ANNO LXI - N. 3 LUGLIO-SETTEMBRE 2009 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Glauco Nori. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Getano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Maurizio Fiorilli - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Antonio Palatiello - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Maria Vittoria Lumetti - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. SEGRETERIA DI REDAZIONE: Antonella Quirini e Carla Censi HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Antonella Anselmo, Roberto Antillo, Massimo Bachetti, Sara Caiazza, Vittorio Cesaroni, Guido Corso, Chiara Di Seri, Fabrizio Doddi, Gianluca Fatato, Pasquale Fava, Flavio Ferdani, Wally Ferrante, Sabino Fortunato, Flaminia Giovagnoli, Emanuela Pazzano, Morena Pirollo, Vincenzo Rago, Giampaolo Rossi, Marina Russo, Andrea Scalzo, Federica Varrone, Luca Ventrella, Giuseppe Zuccaro. E-mail: giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829597 antonella.quirini@avvocaturastato.it - tel. 066829205 carla.censi@avvocaturastato.it - tel. 066829561 ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................� 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. � 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI Vittorio Cesaroni, �Le ragioni (anche) dell�interesse pubblico per un diritto sempre ragionevole�. Relazione tenuta nella sala dell�Adunanza Generale del Consiglio di Stato al Convegno del 15 maggio 2009 su �Azione risarcitoria e giudice amministrativo�. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Relazione Associazione Avvocati e Procuratori dell�Avvocatura dello Stato tenuta a Palazzo dei Congressi, Roma, il 5 maggio 2009 in occasione dell�evento �Giornata per la giustizia� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Tavola rotonda sugli aiuti di Stato. Interventi di Guido Corso, Gianni De Bellis, Sergio Fiorentino, Sabino Fortunato, Paolo Gentili e Giampaolo Rossi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chiara Di Seri, La responsabilit� dello Stato per gli atti amministrativi �anticomunitari� in materia di I.v.a. Un�ipotesi di violazione del principio di �equivalenza procedurale� (Corte di Giustizia CE, conclusioni dell�Avvocato Generale del 9 luglio 2009 nella causa C-118/08). . . . . . . . . Flaminia Giovagnoli, Titolarit� e gestione delle farmacie nella normativa comunitaria ed italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Albenzio, Il caso Guiso-Gallisay c.Italia. Intervento all�udienza del 17 giugno 2009 dinanzi alla Grande Camera della Corte dei diritti dell�uomo di Strasburgo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.- Le decisioni Wally Ferrante, Prescrizione del diritto al risarcimento del danno nei confronti dello Stato per violazioni del diritto comunitario (Corte di Giustizia CE, sent. 24 marzo 2009 nella causa C-445/06). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Fiengo, Un utile riassunto sul tema degli �appalti in house� (Corte di Giustizia CE, sent. 10 settembre 2009 nella causa C-573/07) 2. - I giudizi in corso Wally Ferrante, Politica sociale, causa C-229/08 . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Giustizia e affari interni, causa C-292/08 . . . . . . . . . . . Sergio Fiorentino, Ravvicinamento delle legislazioni, causa C-324/08. . pag. 1 �� 9 �� 15 �� 51 �� 74 �� 125 �� 135 �� 151 �� 170 �� 174 �� 178 Wally Ferrante, Politica sociale, causa C-336/08 . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Spazio di libert�, sicurezza e giustizia, causa C-347/08 Wally Ferrante, Propriet� intellettuale, causa C-518/08 . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Libert� di stabilimento, causa C-565/08 . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Gianluca Fatato, Contratto a termine: illegittimit� costituzionale della disciplina sanzionatoria differenziata (Corte Cost., sent. 8-14 luglio 2009 n. 214). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Morena Pirollo, La funzione dell�istanza di prelievo nei ricorsi per equa riparazione dell�irragionevole durata del processo. Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione ed alla luce dei nuovi interventi normativi (Cass., Sez. I civ., sent. 6 marzo 2003 n. 3347; Cass., Sez. I civ., 17 aprile 2003 n. 6180; Cass. civ., SS.UU., sent. 23 dicembre 2005 n. 28507; Cass., Sez. I civ., sent. 28 novembre 2008 n. 28482) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Zuccaro, Sugli effetti della cancellazione delle societ� dal registro delle imprese. La parola alle Sezioni Unite (Cass., Sez. I civile, sent. 15 settembre 2009 n. 19804) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Emanuela Pazzano, Il rispristino degli �esami di riparazione�. Incertezze giurisprudenziale e questioni applicative in merito all�ordinanza ministeriale n. 92 del 5 novembre 2007 del Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca (TAR Piemonte, Sez. II, sent. 12 settembre 2008 n. 1891). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Roberto Antillo, La revoca delle misure di prevenzione di natura patrimoniale. Questioni insolute e nuove problematiche (TAR Calabria, Sez. Reggio Calabria, sent. 28 gennaio 2009 n. 81). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabrizio Doddi, Il carattere assoluto dell�insindacabilit� degli atti politici (TAR Puglia, Bari, Sez. III, sent. 18 maggio 2009 n. 1183). . . . . . . . . . . Riccardo Montagnoli, Sul rifiuto dell�ufficiale di stato civile di effettuare le pubblicazioni per un matrimonio tra omosessuali (CdA Brescia, Sez. I civ., decreto 2 luglio 2009 n. 69; Trib. Venezia, Sez. III civ., ord. 4 aprile 2009). Vincenzo Rago, Note critiche sul relativismo giuridico . . . . . . . . I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Massimo Bachetti, Richiesta interessi per tardivo rimborso spese legali - AL 19546/05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Federica Varrone, Ricorso avverso cartella esattoriale, Nuova Tirrena S.p.A. c. Ministero Sviluppo Economico - AL 39982/08. . . . . . . . . . . . . . pag. 184 �� 192 �� 197 �� 203 �� 215 �� 231 �� 261 �� 267 �� 279 �� 299 �� 311 �� 339 �� 341 Luca Ventrella, Obbligo da parte dei pubblici ufficiali di segnalare alla Procura della Repubblica gli obiettori di coscienza che, seppure precettati, non hanno svolto il servizio di leva - AL 26186/08. . . . . . . . . . . . . . RECENSIONI Federico Basilica e Fiorenza Barazzoni, Diritto amministrativo e politiche di semplificazione, Maggioli Editore, 2009. Prefazione di Franco Gaetano Scoca. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Renato Federici, Guerra o diritto? Il diritto umanitario e i conflitti armati tra ordinamenti giuridici, Editoriale Scientifica, 2009. Recensione di Antonella Anselmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Sara Caiazza, Rilevanza giuridica del deposito dell�istanza di prelievo nella applicazione della legge n. 89/2001 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pasquale Fava, �L�ingiustizia costituzionalmente qualificata� �a tipicit� elastica� e l�opzione �qualitativa� della �gravit� del danno� e della �seriet� della lesione�. Il danno non patrimoniale nel seguito di SS.UU. 11 novembre 2008 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Flavio Ferdani, L�informazione, la formazione e le buone prassi: cardini per la sicurezza sui luoghi di lavoro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Andrea Scalzo, L�abuso del diritto spazia dalla propriet� al voto assembleare attraverso la violazione del principio di buona fede. . . . . . . . . . . pag. 344 �� 347 �� 350 �� 355 �� 359 �� 375 �� 390 T E M I I S T I T U Z I O N A L I Azione risarcitoria e giudice amministrativo �Le ragioni (anche) dell�interesse pubblico per un diritto sempre ragionevole� di Vittorio Cesaroni* Il tema del convegno � quanto mai interessante e soprattutto di massima attualit�, ed investe diversi profili che non possono essere trattati tutti compiutamente nel ristretto ambito della odierna relazione. Affrontarlo - almeno secondo l�angolo visuale di un difensore istituzionale della parte pubblica, ma caratteristico del resto di tutte le problematiche di diritto processuale amministrativo (secondo i precetti, tra gli altri, del grande Maestro Mario Nigro) - impone di considerare in fondo il sistema di tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti della P.A. nella assoluta peculiarit� del giudizio amministrativo, contrassegnato da una parte pubblica necessaria e nel nostro ordinamento in via primaria dalla tutela di una situazione giuridica soggettiva speciale quale quella dell�interesse legittimo al corretto esplicarsi dell�azione amministrativa. Ma, aggiungo subito, del �legittimo interesse� del privato a che questa tutela sia il pi� possibile effettiva, piena e satisfattiva ed ottenuta in tempi ragionevoli, pur a fronte della esigenza di sottoporre a sindacato le imprescindibili, spesso complesse, ragioni dell�interesse pubblico che, non � inutile ribadire, costituiscono il quid pluris peculiare del processo amministrativo. Considerazione dell�interesse pubblico, anche dell�interesse pubblico, e ricerca costante della pi� effettiva e soddisfacente tutela degli amministrati, la cui domanda di giustizia nei confronti della P.A., per molteplici ragioni (� (*) Avvocato dello Stato. Relazione al Convegno del 15 maggio 2009 in occasione del Premio Antonio Sorrentino, convengo tenutosi nella Sala dell�Adunanza Generale del Consiglio di Stato. 2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 inutile tacerlo) � cresciuta in questi ultimi anni in maniera esponenziale, generalizzata e sempre pi� sofisticata (oserei dire aggressiva), merito anche della capacit� di risposta attenta, a dispetto di ogni difficolt�, da parte del giudice amministrativo. E qui so di far felice, credo, il Presidente de Lise che, tra gli altri, non ha mai mancato, nelle relazioni istituzionali (gi� come Presidente del TAR del Lazio) e nei qualificati interventi, di ribadire con fermezza che, gi� hic et nunc utilizzando tutte le tecniche di tutela consentite (fino a quelle persino atipiche) e magari con l�intervento illuminato del legislatore, occorre ormai, in linea del resto con la Convenzione europea dei diritti dell�uomo, �abbracciare un modello processuale che consenta al giudice amministrativo di emanare pronunce che, pi� che dare torto all�amministrazione, diano ragione al privato definendo au fond la res controversa� (Palazzo Spada, 6 aprile 2009, convegno su �Giusto processo e processualprocedimento�) Senza mai dimenticare che �il compito, o meglio il fine, della giustizia nei riguardi della pubblica amministrazione � costituito dalla tutela del singolo cittadino, ma, al contempo, dalla garanzia del corretto funzionamento dell�amministrazione, nel suo stesso interesse; perch� la rimozione di un atto illegittimo deve aiutare a rendere legittimi gli analoghi atti successivi; e perch� l�interesse della p.a. �, in realt�, l�interesse di tutti i cittadini�. E questa � musica sinfonica per un avvocato dello Stato. E� in questa ottica, e soprattutto in questa ottica, che vengo al tema centrale. Ribaltando l�ordine espositivo di una nota trasmissione televisiva di inchiesta (che tra l�altro tende a bacchettare non poco l�amministrazione italiana), vorrei iniziare subito con una �buona notizia�, ovvero con una felice constatazione, sul quale cՏ ormai unanime consenso. La buona notizia per il sistema di tutela, rectius delle tutele, di giustizia amministrativa sono i passi avanti invero ciclopici fatti nella giusta direzione suesposta nell�arco dell�ultimo decennio. Solo dieci anni fa si era in una situazione che appare oggi ai nostri occhi, ammettiamolo, quasi arcaica. Si aveva infatti un sistema di riparto di giurisdizione fondato come sempre sulla natura della situazione giuridica soggettiva, ma caratterizzato da una tutela ripartita e dimidiata tra giudice ordinario e giudice amministrativo nei confronti della P.A., a tutto scapito del cittadino, che strideva con la ragionevolezza, con la concentrazione dei giudizi e quindi con la pienezza ed effettivit� della tutela. Il giudice amministrativo poteva annullare con privilegio esclusivo l�atto amministrativo illegittimo, ma - stante il principio quasi dogmatico della irrisarcibilit� dell�interesse legittimo - non poteva accordare la eventuale tutela risarcitoria di completamento, aggiuntiva e consequenziale al detto annullamento. Il Giudice ordinario, pur non potendo incidere in via diretta e principale TEMI ISTITUZIONALI 3 sul provvedimento amministrativo, aveva sostanzialmente il monopolio della tutela di tipo risarcitorio, successiva e conseguente all�annullamento, ma ci� a dispetto quanto meno della celerit� e della concentrazione dei giudizi. Oggi - a soli dieci anni dalla svolta epocale della celebre sentenza delle Sezioni Unite n. 500 del 1999, invero anticipata sul piano normativo e settoriale dall�art. 13, D.lgs. n. 142 del 1992 in tema di appalti pubblici comunitari, che faceva cadere il tab� soprattutto culturale (ne va dato atto alla Suprema Corte) della non risarcibilit� della lesione di interessi legittimi, sia pure allora attraverso la configurazione di un diritto soggettivo di stampo prettamente civilistico - abbiamo ottenuto altri due risultati rilevanti, ritengo, nella giusta direzione. E ci� � merito del legislatore (con l�art. 7, introdotto ex legge n. 205/2000), della Corte Costituzionale (sentenza n. 204/2004 ribadita dalla 191/2006, e dalla n. 351 del 24 ottobre 2008) e del dialogo ragionevole, come si dice, tra i supremi plessi giurisdizionali, di giustizia amministrativa e ordinaria. E� ora attribuita, per via normativa, in via generalizzata al giudice amministrativo (non solo nell�ambito della giurisdizione esclusiva, ma nell�ambito della sua giurisdizione di legittimit�) la cognizione della risarcibilit� dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi. Come � stato significativamente rilevato (Aldo Linguiti, Le nuove frontiere del giudice amministrativo), ci� non � fine a s� stesso, n� � dovuto solo alla esigenza di concentrazione presso un unico giudice di tutte le conseguenze derivanti dall�adozione di un provvedimento illegittimo (ovvero mancata adozione di atti dovuti o legittimamente attesi). E� frutto a ben vedere di una tardiva, ma inarrestabile mutata concezione ed evoluzione dello stesso interesse legittimo. Emerge una posizione giuridica di valore sostanziale convergente alla realizzazione insieme dell�interesse pubblico (all�origine unico obiettivo dell�esercizio del potere) e, al contempo, dell�interesse del privato destinatario dell�esercizio del potere stesso via via meglio riconosciuto e protetto. In altri termini anche l�interesse legittimo, come tutte le posizioni giuridiche volte ad ottenere un risultato patrimonialmente apprezzabile, giunge a meritare quella forma di tutela che � espressa dalla risarcibilit� dei danni derivanti dalla loro illegittima lesione, quale misura sostitutiva ed equivalente alla violazione dell�ordinamento. Grazie anche alle precisazioni della Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 204/2004, la riconosciuta risarcibilit� dell�interesse legittimo, non costituisce materia nuova, ma solo un ulteriore forma di tutela dello stesso interesse legittimo nascente dal cattivo esercizio del potere autoritativo. Il riconoscimento formale intervenuto a livello positivo (ex legge n. 205/2000) della risarcibilit� dei danni da lesioni di interesse legittimo, con contestuale attribuzione anche di tali ipotesi di tutela, aggiuntiva e consequenziale all�annullamento, per quanto eventuale, al giudice amministrativo � stato accettato del resto (in parte qua) dalla Suprema Corte regolatrice che, rime- 4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 ditando il proprio iniziale indirizzo, ha affermato che, afferendo anche la tutela risarcitoria (come quella demolitoria primaria) ai rimedi giustiziali contro il cattivo esercizio della pubblica funzione, la relativa competenza giurisdizionale non pu� che assegnarsi al giudice amministrativo quale �giudice naturale della legittimit� dell�esercizio della funzione pubblica� (Cass. SS.UU. ord.za n. 13659/06 del giugno 2006). Il cittadino ha dunque ottenuto una nuova tutela, ulteriore ed eventuale, strettamente riconnessa alla tutela dell�interesse legittimo dinanzi ad unico giudice, il giudice amministrativo, lo stesso giudice signore del sindacato sulla funzione pubblica, che quindi pu� dare, entro i limiti e i caratteri della propria giurisdizione sull�interesse pubblico, tutela piena e maggiormente satisfattiva all�interessato. Confortati dalle pronunce costituzionali che pongono con chiarezza l�accento sulle forme di tutela, traendone le dovute conseguenze sul piano del riparto delle giurisdizioni, non cՏ pi� l�esigenza primordiale di andare a trasfigurare l�interesse legittimo e a configurare il diritto al risarcimento come un diritto soggettivo, autonomo e parallelo, di impronta marcatamente civilistica. La tesi per cos� dire pancivilistica � diritto soggettivo al risarcimento ex art. 2043 c.c. di competenza del giudice ordinario � pu�, e deve, a nostro avviso cedere il passo alla impostazione coerentemente amministrativistica del tema, una volta che per ammissione condivisa la tutela risarcitoria riconnessa all�interesse legittimo (ovvero al controllo anche consequenziale sull�esercizio della funzione pubblica) avviene ad opera del giudice amministrativo nell�ambito del giudizio amministrativo, che ha come carattere tipico ed esclusivo quel sindacato, in prima battuta di tipo demolitorio. Del resto tale ultimo potere annullatorio non viene escluso alla luce del risarcimento dei danni, ma anzi la reintegrazione in forma specifica viene espressamente riconosciuta come una forma per realizzare il risarcimento: il giudice amministrativo, �nell�ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all�eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali (art. 7, legge n. 1034/1971, come modificato dalla legge n. 205/2000). E qui come � noto nasce, o meglio residua, il problema, tutto interno alla struttura e alla logica della giurisdizione amministrativa, della cd. pregiudiziale amministrativa, ovvero della necessit� o meno della previa domanda di impugnazione dell�atto amministrativo, e conseguente dichiarazione di annullamento, ai fini della conseguente domanda di risarcimento danni. Posizione ripetutamente e fermamente sostenuta dall�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sin dal 2003 e poi con la n. 12/2007), ed affermata recentemente anche dalla Sezione IV, con sentenze n. 1917/09 del 31 marzo 2009 e n. 2435/09 del 21 aprile 2009. La decisione di marzo 2009, pur ritenendo ammissibile la domanda senza preclusioni d�ordine processuale, e TEMI ISTITUZIONALI 5 quindi affermando la propria giurisdizione, statuisce che la domanda risarcitoria da provvedimento non impugnato (o tardivamente impugnato) � infondata nel merito, in quanto la mancata impugnazione dell�atto fonte del danno consente a tale atto di operare in modo precettivo dettando la regola del caso concreto, ed impedisce cos� che il danno possa essere considerato ingiusto od illecita la condotta tenuta dall�Amministrazione in esecuzione dell�atto inoppugnato. L�Adunanza Plenaria n. 12/2007 � stata addirittura sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite in punto di giurisdizione, che con la nota sentenza n. 30254/08 del 23 dicembre 2008, con ampia motivazione, ha ribadito che deve ritenersi ammissibile dinanzi al giudice amministrativo una domanda risarcitoria autonoma (ovvero senza previo annullamento dell�atto illegittimo), intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall�esercizio illegittimo della funzione amministrativa, spingendosi a statuire che �la decisione del giudice amministrativo, che neghi tale tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l�illegittimit� dell�atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento, � viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed � soggetta a cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione�. Su questo punto dunque il contrasto tra Consiglio di Stato e Corte di Cassazione appare ancora netto, anche se al riguardo ci permettiamo di essere moderatamente ottimisti, nonostante tutto, anche alla luce della dimostrata capacit� di dialogo ragionato tra i supremi plessi, entrambi ugualmente motivati comunque dall�attenzione per la pi� piena ed effettiva tutela che l�ordinamento, considerato in modo sistematico, deve riconoscere. In tale ottica dobbiamo solo augurarci tutti che dopo essere arrivati, per i passi significativi illustrati, assai vicini alla meta, non si ripiombi invece� a met� del guado. Certo � che la querelle a distanza si � recentissimamente rinvigorita. La Sezione VI del Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 2436/09 del 21 aprile 2009, esplicitando consapevolmente la problematica e il contrasto esistente, ha rimesso all�Adunanza Plenaria la questione della pregiudizialit� amministrativa, ipotizzando tra l�altro anche violazioni di diversi precetti costituzionali. Va dato atto, oltre che della argomentatissima motivazione sotto tutti i profili, della chiarezza, sicuramente inusuale, in cui si afferma di dover pronunciare una sentenza, ove costretti in adesione non condivisa alla Cassazione, una sentenza �suicida� (letteralmente). Si rimette pertanto alla Plenaria la questione della pregiudizale �nella lettura dell�art. 7 datane dalla Cassazione e con il principio di ragionevolezza anche sistematica, con i principi costituzionali considerati, e con le seguenti norme costituzionali�.� (artt. 81, u.c.; art. 97; art. 113, co.3; artt. 103 e 113). E� facile ipotizzare una possibile rimessione della Plenaria al Giudice del 6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 vaglio costituzionale. Sarebbe auspicabile magari un consapevole intervento del legislatore. A prescindere dal merito, lasciatemi dire - con il massimo rispetto dovuto alla Suprema Corte, alla rispettabilit� di tutte le posizioni ermeneutiche, ma nella ricerca comunque delle concezioni culturali sottese in dati periodi anche alle decisioni dei giudici - che francamente, quale cultore ed operatore del diritto amministrativo, trovo paradossale, e quantomeno ingeneroso, che il giudice amministrativo tutto, Consiglio di Stato e Tribunali Amministrativi Regionali, che ha sempre affinato negli anni la sua capacit� di dare sempre pi� penetrante tutela sul versante della tutela tipica dell�interesse legittimo, sia in sede di giurisdizione di legittimit�, che esclusiva (basti pensare che tutte le leggi sul procedimento e sul processo amministrativo di regola hanno �fotografato� quanto gi� sapientemente acquisito nelle aule di giustizia), possa essere ora tacciato di giudice conservatore, timidamente sulla difensiva proprio nel momento dell�acquisizione di una nuova forma di tutela (risarcitoria da interesse legittimo) al suo armamentario giuridico. Comprendo la facile obiezione, che forse in parte pu� essere comprensibile: non sar� proprio forse perch� il giudice amministrativo sta abdicando ingiustificatamente al suo ruolo anche innovativo, non riuscendo ad andare oltre alla secolare tutela pur sempre principale di tipo demolitorio? Sommessamente non riteniamo, peraltro, che il reale nodo cruciale sia questo. Invero la sensazione � che alla concezione pancivilistica ricordata, che ora non pu� trovare pi� ingresso, forse si vuole sostituire, con esiti inprevedibili nel campo amministrativistico, una concezione panrisarcitoria, che finisce per mettere giocoforza in secondo piano la tutela primaria dell�interesse legittimo attraverso l�annullamento dell�atto o comunque l�accertamento, necessario e preventivo, dell�illegittimit� dell�azione amministrativa, sia pure con il massimo riguardo agli effetti consequenziali; mettendo altres� in discussione - di qui forse non � infondato il riferimento ad opzioni di tipo �suicida� - l�essenza stessa del giudizio amministrativo, per come costituzionalmente concepito e consolidato. Non si potr� negare che, in nome di una apparente battaglia a favore di una pi� ampia tutela del privato nei confronti della P.A., si finisce per incidere e snaturare tutta la struttura, e l�intima logica, del processo amministrativo, come processo - per questo si � evidenziato in apertura, anche con l�ausilio delle efficaci parole� presidenziali - tra parte pubblica e privato, in cui devono necessariamente essere considerate e attentamente valutate anche le ragioni di interesse pubblico sottese all�esercizio della funzione amministrativa, sia pure al fine di soddisfare, per quanto possibile, la domanda di giustizia del privato. Il tempo � tiranno e non posso dar conto di tutte le, a mio avviso, efficaci TEMI ISTITUZIONALI 7 considerazioni contenute nell�ordinanza ultima di rimessione alla Plenaria della VI Sezione. La mia tesi di fondo, come forse si � compreso, � che a legislazione invariata ragioni di coerente ordinamento giuridico, costituzionalmente fondato, di struttura del giudizio amministrativo, di principi profondi dell�attivit� amministrativa (dalla presunzione di legittimit� dell�atto alla certezza e all�esigenza di consolidamento delle situazioni di diritto pubblico), di logica e ragionevolezza, anche nell�interesse di una tutela effettiva e globale da riconoscere al privato destinatario dell�azione della P.A. e di rispetto delle ragioni dell�interesse pubblico pi� generale, portano a propendere affinch� tale problematica, a partire dalla pregiudiziale, venga comunque governata e regolata nell�ambito della giurisdizione amministrativa, alla quale ormai � pacificamente attribuita. Non � dunque - o non pu� essere pi� - un problema di giurisdizione, perch� come visto il giudice amministrativo non nega affatto la propria giurisdizione, ma decide sui propri poteri di tutela riconosciuti dall�ordinamento, costituzionalmente affermati. Non ho dubbi che il giudice amministrativo, pressato non solo dalla Cassazione ma dalla sempre pi� incessante e originale domanda di giustizia, sapr� affinare nel tempo le forme di tutela possibili ma, quando cՏ in campo (anche) l�interesse pubblico, l�idea di un diritto soggettivo pieno, autonomo e parallelo, al risarcimento del danno deve comunque fare i conti con l�assetto e la coerenza del sistema ordinamentale, che allo stato attuale non consentono addirittura che la tutela principale di tipo impugnatorio o di riconoscimento della legittima pretesa sostanziale (quanto agli interessi di tipo pretensivo) assuma connotazioni di carattere recessivo e residuale rispetto alla tutela risarcitoria. Ben venga, per ora, la giurisdizione piena del giudice amministrativo con la tutela risarcitoria, ulteriore aggiuntiva ed eventuale, ma non certo svincolata dal preventivo necessario accertamento dell�illegittimit� dell�azione amministrativa. Accertamento che non pu� avvenire nel nostro vigente ordinamento sotto forma di disapplicazione in via principale da parte del giudice amministrativo dell�atto amministrativo, non impugnato o non tempestivamente impugnato, ai fini di dare autonomo ingresso all�azione risarcitoria. Appare altres� francamente inaccettabile una concezione di illiceit�-ingiustizia del danno che prescinda dal presupposto necessario, anche se non sufficiente oltretutto, della dichiarata illegittimit� dell�operato amministrativo. Tra i vari argomenti contrari viene citato anche l�art. 21 octies della legge n. 241/90, come modificato dalla legge n. 15/2005, laddove consente al giudice di non annullare l�atto pur in presenza di vizi formali procedimentali, laddove il contenuto dispositivo non avrebbe potuto nella sostanza essere diverso. Qui l�illegittimit� (formale) consentirebbe - se prospetta - di dare ingresso al- 8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 l�azione risarcitoria, pur in assenza dell�annullamento; ma ci permettiamo di dissentire perch� innanzitutto vi � comunque una domanda in via principale sull�atto e poi � la riprova che, a fronte delle documentate ragioni di interesse pubblico allegate in giudizio, l�atto � da ritenersi sostanzialmente legittimo, e infatti non annullabile, senza possibile pretesa ulteriore. Anche sul piano pragmatico, poi, per ragionare al di l� delle disquisizioni giuridiche formali, si pensi alle conseguenze poco congrue, per usare un eufemismo, che potrebbero derivare ove si lasciasse la scelta all�interessato (anzi agli interessati) - gi� ex se inammissibile nel campo del diritto amministrativo, per i motivi ricordati - tra impugnazione dell�atto in via principale al fine della sua rimozione e domanda autonoma al fine del risarcimento del danno comunque patito, svincolata dall�accertamento della illegittimit� dell�attivit� amministrativa. Avremmo da un lato un incentivo al disinteresse della P.A. verso una reale legalit� della propria azione, potendo confidare sull�intangibilit� del proprio operato in ipotesi di atti illegittimi, laddove si rischia (come male minore, al di l� dei profili di responsabilit�) solo l�eventuale risarcimento. Ma quel che � pi� grave - quale mero esempio, senza voler dare suggerimenti criminosi (per i quali purtroppo la realt� sovente supera la fantasia) - si potrebbe giungere ad accordi collusivi tra interessati e controinteressati (penso alle gare d�appalto) in cui la ditta in ipotesi illegittimamente aggiudicataria si accordi con la ditta illegittimamente esclusa (e potenziale vincitrice), affinch� quest�ultima non presenti o non coltivi il ricorso giurisdizionale di annullamento, �accontentandosi� del successivo probabile risarcimento danni: qui avremmo s� la piena tutela di due privati, ma con doppio esborso e doppio danno erariale! Al di l� di ogni temporanea pessimistica considerazione, � lecito pronosticare che si giunger�, o per via giurisprudenziale o per via normativa, alfine ad un soddisfacente concordato sul punto che assicuri, come evidenziato in apertura, che il giudizio amministrativo, anche con riferimento alla nuova tutela risarcitoria, non venga snaturato nella sua struttura e nelle sue funzioni primarie, come unico giudizio capace, ontologicamente e storicamente, di coniugare un penetrante sindacato di controllo sulla funzione pubblica, nel rispetto delle ragioni dell�interesse pubblico, con le esigenze di effettivit� della tutela richiesta dal privato. Il Presidente Caianiello affermava che le sentenze devono essere soprattutto ragionevoli, in modo da essere facilmente comprese ed accettate. Lasciatemi concludere affermando, non senza orgoglio e convinzione, che l�Avvocatura dello Stato cercher� in ogni caso di rappresentare le ragioni dell�Amministrazione nel giudizio, confidando in un diritto sempre �ragionevole� per l�interesse pubblico in uno con le legittime aspettative dei privati. TEMI ISTITUZIONALI 9 �Giornata per la giustizia� Relazione Associazione Avvocati e Procuratori dell�Avvocatura dello Stato (Palazzo dei Congressi, Roma, 5 maggio 2009) L�iniziativa �Giornata per la Giustizia� � finalizzata a sensibilizzare opinione pubblica, mondo dell�informazione politico ed istituzionale, economico e del lavoro sul problema dell�inadeguatezza delle risorse, di cui attualmente dispone il cd. sistema giustizia, per rendere un servizio soddisfacente al cittadino. L�evento ha carattere eccezionale perch� per la prima volta nella storia di questo Paese vede coinvolte in un unico consesso tutte le componenti del mondo Giustizia. Personale togato e non togato concentrano i loro sforzi verso un comune obiettivo: richiamare l�attenzione su dati concreti in modo di restituire al dibattito quella obiettivit� che manca nei grandi midia. In questo contesto l�Avvocatura dello Stato, ignorata dal grande pubblico, ritiene di avere un ruolo di primo piano perch� la gestione del contenzioso e la consulenza a favore delle amministrazioni dello Stato ed altri enti patrocinati offre un osservatorio assolutamente privilegiato delle patologie dell�azione amministrativa. Questo osservatorio fornisce l�opportunit� di suggerire alle amministrazioni interventi correttivi per fare in modo che esse, nella loro attivit�, si conformino sempre pi� al rispetto delle norme ed intendano le loro funzioni come strumento per il perseguimento di un interesse pubblico che � soprattutto al servizio del cittadino. Il conseguimento dell�obiettivo richiede ovviamente un�adeguata dotazione di mezzi in termini di avvocati, personale amministrativo, risorse finanziarie. Affari e dotazione personale La dotazione organica � stabilita ex art. 6 comma 1 d.lgs. 165 del 2001 sulla base del fabbisogno che per l�Avvocatura dello Stato � da individuarsi nel numero complessivo degli affari contenzioni e consultivi. Nel 2008 il totale ammontava a 169.371. Nel 2001 gli affari corrispondevano a 208.580 unit�. Il calo che si � registrato nel 2006 di circa trentamila unit� � da attribuirsi alla perdita del contenzioso degli invalidi civili, passato alla competenza dell�INPS. Per il resto il trend complessivo � abbastanza costante. Anzi rispetto al 2007 vi � stato un incremento di circa 10.000 unit� (da attribuirsi in gran parte all�aumento del contenzioso della legge Pinto). Sotto il profilo della tipologia di contenzioso, si registra una crescita imponente della percentuale di affari riguardanti indennizzo per irragionevole 10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 durata del processo (17%), ed una mole rilevante di affari in materia tributaria (21%), di cui solo circa il 60% costituisce contenzioso avanti alla Suprema Corte di Cassazione. Per quanto attiene alla ripartizione sulla base delle autorit� giudiziarie � prevalente il contenzioso avanti ai giudici amministrativi, cassazione e giudici civili. Infatti su di un totale di 35.942, gli affari avanti al giudice amministrativo corrispondono a 10.760 unit�, alla cassazione 9.582, ai giudici di merito 13.870. Relativamente infine alle amministrazioni assistite il contenzioso � incentrato prevalentemente su Economia e Finanze (27,31%), Agenzia delle entrate (23%), Interno (19,81%), Istruzione e Ricerca 10,23%. A fronte quindi di un contenzioso, che si � mantenuto abbastanza stabile, si � invece registrata una riduzione del personale amministrativo in servizio mentre l�organico degli avvocati � fermo al 1991 a 370 unit�. Dopo circa due decenni di vacanze solo nel 2008 si � arrivati ad una situazione di pieno organico. La pianta organica degli impiegati � ferma al 1995. All�epoca la dotazione era di 951 unit�. Da quella data � in atto il blocco delle assunzioni che non ha consentito di bandire concorsi per l�assunzione di personale amministrativo. La legge 311 del 2004 art. 1 comma 93 ha disposto la rideterminazione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni apportando una riduzione non inferiore al 5% della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico. In ottemperanza a tale norma con DPCM del 14 novembre 2005 sono state determinate le dotazioni organiche delle aree funzionali, delle posizioni economiche e dei profili professionali del personale amministrativo dell�Avvocatura dello Stato. Nel gennaio 2007 l�organico da 951 � passato a 878 unit� che corrisponde all�attuale dotazione. Nel 2007 le vacanze rispetto alla pianta organica ammontavano a 55 unit�, nel 2008 a 70 unit�, nel 2009 a 77 unit�. Con la procedura di riqualificazione sono stati disposti in deroga al blocco delle assunzioni 12 passaggi dall�area b all�area c e 23 dall�area b all�area a. Anche quest�anno � stata chiesta ulteriore deroga per 10 passaggi da b a c e 1 da a a b. Si fa presente altres� che nella finanziaria del 2006 art. 1 commi da 404 a 408 � stato disposto il taglio del 15 % degli addetti alle funzioni non istituzionali. Quindi il rapporto avvocati e impiegati amministrativi in questi anni si � considerevolmente ridotto, con conseguente sempre minore disponibilit� di personale di supporto degli avvocati soprattutto per le funzioni di segreteria. TEMI ISTITUZIONALI 11 Particolare criticit� situazione personale amministrativo Di recente � stata attuata una procedura di riqualificazione del personale. Non � stato per� ancora possibile dare un assetto di funzioni all�interno dell�Avvocatura corrispondenti alle nuove posizioni funzionali. Le piante organiche sono state rideterminate, come in tutte le pubbliche amministrazioni sulla base del dato storico senza procedere ad una ricognizione degli effettivi carichi di lavoro e dei cicli produttivi (tempi standard attivit�, individuazione atti ed operazioni di ogni sequenza procedimentale, domanda reale e potenziale di servizio ecc.). Il personale negli ultimi quindici anni � stato assunto in Avvocatura tramite procedure di mobilit� da altre amministrazioni. Non sono stati banditi concorsi. La media di et� conseguentemente � abbastanza elevata. Occorrerebbe un ricambio generazionale. Invece le amministrazioni affini della giustizia amministrativa (TAR, Consiglio di Stato, Corte dei Conti) hanno potuto bandire concorsi. Inoltre l�Avvocatura non ha, a differenza della giustizia amministrativa, lo strumento dell�autonomia finanziaria che le consentirebbe certamente una pi� efficace gestione delle risorse tramite un proprio badget senza dover attendere ogni volta l�epletamento delle defatiganti procedure burocratiche dell�amministrazione delle finanze. Ci� consentirebbe anche una maggiore elasticit� per l�assunzione di nuovo personale senza gravare con nuove spese sul bilancio dello Stato. Di importanza fondamentale � anche l�istituzione di un ruolo dirigenziale di II livello che solleverebbe la segreteria generale dallo svolgimento di incombenze amministrative non proprio conformi alla natura professionale del ruolo degli avvocati dello Stato. Inoltre la dirigenza costituirebbe una stimolante prospettiva di sviluppo di carriera per il personale amministrativo dell�Avvocatura. Vi � infine carenza di incentivi retributivi legati alla produttivit�. In questi anni la retribuzione fissa � cresciuta pi� di quella di II livello, invece, per stimolare il personale ad una maggiore produttivit�, sarebbe necessario, ad avviso della Scrivente uno stanziamento per compensi premiali correlati al conseguimento di obiettivi su specifici progetti. Si richiama altres� l�attenzione su di una esigenza di istituire la nuova figura professionale di collaboratore amministrativo di supporto all�avvocato dello Stato per uno svolgimento pi� qualificato dell funzioni di segreteria ed istruttorie. Sono infine in atto importanti progetti di informatizzazione dell�Avvocatura che consentiranno sicuramente una riduzione del personale addetto soprattutto a certe funzioni elementari come la protocollazione, le verifiche del servizio esterno ecc., cos� destinando le risorse ad attivit� pi� qualificate. 12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Interventi sul contenzioso - Legge Pinto Il contenzioso in questi ultimi anni non � aumentato, vi � una tendenza ad un trend costante. Particolare criticit� si registra per la situazione legge Pinto. In Avvocatura generale negli ultimi due anni si � passati da 6000 ad 8000 affari per una percentuale giunta al 17% degli affari complessivi dell�Avvocatura dello Stato. Come dato nazionale dal 2002 al 2006 vi � stato un incremento del 800% dei ricorsi ex lege Pinto con un aumento della spesa che da 1,8 milioni di euro � passata attualmente a circa 90 milioni di euro a seguito anche dell�accumulo di crediti pregressi. Si stima che la spesa nel giro di qualche anno potr� arrivare a 500 milioni di euro. L�Avvocatura � quasi sempre soccombente in questi giudizi, le amministrazioni non dispongono di sufficienti dotazioni di bilancio per pagare gli indennizzi. Perci� vengono instaurate procedure esecutive con ulteriore aggravio per l�erario. Inoltre le Corti d�Appello per ogni lite condannano l�amministrazione anche alle rifusione delle spese. Nel 2002 fu varato un decreto legge che prevedeva una procedura transattiva preventiva affidata all�Avvocatura dello Stato. Il decreto � poi decaduto. I governi che sono succeduti non hanno ritenuto di dover intervenire sulla materia. E� opportuno a nostro giudizio che venga riesaminata l�eventualit� di introdurre una procedura amministrativa sulle richieste di indennizzo ex lege Pinto che eviterebbe gli oneri aggiuntivi delle spese di giudizio e delle procedure esecutive, consentendo anche una migliore programmazione delle risorse da destinare al pagamento degli indennizzi. - ADR L�unione europea, proprio allo scopo di deflazionare il contenzioso, raccomanda ai governi, ove possibile, di introdurre forme di risoluzione non contenziosa delle controversie. L�esperienza della conciliazione in Italia non ha avuto un grande successo, in quanto ancora lontana dalla cultura del mondo forense che tende a privilegiare la soluzione pi� remunerativa del ricorso alla lite. Occorre introdurre, anche nelle controversie con l�amministrazione statale, forme di risoluzione alternativa delle controversie, con disincentivi alla lite come condanna alle spese, acquisizione di elementi di prova dal comportamento delle parti nella procedura conciliativa, previsioni di compensi adeguati per gli avvocati che favoriscano la conclusione dell�accordo, una massiccia attivit� di formazione degli avvocati verso una cultura della conciliazione. Per quanto riguarda in particolare l�amministrazione statale vanno superate certe rigidit� di difesa incondizionata e pregiudiziale di atti per non incorrere in responsabilit�. Gli atti chiaramente illegittimi possono essere annullati senza dover necessariamente attendere il giudicato. La discrezionalit� TEMI ISTITUZIONALI 13 va utilizzata anche nell�ottica di cercare soluzioni compositive. - Class action ed udienze tematiche Recentemente � stata introdotta con legge delega la class action nei confronti della pubblica amministrazione. La norma sar� operativa con i decreti attuativi. L�utilizzo di tal istituto va incrementata nell�ottica di una migliore gestione del contenzioso seriale. Al medesimo fine andrebbe anche potenziato il ricorso alle udienze tematiche nelle quali vengono concentrate cause avente medesimo oggetto. In tal prospettiva va ottimizzato l�uso del mezzo informatico. - Politica del contenzioso E� in atto un progetto con l�Agenzia delle Entrate che consentir� una protocollazione automatica degli affari, acquisita direttamente dal sistema. I dati inseriti non saranno solo quelli tradizionali del singolo affare come numero contenzioso o consultivo, nome delle parti, autorit� giudiziaria adita, attribuzione codice materia. Si inseriranno dati anche sul referente normativo e questione giuridica di ogni singolo affare. I suddetti dati consentiranno di classificare contenziosi e consultivi sulla base del referente normativo o questione giuridica. Per cui ogni avvocato potr� digitando un determinato comando individuare tutti gli affari collegati. Questo supporto informatico costituisce un formidabile strumento di politica del contenzioso, gestito secondo un disegno globale che sar� un prezioso ausilio per l�attivit� legislativa e per la regolamentazione delle attivit� delle singole amministrazioni. Associazione Avvocati e Procuratori dello Stato I L C O N T E N Z I O S O C O M U N I TA R I O E D I N T E R N A Z I O N A L E Tavola rotonda sugli aiuti di Stato Relatori: Guido Corso, Gianni De Bellis, Sergio Fiorentino, Sabino Fortunato, Paolo Gentili e Giampaolo Rossi Il 9 giugno 2009 a Roma, presso lo studio legale amministrativo-commerciale dei professori Corso, Fortunato e Rossi si � tenuto un incontro di studio sul tema degli aiuti di Stato nel quadro della crisi economica globale. L�attualit� dell�argomento � di chiara evidenza politico-istituzionale, a seguito della pluralit� degli interventi attuati dagli Stati membri dell�UE per fronteggiare la crisi, ma la questione offre spunti di particolare interesse anche per riflessioni di carattere scientifico e sistematico, in quanto l�attuale situazione impone una riconsiderazione degli orientamenti sugli aiuti di Stato che erano maturati negli ultimi anni nella giurisprudenza e nella prassi comunitaria. Si � rivelato utile, per tale analisi, il confronto tra gli studiosi (gli amministrativisti Guido Corso e Giampaolo Rossi e il privatista Sabino Fortunato) e gli avvocati dello Stato, Gianni De Bellis, Sergio Fiorentino e Paolo Gentili, che, a vario titolo, si occupano delle questioni in sede comunitaria e di Corte di Giustizia. Ne � risultato un panorama complesso, ma foriero di molte prospettive e temi. Il materiale pubblicato � il resoconto registrato dell�incontro, che la dott.ssa Enrica Blasi, dottoranda di ricerca presso l�Universit� Roma 3, si � presa la briga di riordinare� Intervento del Prof. Avv. Sabino Fortunato* Oggi io ho il compito di dare da un lato un inquadramento sistematico della materia, e dall�altro di soffermarmi sugli aiuti di Stato nel settore finan- (*) Professore ordinario di diritto commerciale - Facolt� di giurisprudenza - Universit� Roma 3. 16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 ziario, nel settore bancario. Diciamo che nelle comunicazioni della Commissione, in particolare quella del 25 ottobre 2008 e del 22 gennaio 2009 cՏ un riferimento al carattere sistemico o settoriale delle crisi. Per quanto concerne la crisi finanziaria, in particolare, si riconosce senza dubbio il suo carattere sistemico, mentre per quel che riguarda la crisi degli altri settori si sottolinea che essa non necessariamente ha carattere sistemico, perch� in un primo momento (lo si legge soprattutto nella comunicazione dell�ottobre del 2008), subito dopo lo scoppio della bolla speculativa americana, sembrava che il problema fosse solo ed esclusivamente relativo al settore finanziario. Poi, con il progredire della crisi, il carattere sistemico di essa ha cominciato a dilatarsi e ad investire altri settori, per cui nella comunicazione del gennaio 2009 si fa un piccolo passo indietro, nel senso che si riconosce che anche per i settori dell�economia reale possono porsi problemi di carattere sistemico. Questa sottolineatura vale soprattutto ad evidenziare qual � la base giuridica dell�intervento che consente gli aiuti di Stato in questa fase: l�art. 87 par. 3 lettera b) del Trattato Comunitario. Ci� perch� gli aiuti di Stato trovano la loro disciplina nel Trattato Comunitario e si fondano su un divieto generale; perch� nella logica dell�Unione Europea e del Trattato sono tendenzialmente incompatibili col principio del mercato comune e della libera concorrenza. Quindi l�ammissibilit� degli aiuti di Stato � legata o a previsioni espresse del Trattato (il paragrafo 2 dell�art. 87 del Trattato prevede le ipotesi di aiuti de iure, cio� quelli consentiti per espressa previsione del Trattato, ma sono casi estremamente limitati, ipotesi collegate a politiche sociali), e poi cՏ soprattutto il paragrafo 3 dell�art. 87, che riguarda gli aiuti ammissibili previa valutazione discrezionale della Commissione, e qui, come sapete, la Commissione ha elaborato nel tempo una serie di indirizzi la cui portata giuridica � una sorta di autolimitazione nella valutazione degli aiuti che i singoli Stati membri definiranno. Quindi crisi sistemica e crisi di settore: in questa ottica delle comunicazioni della Commissione, vale a ricondurre alla base giuridica dell�art. 87 paragrafo 3, gli aiuti che vengono messi in atto dalle legislazioni degli Stati membri in questo momento di crisi. Si tratta degli aiuti destinati a �porre rimedio a un grave turbamento all�economia di uno stato membro�. Quindi l�idea che questa crisi possa coinvolgere l�intera economia di uno Stato membro � il presupposto per cui � possibile attrezzare degli aiuti specifici in questa fase. Proprio perch� legati al grave turbamento dell�economia degli Stati membri, gli aiuti hanno carattere eccezionale e temporaneo (soprattutto il carattere della temporaneit� � sottolineato a pi� riprese nelle varie comunicazioni della Commissione europea). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 17 Sotto questo profilo, per andare a quelle che sono le fonti normative degli aiuti di Stato che si sono messi in atto in questo periodo, � importante ricordare da un lato la comunicazione del 22 gennaio 2009 (che � stata poi modificata da una successiva comunicazione del 25 febbraio 2009) che individua il cd. �quadro di riferimento temporaneo� per gli aiuti in questa fase di crisi. Si tratta di aiuti la cui temporaneit� � legata alla durata della crisi e comunque viene fissato un termine entro cui questi aiuti possono essere attivati (31.12.2010), soggetto ad una prima verifica nel 31.12.2009, in cui gli Stati membri, unitamente alla Commissione, valuteranno se la situazione abbia avuto una evoluzione in senso positivo grazie agli aiuti disposti e, quindi, se essi debbano essere bloccati o no. Per il settore finanziario poi, al di l� delle comunicazioni che riguardano l�economia reale, vanno ricordate due comunicazioni: una del 25 ottobre 2008 e quella che chiarisce la precedente riguardo gli interventi di ricapitalizzazione del sistema bancario. Tutto ci� relativamente alle fonti di carattere comunitario. Sul piano delle fonti di carattere nazionale, degli interventi che riguardano il settore creditizio, come tutti sapete ci sono stati gli interventi del D.L. 155/2008 convertito nella L. 190/2008, con la garanzia dello Stato sui depositi bancari al dettaglio e la previsione di una sottoscrizione di aumenti di capitale per le imprese (bancarie) in difficolt�, che hanno problemi di adeguatezza patrimoniale, con l�emissione di azioni senza diritto di voto e privilegiate nella distribuzione dei dividendi. Vi � poi il D.L. 157/2008, convertito in L. 2/2009, che contempla tre tipologie di interventi che hanno la finalit� di favorire l�accesso del sistema bancario alla liquidit�, e si tratta: 1) della garanzia dello Stato sulla emissione di nuove passivit� bancarie, con durata residua fra 3 mesi e 5 anni; 2) della garanzia dello Stato a favore di soggetti che offrono alle banche titoli utilizzabili per operazioni di rifinanziamento presso l�Eurosistema; 3) di operazioni temporanee di scambio fra titoli di Stato e passivit� bancarie di nuova emissione. Questi interventi sono stati seguiti dal D.M. 27.11.2008, di attuazione, e sono stati autorizzati mediante una decisione preventiva positiva da parte della Commissione: decisione 520a/2008. CՏ un altro tipo di intervento, sempre previsto dal D.L. 155/2008, che corrisponde ai famosi Tremonti Bonds: si tratta della possibilit� da parte del Tesoro di sottoscrivere obbligazioni, strumenti finanziari speciali, a tasso di rendimento vicino ai prezzi di mercato, anzi in realt� tendenzialmente maggiorato, con lo scopo di rafforzare il patrimonio di vigilanza delle banche fondamentalmente sane, non quelle in difficolt�, intendendo per sane quelle che 18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 lo erano nella situazione precedente allo scoppio della crisi. Il criterio � che a questo aiuto di Stato accedano banche e gruppi quotati, che comunque siano da ritenere fondamentalmente sani e che devono avere un incentivo all�uscita (dalla misura): cio� la fissazione del tasso di rendimento a certi livelli � concepita nella prospettiva della temporaneit� dell�intervento, e questo riguarda sia gli interventi di ricapitalizzazione per le imprese in difficolt�, sia gli interventi di patrimonializzazione delle imprese fondamentalmente sane. Il concetto � che si tratti di un intervento temporaneo, che non deve riproporre logiche conosciute in altri momenti storici. Voglio ricordare un bell�intervento di Giulio Napolitano, che, nella ricostruzione di questo sistema degli aiuti, soprattutto nel settore finanziario, ha richiamato le teorie di Giannini e Nigro sulla pubblicizzazione del credito. Non cՏ dubbio che questi interventi tendono a ridisegnare l�assetto dei rapporti tra mercato e settore pubblico, ma in che limite stiamo assistendo al riassetto dei rapporti fra Stato e mercato nel settore del credito? Giannini aveva inquadrato il credito inizialmente nel settore del servizio pubblico, tesi poi superata anche dal TUB del 1993, e seguita dalla tesi dell�ordinamento sezionario, da molti contrastata, soprattutto dai giuscommercialisti (per primo Renzo Costi); mentre ricorderete le posizioni pi� pragmatiche di Mario Nigro, tendenti a evidenziare pi� i profili pubblicistici del credito sotto vari moduli di intervento. In qualche modo, in maniera pi� pragmatica, questi interventi prospettati sulla base del quadro comunitario, sono interventi che si caratterizzano per il loro carattere di temporaneit�. L�idea � quindi quella per cui passata la bufera della crisi, il rapporto fra Stato e mercato ritorni ai criteri seguiti fino a poco prima dello scoppio della crisi. Sar� possibile o no? Pensate al problema della ricapitalizzazione delle banche o alla patrimonializzazione del patrimonio di vigilanza delle banche ad opera dello Stato: sono interventi che dovrebbero avere il carattere di temporaneit�, ma sappiamo bene che anche l�IRI, quando fu istituita, aveva carattere temporaneo. Prof. Avv. G. Rossi Io dico sempre che il carattere temporaneo si vede dopo. Prof. Avv. S. Fortunato Vorrei sottolineare un dato: che questo carattere di temporaneit� dovrebbe passare anche attraverso alcune misure che si introducono nell�ambito degli interventi statali. Ripeto, gli incentivi all�uscita dalla misura sono legati ai costi per il privato, per la banca che voglia accedere a queste misure, che sono tendenzialmente commisurati ai prezzi di mercato o addirittura sono leggermente maggiori. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 19 � anche vero che a volte cՏ la tendenza a diminuire il costo di alcune misure: ad esempio, - siamo pi� nell�ambito degli interventi a tutela dell�economia reale - garanzie su prestiti a medie e piccole imprese, dove si prevede in via temporanea l�abbattimento delle commissioni per garanzie prestate dallo Stato su prestiti per l�innovazione, la ricerca, su prestiti all�economia reale. Per il sistema bancario la tendenza � a favorire questi interventi, ma non a condizioni di eccessivo favore, perch� peraltro il quadro comunitario di riferimento individua alcuni criteri di base per questi interventi straordinari. La comunicazione del 25.10.2008 indica i criteri che la Commissione, nella sua valutazione di ammissibilit� degli interventi, dovr� seguire per l�ammissione di regimi generali di aiuto. Gli aiuti devono essere: i) mirati all�obiettivo, che � quello di porre rimedio al grave turbamento dell�economia di uno Stato membro, ii) proporzionati allo scopo, e quindi limitati al minimo indispensabile, iii) fondati su criteri oggettivi non discriminatori di ammissibilit�, iv) avere carattere temporaneo, e quindi corredati da adeguati incentivi all�uscita, v) essere sorretti da misure di salvaguardia per evitare abusi e indebite interferenze nella concorrenza; ecco perch� agli aiuti si accompagna l�obbligo dei beneficiari di non avere politiche commerciali aggressive o non utilizzare gli aiuti per politiche espansive al di l� di certi limiti (quindi alla concessione dell�aiuto si accompagna la sottoscrizione di un protocollo di intenti con riguardo a comportamento non aggressivo che dovr� tenere l�impresa sovvenzionata). Gli aiuti sono sottoposti a verifiche periodiche e sono seguiti, a crisi ultimata, da misure di adeguamento del settore e/o da misure di ristrutturazione o liquidazione del beneficiario. In sostanza, a seconda che si tratti di una impresa in difficolt� o di una impresa fondamentalmente sana, la fine del momento critico dovrebbe portare poi, ad aiuto gi� erogato, un piano di ristrutturazione. Un piano di ristrutturazione si pu� tradurre in un vero e proprio piano di liquidazione. L�aiuto � adeguato anche alla condizione soggettiva del beneficiario, e qui vale quel principio che dicevo, volto a distinguere tra imprese in difficolt� e imprese fondamentalmente sane prima della crisi. Questa distinzione � collegata alla valutazione del profilo di rischio dell�impresa che accede all�aiuto. Perci� l�aiuto deve avere carattere per cos� dire differenziato, cio� deve potersi commisurare alle dimensioni, al profilo di rischio dell�impresa che accede alla concessione dell�aiuto. Le tipologie degli aiuti sono quelli che vi ho indicato in precedenza. Potremmo parlare di interventi di pubblicizzazione finanziaria (come dice Napolitano): si tratta di tutte le operazioni di garanzie sui depositi bancari 20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 e al dettaglio, oltre che delle garanzie statali e delle operazioni di scambio temporaneo per consentire alle banche di accedere ad una adeguata provvista di liquidit� (quelle tre operazioni di cui vi parlavo prima); si pu� trattare di interventi di pubblicizzazione proprietaria, e qui abbiamo l�intervento di sottoscrizione delle azioni senza diritto di voto ma privilegiate nella distribuzione dei dividendi, si pu� trattare di interventi di pubblicizzazione funzionale, e qui veniamo al profilo pi� delicato, cio� i famosi Tremonti Bonds: il rafforzamento di patrimoni di vigilanza di banche fondamentalmente sane mira non solo a perseguire la stabilit� de sistema bancario, ma anche la riattivazione dei flussi creditizi a favore dell�economia reale. Qui cՏ un problema di raccolta, perch� si deve avere liquidit� sufficiente per fare l�erogazione e bisogna avere soprattutto la domanda, cio� ci vogliono domande da parte delle imprese, del sistema delle imprese dell�economia reale. Quindi � un meccanismo da solo non risolutivo della problematica. In questo senso parliamo di interventi di pubblicizzazione funzionale, cio� funzionale alla riattivazione di questi flussi creditizi. Poi ci sono interventi di pubblicizzazione regolamentare, ad esempio negli Usa le banche di investimento sono state riportate sotto la vigilanza della Fed e quindi un ritorno alla minore liberalizzazione della operativit� del settore creditizio. Questi interventi regolamentari (pensate alla teoria del legal standard a livello internazionale) sono il punto in cui le polemiche sono pi� alte, le problematiche maggiori e quindi � pi� difficile ridisegnare le regole. Volevo sottolineare un ultimo aspetto: la concessione di questi aiuti � legata al rispetto di un procedimento amministrativo. L�aiuto per il settore finanziario, bancario, � concesso su istanza della banca, cio� della parte interessata, quindi il procedimento si attiva su iniziativa di parte. La domanda va presentata al Ministero, al Dipartimento del Tesoro, e contemporaneamente all�Autorit� di vigilanza, e qui lo schema nazionale ripete un modulo raccomandato a livello comunitario: cio� l�istruttoria sulla situazione soggettiva del potenziale beneficiario e sulle condizioni per cui si chiede di accedere all�aiuto, deve essere svolta da un organo tecnico, dall�autorit� di vigilanza. Quindi le fasi sono: domanda di parte, istruttoria svolta dall�autorit� di vigilanza, giudizio favorevole o negativo dell�autorit�, che viene espresso senza portarlo a conoscenza della parte interessata ma trasmesso al Tesoro, e infine il Ministero adotta la decisione finale senza essere vincolato dal parere dell�autorit�, perch� nell�ammettere l�aiuto il Ministero valuta anche le condizioni generali complessive dell�economia (cio� se, considerati i flussi e la situazione complessiva, si possa ritenere opportuna e utile la misura predisposta). Quindi il provvedimento finale dell�amministrazione ha in qualche modo il carattere della decisione politica. Al provvedimento finale dell�amministrazione si aggiungono una serie di atti negoziali. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 21 L�Abi ha stipulato un accordo quadro col Ministero per la regolamentazione dei rapporti e la sottoscrizione dei famosi protocolli d�intenti che devono essere sottoscritti tra la banca beneficiaria e il Ministero, sia ai fini dell�adempimento degli impegni organizzativi interni alla struttura che accede all�aiuto (per esempio sottoscrizione di un codice etico che riguardi la remunerazione del management), sia ai fini del rispetto degli impegni nella erogazione all�esterno (famiglie e imprese) del credito. Quali sono i meccanismi sanzionatori di fronte a inadempienze di questo tipo? Tutto l�armamentario proprio dell�istituto della concessione? La revoca? Questo profilo � ancora da capire. Ultimo aspetto � un sistema di monitoraggio, che presuppone la raccolta dei dati e si sviluppa mediante la sollecitazione di un sistema bancario al rispetto dell�erogazione del credito, attraverso meccanismi di denuncia; sono i famosi osservatori istituiti presso le Prefetture (sistema molto criticato per il rischio di una ingerenza da parte dell�autorit� politico-amministrativa nel sistema di erogazione del credito e quindi nella valutazione del merito creditizio dell�imprenditore che ricorre a questa erogazione). CՏ un impegno per chi ricorre allo strumento obbligazionario a mantenere inalterati i flussi di erogazione del credito per un triennio rispetto al biennio precedente, ma questo � un discorso che riguarda una verifica di dati anonimi, aggregati, che non ha nulla a che fare col meccanismo della denuncia presso la Prefettura della mancata erogazione o diniego. Sono giustiziabili i provvedimenti dell�autorit� amministrativa (Ministero Economia e Finanze) in materia di concessione dell�aiuto? Il diniego certamente s�, il contraddittorio � rinviato proprio al momento della giustiziabilit�; prima pu� essere attivato dinanzi al Ministero (non dinanzi all�autorit� di vigilanza), ma in sede giudiziaria sicuramente cՏ la possibilit� di far valere le proprie ragioni. E il provvedimento positivo? Probabilmente no, ma con l�evoluzione della tematica degli interessi legittimi (soprattutto nel contrasto tra giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato in materia di pregiudiziale) forse forme di tutela risarcitoria sono pensabili anche di fronte al provvedimento positivo che produce effetti distorsivi della concorrenza. Intervento dell�Avv. Sergio Fiorentino* Vorrei dare una prima informazione su uno strumento predisposto dal Governo, che proprio oggi dovrebbe essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale: si (*) Capo dell�ufficio legislativo del Ministero delle politiche europee e Avvocato dello Stato. 22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 tratta di una direttiva della Presidenza del Consiglio, adottata previa intesa con le Regioni, che ha lo scopo di consentire di implementare uno degli atti comunitari a cui si riferiva prima il Professor Fortunato, cio� la comunicazione del 22 gennaio 2009, poi modificata il 25 febbraio 2009, che appunto reca il quadro di riferimento temporaneo comunitario per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell�accesso al finanziamento (quelle misure che il Professor Fortunato definiva di sostegno all�economia reale). Infatti nel contesto del pacchetto delle misure adottate dalla Commissione per far fronte alla crisi economica e finanziaria (che era stato poi prefigurato nel piano europeo di ripresa economica adottato con la comunicazione del 26 novembre 2008 e anticipato dagli orientamenti dell�ottobre a cui si riferiva il Professore), si inserisce questa misura col duplice obiettivo, enunciato dalla Commissione, di sbloccare la situazione di stallo nella concessione dei prestiti bancari alle imprese, garantendo la continuit� del loro accesso ai finanziamenti, e di incoraggiare le imprese a continuare a investire �nel futuro� (cos� dice la Commissione testualmente, riferendosi alla crescita sostenibile, agli obiettivi ambientali raggiunti dalle industrie europee, rispetto ai quali la Commissione intravede il pericolo di un arretramento a causa della crisi; obiettivi ambientali che vuole favorire). La Commissione si preoccupa di ricordare che questi obiettivi e in generale quelli gi� enunciati nel piano europeo di ripresa economica (cio� stimolare la crescita della domanda e far rinascere la fiducia dei consumatori, ridurre il costo umano del rallentamento della crescita e determinare la condizioni affinch� ci possa essere una ripresa economica), possono essere raggiunti usando le misure gi� esistenti. La Commissione anzi invita a usare le misure gi� esistenti per far fronte a questa crisi e siccome il diritto comunitario prevede il divieto di aiuti di Stato alle imprese ma non esclude l�intervento pubblico nell�economia, ricorda che gli Stati membri hanno a disposizione misure di politica economica generale, che in quanto destinate a tutte le imprese stabilite in un certo territorio, non possono essere considerate aiuti, perch� prive del carattere della selettivit�, che � uno dei caratteri fondamentali per individuare gli aiuti di Stato. Inoltre la Commissione ricorda che gli Stati membri possono concedere sostegno finanziario direttamente ai consumatori, attraverso misure (come quella della rottamazione o quella destinata all�acquisto dei prodotti verdi) che a loro volta non costituiscono aiuti di Stato, a condizione che siano concesse senza discriminazioni connesse all�origine del prodotto (perch� in presenza delle stesse avremmo distorsioni al mercato e alla concorrenza, e quindi si tratterebbe di aiuti di Stato). Per esempio, per chi ha seguito il dibattito politico negli ultimi mesi, avr� visto che la misura individuata dal Governo della rottamazione dei veicoli e degli elettrodomestici in una prima stesura incontrava questo rischio di discri- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 23 minazione, perch� prevedeva la stipula di protocolli di intesa tesi al mantenimento dell�occupazione, che necessariamente potevano essere sottoscritti solo dalle imprese nazionali e si finiva per discriminare le altre imprese comunitarie; tanto che poi � stato eliminato il vincolo tra concessione dell�aiuto ai consumatori e stipula del protocollo di intesa. Un�altra misura che si era affacciata nel dibattito comunitario era quella del divieto di delocalizzazione: cio� si attribuiva vantaggio ai consumatori nell�acquisto di quei soli prodotti di imprese che si impegnavano a non delocalizzare. Qui non c�era tanto un vulnus al divieto di discriminazione all�origine del prodotto, ma un vulnus alla libert� di stabilimento; la misura � stata poi contenuta nei confini dello spazio economico europeo, quindi cՏ un vincolo a non delocalizzare al di fuori dello spazio economico europeo. Quindi la Commissione dopo aver ricordato le misure di carattere generale che gli Stati membri hanno gi� a disposizione, ha ricordato il quadro esistente in materia di aiuti di Stato cio� i regolamenti di esenzione e gli orientamenti, che gi� consentono un ampio margine di manovra agli Stati membri. Si tratta: i) del regolamento generale di esenzione per categoria, ii) del regolamento sugli aiuti di importanza minore (cd. regolamento de minimis). Tuttavia dopo questa descrizione di carattere generale la Commissione prende atto che lo stato di crisi economica giustifica l�adozione di una nuova misura, come questa comunicazione, caratterizzata dalla eccezionalit�, dimostrata anche alla temporaneit� dell�intervento, per consentire uno spazio di manovra maggiore agli Stati membri e quindi interventi pi� mirati e magari selettivi. La base giuridica di questa comunicazione � l�art. 87 paragrafo 3 lettera b) del Trattato, relativo agli aiuti destinati a porre rimedio a un grave turbamento dell�economia di uno Stato membro. CՏ qui un�interpretazione estensiva di questa deroga (il contrasto col principio per cui nel caso delle deroghe l�interpretazione deve essere restrittiva � giustificato dal fatto che il grave turbamento di uno Stato membro pu� essere grave turbamento di tutti gli Stati membri). Dal punto di vista delle fonti del diritto comunitario derivato, la comunicazione non � un regolamento di esenzione, come ad esempio il de minimis. Il regolamento di esenzione esclude le misure in esso contemplate dalla categoria di aiuto di Stato. Ad esempio nel caso del de minimis, cՏ una presunzione legale di non incidenza di quella misura sugli scambi negli Stati membri, il che comporta che l�autorit� pubblica che concede un aiuto de minimis non ha l�obbligo di notificare e poi attendere l�autorizzazione della Commissione. Questa invece � una comunicazione che ha un fondamento nel Trattato, nella 24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 norma che prevede gli aiuti che possono essere considerati compatibili dalla Commissione. Quindi la Commissione si autovincola con questa comunicazione nella sua discrezionalit�, cio� detta una serie di condizioni al ricorrere delle quali considerer� compatibili le misure di aiuto. Questo per� non esclude l�obbligo che discende dall�art. 88. Ecco quindi che si poneva il problema che si � pensato di risolvere con la direttiva di cui fra poco parleremo. Prima vorrei descrivere quali sono le cinque tipologie di aiuto ammesse: 1) aiuti di importo limitato e compatibile, gi� ribattezzato �super de minimis� perch� sono aiuti di ogni tipologia (come nel de minimis) e con le stesse esclusioni del de minimis (cio� gli aiuti all�esportazione, alla pesca e alla produzione agricola primaria) ma con un limite di 2 volte e mezzo di quello del de minimis. Tuttavia non � un super de minimis perch� il de minimis non richiede la notifica, questo s�, perch� la base normativa di riferimento � diversa. 2) aiuti concessi sotto forma di garanzie: si consente agli Stati membri di intervenire nella concessione di garanzie alle imprese sino al 25% del premio annuale per le piccole e medie imprese e al 15% per le grandi imprese, 3) aiuti sotto forma di tasso ad interesse agevolato, secondo un tasso che � definito nella comunicazione ed � inferiore a quello di mercato, 4) aiuti per la produzione di prodotti verdi, che anticipano standard europei ambientali destinati a operare solo in futuro o superano questi standard 5) aiuti relativi al capitale di rischio, che per� si deve innestare su regimi gi� esistenti. Tutte queste misure non sono riservate alle piccole e medie imprese (tranne l�ultima). La parte interessante della comunicazione � quella che riguarda la semplificazione delle procedure amministrative, perch� proprio sul presupposto che la base giuridica della comunicazione era il perturbamento dell�economia di uno stato membro la Commissione ha sollecitato da parte di tutti gli Stati membri la notifica di un unico regime. Ecco perch� si � posto il problema che abbiamo ritenuto di poter risolvere con la direttiva della Presidenza del Consiglio, cio� la necessit� anche pratica, sollecitata dalla Commissione, di avere un unico regime da notificare alla Commissione e da autorizzare. Sul modello di quello che � avvenuto anche in altri paesi avevamo pensato a un decreto legge, poi si � ragionato sul fatto che dal punto di vista normativo non c�erano innovazioni da introdurre se non per una parte che riguarda il monitoraggio, perch� la fonte � tutta comunitaria, e allora si � pensato allo strumento della direttiva del Presidente del Consiglio. Naturalmente poich� si andava a incidere sulle funzioni e sui poteri delle Regioni e degli Enti locali, cՏ stata la previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni (raggiunta l�8 aprile 2009). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 25 Questo testo traduce in un articolato tutte queste condizioni contenute nella comunicazione e ha un taglio discorsivo. La misura � stata notificata alla Commissione, che ad oggi ha gi� autorizzato quattro dei cinque regimi previsti (sono decisioni del 20 maggio non ancora pubblicate in GUCE ma gi� efficaci perch� l�efficacia delle decisioni della Commissione deriva dalla notifica allo Stato membro). Nell�art. 2 della direttiva del Presidente del Consiglio cՏ una condizione generale: le imprese, per poter beneficiare di questi aiuti, non dovevano trovarsi in condizioni di difficolt� alla data del 30 giugno 2008; condizione che si inserisce sulla scia di quella che � sempre stata la volont� della Commissione, cio� evitare che gli aiuti concessi fossero usati per rimediare a situazioni di crisi che prescindono dalla congiuntura internazionale. Possono avere accesso a queste misure anche le imprese che siano entrate in crisi dopo il 30 giugno 2008, che � una data convenzionale di avvio della crisi economica mondiale. Quindi sostanzialmente si dice che si possono aiutare anche le imprese in crisi che sono entrate in crisi a causa della crisi mondiale ma non quelle che erano in crisi per conto loro. E poi al comma 4 cՏ una norma interessante, che sarebbe stata pi� interessante mantenendo la forma del decreto legge, che generalizza la clausola per cui nessuna impresa pu� beneficiare di aiuti se non ha restituito eventuali aiuti incompatibili di cui risultava essere beneficiaria nel momento in cui ha ricevuto la misura concessa. Queste condizioni riguardano tutte e cinque le misure, poi ci sono condizioni particolari per le singole misure. Ad esempio per i de minimis le due condizioni sono che gli aiuti siano concessi in forma di regime, cio� deve essere previsto per una categoria di soggetti non particolareggiate, e devono essere trasparenti (riguardo la metodologia di calcolo dell�aiuto); con questi vincoli e quelli generalizzati, cio� che non si tratti di aiuti alla pesca, all�esportazione e all�agricoltura, gli aiuti de minimis sono una misura di carattere generale. Qual � il grado di vincolativit� di questa direttiva rispetto a tutte le autorit� pubbliche che possono concedere aiuti? Da un lato rispetto alle Regioni cՏ un vincolo che deriva dalla leale collaborazione, essendoci stata l�intesa, ma a parte questo il problema potrebbe porsi per tutte le misure di aiuto che devono essere concesse con norma primaria di legge. Quindi che senso ha con una direttiva vincolare il legislatore al rispetto di certe misure? In realt� si tratta piuttosto di un onere: siccome gli aiuti che rispettano questa cornice devono essere solo comunicati alla Commissione e non notificati, col rispetto di queste condizioni ci si inserisce nell�ambito di applicazione di questa autorizzazione gi� concessa dalla Commissione, e 26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 quindi non � necessaria altra procedura di notifica. Se non si rispettano queste condizioni si tratta di misure diverse che andranno a loro volta notificate e autorizzate. Intervento dell�Avv. Paolo Gentili* Ho cercato di analizzare le evoluzioni che sono state elaborate dalla giurisprudenza comunitaria su certi aspetti che si potevano trattare in maniera abbastanza serena prima della crisi e che ora, in questo quadro di grande mutamento della materia degli aiuti di Stato, potrebbero risultare critici e potrebbero indurre la giurisprudenza a rivedere alcune sue posizioni o vedere se nella giurisprudenza ante crisi ci siano gi� degli spunti utilizzabili anche in tempo di crisi. CՏ anche il problema della giustiziabilit�, che si pone soprattutto a livello comunitario. Ci sono vari aspetti da cui si potrebbe affrontare il discorso, mi baser� sulla traccia classica dei quattro elementi costitutivi degli aiuti di Stato. Primo elemento fondamentale � quello della natura pubblica del beneficio che va all�impresa toccata dall�aiuto di Stato. L�atteggiamento della giurisprudenza ante crisi � molto estensivo: il concetto di pubblicit� della risorsa � molto ampio e si ricostruisce spesso in maniera indiretta. Ma proprio perch� si ricostruisce in maniera flessibile e quindi cՏ incertezza sulla nozione, troviamo qui degli spazi in cui la giurisprudenza potrebbe fare retromarcia, perch� sono spazi connessi all�alveo dell�art. 87 per via di interpretazione giurisprudenziale. Il concetto materiale della pubblicit� � trattato dalla sentenza del 17 giugno 1999 Rinaldo-Piaggio. Si trattava della Legge Prodi e dell�ammissione di questa industria aereonautica al regime della Legge Prodi, di una revocatoria di un pagamento fatto da questa impresa poco prima di essere ammessa all�amministrazione straordinaria e dell�azione con decreto ingiuntivo fatta dal creditore di questo credito. Nasce la questione pregiudiziale che il regime della Legge Prodi possa essere considerato foriero di aiuti di Stato. Su un punto poteva effettivamente esserci questa evenienza, per il fatto che quando l�impresa va in amministrazione straordinaria ottiene la garanzia dello Stato per la sua esposizione debitoria, almeno da un certo livello in s� e la garanzia dello Stato incide ovviamente sul bilancio pubblico; quindi il concetto originario di pubblicit� era evidente e noi lo ammettevamo tanto che avevamo fatto la notifica della legge alla Commissione. Ma non avevamo fatto altre notifiche riguardo altri articoli della legge Prodi diversi dal quello sulla garanzia, perche non ri- (*) Avvocato dello Stato. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 27 tenevamo esistere altri aspetti di pubblicit�, si trattava di una deroga al regime fallimentare ma non ritenevamo esserci niente di pubblico. Invece la Corte di Giustizia ha risposto al quesito dicendo che cՏ tutto un substrato di pubblicit� intrinseco all�intero sistema della legge Prodi, perch� essa permette la sospensione di una serie di pagamenti di crediti (che nel caso di specie era il pagamento di un credito a un privato), che indistintamente possono riguardare anche i crediti pubblici, i crediti fiscali e previdenziali. Siccome � potenzialmente coinvolto anche un credito pubblico, cՏ un potenziale effetto sul bilancio pubblico e questo rende la semplice norma della legge Prodi che dice che sono sospesi i pagamenti delle imprese in amministrazione straordinaria, una norma portatrice di aiuti di Stato, perch� potenzialmente pu� coinvolgere risorse pubbliche. Addirittura l�altra disposizione considerata dalla Corte � quella che consente la prosecuzione dell�impresa in crisi al di l� dei casi in cui in base alla legge fallimentare sarebbe consentito (normalmente sta al giudice delegato disporre la continuazione dell�impresa; ai sensi di questa norma � invece il Ministro che con un suo decreto dispone la prosecuzione dell�impresa): anche questo sarebbe aiuto di Stato perch� se l�impresa continua a funzionare pur quando un�impresa concorrente sarebbe esclusa dal mercato perch� il giudice fallimentare non autorizzerebbe la sua prosecuzione, pu� ottenere comunque un flusso di cassa che la mette in grado di far fronte alla sue obbligazioni; ma in questo caso allora perch� non deve anche far fronte ai suoi debiti, compresi quelli di carattere pubblicistico? La Corte qui si rende conto che poteva essere andata oltre il segno e precisa che se ci sono queste ricadute sul bilancio pubblico, questi effetti potenziali e questa pubblicit� dell�aiuto determinata da norme giuridiche che non costano nulla al bilancio (perch� la legge non costa), verr� accertato dal giudice nazionale caso per caso, nel singolo contenzioso che nasce nell�ambito della procedura di amministrazione straordinaria. Anche qui cՏ lo spazio per un ripensamento della giurisprudenza: si potrebbe dire che quando cՏ un intervento organico, strutturale, basato su un regime complessivo e non a favore di una singola impresa, mirante a superare situazioni di grave crisi industriale, non cՏ un�incidenza sul bilancio, anche quando ci siano delle misure sospensive di crediti di diritto pubblico, perch� questo � funzionale al riequilibrio dell�economia complessiva. La Corte in sede di pronuncia pregiudiziale dice solo cosa pu� definirsi aiuto di Stato e cosa no, se si recupera questo spazio si pu� addirittura dire che non cՏ l�aiuto a monte. Ricostruendo questa giustificazione organica della misura e a fronte di una complessa manovra di politica economica, il tema dell�esistenza o meno dell�aiuto si collega col tema del secondo elemento della nozione di aiuto di Stato, cio� quello della selettivit�: se favorisce alcune imprese o categorie di 28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 imprese o se invece � una misura di tipo generale. La Corte ha affermato che la selettivit� viene meno se la misura � l�espressione di una concezione complessiva dell�ordinamento di politica economica del diritto pubblico dell�economia, se si riferisce organicamente in questo sistema, pur favorendo certo soggetti e non altri non � selettiva e non da luogo ad aiuto, salvo negarlo nel caso concreto. Questo � uno spazio molto oscillante, quindi anche qui ci potrebbe essere possibilit� per la Corte di modificare la propria giurisprudenza e ricondurre molte misure di questo tipo ad un nesso organico con la normazione economica complessiva e con le manovre complessive di politica economica che finora la Corte ha negato. Mi viene in mente la sentenza sulle Azzorre, del 6 settembre 2006, C- 88/03, che riguardava il regime fiscale di favore per le isole Azzorre. Queste isole hanno un ambito amplissimo di autonomia previsto nella Costituzione del Portogallo, quasi un ambito di sovranit�, hanno un loro Parlamento. Questo Parlamento ha fatto una legge basandosi su una autorizzazione contenuta in un articolo della Costituzione portoghese (che corrisponde al nostro articolo 119), che riduce del 30% l�imposta sul reddito delle persone giuridiche e del 15% sulle persone fisiche, a pioggia, su tutto il territorio delle Azzorre. Nasce la questione se questo sia un aiuto di Stato, nel senso soprattutto se ci sia il carattere selettivo. Il Portogallo dice di no perch� la situazione delle isole Azzorre non � paragonabile a quella di chi abita sul continente, addirittura il Trattato estende la sua applicazione alle Azzorre espressamente all�art. 299, e questo dimostra la loro considerazione come territorio a s� stante rispetto al Portogallo, quindi non ci pu� essere la selettivit�. La Corte di Giustizia invece, nel respingere il ricorso del Portogallo, aveva detto che le Azzorre non sono paragonabili al resto dell�Europa, quindi non cՏ selettivit� se tutti gli abitanti e le imprese delle Azzorre ricevono questo beneficio fiscale, salvo una categoria di operatori, cio� le banche, che non possono mai essere considerati soggetti sperduti nell�Atlantico, perch� per quella che � la loro natura intrinseca sono soggetti che si pongono sempre in concorrenza con tutti gli operatori comunitari. Quindi la misura del Portogallo era autorizzata salvo nella parte in cui si riferiva alle banche. Il Portogallo ribatte su questo, ma prima di contestare nel merito la distinzione fatta dalla Commissione tra soggetti che non sono banche e banche, il Portogallo contesta proprio in s� la qualificazione di quella misura come aiuto, che non � selettivo perch� si collega a una politica organica dello Stato portoghese, di sostegno all�economia di queste sue ex colonie che hanno una situazione strutturale, e non episodica, di arretramento economico; quindi essendo normale per il Portogallo dover disporre a sostegno di questi soggetti una misura di questo tipo, per giunta non deliberata dal Governo centrale portoghese ma dal Parlamento locale, deve IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 29 essere considerata coerente e quindi certamente non selettiva. Questo argomento � respinto dalla Corte, che afferma che non cՏ una misura organica perch� di questo beneficio che ottengono le Azzorre qualcun altro fa le spese; perch� se le Azzorre hanno un minor gettito fiscale qualcuno deve colmare la differenza, e infatti l� interveniva una specie di fondo nazionale perequativo, per cui dal Portogallo continentale partivano dei finanziamenti che arrivavano nelle Azzorre a compensare il minor gettito fiscale. La Corte dice che � vero che il Governo interviene a favore delle regioni strutturalmente arretrate, ma � anche vero che qualcuno deve pagare per questo, il che d� alla misura un carattere specifico, facendo venire meno la coerenza e l�organicit� della misura. Il ragionamento della Corte potrebbe essere tranquillamente capovolto, dicendo che se cՏ una situazione di federalismo generale e in particolare fiscale, che ci sia da una parte un regime fiscale agevolato per le regioni svantaggiate e dall�altra un regime fiscale di solidariet� tra regioni in condizioni economiche normali e quelle in condizioni economiche svantaggiate attraverso i fondi perequativi, � di per s� organico, fa parte del meccanismo, altrimenti esso non potrebbe mettersi in moto, nel caso in cui una regione per concedere agevolazioni fiscali ai propri operatori, ai propri cittadini, ai propri residenti, dovesse subire un tale deperimento del gettito da compromettere il livello dei servizi pubblici. Allora � un circolo vizioso, ed � chiaro che � un altro soggetto a dover garantire con il fondo perequativo che il livello del servizio pubblico sia assicurato. La Corte ebbe paura in fondo di fare un�apertura eccessiva su questa nozione di organicit� che esclude l�aiuto, nozione che essa stessa aveva introdotto e che poi ha applicato con questa grande prudenza. Forse se si verificasse oggi il caso delle Azzorre la Corte direbbe che esiste il requisito dell�organicit�. La fiscalit� di vantaggio la pu� fare solo chi non attinge a fondi perequativi, quindi chi ha dei fondi sufficienti, quindi le regioni gi� ricche. Un altro campo interessante � quello degli aiuti in materia di servizi pubblici. Qui di nuovo il tema � quello dell�esistenza dell�aiuto e della selettivit�. Il problema � di capire quando l�aiuto che va ad una impresa pubblica si considera compensativo dei costi di pubblico servizio che su quella impresa gravano e quando ci� non avviene, sia sovracompensativo e quindi per la parte che non compensa diventa un aiuto. Nella sentenza Altmark furono dettate le quattro condizioni per cui si pu� escludere che una sovvenzione di una impresa pubblica costituisca un aiuto: sono condizioni estremamente late e discrezionali che aprono la strada al cambiamento di orientamento. Le quattro condizioni sono: 1) che ci sia una chiara definizione degli obblighi di servizio pubblico, il cd. principio di missione: l�impresa beneficiaria deve essere effettivamente 30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 incaricata dell�adempimento di obblighi di servizio pubblico definiti in modo chiaro (anche sulla �chiarezza� si pu� lavorare, finora � prevalso un criterio molto restrittivo di chiarezza, perch� ci sono stati casi in cui aiuti alle imprese pubbliche sono stati bocciati perch� si � detto non cՏ chiarezza nell�affidamento della missione pubblica, che va invece tenuta presente), 2) parametri di calcolo della compensazione che devono essere definiti preventivamente in modo obiettivo e trasparente: qui si pu� lavorare molto sui parametri temporali (nelle convenzioni di servizio pubblico si prendono alla base i periodi di tempo), 3) la compensazione non pu� eccedere quanto necessario per coprire interamente o in parte i costi originati dall�adempimento degli obblighi di servizio, 4) quando la scelta dell�impresa da incaricare dell�adempimento di obbligo di servizio pubblico non venga effettuata nell�ambito di una procedura di appalto pubblico (che consenta di selezionare chi � in grado di fornire i servizi al costo minore), il livello della necessaria compensazione deve essere determinato sulla base di un�analisi dei costi che una impresa media gestita in modo efficiente e adeguatamente dotata di mezzi di trasporto al fine di soddisfare le esigenze di servizio pubblico, avrebbe dovuto sopportare per adempiere a tali obblighi. Bisogna fare l�ipotesi dell�operatore corretto in normale gestione e su quella base calcolare l�importo della compensazione; quindi non di un operatore deficitario, inefficiente quali sono normalmente (sembra ipotizzare la sentenza) gli operatori pubblici. Questo quarto pilastro della nozione di aiuto di Stato riferito alla compensazione dei servizi pubblici � quello che traballa di pi� in una condizione di crisi, perch� in quel caso come si fa a stabilire la posizione di un operatore in normale esercizio, assumerlo a parametro e fare riferimento solo a quello? Oggi probabilmente questo va ampiamente rivisto perch� situazioni di gestione deficitaria possono diventare normali anche al di fuori del settore dei servizi pubblici, per operatori di tipo puramente privato, perch� oggi per gli operatori il problema non � guadagnare, ma rimanere sul mercato. Quindi cՏ una situazione di crisi globale, in cui l�operatore continua a operare anche in perdita pur di non uscire di scena e aspettare di potersi risollevare, quindi se � normale per l�operatore operare in perdita, a maggior ragione lo � per il soggetto incaricato di un pubblico servizio e questo pu� incidere sulla misura degli interventi pubblici a favore di quei soggetti. Oggi forse cՏ uno spazio per largheggiare nell�identificazione di un pubblico servizio, perch� � la crisi che rende normale l�erogazione pubblica di tanti servizi che in tempi normali non considereremmo pubblici servizi. CՏ spazio per una ripubblicizzazione a livello di nozione di molti servizi che avevamo negli anni privatizzato. Se si ripubblicizza tutta un�area di servizi (primo requisito) e si largheggia IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 31 molto nell�identificare il parametro dell�operatore normale, dei costi dell�operatore normale (quarto requisito), perch� l�operatore normale in un periodo di crisi non esiste, si apre tutta un�area di possibile intervento pubblico a sostegno di servizi essenziali per l�economia, che possono essere interessanti anche al di l� di quelle che sono le codificazioni che fa la Commissione nelle sue comunicazioni. Quindi nella giurisprudenza Altmark, che � una giurisprudenza restrittiva, forse, riletta alla luce della crisi, si possono individuare degli spiragli in cui inserirsi o comunque degli strumenti operativi su cui i governi nazionali potrebbero pensare di lavorare. Intervento dell�avv. Gianni De Bellis* Il mio intervento riguarda le modalit� di recupero degli aiuti fiscali una volta che siano stati dichiarati tali. Sul fatto che un aiuto fiscale possa costituire un aiuto di Stato si veda la sentenza 2 luglio 1974, Italia c. Commissione, C-173/73, avente ad oggetto una causa in cui la Corte stabil� che il criterio per individuare un aiuto di Stato non � tanto il tipo di misura adottato, ma gli effetti che tale misura pu� comportare. Quindi afferm� espressamente che anche una misura fiscale pu� costituire un aiuto di Stato. Le modalit� con cui un aiuto fiscale pu� essere concesso sono varie: esenzioni temporanee o definitive da un tributo, crediti di imposta, aliquote ridotte, modifiche della base imponibile, riporto di perdite, condono fiscale non generalizzato ecc. Uno dei problemi principali che si pone nel caso di aiuti di Stato dichiarati tali e concessi mediante agevolazioni fiscali, � la natura giuridica dell�aiuto che si va a recuperare: si tratta di un credito tributario oppure ha natura civilistica? � noto che le Sezioni Unite della Cassazione (1), chiamate a pronunciarsi sull�azione di ripetizione dell�indebito, si sono spesso interrogate sulla natura tributaria o meno del credito in restituzione; si sono chieste, cio�, se esso conservi l�originaria natura ovvero se sia qualificabile alla stregua di un indebito oggettivo ex art. 2033 cod. civ. La questione non � di poco conto, perch� se si tratta di ripetizione dell�indebito si applica la prescrizione decennale, mentre se si tratta di un credito tributario operano le pi� brevi decadenze previste dalle singole leggi di imposta. Per fare un esempio, si possono prendere in considerazione le tasse di concessioni governative, che la Corte di giustizia (2) ha (*) Avvocato dello Stato. (1) Fra le pi� recenti, cfr. Cass. civ., Sez. Un., Ord., 5 marzo 2008, n. 5902; Cass. civ., Sez. Un., Ord., 19 novembre 2007, n. 23835; Cass. civ., Sez. Un., 24 aprile 2002, n. 6036. (2) V. sentenza 20 aprile 1993, nelle cause riunite C-71/91 e C-178/91. 32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 dichiarato incompatibili con la Direttiva n. 69/335 (3). Ebbene, quando si � trattato di agire per i rimborsi, l�Amministrazione ha eccepito l�intervenuta decadenza del termine triennale per chiedere il rimborso e questa linea � passata anche a livello comunitario sul presupposto della natura tributaria dei crediti. Ora, la domanda che ci si deve porre �: questa regola vale anche quando una determinata misura fiscale sia qualificata come aiuto di Stato? Oltre a quello della natura giuridica, un altro problema che si pone � quello della normativa � nazionale o comunitaria � applicabile. Questi problemi sono attualissimi, come dimostra il contenzioso sugli aiuti alle ex aziende speciali e municipalizzate, trasformate in societ� di capitali negli anni �90. Una decisione della Commissione del 5 giugno 2002 (4) ha qualificato come aiuti di Stato, imponendone il recupero, varie misure (5) adottate con riferimento alle societ� a prevalente partecipazione pubblica, risultanti dalla privatizzazione delle aziende speciali. Tale decisione � stata fatta oggetto di pi� ricorsi davanti alla Corte di Giustizia e al Tribunale di Primo Grado, rispettivamente da parte del Governo italiano e di numerose societ� di gestione dei servizi pubblici locali, che non hanno per� richiesto la sospensione della decisione impugnata. Di conseguenza l�Italia aveva comunque l�obbligo di recuperare medio tempore gli aiuti concessi, in attesa della definizione nel merito dei ricorsi proposti. Poich� ci� non � avvenuto, l�Italia � stata condannata per inadempimento dalla Corte di Giustizia con la sentenza 1� giugno 2006 (in causa C-207/05), mentre si aspetta a giorni la sentenza che si pronunci sui ricorsi diretti a contestare nel merito la correttezza della decisione della Commissione. In realt� lo Stato italiano non era rimasto del tutto inerte in ordine al recupero degli aiuti in questione. Il Parlamento aveva infatti adottato una legge con la quale veniva attribuita la competenza per il recupero al Ministero degli Interni (la n. 62 del 2005), che si era rivelata per� inefficace. Una disciplina pi� incisiva, che non a caso � intervenuta dopo la condanna della Corte di Giustizia, � stata introdotta con il D.L. n. 10 del 2007 (6), il (3) Si tratta della direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali. (4) Decisione n. 2003/193/CE, relativa all'aiuto di Stato relativo alle esenzioni fiscali e prestiti agevolati concessi dall'Italia in favore di imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico. (5) L'articolo 3, commi 69 e 70, della legge n. 549/95 riservava un particolare regime fiscale alle societ� per azioni a prevalente capitale pubblico istituite ai sensi della legge n. 142/90, prevedendone: a) l'esenzione da tutte le imposte sui conferimenti relative alla trasformazione di aziende speciali e di aziende municipalizzate in societ� per azioni; b) l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito d'impresa, non oltre l'anno fiscale 1999, per le societ� per azioni a prevalente capitale pubblico. (6) Convertito, con modificazioni, dall�art. 1 della legge n. 46 del 2007. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 33 quale (art. 1) ha spostato la competenza sull�Agenzia delle Entrate e ha previsto che venga emesso un apposito provvedimento (comunicazione-ingiunzione) impugnabile davanti alle Commissioni Tributarie. A questo punto si comprende come il problema della natura del credito avente ad oggetto le somme da recuperare assuma rilievo anche ai fini della giurisdizione. Orbene, se in base alla legge n. 62/2005 questo credito poteva in qualche modo essere qualificato come civilistico (in quanto si richiedeva la restituzione di una somma corrispondente all�aiuto fiscale che era stato concesso), in seguito alla disciplina del 2007, la quale attribuisce all�Agenzia delle Entrate il compito della riscossione e alle Commissioni Tributarie la competenza sui relativi ricorsi, viene da pensare che tale credito sia stato riqualificato come tributario. Soprattutto, poi, si pone il problema dell�applicabilit� del codice civile nazionale � che prevede, come � noto, la prescrizione decennale � all�obbligo dell�Italia di recuperare l�aiuto. A tal proposito abbiamo avuto delle sentenze che hanno ritenuto illegittimo il recupero, motivando nel senso dell�intervenuta prescrizione del relativo credito. Proponendo ricorso in Cassazione contro una di esse (7), la tesi sostenuta dall�Avvocatura � nel senso che il credito connesso al recupero di un aiuto di Stato, essendo disciplinato a livello comunitario dal Regolamento n. 659/1999, non � sottoposto all�art. 2946 cod. civ., bens� alla disciplina speciale contenuta nell�art. 15 del suddetto regolamento. Pur contemplando anch�essa un termine di prescrizione decennale, infatti, quest�ultima disposizione detta condizioni particolari con riferimento all�interruzione e alla sospensione del termine, la quali, nel caso di specie, impongono di non considerare prescritto il credito vantato. A ben vedere, in questo caso neanche si pone, a stretto rigore, un problema di disapplicazione della normativa interna per contrasto. Si tratta piuttosto di una materia che sfugge del tutto alla normativa interna, essendo rimessa esclusivamente nelle mani del legislatore comunitario. La questione degli aiuti alle ex municipalizzate � approdata anche davanti alla Corte Costituzionale cui � stata sottoposta la questione di legittimit� della normativa di recupero sotto il profilo della violazione dell�art. 53 della Costituzione. Si sosteneva nello specifico che il recupero equivalesse ad una sorta di tassazione retroattiva di un�attivit� economica posta in essere ormai da oltre dieci anni, il che sarebbe in contrasto con la Costituzione. La questione rischiava di far emergere il problema dei cc.dd. �controli- (7) La sentenza impugnata � la n. 322/14/08 emessa il 2.12/11.12.2008 dalla Commissione Tributaria Regionale di Roma, Sezione 14^. 34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 miti�. Come � noto, i controlimiti si pongono al confine tra l�ordinamento comunitario e i principi costituzionali, e risolvono il problema della prevalenza in caso di conflitto. Essi coincidono infatti con i principi fondamentali della Costituzione, che secondo la Corte Costituzionale (8) costituiscono l�unica deroga al principio della prevalenza generalizzata del diritto comunitario. Difendendo la normativa di recupero � adottata in adempimento di un obbligo comunitario � davanti alla Corte costituzionale, l�Avvocatura dello Stato ha sostenuto in proposito che, anche a voler ipotizzare un problema di compatibilit� con l�art. 53 della Costituzione, non si era comunque in presenza di quei principi fondamentali della prima parte della Costituzione, in relazione ai quali soltanto si potrebbe ammettere la prevalenza del diritto nazionale sul diritto comunitario. La Corte Costituzionale con l�ordinanza n. 36 del 2009, non si � tuttavia pronunciata su tale questione, ma si � limitata ad affermare la non illegittimit� della normativa italiana, in quanto emanata in esecuzione di un obbligo sancito in una sentenza della Corte di Giustizia europea. N� vi era spazio, secondo la Corte, per un affidamento tutelabile, perch� l�operatore commerciale che riceve aiuti non notificati non pu� invocare il principio dell�affidamento a tutela della sua ignoranza �colpevole� (egli ha infatti l�onere di diligenza di accertare il rispetto della procedura comunitaria prevista per la concessione di aiuti di Stato). Nelle stesse difese in Corte Costituzionale, l�Avvocatura aveva anche adombrato l�ipotesi che un problema di contrasto con l�art. 53 della Costituzione neanche si ponesse, perch�, essendosi modificata � da tributaria a civilistica � la natura del credito, quest�ultimo non poteva essere assimilato ad una forma di tassazione. Ma la Corte, pur senza pronunciarsi espressamente, non ha condiviso su questo punto l�ipotesi dell�Avvocatura. Non l�ha condivisa perch�, affermando che nel merito l�art. 53 non era stato violato, implicitamente ha riconosciuto la natura tributaria del credito in questione. Deve aver pesato, in tal senso, l�opinione del relatore dell�ordinanza, il giudice prof. Franco Gallo, il quale, intervenendo prima di assumere l�incarico di giudice costituzionale ad un convegno sul tema degli aiuti di Stato (9), aveva gi� sostenuto la tesi della natura tributaria del credito oggetto di recupero. Ci� con la motivazione per cui, essendo il beneficio consistito nell�evitare la tassazione, nel momento in cui la norma istitutiva del beneficio fiscale viene espunta dall�ordinamento giuridico per effetto di una decisione della Com- (8) V. la sentenza 8 giugno 1984, n. 170 (c.d. sentenza Granital), che riprende sul punto quanto gi� affermato nella sentenza 27 dicembre 1973, n. 183 (c.d. sentenza Frontini). (9) Si tratta del convegno svoltosi a Roma il 17 settembre 2003 presso l�Aula Magna della Corte di Cassazione, sul tema �Aiuti di Stato nel Diritto Comunitario e misure fiscali�, i cui atti sono rinvenibili in Rass. trib., n. 6-bis, 2003. