio mobile� a tutti i �nuovi interessi emersi nella realt� 
sociale perch� aventi rango costituzionale�. L��ingiustizia costituzionalmente 
rilevante� (che d� luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali 
previsti dall�art. 2059 c.c.), quindi, costituisce una categoria aperta a tutela 
della persona umana ed in linea con le decisioni della Corte costituzionale 
Maccarone (3), Dell�Andro (4) e Marini (5). 
2. Le perplessit� riconnesse ad un�interpretazione quantitativa della �gravit� 
del danno� e della �seriet� della lesione� perorante un�inedita regola �de minimis� 
Il risarcimento del danno non patrimoniale per lesione di interessi e valori 
della persona (che diviene fruibile anche in relazione all�illecito contrattuale) 
(6), quindi, diviene possibile solo all�esito di un giudizio bifasico teso all�accertamento 
dell�esistenza di una lesione di una situazione soggettiva �costituzionalmente 
inviolabile� (c.d. �ingiustizia costituzionalmente rilevante�) (7) 
(2) In relazione alla tutela degli interessi e valori della persona umana, quindi, la Suprema Corte 
non ha accolto la tesi della �stretta tipicit�� alla tedesca (c.d. numerus clausus) aderendo, per converso, 
alla ricostruzione perorante �tipicit� elastica�. 
(3) C. cost., 12 luglio 1979, n. 87 e 26 luglio 1979, n. 88. 
(4) C. cost., 14 luglio 1986, n. 184. 
(5) C. cost., 11 luglio 2003, n. 233. 
(6) Punto 4.1. della decisione 26972/08. 
(7) Secondo le Sezioni unite, difatti, l��ingiustizia costituzionalmente qualificata� verrebbe in rilievo 
solo in relazione a situazioni soggettive �costituzionalmente inviolabili� (sembrerebbero esclusi 
dalle guarentigie della �tutela risarcitoria minima� quegli interessi che, pur costituzionalmente previsti, 
non abbiano tale carattere). 
Non � chiaro, tuttavia, se la Cassazione consideri �inviolabili� tutti gli interessi e i valori della persona 
umana, non identificando n� fornendo un catalogo esemplificativo di quelli che tali non siano. 
� noto che la Consulta, a differenza della Suprema Corte, non si sia mai impegnata (fino ad oggi) ad 
usare una terminologia simile che �, per converso, di conio dottrinale [E. NAVARRETTA, Diritti inviolabili 
e risarcimento del danno, Torino, Giappichelli, 1996; in seguito ID., I danni non patrimoniali. Lineamenti 
sistematici e guida alla liquidazione, Milano, Giuffr�, 2004, 18-19 e 35 ss. e G. COMAND�, Diritto 
privato europeo e diritti fondamentali. Saggi e ricerche, Torino, 2004, 34; la dottrina ha fatto leva sulla 
decisione della Consulta del 19 maggio 1971, n. 109. Va in contrario rilevato che, a parte il rilievo che 
la questione concreta interessava la materia previdenziale (un pensionato affermava di essere stato leso 
dalla legge di recepimento dell�accordo Italia-Libia sul trasferimento delle posizioni assicurative dell�INPS 
all�ente previdenziale libico il quale, in applicazione della legge libica, aveva corrisposto una 
pensione inferiore a quella che il ricorrente avrebbe percepito dall�INPS), la Corte non ha voluto espressamente 
prendere posizione sulla questione dei confini dell�inviolabilit�: �A prescindere da ogni altra 
considerazione sulla classificabilit� di un diritto, solo perch� costituzionalmente garantito, fra i diritti 
inviolabili dell�uomo�, punto 3 del �considerato in diritto�].
362 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
e del superamento della soglia della �gravit� dell�offesa� e della �seriet� del 
danno�. 
L�introduzione di nuove categorie quali la �gravit� del danno� e la �seriet� 
della lesione� (8) spinge l�interprete a chiedersi quale possa essere la chiave di 
lettura pi� conforme alle istanze del personalismo costituzionale che ha prodotto 
nella materia della responsabilit� civile l�emersione del principio della tutela risarcitoria 
minima delle situazioni soggettive costituzionalmente rilevanti. 
Tra le possibili ricostruzioni accanto ad una opzione che valuta i predetti 
requisiti in senso qualitativo (di cui si tratter� in seguito) se ne giustappone una 
quantitativa (c.d. regola de minimis). 
L�interpretazione quantitativa non appare in linea con il principio costituzionale 
della �tutela risarcitoria minima�. Difatti, al riconoscimento giurisdizionale 
del carattere inviolabile della situazione soggettiva danneggiata dovrebbe 
ragionevolmente conseguire una tutela piena ed omnicomprensiva. 
� dubbio che, specie in assenza di base giuridica, possa essere applicata all�illecito 
civile un�inedita regola �de minimis� che, per converso, � stata positi- 
Nella trilogia Maccarone-Dell�Andro-Marini il Giudice delle Leggi, difatti, non ha limitato la fruibilit� 
della tutela risarcitoria minima alle violazioni di situazioni soggettive cui la Carta costituzionale riconosca 
il carattere dell�inviolabilit� (sul punto C. conti, 24 aprile 2009, n. 473 secondo cui �le previsioni 
costituzionali integrano pienamente il requisito previsto dall�art. 2059 c.c. (che contrariamente a quanto 
comunemente ritenuto non contempla una �riserva di legge� ma una mera �previsione di legge�), 
anche perch� le richiamate sentenze della Consulta (C. cost., 87 e 88/79, Id., 184/86 e Id., 233/03) non 
hanno subordinato la �tutela risarcitoria minima� al requisito dell�inviolabilit� ma esclusivamente alla 
copertura costituzionale della situazione soggettiva pregiudicata attivata in giudizio attraverso l�azione 
risarcitoria�), anzi, in numerose occasioni ha precisato che la predetta tutela risarcitoria deve essere 
sempre concessa in relazione a �tutti i danni che potenzialmente ostacolano le attivit� realizzatrici della 
persona umana� (sentt. Corte cost. nn. 184 del 1986 e 307 del 1990) (C. cost., 7 maggio 1991, n. 202)). 
A questo punto pare che, anche per l�espresso accoglimento da parte delle Sezioni unite della tesi della 
�tipicit� elastica�, i giudici di merito dovranno effettuare una valutazione che sia il pi� vicino possibile 
agli orientamenti della Corte costituzionale e alla coscienza comune attuale. Sotto tale questo profilo, 
dunque, dovr� chiarirsi se esistano e quali siano i valori ed interessi della persona �non inviolabili� e se 
sia costituzionalmente ammissibile privare questi ultimi della guarentigia (costituzionale) della �tutela 
risarcitoria minima�. 
(8) Le Sezioni unite, introducendo ai fini dell��ammissione a risarcimento� un �requisito ulteriore� 
non contemplato dall�art. 2059 c.c., hanno sancito che non tutti i pregiudizi inferti a situazioni soggettive 
�costituzionalmente inviolabili� possono dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ma esclusivamente 
quelli che determinino un��offesa grave� e un �danno serio� (�la gravit� dell�offesa costituisce 
requisito ulteriore per l�ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona 
conseguenti alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili� e che �il diritto deve essere inciso oltre 
una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio�; l�introduzione del requisito viene fondato 
sul dovere di tolleranza precisando che �la lesione deve eccedere una certa soglia di offensivit�, rendendo 
il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo 
di tolleranza�, di guisa che �il filtro della gravit� della lesione e della seriet� del danno� possa attuare 
un �bilanciamento tra il principio di solidariet� verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza 
che il risarcimento del danno non patrimoniale� sia �dovuto solo nel caso in cui sia superato il 
livello di tollerabilit� ed il pregiudizio non sia futile�. Ci� perch� �pregiudizi connotati da futilit� ogni 
persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virt� del dovere della tolleranza 
che la convivenza impone� (art. 2 Cost.) - punto 3.11. della decisione 26972/08).
DOTTRINA 363 
vamente introdotta in altre materie (concorrenza e divieto di aiuti di Stato) per 
soddisfare esigenze di public policy che difficilmente potrebbero essere estese 
ai rapporti interprivati. In relazione all�illecito civile, infatti, il principio compensativo 
specie in relazione a lesioni inferte ad interessi e valori della persona 
umana impone, per converso, l�integrale risarcimento dei danni cagionati come 
� stato del resto chiarito dalle Sezioni unite (�il risarcimento del danno alla persona 
deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio�) 
(9). 
In altri termini, il riconoscimento del carattere inviolabile di una specifica 
situazione soggettiva dovrebbe implicare l�impossibilit� di falcidiare la tutela 
giurisdizionale per motivi prettamente quantitativi sulla base di una (criticabile) 
interpretazione dei dicta delle Sezioni unite che sembra confondere il piano delle 
valutazioni finalizzate all�accertamento dell�an debeatur con quello della liquidazione 
del quantum e, ancora, quest�ultimo con quello afferente la stessa �attivabilit�� 
giurisdizionale delle pretese fondate sul �personalismo costituzionale� 
dal quale � germogliato il principio della �tutela risarcitoria minima�. 
Pertanto, l�azione risarcitoria non pu� essere preclusa alle small claims (10). 
Diversamente opinando, mettendo da parte l�irragionevole discriminazione 
che si profilerebbe tra danni patrimoniali e non (11), si creerebbero vaste aree 
di immunit� giurisdizionale e, per tale ragione, la stessa convivenza sociale richiamata 
dalle Sezioni unite sarebbe irrimediabilmente pregiudicata nella misura 
in cui le Corti si sentissero autorizzate a non amministrare giustizia in relazione 
ad attivit� illecite che abbiano prodotto danni �di piccolo taglio�. Proprio in relazione 
a questi ultimi, tra l�altro, le politiche comunitarie e nazionali vanno in 
direzione opposta (si pensi al recente Libro Verde del 27 novembre 2008 �sui 
(9) Punto 4.8. della decisione 26972/08. 
(10) Non � chiaro per quale ragione debba escludersi l�attivabilit� giurisdizionale delle c.d. small 
claims (liti di piccolo taglio), laddove venga in rilievo una situazione soggettiva costituzionalmente rilevante, 
per giunta �inviolabile� (come affermano le Sezioni unite), che deve essere garantita e rispettata 
anche nei rapporti interprivati. 
Va chiarito, dunque, che, un conto � l�analisi degli aspetti qualitativi (attinente al se la situazione soggettiva 
sia costituzionalmente rilevante), altro la valutazione di quelli quantitativi che rilevano soltanto 
ai fini della liquidazione. 
Laddove l�interesse protetto abbia gi� superato la prima fase di valutazione (trattandosi di un caso di 
�ingiustizia costituzionalmente qualificata�) rinvenendo protezione a livello costituzionale (mantenendo, 
peraltro, le anzidette riserve al criterio limitante dell��inviolabilit��), non si comprende quale sia la base 
giuridica che consenta di introdurre la regola �de minimis�. 
Se il livello di protezione � cos� alto (�inviolabilit��) ci si aspetterebbe, infatti, una protezione quantitativa 
di ampio raggio. 
(11) Affermare che delle offese non gravi n� serie �non curat Praetor� (regola �de minimis�) significherebbe 
creare una disparit� di trattamento irragionevole tra danno patrimoniale e non senza alcuna 
base normativa. Nessuno, difatti, ha mai pensato, ad esempio, a falcidiare la tutela di lavoratori, pensionati 
o consumatori che si dolgano della mancata corresponsione di infinitesime voci stipendiali o pensionistiche 
oppure facciano valere questioni di natura contrattuale consumeristica sol perch� le pretese 
attivate siano di piccolo taglio (small claims).
364 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
mezzi di ricorso collettivo dei consumatori� (12) che ha indirizzato il problema 
aprendo un�ampia consultazione paneuropea nonch� all�introduzione della 
�class action all�italiana� nel codice del consumo). Del resto, parte della dottrina 
nostrana, proprio per assicurare il rispetto del principio �il torto non paga� in 
relazione a quelle condotte illecite ad ampia diffusivit� che producano una miriade 
di danni di �piccolo taglio�, ha scomodato la figura dei danni punitivi al 
fine di assicurare un minimo di deterrenza. Ci si potrebbe allora anche accontentare 
di una mera compensazione purch� per� sia realmente integrale! 
2.1 (Segue) L�accoglimento di una prospettiva qualitativa che impone una valutazione 
giudiziale pi� rigorosa sulle conseguenze lesive di natura esistenziale 
Rilevata l�impossibilit� di aderire ad un approccio quantitativo, deve, 
quindi, indagarsi se un accertamento di tipo qualitativo dei requisiti in esame 
sia pi� in linea con il principio costituzionale della tutela risarcitoria minima 
(�gravit� dell�offesa� e �seriet� del danno�) come sembra sottendere il passaggio 
del punto 3.9. della decisione 26972/08 (�Palesemente non meritevoli della 
tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti 
in disagi, disappunti, ansie ed in ogni tipo di insoddisfazione concernente 
gli aspetti pi� disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto 
sociale, ai quali ha prestato invece tutela la giustizia di prossimit��). 
Al di l� delle mere questioni classificatorie, i giudici di legittimit� e di merito 
stanno certamente manifestando un atteggiamento pi� prudente ed accorto 
nelle liquidazioni dei danni non patrimoniali. 
Sotto questo profilo la freccia delle Sezioni unite ha colto decisamente nel 
segno. 
L�analisi della giurisprudenza intervenuta dopo le decisioni delle Sezioni 
unite, difatti, conferma che, pur se la categoria del �danno esistenziale� viene 
formalmente abbandonata, l�ontologia della medesima continui ad essere ancora 
considerata risarcibile (e non avrebbe potuto essere altrimenti essendo la stessa 
preordinata ad assicurare la tutela risarcitoria minima alle lesioni dei valori ed 
interessi della persona), venendo liquidata, a seconda dei casi, attraverso le 
(sotto)categorie (che restano in vita allargandosi) del danno biologico e morale 
(13).
In presenza di liti �battellari� pretestuose ed abusive, le Corti, utilizzando 
(12) COM(2008)794. 
(13) Le Sezioni unite precisano che laddove vengano �in considerazione pregiudizi che, in quanto 
attengano all�esistenza della persona, per comodit� di sintesi possono essere descritti e definiti come 
esistenziali� (punto 3.4.2.) non potrebbe comunque �configurarsi una autonoma categoria di danno� 
(punto 3.4.2.) dovendosi, per converso, ricorrere al danno biologico (che con riferimento ai pregiudizi 
alla vita di relazione ha una �portata tendenzialmente omnicomprensiva� (punto 2.1.)) oppure al �danno 
morale, nella sua rinnovata pi� ampia configurazione� (punto 4.9.). 