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 35 missione (che dichiara l�aiuto incompatibile con l�art. 87 del Trattato), si ripristina la situazione originaria di debenza del tributo a suo tempo non corrisposto. Il problema diventa a questo punto quello della fonte del debito/credito restitutorio. � nella illegittimit� ab origine dell�aiuto? Oppure nella declaratoria di illegittimit� che ne fa la Commissione o la Corte in sede giurisdizionale? Quando si origina il debito? Se la prescrizione decorre (ex art. 2935 c.c.) dal momento in cui si pu� far valere il diritto, stabilire quando esso sorga � di certo rilevante. Si potrebbe in realt� discutere anche sulla stessa natura di diritto di credito del recupero, giacch� non si � in presenza di un interesse creditorio dello Stato, ma piuttosto di un obbligo dello Stato di recuperare; la ratio quindi non � quella di rientrare in possesso delle somme, ma quella di privare un soggetto del vantaggio indebitamente concessogli. Vi sono cause di risarcimento danni davanti al tribunale di Roma dove societ� che sono state costrette a restituire gli aiuti di Stato hanno chiamato in causa il Governo italiano sostenendo la responsabilit� di quest�ultimo per non aver notificato le misure qualificate come aiuto. La difesa del Governo ha fatto notare che se questo venisse condannato a risarcire i danni, paradossalmente incorrerebbe di nuovo in una infrazione. Cos� facendo, infatti, verrebbe vanificato l�effetto utile della stessa azione recuperatoria intrapresa. Sempre a proposito della tutela dell�affidamento, non va trascurato che l�ordinanza n. 36 del 2009 della Corte costituzionale contiene, tra l�altro, la significativa affermazione per cui il recupero degli aiuti � rispettoso dell�art. 3 della Costituzione, in quanto ripristina il principio di parit� di trattamento fra gli operatori economici. In altri termini, l�alterazione delle regole della concorrenza viene equiparata ad una violazione del principio d�uguaglianza, il che a maggior ragione fa s� che gli operatori non possano �invocare, di regola, alcun legittimo affidamento nel godere di aiuti di Stato non compatibili con l�ordinamento comunitario�. Il principio della tutela dell�affidamento in materia di aiuti di Stato ha ricevuto poche applicazioni concrete. Questo perch�, se � vero che a livello teorico la Corte di Giustizia ha ammesso che vi possano essere dei casi eccezionali in cui si giustifica la non ripetizione (10) e che l�art. 14, paragrafo 1, del citato regolamento 659/1999 prevede espressamente che la Commissione �non impone il recupero dell�aiuto qualora ci� sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario�, sul piano concreto situazioni di (10) Cfr., ad esempio, le sentenze: 24 novembre 1987, in C-223/85, Rijn-Schelde-Verolme Maschinenfabriken en Scheepswerven NV c. Commissione; 20 settembre 1990, in C-5/89, Commissione c. Repubblica federale di Germania. 36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 questo tipo si sono verificate assai raramente. Se si permette la breve digressione, � interessate notare come il principio dell�affidamento, pur essendo uno dei principi fondamentali non solo del nostro ordinamento (l�ha detto anche la Corte costituzionale, che infatti lo evoca spesso congiuntamente ai principi di ragionevolezza e di certezza delle situazioni giuridiche (11) ), ma anche dell�ordinamento comunitario, sia nondimeno costantemente violato addirittura a livello giurisdizionale. Mi riferisco al solito problema dell�interpretazione sostanzialmente retroattiva del diritto, che si produce in conseguenza di mutamenti improvvisi negli orientamenti giurisprudenziali fino a quel momento consolidati. Cos�, ad esempio, se si propone un ricorso in Cassazione formulando un solo motivo comprensivo del quesito di diritto e del difetto di motivazione, e dopo tre anni la Corte di Cassazione (cambiando giurisprudenza) afferma che il motivo plurimo non si pu� fare (con la conseguenza che il ricorso a suo tempo proposto � inammissibile), si assiste ad violazione plateale del principio di affidamento, che � poi un principio di civilt� giuridica. � interessante anche vedere come trovi applicazione a livello comunitario il principio dell�affidamento al di fuori della materia degli aiuti di Stato. La Corte ha applicato il principio di affidamento in materia di IVA. In una causa greca in cui il Governo italiano � intervenuto, era accaduto che ad un armatore che effettuava il trasporto di persone era stato detto, con tanto di comunicazione dell�ufficio delle imposte, che certe operazioni a bordo non erano imponibili. Sennonch� tre anni dopo l�ufficio delle imposte ha cambiato idea, per cui ha chiesto all�armatore il pagamento di tutta l�IVA non versata e, come se non bastasse, gli ha perfino applicato le sanzioni. L�Italia � intervenuta sostenendo che dovesse valere in casi del genere il principio codificato all�art. 10 del nostro statuto del contribuente, per cui andrebbe pagato solo il tributo, ma non gli interessi moratori e le sanzioni. Invece la Corte ha ritenuto che non sia esigibile neppure il tributo, perch� vale in tal caso il principio dell�affidamento (12). Un�ultima questione che volevo segnalare riguarda la c.d. sentenza Lucchini (13), che � stata considerata per certi versi rivoluzionaria, in quanto veniva a scalfire il dogma dell�autorit� della cosa giudicata, prevedendone la disapplicazione quando osti al recupero di aiuti di Stato. Essa in realt�, lungi dal poter essere considerata rivoluzionaria, si limita ad affermare il principio (11) V., ex multis, la recente sentenza 30 gennaio 2009, n. 34. (12) Si tratta della sentenza 14 settembre 2006, nei procedimenti riuniti da C-181/04 a C-183/04. (13) CGCE, sentenza 18 luglio 2007, C-119/05, dove si legge che �Il diritto comunitario osta all�applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l�art. 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio dell�autorit� di cosa giudicata, nei limiti in cui l�applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilit� con il mercato comune � stata dichiarata con decisione della Commissione delle Comunit� europee divenuta definitiva�. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 37 per cui non si pu� creare un giudicato su una materia che non � di competenza del giudice che ha pronunciato la sentenza. Cos�, poich� in materia di aiuti di Stato la competenza � della Commissione e poi, eventualmente, della Corte di giustizia adita in sede di ricorso, non si pu� riconnettere ad una sentenza pronunciata dal giudice nazionale la valenza di decisum non pi� contestabile. A ben vedere, troviamo gi� sancito un analogo principio nella legislazione nazionale, poich� il comma 2, n. 1, dell�art. 362 c.p.c. stabilisce che �Possono essere denunciati in ogni tempo con ricorso per cassazione: 1) i conflitti positivi o negativi di giurisdizione tra giudici speciali, o tra questi e i giudici ordinari�. Questa norma dimostra pertanto che, anche a livello interno, il dogma del giudicato non � cos� assoluto come sembra. Avv. P. Gentili Un caso che sto trattando ora riguarda gli aiuti alla cantieristica per difendersi dal Dumping coreano: in base ad un Regolamento comunitario si danno gli aiuti a imprese che abbiano stipulato contratti di costruzione navale soggetti a dumping coreano entro un certo periodo di tempo e stanziamo nella legge finanziaria tot milioni di euro. Arrivano una serie di domande riferite a quei contratti in quell�arco di tempo, che esauriscono lo stanziamento, per cui molti che avevano fatto richiesta in quel periodo di tempo autorizzato dal regolamento comunitario, restano senza soldi perch� mancava la copertura. Con la legge finanziaria di 3 anni dopo facciamo una integrazione dello stanziamento ma con riferimento a quel periodo l� per pagare quelli che non ne avevano usufruito. La Commissiona ha censurato questa misura dicendo che � aiuto di stato, perch� a termine scaduto avevamo stanziato i soldi e noi ci stiamo difendendo dicendo che ci stiamo riferendo a quel periodo autorizzato dal regolamento e che ci sono state pi� domande del previsto per cui si � dovuto interrompere lo stanziamento. L�importo non era considerato dal regolamento tanto che la comunit� nel suo complesso � stata citata dal WTO, dicendo che loro stanno facendo una serie di aiuti a pioggia alla cantieristica col pretesto che io vi faccio il dumping. Ma questo � l�aspetto interno. Noi diciamo che cՏ un affidamento, perch� il regolamento comunitario diceva �chi stipula contratti in quel periodo ha diritto�, l�impresa in buona fede si aspetta di averli quei soldi, non cՏ neanche un aiuto nuovo. Quando nella parte precontenziosa abbiamo invocato il principio di affidamento la Corte ha detto di no, che in materia di aiuti di stato assolutamente non cՏ affidamento. E di recente la Commissione proprio sul punto ha respinto. Prof. Avv. G. Rossi L�interesse dell�UE � che non si creino delle intese tra Stato e imprese private, quindi considerano lo Stato e le imprese nazionali come un unicum, e 38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 vogliono evitare che rapporti equivoci tra loro creino allo Stato nazionale un vantaggio competitivo. Avv. S. Fiorentino � stata sollevata una pregiudiziale in materia di aiuti di Stato: era una misura di aiuti di Stato autorizzata dalla Commissione con decisione di autorizzazione, poi annullata dal Tribunale con ricorso dei controinteressati, ma in questo caso essendoci l�autorizzazione della Commissione forse rientra in quei casi eccezionali in cui pu� esserci l�affidamento. Avv. G. De Bellis Esiste ora un contenzioso che si sviluppa davanti alle Commissioni tributarie riguardo il recupero degli aiuti alle ex municipalizzate e sta arrivando in Cassazione. Se cՏ una sentenza irrevocabile che nega il diritto alla restituzione, in base alla sentenza Lucchini disapplichiamo anche questa? Si pongono una serie di problemi: la sentenza Lucchini era un caso particolare in cui l�aiuto era stato ottenuto sulla base di un giudicato di una corte d�appello, nel cui giudizio per� non era mai stata eccepita la natura di aiuto di Stato delle provvidenze in contestazione. Ma se l�oggetto del contendere � proprio la valutazione della natura di aiuto di Stato o meno e quindi la sua recuperabilit�, e la giurisdizione � del giudice nazionale che deve fare questa verifica, il consentire la disapplicazione del giudicato formatosi proprio su quella causa, porrebbe dei seri problemi di tutela. In realt� la sentenza Lucchini specifica che la competenza comunitaria che esclude la competenza nazionale � quella che riguarda l�autorizzazione dell�aiuto e non il recupero. Quindi se passa in giudicato una sentenza nazionale che esclude il diritto alla ripetizione la decisione � vincolante per tutti e non dovrebbe esservi spazio per alcuna disapplicazione. Avv. P. Gentili Sempre a proposito delle ex municipalizzate abbiamo un contenzioso che poi era proprio per coincidenza la sentenza della Cass. a SS.UU. sul giudicato esterno. Si discuteva se le agevolazioni alle ex municipalizzate che l�agenzia delle entrate aveva sempre interpretato come limitate all�irpeg si estendessero anche all�iva. La Corte ha detto di no, ma alcune sentenza come quella a SS.UU. del 2006 (dove per la prima volta ha applicato il meccanismo del giudicato esterno tra diverse annualit� di imposta) si � formato un giudicato sulla debenza di quelle somme. Noi abbiamo dato un parere per cui (in applicazione della sentenza Lucchini quel rimborso non andava fatto) sta nascendo un contenzioso in cui le imprese dicono di avere la sentenza della Cassazione e loro IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 39 dicono che quel giudicato non vale nulla. Intervento del Prof. Avv. Guido Corso* La filosofia politica ed economica del Trattato europeo, fondato sul principio di concorrenza ha due nemici: - le imprese che tendono ad abusare della loro posizione dominante, a concludere tra loro accordi tesi alla fusione e all�incorporazione, che hanno lo stesso effetto e via dicendo, - gli Stati, che limitano le libert� di circolazione delle merci, servizi, persone, libert� di stabilimento delle imprese e dei lavoratori autonomi. Gli aiuti di Stato sono collocati nella parte dedicata alla limitazione della concorrenza ad opera delle imprese, una collocazione singolare, ma G.Rossi ci ha dato la soluzione: si tende ad evitare la collusione degli Stati con le imprese, sicch� le norme sugli aiuti di Stato sono collocate l�. Si tratta di norme che hanno un�ascendenza nell�art. 1 GATT (1947), che proprio sul presupposto degli effetti distorsivi delle sovvenzioni pubbliche, obbliga gli alti contraenti a notificare alle altre parti tutti i provvedimenti di concessione o di mantenimento dei sussidi capaci di produrre effetti sulle esportazioni e importazioni. CՏ un articolo apposito, l�art. 4 lettera c) nel trattato istitutivo della CECA, che tra l�altro ha una formulazione molto rigorosa rispetto agli artt. 87 ss. del Trattato di Roma, perch� contiene un divieto assoluto agli aiuti di Stato, mentre l�art. 87 ne prevede un�incompatibilit� con i principi del Trattato subordinata al ricorrere di certe condizioni: si deve trattare di interventi dello Stato o fatti con risorse pubbliche (che significa che anche se a intervenire non � lo Stato ma un ente territoriale la soluzione non cambia), devono avere carattere selettivo, cio� essere misure di politica economica a carattere generale (per esempio un riduzione generalizzata di una aliquota fiscale o una riduzione generalizzata degli oneri sociali non sono aiuti di Stato) che non vengono definite proprio perch� possano ricomprendere una quantit� indeterminata di misure. La giurisprudenza comunitaria comprende una cronologia copiosissima: abbiamo le prestazioni positive, le sovvenzioni in senso stretto, i contributi sugli interessi, i conferimenti di capitale alle imprese (soprattutto pubbliche), ma anche attraverso misure di tipo negativo, come l�esonero di certe imprese o certe produzioni da oneri che dovrebbero gravare sulle imprese stesse. Le risorse pubbliche sono intese in senso lato, non solo riferite allo stato-persona in senso stretto (comprendente tutti gli enti pubblici che operano su un certo territorio), ma � anche una nozione che va intesa in un�accezione indiretta: l�attribuzione di una risorsa mediante l�esonero o l�esenzione da una obbligazione nei con- (*) Prof. ordinario di diritto amministrativo - Facolt� di giurisprudenza - Universit� Roma 3. 40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 fronti di determinati soggetti. L�ulteriore condizione � che si tratti di aiuti che distorcono la concorrenza: la valutazione dell�effetto distorsivo della concorrenza � ulteriore e presuppone la preventiva qualificazione della misura come aiuto di Stato, non � una conseguenza implicita nella nozione di aiuto di Stato ma � una qualificazione ulteriore dell�efficacia dell�aiuto. L�altra condizione � della incidenza sugli scambi fra gli Stati membri: la giurisprudenza comunitaria usa un significato molto ampio di questo concetto, arrivando ad affermare che una misura a favore di una impresa o un gruppo di imprese che non sono esportatrici, e quindi per definizione svolgono attivit� che non dovrebbe incidere sul mercato, svolgono una attivit� che incide sugli scambi nel momento in cui aumentano la produzione nazionale, in questo modo riducendo le possibilit� di ingresso in quello Stato delle imprese di altri Stati membri; oppure sono aiuti di Stato che incidono sugli scambi fra le imprese anche le misure volte a favorire l�investimento delle imprese nazionali in paesi terzi, perch� anche sotto questo profilo ci pu� essere una incidenza negativa sugli scambi. Questa � la regola. Le eccezioni sono di 2 tipi: 1) gli aiuti che per definizione, e quindi ex s�, non sono incompatibili (paragrafo 2 art. 87 sono compatibili dice): si tratta di misure di carattere sociale spesso al di fuori della nozione di aiuto (aiuto rivolto ai consumatori). Gli interventi a favore delle imprese operanti in Abruzzo sarebbero esonerati dalla valutazione di compatibilit�, che esclude l�onere di previa notifica alla Commissione (che esiste per gli aiuti che possono essere dichiarati compatibili). Tale norma ha una caratterizzazione storica, anche se si ritiene che non sia stata abrogata, tanto che in una pronuncia degli anni �90 la Commissione ha precisato che questi aiuti concessi a determinate regioni della repubblica federale sono solo quelli volti a ovviare a deficit che risultano dalla divisione della Germania, quindi non si giustificano gli aiuti ai nuovi Lander coma aveva cercato di fare la Germania. 2) Il paragrafo 3 riguarda gli aiuti che possono essere dichiarati compatibili e cio� quelli per i quali la valutazione della compatibilit� � rimessa ad una valutazione discrezionale ed � quello su cui si � attivato un grande contenzioso. Quali sono le previsioni: a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico nelle regioni ove il tenore di vita sia normalmente basso oppure si abbia una grave forma di sottooccupazione: l�art. 87 par. 3 lettera a) � stato ad esempio usato per giustificare tutta la normativa sul Mezzogiorno. Con una serie di precisazioni importanti nel senso che questa valutazione sul �tenore di vita normalmente basso� va riferita al contesto europeo, non IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 41 nazionale. Sotto questo profilo ci fu un intervento della Commissione volto ad escludere dai benefici derivanti dalla normativa sul Mezzogiorno, quando ancora esisteva, l�Abruzzo, perch� si riteneva che esso aveva raggiunto un tenore di vita che ne comportava la fuoriuscita da questa previsione. b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro: si tratta per �grave turbamento dell�economia degli Stati membri� di una clausola praticamente mai applicata perch� in passato interpretata in maniera molto restrittiva. Invece ora su essa si fonda la nuova politica della Commissione in merito agli aiuti di Stato. Ci troviamo in una grande crisi che investe l�economia di tutti gli Stati membri, quindi la Commissione, con una serie di comunicazioni, ha ridefinito il quadro sugli aiuti di Stato alla luce di questa nuova base giuridica. Perch� nuova? Perch� gli aiuti di salvataggio, di ristrutturazione, che hanno costituito il grosso degli interventi degli Stati, in particolare dello Stato italiano, ricadevano sotto la clausola art. 87 par. 3 lettera c): gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attivit� o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse, sono gli aiuti settoriali e regionali che oggi si rivelano insufficienti di fronte alla crisi mondiale. Qual � la svolta che a partire dalla comunicazione della Commissione dell�ottobre 2008 fino a quella dell�aprile 2009 si esprime in una duplice direzione: valorizzare tutte le normative che in anni precedenti erano state volte ad assicurare un certo grado di automatismo alla definizione di aiuti. Faccio un esempio: quando con regolamento de minimis si stabilisce che gli aiuti fatti alle piccole o medie imprese entro l�importo di 200.000 euro annui o nel triennio, sono ammissibili ex s�, si esclude che la misura eventualmente adottata dallo Stato debba essere sottoposta al vaglio della Commissione, sicch� cambia lo status della misura, che non � pi� una misura ai sensi dell�art. 87 par. 3, ma finisce con l�essere ricondotta agli aiuti automaticamente compatibili ex art. 87 par. 2. Soprattutto nella comunicazione della Commissione dell�aprile 2009 queste determinazioni, comunicazioni, decisioni, dead lines, adottate immediatamente prima della crisi economica sono recuperate per dire che gli Stati, oltre a tali misure, possono usare tutto l�arsenale gi� a loro disposizione. L�arsenale parte dalle misure a favore delle banche e delle istituzioni finanziarie, che costituiscono il sistema che alimenta l�economia (liquidazioni guidate, forme di ricapitalizzazione, garanzie) per arrivare all�economia reale che forma oggetto dell�ultima comunicazione del 2009, in cui le stesse misure vengono estese dall�ambito delle istituzioni finanziarie all�ambito delle imprese operanti nel settore dell�economia reale. Sicch� oggi pi� generosamente che in passato sono possibili forme di garanzie pubbliche a favore delle imprese, il recupero del vecchio istituto del contributo in conto interesse e forme 42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 di agevolazione pubblica, il che attesta la preoccupazione da parte degli organi comunitari che ognuno degli Stati vada per conto suo pregiudicando i principi comunitari, e quindi la Commissione vuole assicurare il coordinamento tra le politiche, sicch� gli aiuti cambiano il loro status se la loro disciplina va dal livello statale a livello europeo, fermo restando che le singole misure vengono adottate dai singoli Stati. Si tratta di impedire che il singolo Stato si spari sui piedi o spari sulle spalle degli altri Stati. Intervento del Prof. Avv. Giampaolo Rossi* Io ho sempre sostenuto che il problema degli aiuti di Stato non deriva da una impostazione liberista dell�Unione Europea. Gli aiuti, l�espansione della sfera pubblica, si � avuta in modo massiccio dopo il Trattato di Roma. Spesso la dottrina ha confuso negli ultimi tempi l�obiettivo di realizzare il mercato comune, elidendo la parola comune. � chiaro che gli aiuti di Stato sono visti con sospetto perch� se uno Stato fosse libero di sostenere le proprie imprese nei modi e nelle quantit� che vuole non ci sarebbero i presupposti per il mercato unico, sarebbe falsata la concorrenza. Ma vale anche il contrario e su questo cՏ stata finora poca attenzione: i presupposti verrebbero a mancare anche se l�ordinamento complessivo di uno Stato quale risulta dalla norme, dai testi finanziari, dalla giurisprudenza, sfavorisse le imprese nazionali rispetto a quelle degli altri paesi. Quindi per capire bisogna ampliare la tematica degli aiuti per inquadrarla nell�insieme delle condizioni che gli ordinamenti determinano per la vita delle imprese che sono in concorrenza con quelle degli altri paesi. Mi limito a fare una comparazione: il sistema nazionale pu� determinare condizioni di favore o sfavore per le proprie imprese attraverso una serie di misure. Soprattutto nell�utility quando si ha il massimo favore? Quando l�impresa � in condizioni di monopolio o ha una riserva amplissima, non ha alcuna limitazione alla propria attivit� e quindi agisce completamente nel diritto privato, non ha vincoli nel reclutamento del personale, la retribuzione dei dirigenti. Al contrario vi sono le condizioni di sfavore: quella dei tetti allo sviluppo nel territorio nazionale, quella dell�impossibilit� di gestire produzione e rete contemporaneamente e quindi ci pu� essere separazione contabile o societaria o addirittura proprietaria, ci sono vincoli nel reclutamento del personale ed esiste responsabilit� amministrativa. Quanto alle gare, la gradazione favore-sfavore si articola secondo 3 parametri: (*) Prof. ordinario di diritto amministrativo - Facolt� di giurisprudenza - Universit� di Roma 3. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 43 1) che l�impresa possa o no ricevere senza gara l�affidamento, 2) che l�impresa debba o no ricorrere alle gare per i propri approvvigionamenti, 3) che possa o no partecipare a gare per l�affidamento di attivit� in altri settori o altri territori. A seconda di come si determina questa griglia si determinano le condizioni di favore o sfavore. Le condizioni si accentuano quando in un paese ci sono condizioni marcate di favore mentre nel secondo ci sono condizioni di sfavore e le imprese del primo possono non solo godere di questo favore nel loro territorio, ma partecipare alle gare nell�altro paese nel quale � invece preclusa questa possibilit� alle imprese nazionali. Qui in Italia si ha una visione ancora provinciale e si sottovaluta che la competizione � soprattutto fra sistemi: sistemi nazionali, sistemi normativi. � evidente confrontando il sistema italiano con quello francese: in Francia hanno mantenuto la formula dell�ente pubblico economico, che non da problemi di affidamento diretto, vive nel diritto privato, non ha vincoli di reclutamento del personale, non ha vincoli di responsabilit� amministrativa, non deve fare le gare, perch� � uno stabilimento industriale e commerciale. In Italia si � data la preferenza alla S.p.A., formula equivoca anche perch� non � stata pensata organicamente, perch� � stata vista in un primo momento come momento di passaggio alla privatizzazione, poi in alcuni settori la privatizzazione � arrivata in altri no e vista con sfavore dalla giurisprudenza comunitaria per alcuni aspetti di equivocit� (golden share) ma soprattutto dalla giurisprudenza nazionale, che le ha applicato tutta una serie di profili pubblicistici che non ci sono in imprese analoghe che operano in altri paesi, e quindi la giurisprudenza ha interpretato sempre estensivamente la natura di organismo di diritto pubblico e le conseguenze che ne derivano salvo adottare un atteggiamento restrittivo ai fini dell�affidamento diretto; � stato introdotto anche il principio della responsabilit� amministrativa. Questi orientamenti sono stati consolidati dalla normativa che ha creato un sistema per cui questi che erano enti di privilegio oggi sono nell�ordinamento enti di sfavore. Questo � accentuato dagli orientamenti dell�autorit� antitrust, che non ha sufficiente consapevolezza delle dimensioni del mercato, per cui adotta degli orientamenti sicuramente condivisibili per profili dove il profilo concorrenziale � nazionale, ma che sono errati dal punto di vista giuridico e logico quando sono applicati alle imprese nazionali in un contesto di mercato che non � nazionale e creando una condizione di sfavore unilaterale. � del primo giugno 2009 la definizione di servizio universale nel trasporto ferroviario e affidamento dei conseguenti oneri di servizio, l�Antitrust dice: 44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 prendo atto che la legge non prevede la necessit� della gara, prendo atto che ci� corrisponde al regolamento comunitario per� per una serie di motivi � necessario fare le gare. Quello che colpisce � che il profilo della comparazione non � affatto preso in considerazione, non vi si accenna neanche. CՏ solo un punto in cui si dice che in Francia e Germania i finanziamenti al settore ferroviario sono molto maggiori di quelli italiani. � chiaro che un�autorit� competente solo in materia di mercato nazionale dovrebbe o ritrarsi quando il mercato ha una dimensione diversa o comunque tenere conto delle implicazioni che la concorrenza ha anche nel nostro paese. L�ultima riforma dei servizi pubblici italiani limita la possibilit� dell�affidamento in house in misura maggiore di quanto avvenga negli altri paesi. Nell�art. 23 bis punto f) � affermato il principio di reciprocit� ai fini dell�ammissione alle gare di imprese estere, e quindi si accetta l�idea che l�impresa nazionale possa avere delle condizioni pi� sfavorevoli rispetto alle imprese straniere. Nel settore energetico questo � molto evidente. In materia alimentare � intervenuta la Corte Costituzionale (sentenza 443/1993): la normativa nazionale impediva alle imprese nazionali di usare per la pasta, materie prime meno nobili del grano duro, ma le imprese straniere non avevano questo limite e potevano tranquillamente competere con quelle nazionali nel territorio nazionale. La Corte ha dichiarato incostituzionale questa norma. Nel sistema francese (ma anche tedesco e spagnolo) le imprese che gestiscono il sistema postale sono enti pubblici economici e non fanno le gare. L�ultima direttiva comunitaria ha inserito il settore postale nei settori ex esclusi ma contiene una norma che prevede che gli stati nazionali possano scegliere tra il nuovo assetto disciplinato in direttiva e quello precedente, cosi la Francia potr� continuare a non fare gare e nel progetto di direttiva il meccanismo era tale per cui la societ� francese e tedesca potevano avere affidamento diretto, la societ� italiana no e fare anche la concorrenza da noi anche se in Italia non era possibile l�affidamento diretto, perch� era affermato il principio per cui l�affidamento diretto era possibile solo quando non vi fossero problemi di compensazione di oneri di servizio, ma questo problema non nasce dalla migliore efficienza, ma perch� vi sono tantissimi uffici postali e si ritiene che ogni paese debba avere la sua disciplina. Ora succede che l�operatore olandese fa la concorrenza negli alti paesi pagando il personale il 30 % in meno di quello che vengono pagati negli Stati in cui sono collocati. Oggi abbiamo un sistema che sfavorisce inconsapevolmente gli operatori nazionali rispetto a quelli dei paesi concorrenti, rafforzato dai fenomeni di nazionalizzazione che sono in atto in altri paesi. Fonde Strategique di Investiment, � una specie di nuova IRI che ha assorbito Renault e air France. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 45 Qual � la risposta? Non pu� essere il protezionismo, l�aumento del pubblico, perch� il mercato si � sviluppato per motivi di evoluzione tecnologica. Ma abbiamo un sistema per cui gli Stati sub continentali (Cina e America) sono favoriti rispetto all�UE, perch� hanno pi� capacit� di manovra, perch� l�Unione � troppo attenta ad evitare squilibri tra paesi membri. All�interno dell�Ue sicuramente l�Italia � sfavorita rispetto agli Stati europei. Evitare le spinte ultraliberiste ma anche forme di protezionismo e acquisire questa consapevolezza culturale e evitare inconsapevole cedevolezza a partire dagli ordinamenti normativi e giurisdizionali e cercare ulteriori informazioni che consentono di rendere trasparente l�equilibrio esistente fra i vari paesi nell�aiuto e disaiuto di Stato.* ** *** ** Ad integrazione del resoconto dell�incontro di studio sugli aiuti di Stato, si allega la relazione a cura dei dottori G.M. Caruso e F. Dinelli concernente altre modalit� di intervento pubblico, con soluzioni differenti per i singoli Stati, nei diversi settori dell�economia. �Casi di trattamento differenziato tra Stati nella disciplina dell�economia� a cura di G.M. Caruso e F. Dinelli Gli aiuti di cui all�art. 87 TCE costituiscono solo una delle modalit� di intervento pubblico nell�economia. Attraverso le altre discipline settoriali, i singoli Stati riescono e sono riusciti, infatti, ad intervenire con ulteriori misure che sono comunque in grado di assicurare dei vantaggi competitivi alle imprese nazionali. Fra i settori che si sono storicamente caratterizzati dalla presenza delle pi� significative asimmetrie normative, possono citarsi le seguenti esperienze: 1) liberalizzazioni; 2) determinazione di standard; 3) evidenza pubblica. (*) Sull�in house providing e sulle societ� miste per la gestione dei pubblici servizi vedi da ultimo sentenza Corte di Giustizia C-573/07 Sea S.r.l. depositata il 10 settembre 2009, pubblicata in questa Rassegna, 101 e ss. 46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 1. Liberalizzazioni - Servizi pubblici locali Con la riforma dei servizi pubblici locali realizzata attraverso l�art. 23- bis del D.L. n. 112 del 2008, il legislatore italiano va oltre quanto affermato dalla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia CE in ordine alla piena equivalenza ed alternativit� tra i modelli gestori rappresentati dall�esternalizzazione a terzi con gara e dall�in house providing. Mentre la Corte di Giustizia, infatti, non si � mai espressa nel senso che il ricorso all�in house � legittimo soltanto se non � possibile ricorrere al mercato, il legislatore interno ha stabilito esattamente il contrario, e cio� che si pu� derogare alla regola generale dell�affidamento con gara del servizio solo �per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato�. Questa disposizione espone l�ordinamento interno alla penetrazione delle imprese straniere molto di pi� di quanto non avverrebbe nell�ipotesi in cui il mercato e l�in house venissero posti sullo stesso piano (1). � ovvio, infatti, che ad un maggior numero di gare corrispondono maggiori chances di aggiudicazione delle stesse da parte di imprese di altri Stati membri, mentre ricorrere con maggiore disinvoltura all�in house significa adottare una politica pi� protezionistica. La soluzione del legislatore italiano � persino pi� radicale di quella adottata da ordinamenti tradizionalmente pi� inclini alla valorizzazione delle istanze liberalizzatrici: basti pensare che in Inghilterra la scelta delle amministrazioni tra ricorso all�in house ed esternalizzazione � retta essenzialmente da motivazioni di ordine economico, afferenti la maggior convenienza nel caso concreto dell�una soluzione rispetto all�altra. In altri termini, il servizio interno viene posto a confronto con quello esterno, e si privilegia quello pi� conveniente. Inoltre, va considerato che in Francia, l�esistenza di aziende municipalizzate sotto forma di enti pubblici, ha agevolato il ricorso all�in house providing, assai pi� di quanto non sia avvenuto nel nostro ordinamento con l�utilizzo di societ� di capitali. - Settore energetico (2) L�adozione di direttive �a maglie larghe� ha consentito per lungo tempo (1) V. pi� ampiamente, sul punto, F. DINELLI, La riforma dei servizi pubblici locali, in www.amministrativamente. com, p. 15 s. (2) Per un approfondimento, v. G. ROSSI, �Il settore dell�energia nel contesto europeo � Problemi giuridici ed istituzionali� in La cooperazione rafforzata e l�Unione economica. La politica europea dell�energia, a cura di D. Velo, pp. 138-243, Giuffr�, 2007. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 47 una trasposizione della normativa comunitaria volta alla liberalizzazione del settore fortemente differenziata. Le divergenze pi� significative si sono registrate nei seguenti contesti: - Apertura del mercato dal lato della domanda: l�apertura del mercato elettrico � stata realizzata facendo leva sulla nozione di �clienti idonei�. Tale categoria di soggetti, determinata prevalentemente sulla base di coefficienti di consumo stabiliti a livello comunitario, dispone della possibilit� di scegliere un qualsiasi operatore per la fornitura del servizio. La disciplina comunitaria prevedeva la possibilit� di estendere la qualifica di clienti idonei abbassando i coefficienti di consumo, in modo che il grado di liberalizzazione del settore potesse essere commisurato al numero dei clienti idonei. Quasi tutti i paesi hanno elevato il grado di apertura del mercato. Cos� la Germania ha previsto sin dal 1998 che, indipendentemente dalla soglia di consumo, qualsiasi soggetto pu� essere definito come cliente idoneo (3). La Spagna ha adottato un sistema progressivo che ha comportato che gi� al 2003 tutti gli utenti potessero essere considerati come clienti idonei (4). Anche l�Italia ha adottato un sistema progressivo. Differente la soluzione adottata da Francia, Grecia e Lussemburgo, i quali hanno aperto il mercato solo entro i limiti minimi previsti dalla normativa comunitaria. La disomogenea apertura dei mercati nazionali si � tradotta in uno svantaggio competitivo ai danni degli operatori di quegli Stati ove � stata realizzata una significativa liberalizzazione. Inoltre, in Francia le norme inerenti alla durata minima legale dei contratti di fornitura dei clienti idonei, sembrano celare l�intento di tutelare l�operatore dominante. - Imposizione dei c.d. tetti antitrust. Alcuni Paesi hanno adottato misure volte a ridurre il potere di mercato degli ex monopolisti, imponendo complesse operazioni di disarticolazione dell�intera filiera produttiva. Fra gli interventi pi� significativi, va menzionato l�art. 8 della legge 79/1999, che ha previsto che nessun soggetto possa produrre o importare pi� del 50% del totale di energia elettrica prodotta e importata in Italia. Ancora pi� rigorosa la normativa britannica, ove il legislatore ha imposto il divieto di produrre pi� del 15% dell�energia complessivamente distribuita. - Separazione fra gestore della rete e imprese produttrici. La Francia ha optato per un regime di recepimento minimale, in quanto la RTE - Reseau de transport de lՎl�ctricit�, che sebbene indipendente sotto il profilo gestio- (3) L�attuazione della prima direttiva elettricit� � avvenuta con la Legge di riforma del sell�industria energetica (Gesez zur Neuregelung des Energieirtschaftrechts) entrata in vigore il 29 aprile 1998. (4) In Spagna, la trasposizione della normativa comunitaria in materia di apertura del mercato elettrico si � realizzata con l�emanazione della Ley del Sector Electrico, 27 novembre 1997, n. 54. 48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 nale si configura come una semplice divisione di EdF (5). In Italia si � scelto un sistema di separazione proprietaria che � stato interpretato dalla giurisprudenza in termini rigorosi, fino ad impedire la concentrazione in capo al medesimo soggetto di partecipazioni nel gestore della rete e in imprese che operano nel settore (6). In Gran Bretagna la rete � gestita da National Grid company, societ� privata indipendente dagli altri operatori di mercato. - Golden share e concentrazioni societarie. Emblematico � il diverso esito delle vicende italiana e francese relative al tentativo di mantenimento del controllo pubblico sulle imprese operanti nel settore. Il caso italiano si � manifestato relativamente a AEM � EDISON e EdF, quando quest�ultima ha tentato di acquisire una rilevante partecipazione in EDISON attraverso un articolato intreccio di operazioni societarie e un�offerta pubblica di acquisto. Al fine di mantenere un significativo controllo sulle imprese interessate dal travagliato processo di privatizzazione in atto, l�Italia ha adottato misure legislative volte ad una rilevante diminuzione dei diritti di voto esprimibili in seno all�assemblea dei soci nei confronti di particolari soggetti. Segnatamente, con il D.L. 25 maggio 2001, n. 192 il Governo � intervenuto limitando al 2%, indipendentemente dall�effettiva entit� della partecipazione, i diritti di voto relativi alle partecipazioni di imprese operanti nel settore dell�elettricit� e del gas se pubbliche, non quotate e titolari di una posizione dominante. Seppur EdF non fosse menzionata, � indubbio che la normativa anzidetta aveva come riferimento situazioni analoghe a quella dove si trovava coinvolta la societ� francese, che vedeva cos� drasticamente sterilizzata la propria partecipazione in EDISON. Sennonch� la misura richiamata non � sopravvissuta alla sentenza 2 giugno 2005, C-174/04, con cui la Corte di Giustizia ha condannato l�Italia per violazione dell�art. 56 del TCE (libera circolazione dei capitali) (7). I successivi tentativi del legislatore italiano volti a mantenere il controllo sulle imprese pubbliche hanno avuto un epilogo analogo (8). (5) Sul punto v. la Loi 2000-108 relative � la modernisation e tau d�veloppement du service public de lՎlectricit�, che, tra l�altro, � stata adottata con circa un anno di ritardo rispetto alle previsioni comunitarie. (6) Sul punto v. Consiglio di Stato, 12 febbraio 2007, n. 550, ove si � confermata la legittimit� del provvedimento dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato che, nell�autorizzare l�acquisizione da parte di Cassa Depositi e prestiti del 29,99 % del capitale sociale di Terna S.p.A., allora detenuto da Enel S.p.A., ha, al contempo, imposto l�obbligo di dismissione da parte di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. della partecipazione del 10,2 % al capitale di Enel. (7) V. L. R. PERFETTI, Dal rilievo della soggettivit� pubblica (o l�enfasi delle privatizzazioni) alla tutela della concorrenza (o della rilevanza dei privilegi del monopolista e dei diritti dell�utente). Brevi riflessioni a partire dal caso Edison, EdF, AEM, in Serv. pubbl. app., III, 2006, p. 131 ss. Suppl. a cura di G. ROSSI, L�impresa europea di interesse generale. (8) Sul punto, da ultimo, v. la sentenza della Corte di giustizia 26 marzo 2009, causa C-326/07, che sempre relativamente ad una vicenda sorta con riferimento a AEM � EDISON, ha comportato la dichiarazione di illegittimit� comunitaria dell�art. 2449 c.c. relativo al potere di nomina di cui dispone lo Stato, indipendentemente dall�entit� della partecipazione azionaria, con riferimento agli amministratori delle societ� per azioni. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 49 Rappresentativo al riguardo � il raffronto con l�esperienza francese laddove, non appena conosciuta l�intenzione dell�ENEL di realizzare un�OPA destinata a controllare SUEZ e ad acquisire attraverso questa la societ� ELECTRABEL, si � optato per la fusione di SUEZ on GAZ DE FRANCE attraverso uno scambio di azioni alla pari. L�operazione, che fu giustificata dal fine di conformare l�operatore francese alla politica dei c.d. �campioni nazionali �, nascondeva un palese intento di contenimento della scalata dell�operatore italiano (9). - Monopolio sulla produzione nucleare. Le norme francesi affidano a EdF il monopolio legale della produzione nucleare. 2. Condizioni di sfavore derivanti dall�imposizione di standard differenziati - In materia ambientale Il caso emblematico � quello afferente ai limiti di tollerabilit� nel campo delle emissioni di onde elettromagnetiche. I limiti stabiliti sulla base del principio di precauzione da parte dell�OMS sono stati, nella maggior parte dei Paesi, oggetto di un mero recepimento. In Inghilterra, negli Stati Uniti e in Olanda, i limiti sono stati significativamente innalzati, mentre altri Stati ancora si sono premurati di introdurre una disciplina pi� rigorosa. Fra questi, l�Italia ha addirittura ridotto di oltre dieci volte i limiti di emissione di onde elettromagnetiche stabiliti dall�OMS (10). - In materia alimentare Anche nel settore alimentare, la differenza tra le normative tecniche nazionali pu� comportare significative sperequazioni tra le imprese concorrenti. Un caso divenuto celebre a seguito di una importante sentenza della Corte costituzionale � quello della pasta. Il legislatore italiano prevedeva l�impiego necessario ed esclusivo di alcuni ingredienti, mentre negli altri Paesi era consentito utilizzarne molti altri. Non essendo consentito, sulla base del diritto comunitario, un divieto di importazione e di commercializzazione all�interno dello Stato italiano della pasta prodotta in altri Paesi dell�U.E., si era venuta a creare la situazione per cui i produttori interni erano sfavoriti rispetto ai loro concorrenti stranieri. Si trattava di un tipico esempio di �discriminazione alla rovescia�, che la Corte costituzionale ha censurato per contrasto con l�art. 3 Cost. attraverso la sentenza n. 443 del 1997. (9) Sul punto, v. P. DEVOLV��, L�enterprise �urop�enne d�int�ret general, p. 32, in G. ROSSI (a cura di), L�impresa europea di interesse generale, cit. (10) La questione � ampiamente affrontata da F. DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nell�amministrazione di rischio, Milano, 2005. 50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 3. Evidenza pubblica In Francia, l�art. 25, della legge 2 luglio 1990, n. 568, come modificato dalla l. 31 dicembre 2003, n. 1365, a proposito dell�attivit� contrattuale di La Poste afferma che: �les relations de La Poste avec ses usagers, ses fournisseurs et les tiers sont r�gies par le droit commun. Les litiges auxquels elles donnent lieu sont port�s devant les juridictions judiciaires, � l'exception de ceux qui rel�vent, par leur nature, de la juridiction administrative�. L�art. 25 � peraltro indicato dal successivo art. 27 (modificato a sua volta dalla legge 20 maggio 2005, n. 516) come il parametro cui il Consiglio d�Amministrazione dovr� ispirarsi nel definire le procedure di conclusione e di controllo dei contratti da stipulare. Non sembra affatto agevole comprendere quale peso conferire a siffatte disposizioni nel contesto regolamentato in cui La Poste � chiamata ad operare alla luce delle direttive comunitarie sugli appalti. Tuttavia, la disposizione in questione � significativa della volont� del legislatore francese di non gravare l�operatore postale nazionale del vincolo pubblicistico rappresentato dalla necessit� di rispettare la normativa in materia di evidenza pubblica nell�ambito dello svolgimento della propria attivit� contrattuale. Si deve considerare, inoltre, il ritardo con cui si � data attuazione nel Paese transalpino alle direttive sugli appalti pubblici: la prima compiuta revisione dei testi normativi nazionali si � infatti avuta solo nel dicembre 2001, ossia a quasi dieci anni di distanza dall�intervento della Direttiva 92/50/CE relativa agli appalti di servizi. Anche tale circostanza appare decisamente significativa del maggior grado di resistenza che l�ordinamento francese tenta di opporre alla penetrazione di principi concorrenziali suscettibili di scalfire consolidati equilibri interni (11). (11) Per un approfondimento v. F. GUALTIERI, Limiti all�intervento pubblico in economia: squilibri e disallineamenti tra gli ordinamenti italiano e francese, in Servizi pubblici e appalti, 4, 2006, pp. 611- 655. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 51 La responsabilit� dello Stato per gli atti amministrativi �anticomunitari� in materia di I.v.a. Un�ipotesi di violazione del principio di �equivalenza procedurale� (Corte di Giustizia CE, conclusioni dell�Avvocato generale presentate il 9 luglio 2009 nella causa C-118/08) di Chiara Di Seri* 1. La questione pregiudiziale Con una decisione del 1� febbraio del 2008, il Tribunal Supremo del Regno di Spagna (Sala de lo contencioso administrativo) ha rimesso alla Corte di Giustizia delle Comunit� Europee la questione pregiudiziale, oggetto della causa in epigrafe, sul problema del rapporto tra il principio dell�autonomia procedurale degli Stati membri nella disciplina sull�azione di responsabilit� per violazione del diritto comunitario ed i principi di equivalenza ed effettivit�. La Corte di Giustizia � stata chiamata a chiarire se la previsione legislativa di un differente regime per l�azione di risarcimento a carico dello Stato, in funzione del fatto che tale azione si fondi su atti amministrativi adottati in applicazione di una legge incostituzionale ovvero di una disposizione interna contraria al diritto comunitario, sia conforme ai principi comunitari di equivalenza e di effettivit�. Tale quesito � sorto nell�ambito di una controversia tra l�amministrazione spagnola ed una societ� di trasporti (Transportes Urbanos y Servicios Generales SAL), promotrice di un ricorso in sede giurisdizionale avverso una decisione del Consiglio dei Ministri che aveva respinto la domanda diretta a far valere la responsabilit� patrimoniale del legislatore spagnolo per aver adottato una legge in materia di I.v.a. che, limitando il diritto alla detrazione, era stata dichiarata incompatibile con il diritto comunitario (1) . Il Consiglio dei Ministri aveva motivato il rigetto della richiesta di risarcimento (pari all�importo dell�I.v.a., oltre agli interessi legali), affermando come la mancata contestazione, da parte della societ�, delle proprie autoliquidazioni (*) Dottore di ricerca in Diritto amministrativo - Universit� degli Studi di Roma Tre. (1) Corte di Giustizia delle Comunit� Europee, 6 ottobre 2005, in causa C-204/03 Commissione/Spagna e la precedente Id., 8 novembre 2001, in causa C-338/98 Commissione/Paesi Bassi. 52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 nel termine quadriennale di prescrizione avesse interrotto il nesso di causalit� tra la contestata violazione del diritto comunitario e il danno subito. A sostegno della decisione erano state richiamate due sentenze del Tribunal Supremo (29 gennaio 2004 e 24 maggio 2005), secondo cui l�azione di risarcimento a carico dello Stato per violazione del diritto comunitario soggiace alla regola del previo esaurimento degli altri mezzi di ricorso, amministrativi e giurisdizionali, avverso l�atto amministrativo lesivo adottato in applicazione di una legge nazionale in contrasto con il diritto comunitario. Proprio sulla richiamata condizione di ammissibilit� della domanda risarcitoria - il previo esaurimento dei mezzi di ricorso - si incentra il dubbio del giudice a quo, poich� analoga modalit� procedurale non � contemplata nell�ordinamento spagnolo per l�azione di risarcimento promossa nei confronti dello Stato per i danni derivanti da atti amministrativi adottati in applicazione di una legge incostituzionale. L�esercizio di tale azione, infatti, nella giurisprudenza del Tribunal Supremo non risulta subordinato alla circostanza che il soggetto leso abbia previamente impugnato l�atto amministrativo pregiudizievole fondato sulla legge incostituzionale, muovendo dall�argomentazione secondo cui la legge comunque gode di �una presunzione di costituzionalit� e, di conseguenza, vige una presunzione di legittimit� degli atti amministrativi adottati in conformit� delle sue disposizioni. D�altra parte, i singoli non sono titolari dell�azione diretta a far valere l�incostituzionalit� delle leggi, ma possono unicamente chiedere al giudice che sollevi un�eccezione di incostituzionalit� nell�ambito, tra le altre ipotesi, dell�impugnazione di un atto amministrativo. (�) Un�interpretazione contraria avrebbe l�effetto di imporre ai singoli che possano essere pregiudicati da una legge che reputano incostituzionale, l�onere di impugnare tutti gli atti emanati in applicazione di detta legge - prima in sede amministrativa (in cui non � prevista la possibilit� di sollevare un�eccezione di incostituzionalit�), e poi dinanzi alla giurisdizione per il contenzioso amministrativo, esaurendo, ove necessario, tutte le istanze e i gradi di ricorso - al fine di esperire tutte le possibilit� che il giudice sollevi la questione di incostituzionalit��. Una tale ricostruzione non �, invece, accolta nelle citate pronunce del Tribunal Supremo nel caso in cui una legge sia in contrasto con il diritto comunitario �giacch� tale contraddizione pu� essere invocata direttamente dinanzi ai giudici spagnoli. Pertanto, la ricorrente ha avuto la possibilit� di impugnare l�atto di liquidazione prima per via amministrativa e poi in un procedimento contenzioso, e tanto l�autorit� amministrativa quanto il giudice successivamente avrebbero dovuto applicare direttamente il diritto comunitario. La ricorrente (�) era pienamente legittimata a far valere la contraddizione tra il diritto nazionale ed il diritto comunitario, che doveva essere direttamente applicato dal giudice nazionale, anche qualora non fosse stato invocato espressamente; di conseguenza, la dottrina dell�atto definitivo e inoppugnabile, unitamente al IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 53 principio della certezza del diritto, giustificano una soluzione del presente caso in senso contrario (...) e portano quindi a disapplicare, nella fattispecie, la dottrina enunciata (�) e a respingere la domanda di risarcimento della ricorrente, giacch� quest�ultima, non avendo impugnato l�atto redatto dall�amministrazione tributaria, � tenuta a sopportare il pregiudizio arrecatole�, salva la possibilit� di esercitare, qualora non sia ancora prescritta, l�azione di ripetizione o di effettuare la detrazione di cui ha diritto, nel caso in cui non siano scaduti i termini a tal fine previsti dalla normativa in materia di I.v.a. In conclusione, secondo la giurisprudenza richiamata, ai fini dell�accertamento della responsabilit� patrimoniale dello Stato legislatore, l�ipotesi dell�antinomia tra diritto interno e diritto comunitario viene trattata in maniera diversa rispetto alle situazioni in cui una norma nazionale sia dichiarata incostituzionale, imponendosi al ricorrente l�obbligo di impugnare nei termini l�atto di liquidazione in via amministrativa e, successivamente, in sede giurisdizionale, con la conseguenza che, qualora la liquidazione non sia stata impugnata invocando l�applicazione diretta del diritto comunitario, il ricorrente � obbligato a sopportare il danno che gli � stato arrecato in virt� della dottrina dell�atto definitivo ed inoppugnabile. 2. Il regime della responsabilit� dello Stato legislatore nell�ordinamento spagnolo Il regime della responsabilit� per il fatto del legislatore previsto nell�ordinamento spagnolo � mutuato dalla disciplina della responsabilit� amministrativa per gli atti legittimi (2) . Tale disciplina propone un modello di responsabilit� dello Stato di tipo oggettivo, incentrata sul concetto di �lesione giuridica�. In particolare, l�art. 121 (3) della Ley de Expropriaci�n Forzosa (LEF) (2) Per una compiuta analisi della tematica si vedano LAZARI, Modelli e paradigmi della responsabilit� dello Stato, Torino, 2005, 173 e ss. ed il precedente ID., Lotta contro le immunit� o contro i mulini a vento? Profili comparatistica della responsabilit� oggettiva dello Stato, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1998, 359 e ss. nonch� alcuni fondamentali studi della dottrina spagnola, ed, in particolare, GARC�A DE ENTERR�A, La responsabilidad patrimonial del Estado Legislador en el Derecho Espa�ol, Navarra, 2005, ID., El principio de protecci�n de la confianza leg�tima como suesposto t�tulo justificativo de la responsabilidad del Estado legislador, in Revista de Administraci�n P�blica, 2002, ID., El principio de la �responsabilidad de los poderes p�blicos�, in Revista espa�ola de derecho Costitucional, 2003, GAL�N VIOQUE, La responsabilidad del Estado legislador, Barcelona, 2001, GARRIDO FALLA , Sobre la responsabilidad del Estrado Legislador, in Revista de Administraci�n P�blica, 1989. Si cfr.no infine i dibattiti dei Convegni La responsabilidad civil de la Administraci�n P�blica, Valladolid, 16,17 e 18 ottobre 1997 e La responsabilidad patrimonial de los Poderes P�blicos en el marco de la estructura territorial del Estado, Siviglia, 20 e 21 novembre 1997. (3) L�articolo stabilisce cos� che �dar� tambi�n lugar a indemnizaci�n con arreglo al mismo procedimento toda lesi�n que los particulares sufran en los bienes y derechos a que esta Ley se refiere, sempre que aqu�lla sea consecuencia del funcionamiento normal o anormal se los servicios p�blicos�. 54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 del 1954 ha codificato il principio della responsabilit� patrimoniale diretta con riferimento ad ogni attivit� amministrativa, sia di carattere provvedimentale che materiale, prescindendo dall�accertamento dell�elemento soggettivo della colpa e richiedendo esclusivamente la dimostrazione della sussistenza di una lesione, imputabile causalmente all�attivit� o inattivit� dell�amministrazione. Successivamente, l�art. 40 della Ley de R�gimen Jur�dico de la Administraci�n del Estado (LRJA) del 1957 ha esteso, al di l� della materia espropriativa, il principio secondo cui i cittadini hanno diritto di essere risarciti dei danni arrecati alla loro sfera giuridica. L�accoglimento del sistema �oggettivo� ha tuttavia tardato ad affermarsi in campo giurisprudenziale. Per lungo tempo, infatti, la giurisprudenza ha continuato a riferirsi alle previsioni della responsabilit� per colpa del C�digo Civil (4) e, solo a partire dagli anni Settanta, il Tribunal Supremo ha iniziato ad accogliere le richieste risarcitorie fondate sulla legge in materia espropriativa, riconoscendo, peraltro, nell�ottica di una riparazione integrale dei pregiudizi sofferti dal cittadino, la risarcibilit� dei danni da caso fortuito ed il danno morale (5) . Anche la Carta costituzionale del 1978, muovendo da una concezione solidaristica dello Stato, ha ribadito quanto stabilito dal legislatore negli anni precedenti, sancendo il divieto di arbitrariet� ed il principio di responsabilit� dei pubblici poteri (art. 9.3) (6) e, correlativamente, il diritto dei privati di essere indennizzati, nei termini stabiliti dalla legge, per qualunque lesione ai loro beni o diritti in conseguenza del funzionamento dei servizi pubblici, salva la forza maggiore. Un ulteriore elemento di novit� nella disciplina della responsabilit� patrimoniale dell�amministrazione � stato, infine, introdotto dalla Ley de R�gimen Jur�dico de la Administraci�nes P�blicas y del Procedimiento Administrativo Com�n (LRJPA) del 1992 che, al fine di limitare gli squilibri, messi in luce dalla dottrina, di �overcompensation�, ha fornito una definizione puntuale del danno sofferto indennizzabile (effettivo, valutabile economicamente, concreto e riferibile alla sfera patrimoniale del richiedente, tale da eccedere la soglia di tollerabilit� dei comuni oneri sociali) (7) . (4) Le disposizioni del C�digo Civil del 1889 contemplano infatti la possibilit� di riconoscere sia una responsabilit� dello Stato per fatti propri (art. 1902) che per fatti di terzi, laddove commessi da �agenti speciali� (artt. 1902 e 1903). (5) Si cfr.no in proposito TS, 19 maggio 1970 e Id., 12 marzo 1975. (6) Anche nel nostro ordinamento, nonostante il principio della generale insindacabilit� nel merito della legge previsto dall�art. 28 della L. n. 87 del 1953, � stato progressivamente riconosciuto alla Corte costituzionale un certo margine di apprezzamento sulle valutazioni discrezionali del legislatore attraverso il richiamo al principio di ragionevolezza e non arbitrariet� della legge. (7) Si tratta dell�art. 139 LRJPA, secondo cui �en todo caso el da�o alegado habr� de ser efectivo, evaluable econ�micamente e individualizado con relaci�n a una persona o grupo de personas� e dell�art. 141 LRJPA, secondo cui �s�lo ser�n indemnizables las lesiones producidas al particolar provenientes de da�os que �ste no tenga el deber jur�dico de soportar de acuerdo con la Ley�. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 55 Contestualmente, la giurisprudenza del Tribunal Supremo ha valorizzato l�accertamento del nesso causale, richiedendo che il danno lamentato dall�attore costituisca una conseguenza diretta, immediata ed esclusiva del funzionamento normale o anormale del servizio pubblico (8). In ossequio a tale orientamento giurisprudenziale, volto a circoscrivere i limiti massimi della responsabilit� oggettiva, una successiva legge del 1999 ha codificato l�invocabilit� della forza maggiore, quale causa di esclusione della responsabilit� (9). Il sistema della responsabilit� dello Stato legislatore, a differenza di quello della responsabilit� amministrativa sin qui esaminato, � invece lontano da una chiara ed unitaria regolamentazione ed anche la ricostruzione fornita dalla giurisprudenza non � unanime. Nelle sue prime sentenze, la Corte costituzionale spagnola, con riferimento agli interessi dei cittadini lesi per il fatto del legislatore in occasione di provvedimenti statali in materia economica, ha riconosciuto che le innovazioni legislative possono originare una �frustaci�n de las expectativas existentes, y en determinados casos, perjuicio econ�mico que puede merecer alg�n grado de compensaci�n� (10). La Corte ha inoltre incidentalmente affermato la responsabilit� del legislatore per l�adozione di leggi incostituzionali (11) . Anche il Tribunal Supremo, sviluppando le argomentazioni della Corte constitucional, ha mostrato in alcune decisioni di aderire all�impostazione favorevole alla responsabilit� dello Stato legislatore: tra le riconosciute ipotesi di risarcimento del danno connesso all�adozione di atti legislativi, le leggi dichiarate incostituzionali, quelle aventi contenuto espropriativo ed, infine, quelle la cui applicazione concreta necessiti di un certo grado di compensazione (12). Nonostante le richiamate aperture giurisprudenziali, nell�ordinamento spagnolo, analogamente a quanto avviene in quello italiano (13), il dogma (8) In tal senso, T, 4 giugno 1994, Id., 20 dicembre 1994, Id., 20 maggio 1995 e 20 giugno 1995. (9) Si tratta del riformato art. 141 LRJPA secondo cui �no ser�n indemnizables los da�os que se deriven de hechos o circunstancias que no se tubiere podido prever o evitar seg�n el estado de los conocimientos de la ciencia o de la t�cnica existentes en el momento de la producci�n de aqu�llos, todo ello sin perjuicio de las prestaciones asistenciales o econ�micas que las leys puedan establecer para esos casos�. (10) TC, 26 luglio 1986, n. 108. (11) TC, 13 febbraio 1997, n. 28 e Id., 19 ottobre 2000, n. 248. In argomento, si rinvia altres� agli scritti di GARC�A DE ENTERR�A, Sobre la responsabilidad patrimonial del estado como autor de una ley declarada incostitucional, in www.juridicas.unam.mx e DOMENECH PASCUAL, Responsabilidad patrimonial de la administraci�n por da�os derivados de una ley incostitucional, in Revista espa�ola de derecho Costitucional, 2001. (12) Per tali ipotesi, si cfr. TS, 11 ottobre 1991. (13) In Italia, il problema della sussistenza della responsabilit� del legislatore nell�esercizio della sua funzione di produzione delle leggi � affrontato dalla dottrina muovendo dal contemperamento operato dalla Costituzione del principio della sovranit� statale come potere illimitato, proprio dello Stato democratico, e quello di imputabilit� dei soggetti pubblici per lo svolgimento delle proprie funzioni, 56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 dell�irresponsabilit� dello Stato � lontano dall�essere messo in discussione nella sua essenza. Un�ulteriore conferma in questo senso � stata rintracciata nella citata legge del 1992 (LRJPA), che limita la responsabilit� del legislatore alle ipotesi in cui sia la stessa legge ad individuarne il fondamento e la misura: la controversa disposizione dell�art. 139.3 dispone infatti che �las administraciones p�blica indemnizar�n a los particulares por la aplicaci�n de actos legislativos de naturaleza no expropriatoria de derechos y que �stos no tenga nel deber jur�dico de soportar, cuando as� se establezca en los propios actos legislativos y en los t�rminos que especifiquen dichos actos�. Il fondamento della responsabilit� del legislatore si radica dunque nella teoria dell��autolimitazione�, non essendovi alcuna disposizione di carattere generale, a parte la volont� eccezionale di un potere una tantum costituito, in grado di delimitare il campo dell�azione del legislatore (14). Tale ricostruzione teorica risulta superata solo per l�adozione di atti legislativi a �rilevanza� comunitaria, con riferimento ai quali la nota giurisprudenza comunitaria in materia di responsabilit� extracontrattuale degli Stati membri per mancata attuazione delle direttive ha rappresentato una spinta determinante nel senso del riconoscimento della responsabilit� del legislatore (15) . corollario dello Stato di diritto. Con l�avvento dello Stato costituzionale, infatti, la sovranit� della legge trova un vincolo nella sovranit� della Costituzione: � stato pertanto autorevolmente sostenuto come che l�assoggettamento a controlli di legalit� dell'attivit� dello Stato e a controlli di legittimit�, e di legittimit� costituzionale in particolare degli atti legislativi e degli atti �politici� costituisca il presupposto per il riconoscimento di una responsabilit� del Legislatore per l�esercizio delle proprie funzioni (si vedano, al riguardo, BIFULCO, La responsabilit� dello Stato per gli atti legislativi, Padova, 1999 e PIZZORUSSO, La responsabilit� dello Stato per atti legislativi in Italia, in Foro It.., 2003, 178). (14) Per questo rilievo si veda LAZARI, Modelli e paradigmi della responsabilit� dello Stato, cit., 235. (15) Si tratta della giurisprudenza inaugurata dalla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunit� Europee, 19 novembre 1991, in cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich. Al riguardo parte della dottrina spagnola ha ritenuto che il modello comunitario di responsabilit� dello Stato possa risultare in contrasto con quanto previsto nell�ordinamento interno, trattandosi di un sistema che d� una certa rilevanza alla colpa, risultando maggiormente affine alla categoria francese della responsabilit� pour faute, e che sanziona la condotta del legislatore, non solo per l�adozione di un atti non conformi al diritto comunitario, ma anche per l�omessa attuazione dello stesso (per tali dubbi si veda, in particolare, MUNOZ MACHADO, La formaci�n de un derecho com�n de la responsabilidad extracontractual del Estrado en el sistema comunitario europeo, in Estudios de jurisprudencias, 1992). Per un�analisi dell�impatto dell�affermata responsabilit� dello Stato per violazione del diritto comunitario nell�ordinamento italiano si vedano: DI MAJO, Responsabilit� e danni nelle violazioni comunitarie ad opera dello Stato, in Europa e Diritto Privato, 1998, 774 e ss. e TIZZANO, La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri dell�Unione europea, in Foro It., 1995, IV, 13 e ss.; nonch�, pi� recentemente, CALZOLAIO, L�illecito dello Stato tra diritto comunitario e diritto interno. Una prospettiva compararistica, Milano, 2004; FERRARO, La responsabilit� risarcitoria degli Stati membri per violazione del diritto comunitario, Milano, 2008; FUMAGALLI, La responsabilit� degli Stati membri per la violazione del diritto comunitario, Milano, 2000 e SCODITTI, La responsabilit� dello Stato per violazione del diritto comunitario, in Danno e Resp., 2005, 5 e ss. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 57 3. Le conclusioni dell�Avvocato generale L�Avvocato generale, prima di entrare nel merito della valutazione sulla compatibilit� dei principi enunciati dal Tribunal Supremo con quelli comunitari di equivalenza e di effettivit�, ha affrontato l�eccezione formulata dal governo spagnolo in ordine alla ricevibilit� della questione pregiudiziale. Secondo il governo spagnolo, infatti, la questione dovrebbe essere dichiarata irricevibile in quanto, in sede di un rinvio ex art. 234 T.C.E., la Corte � autorizzata a pronunciarsi esclusivamente sulla compatibilit� con il diritto comunitario di atti normativi interni e non anche sulla giurisprudenza emessa da un organo giurisdizionale, quale � il Tribunal Supremo, dato che esso stesso potrebbe modificare la propria giurisprudenza in ossequio all�obbligo di interpretazione conforme al diritto comunitario (16) . Tale ricostruzione dell�ambito di esercizio della funzione nomofilattica del giudice comunitario non � condivisa dall�Avvocato generale: se, come noto, il potere di interpretare in via pregiudiziale le norme comunitarie non comprende anche quello di pronunziarsi �direttamente� sulla compatibilit� tra norme interne e norme comunitarie (17), la Corte pu� �indirettamente� fornire (16) L�obbligo di interpretazione conforme al diritto comunitario � stato esplicitamente affermato dal giudice comunitario a partire dalla sentenza, 10 aprile 1984, in causa C-14/83, Von Colson, e poi diffusamente nella sentenza 13 novembre 1990, in causa C-106/89, Marleasing SA, secondo cui �l�obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure l�obbligo, loro imposto dall�art. 5 (ora 10) del Trattato, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l�adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell�ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali. Ne consegue che, nell�applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, onde conseguire il risultato perseguito da quest�ultima e conformarsi pertanto all�art. 189 (ora 249), comma 3, del Trattato�. Si cfr.no, in argomento, CAFARI PANICO, Per un�interpretazione conforme, in Dir. pubbl. Comp. Eu., 1999, 383 e ss.; PALLOTTA, Interpretazione conforme e inadempimento dello Stato, in Riv. It. Dir. pubbl. Com., 2005, 253 e ss.; PINELLI, Interpretazione conforme (rispettivamente, a Costituzione e al diritto comunitario) e giudizio di equivalenza, in Giur. Cost., 2008, 1364 e ss.; RUVOLO, Interpretazione conforme e situazioni giuridiche soggettive, in Europa e Dir. Priv., 2006, 1407 e ss. L�importanza del rispetto dell�obbligo di interpretazione conforme da parte dei giudici nazionali � stata inoltre recentemente ribadita nella sentenza 5 ottobre 2004, in cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer (su cui si vedano, da ultimo, LENAERTS, CORTHAUT, Of birds and hedges: the role of primacy in invoking norms of EU law, in European Law Review, 2006, 287 e ss.). (17) In proposito, Corte di giustizia delle Comunit� Europee, 27 marzo 1963, in cause C-28, 29 e 30/62, Da Costa en Schaake, afferma che �quando, nell�ambito concreto di una controversia vertente avanti un giudice nazionale, la Corte d� un�interpretazione del trattato, essa si limita a trarre dalla lettera e dallo spirito di questo il significato delle norme comunitarie, mentre l�applicazione alla fattispecie delle norme cos� interpretate rimane riservata al giudice nazionale: tale concezione corrisponde alla funzione assegnata alla Corte dall�art. 177, che mira a garantire l�unit� dell�interpretazione del diritto comunitario nei sei Stati membri�. Bisogna per� rilevare che, nella pratica delle pronunce pregiudiziali, l�interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte � spesso resa in modo tale che il giudice na- 58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 al giudice a quo tutti gli elementi di interpretazione del diritto comunitario utili a valutarne gli effetti in termini di disapplicazione del diritto interno incompatibile (18). L�Avvocato generale esclude, quindi, la sussistenza di limiti riferibili �alla natura delle disposizioni nazionali che possono, in questo modo, essere messe indirettamente in discussione in occasione di un rinvio pregiudiziale relativo all�interpretazione del diritto comunitario. Contrariamente a quanto sostiene il governo spagnolo, queste possono ben essere di origine giurisprudenziale. Del resto, la Corte � stata gi� invitata indirettamente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla conformit� della giurisprudenza al diritto comunitario� (19) , sottolineando come la domanda proposta miri a verificare la compatibilit�, con i principi comunitari di effettivit� ed equivalenza, delle norme nazionali relative alle azioni di risarcimento a carico dello Stato nell�interpretazione resa dal Tribunal Supremo. Venendo al merito della questione - da ritenersi, pertanto, ricevibile - l�Avvocato generale evidenzia preliminarmente come i principi di effettivit� ed equivalenza rappresentino un contrappeso al principio di autonomia proceduzionale possa evincere a quali condizioni la Corte ritenga sussista l�incompatibilit�, con conseguente effetto conformativo del giudice alla decisione. (18) Al riguardo si cfr.no le storiche decisioni Corte di giustizia delle Comunit� Europee, 15 giugno 1964, in causa C-6/64, Costa e Id., 9 marzo 1978, in causa C-106/77, Simmenthal, su cui, tra i tanti, MARCH HUNNINGS, Rival Constitutional Courts: A Comment on Case 106/77, in Common Market Law Review, 1978, 483 e ss.; MENGONI, Note sul rapporto tra fonti di diritto comunitario e fonti di diritto interno degli Stati membri, in AA.VV., Diritto privato europeo e categorie civilistiche, a cura di Lipari, Napoli, 1998, 26 ss. Per una completa ricostruzione della problematica della disapplicazione, quale criterio per la risoluzione delle antinomie tra diritto interno e diritto comunitario, si vedano, tra i tanti: CELOTTO, La prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno: orientamenti della Corte costituzionale e spunti di teoria generale, in Giur. Cost., 1992, 4481 e ss.; ID., Le �modalit�� di prevalenza delle norme comunitarie sulle norme interne: spunti ricostruttivi, in Riv. It., dir. pubbl. com., 1999, 1463 e ss. e ID., Concorrenza e conflitti tra criteri di risoluzione, in MODUGNO, Appunti per una teoria generale del diritto, La teoria del diritto oggettivo, Torino, 2000, 225 e ss.; ID., Legittimit� costituzionale e legittimit� comunitaria (prime considerazioni sul controllo di costituzionalit� in Italia come sistema �misto�), in Riv. Dir. Pubbl. Eu., 2002, 47 e ss.; PAGOTTO, La disapplicazione della legge, Milano, 2008; PIZZORUSSO, Sull�applicazione del diritto comunitario da parte del giudice italiano, in Quad. Reg., 1989, 48 e ss. e ID., Interrogativi in tema di rapporti tra fonti comunitarie e fonti nazionali, in AA. VV., Le riforme istituzionali e la partecipazione dell�Italia all�Unione europea, Milano, 2002, 21 e ss.; RUGGERI, Fonti, norme criteri, ordinatori, Torino, 2005, 215 e ss. ed, in precedenza, ID., Continuo e discontinuo nella giurisprudenza costituzionale, a partire dalla sent. n. 170 del 1984, in tema di rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento interno: dalla teoria della separazione alla prassi dell�integrazione intersistemica?, in Giur. Cost., 1991, 1598 e ss.; SILVESTRI, La diretta applicabilit� delle norme comunitarie, in Associazione Italiana dei costituzionalisti, Annuario 1999, La Costituzione Europea, Atti del XIV Convegno annuale, Padova, 2000; SORRENTINO, Brevi osservazioni sulle leggi contrastanti con norme comunitarie: incostituzionalit� e/o disapplicazione?, in Giur. Cost., 1975, II, 3237 e ss., ID., Ai limiti dell�integrazione europea: primato delle fonti o delle istituzioni comunitarie?, in Pol. Dir., 1994, 189 e ss. e ID., La rilevanza delle fonti comunitarie nell�ordinamento italiano, in Dir. commercio internaz., 1989, 452 e ss. (19) Conclusioni, punto 13. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 59 rale degli Stati membri (20), preposto alla tutela dei diritti conferiti ai singoli dall�ordinamento comunitario. Mentre il principio di effettivit� impone che le modalit� procedurali nazionali assicurino una protezione effettiva dei diritti conferiti dal diritto comunitario, il principio di equivalenza esige che l�ordinamento nazionale garantisca a tutte le azioni che hanno il loro fondamento nel diritto comunitario un trattamento procedurale che sia favorevole almeno quanto quello applicabile a domande analoghe fondate sul diritto interno. Con riferimento al principio di equivalenza, la previsione, quale condizione di ammissibilit� dell�azione di responsabilit� a carico dello Stato, dell�avvenuto esaurimento degli altri mezzi di ricorso avverso l�atto amministrativo lesivo, oltre a costituire un principio generale comune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, appare in linea con la giurisprudenza della Corte in tema di ricevibilit� del ricorso diretto a far valere la responsabilit� extracontrattuale della Comunit�, secondo cui, in particolare, l�azione va ritenuta irricevibile, �quando � diretta contro la stessa illegittimit� e tende ad ottenere lo stesso risultato patrimoniale del ricorso di annullamento dell�atto dell�istituzione che arreca il pregiudizio e che la persona lesa ha omesso di esperire tempestivamente� (21), ossia quando il ricorso per il risarcimento dei danni dissimula, in realt�, un�azione di ripetizione dell�indebito. Una simile circostanza viene ravvisata nella controversia promossa dalla societ� spagnola che, contestando tempestivamente - nel termine, del tutto ragionevole, di 4 anni - la validit� dell�atto amministrativo di liquidazione, avrebbe potuto ottenere la riparazione integrale del danno allegato (l�importo dell�I.v.a. non detratta, oltre agli interessi legali). La valutazione sulla compatibilit� della citata condizione di ammissibilit� con il principio di equivalenza risulta pi� articolata in quanto, al fine di dimostrare l�esistenza di un obbligo di parit� di trattamento procedurale, occorre (20) Sull�autonomia procedurale degli Stati membri si vedano le pronunce: Corte di giustizia delle Comunit� europee, 16 dicembre 1976, in causa C-33/76, Rewe; Id., 16 dicembre 1976, in causa C-45/76, Comet; Id., 9 novembre 1983, in causa C-199/82, San Giorgio; Id., 25 febbraio 1988, in cause riunite C-331/85, 376/85 e 378/85, Bianco e Girare; Id., 24 marzo 1988, in causa C-104/86, Commissione/Italia; Id., 14 luglio 1988, in cause riunite C-123/87 e 330/87, Jeunehomme e a.; Id., 9 giugno 1992, in causa C-96/91, Commissione/Spagna; Id., 14 dicembre 1995, in causa C-312/93, Peterbroek e a. Si tratta di una giurisprudenza secondo cui, in assenza di misure di armonizzazione diretta delle procedure, spetta agli Stati membri indicare organi e le modalit� procedurali di tutela delle posizioni protette dal diritto comunitario, sebbene tale autonomia sia appunto condizionata dal rispetto di due requisiti: tali regole e procedure non devono essere meno favorevoli di quelle previste per le analoghe situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto interno (principio di equivalenza); secondariamente tali procedure non devono essere tali da renderne impossibile o eccessivamente difficile la tutela (principio di effettivit�). Per una ricostruzione dei confini del principio, si veda RODRIGUEZ IGLESIAS, Sui limiti dell�autonomia procedimentale e processuale degli Stati membri, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2001, 5 e ss. (21) Conclusioni, punto 20. 60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 verificare la �comparabilit�� tra l�azione di risarcimento a carico dello Stato fondata su una legge incostituzionale e quella promossa a seguito della violazione del diritto comunitario. Tale raffronto viene cos� svolto in relazione ai parametri dell�oggetto, delle finalit� e degli elementi essenziali delle due azioni. Mentre appare non contestata la circostanza che l�oggetto (il risarcimento del danno) e la finalit� (accertamento dell�illiceit� del comportamento lesivo) delle due azioni di responsabilit� siano coincidenti, l�Avvocato generale si � espresso in senso critico nei confronti delle argomentazioni sulla diversit� degli elementi essenziali, addotte dal giudice a quo al fine di giustificare la differenza di trattamento procedurale. Secondo il giudice nazionale, infatti, il trattamento pi� favorevole riservato all�azione di responsabilit� per i danni derivanti da un atto amministrativo adottato in conformit� ad una legge incostituzionale si fonderebbe sull�eccessiva compressione della tutela giurisdizionale del privato, laddove la previsione della previa contestazione dell�atto amministrativo lesivo �condannerebbe il ricorso all�inefficacia�. Pi� particolare, tali difficolt� sarebbero legate, a monte, agli effetti incisivi delle pronunce di illegittimit� costituzionale ed alle stringenti condizioni di proponibilit� dell�incidente di costituzionalit� rispetto alle �questioni di comunitariet��. Quanto al primo profilo, il giudice di rinvio ha evidenziato il differente effetto delle pronunce pregiudiziali interpretative della Corte di giustizia e quello delle sentenze del Tribunal Constitucional che dichiarano l�incostituzionalit� di una legge spagnola, posto che solo queste ultime risultano dotate di effetti retroattivi, determinando l�invalidit� della legge censurata. Quanto al secondo profilo, il Tribunal Supremo ha messo in luce il decisivo rilievo della �presunzione di costituzionalit�� riconosciuta alla legge nell�ordinamento interno: presunzione che si riflette sulla titolarit� dell�azione diretta a far valere l�illegittimit� costituzionale, rimessa integralmente alle valutazioni del giudice a quo, e che comporta un�analoga presunzione di legittimit� degli atti amministrativi applicativi. Ad avviso dell�Avvocato generale, l�analisi degli elementi essenziali richiamati deve viceversa condurre a ritenere le due azioni sovrapponibili, con conseguente violazione del principio di equivalenza. Innanzitutto, l�Avvocato generale ricorda come alle pronunce pregiudiziali sia riconosciuta l�efficacia retroattiva implicita al genus delle sentenze interpretative, dal momento che l�interpretazione della norma resa dalla Corte di giustizia ne chiarisce e precisa il significato dalla sua entrata in vigore. Inoltre, a prescindere dalla qualificazione dell�effetto della pronuncia sulla legge, viene evidenziata l�analogia delle conseguenze sull�atto amministrativo applicativo: al riguardo lo stesso governo spagnolo ha precisato come IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 61 l�invalidit� della legge incostituzionale non determini automaticamente quella degli atti amministrativi adottati sulla base di quest�ultima, spettando comunque al giudice cui � sottoposta la controversia determinare nel caso specifico l�incidenza dell�incostituzionalit� sui suddetti atti, anche in relazione al regime prescrizionale di impugnabilit� degli stessi (22). In secondo luogo, con riferimento al problema della discrezionalit� del giudice nel rimettere il dubbio di costituzionalit� o la �questione di comunitariet� �, l�Avvocato generale sottolinea come, da una parte, l�obbligo di rinvio pregiudiziale gravante sui giudici di ultima istanza non prescinda da una valutazione sulla pertinenza e sulla necessit� del rinvio in ragione della teoria dell�acte clair (23), dall�altra, la libert� del giudice spagnolo di rinviare una questione di costituzionalit� della legge non � cos� ampia, anche alla luce del rimedio del recurso de amparo (24) . (22) Analogamente, nell�ordinamento italiano, neppure nell�ipotesi estrema di sopravvenuta �carenza assoluta� di potere, ossia di atto amministrativo adottato sulla base di una norma attributiva di un potere poi dichiarata incostituzionale, la sentenza di accoglimento � in grado di travolgere l�efficacia di un atto divenuto inoppugnabile. La circostanza che una legge incostituzionale non possa essere disapplicata da alcun organo dello Stato - essendo riservato solo ai giudici il potere di sospenderne l�applicazione, sollevando appunto la questione di costituzionalit� - comporta che l�atto posto in essere nell�esercizio di poteri fondati sulla legge incostituzionale non sia inesistente ma annullabile solo ove l�atto venga impugnato nei termini, sia pure per altri motivi, e sia stata sollevata, anche d�ufficio, la questione. In generale, con riguardo agli effetti temporali delle pronunce della Corte costituzionale si veda RUOTOLO, La dimensione temporale dell'invalidit� della legge, Padova, 2000; POLITI, Gli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale: contributo ad una teoria dell'invalidit� costituzionale della legge, Padova, 1997; D�AMICO, Giudizio sulle leggi ed efficacia temporale delle decisioni di incostituzionalit�, Milano, 1993; AA.VV., Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere: atti del seminario di studi tenuto al Palazzo della Consulta il 23 e 24 novembre 1988, Milano, 1989. (23) Per un approfondimento sulla teoria dell�atto chiaro si vedano BLANCHET, L�usage de la th�orie de l�acte clair en droit communautaire: une hypoth�se de mise en jeu de la responsabilit� de lՃtat fran�ais du fait de la fonction juridictionelle?, in Rev. Trim. Droit Europ�en, 2001, 397 e ss.; D�ALESSANDRO Intorno alla �Th�orie de l�acte clair�, in Giust. Civ., 1997, 1113 e ss.; RASMUSSEN The EC-Court�s Acte Claire Strategy in CILFIT, in European Law Review, 1984, 242 e ss.; BEBR, The Rambling Ghost of �Cohn-Bendit�: Acte Clair and the Court of Justice, in Common Market Law Review, 1983, 439 e ss. (24) Ai sensi degli artt. 161 e 162 della Costituzione spagnola, infatti, il Tribunal Constitucional �ha giurisdizione su tutto il territorio spagnolo ed � competente a giudicare: A) del ricorso d'incostituzionalit� contro leggi e disposizioni normative aventi forza di legge (�); B) del ricorso di tutela (amparo) per la violazione dei diritti e delle libert� di cui all�art. 53.2 di questa Costituzione, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge; C) dei conflitti di competenza fra lo Stato e le Comunit� autonome, e dei conflitti fra queste ultime; D) delle altre materie che gli attribuiranno la Costituzione o le leggi organiche � e �sono legittimati: A) a presentare il ricorso d'incostituzionalit�: il Presidente del Governo, il Difensore del popolo, cinquanta deputati, cinquanta senatori, gli organi collegiali ed esecutivi delle Comunit� autonome e, nel caso, le Assemblee delle stesse; B) a presentare il ricorso di tutela: qualsiasi persona fisica o giuridica che invochi un interesse legittimo, nonch� il Difensore del popolo e il Pubblico ministero. Negli altri casi, una legge organica stabilir� le persone e gli organi legittimati�. Sul recurso de amparo si vedano AA. VV., La giustizia costituzionale in Europa, a cura di Groppi e Olivetti, Milano, 2004, e pi� specificatamente, P�REZ-TREMPS, El Recurso de amparo, Tirant lo Blanch, Valencia, 2004. 62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Quanto alla presunzione di legittimit� costituzionale della legge, l�Avvocato generale ritiene che non si tratti di un idoneo elemento di comparazione, posto che la stessa costituisce un principio radicato nella separazione dei poteri �interna� all�ordinamento costituzionale, mentre quando l�amministrazione deve risolvere un�antinomia norme nazionali e comunitarie, essa non agisce pi� esclusivamente nell�ambito dell�ordinamento interno, dovendo confrontarsi �con due volont� legislative opposte, provenienti da due ordinamenti giuridici differenti sebbene integrati, e che si vedono riconoscere delle presunzioni di validit� differenti�: �pertanto, quando l�amministrazione disapplica una legge nazionale contraria al diritto comunitario, essa non fa venir meno la presunzione di validit� delle leggi nazionali n� pregiudica il principio costituzionale interno di separazione dei poteri. Al contrario, essa � di fronte ad un�equivalente presunzione di validit� della norma comunitaria e risolve tale conflitto sulla base del principio del primato del diritto comunitario� (25). L�Avvocato generale giunge quindi a rilevare come l�unica differenza tra le due azioni emerga nel rapporto tra l�amministrazione ed il soggetto leso, che - stante l�obbligo di disapplicazione gravante anche sull�amministrazione - gode di una protezione �a livello diffuso� contro la legge contraria al diritto comunitario della quale, invece, non gode contro la legge incostituzionale, in considerazione della presunzione di legittimit� della legge e dei suoi atti attuativi e della natura accentrata del controllo di costituzionalit�. Tale differenza non � tuttavia ritenuta idonea a giustificare la subordinazione dell�azione di risarcimento a carico dello Stato per violazione del diritto comunitario al previo esaurimento di tutti i mezzi di ricorso, �non soltanto amministrativi ma anche giurisdizionali�, avverso l�atto amministrativo adottato sulla base della legge �anticomunitaria�. L�Avvocato generale conclude, quindi, nel senso dell�incompatibilit� con il principio di equivalenza della denunciata norma di elaborazione giurisprudenziale sulle condizioni di ammissibilit� dell�azione di responsabilit� per violazione del diritto comunitario, trattandosi di una disciplina differenziata, pur in presenza di situazioni sovrapponibili, e pi� restrittiva. Corte di Giustiza delle Comunit� europee, conclusioni dell�Avvocato generale M. Poiares Maduro presente il 9 luglio 2009 (1) nella causa C-118/08 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal Supremo (Spagna) il 18 marzo 2008 - Transporte Urbanos y Servicios Generales S.A.L./Stato spagnolo. �Responsabilit� di uno Stato membro � Violazione del diritto comunitario � Principi di equivalenza e di effettivit�� (25) Conclusioni, punto 38. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 63 1. Il rinvio all�autonomia procedurale degli Stati membri, preposta alla tutela dei diritti conferiti ai singoli dall�ordinamento giuridico comunitario, � tradizionalmente mitigato dall�obbligo per gli ordinamenti nazionali di rispettare i principi comunitari di equivalenza e di effettivit�. Il principio di effettivit� impone che le modalit� procedurali nazionali assicurino una protezione effettiva dei diritti conferiti dal diritto comunitario. Il principio di equivalenza, invece, esige che l�ordinamento nazionale garantisca a tutte le azioni che hanno il loro fondamento nel diritto comunitario un trattamento procedurale che sia favorevole almeno quanto quello applicabile a domande analoghe fondate sul diritto interno. Al fine di poter concludere nel senso dell�esistenza di un obbligo di parit� di trattamento procedurale, � opportuno dunque stabilire se le due azioni sono comparabili. Le difficolt� eventualmente connesse a una tale valutazione vengono illustrate dal presente caso di specie. I � Causa principale e questione pregiudiziale 2. La questione pregiudiziale mira a stabilire se il fatto di applicare modalit� procedurali differenti a un�azione di risarcimento a carico dello Stato, in funzione del fatto che tale azione si fondi su una legge incostituzionale ovvero contraria al diritto comunitario, sia conforme ai principi comunitari di equivalenza e di effettivit�. 3. Essa � stata rinviata dalla sezione per il contenzioso amministrativo del Tribunal Supremo (Spagna) nell�ambito di una controversia insorta tra la societ� Transportes Urbanos y Servicios Generales SAL e l�Administraci�n del Estado, avendo quest�ultima respinto l�azione diretta a far valere la responsabilit� dello Stato spagnolo per una legge contraria al diritto comunitario. 4. All�origine della controversia vi � la legge spagnola 28 dicembre 1992, come modificata dalla legge 30 dicembre 1997, che limitava il diritto di un soggetto passivo alla detraibilit� dell�imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l��IVA�) relativa all�acquisto di beni o servizi finanziati mediante sovvenzioni e lo obbligava alla presentazione di dichiarazioni periodiche, le quali dovevano contenere il calcolo degli importi dell�IVA ripercossi e sopportati, pur procedendo all�effettuazione del saldo (autoliquidazioni). Tuttavia, occorre precisare che la normativa spagnola (2) riconosce al soggetto passivo il diritto di chiedere la rettifica delle proprie autoliquidazioni ed, eventualmente, di pretendere il rimborso delle somme indebitamente versate, purch� la richiesta venga avanzata entro quattro anni. 5. Poich� la limitazione del diritto di detrarre l�IVA prevista dalla legge 28 dicembre 1992 � stata dichiarata incompatibile con gli artt. 17, n. 2, e 19 della sesta direttiva 77/388/CEE (3), la ricorrente nella causa principale, che aveva compiuto le autoliquidazioni per gli esercizi 1999 e 2000 e il cui diritto alla richiesta di una rettifica e all�esercizio di un�azione di ripetizione era prescritto al momento della pronuncia della sentenza Commissione/ Spagna, gi� citata, ha presentato una domanda al fine di ottenere il risarcimento dei danni sofferti, calcolati in EUR 1 228 366, 39, corrispondenti ai versamenti di IVA indebitamente riscossi dallo Stato spagnolo oltre ai rimborsi che avrebbe potuto vantare relativamente agli stessi esercizi. 6. In data 12 gennaio 2007 il Consiglio dei ministri ha respinto la domanda, ritenendo che 1 � Lingua originale: il francese. 2 � Legge fiscale generale 17 dicembre 2003, n. 58/2003. 3 � Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977 in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari � Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1, in prosieguo: la �sesta direttiva IVA�). V. sentenza 6 ottobre 2005, causa C-204/03, Commissione/Spagna (Racc. pag. I 8389). 64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 la mancata contestazione delle proprie autoliquidazioni da parte della ricorrente, nel termine quadriennale prescritto, aveva interrotto il nesso di causalit� diretta tra la contestata violazione del diritto comunitario e il danno che si asserisce subito. Detto in altri termini, la causa esclusiva del danno sarebbe la mancanza di tale contestazione. Per giustificare la sua decisione, il Consiglio dei ministri si � basato su due sentenze del Tribunal Supremo 29 gennaio 2004 e 24 maggio 2005, secondo le quali le azioni di risarcimento a carico dello Stato per violazione del diritto comunitario soggiacciono a una regola di previo esaurimento degli altri mezzi di ricorso, amministrativi e giurisdizionali, avverso l�atto amministrativo lesivo, adottato in applicazione di una legge nazionale asseritamente in contrasto con il diritto comunitario. 7. In data 6 giugno 2007 la ricorrente ha presentato un ricorso dinanzi al Tribunal Supremo avverso la decisione del Consiglio dei ministri di rigetto della sua domanda di risarcimento. Nell�ordinanza di rinvio il giudice a quo s�interroga sulla conformit� di tale condizione di previo esaurimento dei mezzi di ricorso, cui � subordinata l�azione di risarcimento a carico dello Stato per violazione del diritto comunitario, con i principi comunitari di equivalenza e di effettivit�. Rileva, infatti, che l�azione di risarcimento a carico dello Stato, fondata sulla incostituzionalit� di una legge, non � subordinata alla condizione che il soggetto leso abbia previamente impugnato l�atto che gli arreca pregiudizio fondato su tale legge. 8. Il giudice a quo ha sottoposto inoltre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: �Se risulti contraria ai principi di equivalenza e di effettivit� l�applicazione di una diversa disciplina, elaborata dal Tribunal Supremo nelle sentenze 29 gennaio 2004 e 24 maggio 2005, ai casi riguardanti ricorsi diretti a far valere la responsabilit� patrimoniale dello Stato legislatore, in funzione del fatto che i detti ricorsi si fondino su atti amministrativi adottati in applicazione di una legge dichiarata incostituzionale ovvero di una norma dichiarata contraria al diritto comunitario�. II � Analisi giuridica 9. Prima di fornire al giudice nazionale gli elementi di soluzione necessari ai fini della valutazione della compatibilit� della giurisprudenza controversa del Tribunal Supremo con i principi comunitari di equivalenza e di effettivit�, devono essere risolte le obiezioni addotte dal governo spagnolo in merito alla ricevibilit� della presente questione pregiudiziale. A � La ricevibilit� della questione pregiudiziale 10. Il governo spagnolo ritiene che la questione pregiudiziale presentata dal giudice a quo sia irricevibile in quanto, nell�ambito di un rinvio pregiudiziale, la Corte � autorizzata a pronunciarsi esclusivamente sulla compatibilit� con il diritto comunitario degli atti amministrativi e normativi interni e non anche sulla giurisprudenza emessa da un organo giurisdizionale supremo, quale � il Tribunal Supremo, dato che esso stesso potrebbe modificare la propria giurisprudenza per renderla conforme alle esigenze comunitarie e che, pertanto, la presente questione pregiudiziale non sarebbe necessaria ai fini di una decisione nella controversia principale e sarebbe piuttosto assimilabile a un parere giuridico. 11. L�osservazione del governo spagnolo relativa alla irricevibilit� del ricorso pregiudiziale non pu� evidentemente essere accolta. 12. Da un lato, occorre anzitutto rammentare che, se la Corte non � competente a valutare, nell�ambito di un rinvio pregiudiziale, la compatibilit� delle disposizioni nazionali con le norme comunitarie, dopo aver eventualmente riformulato la questione rinviatale, essa pu� fornire al giudice a quo tutti gli elementi di interpretazione del diritto comunitario che po- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 65 trebbero essergli utili a valutare gli effetti delle disposizioni di quest�ultimo (4). Nel caso di specie, la questione del Tribunal Supremo invita la Corte a interpretare i principi comunitari di equivalenza e di effettivit�, al fine di consentirgli di valutare il rispetto del diritto comunitario da parte della propria giurisprudenza. 13. Dall�altro lato, non esiste evidentemente alcun limite riferibile alla natura delle disposizioni nazionali che possono, in questo modo, essere messe indirettamente in discussione in occasione di un rinvio pregiudiziale relativo all�interpretazione del diritto comunitario. Contrariamente a quanto sostiene il governo spagnolo, queste possono ben essere di origine giurisprudenziale. Del resto, la Corte � stata gi� invitata indirettamente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla conformit� della giurisprudenza al diritto comunitario (5). Infine, si deve aggiungere che, in ogni caso, una questione avente ad oggetto la giurisprudenza pu� sempre essere formulata come riferentesi alle disposizioni nazionali prese in considerazione dal giudice nazionale per enunciare le sue regole giurisprudenziali. In altre parole, la questione presentata nel caso di specie pu� essere intesa come diretta a conoscere se l�interpretazione delle norme nazionali relative alle azioni di risarcimento a carico dello Stato fornita dal Tribunal Supremo sia compatibile con i principi comunitari di equivalenza e di effettivit�. 14. Infine, in linea di principio, spetta al solo giudice nazionale, cui � stata sottoposta la controversia, e che deve assumersi la responsabilit� dell�emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessit� di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte e, se le questioni vertono sull�interpretazione del diritto comunitario, la Corte � tenuta a statuire (6). Solo in via eccezionale la Corte potrebbe rifiutarsi di statuire e dichiarare la questione pregiudiziale irricevibile, segnatamente, laddove appaia in modo manifesto che quest�ultima non risponde a una necessit� oggettiva ai fini della soluzione della causa principale (7). Ci� non si verifica nella presente fattispecie. Se � vero che il Tribunal Supremo pu� modificare liberamente da s� la propria giurisprudenza per adeguarla, eventualmente, alle esigenze comunitarie, tuttavia esso ha ritenuto necessario interrogare la Corte in merito all�interpretazione dei principi di equivalenza e di effettivit� al fine di poter valutare la propria giurisprudenza. Ebbene, non appare in modo manifesto che si verifichi, nel caso di specie, una delle situazioni che porterebbero la Corte a mettere in discussione �la presunzione di rilevanza� di cui godono le questioni relative all�interpretazione del diritto comunitario sollevate dal giudice nazionale (8). 15. Pertanto, la presente questione pregiudiziale � ricevibile. B � Sul principio di effettivit� 4 � V. sentenze 3 ottobre 2000, causa C-58/98, Corsten (Racc. pag. I 7919, punto 24) e 9 luglio 2002, causa C-181/00, Flightline, Racc. pag. I 6139, punto 20). 5 � V. sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, K�bler (Racc. pag. I 10239). 6 � V. sentenze 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra (Racc. pag. I 2099, punto 38); 15 maggio 2003, causa C-300/01, Salzmann (Racc. pag. I 4899, punti 29 e 30); Flightline, gi� citata (punto 21), nonch� sentenza 23 aprile 2009, causa C-261/07, VTB VAB (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 32). 7 � V., ad esempio, sentenza 17 maggio 1994, causa C-18/93, Corsica Ferries (Racc. pag. I 1783, punto 14). 8 � Per l�inventario di tali situazioni, v., da ultimo, sentenza 16 dicembre 2008, causa C-210/06, Cartesio (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 67); v., ad esempio, in precedenza, sentenza 7 giugno 2007, cause riunite da C-222/05 a C-225/05, van der Weerd e a. (Racc. pag. I 4233, punto 22). 66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 16. Condizionare l�azione di responsabilit� a carico dello Stato per violazione del diritto comunitario di carattere legislativo al previo esaurimento degli altri mezzi di ricorso, amministrativi e giurisdizionali, avverso l�atto amministrativo all�origine del danno, adottato sulla base di una legge contraria al diritto comunitario, non sembra di per s� contravvenire al principio di effettivit� della tutela giurisdizionale. 17. Peraltro, in virt� di una giurisprudenza consolidata, la nascita di un diritto al risarcimento, che deriva dal principio della responsabilit� dello Stato per danni causati ai soggetti da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili, � subordinata unicamente al soddisfacimento di tre condizioni: la norma giuridica violata deve essere preordinata a conferire diritti ai soggetti dell�ordinamento, la violazione di tale norma deve essere sufficientemente qualificata ed � necessario che vi sia un nesso causale diretto tra la violazione in parola e il danno subito dal soggetto leso (9). Tali condizioni sono �necessarie e sufficienti� per attribuire ai singoli un diritto al risarcimento (10). Pertanto, si potrebbe dedurre a priori che uno Stato membro non pu� subordinare il diritto al risarcimento alla condizione che l�avente diritto abbia previamente contestato la legittimit� dell�atto che � all�origine del danno del quale chiede il risarcimento, a pena di violare il principio di effettivit� della tutela giurisdizionale che � alla base del principio della responsabilit� degli Stati membri per violazione del diritto comunitario (11). 18. Tuttavia, la giurisprudenza controversa del Tribunal Supremo si basa sul fatto che il soggetto leso avrebbe potuto ottenere il risarcimento dell�intero importo del danno allegato se avesse contestato nei termini la validit� dell�atto all�origine del danno. 19. Ebbene, risulta da un principio generale comune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri (12) che la determinazione del danno risarcibile da parte del giudice nazionale pu� dipendere dalla ragionevole diligenza manifestata dalla persona lesa nel limitare la portata del danno, ovverosia dal fatto che essa abbia tempestivamente esperito tutti i rimedi giuridici dei quali poteva ragionevolmente disporre per evitare il danno o limitarne l�entit� (13). 20. D�altronde, la Corte ha dichiarato, da un lato, che la ricevibilit� del ricorso per responsabilit� extracontrattuale della Comunit� pu� essere subordinata all�esaurimento dei rimedi giurisdizionali nazionali di cui � possibile avvalersi per ottenere l�annullamento del provvedimento nazionale all�origine del danno, qualora tali rimedi giurisdizionali nazionali possano condurre al risarcimento dell�asserito danno (14), e, dall�altro lato, che l�azione per risarci- 9 � V., per un riferimento recente, sentenza 24 marzo 2009, causa C-445/06, Danske Slagterier (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 19 e 20). 10 � V. sentenze K�bler, gi� citata, (punto 57), e 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du p�cheur e Factortame (Racc. pag. I 1029, punto 66). 11 � V. sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C 9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I 5357). 12 � V. sentenza 19 maggio 1992, cause riunite C-104/89 e C-37/90, Mulder e a./Consiglio e Commissione (Racc. pag. I 3061, punto 33). 13 � V. sentenze Brasserie du p�cheur e Factortame, gi� citata (punti 84 e 85); 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a., (Racc. pag. I 1727, punto 101); 13 marzo 2007, causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (Racc. pag. I 2107, punto 124), nonch� sentenza Danske Slagterier, gi� citata (punti 60-62). 14 � V. sentenze 26 febbraio 1986, causa 175/84, Krohn Import Export/Commissione (Racc. pag. 753, punto 27); 29 settembre 1987, causa 81/86, De Boer Buizen/Consiglio e Commissione (Racc. pag. 3677, punto 9), nonch� sentenza 30 maggio 1989, causa 20/88, Roquette fr�res/Commissione (Racc. p. 1553, punto 15). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 67 mento danni nei confronti della Comunit� � irricevibile, quando � diretta contro la stessa illegittimit� e tende ad ottenere lo stesso risultato patrimoniale del ricorso di annullamento dell�atto dell�istituzione che arreca il pregiudizio e che la persona lesa ha omesso di esperire tempestivamente (15). Ci� vale, in tali due casi, se l�importo delle pretese risarcitorie corrisponde all�importo che le autorit� nazionali o comunitarie hanno riscosso in violazione del diritto comunitario. In qualche modo dunque, la Corte oppone al ricorso per risarcimento dei danni un�eccezione di ricorso parallelo, nella misura in cui l�azione di ripetizione dell�indebito � ovverosia, se lo si preferisce, il ricorso di annullamento del provvedimento nazionale o comunitario di tassazione � dinanzi alle autorit� nazionali o comunitarie avrebbe consentito la riparazione del danno in modo adeguato (16) e quando il ricorso per risarcimento danni dissimula in realt� un�azione di ripetizione dell�indebito. 21. Ebbene, la Corte ha parimenti statuito che �i presupposti in presenza dei quali sorge la responsabilit� dello Stato per i danni cagionati ai singoli in conseguenza della violazione del diritto comunitario non devono essere diversi, in mancanza di specifica giustificazione, da quelli che disciplinano la responsabilit� della Comunit� in circostanze analoghe. Infatti, la tutela dei diritti attribuiti ai singoli dal diritto comunitario non pu� variare in funzione della natura, nazionale o comunitaria, dell�organo che ha cagionato il danno� (17). 22. Se si considera ora la causa principale, occorre rilevare che il danno di cui � richiesto il risarcimento consiste unicamente nell�importo dell�IVA, oltre agli interessi legali, che la ricorrente nella causa principale ha dovuto versare in violazione del diritto comunitario. In una simile ipotesi, per porre rimedio al danno subito sarebbe stato sufficiente che quest�ultima agisse per la ripetizione dei tributi indebitamente versati sulla base dell�effetto diretto delle disposizioni della sesta direttiva IVA violate(18). Infatti, si evince da costante giurisprudenza che il diritto di ottenere il rimborso dei tributi riscossi da uno Stato membro in contrasto con le norme di diritto comunitario � la conseguenza e il complemento dei diritti riconosciuti ai singoli dalla disposizione ad effetto diretto violata (19). Dunque, la ricorrente nella causa principale avrebbe potuto chiedere, come consentito dalla normativa spagnola, entro il termine impartito di quattro anni, la rettifica delle proprie autoliquidazioni per gli esercizi 1999 e 2000 e il rimborso delle somme dell�IVA indebitamente versate relativamente a tali esercizi, ma essa ha omesso di farlo. In tali circostanze, subordinando la recevibilit� dell�azione di risarcimento a carico dello Stato legislatore per violazione del diritto comunitario a una previa contestazione dell�atto amministrativo all�origine del danno, adottato sulla base di una legge contraria al diritto comunitario, il Tribunal Supremo si limita dunque a subordinare l�azione 15 � V. sentenze 12 novembre 1981, causa 543/79, Birke/Commissione e Consiglio (Racc. pag. 2669, punto 28) e causa 799/79, Bruckner/Commissione e Consiglio (Racc. pag. 2697, punto 19); ordinanza 26 ottobre 1995, cause riunite C-199/94 P e C-200/94 P, Pevasa e Inpesca/Commissione (Racc. pag. I 3709, punti 26-28), nonch� sentenza 14 settembre 1999, causa C-310/97 P, Commissione/AssiDom�n Kraft Products e a. (Racc. p. I 5363, punto 59). 16 � V. sentenza 18 gennaio 2001, causa C 150/99, Stockholm Lind�park (Racc. pag. I 493, punto 35). 17 � Sentenza Brasserie du p�cheur e Factortame, gi� citata, punto 42; nonch� sentenza 4 luglio 2000, causa C-352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione (Racc. pag. I 5291, punto 41). 18 � Infatti, l�art. 17, n. 2 di tale direttiva si � visto riconoscere un effetto diretto (v. sentenza 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, (Racc. pag. I 1883, punti 32 36). 19 � V., ad esempio, sentenze 9 novembre 1983, causa 199/82, San Giorgio (Racc. pag. 3595, punto 12) e Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, gi� citata. 68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 di responsabilit� all�esperimento dell�azione di ripetizione dell�indebito della quale la ricorrente nella causa principale avrebbe potuto avvalersi. 23. Ne segue che il fatto di subordinare la ricevibilit� dell�azione di risarcimento a carico dello Stato per legge contraria al diritto comunitario alla condizione che la persona lesa abbia previamente impugnato l�atto amministrativo fondato su tale legge non �, in via di principio, contraria al principio di effettivit�, poich� contestando tempestivamente la validit� dell�atto lesivo, la vittima avrebbe potuto ottenere la riparazione dell�intero danno allegato. 24. Affinch� il principio di effettivit� sia rispettato, � altres� necessario che il diritto nazionale non assoggetti il ricorso per responsabilit� extracontrattuale dello Stato per violazione di carattere legislativo del diritto comunitario a modalit� procedurali che rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento. Inoltre, � necessario che il diritto nazionale non assoggetti l�azione di ripetizione dell�indebito, al cui previo esperimento � subordinata la ricevibilit� del suddetto ricorso per responsabilit�, a modalit� procedurali che rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l�esercizio di tale azione (20). 25. Si tratta quindi di accertare se il termine quadriennale decorrente dalla presentazione da parte del soggetto passivo delle proprie autoliquidazioni, nell�ambito del quale il diritto spagnolo circoscrive la domanda di rettifica, renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l�esercizio dell�azione di ripetizione delle imposte versate in violazione del diritto comunitario. 26. Su tale punto, il diritto comunitario ammette la fissazione di termini ragionevoli a pena di decadenza per l�esercizio dell�azione di ripetizione dell�indebito nell�interesse della certezza del diritto, che tutela nello stesso tempo il contribuente e l�amministrazione interessata (21). Tali termini ragionevoli non possono essere considerati come contrari al principio di effettivit�, anche se, per definizione, lo spirare di detti termini comporta il rigetto dell�azione esperita (22). � stato pertanto dichiarato ragionevole, in materia di ripetizione dell�indebito, un termine nazionale di decadenza di tre anni che decorre dalla data del pagamento dei tributi di cui trattasi (23). 27. A maggior ragione, un termine di quattro anni, quale previsto dalla normativa spagnola, era dunque conforme al principio di effettivit�, nonostante fosse gi� decorso e non consentisse pi� di domandare la rettifica delle autoliquidazioni relative agli esercizi 1999 e 2000 nel momento in cui la Corte ha reso la propria sentenza in cui dichiara l�incompatibilit� della legge spagnola con le disposizioni della sesta direttiva IVA. Infatti, l�azione di ripetizione dell�indebito non dipende dal previo riscontro, da parte della Corte, del contrasto dell�imposizione con il diritto comunitario, dal momento che il principio del primato del diritto obbliga l�am- 20 � Come ricordato iterativamente dalla giurisprudenza. V., ad esempio, relativamente al ricorso per responsabilit� a carico dello Stato per legge contraria al diritto comunitario, sentenze 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani (Racc. pag. I 4025, punto 27); 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation (Racc. pag. I 11753, punto 219); relativamente all�azione di ripetizione dell�indebito, sentenze Metallgesellschaft e a., gi� citata (punto 85), nonch� Test Claimants in the FII Group Litigation, gia citata (punto 203). 21 � V. sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe Zentralfinanz e Rewe Zentral (Racc. pag. 1989, punto 5); 17 luglio 1997, causa C-90/94, Haahr Petroleum (Racc. pag. I 4085, punto 48); 17 novembre 1998, causa C-228/96, Aprile (Racc. pag. I 7141, punto 19), nonch� sentenza 28 novembre 2000, causa C-88/99, Roquette Fr�res (Racc. pag. I 10465, punto 22). 22 � V. sentenze 2 dicembre 1997, causa C-188/95, Fantask e a. (Racc. pag. I 6783, punto 48), e 28 novembre 2000, Roquette Fr�res, gi� citata (punto 23). 23 � V. sentenza 15 settembre 1998, causa C-231/96, Edis (Racc. pag. I 4951, punti 39 e 49). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 ministrazione e il giudice nazionale a scartare, di propria iniziativa, senza attendere una siffatta constatazione da parte della Corte, la legge fiscale che essi ritengono contraria al diritto comunitario (24). C � Il principio di equivalenza 28. Si tratta, in questa sede, di stabilire se le differenti modalit� procedurali alle quali il diritto spagnolo assoggetta l�azione di risarcimento a carico dello Stato legislatore, in funzione del fatto che questa si fondi sulla violazione del diritto comunitario ovvero sull�inosservanza della Costituzione, non siano contrarie al principio di equivalenza. Infatti, la condizione di previo esaurimento dei mezzi di ricorso avverso l�atto amministrativo lesivo adottato in applicazione della legge vale solo per le azioni di risarcimento a carico dello Stato per legge contraria al diritto comunitario e non anche per quelle fondate su una legge incostituzionale. Le modalit� procedurali delle prime azioni sono quindi, a priori, pi� restrittive rispetto a quelle previste per le seconde. 29. Ebbene, il rispetto del principio di equivalenza impone che le condizioni fissate dal diritto nazionale in materia di risarcimento del danno non siano meno favorevoli nel caso di responsabilit� fondata sul diritto comunitario rispetto a quando essa sia fondata sul diritto interno (25) o, ancora, che la modalit� procedurale controversa si applichi indifferentemente ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto comunitario e a quelli fondati sull�inosservanza del diritto interno, fermo restando che uno Stato membro non � tenuto ad estendere a tutte le azioni di risarcimento fondate sulla violazione del diritto comunitario la sua disciplina interna pi� favorevole in materia di responsabilit� (26). 30. Tuttavia, affinch� il principio di equivalenza trovi applicazione, � ancora necessario che i due ricorsi siano simili (27). Per poterlo stabilire, � necessario procedere ad una comparazione con riguardo al loro oggetto, alla loro finalit� e ai loro elementi essenziali (28). Poich� � chiaro che esse hanno in comune lo stesso oggetto (risarcimento del danno) e la stessa finalit� (illiceit� del comportamento lesivo), resta allora da stabilire se l�azione per responsabilit� dello Stato, fondata sulla violazione di carattere legislativo del diritto comunitario, differisca, nei suoi elementi essenziali (29), dall�azione per responsabilit� dello Stato per inosservanza della Costituzione da parte della legge, sicch� troverebbe giustificazione il diverso trattamento procedurale applicato dal diritto spagnolo. 31. Per giustificare la differenza di trattamento procedurale tra le due azioni di responsabilit�, il giudice del rinvio avanza diverse considerazioni che, in sostanza, si risolvono nel- 24 � V. sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal (Racc. pag. 629) e 22 giugno 1989, causa 103/88, Costanzo (Racc. pag. 1839, punto 31). Pur nella consapevolezza dell�attuale presenza in Spagna di un dibattito sulla portata e le modalit� concrete di applicazione di tale obbligo comunitario (v. sentenza del Tribunal Constitucional 19 aprile 2004, n. 58/2004); note Alonso Garcia, R., CMLR 2005, pag. 535; Mart�n Rodr�guez, P. J., Revista Espanola de Derecho Constitucional, 2004, pag. 315. 25 � V. sentenze gi� citate, Brasserie du p�cheur e Factortame (punto 67), Palmisani (punto 27), nonch� la sentenza Danske Slagterier (punto 31). 26 � V., in tal senso, in merito all�azione di ripetizione dell�indebito, sentenza Edis, gi� citata (punto 36). Va rilevato che la Corte utilizza indifferentemente le due procedure, mentre esse potrebbero non essere del tutto equivalenti (v., ad esempio, sentenza 1� dicembre 1998, causa C-326/96, Levez, Racc. pag. I 7835, punti 37 e 41). 27 � Ovverosia �comparabili� (v. mie conclusioni nella causa van der Weerd e a., gi� citata, punto 15). 28 � V. sentenza 16 maggio 2000, causa C-78/98, Preston e a. (Racc. pag. I 3201, punto 57). 29 � V. nello stesso senso, sentenza Palmisani, gi� citata, punto 38. 70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 l�assunto che la previa contestazione dell�atto amministrativo lesivo �, a differenza del caso in cui il suddetto atto si fondi su una legge contraria al diritto comunitario, praticamente impossibile o eccessivamente difficile nel caso in cui tale atto sia stato adottato sulla base di una legge incostituzionale, sicch� imporla quale condizione preliminare all�azione di risarcimento a carico dello Stato legislatore per violazione della Costituzione condannerebbe tale ricorso all�inefficacia. In definitiva, il soggetto potrebbe pi� difficilmente contestare la costituzionalit� di una legge che la sua compatibilit� con il diritto comunitario. 32. Ci� varrebbe anzitutto per via della differenza tra l�effetto delle sentenze del Tribunal Constitucional che dichiarano l�incostituzionalit� di una legge spagnola e quello delle pronunce pregiudiziali della Corte dalle quali emergerebbe l�incompatibilit� di una legge nazionale con il diritto comunitario. La dichiarazione di incostituzionalit� della legge determina la nullit� della stessa, cio� la sua scomparsa ex tunc, mentre, al contrario, una sentenza della Corte, da cui risulta l�incompatibilit� di una legge nazionale con il diritto comunitario non comporta di per s� la nullit� della suddetta legge. Ci� � incontestabile. 33. Tuttavia, tale argomento relativo all�effetto retroattivo della dichiarazione di nullit� di una legge incostituzionale � in contrasto con la logica dell�argomentazione avanzata dal Tribunal Supremo a giustificazione del trattamento pi� favorevole concesso alle azioni di responsabilit� per leggi incostituzionali rispetto a quello applicato alle azioni di responsabilit� per leggi contrarie al diritto comunitario. Tale argomento deporrebbe piuttosto a favore della (maggiore) efficacia dei mezzi di ricorso avverso l�atto lesivo adottato in applicazione della legge incostituzionale e imporrebbe, di conseguenza, in nome del rispetto del principio di equivalenza, il previo esaurimento quale condizione anche dell�azione di responsabilit� dello Stato per violazione di carattere legislativo della Costituzione. 34. Del resto, tale argomento � errato in fatto. In forza di una giurisprudenza ben consolidata (30), in linea di principio, gli effetti di una pronuncia pregiudiziale di interpretazione, se si guarda al loro valore dichiarativo, sono parimenti retroattivi: l�interpretazione di una norma comunitaria data dalla Corte chiarisce e precisa il significato e la portata di detta norma, quale avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore, sicch� tale interpretazione retroagisce alla data di entrata in vigore della norma interpretata e la norma di diritto cos� interpretata dev�essere applicata anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della pronuncia della sentenza della Corte. Inoltre, come affermato dal giudice a quo e precisato in udienza dal governo spagnolo, la nullit� della legge incostituzionale spagnola non determina automaticamente la nullit� degli atti amministrativi adottati sulla base di quest�ultima; spetta al giudice cui � sottoposta la controversia determinare nel caso specifico la portata della nullit� della legge incostituzionale. Ne deriva che il soggetto, avvalendosi della dichiarazione di nullit� della legge incostituzionale, deve chiedere l�annullamento degli atti amministrativi adottati sulla base della legge e, se non agisce nei termini prescritti, potrebbe eventualmente scontrarsi, per ragioni di certezza del diritto, con l�autorit� di cosa definitivamente giudicata. In altri termini, decorso il termine di prescrizione, un contribuente non pu� pi� contestare l�avviso di accertamento, neanche avvalendosi di una dichiarazione di incostituzionalit� della legge fiscale. Anche qualora lo stesso diritto nazionale non preveda tale possibilit�, il diritto comunitario non obbliga l�organo amministrativo a rivedere una decisione perfino divenuta 30 � V., da ultimo, sentenza 12 febbraio 2008, causa C-2/06, Kempter (Racc. pag. I 411, punti 35 e 36, e la giurisprudenza ivi citata). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 definitiva in seguito alla scadenza dei termini ragionevoli di ricorso, al fine di garantire la piena efficacia del diritto comunitario come interpretato nella pronuncia pregiudiziale posteriore, nonostante l�effetto ex tunc di quest�ultima (31). Non si ravvisa quindi una differenza significativa tra gli effetti delle dichiarazioni di incostituzionalit� di una legge nazionale ad opera del Tribunal Constitucional spagnolo e quelli delle pronunce pregiudiziali di interpretazione della Corte. 35. La seconda differenza avanzata dal Tribunal Supremo, secondo la quale la previa contestazione dell�atto lesivo sarebbe pi� semplice quando esso � adottato in applicazione di una legge contraria al diritto comunitario rispetto al caso in cui si fondi su una legge incostituzionale, � legata alla presunzione di costituzionalit� della quale gode la legge spagnola. Da ci� derivano, infatti, due conseguenze. 36. La prima � che il soggetto non � titolare dell�azione diretta a far valere l�incostituzionalit� della legge, egli pu� soltanto chiedere, ma non costringere, il giudice adito a rinviare tale questione al Tribunal Constitucional. Per contro, la Corte ha dichiarato che il principio del primato del diritto obbliga il giudice nazionale investito della causa, su richiesta di una delle parti, a disapplicare una legge contraria al diritto comunitario (32). Tuttavia, la dichiarazione dell�incompatibilit� di una legge con una norma comunitaria dipende molto spesso dall�interpretazione che si d� a quest�ultima e il rinvio pregiudiziale alla Corte effettuato, eventualmente, allo scopo di precisare la suddetta interpretazione �, anch�esso, estraneo a ogni iniziativa delle parti e dipende completamente dalla valutazione sulla pertinenza e la necessit� di detto rinvio compiuta dal giudice nazionale (33). Certamente, ai sensi dell�art. 234 CE, i giudici nazionali le cui decisioni non sono suscettibili di ricorso, qualora si presenti una questione di interpretazione del diritto comunitario, devono rinviarne l�esame alla Corte. Come � noto, per�, la teoria dell�acte clair (34), in determinati casi e a determinate condizioni, libera il giudice nazionale supremo da tale obbligo di rimessione. Da un altro lato, la libert� del giudice spagnolo di rinviare una questione di costituzionalit� della legge non � cos� ampia. Infatti, si desume dagli artt. 163 della Costituzione spagnola e 35 della legge organica relativa al Tribunal Constitucional (35), come interpretati dallo stesso Tribunal Constitucional (36), che i soggetti, mettendo in discussione la costituzionalit� di una legge dinanzi al giudice investito della causa principale, possano costringere quest�ultimo a un previo esame e, qualora anch�egli ritenga la legge incostituzionale, a rimettere la detta questione di costituzionalit� della legge al Tribunal Constitucional. Le possibilit� di mettere in discussione, dinanzi al giudice nazionale della causa principale, la costituzionalit� della legge o la sua compatibilit� con il diritto comunitario non sono molto differenti (37). D�altra parte, occorre aggiungere che il soggetto, che non abbia ottenuto dal giudice nazionale il rinvio della questione di costituzionalit� della legge al Tribunal Constitucional, pu� avvalersi ancora della possibilit� di investire diretta- 31 � V. sentenza 13 gennaio 2004, causa C-453/00, K�hne & Heitz (Racc. pag. I 837). 32 � V. sentenza Simmenthal, gi� citata. 33 � Per un riferimento recente, v. sentenze Cartesio, gi� citata, punti 90 e 91, nonch� Kempter, gi� citata, punti 41 e 42, e giurisprudenza ivi citata. 34 � Sancita dalla Corte: v. sentenza 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit e a. (Racc. pag. 3415). 35 � Ley Org�nica 3 ottobre 1979, n. 2/1979 (BOE del 5 ottobre 1979, pag. 23180). 36 � V. sentenza 18 aprile 1988, n. 67/1988. 37 � In tal senso v. anche Alonso Garcia, R., �La responsabilidad patrimonial del Estado-legislador, en especial en los casos de infracci�n del Derecho Comunitario�, QDL n. 19, 2009. 72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 mente di tale questione il Tribunal Constitucional avvalendosi dello strumento del �recurso de amparo� (ricorso per la tutela dei diritti fondamentali), mentre non dispone evidentemente di un simile mezzo per mettere direttamente in discussione la legge riguardo al diritto comunitario n� dinanzi al giudice nazionale n� dinanzi alla Corte. 37. La seconda conseguenza che deriva dalla presunzione di costituzionalit� di cui gode la legge spagnola � che l�amministrazione � obbligata ad applicarla. Da ci� scaturisce una presunzione di legittimit� degli atti amministrativi che ne derivano. Detto in altri termini, ogni ricorso amministrativo inteso a mettere in discussione un atto amministrativo, a motivo dell�incostituzionalit� della legge che esso applica, deve essere respinto. Per contro, il principio del primato del diritto obbliga non soltanto il giudice nazionale ma altres� l�amministrazione nazionale a disapplicare una legge contraria al diritto comunitario (38) e, di conseguenza, ad accogliere un ricorso amministrativo presentato avverso il provvedimento amministrativo da essa derivato. 38. Tuttavia, le due situazioni non sono realmente comparabili. La presunzione di costituzionalit� della legge nazionale deriva dall�autorit� superiore all�amministrazione riconosciuta al legislatore per interpretare la Costituzione. Soltanto il giudice costituzionale pu� vincere tale presunzione in un sistema centralizzato di controllo di costituzionalit�. Si tratta della conseguenza della separazione dei poteri interna all�ordinamento costituzionale di tale Stato. Ma, quando l�amministrazione deve dirimere un conflitto tra norme nazionali e comunitarie, essa non agisce pi� esclusivamente nell�ambito del proprio ordinamento costituzionale interno. Al contrario, essa deve confrontarsi con due volont� legislative opposte, provenienti da due ordinamenti giuridici differenti sebbene integrati, e che si vedono riconoscere delle presunzioni di validit� differenti. � questa la ragione per la quale il rispetto della legge nazionale che l�amministrazione deve osservare nell�ambito dell�ordinamento costituzionale interno non pu� essere puramente e semplicemente trasposto nell�ambito delle relazioni tra tale ordinamento giuridico e l�ordinamento giuridico comunitario. Considerato in s�, l�obbligo per l�amministrazione nazionale di non applicare norme nazionali incompatibili con il diritto comunitario, di qualunque tipo esse siano, non deriva da un�ipotetica presunzione inversa di incompatibilit� del diritto nazionale con il diritto comunitario. Piuttosto, � a causa del fatto che, nell�ordinamento giuridico comunitario, gli atti comunitari godono di una presunzione di validit� pari a quella di cui godono le leggi nazionali nell�ordinamento giuridico interno, che l�amministrazione deve disporre di un criterio per dirimere il conflitto tra il diritto comunitario e une legge nazionale allorquando essa si confronta con esso. Tale criterio � fornito dal principio del primato del diritto. Pertanto, quando l�amministrazione disapplica una legge nazionale contraria al diritto comunitario, essa non fa venir meno la presunzione di validit� delle leggi nazionali n� pregiudica il principio costituzionale interno di separazione dei poteri. Al contrario, essa � di fronte ad un�equivalente presunzione di validit� della norma comunitaria e risolve tale conflitto sulla base del principio del primato del diritto comunitario. In ogni caso, anche se i presupposti sono diversi e che, dunque, le due situazioni possono essere difficilmente comparate dal punto di vista dei principi, si ha che, sul piano pratico, il soggetto gode nei confronti dell�amministrazione di una protezione contro la legge contraria al diritto comunitario della quale non gode contro la legge incostituzionale. 38 � V. sentenze Costanzo, gi� citata (punto 31), e 9 settembre 2003, causa C-198/01, CIF (Racc. pag. I 8055, punto 49). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 39. Tuttavia non � chiaro se le possibilit� pi� limitate delle quali dispongono i soggetti per contestare la costituzionalit� di una legge in funzione della presunzione di costituzionalit� della quale gode quest�ultima, confrontate a quelle per contestare la compatibilit� di una legge con il diritto comunitario, siano tali da giustificare che l�azione per responsabilit� dello Stato legislatore per violazione del diritto comunitario sia subordinata al previo esaurimento di tutti i mezzi di ricorso, amministrativi e giurisdizionali, avverso l�atto amministrativo lesivo, adottato in applicazione della legge, contrariamente a quanto accade per la responsabilit� dello Stato legislatore per la violazione della Costituzione. 40. Come si � visto, in realt�, � solo dinanzi all�amministrazione che la tutela contro la legge incompatibile con il diritto comunitario � incontestabilmente pi� forte rispetto alla tutela contro la legge incostituzionale. A pena di violare il principio comunitario di equivalenza, una simile differenza non � tuttavia tale da giustificare la subordinazione dell�azione di risarcimento a carico dello Stato per violazione di carattere legislativo del diritto comunitario al previo esaurimento di tutti i mezzi di ricorso non soltanto amministrativi ma anche giurisdizionali avverso l�atto amministrativo adottato sulla base della legge, mentre tale condizione non � imposta nel caso di azione di risarcimento per una legge che violi la Costituzione. III � Conclusione 41. Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che la questione sollevata dal Tribunal Supremo vada risolta nel modo seguente: �1) Subordinare l�azione di risarcimento a carico dello Stato per violazione di carattere legislativo del diritto comunitario alla previa contestazione della validit� dell�atto amministrativo, adottato in applicazione della legge, non � contrario al principio di effettivit�, in quanto attraverso la tempestiva contestazione della validit� di detto atto amministrativo, il soggetto avrebbe potuto ottenere la riparazione dell�intero danno allegato. 2) Subordinare l�azione di risarcimento a carico dello Stato per violazione di carattere legislativo del diritto comunitario alla previa contestazione della validit� dell�atto amministrativo adottato in applicazione della legge � contrario al principio di equivalenza, in quanto l�azione per responsabilit� dello Stato per violazione di carattere legislativo della Costituzione non � subordinata a una tale condizione e le possibilit� di contestare l�atto amministrativo adottato in applicazione della legge non sono significativamente diverse a seconda che si contesti la sua costituzionalit� o la sua conformit� al diritto comunitario�. 74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Dossier Titolarit� e gestione delle farmacie nella normativa comunitaria ed italiana di Flaminia Giovagnoli* SOMMARIO: 1. Premessa; -2. Le farmacie private; -3. Le farmacie comunali; -4. L�intervento della Corte Costituzionale, 8-24 luglio 2003, n. 275; -5. Le principali novit� del decreto Bersani e la Circolare del Ministero della salute del 3 ottobre 2006, n. 3; -6. Il Consiglio di Stato Sez. V, 8 maggio 2007, n. 2118; -7. Il parere della Corte dei Conti, Sez. Reg. di Controllo per la Puglia del 27 febbraio 2008, n. 3; -8. La direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali e il decreto legge di recepimento del 6 novembre 2007, n. 206; -9. La sentenza della Corte di Giustizia delle Comunit� europee nella causa C-531/06 del 19 maggio 2009; -10. Le conclusioni dell�Avvocato generale nelle cause riunite C-570/07 e C-571/07. 1. Premessa Il presente lavoro si propone di offrire un quadro quanto pi� esaustivo e chiaro della disciplina relativa alla titolarit� e gestione delle farmacie in Italia. Ad una breve disamina delle due possibili forme di esercizio, l�una relativa alle farmacie private e l�altra alle farmacie comunali, seguir� un necessario rinvio alla giurisprudenza nazionale pertinente e la trattazione della recente e fondamentale sentenza C-531/06 della Corte di Giustizia (1) secondo cui la normativa nazionale vigente in Italia � compatibile con il Trattato delle Comunit� Europee e con le finalit� ivi contenute, non essendo ravvisabile alcuna vioalzione degli articoli 43 e 56 TCE. 2. Le farmacie private La gestione delle farmacie private � attualmente disciplinata in numerosi provvedimenti legislativi ed in particolare nella legge 8 novembre 1991 n. 362 contenente le norme di riordino del settore farmaceutico (2) e nella legge 2 aprile 1968 n. 475 relativa alle disposizioni concernenti il servizio farmaceutico (3). La normativa prevede che la titolarit� di una farmacia possa essere conse- (*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. (1) Pubblicata integralmente in Rassegna n. 2/09, 141 e ss., e riproposta per comodit� del lettore in appendice al presente articolo per le parti pi� rilevanti. (2) GU n. 269 del 16 novembre 1991. (3) GU n. 107 del 27 aprile 1968. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 guita con procedure concorsuali, organizzate dalle Regioni e dalle Province Autonome di Trento e Bolzano, riservate ai cittadini degli Stati membri in possesso di diritti civili e politici ed iscritti all�albo professionale dei farmacisti o a societ� di persone e a societ� cooperative a responsabilit� limitata (4). Requisiti indispensabili per la titolarit� della farmacia, sono la laurea in farmacia e l�iscrizione al relativo albo (5). Nel caso in cui il titolare della farmacia sia una societ�, la direzione della stessa � affidata ad uno dei soci che ne � responsabile e di preminente importanza � il principio per cui la partecipazione alla societ� � incompatibile con qualsiasi altra attivit� esplicata nel settore della produzione (6), intermediazione e informazione scientifica del farmaco. Alle societ� titolari � fatto divieto di essere titolari dell�esercizio di pi� di quattro (7) farmacie ubicate nella provincia ove ha sede legale la societ�. Per quanto concerne le vicende successorie nella titolarit� dell�esercizio basti ricordare che, in caso di acquisto a titolo di successione (8) di una partecipazione in una societ�, qualora vengano meno i requisiti prescritti, l�avente causa cede la quota di partecipazione nel termine di due anni dall�acquisto. Tale termine si applica anche per la vendita della farmacia privata da parte degli aventi causa ai sensi del dodicesimo comma dell�articolo 12 della legge 2 aprile 1968, n. 475. 3. Le farmacie comunali Per quanto riguarda la gestione delle farmacie comunali, cos� denominata perch� il titolare � il Comune mentre l�affidatario del servizio � un socio privato (9), occorre far riferimento al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, testo (4 ) La legge 4 agosto 2006 n. 248 �Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonch� interventi in materia di entrate e di contrasto all�evasione fiscale�, all�articolo 5 ha eliminato il periodo �che gestiscano farmacie anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge� cos� come previsto nell�articolo 7, comma 1 della legge 8 novembre 1991, n. 362. (5) La legge 4 agosto 2006 n. 248, articolo 5 ha riformato l�articolo 7, comma 2 della legge 8 novembre 1991, n. 362 ove era previsto che la gestione delle farmacie private fosse riservata ai farmacisti iscritti all�albo della Provincia in cui ha sede la farmacia. (6) La legge 4 agosto 2006 n. 248, articolo 5, ha soppresso, dopo la parola �produzione�, il termine �distribuzione� dell�articolo 8, comma 1 a) della legge 8 novembre 1991, n. 362. (7) La legge 4 agosto 2006 n. 248, articolo 6 ter, ha elevato il numero massimo di farmacie di cui la societ� pu� essere titolare, da uno - come previsto nell�articolo 7, comma 5 della legge 8 novembre 1991, n. 362 - a quattro. (8) La legge 4 agosto 2006 n. 248, articoli 9 e 10 ha modificato i commi 9 e 10 dell�articolo 7 della legge 8 novembre 1991, n. 362. Cfr. infra paragrafo 5. (9) All�ente locale spetta la titolarit� della farmacia, con gli ampi poteri di cui sopra, mentre la gestione � di competenza del socio privato. Anche qualora la partecipazione al capitale societario sia prevalentemente privata, il comune assicura la prevalenza dell�interesse pubblico. Su tali profili la Repubblica italiana � stata invitata dalla Commissione a rispondere al quesito entro il 30 giugno 2008 in merito alla causa C-531/06, causa che verr� approfondita nel paragrafo 9. 76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL) (10) e specificatamente all�articolo 116, comma 1, ivi contenuto (11). Ai sensi e per l�effetto di tale disposizione �Gli enti locali possono, per l�esercizio di servizi pubblici (12) costituire apposite societ� per azioni senza il vincolo della propriet� pubblica maggioritaria, anche in deroga a disposizioni di legge specifiche�. In ragione di ci� dunque i comuni possono costituire societ� per azioni i cui soci non debbono essere necessariamente farmacisti nel rispetto dei seguenti limiti. La scelta del socio privato di maggioranza deve avvenire con procedure ad evidenza pubblica, l�atto costitutivo delle societ� deve prevedere l�obbligo dell�ente locale di nominare uno o pi� amministratori e sindaci (13) ed inoltre, nel caso di servizi pubblici locali, una quota delle azioni pu� essere destinata all�azionariato diffuso e resta comunque sul mercato. L�ente pubblico � quindi chiamato a svolgere una serie di controlli e ad assicurare il rispetto delle prescrizioni imposte per una gestione del servizio a tutela della collettivit� in ossequio ai principi di efficienza ed economicit�. Il rapporto tra il Comune e il socio privato prescelto viene puntualmente regolato di volta in volta e diviene oggetto di controlli, decadenze e sanzioni rimesse alla volont� dell�ente locale (14). Quest�ultimo quindi, dotato di forti poteri pubblicistici e nel rispetto degli obblighi imposti dal codice civile, dal TUEL e dalla pertinente normativa, si assume una importante responsabilit�, a tutela dell�interesse pubblico della salute nei confronti della collettivit�, destinataria e fruitrice del servizio. 4. L�intervento della Corte Costituzionale, 24 luglio 2003, n. 275 Un intelligente ed approfondito esame della citata disciplina delle farmacie comunali non pu� prescindere da un rinvio al fondamentale intervento (10) GU n. 227 del 28 settembre 2000. (11) La normativa relativa alle modalit� di gestione delle farmacie comunali � stata oggetto nel corso del tempo di una serie di modifiche. In origine si � fatto ricorso allo strumento delle aziende speciali e delle gestioni in economia (come prevedeva il r.d. n. 2578 del 1925) ed in un secondo momento, con legge n. 142 del 1990 � stato introdotto lo strumento delle societ� di capitali a prevalente capitale pubblico. Al riguardo, il legislatore dapprima ha previsto la possibilit� di costituire societ� per azioni tra il Comune ed i farmacisti in servizio presso la farmacia di cui il Comune abbia acquisito la titolarit�, come previsto nell�articolo 9 della legge n. 475 del 1968, in seguito modificato dall�articolo 10 della legge n. 362 del 1991 e successivamente, come sottolineato dal remittente, ha previsto la costituzione di societ� per azioni anche con prevalente capitale privato e senza predeterminazione legale dei soci ai sensi dell�articolo 116 del decreto legislativo n. 267 del 2000. (12) Il servizio farmaceutico � un servizio pubblico. L�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con ordinanza n. 1 del 30 marzo 2000 ha statuito che �Il titolare di una farmacia va considerato gestore di pubblico servizio in senso tecnico, ovverosia quello sanitario�. (13) Il Comune concorre alla formazione della volont� della societ�, � rappresentato nel consiglio di amministrazione e fa parte dell�organo di controllo interno. (14) Resta affidato alla volont� e alla disponibilit� del Comune il potere di modificare ed estinguere il rapporto con la societ� cui il servizio � affidato. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 77 della Corte Costituzionale nella sentenza del 7 agosto 2003 n. 275. In questa occasione (15) la Consulta ha dichiarato l�illegittimit� costituzionale dell�articolo 8, comma 1, lett. a) della legge 8 novembre 1991, n. 362, nella parte in cui non prevede che la partecipazione a societ� di gestione di farmacie comunali sia incompatibile con qualsiasi altra attivit� nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco. La ratio dell�illegittimit� costituzionale della norma citata � evidente. Il Giudice ha voluto evitare ex ante il possibile conflitto di interessi derivante dalla sovrapposizione dell'attivit� di produzione e distribuzione del farmaco all'ingrosso con l'attivit� di gestione della farmacia. Prima di tale pronuncia la situazione di incompatibilit� e pericolo era vietata dalla specifica normativa solo nei confronti della persona fisica titolare della farmacia, mentre nessun analogo divieto vigeva invece per le farmacie comunali, alla cui gestione potevano partecipare anche societ� operanti nel settore della produzione e commercializzazione del farmaco. Tale diverso trattamento � apparso del tutto ingiustificato e irragionevole al giudice costituzionale che, premesso il comune interesse pubblico di tutela del bene �salute� in entrambe le gestioni del servizio, ha sostanzialmente uniformato la disciplina. Per tali ragioni, la norma censurata � stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che la partecipazione a societ� di gestione di farmacie comunali � incompatibile con qualsiasi altra attivit� nel settore della produzione, distribuzione (16), intermediazione ed informazione scientifica del farmaco. 5. Le principali novit� del decreto Bersani e la Circolare del Ministero della salute del 3 ottobre 2006, n. 3 Come si � avuto modo di comprendere sinora, la normativa nazionale nel settore del servizio pubblico farmacie � in continua evoluzione. I principali riferimenti legislativi sono per� tre: la legge 8 novembre 1991 n. 362 (norme di riordino del settore farmaceutico), la legge 2 aprile 1968 n. 475 (norme concernenti il servizio farmaceutico), nonch� il decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 (testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali - TUEL). Ai fini che ci interessano in questa sede, assume profili di notevole ri- (15) Il TAR della Lombardia, con ordinanza depositata il 26 luglio 2002, ha sollevato con riferimento agli articoli 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimit� costituzionale dell�articolo 8, comma 1, lett. a) della legge 8 novembre 1991, n. 362, in relazione all�articolo 9 della medesima legge [recte: della legge 2 aprile 1968, n. 475], nella parte in cui non estende alle societ� che prendono parte alla gestione delle farmacie comunali il divieto, previsto per i farmacisti privati, di partecipare all'attivit� di produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco. (16) Cfr. supra nota 6. 78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 lievo la legge n. 248 del 4 agosto 2006 (17) che ha convertito in legge il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 �Decreto Bersani� (18), predisponendo all�articolo 5 le misure urgenti nel campo della distribuzione dei farmaci (19). Prima dell�entrata in vigore della nuova disciplina, ai sensi dell�articolo 7, commi 5, 6 e 7 della legge 362 del 1991, la gestione delle farmacie private era riservata ai farmacisti iscritti all�albo della provincia in cui aveva sede l�esercizio. Per quanto riguardava le societ� titolari di farmacia, era previsto che ciascuna societ� potesse essere titolare di una sola farmacia ed ottenere la relativa autorizzazione purch� la farmacia fosse ubicata nella provincia ove aveva sede la societ� ed infine che il farmacista potesse essere socio di una sola farmacia. La nuova disciplina ha eliminato tali commi e le prescrizioni ivi contenute, con la previsione all�articolo 6 ter circa la possibilit� per le societ� di essere titolari dell�esercizio di non pi� di quattro farmacie ubicate ove la stessa ha la sede legale. Anche il regime di acquisto a titolo successorio � profondamente mutato: prima l�articolo 9 della citata legge stabiliva che in caso venissero meno i requisiti richiesti per la titolarit� l�avente causa dovesse cedere la partecipazione nel termine di tre anni dall�acquisizione. Mentre nel caso in cui l�avente causa era il coniuge, ovvero l�erede in linea retta entro il secondo grado, il suddetto termine veniva differito al compimento del trentesimo anno di et� dell�avente causa, ovvero, se successivo, al termine di dieci anni (20) dalla data di acquisizione della partecipazione, ci� valendo anche in caso di esercizio della farmacia privata da parte degli aventi causa (21). La nuova formulazione prevede all�articolo 9 che, qualora vengano meno i requisiti prescritti, l�avente causa cede la quota di partecipazione nel termine di due anni dall�acquisto, ci� valendo anche per la vendita della farmacia privata da parte degli aventi causa del farmacista. Premesso ci�, per completezza di informazione occorre rilevare che la nuova disciplina, integrata e specificata nella Circolare del Ministero della Salute del 3 ottobre 2006 n. 3, ha previsto la possibilit� di vendita di alcuni tipi di medicinali al di fuori delle farmacie, ponendo sempre e comunque l�ac- (17) GU n. 153 del 4 luglio 2006. (18) GU n. 186 dell�11 agosto 2006. Tale decreto, noto anche come �decreto sulle liberalizzazioni�, contiene varie misure finalizzate alla tutela del consumatore, alla promozione di assetti concorrenziali, al rilancio dell�economia e dell�occupazione attraverso la liberalizzazione di attivit� imprenditoriali e la creazione di nuovi posti di lavoro. (19) Si veda anche la Circolare del Ministero della Salute n. 3 del 30 ottobre 2006 relativa alla vendita di alcune tipologie di medicinali al di fuori della farmacia: �applicazione dell�articolo 5, commi 1, 2, 3, 3 bis e 4 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248�, GU n. 232 del 5 ottobre 2006 (da ora in poi abbreviato in Circolare). (20) Il predetto termine di dieci anni � applicabile esclusivamente nel caso in cui l�avente causa, entro un anno dalla data di acquisizione della partecipazione, si iscriva ad una facolt� di farmacia in qualit� di studente presso un�universit� statale o abilitata a rilasciare titoli aventi valore legale. (21) Articolo 12, comma 12 della legge dell�8 novembre 1991 n. 362. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 cento sulla necessaria presenza e competenza del farmacista nel rapporto con il pubblico. La vendita al pubblico negli esercizi commerciali di cui all�articolo 4, comma 1, d) ed e) del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114 (22) pu� essere effettuata, per quanto concerne i farmaci da banco o da automedicazione e tutti i farmaci e prodotti non soggetti a prescrizione medica (23), previa comunicazione al Ministero della Salute e alla Regione della sede dell�esercizio dell�attivit� (24). Tale vendita � consentita durante l�orario di apertura dell�esercizio, in un apposito reparto (25), alla presenza (26) e assistenza necessaria di uno o pi� farmacisti abilitati e iscritti all�ordine di appartenenza (27). Infine sono vietati concorsi e operazioni a premio, nonch� vendite sottocosto aventi ad oggetto i farmaci. Relativamente alla distribuzione, � fatta salva la possibilit� per ciascun distributore di determinare lo sconto sul prezzo indicato dal produttore o dal distributore sulla confezione del farmaco, purch� questo sia esposto in modo chiaro e leggibile al consumatore e sia praticato a tutti gli acquirenti. (22) La Circolare prevede tre tipologie di esercizi commerciali all�articolo 1. Gli esercizi di vicinato: aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq. nei Comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei Comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti; le medie strutture di vendita: gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente e fino a 1.500 mq. nei Comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq. nei Comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti ed infine le grandi strutture di vendita: gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente. (23) Si veda l�articolo 2 della Circolare. (24) L�articolo 7 della Circolare chiarisce che ҏ opportuno che la comunicazione inviata al Ministero della Salute, priva degli allegati, sia trasmessa anche a tale agenzia. Poich� inoltre la vigilanza sulla vendita al pubblico negli esercizi commerciali, ai sensi della normativa sul commercio, � di competenza dei comuni, appare necessario, al fine di consentire l�espletamento delle relative funzioni amministrative in materia di commercio, che la comunicazione di avvio dell�attivit� di vendita dei farmaci sia inviata per conoscenza anche al Comune dove ha sede l�esercizio.� Cfr. articolo 1 del decreto Bersani. (25) Ai sensi dell�articolo 5 della Circolare per �apposito reparto� deve intendersi uno spazio dedicato esclusivamente alla vendita e conservazione dei medicinali da banco o da automedicazione e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica. Tale spazio dedicato pu� assumere forme diverse in base al tipo di esercizio commerciale in cui ha luogo la vendita. Pu� trattarsi di un apposito corner oppure di un singolo scaffale o anche di una parte di uno scaffale, purch� gli spazi siano chiaramente separati in modo da escludere la commistione con altri tipi di prodotti (26) Nell�articolo 3 della Circolare � disposto che �La presenza del farmacista deve essere garantita per tutto l�orario di apertura dell'esercizio commerciale. Anche se non � tenuto a consegnare personalmente a tutti i clienti ogni singola confezione di medicinale, il farmacista � obbligato ad una assistenza �attiva� del cliente, mediante consigli, ove richiesti, ma anche ove riscontri un'incertezza nel comportamento del cliente. E� opportuno che il farmacista indossi il distintivo professionale adottato dalla Federazione nazionale degli ordini dei farmacisti che riporta il caduceo. In ogni caso il farmacista deve distinguersi chiaramente da eventuale altro personale che lavori nell�apposito spazio. E� opportuno che il titolare dell�esercizio commerciale comunichi all�ordine dei farmacisti territorialmente competente le generalit� del farmacista o dei farmacisti che svolgono le attivit� di cui all�articolo 5, comma 2 del decreto legge n. 223 del 4 luglio 2006, provvedendo in seguito agli eventuali, necessari aggiornamenti della comunicazione.� (27) Articolo 2 del decreto Bersani. 80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 6. Il Consiglio di Stato Sez. V, 8 maggio 2007, n. 2118 Il rilievo e il merito dell�intervento in materia del Consiglio di Stato consiste nell�applicazione chiara e puntuale della normativa sulla titolarit� della farmacia in caso di gestione provvisoria ereditaria, offrendo al giudice amministrativo l�occasione per sottolineare che gli eredi del de cuius possono solo continuarne l�esercizio provvisorio, non essendo n� titolari n� responsabili di esso. Tale situazione rappresenta nella normativa nazionale una forma di gestione di farmacie da parte di soggetti non farmacisti. E� previsto che la farmacia ereditata deve essere gestita, per tutto il periodo transitorio, sotto la responsabilit� di un farmacista laureato. Pertanto gli eredi non possono, in tale contesto, essere assimilati ad altri gestori che non possiedono la qualit� di farmacisti. Si deve inoltre rilevare che detta eccezione ha soltanto effetti temporanei. Infatti gli eredi devono effettuare di regola il trasferimento dei diritti di gestione della farmacia ad un farmacista nel termine di un solo anno. Soltanto nel caso di una partecipazione ad una societ� di gestione di una farmacia costituita da farmacisti, gli aventi diritto dispongono di un termine pi� lungo per la sua cessione ossia tre anni a decorrere dall�acquisto della partecipazione. Tali eccezioni sono quindi volte a consentire agli aventi diritto di cedere la farmacia ad un farmacista entro un termine che non risulta irragionevole. Nel caso deciso dal Consiglio di Stato l�appellante era subentrata nella titolarit� della farmacia a seguito del decesso del marito. In tale qualit�, la ricorrente rivendicava il diritto a percepire l�indennit� di residenza per sedi disagiate, negatole dall�ASL de l�Aquila, che aveva ritenuto che detta indennit� spettasse al direttore responsabile della farmacia. La ricorrente sosteneva invece che l�emolumento in questione le competesse in quanto titolare della farmacia (28). Il TAR Abruzzo, sede de L�Aquila, con sentenza n. 435 del 31 luglio 2002 respingeva il ricorso. La ricorrente quindi proponeva appello avverso la sentenza di primo grado, deducendone l�erroneit� e l�ingiustizia e chiedendone l�annullamento e/o la riforma, per erronea interpretazione degli articoli 2 e 3 della legge 8 marzo 1968, n. 221 (29). Senza voler indugiare sulla disciplina in materia di farmacie rurali, il Consiglio di Stato ha respinto (28) Oggetto della doglianza era la spettanza dell�emolumento al direttore della farmacia. Secondo la ricorrente tale beneficio economico spetta solo quando tale figura sostituisca il titolare nei casi consentiti (infermit�, ferie, servizio militare, ecc.) dai quali esula il caso in cui il direttore sostituisca stabilmente il titolare, comՏ nella specie. (29) L�articolo 1 della legge 8 marzo 1968, n. 221 stabilisce che le farmacie sono classificate in due categorie. Accanto alle farmacie urbane, situate in Comuni o centri abitati con popolazione superiore a 5.000 abitanti, sono previste le farmacie rurali ubicate in comuni, frazioni o centri abitati con popoazione non superiore a 5.000 abitanti. Non vengono classificate farmacie rurali quelle che si trovano nei quartieri periferici delle citt�, congiunti a queste senza discontinuit� di abitanti. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 81 e, per l�effetto, confermato la sentenza impugnata sulla scorta delle seguenti considerazioni �quando la normativa discorre di titolare di farmacia, cui spetti l�indennit�, intende riferirsi al farmacista iscritto all�albo relativo e che conduce in concreto l�esercizio farmaceutico (30) �la gestione di una farmacia non pu� che essere curata da un soggetto in possesso del relativo diploma di laurea e della iscrizione al relativo albo �secondo l�articolo 12 della legge del 2 aprile 1968, n. 475, il quale stabilisce che nel caso di morte del titolare gli eredi possono entro un anno effettuare il trapasso della titolarit� della farmacia �a favore di farmacista iscritto nell�albo professionale, che abbia conseguito la titolarit� o che sia risultato idoneo in un precedente concorso. Durante tale periodo gli eredi hanno diritto di continuare l�esercizio in via provvisoria sotto la responsabilit� di un direttore.� 7. Il parere della Corte dei Conti, Sez. Reg. di Controllo per la Puglia del 27 febbraio 2008, n. 3. In materia di gestione delle farmacie comunali e nello specifico di societ� partecipate da amministrazioni pubbliche, appare interessante anche il contributo della Corte dei Conti a cui si � rivolto il Sindaco del Comune di Bitonto. Il sindaco, incerto sull�interpretazione ed applicazione dell�articolo 3, comma 27 della legge del 24 dicembre 2007 n. 244 (31), chiedeva al giudice (32) se, dall�interpretazione del citato articolo, derivasse per il Comune l�impossibilit� (30) Nella specie l�appellante, essendo subentrata insieme ai figli nella titolarit� della farmacia jure successionis dal proprio marito deceduto, ha dovuto conferire incarico lavorativo ad un farmacista sostituto che ha assunto la responsabilit� della gestione dell�esercizio e al quale compete l�indennit� di residenza, in quanto in concreto gestisce la farmacia. (31) Si tratta della legge 24 dicembre 2007, n. 244 �Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato� (legge finanziaria 2008). GU n. 300 del 28 dicembre 2007. L�articolo 3, comma 27, della legge finanziaria per il 2008 cos� dispone: �al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all�articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, non possono costituire societ� aventi per oggetto attivit� di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalit� istituzionali, n� assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza in tali societ�. E� sempre ammessa la costituzione di societ� che producono servizi di interesse generale e l�assunzione di partecipazioni in tali societ� da parte delle amministrazioni di cui all�articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, nell�ambito dei rispettivi livelli di competenza�. (32) La Corte dei Conti pu� rendere pareri in materia di �contabilit� pubblica�, ai sensi dell�articolo 7, comma 8 della legge 5 giugno 2003 n. 131 �Disposizioni per l�adeguamento dell�ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3�. GU n. 132 del 10 Giugno 2003. L�articolo dispone infatti che �Le Regioni possono richiedere ulteriori forme di collaborazione alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ai fini della regolare gestione finanziaria e dell�efficienza ed efficacia dell�azione amministrativa, nonch� pareri in materia di contabilit� pubblica. Analoghe richieste possono essere formulate, di norma tramite il Consiglio delle autonomie locali, se istituito, anche da Comuni, Province e Citt� metropolitane�. 82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 di assumere la gestione di farmacie mediante la costituzione di societ� di capitali e se tale attivit� fosse qualificabile come strettamente necessaria al perseguimento delle finalit� istituzionali dell�ente oppure come servizio di interesse generale. Oggetto della richiesta di parere � dunque la concreta qualificazione dell�attivit� di gestione delle farmacie comunali mediante l�utilizzo del modello societario previsto dall�articolo 9 della legge n. 475 del 1968 che consente ai comuni di ottenere, per met�, la titolarit� delle farmacie che si rendono vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito di revisione della pianta organica (33). Il giudice osserva preliminarmente che in materia di societ� partecipate la novella legislativa - tesa ad operare una riduzione del fenomeno della proliferazione di societ� pubbliche o miste, considerato una delle cause dell�incremento della spesa pubblica degli enti locali - prevede due tipologie di societ� partecipate espressamente consentite: le societ� che svolgono attivit� strettamente necessarie alle finalit� istituzionali degli enti e le societ� che producono servizi di interesse generale. Orbene la Sezione di controllo ha deciso che l�attivit� di gestione delle farmacie comunali � �esercizio di un pubblico servizio trattandosi, in particolare, di un�attivit� rivolta a fini sociali, secondo il disposto dell�articolo 112 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 che consente agli enti locali, nell�ambito delle rispettive competenze, di provvedere alla gestione dei servizi pubblici che abbiano ad oggetto la produzione di beni ed attivit� rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunit� locali�. Logico corollario di quanto finora esposto � che rimane affidata alla valutazione dell�organo consiliare l�inquadramento della farmacia comunale tra le societ� che perseguono finalit� istituzionali dell�Ente o tra le societ� rivolte alla produzione di servizi di interesse generale. Detto ci�, la Sezione esclude che tale partecipazione possa ritenersi vietata in ragione del fatto che le farmacie comunali sono destinate a fornire un pubblico servizio in favore della collettivit� generale. 8. La direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali e il decreto legge di recepimento del 6 novembre 2007, n. 206 La direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005 (34), relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali assume un ruolo di primaria importanza nel favorire la mobilit� del prestatore (33) La gestione di tali farmacie pu� avvenire in economia, a mezzo di aziende speciali o di consorzi tra comuni e mediante societ� di capitali. (34) GU L. 255 del 30 settembre 2005. Il decreto legislativo 6 novembre 2007 n. 206 � il decreto di attuazione di tale direttiva, GU n. 261 del 9 novembre 2007. La direttiva disciplina il riconoscimento IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 83 di servizi negli Stati membri, con la predisposizione di una serie di strumenti che assicurano il riconoscimento automatico dei titoli di formazione (35). A tale fine anche l�esercizio dell�attivit� professionale di farmacista � disciplinato nella sezione II, all�articolo 45 (36) della direttiva citata nonch� del decreto legislativo di recepimento del 6 novembre 2007 n. 206, sezione VII, articoli 50 e 51. La normativa nazionale per quanto concerne la formazione del farmacista prevede che l'ammissione alla formazione di farmacista � subordinata al possesso di un diploma di scuola secondaria superiore che dia accesso, per tali studi, alle universit�. Il titolo di formazione di farmacista sancisce una formazione della durata di almeno cinque anni, di cui almeno quattro anni d'insegnamento teorico e pratico a tempo pieno in una universit�, un istituto superiore di livello riconosciuto equivalente o sotto la sorveglianza di una universit� e sei mesi di tirocinio in una farmacia aperta al pubblico o in un ospedale sotto la sorveglianza del servizio farmaceutico di quest�ultimo, di modo che acquisisca le necessarie conoscenze e competenze (37) . delle qualifiche professionali per l�accesso alle professioni regolamentate coperte dalle direttive Sistemi generali 89/48/CEE, 92/51/CEE, 99/42/CE e dalle direttive settoriali 77/452/CEE, 77/453/CEE, 78/686/CEE, 78/1026/CEE, 78/1027/CEE, 80/154/CEE, 85/155/CEE, 85/384/CEE, 85/432//CEE, 85/433/CEE e 93/16/CEE riguardanti le professioni di infermiere professionale, odontoiatra, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e medico. (35) Un breve rinvio alla Direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno �direttiva Bolkestein�, dal nome del Commissario europeo per il mercato interno Frits Bolkestein che ne ha curato la redazione, appare opportuno. La direttiva � basata sugli articoli 47 n. 2 e 55 del TCE. Il principio della libera circolazione dei servizi, uno dei quattro pilastri del mercato comune sancito per la prima volta 50 anni fa con il Trattato di Roma, sembra oggi un obiettivo possibile in virt� della Direttiva 2006/123 del 12 dicembre 2006. Per creare un vero mercato dei servizi entro il 2010, termine stabilito dall�Agenda di Lisbona, la direttiva Bolkestein si propone di fissare un quadro giuridico che consenta la liberalizzazione dei servizi al fine di fare dell�Unione Europea �l�economia basata sulla conoscenza pi� competitiva e pi� dinamica del mondo�. Il campo di applicazione della disciplina riguarda la libert� di stabilimento e la libert� di circolazione dei servizi, dato che gli ostacoli alla libera circolazione sono riscontrati per il prestatore di servizi, ossia qualsiasi persona fisica o giuridica che esplica un�attivit� economica non salariata e dietro retribuzione, a prescindere dal fatto che intenda stabilirsi in uno Stato membro diverso da quello di provenienza. (36) L�articolo 45 della direttiva � sostanzialmente riprodotto nell�articolo 51 del decreto di attuazione e stabilisce che �Gli Stati membri fanno s� che i possessori di un titolo di formazione in farmacia, a livello universitario o equivalente, siano autorizzati ad accedere e a esercitare almeno le seguenti attivit�, con l�eventuale riserva di una esperienza professionale complementare: preparazione della forma farmaceutica di medicinali, fabbricazione e controllo di medicinali, controllo di medicinali in un laboratorio di medicinali, immagazzinamento, conservazione e distribuzione di medicinali nella fase di commercio all�ingrosso e nelle farmacie aperte al pubblico e negli ospedali, nonch� diffusione di informazioni e consigli nel settore medicinali�. (37) Tale formazione non pu� prescindere da adeguate conoscenze dei medicinali e delle sostanze utilizzate per la loro fabbricazione, della tecnologia farmaceutica e del controllo fisico, chimico, biologico e microbiologico dei medicinali, del metabolismo e degli effetti dei medicinali, nonch� dell�azione delle sostanze tossiche e dell�utilizzazione dei medicinali stessi, che consentano di valutare i dati scientifici concernenti i medicinali in modo da potere su tale base fornire le informazioni appropriate nonch� da una familiarit� con le norme e le condizioni che disciplinano l�esercizio delle attivit� 84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 9. La sentenza della Corte di Giustizia delle Comunit� europee nella causa C-531/06 del 19 maggio 2009 Tutela la sanit� pubblica e garantisce alla popolazione un rifornimento di medicinali sicuro e di qualit�, la disciplina italiana che riserva la titolarit� e la gestione delle farmacie ai farmacisti, persone fisiche laureate in farmacia e societ� di gestione composte esclusivamente da soci farmacisti, non essendo ravvisabile alcuna violazione degli articoli 43 (38) e 56 (39) del Trattato comunitario. La Corte di Giustizia nella sentenza C-531/06, in conformit� alle conclusioni dell�Avvocato generale Yves Bot (40), ha respinto interamente il ricorso promosso dalla Commissione nei confronti dell�Italia e della Germania (41). La Commissione, considerando il regime italiano di gestione delle farmacie incompatibile con il Trattato, aveva avviato il procedimento per inadempimento ex articolo 226, primo comma TCE (42). Il ricorso era diretto a dichiarare che l�Italia - avendo mantenuto in vigore una legislazione che consente la titolarit� dell�esercizio delle farmacie private alle sole persone fisiche laureate in farmacia e a societ� composte esclusivamente da soci farmacisti, nonch� disposizioni legislative che comportano l�impossibilit� per le imprese esercenti l�attivit� di distribuzione (43) di prodotti farmaceutici di acquisire farmaceutiche. A ci� si aggiunga che il ventiseiesimo �considerando� della direttiva 2005/36 afferma che �La presente direttiva non coordina tutte le condizioni per accedere alle attivit� nel campo della farmacia e all�esercizio di tale attivit�. In particolare, la ripartizione geografica delle farmacie e il monopolio della dispensa dei medicinali dovrebbe continuare ad essere di competenza degli Stati membri. La presente direttiva non modifica le norme legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che vietano alle societ� l'esercizio di talune attivit� di farmacista o sottopongono tale esercizio a talune condizioni�. (38) L�articolo 43 TCE disciplina il diritto di stabilimento. (39) L�articolo 56 TCE � relativa alla circolazione dei capitali. . (40) Le conclusioni sono state depositate il 16 dicembre 2008. Importante sottolineare che, sebbene sia estremamente significativo l�apporto dell�Avvocato generale che, nella causa per la quale � designato propone una soluzione giuridica, � la Corte a decidere in ultima istanza. (41) La trattazione della causa C-531/06 si � svolta congiuntamente alle cause riunite C-171/07 e C-172/07 poich� relative al regime di propriet� delle farmacie, rispettivamente nella disciplina italiana e tedesca. Le cause riunite C-171/07 e C-172/07 (Apothekerkammer des Saarlandes e a.) traggono origine dall�autorizzazione accordata dal competente ministero del Land della Saar alla DocMorris, societ� per azioni olandese, di gestire dal 1� luglio 2006 una farmacia a Saarbr�cken come succursale. La decisione del ministero � stata impugnata dinanzi al tribunale amministrativo del Land della Saar da vari farmacisti e dalle loro associazioni di categoria per difformit� dalla normativa tedesca la quale riserva ai soli farmacisti il diritto di possedere e gestire una farmacia. (42) Secondo l�articolo 226 TCE �La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virt� del presente trattato, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa pu� adire la Corte di giustizia�. (43) La Repubblica italiana ha fatto presente che il riferimento normativo al divieto per le imprese di distribuzione di acquisire partecipazioni nelle societ� di gestione di farmacie risultava improprio, stante la riforma del decreto Bersani. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 85 partecipazioni nelle societ� di gestione di farmacie comunali - era venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli articoli 43 e 56 del TCE (44) . In particolare la Commissione ha sostenuto che le misure in essa contenute sono eccessivamente restrittive e basate sulla presunzione che un farmacista che gestisce una farmacia sarebbe meno incline a privilegiare il proprio interesse personale a spese dell�interesse pubblico, oltre ad avere una portata decisamente esorbitante rispetto al raggiungimento dell�obiettivo di tutela della sanit� pubblica (45). La Repubblica italiana ha rammentato l�esistenza della riserva di competenza in capo agli Stati membri nel disciplinare il settore delle farmacie (ad esclusione delle questioni relative al mutuo riconoscimento dei diplomi) (46), affermando che le restrizioni sono comunque giustificate dall�interesse generale di tutela della sanit� pubblica. Secondo la tesi difensiva solo la presenza del farmacista titolare dell�esercizio della farmacia, dotato di conoscenze e di una necessaria esperienza specifica e completa, � garanzia del preminente interesse pubblico al rifornimento regolare di medicinali, rispetto alle considerazioni di carattere economico. Un secondo motivo di ricorso riguardava la gestione delle farmacie comunali ed in particolare le disposizioni nazionali che sanciscono l�impossibilit� per le imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici di acquisire partecipazioni nelle societ� di gestione delle farmacie comunali. La Repubblica italiana - dopo aver esplicitato alla Corte che le disposizioni di riferimento e la disciplina ivi contenuta era stata riformata dal decreto Bersani (47) - ha affermato che la normativa vigente viene legittimata dall�interesse pubblico di tutela della sanit�. Il divieto infatti si applica indiscriminatamente ed � diretto ad impedire alle imprese di distribuzione di promuovere, tramite le farmacie comunali, i medicinali dalle stesse commercializzati. Per (44) Si rileva che a sostegno della posizione della Repubblica italiana sono intervenuti: la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica di Lettonia, e la Repubblica austriaca. (45) La Commissione riteneva infatti che altre misure meno restrittive delle libert� sancite dagli articoli 43 TCE e 56 TCE, quali l�obbligo di presenza di un farmacista, l�obbligo di stipulare un�assicurazione o un sistema di controlli adeguati e di sanzioni efficaci avrebbe ben potuto assicurare la tutela della sanit� pubblica. (46) Cfr. paragrafo 7. (47) Cfr. paragrafo 5. La Corte, in sede di decisione, ha rilevato che la giurisprudenza � ormai costante nell�affermare che l�esistenza dell�inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che i mutamenti intervenuti in seguito non possono essere presi in considerazione dalla Corte. Su tale punto si rinvia a sentenza 30 gennaio 2002, causa C-103/00, Commissione/Grecia; sentenza 17 gennaio 2008, causa C-152/05, Commissione/Germania. E� pacifico che, alla data di scadenza del termine stabilito nel parere motivato, la normativa nazionale non consentiva alle imprese di distribuzione di acquisire una partecipazione nelle societ� di gestione delle farmacie comunali, in quanto il decreto Bersani � stato adottato solo dopo tale data. 86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 quanto riguarda le misure alternative ipotizzate dalla Commissione, la Repubblica italiana ha sostenuto che queste, essendo meno vincolanti, non risultano idonee a conseguire l�obiettivo di interesse pubblico con la stessa efficacia. La Corte di Giustizia ha interamente respinto il ricorso della Commissione nei confronti della Repubblica italiana sulla scorta delle seguenti considerazioni. Sebbene dall�articolo 152 n. 5 TCE (48) emerga che il diritto comunitario attribuisce agli Stati membri la competenza in materia di previdenza sociale e quindi anche i servizi sanitari quali le farmacie (49), si comprende che, nell�esercizio di tale competenza, non possono essere disattese le disposizioni del Trattato relative alle libert� di circolazione, compresa le libert� di stabilimento e di circolazione dei capitali. In ragione di ci� agli Stati membri � posto il divieto di introdurre o mantenere ingiustificate restrizioni all�esercizio di queste libert� nell�ambito delle cure sanitarie (50) . Se � vero che la Corte ha ravvisato nella normativa italiana sui farmacisti restrizioni ai sensi degli articoli 43 TCE (51) e 56 TCE (52), corre l�obbligo constatare che la normativa nazionale si applica senza discriminazioni basate sulla nazionalit� e che la tutela della sanit� pubblica figura tra i motivi imperativi di interesse pubblico che possono giustificare restrizioni alle libert� di circolazione garantite dal Trattato, quali la libert� di stabilimento e la libera circolazione dei capitali. La giustificazione alla base delle restrizioni a dette libert� consiste nel garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit� e la disposizione di esclusione dei non farmacisti appare congrua e adeguata a ci�. Quindi compete allo Stato membro adottare misure che riducano, per quanto possibile, il rischio per la sanit� pubblica (53), sia in termini di nocu- (48) Si fa riferimento anche al ventiseiesimo �considerando� della direttiva 2005/36 e alla giurisprudenza della Corte. L�articolo 152, n. 5 TCE afferma che �L'azione comunitaria nel settore della sanit� pubblica rispetta appieno le competenze degli Stati membri in materia di organizzazione e fornitura di servizi sanitari e assistenza medica. In particolare le misure di cui al paragrafo 4, lettera a) non pregiudicano le disposizioni nazionali sulla donazione e l'impiego medico di organi e sangue�. (49) E� riservata alla discrezionalit� degli Stati membri decidere il livello di garanzia di tutela della sanit� pubblica e il modo in cui questo livello deve essere raggiunto. Sentenze 11 dicembre 2003, causa C-322/01, Deutscher Apothekerverband e 11 settembre 2008, causa C-141/07, Commissione/Germania. (50) Cfr. sentenze 16 maggio 2006, causa C-372/04, Watts, nonch� 10 marzo 2009, causa C 169/07, Hartlauer. (51) La disciplina nazionale riserva la gestione delle farmacie ai soli farmacisti, impedendo agli altri operatori economici di accedere a questa attivit� autonoma. (52) Riguardo all�articolo 56 TCE, la normativa nazionale impedisce agli investitori non farmacisti di altri Stati membri di acquisire partecipazioni in questo tipo di societ�. Detto ci� possono sussistere per il diritto comunitario restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali che, se applicate senza discriminazioni basate sulla nazionalit� e giustificate da motivi imperativi di interesse pubblico, sono atte a garantire la realizzazione dello scopo perseguito e non vanno oltre quanto necessario al raggiungimento di tale scopo. Si vedano sentenze 23 ottobre 2007, causa C-112/05, Commissione/Germania, 6 dicembre 2007, cause riunite C-463/04 e C-464/04, Federconsumatori, 25 gennaio 2007, causa C-370/05. (53) Si veda sentenza 5 giugno 2007, causa C-170/04, Rosengren . IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 87 menti alla salute che di sprechi finanziari. Sul primo aspetto � pacifico che i medicinali, che si distinguono sostanzialmente dalle altre merci per i loro effetti terapeutici, se assunti senza necessit� o in modo sbagliato o in assenza di consapevolezza dal paziente possono recare danni alla persona senza tralasciare la circostanza che un consumo eccessivo o un uso sbagliato di medicinali comporta uno spreco di risorse finanziarie, tanto pi� grave se si considera che il settore farmaceutico genera costi considerevoli e deve rispondere a bisogni crescenti, a fronte di risorse finanziarie non illimitate (54). La Corte ha statuito che �Con riguardo a tali rischi per la sanit� pubblica e per l�equilibrio finanziario dei sistemi di sicurezza sociale, gli Stati membri possono sottoporre le persone che si occupano della distribuzione dei medicinali al dettaglio a condizioni severe, con riferimento in particolare alle modalit� di commercializzazione di questi ultimi e alla finalit� di lucro. In particolare, essi possono riservare la vendita di medicinali al dettaglio, in linea di principio, ai soli farmacisti, in considerazione delle garanzie che questi ultimi devono offrire e delle informazioni che essi devono essere in grado di dare al consumatore. Al riguardo, e tenuto conto della facolt� riconosciuta agli Stati membri di decidere il grado di tutela della sanit� pubblica, si deve ammettere che questi ultimi possano esigere che i medicinali vengano distribuiti da farmacisti che godano di un�effettiva indipendenza professionale. Essi possono altres� adottare misure idonee ad eliminare o ridurre il rischio che tale indipendenza sia compromessa, dal momento che ci� potrebbe pregiudicare il livello di sicurezza e la qualit� del rifornimento di medicinali alla popolazione�. Senza voler ribadire quanto esposto nei paragrafi precedenti, appare sufficiente ricordare che la Corte - dopo aver brevemente analizzato le forme di gestione del servizio farmaceutico, farmacia privata, gestione jure successionis e farmacia comunale - ha statuito che la normativa italiana ha lo scopo di garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit� e, pertanto, la tutela della sanit� pubblica. La finalit� di lucro del farmacista � quindi temperata dalla sua formazione, esperienza professionale e dalla responsabilit� ad esso incombente, considerato che un�eventuale violazione delle disposizioni normative o deontologiche comprometterebbe non soltanto il valore del suo investimento, ma altres� la propria vita professionale a differenza dei non farmacisti (55). Allo stesso modo anche le disposizioni nazionali sulla gestione delle farmacie comunali, in cui l�ente locale � titolare e beneficia (54) Sulle cure ospedaliere si rinvia alla sentenza 13 maggio 2003, causa C-385/99, M�ller-Faur� e van Riet. Al riguardo si rileva l�esistenza di un nesso diretto tra tali risorse finanziarie e gli utili di operatori economici attivi nel settore farmaceutico poich� la prescrizione di medicinali � presa in carico, nella maggior parte degli Stati membri, dagli organismi di assicurazione malattia interessati. (55) Lo Stato membro pu� ritenere discrezionalmente che la gestione di una farmacia da parte di un non farmacista costituisca un rischio per la sanit� pubblica, in particolare per la sicurezza e la qualit� della distribuzione dei medicinali al dettaglio. 88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 dello statuts di detentore di prerogative di potere pubblico, sono predisposte e finalizzate ad evitare che la gestione persegua solo scopi commerciali, a scapito delle esigenze della sanit� pubblica. Un ultimo cenno merita infine la risposta negativa della Corte sulla congruit� ed efficacia delle alternative misure ex post proposte dalla Commissione, in quanto, come si � avuto modo di spiegare, i rischi per l�indipendenza della professione di farmacista non possono essere esclusi, con la stessa efficacia, attraverso l�imposizione dell�obbligo di stipulare un�assicurazione per la responsabilit� civile derivante da fatto altrui (56). Alla luce di ci� si deve constatare che la normativa oggetto dell�inadempimento contestato � atta a assicurare la realizzazione dell�obiettivo volto a garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit� e, pertanto, la tutela della sanit� pubblica (57). 10. Conclusioni Un ulteriore capitolo della vicenda �europea� delle farmacie pubbliche e private � maturato proprio in questi giorni, quando gi� era stato predisposto il presente articolo: l�Avvocato Generale M. Poiares Maduro ha rassegnato le proprie conclusioni sulle cause pregiudiziali spagnole riunite C-570/07 e C- 571/07, sostenendo a) l�illegittimit� della normativa del Principato delle Asturie che privilegia il servizio svolto in una determinata localit� ai fini dell�assegnazione di una farmacia; b) l�illegittimit� �relativa� in mancanza di idonea giustificazione di pubblico generale interesse della normativa nazionale che fissa le cosidette piante organiche, nei minimi e nei massimi, delle farmacie; c) la rimessione al giudice nazionale e alla valutazione sul caso concreto della ragionevolezza e coerenza dei �limiti di distanza� tra un esercizio farmaceutico e l�altro. (56) Tale misura potrebbe permettere al paziente di ottenere un risarcimento finanziario per il danno da esso eventualmente subito, ma intervenendo a posteriori sarebbe meno efficace rispetto alla disposizione in oggetto, in quanto non impedirebbe in alcun modo al gestore interessato di esercitare un�influenza sui farmacisti stipendiati. (57) Tale conclusione non � rimessa in discussione dalla sentenza 21 aprile 2005, causa C-140/03, Commissione/Grecia, richiamata dalla Commissione, nella quale la Corte ha dichiarato che la Repubblica ellenica non ha adempiuto agli obblighi ad essa incombenti, ai sensi degli articoli 43 TCE e 48 TCE, adottando e mantenendo in vigore disposizioni nazionali che subordinano la possibilit� per una persona giuridica di aprire un negozio di ottica, in particolare, alla condizione che l�autorizzazione ad intraprendere e gestire l�attivit� di ottica sia rilasciata a nome di un ottico autorizzato, allo stesso tempo che la persona titolare dell�autorizzazione a gestire il negozio partecipi per almeno il 50% al capitale sociale, nonch� ai profitti e alle perdite. Tenuto conto del carattere particolare dei medicinali nonch� del loro mercato, e allo stato attuale del diritto comunitario, le considerazioni della Corte nella citata sentenza Commissione/Grecia non possono valere per il settore della distribuzione di medicinali al dettaglio. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 89 Come si vede, dopo l�accettazione del principio che le liberalizzazioni possono trovare legittimi ostacoli nelle legislazioni nazionali a tutela della salute pubblica, la giurisprudenza comunitaria si muove nell�ottica di fissare regole, limiti e principi anche nel settore dei servizi pubblici riservati e/o gestiti, secondo le legislazioni nazionali, in un�ottica di �non mercato�. La materia quindi nella sua complessit� si avvia solo ora a trovare un assetto definitivo. (All. 1) Corte costituzionale, sentenza 8-24 luglio 2003 n. 275 - Pres. Chieppa, Red. Maddalena - Giudizio di legittimit� costituzionale in via incidentale dell'art. 8, comma 1, lett. a), della legge 8 novembre 1991, n. 362 (Norme di riordino del settore farmaceutico), in relazione all'art. 9 della stessa legge [recte: della legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme concernenti il servizio farmaceutico)], promosso con ordinanza del 26 luglio 2002 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia sul ricorso proposto da Federfarma (Avv.ti Lorenzo Acquarone, Agostino Gambino e Massimo Luciani) ed altri contro il Comune di Milano (Avv.ti Luca Radicati di Brozolo ed Elisabetta D'Auria). (L'Avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri- AL 133399/02). Considerato in diritto 1. - Il TAR della Lombardia ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimit� costituzionale dell'art. 8, comma 1, lett. a), della legge 8 novembre 1991, n. 362 (Norme di riordino del settore farmaceutico), in relazione all'art. 9 della medesima legge [recte: della legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme concernenti il servizio farmaceutico)]. 2. - Ad avviso del remittente, la norma denunciata, al fine di evitare un conflitto di interessi, vieta a chi ha la gestione di una farmacia privata qualsiasi attivit� nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco, mentre non prevede analogo divieto per le farmacie comunali, alla cui gestione possono partecipare anche societ� operanti nel settore della produzione e commercializzazione del farmaco. Il giudice a quo assume il contrasto della disposizione censurata con i parametri invocati, in quanto del tutto irragionevole sarebbe la mancata estensione del suddetto divieto, posto a tutela dell'interesse generale alla salute, alla gestione delle farmacie comunali. 3. - In via preliminare, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilit� sollevate da alcune delle parti in causa. 3.1 - Va in primo luogo disattesa l'eccezione, sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, circa l'oscurit� del dispositivo dell'ordinanza di remissione, che, nel censurare l'art. 8, comma 1, lett. a), della legge n. 362 del 1991, �a sproposito� fa riferimento all'art. 9 della legge n. 362 del 1991. A ben vedere, infatti, � proprio la palese inconferenza della disposizione da ultimo citata a rendere evidente che il remittente � caduto in un mero errore materiale, in quanto dal contesto complessivo dell'ordinanza si evince chiaramente che il giudice a quo intendeva fare riferimento all'art. 9 della legge n. 475 del 1968. D'altra parte, � da sottolineare che l'indicazione di quest'ultimo articolo non appare affatto ne- 90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 cessaria ai fini della prospettazione della questione di legittimit� costituzionale, che, nella sostanza, si incentra esclusivamente sull'art. 8 della legge 362 del 1991. 3.2 - Da respingere � altres� l'eccezione, anch'essa sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, oltre che dalla GEHE Italia s.p.a., secondo la quale il remittente avrebbe prospettato la questione in termini ambigui e perplessi. Infatti, il giudice a quo, mira ad ottenere, attraverso la dichiarazione di incostituzionalit� della norma censurata, l'estensione alle societ� che prendono parte alla gestione delle farmacie comunali del divieto previsto per i farmacisti privati di partecipare all'attivit� di produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco. 3.3 - Sono da disattendere anche le ulteriori eccezioni sollevate dall'Avvocatura generale dello Stato e dalla GEHE Italia s.p.a., circa la insussistenza dei presupposti per una pronuncia della Corte di tipo additivo. La Corte, infatti, ben pu� estendere l'ambito di applicazione di una norma quando, in relazione al valore costituzionale tutelato, lo esiga, secondo il criterio della ragionevolezza, la ratio della norma stessa. 3.4 - Del pari sono infondate le eccezioni, anch'esse formulate dall'Avvocatura generale dello Stato e dalla GEHE Italia s.p.a., secondo cui il remittente si sarebbe immotivatamente discostato nell'interpretazione della disposizione denunciata dai discordanti precedenti del TAR della Lombardia e del Consiglio di Stato. � evidente, infatti, che il remittente non � necessariamente tenuto ad esplicitare le ragioni per le quali abbia ritenuto di discostarsi da isolati precedenti giurisprudenziali riguardanti fattispecie analoghe. 3.5 - Va infine disattesa la eccezione sollevata dal Comune di Milano secondo la quale la questione sarebbe inammissibile per irrilevanza. Infatti � fuor di dubbio che l'eventuale dichiarazione di incostituzionalit� della norma in questione determinerebbe riflessi diretti sui requisiti soggettivi dei partecipanti alla gara indetta dal Comune di Milano, influendo, per questa via, sull'esito della stessa. 4. - Nel merito la questione � fondata. Al riguardo appare opportuno accennare preliminarmente al quadro normativo di riferimento ed al correlato regime delle incompatibilit�. Nell'attuale sistema normativo, il servizio farmaceutico risulta fondamentalmente assicurato mediante la gestione delle farmacie private e comunali. La legge prevede che ogni Comune debba avere una pianta organica delle farmacie, nella quale deve essere indicato il numero, le singole sedi farmaceutiche e la zona di ciascuna di esse (art. 2 della legge n. 475 del 1968). Sulla base della pianta organica si realizza l'affidamento delle farmacie ai privati cittadini iscritti all'albo professionale dei farmacisti (art. 4 della legge n. 362 del 1991) o ai Comuni (art. 9, primo comma, della legge n. 475 del 1968). In particolare, l'art. 9 della legge n. 475 del 1968 prevede che la titolarit� delle farmacie che si rendano vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito della revisione della pianta organica pu� essere assunta per met� dal Comune. 5. - Per quanto riguarda le modalit� di gestione delle farmacie private, l'art. 7 della legge n. 362 del 1991 prevede che la titolarit� dell'esercizio della farmacia privata sia riservata a persone fisiche o a societ� di persone, nonch� alle societ� cooperative a responsabilit� limitata che gestivano farmacie anteriormente alla data di entrata in vigore della legge. Nel caso di gestione societaria, il medesimo art. 7 stabilisce che la direzione della farmacia sia affidata IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 91 ad uno dei soci che ne � responsabile. 6. - Quanto alle modalit� di gestione delle farmacie comunali, la normativa ha avuto nel corso del tempo una serie di modificazioni. In origine si � fatto ricorso allo strumento delle aziende speciali e delle gestioni in economia (come prevedeva il r.d. n. 2578 del 1925) ed in un secondo momento � stato introdotto lo strumento delle societ� di capitali a prevalente capitale pubblico (legge n. 142 del 1990). Al riguardo, il legislatore, dapprima ha previsto la possibilit� di costituire societ� per azioni tra il Comune ed i farmacisti che prestassero servizio presso la farmacia di cui il Comune avesse acquisito la titolarit� (art. 9 della legge n. 475 del 1968, come modificato dall'art. 10 della legge n. 362 del 1991) e successivamente, come sottolineato dal remittente, ha previsto la costituzione di societ� per azioni anche con prevalente capitale privato e senza predeterminazione legale dei soci (art. 116 del decreto legislativo n. 267 del 2000). 7. - Quanto al regime delle incompatibilit� per l'attivit� del singolo farmacista privato, deve anzitutto rilevarsi che queste sono state poste dal legislatore al fine di salvaguardare l'interesse pubblico al corretto svolgimento del servizio farmaceutico ed in ultima analisi alla salvaguardia del bene salute. Si tratta di norme che riguardano i settori della produzione, distribuzione ed intermediazione dei farmaci. Carattere di divieto generale ha l'art. 102 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie), secondo il quale �L'esercizio della farmacia non pu� essere cumulato con quello di altre professioni o arti sanitarie�. Si riferisce invece pi� propriamente al settore della produzione l'art. 144 del medesimo testo unico, nel quale si legge che ҏ vietato il cumulo della direzione di una farmacia con la direzione di una officina, a meno che non si tratti di una officina gi� autorizzata di propriet� del farmacista e in diretta comunicazione con la farmacia�. Riguarda poi il settore della distribuzione un'altra norma dello stesso testo unico, quella di cui all'art. 171, secondo il quale �il farmacista che riceva per s� o per altri danaro o altra utilit� ovvero ne accetti la promessa allo scopo di agevolare in qualsiasi modo la diffusione di specialit� medicinali�a danno di altri prodotti dei quali abbia pure accettato la vendita � punito con l'arresto fino ad un anno e con l'ammenda da � 206,58 a � 516,46�. Ed occorre in proposito ricordare che per il singolo farmacista dipendente delle farmacie comunali, l'art. 372 del citato r.d. n. 1265 del 1934 prevede che ai farmacisti addetti a tali farmacie si applica quanto previsto per i sanitari condotti dal predetto testo unico delle leggi sanitarie, il quale, all'art. 78, stabilisce l'incompatibilit� dell'ufficio di sanitario condotto con la professione di commerciante. Concerne infine il settore dell'intermediazione l'art. 13 della legge n. 475 del 1968, secondo il quale �il titolare di una farmacia ed il direttore responsabile�non possono�esercitare la professione di propagandista di prodotti medicinali�. 8. - Illuminante, nel descritto quadro normativo, appare il divieto di cui al citato art. 8 della legge n. 362 del 1991, secondo il quale la partecipazione a societ� di persone ed a societ� cooperative a responsabilit� limitata, che siano titolari dell'esercizio di una farmacia privata, � incompatibile �con qualsiasi altra attivit� esplicata nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco�. La formulazione usata, come � agevole osservare, risulta indicativa e comprensiva delle varie incompatibilit� che sopra si sono enumerate e che riguardano i singoli farmacisti. Di qui scaturisce chiara la ratio della norma: quella di rendere applicabile anche nei confronti 92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 dei partecipanti alle societ� di persone o alle societ� cooperative a responsabilit� limitata le incompatibilit� previste per i farmacisti persone fisiche titolari o gestori di farmacie, incompatibilit� che, come si � visto, sono disseminate in numerose disposizioni di legge. In questa prospettiva, come si nota, l'utilizzo di una formula onnicomprensiva per le incompatibilit� in questione, conferisce alla norma il valore di un principio generale applicabile a tutti i soggetti che, in forma singola o associata, siano titolari o gestori di farmacie. 9. - E deve pertanto riconoscersi che la mancata previsione per le farmacie comunali di un tale tipo di incompatibilit� appare del tutto irragionevole, specie ove si consideri che il divieto in questione � stato posto dal legislatore proprio al fine di evitare eventuali conflitti di interesse, che possano ripercuotersi negativamente sullo svolgimento del servizio farmaceutico e, quindi, sul diritto alla salute. Per tali ragioni, la norma censurata va dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che la partecipazione a societ� di gestione di farmacie comunali � incompatibile con qualsiasi altra attivit� nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione ed informazione scientifica del farmaco. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 8, comma 1, lett. a), della legge 8 novembre 1991, n. 362 (Norme di riordino del settore farmaceutico), nella parte in cui non prevede che la partecipazione a societ� di gestione di farmacie comunali � incompatibile con qualsiasi altra attivit� nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco. Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2003. (All.2) Circolare del Ministero della salute del 3 ottobre 2006, n. 3 Vendita di alcune tipologie di medicinali ad di fuori della farmacia: �applicazione dell�articolo 5, commi 1, 2, 3, 3 bis e 4 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248�. 1. Introduzione L�art. 5 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, recante �Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche� interventi in materia di entrate e di contrasto all�evasione fiscale�, entrato in vigore lo stesso 4 luglio, ha previsto la possibilita� di vendita di alcuni tipi di medicinali al di fuori delle farmacie. Nel testo modificato dalla legge di conversione (4 agosto 2006, n. 248, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2006, n. 186, S.O., entrata in vigore il giorno dopo la sua pubblicazione), il predetto articolo cos�� stabilisce, al comma 1: �Gli esercizi commerciali di cui all�art. 4, comma 1, lettere d), e) e f), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, possono effettuare attivita� di vendita al pubblico dei farmaci da banco IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 93 o di automedicazione, di cui all�art. 9-bis del decreto legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica, previa comunicazione al Ministero della salute e alla regione in cui ha sede l�esercizio e secondo le modalita� previste dal presente articolo. E� abrogata ogni norma incompatibile.�. Gli esercizi commerciali di cui all�art. 4, comma 1, lettere d), e) e f), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, sono i seguenti: i. esercizi di vicinato: aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq. nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti; ii. medie strutture di vendita: gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente e fino a 1.500 mq. nei comun con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti; iii. grandi strutture di vendita: gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente. Il corna 2 dell�art. 5 del decreto legge n. 223/2006 (sempre nel testo finale, risultante dalla legge di conversione) stabilisce che: �La vendita di cui al corna 1 e� consentita durante l�orario di apertura dell�esercizio commerciale e deve essere effettuata nell�ambito di un apposito reparto, alla presenza e con l�assistenza personale e diretta al cliente di uno o piu� farmacisti abilitati all�esercizio della professione ed iscritti al relativo ordine. Sono, comunque, vietati i concorsi, le operazioni a premio e le vendite sotto costo aventi ad oggetto farmaci.� Il comma 3 del medesimo articolo prevede che: �Ciascun distributore al dettaglio puo� determinare liberamente lo sconto sul prezzo indicato dal produttore o dal distributore sulla confezione del farmaco rientrante nelle categorie di cui al corna 1, purche� lo sconto sia esposto in modo leggibile e chiaro al consumatore e sia praticato a tutti gli acquirenti.�. 