DOTTRINA 365 
le nuove categorie della �gravit� dell�offesa� e della �seriet� del danno� in combinazione 
con il nuovo principio dell�inautonomia del danno esistenziale, hanno 
sovente concluso per la �futilit�� delle pretese attivate, mentre nelle ipotesi in 
cui sussistano reali conseguenze dannose derivanti da lesione di interessi e valori 
della persona non hanno esitato ad accogliere le richieste risarcitorie. 
In altri termini, dallo schema bifasico del danno esistenziale proposto dalle 
Sezioni unite in tema di demansionamento (14) i giudici sono passati a quello 
parimenti bipartito prospettato dalle medesime Sezioni nel novembre 2008. 
A livello strutturale, difatti, il test continua ad essere articolato in due fasi 
successive potendosi accedere alla seconda solo all�esito positivo della prima. 
Quest�ultima, tesa all�accertamento del requisito ribattezzato �ingiustizia costituzionalmente 
qualificata�, era sostanzialmente presente anche nelle sentenze 
gemelle del 2003 ed in quella in tema di danno esistenziale da demansionamento 
del 2006. 
Le categorie formali di riferimento per la seconda fase cambiano formalmente 
ma non sostanzialmente. Precedentemente, seguendosi la logica del 
danno-conseguenza, si richiedeva che il danneggiato avesse dato la dimostrazione 
(consentendosi �la prova testimoniale, documentale o presuntiva�) delle 
specifiche conseguenze dannose (di �natura non meramente emotiva ed interiore, 
ma oggettivamente accertabili�) derivanti dalla lesione di un preciso interesse 
costituzionalmente rilevante (15). Del pari, anche oggi, si afferma che 
non � sufficiente fermarsi all�accertamento di un��ingiustizia costituzionalmente 
qualificata�, dovendosi, per converso, accertare la �gravit� del danno� e la �seriet� 
della lesione� che non deve essere �futile�. In termini sostanziali, quindi, 
si dovr�, sia pure con l�estremo rigore peraltro gi� richiesto dalle medesime Sezioni 
unite nel 2006, effettuare una valutazione sulla reale esistenza nella sfera 
del danneggiato di conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla violazione di interessi 
e valori della persona umana. 
� evidente e fisiologico, dunque, che la sussunzione delle fattispecie concrete 
nelle descritte categorie astratte proposte dalle Sezioni unite possa dare 
luogo ad interpretazioni pi� o meno restrittive. 
Compete, difatti, all�alta sensibilit� dei giudici, sotto la guida orientativa 
della Corte costituzionale e delle Sezioni unite della Cassazione, la prudente 
applicazione del diritto ivi compreso quello emergente dal formate giurisprudenziale. 
(14) Cass. civ., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572. 
(15) Cass. civ., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572.
366 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
3. Il seguito giurisprudenziale delle decisioni Carbone-Preden del 2008: 
la posizione delle Sezioni unite e della Sezione prima 
L�analisi delle decisioni di legittimit� intervenute dopo le Sezioni 
unite del novembre 2008 conferma la richiamata prospettiva di tipo qualitativo. 
Nelle ipotesi di attivazione di situazioni soggettive abusive, pretestuose 
e macroscopicamente infondate anche in relazione a carenze processuali 
riscontrate, la Cassazione taglia corto utilizzando motivazioni 
secche e sintetiche (e, pur richiamando il principio dell�inconfigurabilit� 
di un�autonoma categoria di danno esistenziale, ha cura di evidenziare le 
carenze in punto di allegazione dei fatti costitutivi della pretesa e di asseverazione 
probatoria) (16). Sono numerose le decisioni che vanno in questa 
direzione specie in relazione alle controversie risarcitorie da irragionevole 
durata del processo (17). L�importanza del rispetto degli oneri di allegazione 
ed asseverazione � sottolineata anche in quelle decisioni in cui la 
Sezione prima ha censurato decisioni che abbiano apoditticamente escluso 
la liquidazione di danni esistenziali, biologici e morali in presenza di specifiche 
allegazioni probatorie (18). In particolare, criticando il percorso 
motivazionale della Corte d�appello (secondo cui �sebbene tale processo 
avesse superato di un anno e mezzo il termine di ragionevole durata, stimabile 
in anni 3 nonostante si trattasse di causa di lavoro, la pretesa indennitaria 
doveva essere disattesa, poich� il danno patrimoniale non era 
stato provato e l�esiguit� della somma oggetto della domanda, pari a L. 
600.000, induceva ad escludere un apprezzabile patema esistenziale�), la 
Corte � stata molto chiara nell�affermare il principio che il modesto valore 
economico della controversia pu� �solo comportare una riduzione dell�indennizzo 
ma non escluderlo� (19). 
In altre ipotesi, a prescindere dalle categorie utilizzate dai giudici nelle 
decisioni impugnate, la Suprema Corte � entrata, sia pure solo ad abundantiam, 
�nel merito� della congruit� delle quantificazioni attraverso un 
giudizio di ragionevolezza della motivazione (20). 
Una delle pronunce pi� significative � sicuramente quella delle Se- 
(16) Cass. sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3677 �nessuna allegazione in fatto � stata effettuata 
sulla esistenza del pregiudizio�, punto 11; Cass., sez. lav., 26 febbraio 2009, n. 4665. 
(17) Cass., sez. I, 18 marzo 2009, n. 6574 (�nessuna specifica allegazione di tale danno � 
stata articolata�); Cass., sez. I, 13 gennaio 2009, n. 529 (�quanto al danno esistenziale, poich� la 
Corte territoriale ha correttamente individuato il relativo onere probatorio in capo al ricorrente, 
ha ritenuto l�assunto non provato e la statuizione non � stata oggetto di censura�). 
(18) Cass., sez. I, 6 marzo 2009, n. 5592, Id., sez. I, 23 marzo 2009, n. 7005. 
(19) Cass., sez. I, 6 marzo 2009, n. 5592 (punto 2). 
(20) Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 557, ove si afferma che correttamente il giudice di
DOTTRINA 367 
zioni unite intervenute in materia di azioni risarcitorie da pubblicit� ingannevole 
(caso delle c.d. sigarette lights) (21). L�impugnata decisione del 
Giudice di pace di Napoli aveva risarcito al consumatore �il danno da perdita 
della chance di scegliere liberamente una soluzione alternativa �rispetto 
al problema fumo� e quello esistenziale dovuto al peggioramento 
della qualit� della vita conseguente allo stress ed al turbamento per il rischio 
del verificarsi di gravi danni all�apparato cardiovascolare o respiratorio� 
(22). Le Sezioni unite non hanno fatto ricorso al principio di 
irrisarcibilit� del danno esistenziale come categoria autonoma che avrebbe 
determinato la cassazione della decisione senza rinvio, ma, precisando i 
principi di diritto che presiedono all�azione risarcitoria per danni da pubblicit� 
ingannevole, hanno rimesso la causa al Giudice di pace di Napoli 
affinch� possa applicarli al caso concreto. Quanto al danno, in particolare, 
le Sezioni unite, richiamando i principi gi� enucleati nelle decisioni del 
novembre 2008, hanno avuto cura di precisare che � risarcibile ex art. 2059 
c.c. �il danno non patrimoniale [�] determinato dalla lesione di interessi 
inerenti la persona non connotati da rilevanza economica� solo quando si 
sia �in presenza di un�ingiustizia costituzionalmente qualificata [�] Nello 
svolgere l�indagine sopra descritta, il giudice pu� anche servirsi delle presunzioni, 
nei limiti e nei modi in cui le ammette il codice di rito, ed, una 
volta individuato il danno, potr� procedere equitativamente alla liquidazione 
del relativo risarcimento, purch� essa non sia simbolica o affatto 
svincolata dagli elementi di fatto emersi� (23). 
Nella fattispecie appena descritta appare forte l�ontologia del danno 
esistenziale che non � stata negata sulla base di affermazioni formali quali 
quelle utilizzate nei confronti delle pretese bagattellari abusive ove, come 
si � evidenziato, la Cassazione ha fatto ricorso all�argomento dell�irrisarcibilit� 
autonoma della categoria. Tra l�altro le Sezioni unite, in relazione 
alla specifica azione risarcitoria attivata (danni da pubblicit� ingannevole), 
richiamando correttamente la necessit� di rispettare pienamente il principio 
del riparto dell�onere della prova (art. 2697 c.c.), ne hanno, altres�, ridefinito 
l�assetto concreto. 
merito ha riassorbito il danno da lesione del rapporto parentale nel danno morale. 
Per l�analisi sistematica della decisione F. FEDELI, M. CARNI, La responsabilit� per pubblicit� ingannevole 
e da spamming, in P. FAVA, La responsabilit� civile, Milano, Giuffr�, 2009. 
(21) Cass., sez. un., 15 gennaio 2009, n. 794. 
(22) In questi precisi termini Cass., sez. un., 15 gennaio 2009, n. 794. 
(23) Cass., sez. un., 15 gennaio 2009, n. 794.
368 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
3.1 Le decisioni della Sezione terza 
Sono, tuttavia, le decisioni della Sezione terza ad essere, ad oggi, le pi� 
interessanti. In relazione ad una richiesta risarcitoria avanzata dai congiunti di 
un soggetto deceduto a causa di un incidente stradale, in particolare, � stata 
confermata la decisione impugnata rilevandosi che il danno da perdita del rapporto 
parentale fosse stato gi� considerato nella liquidazione del danno morale 
in quanto �la sofferenza patita nel momento in cui la perdita � percepita e quella 
che accompagna l�esistenza del soggetto che l�ha subita altro non sono che 
componenti del complessivo pregiudizio� (24). Anche la mera lesione del rapporto 
parentale (illecito sanitario determinante la nascita di un figlio macroleso) 
� stata ricondotta all�ampia rinnovata categoria del danno morale (25). Pertanto, 
viene da chiedersi se si possa estendere il rapporto familiare sino a ricomprendervi 
le relazioni affettive con animali specie nelle ipotesi in cui venga ampiamente 
dimostrata in giudizio l�esistenza di un vincolo amorevole profondo (per 
esempio laddove la persona viva sola e abbia come unico o prevalente punto 
di riferimento esistenziale l�animale). Superando l�orientamento negativo manifestato 
sotto l�impero del danno esistenziale (26), la Sezione terza, di recente 
(27), sembrerebbe essersi allineata alle posizioni francesi (che riconoscono da 
tempo la risarcibilit� di questa tipologia di pregiudizi) (28). In realt�, la motivazione 
non si fonda sulla nuova e pi� ampia conformazione del danno morale 
bens� sull�assunto (con evidenza disallineato rispetto al decisum delle Sezioni 
unite) che i principi informatori della materia del danno non patrimoniale non 
vincolano il giudice di pace che decida secondo equit� nelle cause di valore inferiore 
a � 1100,00. Tale decisione, pertanto, appare non idonea a definire la 
questione sopra prospettata. 
Tra le pronunce in rassegna, inoltre, spicca, per la motivazione raffinata 
ed estesa, quella relativa ad un sinistro stradale (un giovane insegnante a bordo 
di una moto era stato urtato, riportando lesioni gravissime, da un autobus che 
aveva invaso la corsia di marcia opposta) laddove la Corte, cassando con rinvio 
la decisione impugnata, ha chiarito che il risarcimento della �qualit� delle vita 
quotidiana e di relazione� deve essere risarcito come �componente personalizzante 
del danno biologico� e che il �danno morale conserva una sua autonomia 
in relazione alla lesione del bene della sfera morale e della dignit� della 
(24) Cass., sez., III, 11 febbraio 2009, n. 3359. 
(25) Cass., sez., III, 13 gennaio 2009, n. 469. 
(26) Cass., sez. III, 27 giugno 2007, n. 14846. 
(27) Cass., sez. III, 25 febbraio 2009, n. 4493. 
(28) Secondo la Cassazione francese la morte di un animale (nella specie il �cavallo Lunus�) 
pu� costituire per il suo proprietario la scaturigine di un pregiudizio d�ordine soggettivo e affettivo 
suscettibile di dare luogo a riparazione monetaria (Cass., 1re, 16 gennaio 1962, D. 1962, 199; in 
termini Cass., 1re, 27 gennaio 1982, JCP 1983, II, 19923).
DOTTRINA 369 
persona e deve essere valutato in concreto tenendo conto della gravit� della 
lesione e della seriet� del danno� (29). 
Di rilievo anche la decisione che ha affermato la risarcibilit� a titolo di 
danno morale (da reato) non solo delle sofferenze transeunti ma anche di quelle 
�stabili e permanenti� quali i patemi d�animo e turbamenti psico-fisici derivanti 
dalla continua sottoposizione a controlli medici tesi ad accertare l�assenza di 
patologie tumorali cagionate dalla sottoposizione ad agenti inquinanti cancerogeni 
che comunque determinino, a prescindere dall�insorgenza del cancro, 
un peggioramento della qualit� della vita (30). 
Fin qui � stata ripercorsa la giurisprudenza della Sezione terza applicativa 
ad interessi di indiscussa rilevanza costituzionale (salute, integrit� fisica e morale, 
rapporti familiari) delle nuove tecniche liquidative. 
Quanto alle situazioni soggettive atipiche, la Sezione ha formato il proprio 
convincimento alla luce delle specificit� e caratteristiche proprie delle fattispecie 
concrete sottoposte al suo giudizio anche in considerazione degli elementi 
probatori forniti dalle parti attoree. 
In questo modo � stata ammessa la tutela risarcitoria della situazione soggettiva 
di coloro che avessero dettagliatamente prospettato �effetti molesti, fastidiosi 
e insalubri del fumo passivo� derivanti dalle �immissioni moleste di 
fumo di sigarette� prodotte dai vicini che li avevano costretti a �tenere chiuse 
le finestre anche in piena estate per tutelare la propria salute� rilevandosi, altres�, 
che �la sentenza impugnata [aveva] descritto le conseguenze delle lamentate 
immissioni sul modo di vivere la casa dei danneggiati� individuando 
�ci� che [avrebbe potuto] essere liquidato come danno non patrimoniale� (31). 
Un�interpretazione pi� rigorosa, per converso, � stata seguita in relazione 
alla cassazione senza rinvio di una decisione del Giudice di pace di Catania 
che aveva condannato l�Agenzia delle Entrate a pagare � 300,00 in favore di 
un cittadino a titolo di �danni morali e da stress subiti a seguito delle lungaggini 
dell�iter burocratico affrontato per ottenere lo sgravio di somme non dovute� 
(l�annullamento in autotutela era intervenuto solo a sei mesi di distanza dalla 
sua richiesta dopo reiterati solleciti e visite allo sportello). Per la Sezione terza 
un tale pregiudizio al �diritto alla tranquillit��non raggiunge la soglia dell��ingiustizia 
costituzionalmente qualificata� (32). 
(29) Cass., sez. III, 20 gennaio 2009, n. 1351. 
(30) Cass., sez. III, 13 maggio 2009, n. 11059. 
(31) Cass., sez. III, 31 marzo 2009, n. 7875. 
(32) Cass., sez. III, 9 aprile 2009, n. 8703 (�nella specie, non sussiste un��ingiustizia costituzionalmente 
qualificata�, tantomeno si verte in un�ipotesi di danno patrimoniale prevista dal legislatore 
ordinario, risultando, piuttosto, la ritenuta lesione del �diritto alla tranquillit�� 
insuscettibile di essere monetizzata, siccome inquadrabile in quegli sconvolgimenti quotidiani �consistenti 
in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro di insoddisfazione (c.d. bagattellari) ritenuti 
non meritevoli di tutela risarcitoria�).
370 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
La decisione, tuttavia, non deve essere letta come una bocciatura assoluta 
del c.d. �diritto alla tranquillit��. 
Probabilmente, la posizione della Corte sarebbe stata di segno diverso laddove 
quel cittadino fosse stato colpito da una serie di �cartelle pazze� emessa a 
causa di macroscopici errori del sistema informatico dell�ente impositore. 
In una fattispecie concreta quale quella esaminata dalla Sezione terza un 
cittadino dovrebbe tollerare e sopportare le inefficienze altrui, mentre nel secondo 
e diverso caso ipotizzato, attesa la gravit� qualitativa della lesione, sembra 
opportuno riconoscere una qualche forma di risarcimento. 
3.2 L�orientamento della Corte dei conti, del Consiglio di Stato e dei giudici civili 
di merito. 
Anche la giurisprudenza contabile (33), amministrativa (34) e di me- 
(33) C. conti, sez. Campania, 24 aprile 2009, n. 473, secondo la quale il danno al senso di 
appartenenza alla repubblica (c.d. danno all�immagine), pur non avendo natura inviolabile, riceve 
sicuramente una copertura costituzionale (�Si evince dagli atti, del resto, la rilevante qualifica rivestita 
da tre dei quattro convenuti con funzione di sindaco, vice-sindaco e/o consigliere comunale 
mentre l�addebito per danno all�immagine pu� essere contestato solo entro certi limiti al P. titolare 
di una funzione non apicale quale quella di esperto amministrativo della commissione di gara. 
L�attivit� posta in essere dai convenuti, integrando astrattamente specifiche previsioni di reato (in 
concreto patteggiate o estinte per prescrizione o per morte del reo), costituisce, a prescindere da 
valutazioni penalistiche, un comportamento gravissimo anche in considerazione del fatto che tre 
dei quattro convenuti figuravano come il �vertice ideale� della comunit� amministrata. La cattiva 
gestione delle finanze pubbliche genera nei consociati un senso di sconforto e delusione, nonch� 
mina alle radici il senso di appartenenza allo �Stato-persona�. Tale pregiudizio, costituzionalmente 
rilevante ai sensi dell�art. 1, 5, 97, 114 Cost., deve essere risarcito in favore dell�Ente pubblico locale 
danneggiato (Comune di Forio). La Repubblica, difatti, una ed indivisibile, costituita da enti 
locali, regioni e dallo Stato, � sensibile alla promozione del senso civico dei cittadini e alla pubblicizzazione 
delle proprie attivit� promozionali dei beni e degli interessi della persona, nonch� 
accrescitive della concorrenzialit� e potenzialit� del sistema economico-sociale. Ingenti risorse 
pubbliche vengono riversate per migliorare la qualit� della comunicazione istituzionale (legge 7 
giugno 2000, n. 150, recante �disciplina delle attivit� di informazione e di comunicazione delle 
pubbliche amministrazioni�), anche con la costituzione di uffici stampa e l�implementazione di 
web sites pi� efficienti e chiari, nonch�, con particolare riferimento agli enti locali, attraverso la 
promozione di attivit� culturali, ricreative, sociali (per esempio feste di paese, manifestazioni, 
esposizioni, sagre, etc.). Tutte queste spese per promuovere la �cultura dello Stato� e il �senso di 
appartenenza dei cittadini e delle imprese alla Repubblica� sono vanificate da condotte quali quelle 
poste in essere dai convenuti che riescono a mandare in fumo gli sforzi di corretta e sana gestione 
della gran parte degli Amministratori italiani che giustificano, agli occhi della collettivit�, il prelievo 
fiscale pubblico che si dirige verso forme sempre pi� articolate di �federalismo fiscale�. Essendo, 
quindi, ammissibile in concreto una pretesa risarcitoria da lesione del senso di appartenenza 
dei cittadini alla Repubblica (c.d. �danno all�immagine� � Cass., sez. un., 25 giugno 1997, n. 5668; 
Id., 25 ottobre 1999, n. 744; Id., 4 aprile 2000, n. 98; Corte conti, sez. riun., 28 maggio 1999, n. 
16/1999/QM, Id., 23 aprile 2003, n. 10/2003/QM), a prescindere dal dibattito sulla controversa 
natura giudica dello stesso (patrimoniale o non patrimoniale), l�esistenza della descritta situazione 
costituzionalmente rilevante (cos� C. cost. 233/03; in precedenza C. cost., 87 e 88/79 e Id., 184/86), 
lo rende sicuramente possibile oggetto di ristoro patrimoniale per equivalente pecuniario (ex art.
DOTTRINA 371 
2043-2059 c.c. e 1, 5, 97, 114 Cost.). Difatti le previsioni costituzionali integrano pienamente il 
requisito previsto dall�art. 2059 c.c. (che contrariamente a quanto comunemente ritenuto non contempla 
una �riserva di legge� ma una mera �previsione di legge�), anche perch� le richiamate 
sentenze della Consulta (C. cost., 87 e 88/79, Id., 184/86 e Id., 233/03) non hanno subordinato la 
�tutela risarcitoria minima� al requisito dell�inviolabilit� ma esclusivamente alla copertura costituzionale 
della situazione soggettiva pregiudicata attivata in giudizio attraverso l�azione risarcitoria. 
Il �danno al senso di appartenenza dei cittadini alla Repubblica� (c.d. danno 
all�immagine), peraltro, nel rispetto della sua natura giuridica di danno-conseguenza, risulta ampiamente 
asseverato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi: clamor fori, gravit� delle condotte, 
lesione del senso di appartenenza dei cittadini allo �Stato� (rectius Repubblica). Al riguardo, come 
ampiamente condiviso dalle Sezioni Unite della Cassazione, si pu� pacificamente far ricorso a presunzioni 
gravi, precise e concordanti (Cass., sez. un., 13 novembre 2008, n. 26972). Nel rispetto 
del principio compensativo [in Italia i danni punitivi sono contrari all�ordine pubblico (Cass. civ., 
sez. III, 19 gennaio 2007, 1183) e, secondo una certa ricostruzione, anche al principio di ragionevolezza 
posto dall�art. 3 Cost. (App. Trento, sez. Bolzano, 16 agosto 2008, n. 151)] il danno al 
senso di appartenenza dei cittadini alla Repubblica pu� ben essere liquidato equitativamente ex 
art. 1226-2056 c.c. Nel concreto i fatti dannosi tangentizi sono gravissimi e posti in essere da soggetti 
posti al vertice della comunit� amministrata in dispregio di ogni principio di �morale politica�).
(34) Sul punto Cons. stato, sez. IV, 31 marzo 2009, n. 1899, secondo cui va accolta la domanda 
di risarcimento del danno non patrimoniale subito da un magistrato per l�attribuzione dell�incarico 
al quale aveva diritto ad altro soggetto, ove si possano ragionevolmente ritenere 
effettivamente verificati e provati gli stress e i patemi d�animo conseguenti allo scavalcamento 
(nella specie disposto con un atto discostatosi dal giudicato), e allo svolgimento dell�incarico da 
parte del collega all�interno del medesimo ufficio (�13.1. Va premesso che il sereno svolgimento 
delle funzioni da parte dei magistrati ha un sicuro rilievo costituzionale, cos� come la loro aspirazione 
a conseguire gli incarichi direttivi, previsti dalla legge. L�art. 104 Cost., sulla indipendenza 
della magistratura, e l�art. 105 Cost., sulle funzioni del C.S.M., mirano a salvaguardare la magistratura 
nel suo complesso ed ogni suo singolo componente. Analoghi principi sono desumibili 
dalla Convenzione Europea dei diritti dell�uomo (rilevanti nell�ordinamento interno per l�art. 117 
Cost. e l�art. 6 del Trattato di Maastricht), da cui emerge che le Amministrazioni devono dare 
pronta e integrale esecuzione alle decisioni irrevocabili di giustizia, emesse a tutela del magistrato 
(CEDU, Sez. V, 26-4-2006, Zubko c. Ucraina, � 68; CEDU, Sez. V, 20-12-2007, Ptashko c. Ucraina, 
� 19; Sez. V, 15-5-2008, Petrova, � 19). Pertanto, l�illecito commesso in violazione della posizione 
soggettiva del magistrato, inerente alle sue funzioni, comporta una ingiustizia costituzionalmente 
qualificata. Rilevano, conseguentemente, i principi individuati dalle Sezioni Unite della Corte di 
Cassazione con la sentenza 11 novembre 2008, n. 26972, per i quali l�art. 2059 del codice civile � 
anche nell�ambito dei rapporti di lavoro - consente la risarcibilit� dei pregiudizi di tipo esistenziale 
non solo quando l�illecito costituisca reato o comporti la violazione di un diritto inviolabile della 
persona, ma in ogni caso in cui sia ravvisabile la lesione di un bene costituzionalmente protetto. 
Di tali pregiudizi conosce il giudice amministrativo, nelle materie devolute alla sua giurisdizione 
esclusiva (Sez. Un., 13 ottobre 2006, n. 22101), sicch� � per la liquidazione del danno � si pu� tenere 
conto della incidenza dell�illecito sul sereno svolgimento delle funzioni da parte del magistrato 
e delle conseguenze di tipo esistenziale derivanti dal mancato conferimento di un incarico previsto 
dalla legge. 13.2. Ci� posto, risultano infondate le deduzioni delle Amministrazioni appellanti incidentali, 
secondo cui la mancata qualificazione dell�illecito come reato renderebbe irrilevante il 
danno non patrimoniale e precluderebbe la sua risarcibilit�. Infatti, anche con riferimento ai rapporti 
di lavoro, il danno non patrimoniale � risarcibile quando l�illecito e la lesione riguardino 
beni costituzionalmente protetti, tra cui rientrano le prerogative dei magistrati e del loro status 
nell�esercizio delle loro funzioni. Inoltre, nella specie si possono ragionevolmente ritenere effettivamente 
verificati e provati gli stress e i patemi d�animo (dedotti in primo grado e ritenuti sussistenti 
dal TAR) conseguenti allo scavalcamento disposto con l�atto discostatosi dal giudicato, e 
allo svolgimento dell�incarico da parte del collega all�interno del medesimo ufficio. 13.3. Quanto 
alle censure dell�interessato, volte a una liquidazione del danno non patrimoniale in misura supe-
372 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
rito (35), sia pure continuando talvolta ad utilizzare le vecchie categorie 
formali, si � allineata agli orientamenti della giurisprudenza di legittimit� 
attraverso un sindacato pi� cauto e ragionevole sui danni non patrimoniali 
conseguenti ad un��ingiustizia costituzionalmente qualificata�. Del resto, 
al di l� dei profili di �etichetta� (taluni giudici di merito hanno continuato 
a discorrere di danno esistenziale pur adeguandosi al nuovo rigore), le Sezioni 
unite saranno ben liete di riscontrare che conformemente alle loro 
indicazioni, il sindacato giurisdizionale si stia rivelando pi� severo nei risarcimenti 
dei danni non patrimoniali da lesioni di valori ed interessi della 
persona evitando sconfinamenti nell�area del patologico utilizzo abusivo 
del principio costituzionale della �tutela risarcitoria minima�. 
4. Considerazioni finali: �restano in terra� le vesti del �danno esistenziale� 
ma la sua ontologia rivive nel danno biologico (come sua componente 
personalizzante) e in quello morale (nella sua nuova e pi� ampia 
configurazione). 
Terminata la rassegna della giurisprudenza in materia si possono firiore 
a quella statuita nella sentenza gravata, a pp. 4-17 l�appello principale si � soffermato sulla 
gravit� dell�illecito, ha riproposto le deduzioni originarie sul danno all�immagine, sulla umiliazione 
ricevuta e sul disagio e sullo stress derivante dalla incidenza sulla fiducia nella legge e nelle istituzioni 
ed ha chiesto che siano considerati il danno morale soggettivo, il danno biologico e quello 
esistenziale� (p. 16). Osserva al riguardo la Sezione che vanno respinte le deduzioni riguardanti 
il danno biologico, poich� non � stato n� dedotto n� provato che si sia verificata una lesione temporanea 
o permanente all'integrit� psicofisica della persona suscettibile di accertamento medicolegale. 
Quanto alle censure riguardanti la liquidazione �in misura esigua� del danno morale e dei 
pregiudizi di tipo esistenziale, ritiene la Sezione che per la determinazione del quantum possa 
essere presa in decisiva considerazione anche l�attivit� amministrativa susseguente alla commissione 
dell�illecito, specie quando essa sia positivamente valutabile, in quanto qualificabile secundum 
ius. Per la liquidazione del danno secondo equit�, rileva dunque anche la successiva 
emanazione della delibera dell�organo di autogoverno del 22 marzo 2007, favorevole all�interessato. 