2. Prodotti che possono essere venduti negli esercizi diversi dalle farmacie Possono essere venduti i medicinali industriali, non soggetti a prescrizione medica, comprendenti: medicinali da banco o di automedicazione e i restanti medicinali non soggetti a prescrizione medica menzionati agli articoli 87, comma 1, lettera e) e all�art. 96 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, recante �attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonche� della direttiva 2003/94/CE�. Al momento alcuni farmaci industriali vendibili senza obbligo di ricetta medica, sono inseriti per tutte le loro indicazioni terapeutiche (Narcan, Sodio cloruro 0,9%, Glicerina fenica, Argento proteinato 0,5%, Acqua PPI), o per alcune patologia (Tautux, Siccaflud, Salvituss, Levotuss, Danka) in fascia A e quindi dispensati in farmacia a carico del Servizio sanitario nazionale. In attesa di una eventuale riclassificazione, si fa presente che anche tali farmaci possono essere venduti negli esercizi commerciali diversi dalle farmacie, ma non a carico del Servizio sanitario nazionale. Si ricorda, infatti, che le ricette del Servizio sanitario nazionale possono essere accettate esclusivamente dalle farmacie. Poiche� l�art. 5 del decreto legge n. 223/2006, come modificato dalla legge di conversione n. 94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 248/2006, non fa esplicito riferimento ai soli medicinali per uso umano, e� da ritenere che anche i medicinali per uso veterinario che possono essere acquistati senza ricetta medica rientrino nell�ambito di tale previsione normativa. Anche i prodotti omeopatici (che la normativa comunitaria ricomprende nella nozione di �medicinale�, come chiaramente precisato anche dal decreto legislativo n. 219/2006) possono essere venduti negli esercizi commerciali previsti dal predetto art. 5, quando sono classificati come medicinali vendibili senza presentazione di ricetta medica. Si fa presente, tuttavia, che al momento, in base ad una disciplina transitoria richiamata dall�art. 20 del predetto n. 219/2006, i medicinali omeopatici (per uso umano) vengono venduti in confezioni conformi a quelle esistenti sul mercato alla data del 6 giugno 1995 (si veda al riguardo l�art. 5 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 185, come modificato dall�art. 2 della legge 8 ottobre 1997, n. 347, dall�art. 5 della legge 14 ottobre 1999, n. 362, dal corna 32 dell�art. 85 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 e dal corna 12 dell�art. 52 della legge 27 dicembre 2002, n. 289). Per questi prodotti in disciplina transitoria non si rinvengono elementi normativi sul regime di fornitura. Anche tali prodotti, peraltro, se venduti finora nelle farmacie senza ricetta (eventualmente in base a una dicitura sulla confezione apposta dal produttore sotto la propria responsabilita), possono essere venduti negli esercizi commerciali previsti dal predetto art. 5, essendo evidente che il decreto legge n. 223/2006 ha inteso consentire la vendita in esercizi diversi dalla farmacia, alle condizioni indicate nello stesso decreto, di tutti i medicinali finora acquistabili esclusivamente in farmacia senza prescrizione medica. Si ricorda che per la provincia di Bolzano, e� fatta salva la vigente normativa in materia di bilinguismo e di uso della lingua italiana e tedesca per le etichette e gli stampati illustrativi delle specialita� medicinali (corna 3-bis del medesimo art. 5) La possibilita� di vendita in esercizi diversi dalle farmacie non riguarda, invece, le preparazioni medicinali non industriali. Infatti il decreto-legge, non prevedendo specifiche deroghe alle norme vigenti, non consente ne� alcuna preparazione farmaceutica, ne� la vendita di �formule officinali� anche qualora siano preparate in una farmacia aperta al pubblico e, per composizione, risultino vendibili senza ricetta medica. Si ricorda a tal riguardo che, come stabilito dall�art. 3, corna 1, lettera b) del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, per �formule officinali � si intendono medicinali preparati in farmacia in base alle indicazioni della Farmacopea europea o delle Farmacopee nazionali e destinati ad essere forniti direttamente ai pazienti della medesima farmacia. 3. Presenza del farmacista La presenza del farmacista deve essere garantita per tutto l�orario di apertura dell�esercizio commerciale. Anche se non e� tenuto a consegnare personalmente a tutti i clienti ogni singola confezione di medicinale, il farmacista e� obbligato ad una assistenza �attiva� al cliente, mediante consigli, ove richiesti, ma anche ove riscontri un�incertezza nel comportamento del cliente. E� opportuno che il farmacista indossi il distintivo professionale adottato dalla Federazione nazionale degli ordini dei farmacisti che riporta il caduceo. In ogni caso il farmacista deve distinguersi chiaramente da eventuale altro personale che lavori nell�apposito spazio. E� opportuno che il titolare dell�esercizio commerciale comunichi all�ordine dei farmacisti territorialmente competente le generalita� del farmacista o dei farmacisti che svolgono le attivita� di cui all�art. 5, comma 2, del decreto-legge n. 223/2006, provvedendo in seguito agli eventuali, IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 95 necessari aggiornamenti della comunicazione inviata. 4. Self service La norma contenuta nell�art. 9-bis del decreto legge 18 settembre 2001, n. 347, per la parte in cui stabilisce che �E� ammesso il libero e diretto accesso da parte dei cittadini ai medicinali di automedicazione in farmacia�, deve intendersi operante anche negli esercizi commerciali previsti nell�art. 5. Pertanto, nell�apposito reparto, il farmaco puo� essere prelevato direttamente dal paziente, fermo restando l�obbligo per il farmacista di rispondere ad eventuali richieste da parte dei pazienti e di attivarsi nel caso risultasse opportuno il proprio intervento professionale. 5. Apposito reparto Per �apposito reparto� deve intendersi uno spazio dedicato esclusivamente alla vendita e conservazione dei medicinali da banco o di automedicazione e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica. Tale spazio dedicato puo� assumere forme diverse in base al tipo di esercizio commerciale in cui ha luogo la vendita. Puo� trattarsi di un apposito corner oppure di un singolo scaffale o anche di una parte di uno scaffale, purche� gli spazi siano chiaramente separati in modo da escludere la commistione con altri tipi di prodotti. 6. Conservazione Devono essere rispettate tutte le norme in vigore in materia di conservazione dei farmaci, sianel locale di vendita che nell�eventuale magazzino annesso, ivi compresa la necessita� di stoccaggio separato da altri prodotti (anche nel caso in cui i medicinali debbano essere conservati in frigorifero) . Nella conservazione dei medicinali, sia nel punto vendita che nell�eventuale magazzino annesso, e� obbligatorio attenersi alle condizioni di conservazione (indicazione di temperatura e condizioni ambientali) riportate in etichetta per ciascun farmaco. Ove necessario, in base alle condizioni ambientali, puo� essere opportuno prevedere la climatizzazione dell�intero esercizio commerciale. Se sono richieste specifiche condizioni di temperatura, l�area di conservazione dei medicinali va equipaggiata, se necessario, con apparecchi idonei. Controlli adeguati assicurano che tutta l�area di conservazione pertinente e� mantenuta entro limiti di temperatura specificati. Si ritiene opportuno evidenziare che, per l�eventuale allestimento di un magazzino-deposito posto all�esterno dell�esercizio commerciale, destinato alla conservazione dei medicinali prima dell�avvio alla struttura o alle strutture di vendita, e� necessaria l�autorizzazione alla distribuzione all�ingrosso prevista dall�art. 100 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 (come modificato dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223). 7. Comunicazione di inizio attivita� Come gia� ricordato, il decreto legge subordina l�inizio dell�attivita� di vendita dei farmaci non soggetti a prescrizione medica in esercizi commerciali diversi dalle farmacie a una preventiva comunicazione al Ministero della salute a alla Regione in cui ha sede l�esercizio. Peraltro, tenuto conto che, a livello centrale, le attivita� di vendita dei medicinali interessano direttamente anche l�Agenzia italiana del farmaco, e� opportuno che la comunicazione inviata 96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 al Ministero della salute, priva degli allegati, sia trasmessa anche a tale agenzia. Poiche�, inoltre, la vigilanza sulla vendita al pubblico negli esercizi commerciali, ai sensi della normativa sul commercio, e� di competenza dei comuni, appare necessario, al fine di consentire l�espletamento delle relative funzioni amministrative in materia di commercio, che la comunicazione di avvio dell�attivita� di vendita dei farmaci sia inviata per conoscenza anche al Comune dove ha sede l�esercizio. Per evitare duplicazioni di attivita�, e� necessario che le modalita� di invio della comunicazione prevista dall�art. 5 siano inquadrate nelle disposizioni sulla tracciabilita� del farmaco. 8. Progetto tracciabilita� del farmaco Il decreto del Ministro della salute 15 luglio 2004 (Gazzetta Ufficiale n. 2, del 4 gennaio 2005) ha istituito presso l�Agenzia italiana del farmaco (AIFA) una banca dati centrale finalizzata a monitorare le confezioni dei medicinali all�interno del sistema distributivo (Progetto tracciabilita� del farmaco). Tale sistema di monitoraggio dei prodotti medicinali permettera� di localizzare in tempo reale la presenza di ogni singola confezione sul territorio nazionale e di tracciare i suoi percorsi nel sistema produttivo, distributivo e di smaltimento. L�utilizzo di questo sistema rafforza ed amplifica le misure di contrasto delle possibili frodi in danno della salute pubblica, del Servizio sanitario nazionale e dell�erario. Il corna 1 dell�art. 3 del medesimo decreto prevede che a ciascuno dei soggetti di cui all�art. 5-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 540, e successive modificazioni ed integrazioni, sia assegnato dal Ministero della salute un identificativo univoco da pubblicare sul sito internet del Ministero stesso. Pertanto, i soggetti giuridici titolari di siti logistici in Italia, che effettuano la distribuzione finale di farmaci ai sensi dell�art. 5 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, devono includere nella comunicazione di inizio attivita� i dati necessari all�assegnazione di detto identificativo univoco. Tale comunicazione, da effettuarsi utilizzando il facsimile disponibile sul sito internet del Ministero della salute (http://www.ministerosalute.it), nella sezione �Tracciabilita� del farmaco �, va inviata con raccomandata a/r al seguente indirizzo: Ministero della salute � Progetto �Tracciabilita� del farmaco� � Piazzale dell�Industria, 20 � 00144 Roma. Si evidenzia la necessita� di compilare tutti e tre gli allegati avendo cura di datare e firmare l�allegato 1 che costituisce la designazione della persona responsabile della comunicazione informatica. Tutti coloro che hanno gia� inviato la comunicazione di inizio attivita� al Ministero della salute sono tenuti ad inviare una nuova comunicazione, secondo le modalita� previste nella presente circolare, entro il 31 ottobre 2006. Il responsabile della comunicazione designato, a seguito della registrazione nell�area riservata del Nuovo sistema informativo sanitario (NSIS) con le modalita� disponibili sull�apposita sezione del sito internet del Ministero della salute, potra� provvedere, attraverso apposite funzioni web, all�inseriento dei dati riferiti ai siti logistici in modo da ottenere automaticamente l�identificativo univoco di ciascun sito logistico. Sul sito internet del Ministero della salute saranno pubblicati quotidianaMente gli identificativi univoci assegnati ai diversi siti logistici, al fine di renderli disponibili a tutti i soggetti interessati. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 97 Tenuto conto che, come gia� detto, le attivita� di vendita dei medicinali interessano anche l�Agenzia italiana del farmaco, la comunicazione inviata al Ministero della salute, priva degli allegati, deve essere trasmessa anche al seguente indirizzo: Agenzia italiana del farmaco � via della Sierra Nevada, 60 � 00144 Roma. Con le stesse modalita�, fatte salve eventuali istruzioni e richieste integrative diramate dalle regioni e dai comuni nell�ambito delle proprie competenze, tale comunicazione deve essere inviata anche alla regione e al comune in cui ha sede l�esercizio commerciale. Ai fini del corretto funzionamento dell�intero sistema, e� indispensabile comunicare tempestivamente, alle Autorita� sopra indicate, ogni variazione intervenuta nei dati inviati, nonche� la cessazione dell�attivita� di vendita. Anche il facsimile del modello di comunicazione della cessazione dell�attivita� e� disponibile sul sito internet del Ministero della salute (http://www.ministerosalute.it), nella sezione �Tracciabilita� del farmaco�. 9. Insegna Il legislatore non ha dato indicazioni sulle denominazioni che possono essere usate per individuare gli esercizi commerciali diversi dalle farmacie che vendono medicinali o il reparto �dedicato� all�interno dell�esercizio. In ogni caso non dovranno essere utilizzate denominazioni e simboli che possano indurre il cliente a ritenere che si tratti di una farmacia. Puo� essere consentito l�uso della denominazione �Parafarmacia�, considerato che il termine e� entrato nell�uso comune con riferimento ad esercizi diversi dalle farmacie in cui si vendono prodotti di interesse sanitario. Non si ravvisano ostacoli all�utilizzazione nel punto di vendita del simbolo riportato nel bollino di riconoscimento per i medicinali non soggetti a prescrizione medica (decreto ministeriale 1� febbraio 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 33, dell�8 febbraio 2002). 10. Pubblicita� Si ricorda che, ai sensi dell�art. 118 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, nessuna pubblicita� di medicinali presso il pubblico puo� essere effettuata senza autorizzazione del Ministero della salute. L�autorizzazione alla pubblicita� di un medicinale di autornedicazione puo� essere richiesta solo dal titolare dell�autorizzazione all�immissione in commercio; peraltro anche il titolare dell�esercizio commerciale e� responsabile della pubblicita� irregolare effettuata nel punto vendita (si ricorda che in base al corna 15 dell�art. 148 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, chiunque effettua pubblicita� presso il pubblico in violazione delle disposizioni del medesimo decreto legislativo e� soggetto alla sanzione amministrativa da duemilaseicento euro a quindicimilaseicento euro) 11. Altri riferimenti normativi di interesse La vendita di medicinali in esercizi commerciali diversi dalla farmacia comporta l�obbligo, per i titolari dei punti vendita e per i farmacisti che prestano la loro attivita� professionale nei medesimi, di rispettare la normativa vigente in materia di vendita al pubblico di medicinali. A questo riguardo si ritiene opportuno richiamare, innanzi tutto, l�attenzione sulle norme concernenti la farmacovigilanza, in particolare quanto previsto dall�art. 132 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219. Si ritiene importante ricordare che l�art. 443 del codice penale stabilisce che chiunque detiene 98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti e� punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire duecentomila (valore oggi, ovviamente, da calcolare in euro). Sanzioni penali sono previste dal decreto legislativo n. 219/2006 per altri comportamenti di particolare gravita�, quale ad esempio la vendita di medicinali privi di autorizzazione all�immissione in commercio. Si ritiene opportuno sottolineare che il titolare dell�esercizio commerciale puo� acquistare i medicinali solo da soggetti autorizzati che siano regolarmente registrati nel sistema della tracciabilita� del farmaco e quindi in possesso dello specifico identificativo univoco. Questi ultimi, a loro volta, sono tenuti a rifornire gli esercizi commerciali che hanno regolarmente comunicato l�inizio dell�attivita� a questo Ministero ai sensi dell�art. 5 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, essendo evidente l�intento del decreto legislativo n. 219/2006 (vedasi art. 105) di evitare che la non disponibilita� per il pubblico di un medicinale dipenda dalla mancata fornitura ai venditori al dettaglio. 12. Regime transitorio Con riferimento al paragrafo della presente circolare concernente la Comunicazione di inizio attivita� - Progetto di tracciabilita� del farmaco, si fa presente quanto segue. In sede di prima applicazione del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, i distributori autorizzati si sono trovati nella condizione di fornire i medicinali previsti dall�art. 5 del decreto legge citato, anche a titolari di esercizi commerciali diversi dalle farmacie sprovvisti dell�identificativo univoco che immette nel circuito della tracciabilita� del farmaco. A partire dal 1� gennaio 2007, i distributori potranno vendere i medicinali menzionati dal predetto art. 5 solo agli esercizi commerciali che, avendo regolarizzato la loro posizione con il Ministero della salute, saranno provvisti dell�identificativo univoco. Roma, 3 ottobre 2006 Il Ministro della salute: Turco (All. 3) Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 8 maggio 2007 n. 2118 - Pres. Iannotta, Rel. Russo - R. D.B. (Avv.ti Duchi, Paoletti, Cavallaro) c. A.S.L. L�Aquila e Gestione liquidatoria A.S.L. L�Aquila Legge 549/95 (n. c.) e nei confronti Regione Abruzzo, Farmacia F. (n.c.) - Riforma sentenza TAR Abruzzo - L�Aquila n. 435/02. (...Omissis) D I R I T T O L�appello � infondato e va, pertanto, respinto. L�appellante rivendica il riconoscimento del diritto all�indennit� di residenza, prevista dall�art.115 del T.U.LL.SS. di cui al R.D. 27.7.1934, n.1265, nella sua pretesa qualit� di titolare di farmacia rurale e si oppone, pertanto, agli atti impugnati con cui l�Azienda Unit� locale sanitaria n.4 dell�Aquila ha negato tale diritto, chiedendo, altres�, la restituzione delle somme a tale titolo erogate (�. 4.860.000) per i periodi 1� e 2� semestre 1993 e 1� semestre 1994. In proposito il TAR, dopo aver giustamente rilevato che l�indennit� in argomento com- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 99 pete ai titolari delle farmacie rurali ubicate in localit� con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti, ovvero al farmacista direttore responsabile che sostituisca il titolare nei casi consentiti, nonch� al farmacista che abbia la gestione provvisoria dell�esercizio (artt. 2 e 3 L. 8.3.1968, n.221 e art.1 L.R. 14.8.1981, n.28), ha correttamente chiarito che, quando la normativa discorre di titolare di farmacia, cui spetti l�indennit�, intende riferirsi al farmacista iscritto all�albo relativo e che conduce in concreto l�esercizio farmaceutico (cfr. art.7, comma 7�, L.8.11.1991, n.362). Nella specie, in tale condizione non versa la ricorrente, odierna appellante, la quale � subentrata, insieme ai di lei figli, nella titolarit� della farmacia jure successionis dal proprio marito, deceduto nel 1992, e ha dovuto conferire incarico lavorativo ad un farmacista sostituto che ha assunto la responsabilit� della gestione dell�esercizio e al quale, in tale veste, compete l�indennit� di residenza, in quanto in concreto gestisce la farmacia, in cui � tenuto a garantire la sua presenza. Contrariamente all�assunto dell�appellante, la gestione di una farmacia non pu� che essere curata da un soggetto in possesso del relativo diploma di laurea e della iscrizione al relativo albo. Ci� trova conferma proprio nella norma invocata dall�appellante, vale a dire l�art. 12 della L. 2.4.1968, n. 475, il quale stabilisce che �nel caso di morte del titolare gli eredi possono entro un anno effettuare il trapasso della titolarit� della farmacia �a favore di farmacista iscritto nell�albo professionale, che abbia conseguito la titolarit� o che sia risultato idoneo in un precedente concorso. Durante tale periodo gli eredi hanno diritto di continuare l�esercizio in via provvisoria sotto la responsabilit� di un direttore�. N� pu� sostenersi, come pure fa l�appellante, che l�indennit� in questione spetti al direttore responsabile che sostituisce il titolare �nei casi consentiti� (ex art.3 L. n. 221/1968), che sarebbero solo e tassativamente quelli di cui all�art. 11 L. n. 475/1968 (che contempla la possibilit� della sostituzione temporanea del titolare con altro farmacista iscritto all�Ordine nei casi d�infermit�, gravi motivi di famiglia, gravidanza, parto e allattamento, adozione di minori e affidamento familiare, servizio militare, chiamata a pubbliche funzioni elettive, ferie), in quanto, come correttamente rilevato dal Tribunale, in base ad una lettura logico-sistematica delle varie disposizioni in materia, non pu� che concludersi nel senso che tra �i casi consentiti� di sostituzione rientra anche quello del farmacista che assume la direzione di una farmacia acquisita da altri jure haereditatis. Per le ragioni che precedono l�appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata. Si ravvisano, tuttavia, giusti motivi per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese, competenze ed onorari del presente grado di giudizio. P. Q. M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e, per l�effetto, conferma la sentenza impugnata. 100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 (All. 4) Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo per la Regione Puglia, deliberazione 27 febbraio 2008 n. 3 - Pres. Grasso, Rel. Petrucci. Richiesta di parere formulata dal Sindaco del Comune di Bitonto. (Omissis...) La Sezione rileva che la richiesta di parere avente ad oggetto l�interpretazione e la concreta applicazione della recente normativa introdotta dall�art. 3 comma 27 e seguenti della L. 24/12/2007 n. 244 in materia di societ� partecipate da amministrazioni pubbliche possa inquadrarsi nella materia di contabilit� pubblica rilevato che, come gi� evidenziato da questa Sezione nelle deliberazioni n. 99/2006 e n. 65/2007, sugli equilibri di bilancio degli Enti locali finiscono per incidere direttamente i risultati degli organismi partecipati spesso destinatari di cospicui trasferimenti dagli Enti e che possono anche produrre eventuali utili o dividendi in favore dell�Ente partecipante. Inoltre, il risultato economico finale della gestione degli enti locali deve comprendere anche il risultato della gestione operativa che comprende i costi sostenuti ed i ricavi conseguiti dall�esercizio di attivit� esterne svolte attraverso aziende speciali o societ� partecipate. Il quesito attiene, pertanto, alla materia della contabilit� pubblica e presenta, inoltre, carattere generale ed astratto essendo rivolto all�interpretazione di specifica normativa. Passando all�esame del quesito, il Sindaco richiede se la nuova disciplina introdotta dall�art. 3, commi 27-32, della 24/12/2007 n. 244, recante la legge finanziaria per l�esercizio 2008, debba essere interpretata nel senso che impedisca al Comune di assumere, ai sensi dell�art. 9, comma 1, lett. d) della L. 02/04/1968 n. 475 come sostituito dall�art. 10 della L. 08/11/1991 n. 362, la gestione delle farmacie di cui l�Ente abbia la titolarit� mediante la costituzione di societ� di capitali. L�art. 3, comma 27, della legge finanziaria per il 2008 cos� dispone: �al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all�articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire societ� aventi per oggetto attivit� di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalit� istituzionali, n� assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza in tali societ�. E� sempre ammessa la costituzione di societ� che producono servizi di interesse generale e l�assunzione di partecipazioni in tali societ� da parte delle amministrazioni di cui all�articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell�ambito dei rispettivi livelli di competenza�. L�assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali deve essere autorizzata, secondo il disposto del comma 28, dall'Organo Consiliare con delibera motivata che accerti la sussistenza dei presupposti di cui al comma 27. La L. 244/2007 fissa, quindi, un termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge entro il quale le amministrazioni pubbliche devono cedere a terzi le societ� e le partecipazioni vietate ai sensi del comma 27. La novella legislativa in materia di societ� partecipate, tesa ad operare una riduzione del fenomeno della proliferazione di societ� pubbliche o miste considerato una delle cause dell�incremento della spesa pubblica degli enti locali, individua, pertanto, due tipologie di societ� partecipate espressamente consentite: societ� che svolgono attivit� strettamente necessarie alle finalit� istituzionali degli Enti e societ� che producono servizi di interesse generale. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 101 La richiesta di parere si incentra proprio sulla concreta qualificazione dell�attivit� di gestione delle farmacie comunali mediante l�utilizzo del modello societario previsto dal citato art. 9 della L. n. 475/1968 che consente ai comuni di ottenere, per met�, la titolarit� delle farmacie che si rendono vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito di revisione della pianta organica. La gestione di tali farmacie pu� avvenire in economia, a mezzo di aziende speciali o di consorzi tra comuni e mediante societ� di capitali. La Sezione ritiene che l�attivit� di gestione delle farmacie comunali costituisca esercizio di un pubblico servizio trattandosi, in particolare, di un�attivit� rivolta a fini sociali, secondo il disposto dell�art. 112 del D. Lgs. 18/08/2000 n. 267 che consente agli Enti locali, nell�ambito delle rispettive competenze, di provvedere alla gestione dei servizi pubblici che abbiano ad oggetto la produzione di beni ed attivit� rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunit� locali. Il concreto inquadramento della farmacia comunale tra le societ� che perseguono finalit� istituzionali dell�Ente o tra le societ� rivolte alla produzione di servizi di interesse generale � rimessa all�esclusiva valutazione dell�Organo Consiliare; tuttavia, ad avviso della Sezione, l�evidente connotazione delle farmacie comunali destinate a fornire un pubblico servizio in favore della collettivit� generale esclude che tale partecipazione possa ritenersi vietata. PQM Nelle su esposte considerazioni � il parere di questa Sezione Regionale di Controllo per la Puglia. (All. 5) Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Grande Sezione, sentenza 19 maggio 2009 nella causa C-531/06 - Ricorso per inadempimento della Commissione delle Comunit� europee/ Repubblica italiana. (Avvocato dello Stato G. Fiengo - AL 6524/07). �Inadempimento di uno Stato � Libert� di stabilimento � Libera circolazione dei capitali � Artt. 43 CE e 56 CE � Sanit� pubblica � Farmacie � Disposizioni che riservano ai soli farmacisti il diritto di gestire una farmacia � Giustificazione � Rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit� � Indipendenza professionale dei farmacisti � Imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici � Farmacie comunali� (Omissis... ) 41 Nel caso in esame si deve rilevare che la Commissione considera, nel suo ricorso, due fattispecie diverse che possono rientrare nell�ambito di applicazione della normativa nazionale di cui trattasi. Da un lato, la Commissione considera la situazione in cui tale normativa impedisce ai non farmacisti di detenere, in societ� di gestione di farmacie, partecipazioni rilevanti che conferiscano loro una sicura influenza sulle decisioni di queste ultime. Dall�altro, gli addebiti della Commissione riguardano la situazione in cui tale normativa impedisce ad investitori di altri Stati membri che non siano farmacisti di acquisire, in tali societ�, partecipazioni di minore rilevanza che non attribuiscono una tale influenza. 102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 42 La normativa nazionale dev�essere pertanto esaminata alla luce sia dell�art. 43 CE sia dell�art. 56 CE. � Sull�esistenza di restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali 43 Con riferimento all�art. 43 CE, risulta da una costante giurisprudenza che tale disposizione osta a qualsiasi provvedimento nazionale che, anche se si applica senza discriminazioni in base alla cittadinanza, possa ostacolare o scoraggiare l�esercizio, da parte dei cittadini comunitari, della libert� di stabilimento garantita dal Trattato (v., in particolare, sentenze 31 marzo 1993, causa C.19/92, Kraus, Racc. pag. I.1663, punto 32, e 14 ottobre 2004, causa C.299/02, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I.9761, punto 15). 44 Costituisce in particolare una restrizione ai sensi dell�art. 43 CE una normativa che subordina lo stabilimento, nello Stato membro ospitante, di un operatore economico di un altro Stato membro al rilascio di un�autorizzazione preventiva e che riserva l�esercizio di un�attivit� autonoma a taluni operatori economici che rispondono a esigenze predeterminate al cui rispetto � subordinato il rilascio di questa autorizzazione. Una siffatta normativa scoraggia, se non addirittura ostacola, operatori economici di altri Stati membri nell�esercizio, nello Stato membro ospitante, delle loro attivit� tramite un istituto di cura stabile (v., in tal senso, sentenza Hartlauer, cit., punti 34, 35 e 38). 45 La norma di esclusione dei non farmacisti costituisce una siffatta restrizione poich� riserva la gestione delle farmacie ai soli farmacisti, impedendo agli altri operatori economici di accedere a questa attivit� autonoma nello Stato membro interessato. 46 Riguardo all�art. 56 CE, si deve ricordare che devono essere qualificate come restrizioni, ai sensi del n. 1 di tale articolo, misure nazionali idonee a impedire o a limitare l�acquisizione di partecipazioni nelle imprese interessate o che possano dissuadere gli investitori degli altri Stati membri dall�investire nel capitale di queste ultime (v. sentenze 23 ottobre 2007, causa C.112/05, Commissione/Germania, Racc. pag. I.8995, punto 19, e 6 dicembre 2007, cause riunite C.463/04 e C.464/04, Federconsumatori e a., Racc. pag. I.10419, punto 21). 47 Nel caso di specie la normativa nazionale prevede che i soci di societ� di gestione di farmacie possano essere soltanto farmacisti. Tale normativa impedisce pertanto agli investitori di altri Stati membri che non sono farmacisti di acquisire partecipazioni in questo tipo di societ�. 48 Di conseguenza questa normativa introduce restrizioni ai sensi degli artt. 43 CE e 56, n. 1, CE. � Sulla giustificazione delle restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali 49 Le restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali, che siano applicabili senza discriminazioni basate sulla nazionalit�, possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse pubblico, a condizione che siano atte a garantire la realizzazione dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario al raggiungimento di tale scopo (v. sentenze 25 gennaio 2007, causa C.370/05, Festersen, Racc. pag. I.1129, punto 26, e Hartlauer, cit., punto 44). 50 Nella fattispecie si deve constatare, in primo luogo, che la normativa nazionale si applica senza discriminazioni basate sulla nazionalit�. 51 In secondo luogo, la tutela della sanit� pubblica figura tra i motivi imperativi di interesse pubblico che possono giustificare restrizioni alle libert� di circolazione garantite dal Trattato quali la libert� di stabilimento (v., in particolare, sentenza Hartlauer, cit., punto 46) e la libera IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 103 circolazione dei capitali. 52 Pi� precisamente, restrizioni a dette libert� di circolazione possono essere giustificate dallo scopo di garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit� (v., in tal senso, citate sentenze Deutscher Apothekerverband, punto 106, e 11 settembre 2008, Commissione/Germania, punto 47). 53 Si deve esaminare, in terzo luogo, se la disposizione di esclusione dei non farmacisti sia adeguata ad assicurare tale scopo. 54 Al riguardo occorre che, qualora sussistano incertezze circa l�esistenza o l�entit� dei rischi per la salute delle persone, lo Stato membro possa adottare misure di tutela senza dover aspettare che la concretezza di tali rischi sia pienamente dimostrata. Inoltre lo Stato membro pu� adottare misure che riducano, per quanto possibile, il rischio per la sanit� pubblica (v., in tal senso, sentenza 5 giugno 2007, causa C.170/04, Rosengren e a., Racc. pag. I.4071, punto 49), compreso, pi� precisamente, il rischio per il rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit�. 55 In tale contesto si deve sottolineare il carattere molto particolare dei medicinali, che si distinguono sostanzialmente dalle altre merci per i loro effetti terapeutici (v., in tal senso, sentenza 21 marzo 1991, causa C.369/88, Delattre, Racc. pag. I.1487, punto 54). 56 In ragione di tali effetti terapeutici, i medicinali possono nuocere gravemente alla salute se assunti senza necessit� o in modo sbagliato, senza che il paziente possa esserne consapevole al momento della loro somministrazione. 57 Un consumo eccessivo o un uso sbagliato di medicinali comporta inoltre uno spreco di risorse finanziarie, tanto pi� grave se si considera che il settore farmaceutico genera costi considerevoli e deve rispondere a bisogni crescenti, mentre le risorse finanziarie che possono essere destinate alla sanit�, qualunque sia il modo di finanziamento utilizzato, non sono illimitate (v., per analogia, riguardo alle cure ospedaliere, sentenze 13 maggio 2003, causa C.385/99, M�ller-Faur� e van Riet, Racc. pag. I.4509, punto 80, nonch� Watts, cit., punto 109). Al riguardo si deve rilevare che esiste un nesso diretto tra tali risorse finanziarie e gli utili di operatori economici attivi nel settore farmaceutico poich� la prescrizione di medicinali � presa in carico, nella maggior parte degli Stati membri, dagli organismi di assicurazione malattia interessati. 58 Con riguardo a tali rischi per la sanit� pubblica e per l�equilibrio finanziario dei sistemi di sicurezza sociale, gli Stati membri possono sottoporre le persone che si occupano della distribuzione dei medicinali al dettaglio a condizioni severe, con riferimento in particolare alle modalit� di commercializzazione di questi ultimi e alla finalit� di lucro. In particolare, essi possono riservare la vendita di medicinali al dettaglio, in linea di principio, ai soli farmacisti, in considerazione delle garanzie che questi ultimi devono offrire e delle informazioni che essi devono essere in grado di dare al consumatore (v., in tal senso, sentenza Delattre, cit., punto 56). 59 Al riguardo, e tenuto conto della facolt� riconosciuta agli Stati membri di decidere il grado di tutela della sanit� pubblica, si deve ammettere che questi ultimi possano esigere che i medicinali vengano distribuiti da farmacisti che godano di un�effettiva indipendenza professionale. Essi possono altres� adottare misure idonee ad eliminare o ridurre il rischio che tale indipendenza sia compromessa, dal momento che ci� potrebbe pregiudicare il livello di sicurezza e la qualit� del rifornimento di medicinali alla popolazione. 60 In tale contesto si devono distinguere tre categorie di potenziali gestori di farmacia, vale a dire la categoria delle persone fisiche che rivestono la qualit� di farmacisti, quella delle 104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 persone operanti nel settore dei prodotti farmaceutici quali produttori o grossisti, e quella delle persone che non hanno la qualit� di farmacisti n� svolgono un�attivit� in detto settore. 61 Riguardo al gestore che possiede la qualit� di farmacista, non si pu� negare che esso persegua, come altre persone, una finalit� di lucro. Tuttavia, in quanto farmacista di professione, si ritiene che quest�ultimo gestisca la farmacia in base non ad un obiettivo meramente economico, ma altres� in un�ottica professionale. Il suo interesse privato, connesso alla finalit� di lucro, viene quindi temperato dalla sua formazione, dalla sua esperienza professionale e dalla responsabilit� ad esso incombente, considerato che un�eventuale violazione delle disposizioni normative o deontologiche comprometterebbe non soltanto il valore del suo investimento, ma altres� la propria vita professionale. 62 A differenza dei farmacisti, i non farmacisti non hanno, per definizione, una formazione, un�esperienza e una responsabilit� equivalenti a quelle dei farmacisti. Pertanto si deve constatare che essi non forniscono le stesse garanzie fornite dai farmacisti. 63 Di conseguenza uno Stato membro pu� ritenere, nell�ambito del suo margine di discrezionalit� richiamato al punto 36 della presente sentenza, che la gestione di una farmacia da parte di un non farmacista, a differenza della gestione affidata ad un farmacista, possa rappresentare un rischio per la sanit� pubblica, in particolare per la sicurezza e la qualit� della distribuzione dei medicinali al dettaglio, poich� la finalit� di lucro, nell�ambito di una siffatta gestione, non incontra elementi temperanti quali quelli, ricordati al punto 61 della presente sentenza, che caratterizzano l�attivit� dei farmacisti (v., per analogia, riguardo alla prestazione di servizi di assistenza sociale, sentenza 17 giugno 1997, causa C.70/95, Sodemare e a., Racc. pag. I.3395, punto 32). 64 Uno Stato membro pu� pertanto, in particolare, nell�ambito di detto margine di discrezionalit�, valutare se un tale rischio esista con riferimento ai produttori e ai commercianti all�ingrosso di prodotti farmaceutici, per il motivo che questi ultimi potrebbero pregiudicare l�indipendenza dei farmacisti stipendiati incitandoli a promuovere i medicinali da essi stessi prodotti o commercializzati. Del pari, uno Stato membro pu� valutare il rischio che i gestori non farmacisti compromettano l�indipendenza dei farmacisti stipendiati, incitandoli a smerciare medicinali il cui stoccaggio non sia pi� redditizio, o procedano a riduzioni di spese di funzionamento che possono incidere sulle modalit� di distribuzione al dettaglio dei medicinali. 65 In subordine, la Commissione sostiene che, nel caso di specie, la disposizione di esclusione dei non farmacisti non pu� essere giustificata dall�interesse pubblico, per l�incoerenza del modo in cui tale obiettivo � perseguito. 66 Al riguardo, risulta dalla giurisprudenza della Corte che una normativa nazionale � idonea a garantire la realizzazione dell�obiettivo addotto solo se risponde realmente all�intento di raggiungerlo in modo coerente e sistematico (v. sentenze 6 marzo 2007, cause riunite C.338/04, C.359/04 e C.360/04, Placanica e a., Racc. pag. I.1891, punti 53 e 58; 17 luglio 2008, causa C.500/06, Corporaci�n Dermoest�tica, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 39 e 40, nonch� Hartlauer, cit., punto 55). 67 In questo contesto si deve rilevare che la normativa nazionale non esclude in modo assoluto la gestione di farmacie da parte di soggetti non farmacisti. 68 Infatti l�art. 7, nn. 9 e 10, della legge n. 362/1991 prevede, eccezionalmente, che gli eredi di un farmacista che non possiedono essi stessi la qualit� di farmacisti possano gestire la farmacia ereditata per un periodo di uno, tre o dieci anni secondo la situazione personale degli eredi. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 105 69 Tuttavia la Commissione non ha dimostrato che tale eccezione renderebbe la normativa nazionale incoerente. 70 Anzitutto, quest�ultima si rivela giustificata riguardo alla tutela dei diritti e degli interessi patrimoniali legittimi dei familiari del farmacista deceduto. Al riguardo si deve constatare che gli Stati membri possono considerare che gli interessi degli eredi di un farmacista non siano tali da rimettere in discussione le esigenze e le garanzie derivanti dai loro rispettivi ordinamenti giuridici, cui i gestori che hanno la qualit� di farmacisti devono rispondere. In tale contesto si deve soprattutto prendere in considerazione la circostanza che la farmacia ereditata deve essere gestita, per tutto il periodo transitorio, sotto la responsabilit� di un farmacista laureato. Pertanto, gli eredi non possono, in tale concreto contesto, essere assimilati ad altri gestori che non possiedono la qualit� di farmacisti. 71 Si deve inoltre rilevare che detta eccezione ha soltanto effetti temporanei. Infatti gli eredi devono effettuare, di regola, il trasferimento dei diritti di gestione della farmacia ad un farmacista nel termine di un solo anno. Soltanto nel caso di una partecipazione ad una societ� di gestione di una farmacia costituita da farmacisti gli aventi diritto dispongono di un termine pi� lungo per la sua cessione, poich� quest�ultimo � di tre anni a decorrere dall�acquisto di tale partecipazione. 72 Tali eccezioni sono quindi volte a consentire agli aventi diritto di cedere la farmacia ad un farmacista entro un termine che non risulta irragionevole. 73 Infine, anche se l�art. 7, nn. 9 e 10, della legge n. 362/1991 consente ad alcuni eredi un termine di dieci anni per la cessione della farmacia, termine che potrebbe rivelarsi irragionevole, si deve rilevare che, tenuto conto del suo campo di applicazione particolarmente ristretto, limitato al caso in cui l�avente causa sia il coniuge ovvero l�erede in linea retta entro il secondo grado del farmacista deceduto e al fatto che tale avente causa deve iscriversi, entro un anno dalla data di acquisizione della farmacia, ad una facolt� di farmacia in qualit� di studente, tale disposizione non potrebbe essere sufficiente a concludere che la normativa nazionale in parola � incoerente. 74 La Commissione non ha neppure dimostrato che la normativa nazionale � incoerente nel consentire a taluni non farmacisti di gestire farmacie comunali, dal momento che prevede la possibilit� per i comuni di costituire, per la gestione di queste farmacie, societ� per azioni i cui soci non sono necessariamente farmacisti. 75 Anzitutto, non vi sono elementi agli atti che permettano di affermare che i comuni, che beneficiano dello statuts di detentori di prerogative di potere pubblico, rischiano di lasciarsi guidare da uno scopo commerciale particolare e di gestire farmacie comunali a scapito delle esigenze della sanit� pubblica. 76 Inoltre la Commissione non ha contestato gli elementi, sottoposti alla Corte dalla Repubblica italiana, volti a dimostrare che i comuni hanno estesi poteri di controllo sulle societ� incaricate della gestione delle farmacie comunali e che tali poteri permettono loro di salvaguardare il perseguimento dell�interesse pubblico. 77 Secondo queste indicazioni, il comune interessato resta titolare di tali farmacie, definisce le modalit� concrete della gestione in esse del servizio farmaceutico e bandisce una gara di appalto per scegliere il socio della societ� incaricata della gestione della farmacia, fermo restando che le disposizioni dirette ad assicurare il rispetto di tali modalit� sono inserite sia nel bando di gara di appalto, sia negli strumenti contrattuali che disciplinano i rapporti giuridici tra il comune e la societ� interessata. 78 Risulta inoltre dalle indicazioni non contestate della Repubblica italiana che il comune 106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 conserva la competenza a designare uno o pi� amministratori e revisori contabili della societ� incaricata della gestione della farmacia comunale e partecipa cos� all�elaborazione delle decisioni e al controllo interno delle attivit� di quest�ultima. Le persone in tal modo designate hanno il potere di controllare che detta farmacia comunale persegua sistematicamente l�interesse pubblico e di evitare che l�indipendenza professionale dei farmacisti stipendiati venga compromessa. 79 Infine, secondo queste stesse indicazioni, il comune interessato non rimane privato della possibilit� di modificare o sciogliere il rapporto giuridico con la societ� incaricata della gestione della farmacia comunale al fine di realizzare una politica commerciale che ottimizzi il perseguimento dell�interesse pubblico. 80 Di conseguenza, in assenza di elementi di prova sufficienti da parte della Commissione, la normativa nazionale riguardante le farmacie comunali non pu� essere considerata incoerente. 81 Tenuto conto di quanto precede, si deve constatare che la normativa oggetto dell�inadempimento contestato � atta a garantire la realizzazione dell�obiettivo volto ad assicurare un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit� e, pertanto, la tutela della sanit� pubblica. 82 In quarto luogo, si deve esaminare se le restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali vadano oltre quanto necessario al fine di raggiungere detto obiettivo, vale a dire se non esistano misure meno restrittive delle libert� garantite dagli artt. 43 CE e 56 CE che consentano di raggiungerlo in modo altrettanto efficace. 83 Al riguardo la Commissione sostiene che detto obiettivo potrebbe essere raggiunto da misure meno restrittive, quali l�obbligo di presenza di un farmacista nella farmacia, l�obbligo di stipulare un�assicurazione o un sistema di controlli adeguati e di sanzioni efficaci. 84 Tuttavia, tenuto conto del margine di discrezionalit� lasciato agli Stati membri, ricordato al punto 36 della presente sentenza, uno Stato membro pu� ritenere sussistente il rischio che le disposizioni normative dirette a garantire l�indipendenza professionale dei farmacisti non vengano in realt� osservate, tenuto conto che l�interesse di un non farmacista alla realizzazione di utili non sarebbe temperato come quello dei farmacisti indipendenti e che la subordinazione dei farmacisti, quali dipendenti stipendiati, ad un gestore potrebbe rendere difficile per essi opporsi alle istruzioni fornite da quest�ultimo. 85 Orbene, la Commissione non ha presentato, al di fuori di considerazioni generali, alcun elemento atto a dimostrare quale sia il sistema concreto idoneo a garantire, con la stessa efficacia della disposizione preventiva di esclusione dei non farmacisti, che dette disposizioni normative vengano effettivamente osservate nonostante le considerazioni enunciate al punto precedente della presente sentenza. 86 Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, i rischi per l�indipendenza della professione di farmacista non possono neppure essere esclusi, con la stessa efficacia, attraverso l�imposizione dell�obbligo di stipulare un�assicurazione, quale l�assicurazione della responsabilit� civile per fatto altrui. Infatti, anche se tale misura potrebbe permettere al paziente di ottenere un risarcimento finanziario per il danno da esso eventualmente sub�to, essa interviene a posteriori e sarebbe meno efficace rispetto a detta disposizione nel senso che non impedirebbe in alcun modo al gestore interessato di esercitare un�influenza sui farmacisti stipendiati. 87 Pertanto, non � accertato che una misura meno restrittiva delle libert� garantite dagli artt. 43 CE e 56 CE, diversa dalla disposizione di esclusione dei non farmacisti, permetterebbe IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 107 di garantire, in modo altrettanto efficace, il livello di sicurezza e di qualit� di rifornimento di medicinali alla popolazione che risulta dall�applicazione di tale disposizione. 88 Di conseguenza, la normativa nazionale risulta idonea a garantire la realizzazione dell�obiettivo da essa perseguito e non va oltre quanto necessario per raggiungerlo. Pertanto si deve ammettere che le restrizioni derivanti da tale normativa possono essere giustificate da questo obiettivo. 89 Tale conclusione non � rimessa in discussione dalla sentenza 21 aprile 2005, causa C.140/03, Commissione/Grecia (Racc. pag. I.3177), richiamata dalla Commissione, nella quale la Corte ha dichiarato che la Repubblica ellenica non ha adempiuto agli obblighi ad essa incombenti, ai sensi degli artt. 43 CE e 48 CE, adottando e mantenendo in vigore disposizioni nazionali che subordinano la possibilit� per una persona giuridica di aprire un negozio di ottica, in particolare, alla condizione che l�autorizzazione ad aprire e gestire il negozio di ottica sia rilasciata a nome di un ottico autorizzato, persona fisica, e che la persona titolare dell�autorizzazione a gestire il negozio partecipi per almeno il 50% al capitale sociale, nonch� ai profitti e alle perdite. 90 Tenuto conto del carattere particolare dei prodotti medicinali nonch� del loro mercato, e allo stato attuale del diritto comunitario, le considerazioni della Corte nella citata sentenza Commissione/Grecia non sono trasponibili nel settore della distribuzione di medicinali al dettaglio. Infatti, a differenza dei prodotti ottici, i medicinali prescritti o utilizzati per ragioni terapeutiche possono, malgrado tutto, rivelarsi gravemente nocivi per la salute se assunti senza necessit� o in modo sbagliato, senza che il paziente possa esserne consapevole al momento della loro somministrazione. Inoltre, una vendita di medicinali che non sia giustificata dal punto di vista medico comporta uno spreco di risorse pubbliche finanziarie non comparabile a quello risultante da vendite ingiustificate di prodotti ottici. 91 Alla luce di quanto precede, il primo motivo del ricorso deve essere respinto in quanto infondato. Sul secondo motivo Argomenti delle parti 92 Con il secondo motivo la Commissione sostiene che il regime delle farmacie comunali viola gli artt. 43 CE e 56 CE. � vero che, da un lato, tale regime consentirebbe a soggetti non farmacisti di gestire, a talune condizioni, farmacie comunali, dal momento che prevede la possibilit� di costituire, per la loro gestione, societ� per azioni i cui soci non sono necessariamente farmacisti. Tuttavia, dall�altro, la normativa nazionale impedirebbe alle imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici di acquisire partecipazioni in queste societ�, laddove una siffatta restrizione non pu� in alcun modo essere giustificata dagli obiettivi connessi alla tutela della sanit� pubblica. 93 Infatti, in primo luogo, una normativa del genere non sarebbe adeguata al raggiungimento di tali obiettivi. Da un lato, essa si fonderebbe su un�errata presunzione secondo la quale un�impresa di distribuzione sarebbe maggiormente indotta, nella gestione di una farmacia comunale, a privilegiare il proprio interesse personale a scapito dell�interesse pubblico rispetto a persone non operanti nel settore della distribuzione farmaceutica. 94 Dall�altro lato, detta normativa sarebbe incoerente, in quanto ammette deroghe di considerevole portata. In particolare, una persona potrebbe associarsi ad un�impresa di distribuzione e, ci� nonostante, gestire una farmacia comunale, a condizione che non occupi in quest�impresa una posizione cui siano connessi poteri di decisione e controllo. 95 In secondo luogo, il divieto per le imprese di distribuzione di acquisire una partecipa- 108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 zione nelle farmacie comunali non sarebbe necessario, poich� l�obiettivo invocato potrebbe essere raggiunto con altre misure meno restrittive, quali l�obbligo di presenza di un farmacista nella farmacia, l�obbligo di stipulare un�assicurazione o la realizzazione di un sistema di controlli adeguati e di sanzioni efficaci. 96 La Repubblica italiana controbatte rilevando che il secondo motivo sarebbe privo di fondamento, in quanto il decreto Bersani avrebbe soppresso il divieto per le imprese di distribuzione di acquisire partecipazioni nelle farmacie comunali. 97 In ogni caso, un siffatto divieto non violerebbe l�art. 43 CE, in quanto potrebbe essere giustificato dall�interesse pubblico di tutela della sanit� pubblica. Tale divieto si applicherebbe indiscriminatamente e sarebbe diretto, infatti, ad impedire alle imprese di distribuzione di promuovere, tramite le farmacie comunali, i medicinali da esse commercializzati. Orbene, altre misure meno vincolanti non raggiungerebbero questo obiettivo di interesse pubblico con la stessa efficacia. Giudizio della Corte 98 Riguardo, anzitutto, all�argomento della Repubblica italiana relativo all�adozione del decreto Bersani, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l�esistenza di un inadempimento dev�essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che i mutamenti intervenuti in seguito non possono essere presi in considerazione dalla Corte (v., in particolare, sentenze 30 gennaio 2002, causa C.103/00, Commissione/Grecia, Racc. pag. I.1147, punto 23, e 17 gennaio 2008, causa C.152/05, Commissione/Germania, Racc. pag. I.39, punto 15). 99 Nel caso di specie � pacifico che, alla data di scadenza del termine stabilito nel parere motivato, la normativa nazionale non consentiva alle imprese di distribuzione di acquisire una partecipazione nelle societ� di gestione delle farmacie comunali, in quanto il decreto Bersani � stato adottato solo dopo tale data. 100 Si deve inoltre constatare che la normativa nazionale, considerata la giurisprudenza citata ai punti 43 e 46 della presente sentenza, comporta restrizioni ai sensi degli artt. 43 CE e 56 CE. Infatti essa impedisce a taluni operatori economici, ossia quelli che esercitano un�attivit� di distribuzione di prodotti farmaceutici, di svolgere contemporaneamente un�attivit� nell�ambito di farmacie comunali. Del pari, una tale normativa impedisce ad investitori provenienti da Stati membri diversi dalla Repubblica italiana, costituiti da imprese di distribuzione, di acquisire partecipazioni in determinate societ�, vale a dire quelle cui � stata affidata la gestione di farmacie comunali. 101 Con riferimento all�eventuale giustificazione di tali restrizioni, si deve anzitutto rilevare che la normativa nazionale si applica senza discriminazioni relative alla nazionalit� e che essa persegue l�obiettivo di assicurare un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit�. 102 Inoltre questa normativa � idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo. In primo luogo, come risulta dai punti 62-64 della presente sentenza, uno Stato membro pu� considerare che le imprese di distribuzione sono in grado di esercitare una certa pressione sui farmacisti stipendiati allo scopo di privilegiare l�interesse consistente nella realizzazione di utili. 103 In secondo luogo, tenuto conto delle considerazioni enunciate in questi stessi punti della presente sentenza, lo Stato membro interessato pu� ritenere, nell�ambito del suo margine di discrezionalit�, che i poteri di controllo dei comuni sulle societ� cui � affidata la gestione delle farmacie comunali non siano adeguati ad evitare l�influenza delle imprese di distribuzione sui farmacisti stipendiati. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 109 104 In terzo luogo, si deve rilevare che la Commissione non ha fornito elementi concreti e precisi in base ai quali la Corte potrebbe concludere che la normativa indicata nel secondo motivo � incoerente rispetto ad altre disposizioni nazionali, come quella che consente ad una persona di associarsi ad un�impresa di distribuzione nonch� ad una societ� cui � affidata la gestione di una farmacia comunale, a condizione che essa non occupi nella prima impresa una posizione cui siano connessi poteri di decisione e di controllo. 105 Infine, riguardo al carattere necessario della normativa nazionale, si deve constatare che, come enunciato ai punti 84-86 della presente sentenza, uno Stato membro pu� considerare esistente il rischio che disposizioni normative dirette a garantire l�indipendenza professionale dei farmacisti possano, nella pratica, essere violate o eluse. Del pari, i rischi per la sicurezza e la qualit� del rifornimento di medicinali alla popolazione non possono essere esclusi, con la stessa efficacia, attraverso l�imposizione dell�obbligo di stipulare un�assicurazione, in quanto un siffatto strumento non impedirebbe necessariamente al gestore interessato di esercitare un�influenza sui farmacisti stipendiati. (...Omissis) (All. 6) Corte di Giustizia delle Comunit� europee, conclusioni dell�Avvocato Generale M. Poiares Maduro presentate il 30 settembre 2009 (1) nelle cause riunite C-570/07 e C-571/07 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal Superior de Justicia de Asturias (Spagna) - Ricorrenti Jos� Manuel Blanco P�rez e Mar�a del Pilar Chao G�mez - (Avvocato dello Stato G. Fiengo - AL 16694/08). 1. Non � nuovo il timore che i farmacisti in cerca di guadagni possano compromettere i loro obblighi professionali. � un problema che risale almeno ai tempi di Romeo e Giulietta di Shakespeare, quando Romeo convinceva un �povero diavolo� di speziale a vendergli il veleno con questi versi: �Sulle tue guance si legge la fame, negli occhi t�agonizza la miseria ed il bisogno; porti appesi al collo visibilmente il disprezzo del prossimo e la pi� misera pezzenteria; il mondo non tՏ amico, n� ti fu mai amica la sua legge; il mondo non ha legge che faccia ricco uno come te. Allora, perch� vuoi restare povero? Infrangila, la legge, e prendi questo!� (2). 1 � Lingua originale: l�inglese. 2 � William Shakespeare, Romeo e Giulietta, atto V, scena prima. 110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 2. Per riprendere i versi di Shakespeare, potremmo dire che il nodo della presente controversia � in che misura per garantire la qualit� dei servizi farmaceutici si debba prevedere l�arricchimento di alcuni farmacisti. Le autorit� asturiane, nonch� quelle di altri Stati membri con normative analoghe, giustificano infatti le proprie regole che limitano l�apertura di nuove farmacie essenzialmente con la necessit� di salvaguardare i giusti incentivi economici affinch� la fornitura di servizi farmaceutici avvenga nella maniera pi� ampia e migliore possibile. A loro avviso, ci� richiede, da un lato, una protezione delle farmacie esistenti dai �pericoli� della concorrenza e, dall�altro, uno stimolo per i farmacisti a orientarsi verso zone meno redditizie, ottenuto limitando l�accesso a quelle pi� redditizie. Non dubito che le condizioni economiche in cui viene fornito un servizio possano influire sulla fornitura del servizio stesso. Gli Stati possono legittimamente fondare le proprie normative su tali preoccupazioni laddove esse siano strumentali al perseguimento di un fine pubblico come quello della tutela della salute pubblica. Per contro, gli Stati non possono limitarsi semplicemente a invocare tale nesso eventuale per giustificare qualsiasi regime. Le leggi che concedono vantaggi economici speciali ad alcuni operatori economici rispetto ad altri devono essere sottoposte a un�accurata verifica. La questione di cui si discute nel caso di specie non si presta ad una soluzione semplice. Da un lato, la tutela della salute umana � di primaria importanza e la Corte � tenuta a rispettare le decisioni degli Stati membri in questo complesso settore. Dall�altro, � compito di codesto giudice porre rimedio a situazioni in cui le attivit� politiche locali siano state indotte a fornire vantaggi economici a determinati cittadini a discapito, tra l�altro, di cittadini di altri Stati membri. A tale compito non � possibile rinunciare solo perch� una controversia solleva questioni di salute pubblica. Invero, la necessit� dell�intervento di un arbitro imparziale � maggiore laddove gli interessi in gioco riguardano non solo un vantaggio economico, ma anche la salute umana. Conseguentemente, in risposta alle questioni sottoposte nella fattispecie, cercher� di ponderare gli interessi contrapposti sia adeguandomi alle valutazioni politiche degli Stati membri, sia esaminandone attentamente le modalit� di attuazione, alla ricerca di eventuali segnali di uno sviamento politico alla luce dei requisiti di unit� e coerenza sviluppati nella giurisprudenza della Corte relativamente alla normativa nazionale che ostacola la libera circolazione. I � Contesto fattuale e giuridico 3. I ricorrenti nelle presenti cause sono entrambi cittadini spagnoli, farmacisti laureati ma non autorizzati ad aprire una farmacia e con un�esperienza pluriennale di esercizio della professione presso farmacie veterinarie. Poich� intendono gestire una farmacia propria, essi chiedono alla Comunit� autonoma delle Asturie, in Spagna, l�autorizzazione per aprire una nuova farmacia. L�autorizzazione viene loro negata con decisione del Ministero della salute e dei servizi sanitari del Principato delle Asturie, adottata in data 14 giugno 2002. Detta decisione � stata confermata dal Consiglio di governo delle Asturie il 10 ottobre 2002. I ricorrenti hanno impugnato la suddetta decisione dinanzi al Tribunal Superior de Justicia de Asturias. 4. Le decisioni delle autorit� asturiane si basano sul decreto 19 luglio 2001, n. 72/01 che disciplina le farmacie e i servizi farmaceutici nel Principato delle Asturie e che istituisce un regime di autorizzazioni che comprende alcune restrizioni all�apertura di farmacie nella suddetta Comunit� autonoma, nonch� un regime che regola la concessione di licenze mediante concorso. I ricorrenti sostengono che questo decreto violi il loro diritto alla libert� di stabilimento sancito dall�art. 43 CE. Visti i dubbi sulla legittimit� del decreto ai sensi del diritto IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 111 comunitario, il giudice nazionale ha sottoposto le due seguenti questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia: �Se l�art. 43 CE osti a quanto stabilito agli artt. 2-4 del decreto del Principato delle Asturie 19 luglio 2001, n. 72, sull�apertura e l�esercizio di farmacie e dispensari, nonch� ai punti 4, 6 e 7 dell�allegato a tale decreto� (Causa C.570/07)� e �Se l�art. 43 CE osti alle disposizioni normative della Comunit� autonoma del Principato delle Asturie in materia di autorizzazione all�apertura di farmacie� (Causa C.571/07)�. 5. Come sopra osservato, la normativa impugnata prevede restrizioni all�apertura di nuove farmacie e stabilisce criteri per selezionare i candidati a un concorso per l�assegnazione di licenze di apertura di nuove farmacie. Le limitazioni pi� importanti consistono in una restrizione in termini quantitativi, che definisce il numero di farmacie in una data area facendo riferimento alla relativa popolazione, e nel limite geografico che impedisce l�apertura di una farmacia a meno di 250 metri da un�altra. Le disposizioni specifiche sono le seguenti: �Articolo 2. Rapporto numero di farmacie/abitanti 1. Per ogni zona farmaceutica il numero delle farmacie � stabilito in modo che vi sia una farmacia ogni 2 800 abitanti. Quando tale rapporto � superato, una nuova farmacia pu� essere aperta per la frazione superiore a 2 000 abitanti. 2. In tutte le zone base del sistema sanitario e in tutte le entit� municipali pu� essere istituita almeno una farmacia. Articolo 3. Computo della popolazione Ai fini del presente decreto la popolazione � computata sulla base dei dati risultanti dall�ultimo censimento comunale. Articolo 4. Distanze minime 1. La distanza tra le farmacie non pu�, di norma, essere inferiore a 250 metri, in qualunque zona farmaceutica esse siano ubicate. 2. La distanza di 250 metri andr� osservata anche rispetto ai presidi sanitari delle zone farmaceutiche, sia pubblici sia privati convenzionati per l�assistenza extraospedaliera o ospedaliera, dotati di ambulatori o di Pronto soccorso, gi� in funzione o in costruzione. Non valgono distanze minime tra i presidi sanitari nelle zone farmaceutiche con un�unica farmacia n� nelle localit� dove esiste attualmente un�unica farmacia e nelle quali, considerate le caratteristiche del luogo, non � da prevedere l�apertura di nuove farmacie. Nell�uno come nell�altro caso occorre indicare le ragioni per l�inosservanza delle distanze minime da un presidio sanitario� (3). 6. La normativa stabilisce diversi criteri per selezionare i candidati alle licenze. All�esperienza professionale e scolastica viene assegnato un punteggio in base a una molteplicit� di criteri. In caso di esperienza professionale maturata in centri con meno di 2 800 abitanti, viene attribuito un punteggio pi� elevato rispetto ad altri tipi di attivit�. La legge prevede altres� quanto segue: �1. Il possesso dei requisiti e dei titoli stabiliti dalla presente Tabella deve essere formalmente certificato dall�Amministrazione o dalla persona competente. 2. L�esperienza professionale e scolastica viene calcolata in mesi interi, anche se i periodi di attivit� sono discontinui. Periodi discontinui possono essere cumulati, per gruppi di 21 3 - Decreto 72/01. 112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 giorni o di 168 ore equivalenti ad un mese, fino al raggiungimento di tale minimo. Nel caso di lavoro a orario ridotto, i meriti per esperienza professionale sono presi in conto come sopra, in proporzione al numero di ore previste per il lavoro a tempo pieno 3. Una sola attivit� professionale viene presa in considerazione per uno stesso periodo, salvo trattarsi di due attivit� a orario ridotto. 4. Non vengono presi in considerazione l�esperienza di farmacista titolare o contitolare di farmacia n� altri titoli di merito allorch� sono gi� valsi ad ottenere un�autorizzazione all�installazione. 5. Sono considerati rispettivamente per il 50%, e poi sommati tra loro, i punteggi assegnati ai titoli dei candidati alla contitolarit� di una farmacia, ove i contitolari siano solo due. In caso di pi� contitolari, sono considerati per il 50% e poi sommati tra loro solo i punteggi assegnati ai titoli dei due candidati col punteggio, rispettivamente, pi� alto e pi� basso. 6. Il punteggio per meriti professionali attribuito per l�attivit� svolta nel territorio del Principato delle Asturie � maggiorato del 20%. 7. Nel caso in cui, in applicazione della presente Tabella, si ottenga parit� di punteggio, le autorizzazioni sono rilasciate secondo il seguente ordine di priorit�: a) i farmacisti che non sono stati titolari di farmacia. b) i farmacisti che sono stati titolari di farmacie in zone farmaceutiche o in comuni con meno di 2 800 abitanti. c) i farmacisti che abbiano svolto attivit� professionale nel Principato delle Asturie. d) i farmacisti con pi� titoli accademici� (4). II � Analisi A � Ricevibilit� 7. Alcune parti sostengono l�irricevibilit� della presente causa in quanto i ricorrenti sono cittadini spagnoli che impugnano normative spagnole. Tuttavia, la Corte si � costantemente pronunciata a favore della ricevibilit� di tale tipologia di cause (5). Spetta esclusivamente al giudice nazionale valutare la necessit� di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza (6). La Corte fornisce l�interpretazione richiesta salvo che non risulti evidente la mancanza di relazione di quest�ultima con la causa a qua (7). Il giudice nazionale pu� necessitare dell�interpretazione richiesta del diritto comunitario anche se gli elementi di fatto in questione sono puramente interni, poich� �una risposta siffatta potrebbe essergli utile nell�ipotesi in cui il proprio diritto nazionale imporrebbe, in un procedimento come quello del caso di specie, di agire in modo che un produttore nazionale fruisca degli stessi diritti di cui godrebbe in base al diritto comunitario, nella medesima situazione, un produttore di un altro Stato membro� (8). Come ho gi� avuto modo di chiarire, ritengo che questa 4 � Allegato: Tabella dei criteri di selezione per l�accesso alla titolarit� di una farmacia. 5 � Sentenze 5 dicembre 2000, causa C-448/98, Guimont (Racc. pag. I.10663, punto 23); 5 marzo 2002, cause riunite C.515/99, da C.519/99 a C.524/99 e da C.526/99 a C.540/99, Reisch e a. (Racc. pag. I.2157, punto 26); 11 settembre 2003, causa C.6/01, Anomar e a. (Racc. pag. I.8621, punto 41); 30 marzo 2006, causa C.451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti (Racc. pag. I.2941, punto 29); 5 dicembre 2006, cause riunite C.94/04 e C.202/04, Cipolla e a. (Racc. pag. I.11421, punto 30), e 31 gennaio 2008, causa C.380/05, Centro Europa 7 (Racc. pag. I.349, punto 69 6 � V., per esempio, Centro Europa 7 (punto 52). 7 � Sentenza Centro Europa 7 (punto 53) 8 � Sentenza Guimont (punto 23). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 113 tesi sia avallata dallo spirito di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte di giustizia e dall�esigenza di evitare situazioni in cui l�applicazione congiunta della legge nazionale e del diritto comunitario determinino un trattamento sfavorevole dei propri cittadini da parte di uno Stato membro (9). Pertanto, la Corte dovrebbe fornire l�interpretazione richiesta dell�art. 43 CE nel caso di specie. B � Sull�esistenza di una restrizione alla libert� di stabilimento 8. Il diritto comunitario non incide sulla competenza degli Stati membri ad impostare i loro sistemi sanitari e di previdenza sociale (10). Sebbene le farmacie siano imprese commerciali, costituiscono anch�esse parte del sistema sanitario. Pertanto, gli Stati membri possono adottare, in particolare, norme destinate all�organizzazione di farmacie � cos� come fanno per altri servizi sanitari (11) � in quanto ci� rientra nella loro competenza ad impostare di tali sistemi. 9. Nondimeno, gli Stati membri sono tenuti ad esercitare la propria competenza in quest�ambito nel rispetto delle libert� garantite dal Trattato, tra cui figura la libert� di stabilimento (12). La giurisprudenza della Corte ha chiarito che ogni provvedimento nazionale che possa ostacolare o scoraggiare l�esercizio, da parte dei cittadini comunitari, della libert� di stabilimento garantita dal Trattato costituisce un�interferenza con i diritti garantiti dall�art. 43, pur se applicabile senza discriminazioni in base alla cittadinanza (13). 10. L�interferenza con le libert� fondamentali spesso si manifesta come un freno all�accesso al mercato nazionale, che deriva da provvedimenti posti a tutela delle quote di mercato di operatori gi� esistenti sul mercato nazionale (14). Costituisce una restrizione una previa autorizzazione che riserva l�esercizio di un�attivit� a taluni operatori economici che soddisfano requisiti predeterminati (15). Pi� in dettaglio, �qualora una disciplina nazionale subordini l�esercizio di un�attivit� ad una condizione connessa al fabbisogno economico o sociale di tale attivit�, essa costituisce una restrizione in quanto mira a limitare il numero dei prestatori di servizi� (16). Ci� detto, � stato ritenuto che la normativa nazionale che consentiva l�apertura di nuovi ambulatori dentistici autonomi solo qualora le autorit� locali avessero riscontrato una necessit� che giustificava l�apertura di nuovi ambulatori limitasse il diritto alla libert� di stabilimento (17). Siffatte limitazioni sono analoghe a quelle che sono state ritenute costituire un ostacolo alla libera circolazione delle merci in quanto intese a tutelare le posizioni di operatori economici esistenti, impedendo in tal modo l�accesso al mercato nazionale ai prodotti 9 � V. mie conclusioni nella causa Centro Europa 7 (paragrafo 30). 10 � Sentenze 19 marzo 2009, cause riunite C.171/07 e C.172/07, Apothekerkammer des Saarlandes e a., (Racc. pag. I.0000, punto 18), e 11 settembre 2008, causa C.141/07, Commissione/Germania (Racc. pag. I.6935, punto 22). 11 � Sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 18) e causa Commissione/Germania( punto 22) 12 � Sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 18) e causa C.141/07, Commissione/Germania (punti 22 e 23). 13 � Sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 22), e 10 marzo 2009, causa C.169/07, Hartlauer (Racc. pag. I.0000, punto 33). 14 � V. le mie conclusioni in Cipolla e a., paragrafo 59. 15 � Sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 23); Hartlauer (punto 34) e 6 marzo 2007, cause riunite C.338/04, C.359/04 e C.360/04, Placanica e a. (Racc. pag. I.1891, punto 42). 16 � Sentenza Hartlauer (punto 36). 17 � Sentenza Hartlauer (punto 39). 114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 provenienti da altri Stati membri (18). 11. Applicando i suddetti modelli alle norme di cui si discute nel caso di specie, le quali subordinano l�apertura di nuove farmacie unicamente alla loro ubicazione e al numero di abitanti della zona di riferimento, risulta chiaramente che dette norme costituiscono una limitazione alla libert� di stabilimento. Tali condizioni consentono l�apertura di nuove farmacie solo in presenza di previa autorizzazione, che viene concessa unicamente dietro il soddisfacimento dei requisiti relativi all�ubicazione e al numero di abitanti. In effetti, esse sono del tutto simili alla condizione trattata nella sentenza Hartlauer, che imponeva di dimostrare una necessit� che giustificasse l�apertura di un nuovo ambulatorio. Qualora le autorit� nazionali ritengano che il numero di abitanti non sia sufficiente per giustificare la necessit� di una nuova farmacia, quest�ultima non potr� essere aperta. Congelando l�accesso al mercato, i provvedimenti in questione hanno l�effetto di impedire l�apertura di una nuova farmacia nelle Asturie a coloro che intendono farlo e, quindi, impediscono l�apertura di farmacie da parte di cittadini di altri Stati membri. C � Se una tale restrizione possa essere giustificata 12. Dimostrare che la normativa nazionale limita la libert� di stabilimento � solo la prima fase della nostra indagine. Questi provvedimenti nazionali possono essere giustificati se soddisfano i seguenti quattro requisiti: �applicazione non discriminatoria, giustificazione per motivi imperativi di interesse pubblico, idoneit� a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e limitazione a quanto necessario per il raggiungimento di questo� (19). 1. Applicazione non discriminatoria 13. Le disposizioni principali del decreto, ossia i requisiti riguardanti il numero di abitanti e la distanza minima, non sono discriminatorie e si applicano in egual misura a tutti i farmacisti (20). Ci� vale anche per i criteri stabiliti dalle autorit� asturiane in merito alla valutazione dei candidati nei concorsi per ottenere l�autorizzazione ad aprire una farmacia, i quali attribuiscono pi� punti ai farmacisti che hanno svolto l�attivit� in zone scarsamente servite (21). In linea di principio, tutti i farmacisti, a prescindere dal luogo di provenienza, hanno pari possibilit� di beneficiare di questa disposizione. 14. Tuttavia, i criteri che attribuiscono ulteriore priorit� ai concorrenti che hanno svolto l�attivit� di farmacista nelle Asturie (22) costituiscono un�inammissibile discriminazione in base alla cittadinanza. Ci� � vero anche se, come nel caso della disposizione che favorisce i farmacisti che provengono da zone meno servite, essa non richiama apertamente il paese di origine e un farmacista di un altro Stato membro che lavora nelle Asturie potrebbe trarre vantaggio dalla suddetta disposizione; questo perch� essa considera l�esperienza maturata nelle Asturie di valore maggiore rispetto alla stessa esperienza in altri Stati membri (23). Siffatto 18 � V., su questo punto, le mie conclusioni nelle cause riunite C.158/04 e C.159/04, Alfa Vita Vassilopoulos e Carrefour.Marinopoulos (Racc. pag. I.8135, paragrafo 47). 19 � Sentenza 30 novembre 1995, causa C.55/94, Gebhard (Racc. pag. I.4165). V. anche sentenza 21 aprile 2005, causa C.140/03, Commissione/Grecia (Ottici) (Racc. pag. I.3177). 20 � V., per esempio, sentenza C.141/07, Commissione/Germania (punto 33). 21 � V. punto 7, lett. b), dell�Allegato al decreto n. 72/01. 22 � V. punti 6 e 7, lett. c), dell�Allegato al decreto n. 72/01. 23 � V. sentenza Gebhard (punto 38). Si noti, altres�, che il vantaggio fornito ai farmacisti con esperienza maturata nelle Asturie non � connesso all�obiettivo di promuovere lo stabilimento in zone meno popolate, giacch� esso viene attribuito a tutti i farmacisti stabiliti nelle Asturie, a prescindere dal fatto che essi ab- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 115 criterio non pu� essere giustificato in base alla giurisprudenza della Corte, giacch� l�attribuzione di pari valore alle qualifiche conseguite in altri Stati membri � un elemento cruciale per la libera circolazione. 15. Tale conclusione non viene confutata dal fatto che anche i farmacisti spagnoli non provenienti dalle Asturie sono sfavoriti da questa politica. La Corte ha indicato chiaramente che per dimostrare la presenza di discriminazione �[n]on � infatti necessario che tutte le imprese di uno Stato membro siano avvantaggiate rispetto alle imprese straniere: � sufficiente che il regime preferenziale instaurato favorisca un prestatore nazionale� (24). Il riconoscimento di una priorit� da parte delle autorit� asturiane a coloro che hanno esercitato la professione nelle Asturie sfavorisce chiaramente i farmacisti che non provengono dal Principato, compresi quelli di altri Stati membri, nonch� i farmacisti asturiani che hanno scelto di esercitare la loro libert� di stabilimento in altri Stati membri. (25) Siffatta politica costituisce una restrizione discriminatoria alla libert� di stabilimento, che � vietata dal Trattato. 16. Conseguentemente, nella valutazione delle altre condizioni che devono essere soddisfatte affinch� la normativa nazionale sia giustificata, limiter� la mia analisi agli elementi non discriminatori della suddetta normativa. 2. Obiettivo di interesse pubblico 17. L�obiettivo di interesse pubblico perseguito dalle restrizioni geografiche e da quelle sul numero di abitanti � quello di tutelare la salute pubblica fornendo servizi farmaceutici di qualit� ovunque nel territorio delle Asturie. La tutela della salute pubblica � indubbiamente un motivo imperativo di interesse generale (26). Numerosi argomenti delle parti ruotano attorno alla questione su quale sia il migliore approccio per tutelare la salute pubblica e � in particolare nel caso di specie � per ottenere, a livello territoriale, la pi� vasta assistenza farmaceutica di qualit�: quello che agevola l�apertura di nuove farmacie e promuove al contempo la concorrenza tra loro o quello che limita l�apertura di nuove farmacie in zone pi� popolate per limitare la concorrenza e favorirne l�apertura in zone meno popolate del paese. Le parti adducono elementi di prova in conflitto tra loro, tra cui l�esperienza maturata in Stati membri diversi, per dimostrare che l�approccio da esse preferito � il migliore per la tutela della salute pubblica. 18. Su tale questione ritengo sia sufficiente osservare che ogni Stato membro gode di discrezionalit� nell�organizzare il proprio sistema di protezione della salute pubblica e la Corte � tenuta a rispettare la scelta dello Stato membro (27). Ci� � particolarmente vero quando l�assenza di consenso politico � corroborata dall�esistenza di importanti differenze tra le politiche condotte dagli Stati membri. Il fatto che uno Stato membro imponga norme meno severe di quelle imposte da un altro Stato membro o attribuisca priorit� ad un interesse rispetto biano o meno contribuito a tale obiettivo essendosi previamente stabiliti in zone meno popolate di tale regione. 24 � Sentenze C.141/07, Commissione/Germania (punto 38), e 25 luglio 1991, causa C.353/89, Commissione/ Paesi Bassi (Mediawet) (Racc. pag. I.4069, punto 25). 25 � V. sentenze 6 dicembre 2007, causa C.456/05, Commissione/Germania (Racc. pag. I.10517, punto 58); 7 maggio 1991, causa C.340/89, Vlassopoulou (Racc. pag. I.2357), e 14 settembre 2000, causa C.238/98, Hocsman (Racc. pag. I.6623). 26 � Sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 27); Hartlauer (punto 46) e C.141/07, Commissione/ Germania (punti 46 e 47). 27 � V. sentenza Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 19). 116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 ad un altro non significa che l�uno o l�altro insieme di norme sia incompatibile con il diritto comunitario (28). La Corte ha inoltre espressamente riconosciuto che la pianificazione di servizi medici, e in particolare la loro distribuzione nel territorio dello Stato, rientra nell�ambito della suddetta discrezionalit� (29). Quando si � occupata di prodotti e servizi farmaceutici, la Corte ha stabilito che la fissazione dei prezzi (30) e la limitazione della concorrenza (31) costituiscono tecniche possibili per raggiungere gli anzidetti obiettivi di salute pubblica. 19. Sebbene obiettivi di natura puramente economica non possano giustificare la restrizione delle libert� fondamentali (32), essi possono essere giustificati se necessari al buon funzionamento, dal punto di vista finanziario, del sistema sanitario (33). In particolare, �interessi di ordine economico che hanno lo scopo di mantenere un servizio medico ed ospedaliero equilibrato e accessibile a tutti� possono rappresentare un giusto interesse pubblico. Ci� pu� comprendere la pianificazione della �ripartizione geografica, [dell�]organizzazione e [del]le attrezzature di cui [tali servizi] sono dotat[i], o ancora la natura dei servizi medici che ess[i] sono in grado di fornire devono poter formare oggetto di una pianificazione, la quale, da un lato, risponde in linea di massima all�obiettivo di assicurare, nel territorio dello Stato membro interessato, la possibilit� di un accesso sufficiente e permanente ad una gamma equilibrata di cure ospedaliere di qualit� e, dall�altro, � espressione della volont� di garantire un controllo dei costi e di evitare, per quanto possibile, ogni spreco di risorse finanziarie, tecniche e umane� (34). Pertanto, concludo che assicurare una distribuzione di farmacie in tutto il territorio dovrebbe essere considerato un requisito imperativo di interesse generale e che lo Stato membro non � tenuto a utilizzare lo strumento della libera concorrenza per cercare di garantire servizi farmaceutici di qualit�. 3. Se il decreto sia idoneo al conseguimento degli obiettivi enunciati e non vada oltre quanto necessario per raggiungerli. 20. Sebbene debba essere tenuta in debita considerazione la valutazione delle autorit� legislative e regolamentari nazionali, la cui maggiore prossimit� alle situazioni locali e alla conoscenza specialistica le colloca nella posizione ottimale per individuare il modo migliore di soddisfare gli obiettivi delle politiche pubbliche come quello della tutela della salute pubblica, attenersi al giudizio di tali organismi non � privo di rischi (35). Questa stessa prossimit� potrebbe altres� creare situazioni in cui tali organismi costituiscano oggetto di uno �sviamento regolamentare� da parte degli interessi particolari dominanti in quella zona a discapito degli interessi dei consumatori e di potenziali concorrenti nazionali ed esteri. Esiste un particolare motivo di preoccupazione in un caso quale la presente fattispecie, ove la scelta politica compiuta dal governo locale assicura vantaggi economici a operatori gi� stabiliti a discapito di nuovi operatori. 21. � proprio a tal riguardo che si pu� comprendere l�accresciuta importanza che il requisito 28 � Sentenza 11 luglio 2002, causa C.294/00, Gr�bner (Racc. pag. I.6515, punto 46). 29 � Sentenza C.141/07, Commissione/Germania (punto 61). 30 � Sentenza 11 dicembre 2003, causa C-322/01, Deutscher Apothekerverband (Racc. pag. I.14887, punto 122). 31 � Causa C.141/07, Commissione/Germania (punto 59). 32 � V. nota 29 supra. 33 � Sentenza 13 maggio 2003, causa C.385/99, M�ller.Faur� e van Riet (Racc. pag. I.4509, punto 73). 34 � Causa C.141/07, Commissione/Germania (punti 60 e 61). 35 � V. sentenza Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punto 19). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 117 di unit� e coerenza ha assunto nella giurisprudenza della Corte in sede di riesame delle modalit� con cui la normativa nazionale persegue i propri obiettivi dichiarati. Il requisito di unit� e coerenza prevede che �una normativa nazionale � atta a garantire la realizzazione dell�obiettivo fatto valere solo qualora risponda effettivamente all�intento di realizzarlo in modo coerente e sistematico� (36). Esso consente alla Corte di distinguere tra una normativa che persegue realmente un fine pubblico legittimo e una normativa che, in origine, avrebbe anche potuto avere quale scopo quello del perseguimento di tale obiettivo, ma che � stata deviata da determinati interessi particolari. Si pu� affermare al riguardo che si tratta di un requisito a tutela dell�integrit� dell�iter legislativo e regolamentare e della responsabilit� politica vera e propria. A mio avviso, questo requisito svolge un ruolo fondamentale nella valutazione che dev�essere effettuata nella fattispecie. 22. Nella sentenza Hartlauer, la Corte ha dunque accolto la tesi dello Stato, secondo cui potrebbe essere necessario limitare il numero di studi medici al fine di mantenere un sistema medico efficiente. Tuttavia, essa ha osservato che la normativa non rifletteva realmente la preoccupazione di conseguire tale obiettivo, in quanto ambulatori autonomi e studi associati possono avere un impatto identico e solo i primi rientravano nella previsione normativa. Analogamente, anche se la Corte non ha contestato che i limiti alla pubblicit� televisiva per prodotti medico-chirurgici potrebbero essere giustificati da motivi connessi alla salute pubblica, essa ha osservato che la specifica normativa discussa nella causa Corporaci�n Dermoest�tica non era giustificata poich� si applicava a emittenti televisive nazionali ma non a quelle locali (37). Per contro, ritenendo giustificata la legge tedesca che prevede che le farmacie debbano essere gestite da farmacisti e che gli ospedali provvedano all�approvvigionamento di medicinali solo presso farmacie locali, la Corte si � pronunciata basandosi sostanzialmente sulla presunta unit� e coerenza delle disposizioni (38). 23. La Corte ha applicato la stessa tecnica ad altri settori sensibili. Nell�ambito del gioco d�azzardo, per esempio, essa ha ritenuto che taluni limiti rigorosi imposti al numero delle licenze di gioco d�azzardo concesse da uno Stato fossero giustificati solo se coerenti rispetto all�obiettivo dichiarato di ridurre l�attivit� criminale e fraudolenta, incanalando i giocatori verso attivit� autorizzate (39). La Corte ha dichiarato che la legge non soddisferebbe tale requisito se il numero di licenze fissato fosse cos� esiguo che gli operatori autorizzati non costituirebbero un�alternativa attraente rispetto a quelli non autorizzati (40). 24. Occorre pertanto valutare la misura in cui la normativa promuove effettivamente, in maniera costante e coerente, gli obiettivi che lo Stato membro ha addotto per giustificarla. Due giustificazioni principali sono fornite a sostegno delle restrizioni. Innanzitutto si sostiene che limitare l�accesso al mercato garantisce la presenza di servizi farmaceutici di qualit�. In secondo luogo si sostiene che le limitazioni fondate sul numero di abitanti e sulla zona geografica garantiscono a tutti l�accesso alle farmacie, costringendone la diffusione sull�intero territorio. Mi occuper� di ciascuna di esse nell�ordine. 36 � Ibid. (punto 42). 37 � Sentenza 17 luglio 2008, causa C.500/06, Corporaci�n Dermoest�tica (Racc. pag. I.5785, punti 37.39). 38 � Sentenze C.141/07, Commissione/Germania (punti 51.57), e Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punti 41.50). 39 � Sentenza Placanica (punto 55) 40 � Sentenza Placanica (punto 55). 118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 a) Qualit� dei servizi farmaceutici 25. La prima tesi, che appariva dominante nel corso dei dibattiti nelle recenti sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. e Commissione/Italia (41), riguardante le disposizioni legislative tedesche e italiane secondo cui le farmacie devono essere gestite da farmacisti, svolge un ruolo meno importante nelle cause in esame. Tuttavia, alcune parti del procedimento indicano � e ci� sembra connesso al rischio � che una maggiore concorrenza tra farmacie pu�, per usare un�espressione colloquiale, indurre i farmacisti a �prendere scorciatoie�. 26. In via preliminare, desidero osservare che spetta allo Stato dimostrare che la misura adottata � adeguata e necessaria per fornire un servizio di qualit� superiore (42). A parte Shakespeare, non sembra esservi alcun fondamento negli atti di causa per affermare che una maggiore concorrenza indurrebbe i farmacisti a diminuire la qualit� dei servizi da essi prestati. A tal riguardo, posso solo constatare che esiste un certo numero di contraddizioni nelle ipotesi che sono alla base di ampie sezioni del ragionamento di alcune parti e degli Stati membri. Talvolta, i farmacisti sono descritti come essenzialmente motivati dal guadagno economico, giacch� tutti mirerebbero a esercitare la professione solo in zone densamente popolate e, se soggetti al regime di concorrenza, sarebbero pronti a far prevalere il profitto sui loro obblighi professionali. Talaltra, quando in possesso di posizione �monopolista� in un�area densamente popolata, si ritiene che i farmacisti conducano la propria attivit� secondo gli obblighi professionali e si dedichino principalmente a fornire servizi farmaceutici di qualit�. Secondo le tesi di diverse parti, pare che la concorrenza trasformi i santi in peccatori. 27. Va altres� rammentato che la natura dei servizi farmaceutici ha subito sostanziali modifiche: una volta il farmacista �faceva� i medicinali; oggi il farmacista si limita a dispensare farmaci �fatti� altrove nel rispetto di requisiti giuridici molto rigorosi relativi, per esempio, alla possibilit� di distribuire farmaci con o senza prescrizione. La Corte ha essa stessa ammesso ci� acconsentendo alla vendita su internet di medicinali senza obbligo di prescrizione medica (43). Non ritengo, pertanto, che lo Stato membro abbia dimostrato che una limitazione alla concorrenza sia necessaria o proporzionata all�obiettivo di fornire servizi farmaceutici di elevata qualit�. 28. Occorre riconoscere che nelle recenti sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. e Commissione/Italia, che riguardavano normative nazionali che limitano ai farmacisti la propriet� delle farmacie, la Corte ha osservato che la necessit� di garantire una fornitura di medicinali sicura e di qualit� alla popolazione pu� giustificare restrizioni all�accesso alla propriet� di farmacie (44). Queste controversie, tuttavia, si riferivano alla questione della formazione professionale, dell�esperienza e della responsabilit� dei farmacisti, che, secondo la Corte, potevano avere per effetto che altri interessi professionali potessero temperare l�interesse alla realizzazione di utili (45). La Corte ha altres� ammesso tale restrizione sul presupposto specifico che i farmacisti godessero di un�effettiva autonomia professionale (46). Siffatta indipendenza derivava dai loro obblighi professionali e dal fatto che non erano legati alla 41 � Sentenza 19 maggio 2009, causa C.531/06 (Racc. pag. I.0000) (Grande Sezione). 42 � Sentenza Deutscher Apothekerverband (punto 123). 43 � Sentenza Deutscher Apothekerverband. 44 � Sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punti 28 e 39), e causa C.531/06, Commissione/Italia (punto 52). 45 � Sentenza Apothekerkammer des Saarlandes e a. (punti 37.39) 46 � Ibid. (punti 33.37). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 119 produzione e alla distribuzione dei beni venduti nelle loro farmacie (47), il che avrebbe consentito loro di resistere maggiormente, rispetto ai non farmacisti, alle pressioni miranti ad un consumo eccessivo di medicinali e assicurava che la restrizione in questione sarebbe stata realmente strumentale all�obiettivo della sanit� pubblica. 29. Tale argomentazione corrobora invero la tesi della incompatibilit� della legge asturiana con il diritto comunitario. Poich� ai farmacisti nelle Asturie � richiesto di fornire un servizio di un certo livello, non solo in forza della legge ma anche secondo i loro obblighi professionali, non dovrebbe esservi motivo di temere che la concorrenza li induca a ridurre il livello del loro servizio, violando cos� i loro obblighi giuridici ed etici. Se fossero state necessarie ulteriori tutele per l�adempimento degli obblighi professionali da parte dei farmacisti, nelle sentenze Apothekerkammer des Saarlandes e Commissione/Italia la Corte non avrebbe potuto concludere che il requisito della propriet� del farmacista fosse appropriato rispetto all�obiettivo di fornire un�assistenza di qualit�. b) Assicurare un�ampia ed equilibrata distribuzione geografica delle farmacie 30. L�elemento pi� significativo invocato dalle parti a sostegno del decreto riguarda la necessit� di assicurare un�ampia ed equilibrata distribuzione geografica delle farmacie. In altre parole, garantire il pi� possibile alla popolazione la totale disponibilit� di servizi farmaceutici. Occorre distinguere tra i due criteri usati per raggiungere questo obiettivo: il requisito del numero di abitanti e quello della distanza minima tra farmacie. Entrambi devono essere valutati con riferimento alla relativa idoneit� a conseguire l�obiettivo della distribuzione geografica e al fatto che non superino quanto necessario a raggiungere tale obiettivo. 31. I requisiti relativi al numero di abitanti possono, in linea di principio, essere idonei al conseguimento dell�obiettivo dell�ampia distribuzione di farmacie. Limitando la possibilit�, per i farmacisti, di aprire farmacie in aree urbane maggiormente redditizie, la norma li induce a considerare altre opportunit�. Tuttavia, questa non � una conseguenza automatica. Invero, se l�apertura di nuove farmacie in zone meno popolate fosse di per s� redditizia, ci� si verificherebbe, con ogni probabilit�, a prescindere da qualsiasi limitazione geografica. L�incremento di nuove aperture sarebbe, infatti, direttamente proporzionale alla facilit� con cui una farmacia pu� essere aperta e alla rilevanza della concorrenza per quote di mercato in zone pi� popolate. Al contrario, se, come alcune parti hanno sostenuto, il problema sta nel fatto che esiste una bassa probabilit� di profitto nelle zone meno popolate, il rischio � che nessuno sarebbe in ogni caso interessato ad aprire una farmacia nelle suddette zone. Dopo tutto, mi chiedo per quale motivo una persona dovrebbe dedicarsi a un�attivit� che genera perdite semplicemente perch� non ha accesso a un�attivit� che genera profitto. La mera limitazione delle aperture di nuove farmacie in zone pi� popolate non soddisferebbe il requisito di unit� e coerenza nel perseguimento dell�obiettivo pubblico dichiarato. Nel complesso, il sistema ha senso solo se la politica della limitazione delle nuove aperture in zone pi� popolate � legata a quella di favorire le far- 47 � La separazione dalla produzione e dalla vendita all�ingrosso di prodotti farmaceutici costituisce, a mio avviso e alla luce della precedente giurisprudenza della Corte, il motivo fondamentale per cui detto giudice comunitario ha ammesso le norme dirette a limitare ai farmacisti l�accesso alla propriet� delle farmacie. Al punto 40 della suddetta sentenza, la Corte ha osservato che i farmacisti dipendenti di produttori o grossisti di prodotti farmaceutici potrebbero trovarsi in difetto del requisito di autonomia. Conseguentemente, si pu� ritenere che tali norme soddisfino il requisito di coerenza imposto dal diritto comunitario solo se � garantita l�autonomia dei farmacisti rispetto alla produzione o alla vendita all�ingrosso di prodotti farmaceutici. 120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 macie gi� presenti in zone meno popolate. Attribuendo la priorit� ai farmacisti che hanno aperto una farmacia in zone con meno di 2 800 abitanti, il decreto incentiva i farmacisti a stabilirsi in zone poco abitate che, diversamente, potrebbero non avere una farmacia, fornendo in contropartita maggiori probabilit� di vedersi concedere, in futuro, l�autorizzazione alla gestione di una farmacia in una zona pi� popolata (resa pi� redditizia dalle restrizioni). � plausibile che la prospettiva di poter gestire una farmacia in una zona a elevata densit� di popolazione in circostanze in cui ad altri sarebbe impedita l�apertura di una farmacia concorrente potrebbe effettivamente spingere i farmacisti a fornire i propri servizi, per un certo periodo di tempo, in zone poco abitate. Come ammesso in sede di udienza da alcune parti che sostengono l�attuale regime, � la prospettiva di un profitto monopolistico in una zona densamente abitata che induce i farmacisti a volersi stabilire inizialmente in zone meno popolate. Tuttavia, ci� si verificher� solo se il servizio in tali zone poco abitate attribuir� effettivamente a chi lo esercita la priorit� nell�assegnazione delle autorizzazioni in zone fortemente abitate. 32. Come precedentemente esposto, � necessaria un�analisi pi� attenta dell�unit� e della coerenza del decreto per essere certi che esso persegua effettivamente tale obiettivo e non sia il risultato di uno sviamento da parte degli interessi particolari dei farmacisti gi� stabiliti (48). Due elementi del decreto pongono problemi. In primo luogo, questo regime dovrebbe favorire coloro che aprono farmacie in zone scarsamente servite rispetto a quelli che aspettano semplicemente l�occasione di aprirne una in una zona redditizia. Il punto n. 7 dell�Allegato attribuisce, in ogni caso, priorit� ai farmacisti non autorizzati rispetto a quelli autorizzati nella gestione di una farmacia in zone con meno di 2 800 abitanti. Inoltre, secondo il punto n. 4 dell�Allegato, quando un farmacista apre una farmacia in un�area insufficientemente coperta, egli perde il vantaggio della precedente esperienza professionale maturata se cerca di aprire un�altra farmacia. Le conseguenze di tali disposizioni sono in qualche maniera mitigate dalla disposizione di cui al n. 1, lett. a), dell�Allegato, la quale attribuisce pi� punti all�esperienza in un�area scarsamente servita. Tuttavia, tali disposizioni fanno sorgere dubbi sull�unit� e coerenza della normativa. 33. In secondo luogo, per poter ritenere che le normative perseguano realmente l�obiettivo della copertura universale, � necessario che le autorizzazioni nelle zone densamente abitate siano disponibili per coloro che hanno maturato esperienza in zone con pochi abitanti nel momento in cui i titolari delle autorizzazioni pi� redditizie intendono cessare la gestione della propria farmacia. Un regime che attribuisca ai titolari di autorizzazioni per la gestione di farmacie in aree densamente abitate un diritto di propriet� su tali autorizzazioni e consenta loro di vendere o cedere tali autorizzazioni a chi desiderano avrebbe l�effetto di limitare il numero di autorizzazioni disponibili nei riguardi di coloro che hanno �scontato� il periodo necessario in zone insufficientemente coperte. A chi intendesse spostarsi da una farmacia posta in una zona poco abitata verso un�altra farmacia sita in una zona con maggiore densit� di popolazione verrebbe richiesto il pagamento di un prezzo per la relativa autorizzazione, aumentato in funzione degli ulteriori utili che la farmacia sarebbe in grado di produrre grazie alle restrizioni 48 � Sentenze 7 dicembre 2000, causa C.324/98, Telaustria e Telefonadress (Racc. pag. I.10745); 21 luglio 2005, causa C.231/03, Coname (Racc. pag. I.7287); 13 ottobre 2005, causa C.458/03, Parking Brixen (Racc. pag. I.8585); 6 aprile 2006, causa C.410/04, ANAV (Racc. pag. I.3303); 13 settembre 2007, causa C.260/04, Commissione/Italia (Racc. pag. I.7083), e 17 luglio 2008, causa C.347/06, ASM Brescia (Racc. pag. I.5641). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 121 sull�apertura di farmacie concorrenti (49). Tale regime indebolirebbe la struttura di incentivi che si ritiene sia a sostegno dell�approccio che limita l�apertura di nuove farmacie per incentivare la presenza di farmacie in aree poco abitate. Siffatto regime costituirebbe altres� un arricchimento per i singoli farmacisti in virt� della restrizione della concorrenza nel settore che li riguarda; questo � esattamente il tipo di sviamento regolamentare che le libert� garantite dal Trattato mirano a combattere. Le restrizioni al diritto di stabilimento devono essere giustificate da necessit� di interesse generale e non devono essere uno strumento di arricchimento privato. 