La negativa incidenza sull�immagine e sul prestigio professionale dell�interessato si deve intendere 
senz�altro ridimensionata con l�emanazione di questa delibera, che gli ha conferito 
l�incarico di avvocato generale sulla base dei relativi apprezzamenti, a seguito della reiezione della 
formulata proposta di ritorno della �pratica in commissione� (che ha condotto alla definizione dell�annosa 
questione con il provvedimento finale divenuto inoppugnabile). L�approvazione di tale 
delibera � susseguente alla commissione dell�illecito � induce a ritenere che, gi� alla data di proposizione 
del ricorso di primo grado, risultava ridimensionato il danno non patrimoniale originariamente 
patito dall�interessato, nella misura equitativamente liquidata dal TAR. Inoltre, per 
escludere una liquidazione superiore a quella effettuata dal TAR rileva anche il fatto che per la 
prima volta nel presente giudizio sono stati indicati i principi applicabili per ravvisare la responsabilit� 
amministrativa dell�organo di autogoverno, nella specifica fattispecie in cui non vi sia 
stata la corretta esecuzione del giudicato�). 
(35) Trib. Nola, sez. II, 22 gennaio 2009 (danni riportati da un bambino per un morso di un 
cane improvviso ed inaspettato al viso); Trib. Milano, sez. V, 19 febbraio 2009, n. 2334 (danni da 
incidente stradale); Trib. Montepulciano, 20 febbraio 2009, n. 74 (danni da reiterata e protratta violazione 
della carta del servizio pubblico telefonico). 
DOTTRINA 373 
nalmente tirare le fila. 
Nella giurisprudenza esaminata, quindi, non sembra sia scomparsa 
l�ontologia del danno esistenziale che �, a seconda delle ipotesi, refluita 
nel danno biologico (come sua �componente personalizzante�) (36) o 
nella rinnovata configurazione del danno morale (non pi� limitato alla 
sofferenza transeunte interiore) (37). 
Appare evidente, quindi, che, salvo l�allargamento del danno morale 
e biologico alle spese del danno esistenziale, nihil novi sub soli! 
Sulla scorta dell�analisi delle decisioni passate in rassegna, pertanto, 
ritornando solo descrittivamente al dibattito tra �esistenzialisti� ed �antiesistenzialisti�, 
sembra proprio possa ritenersi che le Sezioni unite, senza 
scontentare nessuno, abbiano soddisfatto entrambe le parti in causa (esistenzialisti 
ed antiesistenzialisti), soprattutto senza incidere sul principio 
costituzionale della �tutela risarcitoria minima� degli interessi e valori 
della persona umana. Negando cittadinanza formale al danno esistenziale 
come sottocategoria autonoma del danno non patrimoniale, non ne hanno 
disconosciuto l�ontologia facendola, per converso, refluire, a seconda dei 
casi, nelle sottocategorie (delle quali la giurisprudenza di legittimit� continua 
pacificamente a discorrere) del danno biologico (come sua �componente 
personalizzante�) (38) o del danno morale (in una rinnovata, pi� 
ampia, dimensione) (39). Le tecniche liquidative, specie se finalizzate a 
riportare chiarezza nella giungla dei risarcimenti, sono nella piena disponibilit� 
del giudice di nomofilachia semprech� non determinino nel concreto 
(come non pare sia accaduto in questo breve periodo) indebite 
falcidie di tutela giurisdizionale ai valori ed interessi della persona umana 
che, come chiarisce il preambolo al Trattato di Lisbona del dicembre 
2007, � stata finalmente posta al centro delle politiche dell�Unione europea. 
Del resto, una soluzione diversa dall�interpretazione sinora prospettata 
sarebbe disallineata sia rispetto ai principi del quadro di riferimento 
comune per il diritto privato europeo (l�art. VI. - 2:101 del QCR accademico 
espressamente contempla la risarcibilit� di danni, sostanzialmente 
esistenziali, etichettati �impairment of quality of life�) (40), che con le 
principali esperienze continentali europee (in Francia, ad esempio, il 
danno esistenziale � risarcito da tempo (41) e ha di recente trovato l�im- 
(36) Cass., sez. III, 20 gennaio 2009, n. 1351. 
(37) Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 557; Id., sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3359. 
(38) Cass., sez. III, 20 gennaio 2009, n. 1351. 
(39) Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 557; Id., sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3359. 
(40) �In this Book [�] non-economic loss includes pain and suffering and impairment of the 
quality of life� (art. VI. � 2:101 dei Principles, Definitions and Model Rules of European Private 
Law � Draft Common Frame of Reference (DCFR) � Outiline Edition, 2009). 
(41) �L�indemnit� due par le responsable doit r�parer non seulment l�atteinte � l�int�grit�
374 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
portante conferma della Plenaria della Corte di cassazione d�oltralpe (42), 
ampiamente condivisa dalla giurisprudenza successiva) (43). 
physique de la victime, mais aussi, le cas �ch�ant, le pr�judice r�sultant de la diminution des plaisirs 
de la vie, caus�e notemment par l�impossibilit� ou la difficult� de se livrer � certaines activit�s 
normales d�agr�ment� (Paris, 2 dicembre 1977, D. 1978, 285, con commento di Lambert-Faivre). 
(42) La Cassazione francese danno esistenziale (pr�judice d�agr�ment) ogni pregiudizio di 
carattere personale risultante da turbamenti, disturbi o scompigli alle normali condizioni della vita 
che determinino privazioni e perdite dei piaceri ordinari dell�esistenza (�Le pr�judice d�agr�ment 
est le pr�judice subjectif de caract�re personnel r�sultant des troubles ressentis dans les conditions 
d�existence� Cass., ass. pl�n., 19 dicembre 2003, in Bull. civ., 8, in D., 2004, 161 e in RTD civ. 
2004, 300). 
(43) Cass., 2e, 3 giugno 2004, in Bull. civ., II, n. 276; Id., 19 aprile 2005, in Bull. civ., II, n. 
99; Id., 11 ottobre 2005, in Bull. civ., II, n. 242; Id., 5 ottobre 2006, in Bull. civ., II, n. 254).
DOTTRINA 375 
L�informazione, la formazione e 
le buone prassi: cardini per la sicurezza 
sui luoghi di lavoro 
di Flavio Ferdani* 
SOMMARIO:1.- Premessa. 2.- Quadro normativo. 3.- Formazione, informazione professionale 
e addestramento dei lavoratori. 4.- Qualit�, sicurezza, legalit�. 5.- Le buone prassi . 
6.- Le conclusioni. 
1. Premessa 
I gravi incidenti, spesso sfociati nelle cosiddette morti bianche che continuano 
a colpire il nostro paese, hanno riproposto in tutta la sua drammaticit� 
l�inaccettabilit� di un tributo cos� alto per l�espletamento di una attivit� lavorativa, 
anche se a livello nazionale secondo il Rapporto Inail, nel 2008 numero 
degli incidenti sul lavoro e le morti bianche sono scese sensibilmente (1). 
Pur a fronte di un calo nel 2008 di 37.500 incidenti rispetto all�anno precedente, 
tuttavia a livello Europeo il tasso di incidenza UE sugli infortuni l�Italia 
rimane - seppur leggermente - al di sopra della media Ue (il 2,6% rispetto 2,3%). 
Fra i fatti luttuosi che pi� di tutti hanno destato notevole allarme nell�opinione 
pubblica vanno annoverati fra tutti i gravissimi incidenti verificatisi a 
Torino all�interno della Thyssenkrupp e alla scuola di Rivoli, che sono stati 
purtroppo non gli ultimi di una lunga serie di eventi luttuosi, che secondo un� 
indagine condotta dall�Eurispes nel solo anno 2006 ha provocato pi� vittime 
che la guerra in Iraq. 
Tutto ci� ha spinto l�opinione pubblica e il Presidente della Repubblica, 
quale massimo garante della Costituzione, a richiamare con forza l�assoluta 
necessit� di porre in essere tutte le iniziative utili a frenare queste vere e proprie 
sciagure. 
Spinto da questa pressante azione il governo nell�agosto 2007 ha deciso 
di delegare l�attuazione di un sistema normativo che fosse in grado di dare una 
risposta pronta ed efficace alla domanda di sicurezza richiesta da tutto il paese. 
In esito a ci� l�esecutivo ha adottato norme ancora pi� stringenti in ma- 
(*) Capo di Gabinetto della Prefettura di Pisa. 
(1) 
Rapporto Inail - Totale infortuni a livello nazionale distinti per tipologia e per anno:
2007 2008 Var. % 2007 2008 Var. % 
Totale infortuni 912.410 874.940 -4,1 Casi mortali 1.207 1.120 -7,2
376 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
teria di sicurezza sui luoghi di lavoro, sia nell�ottica di una riorganizzazione 
di tutte le norme relative alla sicurezza sia per garantire una loro uniformit� a 
livello nazionale, tenuto conto del dettato di cui all�articolo 117 (2) della Costituzione 
che ripartisce fra Stato e Regioni la materia appunto della sicurezza 
sui luoghi di lavoro. 
E il legislatore nel 2008, accogliendo le determinazioni governative ha 
emanato i provvedimenti nell�ambito della delega ricevuta. Il sistema sanzionatorio 
adottato nel testo unico ha suscitato non poche perplessit� da parte del 
mondo imprenditoriale, che ha ritenuto il testo unico troppo basato su di un 
eccessivo inasprimento delle pene sostenendo che fin dai tempi di Beccaria 
non ha mai funzionato da efficace deterrente. 
Tra le principali novit� la nuova normativa ha previsto l�ampliamento del 
campo di applicazione delle disposizioni in materia di salute e sicurezza, ora 
riferite a tutti i lavoratori che si inseriscano in un ambiente di lavoro, senza 
alcuna differenziazione di tipo formale, il cosiddetto principio di effettivit� 
della tutela che implica la tutela di tutti coloro che, a qualunque titolo, operano 
in azienda e ricomprende anche i lavoratori autonomi, con conseguente innalzamento 
dei livelli di tutela di tutti i prestatori di lavoro. 
Il Testo Unico ha rappresentato quindi il tentativo del Governo di procedere 
ad una sistemazione organica delle norme che devono disciplinare la complessa 
delicata tematica della sicurezza sui luoghi di lavoro, al quale sarebbe 
opportuno seguisse da parte datoriale l�approvazione a livello aziendale di un 
codice di comportamento etico o di un codice di autodisciplina che, certo aiuterebbe 
la crescita della cultura di sicurezza negli ambienti di lavoro e nel contempo 
potrebbe accrescere il valore dell�impresa stessa. 
In particolare era necessario che la prevenzione della salute e della sicurezza 
assumesse caratteri di effettivit� e non fosse basata su regole formali, 
ma piuttosto su criteri che potessero integrare il sistema normativo tradizionale 
con strumenti quali: la formazione, l�informazione, le buone prassi, gli accordi 
collettivi, per dare vita ad una complessa rete che potesse favorire una sinergia 
fra imprenditori e lavoratori, parti sociali e pubbliche istituzioni in un sapiente 
mix di pubblico e privato. 
Al di l� di tutto questo le troppe morti sul lavoro devono per� indurci ad 
una amara riflessione: la mancanza negli ambienti di lavoro di una cultura che 
permetta di tenere la sicurezza nella dovuta considerazione, prendendo atto 
che, nessun fatturato, nessuna crisi economica e finanziaria, che pure sta 
avendo pesanti ripercussioni sul mondo delle imprese, nessun profitto ad ogni 
costo, nessuna concorrenza o una competitivit� spinta sempre pi� in alto sia 
(2) La potest� legislativa � esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, 
nonch� dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Sono materie 
di legislazione concorrente quelle relative a: �tutela e sicurezza del lavoro.
DOTTRINA 377 
nazionale che internazionale, pu� giustificare una morte bianca. 
La sicurezza non pu� n� essere ritenuta esistente per definizione, n� pu� 
ammettersi la mancanza di una adeguata cultura d�impresa sulla sicurezza, 
poich� il datore di lavoro deve sempre attivarsi per organizzare le attivit� lavorative 
in modo sicuro, atteso che la sua responsabilit� pu� derivare sia da 
comportamenti attivi ma anche omissivi (3) ad esempio non realizzando le 
misure di sicurezza o non informando i lavoratori circa i rischi della attivit�. 
Occorre invece lavorare per creare i presupposti che possono dare vita ad 
un percorso virtuoso all�interno dell�azienda che aumenti la sicurezza elevandola 
a cardine per la tutela dell�integrit� fisica del prestatore. 
E� necessario che i manager siano costantemente aggiornati sulle normative, 
abbiano capacit� organizzative per poter definire strategie di azione, possano 
pianificare interventi mirati finalizzati a ridurre gli incidenti al minimo, 
sappiano coordinare gli interventi nel campo della sicurezza. 
Tutto questo in quanto la sicurezza non pu� essere considerata un valore 
diviso per compartimenti stagni , ma un plusvalore che richiede una analisi 
completa che deve investire tutte le possibili combinazioni della vita aziendale 
e degli ambienti di lavoro in genere, atteso che l�obbligo di sicurezza si estende 
a tutto l�ambiente ove opera il lavoratore (4). 
A cominciare ad esempio dalle scuole che, non solo costituiscono un 
luogo di apprendimento e di studio per i giovani, ma sono anche un ambiente 
di lavoro per tutto il personale docente e non docente, che � chiamato a vigilare 
sulla sicurezza e sull�incolumit� degli alunni nel tempo in cui fruiscono della 
prestazione scolastica; esiste infatti tra i due soggetti un rapporto giuridico definito 
dalla Cassazione di �contatto sociale�. 
Proprio in base a tale presupposto in una recente sentenza la Suprema 
Corte ha riconosciuto il diritto dell�alunno ad un risarcimento del danno non 
patrimoniale da parte del docente, perch� proprio in virt� di quel �contatto sociale� 
per il docente si instaura, nel complessivo obbligo dell�istruzione anche 
quello di protezione e vigilanza (5). 
Questo per riaffermare che la tutela della sicurezza deve essere l�obiettivo 
di azioni positive nell�ambito di una rinnovata e pi� diffusa cultura della sicurezza 
che deve cominciare fin dagli anni della scuola dell�obbligo nel solco 
tracciato dai nostri Costituenti, che hanno colto nella salute non solo un diritto 
fondamentale dell�individuo, ma anche, e significativamente un interesse della 
collettivit�. 
Non a caso pur essendo riconosciuta la libert� di impresa essa va accompagnata 
dal monito che essa non deve mai recare danno alla sicurezza dell�in- 
(3) Cass. 18 maggio 2006 n. 11664. 
(4) Cass. 7 marzo 2006 n. 4840. 
(5) Cass. 11 novembre 2008 n. 26972.
378 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
dividuo, anche perch� finirebbe per incidere sulla sua libert� mortificandone la 
dignit� di uomo. 
2. Quadro normativo 
La sicurezza sui luoghi di lavoro costituisce una priorit� fondamentale, o 
meglio ancora un obiettivo prioritario e ci� lo si desume dall�esame di una copiosa 
normativa esistente al riguardo. 
A livello europeo il Trattato istitutivo Cee all�articolo 118 prevede che gli 
stati membri si devono adoperare per promuovere il miglioramento in particolare 
dell�ambiente di lavoro per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori, e si 
fissano come obiettivo l�armonizzazione, in una prospettiva di progresso, delle 
condizioni esistenti in questo settore. 
Proprio l�adeguamento agli standards imposti dal recepimento della normativa 
comunitaria aveva portato all�emanazione del Decreto legislativo 19 settembre 
1994 n.626, attuativo delle normative comunitarie e il cui perseguimento 
era appunto il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul 
luogo di lavoro. 
A distanza di circa 14 anni ha fatto seguito il 15 maggio 2008 il il D.Lgs. 
n. 81/2008, ormai conosciuto come Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro pubblicato 
nella Gazzetta Ufficiale n. 101 del 30 aprile scorso ed attuativo dell�art. 
1, legge n. 123/2007 che norma le misure in tema di tutela della salute e della 
sicurezza sul lavoro e delega il governo �per il riassetto e la riforma della normativa 
in materia di salute e di sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei 
luoghi di lavoro, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in un 
testo normativo� (6). 
Il testo riscrive la materia della salute e sicurezza sul lavoro le cui regole, 
fino a oggi contenute in numerose disposizioni succedutesi nel tempo, sono state 
rivisitate in maniera maggiormente organica. 
Questo perch� la sicurezza deve costituire per l�azienda (7) sia un obiettivo, 
ma anche una condizione di limite ad un esercizio dell�attivit� d�impresa, che 
non pu� essere totalmente libera ma contenuta dall�esigenza del rispetto appunto 
delle norme sulla sicurezza che deve essere pensata come valore da difendere 
in chiave assoluta. 
Anche la Costituzione Europea non ha mancato di riaffermare l�esigenza 
della sicurezza prevedendo all�articolo 87 della Costituzione Europea il diritto 
dei lavoratori all�informazione e alla consultazione nell�ambito dell�impresa e 
all�articolo 91 il diritto di ogni lavoratore a condizioni di lavoro sane, sicure e 
dignitose. 
(6) Articolo 1 decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. 
(7) Il complesso della struttura organizzata dal datore di lavoro pubblico o privato.
DOTTRINA 379 
Anche la nostra Carta Costituzionale che pone il lavoro quale principio cardine 
stabilendo all�articolo 1 che �l�Italia � una Repubblica fondata sul lavoro� 
prevede diversi articoli con i quali riafferma l�importanza dell�obbligo della sicurezza 
nello svolgimento del rapporto di lavoro ed in particolare quello della 
tutela della salute come fondamentale diritto dell�individuo. 
L�articolo 32 si spinge anche oltre laddove riconosce la tutela della salute 
come fondamentale interesse della collettivit�, cio� come tutela dell�integrit� 
fisica e, pi� in generale della salute in quei rapporti caratterizzati da un coinvolgimento 
della persona nella fase di esecuzione del rapporto. Ha quindi affermato 
con forza la necessit� di limitare i pregiudizi che, eventualmente l�esecuzione 
del contratto stesso pu� arrecare alla salute di una delle parti contraenti. 
Ma la Costituzione contempla anche altri articoli in tema di sicurezza, quali 
l�art. 35 che tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni e l�art. 41 al 
comma 1, che pur stabilendo che l�iniziativa economica privata � libera, tuttavia 
pone un correttivo nel comma 2 laddove stabilisce che non pu� svolgersi in contrasto 
con l�utilit� sociale o in modo da recare danno alla sicurezza che deve intendersi 
oltre che in se senso proprio, anche come incolumit�, libert� e dignit� 
umana; valore quest�ultimo affermato esplicitamente nell�articolo 1 della Costituzione 
Europea. 
Quindi le norme che impongono all�imprenditore il rispetto delle misure 
di sicurezza costituiscono attuazione dei principi di cui agli artt. 32 e 41 comma 
2 Cost. che riconoscono al diritto alla salute una valenza prevalente su quello 
alla libert� di iniziativa economica. 
Sulla base della graduazione degli interessi desumibile dal comma 2 dell�art. 
41 Cost., l�interesse alla sicurezza del lavoratore � quindi prevalente rispetto 
a quello dell�imprenditore di organizzare liberamente la propria attivit� economica. 
Vi � poi l� articolo 2087 del codice civile che � norma definibile aperta in 
quanto supplisce alle carenze della normativa che ragionevolmente non pu� prevedere 
tutti i rischi e che ricorre ogni qualvolta venga accertato che il datore di 
lavoro non ha adottato le misure necessarie a tutela della integrit� fisica e delle 
condizioni di salute del prestatore d�opera. 
Pi� nel dettaglio l�art. 2087 codice civile, con particolare riferimento al 
contratto di lavoro subordinato, prevede che l�imprenditore � tenuto ad adottare 
nell�esercizio dell�impresa le misure a tutela della sicurezza secondo tre criteri: 
la particolarit� del lavoro, l�esperienza e la tecnica ottemperando non solo a regole 
cautelari scritte, ma anche alle norme prevenzionali che una figura-modello 
di buon imprenditore � in grado di ricavare dall�esperienza, secondo i canoni di 
diligenza, prudenza e perizia (8). 
(8) Cass. Sez. IV, 16 settembre 2008 n. 38819.
380 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
Questi tre presupposti dettano la via maestra per indirizzare la propria attivit� 
ed impongono di predisporre tutte quelle cautele che l�esperienza del 
momento storico suggerisce, quelle misure che il progresso tecnico scientifico 
o tecnologico pone a disposizione e che sono necessarie a tutelare l�integrit� 
fisica e la personalit� morale dei prestatori di lavoro. 
Tra i compiti di prevenzione che fanno capo al datore di lavoro vi � infatti 
anche quello di dotare il lavoratore di strumenti e macchinari del tutto sicuri, 
dovendo in proposito ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore 
scienza ed esperienza, per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni 
di operare con assoluta sicurezza (9). 
Detto articolo contiene sostanzialmente i precetti che devono essere rispettati 
per garantire la sicurezza sul lavoro. E� evidente che tali precetti sono 
riferiti in via esclusiva all�imprenditore e la ragione di tale precipuo riferimento 
va ricercata nel fatto che tale norma � contenuta nel codice civile ed � 
finalizzata a prevedere la responsabilit� civile per l�imprenditore che non rispetti 
tali precetti. 
Nel nostro ordinamento l�imprenditore � l�unico responsabile civile dell�impresa 
e il legislatore con l�art. 2087 ha posto a carico dell�imprenditore il 
dovere di sicurezza per quel che riguarda i lavoratori subordinati; tantՏ che 
la Suprema Corte con una recente sentenza (10) ha reso pi� facile il riconoscimento 
del danno morale dovuto ai parenti delle vittime, stabilendo che non 
� necessaria la prova specifica della sua sussistenza, atteso che la prova pu� 
essere desunta anche solo in base allo stretto vincolo familiare. 
E� quindi fondamentale ribadire la centralit� del ruolo del datore di lavoro 
che deve essere il cultore della sicurezza, dovendo arrivare non solo a predisporre 
le misure infortunistiche, ma anche a sorvegliare continuamente sulla 
loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto in 
virt� della generale disposizione di cui all�articolo 2087 egli � individuato 
quale garante dell�incolumit� fisica dei prestatori di lavoro (11). 
Un datore di lavoro deve quindi porre in essere un modello organizzativo 
che metta in atto efficaci strategie di prevenzione (loss prevention) e gestione 
dei rischi (risk management), proprio per la sua posizione di garanzia di contenuto 
ampio, che richiede al datore di lavoro di allestire misure di sicurezza 
idonee e che si realizza attraverso delineati compiti di vigilanza, di controllo 
e provvedimenti impeditivi. 
Gli obblighi e le responsabilit� incombono in via prioritaria sul datore di 
lavoro e non trasferibili ad esempio ad un preposto seppur presente sul cantiere, 
fatto salva dell�esistenza della prova rigorosa di una delega espressa- 
(9) Cass. 5 dicembre 2008 n. 45335. 
(10) Cass. sent. n. 20188/2008. 
(11) Cass. Pen. Sez. IV, 12 aprile 2005, n. 20595.
DOTTRINA 381 
mente e formalmente conferitagli, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale 
e particolare competenza (12). 
A conferma del ruolo prioritario che l�imprenditore riveste, va rimarcato 
come il nuovo testo unico ha introdotto l�istituto della �compliance programs� 
secondo il quale, qualora l�imprenditore adotta modelli organizzativi migliorativi 
della sicurezza, gli stessi acquisiscono efficacia esimente ai fini di una 
eventuale responsabilit� penale. 
Anche la possibilit� di fruire da parte dell�imprenditore edile di una speciale 
riduzione contributiva prevista dell�11,50 dei premi Inail subordinata alla 
presentazione del Durc e alla mancanza di condanne passate in giudicato per 
violazioni delle norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro negli ultimi cinque 
anni, va nella direzione di riconoscere un ruolo premiale a quelle imprese che 
hanno avviato un circolo virtuoso nel campo della sicurezza, che hanno adottato 
un�etica come effettiva linea di condotta. 
Tutto ci� non deve per� indurci a ritenere assente o minoritario il ruolo 
dei lavoratori o meglio del rappresentante dei lavoratori che, in virt� dell�articolo 
9 dello Statuto ha la possibilit� di controllare l�applicazione delle norme 
per la prevenzione infortuni e delle malattie professionali. 
E� soprattutto importante dare maggiore concretezza al binomio Rls /datore 
di lavoro che devono operare per un realizzare un benessere condiviso 
sul luogo di lavoro, attraverso la realizzazione di una sorta di leale collaborazione 
tra i due soggetti, atteso che il Rls deve collaborare alla tutela dell�incolumit� 
propria e delle altre persone presenti sul luogo di lavoro. 
L�auspicio � quindi di un nuovo patto d�impresa per la formazione tenendo 
conto che l�impresa � formata da personale. 
3. Formazione, informazione professionale e addestramento dei lavoratori 
Fondamentale � poi il ruolo della formazione, della informazione professionale, 
dell�addestramento dei lavoratori che devono essere garantite attraverso 
l�apprendimento di competenze specifiche (la cosiddetta safety 
education and training) ed al quale il Testo unico ha riservato due distinti articoli: 
il 36 e il 37. 
In particolare secondo l�articolo 37 il datore di lavoro deve prevedere che 
ogni lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata sulla sicurezza 
lavoro. 
Va detto che esiste una perfetta osmosi tra informazione e formazione: la 
prima consiste nel porre a conoscenza il lavoratore della complessa realt� 
aziendale, quale conoscenza appunto dei rischi professionali che sussistono 
(12) Cass. Pen. Sez. IV, 10 febbraio 2009, n. 20395.
382 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
sul luogo di lavoro; cos� facendo si garantisce la conoscenza dei rischi e si 
da vita quindi ad un elemento fondamentale di prevenzione (13). 
Nel dettaglio � l�articolo 36 comma 1 e 2 che sancisce gli elementi sui 
quali il lavoratore deve ricevere una adeguata informazione (14). 
Parallela all�informazione esiste la formazione (15) mediante la quale 
possono essere forniti gli elementi conoscitivi (il cd sapere che) e le conoscenze 
professionali (il cd. sapere come). 
Esiste un dovere e un obbligo di mantenere e di migliorare la propria 
competenza professionale attraverso la formazione continua che � attivit� 
svolta ad assicurare e garantire le proprie aspettative. 
Qualificare le maestranze significa conseguire vantaggi sul piano della 
operativit� concreta dei lavoratori che possono ottenere una formazione 
quanto mai utile per evitare i rischi e porre in essere comportamenti pi� improntati 
alla consapevolezza, alla conoscenza e alla padronanza in un contesto 
lavorativo anche diverso dal precedente. 
Sotto questo profilo un ruolo importante pu� essere svolto dalla costituzione 
di una formazione pre-ingresso al mondo del lavoro; una sorta di apprendistato 
che � espressamente prevista dall�art. 55 del Testo Unico che 
permette di dedicare un determinato numero di ore alla formazione che viene 
svolta prima che venga costituito il rapporto di lavoro. 
Ci� permette a chi non � mai entrato nel ciclo produttivo di acquisire un 
vero e proprio valore aggiunto e cio� almeno quelle base essenziali, quelle 
conoscenze tecniche utili ai fini della salvaguardia della propria sicurezza; 
ma non solo ci� permette anche un altro risultato e cio� quello di contrastare 
eventuali illegalit� al momento dell�immissione di nuova manodopera nei 
cantieri. 
Sotto questo profilo utile ai fini di una maggiore sicurezza e consapevolezza 
professionale soprattutto in settori a rischio come il settore edile, potrebbe 
rivelarsi l�innovazione introdotta dalle parti sociali e dall�Ance che 
prevede che ciascun lavoratore prima dell�assunzione in impresa debba ricevere 
una formazione di mestiere presso la pi� vicina scuola edile. Ci� potrebbe 
agevolare l�inserimento professionale, per fornire al neoassunto ad un 
definitivo inserimento nel mondo del lavoro. 
Puntare sulla formazione e sulla consapevolezza soggettiva dei rischi, 
sulla conoscenza per evitare di restare vittima di operazioni sbagliate � l�arma 
(13) Il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarit� del lavoro, 
l�esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione 
e dell�integrit� dell�ambiente esterno. 
(14) Art. 36, comma 1 e 2, sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi all�attivit� dell�impresa 
in generale, sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, evacuazione 
dai luoghi di lavoro, ecc. 
(15) Art. 37 D.Lgs. n. 81/2008.
DOTTRINA 383 
pi� adatta ed efficace per limitare gli infortuni. 
La cognizione dei rischi di infortunio costituisce un elemento di forza 
nella battaglia civile per una maggiore sicurezza sul lavoro in quanto da sempre 
il sistema formativo ritiene che conoscere le mansioni che si � chiamati 
a svolgere sia un elemento decisivo, insieme al pieno rispetto delle norme 
sulla sicurezza, per rafforzare la cultura della sicurezza nel mondo del lavoro. 