34. Passando alla questione se il requisito relativo al numero di abitanti oltrepasserebbe quanto necessario se fosse stato effettivamente strutturato in modo da rendere disponibili agli operatori in zone rurali i redditizi monopoli urbani, rilevo che le parti non hanno proposto nessun altro regime che sarebbe manifestamente preferibile. La Commissione sostiene che, invece di stabilire un numero massimo di farmacie, le Asturie dovrebbero imporre un numero minimo di farmacie pro capite e di opporsi all�apertura di nuove farmacie fino al raggiungimento di tale minimo. Tuttavia, il sistema anzidetto crea un problema di azione collettiva. Nessun singolo farmacista sarebbe incentivato ad aprire una farmacia rurale meno redditizia. Cos� comՏ, questo sistema non sembra ben congegnato per generare un ampio incremento del numero di farmacie in zone poco abitate. La Commissione fa riferimento alla Navarra, ove tale progetto � stato temporaneamente attuato. Tuttavia, considerando che il progetto della Navarra � stato modificato nel senso che prevede un numero massimo di farmacie e che molte delle comunit� pi� piccole in Navarra hanno perso le loro farmacie in base a detto progetto, non posso concludere che le Asturie abbiano ecceduto il loro potere discrezionale non adottando un siffatto modello. 35. � stato altres� fatto valere che un modello completamente liberalizzato ha funzionato bene in altri Stati membri (50). Tuttavia, quel modello ha costituito oggetto di un�accesa discussione tra le parti e, come sopra osservato, vi erano prove in conflitto al riguardo. In tale contesto avrei sostenuto che un regime che limita l�apertura di nuove farmacie in zone pi� 49 � In sede di udienza � stato fatto osservare che alcuni soggetti hanno pagato prezzi estremamente elevati per autorizzazioni a gestire farmacie in zone ad elevata densit� di popolazione. Il fatto che tali autorizzazioni vengano negoziate a prezzi elevati indica che un regime che era forse all�inizio un mezzo per fornire un sistema di servizi farmaceutici equilibrato dal punto di vista geografico � stato trasformato in un mercato puramente economico, alquanto lontano dagli intendimenti originali. � ovvio che la liberalizzazione di tale sistema possa influire negativamente su coloro che hanno versato somme considerevoli per autorizzazioni il cui valore � stato gonfiato da misure restrittive imposte dalle autorit� asturiane. Tuttavia, � sempre capitato che quando il diritto comunitario viene applicato in maniera da eliminare restrizioni alle libert� fondamentali, la conseguente liberalizzazione abbia fatto scaturire esiti negativi sui beneficiari di tali restrizioni. Nella sentenza Centro Europa 7 (causa C.380/05), per esempio, la Corte ha ritenuto che il diritto comunitario imponesse che a un�emittente fosse consentito trasmettere sulle frequenze ad essa attribuite da una normativa nazionale sulle licenze nonostante l�impatto che ci� aveva sugli interessi di utenti �de facto� delle stesse frequenze (v. punti 40 e 108.116 della sentenza). Se, in questa tipologia di cause, esista una possibile rivendicazione giuridica nei confronti dello Stato da parte di coloro che hanno investito in quel mercato in base a determinate aspettative sulla modalit� di regolamentazione del mercato stesso � un tipico problema di diritto nazionale, che, tuttavia, non � di competenza della Corte. 50 � V. le osservazioni presentate da Blanco P�rez, Chao G�mez e Plataforma para la libre apertura de farmacias, pag. 38 (versione in lingua spagnola); v. anche le osservazioni scritte della Commissione, pagg. 27.28 (versione in lingua spagnola). 122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 popolate per promuoverne l�apertura in zone meno popolate sarebbe stato giustificato se organizzato in maniera pi� coerente e sistematica. In ogni caso, per gli anzidetti motivi, ci� non vale per il regime in vigore nelle Asturie. 36. Riguardo al requisito geografico secondo cui non pu� essere aperta nessuna farmacia a meno di 250 metri di distanza da un�altra o da una clinica pubblica, occorre innanzi tutto esaminare se tale requisito sia idoneo al perseguimento dell�obiettivo di distribuzione delle farmacie sull�intero territorio. In primo luogo, va rilevato che tale politica incoraggerebbe detta distribuzione garantendo che le farmacie non si raggruppino in piccole aree commerciali centrali o nei pressi di centri sanitari, lasciando, cos�, sguarnite altre zone. Il provvedimento non � del tutto coerente, giacch� non contiene requisiti di distanza minimi con riferimento a zone farmaceutiche in cui � presente una sola farmacia (51). Tuttavia, questa eccezione non pregiudica l�adeguatezza della disposizione, in quanto la concentrazione non costituirebbe un problema laddove vi fosse una sola farmacia. Per giunta, pare ragionevole riconoscere che in zone di dimensioni cos� esigue l�area commerciale sia troppo piccola per consentire alle farmacie di disseminarsi. 37. La seconda giustificazione consiste nel fatto che l�anzidetto requisito aumenta i profitti ricavabili da una farmacia che opera in un�area urbana, il che incentiva i farmacisti ad avviare attivit� in zone insufficientemente coperte allo scopo di ottenere, eventualmente, l�autorizzazione a operare in un�area densamente abitata. Riguardo a questo obiettivo, risulta che tale requisito sia stato applicato in maniera sistematica e coerente. Le parti non hanno apportato elementi di prova relativamente a deroghe recenti che avrebbero pregiudicato lo scopo dichiarato della norma. 38. Se la cifra di 250 metri superi o meno ci� che � necessario per raggiungere questo scopo � una questione pi� difficile. Alcune parti sostengono che tale cifra sia obsoleta e non si addica alla maggiore densit� di popolazione oggigiorno riscontrata in molte zone. � anche possibile che il suddetto requisito avvantaggi alcune farmacie ben posizionate e presenti da lungo tempo a discapito di altre farmacie urbane, diminuendo in tal modo il potenziale utile futuro per la maggior parte dei singoli farmacisti che decidessero di esercitare la loro professione per un certo periodo in zone poco popolate. La valutazione del presente requisito dipende da diversi fattori, quali la densit� di popolazione e la distribuzione della popolazione all�interno di una comunit� e non sono stati portati sufficienti elementi di prova dinanzi alla Corte per consentirle di pronunciarsi su tale questione. Spetta al giudice nazionale valutare tale questione, alla luce della conoscenza pi� approfondita che egli possiede delle circostanze esistenti nelle Asturie, tenendo conto del livello di interferenza con il diritto di stabilimento, della natura dell�interesse pubblico invocato nonch� � considerata la quantit� e la distribuzione delle farmacie nelle Asturie e la distribuzione della popolazione � del livello di copertura universale che potrebbe essere raggiunto con sistemi meno restrittivi. III � Conclusione 39. Alla luce di quanto sopra esposto, sono del parere che le questioni sottoposte alla Corte debbano essere risolte come segue: � l�art. 43 CE osta a una normativa nazionale del tipo di quella oggetto della causa principale secondo cui � necessaria un�autorizzazione per l�apertura di una nuova farmacia e viene 51 � Art. 4, n. 2. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 123 attribuita la priorit� a coloro che hanno maturato esperienza in una zona del territorio di tale Stato membro. � L�art. 43 CE osta ad una normativa nazionale del tipo di quella oggetto della causa principale secondo cui l�autorizzazione per l�apertura di una nuova farmacia � soggetta al soddisfacimento di un requisito connesso al numero di abitanti allo scopo di promuovere l�apertura di farmacie in zone meno popolate se tale scopo non � perseguito in maniera coerente e sistematica, in particolare se la medesima normativa non avvantaggia chiaramente coloro che aprono farmacie in zone insufficientemente servite rispetto a coloro che si limitano ad attendere di poter aprire una farmacia in una zona redditizia e conferisce un diritto di propriet� sulla licenza di apertura della farmacia in maniera da pregiudicare l�efficacia del regime di incentivi. � Riguardo al requisito che impone una distanza minima tra le farmacie, spetta al giudice nazionale determinare se la distanza specifica imposta sia giustificata, tenendo conto del livello di interferenza con il diritto di stabilimento, della natura dell�interesse pubblico invocato nonch� � considerata la quantit� e la distribuzione delle farmacie nelle Asturie e la distribuzione e la densit� della popolazione � del livello di copertura universale che potrebbe essere raggiunto con sistemi meno restrittivi. (All. 7) Cause pendenti avanti alla Corte di Giustiza in tema di farmacie C-570/07 e C-571/07 Blanco P�rez et Chao G�mez/Consejeria de salud y servicios sanitarios e.a. (Contingentamento delle farmacie in funzione del numero di abitanti, obbligo di distanze minime e criterio preferenziale dell'esperienza maturata nel Principato delle Asturie) *** C-315/08 Angelo Grisoli/Regione Lombardia e Comune di Roccafranca (Contingentamento delle farmacie in funzione del numero di abitanti) Il rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato mira ad un'interpretazione della Corte di giustizia sulla compatibilit� della disciplina italiana (il Testo Unico delle leggi sanitarie � Regio decreto n. 1265/1934), con i principi del Trattato CE circa la protezione della salute pubblica e dei consumatori (artt. 152 e 153). Le questioni riguardano le regole sulla presenza di un'unica sede farmaceutica nei comuni con popolazione inferiore a quattromila abitanti, e l'assoggettamento dell'istituzione della seconda sede farmaceutica nei comuni con popolazione inferiore a quattromila abitanti, a condizioni specifiche (l'eccedenza di popolazione di almeno il cinquanta per cento dei parametri, la distanza di almeno tremila metri dall'esercizio esistente, e la presenza delle particolari esigenze dell'assistenza farmaceutica in rapporto alle condizioni topografiche e di viabilit�). L'esistenza delle condizioni � valutata a cura sia delle aziende sanitarie locali sia nell'ordine professionale locale o comunque delle amministrazioni competenti in tema di organizzazione e controllo del servizio di assistenza farmaceutica. 124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 (La causa � sospesa sino alla pronuncia delle cause riunite C-570/07 e C-571/07 Blanco Perez) *** C-60/09 Lucio Rubano/ Regione Campania, Comune di Cusano Mutri Il TAR Campania ha chiesto alla Corte di giustizia se siano compatibili con gli artt. 152 e 153 del Trattato dell.unione Europea - la presenza di un.unica sede farmaceutica nei comuni con popolazione inferiore a quattromila abitanti. - l.assoggettamento dell.istituzione della seconda sede farmaceutica, nei comuni con popolazione superiori ai quattromila abitanti, a condizioni quali l.eccedenza di popolazione di almeno il cinquanta per cento dei parametri, la distanza di almeno tremila metri dall.esercizio esistente, e la presenza delle particolari esigenze dell.assistenza farmaceutica in rapporto alle condizioni topografiche e di viabilit�, da valutare a cura sia delle unit� sanitarie (aziende sanitarie locali) sia dell.ordine professionale locale o comunque delle amministrazioni competenti in tema di organizzazione e controllo del servizio di assistenza farmaceutica. *** C-217/09 Maurizio Polisseni contre A.S.L. N. 14 V.C.O. Omega Domanda pregiudiziale del TAR Piemonte *** C- 393/08 Sbarigia Emanuela/Azienda USL RM/A La ricorrente, dott.ssa Sbarigia, in ragione dell'ubicazione nel centro storico della farmacia di cui � titolare, ha chiesto all'ASL RM/A l'esonero dal periodo di chiusura estiva per ferie 2006. Tale istanza � stata respinta. Avverso il provvedimento la dott.ssa Sbarigia ha presentato ricorso, in pendenza del quale ha ulteriormente chiesto di essere autorizzata a non effettuare la chiusura annuale per ferie, ad effettuare un orario di apertura al pubblico pi� esteso e a non osservare il turno di chiusura estivo. Anche tale istanza � stata respinta. Il TAR del Lazio, al quale la dott.ssa Sbarigia ha richiesto l'annullamento della deliberazione dell'AUSL ROMA A, propone alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale vertente sui divieti imposti dalla legge regionale Lazio n. 26/2002 sull'assoggettamento alla previa discrezionale valutazione dell'amministrazione, per poter ottenere nel Comune di Roma la deroga ai suddetti divieti. Si pone il dubbio della compatibilit� dei vincoli normativi in questione da un lato con i principi comunitari di tutela della libera concorrenza e della libera prestazione dei servizi, dall'altro con gli artt. 152 e 153 CE, nei quali si prevede un'azione della CE volta alla tutela della salute. (Procedura scritta in corso) IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 125 Il caso Guiso-Gallisay c.Italia. Intervento all� udienza del 17 giugno 2009 dinanzi alla Grande Camera della Corte dei diritti dell�uomo di Strasburgo* COURT EUROP�ENNE DES DROITS DE L�HOMME Requ�te n. 58858/00 Guiso Gallisay c. l�Italie pour article 1 du Protocole n. 1 de la Convention AUDIENCE DE GRANDE CHAMBRE DU 17 JUIN 2009 1. Il faut tout d�abord dissiper certains malentendus que la partie requ�rante a sem� expr�s, dans le but de d�tourner la Cour sur ce qui est r�ellement l�occupazione acquisitiva (ou expropriation indirecte, comme la Cour l�appelle). Cette forme d�expropriation se caract�rise comme suit: a) une occupation d�urgence du terrain a lieu sur la base d�une d�claration d�utilit� publique tout � fait l�gitime et d�un acompte de l�indemnit�; b) cette occupation se prolonge au-del� de la p�riode autoris�e (qui est en g�n�ral de 5 ans), mais, entre-temps, aucun d�cret formel d�expropriation n�est rendu, ou ce d�cret est �mis en retard, � savoir au del� du d�lai pr�vu; c) entre temps la construction de l�ouvrage publique est achev�e; d) cette situation entra�ne que les juridictions doivent n�cessairement trouver une solution pour r�tablir l�ordre juridique viol� et reconduire la situation dans la sph�re du droit: le terrain ne peut pas �tre rendu au particulier parce que sur le terrain litigieux un ouvrage d�utilit� publique a �t� d�sormais r�alis� par l�administration avec les ressources issues de la contribution fiscale et, par ailleurs, la proc�dure administrative a �t� entam�e l�gitimement, ainsi qu�un acompte de l�indemnit� a �t� d�j� octroy� au particulier dans la plus grande partie des cas. Quelle est donc la solution trouv�e par les juridictions nationales? Reconna�tre l�ill�galit� de l�administration (sous l�angle de l�article 2043 du code civil), d�clarer qu�un transfert de propri�t� doit se consid�rer comme ayant eu lieu (� cause de l�existence, sur le terrain litigieux, de l�ouvrage d�utilit� publique), ainsi qu�octroyer au particulier une somme � titre de d�dommagement ; e) auparavant cette somme n�atteignait pas la valeur v�nale du bien ex- (*) Innovando nella tradizione che vuole presente all�udienza solo l�Agente , in questa causa - su richiesta della Presidenza del Consiglio - ha partecipato anche l�Avvocato dello Stato. 126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 propri� mais, en vertu d�une loi de 1996, seulement 55% de cette derni�re; par la suite le Gouvernement a enti�rement r�solu, sous l�angle des mesures g�n�rales, ce probl�me par l�intervention de la Cour Constitutionnelle (arr�t n� 349/2007) et du L�gislateur (article 2 �� 89-90 loi de budget 2007), comme d�ailleurs reconnu par la Cour elle-m�me (voir, ex pluribus, � 31 de l�arr�t qui nous occupe). 2. Dans son opinion dissidente la juge Tulkens affirme textuellement que � il n�est pas contest� que la situation en l�esp�ce est celle de la privation arbitraire de biens �; au contraire, le Gouvernement conteste cette conclusion, �tant donn�e l�existence d�un arr�t d�clarant qu�un transfert de propri�t� doit se consid�rer comme ayant eu lieu ainsi que d�un d�dommagement. Or, pourriez vous r�ellement consid�rer qu�une telle situation, o� les cons�quences de l�ing�rence litigieuse ont �t� toutes effac�es au niveau national, sauf en ce qui concerne le montant de l�indemnit� qui sՎl�ve seulement au 55% de la valeur v�nale, soit donc comparable � une � mainmise illicite � ? Une r�ponse positive �quivaudrait � un attachement excessif � la forme, et par cons�quent il faudrait aussi estimer que, par exemple, le non-respect d�une date butoir ou l�oubli d�un tampon sur une feuille serait plus grave qu�une expropriation d�cr�t�e dans le respect scrupuleux de toutes les formalit�s et de tous les d�lais, mais sans indemnit�, laquelle chose repr�senterait le contraire d�un jugement bas� sur lՎquit� ! En effet, ce qu�il est important de souligner, � propos de l�expropriation indirecte, est que le particulier ne subit pas un dommage mat�riel plus �lev� du simple fait que l�expropriation s�est achev�e avec un jugement plut�t qu�avec un acte administratif. Bien entendu, il y a les frais de la proc�dure, mais ces derniers sont � la charge de l�administration perdante; il pourrait y avoir un dommage r�sultant du retard dans le paiement de l�indemnit�, mais celui-ci est couvert par les int�r�ts et la r��valuation; enfin il pourrait y avoir un dommage r�sultant de la dur�e excessive de la proc�dure, mais il s�agit d�un dommage moral qui peut �tre indemnis� par un moyen appropri�, pr�vu par la loi nationale. 3. En effet, cr�er, comme le voudrait la partie requ�rante, une cat�gorie unique de � d�possession illicite �, dans laquelle seraient ins�r�s des cas tout � fait diff�rents et non homog�nes entre eux, et appliquer, de fa�on g�n�ralis�e et automatique, les crit�res Papamichalopoulos, pr�n�s par les requ�rants, � n�importe quelle affaire qui, d�apr�s la Cour, entre dans cette cat�gorie de la � d�possession illicite �, conduit, sans aucun doute, � des r�sultats d�raisonnables, injustes et incompatibles avec l�esprit et le but de la Convention, alors que la proc�dure devant la Cour porte sur un jugement avec �quit� (et lՎquit� repr�sente le contraire de l�automaticit� et de l�attachement � la forme). Dans l�affaire italienne, en effet, nous avons a) un arr�t d�clarant qu'un transfert de propri�t�, du particulier � l�administration, doit se consid�rer comme ayant eu lieu, arr�t qui a donc donn� la � s�curit� juridique � concernant la privation IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 127 du terrain (� 88 arr�t au principal). M�me au cas o� l�arr�t serait appel�, l�appel concernerait exclusivement le montant de l�indemnit�, alors que le point concernant le passage de propri�t� du bien acquiert l�autorit� de la chose jug�e tout de suite, sur la base du principe tantum devolutum quantum appellatum, tir� de l�article 342 c.p.c.; ainsi que b) un d�dommagement; bref, une situation telle � �liminer la violation pour la plupart, � la lumi�re de la m�me jurisprudence de la Cour. Au contraire, la situation dans l�affaire Papamichalopoulos �tait tout � fait diff�rente: il s�agissait d�un terrain de vastes dimensions qui avait �t� occup� par une dictature militaire, sans aucune base l�gale, sans indemnit�, et en dehors d�un but d�utilit� publique, et o� la propri�t� �tait rest�e au particulier et celui-ci n�avait eu aucune possibilit� juridique de redresser la situation incrimin�e, comme d�ailleurs l�arr�t sur le fond le montre (1). 4. Il est important de souligner aussi que, dans l�affaire Papamichalopoulos, les requ�rants grecs avaient un terrain qui poss�dait un � potentiel de d�veloppement touristique � consid�rable et, donc, pour cette raison, ils avaient con�u la construction d�un complexe h�telier qui avait re�u l�assentiment de l�autorit� administrative (cet �l�ment avait jou� un r�le dans la d�cision de la Cour sur la satisfaction �quitable (Papamichalopoulos, art. 50, � 37). Dans les affaires italiennes, au contraire, et notamment dans notre affaire qui concerne un terrain d�nu� de tout int�r�t, la partie requ�rante voudrait appliquer les m�mes crit�res sans nullement exiger la preuve de l�existence d�une situation comparable et voudrait donc transformer ainsi, en une pr�somption irr�fragable, ce qui, dans l�affaire grecque, �tait un fait concr�tement d�montr�. En d�finitive, il faut accepter l�id�e de restituer � l�affaire Papamichalopoulos son caract�re d�affaire singuli�re, non susceptible de poser un principe d�application g�n�rale. 5. Ceci dit, le Gouvernement Italien a, depuis toujours, pens� que la mati�re qui nous occupe m�rite une r�flexion m�re et profonde et que cette opinion soit bien fond�e est d�montr�: a) par des nombreuses contradictions dans lesquelles la Cour, elle-m�me, est parfois tomb�e dans ses pr�c�dents en la mati�re, ainsi que b) par la circonstance tr�s significative que les conclusions, dans la pr�sente affaire, de la partie requ�rante et de la partie intervenue ad adjuvandum sont diff�rentes. 6. Quant au premier aspect, que l�on songe � certaines affaires turques (1) � 41. L�occupation des terrains litigieux par le Fonds de la marine nationale a repr�sent� une ing�rence manifeste dans la jouissance du droit des requ�rants au respect de leurs biens. Elle ne relevait pas de la r�glementation de l�usage de biens, au sens du second alin�a de l�article 1 du Protocole no 1 (P1-1). D�autre part, les int�ress�s n�ont pas subi d�expropriation formelle: la loi no 109/1967 n�a pas transf�r� la propri�t� desdits terrains au Fonds de la marine nationale. 45. La Cour estime que la perte de toute disponibilit� des terrains en cause, combin�e avec lՎchec des tentatives men�es jusqu�ici pour rem�dier � la situation incrimin�e, a engendr� des cons�quences assez graves pour que les int�ress�s aient subi une expropriation de fait incompatible avec leur droit au respect de leurs biens �. 128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 (I.R.S. et autres, 20 juillet 2004, Kadriye Y�ld�z et autres, 10 octobre 2006, B�rek�io.ullar� (��kmez) et autres, 19 octobre 2006, Ari et autres, 3 avril 2007) dont les circonstances de fait sont bien plus graves que celles des affaires italiennes. L�arr�t I.R.S. est significatif: l�Etat sՎtait empar� d�un terrain des requ�rants en dehors de toute l�galit� et sans aucune garantie proc�durale et les propri�taires n�avaient eu aucune possibilit� de r�action efficace; or, le simple fait que cette situation d�ill�galit� continue se f�t prolong�e pendant 20 ans ou plus avait permis aux juridictions internes d�appliquer une sorte d�usucapion (sui generis, en raison de l�impossibilit� effective pour les propri�taires de faire valoir leurs droits en temps utile) et de d�clarer apr�s coup que la propri�t� des biens �tait pass�e � l�Etat en leur refusant en m�me temps toute indemnisation en application d�une loi r�troactive; cependant la Cour a cru voir une diff�rence avec les affaires italiennes d�expropriation et a donc calcul� autrement le dommage mat�riel. 7. C�est l� un exemple qui montre le degr� d�incertitude juridique qui d�coule de l�adoption du � crit�re de la mainmise �. 8. Quant au deuxi�me aspect (concernant les incoh�rences de nos contreparties), la partie requ�rante demande, seulement maintenant, la restitution du bien, y compris les ouvrages publiques y construits, outre un d�dommagement � titre de perte de jouissance, ou, faute de cette restitution, un dommage mat�riel correspondant � une somme couvrant la valeur actuelle du terrain (� la lumi�re d�une estimation ad hoc faite par un expert mandat� par la Cour), augment�e du co�t de construction des b�timents publiques construits sur le terrain, outre la perte de jouissance, d�duction faite de la somme d�j� per�ue au niveau national: celui-ci est le param�tre de d�dommagement utilis� dans l�affaire Papamichalopoulos. Il faut enfin ajouter, d�apr�s les requ�rants, les dommages moraux, aussi. Il faut ajouter que, pour ce qui est du dommage mat�riel, la partie requ�rante a, au cours de toute la proc�dure, chang� bien trois fois ses pr�tentions: dans la requ�te introductive elle a pr�n� la m�me m�thode de calcul recommand�e par le Gouvernement et accept�e par la Chambre, dans les observations sur la satisfaction �quitable devant la Chambre elle a demand� plus de 15 millions d�euro � titre de dommage mat�riel, devant la Grande Chambre ses pr�tentions en mati�re de dommage mat�riel descendent � presque 6 millions d�euro. Voil� un exemple qui d�montre, � lui seul, les incoh�rences de la m�thode de calcul pr�n�e par les requ�rants. 9. La tierce partie, intervenue en soutien de la partie requ�rante, demande, au contraire, la valeur v�nale du terrain, �tablie par les juridictions nationales, plus index du co�t de la vie et int�r�ts-moratoires, plus le 10% � titre de perte de chance d�une possible cession volontaire, plus frais et d�pens du litige national, plus le montant d� � titre d�imp�ts. D�apr�s la tierce partie, il faut enfin ajouter les dommages moraux � en mesure ad�quate par rapport � la gravit� de la violation et en tenant compte de l�incidence que celle-ci a eu sur la vie IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 129 de la victime �. 10. Les th�ses des deux contreparties ne sont pas simplement en contradiction entre elles: elles sont mal fond�es aussi, comme le Gouvernement est en mesure de le d�montrer. 11. Quant � la partie requ�rante, il faut dire que: a) elle n�a jamais demand� la restitution du terrain, ni au niveau national ni dans sa requ�te d�pos�e � la Cour: m�me dans cette derni�re, la partie requ�rante s�est born�e � demander un d�dommagement � la hauteur de la diff�rence entre la valeur v�nale du bien et le montant per�u, � savoir le 45% de ladite valeur v�nale; b) en tout cas, il serait difficile de restituer le bien, car la partie requ�rante �tait propri�taire seulement d�une petite partie indivisible du terrain (chacun des trois requ�rants �tait copropri�taire dans un pourcentage de 29/360); c) sur le terrain litigieux un ouvrage d�utilit� publique a �t� d�sormais r�alis� par l�administration avec les ressources issues de la contribution fiscale et donc, sur la base d�un principe fondamentale de droit, la restitution n�est pas praticable; d) l�existence d�un arr�t d�clarant officiellement qu�un transfert de propri�t� doit se consid�rer comme ayant eu lieu est de nature � estimer hors de question toute hypoth�se de restitution; e) enfin, comme la Cour l�a soulign� � maintes reprises, elle n�a aucune comp�tence en mati�re de d�cision sur la restitution d�un bien litigieux (voir, ex pluribus, l�affaire Jensen et Rasmussen c. Danemark, dec. du 20 mars 2003). Il se pose, donc, un probl�me uniquement de qualit� du redressement, attendu que le param�tre du d�dommagement, pr�vu par la loi 662/96, nՎtait pas � la hauteur de la valeur pleine, �tablie par la jurisprudence europ�enne, et c�est donc exclusivement sur ce type de redressement qu�il faut se pencher au niveau europ�en. 12. Et du reste, que les pr�tentions de la partie requ�rante soient tout � fait absurdes est d�montr� par un calcul tr�s simple: pour que le d�dommagement soit raisonnable, les requ�rants doivent recevoir encore le restant 45% de la valeur v�nale du bien, montant � actualiser par int�r�ts moratoires et index du co�t de la vie: la somme qui en r�sulte sՎl�ve presque � 900.000 euro (la somme de 1.800.000 euro, liquid�e dans l�arr�t du 21 octobre 2008, est le r�sultat d�une erreur, � savoir de l�inclusion de l�indemnit� d�occupation dans les calculs de la valeur marchande du bien, comme d�ailleurs la m�me partie requ�rante le rel�ve, de fa�on indirecte, � la page 27 de son m�moire). D�apr�s les observations de la partie requ�rante sur la satisfaction �quitable, au contraire, la somme au titre du seul dommage mat�riel sՎl�verait � 15.360.641 euro, donc plus de 15 millions d�euro pour un terrain de 18.000 m�tres carr�s (en tenant compte qu�il s�agissait de copropri�t� et que la quote� part des trois requ�rants �tait de 87/360 pour les trois): presque 1.000.000 par m�tre carr�, donc, pour un terrain, de surcro�t, d�nu� de tout int�r�t, situ� dans une zone p�riph�rique d�une petite ville peu connue. Une pr�tention, donc, qui � elle seule d�montre son caract�re absurde. 130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 13. Quant � la partie intervenante, elle soutient quՈ la valeur v�nale du terrain, �tablie par les juridictions nationales, augment�e de l�index du co�t de la vie et des int�r�ts-moratoires, il faut ajouter: a) 10% � titre de perte de chance d�une possible cession volontaire, mais, � ce propos, le Gouvernement fait remarquer que la cession volontaire du bien fait abstraction de la forme de l�expropriation, �tant donn� que ladite cession peut �tre conclue apr�s la d�claration d�utilit� publique et jusquՈ ce que le d�cret d�expropriation n�est pas �mis (2), ainsi que l�augmentation de 10% de l�indemnit� est accord�e m�me si la cession n�a pas eu lieu � cause d�un fait non imputable au particulier (3). Par cons�quent, il est faux de dire que l�expropriation indirecte emp�che le particulier de conclure la cession volontaire du bien, �tant donn� qu�une des conditions de ladite cession est justement le manque du d�cret d�expropriation, condition qui s�av�re en cas d�expropriation indirecte; b) les frais et d�pens du litige national, mais ces derniers sont impos�s, par les juridictions nationales, � l�administration, en tant que partie perdante de la proc�dure; il n�y a pas donc lieu de les faire payer deux fois � l�Etat; c) le montant d� � titre d�imp�ts, mais il faut souligner que les dispositifs des jugements de la Cour, en mati�re d�expropriation, se lisent toujours comme suit: � l�Etat d�fendeur doit verser aux requ�rants la somme suivant �, plus tout montant pouvant �tre d� � titre d�imp�t � ; la Cour tenant d�j� en compte, donc, la possibilit� d�imp�ts sur la somme, la partie intervenante voudrait encore une fois doubler les sommes � payer de la part de l�Etat. 14. Les pr�tentions de la tierce partie sont donc manifestement mal fond�es, sauf en ce qui concerne les dommages moraux qu�elle demande soient liquid�s � en mesure ad�quate par rapport � la gravit� de la violation et en tenant compte de l�incidence que celle-ci a eu sur la vie de la victime �. A ce sujet, le Gouvernement est d�accord avec la tierce partie: la majeure ou mineure gravit� de la violation se r�percute sur le dommage moral, mais non pas sur le dommage mat�riel; la nature ou la gravit� � juridique � de la violation, que l�on peut appeler le crit�re de la � mainmise ill�gale � ou de la � d�possession illicite �, n�est pas un crit�re appropri� pour lՎvaluation du dommage mat�riel, �tant donn� que la somme allou�e au titre du dommage mat�riel a une fonction purement compensatoire pour le requ�rant. Du reste, aucun principe conventionnel, d�autant moins celui d�coulant de l�art. 1 du Prot. 1 nՎta- (2) Art. 45 �1 R�pertoire de l�expropriation: �Fin da quando � dichiarata la pubblica utilit� dell'opera e fino alla data in cui � eseguito il decreto di esproprio, il proprietario ha il diritto di stipulare col soggetto beneficiario dell'espropriazione l'atto di cessione del bene o della sua quota di propriet��. (3) Art. 37 �2 R�pertoire de l�expropriation: �Nei casi in cui � stato concluso l'accordo di cessione, o quando esso non � stato concluso per fatto non imputabile all'espropriato ovvero perch� a questi � stata offerta un'indennit� provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi in quella determinata in via definitiva, l'indennit� � aumentata del 10 per cento�. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 131 blit une hi�rarchie entre les divers, possibles manquements, m�me parce que, s�il en f�t ainsi, on aurait une incoh�rence �vidente, � savoir: � pr�judice �conomique �gal, compensation diff�rente en fonction d�un �l�ment qui n�a aucune incidence sur l�ampleur du dommage. Que l�on songe, par exemple, au d�faut de � base l�gale �; tout d�abord, m�me dans cette notion de � base l�gale �, compte tenu de son ampleur, il pourrait y avoir manquement et manquement; en deuxi�me lieu, ce d�faut n�autorise nullement l�octroi d�une satisfaction �quitable, au titre du dommage mat�riel, sup�rieure � celle qui serait allou�e en pr�sence d�un autre manquement, par exemple le manque de proportionnalit�. Eventuellement, le dommage moral pourrait jouer un r�le dans ce sens, mais jamais le dommage mat�riel. Le dommage moral pourrait y jouer un r�le et en effet il le joue: que l�on songe, en mati�re de dommage moral, � la diff�rence tr�s importante entre l�affaire d�expropriation directe Scordino I (euro 4.000, � titre de dommage moral, aux quatre requ�rants) et l�affaire d�expropriation indirecte Carbonara et Ventura (euro 200.000, � titre de dommage moral, aux quatre requ�rants). En effet, la m�thode de calcul pr�vue en cas de � mainmise illicite � entra�ne une multiplication de facteurs faisant double emploi et, par cons�quent, une augmentation spectaculaire et immotiv�e du d�dommagement. 15. Ce qu�il faut mettre en �vidence est que la Cour risque de tomber dans une contradiction manifeste si elle affirme, d�une part, que � l�indemnisation � fixer en l�esp�ce devra refl�ter l�id�e d�un effacement total des cons�quences de l�ing�rence litigieuse � et soutient, d�autre part, que � le caract�re illicite de pareille d�possession se r�percute par la force des choses sur les crit�res � employer pour d�terminer la r�paration due par l�Etat d�fendeur, les cons�quences financi�res d�une mainmise licite ne pouvant �tre assimil�es � celles d�une d�possession illicite � (� 36 arr�t Pasculli c. Italie); contradiction manifeste, �tant donn� que, pour r�parer int�gralement le pr�judice subi, il faut tenir compte de l�ampleur du pr�judice et non pas de ce qui l�a caus�. En outre, on pourrait interpr�ter la deuxi�me phrase dans le sens que la Cour a tendance � attribuer � l�indemnisation pour dommage mat�riel un but punitif ou dissuasif � lՎgard de lՃtat d�fendeur. Or, le Gouvernement est d�avis que la Convention, qui, � l�instar de tout trait�, nՎchappe pas � l�obligation d�interpr�tation litt�rale, n�assigne � la Cour aucun pouvoir de sanctionner l�Etat concern� par le biais d�une sur-�valuation du dommage mat�riel. Il y avait, certes, dans le pass�, une jurisprudence de la Cour, par exemple en mati�re de dur�e de proc�dure, d�apr�s laquelle l�accumulation de violations syst�matiques est constitutive d�une pratique incompatible avec la Convention et constitue une circonstance aggravante, mais pour parvenir � cela il faut non seulement une accumulation de violations identiques ou analogues, suffisamment nombreuses, mais une tol�rance officielle, aussi, alors qu�en l�esp�ce, le Gouvernement a enti�rement r�solu ce probl�me, comme d�ailleurs reconnu 132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 par la Cour elle-m�me (voir, ex pluribus, � 31 de l�arr�t qui nous occupe). 16. En outre, � l�appui de leurs th�ses, aussi bien la Cour, dans l�arr�t Papamichalopoulos, que la partie requ�rante et la tierce partie mentionnent un vieil arr�t de 1928 de la Cour permanente de justice internationale dans l�affaire de l�Usine de Chorz�w; or, nous sommes en mesure de d�montrer que l�interpr�tation, qui est donn�e aux principes fondamentaux de droit international d�coulant de cet arr�t de la Cour de justice internationale, est une interpr�tation clairement incorrecte. En effet, d�apr�s la CJI, la restitution en nature est valablement remplac�e par le � paiement d'une somme correspondant � la valeur qu'aurait la restitution en nature �, auquel pourrait s�ajouter, � s�il y a lieu � (c�est-�-dire, � condition qu�un pr�judice ult�rieur soit �tabli dans son existence et son ampleur), un d�dommagement � pour les pertes subies et qui ne seraient pas couvertes par la restitution en nature ou le paiement qui en prend la place �. La Cour Europ�enne, au contraire, pr�sume l�existence, outre le dommage li� � la perte de la propri�t�, d�un pr�judice ult�rieur de telle ampleur qu�il n�est pas compens� par l�actualisation et, donc, chiffre automatiquement ce pr�judice ult�rieur, lui-m�me hypoth�tique, � la hauteur de la valeur brute des oeuvres r�alis�es par l�Etat ou de leur co�t de construction, en l�ajoutant � la valeur actualis�e du terrain. En bref, le dommage ult�rieur, que la CJI exige soit sp�cifiquement prouv� par l�int�ress�, est par la Cour Europ�enne automatiquement calcul� en fonction de l�existence des constructions. Cette fa�on d�indemnisation est non seulement contraire aux principes de la CJI (de surcro�t mentionn�s par la m�me Cour Europ�enne), mais elle se heurte � un simple raisonnement d�ordre logique: d�apr�s un principe g�n�ral largement accept� dans les syst�mes juridiques europ�ens, la restitution en nature doit se faire apr�s r�tablissement des conditions dans lesquelles l�objet � restituer se trouvait au moment de la d�possession; il n�est donc pas correct, en droit, de dire que � les b�timents forment une composante de la restitutio in integrum � (� 40 de l�arr�t Papamichalopoulos sur la satisfaction �quitable); bien au contraire, d�apr�s un principe g�n�ral et une logique banale, les b�timents constituent un �l�ment �tranger par nature � la restitutio in integrum. Cette jurisprudence Papamichalopoulos, donc, n�est nullement coh�rente avec le principe affirm� par la CJI, dont elle d�clare s�inspirer. 17. D�apr�s le Gouvernement, les crit�res Papamichalopoulos ne sont pas critiquables seulement par rapport � leur application aux affaires italiennes d�expropriation, ils sont critiquables aussi en soi: et en effet, dans son m�moire, le Gouvernement a �num�r� bien 13 raisons pour lesquelles ces crit�res doivent �tre consid�r�s critiquables en soi, 13 raisons qu�il serait impossible, pour des raisons de temps, de r�p�ter de nouveau oralement. Il suffit de dire que lier la m�thode de calcul du pr�judice mat�riel � la gravit� de la violation m�conna�t le principe de subsidiarit�, est mal fond� sous un angle logique, produit des in�galit�s injustifi�es (par exemple, deux propri�taires expropri�s IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 133 d�un bien parfaitement �quivalent et dans des conditions identiques seront indemnis�s de mani�re diff�rente selon l�usage public qui est fait de leur bien: construction d�un �difice co�teux et de grande valeur ou, � l�inverse, r�alisation d�une oeuvre simple, peu co�teuse et d�nu�e d�int�r�t commercial, donc � pr�judice �conomique �gal, compensation diff�rente en fonction d�un �l�ment al�atoire, comme al�atoire est d�ailleurs la date � laquelle la Cour rend son arr�t, date qui certes influence la valeur du terrain). Enfin ladite m�thode ne correspond nullement aux principes juridiques en vigueur dans les Etats europ�ens. En effet, d�apr�s une r�gle g�n�rale dՎconomie et de droit largement partag�e dans les Etats europ�ens, la m�thode normale de r��valuation d�un bien est l�actualisation de la valeur initiale, � partir du fait illicite ou de l�arr�t tranchant le diff�rend, en proportion de la d�pr�ciation de la monnaie: d�autre part celle-ci n�est que la m�thode que la Cour, elle-m�me, utilise d�j� lorsque il faut d�duire, de la somme que l�Etat doit verser aux requ�rants, l�indemnit�, � actualiser, obtenue par ces derniers au plan national en son temps (4). L�estimation ex novo de la valeur � actuelle � d�un bien � une date donn�e, au contraire, ne se justifie qu�en pr�sence d�un commencement de preuve indiquant de mani�re pr�cise et concluante que des circonstances particuli�res ont influenc� la hausse du march� de mani�re non proportionnelle � l�inflation. 18. Toujours � ce propos, les articles 934 et 936 du code civil italien, � l�instar de tous les codes europ�ens, �tablissent que, dans les diff�rends entre particuliers, le propri�taire de bonne foi d�un terrain peut retenir la construction sur son terrain, faite par un tiers, pourvu qu�il lui donne le co�t de construction; la ratio sous-jacente de cette norme est dՎviter aussi bien un enrichissement ill�gitime du propri�taire du terrain (qui n�avait pas support� les frais de l�investissement) qu�une perte injuste de la part du constructeur, alors que, d�apr�s les crit�res Papamichalopoulos, l�Etat devrait d�penser deux fois la somme correspondant au co�t de construction. Et d�autre part il ne saurait nullement se justifier sur le plan logique et de lՎquit� qu�un particulier obtienne gratuitement la valeur positive d�un investissement que d�autres ont r�alis� (et pay�) � sa place. 19. En conclusion, par le biais d�une multiplication de plusieurs facteurs faisant double emploi, la partie requ�rante voudrait obtenir un d�dommagement spectaculaire qui, de fa�on immotiv�e, transforme une violation de la propri�t�, en grande partie d�j� r�gl�e au plan interne, dans une v�ritable au- (4) Voir, � ce sujet, ex pluribus, arr�t Pasculli c. Italie, � 39. Elle d�cide que l�Etat devra verser � l�int�ress� une somme correspondant � la valeur actuelle du terrain, augment�e de la plus-value apport�e par la pr�sence du b�timent � qui en l�esp�ce a �t� estim�e au m�me niveau que le co�t de construction � et qui est susceptible de compenser le requ�rant �galement pour toute autre perte subie. De cette somme il convient ensuite de d�duire l�indemnit� se rapportant � la valeur du terrain obtenue par le requ�rants au plan national (� savoir 216 707 170 ITL de 1986, soit 111 919, 91 EUR, voir � 19 de l�arr�t au principal) et actualis�e (soit environ 236 000 EUR). 134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 baine injustifi�e pour le requ�rant: ce qui se heurte aux principes de la logique, du droit et de lՎquit� et qui, en plus, tourne au d�triment de la grande masse des particuliers, � savoir des contribuables, �tant donn� que ce sont les contribuables qui supporteront la charge des sommes, dont nous discutons. 20. Le Gouvernement est donc d�avis que la nouvelle m�thode de d�dommagement choisie par la Chambre est en soi conforme aux exigences de la Convention et, donc, qu�il ne faut pas la remettre en cause. Par cons�quent, on demande � la Cour d�accepter les conclusions de la Chambre, en corrigeant l�erreur de calcul du dommage mat�riel faite dans l�arr�t de la Chambre et en fixant � 900.000 euro le montant du dommage mat�riel, et enfin de rejeter les pr�tentions de la partie requ�rante comme �tant mal fond�es. Nicola Lettieri Giuseppe Albenzio co-Agent du Gouvernement Avocat d�Etat IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 135 LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA CE Prescrizione del diritto al risarcimento del danno nei confronti dello Stato per violazioni del diritto comunitario (Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Grande Sezione, sentenza del 24 marzo 2009 nella causa C-445/06) Con la sentenza resa dalla Grande Sezione il 24 marzo 2009, causa C- 445/06, Danske, la Corte di giustizia delle Comunit� europee ha affermato importanti principi in materia di prescrizione del diritto al risarcimento del danno nei confronti dello Stato per violazione del diritto comunitario ed in particolare per effetto dell�omessa, tardiva o errata trasposizione di una direttiva comunitaria. ComՏ noto, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e Bonifaci; sentenza 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93 Brasserie du P�cheur e Factortame; sentenza 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani; sentenza 25 febbraio 1999, causa C-131/97, Carbonari; sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, K�bler; sentenza 13 giugno 2006, causa C-173/03, Traghetti del mediterraneo; ordinanza 23 aprile 2008, causa C-201/05, The Test Claimants in the CFC and Dividend Group Litigation) il principio della responsabilit� degli Stati per violazione del diritto comunitario, pur non essendo espressamente previsto, trova il suo fondamento in due norme del Trattato: l�art. 10 che sancisce il principio di leale collaborazione degli Stati e l�art. 288 che prevede la responsabilit� extracontrattuale della Comunit�, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri. Classico esempio di violazione, da parte degli Stati, del diritto comunitario � la mancata, tardiva o non corretta trasposizione di una direttiva, obbligo imposto dall�art. 249 del Trattato. Ci� premesso, la citata sentenza del 24 marzo 2009 ha confermato innanzitutto che, in mancanza di una normativa comunitaria che regoli in modo diretto e puntuale la responsabilit� degli Stati membri per violazione del diritto comunitario, spetta ai singoli ordinamenti nazionali disciplinare le modalit� procedurali dei ricorsi diretti a garantire la piena tutela dei diritti conferiti alle persone dal diritto comunitario, fermo restando che le condizioni e i termini stabiliti dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento del danno non LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA CE 136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano azioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (principio di effettivit�). A tale proposito, � stato ritenuto ragionevole il termine di decadenza triennale previsto dalla legislazione tedesca nella causa principale (punti 31 e 32). Al riguardo, va ricordato che la Corte di giustizia (sentenza del 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani, punto 29) aveva gi� ritenuto congruo il termine di decadenza annuale fissato dall�art. 2, comma 7 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80 per il danno derivante dalla mancata attuazione della direttiva 80/987/CEE concernente la tutela dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro. Quanto all�interruzione o alla sospensione dei termini di prescrizione per effetto della presentazione di un ricorso per inadempimento, la Corte di giustizia ha inoltre affermato che spetta agli Stati membri disciplinare tali aspetti purch� siano osservati i principi di equivalenza e di effettivit�, ribadendo che non si pu� subordinare il risarcimento del danno al presupposto di una previa constatazione, da parte della Corte, dell�inadempimento imputabile allo Stato membro per violazione del diritto comunitario, elemento significativo ma non indispensabile (punti 36 � 38). Sotto tale profilo, la Corte ha quindi concluso che la circostanza che un ricorso per inadempimento non abbia l�effetto di interrompere o di sospendere il termine di prescrizione non rende impossibile o eccessivamente difficile, per il soggetto, esercitare i diritti conferitigli dal diritto comunitario, n� lede il principio dell�equivalenza, tenuto conto delle peculiarit� della procedura ex art. 226 CE che non � tesa a tutelare diritti propri della Commissione e non � quindi assimilabile, sotto tale aspetto, al rimedio nazionale previsto per la responsabilit� amministrativa, azionato dal soggetto leso (punti 39 e 45). Quanto alla decorrenza della prescrizione, la Corte ha affermato che il diritto comunitario non osta a che il termine di prescrizione di un�azione di risarcimento nei confronti dello Stato, basata sulla carente trasposizione di una direttiva, inizi a decorrere dalla data in cui i primi effetti lesivi di detto scorretto recepimento si siano verificati, anche qualora tale data sia antecedente alla corretta e completa trasposizione della direttiva in questione nell�ordinamento nazionale, dovendosi ritenere che il principio contrario affermato nella sentenza del 25 luglio 1991, causa C-208/90, Emmott, fosse determinato dalle circostanze particolari di detta causa (punto 56). La Corte ha infine chiarito che spetta al giudice nazionale stabilire la conformit� al diritto comunitario di una legislazione, come quella tedesca, che esclude il risarcimento del danno ove il soggetto leso non abbia dato prova di una ragionevole diligenza, omettendo, dolosamente o colposamente, di evitare la realizzazione del danno mediante la proposizione delle azioni previste dal IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 137 diritto nazionale. Al riguardo, la Corte ha comunque escluso che la probabilit� che in tale sede il giudice adito sollevi una questione pregiudiziale ex art. 234 CE renda non esigibile dai soggetti lesi l�esperimento dei mezzi di ricorso a loro disposizione in quanto l�utilizzo di tale strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali non contribuisce assolutamente a rendere eccessivamente difficile l�esercizio dei diritti attribuiti al singolo dal diritto comunitario (punti 64 e 65). Al riguardo, si ricorda che la recente sentenza delle SS.UU. della Corte di cassazione del 17 aprile 2009, n. 9147 ha stabilito che la domanda risarcitoria per tardiva trasposizione di direttiva comunitaria non rientra nello schema della responsabilit� extracontrattuale ma in quello della responsabilit� ex lege dello Stato inadempiente, di natura indennitaria per attivit� non antigiuridica e sussistente a prescindere dalla sussistenza del dolo o della colpa e dal carattere non self executing della direttiva, con conseguente applicabilit� della prescrizione decennale. La natura risarcitoria del diritto vantato nei confronti dello Stato per violazione del diritto comunitario era stata invece in precedenza affermata non solo dalla stessa Corte di cassazione (Cass. 9 novembre 1994, n. 9339) ma anche dalla Corte costituzionale (sentenza 16 giugno 1993, n. 285). Avv. Wally Ferrante* Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Grande Sezione, sentenza 24 marzo 2009 nella causa C-445/06 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Germania) - Danske Slagterier/Bundesrepublik Deutschland. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 8375/07). Misure di effetto equivalente � Polizia sanitaria � Scambi intracomunitari � Carni fresche � Controlli veterinari � Responsabilit� extracontrattuale di uno Stato membro �Termine di prescrizione � Determinazione del danno. (... Omissis) 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione degli artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1, lett. b), sub iii), della direttiva del Consiglio 26 giugno 1964, 64/433/CEE, relativa alle condizioni sanitarie per la produzione e l�immissione sul mercato di carni fresche (GU 1964, n. 121, pag. 2012), come modificata dalla direttiva del Consiglio 29 luglio 1991, 91/497/CEE (GU L 268, pag. 69; in prosieguo: la �direttiva 64/433�), degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della direttiva del Consiglio 11 dicembre 1989, 89/662/CEE, relativa ai controlli veterinari applicabili negli scambi intracomunitari, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno (GU L 395, pag. 13), nonch� dell�art. 28 CE. (*) Avvocato dello Stato. 138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 2 Tale domanda � stata sottoposta nell�ambito di una controversia fra la Danske Slagterier e la Repubblica federale di Germania, vertente su una richiesta di risarcimento danni. Contesto normativo La normativa comunitaria 3 L�art. 5, n. 1, della direttiva 64/433 cos� prevede: �Gli Stati membri provvedono affinch� siano dichiarati non idonei al consumo umano dal veterinario ufficiale: (...) o) le carni che presentino intenso odore sessuale�. 4 L�art. 6, n. 1, della medesima direttiva dispone quanto segue: �Gli Stati membri provvedono affinch�: (...) b) le carni: (...) iii) fatti salvi i casi di cui all�articolo 5, paragrafo 1, lettera o), di suini maschi non castrati di peso, espresso in carcassa, superiore a 80 chilogrammi, tranne qualora lo stabilimento sia in grado di garantire, in base a un metodo riconosciuto secondo la procedura di cui all�articolo 16 oppure, in mancanza di tale metodo, secondo un metodo riconosciuto dall�autorit� competente interessata, che � possibile individuare le carcasse che presentano un intenso odore sessuale, siano munite del bollo speciale stabilito dalla decisione 84/371/CEE [della Commissione 3 luglio 1984, che stabilisce le caratteristiche del bollo speciale per le carni fresche di cui all�articolo 5, lettera a), della direttiva 64/433/CEE del Consiglio (GU L 196, pag. 46)] e sottoposte al trattamento previsto dalla direttiva 77/99/CEE [del Consiglio 21 dicembre 1976, relativa a problemi sanitari in materia di scambi intracomunitari di prodotti a base di carne (GU 1977, L 26, pag. 85)]; (...) g) i trattamenti previsti alle lettere precedenti siano effettuati nello stabilimento d�origine o in qualsiasi altro stabilimento designato dal veterinario ufficiale; (...)�. 5 Le disposizioni della direttiva 64/433 dovevano essere trasposte nel diritto nazionale entro il 1� gennaio 1993. 6 L�art. 5, n. 1, della direttiva 89/662 stabilisce che: �Gli Stati membri destinatari adottano le seguenti misure di controllo: a) la competente autorit� pu�, nei luoghi di destinazione della merce, verificare tramite controlli veterinari per sondaggio non discriminatori il rispetto delle condizioni poste dall�articolo 3; in tale occasione essa pu� procedere a prelievi di campioni. Inoltre, se la competente autorit� dello Stato membro di transito o dello Stato membro destinatario dispone di elementi di informazione che consentano di ipotizzare un�infrazione, possono essere effettuati altres� controlli durante il trasporto della merce sul suo territorio, incluso il controllo di conformit� dei mezzi di trasporto; (...)�. 7 Ai sensi dell�art. 7, n. 1, della direttiva in parola: �Se, in occasione di un controllo effettuato nel luogo di destinazione della spedizione o durante il trasporto, la competente autorit� di uno Stato membro constata: (...) IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 139 b) che la merce non soddisfa le condizioni previste dalle direttive comunitarie o, in mancanza di decisioni sulle norme comunitarie previste dalle direttive, dalle norme nazionali, essa pu� lasciare allo speditore o al suo mandatario, se le condizioni di salubrit� o di polizia sanitaria lo consentono, la scelta tra: � la distruzione della merce, oppure � la sua utilizzazione ad altri fini, compresa la rispedizione su autorizzazione della competente autorit� del paese dello stabilimento d�origine. (...)�. 8 Infine, l�art. 8 della direttiva in questione cos� dispone: �1. Nei casi previsti dall�articolo 7, la competente autorit� di uno Stato membro destinatario si mette immediatamente in contatto con la competente autorit� dello Stato membro speditore. Quest�ultima prende tutte le misure necessarie e comunica alla competente autorit� del primo Stato membro la natura dei controlli effettuati, le decisioni prese e le relative motivazioni. (...) 2. (�) Le decisioni adottate dalla competente autorit� dello Stato destinatario devono essere comunicate, con l�indicazione delle relative motivazioni, allo speditore o al suo mandatario, nonch� alla competente autorit� dello Stato membro speditore. A richiesta dello speditore o del suo mandatario, le decisioni motivate devono essergli comunicate per iscritto con l�indicazione delle vie di ricorso offerte dalla legislazione vigente nello Stato membro di destinazione, nonch� della forma e dei termini prescritti per il ricorso stesso. (...)�. La normativa nazionale 9 Ai sensi dell�art. 839 del codice civile tedesco (B�rgerliches Gesetzbuch), nella versione in vigore fino al 31 dicembre 2001 (in prosieguo: il �BGB�): �(1) Il pubblico ufficiale che, con un comportamento doloso o colposo, violi gli obblighi impostigli dal proprio ufficio nei confronti di un terzo � tenuto a risarcire al terzo il danno che ne deriva. Se il pubblico ufficiale ha agito solo colposamente, egli � tenuto al risarcimento solo se il soggetto leso non riesce ad ottenerlo in altro modo. (2) Il pubblico ufficiale che violi gli obblighi imposti dal proprio ufficio nel giudizio in una causa � responsabile del danno derivante solo ove la violazione dell�obbligo costituisca un reato. La presente norma non � applicabile ad un rifiuto o ad un ritardo contrario al proprio dovere nell�esercizio dell�ufficio. (3) L�obbligo di risarcimento non sussiste se il soggetto leso abbia omesso, dolosamente o colposamente, di evitare il danno avvalendosi di un mezzo d�impugnazione�. 10 L�art. 852 del BGB prevedeva: �(1) Il diritto al risarcimento del danno derivante da un atto illecito si prescrive in tre anni dal momento in cui il soggetto leso viene a conoscenza del danno e dell�identit� della persona obbligata al risarcimento; in trent�anni dalla commissione dell�atto, indipendentemente dalla suddetta conoscenza. (2) Ove siano in corso trattative circa il risarcimento del danno da corrispondere fra l�obbligato al risarcimento e l�avente diritto allo stesso, la prescrizione � sospesa fino a quando una delle due parti non si rifiuti di continuare le trattative. (3) Qualora l�obbligato al risarcimento abbia ottenuto un beneficio mediante l�atto illecito a spese del soggetto leso, egli � tenuto alla restituzione anche dopo il decorso della prescrizione in base alle disposizioni sulla restituzione dell�indebito�. 140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Causa principale e questioni pregiudiziali 11 La Danske Slagterier, un�associazione di categoria di imprese danesi di macelli, organizzate in cooperative, e di allevatori di suini, che agisce sulla base del diritto ad essa delegato dai propri membri, chiede alla Repubblica federale di Germania il risarcimento dei danni dovuti per una violazione del diritto comunitario. Detta associazione addebita allo Stato in parola di avere, in violazione del diritto comunitario, imposto dal 1993 al 1999 un divieto all�importazione di carni di suini maschi non castrati. A suo parere siffatto divieto avrebbe causato agli allevatori di suini e ai macelli, nel corso del periodo menzionato, un danno pari ad almeno DEM 280 milioni. 12 All�inizio degli anni �90 � stato lanciato in Danimarca un progetto chiamato �Male- Pig-Projekt�, diretto all�allevamento di suini maschi non castrati. Orbene, detto tipo di allevamento, interessante da un punto di vista economico, presenta il rischio che la carne, dopo essere stata riscaldata, emani un intenso odore sessuale. Secondo alcuni ricercatori danesi si pu� constatare detta intensit� olfattiva gi� nel corso dell�operazione di macellazione, misurando il tenore di scatolo. Per tale ragione, in Danimarca, tutte le linee di macellazione sono state equipaggiate di strumenti di misurazione dello scatolo, al fine di consentire di individuare e scartare la carne che presentasse l�odore in questione. All�epoca la Repubblica federale di Germania ha ci� nondimeno ritenuto che detta intensit� olfattiva fosse dovuta all�ormone androstenone, la cui formazione pu� essere evitata tramite la castrazione in una fase precedente, e che il tenore di scatolo, considerato isolatamente, non potesse costituire di per s� un metodo affidabile per identificare l�odore sessuale. 13 Nel gennaio 1993 la Repubblica federale di Germania ha informato le massime autorit� veterinarie degli Stati membri che la norma di cui all�art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva 64/433 era stata trasposta nel diritto nazionale in modo da fissare un valore di .g/g 0,5 di androstenone, indipendentemente dal limite di peso. Qualora, infatti, detto valore fosse superato, la carne presenterebbe un intenso odore sessuale e pertanto sarebbe inidonea al consumo umano. Con ci� essa sottolineava che solo il test immuno-enzimatico modificato del prof. Claus era riconosciuto come metodo specifico che permette di evidenziare l�androstenone, e che le carni di suini maschi non castrati, che superassero tale valore limite, non potevano essere importate in Germania quali carni fresche. 14 Numerosi lotti di carni suine provenienti dalla Danimarca sono quindi stati esaminati dalle autorit� tedesche e respinti a causa del superamento del valore limite di androstenone. Peraltro, gli allevatori di suini e le imprese di macelli che avevano praticamente interrotto la produzione di suini maschi castrati hanno dovuto riavviarla per non compromettere le esportazioni verso la Germania. La Danske Slagterier fa valere che, se le carni di suini esportate fossero provenute, come previsto dal Male-Pig-Projekt, da suini non castrati, sarebbe stato possibile realizzare un risparmio in termini di costi di almeno DEM 280 milioni. 15 Il Landgericht Bonn (Tribunale di Bonn), investito dalla Danske Slagterier, il 6 dicembre 1999, di un�azione di responsabilit� civile nei confronti della Repubblica federale di Germania, ha ritenuto tale azione fondata per il periodo a partire dal 7 dicembre 1996, respingendola in quanto prescritta nella parte relativa alle richieste di risarcimento dei danni sorte anteriormente a detta data. L�Oberlandesgericht K�ln (Corte d�appello di Colonia), adito in appello, ha dichiarato complessivamente giustificata nel merito la domanda. Con un ricorso per cassazione (�Revision�) dinanzi al Bundesgerichtshof (Corte federale di cassazione tedesca), la Repubblica federale di Germania vuole ottenere il rigetto integrale della domanda. 16 La Corte, peraltro, con la sentenza 12 novembre 1998, causa C-102/96, IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 141 Commissione/Germania (Racc. pag. I 6871), ha dichiarato che la Repubblica federale di Germania � venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi degli artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1, lett. b), della direttiva 64/433, nonch� ai sensi degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della direttiva 89/662, da un lato, avendo imposto l�obbligo di marchiare e sottoporre a trattamento termico le carcasse di suini maschi non castrati quando le carni, indipendentemente dal peso degli animali, presentino una concentrazione di androstenone superiore a .g/g 0,5, individuata mediante il test immuno-enzimatico modificato del prof. Claus, e, dall�altro, avendo considerato che, in caso di superamento del limite di .g/g 0,5 di androstenone, le carni presentino un intenso odore sessuale, il che ha come conseguenza di renderle inidonee al consumo umano. 17 In tale contesto il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: �1) Se il combinato disposto degli artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1, lett. b), (...) sub iii), della direttiva [64/433] e degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della direttiva 89/662 (...) conferiscano ai produttori e ai commercianti di carni suine una posizione giuridica che, in caso di errori di trasposizione o di applicazione, possa far sorgere un diritto, fondato sull�ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello Stato. 2) Se i produttori e commercianti di carni suine possano, a prescindere dalla risposta alla prima questione, lamentare la violazione dell�art. 30 del Trattato CE [divenuto art. 28 CE] per motivare un diritto, fondato sull�ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello Stato in caso di trasposizione e applicazione della suddetta direttiva contrarie al diritto comunitario. 3) Se il diritto comunitario imponga che la prescrizione del diritto, fondato sull�ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello Stato venga interrotta in seguito a un procedimento per inadempimento ai sensi dell�art. 226 CE o se, comunque, venga sospesa fino alla conclusione di tale procedimento, quando manchi un rimedio giuridico interno efficace per costringere lo Stato membro a trasporre una direttiva. 4) Se il termine di prescrizione per un diritto, fondato sull�ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello Stato che si basi sulla carente trasposizione di una direttiva e su un conseguente divieto (di fatto) di importazione, cominci a decorrere, a prescindere dal diritto nazionale applicabile, solo a partire dalla completa trasposizione della direttiva, oppure se il termine di prescrizione possa cominciare a decorrere, conformemente al diritto nazionale, gi� dal momento in cui si sono prodotti i primi effetti lesivi e ne siano prevedibili altri. Qualora la completa trasposizione di una direttiva dovesse incidere sull�inizio del termine di prescrizione, se ci� valga in generale o soltanto nei limiti in cui la direttiva conferisca un diritto ai soggetti dell�ordinamento. 5) Se, considerato che gli Stati membri non devono stabilire condizioni per fare valere il diritto, fondato sull�ordinamento comunitario, ad un risarcimento del danno da parte dello Stato pi� sfavorevoli rispetto ad altre azioni del medesimo genere che coinvolgono solo il diritto interno e che l�attribuzione di un risarcimento non deve essere resa di fatto impossibile o oltremodo difficile, sussistano obiezioni di principio nei confronti di una normativa nazionale ai sensi della quale l�obbligo di risarcimento non sorge quando la persona lesa ha dolosamente o colposamente omesso di far ricorso alle vie giudiziarie per evitare il danno. Se parimenti sussistano obiezioni nei confronti di questa �priorit� di tutela del diritto primario�, qualora essa sia sottoposta alla condizione di dovere essere ragionevolmente esigibile dall�interessato. Se sia irragionevole esigerla gi� ai sensi del diritto comunitario, qualora il giudice adito non possa presumibilmente risolvere le questioni controverse di diritto comunitario 142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 senza un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (...), o qualora sia gi� pendente un procedimento per inadempimento ai sensi dell�art. 226 CE�. Sulle questioni pregiudiziali Sulla prima e seconda questione 18 Con le prime due questioni, che vanno trattate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il combinato disposto degli artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1, lett. b), sub iii), della direttiva 64/433 e degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della direttiva 89/662 conferiscano ai produttori e ai commercianti di carni suine, qualora dette direttive non siano correttamente trasposte o applicate, una posizione giuridica tale da far sorgere un diritto, fondato sull�ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello Stato per violazione del diritto comunitario e se, in siffatte circostanze, possano far valere una violazione dell�art. 28 CE per motivare il diritto a un risarcimento, stante la menzionata responsabilit� dello Stato. 19 In proposito occorre preliminarmente ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, il principio della responsabilit� dello Stato per danni causati ai soggetti dell�ordinamento da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili � inerente al sistema del Trattato CE (sentenze 19 novembre 1991, cause riunite C 6/90 e C 9/90, Francovich e a., Racc. pag. I 5357, punto 35; 5 marzo 1996, cause riunite C 46/93 e C 48/93, Brasserie du p�cheur e Factortame, Racc. pag. I 1029, punto 31; 23 maggio 1996, causa C 5/94, Hedley Lomas, Racc. pag. I 2553, punto 24, nonch� 8 ottobre 1996, cause riunite C 178/94, C 179/94 e da C 188/94 a C 190/94, Dillenkofer e a., Racc. pag. I 4845, punto 20). 20 La Corte ha dichiarato che ai soggetti lesi � riconosciuto un diritto al risarcimento purch� siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica comunitaria violata sia preordinata a conferire loro diritti, che la violazione di tale norma sia sufficientemente qualificata e, infine, che esista un nesso causale diretto tra la violazione in parola e il danno subito dai soggetti lesi (v. citate sentenze Brasserie du p�cheur e Factortame, punto 51; Hedley Lomas, punto 25, nonch� Dillenkofer e a., punto 21). 21 Per quanto riguarda la prima condizione, la Corte ha avuto occasione di esaminare la responsabilit� degli Stati membri per violazioni del diritto comunitario nei casi di mancata trasposizione di direttive tendenti a realizzare il mercato interno (v., in particolare, citate sentenze Francovich e a. nonch� Dillenkofer e a.). Tuttavia, a differenza delle controversie all�origine delle due menzionate sentenze, ove solamente il diritto derivato aveva creato un contesto giuridico che conferiva diritti ai soggetti, la causa principale tratta di una situazione in cui una delle parti della causa principale, ossia la Danske Slagterier, afferma che l�art. 28 CE le attribuirebbe gi� i diritti che essa invoca. 22 A tal proposito occorre ricordare che � pacifico che l�art. 28 CE ha efficacia diretta, nel senso che conferisce ai soggetti diritti che gli stessi possono direttamente far valere davanti ai giudici nazionali e che la violazione di dette norme pu� dar luogo a risarcimento (sentenza Brasserie du p�cheur e Factortame, cit., punto 23). 23 La Danske Slagterier si avvale altres� delle disposizioni delle direttive 64/433 e 89/662. Come risulta dal tenore del titolo e dal primo �considerando� della direttiva 89/662, quest�ultima � stata adottata nella prospettiva della realizzazione del mercato interno, proprio come la direttiva 91/497, che modifica la direttiva 64/433, cos� come precisa il terzo �considerando� della stessa. La libera circolazione delle merci � quindi uno degli obiettivi delle direttive in parola che, attraverso l�eliminazione delle disparit� esistenti fra gli Stati membri in materia di prescrizioni sanitarie per le carni fresche, sono dirette a favorire gli scambi intracomunitari. Il diritto conferito dall�art. 28 CE viene dunque precisato e concretizzato dalle direttive di cui IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 143 trattasi. 24 Relativamente al contenuto delle direttive 64/433 e 89/662, si deve rilevare che esse disciplinano, in particolare, i controlli sanitari e la certificazione delle carni fresche prodotte in uno Stato membro e consegnate in un altro. Come risulta, segnatamente, dall�art. 7, n. 1, lett. b), della direttiva 89/662, gli Stati membri possono opporsi alle importazioni di carni fresche solamente quando la merce non soddisfa le condizioni previste dalle direttive comunitarie o in talune circostanze molto particolari, come in caso di epidemie. Il divieto per gli Stati membri d�impedire l�importazione conferisce ai soggetti il diritto di commercializzare la carne fresca conforme alle prescrizioni comunitarie in un altro Stato membro. 25 Peraltro, dal combinato disposto delle direttive 64/433 e 89/662 emerge che le misure dirette ad individuare un intenso odore sessuale di suino maschio non castrato sono state oggetto di armonizzazione comunitaria (sentenza Commissione/Germania, cit., punto 29). Detta armonizzazione vieta pertanto agli Stati membri, nell�ambito tassativamente armonizzato, di giustificare l�ostacolo alla libera circolazione delle merci per ragioni diverse da quelle previste dalle direttive 64/433 e 89/662. 26 Di conseguenza, si devono risolvere le prime due questioni dichiarando che i soggetti lesi dalla trasposizione e dall�applicazione carenti delle direttive 64/433 e 89/662 possono avvalersi del diritto alla libera circolazione delle merci per chiamare in causa la responsabilit� dello Stato per violazione del diritto comunitario. Sulla terza questione 27 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto comunitario imponga che, quando la Commissione delle Comunit� europee avvia un procedimento per inadempimento ex art. 226 CE, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto comunitario, previsto dalla normativa nazionale, sia interrotto o sospeso durante tale procedimento, quando nello Stato interessato non esistono rimedi giuridici efficaci che consentano di esigere da quest�ultimo la trasposizione di una direttiva. 28 Una cronologia dei fatti della causa principale consente di chiarire detta questione. Dalla decisione di rinvio risulta infatti che il procedimento per inadempimento nei confronti della Repubblica federale di Germania, all�origine della citata sentenza Commissione/Germania, � stato avviato il 27 marzo 1996. I primi effetti dannosi sono stati subiti dai soggetti lesi a partire dal 1993, ma � solamente nel dicembre 1999 che questi ultimi hanno proposto ricorso per far valere la responsabilit� dello Stato. Se, come prospettato dal giudice del rinvio, si applicasse il termine di prescrizione di tre anni di cui all�art. 852, n. 1, del BGB, il decorso di detto termine inizierebbe dalla met� del 1996, data in cui, secondo tale giudice, i soggetti lesi hanno avuto conoscenza del danno e dell�identit� della persona su cui gravava la responsabilit�. Pertanto, nella causa principale, il diritto al risarcimento nei confronti dello Stato sarebbe prescritto. Alla luce di ci�, � rilevante per la soluzione della controversia accertare se il deposito di un ricorso per inadempimento da parte della Commissione abbia avuto effetti sul termine di prescrizione in parola. 29 Tuttavia, per poter fornire una risposta utile al giudice a quo occorre verificare, in via preliminare, la questione implicitamente sollevata da quest�ultimo, ossia se il diritto comunitario osti all�applicazione per analogia del termine di prescrizione di tre anni di cui all�art. 852, n. 1, del BGB nella causa principale. 30 Relativamente all�applicazione dell�art. 852, n. 1, del BGB, la Danske Slagterier ha, infatti, lamentato una mancanza di chiarezza dell�ordinamento giuridico tedesco quanto alla 144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 norma nazionale sulla prescrizione applicabile al diritto al risarcimento nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto comunitario, dato che detta questione non � ancora stata oggetto di misure legislative n� di decisioni delle corti supreme e che la dottrina � parimenti divisa su tale argomento, essendo ipotizzabili vari fondamenti giuridici. L�applicazione, per la prima volta e per analogia, del termine ex art. 852 del BGB ai ricorsi per far valere la responsabilit� dello Stato per violazione del diritto comunitario costituirebbe una violazione dei principi di certezza e chiarezza del diritto, cos� come dei principi di effettivit� e di equivalenza. 31 In proposito si deve rilevare che, secondo costante giurisprudenza, in mancanza di una normativa comunitaria, spetta all�ordinamento giuridico nazionale di ogni Stato membro designare i giudici competenti e disciplinare le modalit� procedurali dei ricorsi diretti a garantire la piena tutela dei diritti conferiti alle persone dal diritto comunitario. � quindi nell�ambito del diritto nazionale in tema di responsabilit� che allo Stato incombe porre rimedio alle conseguenze del danno provocato, fermo restando che le condizioni, segnatamente quanto ai termini, stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano azioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (principio di effettivit�) (v., in particolare, sentenze Francovich e a., cit., punti 42 e 43, nonch� 10 luglio 1997, causa C 261/95, Palmisani, Racc. pag. I 4025, punto 27). 32 Per quanto concerne quest�ultimo principio, la Corte ha riconosciuto compatibile con il diritto comunitario la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell�interesse della certezza del diritto, a tutela sia del contribuente sia dell�amministrazione interessata (v. sentenza 17 novembre 1998, causa C 228/96, Aprile, Racc. pag. I 7141, punto 19 e giurisprudenza ivi citata). Infatti, termini del genere non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l�esercizio dei diritti attribuiti dall�ordinamento giuridico comunitario. A tal proposito appare ragionevole un termine nazionale di decadenza triennale (v., in particolare, sentenze Aprile, cit., punto 19, nonch� 11 luglio 2002, causa C 62/00, Marks & Spencer, Racc. pag. I 6325, punto 35). 33 Ci� posto, dal punto 39 della menzionata sentenza Marks & Spencer risulta parimenti che un termine di prescrizione, per adempiere la sua funzione di garantire la certezza del diritto, dev�essere stabilito previamente. Orbene, una situazione caratterizzata da un�incertezza normativa significativa pu� costituire una violazione del principio di effettivit�, poich� il risarcimento dei danni causati alle persone da violazioni del diritto comunitario imputabili ad un Stato membro potrebbe essere reso eccessivamente gravoso nella pratica, se detti soggetti non potessero determinare il termine di prescrizione applicabile con un ragionevole grado di certezza. 34 Spetta al giudice nazionale, tenuto conto del complesso degli elementi che caratterizzano la situazione di fatto e di diritto all�epoca dei fatti di cui alla causa principale, verificare, alla luce del principio d�effettivit�, se l�applicazione per analogia del termine ex art. 852, n. 1, del BGB alle domande di risarcimento dei danni provocati a seguito della violazione del diritto comunitario da parte dello Stato membro interessato fosse sufficientemente prevedibile dai soggetti. 35 Peraltro, relativamente alla compatibilit� dell�applicazione per analogia del termine in parola con il principio di equivalenza, spetta parimenti al giudice nazionale accertare se, considerata siffatta applicazione, le condizioni per il risarcimento dei danni causati ai soggetti IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 145 dalla violazione del diritto comunitario da parte di detto Stato membro non siano state meno favorevoli rispetto a quelle applicabili al risarcimento di danni analoghi di natura interna. 36 Quanto all�interruzione o sospensione del termine di prescrizione in occasione della presentazione di un ricorso per inadempimento, dalle considerazioni che precedono risulta che spetta agli Stati membri disciplinare detto tipo di modalit� procedurali, purch� siano osservati i principi di equivalenza e di effettivit�. 37 Al riguardo va rilevato che non si pu� subordinare il risarcimento del danno al presupposto di una previa constatazione, da parte della Corte, di un inadempimento del diritto comunitario imputabile allo Stato (v. citate sentenze Brasserie du p�cheur e Factortame, punti 94-96, e Dillenkofer e a., punto 28). 38 Infatti, la constatazione dell�inadempimento � certo un elemento significativo, ma non indispensabile per verificare che sia soddisfatta la condizione secondo cui la violazione del diritto comunitario dev�essere sufficientemente qualificata. Inoltre, i diritti conferiti ai soggetti non possono dipendere dalla valutazione della Commissione in ordine all�opportunit� di avviare un procedimento ex art. 226 CE nei confronti di uno Stato membro, n� dalle eventuali sanzioni della Corte che dichiari l�inadempimento (v. sentenza Brasserie du p�cheur e Factortame, cit., punti 93 e 95). 39 Un soggetto pu� quindi presentare una domanda di risarcimento osservando le modalit� previste a tal fine dal diritto nazionale senza dover attendere la pronuncia di una sentenza che dichiari la violazione del diritto comunitario da parte dello Stato membro. Di conseguenza, la circostanza che un ricorso per inadempimento non abbia l�effetto di interrompere o sospendere il termine di prescrizione non rende impossibile o eccessivamente difficile, per il soggetto, esercitare i diritti conferitigli dal diritto comunitario. 40 La Danske Slagterier, peraltro, fa valere una violazione del principio di equivalenza, in quanto il diritto tedesco prevede l�interruzione del termine di prescrizione qualora venga azionato in parallelo un rimedio giuridico nazionale conformemente all�art. 839 del BGB; ebbene, un ricorso ex art. 226 CE dev�essere assimilato a siffatto genere di rimedio giuridico. 41 In proposito occorre rilevare che, al fine di una pronuncia sull�equivalenza delle norme procedurali, si deve accertare in modo oggettivo ed astratto l�analogia delle norme di cui trattasi in considerazione della loro rilevanza nel procedimento complessivamente inteso, dello svolgimento del procedimento medesimo e delle specificit� di tali norme (v., in tal senso, sentenza 16 maggio 2000, causa C 78/98, Preston e a., Racc. pag. I 3201, punto 63). 42 Nella valutazione dell�analogia delle norme in parola occorre tenere conto delle particolarit� della procedura ex art. 226 CE. 43 A tale riguardo va ricordato che, nell�esercizio delle competenze di cui � investita in forza dell�art. 226 CE, la Commissione non � tenuta a dimostrare il proprio interesse ad agire (v. sentenze 4 aprile 1974, causa 167/73, Commissione/Francia, Racc. pag. 359, punto 15, e 10 aprile 2003, cause riunite C 20/01 e C 28/01, Commissione/Germania, Racc. pag. I 3609, punto 29). La Commissione, infatti, ha il compito di vigilare d�ufficio e nell�interesse generale sull�applicazione, da parte degli Stati membri, del diritto comunitario e di far dichiarare l�esistenza di eventuali inadempimenti degli obblighi che ne derivano, allo scopo di farli cessare (v. citate sentenze Commissione/Francia, punto 15, e 10 aprile 2003, Commissione/Germania, punto 29). 44 L�art. 226 CE non � dunque inteso a tutelare i diritti propri della detta istituzione. Spetta soltanto ad essa decidere se sia opportuno iniziare un procedimento per la dichiarazione di un inadempimento e, se del caso, per quale comportamento od omissione tale procedimento 146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 debba essere intrapreso (sentenza 2 giugno 2005, causa C 394/02, Commissione/Grecia, Racc. pag. I 4713, punto 16 e giurisprudenza ivi citata). In proposito la Commissione dispone quindi di un potere discrezionale, che esclude il diritto dei soggetti di esigere dalla stessa istituzione di decidere in un senso determinato (v. sentenza 14 febbraio 1989, causa 247/87, Star Fruit/Commissione, Racc. pag. 291, punto 11). 45 Occorre, pertanto, constatare che il principio di equivalenza � rispettato da una normativa nazionale che non prevede l�interruzione o la sospensione del termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto comunitario quando la Commissione abbia avviato un procedimento ex art. 226 CE. 46 Alla luce di tutte le considerazioni precedenti si deve pertanto risolvere la terza questione dichiarando che il diritto comunitario non richiede che, quando la Commissione avvia un procedimento per inadempimento ex art. 226 CE, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto comunitario, previsto dalla normativa nazionale, sia interrotto o sospeso durante tale procedimento. Sulla quarta questione 47 Con la quarta questione il giudice del rinvio chiede se il termine di prescrizione di un�azione di risarcimento nei confronti dello Stato, basata sulla carente trasposizione di una direttiva, inizi a decorrere, a prescindere dal diritto nazionale applicabile, unicamente a partire dalla completa trasposizione di tale direttiva, o se il termine in parola cominci a decorrere, conformemente al diritto nazionale, dalla data in cui i primi effetti lesivi di detta scorretta trasposizione si siano verificati e ne siano prevedibili altri. Qualora la completa trasposizione incida sul decorso del termine di prescrizione di cui trattasi, il giudice a quo chiede se ci� valga in generale o soltanto quando la direttiva attribuisca un diritto ai soggetti dell�ordinamento. 48 In proposito giova ricordare che, come menzionato ai punti 31 e 32 della presente sentenza, in mancanza di una normativa comunitaria, spetta agli Stati membri disciplinare le modalit� procedurali dei ricorsi diretti a garantire la piena tutela dei diritti conferiti ai soggetti dal diritto comunitario, norme sulla prescrizione incluse, purch� tali modalit� rispettino i principi di equivalenza e di effettivit�. Occorre inoltre ricordare che la fissazione di termini di ricorso ragionevoli, a pena di decadenza, rispetta siffatti principi e, in particolare, non si pu� ritenere che renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l�esercizio dei diritti attribuiti dall�ordinamento giuridico comunitario. 49 Nemmeno la circostanza che il termine di prescrizione previsto dal diritto nazionale inizi a decorrere dal momento in cui si sono verificati i primi effetti lesivi, e che siano prevedibili ulteriori effetti analoghi, � tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l�esercizio dei diritti attribuiti dall�ordinamento giuridico comunitario. 50 La sentenza 13 luglio 2006, cause riunite da C 295/04 a C 298/04, Manfredi e a. (Racc. pag. I 6619), cui fa riferimento la Danske Slagterier, non � tale da inficiare detta conclusione. 51 Ai punti 78 e 79 della citata sentenza, la Corte ha considerato che non � da escludersi che un termine di prescrizione breve per la proposizione di un ricorso per risarcimento danni, decorrente dal giorno in cui un�intesa o una pratica concordata � stata posta in essere, possa rendere praticamente impossibile l�esercizio del diritto di chiedere il risarcimento del danno causato da tale intesa o pratica vietata. In caso di infrazioni continuate o ripetute, non � quindi impossibile che il termine di prescrizione si estingua addirittura prima che sia cessata l�infra- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 147 zione e, in tal caso, chiunque abbia sub�to danni dopo la scadenza del termine di prescrizione si troverebbe nell�impossibilit� di presentare un ricorso. 52 Orbene, ci� non si verifica nella fattispecie della causa principale. Dalla decisione di rinvio, infatti, risulta che il termine di prescrizione di cui trattasi nella presente controversia non pu� cominciare a decorrere prima che il soggetto leso abbia avuto conoscenza del danno e dell�identit� della persona tenuta al risarcimento. In siffatte circostanze � quindi impossibile che un soggetto che ha sub�to un danno si trovi in una situazione nella quale il termine di prescrizione inizi a decorrere, e addirittura si estingua, senza che detto soggetto nemmeno sappia di essere stato leso, caso che invece si sarebbe potuto verificare nel contesto della controversia all�origine della citata sentenza Manfredi e a., ove il termine di prescrizione cominciava a decorrere dal momento in cui veniva posta in essere l�intesa o la pratica concordata, e di cui taluni interessati potevano avere conoscenza unicamente in un momento decisamente successivo. 53 Quanto alla possibilit� di stabilire il momento iniziale del termine di prescrizione prima della completa trasposizione della direttiva in parola, � vero che, al punto 23 della sentenza 25 luglio 1991, causa C 208/90, Emmott (Racc. pag. I 4269), la Corte ha dichiarato che, al momento della trasposizione corretta della direttiva, lo Stato membro inadempiente non pu� eccepire la tardivit� di un�azione giudiziaria avviata nei suoi confronti da un soggetto al fine di tutelare i diritti che ad esso riconoscono le disposizioni della direttiva, e che un termine di ricorso di diritto nazionale pu� cominciare a decorrere solo da tale momento. 54 Tuttavia, come confermato dalla sentenza 6 dicembre 1994, causa C 410/92, Johnson (Racc. pag. I 5483, punto 26), dalla sentenza 27 ottobre 1993, causa C 338/91, Steenhorst- Neerings (Racc. pag. I 5475), deriva che la soluzione elaborata nella menzionata sentenza Emmott era giustificata dalle circostanze proprie di detta causa, dove la decadenza dai termini arrivava a privare totalmente la ricorrente nella causa principale della possibilit� di far valere il suo diritto alla parit� di trattamento in virt� di una direttiva comunitaria (v., altres�, sentenze 17 luglio 1997, causa C 90/94, Haahr Petroleum, Racc. pag. I 4085, punto 52, e cause riunite C 114/95 e C 115/95, Texaco e Olieselskabet Danmark, Racc. pag. I 4263, punto 48, nonch� 15 settembre 1998, cause riunite da C 279/96 a C 281/96, Ansaldo Energia e a., Racc. pag. I 5025, punto 20). 55 Orbene, nella causa principale, n� dal fascicolo n� dai dibattimenti nel corso della fase orale risulta che l�esistenza del termine controverso abbia condotto, come nella causa all�origine della citata sentenza Emmott, a privare totalmente i soggetti lesi della possibilit� di far valere i loro diritti dinanzi ai giudici nazionali. 56 La quarta questione va pertanto risolta dichiarando che il diritto comunitario non osta a che il termine di prescrizione di un�azione di risarcimento nei confronti dello Stato, basata sulla carente trasposizione di una direttiva, inizi a decorrere dalla data in cui i primi effetti lesivi di detta scorretta trasposizione si siano verificati e ne siano prevedibili altri, anche qualora tale data sia antecedente alla corretta trasposizione della direttiva in parola. 57 Alla luce della risposta data alla prima parte della quarta questione, non � necessario risolvere la seconda parte della stessa. Sulla quinta questione 58 Con la quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto comunitario osti ad una disposizione come quella di cui all�art. 839, n. 3, del BGB, la quale prevede che un soggetto non possa ottenere il risarcimento del danno di cui abbia omesso, dolosamente o colposamente, di evitare la realizzazione mediante le azioni in giudizio a sua disposizione. Il 148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 giudice a quo precisa la sua questione, chiedendo se siffatta disciplina nazionale sia contraria al diritto comunitario nella misura in cui sia applicata a condizione che il ricorso a tale mezzo di tutela giuridica possa ritenersi ragionevolmente a disposizione dell�interessato. Il giudice del rinvio vorrebbe infine sapere se agire in giudizio possa considerarsi ragionevole qualora sia probabile che il giudice adito sollevi una questione pregiudiziale ex art. 234 CE, o qualora sia stato avviato un procedimento per inadempimento ex art. 226 CE. 59 Come ricordato nell�ambito delle soluzioni alle due questioni precedenti, in mancanza di una normativa comunitaria in materia, spetta agli Stati membri disciplinare le modalit� procedurali delle azioni in giudizio dirette a garantire la tutela dei diritti conferiti ai soggetti dal diritto comunitario, purch� tali modalit� rispettino i principi di equivalenza e di effettivit�. 60 Relativamente all�impiego delle vie giudiziarie disponibili, la Corte ha dichiarato, al punto 84 della citata sentenza Brasserie du p�cheur e Factortame, per quanto riguarda la responsabilit� di uno Stato membro per violazione del diritto comunitario, che il giudice nazionale poteva verificare se il soggetto leso avesse dato prova di una ragionevole diligenza per evitare il danno o limitarne l�entit� e, in particolare, se esso avesse tempestivamente esperito tutti i rimedi giuridici a sua disposizione. 61 Invero, in forza di un principio generale comune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, la persona lesa, per evitare di doversi accollare il danno, deve dimostrare di avere agito con ragionevole diligenza per limitarne l�entit� (sentenze 19 maggio 1992, cause riunite C 104/89 e C 37/90, Mulder e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. I 3061, punto 33, e Brasserie du p�cheur e Factortame, cit., punto 85). 62 Sarebbe tuttavia contrario al principio di effettivit� imporre ai soggetti lesi di esperire sistematicamente tutti i mezzi di tutela giudiziaria a loro disposizione, tenendo conto che ci� causerebbe difficolt� eccessive o non si potrebbe ragionevolmente esigerlo da loro. 63 Nella sua sentenza 8 marzo 2001, cause riunite C 397/98 e C 410/98, Metallgesellschaft e a. (Racc. pag. I 1727, punto 106), la Corte ha infatti dichiarato che l�esercizio dei diritti che le norme del diritto comunitario direttamente applicabili conferiscono ai privati sarebbe reso impossibile o eccessivamente difficoltoso se le loro domande di risarcimento, fondate sulla violazione del diritto comunitario, dovessero essere respinte o ridotte per il solo motivo che i privati non abbiano richiesto di beneficiare del diritto ad essi conferito dalle norme comunitarie, e negato loro dalla legge nazionale, impugnando il rifiuto dello Stato membro con i mezzi di ricorso previsti a tale scopo, richiamandosi al primato e all�applicabilit� diretta delle disposizioni del diritto comunitario. In tal caso non sarebbe stato ragionevole esigere dai soggetti lesi che azionassero i mezzi di ricorso a loro disposizione, dal momento che dette persone avrebbero dovuto effettuare in ogni caso anticipatamente il pagamento controverso e che, anche qualora il giudice nazionale avesse dichiarato il carattere anticipato di tale pagamento incompatibile con il diritto comunitario, i soggetti di cui trattasi non avrebbero potuto ottenere gli interessi dovuti su detto importo e si sarebbero esposti ad un�eventuale sanzione (v., in tal senso, sentenza Metallgesellschaft e a., cit., punto 104). 64 Di conseguenza si deve concludere che il diritto comunitario non osta all�applicazione di una disciplina nazionale quale quella ex art. 839, n. 3, del BGB, a condizione che si possa ragionevolmente esigere dal soggetto leso l�utilizzo dell�azione in giudizio in parola. Spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce del complesso delle circostanze della causa principale, se tale caso si verifichi nella fattispecie. 65 Quanto alla possibilit� che la via giudiziaria cos� intrapresa sia lo spunto per la proposizione di una domanda di pronuncia pregiudiziale e all�incidenza che ci� possa avere sulla IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 149 ragionevolezza di detta via giudiziaria, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, il procedimento ex art. 234 CE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d�interpretazione del diritto comunitario necessari per risolvere le controversie dinanzi ad essi pendenti (v. sentenze 16 luglio 1992, causa C 83/91, Meilicke, Racc. pag. I 4871, punto 22, e 5 febbraio 2004, causa C 380/01, Schneider, Racc. pag. I 1389, punto 20). I chiarimenti cos� ottenuti dal giudice nazionale consentono quindi di agevolare ad esso l�applicazione del diritto comunitario, cosicch� l�utilizzo di tale strumento di cooperazione non contribuisce assolutamente a rendere eccessivamente difficile per il soggetto l�esercizio dei diritti attribuitigli dal diritto comunitario. Non sarebbe pertanto ragionevole non utilizzare un�azione in giudizio per il solo motivo che in seguito ad essa venga probabilmente proposta una domanda di pronuncia pregiudiziale. 66 Ne risulta che la forte probabilit� che in seguito a un�azione in giudizio venga proposta una domanda di pronuncia pregiudiziale non costituisce di per s� un motivo per concludere che l�utilizzo di detto mezzo non sia ragionevole. 67 Quanto alla ragionevolezza dell�obbligo di utilizzare i mezzi di ricorso disponibili quando un ricorso per inadempimento sia pendente dinanzi alla Corte, basti constatare che il procedimento ex art. 226 CE � assolutamente indipendente dai procedimenti nazionali e non li sostituisce. Come esposto relativamente alla soluzione della terza questione, un ricorso per inadempimento costituisce, infatti, un sindacato obiettivo di legittimit� nell�interesse comune. Anche se il risultato di un ricorso del genere pu� essere funzionale agli interessi del soggetto, resta ci� nondimeno ragionevole che quest�ultimo cerchi di evitare la realizzazione del danno azionando tutti i mezzi a sua disposizione, ossia utilizzando le vie giudiziarie disponibili. 68 Da ci� deriva che l�esistenza di un ricorso per inadempimento pendente dinanzi alla Corte o la probabilit� che la Corte sia investita di una domanda di pronuncia pregiudiziale non possono costituire, di per s�, un motivo sufficiente per concludere nel senso dell�irragionevolezza del ricorso ad un mezzo di tutela per via giudiziaria. 69 Si deve pertanto risolvere la quinta questione dichiarando che il diritto comunitario non osta all�applicazione di una disciplina nazionale, la quale prevede che un soggetto non possa ottenere il risarcimento del danno di cui abbia omesso, dolosamente o colposamente, di evitare la realizzazione mediante le azioni in giudizio a sua disposizione, a condizione che si possa ragionevolmente esigere dal soggetto leso l�utilizzo dell�azione in parola, il che spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce del complesso delle circostanze della causa principale. La probabilit� che il giudice nazionale proponga una domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 234 CE o l�esistenza di un ricorso per inadempimento pendente dinanzi alla Corte non possono costituire, di per s�, un motivo sufficiente per concludere che non sia ragionevole far ricorso a un�azione in giudizio. Sulle spese 70 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 1) I soggetti lesi dalla trasposizione e dall�applicazione carenti delle direttive del Consiglio 26 giugno 1964, 64/433/CEE, relativa alle condizioni sanitarie per la produzione e l�immissione sul mercato di carni fresche, come modificata dalla direttiva del Consiglio 150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 29 luglio 1991, 91/497/CEE, e del Consiglio 11 dicembre 1989, 89/662/CEE, relativa ai controlli veterinari applicabili negli scambi intracomunitari, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno, possono avvalersi del diritto alla libera circolazione delle merci per chiamare in causa la responsabilit� dello Stato per violazione del diritto comunitario. 2) Il diritto comunitario non richiede che, quando la Commissione delle Comunit� europee avvia un procedimento per inadempimento ex art. 226 CE, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto comunitario, previsto dalla normativa nazionale, sia interrotto o sospeso durante tale procedimento. 3) Il diritto comunitario non osta a che il termine di prescrizione di un�azione di risarcimento nei confronti dello Stato, basata sulla carente trasposizione di una direttiva, inizi a decorrere dalla data in cui i primi effetti lesivi di detta scorretta trasposizione si siano verificati e ne siano prevedibili altri, anche qualora tale data sia antecedente alla corretta trasposizione della direttiva in parola. 4) Il diritto comunitario non osta all�applicazione di una disciplina nazionale, la quale prevede che un soggetto non possa ottenere il risarcimento del danno di cui abbia omesso, dolosamente o colposamente, di evitare la realizzazione mediante le azioni in giudizio a sua disposizione, a condizione che si possa ragionevolmente esigere dal soggetto leso l�utilizzo dell�azione in parola, il che spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce del complesso delle circostanze della causa principale. La probabilit� che il giudice nazionale proponga una domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 234 CE o l�esistenza di un ricorso per inadempimento pendente dinanzi alla Corte non possono costituire, di per s�, un motivo sufficiente per concludere che non sia ragionevole far ricorso a un�azione in giudizio. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 151 Un utile riassunto sul tema degli �appalti in house� (Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Terza Sezione, sentenza 10 settembre 2009 nella causa C-573/07) Il dibattito pubblicato in apertura della presente sezione della Rassegna ed, in ispecie, l�intervento del prof. Giampaolo Rossi, mostrano un particolare legame tra la problematica degli aiuti di Stato, soprattutto in relazione alle imprese che gestiscono servizi pubblici locali, ed il tema dell�in house providing e del partenariato pubblico/privato. Le aperture da ultimo fatte dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia ad un pi� sereno rapporto con questi temi, non sembrano trovare tuttavia facile accoglienza nella legislazione nazionale e nella giurisprudenza del Consiglio di Stato. Questo orientamento in Italia potrebbe provocare quell�effetto di �disaiuto di Stato� che proprio il prof. Rossi mette in evidenza nel suo intervento: le imprese nazionali che gestiscono appalti in house e/o di partenariato restano penalizzate rispetto ad omologhe imprese che operano negli altri Stati membri (soprattutto in Francia e Spagna). Si pubblica di seguito la decisione depositata dalla Corte di Giustizia il 10 settembre ultimo scorso su una questione pregiudiziale proposta dal TAR della Lombardia su un affidamento senza gara del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti solidi urbani in comuni in certa misura �consorziati�. L�importanza della decisione, che risolve la questione pregiudiziale, ritenendo gli affidamenti non ostativi con le norme comunitarie, consiste nell�aver raccolto in un unico documento, in relazione alle questioni poste dal giudice italiano, due anni di progressivo chiarimento/superamento delle tesi pi� radicali adombrate nelle celebri decisioni Stadt Halle e Parking Brixen. Il quadro che ne risulta conferisce agli appalti in house e alle societ� miste una dignit� non residuale e notevoli spazi di intervento nel settore dei pubblici servizi, in relazione alle specifiche missioni che gli enti amministrativi intendono affidare a tali strutture. E� una rivincita dei �servizi pubblici� nel nuovo contesto dell�Europa che riscopre l�intervento pubblico nei settori in crisi. Quasi da contrappunto a questa importante evoluzione della giurisprudenza europea, il nuovo testo dell�articolo 23 bis del D.L. 25 giugno 2008 n.112, introdotto dall�art. 15 del D.L. 25 settembre 2009 n. 135, Disposizioni urgenti per l�attuazione di obblighi comunitari e per l�esecuzione di sentenze della Corte di Giustizia delle Comunit� europee, in G.U. n. 223 del 25 settembre 2009, sembra muoversi in direzione diversa dalla sentenza C-573/07, Sea s.r.l., e dagli orientamenti europei che emergono in tema di impresa pubblica. G.F. 152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Terza Sezione, sentenza 10 settembre 2009 nel procedimento C-573/07 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Amminsitrativo Regionale per la Lombardia (Italia) il 28 dicembre 2007 - Sea s.r.l./Comune di Ponte Nossa - (Avv. dello Stato G. Fiengo - AL 9414/08). �Appalti pubblici � Procedure di aggiudicazione � Appalto relativo al servizio di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti urbani � Assegnazione senza gara d�appalto � Assegnazione ad una societ� per azioni il cui capitale sociale � interamente detenuto da enti pubblici, ma il cui statuto prevede la possibilit� di una partecipazione di capitale privato� (...Omissis) 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione degli artt. 12 CE, 43 CE, 45 CE, 46 CE, 49 CE e 86 CE. 2 Tale domanda � stata presentata nell�ambito di una controversia tra la Sea Srl (in prosieguo: la �Sea�) e il Comune di Ponte Nossa, in merito all�assegnazione da parte di quest�ultimo di un appalto relativo al servizio di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti urbani alla Servizi Tecnologici Comuni � Se.T.Co. SpA (in prosieguo: la �Setco�). Contesto normativo La normativa comunitaria 3 L�art. 1 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), prevede quanto segue: �(�) 2. a) Gli �appalti pubblici� sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o pi� operatori economici e una o pi� amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l�esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva. (�) d) Gli �appalti pubblici di servizi� sono appalti pubblici diversi dagli appalti pubblici di lavori o di forniture aventi per oggetto la prestazione dei servizi di cui all�allegato II. (�) 4. La �concessione di servizi� � un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo�. 4 Ai sensi dell�art. 20 di tale direttiva: �Gli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell�allegato II A sono aggiudicati secondo gli articoli da 23 a 55�. 5 L�art. 28 di detta direttiva dispone che gli appalti sono aggiudicati, salvo eccezioni, mediante procedura aperta o mediante procedura ristretta. 6 Secondo l�art. 80 della direttiva 2004/18, gli Stati membri dovevano mettere in vigore entro il 31 gennaio 2006 le disposizioni necessarie per conformarsi a quest�ultima. 7 L�allegato II A di tale direttiva comprende una categoria 16 che contempla l��Eliminazione di scarichi di fogna e di rifiuti; disinfestazione e servizi analoghi�. La normativa nazionale e l�ambito statutario 8 L�art. 2341 bis del codice civile italiano cos� dispone: �I patti, in qualunque forma stipulati, che al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il go- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 153 verno della societ�: a) hanno per oggetto l�esercizio del diritto di voto nelle societ� per azioni o nelle societ� che le controllano; b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in societ� che le controllano; c) hanno per oggetto o per effetto l�esercizio anche congiunto di un�influenza dominante su tali societ�, non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza. Qualora il patto non preveda un termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di centottanta giorni. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi a societ� interamente possedute dai partecipanti all�accordo�. 9 L�art. 2355 bis del codice civile prevede quanto segue: �Nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto pu� sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e pu�, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della societ� o dal momento in cui il divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento. Le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della societ� o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell�alienante; resta ferma l�applicazione dell�articolo 2357. Il corrispettivo dell�acquisto o rispettivamente la quota di liquidazione sono determinati secondo le modalit� e nella misura previste dall�articolo 2437 ter. La disposizione del precedente comma si applica in ogni ipotesi di clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il gradimento e questo sia concesso. Le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal titolo�. 10 Il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante testo unico delle leggi sull�ordinamento degli enti locali (Supplemento ordinario alla GURI n. 227 del 28 settembre 2000), come modificato dal decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell�andamento dei conti pubblici (Supplemento ordinario alla GURI n. 229 del 2 ottobre 2003), convertito in legge, a seguito di modifica, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 (Supplemento ordinario alla GURI n. 274 del 25 novembre 2003; in prosieguo: il �decreto legislativo n. 267/2000�), stabilisce all�art. 113, quinto comma: �L�erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell�Unione europea, con conferimento della titolarit� del servizio: a) a societ� di capitali individuate attraverso l�espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica; b) a societ� a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l�espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorit� competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche; c) a societ� a capitale interamente pubblico a condizione che l�ente o gli enti pubblici 154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 titolari del capitale sociale esercitino sulla societ� un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la societ� realizzi la parte pi� importante della propria attivit� con l�ente o gli enti pubblici che la controllano�. 11 L�art. 1, terzo comma, dello statuto della Setco, � cos� formulato: �Stante la natura della societ�, possono essere soci enti pubblici locali cos� come individuati dall�articolo 2, comma 1, d.lgs. n. 267/2000, nonch� altre pubbliche amministrazioni e imprese pubbliche dotate di personalit� giuridica la cui attivit� e la cui esperienza possano offrire opportunit� favorevoli al pieno raggiungimento degli scopi sociali�. 12 Secondo l�art. 1, quarto comma, di detto statuto: �Non � ammessa la partecipazione di privati o di enti diversi ed in ogni caso di soggetti la cui partecipazione, qualitativamente e/o quantitativamente anche minoritaria, possa determinare una alterazione dei meccanismi di �controllo analogo� (come definiti dalle successive disposizioni e dalla disciplina comunitaria e nazionale) ovvero una incompatibilit� gestionale rispetto alla vigente normativa�. 13 L�art. 3 dello statuto della Setco precisa quanto segue: �1. La Societ� ha per oggetto la gestione dei servizi pubblici locali e dei servizi pubblici locali sovracomunali riguardanti esclusivamente gli enti pubblici locali affidanti i relativi servizi ai sensi degli articoli 113 e seguenti del d.lgs. n. 267/2000 (�) anche tramite convenzione tra Enti Locali. (�) 3. I servizi e le attivit� sopra indicate: � potranno essere svolti anche a favore di soggetti privati quando ci� non contrasti con gli obiettivi sociali ovvero sia funzionale al miglior conseguimento degli stessi; (�)�. 14 L�art. 6, quarto comma, di tale statuto cos� stabilisce: �La societ�, per eventualmente favorire l�azionariato diffuso a livello locale (dei cittadini e/o degli operatori economici) o [l�azionariato] dei dipendenti, potr� emettere anche azioni privilegiate (�)�. 15 L�art. 8 bis di detto statuto enuncia quanto segue: �1. L�affidamento diretto di servizi pubblici locali alla societ� potr� essere disposto, nel rispetto della vigente normativa nazionale e comunitaria, da parte di soci rappresentanti enti locali (�soci affidanti�) relativamente a tutti o alcuni dei settori specificati nell�art. 3 corrispondenti alle seguenti Divisioni: Divisione n. l: Rifiuti; Divisione n. 2: Acqua; Divisione n. 3: Gas; Divisione n. 4: Turismo; Divisione n. 5: Energia; Divisione n. 6: Servizi di utilit� generale. 2. La societ� gestisce i servizi in via esclusiva a favore dei soci affidanti ed in ogni caso nell�ambito dei territori di competenza di dette Amministrazioni. 3. I soci esercitano, congiuntamente e/o disgiuntamente, i pi� ampi poteri di direzione, coordinamento e supervisione sugli organi ed organismi societari ed in particolare: possono convocare gli organi societari per chiarimenti sulle modalit� di svolgimento dei servizi pubblici locali; richiedono periodicamente e comunque almeno due volte l�anno relazioni sulla gestione dei servizi e sull�andamento economico finanziario; esercitano forme di controllo di gestione con le modalit� stabilite dai regolamenti interni delle Amministrazioni affidanti; esprimono il proprio preventivo consenso, da intendersi quale condizione di legittimit�, per ogni modifica statutaria inerente la gestione dei servizi pubblici locali. 4. Le divisioni determinano l�applicazione di meccanismi di controllo analogo, congiunto IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 155 e differenziato secondo le modalit� previste dal presente atto e dai relativi contratti di servizio. 5. I soci affidanti esercitano i poteri relativamente alle divisioni per le quali hanno deliberato l�affidamento diretto dei servizi. Ai fini della efficace gestione dei citati servizi gli organi e dipendenti della societ� rispondono dell�attivit� svolta anche agli organismi individuati dal presente atto. 6. Il controllo da parte dei soci affidanti, oltre che mediante le prerogative di azionista della societ� cos� come definite dal diritto societario, viene svolto attraverso: un Comitato unitario di indirizzo e controllo politico-amministrativo (di seguito �Comitato unitario�); un Comitato tecnico di controllo per ogni divisione (di seguito �Comitato tecnico�). 7. I soci non affidanti possono partecipare, senza diritto di voto, alle riunioni del Comitato unitario (�) e del Comitato tecnico (�) per ogni divisione. La maggioranza assoluta dei membri dei citati Comitati pu� disporre l�esclusione dalla partecipazione a singole riunioni ovvero a fasi di una riunione dei soci non affidanti dandone motivata giustificazione in sede di verbale di ogni riunione�. 16 L�art. 8 ter dello statuto della Setco � cos� formulato: �1. Il Comitato unitario (...) � formato: da un rappresentante per ogni socio affidante individuato fra il legale rappresentante dell�Ente, l�Assessore delegato o un Consigliere delegato pro-tempore in carica; da un funzionario, con compiti di supporto e verbalizzazione e senza diritto di voto, nominato congiuntamente dai soci affidanti nel corso della prima riunione ed individuato fra i segretari, direttori generali ovvero i dirigenti (o responsabili dei servizi negli enti privi di personale con qualifica dirigenziale) in servizio presso almeno uno degli enti affidanti. 2. Il Comitato unitario esercita funzioni consultive, di indirizzo e decisionali ai fini dell�esercizio del controllo analogo ed in particolare: a) esercita nei confronti degli organi e degli organismi della societ� le competenze e le prerogative riconosciute al Consiglio, alla Giunta ed al Sindaco/Presidente relativamente al controllo sui propri uffici e servizi. Il controllo si esplica su tutti gli aspetti di organizzazione e funzionamento dei servizi oggetto di affidamento; b) detta gli indirizzi ai Comitati di divisione ai fini della gestione coordinata ed unitaria dei servizi nonch� nelle materie e per gli aspetti coinvolgenti pi� divisioni; c) designa i rappresentanti degli Enti locali in seno al Consiglio di Amministrazione della societ�; d) designa il Presidente del Consiglio di Amministrazione e del collegio sindacale e ne dispone la revoca nei casi indicati dal presente statuto; e) detta gli indirizzi per la nomina degli amministratori delegati e del Direttore generale della societ�; f) adotta la proposta del piano programma, del bilancio economico di previsione pluriennale, del bilancio economico di previsione annuale nonch� del rendiconto consuntivo annuale; g) effettua audizioni degli organi di vertice della societ� sentendo, almeno una volta l�anno, il Presidente e/o il Direttore Generale; h) riceve periodiche relazioni sullo svolgimento dei servizi pubblici locali da parte degli organi di vertice della societ� con cadenza almeno semestrale; i) pu� delegare alcune delle proprie funzioni ad uno o pi� Comitati tecnici anche in modo differenziato in relazione alla specificit� delle relative competenze; l) esprime il preventivo parere sugli atti degli amministratori oggetto di approvazione assembleare nei casi previsti dal presente statuto. 3. Il Comitato unitario si riunisce in via ordinaria almeno una volta l�anno e in via straordinaria su richiesta: a) di uno dei soci affidanti; b) del legale rappresentante della societ��. 17 Ai sensi dell�art. 8 quater di detto statuto: �1. � istituito un Comitato tecnico (�) per ciascuna delle seguenti divisioni: Divisione n. 156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 1: Rifiuti; Divisione n. 2: Acqua; Divisione n. 3: Gas; Divisione n. 4: Turismo; Divisione n. 5: Energia; Divisione n. 6: Servizi di utilit� generale. 2. Il Comitato tecnico (�) � formato: da un rappresentante di ogni socio affidante individuato fra i segretari, direttori generali ovvero i dirigenti (o responsabili dei servizi negli enti privi di personale con qualifica dirigenziale), in servizio presso almeno uno degli enti affidanti. (�) 3. Uno stesso soggetto pu� far parte di Comitati tecnici di pi� divisioni. 4. Il Comitato tecnico, in particolare: a) esercita nei confronti degli organi e degli organismi della societ� le competenze e le prerogative riconosciute agli organi tecnici dell�Amministrazione sui propri uffici. Il controllo si esplica su tutti gli aspetti di organizzazione e funzionamento dei servizi oggetto di affidamento limitatamente alle materie di competenza della divisione e nel rispetto delle direttive del Comitato unitario; b) supporta il Comitato unitario nelle decisioni inerenti l�organizzazione ed il funzionamento dei servizi di competenza della divisione; c) esercita le funzioni delegate dal Comitato unitario; d) coordina i sistemi di controllo di gestione della societ�; e) propone al Comitato unitario o agli organi della societ� l�adozione degli atti necessari al coordinamento dell�azione societaria con gli obiettivi delle Amministrazioni affidanti come risultano dal Piano Esecutivo di Gestione e dal Piano degli Obiettivi; f) fornisce un supporto tecnico-amministrativo all�attivit� della societ� con le modalit� stabilite dai regolamenti delle Amministrazioni affidanti e/o dalla convenzione di disciplina dei rapporti fra queste; g) segnala eventuali disfuzioni nella gestione dei servizi e propone i correttivi da apportare alla regolamentazione comunale ed agli atti di regolamentazione dei servizi pubblici locali�. 18 L�art. 14 dello stesso statuto precisa quanto segue: �1. L�Assemblea ordinaria, salve le prerogative degli organismi di controllo analogo, congiunto e differenziato di cui ai precedenti articoli 8 bis, 8 ter e 8 quater, delibera sulle materie previste dalla legge e dal presente statuto tenuto conto delle direttive, degli indirizzi e delle eventuali prescrizioni impartite dai citati organismi relativamente alla organizzazione e gestione dei servizi pubblici locali affidati direttamente alla societ�. (�) 3. Sono sottoposti alla preventiva autorizzazione dell�Assemblea ordinaria, su conforme parere favorevole del Comitato unitario di cui al precedente art. 8 ter relativamente alle parti inerenti l�organizzazione ed il funzionamento dei servizi pubblici locali, i seguenti atti degli amministratori: a) piano programmatico, bilanci economici di previsione pluriennale ed annuale, nonch� il bilancio infrannuale di assestamento del bilancio di previsione; b) costituzione di societ� di capitale aventi scopi strumentali o complementari a quello della societ�; acquisto di partecipazioni anche minoritarie in dette societ�, nonch� loro dismissione; c) attivazione di nuovi servizi previsti dallo Statuto o dismissione di quelli gi� esercitati; d) acquisti ed alienazioni di immobili e di impianti, mutui ed altre operazioni similari, di qualsiasi tipo e natura, che comportino un impegno finanziario di valore superiore al 20% del patrimonio netto risultante dall�ultimo bilancio approvato; e) linee guida per la formulazione delle tariffe e dei prezzi dei servizi IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 157 erogati, qualora non soggetti a vincoli di legge o fissati da organi o autorit� ad essi preposti. (�) 5. L�Assemblea ed il Comitato unitario possono fornire il proprio assenso al compimento degli atti di cui ai precedenti punti anche condizionando lo stesso a determinate prescrizioni, vincoli o adempimenti a carico degli amministratori. In tal caso gli amministratori relazionano in merito al rispetto delle prescrizioni entro il termine stabilito nell�atto di autorizzazione o, in assenza, entro 30 giorni dal compimento dell�atto stesso. 6. Gli enti locali soci, che rappresentino almeno un ventesimo del capitale sociale, e ciascun socio affidante per il tramite del Comitato unitario, ove ritengano che la societ� non abbia eseguito o non stia eseguendo l�atto in conformit� all�autorizzazione concessa, possono richiedere, ai sensi dell�art. 2367, comma 1, [del codice civile], l�immediata convocazione dell�Assemblea affinch� adotti i provvedimenti che riterr� pi� opportuni nell�interesse della societ�. 7. L�esecuzione degli atti soggetti a preventiva autorizzazione senza che sia stato richiesto ed ottenuto il preventivo assenso assembleare ovvero il conforme parere del Comitato unitario nei casi previsti dallo statuto ovvero la mancata esecuzione dell�atto in conformit� all�autorizzazione concessa potr� configurare giusta causa per la revoca degli amministratori. 8. Il consiglio di amministrazione che non intenda eseguire l�atto autorizzato dall�Assemblea, adotta, entro il termine di quindici giorni decorrenti dal giorno in cui � stata assunta la deliberazione assembleare, apposita motivata deliberazione, che deve essere immediatamente trasmessa agli Enti locali soci e, per le materie relative alla gestione dei servizi pubblici locali, al Comitato unitario. Il Comitato unitario, relativamente alle decisioni inerenti la organizzazione e/o la gestione dei servizi pubblici locali, entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione del consiglio di amministrazione pu� adottare una decisione di conferma del proprio parere e/o delle proprie prescrizioni. L�atto adottato sar� vincolante per l�organo di amministrazione. (�)�. 19 L�art. 16 di detto statuto enuncia quanto segue: �1. La societ� � amministrata da un Consiglio di Amministrazione, con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, fatti salvi quelli, che per legge o per statuto: a) sono riservati all�Assemblea, b) sono soggetti a preventiva autorizzazione assembleare, c) sono riservati agli organismi di controllo analogo di cui agli articoli 8 bis e seguenti dello statuto. 2. Il Consiglio di Amministrazione � formato da n. 3 (tre) a 7 (sette) membri, nominati dall�Assemblea su designazione del Comitato unitario di cui all�art. 8 ter. In ogni caso ai soci affidanti spetta la nomina diretta, la revoca e la sostituzione di un numero di amministratori (ivi compreso il Presidente del consiglio di amministrazione) proporzionale all�entit� della propria partecipazione e comunque superiore alla met� degli stessi. (...) 6. Il Consiglio di Amministrazione adotta le decisioni inerenti l�organizzazione e/o la gestione dei servizi pubblici locali oggetto di affidamento diretto nel rispetto degli indirizzi adottati dagli organismi di controllo di cui agli articoli 8 bis e seguenti del presente atto. (�)�. 158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Causa principale e questione pregiudiziale 20 La Sea, aggiudicataria a seguito di pubblica gara dell�appalto del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilati nel territorio del Comune di Ponte Nossa, ha fornito detto servizio per un periodo di tre anni, dal 1� gennaio 2004 al 31 dicembre 2006. 21 La Setco � una societ� per azioni partecipata da alcuni comuni della Val Seriana, il cui azionista di maggioranza � il Comune di Clusone. 22 Con decisione 16 dicembre 2006, il Comune di Ponte Nossa ha deciso di diventare socio minoritario della Setco in vista dell�affidamento diretto a quest�ultima del servizio di cui trattasi a decorrere dal 1� gennaio 2007. 23 Il 23 dicembre 2006 i comuni azionisti della Setco, tra cui il Comune di Ponte Nossa, hanno conformato lo statuto di tale societ� per sottoporla ad un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, conformemente all�art. 113, quinto comma, lett. c), del decreto legislativo n. 267/2000. 24 Con decisione 30 dicembre 2006, il Comune di Ponte Nossa ha assegnato direttamente alla Setco, dal 1� gennaio 2007, il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilati nel suo territorio, senza previa gara pubblica. 25 Il 2 gennaio 2007 la Sea ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia avverso le decisioni 16 e 30 dicembre 2006 del Comune di Ponte Nossa. 26 La Sea, in particolare, ha fatto valere che il Comune di Ponte Nossa, assegnando direttamente alla Setco il servizio di cui trattasi, ha violato l�art. 113, quinto comma, del decreto legislativo n. 267/2000, nonch� gli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE, in quanto esso non esercita sulla Setco un controllo analogo a quello che effettua sui propri servizi, cos� come richiesto per l�assegnazione diretta di un servizio ad un�impresa partecipata dall�amministrazione aggiudicatrice. 27 Il giudice del rinvio ritiene che taluni elementi potrebbero suscitare dubbi riguardo all�esercizio sulla Setco da parte del Comune di Ponte Nossa di un controllo analogo a quello effettuato sui propri servizi. 28 Da un lato, la partecipazione di privati al capitale della Setco, sebbene attualmente inesistente, sarebbe potenzialmente possibile. A tale riguardo, il giudice del rinvio precisa che tale partecipazione, nonostante l�espressa esclusione di soci privati dal capitale della Setco prevista all�art. 1, quarto comma, del suo statuto, sembrerebbe possibile in base all�art. 6, quarto comma, dello stesso statuto nonch� in forza dell�art. 2355 bis del codice civile italiano. 29 Dall�altro, riguardo ai poteri di controllo effettivamente attribuiti al Comune di Ponte Nossa nei confronti della Setco, il giudice a quo si chiede se possa esistere un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi dal momento che possiede solo una partecipazione minoritaria in detta societ�. 30 Ci� considerato, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: �Se sia compatibile con il diritto comunitario ed in particolare con la libert� di stabilimento ovvero di prestazione di servizi, con il divieto di discriminazione e con gli obblighi di parit� di trattamento, di trasparenza e di libera concorrenza di cui agli artt. 12 CE, 43 CE, 45 CE, 46 CE, 49 CE e 86 CE, l�affidamento diretto di un servizio di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti solidi urbani ed assimilati ad una societ� per azioni a capitale interamente pubblico e statuto conformato � ai fini dell�art. 113 del decreto legislativo n. 267/2000 � cos� come esposto in motivazione�. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 159 Sulla questione pregiudiziale 31 In via preliminare si deve rilevare che l�affidamento di un servizio di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti urbani, come quello di cui trattasi nella causa principale, pu� rientrare, secondo le specificit� della contropartita di tale servizio, nella definizione di appalto pubblico di servizi o in quella di concessione di servizi pubblici ai sensi, rispettivamente, dell�art. 1, n. 2, lett. d), o n. 4, della direttiva 2004/18. 32 In base agli elementi contenuti nella decisione di rinvio e nel fascicolo trasmesso alla Corte dal giudice del rinvio, il contratto in esame nella causa principale potrebbe costituire un appalto pubblico di servizi, in particolare per il fatto che il contratto intervenuto tra la Setco e il Comune di Ponte Nossa per la prestazione dei servizi in oggetto prevede che quest�ultimo versi alla Setco il corrispettivo per i servizi da essa forniti. 33 Un appalto siffatto potrebbe rientrare nella direttiva 2004/18, in quanto appalto di servizi di eliminazione di rifiuti appartenenti alla categoria 16 dell�allegato II A di tale direttiva. 34 La decisione di rinvio, tuttavia, non contiene le informazioni necessarie per determinare se si tratti di una concessione di servizi o di un appalto pubblico di servizi e, in quest�ultimo caso, se siano soddisfatte tutte le condizioni di applicazione di detta direttiva. In particolare, essa non precisa se l�importo dell�appalto di cui trattasi nella causa principale superi la soglia di applicazione di quest�ultima. 35 In ogni caso, la questione se la causa principale tratti di una concessione di servizi o di un appalto pubblico di servizi nonch� la questione se, in quest�ultimo caso, un siffatto appalto di servizi rientri o meno nell�ambito di applicazione della direttiva 2004/18 non influiscono sulla risposta che la Corte deve dare alla questione pregiudiziale sottoposta. 36 Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte, una gara non � obbligatoria in caso di contratto a titolo oneroso concluso con un ente giuridicamente distinto dall�autorit� locale che costituisce l�amministrazione aggiudicatrice, qualora tale autorit� eserciti su detto ente un controllo, analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e, nel contempo, tale ente realizzi la parte pi� importante della propria attivit� con l�ente o con gli enti locali che lo controllano (v., in tal senso, sentenza 18 novembre 1999, causa C 107/98, Teckal, Racc. pag. I 8121, punto 50). 37 Orbene, detta giurisprudenza rileva sia per l�interpretazione della direttiva 2004/18 sia per quella degli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE nonch� dei principi generali di cui essi costituiscono la specifica espressione (v., in tal senso, sentenze 11 gennaio 2005, causa C 26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I 1, punto 49, nonch� 13 ottobre 2005, causa C 458/03, Parking Brixen, Racc. pag. I 8585, punto 62). 38 Occorre ricordare che, nonostante il fatto che taluni contratti non rientrino nell�ambito di applicazione delle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici che li stipulano sono tenute a rispettare i principi fondamentali del Trattato CE (v., in tal senso, sentenza 7 dicembre 2000, causa C 324/98, Telaustria e Telefonadress, Racc. pag. I 10745, punto 60, nonch� ordinanza 3 dicembre 2001, causa C 59/00, Vestergaard, Racc. pag. I 9505, punto 20). 39 Per quanto concerne l�aggiudicazione di appalti pubblici di servizi, le amministrazioni aggiudicatrici devono rispettare, in particolare, gli artt. 43 CE e 49 CE nonch� i principi di parit� di trattamento e di non discriminazione in base alla cittadinanza cos� come l�obbligo di trasparenza che ne discende (v., in tal senso, sentenze Parking Brixen, cit., punti 47-49, e 6 aprile 2006, causa C 410/04, ANAV, Racc. pag. I 3303, punti 19-21). 40 L�applicazione delle regole enunciate agli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE, nonch� dei prin- 160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 cipi generali di cui esse costituiscono la specifica espressione, � tuttavia esclusa qualora, al contempo, l�ente locale che costituisce l�amministrazione aggiudicatrice eserciti sull�ente aggiudicatario un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi e detto ente realizzi la parte pi� importante della sua attivit� con l�autorit� o le autorit� che lo controllano (v., in tal senso, sentenze Teckal, cit., punto 50; Parking Brixen, cit., punto 62, nonch� 9 giugno 2009, causa C 480/06, Commissione/Germania, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 34). 41 La circostanza che l�ente aggiudicatario si costituisca sotto forma di societ� di capitali non esclude in alcun modo l�applicazione dell�eccezione ammessa dalla giurisprudenza richiamata al punto precedente. Nella citata sentenza ANAV, la Corte ha riconosciuto l�applicabilit� di tale giurisprudenza nel caso di una societ� per azioni. 42 Il giudice del rinvio rileva che, nonostante il fatto che l�art. 1, terzo e quarto comma, dello statuto della Setco riservi ad enti pubblici l�accesso al capitale di quest�ultima, l�art. 6, quarto comma, di tale statuto prevede che la Setco possa emettere azioni privilegiate per favorire eventualmente l�azionariato, a livello locale, dei cittadini e degli operatori economici o l�azionariato dei dipendenti. 43 Nel corso dell�udienza, il Comune di Ponte Nossa ha fatto valere che detto art. 6, quarto comma, avrebbe dovuto essere abrogato in sede di modifica dello statuto della Setco avvenuta il 23 dicembre 2006, ma vi � rimasto per errore. Sempre secondo il Comune di Ponte Nossa, tale art. 6, quarto comma, � stato abrogato successivamente. Spetta al giudice nazionale verificare la realt� di questi elementi, i quali potrebbero portare ad escludere la possibilit� che il capitale della Setco sia aperto ad investitori privati. 44 La decisione di rinvio solleva la questione se un�amministrazione aggiudicatrice possa esercitare su una societ� di cui � azionista, con la quale intende concludere un contratto, un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi nel caso in cui esista la possibilit�, sebbene non concretizzata, che investitori privati entrino nel capitale della societ� di cui trattasi. 45 Per risolvere tale questione va ricordato che la circostanza che l�amministrazione aggiudicatrice detenga, da sola o insieme ad altri enti pubblici, l�intero capitale di una societ� concessionaria potrebbe indicare, pur non essendo decisiva, che tale amministrazione aggiudicatrice esercita su detta societ� un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (v., in tal senso, sentenze 11 maggio 2006, causa C 340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei, Racc. pag. I 4137, punto 37, nonch� 13 novembre 2008, causa C 324/07, Coditel Brabant, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 31). 46 Per contro, la partecipazione, anche minoritaria, di un�impresa privata al capitale di una societ� alla quale partecipi anche l�amministrazione aggiudicatrice in questione esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta societ� un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi (v., in tal senso, citate sentenze Stadt Halle e RPL Lochau, punto 49, nonch� Coditel Brabant, punto 30). 47 Di regola, l�esistenza effettiva di una partecipazione privata al capitale della societ� aggiudicataria deve essere verificata nel momento dell�affidamento dell�appalto pubblico di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., punti 15 e 52). Pu� anche assumere rilevanza tenere conto della circostanza che, nel momento in cui un�amministrazione aggiudicatrice affida un appalto ad una societ� di cui detiene l�intero capitale, la legislazione nazionale applicabile prevede l�apertura obbligatoria della societ�, a breve termine, ad altri capitali (v., in tal senso, citata sentenza Parking Brixen, punti 67 e 72). 48 In via eccezionale, circostanze particolari possono richiedere che siano presi in consi- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 161 derazione avvenimenti intervenuti successivamente alla data di aggiudicazione dell�appalto in esame. � quanto avviene, in particolare, nel caso in cui le quote della societ� aggiudicataria, precedentemente detenute interamente dall�amministrazione aggiudicatrice, vengano cedute ad un�impresa privata appena dopo l�aggiudicazione a tale societ� dell�appalto di cui trattasi nell�ambito di una costruzione artificiale diretta ad eludere le norme comunitarie in materia (v., in tal senso, sentenza 10 novembre 2005, causa C 29/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I 9705, punti 38-41). 49 Certamente, non pu� escludersi che le quote di una societ� vengano vendute a terzi in qualunque momento. Tuttavia, il fatto di ammettere che questa mera possibilit� possa sospendere indefinitamente la valutazione sul carattere pubblico o meno del capitale di una societ� aggiudicataria di un appalto pubblico non sarebbe conforme al principio di certezza del diritto. 50 Se il capitale di una societ� � interamente detenuto dall�amministrazione aggiudicatrice, da sola o con altre autorit� pubbliche, al momento in cui l�appalto in oggetto � assegnato a tale societ�, l�apertura del capitale di quest�ultima ad investitori privati pu� essere presa in considerazione solo se in quel momento esiste una prospettiva concreta e a breve termine di una siffatta apertura. 51 Ne risulta che in una situazione come quella di cui trattasi nella causa principale, in cui il capitale della societ� aggiudicataria � interamente pubblico e in cui non vi � alcun indizio concreto di una futura apertura del capitale di tale societ� ad investitori privati, la mera possibilit� per i privati di partecipare al capitale di detta societ� non � sufficiente per concludere che la condizione relativa al controllo dell�autorit� pubblica non � soddisfatta. 52 Tale conclusione non � inficiata dalle considerazioni contenute nel punto 26 della sentenza 21 luglio 2005, causa C 231/03, Coname (Racc. pag. I 7287), in base alle quali il fatto che una societ� come quella in esame nella causa all�origine della citata sentenza sia aperta ai capitali privati impedisce di considerarla come una struttura di gestione interna di un servizio pubblico nell�ambito dei comuni che ne fanno parte. Infatti, in questa causa, il servizio pubblico era stato attribuito ad una societ� a prevalente capitale pubblico, e dunque misto, al momento di tale assegnazione (v. citata sentenza Coname, punti 5 e 28). 53 Va tuttavia precisato che, nell�ipotesi in cui un appalto fosse stato attribuito senza indizione di una gara ad una societ� a capitale pubblico alle condizioni stabilite nel punto 51 della presente sentenza, il fatto che, successivamente, ma sempre durante il periodo di validit� di tale appalto, gli azionisti privati siano ammessi a partecipare al capitale di detta societ� costituirebbe un cambiamento di una condizione fondamentale dell�appalto che necessiterebbe di un�indizione di gara. 54 Bisogna capire poi se, nel caso in cui un�autorit� pubblica diventi socia di minoranza di una societ� per azioni a capitale interamente pubblico al fine di attribuire a quest�ultima la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorit� pubbliche socie di detta societ� esercitano su quest�ultima, per essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, debba essere esercitato individualmente da ognuna di queste autorit� o possa essere esercitato congiuntamente dalle stesse. 55 La giurisprudenza non impone che il controllo esercitato in un siffatto caso sulla societ� aggiudicataria sia individuale (v., in tal senso, citata sentenza Coditel Brabant, punto 46). 56 Infatti, allorch� varie autorit� pubbliche scelgono di svolgere alcune delle loro missioni di servizio pubblico facendo ricorso ad una societ� che esse detengono in comune, � di norma escluso che una di tali autorit� che possiede soltanto una partecipazione minoritaria in tale 162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 societ� eserciti da sola un controllo determinante sulle decisioni di quest�ultima. Richiedere che il controllo esercitato da un�autorit� pubblica in un caso del genere sia individuale avrebbe la conseguenza d�imporre una gara di appalto nella maggior parte dei casi in cui un�autorit� siffatta intendesse associarsi ad una societ� detenuta da altre autorit� pubbliche al fine di attribuirle la gestione di un servizio pubblico (v., in tal senso, citata sentenza Coditel Brabant, punto 47). 57 Un risultato simile non sarebbe conforme al sistema delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici e di concessioni. Si riconosce, infatti, che un�autorit� pubblica ha la possibilit� di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entit� esterne non appartenenti ai propri servizi (citate sentenze Stadt Halle e RPL Lochau, punto 48; Coditel Brabant, punto 48, e Commissione/Germania, punto 45). 58 Detta possibilit� per le autorit� pubbliche di ricorrere ai propri strumenti per adempiere alle loro missioni di servizio pubblico pu� essere utilizzata in collaborazione con altre autorit� pubbliche (v., in tal senso, sentenze 19 aprile 2007, causa C 295/05, Asemfo, Racc. pag. I 2999, punto 57, e Coditel Brabant, cit., punto 49). 59 Occorre quindi riconoscere che, nel caso in cui varie autorit� pubbliche detengano una societ� cui affidano l�adempimento di una delle loro missioni di servizio pubblico, il controllo che dette autorit� pubbliche esercitano sull�ente in parola pu� venire da loro esercitato congiuntamente (v., in tal senso, citata sentenza Coditel Brabant, punto 50). 60 Nel caso di un organo collegiale, la procedura utilizzata per adottare la decisione, segnatamente il ricorso alla maggioranza, non incide (v. citata sentenza Coditel Brabant, punto 51). 61 Neanche tale conclusione � inficiata dalla citata sentenza Coname. Di sicuro la Corte, al punto 24 di quest�ultima, ha considerato che una partecipazione dello 0,97% � talmente esigua da non consentire ad un comune di esercitare un controllo sul concessionario che gestisce un servizio pubblico. Tuttavia, in questo stralcio di detta sentenza, la Corte non affrontava la questione se un siffatto controllo potesse essere esercitato in maniera congiunta (v. citata sentenza Coditel Brabant, punto 52). 62 Del resto, la Corte ha dichiarato successivamente, nella citata sentenza Asemfo (punti 56 61), che, in talune circostanze, la condizione relativa al controllo esercitato dall�autorit� pubblica aggiudicatrice poteva essere soddisfatta nel caso in cui quest�ultima detenesse solamente lo 0,25% del capitale di un�impresa pubblica (v. citata sentenza Coditel Brabant, punto 53). 63 Ne discende che se un�autorit� pubblica diventa socia di minoranza di una societ� per azioni a capitale interamente pubblico al fine di attribuirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorit� pubbliche associate a detta societ� esercitano su quest�ultima pu� essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, qualora esso sia esercitato congiuntamente dalle stesse. 64 La questione pregiudiziale sottoposta dal giudice del rinvio � volta inoltre a determinare se strutture decisionali come quelle previste dallo statuto della Setco siano atte a consentire ai comuni azionisti di esercitare effettivamente sulla societ� che detengono un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. 65 Per valutare se l�amministrazione aggiudicatrice eserciti sulla societ� aggiudicataria un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi � necessario tener conto di tutte le disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. Da questo esame deve risultare che la so- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 163 ciet� aggiudicataria � soggetta a un controllo che consente all�amministrazione aggiudicatrice di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilit� di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta societ� (v., in tal senso, citate sentenze Carbotermo e Consorzio Alisei, punto 36, nonch� Coditel Brabant, punto 28). 66 Fra le circostanze pertinenti delineate dalla decisione di rinvio va considerata anzitutto la legislazione applicabile, in secondo luogo la questione se la societ� di cui trattasi abbia una vocazione commerciale e, infine, i meccanismi di controllo previsti dallo statuto della Setco. 67 Per quanto riguarda la legislazione applicabile, l�art. 113, quinto comma, lett. c), del decreto legislativo n. 267/2000 prevede che l�erogazione del servizio possa essere attribuito, nel rispetto della normativa dell�Unione europea, a societ� a capitale interamente pubblico a condizione che l�ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale �esercitino sulla societ� un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la societ� realizzi la parte pi� importante della propria attivit� con l�ente o gli enti pubblici che la controllano�. 68 Adottando tali disposizioni, il legislatore italiano ha ripreso testualmente la formulazione delle condizioni enunciate al punto 50 della citata sentenza Teckal, e confermate in varie sentenze successive della Corte. Una siffatta legislazione nazionale � in linea di principio conforme al diritto comunitario, fermo restando che l�interpretazione di tale disciplina deve a sua volta essere conforme alle esigenze del diritto comunitario (v., in tal senso, citata sentenza ANAV, punto 25). 69 Peraltro, dalla decisione di rinvio emerge che i comuni azionisti della Setco hanno modificato lo statuto di tale societ� il 23 dicembre 2006, al fine di sottoporre quest�ultima ad un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, conformemente all�art. 113, quinto comma, lett. c), del decreto legislativo n. 267/2000. 70 Il fatto che detta modifica dello statuto della Setco miri a garantire il rispetto della normativa comunitaria in materia risulta altres� dall�art. 8 bis, primo comma, di tale statuto. 71 Del resto, nessun elemento del fascicolo indica che detto statuto sia stato modificato allo scopo di eludere le norme comunitarie in materia di appalti pubblici. 72 Infine, come risulta dalla decisione di rinvio, sia il contesto legislativo sia quello statutario pertinenti consentono agli enti locali minori di affidare direttamente la gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica a societ� a capitale interamente pubblico solo se tali enti esercitano sulla societ� un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi del diritto comunitario. Secondo il giudice nazionale, l�espressione �controllo analogo�, tuttavia, non � ivi definita. 73 Per quanto concerne la questione se la societ� di cui trattasi abbia una vocazione commerciale che rende precario il controllo di enti che ne sono gli azionisti, occorre esaminare la portata geografica e materiale delle attivit� di tale societ� nonch� la possibilit� per quest�ultima d�instaurare relazioni con imprese private. 74 L�art. 3 dello statuto della Setco, intitolato �Oggetto sociale�, prevede che quest�ultima gestisca i servizi pubblici locali riguardanti esclusivamente gli enti pubblici locali che affidano detti servizi. 75 Inoltre l�art. 8 bis, secondo comma, di tale statuto enuncia che la Setco gestisce i servizi in via esclusiva a favore dei soci affidanti e nell�ambito dei territori di competenza di questi ultimi. 76 Disposizioni siffatte, da un lato, indicano che l�ambito geografico delle attivit� della societ� aggiudicataria di cui trattasi nella causa principale non si estende oltre il territorio dei comuni che ne sono gli azionisti e, dall�altro, che questa societ� mira a gestire i servizi pubblici 164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 soltanto riguardo a tali comuni. 77 Tuttavia, l�art. 3, terzo comma, di detto statuto prevede che la Setco possa svolgere servizi anche a favore di soggetti privati quando ci� non contrasti con gli obiettivi sociali ovvero sia funzionale al miglior conseguimento degli stessi. 78 Nel corso dell�udienza la Setco ha affermato che il potere di cui essa dispone di trattare con imprese private costituisce un accessorio indispensabile all�esecuzione delle proprie missioni di servizio pubblico. A titolo esemplificativo essa ha menzionato la raccolta differenziata dei rifiuti, la quale potrebbe rendere necessaria la rivendita ad enti specializzati di talune categorie di materiale recuperato a scopo di riciclaggio. Secondo la Setco, si tratterebbe di attivit� accessorie alla raccolta di rifiuti e non di attivit� che esulano dall�attivit� principale. 79 Si deve considerare che, anche se il potere riconosciuto alla societ� aggiudicataria di cui trattasi nella causa principale di fornire servizi ad operatori economici privati � meramente accessorio alla sua attivit� principale, il che deve essere verificato dal giudice del rinvio, l�esistenza di tale potere non impedisce che l�obiettivo principale di detta societ� rimanga la gestione di servizi pubblici. Pertanto, l�esistenza di un potere siffatto non � sufficiente per ritenere che detta societ� abbia una vocazione commerciale che rende precario il controllo di enti che la detengono. 80 Tale conclusione � confermata dal fatto che la seconda condizione posta al punto 50 della citata sentenza Teckal, in base alla quale la societ� aggiudicataria deve svolgere la parte pi� importante della sua attivit� con gli enti locali che la controllano, consente che questa societ� eserciti un�attivit� avente un carattere marginale con altri operatori diversi da questi enti (v., in tal senso, citata sentenza Carbotermo e Consorzio Alisei, punto 63). Tale condizione sarebbe priva di oggetto se la prima condizione di cui al punto 50 della citata sentenza Teckal fosse interpretata nel senso di vietare ogni attivit� accessoria, anche con il settore privato. 81 Per quanto concerne i meccanismi di controllo stabiliti dallo statuto della Setco, dal fascicolo risulta che i soci, con le modifiche apportate allo statuto il 23 dicembre 2006, hanno inteso sovrapporre all�assemblea generale e al consiglio di amministrazione, quali previsti dal diritto societario italiano, strutture decisionali non esplicitamente prescritte da tale diritto, dirette a garantire sulla Setco un controllo analogo a quello che essi esercitano sui propri servizi. Si tratta, in particolare, di assicurare un controllo rafforzato, da un lato, tramite il Comitato unitario e, dall�altro, tramite un Comitato tecnico per ogni divisione responsabile delle diverse attivit� della Setco. 82 Come emerge dagli artt. 8 ter e 8 quater di detto statuto, il Comitato unitario e i Comitati tecnici sono formati da rappresentanti degli enti azionisti. Ognuno di questi enti possiede un voto in seno a detti Comitati, indipendentemente dalle dimensioni dell�ente di cui trattasi o dal numero di azioni che esso detiene. 83 Peraltro, gli artt. 8 bis-8 quater dello statuto della Setco attribuiscono al Comitato unitario e ai Comitati tecnici ampi poteri di controllo e di decisione. 84 Parallelamente, l�art. 14 di tale statuto limita i poteri dell�assemblea generale imponendo a quest�ultima di tener conto degli indirizzi e delle prescrizioni impartite dai Comitati summenzionati e richiedendo un parere favorevole del Comitato unitario prima che l�assemblea generale possa autorizzare l�adempimento di taluni atti da parte degli amministratori della societ�. 85 Parimenti, l�art. 16 di detto statuto restringe l�autonomia decisionale del consiglio di amministrazione imponendogli di rispettare i poteri riservati a detti Comitati e subordinando le sue decisioni all�osservanza delle prescrizioni emanate da questi ultimi. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 165 86 Tenuto conto della portata dei poteri di controllo e di decisione che esse attribuiscono ai Comitati istituiti nonch� della circostanza che questi ultimi sono composti da rappresentanti degli enti azionisti, le disposizioni statutarie come quelle della societ� aggiudicataria di cui trattasi nella causa principale devono essere intese nel senso di mettere gli enti azionisti in grado di esercitare, tramite detti Comitati, un�influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di tale societ�. 87 Tuttavia, il giudice del rinvio ritiene che gli artt. 8 bis 8 quater dello statuto della Setco, laddove riguardano il Comitato unitario e i Comitati tecnici, siano assimilabili ai patti parasociali di cui all�art. 2341 bis del codice civile italiano. Esso ne deduce che il controllo analogo a quello che gli enti azionisti esercitano sui propri servizi, su cui verte il meccanismo di detti Comitati, potrebbe essere ininfluente. 88 Si tratta di una questione interpretativa delle norme nazionali la cui soluzione incombe al giudice del rinvio. 89 Fatta salva la verifica da parte di quest�ultimo dell�operativit� delle disposizioni statutarie in oggetto, ne risulta che in circostanze come quelle di cui alla causa principale il controllo esercitato attraverso organi statutari dagli enti azionisti sulla societ� aggiudicataria pu� essere considerato tale da consentire a tali enti di esercitare su detta societ� un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. 90 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre risolvere la questione pregiudiziale sottoposta nel seguente modo: Gli artt. 43 CE e 49 CE, i principi di parit� di trattamento e di non discriminazione in base alla cittadinanza cos� come l�obbligo di trasparenza che ne discende non ostano all�affidamento diretto di un appalto pubblico di servizi ad una societ� per azioni a capitale interamente pubblico qualora l�ente pubblico che costituisce l�amministrazione aggiudicatrice eserciti su tale societ� un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e tale societ� realizzi la parte pi� importante della propria attivit� con l�ente o con gli enti locali che la controllano. Fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio dell�operativit� delle disposizioni statutarie di cui trattasi, il controllo esercitato dagli enti azionisti sulla detta societ� pu� essere considerato analogo a quello esercitato sui propri servizi in circostanze come quelle di cui alla causa principale, in cui: � l�attivit� di tale societ� � limitata al territorio di detti enti ed � esercitata fondamentalmente a beneficio di questi ultimi, e � tramite organi statutari composti da rappresentanti di detti enti, questi ultimi esercitano un�influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta societ�. Sulle spese 91 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara: Gli artt. 43 CE e 49 CE, i principi di parit� di trattamento e di non discriminazione in base alla cittadinanza cos� come l�obbligo di trasparenza che ne discende non ostano all�affidamento diretto di un appalto pubblico di servizi ad una societ� per azioni a capitale interamente pubblico qualora l�ente pubblico che costituisce l�amministrazione aggiudicatrice eserciti su tale societ� un controllo analogo a quello che esercita sui propri ser- 166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 vizi e questa societ� realizzi la parte pi� importante della propria attivit� con l�ente o con gli enti locali che la controllano. Fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio dell�operativit� delle disposizioni statutarie di cui trattasi, il controllo esercitato dagli enti azionisti sulla detta societ� pu� essere considerato analogo a quello esercitato sui propri servizi in circostanze come quelle di cui alla causa principale, in cui: � l�attivit� di tale societ� � limitata al territorio di detti enti ed � esercitata fondamentalmente a beneficio di questi ultimi, e � tramite organi statutari composti da rappresentanti di detti enti, questi ultimi esercitano un�influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta societ�. ** *** ** Il nuovo Art. 23-bis del Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112. Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica. 1. Le disposizioni del presente articolo disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la pi� ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libert� di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonche' di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalit� ed accessibilit� dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiariet�, proporzionalit� e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili, salve le disposizioni in materia di distribuzione del gas naturale, le disposizioni del d.lgs. 16 marzo 1999 n. 79 e della L. 23 agosto 2004 n. 239 in materia di distribuzione di energia elettrica, nonch� quelle del d.lgs. 19 novembre 1997 n. 422, relativamente alla disciplina del trasporto ferroviario regionale.* 2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria: a) a favore di imprenditori o di societ� in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunit� europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicit�, efficacia, imparzialit�, trasparenza, adeguata pubblicit�, non discriminazione, parit� di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalit�; b) a societ� a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualit� di socio e l�attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento. (*) Il testo in corsivo � stato ricostruito, non risultando univoco in G.U. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 167 3. In deroga alle modalit� di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l�affidamento pu� avvenire a favore di societ� a capitale interamente pubblico, partecipata dall�ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall�ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta �in house� e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla societ� e di prevalenza dell�attivit� svolta dalla stessa con l�ente o gli enti pubblici che la controllano. 4. Nei casi di cui al comma 3, l�ente affidante deve dare adeguata pubblicit� alla scelta, motivandola in base ad un�analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all�Autorit� garante della concorrenza e del mercato per l�espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole.� 4-bis. L�Autorit� garante della concorrenza e del mercato, in forza dell�autonomia organizzativa e funzionale attribuita dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni, individua, con propria delibera, le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell�espressione del parere di cui al comma 4.� 5. Ferma restando la propriet� pubblica delle reti, la loro gestione pu� essere affidata a soggetti privati. 6. E' consentito l'affidamento simultaneo con gara di una pluralit� di servizi pubblici locali nei casi in cui possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. In questo caso la durata dell'affidamento, unica per tutti i servizi, non pu� essere superiore alla media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore. 7. Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze e d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono definire, nel rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i diversi servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell'espletamento dei servizi, nonche' l'integrazione di servizi a domanda debole nel quadro di servizi pi� redditizi, garantendo il raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di impianto per pi� soggetti gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale. 8. Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai commi 2 e 3 � il seguente: a) le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta �in house� cessano, improrogabilmente e senza necessit� di deliberazione da parte dell�ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011; b) le gestioni affidate direttamente a societ� a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualit� di socio e l�attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessit� di apposita deliberazione dell�ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011; c) le gestioni affidate direttamente a societ� a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali abbiano avuto ad oggetto, al 168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 tempo stesso, la qualit� di socio e l�attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio; d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1� ottobre 2003 a societ� a partecipazione pubblica gi� quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell�articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica, si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2012; ove siffatta condizione non si verifichi, gli affidamenti cessano, improrogabilmente e senza necessit� di apposita deliberazione dell�ente affidante, alla data del 31 dicembre 2012; e) le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessit� di apposita deliberazione dell�ente affidante. 9. Le societ�, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell�Unione europea, che, in Italia o all�estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virt� di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2, lettera b), nonch� i soggetti cui � affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall�attivit� di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, n� svolgere servizi o attivit� per altri enti pubblici o privati, n� direttamente, n� tramite loro controllanti o altre societ� che siano da essi controllate o partecipate, n� partecipando a gare. Il divieto di cui al primo periodo opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle societ� quotate in mercati regolamentati. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere alla prima gara svolta per l�affidamento, mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, dello specifico servizio gi� a loro affidato.� 10. Il Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro il 31 dicembre 2009, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nonche' le competenti Commissioni parlamentari, emana uno o pi� regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di: a) prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari cosidetti in house di servizi pubblici locali al patto di stabilit� interno, tenendo conto delle scadenze fissate al comma 8, e l'osservanza da parte delle societ� in house e delle societ� a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e l'assunzione di personale; b) prevedere, in attuazione dei principi di proporzionalit� e di adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione, che i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata; c) prevedere una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilit�; d) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonche' in materia di acqua; e) la lettera e) � soppressa; IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 169 f) prevedere l'applicazione del principio di reciprocit� ai fini dell'ammissione alle gare di imprese estere; g) limitare, secondo criteri di proporzionalit�, sussidiariet� orizzontale e razionalit� economica, i casi di gestione in regime d'esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attivit� economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalit� ed accessibilit� del servizio pubblico locale; h) prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti; i) disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di propriet� del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio; l) prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi; m) individuare espressamente le norme abrogate ai sensi del presente articolo. 11. L'articolo 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, e' abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni di cui al presente articolo. 12. Restano salve le procedure di affidamento gi� avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA CE Causa C-229/08 - Materia trattata: politica sociale - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht Frankfurt am Main (Germania) il 28 maggio 2008 - Colin Wolf/Stadt Frankfurt am Main). (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 31235/08 - Disparit� di trattamento in base all�et� per l�assunzione nei pubblici impieghi). L�INTERVENTO ORALE DEL GOVERNO ITALIANO* Signor Presidente, signori Giudici, signor Avvocato Generale, 1. Le questioni pregiudiziali sono state sollevate nel corso di una controversia nella quale, � stata respinta la domanda del ricorrente di assunzione con contratto di formazione per tecnico di medio livello nei vigili del fuoco per superamento dell�et� massima di trent�anni. 2. Il ricorrente chiede alla convenuta il risarcimento del danno ritenendo che il rifiuto costituisca una discriminazione diretta fondata sull�et� mentre la convenuta considera legittimo detto rifiuto in quanto oggettivamente e ragionevolmente giustificato da una finalit� legittima. 3. Come evidenziato anche nelle osservazioni scritte della Commissione, con le prime nove questione pregiudiziali, il Giudice del rinvio chiede nella sostanza alla Corte di precisare se l�articolo 6, n. 1, della direttiva 2000/78/CE permetta agli Stati membri di mantenere una legislazione che, pur prevedendo astrattamente delle disparit� di trattamento, fissando un limite massimo di et� per l�assunzione, non costituisca discriminazione in ragione dell�et� perch� mezzo proporzionato al conseguimento di finalit� legittime. 4. Il riferimento alle finalit� di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, a giustificazione della disparit� di trattamento in ragione dell�et�, � rinvenibile non solo nell�art. 6 n. 1 della direttiva ma anche nel �considerando� 25, che riconosce espressamente che, in talune circostanze, delle disparit� di trattamento in funzione dell�et� possano essere giustificate. 5. Nella recente sentenza del 5 marzo 2009, causa C-388/07, Age Concern England, la Corte di giustizia ha affermato che l�art. 6, paragrafo 1 della direttiva 2000/78/CE deve essere interpretato nel senso che non osta ad un provvedimento nazionale che non contenga un elenco puntuale delle finalit� (*) V. Osservazioni del Governo italiano, Rassegna n. 2/09, 159-169. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 171 che giustificano un�eventuale deroga al principio del divieto delle discriminazioni fondate sull�et� e che spetta al giudice nazionale verificare se la normativa nazionale risponda ad una finalit� legittima di politica sociale. 6. Per quanto riguarda in particolare l�attivit� lavorativa oggetto della causa principale e cio� quella di vigile del fuoco, il diciottesimo e il diciannovesimo considerando della direttiva fanno espresso riferimento ai requisiti necessari per svolgere efficientemente le funzioni cui sono chiamate, nell�interesse generale, le forze armate e di polizia, precisando che, per salvaguardare l�operativit� del relativo servizio, gli Stati membri possono escludere l�applicabilit� delle disposizioni della direttiva relative all�handicap o all�et�. 7. Molto opportunamente quindi la Corte ha posto alcuni quesiti al Governo tedesco per accertare se la fissazione di un limite massimo di et� per l�assunzione nel corpo dei vigili del fuoco risponda ad esigenze ulteriori rispetto alle due segnalate dal giudice del rinvio e cio� quella di assicurare una struttura dell�et� equilibrata e quella di garantire un periodo di lavoro minimo prima del diritto al pensionamento. 8. Specificamente, la Corte ha chiesto al Governo tedesco di chiarire se una delle ragioni giustificative di tale limite di et� siano collegate ad una particolare attitudine fisica alla funzione da svolgere. 9. Il Governo tedesco, con approfondita e motivata risposta ai quesiti, ha confermato che la fissazione di un limite massimo di et� per l�assunzione � direttamente correlata a motivi di interesse generale per garantire l�operativit� ed il buon funzionamento del corpo dei pompieri professionali. 10. Per quanto concerne il tecnico di medio livello dei vigili del fuoco, le mansioni espletate richiedono prestazioni fisiche eccezionalmente impegnative, con particolare riferimento agli interventi per sedare gli incendi e per portare soccorso alle persone. 11. Tali interventi, che richiedono l�utilizzo di un�attrezzatura protettiva del peso di almeno 30 kg e il dispiego di sforzi fisici molto rilevanti, richiedono capacit� respiratorie, muscolari e di resistenza che possono essere assicurate solo da soggetti giovani. 12. Il Governo tedesco ha infatti precisato che, per tali tipi di intervento, non vengono mai utilizzati pompieri di et� superiore ai 50 anni per il contrasto degli incendi e a 45 anni per il soccorso alle persone che spesso devono essere materialmente trasportate per essere tratte in salvo. 13. E� evidente quindi che se si assumessero vigili del fuoco anche di 40 anni, tenuto conto del periodo di formazione di due anni, alcuni di loro potrebbero essere utilizzati per tali delicate e fondamentali funzioni per la sicurezza dei cittadini per un periodo limitatissimo. 14. Non si pu� quindi concordare con quanto affermato dalla Commissione ai punti 53 e 54 delle osservazioni in ordine al fatto che l�esigenza di assicurare un equilibrata distribuzione dell�et� non costituirebbe un obiettivo 172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 legittimo ai sensi dell�art. 6, paragrafo 1 della direttiva. 15. I pompieri pi� anziani hanno infatti il diritto di continuare a lavorare fino a sessant�anni ma dopo i quarantacinque o i cinquant�anni, a causa del fisiologico decadimento fisico, debbono necessariamente essere adibiti a mansioni meno faticose, come quelle della tutela dell�ambiente o del soccorso agli animali, che richiedono minore sforzo fisico. 16. Ove non vi fosse un ricambio generazionale che assicuri, per un periodo di tempo ragionevolmente lungo, la sostituzione dei pompieri pi� anziani nelle mansioni �sul campo� con l�assunzione di giovani di et� non superiore ai trent�anni, il Governo tedesco ha convincentemente dimostrato che sarebbe gravemente compromessa la funzionalit� del servizio di pubblico interesse svolto dai vigili del fuoco. 17. E� stato infatti posto in rilievo che l�attivit� di questi ultimi � particolarmente usurante e che l�esposizione al caldo, all�umidit�, al rumore nonch� il sollevamento di carichi pesanti e lo svolgimento di turni notturni possono anche comportare un invecchiamento precoce e l�accelerazione del processo di indebolimento fisico. 18. E� quindi tanto pi� necessario assicurare il reclutamento di forze giovani che possano svolgere le funzioni pi� delicate e pesanti per il maggior numero di anni possibile, compatibilmente con l�esigenza di garantire ai pi� anziani di poter continuare a lavorare con mansioni meno pesanti anche dopo il compimento dei quarantacinque o cinquant�anni. 19. Come ricordato dalla Corte di Giustizia nella sentenza Palacios de la Villa, causa C-411/05, punto 71, spetta dunque alle autorit� competenti degli Stati membri trovare un giusto equilibrio tra i differenti interessi in gioco. 20. N� si pu� condividere quanto affermato dalla Commissione al punto 56 delle proprie osservazioni. 21. Questa, pur riconoscendo che la necessit� di assicurare un periodo di lavoro minimo prima del pensionamento costituisce una finalit� legittima per giustificare una disparit� di trattamento in ragione dell�et�, alla luce di quanto previsto dall�art. 6, paragrafo 2, lettera c) della direttiva, ritiene che il mezzo utilizzato non sia proporzionato al fine perseguito in quanto potrebbero essere assunte anche persone di 35 o di 40 anni senza compromettere l�equilibrio finanziario del datore di lavoro. 22. Con tale assunto, la Commissione non solo si sostituisce al giudice nazionale nella valutazione dell�adeguatezza e proporzionalit� dei mezzi per il raggiungimento di una finalit� riconosciuta come legittima ma contravviene a quanto chiaramente affermato da codesta Corte nella citata sentenza Age Concern England, ove si dice appunto che spetta al giudice nazionale apprezzare se i mezzi prescelti siano appropriati e necessari, alla luce dell�ampio margine discrezionale di cui gli Stati membri dispongono in materia di politica sociale. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 173 23. La posizione della Commissione appare tanto pi� contraddittoria considerando che essa stessa ha bandito dei concorsi per l�assunzione di funzionari, fissando dei limiti massimi di et�. 24. Si veda in proposito la sentenza del Tribunale di primo grado del 8 ottobre 2004, cause riunite T-219/02 e T-337/02 che ha rigettato i ricorsi dei candidati esclusi dalla partecipazione al concorso per superamento del limite di et�. 25. In particolare, ai punti da 95 a 100, il Tribunale di primo grado ha affermato che le ragioni addotte dalla Commissione per giustificare la fissazione di un limite massimo di et� per il reclutamento e cio� la necessit� di offrire prospettive di carriera adeguate e l�esigenza di un periodo minimo di attivit� prima accedere alla pensione sono conformi alla direttiva 2000/78/CE. 26. Tale secondo obiettivo in particolare consente di mantenere l�equilibrio finanziario del sistema previdenziale comunitario. 27. Il Tribunale soggiunge poi che la nomina dei funzionari deve tener conto dell�interesse del servizio pubblico e non di quello individuale del candidato. 28. Conclude quindi il Tribunale che la fissazione di limiti di et� nelle procedure selettive bandite dalla Commissione � giustificata da obiettivi ragionevoli e non viola il principio generale di non discriminazione. 29. Come correttamente ricordato dall�Irlanda nelle proprie osservazioni scritte, la stessa Commissione, nella Comunicazione dell�8 luglio 2008 al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull�applicazione della direttiva 2000/78/CE riconosce che molti Stati membri prevedono nelle loro legislazioni nazionali deroghe generali al principio di non discriminazione fondate sull�et� ed in particolare limiti di et� per accedere all�impiego, soprattutto nel settore pubblico. 30. In tale Comunicazione, la Commissione ammette che i limiti di et� possono rivelarsi necessari, in taluni settori, per assicurare il rinnovamento generazionale dei lavoratori e per incoraggiare l�assunzione in determinate professioni. 31. Alla luce di ci�, l�Irlanda ritiene correttamente che i limiti di et� all�assunzione debbano essere accettati, in particolare per i servizi pubblici di soccorso e di sicurezza, al fine di garantire una prestazione efficace ed adeguata, tenuto conto della natura fisica di numerosi aspetti di tale attivit� lavorativa. 32. Per quanto riguarda infine la decima questione pregiudiziale e il sesto quesito posto dalla Corte con riferimento all�indicazione dei casi concreti in cui in Germania il datore di lavoro non � responsabile per la violazione del divieto di discriminazione e non � quindi tenuto ad alcun risarcimento, la Germania ha chiarito che l�art. 15, paragrafo 1 dell�AGG (legge generale sulla 174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 parit� di trattamento), relativo ai danni materiali, presuppone l�imputabilit� del danno al datore di lavoro. 33. Secondo il Governo tedesco, tale norma prevede un�inversione dell�onere della prova e una presunzione di responsabilit� in capo al datore di lavoro che, per esonerarsi da tale responsabilit�, deve provare di non aver causato colpevolmente il danno all�istante. 34. Il Governo tedesco soggiunge inoltre di non avere conoscenza di casi in cui � stata esclusa la responsabilit� del datore di lavoro, potendosi ipotizzare casi puramente teorici come quello del datore di lavoro affetto da una patologia mentale non diagnosticata o del datore di lavoro minore di et�. 35. Il Governo tedesco precisa inoltre che la richiesta risarcitoria avanzata nella causa principale attiene ad un pregiudizio morale con conseguente applicazione dell�art. 15, paragrafo 2 dell�AGG che non prevede alcun esonero di responsabilit� del datore di lavoro, contemplando al contrario tale norma un�ipotesi di responsabilit� oggettiva. 36. Alla luce di tali chiarimenti, il predetto art. 15 non pu� che ritenersi pienamente conforme all�art. 17 della direttiva che, tra l�altro, come correttamente sottolineato dall�Irlanda, non prevede un obbligo, ma solo una facolt�, degli Stati membri di prevedere un risarcimento per le violazioni delle norme nazionali attuative della direttiva. 37. Si richiamano le conclusioni gi� rassegnate. Lussemburgo, 7 luglio 2009 Avv.Wally Ferrante Causa C-292/08 - Materia trattata: giustizia e affari interni - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi) il 2 luglio 2008 - German Graphics Graphische Maschinen GmbH/Alice van der Scheer, in qualit� di curatore del fallimento della Holland Binding BV. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 35668/08). LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 1) Se l�art. 25, n. 2 del regolamento sull�insolvenza debba essere interpretato nel senso che i termini �ove questo (nella fattispecie la Convenzione di Bruxelles) si applichi� comportano che, prima di dichiarare l�applicabilit� delle disposizioni sul riconoscimento e sull�esecuzione di detta Convenzione a decisioni diverse da quelle di cui all�art. 25, n. 1 del regolamento sull�insolvenza, occorre esaminare se queste esulano dall�ambito di applicazione sostanziale di detta Convenzione, in forza dell�art. 1, n. 2, parte iniziale e lett. b) della Convenzione stessa. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 175 2) Se l�art. 1, n. 2, parte iniziale e lett. b) della Convenzione di Bruxelles, in combinato disposto con l�art. 7, n. 1 del regolamento sull�insolvenza, debba essere interpretato nel senso che la circostanza che un bene su cui grava la riserva di propriet� nel momento in cui � aperta la procedura avverso l�acquirente si trova nel territorio dello Stato membro dove la procedura � stata aperta comporta che un�azione del venditore basata sulla riserva di propriet�, come quella della German Graphics, deve essere considerata come un�azione che riguarda il fallimento, ai sensi dell�art. 1, n. 2, parte iniziale e lett. b) della convenzione di Bruxelles, e che pertanto esula dall�ambito di applicazione sostanziale di tale regolamento. 3) Se ai fini della soluzione della seconda questione sia rilevante che, ai sensi dell�art. 4, n. 2, parte iniziale e lett. b) del regolamento sull�insolvenza, � il diritto dello Stato membro di apertura della procedura a determinare quali beni siano oggetto di spossessamento. IL FATTO La Corte di Cassazione olandese ha sollevato le suddette questioni pregiudiziali nell�ambito di una controversia avente ad oggetto una vendita con riserva di propriet� alla quale � seguito il fallimento dell�impresa acquirente. In particolare, il 1� novembre 2006 il Tribunale di Utrecht dichiarava il fallimento di un�impresa dei Paesi Bassi, e, un mese dopo, il Tribunale di Braunschweig, in Germania, accoglieva la domanda di una impresa tedesca che chiedeva fosse emanato, contro l�impresa fallita, un ordine di restituzione di alcuni beni mobili venduti alla controparte con riserva di propriet�. Il giudice olandese dei provvedimenti di urgenza dichiarava esecutivo l�ordine emesso in Germania, ai sensi del regolamento n. 44 del 2001 (Bruxelles I), ma, successivamente, il Collegio revocava la dichiarazione di esecutivit�, rilevando un difetto di contraddittorio con la curatela e l�inapplicabilit� del regolamento insolvenza (n. 1346 del 2000) rispetto alla domanda fondata sulla vendita con riserva di propriet�. La Corte di legittimit� olandese ha, per un verso, accolto il ricorso principale proposto dall�impresa tedesca, osservando che il curatore fallimentare aveva avuto notifica del provvedimento che ingiungeva esecutivamente la restituzione dei beni, e, per altro verso, ha esaminato il conseguente ricorso incidentale sollevando la questione pregiudiziale. I dubbi interpretativi del Collegio si incentrano sull�articolo 25, comma 2, del regolamento insolvenza, ove � previsto che le decisioni diverse da quelle di cui al paragrafo 1, e quindi, in particolare, quelle non relative alla procedura fallimentare (dall�apertura alla chiusura), quelle che non �derivano� da essa e quelle che non le sono �strettamente connesse�, circolano, al livello transfrontaliero, attraverso il regolamento Bruxelles I (in cui � stata trasfusa la corri- 176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 spondente Convenzione di Bruxelles del 1968, cui la norma letteralmente si riferisce), in �quanto applicabile�. Il regolamento in parola, esclude dal suo campo di applicazione la disciplina dei �fallimenti� (art. 1, comma 2, lettera b). Di qui la questione, sulla sua applicabilit� o meno, e contestualmente, il dubbio se l�azione del venditore con riserva di propriet�, contro l�acquirente fallito, sia o meno connessa al fallimento e ricada o meno nell�ambito di applicabilit� del regolamento insolvenza. Peraltro, quest�ultimo, prevede, in linea generale, che sia la legge dello Stato di apertura della procedura a regolare il regime di spossessamento dei beni (art. 4, comma 2, lettera b), disponendo per� che, in caso di vendita con riserva di propriet� e fallimento dell�acquirente, �l�apertura della procedura di insolvenza nei confronti dell�acquirente di un bene non pregiudica i diritti del venditore fondati sulla riserva di propriet� allorch� il bene, nel momento in cui � aperta la procedura, si trova nel territorio di uno Stato diverso dallo Stato di apertura� (art. 7, comma 1). LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO Secondo il Governo italiano, il dubbio sembra risolvibile nel senso che la domanda del venditore non deriva dal fallimento, potendo essere proposta indipendentemente dall�apertura della procedura concorsuale, n�, per lo stesso motivo, risulta strettamente connessa al procedimento fallimentare, non esistendo alcun collegamento con iniziative della curatela o con lo stato non pi� in bonis del fallito (altrimenti ogni causa coinvolgente il curatore sarebbe strettamente connessa alla procedura fallimentare, e la norma non avrebbe pi� senso alcuno). L�art. 7, comma 1, costituisce una deroga al principio per cui la legge dello Stato di apertura regola lo spossessamento dei beni, in quanto si vuole impedire che vi sia una legge nazionale che regoli tale aspetto in pregiudizio dei diritti del venditore, anche quando il bene si trovi in un altro Stato. Peraltro, l�art. 4 del regolamento insolvenza fa espressamente salve le disposizioni contrarie del regolamento medesimo, restringendo l�applicabilit� della legge dello Stato di apertura della procedura nei casi espressamente disciplinati dallo stesso Legislatore comunitario, come quello della vendita con riserva di propriet�. Il citato art. 7, dunque, evidenzia che il profilo relativo ai diritti del venditore nella vendita con riserva di propriet� � �estraneo� all�ambito strettamente fallimentare, almeno a quello transnazionale, nella logica del diritto processuale comunitario. Analoga logica emerge dal comma 2 dell�art. 7 che regola il caso opposto del fallimento del venditore. Anche nella disciplina fallimentare italiana, l�articolo 73 del r.d. n. 267 IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 177 del 1942, come modificato da ultimo con d.lgs. n. 169 del 2007, dispone che �nella vendita con riserva di propriet�, in caso di fallimento del compratore, se il prezzo deve essere pagato a termine o a rate, il curatore pu� subentrare nel contratto con l�autorizzazione del comitato dei creditori; il venditore pu� chiedere cauzione a meno che il curatore paghi immediatamente il prezzo con lo sconto dell�interesse legale�, e �qualora il curatore si sciolga dal contratto, il venditore deve restituire le rate di prezzo gi� riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l�uso della cosa�, mostrando di far salvi i diritti del venditore e non di assoggettarlo genericamente al concorso con gli altri creditori. Pertanto, la fattispecie sottesa alla pregiudiziale sembra sia da considerare soggetta all�articolo 25, n. 2 del regolamento insolvenza - che disciplina i casi in cui la decisione non sia di natura endofallimentare, n� derivante dal fallimento, n� strettamente connessa allo stesso - con conseguente applicazione del regolamento Bruxelles I, cui la norma, per questi casi, rimanda. Il regolamento Bruxelles I esclude dal suo campo di applicazione solo i �fallimenti� (art. 1, comma 2, lettera b) e quindi non la domanda in questione. ** ** ** Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito nel senso che l�art. 25, n. 2 del regolamento sull�insolvenza debba essere interpretato nel senso che i termini �ove la Convenzione di Bruxelles si applichi� comportano che, prima di dichiarare l�applicabilit� delle disposizioni sul riconoscimento e sull�esecuzione di detta Convenzione a decisioni diverse da quelle di cui all�art. 25, n. 1 del regolamento sull�insolvenza, occorre esaminare se queste esulano dall�ambito di applicazione sostanziale di detta Convenzione, in forza dell�art. 1, n. 2, parte iniziale e lett. b) della Convenzione stessa. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il secondo quesito nel senso che l�art. 1, n. 2, parte iniziale e lett. b) della Convenzione di Bruxelles, in combinato disposto con l�art. 7, n. 1 del regolamento sull�insolvenza, debba essere interpretato nel senso che la circostanza che un bene su cui grava la riserva di propriet� nel momento in cui � aperta la procedura avverso l�acquirente si trova nel territorio dello Stato membro dove la procedura � stata aperta comporta che un�azione del venditore basata sulla riserva di propriet�, come quella della German Graphics, non deve essere considerata come un�azione che riguarda il fallimento, ai sensi dell�art. 1, n. 2, parte iniziale e lett. b) della convenzione di Bruxelles e che pertanto rientra dall�ambito di applicazione sostanziale di tale regolamento. Il Governo italiano propone infine alla Corte di risolvere il terzo quesito nel senso che, ai fini della soluzione della seconda questione non sia rilevante che, ai sensi dell�art. 4, n. 2, parte iniziale e lett. b) del regolamento sull�insolvenza, � il diritto dello Stato membro di apertura della procedura a deter- 178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 minare quali beni siano oggetto di spossessamento in quanto l�art. 7 deve considerarsi un�eccezione alla regola generale di cui al citato art. 4. Roma, 30 ottobre 2008 Avv.Wally Ferrante Causa C-324/08 - Materia trattata: ravvicinamento delle legislazioni - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi) l�11 luglio 2008 - Makro Zelfbedieningsgroothandel CV, Metro Cash & Carry BV e Remo Zaandam BV/Diesel SpA. (Avvocato dello Stato S. Fiorentino - AL 36101/08). LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 1) Se, nel caso in cui prodotti recanti un marchio, siano stati precedentemente immessi nel mercato all�interno del SEE, ma non dal titolare del marchio n� con il suo esplicito consenso, per valutare se ci� sia avvenuto con il consenso (implicito) del titolare del marchio, ai sensi dell�art. 7, n.1, della Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (89/104/CE), occorra applicare gli stessi criteri stabiliti per il caso in cui tali prodotti siano stati precedentemente immessi in commercio al di fuori del SEE da parte del titolare del marchio o con il suo consenso. 2) In caso di soluzione negativa della prima questione, quali criteri - desumibili o meno dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, citata al precedente punto 3.6.4.2, nella sentenza 22 giugno 1994, causa C-9/93, IHT Danzinger/Ideal Standard, Racc. 1994, pag. I-2757 - debbano essere applicati alla prima ipotesi formulata in tale questione per stabilire se sussista un consenso (implicito) del titolare del marchio, ai sensi della direttiva menzionata. LA NORMATIVA COMUNITARIA RILEVANTE I quesiti posti nell�ordinanza di rinvio portano sull�interpretazione di alcune disposizioni della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa (in prosieguo la �direttiva�). L�articolo 5 della direttiva, rubricato �diritti conferiti dal marchio d�impresa �, stabilisce quanto segue: �1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio: IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 179 a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso � stato registrato; b) un segno che, a motivo dell�identit� o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell'identit� o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa. 2. (...) 3. Si pu� in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte: a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento; b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno; c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno; d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicit� 4. � 5.) (...) �. L�articolo 7 della direttiva, intitolato �esaurimento del diritto conferito dal marchio d�impresa�, al paragrafo 1 dispone: �1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l�uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio [in una parte contraente dell�Accordo sullo Spazio economico europeo]( 1) con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso�. Gli articoli 5 e 7 della direttiva esprimono la regola dell�esaurimento comunitario, secondo la quale il diritto attribuito dal marchio non consente al suo titolare di vietare l�uso del medesimo per prodotti messi in commercio nel SEE con questo marchio da esso stesso o con il suo consenso. L�effetto di tali disposizioni � limitato ai soli casi in cui i prodotti siano immessi in commercio nel SEE. Riferendosi all�immissione sul mercato all�interno del SEE, il legislatore comunitario ha infatti, implicitamente negato che l�immissione sul mercato al di fuori del SEE esaurisca il diritto del titolare del marchio, cos� permettendo a quest�ultimo di controllare la prima immissione sul mercato nel SEE dei prodotti contrassegnati dal marchio. Ne consegue che il titolare del marchio � legittimato a vendere i propri prodotti al di fuori di questa zona, senza che questa messa in commercio esaurisca i suoi diritti all�interno del SEE (v. sentenze 1� luglio 1999, causa C-173/98, Sebago e Maison Dubois, punto 21; 8 aprile 2003, causa C-244/00, Van Doren + Q, punto 26; 18 ottobre 2005, causa C-405/03, Class International, punto 33). (1) Ai sensi dell�art. 65, n. 2, e del punto 4 dell�Allegato XVII all�Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992 (GU 1994 L 1, pag. 3), l�art. 7, n. 1 della direttiva, ai fini del suddetto accordo, dev�essere interpretato sostituendo le parole originali �nella Comunit�� con �in una parte contraente �. 180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 La Corte ha, al riguardo, precisato che - dovendosi interpretare gli articoli da 5 a 7 della direttiva nel senso che essi contengono un�armonizzazione completa delle norme relative ai diritti conferiti dal marchio d�impresa - la direttiva medesima non pu� essere interpretata nel senso che essa lasci agli Stati membri la possibilit� di stabilire nel loro diritto nazionale l�esaurimento dei diritti conferiti dal marchio per prodotti posti in commercio in paesi terzi (v. sentenza 16 luglio 1998, causa C-355/96, Silhouette International Schmied, punti 25 e 26). Il consenso, cio� la rinuncia del titolare al suo diritto esclusivo di vietare ai terzi d�importare prodotti contrassegnati con il suo marchio, costituisce l�elemento determinante per l�estinzione di tale diritto. La nozione di �consenso � utilizzata nell�art. 7, n. 1, della direttiva deve, pertanto, essere interpretata uniformemente nell�ordinamento giuridico comunitario: diversamente potrebbe derivarne, per i titolari di marchi, una tutela variabile in funzione della legge nazionale volta a volta applicabile, con inevitabile pregiudizio dell�obiettivo di stabilire una �medesima tutela� �negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri�, fissato e giudicato �fondamentale� nel nono �considerando� della direttiva (sentenza 20 novembre 2001, cause riunite C-414 - 416/99, Davidoff e a., punti da 41 a 43). Nella sentenza Davidoff da ultimo citata, la Corte ha altres� individuato i requisiti di efficacia del consenso all�immissione in commercio all�interno dello spazio economico europeo di prodotti messi in commercio al di fuori di quest�ultimo, stabilendo che esso deve essere manifestato in forma inequivoca (�con certezza�), anche se non necessariamente in forma espressa. Tuttavia in nessun caso pu� ritenersi che il consenso tacito sia integrato dal mero silenzio del titolare del marchio. Fatto salvo tale limite, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice nazionale, stabilire se una condotta del titolare del marchio costituisca, nel caso concreto, manifestazione tacita di una volont� di consentire un�immissione in commercio all�interno dello Spazio economico europeo. I FATTI E LA CONTROVERSIA NELLA CAUSA PRINCIPALE La resistente in cassazione, titolare del marchio denominativo Diesel, ha convenuto dinnanzi al Tribunale di Amsterdam la Makro, unitamente al suo socio accomandatario, chiedendo una pronuncia che inibisse ai convenuti l�ulteriore uso nel commercio del proprio marchio, oltre al risarcimento dei danni. Le convenute hanno chiesto il rigetto delle domande invocando il principio dell�esaurimento di cui all�articolo 7, par. 1, della direttiva, recepito dall�articolo 13, lett. a), n. 9 del Benelux Merkenwet (Legge del Benelux sui marchi). Nel corso dei diversi gradi del giudizio sono stati accertati i seguenti fatti: IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 181 i) una societ�, denominata Distribution Italian Fashion Sociedad Anonima (in prosieguo: la �Difsa�) era distributrice dei prodotti della Diesel in Spagna, Portogallo e Andorra; ii) questa societ� ha stipulato il 29 settembre 1994 un contratto di distribuzione esclusiva con la societ� di diritto spagnolo Flexi Casual Sociedad Limitada (in prosieguo: la �Flexi Casual�), avente ad oggetto la vendita nei suddetti Paesi di alcuni prodotti recanti, tra l�altro, il marchio denominativo Diesel (tra cui calzature). Una clausola di tale contratto autorizzava la Flexi Casual ad eseguire �prove casuali�, mediante offerta e vendita ai propri clienti, con calzature del marchio Diesel e con altre da essa disegnate, che reputasse adatte al mercato nel quale operava, al fine di �determinare con certezza le esigenze del mercato�; iii) poco tempo dopo (l�11 novembre 1994) la Difsa ha altres� rilasciato alla Flexi Casual una concessione di produzione e distribuzione di calzature da essa disegnate, a guisa di campioni di prova e sondaggi di mercato, affinch� queste potessero essere offerte alla Diesel per la distribuzione o per la �cessione della licenza di produzione�; iv) il 21 ottobre 1997 un amministratore della Flexi Casual ha rilasciato alla societ� Cosmos World S.L. (in prosieguo la �Cosmos�) una concessione per la produzione e la vendita di calzature, borse e cinture del marchio Diesel. Nel contratto si dichiara che il diritto di Flexi Casual di rilasciare la concessione avrebbe fonte nel contratto intercorso con la Difsa; v) la Cosmos ha prodotto e immesso calzature recanti i marchi Diesel. Le calzature prodotte dalla Cosmos non sono mai state presentate alla Difsa e/o alla Diesel per il loro consenso; vi) Nell�estate 1999 la Makro ha posto in vendita calzature recanti il marchio denominativo Diesel. Tali calzature erano state acquistate, attraverso una controllata della Makro, da due ditte spagnole che a loro volta le avevano acquistate dalla Cosmos. La Corte di cassazione dei Paesi Bassi ha, inoltre, riferito che, anche in forza di preclusioni determinatesi nel processo, devono considerarsi accertate anche le seguenti ulteriori situazioni di fatto e di diritto: a) n� la Diesel, n� la sua distributrice Difsa hanno voluto conferire alla Flexi Casual o alla Cosmos un diritto generale di immettere (su larga scala) calzature recanti il marchio Diesel attraverso il contratto del 29 settembre 1994 (e in particolare attraverso la clausola 1.4); b) � da escludere che la Makro abbia potuto intendere che la Flexi Casual o la Cosmos potessero derivare un simile diritto da quel contratto; c) anche ammesso che la Flexi Causal potesse derivare dalla concessione dell�11 novembre 1994 stipulata con Difsa maggiori diritti di quelli derivanti dal precedente contratto del 29 settembre 1994, stipulato dalle stesse parti, da ci� non discende che essa o la Cosmos avessero un diritto generale di produrre 182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 calzature con il marchio denominativo Diesel; d) le calzature in questione, pertanto, non sono state immesse nel mercato del SEE dalla Diesel e neppure con il consenso esplicito della stessa. LE MOTIVAZIONI DEL GIUDICE DEL RINVIO Lo Hoge Raad, richiamati i criteri enunciati dalla sentenza Davidoff a proposito della regola dell�esaurimento, ha ritenuto che non si possa escludere che tali criteri, reputati di �carattere alquanto rigido�, risentano del fondamento di tale sentenza, costituito dalla necessit� di tutelare la libert� del titolare del marchio di immettere nel mercato i propri prodotti al di fuori del SEE senza che ci� pregiudichi l�esercizio all�interno del SEE dei diritti derivanti dal marchio. E� quindi sorto nel Giudice remittente il dubbio che, allorquando si debba verificare l�operativit� della regola dell�esaurimento con riguardo a prodotti immessi precedentemente nel mercato del SEE � situazione, questa, della quale non si sarebbe occupata la sentenza Davidoff � possa individuarsi un criterio diverso e �pi� ampio� di quelli orientati sul controllo da parte del titolare del marchio sulla prima immissione nel mercato del SEE. Questo criterio dovrebbe avrebbe riguardo alla realizzazione della funzione del marchio come garanzia di provenienza e qualit�. LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO Analisi primo quesito La questione che si pone consiste nello stabilire se l�immissione in commercio, all�interno di SEE da parte della Cosmos, di calzature recanti il marchio Diesel, costituisca esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa. Poich� � pacifico che questa commercializzazione � avvenuta senza il consenso espresso del titolare del marchio, diviene necessario stabilire quale sia il diritto applicabile alla fattispecie e, nel caso in cui si propenda per l�applicazione di regole uniformi di diritto comunitario, individuare i criteri alla stregua dei quali deve accertarsi se sia stato manifestato un consenso tacito. Alla prima questione la Corte ha gi� dato risposta affermativa, allorquando ha affermato che gli articoli da 5 a 7 della direttiva realizzano una armonizzazione completa delle norme relative ai diritti conferiti dal marchio e che essi, pertanto, definiscono i diritti di cui godono i titolari dei marchi all�interno della Comunit� (v., inter alia, sentenze Silhouette International Schmied, cit., punti 25 e 29, Van Doren + Q, cit., punto 32, Davidoff, punto 39). Ne consegue che la regola dell�esaurimento poggia su disposizioni armo- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 183 nizzate e che, in tale contesto, anche la nozione di consenso deve ricevere un�interpretazione uniforme. Il consenso costituisce, infatti, l�elemento determinante per l�applicazione della regola dell�esaurimento: qualora la sua nozione dipendesse dall�ordinamento nazionale degli Stati membri, potrebbe derivarne, per i titolari dei marchi, una tutela variabile in funzione della legge di volta in volta applicabile. Questi principi sono stati affermati dalla giurisprudenza Davidoff (v., in particolare, punti 41 � 43), nel conteso di argomentazioni che non risentono della peculiarit� del caso concreto, nel quale si trattava di verificare se il consenso all�immissione dei prodotti fosse stato implicitamente prestato in connessione con il consenso manifestato all�immissione nel mercato al di fuori del SEE. E�, pertanto, sicuramente da rifiutare la soluzione prospettata da una delle parti del giudizio a quo, secondo la quale la questione se il titolare del marchio abbia prestato il suo consenso deve essere risolta alla luce del diritto nazionale spagnolo. Passando al profilo sostanziale del quesito, ritiene il Governo italiano che la questione vada risolta tenendo conto dei criteri stabiliti nella giurisprudenza Davidoff e Van Doren + Q. L�applicazione di questi criteri si impone, nel presente caso, a maggior ragione, perch� diversamente rischierebbe di risultarne pregiudicata anche la funzione del marchio (rischio che, nelle precedenti occasioni, era escluso, trattandosi, in buona sostanza, esclusivamente di garantire il titolare del marchio contro il rischio della c.d. �importazione parallela�, senza che fosse messa in causa la funzione del marchio quale garanzia dell�origine e della qualit� del prodotto). Si � visto, infatti, nella Sezione II del presente scritto che gli effetti previsti dall�articolo 7 della direttiva sono limitati ai soli casi in cui i prodotti siano immessi in commercio nel SEE. Ci� vuol dire che l�immissione di prodotti recanti il marchio al di fuori del mercato del SEE, sia pure con il consenso del titolare, � un fatto irrilevante ai fini dell�applicazione della regola dell�esaurimento: ci� che occorre accertare � se vi sia stata commercializzazione dei prodotti nel SEE da parte del titolare del marchio o con il suo consenso. I principi enunciati nella sentenza Davidoff sono finalizzati all�accertamento di tale ultima circostanza, che � la medesima circostanza che occorre accertare nel giudizio di rinvio. La circostanza che in quell�occasione si trattasse di verificare se il consenso fosse stato tacitamente manifestato in connessione (in �circostanze anteriori, concomitanti o posteriori�) con il consenso, sicuramente prestato, all�immissione in commercio al di fuori del SEE, costituisce un�evenienza di mero fatto, che non modifica i termini della questione se non nel senso di circoscrivere l�oggetto della prova al momento della autorizzazione all�importazione (essendo invece pacifico che il marchio era stato apposto sui prodotti con il consenso del titolare). 184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Non vi � ragione pertanto per elaborare, ai fini della prova dell�esistenza del consenso tacito, criteri diversi e pi� elastici di quelli individuati nella sentenza Davidoff, la cui applicazione si impone a maggior ragione nel caso di specie. Analisi secondo quesito In considerazione della risposta che � stata suggerita per il primo quesito, il Governo italiano non suggerir� risposte rispetto al secondo quesito. Conclusioni Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame affermando che: Nel caso in cui prodotti recanti un marchio, siano stati precedentemente immessi nel mercato all�interno del SEE, ma non dal titolare del marchio n� con il suo esplicito consenso, per valutare se ci� sia avvenuto con il consenso (implicito) del titolare del marchio, ai sensi dell�art. 7, n.1, della Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (89/104/CE) 1, occorre applicare i criteri stabiliti nella sentenza 20 novembre 2001, cause riunite C-414 - 416/99, Davidoff e a., secondo i quali il consenso pu� essere tacito quando � desumibile da circostanze le quali, valutate dal giudice nazionale, esprimano con certezza una rinuncia del titolare del diritto ad opporsi a un�immissione in commercio dei prodotti recanti il marchio. Roma, 14 novembre 2008 Avv. Sergio Fiorentino Causa C-336/08 - Materia trattata: politica sociale - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landessozialgericht Berlin-Brandenburg (Germania) il 18 luglio 2008 - Christel Reinke/AOK Berlin. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 36103). LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 1) Se il diritto al rimborso delle spese di cui all�art. 34, nn. 4 e 5 del regolamento n. 574/72 comprenda anche le spese sostenute per le cure mediche urgenti prestate alla titolare di una pensione avente diritto all�erogazione delle prestazioni ai sensi dell�art. 31 del regolamento n. 1408/71 in una clinica privata del luogo di dimora, qualora l�ospedale competente abbia rifiutato tali cure, sotto forma di prestazione in natura, a causa di sovraffollamento; IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 185 2) Se il rimborso delle spese possa limitarsi alle tariffe di rimborso di cui all�art. 34, n. 4 del regolamento n. 574/72, qualora l�istituzione competente effettui il pagamento della prestazione in natura degli ospedali non sulla base di tariffe astratte e generali, bens� sulla base di singoli contratti individuali e il diritto nazionale non preveda alcuna limitazione della prestazione in natura alle cure mediche in determinati ospedali; 3) Se una disposizione nazionale secondo la quale il rimborso delle spese per cure mediche in una clinica privata situata in un altro Stato membro dell�Unione europea � escluso anche nel caso di cure mediche urgenti sia compatibile con gli artt. 49 CE, 50 CE nonch� con l�art. 18 CE. L�ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA Il giudice remittente � stato investito di una controversia nella quale la ricorrente, una cittadina tedesca residente in Germania iscritta al regime obbligatorio di assicurazione malattia in quanto titolare di una pensione, ha chiesto al proprio servizio sanitario, la convenuta AOK di Berlino, il rimborso delle spese mediche sostenute, mentre si trovava in Spagna in vacanza, per prestazioni mediche di carattere vitale ricevute in via d�urgenza in una clinica privata dopo che l�ospedale pubblico ne aveva rifiutato l�accettazione per mancanza di posti. In particolare, nell�agosto del 2003, la ricorrente, per la quale si era sospettato un colpo apoplettico, � stata ricoverata nel reparto di terapia intensiva di una clinica privata di Marbella per 12 giorni ed � stata poi trasferita nel reparto di terapia respiratoria artificiale di un ospedale pubblico di Marbella non appena vi � stata disponibilit� di posti letto. A fronte della spesa di � 21.954,18 addebitata alla ricorrente dalla clinica privata, la convenuta le ha rimborsato l�importo di � 12.883,84, basandosi sulla tariffa media applicata nell�agosto 2003 dai reparti di terapia intensiva di cinque ospedali di Berlino in quanto la legislazione spagnola non prevede in tali casi tariffe di rimborso. La controversia verte sulla spettanza della differenza tra quanto pagato dalla ricorrente e quanto rimborsatole dalla convenuta. In base alla legislazione tedesca, le prestazioni ospedaliere ricevute in altri Stati dell�Unione europea possono essere rimborsate solo se previamente approvate dal regime di assicurazione malattia, il che nella fattispecie non � accaduto in quanto si � trattato di prestazione medica urgente, la cui necessit� si � manifestata mentre la ricorrente si trovava gi� all�estero in vacanza. Dall�ordinanza di rimessione, risulta inoltre che la ricorrente non ha scelto di propria iniziativa di ricevere la prestazione presso la struttura privata ma che tale determinazione � stata presa dall�ospedale pubblico sulla base di una valutazione medica legata alla gravit� della malattia ed in ragione dell�insuf- 186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 ficienza di posti letto nel reparto per i ricoveri d�urgenza. LA NORMATIVA COMUNITARIA L�art. 31 n. 1 lettera a) del regolamento CEE n. 1408/71 relativo all�applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati ed ai loro familiari che si spostano all�interno della Comunit� - come modificato dall�art. 1 del regolamento CE n. 631/2004 a decorrere dal 1 giugno 2004 e da ultimo abrogato dall�art. 90 del regolamento CE n. 883/2004 che ha interamente ridisciplinato la materia - dispone che il titolare di una pensione che abbia diritto alle prestazioni mediche secondo la legislazione di uno Stato membro beneficia delle prestazioni in natura erogate dall�istituzione del luogo di dimora (nella specie, la Spagna) a carico dell�istituzione del luogo di residenza del titolare (nella specie, la Germania). L�art. 34 del regolamento 574/72, che stabilisce le modalit� di applicazione del regolamento 1408/71, prevede che quando non � possibile espletare durante la dimora in un Paese membro diverso da quello di residenza le formalit� per la verifica della sussistenza dei requisiti soggettivi per ricevere le prestazioni sanitarie, l�istituzione competente pu� effettuare il rimborso delle spese sostenute, in base alle tariffe applicate dall�istituzione del luogo di dimora (paragrafo 1). Ai sensi del paragrafo 4 della stessa norma, il rimborso pu� essere effettuato dall�istituzione competente in base alle proprie tariffe, sempre che il rimborso sia permesso, che le spese da rimborsare non superino un determinato importo fissato dalla commissione amministrativa e che il lavoratore subordinato o autonomo o il titolare di pensione o di rendita abbia dato il proprio consenso per farsi applicare detta disposizione. In nessun caso l'importo del rimborso pu� essere superiore a quello delle spese realmente sostenute. Ai sensi dell�art. 1 della decisione della commissione amministrativa delle Comunit� europee per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti del 24 giugno 1999, n. 176, relativa al rimborso da parte dell�istituzione competente di uno Stato membro delle spese sostenute durante il soggiorno in un altro Stato membro secondo la procedura di cui all�art. 34, paragrafo 4, del regolamento n. 574/72, l�importo massimo delle spese sostenute cui si riferisce quest�ultima disposizione � fissato in � 1000. LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO Primo quesito Con il primo quesito, il Landessozialgericht di Berlino chiede alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sull�interpretazione dell�art. 34, nn. 4 e 5, del regolamento 574/72 al fine di stabilire se la titolare di una pensione possa avere IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 187 il rimborso delle spese mediche sostenute per le cure che le sono state prestate in via d�urgenza in una clinica privata del luogo di dimora temporaneo in altro Stato rispetto a quello di residenza, non potendole essere assicurate dalla struttura pubblica per sovraffollamento. Dalla lettura combinata dei paragrafi 1 e 4 dell�articolo 34 del regolamento 574/72, si evince che la regola in materia di rimborsi delle spese sostenute durante la dimora in un altro Stato membro � quella che il concorso alle spese avvenga sulla base delle tariffe dell�istituzione di quel luogo. In deroga a questa regola, il rimborso pu� avvenire anche sulla base delle tariffe dell�istituzione del luogo di iscrizione al servizio sanitario nazionale solo se il rimborso sia permesso, le spese da rimborsare non superino un predeterminato importo e il titolare del diritto alla prestazione abbia dato il proprio consenso alla diversa disposizione. I diritti conferiti da tali disposizioni sono diretti ad agevolare la libera circolazione degli assicurati sociali, come affermato dalla Corte di giustizia con le sentenze 12 luglio 2001, causa C-368/98, Vanbraekel, punto 32; 25 febbraio 2003, causa C-326/00, IKA, punti 38 e 51; 23 ottobre 2003, causa C-56/01, Inizan, punto 21. La finalit� di tali disposizioni � infatti quella di garantire la libera circolazione delle persone all�interno del territorio comunitario di modo che i diritti di cui i cittadini godono nel proprio Paese non possano essere compressi in conseguenza dello spostamento in un altro Paese membro. In entrambi i casi, per�, il presupposto del diritto al concorso pubblico alle spese sembrerebbe essere quello che le cure siano state prestate comunque ed in ogni caso in una struttura pubblica o accreditata. L�art. 13, n. 3 del SGB V (Codice della previdenza sociale tedesco) peraltro non sembra prevedere espressamente il rimborso di spese mediche erogate da strutture private in altro Stato membro, limitandosi a disporre che �la cassa malattia, ove non possa fornire in tempo una prestazione urgente o rifiuti ingiustamente una prestazione, occasionando in tal modo spese agli assicurati che pagano essi stessi tale prestazione, � tenuta a rimborsarne l�importo agli assicurati nei limiti in cui la detta prestazione � necessaria�. Ci� premesso, si osserva che la Corte di giustizia sembra gi� aver affrontato un problema analogo nella sentenza del 19 aprile 2007, causa C-444/05, Stamatelaki, che ha affermato la non conformit� al diritto comunitario ed in particolare all�art. 49 CE di una normativa (nella specie la legislazione ellenica) che esclude qualsiasi rimborso, da parte di un ente previdenziale nazionale, delle spese sostenute in occasione del ricovero di un suo assicurato presso cliniche private situate in altri Stati membri (nella specie Regno Unito), fatta eccezione per quelle relative alle cure prestate ai bambini di et� inferiore ai 14 anni. In detta sentenza, si precisa che, per quanto sia pacifico che il diritto co- 188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 munitario non restringe la competenza degli Stati membri in materia di organizzazione dei loro sistemi previdenziali e che, in mancanza di un�armonizzazione a livello comunitario, spetta alla legislazione di ciascuno Stato membro determinare le condizioni per la concessione delle prestazioni in materia previdenziale, ci� nondimeno, nell�esercizio di tale competenza, gli Stati membri devono rispettare il diritto comunitario, in particolare le disposizioni relative alla libera prestazione dei servizi (punto 23). La Corte di giustizia ha inoltre sottolineato che dette disposizioni comportano il divieto per gli Stati membri di introdurre o mantenere ingiustificate restrizioni dell�esercizio di questa libert� anche nell�ambito delle cure sanitarie (sentenze 12 luglio 2001, causa C-157/99, Smits e Peerbooms, punti 44 - 46; 16 maggio 2006, causa C-372/04, Watts, punto 92). Se tale principio � applicabile nel caso in cui un cittadino abbia scelto di avvalersi di prestazioni mediche specialistiche in strutture private all�estero (come nel caso della sentenza Stamatelaki citata), a maggior ragione deve essere applicato nel caso in cui il bisogno urgente della cura medica insorga quando il cittadino si trovi gi� in uno altro Stato membro e non sia possibile avvalersi della struttura pubblica per sovraffollamento. Altrimenti, una normativa che escluda in modo assoluto il rimborso di tali spese confliggerebbe non solo con il divieto di restrizioni alla libera prestazione dei servizi (artt. 49 e 50 CE) ma anche con il diritto di libera circolazione dei cittadini (art. 18 CE). Nel caso di specie, infatti, il rimborso non � stato escluso in modo assoluto ma � stato limitato nel suo ammontare. Al primo quesito, il Governo italiano ritiene quindi di dare risposta positiva. Secondo quesito Con il secondo quesito, il giudice remittente chiede alla Corte in che misura debba essere riconosciuto il rimborso delle spese nel caso in cui l�istituzione competente effettui il pagamento della prestazione non sulla base delle tariffe astratte ma sulla base di contratti individuali ed il diritto nazionale non preveda alcun limite nel richiedere le prestazioni stesse. A norma dell�art. 31, n. 1, lett. a) del regolamento n. 1408/71, l�assistenza sanitaria al cittadino che si reca per turismo e/o studio in un Paese nello spazio economico europeo � garantita per prestazioni necessarie secondo modalit� e regole che il Paese straniero ospitante eroga ai propri assistiti. Il principio sotteso alla norma sembrerebbe, pertanto, essere quello che il cittadino di un Paese membro di residenza diverso da quello di dimora debba ricevere in questo le stesse prestazioni che vengono garantite ai residenti, mentre non sembra che lo stesso principio possa ampliarsi fino a ricomprendervi il diritto del cittadino comunitario a ricevere prestazioni non garantite in IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 189 quest�ultimo Paese, non essendo uguali i sistemi sanitari dei vari Paesi membri, ovvero, a maggior ragione, a prestazioni quantitativamente e qualitativamente diverse rispetto a quanto lo stesso Paese di residenza gli riconosca. In proposito, il giudice remittente, nel prendere in esame la legislazione spagnola, ha rilevato che una persona residente in Spagna non avrebbe diritto di farsi rimborsare dal sistema sanitario spagnolo le spese per la degenza in una clinica privata. Certamente, va per� tenuto conto del fatto che la ricorrente non ha scelto liberamente di farsi curare da una struttura privata ma � stata ivi ricoverata solo in ragione dell�urgenza e dell�assenza di posti letto nella struttura pubblica. Ci� detto, va ricordato che l�art. 34 del regolamento n. 574/72 - nel caso in cui le formalit� previste agli art. 20, 21, 23 e 31 non abbiano potuto essere espletate e cio� se l�interessato non abbia presentato all�istituzione del luogo di dimora un attestato che certifichi che ha diritto alle prestazioni mediche - stabilisce un limite alla rimborsabilit� in caso di prestazioni erogate all�estero in forma indiretta (e quindi anche da strutture private) pari ad un importo di � 1.000 e, comunque, non superiore alla spesa effettivamente sostenuta dall�interessato; ci� allo scopo di proteggere i sistemi sanitari da oneri finanziari sproporzionati. Pertanto deve ritenersi che la condotta tenuta dalla AOK, che ha rimborsato alla ricorrente � 12.883,84 su complessivi � 21.954,18, sia del tutto coerente con il combinato disposto dell�art. 31 del Reg. (CEE) 1408/71 e dell�art. 34, nn. 4 e 5, del Reg. (CEE) 574/72. Infatti, in base al suddetto quadro normativo, all�assicurata tedesca temporaneamente soggiornante in Spagna, sono applicabili una serie di diritti e limiti: in primo luogo, il diritto a ricevere prestazioni �medicalmente necessarie�; in secondo luogo il diritto al rimborso, anche se la prestazione � stata fornita da una struttura privata. Quanto ai limiti, il rimborso � soggetto a due condizioni: la prima riguarda il tetto stabilito dalla commissione amministrativa per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti (� 1.000); la seconda stabilisce che non � consentito rimborsare pi� delle spese realmente sostenute (nel caso della ricorrente: � 21.954,18). Alla luce di quanto sopra, occorre sottolineare che l�AOK non ha messo in dubbio di dover rimborsare tali spese, ma solo di dover effettuare un rimborso integrale. Pertanto, la condotta della AOK, che ha rimborsato circa la met� della spesa effettiva (� 12.883,84), appare non solo conforme alla richiamata normativa ma anche di maggior favore. La Corte di Giustizia ha peraltro gi� avuto modo di affermare la conformit� al diritto comunitario di una prassi seguita da una cassa malattia, nel- 190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 l�ambito dell�attuazione di una normativa nazionale (anche il quel caso si trattava della legislazione tedesca) che consiste nel rimborsare integralmente le spese mediche sostenute dai suoi iscritti in occasione di una permanenza in un altro Stato membro se tali spese non superano un importo di DEM 200 (sentenza del 14 ottobre 2004, causa C-193/03, Bosch). Infatti, la giurisprudenza comunitaria ha ripetutamente dichiarato che non si pu� escludere che il rischio di grave pregiudizio per l�equilibrio economico del sistema previdenziale possa costituire, di per s�, una ragione imperativa di pubblico interesse in grado di giustificare un ostacolo al principio della libera prestazione dei servizi (Corte di giustizia, sentenze 28 aprile 1998, causa C-158/96, Kohll, punto 41; 13 maggio 2003, causa C-385/99, M�ller-Faur� e van Riet, punto 73). La Corte ha parimenti ritenuto che l�art. 46 del Trattato consente agli Stati membri di limitare la libera prestazione dei servizi medici e ospedalieri, applicando la deroga giustificata da motivi di sanit� pubblica, qualora ci� sia necessario per la conservazione di un sistema sanitario equilibrato ed accessibile a tutti. Infatti l�equilibrio del regime previdenziale nazionale potrebbe essere compromesso qualora gli assicurati avessero la facolt� di fare ricorso a cliniche private situate in altri Stati membri, senza alcun limite al rimborso, tenuto conto del costo elevato delle prestazioni dalle stesse erogate che supera largamente quelle fornite in un ospedale pubblico. Come correttamente osservato dal giudice remittente, se non fosse possibile limitare il rimborso in base a tariffe nazionali oggettive, non discriminatorie e trasparenti, lo Stato di residenza sarebbe costretto a colmare le lacune del sistema sanitario di un altro Stato membro tramite la totale assunzione delle spese per le cure mediche prestate in una struttura privata a causa dell�insufficienza della struttura pubblica. Del resto, nella sentenza Stamatelaki citata, la Corte ha ritenuto che sarebbe stata proporzionata allo scopo perseguito di garantire l�equilibrio del sistema previdenziale la definizione di limiti massimi rimborsabili (punto 35), ritenendo non proporzionato solo il carattere assoluto della non rimborsabilit� prevista, in quel caso, della legislazione ellenica. Anche nella sentenza M�ller-Faur� e van Riet citata � stato chiarito che spetta ai soli Stati membri determinare la portata dell�assicurazione malattia di cui beneficiano gli assicurati, cosicch� quando questi ultimi si recano senza previa autorizzazione in uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede la cassa malattia cui appartengono per farsi ivi curare, possono esigere la presa a carico delle cure loro fornite solo nei limiti della copertura garantita dal regime di assicurazione malattia dello Stato membro di iscrizione (punto 98). Al secondo quesito quindi il Governo italiano ritiene di dare risposta positiva. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 191 Terzo quesito Con il terzo quesito, il giudice remittente ha chiesto, infine, di sapere se la normativa nazionale tedesca, che escluderebbe qualsiasi rimborso delle spese per cure mediche in una clinica privata situata in un altro Stato membro, sia compatibile con gli articoli 18, 49 e 50 del Trattato. In proposito, occorre rilevare che gli articoli 49 e 50 del Trattato CE sembrano orientati ad impedire che uno Stato tenga comportamenti protezionistici nei confronti di prestatori di servizi di altro Stato per avvantaggiare i prestatori residenti. Dette norme sono quindi finalizzate ad assicurare la libera concorrenza tra operatori di due Stati diversi. Tuttavia, all�evidenza, nel caso di specie, la situazione � stata di altro genere, giacch� non si � trattato di proteggere operatori tedeschi rispetto ad operatori spagnoli, ma di curare nell�immediatezza l�interessata, naturalmente in Spagna, dove, in assenza di posti letto nella struttura pubblica spagnola, � dovuta necessariamente intervenire una struttura privata, sempre spagnola. Infatti, la ricorrente dovendo ricevere cure �urgenti�, che non � stato possibile apprestare nella struttura pubblica per carenza di recettivit� della stessa, su autonoma decisione dell�ospedale pubblico, � stata ricoverata presso una struttura privata, cosa che ha fatto sorgere un�obbligazione contrattuale in capo alla ricorrente, senza che la stessa abbia operato una libera scelta in tal senso. Ci� detto, va sottolineato che, dall�ordinanza di rimessione emerge che, nel caso di specie, il rimborso delle spese mediche non � stato affatto escluso bens� � stato effettuato parzialmente e in misura comunque ben superiore al massimale di � 1000 fissato dall�art. 1 della decisione della commissione amministrativa per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti e pertanto il quesito, che presuppone una legislazione che escluda in toto il rimborso, sembrerebbe essere privo di oggetto. Alla luce di quanto sopra, al terzo quesito il Governo italiano ritiene di dare risposta positiva. ** ** ** Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito nel senso che il diritto al rimborso delle spese di cui all�art. 34, nn. 4 e 5 del regolamento n. 574/72 comprenda anche le spese sostenute per le cure mediche urgenti prestate alla titolare di una prestazione avente diritto all�erogazione delle prestazioni ai sensi dell�art. 31 del regolamento n. 1408/71 in una clinica privata del luogo di dimora, qualora l�ospedale competente abbia rifiutato tali cure, sotto forma di prestazione in natura, a causa di sovraffollamento. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il secondo quesito nel senso che il rimborso delle spese possa essere parziale e limitarsi alle tariffe di rimborso di cui all�art. 34, n. 4 del regolamento n. 574/72, qualora 192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 l�istituzione competente effettui il pagamento della prestazione in natura degli ospedali non sulla base di tariffe astratte e generali, bens� sulla base di singoli contratti individuali e il diritto nazionale non preveda alcuna limitazione della prestazione in natura alle cure mediche in determinati ospedali. Il Governo italiano propone infine alla Corte di affermare che il terzo quesito � privo di oggetto in quanto nella fattispecie vi � stato un rimborso parziale delle spese per cure mediche urgenti in una clinica privata situata in un altro Stato membro dell�Unione europea e non un�esclusione totale del rimborso, della quale si � chiesta la compatibilit� con gli artt. 18, 49 CE, 50 CE. Roma, 13 novembre 2008 Avv. Wally Ferrante Causa C-347/08 - Materia trattata: spazio di libert�, sicurezza e giustizia - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landesgerichts FeldKirch (Austria) il 28 luglio 2008 - Vorarlberger Gebietskrankenkasse gegen WGV/Schw�bische Allgemeine Versicherungs AG. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 36135/08). LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 1) Se il rinvio di cui all�articolo 11, n. 2, del regolamento CEE del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l�esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale all�articolo 9, n.1, lett. b), del medesimo regolamento debba essere interpretato nel senso che un organismo di assicurazione sociale, cessionario ex lege dei diritti della persona direttamente lesa (art. 332 della ASVG � Allgemeine Sozialversicherungs-gesetz-legge generale sull�assicurazione sociale) possa promuovere dinanzi al giudice del luogo di uno Stato membro dove il detto organismo ha la sua sede un�azione nei confronti dell�assicuratore, in quanto siffatta azione diretta sia ammissibile e l�assicuratore abbia la sua sede nel territorio di uno Stato membro. 2) In caso di soluzione affermativa della questione sub 1: se tale competenza sussista anche nel caso in cui la persona direttamente lesa al momento di proporre l�azione dinanzi al giudice, non abbia alcun domicilio o dimora abituale nello Stato membro dove l�organismo di assicurazione sociale ha la sua sede. L�ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA La fattispecie all�esame del giudice rimettente austriaco trae origine da IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 193 un sinistro stradale occorso in Germania tra la sig.ra Daniela Kerti, una cittadina domiciliata in Austria all�epoca dei fatti (e successivamente trasferitasi in Germania) che ha riportato lesioni personali e la sig.ra Christine Gaukel, una cittadina domiciliata in Germania. La Vorarlberger Gebietskrankenkasse, organismo di assicurazione sociale con sede in Austria, ha rimborsato alla propria assicurata Sig.ra Kerti le spese mediche da questa sostenute e si � surrogata nei suoi diritti nei confronti della WGV � Schw�bische Allgemeine Versicherungs AG, compagnia assicurativa della Sig.ra Gaukel, ritenuta responsabile del sinistro, con sede in Germania. L�organismo di assicurazione sociale austriaco ha citato in giudizio la compagnia di assicurazione tedesca dinanzi al proprio foro nazionale in Austria. Il giudice di primo grado austriaco ha dichiarato la propria incompetenza, ritenendo che l�azione andava proposta in Germania, non potendosi considerare l�attore come persona direttamente lesa ai sensi del combinato disposto degli articoli 11, n. 2 e 9 n. 1, lett. b) del regolamento n. 44/2001. Il giudice d�appello (e di ultimo grado in ragione del valore della controversia) chiede alla Corte di giustizia se l�organismo di assicurazione sociale, essendo subentrato nei diritti della propria assicurata, possa invocare, come avrebbe potuto fare quest�ultima, il foro speciale dell�attore, in base alle richiamate norme, in luogo del foro generale del convenuto, in base all�art. 2 del regolamento. LA NORMATIVA COMUNITARIA Oggetto dell�ordinanza di remissione � l�interpretazione degli artt. 11, n. 2, e 9, n. 1 lett. b) del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l�esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. La disciplina regolamentare in materia assicurativa, quasi identica a quella contenuta nella Convenzione di Bruxelles, stabilisce, nei casi in cui sia l�assicurato ovvero il contraente o il beneficiario della polizza a promuovere l�azione nei confronti dell�assicuratore, la possibilit� di convenire in giudizio l�assicuratore oltre che dinanzi ai giudici dello Stato in cui quest�ultimo � domiciliato (articolo 9, n. 1 lett. a)), anche davanti al giudice del luogo in cui � domiciliato l�attore, per i casi in cui l�assicuratore abbia il domicilio in uno Stato membro (articolo 9, n. 1, lett. b) del regolamento). A fronte di tali previsioni, che coprono tutti i settori assicurativi, il regolamento contempla alcuni fori supplementari, per quanto di interesse, con riferimento all�ipotesi di assicurazione della responsabilit� civile, prevedendo che sia competente anche il giudice del luogo in cui si � verificato l�evento dannoso (articolo 10) nonch� il giudice presso il quale � stata proposta l�azione 194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 esercitata dalla persona lesa contro l�assicurato (articolo 11, n. 1). L�articolo 11, n. 2 dispone che sono applicabili all�azione diretta proposta dalla persona lesa contro l�assicuratore gli articoli 8, 9 e 10. Ai sensi del considerando n. 13 del regolamento n. 44/2001 � espressamente indicato che nei contratti di assicurazione, come in quelli di consumo e di lavoro, � �opportuno tutelare la parte pi� debole con norme in materia di competenza pi� favorevoli ai suoi interessi rispetto alle regole generali�. Tale principio trova conferma nel considerando 16 bis della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2005, 2005/14/CE, che integra la direttiva 16 maggio 2000, n. 2000/26/CE in materia di assicurazione della responsabilit� civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, che cos� dispone: �Ai sensi del combinato disposto dell�articolo 11, paragrafo 2, e dell�articolo 9, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l�esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale ... la parte lesa pu� citare in giudizio l�assicuratore della responsabilit� civile nello Stato membro in cui essa � domiciliata�. LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO Primo quesito Ci� premesso, il Governo italiano ritiene che al primo quesito posto alla Corte debba darsi risposta negativa e che le norme in questione debbano essere interpretate nel senso che un organismo di assicurazione sociale, cessionario ex lege dei diritti della persona direttamente lesa non possa promuovere un�azione nei confronti dell�assicuratore dell�altra parte coinvolta nel sinistro dinanzi al giudice del luogo ove detto organismo ha la sua sede. Nel regolamento n. 44/2001, le norme sulla competenza sono ispirate all�esigenza di proteggere la parte socialmente pi� debole e pertanto l�applicazione di queste disposizioni, come pi� volte ribadito dalla Corte di Giustizia, deve essere compiuta ispirandosi a tale canone ermeneutico (cfr. sentenza 14 luglio 1983, in causa 201/82, Gerling, nella quale la Corte di giustizia, con riferimento alle norme sulla competenza in materia di assicurazione della Convenzione di Bruxelles, ha affermato la necessit� di interpretarle nell�ottica di tutelare il soggetto pi� debole). Il regolamento n. 44/2001 ha peraltro rafforzato tale tutela rispetto a quella che risultava dall�applicazione della Convenzione di Bruxelles (cfr. Corte di giustizia, sentenza del 13 dicembre 2007, causa C-463/06, Odenbreit, punto 28). Nel caso di specie, per� appare difficile considerare �parte debole� un organismo di assicurazione sociale che ha presumibilmente pari forza rispetto alla societ� di assicurazione della controparte. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 195 Per effetto della cessione dei diritti del danneggiato, la controversia diviene tra due imprese assicuratrici e viene meno la giustificazione di derogare alla disciplina generale sul foro competente, non essendovi l�esigenza di tutelare, con norme di favore, una parte �debole� rispetto ad una parte �forte�. In presenza di tali circostanze, quindi, non � necessario apprestare una tutela speciale per quanto attiene ai rapporti tra professionisti del settore assicurativo, fra i quali nessuno pu� verosimilmente trovarsi in una posizione di debolezza rispetto all�altro. N� gli artt. 11, n. 2 e 9, n. 1 lett. b) del regolamento n. 44/2001 menzionano, oltre alla persona lesa, al contraente dell�assicurazione, all�assicurato e al beneficiario anche il cessionario dei diritti della parte lesa, come avrebbero potuto agevolmente prevedere qualora avessero inteso estendere anche a tale ipotesi il regime di competenza speciale in questione. In proposito, in relazione ad una controversia sorta nell�ambito di un contratto di riassicurazione, la Corte di giustizia ha gi� sottolineato l�inapplicabilit� delle norme sulla competenza speciale in materia di assicurazioni, di cui agli articoli 7-12 bis della Convenzione di Bruxelles, nei rapporti tra riassicurato e riassicuratore, in considerazione del fatto che le due parti del contratto, essendo entrambi professionisti, posti in posizione paritetica, non necessitano di quella particolare tutela individuata nelle norme della sezione 3 (sentenza del 13 luglio 2000, causa C-412/98, Group Josi). Secondo una giurisprudenza costante della Corte di giustizia (sentenza 12 maggio 2005, causa C-112/03, Soci�t� financi�re et industrielle du Peloux) risulta poi che le disposizioni di favore del foro speciale in questione muovono da una preoccupazione di tutela dell�assicurato, il quale, nella maggior parte dei casi, � la persona economicamente pi� debole e giuridicamente meno esperta, che si trova di fronte ad un contratto predeterminato le cui clausole non possono essere oggetto di trattative. Da ci� deriva che le norme sulla competenza in materia di assicurazione all�uopo previste non possono essere estese a favore di soggetti giuridici per i quali tale protezione non appaia giustificata. Nel caso in esame non sembra potersi dubitare del fatto che l�appellante e l�appellato sono in posizione paritaria, sia dal punto di vista economico che giuridico, e non vi � quindi alcuna valida ragione per applicare all�appellante una norma di favore che sarebbe spettata esclusivamente alla persona lesa che gli ha ceduto il proprio credito nei confronti dell�assicurazione del danneggiante. Inoltre, trattandosi di competenza derogatoria rispetto alla regola generale del domicilio del convenuto, in linea di principio, la norma deve considerarsi di stretta interpretazione. L�estensione analogica della disposizione in questione si giustificherebbe solo in ragione della posizione debole del danneggiato rispetto a quella del- 196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 l�assicuratore e quindi sulla base del principio affermato dalla richiamata giurisprudenza comunitaria, in base al quale la funzione di tutela del contraente ritenuto economicamente pi� debole e giuridicamente meno esperto implica che le norme sulla competenza speciale possano essere estese a favore di quelle persone per le quali tale protezione appare giustificata (argomentando a contrario rispetto a quanto affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza del 26 maggio 2005, causa C-77/04, Groupement d�inter�t �conomique GIE R�union europ�enne e a. che ha invece escluso l�estensione analogica di un criterio di competenza eccezionale nei rapporti tra due imprese di assicurazione). Quanto al pericolo che sullo stesso fatto giudichino giurisdizioni di Stati membri diversi, si ritiene che tale eventualit� � insita in ogni ipotesi di previsione di fori alternativi, come nel caso di specie sarebbe comunque possibile anche a prescindere dalla soluzione data al quesito. Il regolamento n. 44/2001 prevede, infatti, in materia di assicurazione della responsabilit� civile, la competenza generale del foro del convenuto (art. 2), la competenza speciale del foro dell�attore qualora questo sia il contraente dell�assicurazione, l�assicurato, un beneficiario o la parte lesa in caso di azione diretta contro l�assicuratore (art. 9, n. 1, lett. b) e art. 11, n. 2), la competenza del locus commissi delicti (art. 10) che, in ipotesi, potrebbe essere un terzo Stato membro, diverso da quelli in cui sono rispettivamente domiciliate le parti in causa o hanno sede le rispettive compagnie di assicurazione. In tali casi, la pendenza di pi� cause vertenti sullo stesso fatto andr� risolta alla luce dei principi generali in materia di litispendenza e connessione (art. 27 e seguenti del regolamento), ove le parti siano le stesse ovvero le cause siano connesse, pur essendo tra parti parzialmente diverse, come nel caso prospettato dal giudice a quo di azione per i danni materiali proposta dall�organismo cessionario del credito e di azione per i danni morali proposta dalla persona lesa. Secondo quesito Il Governo italiano osserva che la soluzione negativa fornita al primo quesito rende superflua la risposta al secondo quesito, rilevando comunque che, a maggior ragione, va esclusa la competenza derogatoria nel caso in cui la persona direttamente lesa non risieda pi�, al momento della proposizione dell�azione, nello Stato membro in cui ha sede l�organismo di assicurazione sociale cessionario ex lege del credito. Se infatti � gi� contestabile, come argomentato in relazione al primo quesito, che la surrogazione nei diritti sostanziali dell�assicurato comporti automaticamente anche la surrogazione nei suoi diritti processuali, ci� va senz�altro escluso quando, al momento della proposizione dell�azione, lo stesso assicurato non avrebbe potuto giovarsi del foro di favore (l�Austria) per IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 197 aver mutato il proprio domicilio che � andato a coincidere con quello del convenuto (la Germania). Conclusioni Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il quesito nel senso che il rinvio di cui all�articolo 11, n. 2, del regolamento n. 44/2001, all�articolo 9, n.1, lett. b), del medesimo regolamento debba essere interpretato nel senso che un organismo di assicurazione sociale, cessionario ex lege dei diritti della persona direttamente lesa non possa promuovere dinanzi al giudice del luogo di uno Stato membro dove il detto organismo ha la sua sede un�azione nei confronti dell�assicuratore. La soluzione negativa fornita al primo quesito rende superflua la risposta al secondo quesito. Roma, 21 novembre 2008 Avv. Wally Ferrante Causa C-518/08 - Materia trattata: propriet� intellettuale - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal de grande instance de Paris (Francia) il 27 novembre 2008 - Fundaci� Gala-Salvador Dal�, Visual Entidad de Gesti�n de Artistas Pl�sticos/Soci�t� des Auteurs dans les arts graphiques et plastiques, Juan-Leonardo Bonet Domenech, Eulalia-Mar�a Bas Dal�, Mar�a Del Carmen Domenech Biosca, Antonio Domenech Biosca, Ana- Mar�a Busquets Bonet, M�nica Busquets Bonet. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 4007/09 - Diritti sulle vendite successive di opere d�arte). LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 1) Se, successivamente all'entrata in vigore della direttiva 27 settembre 2001 [2001/84/CE], la Francia possa mantenere un diritto sulle successive vendite di opere d'arte riservato agli eredi ad esclusione dei legatari o aventi causa. 2) Se le disposizioni transitorie di cui all'art. 8, nn. 2 e 3, della direttiva 27 settembre 2001 consentano alla Francia di applicare un regime derogatorio. I FATTI DI CAUSA La domanda pregiudiziale trae origine da una controversia che vede contrapposti, da un lato, gli eredi del pittore Salvador Dal�, deceduto il 23 gennaio 1989, successori ab intestato, i quali hanno aderito alla �Societ� des Auteurs 198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 dans les Arts Graphiques et Plastiques� (ADAGP), il cui statuto, all�art. 2d, afferma che �i titolari della totalit� o di parte dei diritti patrimoniali sull�opera di un autore possono affidare alla societ� la gestione del diritto sulle successive vendite quale definito per la Francia dagli artt. L122-8 e L123-7, secondo comma del Code de la Propri�t� Intellectuelle� e, dall�altra, la �Fondazione Dal�� a cui lo Stato spagnolo, nominato da Salvador Dal�, con testamento del 20 settembre 1982, legatario universale dei suoi diritti di propriet� intellettuale, aveva affidato l�esercizio dei poteri di amministrazione e di sfruttamento dei diritti di propriet� intellettuale derivanti dall�opera dell�artista nonch� la societ� Visual Entidad de Gestion de Artistas Plasticos (VEGAP), societ� di gestione collettiva di diritto spagnolo, cui la Fondazione Dal� ha conferito un mandato esclusivo di gestione collettiva ed esercizio dei suoi diritti per il mondo intero sull�opera di Dal�. Dunque la Fondazione Dal� e la VEGAP sostengono di essere, secondo la legge spagnola, uniche beneficiarie di tutti i diritti dell�opera del pittore, ivi compresi i diritti sulle successive vendite delle sue opere mentre l�ADAGP ha applicato le disposizioni del diritto francese che escludono i legatari e aventi causa dal beneficio del diritto sulle vendite successive. LA NORMATIVA COMUNITARIA RILEVANTE Innanzitutto, va precisato che, ai sensi dell�art. 1 della direttiva 2001/84/CE relativa al diritto dell�autore di un�opera d�arte sulle successive vendite dell�originale, per �vendita successiva�, si intende ogni vendita successiva alla prima cessione da parte dell�autore che comporti l�intervento, in qualit� di venditori, acquirenti o intermediari, di professionisti del mercato dell�arte come le case d�asta, le gallerie d�arte e, in generale, qualsiasi commerciante di opere d�arte. La direttiva non riguarda quindi solo i diritti sulle vendite post mortem ma anche quelli sulle vendite, appunto, successive alla prima ad opera di intermediari professionisti. Tali diritti possono essere esclusi dagli Stati membri in relazione al prezzo della vendita nonch� alla prossimit� temporale della vendita stessa rispetto all�acquisto dell�opera direttamente dall�autore. Ai sensi dell�art. 6 della direttiva 2001/84/CE, i diritti sulle vendite successive spettano all�autore e, fatto salvo l�art. 8 paragrafo 2, dopo la sua morte, agli aventi causa. A norma dell�art. 8 citato la durata della protezione del diritto corrisponde a quella stabilita dall�articolo 1 della direttiva 93/98/CEE concernente l�armonizzazione della durata di protezione del diritto d�autore, in base al quale i diritti d�autore di opere letterarie ed artistiche, ai sensi dell�articolo 2 della Convenzione di Berna, durano tutta la vita dell�autore e sino al termine del IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 199 settantesimo anno dopo la sua morte indipendentemente dal momento in cui l�opera � stata resa lecitamente accessibile al pubblico. Secondo il paragrafo 2 del citato art. 8, in deroga al paragrafo 1, gli Stati membri che non applicano il diritto sulle successive vendite di opere d�arte alla data di entrata in vigore della direttiva non sono tenuti, per un periodo che termina non oltre il 1� gennaio 2010, ad applicare il diritto a favore degli aventi causa dell�artista dopo la sua morte. Il successivo paragrafo 3 precisa che uno Stato membro al quale sia applicabile il paragrafo 2 pu� disporre di altri due anni al massimo, se necessario, per permettere agli operatori economici in detto Stato membro di adeguarsi gradualmente al sistema del diritto sulle successive vendite di opere d�arte mantenendo nel contempo la loro validit� economica prima che sia tenuto ad applicare il diritto a favore degli aventi causa dell�artista dopo la sua morte. LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO Sul primo quesito posto alla Corte Il giudice del rinvio chiede alla Corte se sia conforme alla direttiva 2001/84/CE l�art. L123-7 del Code de la Propri�t� Intellectuelle francese in base al quale �dopo il decesso dell�autore, il diritto sulle successive vendite di opere d�arte menzionato all�art. L122-8 spetta agli eredi e, per quanto riguarda l�usufrutto di cui all�art. L123-6 al coniuge, ad esclusione di tutti i legatari e aventi causa per l�anno in corso e i successivi settant�anni�. La normativa francese include quindi tra i beneficiari dei diritti sulle successive vendite i successori a titolo universale - gli eredi - ed esclude i successori a titolo particolare mortis causa o inter vivos - i legatari e gli aventi causa. Secondo il Governo italiano, tale scelta appare legittima alla luce del considerando 27 della citata direttiva in base al quale � necessario determinare i beneficiari del diritto sulle successive vendite di opere d�arte nel rispetto del principio di sussidiariet� e non � opportuno intervenire sul diritto di successione degli Stati membri. La direttiva non riguarda quindi l�armonizzazione del diritto successorio, lasciando impregiudicato, in ossequio al principio di sussidiariet�, il diritto di ogni Stato membro di individuare i beneficiari dei compensi sulle vendite successive di opere d�arte nel rispetto della normativa nazionale in materia di successioni. La direttiva parte dal presupposto che non tutti i Paesi membri riconoscono il diritto sulle vendite successive di opere d�arte e che i regimi nazionali che lo riconoscono non sono uniformi (considerando 7 e 8). Alla luce di ci�, nei considerando 9 e 14 della direttiva, il legislatore comunitario osserva che l�importanza delle divergenze esistenti tra le disposi- 200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 zioni nazionali in materia d� luogo a distorsioni della concorrenza ed a fenomeni di delocalizzazione delle vendite all�interno della Comunit�, comportando disparit� di trattamento tra gli artisti a seconda di dove sono vendute le loro opere. Di qui la necessit� di adottare delle misure di armonizzazione per ovviare alle disparit� esistenti, che potrebbero creare o mantenere condizioni di concorrenza falsate, senza che sia tuttavia necessario armonizzare ogni disposizione delle legislazioni degli Stati membri in materia di diritto sulle successive vendite di opere d�arte, essendo sufficiente, nell�intento di lasciare il pi� ampio margine possibile alle decisioni nazionali, limitare l�armonizzazione alle disposizioni nazionali che pi� direttamente si ripercuotono sul funzionamento del mercato interno (considerando 15). In proposito la Corte di giustizia, nella sentenza 20 ottobre 1993, cause riunite C-92/92 e C-326/92, Phil Collins, ha chiarito che l�oggetto del diritto d�autore e dei diritti connessi, quali disciplinati dalle legislazioni nazionali, � quello di assicurare la tutela dei diritti morali ed economici dei loro titolari. La tutela dei diritti morali consente agli autori e agli artisti di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modifica dell�opera che possa recare pregiudizio al loro onore o alla loro reputazione mentre la tutela dei diritti economici prevede la facolt� di sfruttare commercialmente la messa in circolazione dell�opera (punto 20). La Corte ha inoltre rilevato, nella predetta sentenza, che i diritti esclusivi conferiti dalla propriet� letteraria ed artistica sono tali da incidere sia sugli scambi di beni e di servizi, sia sui rapporti di concorrenza nella Comunit� e, per tale motivo, tali diritti, bench� disciplinati dalle leggi nazionali, sono soggetti alle prescrizioni del Trattato. Ci� detto, va rilevato che il diritto successorio - con le divergenze che possono esistere da Stato a Stato, che la direttiva non intende mettere in discussione - mira in genere ad assicurare la continuit� nei rapporti attivi e passivi facenti capo al de cuius. Solitamente, gli ordinamenti giuridici degli Stati membri ritengono meritevole di tutela l�interesse dei parenti a mantenere nell�ambito della cerchia familiare il patrimonio del defunto. E� per questo che le legislazioni nazionali riservano spesso ai parenti pi� prossimi (cosiddetti eredi legittimari) una quota dell�eredit� sia in assenza di un testamento, sia in presenza di un testamento che destini ad altri una parte del patrimonio eccedente quella disponibile dal testatore (cosiddetta successione necessaria). Tale sembra essere il caso della legislazione francese che, pur in presenza di un testamento di Salvador Dal�, che conferisce allo Stato spagnolo la qualit� di legatario dei suoi diritti di propriet� intellettuale, riconosce la qualit� di eredi ai suoi parenti pi� prossimi pur in assenza di un testamento a loro favore. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 201 Nell�ambito della successione mortis causa, le legislazioni nazionali distinguono di norma tra successione a titolo universale, con l�acquisto della qualit� di erede e successione a titolo particolare, in caso di disposizione testamentaria a titolo di legato. Mentre l�istituzione di erede non pu� mai mancare perch� � la stessa legge che sopperisce nell�individuare i successori legittimi ove non vi abbia provveduto il defunto, il legato pu� essere disposto solo per testamento. Inoltre, mentre l�erede � in grado di assicurare quella continuit� globale e pressoch� assoluta nei rapporti gi� facenti capo al de cuius, succedendo in universum ius e rispondendo degli eventuali debiti anche ultra vires, quasi continuandone la persona, il che � particolarmente significativo nel caso del diritto di autore, il legatario succede esclusivamente in quel singolo, individuato rapporto espressamente indicato dal defunto nel testamento. In assenza di un�armonizzazione a livello comunitario dei concetti di �erede� e di �legatario�, frutto di una precisa scelta in tal senso del legislatore comunitario in ossequio al principio di sussidiariet�, appare opportuno che la definizione del termine �aventi causa� dopo la morte dell�autore di cui all�art. 6 della direttiva resti abbastanza elastico da consentire il rispetto dei diritti successori dei vari Stati membri. Appare quindi pienamente legittima e conforme allo spirito della direttiva - che intende lasciare un certo margine alle normative nazionali nell�individuare i beneficiari del diritto sulle successive vendite nel rispetto delle diversit� delle legislazioni in materia di successione - la disposizione del Code de la Propri�t� Intellectuelle che riserva agli eredi detto diritto in quanto evidentemente ritenuti pi� idonei a continuare la personalit� del defunto, che si esprime in modo particolarmente pregnante in tema di diritto di autore. Sul secondo quesito posto alla Corte Con il secondo quesito, formulato, anche se non espressamente, solo in subordine, in caso di risposta negativa al primo quesito, il giudice del rinvio chiede alla Corte se le disposizioni transitorie di cui all�art. 8 della direttiva consentano alla Francia di applicare un regime derogatorio. Avendo risposto al primo quesito nel senso che la Francia pu� mantenere un diritto sulle successive vendite di opere d�arte riservato agli eredi, in quanto � lasciato agli Stati membri un certo margine per definire il concetto di �aventi causa� dopo la morte dell�autore, non sarebbe necessario rispondere al secondo quesito, in esito al quale sarebbe consentito alla Francia di mantenere tale normativa solo in via transitoria fino al 1 gennaio 2010, termine prorogabile di due anni. In realt�, comunque, il regime transitorio di cui all�art. 8, paragrafi 2 e 3 della direttiva non appare applicabile alla Francia. A norma del citato paragrafo 2, gli Stati membri che non applicano il 202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 diritto sulle successive vendite di opere d�arte alla data di entrata in vigore della direttiva non sono tenuti, per un periodo che termina non oltre il 1 gennaio 2010, ad applicare il diritto a favore degli aventi causa dell�artista dopo la sua morte. In base a tale disposizione, gli Stati membri che non prevedono una disciplina dei diritti sulle successive vendite alla data di entrata in vigore della direttiva possono non applicarla per un certo periodo a favore degli aventi causa dell�artista dopo la sua morte ma debbono applicarla a favore dell�autore. La legislazione francese invece gi� disciplinava alla data di entrata in vigore della direttiva, nel Code de la Propri�t� Intellectuelle, il diritto sulle successive vendite di opere d�arte non solo a favore dell�autore ma anche a favore degli eredi. Non sembra quindi che la norma transitoria sia applicabile alla legislazione francese, che appare sin dall�inizio conforme alla direttiva che, come si � detto nella risposta al primo quesito, lascia liberi gli Stati, nel rispetto del principio di sussidiariet�, di individuare il novero dei beneficiari del diritto di cui all�art. 6 nel rispetto del diritto di successione dei vari ordinamenti. ** ** ** Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito affermando che, successivamente all�entrata in vigore della direttiva 2001/84/CE, la Francia possa mantenere un diritto sulle successive vendite di opere d�arte riservato agli eredi ad esclusione dei legatari o aventi causa in quanto gli Stati membri sono liberi di individuare i beneficiari di cui all�art. 6 della direttiva, nel rispetto del principio di sussidiariet�, sulla base dei rispettivi diritti di successione, sui quali la direttiva non interviene a fini di armonizzazione, come emerge dal considerando 27. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di ritenere non necessario rispondere al secondo quesito alla luce della risposta fornita al primo quesito e comunque di affermare che la norma transitoria di cui all�art. 8, n. 2 e 3 della direttiva 2001/84/CE non � applicabile alla legislazione francese che gi� disciplinava il diritto sulle successive vendite alla data di entrata in vigore della direttiva. Roma, 26 marzo 2009 Avv. Wally Ferrante IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 203 Causa C-565/08 - Materia trattata: libet� di stabilimento - Ricorso presentato il 19 dicembre 2008 - Commissione delle Comunit� europee/Repubblica italiana. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 3557/069 - Procedura di infrazione massimi tariffe forensi). LA MEMORIA DI CONTROREPLICA DEL GOVERNO ITALIANO* 1. Con ricorso proposto ai sensi dell�art. 226 CE, notificato il 12 gennaio 2009, la Commissione delle Comunit� Europee ha adito la Corte di Giustizia delle Comunit� Europee allo scopo di far constatare che, prevedendo delle disposizioni che impongono agli avvocati l�obbligo di rispettare le tariffe massime, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi imposti dagli articoli 43 e 49 del trattato CE. 2. Il Governo italiano, con controricorso del 23 febbraio 2009, ha concluso ribadendo che nell�ordinamento italiano i massimi tariffari non possono considerarsi inderogabili e che pertanto le disposizioni controverse non integrano misure restrittive della libert� di stabilimento e della libert� di prestazione dei servizi. 3. Con la presente memoria, il Governo italiano intende controdedurre alle argomentazioni esposte dalla Commissione con la memoria di replica del 29 aprile 2009 e, in subordine, preso atto che la Commissione non ha desistito dalla propria posizione di ritenere la normativa in questione restrittiva ai sensi degli articoli 43 e 49 CE, contestare la pretesa impossibilit� di giustificare la misura alla luce degli obiettivi di garantire l�accesso alla giustizia in Italia, la tutela dei destinatari e la buona amministrazione della giustizia. 4. Innanzitutto, va sottolineato che il Governo italiano non ha affatto inteso comprimere il diritto di difesa della Commissione, come lamentato da quest�ultima ai punti 50-57 della memoria di replica, bens� ha ritenuto talmente assorbente l�assenza del carattere restrittivo del diritto di stabilimento e del diritto di libera prestazione dei servizi della normativa italiana, come radicalmente modificata nel corso della procedura di infrazione prima dell�emissione del parere motivato, da ritenere che la Commissione ne avrebbe tratto le dovute conseguenze in ordine alla piena conformit� della nuova normativa ai principi comunitari di riferimento, tanto da ritenere del tutto superfluo l�esame delle eventuali giustificazioni che presuppongono invece l�accertata natura restrittiva della misura. 5. Si ricorder� che la procedura di infrazione, iniziata ormai quasi quattro anni fa, ha avuto un andamento altalenante, estendendo e poi riducendo pi� volte il proprio ambito. (*) V. Controricorso del Governo italiano, Rassegna n.2/09, 192-206. 204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 6. Inizialmente, con la lettera di costituzione in mora del 13 luglio 2005, erano infatti sotto accusa le sole tariffe minime e massime per le attivit� stragiudiziali e solo con riferimento all�art. 49 CE. 7. Con la costituzione in mora complementare del 23 dicembre 2005, la procedura si � estesa anche alle tariffe per l�attivit� giudiziale ed altres� in relazione alla presunta violazione dell�art. 43 CE; inoltre � stata contestata l�incompatibilit� della normativa italiana con l�art. 49 CE per la mancata considerazione degli effetti indotti dalla presenza di un avvocato locale. 8. Con la seconda lettera di costituzione in mora complementare del 23 marzo 2007, la procedura si � ridotta alla contestazione delle sole tariffe massime, essendo stati nelle more abrogati i minimi tariffari inderogabili. 9. Con il parere motivato del 3 aprile 2008, la Commissione ha altres� abbandonato, restringendo ulteriormente l�ambito della procedura, la contestazione attinente all�asserita violazione dell�art. 49 CE sotto il profilo della mancata considerazione degli effetti indotti dalla presenza di un avvocato locale. 10. Per tale motivo, il Governo italiano si era augurato che, alla luce delle circostanziate deduzioni del controricorso, la Commissione avrebbe preso atto del venir meno dell�oggetto principale del ricorso per inadempimento inizialmente incentrato, per la stragrande maggioranza degli argomenti, sulla illegittimit� dei minimi di tariffa inderogabili ed ormai sostanzialmente svuotato, a seguito della modifica normativa, delle ragioni addotte a sostegno della non conformit� ai principi comunitari, come gi� evidenziato al punto 24 del controricorso. Sulla derogabilit� dei massimi tariffari 11. Come si � gi� ricordato nel controricorso l�inderogabilit� a pena di nullit� era prevista dall�ordinamento italiano esclusivamente per le tariffe minime: art. 24 della legge n. 794 del 1942 (punti 7 e 47); art. 4, comma 1 del Capitolo I e art. 9 del Capitolo III del D.M. 8 aprile 2004, n. 127 (punti 50 e 53). 12. Per le tariffe massime, mai dichiarate da alcuna norma di legge come inderogabili, obbligatorie o vincolanti, � invece da sempre consentita, sia da prima che dopo il decreto Bersani (D.L. n. 223 del 2006 convertito in legge n. 248 del 2006), che sul punto non ha apportato alcuna modifica, ampia possibilit� di superarle, sia per volont� delle parti, che rimane il primo criterio di determinazione del compenso professionale ai sensi dell�art. 2233 del codice civile (riportato al punto 17 del controricorso), sia da parte del giudice. 13. Lo stesso decreto Bersani, nell�abrogare �la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o massime� fa salve �le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti�. 14. Detta legge non stabilisce quindi expressis verbis l�obbligo di rispet- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 205 tare le tariffe massime, come sostenuto al punto 11 della replica, in quanto il termine �obbligatorie� � utilizzato solo per le (abrogate) tariffe minime e non anche per le (tutt�ora vigenti) tariffe massime. 15. La tariffa professionale resta quindi in vigore ma l�applicazione della stessa integra un criterio sussidiario che entra in gioco solo in mancanza di pattuizione tra le parti e che serve comunque ad orientare il giudice nella liquidazione del compenso. 16. L�art. 61, comma 2 del R.D. n. 1578 del 1933 (riportato al punto 6 del controricorso) prevede inoltre che l�onorario dell�avvocato che, salvo patto speciale, � determinato sulla base delle tariffe, �pu� essere anche maggiore di quello liquidato a carico della parte condannata alle spese� in relazione �alla specialit� della controversia o al pregio o al risultato dell�opera prestata�, fermo restando il potere (preventivo o successivo) del Consiglio dell�ordine di verificare la congruit� del compenso richiesto. 17. La liquidazione del giudice non � quindi vincolante nei rapporti cliente-avvocato, potendo le parti concordemente superare l�importo liquidato sulla base delle tariffe forensi. 18. Ci� � confermato anche dalla documentazione prodotta dalla Commissione con la memoria di replica ed in particolare dalla nota del Consiglio dell�ordine degli Avvocati di Torino del 1 settembre 2008 (all. 2, p. 1) in base alla quale �Criterio principale � la pattuizione tra le parti (art. 2233 c.c.). Criterio sussidiario, in mancanza di pattuizione, � l�applicazione della tariffa. Qualora non possa essere determinato in applicazione della tariffa, il compenso � liquidato dal giudice� e dalla Circolare n. 22-C/2006 del 4 settembre 2006 del Consiglio Nazionale Forense (all. 1, p. 4) ove si legge, a proposito del patto di quota lite, che �l�avvocato pu� chiedere al giudice di liquidare il proprio compenso secondo quanto stabilito nel patto (che civilisticamente parlando, � valido) ma come sopra si � detto il suo comportamento pu� essere segnalato all�Ordine di riferimento perch� ne controlli la correttezza deontologica con riguardo alla proporzionalit� del compenso rispetto all�attivit� prestata�. 19. Ci� dissolve ogni dubbio della Commissione (punto 30 della replica) in ordine alla possibilit� del patto di quota lite di superare i massimi tariffari. Ci� � possibile non solo perch�, come si � detto pi� volte, tali limiti non sono inderogabili ma anche perch� il compenso parametrato in percentuale sul risultato della lite � determinato sulla base di un metodo di calcolo forfettario che prescinde del tutto dalle diverse voci della tariffa, sempre fermo restando il potere del Consiglio dell�Ordine di verificare la congruit� del compenso. 20. Non si comprende poi perch� la Commissione qualifichi tale accordo tra cliente e professionista, idoneo a derogare ai limiti massimi di tariffa, come �un caso limitato e specifico� (punto 32 della replica). Al contrario, l�abrogazione del divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli 206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 obiettivi perseguiti (art. 2, comma 1 lett. a) del decreto Bersani) costituisce una norma - questa si innovativa � di portata generale. 21. A parte tale innovazione, anche i casi gi� previsti dalle tariffe forensi in base ai quali � possibile superare i massimi di tariffa non costituivano e non costituiscono affatto �ipotesi limitate e ben determinate� o addirittura �limitatissime eccezioni�, come sostenuto dalla Commissione ai punti 20 e 22 della replica 22. In tutte le cause di particolare importanza, complessit� o difficolt� per le questioni giuridiche trattate, il che non appare affatto costituire un�ipotesi limitata o eccezionale, le parti possono stabilire, senza alcun necessario parere del Consiglio dell�ordine, l�aumento fino al doppio dei massimi di tariffa e, dimentica la Commissione (al punto 21, lettera b della replica), anche fino al quadruplo per la materia penale (art. 1, comma 2 del Capitolo II del D.M. 8 aprile 2004 n. 127). 23. Il previo parere del Consiglio dell�ordine � invece richiesto, in caso di straordinaria importanza della controversia per la materia civile e stragiudiziale, per aumentare il compenso fino al quadruplo nonch�, in caso di manifesta sproporzione tra la prestazione professionale e l�onorario previsto dalla tariffa, per aumentare il compenso anche oltre tale limite. 24. Non corrisponde al vero quindi che il massimo tariffario possa comunque essere aumentato solo sino al doppio o sino a quadruplo (punto 22 della replica), potendo lo stesso essere aumentato, ricorrendo le citate circostanze, senza alcun limite. 25. Quanto alla necessit�, in taluni casi, del parere del Consiglio dell�ordine degli avvocati, si ritiene che detta previsione sia del tutto conforme alle esigenze di evitare quegli eccessi e quegli abusi in relazione ai quali la stessa Commissione ritiene opportuno un controllo del Consiglio dell�ordine competente (punto 93 del ricorso). 26. Peraltro, entrambi i documenti citati, prodotti dalla Commissione con la memoria di replica (all.ti 1 e 2), affermano che gli importi massimi �continuano ad essere derogabili� alle condizioni gi� previste. 27. Infatti, il Governo italiano non ha sostenuto che il decreto Bersani ha eliminato l�inderogabilit� delle tariffe massime (punto 19 della replica) ma semplicemente che tale inderogabilit� non vi � mai stata, avendo riguardato in passato solo le tariffe minime. 28. Peraltro, va sottolineato che gli ordini professionali hanno tentato di fornire una lettura restrittiva della portata del decreto Bersani, come risulta dallo stesso provvedimento dell�Autorit� Garante della Concorrenza e del Mercato del 15 gennaio 2009, prodotto dalla Commissione con la memoria di replica (all. 3). 29. In tale documento, a p. 8 si legge che �nel corso degli incontri svolti con i rappresentanti degli ordini e dall�esame delle modifiche apportate ai IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 207 codici deontologici in seguito all�entrata in vigore della legge Bersani emerge un generale tentativo, pi� accentuato per alcune categorie professionali, di riproporre la vincolativit� di livelli tariffari convenzionali tramite il riferimento deontologico diretto ai concetti di decoro e dignit� della professione� (evidenza nostra). 30. Emblematica �, secondo tale provvedimento, �la prima presa di posizione del Consiglio Nazionale Forense che, proprio in considerazione dell�entrata in vigore della legge Bersani, nel settembre 2006, ha diramato una circolare, successivamente ritirata, nell�ambito della quale, oltre a dare un�interpretazione restrittiva della riforma complessivamente considerata, ha precisato che, anche se le tariffe minime non sono pi� obbligatorie per legge, il comportamento dell�avvocato che richieda un compenso inferiore al minimo tariffario pu� essere sindacato ai sensi degli articoli 5 e 43, punto II del codice deontologico in quanto il compenso irrisorio, non adeguato, al di sotto della soglia minima, lede la dignit� dell�avvocato e si discosta dall�art. 36 Cost.� (evidenza nostra). 31. La Commissione ha quindi citato a sostegno delle proprie tesi una Circolare del C.N.F. (all. 1) dallo stesso successivamente ritirata, evidentemente in quanto avvedutosi che la portata liberalizzatrice della legge Bersani non poteva essere messa in discussione da norme deontologiche non solo precedenti ma anche subordinate nella gerarchia delle fonti, come ammesso dallo stesso C.N.F. al punto 2 della citata Circolare del 4 settembre 2006. 32. Peraltro, l�art. 2, comma 3 del decreto Bersani dispone che �le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina, che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 [riportato al punto 16 del controricorso] sono adeguate, anche con l�adozione di misure a garanzia della qualit� delle prestazioni professionali, entro il 1 gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 sono in ogni caso nulle� (evidenza nostra). 33. Anche l�articolo di dottrina prodotto dalla Commissione con la memoria di replica (all. 4) pur affermando, con il valore che pu� assumere una tesi dottrinale, che la modifica normativa ha mantenuto l�obbligatoriet� del limite massimo di tariffa, precisa altres� che �lo stesso decreto Bersani detta la regola per cui il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale. Si noti che l�espressione �sulla base della tariffa� non significa �applicando le tariffe minime o massime�. Il giudice deve applicare il criterio dell�adeguatezza all�importanza dell�opera e al decoro della professione ma senza alcun parametro cogente. Il riferimento alla tariffa professionale costituisce solo una base, su cui poter operare dei calcoli per la determinazione in concreto. E� evidente che il professionista potr� sottrarsi alla discrezionalit� del giudice con lo strumento del contratto 208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 con il cliente.� (evidenza nostra). 34. Le tariffe forensi (minime o massime) non sono quindi cogenti ma costituiscono un importante ed indicativo parametro per il giudice e per le parti. 35. Per rispondere all�interrogativo posto dalla Commissione al punto 33 della replica, si osserva che il Legislatore italiano ha abrogato l�obbligatoriet� delle sole tariffe minime e non anche di quelle massime perch� solo le prime erano espressamente inderogabili a pena di nullit�. 36. L�obbligatoriet� delle tariffe massime non � stata abolita, (punto 35 della replica) perch�, come si � gi� esposto e dimostrato, tale obbligatoriet� non vi � mai stata. 37. Peraltro, se nella fase precontenziosa le autorit� italiane non hanno mai negato che le tariffe massime fossero obbligatorie, va detto che le stesse non hanno nemmeno espressamente affermato che lo fossero. 38. La lettera del 21 maggio 2007 del Ministero della Giustizia, citata al punto 39 della replica, nell�affermare che �resta fermo il limite degli onorari massimi�, non indica che tali onorari debbono considerarsi inderogabili e anzi precisa che �anche il giudice pu� superare questa soglia in caso di sproporzione manifesta tra l�opera ed il compenso� (e non �solo il giudice�, come erroneamente riportato dalla Commissione al punto 20 del ricorso); il che vuol dire che sia il giudice, sia le parti possono superare detta soglia. 39. Peraltro, ammesso e non concesso che le autorit� italiane abbiano, nella fase precontenziosa, qualificato come vincolanti le tariffe massime, � pacifico che lo Stato membro pu�, nella successiva fase contenziosa, sostenere una tesi anche non prospettata in precedenza. 40. Basti pensare che, in caso contrario, ove le autorit� nazionali non rispondano alla costituzione in mora e al parere motivato, come spesso accade, lo Stato membro rimarrebbe privo di ogni difesa innanzi alla Corte di giustizia, il che non � ragionevolmente sostenibile. 41. In merito a quanto osservato dalla Commissione ai punti 4 e 5 nonch� ai punti da 42 a 48 della replica, si sottolinea che il Governo italiano non ha mai sostenuto, ne avrebbe mai potuto, che le direttive 98/5/CE e 77/249/CEE deroghino agli articoli 43 e 49 del Trattato e che debbano prevalere sugli stessi. 42. Si � invece sostenuto che la normativa italiana, che non prevede pi� alcuna inderogabilit� delle tariffe, � pienamente conforme ai principi generali di cui agli articoli 43 e 49 CE (riferibili ad ogni tipo di attivit� non salariata, di impresa o di prestazione di servizi), di cui le richiamate direttive sono una specificazione per quanto riguarda, rispettivamente, l�esercizio permanente della professione di avvocato e l�esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati nel territorio dell�Unione europea. Il riferimento alle stesse, che disciplinano in dettaglio i relativi principi delle due citate norme del Trattato, appare quindi tutt�altro che �inutile�. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 209 43. Quanto alla giurisprudenza comunitaria, che renderebbe le considerazioni della resistente del tutto superate (punto 47 della replica), va ricordato innanzi tutto che, con la sentenza del 19 febbraio 2002, causa C-35/99, Arduino, la Corte di giustizia ha ritenuto che gli articoli 10 e 81 del Trattato ovvero le regole della concorrenza non ostino all�adozione da parte di uno Stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un ordine professionale forense, una tariffa che fissi dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell�ordine, qualora tale misura statale sia adottata nell�ambito di un procedimento come quello previsto dalla normativa italiana (punto 44). 44. Successivamente, la Corte di giustizia ha confermato la correttezza della normativa italiana che regola l�accesso alla professione forense, possibile anche per i prestatori transfrontalieri (ordinanza del 17 febbraio 2005, causa C-250/03, Mauri). 45. Per quanto riguarda in particolare la sentenza del 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla, invocata dalla Commissione, va ricordato che detta sentenza, pur essendo stata depositata dopo l�entrata in vigore del decreto Bersani, si � occupata della legislazione italiana previgente (le conclusioni dell�Avvocato generale M. Poiares Maduro sono state depositate il 1 febbraio 2006, anteriormente alla predetta modifica normativa) ed esclusivamente con riferimento agli onorari minimi (punto 44). 46. Si ritiene quindi che le considerazioni contenute nella predetta sentenza possano solo in parte applicarsi al caso di specie, attesa la modifica del quadro normativo e considerato l�oggetto (superstite) del ricorso per inadempimento: i massimi tariffari. 47. Ci� nonostante, va sottolineato che la predetta decisione non solo ha ritenuto la normativa italiana che stabiliva un limite tariffario minimo inderogabile conforme alle regole della concorrenza (punto 54) ma con riferimento all�art. 49, pur ritenendo che tale previsione integri una restrizione alla libera prestazione dei servizi, ha ritenuto che la tutela dei consumatori, da un lato, e della buona amministrazione della giustizia, dall�altro, sono obiettivi che rientrano tra quelli che possono essere ritenuti motivi imperativi di interesse pubblico in grado di giustificare una restrizione della libera prestazione dei servizi (punto 64). 48. La Corte ha altres� affermato che spetta al giudice nazionale determinare se, nella causa principale, la restrizione della libera prestazione dei servizi creata dalla normativa nazionale rispetti tali condizioni, tenendo conto di alcuni elementi indicati dalla stessa Corte (punto 65). 49. In particolare, la Corte ha rilevato che �se � vero che una tariffa che fissi onorari minimi non pu� impedire ai membri della professione di fornire servizi di qualit� mediocre, non si pu� escludere a priori che tale tariffa consenta di evitare che gli avvocati siano indotti, in un contesto come quello del 210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 mercato italiano, il quale, come risulta dal provvedimento di rinvio, � caratterizzato dalla presenza di un numero estremamente elevato di avvocati iscritti e in attivit�, a svolgere una concorrenza che possa tradursi nell�offerta di prestazioni al ribasso, con il rischio di un peggioramento della qualit� dei servizi forniti� (punto 67). 50. La Corte ha quindi ammesso che, in linea di principio, il mantenimento di minimi tariffari inderogabili possa essere strumentale a garantire la qualit� delle prestazioni, demandando al giudice nazionale di verificare, anche alla luce della concreta situazione della professione in Italia, se la disapplicazione generalizzata dei minimi tariffari possa comportare il rischio di incidere negativamente sul livello dei servizi prestati dagli avvocati, stimolando la concorrenza sui prezzi a discapito di quella sugli aspetti qualitativi dell�attivit� professionale. 51. In questa sede, invece, la Commissione sembra voler chiedere alla Corte di accertare essa stessa, in astratto, con riferimento ai massimi tariffari, ci� che nella predetta sentenza � stato invece ritenuto di pertinenza del giudice nazionale, che deve e pu� operare un accertamento in concreto. 52. Come si � detto, inoltre, la citata sentenza � intervenuta su un quadro normativo ormai radicalmente mutato, che ha espunto l�inderogabilit� delle tariffe minime o fisse, che ha eliminato il divieto di parametrare il compenso al raggiungimento di un esito positivo della lite e che ha abrogato il divieto di svolgere pubblicit� informativa, con l�intento di ridurre quella �asimmetria informativa� riconosciuta dalla Corte al punto 68 della sentenza in esame. In subordine, sulla possibilit� di giustificare la misura restrittiva 53. Come si � ampiamente avuto modo di dimostrare nel controricorso e nei precedenti punti della controreplica, il Governo italiano ritiene che la previsione di limiti tariffari massimi non costituisca una misura restrittiva della libert� di stabilimento e della libert� di prestazione dei servizi. 54. Tuttavia, in via meramente subordinata, il Governo italiano deduce che anche laddove si volesse sostenere che detta previsione costituisca una misura restrittiva ai sensi degli articoli 43 e 49 CE, la stessa sarebbe pienamente giustificabile da obiettivi che la stessa Commissione, al punto 74 del ricorso, riconosce che potrebbero in linea teorica costituire motivi imperativi di interesse pubblico ai sensi della giurisprudenza comunitaria. 55. La Corte di giustizia ha infatti da tempo affermato che il pubblico interesse connesso alla tutela dei destinatari dei servizi giustifica una restrizione alla libera prestazione dei servizi, se idonea allo scopo e non esorbitante da quanto necessario per raggiungere l�obiettivo (sentenza del 25 luglio 1991, causa C-76/90, Saeger, punti 16 e 17) 56. Per quanto riguarda in primo luogo l�obiettivo di garantire l�accesso alla giustizia in Italia, la Commissione ritiene che l�esigenza di assi- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 211 curare l�accesso alla giustizia a tutti i cittadini sarebbe gi� garantita dalle disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. 57. In tal modo, la Commissione non considera per� l�esigenza di tutelare la stragrande maggioranza dei cittadini che non hanno comunque accesso al gratuito patrocinio che prevede dei limiti di reddito bassissimi (art. 76 del D.P.R. citato): � 9.723,84 elevati a � 10.628,16 con D.M. 20 gennaio 2009 in G.U. 27 marzo 2009, n. 72. Peraltro, se l�interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito � costituito dalla somma dei redditi conseguiti da ogni componente della famiglia, compreso l�istante, salva l�elevazione di � 1032,91 per ognuno dei familiari conviventi (art. 92 del D.P.R. citato). 58. Inoltre, al di fuori del processo penale, per i giudizi civili, amministrativi, contabili, tributari e negli affari di volontaria giurisdizione, il cittadino non abbiente � ammesso al gratuito patrocinio quando le sue ragioni non risultino manifestamente infondate (art. 74 del D.P.R. citato) mentre anche chi ha presumibilmente torto pu� liberamente decidere di resistere in giudizio e ha diritto di accedere alla giustizia a costi ragionevoli e proporzionati all�attivit� richiesta. 59. Sono quindi meritevoli di tutela tutti coloro che, pur non potendo usufruire del gratuito patrocinio, non abbiano un livello reddituale che consenta loro di accedere a servizi giuridici a condizioni economiche eccessivamente onerose. 60. N� pu� ritenersi di riservare tale possibilit�, come prospettato dalla Commissione al punto 98 del ricorso, alle sole cause concernenti i diritti fondamentali della persona quali quelle in materia penale e di diritto di famiglia, dovendo lo Stato assicurare l�uguaglianza nell�accesso alla giustizia non solo a tutti i cittadini ma anche in tutte le materie. 61. Il diritto di difesa, in generale e in ogni processo, costituisce peraltro esso stesso un diritto fondamentale sia per l�ordinamento nazionale che per quello sopranazionale, come dimostra l�art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell�uomo. 62. N� sembra che la possibilit� per i clienti di negoziare, di volta in volta, il compenso con i propri avvocati, adattandolo ai servizi da rendere nel caso di specie, anzich� applicare le tariffe forensi, garantirebbe una migliore tutela al cliente medio, che solitamente non possiede gli strumenti per valutare i costi dell�attivit� professionale ed � anzi garantito dall�esistenza di tariffe che fungano da parametro di riferimento. 63. Per quanto riguarda i rapporti business to business, nulla vieta ai clienti che possano permettersi tariffe pi� elevate, per ottenere un servizio pi� complesso e qualificato, di concludere un accordo in tal senso, espressamente consentito dall�art. 2233 c.c., nel pieno rispetto della loro autonomia contrattuale. 212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 64. Peraltro, come gi� ricordato al punto 41 del controricorso, non corrisponde al vero che gli avvocati che svolgono la professione in Italia sarebbero tenuti a fatturare i propri servizi sulla base di un elenco tassativo di prestazioni legali contenute nel tariffario e non potrebbero determinare il proprio onorario con altri metodi, ad esempio in base al tempo dedicato allo studio della pratica. Ci� � invece esplicitamente ammesso dal punto 10 del Capitolo III del D.M. 127 del 2004. 65. Per quanto riguarda, in secondo luogo, l�obiettivo di garantire la tutela dei destinatari dei servizi, ancor pi� debole appare la posizione della Commissione, secondo la quale le tariffe massime non escluderebbero fatturazioni abusive o illecite. 66. In realt�, la pretesa di compensi illeciti o abusivi esorbita, in quanto tale, dalla fissazione di limiti massimi: questi sono infatti riferiti ad una fatturazione lecita. 67. Peraltro, le altre misure gi� esistenti nell�ordinamento italiano finalizzate ad evitare tale fenomeno non sono di per s� sufficienti o sono comunque pi� gravose per il consumatore rispetto alla fissazione preventiva ed in linea generale di tariffe massime. 68. Ci si riferisce in particolare alla tesi della Commissione secondo la quale l�esame di abilitazione alla professione forense dovrebbe essere finalizzato anche ad infondere il rispetto di regole deontologiche e ad evitare cos� futuri episodi di fatturazione abusiva o comunque eccessiva da parte del professionista (punto 91 del ricorso). 69. In proposito, va da s� che un esame di abilitazione, anche se vertente sull�apprendimento di norme deontologiche, non pu� evitare fenomeni di fatturazione illecita su base generale. 70. Una rigida selezione � certamente una condizione necessaria per un buon livello qualitativo e deontologico dell�avvocato ma altrettanto certamente non � una condizione sufficiente. 71. Quanto alla possibilit� di contestare gli onorari ritenuti eccessivi o abusivi innanzi al Consiglio dell�ordine, titolare di un potere disciplinare nei confronti dei suoi membri, o di chiedere il risarcimento dei danni nei confronti del proprio avvocato in sede giurisdizionale, si tratta di strumenti di tutela esistenti nell�ordinamento italiano ma sicuramente pi� gravosi e dispendiosi rispetto alla tutela offerta dalla preventiva fissazione per legge di tetti massimi, anche tenuto conto del fatto che il cliente non sempre sarebbe in grado di valutare, in assenza di parametri di riferimento, l�eccessivit� della pretesa. 72. Le sanzioni disciplinari e il risarcimento del danno costituiscono infatti rimedi repressivi adottabili a posteriori e cio� dopo che il danno all�interesse del cliente e alla buona amministrazione della giustizia si � prodotto. La previsione dei limiti massimi di tariffa consente invece di prevenire il verificarsi di tali danni. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 213 73. Anche alla notevole asimmetria informativa tra cliente e prestatore del servizio, insita nella professione di avvocato in quanto connotata da particolare tecnicismo, il decreto Bersani ha tentato di porre rimedio, eliminando il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicit� informativa �circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto nonch� il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni, secondo criteri di trasparenza e veridicit� del messaggio il cui rispetto � verificato dall�ordine� (art. 2, comma 1, lettera b). 74. Anche tale misura non appare per� sufficiente in quanto limitata a garantire conoscibilit� e trasparenza dei prezzi solo nei rapporti tra cliente ed avvocato e non anche in caso di liquidazione delle spese a favore della controparte vittoriosa. 75. A tale proposito, per quanto riguarda, in terzo luogo, l�esigenza di garantire la buona amministrazione della giustizia, si osserva che la prevedibilit� del costo della prestazione, ed in particolare delle spese legali che si pu� essere condannati a rifondere all�avversario in caso di soccombenza - a prescindere dal compenso dovuto al proprio avvocato che rimane autonomamente concordabile - pu� essere assicurata solo mediante la predisposizione di tariffe massime che garantiscono, con una certa approssimazione, una previsione del costo da sostenere. 76. Non corrisponde al vero, poi, che le tariffe sarebbero obbligatorie per gli avvocati ma non vincolerebbero il giudice nella liquidazione delle spese (punto 106 del ricorso). 77. Infatti la tariffa costituisce un utile parametro per il giudice per liquidare l�importo dei rimborsi dovuti dalla parte soccombente alla parte vittoriosa, tra le quali, per definizione, non esiste un accordo sul punto, come invece pu� esistere tra la parte ed il proprio avvocato. 78. Ci� detto, i limiti massimi possono essere superati dalle parti esattamente nelle stesse ipotesi in cui possono essere superati dal giudice ed in particolare con riferimento alla natura e all�importanza della controversia, al numero delle questioni trattate, all�attivit� svolta dall�avvocato, ai risultati ed ai vantaggi anche non patrimoniali del giudizio, al pregio dell�opera prestata, al particolare impegno, alla complessit� dei fatti e alla difficolt� delle questioni giuridiche trattate, alla manifesta sproporzione tra la prestazione dell�avvocato e l�onorario previsto (artt. 4 e 5 del Capitolo I; art. 1 del Capitolo II; artt. 1 e 9 del Capitolo III della tariffa forense). 79. Alla luce delle richiamate norme, va quindi decisamente contestata l�affermazione, contenuta al punto 87 del ricorso, secondo la quale le tariffe non sarebbero in alcun modo correlate alla qualit� dei servizi resi. 80. Quanto al rilievo della Commissione secondo la quale, ove le autorit� italiane avessero voluto regolare la liquidazione delle spese da parte del giudice, sarebbero dovute intervenire su tali norme e non in materia di tariffe 214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 degli avvocati (punto 105 del ricorso), si osserva che i due aspetti sono strettamente correlati. 81. Se � vero infatti che a norma dell�art. 61, comma 2 del R.D. n. 1578 del 1933 (riportato al punto 6 del controricorso) l�onorario dell�avvocato nei confronti del cliente �in relazione alla specialit� della controversia o al pregio o al risultato dell�opera prestata pu� essere anche maggiore di quello liquidato a carico della parte condannata alle spese� � anche vero che i due profili non possono essere totalmente avulsi l�uno dall�altro in quanto ci� creerebbe una divaricazione irragionevole tra la liquidazione delle spese giudiziali e l�effettivo costo delle attivit� svolte. 82. La tariffa forense costituisce quindi una obiettiva base di riferimento sia per il giudice, sia per le parti nei rapporti con i loro avvocati. 83. Da tutto quanto sopra, emerge che la fissazione di limiti massimi nelle tariffe forensi costituisce una misura necessaria ed idonea allo scopo di garantire imperativi motivi di interesse pubblico quali l�accesso alla giustizia da parte di tutti i cittadini, la tutela dei destinatari dei servizi e la buona amministrazione della giustizia. Conclusioni 84. Il Governo italiano conclude quindi nel senso che, nell�ordinamento italiano i massimi tariffari non possono considerarsi inderogabili e che pertanto le disposizioni controverse non integrano misure restrittive della libert� di stabilimento e della libert� di prestazione dei servizi. 85. In subordine, il Governo italiano ritiene che dette misure siano comunque giustificate in quanto necessarie ed idonee allo scopo di garantire imperativi motivi di interesse pubblico quali l�accesso alla giustizia da parte di tutti i cittadini, la tutela dei destinatari dei servizi e la buona amministrazione della giustizia. Roma, 15 giugno 2009 Avv. Wally Ferrante I L C O N T E N Z I O S O N A Z I O N A L E Contratto a termine: illegittimit� costituzionale della disciplina sanzionatoria differenziata (Corte Costituzionale, sentenza 8-14 luglio 2009 n. 214) SOMMARIO: 1.- La norma illegittima. 2.- La decisione. 3.- Le ulteriori implicazioni. 4.- Le questioni infondate. 1. La disciplina del contratto a termine, nell�attuale assetto definito, dopo innumerevoli rimaneggiamenti, dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, torna a costituire oggetto di valutazione del Giudice delle Leggi (1). Svariate ordinanze di rimessione, infatti, hanno sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale, la conformit� alla Carta Fondamentale di alcune delle disposizioni del citato decreto. Si tratta, in particolare, degli articoli 1, comma 1 e 11, dell�articolo 2, comma 1-bis e dell�articolo 4-bis. L�appartenenza di tutte le norme censurate allo stesso testo normativo ha indotto la Corte alla riunione dei giudizi al fine della loro decisione con un�unica pronuncia. Delle diverse disposizioni, tuttavia, solo l�articolo 4-bis � stato dichiarato, con la sentenza del 14 luglio 2009, n. 214 in esame, costituzionalmente illegittimo, mentre le altre disposizioni sono state ritenute conformi alla costituzione. La norma dichiarata illegittima � stata introdotta con decretazione d�urgenza nel corpus normativo preesistente (2). Essa, in caso di violazione della (1) La Corte Costituzionale, infatti, con sentenza 4 marzo 2008, n. 44 ha dichiarato la illegittimit� dell�articolo 10, commi 9 e 10 nonch� dell�articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n.368, nella parte in cui abroga l�articolo 23, comma 2, della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull�organizzazione del mercato del lavoro), relativo al lavoro stagionale. (2) L�articolo 4-bis del D. lgs. 368/2001 � stato aggiunto dal comma 1-bis dell�articolo 21 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133. 216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 normativa inderogabile in materia di contratto a termine (ed in particolare nei casi di assenza di ragioni giustificatrici del termine, assenza di forma scritta o proroga del termine oltre i limiti consentiti), prevede una disciplina sanzionatoria differenziata, e attenuata, rispetto a quella valevole per la generalit� dei casi come individuata dalla prevalente giurisprudenza. Per questi, invero, nelle ipotesi di insussistenza delle ragioni giustificative del termine apposto al contratto di lavoro subordinato, in assenza di espressa normativa soccorre l�orientamento prevalente della Corte di Cassazione, secondo cui la clausola corrispondente deve ritenersi nulla. A tale nullit� consegue, in applicazione dei principi generali in materia di nullit� parziale del contratto, l�invalidit� parziale della clausola medesima e quindi l�instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo determinato (3). Per la Suprema Corte, infatti, l�apposizione del termine ai contratti di lavoro, sebbene legittimata dalla clausola generale prevista dall�articolo 1, comma 1, del d.lgs 368/2001 (che richiede ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive), deve ritenersi pur sempre una ipotesi derogatoria (e quindi applicabile solo nel rispetto della disciplina dettata al riguardo), stante il principio generale confermato dal comma 1 del medesimo articolo (in base al quale il contratto di lavoro subordinato � stipulato di regola a tempo determinato). La norma in esame, invece, la cui rubrica reca �Disposizione transitoria concernente l�indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione del termine�, stabilisce che, in caso di violazione di quanto previsto dagli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 368/2001, il datore di lavoro sia tenuto unicamente ad indennizzare il prestatore di lavoro con una indennit� di importo tra 2,5 e 6 mensilit� dell�ultima retribuzione globale di fatto. Si tratta, peraltro, di una disciplina applicabile ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della norma e fatte salve le sentenze passate in giudicato. In base a tale differenziazione, pertanto, quanti abbiano gi� promosso ricorso avverso l�apposizione di un termine ingiustificato (ovvero non risultante da atto scritto o, ancora, prorogato oltre i limiti), per ottenere, avvalendosi dell�orientamento sopra richiamato - ove il giudice accerti la nullit� della clausola di apposizione del termine - la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, potranno ottenere esclusivamente un indennizzo economico, a differenza di quanti, invece promuovano l�iniziativa giudiziaria in un momento successivo. La formulazione della norma nella versione entrata in vigore � stata oggetto di un travagliato iter parlamentare. L�introduzione di un articolo 4-bis al decreto legislativo 368/2001, infatti, compare la prima volta in sede di con- (3) Cass., Sez. lav., 21 maggio 2008, n.12985 in Riv. It. Dir. Lav., 2008, 4, 891, con nota di A. OLIVIERI. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 217 versione del decreto legge 112/2008. Nell�originaria redazione (4), tuttavia, il testo reca una disciplina dagli effetti ben pi� dirompenti rispetto alla formulazione definitiva. La versione iniziale, infatti, prevede l�indennizzo in luogo della conversione dei contratti a tempo determinato come regola, tanto che un successivo comma estende tale espressa regolamentazione, a scanso di interpretazioni restrittive, anche ai giudizi in corso (5). Con una brusca inversione di tendenza, la formulazione definitiva attribuisce, invece, carattere transitorio alla norma e ne confina l�applicazione ai soli giudizi in corso. Si tratta, dunque, di una norma che rispetto al sistema vigente quale individuato dalla giurisprudenza, appare porsi come eccezione, caratteristica quest�ultima confermata dalla limitata efficacia temporale della disposizione. In tal senso, peraltro, si sono pronunciati i giudici di legittimit� (6) che hanno precisato trattarsi di una norma non suscettibile di interpretazione estensiva n� di applicazione al di fuori dei casi ivi contemplati (cio� delle controversie che abbiano ad oggetto il sistema sanzionatorio del contratto a termine per violazione delle disposizioni indicate dalla norma medesima con esclusione, per esempio, della continuazione del rapporto oltre la scadenza fino al ventesimo giorno prevista dall�articolo 5, comma 1, del d.lgs 368/2001). L�intervento della Cassazione, pur delimitando la portata ed il carattere della norma, non ne ha fugato i dubbi di compatibilit� con la Costituzione, sollevati da pi� parti soprattutto sotto il profilo del trattamento differenziato di situazioni identiche. � stata, in particolare, evidenziata la disparit� di trattamento legislativo �ben potendosi dubitare della ragionevolezza di una differenziazione di situazioni eguali fondata solo sulla data di introduzione del giudizio� (7). (4) A.C. 1386-A (testo approvato il 25 giugno 2008 dalle Commissioni permanenti della Camera dei Deputati). (5) L�A.C. 1386-A cit., infatti, prevedeva l�inserimento, nel decreto legge da convertire, delle seguenti disposizioni: 1-ter. Dopo l�articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001,n. 368, � aggiunto il seguente:�ART. 4- bis. � (Indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine). � 1. In caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro � tenuto ad indennizzare il prestatore di lavoro con un�indennit� di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di sei mensilit� dell�ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell�articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni�. 1-quater. Fatte salve salve le sentenze passate in giudicato, le disposizioni dell�articolo 4-bis del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, introdotto dal comma 1-ter del presente articolo, si applicano anche ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. (6) C. Cass., sez. lav., 10 novembre 2008, n.26935, in Mass. giur. lav., 2008, 48, 16 con nota di G.FALASCA. (7) A. VALLEBONA, in Mass. Giur. lav., 2008,10,775. L�Autore ritiene, inoltre, che nessun problema di costituzionalit� si porrebbe se, invece, �fosse emanata una norma a regime, anche retroattiva, di eliminazione dell�effetto legale di conservazione necessaria di un contratto a tempo indeterminato per determinati vizi del contratto a termine, poich� tale effetto non � costituzionalmente obbligato�(Mass. Giur.Lav., 2008,11,859). 218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 2. Ed infatti con ben diciannove distinte ordinanze, altrettanti giudici hanno sollevato dinanzi alla Corte Costituzionale questioni di legittimit� della norma in argomento (8). I giudici a quibus, premettendo che in caso di violazione delle prescrizioni contenute nell�art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, pu� essere disposta, secondo il �diritto vivente� - sopra richiamato - la conversione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e riconosciuta al lavoratore una tutela risarcitoria piena, hanno lamentato, in primis (9), la violazione dell�articolo 3 della costituzione. A parere dei giudici rimettenti la norma non solo � fonte di disparit� di trattamento - collegata comՏ al solo dato temporale del momento di proposizione del ricorso giudiziale - tra lavoratori che si trovano nella identica situazione di fatto - ma � anche irragionevole per tre distinti profili: a) perch� interviene nei rapporti di diritto privato sacrificando arbitrariamente il diritto del lavoratore assunto illegittimamente a tempo determinato a godere della tutela garantita dalla legge vigente all�epoca dell�instaurazione del rapporto e favorendo contemporaneamente il datore di lavoro che ha dato luogo all�illegittimit�; b) perch� non � ravvisabile alcuna giustificazione razionale nel fatto che la disposizione modifichi la regola sostanziale rispetto ad una categoria di soggetti, riducendo la tutela mentre pendono i giu- (8) Si tratta delle Corti di appello di Torino (r.o. n. 427 del 2008), Genova (r.o. n. 441 del 2008), Bari (r.o. n. 12 del 2009), Caltanissetta (r.o. n. 43 del 2009), Venezia (r.o. n. 93 del 2009), L�Aquila (r.o. n. 95 del 2009) e Roma (r.o. n. 102 del 2009), e dei Tribunali di Roma (r.o. n. 413 del 2008), Ascoli Piceno (r.o. nn. 442 e 443 del 2008), Trieste (r.o. n. 4 del 2009), Viterbo (r.o. n. 22 del 2009), Milano (r.o. nn. 25, 26, 27, 28, 86 e 87 del 2009) e Teramo (r.o. n. 70 del 2009). (9) Le altre norme costituzionali di cui si lamenta la violazione sono: gli artt. 3, primo comma, e 24 Cost., perch� la norma v�ola il generale principio dell'affidamento legittimamente posto dal cittadino sulla certezza dell'ordinamento giuridico l�art. 10 Cost., poich� la norma lede il principio di parit� di trattamento che � principio generale del diritto internazionale e comunitario che l�Italia si � impegnata a rispettare; gli artt. 11, secondo periodo, e 117, primo comma, Cost., perch� la norma, riducendo la tutela accordata in precedenza dall'ordinamento ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, viola la clausola 8, punto 3, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE e, conseguentemente, l�obbligo del legislatore interno di rispettare i vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario ed internazionale; l�art. 24 Cost., perch� la norma compromette il diritto di difesa dei lavoratori ricorrenti, sottraendo loro la possibilit� di ottenere il vantaggio della conversione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la cui prospettiva aveva direttamente condizionato l�esercizio del loro diritto di azione; l�art. 111 Cost., con riferimento al principio del giusto processo, perch� la norma censurata modifica, nel corso dei procedimenti giudiziali, la tutela sostanziale accordabile al diritto azionato, senza che ricorrano idonee ragioni oggettive o generali; gli artt. 101, 102, secondo comma, e 104, primo comma, Cost., poich� un intervento legislativo che riguardi solamente alcuni giudizi in corso ad una certa data � privo del requisito di astrattezza proprio delle norme giuridiche ed assume un carattere provvedimentale generale invasivo dell�ambito riservato alla giurisdizione; l�art. 117, primo comma, Cost., in connessione con l�art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (ratificata dalla legge 4 agosto 1955, n. 848), il quale impedisce al legislatore di intervenire con norme ad hoc per la risoluzione di controversie in corso; l�art. 117, primo comma, Cost., poich� la norma censurata costituisce un completamento o una modifica del d.lgs. n. 368 del 2001 e dunque un'applicazione della direttiva 1999/70/CE e avrebbe pertanto dovuto rispettare la clausola di non regresso enunciata nella clausola 8, punto 3, dell�accordo quadro recepito dalla medesima direttiva. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 219 dizi, proprio e solo per il fatto di avere una causa in corso; c) perch� la delimitazione temporale del trattamento discriminatorio si riferisce alla mera pendenza del processo, e quindi ad una circostanza assolutamente accidentale. A sostegno, invece, della legittimit� della norma, la difesa erariale ha richiamato il presupposto di fatto della disposizione, rappresentato dalla �enorme dilatazione del contenzioso diretto a contestare la validit� dell�apposizione del termine ai contratti di lavoro, con possibile vanificazione, a causa dell�incertezza delle conseguenze economiche delle dichiarazioni di invalidit� delle clausole oppositive del termine, delle finalit� della riforma della disciplina del contratto a tempo determinato operata dal d.lgs. n. 368 del 2001 (aumento delle possibilit� di accesso al lavoro subordinato per lavoratori destinati altrimenti a forme ancora pi� precarie di lavoro)�. Sarebbe, inoltre, esclusa qualsivoglia discriminazione dei lavoratori interessati dai contenziosi in corso anche perch� la soluzione offerta dalla giurisprudenza circa le conseguenze della dichiarazione di invalidit� del termine apposto al contratto di lavoro non sarebbe mai pervenuta, invece, a costituire un �diritto vivente�. La Corte ha ritenuto fondata la questione di legittimit� sollevata con riferimento all�articolo 3 - con assorbimento delle questioni relative agli altri parametri costituzionali - in quanto situazioni di fatto identiche (contratti di lavoro a tempo determinato stipulati nello stesso periodo, per la stessa durata, per le medesime ragioni ed affetti dai medesimi vizi), risultano destinatarie di discipline sostanziali diverse per la mera e del tutto casuale circostanza della pendenza di un giudizio alla data (sganciata da qualsiasi ragione giustificatrice) del 22 agosto 2008 (giorno di entrata in vigore dell�art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001). Si tratta, prosegue la Corte, di una discriminazione priva di ragionevolezza, n� collegata alla necessit� di accompagnare il passaggio da un certo regime normativo ad un altro; l�intervento del legislatore, infatti, non ha toccato la disciplina relativa alle condizioni per l�apposizione del termine o per la proroga dei contratti a tempo determinato, ma ha semplicemente mutato le conseguenze della violazione delle previgenti regole limitatamente ad un gruppo di fattispecie selezionate in base alla circostanza, del tutto accidentale, della pendenza di una lite giudiziaria tra le parti del rapporto di lavoro. 