Quanto pi� il dipendente �tesorizza� per s� utili conoscenze tanto pi� si 
garantisce contro gli infortuni ma pu� altres� favorire una positiva ricaduta 
anche per gli altri lavoratori di tutte quelle conoscenze che potranno sicuramente 
tornare utili per la loro attivit� futura. 
Dare vita ad una formazione e informazione adeguata su tutti i rischi generici 
e specifici che sono connessi ad una determinata attivit� lavorativa, 
sulle attrezzature di lavoro, significa dare al lavoratore gli strumenti che possono 
permettere di ridurre gli infortuni sul lavoro. 
Significa soprattutto far acquisire al lavoratore piena consapevolezza sui 
rischi del lavoro e quindi dare vita ad un elemento irrinunciabile per garantire 
una maggiore sicurezza. 
La formazione deve riguardare quindi anche le fasce pi� deboli degli imprenditori 
per convincerli sulla consapevolezza dei diritti del dipendente tenuto 
conto che il T.U. ha esteso anche alle piccole imprese il valore della 
prevenzione. 
Per tali aziende potrebbe essere ad esempio percorribile la strada dei finanziamenti 
agevolati attraverso i quali permettere l�acquisto di nuovi macchinari 
pi� innovativi in tema di sicurezza, ottenere le certificazioni aziendali, 
fare corsi di formazione. Inoltre tutto ci� richiamerebbe l�attenzione delle 
imprese sul possibile binomio che chi investe in sicurezza viene premiato 
mediante la concessione di risorse finanziarie specifiche e tassi agevolati. 
Va presa coscienza da parte dell�imprenditore che la sicurezza non deve 
essere un lusso ma lo standard che deve tener conto delle aspettative dei dipendenti 
per cui va fatto un salto di qualit� culturale che non pu� che tornare 
a vantaggio delle imprese. 
Sulla formazione dovranno essere attuate e progettate azioni specifiche 
volte a definire percorsi utili alla crescita e alla professionalizzazione dei lavoratori; 
potremo parlare della necessit� di dare vita ad una responsabilit� 
etica delle imprese nell�adeguamento alle normative sulla sicurezza sia sugli 
imprenditori che sui lavoratori; dare vita ad una sorta di � business ethic�. 
Non pu� tacersi il fatto che l�imprenditore quale destinatario iure proprio 
della sicurezza � titolare o meglio ancora assume in s� una posizione di garante 
fissata ai sensi dell� articolo 18 comma 1 lettera f del Testo unico nella 
materia della prevenzione e della sicurezza ed anche della correttezza dell�agire 
del lavoratore e deve quindi esercitare un controllo continuo e pressante 
affinch� i lavoratori rispettino le norme sulla sicurezza, evitando che
384 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
questi possano sottrarvisi instaurando magari prassi di lavoro non corrette 
(16) eliminando anche quei comportamenti inusuali e fonti di pericolo. 
Il datore di lavoro, infatti, si trova in posizione di garanzia rispetto al dipendente 
in relazione all�obbligo di assicurare adeguate condizioni di sicurezza 
e non � sufficiente rispettare le prescrizioni, ma � anche necessario agire 
in ogni caso con la diligenza, la prudenza e l�accortezza necessarie ad evitare 
che dall�attivit� derivi un nocumento a terzi (17). 
Proprio il ruolo di �garante� del datore di lavoro fa si che lo stesso deve 
esigere dal lavoratore il rispetto delle regole di cautela, svolgendo un controllo 
continuo e pressante per evitare che il lavoratore ponga in essere prassi 
di lavoro non corrette e pericolose (18); ci� in quanto la normativa contro gli 
infortuni mira a salvaguardare l�incolumit� del lavoratore anche dai rischi 
derivanti da sue disattenzioni o sue imprudenze (19) e fermo restando comunque 
che - a fronte di comportamenti imprudenti e non abnormi - la responsabilit� 
del datore di lavoro non � automatica, ma presuppone sempre 
l�accertamento della sua colpa. 
Ne � riprova il fatto che anche le pi� recenti sentenze giurisprudenziali 
non escludono la responsabilit� del datore di lavoro neppure nel caso di sussistenza 
della colpa del lavoratore, fatto salvo il fatto che la condotta dello 
stesso abbia assunto i caratteri dell�abnormit�, interrompendo il quel caso il 
nesso causale di cui all�articolo 41 comma 2 (20) del Codice penale tra 
l�evento lesivo e la condotta del datore di lavoro (21). 
Solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri 
della eccezionalit�, della abnormit�, dell�esorbitanza rispetto al procedimento 
lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, che sia 
del tutto imprevedibile o inopinabile, il datore di lavoro pu� andare esente 
da responsabilit�. 
Occorre cio� un comportamento imprudente del lavoratore, che sia stato 
posto in essere da quest�ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo 
alle mansioni affidate - e pertanto - al di fuori di ogni prevedibilit� per il 
datore di lavoro o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito 
in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e, 
(16) Cass. 23 ottobre 2008, n. 39888. 
(17) Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall�azione 
od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalit� fra l�azione od omissione e 
l�evento. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalit� quando sono state da sole sufficienti 
a determinare l�evento. In tal caso, se l�azione od omissione precedentemente commessa costituisce per 
s� un reato, si applica la pena per questo stabilita. Le disposizioni precedenti si applicano anche quando 
la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui. 
(18) Cass. Pen. Sez . IV, 22 gennaio 2007, n. 10109. 
(19) Cass. Pen Sez. IV, 28 febbraio 2008. 
(20) Cass. Pen. Sez.IV, 6 maggio 2009. 
(21) Cass. 8.4.2008 n. 22615 e ancora Sez. IV 25.3.2009.
DOTTRINA 385 
quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro 
(22). 
Pertanto, in ogni caso di ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall�assenza 
o inidoneit� delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale 
per escludere la responsabilit� del datore di lavoro pu� essere attribuita al 
comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all�evento, 
quando questo sia comunque da ricondurre alla mancanza o alla insufficienza 
di quelle cautele che,se adottate sarebbero valse a neutralizzare 
proprio il rischio di siffatto comportamento (23). 
Non va dimenticato che anche la vigilanza sull�applicazione delle misure 
disposte dal RSPP e sulla loro osservanza da parte del lavoratore sono a carico 
del datore di lavoro (24), e anche quando nell�infortunio abbia concorso 
la colpa del lavoratore, il danno non risarcibile dall�INAIL non deve essere 
sopportato dall�Inps nel suo intero ammontare. L�imprenditore deve infatti 
provare l�imputabilit�, anche parziale, al lavoratore affinch� il concorso di 
colpa incida sull�ammontare del risarcimento (25). 
N� la responsabilit� del datore di lavoro viene meno in concorrenza di 
eventuali profili colposi del fabbricante che ha venduto un macchinario pur 
provvisto di marchio Ce, se l�imprenditore non ha svolto una attivit� di informazione 
mediante istruzioni chiare circa la pericolosit� della macchina, 
unita a tutte le altre misure di prevenzione previste ex lege contro gli infortuni 
(26).
Ci� in quanto le norme in materia di prevenzione del rischio (la cosiddetta 
safety management) degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il 
lavoratore anche contro gli incidenti intrinsecamente connaturati all�esercizio 
dell�attivit� svolta, anche se ci� non deve portarci a considerare come assoluta 
la responsabilit� del datore di lavoro altrimenti entreremo nel campo di una 
responsabilit� di tipo oggettivo. 
Non pu� infatti sottacersi come l�articolo 41 della Costituzione garantisce 
la libert� di iniziativa economica privata, precisando tuttavia che essa non 
pu� svolgersi in contrasto con l�utilit� sociale o in modo da recare danno alla 
sicurezza, alla libert� ed alla dignit� umana. 
Va tuttavia detto che anche il lavoratore preposto alla prevenzione pu� 
essere chiamato a rispondere personalmente degli infortuni subiti dagli altri 
lavoratori, per non aver ottemperato o fatto ottemperare al rispetto delle 
norme antinfortunistiche e non pu� certo costituire un esimente il trincerarsi 
(22) Cass. Sez. IV, 13 ottobre 2004, n. 40164. 
(23) Cass. Pen. sez. IV, 6 novembre 2006, n. 41951 e Cass. Pen. sez. IV, 18 gennaio 2007, n. 6348. 
(24) Cass. Sez. IV, sent. 20.5.2008 n. 27420. 
(25) Cass. Sez. Lavoro 4.8.2008 n. 21112. 
(26) Cass. Pen. n. 45335 del 5.12. 2008.
386 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
dietro un livello di qualifica ritenuto troppo basso, se quest�ultimo � stato 
adeguatamente formato e quindi sia in possesso delle nozioni adeguate a tale 
compito (27). 
4. Qualit�, sicurezza, legalit�. 
Si tratta di una trilogia espressione della necessit� di adottare un sistema 
meritocratico nei confronti delle imprese per garantire una corretta puntuale 
valutazione dei rischi (il cosiddetto risk assment), che costituisce sinonimo 
di qualit� negli interventi, di corretta applicazione delle norme di sicurezza 
per i lavoratori. 
Quando si d� vita ad un sistema intero di totale legalit� in tutte le fasi 
della complessa attivit� lavorativa si ottiene un altro importante risultato : 
quello di eliminare quei soggetti che con comportamenti scorretti inquinano 
il mercato. 
Bisogna quindi riconoscere il know-how delle singole imprese assumendo 
atteggiamenti premiali verso quegli imprenditori che attraverso il rispetto 
dei doveri di sicurezza danno vita ad una attivit� di produzione 
connotata da condizioni di legalit�. 
Occorre che la parte datoriale prenda coscienza che operare in un ambiente 
di lavoro pi� sicuro e protetto aumenta il grado di reputazione e di affidabilit� 
dell�intera azienda, ne accresce la qualit� della vita lavorativa e di 
conseguenza il valore intangibile della stessa. 
Il compito di un lungimirante imprenditore � infine quello di analizzare 
e valutare il sistema di gestione interno gi� esistente ed eventualmente provvedere 
a un adeguamento del proprio modo di operare per cercare di migliorare 
e correggere le gestione aziendale, per prevenire ed evitare gli infortuni 
sul lavoro, assumendo un ruolo di �facilitatore naturale� della comunicazione 
tra valori aziendali e risorse umane. 
Solo in tale modo si pu� arginare o meglio ancora eliminare il rischio 
(28) che i lavoratori possono subire nell�esercizio della loro attivit� lavorativa 
e garantire la prevenzione dei reati. La prevenzione deve diventare un vero e 
proprio obiettivo di programma, che deve far parte magari di un codice di 
comportamento etico che non � solo produrre carta ma serve a stabilire norme 
da rispettare e fare rispettare per garantire la sicurezza propria e degli altri. 
(27) Cass. Pen. n. 29323 del 15 dicembre 2008. 
(28) Probabilit� di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o 
di esposizione a un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione.
DOTTRINA 387 
5. Le buone prassi 
In tale contesto un passo in avanti importante pu� essere quindi costituito 
dalla politica delle buone prassi (29) che vede nel datore di lavoro un soggetto 
che pu� individuare soluzioni organizzative o procedurali per la riduzione 
dei rischi ed il miglioramento delle condizioni di lavoro. Tutto ci� che pu� 
seriamente aiutare a incrementare la sicurezza nei luoghi di lavoro, va apprezzata 
e sostenuta sia dalla parte datoriale che dei lavoratori. 
E� un passo importante in quanto il costante monitoraggio e l�aggiornamento 
delle procedure, dei modelli di gestione aziendale consente da un lato 
di revisionare sempre una procedura lavorativa, atteso che un modus operandi 
non costituisce un elemento immutabile ed immodificabile ma presenta sempre 
margini di miglioramento grazie ai mutamenti organizzativi e produttivi 
o evolutivi che la ricerca determina soprattutto nel campo tecnologico consentendo 
di raggiungere livelli di eccellenza. 
Quali possono essere gli scopi e gli obiettivi delle buona prassi: 
- rendere evidente, con esempi pratici, i vantaggi determinati dalle buone 
prassi in termini di sicurezza e salute a tutti i datori di lavoro, Rls e lavoratori; 
- incentivare la massima circolazione di informazioni sulle buone prassi; 
- favorire l�acquisizione di una mentalit� aperta e collaborativa con la 
forza lavoro, con conseguente miglioramento e valorizzazione dei rapporti; 
- aumentare il convincimento che accrescere la sicurezza migliora l�ambiente 
di lavoro, la qualit� della vita e il senso di appartenenza; 
- sostenere lo scambio e la diffusione di informazioni sui modi efficaci 
di prevenzione e sulle �soluzioni pratiche� adottate tramite Internet, siti Web 
e altri mezzi di comunicazione; 
- accrescere la consapevolezza che la prevenzione dei rischi � interesse 
di tutti; 
- promuovere azioni all�interno delle imprese per agevolare la prevenzione 
di rischi; 
- favorire la crescita di una mentalit� premiale verso quelle imprese, che 
hanno contribuito in modo rilevante e innovativo alla diffusione della cultura 
della legalit� nel mondo del lavoro. 
Vi � poi un altro profilo da considerare; il coinvolgimento del rappre- 
(29) Nozione buone prassi coerenti con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica , 
adottate volontariamente e finalizzate a promuovere la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso 
l�osservanza delle disposizioni e delle istruzioni impartite dall�azienda; l�utilizzo corretto di macchinari; 
apparecchiature e utensili; l�utilizzo appropriato dei dispositivi di protezione; la segnalazione 
immediata al datore di lavoro di deficienze dei mezzi e dispositivi; il non rimuovere o modificare senza 
autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo; non compiere di propria iniziativa 
operazioni o manovre pericolose e fuori dalle sue mansioni; sottoporsi ai controlli sanitari previsti.

388 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
sentante dei lavoratori � importante per l�esperienza acquisita nel processo 
produttivo e quindi pu� meglio di ogni altro individuare eventuali criticit� e 
suggerire proposte migliorative; pu� quindi assumere un ruolo di �stakeholders�, 
in quanto primo soggetto interessato sotto vari profili che la sicurezza 
sia una priorit� di una organizzazione economica sia - come gi� detto - per il 
contributo che pu� portare in termini di esperienza, stimolando da parte del 
datore di lavoro l�adozione tutte quelle modifiche che sia il progresso che la 
tecnica ogni giorno ci pone davanti. 
Ma vi � un altro aspetto delle buone prassi e dei comportamenti virtuosi 
che non pu� essere trascurato ed � la ricaduta positiva che l�individuazione 
di una procedura ottimale pu� avere per le imprese proprio perch� produce 
un miglioramento della qualit� dei processi in tema di sicurezza e permette 
la possibilit� di una sua diffusione a tutte le attivit� similari facendo si che i 
miglioramenti ottenuti in tema di sicurezza siano acquisiti a costo zero da 
numerose altre imprese. 
Tutto ci� serve a sancire e ricondurre l�ambiente di lavoro al rispetto dei 
canoni della sicurezza garantendo forme di dialogo e di collaborazione tra i 
diversi ruoli quello datoriale e quello dei rappresentanti del lavoratore che 
devono essere entrambi impegnati nella difficile battaglia civile per elevare 
il valore della sicurezza. 
6. Conclusioni 
I gravi e ripetuti incidenti sul lavoro richiedono che venga sempre pi� 
accresciuto il livello della sicurezza per il prestatore di lavoro attraverso una 
maggiore attenzione alla cultura della �safety� in azienda, mediante una mirata 
sorveglianza sul sistema, una metodica attivit� di vigilanza, una costante 
informazione e formazione del personale, una attenta definizione delle procedure, 
un�efficace comunicazione, un monitoraggio delle procedure e un 
pieno coinvolgimento dell�intera organizzazione aziendale. 
Partendo dal presupposto che nell�impresa operano delle persone, fondamentale 
� anche un maggiore coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori 
che sono i primi portatori di interessi e titolari di legittime aspettative 
affinch� gli obiettivi di un�azienda siano raggiunti rispettando le esigenza di 
sicurezza. 
Occorre poi che il datore di lavoro preveda che ogni lavoratore riceva 
una formazione sufficiente ed adeguata sulla sicurezza lavoro, che sia data 
rilevanza alla formazione, all�informazione professionale e all�addestramento 
dei lavoratori che devono essere garantite attraverso l�apprendimento di competenze 
specifiche (la cosiddetta safety education and training). 
Formare,informare ed addestrare le maestranze significa conseguire vantaggi 
sul piano della operativit� concreta dei lavoratori che possono ottenere
DOTTRINA 389 
una formazione quanto mai utile per evitare i rischi e porre in essere comportamenti 
pi� improntati alla consapevolezza, alla conoscenza e alla padronanza 
e finalizzati a evitare incidenti sul lavoro. 
E� un processo complesso, ma se pienamente realizzato potr� portare ad 
una gestione realmente etica dell�attivit� d�impresa, consentendo di dare vita 
ad un nuovo e proficuo rapporto fiduciario con i prestatori d�opera.
390 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
L�abuso del diritto spazia dalla propriet� al 
voto assembleare attraverso la violazione 
del principio di buona fede 
di Andrea Scalzo* 
Spesso nel linguaggio comune utilizziamo il concetto di abuso (dal latino 
ab uti, nel significato di usare male) per indicare un uso distorto, illecito, eccessivo 
di qualche cosa: di un potere, di un�attivit�, di una facolt� persino di 
un diritto. Ma, sotto quest�ultimo aspetto, parlare di �abuso del diritto� sembrerebbe 
quasi una contraddizione in terminis dal momento che in via generale 
un dato comportamento, purch� formalmente corrispondente al contenuto di 
un diritto non pu� risultare abusivo e, perci� illegittimo (in ossequio al brocardo 
latino �qui suo iure utitur neminem laedit � - (Chi esercita un proprio 
diritto non danneggia alcuno) (1). Infatti, coloro i quali negano l�elaborazione 
di un siffatto principio insistono proprio sulla incompatibilit� delle due espressioni 
�abuso� e �diritto�: se il diritto soggettivo � espressione di libert�, il suo 
esercizio deve essere garantito al titolare qualunque sia lo scopo che questi 
persegua (2). In realt�, l�ordinamento qualificando come lecito il compimento 
di un diritto, attribuisce al soggetto la libert� di porlo in essere ma in uno spazio 
di libert� e non di arbitrio (3), con la conseguenza che comportamenti 
(*) Dottore in giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
(1) In realt�, sin dall�epoca romana il diritto del singolo di godere e disporre delle sue cose, ha 
conosciuto limiti ben precisi, imposti in primo luogo dall�interesse pubblico oltre che dalle esigenze 
sociali: si pensi, ad esempio, alla figura arcaica dell�iter limitare, obbligo imposto a ciascun proprietario 
di lasciare libero dalle colture e da ogni forma di utilizzazione permanente uno spazio di due 
piedi e mezzo lungo il confine del suo fondo, antecedente storico della normativa sulle distanze legali. 
Ancora, le Istituzioni di Giustiniano ammonivano: conviene allo Stato che nessuno abusi delle proprie 
cose (expedit enim rei publicae, ne quis re sua male utatur). Al proposito riferivano come una costituzione 
di Antonino Pio avesse dato ai presidi delle provincie il potere di intervenire nel caso in cui 
il proprietario del fondo seviziasse senza ragione i propri schiavi, oggetti, come noto, di sua propriet�. 
Inoltre in altra autorevole fonte (Paulus libro XLIX ad Edictum, in D. 39.3.2.9) si riporta il caso del 
proprietario del fondo che diverta il corso delle acque di un torrente impedendone il deflusso nel 
fondo vicino. Riferendo l�opinione di Labeone, Paolo concorda nell�escludere che contro il proprietario 
sia esperibile l�actio acque pluviae arcendae, essendo l�azione volta ad impedire unicamente le 
manipolazioni che accrescano il deflusso dell�acqua. L�Autore significativamente aggiunge: �semprech� 
il proprietario abbia agito per evitare a s� un danno, non per nuocerti�. 
(2) Cfr. per tutti, F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, 1989, Napoli, 76 
ss; ROTONDI, L�abuso del diritto, in Riv. dir. Civ., 1923, 105 ss; CANDIAN, Nozioni istituzionali del diritto 
privato, Milano, 1949, 28; V. SCIALOJA, Degli atti di emulazione nell�esercizio dei diritti, in Foro 
it., 1878, I, 481 ss. 
(3) Cfr., G. GUARINO, Potere giuridico e diritto soggettivo, in Rass. Dir.. pubbl., 1949, I, 259, 
nota 41 secondo cui �il diritto soggettivo ha ad oggetto �un comportamento futuro, che � gi� individuato 
e che, nello Stato moderno, � sempre limitato dalla norma�.
DOTTRINA 391 
arbitrari e, dunque, abusivi cessano di essere esercizio del diritto (4). Infatti, 
lo spirito della nostra Costituzione e la moderna coscienza sociale impongono 
un richiamo costante al preminente valore della �solidariet�� che, inevitabilmente 
attenua la concezione del diritto soggettivo quale �mera espressione di 
libert�� per attribuire sempre maggiore rilievo ai limiti che il singolo � tenuto 
ad osservare nell�esercizio, potenzialmente pieno ed assoluto, del diritto medesimo 
dal momento che �laddove inizia l�abuso l� finisce il diritto� (5). Tuttavia, 
manca nel nostro ordinamento una disposizione che, in via generale, 
consacri l�abuso del diritto (�abus du droit�, �Rechtsmissbrauch�, �abuse of 
rights�, �abuso del derecho�) stabilendo dei criteri per rilevarlo; il progetto 
preliminare del codice civile aveva predisposto (6), sul modello di quello svizzero 
(7), una norma di carattere generale anche se la formula non fu riprodotta 
nel testo finale in quanto fu giudicata tale da compromettere la certezza del 
diritto (attesa la grande latitudine di potere che essa avrebbe attribuito al giudice). 
La scelta del nostro codice � stata quella di utilizzare l�abuso come ratio 
giustificatrice di singole norme (8): ad esempio l�art. 833 cod. civ. disciplina 
il divieto degli atti emulativi (�il proprietario non pu� fare atti i quali non 
abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri�) al fine 
di reprimere l�abuso nell�ambito della propriet� (9), o ancora l�art. 330 cod. 
civ. prevede una decadenza del genitore in caso di abusi di questa o ancora 
nella materie delle obbligazioni e dei contratti assumono rilievo i limiti derivanti 
dalla clausola della buona fede (artt. 1175 e 1375 cod. civ.). Infatti, il di- 
(4) Cfr., P. RESCIGNO, L�abuso del diritto, in Riv. dir. Civ., 1965, I, 205. L�Autore individua 
l�abuso secondo due ordini di ideologie: quella cattolica e quella socialista. Secondo la visione cattolica 
l�abuso del diritto si ritrova in quell�atto moralmente riprovevole che lede la coscienza, il foro 
interno dell�individuo; viceversa, secondo il secondo punto di vista �socialista� abusivo � considerato 
quell�esercizio che non trova il consenso nella comunit� sociale, destinatario della funzione stessa 
del diritto. 
(5) Cfr., M.PLANOIL, Trait� �l�mentaire de droit civil, Paris, 1939, 269 �le droit cesse o� l�abus 
commense�. 
(6) Art 7: �Nessuno pu� esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per cui il diritto 
medesimo gli � stato riconosciuto�. Sul dibattito circa l�opportunit� di codificare il principio dell�abuso 
del diritto nella codificazione del 1942 v. GIORGIANNI, L�abuso del diritto nella teoria della 
norma giuridica, Milano, 1963, 5 ss. 
(7) Infatti, il modello tedesco reca, infatti, la regola, frutto di generalizzazione dell�antico divieto 
di atti di emulazione, secondo la quale �l�esercizio del diritto � inammissibile se pu� avere il solo 
scopo di provocare danno ad altri� ; l�art. 2 del codice civile svizzero ha adottato la pi� ampia formulazione 
secondo la quale �il manifesto abuso del proprio diritto non � protetto dalla legge�. 
(8) Occorre rilevare come il termine �abuso� ricorre spesso nel linguaggio del codice civile: si 
vedano l�art. 10 (�Abuso dell�immagine altrui�), l�art. 1015 c.c. (�Abusi dell�usufruttuario�), l�art. 
2793 c.c. (�Se il creditore abusa della cosa data in pegno, il costituente pu� domandarne sequestro�; 
ma questa disposizione va letta congiuntamente a quella dell�art. 2792 c.c., che vieta al creditore l�uso 
della cosa, e quindi l�abuso � la violazione di una regola espressa); 
(9) Cfr., COMPORTI, Ideologia e norma nel diritto di propriet�, in Riv. dir. Civ., 1984, I, 309: 
�la teoria dell�abuso del diritto si pose in contrasto con gli enunciati del pensiero liberale classico e 
manifest� la crisi della concezione meramente individualistica della propriet�.
392 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
ritto di propriet� � stato spesso inteso quale diritto volto alla realizzazione di 
qualunque interesse egoistico del proprietario (ius utendi et abutendi), anzi, � 
stato ampiamente sostenuto al riguardo come �il proprietario si differenzi dai 
titolari di altri diritti reali proprio in quanto pu� fare tutto ci� che l�ordinamento 
non vieta, rispetto ai secondi i quali possono fare solo ci� che l�ordinamento 
permette� (10). Questa ricostruzione appare nettamente in contrasto con 
quella che la Costituzione indica come la �funzione sociale della propriet�� 
con la conseguenza di poter qualificare come abusivi (e dunque illeciti) atti 
che non realizzano alcun interesse del titolare ma un interesse, appunto, �diverso�. 
Ma, le stesse preoccupazioni che, durante i lavori di preparazione del 
codice, avevano sconsigliato di recepire l�abuso come categoria generale per il 
timore che essa potesse attentare alla certezza del diritto, hanno condotto verso 
interpretazioni restrittive dell�art. 833 cod. civ., riducendo nel contempo l�ambito 
di azione. Infatti, � costante l�indirizzo secondo cui, perch� un atto possa 
considerarsi emulativo (id est, abusivo), occorra la coesistenza di due elementi: 
il primo di carattere soggettivo, consistente nell�animus nocendi o aemulandi, 
ossia nell�intenzione del proprietario di arrecare pregiudizio o molestia ad altri, 
con relativo onere probatorio a carico del danneggiato; l�altro elemento, di carattere 
oggettivo, consistente nella totale assenza di utilit� che derivi al proprietario 
dall�atto compiuto (11). Tuttavia, tale ricostruzione (costantemente 
seguita a livello giurisprudenziale) � stata ampiamente criticata in dottrina, in 
quanto finirebbe sostanzialmente nel vanificare e annullare l�ambito di applicazione 
della norma, nonch� la possibilit�, da esso consentita, di reprimere 
abusi del proprietario. Basti pensare alla difficolt� di fornire la prova dell�animus 
nocendi (il cui onere � a carico dell�attore), senza trascurare la circostanza 
che, anche la minima utilit�, o meglio un vantaggio utile o capriccioso, avrebbe 
salvato l�atto dal divieto in questione. Cos�, onde evitare i risultati aberranti 
fatti propri dalla giurisprudenza, si � tentato di rivalutare in chiave ampliativa, 
i presupposti applicativi dell�art. 833 cod. civ. (12) cercando di neutralizzare 
l�elemento psicologico dell�intenzione di cagionare danno o molestia e spianando 
la strada a criteri �oggettivi� di valutazione della condotta abusiva (13). 
Infatti, l�art. 833 c.c., nel suo tenore letterale, non attribuisce rilevanza alcuna 
all�animus nocendi, in quanto lo �scopo� di cui al presente articolo, indicherebbe 
semplicemente la finalit� oggettivamente perseguita dall�atto (14), con 
(10) Cfr., V. SCIALOJA, Procedura civile romana. Esercizio e difesa dei diritti. Lezioni, Roma, 
1894, 21. 
(11) Cfr., Cass. 9.10.98, n. 9998. 
(12) Si veda, in particolare, S. PATTi, (voce) Abuso del diritto, in Digesto disc. priv.,.6 ss. 
(13) Cos�, quanto all�elemento oggettivo, viene ravvisato nella sproporzione tra il sacrificio del 
destinatario degli effetti dell�atto e l�utilit� anche oggettivamente apprezzabile del dominus. 
(14) Cfr., PERLINGERI, Introduzione alla problematica della �propriet��, Milano, 1970, 199 ss; 
MAZZONI, Atti emulativi, utilit� sociale e abuso del diritto, in Riv. dir. Civ., 1969, II, 606. 
DOTTRINA 393 
la conseguenza di poter valutare emulativi atti non giustificati da alcun interesse 
del proprietario e dunque inutili (15). Dunque, possiamo qualificare �emulativo� 
l�atto astrattamente rientrante nell�ambito delle prerogative del dominus, 
ma che in concreto, in relazione alle modalit� e alle circostanze del suo esercizio, 
risulta estraneo al contenuto del diritto perch� non riconducibile all�interesse 
ad esso sotteso. La qualificazione di una condotta come abusiva non 
esprime un giudizio valutativo condotto attraverso il riferimento ad un valore 
(etico, morale, etc.) ma un giudizio meramente logico di conformit� della condotta 
stessa all�interesse sotteso all�ascrizione del diritto (16). Ad esempio l�art. 
1127 cod. civ. dopo aver riconosciuto al proprietario dell�ultimo piano di un 
edificio il diritto di elevare una nuova costruzione su di esso, attribuisce ai condomini 
la facolt� di opporvisi �solo se questa pregiudica l�aspetto architettonico 
dell�edificio ovvero diminuisce notevolmente l�aria o la luce dei piani 
sottostanti�. E� chiaro come la facolt� dei condomini di opporsi alla sopraelevazione 
� vincolata alla tutela di interessi specifici il cui ricorrere deve essere 
accertato in concreto al fine di rilevare, ove risulti uno sviamento dell�interesse 
tutelato, un�ipotesi di abuso. Ancora, nella diversa materia delle obbligazioni � 
significativo il dettato dell�art. 1180 cod. civ. �il creditore pu� opporsi all�adempimento 
del terzo solo se ha interesse a che il debitore esegua personalmente 
la sua prestazione�; � evidente che questa disposizione non intende consegnare 
al creditore un potere arbitrario di rifiutare la prestazione del terzo, ma l�interesse 
a che il debitore esegua personalmente la prestazione cui allude la disposizione 
deve essere inteso in senso oggettivo ossia l�esercizio della facolt� di 
opporsi all�adempimento del terzo deve essere vagliato individuando quale interesse 
venga dedotto dal creditore ed un eventuale sviamento dell�interesse 
tutelato evidenzier� una fattispecie di abuso. Quanto detto ci permette di porre 
in rilievo come fenomeni �abusivi� siano rinvenibili nell�esercizio di qualsiasi 
diritto e, dunque, anche in ambito contrattuale, rinvenendo nello sviamento 
dell�interesse e nella violazione della buona fede le due gambe che sorreggono 
e fondano la categoria dell�abuso del diritto (17). Ad esempio, una situazione 
tipicamente abusiva � configurabile nell�ambito della disciplina della condizione, 
come elemento accidentale del contratto. Nella fase di pendenza, l�art. 
1358 c.c. richiede ai titolari dei diritti condizionati un comportamento impron- 
(15) Altro temperamento operato dalla giurisprudenza ritiene sufficiente per l�integrazione dell�elemento 
costitutivo dell�animus nocendi la mera consapevolezza del danno recato, operando dunque 
una scissione all�interno del dolo, tra volont� e rappresentazione. Cfr. Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1998, 
n. 999, in Giust. civ. Mass. 1998, 2046. 
(16) Cfr., C. SALVI, Abuso del diritto. I) Diritto civile, in Enc. giur., I, Roma, 1988, 132. 
(17) Cfr., U.NATOLI, Note preliminari a una teoria dell�abuso del diritto nell�ordinamento giuridico 
italiano, op cit., 26 ss; F.GALGANO, Il negozio giuridico, in Tratt. Dir. Civ. comm. Cicu-Messineo, 
III, 1, Milano, 2002; D.MESSINETTI, Abuso del diritto, in Enc. Dir., Agg., II, Milano, 1998, 8 ss; G.CATTENEO, 
Buona fede e abuso del diritto, in Riv. trim, dir. Proc. civ., 1971, 634. 
394 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
tato a buona fede per conservare integre le ragioni della controparte. Ebbene, 
anche nella condizione, le parti dovranno esercitare il loro diritto rispettando 
dei limiti interni; il loro mancato rispetto determina una lesione delle situazioni 
giuridiche altrui con il relativo abuso, pur restandosi formalmente nell�ambito 
del diritto esercitato. A tutela della parte che subisce, nella fase di pendenza, 
l�esercizio abusivo del diritto, il legislatore prevede una tutela reale riconoscendo 
la finzione di avveramento della condizione non verificatasi per causa 
imputabile alla controparte ex art. 1359 c.c.. Dunque, attraverso il principio 
della buona fede, il giudice pu� effettuare un controllo ulteriore, oltre che diverso 
rispetto alla sua classica valutazione, individuando una soluzione, non 
fornita in modo espresso dal diritto scritto, in grado di correggere e porre nel 
nulla gli effetti di condotte abusive (18). Infatti, intesa la buona fede come oggetto 
di un obbligo che entra nel contratto integrandone il contenuto - specificandosi 
nel dovere (negativo) di non abusare della propria posizione al fine 
di non aggravare ingiustificatamente la condizione della controparte, nonch�, 
nel dovere (positivo) di attivarsi per salvaguardare l�utilit� della controparte 
nei limiti in cui ci� non comporti un apprezzabile sacrificio delle proprie ragioni 
- si � visto nella violazione della buona fede un indice sintomatico di 
abuso del diritto, sanzionato nelle forme tipiche della responsabilit� contrattuale 
o, talora, attraverso rimedi che potremmo definire di �esecuzione in forma 
specifica. Tuttavia, qualificando l�abuso quale sviamento d�interesse sotteso 
all�ascrizione del diritto, sorgono delle difficolt� nella individuazione delle 
ipotesi in cui si concretizzi un siffatto sviamento specie in tutte quelle situazioni 
in cui pi� semplicemente si verificano ipotesi di semplice �approfittamento�, 
ossia situazioni contingenti che pongono una parte, in punto di fatto, 
in una posizione di maggiore forza contrattuale, e le consente di imporre all�altro 
contraente condizioni pi� gravose (19). Ad esempio, nell�art. 9 L. 18 
giugno 1998 n. 192 che, nel disciplinare la sub fornitura nelle attivit� produttive, 
sanziona con la nullit� l�accordo che realizza un eventuale abuso di dipendenza 
economia; l�art. 7 del D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, che stabilisce, 
in materia di ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, la nullit� 
dell�accordo gravemente iniquo in danno del creditore; ancora la L. 6 maggio 
2004, n. 129, che disciplina il franching, predisponendo un apparato protettivo 
a tutela dell�affiliato quale contraente debole. Anche in ambito societario, specie 
nelle societ� di capitali, sono spesso ravvisabili comportamenti abusivi: 
infatti, l�art. 2247 c.c. qualifica la societ� quale �contratto�, in esecuzione del 
(18) Cass., 11 febbraio 1980, n. 960, in Giust. Civ., 1980, I, 1947, con nota di VIRGILIO. 
(19) Cfr., F. MACARIO, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso 
una nuova clausola generale?, in Riv. dir. Civ., 2005, I, 663 ss; F.D. BUSNELLI - E. NAVARETTA, Abuso 
del diritto e responsabilit� civile, in Diritto privato, 1997, Padova, 171-174; G. VETTORI, Libert� di contratto 
e disparit� di potere, in Riv. dir. Priv., 2005, 743 ss; G. D�AMICO, �Regole di validit�� e principio 
di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996, 337 ss. 
DOTTRINA 395 
quale le parti dovranno, come sopra evidenziato, necessariamente comportasi 
secondo correttezza e buona fede. Basti pensare a tutti quei comportamenti 
posti in essere dalla maggioranza dei soci (specie nell�ambito delle societ� capitalistiche) 
(20) al solo scopo di arrecare danno �spingendo fuori� dalla compagine 
sociale alcuni soci (si pensi ad una delibera un aumento di capitale 
adottata al solo scopo di liberarsi di una scomoda minoranza, sapendo che 
questa non sar� in grado di sottoscrivere le azioni di nuova emissione, o ancora 
una deliberazione assembleare con cui i soci di maggioranza convengono di 
non distribuire utili puntando all�autofinanziamento). La dottrina � incerta 
sulla identificazione dello specifico vizio dal quale � in tal caso affetta la deliberazione. 
Mentre in passato la giurisprudenza aveva spesso fatto ricorso 
analogico alla figura dell�eccesso di potere, attinta dal diritto amministrativo, 
ora, invece, pi� correttamente ci si esprime in termini di violazione della buona 
fede (21): esercitando il diritto di voto, il socio d� esecuzione al contratto di 
societ� configurando l�abuso quale violazione del principio di buona fede (art. 
1375 c.c.) (22). Infatti, tutti i contratti devono essere eseguiti secondo buona 
fede: essendo la societ� un contratto, i soci votando in assemblea, danno ad 
esso esecuzione, e dunque l�espressione del voto non pu� essere non soggetta 
al canone di cui all�art. 1375 c.c. Altre volte si � parlato di invalidit� per illiceit� 
del motivo (art. 1345 c.c.) (23). Ad ogni modo, a prescindere da queste 
ricostruzioni dottrinali, la conseguenza che ne deriva � sempre la stessa ossia 
la deliberazione assembleare � annullabile a norma dell�art. 2377 c.c. Infatti, 
sono impugnabili ex art 2377 cod. civ., le delibere che non sono prese in conformit� 
della legge o dell�atto costitutivo anche se, resta ad ogni modo escluso 
ogni sindacato di merito sulla convenienza o sulla opportunit� della deliberazione 
(24). Il giudice pu� semplicemente annullare una deliberazione la quale 
(20) Nell�ambito delle societ� di persone ciascun socio ha, a norma dell�art. 2262 c.c. un preciso 
diritto alla divisione annuale degli utili, ed un diritto alla loro integrale divisione � dopo l�approvazione 
del rendiconto� salvo patto contrario. 
(21) Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151 con la quale la Suprema Corte si � pronunciata per l�annullabilit� 
della deliberazione assembleare di societ� di capitali ispirata da un interesse extrasociale della 
maggioranza. La sentenza muove dalla premessa che, con l�esercizio del voto, il socio d� esecuzione al 
contratto di societ�, sicch� il diritto di voto deve, a norma dell�art. 1375, essere esercitato secondo buona 
fede. Dunque, in questa sentenza il canone della buona fede � utilizzato come criterio di valutazione 
dell�esercizio del diritto, atto a distinguere fra uso ed abuso del proprio diritto. 
(22) Cfr., PREITE, L�abuso della regola di maggioranza, Milano, 1993, 222. 
(23) Cfr., MENGONI, Appunti per una revisione della teoria sul conflitto di interessi nelle deliberazioni 
di assemblea delle societ� per azioni, in Riv. soc., 1956, 460 ss. 
(24) Cass., 26 ottobre 1995, n. 11151; Cass., 30 ottobre 1970 n. 2263, in Riv. dir. Comm., 1970,II, 
398; Cass., 4 marzo 1963, n. 511, in Foro it., 1963, I, 684. Il principio � costantemente formulato in 
questi termini: il giudice �deve circoscrivere l�indagine entro i limiti del controllo di legittimit�, essendogli 
precluso ogni penetrante esame di merito, come lo stabilire se un atto deliberato sia o meno indispensabile 
oppure se il medesimo risultato non possa conseguirsi con altro mezzo tecnico diverso da 
quello prescelto�. 
396 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 
non appaia in nessun modo riferibile alle esigenze sociali facendo leva proprio 
sull�abuso commesso dalla maggioranza la quale, utilizzando la posizione di 
potere della quale gode, ha di fatto conseguito vantaggi esclusivamente ad 
essa riferibili. Trattasi di un sindacato di legittimit� e non di merito: dunque, 
si discute non della convenienza del provvedimento deliberato, ma della mancanza 
assoluta dei suoi presupposti e, soprattutto, dell�essersi l�assemblea servita 
di esso per scopo estranei alla sua funzione. Assunto il dovere di buona 
fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. come integrativo del contenuto stesso del contratto, 
la violazione di esso concreta un inadempimento contrattuale, con conseguente 
applicazione dei rimedi legislativamente previsti per reagire a 
quest�ultimo (quindi, oltre che 1218 c.c., anche 1453 o 1460 c.c.). Finora dell�abuso 
del voto si � parlato con riferimento al solo voto positivo che concorre 
a formare la deliberazione che si impugna ma, nulla osta alla impugnazione 
per violazione della buona fede contrattuale anche del voto negativo, che impedisca 
l�adozione della deliberazione (si pensi all�abuso perpetrato dal socio 
detentore del 50% delle azioni che, per esercitare una indebita pressione sull�altro 
socio o sugli altri soci detentori dell�altro 50%, voti sistematicamente 
contro l�approvazione del bilancio, limitandosi alla mera espressione del voto 
negativo, senza lamentare alcuno specifico vizio del bilancio). Dunque, sebbene 
il legislatore non abbia positivizzato il divieto di abuso del diritto (nonostante 
un tentativo in tal senso fosse stato fatto nel progetto preliminare del 
codice civile), trattasi questo di un principio valevole in ogni settore del diritto, 
che si pone �al di sopra� degli istituti fungendo da �sovrastruttura aggiuntiva 
rispetto alla disciplina positiva� (25). Infatti, il principio del divieto di abuso 
del diritto ha effettivamente un contenuto precettivo eccedente rispetto alla 
mera somma dei singoli istituti �costitutivi�, e tale eccedenza consiste in un 
potere di etero - integrazione del diritto. Che il divieto dell�abuso riesca ad 
eliminare ogni forma d�immoralit� o di arbitrio nei rapporti giuridici privati 
�, ad ogni modo, una illusione che nemmeno i primi commentatori della formulano 
nutrirono; � un�illusione che il divieto in questione sia sufficiente a 
moralizzare il diritto. Tuttavia la formula pu� servire, e si � rilevata uno strumento 
duttile e prezioso, almeno l� dove arbitrio, anormalit� ed offesa al comune 
sentimento siano un fenomeno non pi� individuale ma di un intero 
gruppo. E� significativo che lo stesso pensiero giuridico inglese, cos� restio a 
sondare la malizia del singolo, ritenga senz�altro possibile l�indagine quando 
si tratti di conspiracy, di combinazione di forza che si avvalgono di una libert� 
a danno di altri (26). 
(25) Cos� C. SALVI, Abuso del diritto. I) Diritto civile, in Enciclopedia Giuridica, vol. I, Istituto 
dell�Enciclopedia Italiana, Roma, 1988; in quest�ordine di idee, v. gi� A. SCIALOJA, Il �non uso� � 
�abuso� del diritto soggettivo?, in �Foro italiano�, 1961, I, cc. 256-258. 
(26) Cfr., R. O�SULLIVAN, Abuse of rights, Oxford, 1963, 71. 
Finito di stampare nel mese di ottobre 2009 
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