3. La decisone della Corte se ha come effetto principale quello di eliminare dall�ordinamento una norma che appariva, fin dall�origine, di dubbia legittimit�, pone ulteriori spunti di riflessione su una questione pi� ampia e dibattuta relativa al contratto a termine. Il Giudice delle Leggi, infatti, attribuisce natura di �diritto vivente� all�orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, sopra richiamato, che riconosce la conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo pieno, quale naturale effetto della violazione delle norme sulla appo- 220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 sizione del termine. Tale autorevole riconoscimento consacra, quindi, l�operativit� dell�effetto legale di conservazione del contratto a tempo indeterminato - espressamente previsto dal legislatore per le sole ipotesi di cui all�articolo 5 del d.lgs 368/2001 (continuazione del rapporto e successione di contratti oltre i limiti stabiliti) - anche nelle ipotesi di apposizione di un termine privo di giustificazione (articolo 1, comma 1 del medesimo decreto) (10). In realt� tale riconoscimento appare insito nella stessa norma dell�articolo 4-bis che ponendosi quale eccezione al sistema, avrebbe attribuito, in tutte le ipotesi di violazione della normativa, rango di regola implicita all�effetto legale di conservazione del contratto a tempo indeterminato (11). 4. Le ulteriori disposizioni sottoposte al giudizio di legittimit� della Corte, ma ritenute costituzionalmente legittime, sono le seguenti. a) articolo 1, comma 1 e articolo 11 del d.lgs 368/2001: termine apposto per ragioni sostitutive - onere di indicazione del nominativo del lavoratore sostituito. L�articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 368/2001 prevede la possibilit� di apporre un termine al contratto di lavoro subordinato purch� ricorrano ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo anche se riferibili alla ordinaria attivit� del datore di lavoro. L�articolo 11 del medesimo decreto ha, inoltre, disposto l�abrogazione dell�intera legge 18 aprile 1962, n. 230 che, nella ipotesi di assunzione a termine per la sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, richiedeva obbligatoriamente la indicazione scritta del nominativo del lavoratore sostituito (12). (10) L�orientamento giurisprudenziale che riconosce la conversione del contratto anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste � fortemente criticato in dottrina. � stato infatti rilevato che l�effetto conservativo non pu� essere ricavato dalla Costituzione (e si citano al riguardo le sentenze della Corte Costituzionale 41/2000 e 89/2003), �n� pu� essere ricavato interpretivamente dal principio generale di inderogabilit� con efficacia sostitutiva ex art. 1419, comma 2, c.c., delle norme di protezione minimale del lavoratore, poich� le disposizioni sulla giustificazione sui divieti del termine non hanno questa funzione di tutela del singolo lavoratore al contrario di quelle sugli abusi da successione non a caso tutte munite di espressa comminatoria di conversione in contratto a tempo determinato� (A. VALLEBONA, in Mass. Giur. Lav., 2008, 10, 775). (11) � stato, infatti, rilevato che �la norma sembra implicitamente avallare la tesi � secondo la quale al di fuori della disciplina transitoria, la trasgressione degli articoli 1, 2, e 4 determina una trasformazione del contratto di lavoro in quello a tempo indeterminato. Non sarebbe infatti giustificato ammettere un trattamento indennitario, peraltro alquanto blando, per i giudizi in corso, e ritenere invece che, in termini generali, le ipotesi di trasgressione di cui agli articolo 1, 2 e 4 diano luogo alla mera nullit� del contratto nei termini prescritti nell�articolo 1419, comma 1, c.c. � il legislatore sembra accreditare la lettura pi� rigorista del d.lgs.368/2001, anche se poi interviene per attenuarne la precettivit� per svuotare il pesante contenzioso che ne � derivato� (G.FERRARO, Il contratto a termine tormentato, in Mass. Giur. lav., 2008, 10, 738). (12) Si tratta, in particolare, dell�articolo 1, secondo comma, lettera b), che ammette la apposizione del termine �quando l�assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, semprech� nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione�. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 221 Secondo i giudici rimettenti, l�abolizione dell�onere di indicazione del nominativo del lavoratore sostituito si porrebbe in contrasto con gli articoli 76 e 77 della Costituzione, per eccesso di delega (13). La questione � stata, invece, ritenuta priva di fondamento dalla Corte Costituzionale con una sentenza interpretativa di rigetto (14), che si richiama al comma 2 dell�articolo 1 del d.lgs. 368/2001. Tale disposizione, infatti, richiede, per l�efficacia del termine, che lo stesso risulti direttamente o indirettamente da atto scritto nel quale siano specificate le ragioni dell�apposizione. Nel caso di sostituzione a termine di un lavoratore, pertanto, tale disposizione, a parere della Corte, impone che il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione, risultino per iscritto. In conclusione non sussiste eccesso di delega in quanto le norme impugnate non hanno innovato alcunch�, sotto il profilo esaminato, rispetto alla disciplina gi� contenuta nella abrogata legge 230/1962 (15). b) articolo 2, comma 1-bis, del d.lgs. 368/2001: apposizione del termine (13) Le ordinanze di rimessione del Tribunali di Roma (r.o. m.413 del 2008), e di Trani (r.o. n.434 del 2008), denunciano la violazione dell�articolo 77 della Costituzione �poich� la legge di delega 29 dicembre 2000, n. 422 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell�Italia alle Comunit� Europee - Legge comunitaria 2000), in esecuzione della quale � stato emanato il d.lgs. n. 368 del 2001, attribuiva al Governo esclusivamente il potere di attuare la direttiva 1999/70/CE, la quale non conteneva alcuna disposizione in tema di presupposti per l�apposizione delle clausole del termine�. Denunciano inoltre la violazione dell�articolo 76 �poich� la menzionata legge n. 422 del 2000 non prevedeva princ�pi direttivi ulteriori rispetto all'attuazione della direttiva 1999/70/CE la quale, alla clausola 8, punto 3, dell'accordo quadro da essa recepito, dispone che l�applicazione dell'accordo non pu� costituire un motivo per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell�ambito coperto dall�accordo stesso, mentre le disposizioni censurate, eliminando la necessit� dell'indicazione del nominativo del lavoratore sostituito, determinerebbero un arretramento della tutela garantita ai lavoratori dal precedente regime�. Il Tribunale di Roma lamenta anche la violazione dell�articolo 117, primo comma, della Costituzione per violazione dei vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario. (14) Cos� A. VALLEBONA, in Mass. Giur. Lav., 2009, 8/9, 2). (15) La Corte precisa: �Invero, l�art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega n. 422 del 2000 consentiva al Governo di apportare modifiche o integrazioni alle discipline vigenti nei singoli settori interessati dalla normativa da attuare e ci� al fine di evitare disarmonie tra le norme introdotte in sede di attuazione delle direttive comunitarie e, appunto, quelle gi� vigenti. In base a tale principio direttivo generale, il Governo era autorizzato a riprodurre, nel decreto legislativo di attuazione della direttiva 1999/70/CE, precetti gi� contenuti nella previgente disciplina del settore interessato dalla direttiva medesima (contratto di lavoro a tempo determinato). Infatti, inserendo in un unico testo normativo sia le innovazioni introdotte al fine di attuare la direttiva comunitaria, sia le disposizioni previgenti che, attenendo alla medesima fattispecie contrattuale, erano alle prime intimamente connesse, si sarebbe garantita la piena coerenza della nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico, in conformit� con quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega. Non sussiste neppure la denunciata lesione dell�art. 76 Cost., poich� le norme censurate, limitandosi a riprodurre la disciplina previgente, non determinano alcuna diminuzione della tutela gi� garantita ai lavoratori dal precedente regime e, pertanto, non si pongono in contrasto con la clausola n. 8.3 dell�accordo-quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE, secondo la quale l�applicazione dell'accordo non avrebbe potuto costituire un motivo per ridurre il livello generale di tutela gi� goduto dai lavoratori. Per la stessa ragione (insussistenza, sotto il profilo in esame, di un contrasto con la normativa comunitaria) � infondata la censura formulata in riferimento all�art. 117, primo comma, Cost., il quale impone al legislatore di rispettare i vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali�. 222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 ai contratti di lavoro subordinato nel settore delle poste. L�articolo 2, comma 1-bis, del d.lgs 368/2001, prevede l�apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato quando l�assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, per un periodo complessivo massimo di sei mesi compresi tra aprile e ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell�organico aziendale, riferito al 1� gennaio dell�anno cui le assunzioni si riferiscono. Il giudice rimettente ritiene che tale disposizine violi l�articolo 3, primo comma, della Costituzione poich� la norma introdurrebbe, ai danni dei lavoratori operanti nel settore postale, una disciplina del lavoro differenziata e priva di ragionevolezza (16). La Corte, tuttavia, ha ritenuto non fondata la questione specificando, proprio con riferimento all�articolo 3 Cost., che la norma impugnata costituisce la tipizzazione legislativa di una ipotesi di valida apposizione del termine effettuata in base ad una valutazione preventiva ed astratta nient�affatto irragionevole. Alle imprese che svolgono attivit� di preminente interesse generale, proprio perch� tenute all�adempimento di gravosi oneri connessi con l�attivit� medesima, pu� infatti essere ragionevolmente riconosciuta una certa flessibilit� nel ricorso (entro limiti quantitativi comunque fissati inderogabilmente dal legislatore), allo strumento del contratto a tempo determinato (17). Dott. Gianluca Fatato* Corte costituzionale, sentenza 8-14 luglio 2009 n. 214 - Pres. Amirante, Red. Mazzella - Giudizi di legittimit� costituzionale dell�art. 2, comma 1-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES), degli artt. 1, comma 1, e 11 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 e dell�art. 4-bis, del medesimo decreto legislativo, introdotto dall�art. 21, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Di- (16) Il Tribunale di Roma (r.o. n. 217 del 2008), lamenta, altres�, la violazione degli articoli 101, 102 e 104 Cost., perch� l�introduzione di una �acasualit�� per le assunzioni a termine nel settore postale sottrarrebbe ingiustificatamente al giudice ordinario il potere di verifica delle effettive ragioni oggettive e temporanee poste alla base di dette assunzioni. (17) La Corte ha dichiarato non fondata la questione anche sotto il profilo della pretesa violazione degli articoli 101, 102 e 104 Cost. in quanto �la norma censurata si limita a richiedere, per la stipula di contratti a termine da parte delle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, requisiti diversi rispetto a quelli valevoli in generale (non gi� l'indicazione di specifiche ragioni temporali, bens� il rispetto di una durata massima e di una quota percentuale dell'organico complessivo). Pertanto il giudice ben pu� esercitare il proprio potere giurisdizionale al fine di verificare la ricorrenza in concreto di tutti gli elementi di tale dettagliata fattispecie legale�. (*) Funzionario presso l� Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 223 sposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 - Presidente del Consiglio dei Ministri (Avv.ti F.Tortora. P.Gentili, S. Fiorentino). (...Omissis...) Considerato in diritto 1. � Con separate ordinanze, le Corti di appello di Torino, Genova, Bari, Caltanissetta, Venezia, L�Aquila e Roma ed i Tribunali di Roma, Trani, Ascoli Piceno, Trieste, Viterbo, Milano e Teramo hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, 11, 24, 76, 77, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimit� costituzionale degli artt. 1, comma 1, 2, comma 1-bis, 4-bis ed 11 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall�UNICE, dal CEEP e dal CES). 2. � La parziale identit� di molte delle questioni proposte e l�appartenenza di tutte le norme censurate allo stesso testo normativo rendono opportuna la riunione dei giudizi al fine della loro decisione con un�unica sentenza. 3. � I Tribunali di Roma (r.o. n. 413 del 2008) e di Trani (r.o. n. 434 del 2008) dubitano, in particolare, della legittimit� degli artt. 1, comma 1, e 11 del d.lgs. n. 368 del 2001. La prima delle predette norme stabilisce che �� consentita l�apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attivit� del datore di lavoro� [le parole �anche se riferibili alla ordinaria attivit� del datore di lavoro�, sono state aggiunte dall�art. 21, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133]. L�art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001, invece, dispone, al comma 1, l�abrogazione, tra l�altro, dell�intera legge 18 aprile 1962, n. 230 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), la quale, all�art. 1, secondo comma, lettera b), consentiva l�apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato �quando l�assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, semprech� nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione �. Ad avviso dei rimettenti, le norme censurate, nel sopprimere l�art. 1, secondo comma, lettera b), della legge n. 230 del 1962 e, quindi, nell�abolire l�onere dell�indicazione del nominativo del lavoratore sostituito quale condizione di liceit� dell�assunzione a tempo determinato di altro dipendente, violerebbero l�art. 77 Cost., poich� la legge di delega 29 dicembre 2000, n. 422 (Disposizioni per l�adempimento di obblighi derivanti dall�appartenenza dell�Italia alle Comunit� Europee - Legge comunitaria 2000), in esecuzione della quale � stato emanato il d.lgs. n. 368 del 2001, attribuiva al Governo esclusivamente il potere di attuare la direttiva 1999/70/CE, la quale non conteneva alcuna disposizione in tema di presupposti per l�apposizione delle clausole del termine. Sussisterebbe contrasto, poi, con l�art. 76 Cost., poich� la menzionata legge n. 422 del 2000 non prevedeva princ�pi direttivi ulteriori rispetto all'attuazione della direttiva 1999/70/CE la quale, alla clausola 8, punto 3, dell�accordo quadro da essa recepito, dispone che l�applicazione dell�accordo non pu� costituire un motivo per ridurre 224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell�ambito coperto dall�accordo stesso, mentre le disposizioni censurate, eliminando la necessit� dell�indicazione del nominativo del lavoratore sostituito, determinerebbero un arretramento della tutela garantita ai lavoratori dal precedente regime. Infine, ad avviso del solo Tribunale di Roma, sarebbe leso anche l�art. 117, primo comma, Cost., per violazione dei vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario. 3.1. � La questione non � fondata nei termini di seguito precisati. Entrambi i rimettenti omettono di considerare adeguatamente che l�art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, dopo aver stabilito, al comma 1, che l�apposizione del termine al contratto di lavoro � consentita a fronte di ragioni di carattere (oltre che tecnico, produttivo e organizzativo, anche) sostitutivo, aggiunge, al comma 2, che �L�apposizione del termine � priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1�. L�onere di specificazione previsto da quest�ultima disposizione impone che, tutte le volte in cui l�assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione. Infatti, considerato che per �ragioni sostitutive� si debbono intendere motivi connessi con l�esigenza di sostituire uno o pi� lavoratori, la specificazione di tali motivi implica necessariamente anche l�indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire e delle cause della loro sostituzione; solamente in questa maniera, infatti, l�onere che l�art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 2001 impone alle parti che intendano stipulare un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato pu� realizzare la propria finalit�, che � quella di assicurare la trasparenza e la veridicit� della causa dell�apposizione del termine e l�immodificabilit� della stessa nel corso del rapporto. Non avendo gli impugnati artt. 1, comma 1, ed 11 del d.lgs. n. 368 del 2001 innovato, sotto questo profilo, rispetto alla disciplina contenuta nella legge n. 230 del 1962, non sussiste la denunciata violazione dell�art. 77 della Costituzione. Invero, l�art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega n. 422 del 2000 consentiva al Governo di apportare modifiche o integrazioni alle discipline vigenti nei singoli settori interessati dalla normativa da attuare e ci� al fine di evitare disarmonie tra le norme introdotte in sede di attuazione delle direttive comunitarie e, appunto, quelle gi� vigenti. In base a tale principio direttivo generale, il Governo era autorizzato a riprodurre, nel decreto legislativo di attuazione della direttiva 1999/70/CE, precetti gi� contenuti nella previgente disciplina del settore interessato dalla direttiva medesima (contratto di lavoro a tempo determinato). Infatti, inserendo in un unico testo normativo sia le innovazioni introdotte al fine di attuare la direttiva comunitaria, sia le disposizioni previgenti che, attenendo alla medesima fattispecie contrattuale, erano alle prime intimamente connesse, si sarebbe garantita la piena coerenza della nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico, in conformit� con quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega. Non sussiste neppure la denunciata lesione dell�art. 76 Cost., poich� le norme censurate, limitandosi a riprodurre la disciplina previgente, non determinano alcuna diminuzione della tutela gi� garantita ai lavoratori dal precedente regime e, pertanto, non si pongono in contrasto con la clausola n. 8.3 dell�accordo-quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE, secondo la quale l�applicazione dell�accordo non avrebbe potuto costituire un motivo per ridurre il livello generale di tutela gi� goduto dai lavoratori. Per la stessa ragione (insussistenza, sotto il profilo in esame, di un contrasto con la normativa comunitaria) � infondata la censura formulata in riferimento all�art. 117, primo comma, Cost., IL CONTENZIOSO NAZIONALE 225 il quale impone al legislatore di rispettare i vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. 4. � Il Tribunale di Roma (r.o. n. 217 del 2008) dubita della legittimit� costituzionale dell�art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001, aggiunto dall�art. 1, comma 558, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2006). In virt� di tale disposizione � consentita l�apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato quando l�assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell�organico aziendale, riferito al 1� gennaio dell�anno cui le assunzioni si riferiscono. Ad avviso del rimettente, la norma, consentendo alle aziende concessionarie di servizi nei settori delle poste di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato (oltre che per le causali e nelle forme previste dall�art. 1 dello stesso d.lgs. n. 368 del 2001) anche liberamente entro i limiti temporali e quantitativi in essa indicati, violerebbe, da un lato, l�art. 3, primo comma, Cost., poich� introdurrebbe, ai danni dei lavoratori operanti nel settore delle poste, una disciplina differenziata del lavoro a termine priva di ragionevolezza e di valide ragioni giustificatrici e, dall�altro, gli artt. 101, 102 e 104 Cost., perch� l�introduzione di una �acasualit�� per le assunzioni a termine nel settore postale sottrarrebbe ingiustificatamente al giudice ordinario il potere di verifica delle effettive ragioni oggettive e temporanee poste alla base di dette assunzioni. 4.1. � La questione non � fondata. Innanzitutto non � ravvisabile alcuna lesione dell�art. 3 della Costituzione. La norma censurata costituisce la tipizzazione legislativa di un�ipotesi di valida apposizione del termine. Il legislatore, in base ad una valutazione � operata una volta per tutte in via generale e astratta � delle esigenze delle imprese concessionarie di servizi postali di disporre di una quota (15 per cento) di organico flessibile, ha previsto che tali imprese possano appunto stipulare contratti di lavoro a tempo determinato senza necessit� della puntuale indicazione, volta per volta, delle ragioni giustificatrici del termine. Tale valutazione preventiva ed astratta operata dal legislatore non � manifestamente irragionevole. Infatti, la garanzia alle imprese in questione, nei limiti indicati, di una sicura flessibilit� dell�organico, � direttamente funzionale all�onere gravante su tali imprese di assicurare lo svolgimento dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione degli invii postali, nonch� la realizzazione e l�esercizio della rete postale pubblica i quali �costituiscono attivit� di preminente interesse generale�, ai sensi dell�art. 1, comma 1, del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 (Attuazione della direttiva 1997/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualit� del servizio). In particolare, poi, in esecuzione degli obblighi di fonte comunitaria derivanti dalla direttiva 1997/67/CE, l�Italia deve assicurare lo svolgimento del c.d. �servizio universale� (cio� la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 chilogrammi; la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione dei pacchi postali fino a 20 chilogrammi; i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii assicurati: art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 261 del 1999); tale servizio universale �assicura le prestazioni in esso ricomprese, di qualit� determinata, da fornire permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse 226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane, a prezzi accessibili a tutti gli utenti� (art. 3, comma 1); l�impresa fornitrice del servizio deve garantire tutti i giorni lavorativi, e come minimo cinque giorni a settimana, salvo circostanze eccezionali valutate dall'autorit� di regolamentazione, una raccolta ed una distribuzione al domicilio di ogni persona fisica o giuridica (art. 3, comma 4); il servizio deve esser prestato in via continuativa per tutta la durata dell�anno (art. 3, comma 3). Non �, dunque, manifestamente irragionevole che ad imprese tenute per legge all�adempimento di simili oneri sia riconosciuta una certa flessibilit� nel ricorso (entro limiti quantitativi comunque fissati inderogabilmente dal legislatore) allo strumento del contratto a tempo determinato. Si aggiunga che l�art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001 impone alle aziende di comunicare ai sindacati le richieste di assunzioni a termine, prevedendo cos� un meccanismo di trasparenza che agevola il controllo circa l�effettiva osservanza, da parte datoriale, dei limiti posti dalla norma. La questione non � fondata neppure sotto il profilo della pretesa violazione degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione. La norma censurata si limita a richiedere, per la stipula di contratti a termine da parte delle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, requisiti diversi rispetto a quelli valevoli in generale (non gi� l�indicazione di specifiche ragioni temporali, bens� il rispetto di una durata massima e di una quota percentuale dell�organico complessivo). Pertanto il giudice ben pu� esercitare il proprio potere giurisdizionale al fine di verificare la ricorrenza in concreto di tutti gli elementi di tale dettagliata fattispecie legale. 5. � Con diciannove distinte ordinanze, le Corti di appello di Torino (r.o. n. 427 del 2008), Genova (r.o. n. 441 del 2008), Bari (r.o. n. 12 del 2009), Caltanissetta (r.o. n. 43 del 2009), Venezia (r.o. n. 93 del 2009), L�Aquila (r.o. n. 95 del 2009) e Roma (r.o. n. 102 del 2009), ed i Tribunali di Roma (r.o. n. 413 del 2008), Ascoli Piceno (r.o. nn. 442 e 443 del 2008), Trieste (r.o. n. 4 del 2009), Viterbo (r.o. n. 22 del 2009), Milano (r.o. nn. 25, 26, 27, 28, 86 e 87 del 2009) e Teramo (r.o. n. 70 del 2009), hanno sollevato questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 4- bis del d.lgs. n. 368 del 2001, introdotto dall�art. 21, comma 1-bis, del d.l. n. 112 del 2008. La norma censurata dispone che �Con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro � tenuto unicamente ad indennizzare il prestatore di lavoro con un�indennit� di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilit� dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell�articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), e successive modificazioni�. I giudici rimettenti, premettendo che, secondo il �diritto vivente�, in caso di violazione delle prescrizioni contenute nell�art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, pu� essere disposta la conversione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e riconosciuta al lavoratore una tutela risarcitoria piena, affermano che l�art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001 violerebbe: l�art. 3 Cost., poich� � fonte di irragionevole disparit� di trattamento, collegata al solo dato temporale del momento di proposizione del ricorso giudiziale, tra lavoratori che si trovano nella identica situazione di fatto (r.o. nn. 413, 427, 441, 442 e 443 del 2008; 4, 12, 25, 26, 27, 28, 43, 86, 87 e 93 del 2009); l�art. 3 Cost., in quanto introduce una disciplina priva di ragionevolezza, perch�: a) interviene nei rapporti di diritto privato sacrificando arbitrariamente il diritto del lavoratore assunto illegittimamente a tempo determinato a godere della tutela ga- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 227 rantita dalla legge vigente all�epoca dell�instaurazione del rapporto e favorendo contemporaneamente il datore di lavoro che ha dato luogo all�illegittimit� (r.o. nn. 442 e 443 del 2008); b) non � ravvisabile alcuna giustificazione razionale nel fatto che la disposizione modifichi la regola sostanziale rispetto ad una categoria di soggetti, riducendo la tutela mentre pendono i giudizi, proprio e solo per il fatto di avere una causa in corso (r.o n. 102 del 2009); c) la delimitazione temporale del trattamento discriminatorio si riferisce alla mera pendenza del processo, e quindi ad una circostanza assolutamente accidentale (r.o. nn. 22, 70 e 95 del 2009); gli artt. 3, primo comma, e 24 Cost., perch� v�ola il generale principio dell�affidamento legittimamente posto dal cittadino sulla certezza dell�ordinamento giuridico (r.o. nn. 413 del 2008; 12, 22 e 70 del 2009); l�art. 10 Cost., poich� lede il principio di parit� di trattamento che � principio generale del diritto internazionale e comunitario che l�Italia si � impegnata a rispettare (r.o. nn. 25, 26, 27, 28, 86 e 87 del 2009); gli artt. 11, secondo periodo, e 117, primo comma, Cost., perch�, riducendo la tutela accordata in precedenza dall�ordinamento ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, v�ola la clausola 8, punto 3, dell�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE e, conseguentemente, l�obbligo del legislatore interno di rispettare i vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario ed internazionale (r.o. nn. 442 e 443 del 2008); l�art. 24 Cost., perch� compromette il diritto di difesa dei lavoratori ricorrenti, sottraendo loro la possibilit� di ottenere il vantaggio della conversione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la cui prospettiva aveva direttamente condizionato l�esercizio del loro diritto di azione (r.o. nn. 427 del 2008; 24, 25, 26, 27, 28, 43, 86, 87, 93 e 102 del 2009); l�art. 111 Cost., con riferimento al principio del giusto processo, perch� la norma censurata modifica, nel corso dei procedimenti giudiziali, la tutela sostanziale accordabile al diritto azionato, senza che ricorrano idonee ragioni oggettive o generali (r.o. nn. 93 e 102 del 2009); gli artt. 101, 102, secondo comma, e 104, primo comma, Cost., poich� un intervento legislativo che riguardi solamente alcuni giudizi in corso ad una certa data � privo del requisito di astrattezza proprio delle norme giuridiche ed assume un carattere provvedimentale generale invasivo dellՈmbito riservato alla giurisdizione (r.o. nn. 413 del 2008 e 22 del 2009); l�art. 117, primo comma, Cost., in connessione con l�art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (ratificata dalla legge 4 agosto 1955, n. 848), il quale impedisce al legislatore di intervenire con norme ad hoc per la risoluzione di controversie in corso (r.o. nn. 413 e 441 del 2008; 4, 12, 22, 43, 25, 26, 27, 28, 70, 86, 87, 93, 95 e 102 del 2009); l�art. 117, primo comma, Cost., poich� la norma censurata costituisce un completamento o una modifica del d.lgs. n. 368 del 2001 e dunque un�applicazione della direttiva 1999/70/CE e avrebbe pertanto dovuto rispettare la clausola di non regresso enunciata nella clausola 8, punto 3, dell�accordo quadro recepito dalla medesima direttiva (r.o. nn. 25, 26, 27, 28, 86 e 87 del 2009). 5.1. � Nel giudizio introdotto dall�ordinanza n. 4 del 2009 � intervenuta l�associazione �Articolo 21 Liberi di�, che non era parte nel relativo giudizio a quo. Per costante giurisprudenza di questa Corte, possono partecipare al giudizio incidentale di legittimit� costituzionale le sole parti del giudizio principale e i terzi portatori di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio (da ultimo, sentenza n. 47 del 2008). L�associazione �Articolo 21 Liberi di� motiva il proprio intervento con la necessit� di rappresentare alla Corte che il lavoro precario � largamente diffuso anche nel settore dell�editoria e della radiotelevisione. L�interesse dell�associazione �, quindi, privo di correlazione con le specifiche e peculiari posizioni soggettive dedotte nel giudizio principale ed il suo intervento deve essere dichiarato inammissibile. 228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 5.2. � Le questioni sollevate dalle Corti di appello di Torino, Caltanissetta, Venezia e L�Aquila e dal Tribunale di Teramo sono inammissibili per insufficiente motivazione sulla rilevanza. Infatti gli atti di rimessione nulla dicono circa la legittimit� o meno del termine apposto ai contratti di lavoro oggetto dei relativi giudizi a quibus. Pertanto questa Corte non � posta in condizione di verificare la sussistenza, nelle singole fattispecie, del requisito della rilevanza, perch� ben potrebbe darsi che, in quelle ipotesi, non sussista violazione n� dell�art. 1, n� dell�art. 2, n� dell�art. 4 del d.lgs. n. 368 del 2001, con conseguente inapplicabilit� dell�art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001 nei giudizi principali. 5.3. � La questione sollevata dalla Corte d�appello di Bari � inammissibile per un�analoga ragione. Infatti, il giudice a quo si esprime in termini meramente possibilistici circa la fondatezza della tesi � sostenuta dal lavoratore � della nullit� del termine apposto al contratto per cui � causa e, quindi, neppure in tal caso questa Corte pu� essere certa della rilevanza della questione. 5.4. � Le questioni sollevate dal Tribunale di Milano sono inammissibili per difetto di rilevanza, perch� nella motivazione di ciascun atto di rimessione si legge che il relativo giudizio a quo � stato promosso dopo l�entrata in vigore della norma censurata, mentre l�art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001 si applica solamente alle controversie in corso alla data della sua entrata in vigore. 5.5. � Residuano, pertanto, le questioni sollevate dalle Corti d�appello di Genova e di Roma e dai Tribunali di Roma, Ascoli Piceno, Trieste e Viterbo. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l�inammissibilit� di tali questioni (ad eccezione di quella sollevata dal Tribunale di Roma), perch� i rimettenti non hanno spiegato per quale ragione, nella fattispecie concreta oggetto del loro giudizio, pur ammettendo che il termine sia stato illegittimamente apposto, non si dovrebbe dichiarare l�estinzione del rapporto per mutuo consenso. L�eccezione non � fondata. In effetti, l�ordinanza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 442 del 2008 espressamente d� atto dell�infondatezza dell�eccezione di estinzione del rapporto per mutuo consenso sollevata dal datore di lavoro nel giudizio principale. Nelle ordinanze delle Corti di appello di Genova e di Roma sono indicate le eccezioni sollevate in secondo grado dalle parti datoriali e tra esse non figura quella di estinzione del rapporto per mutuo consenso; ci� � sufficiente al fine di ritenere rilevante la questione di legittimit� dell�art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001 nei relativi giudizi principali, poich� questi ultimi sono giudizi di secondo grado nei quali, in difetto di una specifica eccezione sollevata dalla parte interessata, il giudice non pu� affermare l�estinzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso. Analogamente, nell�ordinanza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 443 del 2008 sono riportate tutte le difese del datore di lavoro e, tra queste, non vՏ l�eccezione di estinzione per mutuo consenso, non rilevabile d�ufficio. Nella propria ordinanza di rimessione il Tribunale di Trieste lascia impregiudicata l�eccezione di estinzione per mutuo consenso formalmente eccepita dal datore di lavoro e tuttavia aggiunge che, in ogni caso, nella fattispecie oggetto del giudizio a quo, vi sarebbero gli estremi per la dichiarazione della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dalla data di sottoscrizione del primo contratto di lavoro a tempo determinato tra le parti alla scadenza dell�ultimo; conseguentemente, l�art. 4-bis impedirebbe anche tale, sia pure ridotta, declaratoria di conversione del rapporto. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 229 L�ordinanza del Tribunale di Viterbo � stata pronunciata nel corso di un giudizio cautelare promosso poco dopo la scadenza del contratto a termine, onde � avendo il lavoratore immediatamente reagito in sede giudiziale � non sussiste la circostanza del consistente lasso di tempo intercorso tra la scadenza del termine e la proposizione del ricorso giudiziale richiesta dalla giurisprudenza di legittimit� per poter affermare che si sia formato un mutuo consenso per l�estinzione del rapporto. 5.6. � Con riferimento alle questioni sollevate proprio dal Tribunale di Viterbo, il Presidente del Consiglio dei Ministri eccepisce, inoltre, la loro inammissibilit� perch�, dalla motivazione dell�ordinanza di rimessione, apparirebbe che la fattispecie dedotta nel giudizio principale sia da ricondurre all�ambito di operativit� dell�art. 5 del d.lgs. n. 368 del 2001 (che disciplina l�ipotesi della successione dei contratti a termine), fattispecie cui non si applica l�art. 4-bis dello stesso d.lgs. n. 368. L�eccezione non � fondata. Infatti il Tribunale di Viterbo afferma espressamente che l�ordine di riammissione in servizio della lavoratrice � contenuto nell�ordinanza pronunciata ai sensi dell�art. 700 cod. proc. civ. contro la quale � stato proposto il reclamo che il rimettente deve decidere � � stato pronunciato perch� il giudice di prime cure aveva ritenuto la violazione dell�art. del d.lgs. n. 368 del 2001 per omessa indicazione delle causali dell�assunzione a tempo determinato, fattispecie che rientra pacificamente nell'�mbito di operativit� dell�art. 4-bis del d.lgs. n. 368. 5.7. � Nel merito le questioni sollevate in riferimento all�art. 3 Cost. dalle Corti d�appello di Genova e di Roma e dai Tribunali di Roma, Ascoli Piceno, Trieste e Viterbo sono fondate. In effetti, situazioni di fatto identiche (contratti di lavoro a tempo determinato stipulati nello stesso periodo, per la stessa durata, per le medesime ragioni ed affetti dai medesimi vizi) risultano destinatarie di discipline sostanziali diverse (da un lato, secondo il diritto vivente, conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato e risarcimento del danno; dall�altro, erogazione di una modesta indennit� economica), per la mera e del tutto casuale circostanza della pendenza di un giudizio alla data (anch�essa sganciata da qualsiasi ragione giustificatrice) del 22 agosto 2008 (giorno di entrata in vigore dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001, introdotto dall'art. 21, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112). Siffatta discriminazione � priva di ragionevolezza, n� � collegata alla necessit� di accompagnare il passaggio da un certo regime normativo ad un altro. Infatti l�intervento del legislatore non ha toccato la disciplina relativa alle condizioni per l�apposizione del termine o per la proroga dei contratti a tempo determinato, ma ha semplicemente mutato le conseguenze della violazione delle previgenti regole limitatamente ad un gruppo di fattispecie selezionate in base alla circostanza, del tutto accidentale, della pendenza di una lite giudiziaria tra le parti del rapporto di lavoro. Deve pertanto essere dichiarata lillegittimit� costituzionale dell�art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001, con assorbimento delle questioni sollevate in riferimento ad altri parametri costituzionali dalle Corti d�appello di Genova e di Roma e dai Tribunali di Roma, Ascoli Piceno, Trieste e Viterbo. P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara l�illegittimit� costituzionale dell�art. 4-bis del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all�accordo quadro sul lavoro a 230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 tempo determinato concluso dall�UNICE, dal CEEP e dal CES), introdotto dall�art. 21, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; 2) dichiara inammissibili le questioni di legittimit� costituzionale del medesimo art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 10, 11, 24, 111, 117, primo comma, della Costituzione, dalle Corti di appello di Torino, Bari, Caltanissetta, Venezia e L�Aquila e dai Tribunali di Milano e Teramo con le ordinanze indicate in epigrafe; 3) dichiara non fondate le questioni di legittimit� costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 11 del d.lgs. n. 368 del 2001, sollevate, in riferimento agli artt. 76, 77 e 117, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l�ordinanza n. 413 del 2008 e dal Tribunale di Trani con l�ordinanza indicata in epigrafe; 4) dichiara non fondata la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 101, 102 e 104 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l�ordinanza n. 217 del 2008. Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l�8 luglio 2009. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 231 Dossier La funzione dell�istanza di prelievo nei ricorsi per equa riparazione dell�irragionevole durata del processo Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione ed alla luce dei nuovi interventi normativi IN ALLEGATO: 1.- Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 6 marzo 2003 n. 3347. 2.- Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 17 aprile 2003 n. 6180. 3.- Corte Suprema di Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza 23 dicembre 2005 n. 28507. 4.- Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 28 novembre 2008 n. 28428. E� noto che nel comparto della giustizia amministrativa esiste un notevole arretrato di giudizi tuttora pendenti imputabile soprattutto all�atteggiamento sventato che i vari Governi, succedutisi nel corso degli ultimi trenta anni, hanno mostrato rispetto alla giurisdizione amministrativa nel momento culminante della formazione della legge di bilancio, destinandole risorse finanziarie a dir poco esigue. Cos� il modesto organico del personale di magistratura (meno di cinquecento giudici) e l�altrettanto striminzito organico del personale di segreteria (meno di mille dipendenti) non sono stati in grado di assicurare uno svolgimento celere delle cause, nonostante uno sforzo encomiabile, ma purtroppo vano davanti alle centinaia di migliaia di ricorsi ammassati in archivi cartacei straripanti. Certamente, l�incapacit� della giurisdizione amministrativa di far fronte tempestivamente alla domanda di giustizia si traduce in un malessere che non va sottovalutato: questi ritardi rappresentano, a volte, quasi un diniego di giustizia per i ricorrenti ma sono dannosi anche per le stesse amministrazioni, che restano esposte al possibile annullamento dei propri atti dopo molti anni, quando diventa pi� difficile ripristinare le situazioni giuridiche lese nel quadro di una composizione legittima ed efficace degli interessi, mediante il corretto esercizio dell�attivit� amministrativa. Le innumerevoli problematiche legate all�arretrato della giustizia amministrativa italiana hanno sollecitato l�introduzione, nella prassi e nella stessa giurisprudenza (Consiglio di Stato, sentenza 15 settembre 1986, n. 676), di quella che ha assunto la comune denominazione di �istanza di prelievo�, riconoscendosi cio� ad una delle parti la possibilit� di produrre al presidente medesimo una (ulteriore) richiesta, �intesa a far pervenire il giudizio ad una sollecita definizione�, attraverso la quale il giudice, dietro illustrazione dei 232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 concreti motivi di urgenza, � stimolato ad anticipare l�udienza di discussione del ricorso (1), con la consequenziale deroga del rigido criterio cronologico di trattazione delle cause fondato sulla data della domanda di fissazione. Tale istanza, della quale si pu� rinvenire una qualche traccia nelle norme procedurali (2) (art. 51, comma 2, del Regio Decreto n. 642 del 1907: �Nello stesso decreto di fissazione di udienza il Presidente pu�, ad istanza di parte o d�ufficio, dichiarare il ricorso urgente�), svolge la funzione primaria di impedire l�estinzione del ricorso giurisdizionale per perenzione ordinaria, una volta che sia stata presentata dal difensore del ricorrente con apposito atto distinto dal ricorso introduttivo. (1) A questo proposito giova ricordare che la giurisprudenza della CEDU, se per un verso ha ritenuto che, nei casi in cui � possibile, grava sulla parte l�onere di promuovere l�accelerazione dell�iter processuale, chiedendo, ad esempio, di anticipare l�udienza (CEDU 15 novembre 1996, Ceteroni c. Italia), sul presupposto che le parti stesse debbono partecipare con diligenza agli adempimenti, astenersi dal ricorrere ad espedienti dilatorie e �servirsi delle possibilit� offerte dall�ordinamento interno per abbreviare il giudizio�, senza peraltro porre in essere manovre al di fuori della norma (CEDU 7 luglio 1989, Union Alimentaria Sanders c. Spagna), dall�altro ha tuttavia affermato che � compito degli Stati membri �organizzare il rispettivo sistema giudiziario in modo tale da assicurare una durata ragionevole dei procedimenti� (CEDU 13 luglio 1983, Zimmermann c. Svizzera; CEDU 25 giugno 1987, Baggetta c. Italia; CEDU 24 maggio 1991, Caleffi c. Italia; Pugliese c. Italia; Vocaturo c. Italia), onde il principio del termine ragionevole enunciato dall�art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea �non esonera i tribunali dall'obbligo di procedere senza dilazioni� (CEDU 7 luglio 1989, cit.) ed il fatto, in specie, che il ricorrente non abbia inoltrato alcuna istanza per far fissare con urgenza la discussione della causa costituisce una ragione che �non giustifica... i gravi ritardi in cui (siano) incorse le autorit� nazionali� (CEDU 24 maggio 1991, Vocaturo c. Italia, cit.). Se pure, quindi, nella sfera della giurisdizione amministrativa, al pari di quanto accade in quella civile (l� dove figura la possibilit� di ricorrere all'abbreviazione di termini, all�anticipazione di udienze e ad istanze sollecitatorie di vario genere), � ammissibile che la parte ricorrente abbia l�onere di attivarsi al fine di promuovere, con il suo comportamento, una speciale celerit� del processo o, comunque, la pi� rapida conclusione di esso, sollecitando appunto l�uso, da parte del giudice, dei suoi poteri officiosi e riducendo cos� la durata che si stia palesando irragionevole, occorre tuttavia riconoscere che l�Amministrazione deve comunque provvedere ad organizzare gli uffici giudiziari in modo tale che questi ultimi - pure nel caso in cui gli utenti non risultino diligenti nella cura dei propri interessi - siano in grado di provvedere in tempi sufficientemente celeri, ovvero in modo tale che venga assicurata la ragionevole durata dei processi, in condizioni non soltanto normali ma anche di emergenza. (2) La norma di procedura regolante l�istanza in discorso, nel trentennio di vita dei TAR ha ricevuto costante e diffusa applicazione nella fissazione delle udienze innanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali, essendo altres� prevista l�annotazione delle istanze di urgenza nel registro delle domande di fissazione di udienza dal comma 1 dell�art. 24 del Regolamento di esecuzione della L. n. 1034 del 1971 approvato con D.P.R. n. 214 del 1973. Ne deriva che la diffusione dello strumento acceleratorio costituito dalla proposizione della menzionata istanza di prelievo al fine di pervenire alla (pi�) sollecita discussione del ricorso innanzi al T.A.R. � frutto, anche ad avviso della Corte di Cassazione, pi� che di una prassi di applicazione estensiva ai relativi giudizi di norma posta in altra sedes materiae, di una applicazione diffusa e sistematica dei principi impliciti nella norma regolamentare dell�annotazione delle istanze d�urgenza (art. 24 c. 1 D.P.R. n. 214 del 1973 cit.), applicazione che ben si pu� definire come integrante il diritto vivente della procedura innanzi ai T.A.R. (che oggi vede il ricorso alla previsione di un invito alla riproposizione di istanza di sollecito per i ricorsi �ultradecennali�, la cui inosservanza � sanzionata con l�adozione del decreto di perenzione ex art. 9 L. n. 205 del 2000). IL CONTENZIOSO NAZIONALE 233 L�istanza di prelievo, tuttavia, nata quale strumento atto a consentire l�accesso ad una corsia preferenziale nella lunga corsa per la definizione del giudizio, ha assunto notevole centralit� ai fini dell�accoglimento dei ricorsi per il ristoro della irragionevole durata del processo, secondo il disposto dell�art. 2, comma 1, L. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. Legge Pinto). La citata norma introduce nell�ordinamento giuridico interno un rimedio specifico per tutelare il diritto ad un�equa riparazione del danno patrimoniale e non patrimoniale cagionato dall�irragionevole prolungarsi dei tempi del giudizio, come gi� previsto dall�art. 6, � 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�Uomo e delle libert� fondamentali del 1950, ratificata dalla L. 4 agosto 1955, n. 848 (3). In buona sostanza, viene offerta tutela ai tutti quei cittadini che si sono trovati costretti, loro malgrado e per cause indipendenti dalla loro volont�, ad attendere anni per vedere definito un processo. Le sofferenze psicologiche, le ansie ed i patemi d�animo, che inevitabilmente colpiscono chi si trova a dover sopportare le lungaggini processuali, trovano ristoro nel riconoscimento di un diritto all�indennit� da ritardo da richiedere allo Stato. Naturalmente tale riconoscimento dovr� passare attraverso l�accertamento di determinati criteri, quali la complessit� della causa, il comportamento delle parti, del giudice e di ogni altra autorit� chiamata a concorrere o comunque a contribuire alla definizione del processo. Ebbene, proprio in virt� della sua straordinaria funzione accelerativa, nello scenario prospettato dal Legislatore con la legge n. 89/2001, il deposito della domanda di prelievo viene a configurarsi come una particolare forma di collaborazione tra gli avvocati delle parti e gli uffici di segreteria del giudice amministrativo per una pi� agevole definizione del giudizio, l�omessa presentazione della stessa manifestando � al contrario � un marcato disinteresse della parte ricorrente alla durata del giudizio e, per questa via, l�assenza di una presunta �sofferenza morale� causata da tale durata. Su questo punto nei primi indirizzi giurisprudenziali delle Corti di appello, competenti a pronunciarsi sul risarcimento del danno per violazione del termine ragionevole del giudizio, si sono evidenziate due tesi diametralmente contrapposte: un primo indirizzo considerava la mancata presentazione dell�istanza di prelievo da parte dell�avvocato difensore, durante la pendenza del processo amministrativo, come una (3) Lo strumento di tutela introdotto dalla predetta L. n. 89/2001 ha decisamente contribuito a sgravare la Corte di giustizia dei diritti dell�Uomo di Strasburgo dall�ingente numero di ricorsi presentati dai cittadini italiani, e tutela in maniera pi� efficace gli interessi dei singoli, considerando anche la sussidiariet� della tutela offerta dalla Convenzione dei diritti dell�Uomo rispetto ai pi� incisivi rimedi offerti da ciascun ordinamento nazionale. Inoltre, la L. 24 marzo 2001, n. 89 trova un valido e solido sostegno di rango costituzionale nell�art. 111 Cost., cos� come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, che ha codificato per la prima volta nella nostra carta costituzionale il principio del giusto processo. 234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 responsabilit� diretta e personale della parte per le lungaggini giudiziali, con la conseguente negazione del diritto all�equa riparazione per l�eccessiva durata del processo (4); diversamente, un secondo e pi� ortodosso indirizzo giurisprudenziale valutava irrilevante la citata omessa presentazione, condannando lo Stato a risarcire il danno. In verit� il fatto che per prassi l�accoglimento o il rigetto dell�istanza di prelievo venga affidato alla valutazione ampiamente discrezionale del presidente (art. 51, cit. �Il presidente pu�� dichiarare il ricorso urgente�) induce a dubitare sulla sua efficacia reale di affrettare la conclusione del giudizio attraverso una decisione sul merito. La questione concernente la rilevanza � in sede di accertamento della pretesa violazione all�obbligo di rispetto del termine ragionevole di cui all�art. 6 par. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo (art. 2 comma 2 L. n. 89 del 2001) � della mancata tempestiva proposizione della istanza di prelievo al Presidente del T.A.R. ha destato sin da subito l�interesse anche della giurisprudenza di legittimit�. Tuttavia, la soluzione data al quesito in esame non � stata, nelle pronunzie della Corte di Cassazione, del tutto omogenea. Mentre, infatti, con alcune pronunzie pubblicate nel 2002 (5) i giudici di legittimit� hanno affermato la rilevanza assorbente che assume il rinvio al comportamento delle parti nell�accertamento della violazione della durata ragionevole (art. 2, comma 2, L. n. 89 del 2001), s� da escludere l�addebitabilit� all�Amministrazione dei tempi imputabili alla negligente condotta delle parti (4) Cos�, ex exemplis, Corte d�Appello di Genova, Decreto 18 giugno 2002; Corte d�Appello, Napoli, Decreto 5 marzo 2002 e Corte d�Appello di Roma, Decreto 27 dicembre 2001/15 gennaio 2002, la quale ha ritenuto che il mancato tempestivo deposito (solo supposto ma non provato) dell�istanza di prelievo costituisse un comportamento dilatorio della ricorrente, addebitandole l�intero ritardo nella decisione del ricorso e lasciando cos� intendere che, senza istanza di prelievo, non potesse essere discusso e deciso un ricorso, con evidente confusione tra istanza di fissazione dell�udienza di discussione ed istanza di prelievo. Lo stesso giudice, qualificando erroneamente l�istanza di prelievo come un obbligo processuale il cui inadempimento bloccherebbe o ritarderebbe il processo, ha fatto derivare dalla sua tardiva presentazione addirittura l�insussistenza giuridica della lamentata violazione del diritto all�equa riparazione ex legge n. 89/2001, pur materialmente presente, laddove una simile tardiva presentazione, configurandosi esattamente in termini di mancato esercizio di una facolt� ai fini dell�eventuale accelerazione del processo, al pi� poteva essere tenuta presente, come fattore riduttivo, nella quantificazione del danno da liquidare. (5) Confronta Cass. 5 novembre 2002, n. 15445 e Cass. 14 novembre 2002, n. 15992, ove si stabilisce che, nel valutare il comportamento delle parti, il giudice debba �escludere la liquidazione del previsto indennizzo allorch� la parte, col suo comportamento, abbia concorso a determinare la durata che si assume eccessiva; in tale prospettiva, � legittimo considerare, oltre che il ritardo nella presentazione, da parte del ricorrente nel giudizio amministrativo, della richiesta di fissazione di udienza ai sensi dell'art. 23 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, il mancato tempestivo inoltro dell�stanza di prelievo, a nulla rilevando che detta istanza costituisca una facolt�, e non un obbligo, per il ricorrente, atteso che colui il quale non ha fatto ricorso ai mezzi acceleratori posti a sua disposizione dall�ordinamento non pu� poi allegare, a fondamento del diritto all�equa riparazione del danno da ritardo, la maggiore durata che il mancato avvalimento di essi, valutabile alla stregua di un comportamento inerte, ha introdotto nella procedura�. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 235 stesse nel non avvalersi dello strumento acceleratorio disponibile (6), la sentenza del 6 marzo 2003, n. 3347 ha puntato � con ampia e diffusa applicazione diretta dei principi della giurisprudenza della CEDU � sulla permanente inadempienza dell�Amministrazione nel non aver organizzato il servizio in modo da assicurare celerit� �...anche a favore degli utenti che non risultino diligenti nella cura dei propri interessi...�. Dall�ultimo citato arresto derivava un orientamento minoritario secondo cui la mancata presentazione dell�istanza di prelievo non poteva influire sul calcolo dei termini del processo (7), bens� incidere unicamente sulla determinazione dell�entit� dell�equa riparazione spettante con riferimento all�art. 1227, comma 2, c.c. (richiamato nella L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3), il quale esclude il risarcimento dei danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando l�ordinaria diligenza, col risultato che la durata irragionevole del processo, ancorch� accertata, non potrebbe porsi esclusivamente a carico dello Stato. Cinonostante, il prevalente orientamento giurisprudenziale, consolidatosi in seno alla Corte di Cassazione fino all�affermarsi della ormai famosa decisione a Sezioni Unite n. 28507/2005, ha ritenuto che in tema di equa riparazione ai sensi della Legge 24 marzo 2001 n. 89, la negligenza della parte ricorrente dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale nella presentazione dell�istanza di prelievo � strumento offerto dall�ordinamento processuale per pervenire alla pi� sollecita definizione del ricorso � trova la sua collocazione non gi� nella sedes materiae della liquidazione del danno (art. 1227, comma 2, c.c.), ma nello scrutinio di �adeguatezza� del comportamento della parte ex art. 2, comma 2, della legge citata, tra gli elementi costituitivi del fatto generatore di indennizzo, rilevando cio� come comportamento oggettivo, determinante (6) Nello stesso senso, le corti di merito, (vedi, ex multis, Corte d�Appello, Napoli, Decreti 26 marzo 2004, 16 luglio-2 ottobre 2004, 25 ottobre 2004 e 10 giugno 2005 e Corte d�Appello, Venezia, decreto 8 luglio 2004), hanno negato l�addebitabilit� della durata del giudizio innanzi al TAR alla responsabilit� dello Stato, non avendo il ricorrente inoltrato l�istanza di prelievo, ritenuto impulso di parte indispensabile alla sollecita definizione del giudizio amministrativo, e statuendo che solo con la proposizione della detta istanza (ed a partire da quella data) il decorrere del tempo avrebbe potuto costituire comportamento omissivo, generante stato di tensione-danno morale, e conseguentemente determinante il momento di partenza ai fini della valutazione dell'arco di durata del processo. (7) �Ai fini dell�apprezzamento della fondatezza della domanda, proposta a norma degli articoli 2 e 3 della legge 24 marzo 2001, n. 89, di equa riparazione del danno, patrimoniale e non patrimoniale, che possa essere derivato al ricorrente per effetto del ritardo eccedente il termine ragionevole di cui al primo comma del citato art. 2, la mancanza di opportuni impulsi sollecitatori, provenienti dalla parte interessata, tesi ad ottenere una pi� spedita trattazione della causa, del genere della cosiddetta �istanza di prelievo� nel processo amministrativo, non incide sul calcolo dei tempi del processo stesso, nel senso che il difetto di un tale comportamento rileva ai soli fini della liquidazione dell�equa riparazione anzidetta, onde la possibilit� di addivenire alla richiesta di simili anticipazioni (come, in senso pi� largo, ad altre istanze di natura analoga) integra l�ordinaria diligenza processuale ed il relativo, mancato esercizio, a differenza dell'ipotesi in cui mezzi siffatti non risultino previsti dall'ordinamento, esclude che la durata irragionevole del giudizio venga imputata esclusivamente allo Stato� (Cass. Civ., Sez. I, sentenza 6 marzo 2003, n. 3347). 236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 la mancata attivazione dell�organo di giustizia amministrativa, valutabile come causa, o come concausa, della non ragionevolezza del tempo trascorso; ne deriva che soltanto con la proposizione di detta istanza (ed a partire da quella data) il decorrere del tempo diventa esclusivo parametro di valutazione del comportamento dell�organo di giustizia ai fini dello scrutinio della ragionevolezza della durata del processo. Pi� precisamente, il Giudice di legittimit� ha affermato che: �a) la scelta legislativa - di collocare il comportamento delle parti, al pari di quello del giudice e di ogni altra pubblica autorit�, tra gli oggetti dello scrutinio di merito sulla irragionevolezza della durata del processo (art. 2 c. 2 L. n. 89 del 2001 cit.) - appare eloquente dell�obiettivo politico perseguito, in coerenza con il rifiuto di fissare astratti parametri cronologici di durata ragionevole: la valutazione di irragionevolezza non deve discendere dalla pervasiva presunzione di addebitabilit� all�Amministrazione di ogni durata rapportabile a carenza nell�organizzazione del servizio ma dalla equilibrata ponderazione del ruolo avuto, nel concreto del processo in disamina, dai suoi attori pubblici e privati rispetto alla domanda di giustizia che quella controversia, con la sua complessit� o semplicit�, proponeva allo Stato-apparato; b) in tal senso, la negligenza della parte istante nel non essersi avvalsa dello strumento di attivazione od acceleratorio che il �diritto vivente� ha messo a sua disposizione nel processo innanzi ai T.A.R. rileva come comportamento oggettivo che ha dato causa - altrettanto oggettivamente - alla mancata attivazione dell'organo di giustizia e che l�art. 2 comma 2 L. n. 89 del 2001 pi� volte citato impone di valutare come causa, o concausa, della non ragionevolezza del tempo trascorso: di talch�, se a nulla rileva sottolineare la non obbligatoriet� della proposizione dell�istanza e se altrettanto non rileva notare che, alla sua presentazione, non si rinviene l�espressa previsione di un obbligo per il Presidente del TAR di procedere alla immediata fissazione, � assolutamente rilevante il tempo in cui l�istanza viene proposta nel senso che con la sua proposizione, e solo da quella data, il decorrere del tempo diventa esclusivo parametro di valutazione del comportamento dell�organo di giustizia ai fini dello scrutinio della ragionevolezza della durata (a carico del quale la proposizione stessa, in forza del richiamato diritto vivente, determina una palese �traslatio� degli oneri di attivazione e del correlato disvalore per l�inosservanza); c) se, dunque, l�efficienza causale della tempestiva o tardiva proposizione dell��istanza di prelievo� trova la sua collocazione propria nello scrutinio di �adeguatezza� del comportamento della parte (art. 2 c. 2 della L. n. 89 del 2001), ne discende l�impropriet� della sua considerazione nella �sedes materiae� della liquidazione del danno (l�art. 1227 c.c. cpv. richiamato dall�art. 2056 c.c. al quale fa rinvio il comma 3 dell�art. 2 della legge n. 89 del 2001). Ed invero, l�uso che la parte faccia, od ometta, di una opportunit� processuale offertale dall�ordinamento � naturalmente quanto esclusivamente compreso tra gli oggetti dello scrutinio sulla irragionevolezza della durata del IL CONTENZIOSO NAZIONALE 237 processo e cio� tra gli elementi costitutivi del fatto generatore dell�obbligo di indennizzo, e non pu� rifluire, in seconda battuta, anche nella sede dello scrutinio della diligenza del creditore nell�elidere al possibile i danni arrecati (a ci� ostando i formulati rilievi di ordine sistematico sul carattere assorbente del ruolo avuto dagli �attori� del processo nella sua durata)� (Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza 17 aprile 2003, n. 6180). Tale orientamento giurisprudenziale, come gi� anticipato, ha subito un violento contraccolpo con la sentenza resa a Sezioni Unite n. 28507 del 23 dicembre 2005 (8), allorquando il Supremo Giudice di legittimit� ha statuito, in adesione all�indirizzo espresso dalla Corte di Strasburgo ma ancora fortemente minoritario nel panorama giurisprudenziale nazionale, che: �in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all�art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall�instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell�istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa. La previsione di strumenti sollecitatori, infatti, non sospende n� differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, in caso di omesso esercizio degli stessi, n� implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilit� per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell�apprezzamento della entit� del lamentato pregiudizio nel senso, peraltro, che il mancato ricorso agli anzidetti strumenti pu�, semmai, essere valutato agli effetti di una �diminuzione� di tale entit�, non anche nel senso che l�esperimento, al contrario, di simili rimedi pu� consentire al giudice di �aumentare� l�entit� stessa�. Tale indirizzo � stato, negli anni seguenti, riconfermato dalla stessa Cassazione (9). Pertanto, secondo la posizione che la Suprema Corte ancora oggi s�guita (8) Preme qui segnalare, per scrupolo, che gi� nell�anno precedente era intervenuta una nuova pronuncia (Cass. 13 dicembre 2004, n. 23187) con la quale, in adesione all'orientamento ripetutamente espresso dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la Suprema Corte aveva proceduto alla revisione dell'interpretazione sinora prevalente, affermando che la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo andasse riscontrata, anche per le cause proposte davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo di tempo decorso dall'instaurazione del procedimento, senza che su di esso potesse incidere la mancata o ritardata presentazione dell'istanza di prelievo. Tale interpretazione aveva altres� trovato conferma nelle decisioni che si erano succedute sulla questione nei mesi successivi (Cass. 21 settembre 2005, n. 18759; 12 ottobre 2005, n. 19801). (9) Confronta, ex multis, Cass. civ. Sez. I, 06.02.2009, n. 3049; Cass. civ. Sez. I, 21.01.2009, n. 1561; Cass. civ. Sez. I, 20.01.2009, n. 1410; Cass. civ. Sez. I, 17.12.2008, n. 29495; Cass. civ. Sez. I, 12 gennaio 2007, n. 575; Cass. civ. Sez. Unite, 23 dicembre 2005, n. 28507; Cass. civ. Sez. I, 21 febbraio 2006, n. 3782; Cass. 24438/06. 238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 nel mantenere (bench� - come si avr� modo di rilevare pi� avanti - solo con riferimento ai giudizi pendenti prima del 25 giugno 2008), l�omessa o la tardiva presentazione dell�istanza di prelievo assumono rilevanza esclusivamente ai fini della quantificazione dell�indennizzo sotto il profilo della valutazione del comportamento osservato dalla parte, ma non possono viceversa valere ad escludere il riconoscimento del denunciato pregiudizio (10), ci� per l�ovvia ragione che la negligenza della parte nel non avvalersi del predetto strumento acceleratorio mal si concilia con lo stato di tensione, di preoccupazione e con il conseguente danno morale che l�eccessiva durata del processo sarebbe presuntivamente in grado di provocare, assurgendo, al contrario, a sintomo di scarso patimento psicologico e carenza di interesse alla sollecita definizione del giudizio. A tal proposito il supremo giudice di legittimit� ha riconosciuto che l�accertata mancata presentazione di tale atto pu� costituire valido motivo per scendere al di sotto dei parametri di liquidazione stabiliti dalla Corte Europea in Euro 1.000/1.500 per anno di ritardo (Cass. n. 16707 del 2008; n. 14955 del 2008), purch� tale scostamento non avvenga in modo eccessivo e irragionevole, rendendo simbolica o esageratamente inferiore l�entit� della liquidazione (11). Tale nuovo orientamento appare coerente con la funzione attribuita nella dimensione processuale amministrativa all�istanza di prelievo, la quale non � indispensabile condizione per ottenere la sollecita decisione dinanzi al T.A.R., ma, al contrario, strumento d�accelerazione della fissazione dell'udienza di discussione in ragione della dichiarata o ravvisata urgenza del ricorso, la quale deve ritenersi sussistente allorquando le istanze in esso formulate debbono trovare una rapida pronuncia per suffragare l�interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., nel senso che una pronuncia tardiva non potrebbe pi� essere emessa o sarebbe comunque svuotata di significato (12). (10) Questa interpretazione si � consolidata nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 24438 del 2006) anche in riferimento al giudizio in materia pensionistica innanzi alla Corte dei Conti, nel quale l�assenza dell�istanza di prelievo non serve a qualificare il comportamento della parte sotto il profilo dell�an debeatur, bens� va collocata sul terreno della valutazione del patema d�animo inferto dalla durata del processo (Cass. n. 8156 del 2006). (11) Cfr., ex multiis, Cass. Civ. Sez. I, Ord., 14 gennaio 2009, n. 781; Cass. Civ. Sez. I, 12 gennaio 2009, n. 406; Cass. Civ., Sez. I, Ord. 16 aprile 2009, n. 9058; Cass. Civ. Sez. I, 08 ottobre 2008, n. 24845; Cass. Civ. Sez. I, 22 maggio 2007, n. 11936. (12) D�altra parte, si tratta di un indirizzo certamente mantenuto dalla Suprema Corte in continuit� con la pi� volte proclamata responsabilit� dello Stato per l�eccessiva durata di un procedimento giudiziario, a prescindere dall�accertata colpa nella gestione del procedimento stesso da parte del giudice cui esso era stato affidato: �lo Stato risponde non solo per il comportamento negligente degli organi giudiziari, ma pi� in generale per il fatto di non avere provveduto ad organizzare il proprio sistema giudiziario in modo da consentirgli di soddisfare con ragionevole velocit� la domanda di giustizia (v. sentenza 12 ottobre 1992, Boddeart c/Belgio; id. 25 giugno 1987, Baggetta c/ Italia). (�) pertanto, non � necessario andare alla ricerca della negligenza del giudice che ha seguito il singolo caso portato all�attenzione IL CONTENZIOSO NAZIONALE 239 In proposito, preme precisare che l�ormai consolidato principio per cui la tardiva presentazione dell�istanza di prelievo pu� rilevare solo ai fini della valutazione del comportamento della parte in ordine all�apprezzamento della entit� del lamentato pregiudizio, non postula altres� che dalla tempestiva presentazione dell�istanza in questione derivi necessariamente ed automaticamente un incremento dell�indennizzo rispetto a quello determinabile sulla base dei criteri normalmente seguiti: sul punto in esame, d�altronde, numerosi ricorrenti non hanno omesso censure tese a far valutare la presentazione dell�istanza di prelievo quale elemento di incremento del plafond di indennizzo. La Corte di Cassazione ha, per�, fermamente giudicato infondato l�orientamento de quo, per la ragione che la manifestazione di diligenza del privato non pu� tradursi in una sorta di sanzione aggiuntiva per lo Stato apparato che ritardi il giudizio. Dunque, per il Supremo Giudice, la presentazione di istanze di prelievo non pu� comportare in nessun caso una maggiore responsabilit� del Governo italiano ai fini della liquidazione del danno determinato dall�irragionevole durata del processo, e ci� non solo perch� nessun aggravamento di responsabilit� � previsto dalla norma per l�Amministrazione in tal caso, ma anche perch�, in forza delle novit� legislative intervenute di recente, la suddetta istanza � ora condizione imprescindibile per la proponibilit� del ricorso ex art. 2, legge n. 89/2001 (13). L�importante arresto della Corte di legittimit� a sezioni unite n. 28507/05 non pu�, tuttavia, essere ritenuto definitivamente dirimente l�annosa questione della rilevanza dell�istanza di prelievo nei giudizi in materia di equa riparazione in quanto, con il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito nella L. 6 agosto 2008, n. 133, il Legislatore ha profondamente innovato il giudizio ex legge Pinto, trasformando l�istanza di cui all�art. 51 del Regio Decreto 17 agosto 1907, n. 642 in una vera e propria condizione di proponibilit� dell�azione indennitaria ex art. 2 della citata legge n. 89/2001. Il citato art. 54, comma 2, statuisce infatti: �la domanda di equa riparazione non � proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, non � stata presentata un'istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2�. della Corte o dei suoi collaboratori interni o esterni all�organizzazione giudiziaria (�) poich� anche nei casi un cui, per la situazione logistica in cui � costretto a lavorare, da questi non sarebbe stato possibile esigere di pi� di quanto ha fatto in termini di velocit� di definizione del procedimento, il fatto stesso che lo stato delle strutture e dell�organizzazione abbia reso inevitabili rinvii molto lunghi tra un�udienza e l�altra e tempi d�attesa anche di anni tra il completamento dell�istruttoria e la decisione della causa � gi� sufficiente ad affermare la responsabilit� dello Stato per la difettosa concezione ed organizzazione del sistema giudiziario� (vedi anche Corte d�Appello, Napoli, decreti 17 luglio 2008, 4 agosto 2008, 20 ottobre 2008). (13) Confronta Cass. civ. Sez. I, Ordinanza 28 gennaio 2009, n. 2139; Cass. civ. Sez. I, Ordinanza 26 gennaio 2009, n. 1820; Cass. civ. Sez. I, Ordinanza 19 gennaio 2009, n. 1154. 240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Questo significa che, a far data dal 25 giugno 2008 (entrata in vigore della normativa de qua), l�omessa presentazione dell�istanza di prelievo nel processo presupposto potr� costituire argomento fondante un�eventuale eccezione di proponibilit� della domanda di equa riparazione, avendo cos� il Legislatore chiaramente inteso ascrivere anche alla responsabilit� del privato ricorrente l�eccessiva durata di un procedimento amministrativo. Diversamente, la tardiva presentazione della stessa rispetto al termine indicato dall�art. 51, R.D. n. 642/1907, potr� essere assunta a sintomo dello scarso patema d�animo sopportato dalla parte istante. In buona sostanza, se ne desume che se da un lato l�obbligo di definire il giudizio principale per il Giudice Amministrativo sorge soltanto per effetto del deposito notificato e non, invece, dalla data di presentazione dell�istanza di prelievo (che in tale sede costituisce soltanto un atto d�impulso processuale), dall�altro lato � parimenti incontestabile che il Legislatore del 2008, prevedendo per il processo amministrativo � e soltanto per il processo amministrativo � una specifica condizione di proponibilit� della domanda indennitaria per irragionevole durata del giudizio, ha inteso delimitare l�ambito di applicazione della stessa legge Pinto, �responsabilizzando� coloro i quali intendano proporre un ricorso dinanzi al Giudice amministrativo. Obiettivo del legislatore � stato, infatti, quello di porre un argine normativo all�emorragia di denaro pubblico connessa ai pagamenti per l�equa riparazione di cui alla legge n. 89/2001 con riferimento ai processi amministrativi, valorizzando proprio quella disposizione del regolamento di procedura dinanzi al Consiglio di Stato (art. 51 del R.D. n. 642/1907) che prevedeva la possibilit� di distinguere i ricorsi che necessitavano di una trattazione urgente da quelli che invece non avevano bisogno di una decisione immediata, rimettendo proprio alla parte istante il potere di discernere, tramite la presentazione di un�istanza definita volgarmente �di prelievo�, ci� che rivestiva carattere di urgenza da ci� che non rivestiva tale carattere. Ovviamente, in mancanza della presentazione di detta istanza, non poteva non presumersi che proprio la parte istante non avesse un interesse particolare alla trattazione urgente del ricorso e comunque che non subisse alcun pregiudizio dal ritardo nella decisione del ricorso nel merito. Altrettanto ovviamente si deve oggi arguire che, dopo l�entrata in vigore dell�art. 54 del D.L. n. 112/2008, un pregiudizio per il ritardo nella definizione del processo amministrativo sia assolutamente inconfigurabile fino a quando non venga depositata dal ricorrente un�istanza di trattazione urgente del ricorso, in mancanza della quale l�organo giudicante � certamente autorizzato a decidere prima quei ricorsi in relazione ai quali sia stata presentata, appunto, un�istanza di prelievo. Si osservi, poi, che nel rispetto dei principi dettati agli artt. 11 e 15 delle disposizioni sulla legge in generale, concernenti la successione delle leggi nel tempo, e coerentemente al consolidato orientamento della Cassazione, deve ri- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 241 tenersi che il citato art. 54 costituisca ius superveniens e non sia, pertanto, ratione temporis applicabile ai processi principali pendenti prima del 25 giugno 2008: in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, infatti, gli atti processuali gi� compiuti restano regolati, secondo il fondamentale principio del tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere e sfuggono al regime dei nuovi interventi legislativi (14). Ne deriva che, essendo la retroattivit� della legge processuale un effetto prevedibile dal legislatore con norme transitorie ma non liberamente attuabile dall�interprete, l�applicazione dell�art. 54, comma 2, decreto legge n. 112/2008 ad azioni indennitarie ex legge n. 89/2001 proposte anteriormente alla data della sua entrata in vigore determinerebbe un�indebita applicazione retroattiva della legge processuale, quindi un error in procedendo ricorribile in Cassazione ex art. 360, comma 2, n. 3. Non appare tuttora chiaro, per di pi�, se il citato intervento normativo vada applicato unicamente quando anche il processo principale sia stato istaurato successivamente al 25 giugno 2008 ovvero (secondo un�interpretazione meno rigorosa) possa giudicarsi sufficiente a tal fine la sola instaurazione del processo per equa riparazione. In proposito preme dare atto dell�originale posizione manifestata pi� volte dalla difesa erariale in relazione ad istanze indennitarie proposte successivamente alla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 112 del 2008, quando il presupposto processo principale fosse per� precedente alla data in questione. Sostiene l�Avvocatura dello Stato, infatti, che l�innovata disciplina introdotta dall�art. 54, comma 2, Decreto Legge n. 112 del 2008 e individuante nell�istanza di prelievo una indispensabile condizione di proponibilit� del ricorso ex legge Pinto, debba ritenersi applicabile tutte le volte che, pur essendo il giudizio presupposto precedente alla data del 25 giugno 2008, non cos� possa dirsi per il corrispondente giudizio indennitario, essendo stato lo stesso istaurato dopo l�entrata in vigore del D.L. n. 112/2008 e andando, conseguentemente, soggetto al nuovo regime normativo. La pi� gravosa disciplina (14) Cfr. Corte di Cassazione, sentenza 28 novembre 2008, n. 28428, ove si afferma che: �premesso, infatti, come il D.l. n. 112 del 2008 sia entrato in vigore il 25 giugno 2008, ovvero (ai sensi dell�art. 85 di esso) il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, deve, nella specie, osservarsi che, in difetto di esplicite previsioni contrarie (tale essendo esattamente il caso in esame) il principio di immediata applicazione della legge processuale sopravvenuta ha riguardo soltanto agli atti processuali successivi all�entrata in vigore della legge stessa, alla quale non � dato incidere, pertanto, sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio del tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio sono stati posti in essere (�), un generale criterio di �affidamento� legislativo (desumibile dall�art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale) precludendo la possibilit� di ritenere che gli effetti dell�atto processuale gi� formato al momento dell�entrata in vigore della nuova disposizione (domanda appunto di equa riparazione) siano da quest�ultima regolati, quanto meno nei casi (come quello in esame) in cui la retroattivit� della disciplina varrebbe a comprimere la tutela della parte, senza limitarsi a modificare la mera tecnica del processo�. 242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 andrebbe, quindi, applicata a tutti i giudizi in materia di equa riparazione sorti dopo il 25 giugno 2008, irrilevante essendo il momento in cui si � originata la principale vicenda processuale. L�intransigente orientamento in questione �, indubbiamente, originato dall�esasperata ed ormai irrefrenabile corsa degli avvocati di parte a presentare istanze di prelievo nell�imminente proposizione di un�azione indennitaria per l�irragionevole durata del processo amministrativo presupposto, onde scongiurare il timore di una pronuncia di improcedibilit� della Corte d�appello capace di paralizzare irrimediabilmente l�azione de qua. Sulla questione, ormai sempre pi� incandescente, � lecito attendere una risolutiva pronuncia della Corte Suprema. Certamente, un generale principio di affidamento impone al Giudice di legittimit� l�increscioso dovere di applicare con rigore le regole, anche processuali, riguardanti la successione delle leggi nel tempo; e tuttavia, non pu� non sottolinearsi l�opportunit� che la Corte abbia in debita considerazione gli obiettivi perseguiti dal Legislatore con la succitata novella, per un verso diretta a responsabilizzare i privati che si trovino a dover affrontare un processo (i quali, pertanto, non sono pi� considerati vittime inconsapevoli di un sistema di giustizia farraginoso e lento), per l�altro verso tesa a contenere l�enorme sperpero di denaro pubblico derivante dal proliferare di ricorsi ex legge n. 89 del 2001. Rimane impregiudicata la questione se l�istanza di prelievo, alla luce del predetto recente intervento legislativo, non costituisca soltanto una condizione di proponibilit� della domanda di equa riparazione (condizione che, si ricordi, vale soltanto per i procedimenti pendenti dopo la data del 25 giugno 2008), ma rappresenti altres� un incombente processuale idoneo a rendere eventualmente irrilevante il tempo decorso anteriormente al deposito della stessa istanza di prelievo, al fine del computo del termine di ragionevole durata del giudizio. La Corte di Cassazione ha, finora, eluso la problematica, affermando che �l�inapplicabilit� della norma ratione temporis rende inutile qui approfondire se essa stabilisca soltanto una condizione di proponibilit� della domanda, ovvero renda anche irrilevante il tempo decorso anteriormente al deposito dell�istanza di prelievo, al fine del computo del termine di ragionevole durata del giudizio� (Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza n. 24901/2008). Un�interpretazione sintonica con gli obiettivi perseguiti dal Legislatore nel predisporre la novit� legislativa induce, comunque, a ritenere che l�istanza in questione vada oggi intesa non solo quale condizione di proponibilit� dell�azione per il ristoro della irragionevole durata del processo amministrativo, ma altres� come vero strumento giuridico idoneo a �sterilizzare� il tempo decorso anteriormente al deposito dell�istanza stessa, con la conseguente irrilevanza dello stesso al fine del computo del termine di irragionevole durata soggetto a riparazione monetaria. Ci� per la ragione che se nessuna disposi- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 243 zione della legge TAR o del regolamento di procedura dinanzi al Consiglio di Stato esclude oggi la possibilit� di presentare un�istanza di prelievo contestuale al deposito del ricorso dinanzi al Giudice Amministrativo, risulta evidente come, da un lato, la mancata presentazione di un�istanza per la trattazione urgente del ricorso andrebbe interpretata quale sicura manifestazione di disinteresse alla immediata trattazione della causa e, dall�altro, che la parte ricorrente non subirebbe pregiudizio alcuno per il ritardo nella pronuncia della sentenza da parte del Giudice amministrativo. A conclusione dell�intricata disamina operata pare opportuno riepilogare brevemente quale debba essere oggi � alla luce di una lettura conciliante le nuove disposizioni normative con l�orientamento osservato dalla Corte di Cassazione � il rilievo da accordare all�istanza di prelievo, quale incidenza essa abbia nei giudizi riguardanti la materia della cd. legge Pinto e quali impedimenti, casomai ce ne fossero, derivino dalla sua omessa presentazione. Certamente, in relazione ai procedimenti istaurati precedentemente alla data del 25 giugno 2008, l�omessa presentazione dell�istanza di prelievo non � causa impediente il riconoscimento della denunciata violazione del diritto alla ragionevole durata del processo assumendo, a rigore, rilievo esclusivamente ai fini dell�apprezzamento dell�entit� dell�indennizzo sotto il profilo della valutazione del comportamento negligente della parte ricorrente e potendo, conseguentemente, indurre il giudice ad uno scostamento rispetto ai parametri di liquidazione indicati dalla Corte di Strasburgo. Ne deriva che il mancato ricorso a tale strumento non potr� fungere da argomento fondante un�eccezione di improcedibilit� del ricorso ex art. 2, legge n. 89 del 2001, non avendo il Legislatore individuato in capo al privato alcuna responsabilit� connessa all�irragionevole durata del processo. Per quanto attiene, invece, ai procedimenti istaurati a far data dal 25 giungo 2005 (quindi successivi al momento di entrata in vigore del Decreto Legge n. 112/2008) l�ottemperanza dell�obbligo di presentazione dell�istanza di prelievo � da considerarsi condizione imprescindibile per l�eventuale domanda di equa riparazione, solo la tardiva presentazione della stessa potendo, semmai, essere utilizzata quale prova dello scarso interesse per il giudizio e dell�inconsistente patema d�animo collegato alla sua non celere definizione. Dott.ssa Morena Pirollo* (*) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatua dello Stato. 244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Cassazione civile, Sezione Prima, sentenza 6 giugno 2003 n. 3347 Svolgimento del processo Con ricorso alla Corte di Appello di Roma, R. D. S., premesso di avere instaurato davanti al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, mediante ricorso in data 26/29 luglio 1986, un giudizio nei riguardi del Comune di Benevento per l'annullamento di alcuni atti amministrativi relativi all�approvazione di una variante al Piano Regolatore Generale del Comune medesimo e premesso altres� che la controversia era stata quindi definita in primo grado con la sentenza depositata il 10 novembre 1999 a seguito della presentazione di istanza di prelievo, chiedeva che, previo accertamento della violazione dell�art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, venisse disposta la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di quanto dovutole a titolo di equa riparazione del danno, patrimoniale e non, subito in conseguenza di siffatta durata. Si costituiva in giudizio l�Amministrazione convenuta, resistendo alla pretesa avversaria. Il giudice adito, con decreto emesso in data 27 dicembre 2001/15 gennaio 2002, rigettava il ricorso, assumendo: a) che il procedimento instaurato davanti ai giudici amministrativi fosse complesso, atteso che oggetto dell�impugnativa era una variante al P.R.G. sopra indicato e che la parte ricorrente aveva proposto ben ventuno motivi di gravame; b) che l'intero periodo di pendenza del giudizio in questione non fosse imputabile al comportamento dell�Amministrazione, posto che il momento decisivo per accertare l'esistenza di un simile comportamento era costituito dalla presentazione dell'istanza di prelievo, laddove, nella specie, la ricorrente non ne aveva indicato la data ed era perci� da presumere, semmai, che la medesima istanza fosse stata avanzata poco tempo prima della decisione. Avverso siffatto decreto, propone ricorso per cassazione la De Stasio, deducendo due motivi di impugnazione, ai quali resiste la Presidenza del Consiglio dei Ministri con controricorso. Motivi della decisione Deve innanzi tutto essere disatteso il preliminare rilievo di improponibilit� e/o inammissibilit� della domanda, avanzato dall'Amministrazione controricorrente sull'assunto che, trattandosi di un caso nel quale si verte sulla ragionevolezza o meno della durata di un processo amministrativo, erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto infondata la relativa eccezione (di inammissibilit� appunto) sollevata in sede di merito dalla stessa Amministrazione in riferimento alla pretesa inapplicabilit� della legge n. 89 del 2001 alla fattispecie. In realt�, dalla lettura dell�impugnato decreto si evince come detta Corte non abbia minimamente statuito in ordine alla riferita questione (della cui prospettazione neppure, del resto, � traccia nel medesimo provvedimento), senza che, d�altra parte, l�odierna censura della controricorrente involga in alcun modo la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ovvero del solo astrattamente suscettibile di essere denunziato in un simile contesto. Tanto premesso, con il primo motivo di gravame, lamenta la ricorrente violazione e falsa applicazione dell�art. 2 della legge n. 89 del 2001, degli artt. 6 e 53 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, dell�art. 111 della Costituzione, dell�art. 23 della legge n. 1034 del 1971 e degli artt. 51 e 53 del regio decreto n. 642 del 1907, in relazione all�art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, nonch� omessa, insufficiente e contraddit- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 245 toria motivazione, in relazione all�art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., assumendo: 1a) che la Corte capitolina cade nelle censure rubricate quando ritiene che il mancato tempestivo deposito (solo supposto ma non provato) dell�istanza di prelievo costituisca un comportamento dilatorio dell�odierna ricorrente, addebitandole l�intero ritardo nella decisione del ricorso e lasciando cos� intendere che, senza istanza di prelievo, non possa essere discusso e deciso un ricorso, con evidente confusione tra istanza di fissazione dell�udienza di discussione ed istanza di prelievo, laddove, nella specie, essendo stata la prima di queste ultime due istanze inoltrata, a mezzo il deposito stesso del ricorso, il 4 ottobre 1986, � da tale data che ogni impulso processuale � stato trasferito all�Autorit� Giurisdizionale Amministrativa, onde l�inerzia dell�Ufficio nel fissare l�udienza, indipendentemente dall�onere facoltativo per la parte impugnante di depositare l�istanza di prelievo, imponeva alla Corte territoriale di giudicare pi� rigorosamente le responsabilit� dell�Amministrazione convenuta; 1b) che il giudice del merito erra quando ritiene che la particolare complessit� della materia trattata nello specifico giudizio sia implicita nella natura degli atti impugnati e nel numero dei motivi di ricorso, atteso che, trattandosi di una variante al PRG comunale, in seguito alla quale veniva modificata la destinazione urbanistica del terreno di propriet� della ricorrente (da edilizia residenziale privata a servizi pubblici essenziali, con chiaro preordino all�esproprio), il tema affrontato era, in definitiva, di pura legittimit� e meramente documentale, onde non presentava alcun grado di difficolt�, non richiedendo alcuna attivit� istruttoria. Con il secondo motivo di impugnazione, del cui esame congiunto con il precedente si palesa l�opportunit� involgendo esso, almeno in parte (nei termini appresso specificati), questioni simili se non addirittura identiche, lamenta la ricorrente violazione dell�art. 2, comma terzo, della legge n. 89 del 2001, degli artt. 13 e 19 della Convenzione europea gi� sopra richiamata, dell�art. 2697 c.c. e degli artt. 8, 115 e 116 c.p.c., degli artt. 1223, 1226, 1227, 2043, 2056 e 2059 c.c., nonch� degli artt. 2, 24 e 111 della Costituzione, in relazione all�art. 360 c.p.c., primo comma, nn. 3 e 5, deducendo: 2a) che la Corte territoriale � incorsa in errore l� dove, in primo luogo, ha posto a carico della parte ricorrente l�onere della prova del suo comportamento processuale, anche per quello che riguarda la data di presentazione della cosiddetta istanza di prelievo, ha secondariamente apprezzato la prova fornita dalla ricorrente in modo illogico e �contra legem� (avendo dimostrato la medesima ricorrente di avere richiesto copia o certificazione sull'istanza in parola ed avendone detta Corte richiesto l�acquisizione, senza che n� l�una n� l�altra iniziativa abbiano sortito esito alcuno), ha infine elevato un supposto effetto processuale (la celere trattazione, cio�, a seguito della presentazione dell'istanza di prelievo) a nozione di fatto rientrante nella comune esperienza; 2b) che lo stesso giudice, qualificando erroneamente l�istanza di prelievo come un obbligo processuale il cui inadempimento bloccherebbe o ritarderebbe il processo, ha fatto derivare dalla sua tardiva presentazione addirittura l�insussistenza giuridica della violazione lamentata, pur materialmente presente, laddove una simile tardiva presentazione, configurandosi esattamente in termini di mancato esercizio di una facolt� ai fini dell'eventuale accelerazione del processo, al pi� poteva essere tenuta presente, come fattore riduttivo, nella quantificazione del danno da liquidare; 2c) che, assodata l�eccedenza della durata ragionevole, � indubbio che la ricorrente abbia subito un disagio nel non vedere decisa la propria questione in tempi corrispondenti, mentre, del resto, la possibilit� di indennizzare tale disagio prescinde da qualsiasi onere probatorio, essendo il relativo danno morale �in re ipsa�. 246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 I due motivi, nei limiti di cui appresso, sono fondati. Per quanto attiene, innanzi tutto, alla censura meglio illustrata sotto il capo 1b), si osserva che questa � inammissibile. La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto la complessit� del procedimento instaurato avanti i giudici amministrativi in quanto: a) oggetto dell�impugnativa era una variante al Piano Regolatore Generale del Comune di Benevento; b) la parte impugnante aveva proposto �ben ventuno motivi di impugnazione�. Per contro, l�odierna ricorrente ha specificatamente censurato soltanto la prima delle due �rationes decidendi� sopra riportate, nulla avendo dedotto in ordine alla seconda, relativa appunto alla proposizione di �ben ventuno motivi di impugnazione�. Deve, pertanto, trovare applicazione il consolidato principio secondo cui, qualora la decisione del giudice di merito si fondi su pi� ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggerla, come nella specie, l�omessa impugnazione, con il ricorso per cassazione, pure di una soltanto di tali ragioni determina l�inammissibilit�, per difetto di interesse, anche del gravame proposto avverso le altre, in quanto l�eventuale accoglimento di quest�ultimo non inciderebbe sulla �ratio decidendi� non censurata, con la conseguenza che la pronuncia impugnata resterebbe pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa (Cass. 18 aprile 1998, n. 3951; Cass. 28 agosto 1999, n. 9057; Cass. 23 aprile 2002, n. 5902). Circa, poi, le censure riportate sotto i capi 1a) e 2b) che precedono, si osserva che la Corte territoriale non ha ritenuto che l�intero periodo di pendenza di un giudizio amministrativo sia ascrivibile al comportamento della Pubblica Amministrazione, in violazione del disposto dell�art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, avendo assunto in particolare: a) che, nella specie, la sentenza la quale ha definito il procedimento � stata emanata dopo il deposito della cosiddetta �istanza di prelievo�, come affermato dalla stessa ricorrente; b) che tale istanza pu� essere considerata come il momento decisivo per accertare l�esistenza o meno di un comportamento imputabile alla medesima Amministrazione; c) che fin quando, cio�, la parte impugnante non decida, secondo i propri interessi, di presentare la suddetta istanza, non pu� essere addossata all�Amministrazione la completa quiescenza del procedimento, rimesso, in ogni caso, all'iniziativa delle parti, laddove, invece, allorquando l�attivit� processuale, nonostante la richiesta di una di queste, si sia protratta per un periodo da considerare eccessivo, non pu� dubitarsi della riferibilit� di tale circostanza alla stessa Amministrazione. Ci� posto, giova premettere che, alla stregua della normativa anteriore all�entrata in vigore della legge 21 luglio 2000, n. 205 (inapplicabile al caso di specie �ratione temporis�), segnatamente costituita dagli artt. 23 e 25 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali), dall�art. 40 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato) e dall�art. 35 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), la fase finale del processo davanti al giudice amministrativo si concretizza nell�udienza di discussione del ricorso, la cui fissazione, nella generalit� dei casi, postula la presentazione, ad opera del ricorrente o di qualunque altra parte costituita, di un�apposita istanza diretta al presidente dell�organo giurisdizionale adito, la quale deve essere avanzata nel termine massimo di due anni dal deposito del ricorso medesimo (o dall�ultimo atto di procedura, quante volte occorra riproporla, ex art. 23, primo comma, legge n. 1034 del 1971, come nel caso in cui IL CONTENZIOSO NAZIONALE 247 venga ordinata un�istruttoria ovvero la causa venga cancellata dal ruolo), a pena di estinzione del giudizio per perenzione (rilevabile d�ufficio e tale da travolgere ogni atto processuale precedentemente compiuto), cos� determinando l�assoggettamento del rapporto processuale all�impulso d�ufficio, nel senso esattamente che, dopo la presentazione della domanda di fissazione dell�udienza, l�ulteriore svolgimento del processo � dominato dal potere di iniziativa del giudice amministrativo, secondo quanto traspare dal fatto che la normativa fissa solo i termini relativi alla produzione di documenti ed alla presentazione di memorie (art. 23, quarto comma, legge n. 1034 del 1971) e che la stessa partecipazione delle parti all�udienza � meramente eventuale, potendosi procedere all'assegnazione del ricorso ed alla decisione anche in assenza del loro intervento (art. 55 regio decreto n. 642 del 1907). Per quanto riguarda, poi, i giudizi davanti al Consiglio di Stato, il legislatore, con la disposizione contenuta nell�art. 53, primo comma, del regio decreto n. 642 del 1907 da ultimo citato, che la prevalente dottrina reputa applicabile anche ai giudizi di primo grado davanti ai Tribunali Amministrativi Regionali, ha previsto che la determinazione del giorno dell�udienza per la discussione del ricorso (da parte del presidente mediante il provvedimento ex art. 51, primo comma, dello stesso regio decreto n. 642 del 1907) abbia luogo nel rispetto dell�ordine cronologico di presentazione delle relative domande di fissazione dell�udienza anzidetta, ovvero di iscrizione di queste ultime nell�apposito registro all�uopo tenuto presso la segreteria (si vedano anche gli art. 23 della legge n. 1034 del 1971 e art. 24 del D.P.R. 21 aprile 1973, n. 214). Peraltro, tale ordine pu� essere sovvertito, determinandosi in questo modo una diversa �precedenza�, in esito all�esercizio, ancora ad opera del presidente, dei propri poteri di accelerazione nella chiamata dei ricorsi, consentendogli esattamente l�art. 51, secondo comma, del regolamento del Consiglio di Stato (regio decreto n. 642 del 1907) di dichiararne alcuni �urgenti�, vuoi ad istanza di parte vuoi d�ufficio, onde l�introduzione, nella prassi e nella stessa giurisprudenza (Cons. Stato 15 settembre 1986, n. 676), di quella che ha assunto la comune denominazione di �istanza di prelievo�, riconoscendosi cio� ad una delle parti la possibilit� di produrre al presidente medesimo una (ulteriore) richiesta, �intesa a far pervenire il giudizio ad una sollecita definizione�, attraverso la quale il giudice, dietro illustrazione dei concreti motivi di urgenza, � stimolato ad anticipare l�udienza di discussione del ricorso. Tanto premesso, si osserva come la giurisprudenza della CEDU, se per un verso ha ritenuto che, nei casi in cui � possibile, grava sulla parte l�onere di promuovere l�accelerazione dell��iter� processuale, chiedendo, ad esempio, di anticipare l�udienza (CEDU 15 novembre 1996, Ceteroni c. Italia), sul presupposto che le parti stesse debbono partecipare con diligenza agli adempimenti, astenersi dal ricorrere ad espedienti dilatorie e �servirsi delle possibilit� offerte dall'ordinamento interno per abbreviare il giudizio�, senza peraltro porre in essere manovre al di fuori della norma (CEDU 7 luglio 1989, Union Alimentaria Sanders c. Spagna), abbia tuttavia affermato che � compito degli Stati membri �organizzare il rispettivo sistema giudiziario in modo tale da assicurare una durata ragionevole dei procedimenti� (CEDU 13 luglio 1983, Zimmermann c. Svizzera; CEDU 25 giugno 1987, Baggetta c. Italia; CEDU 24 maggio 1991, Caleffi c. Italia; Pugliese c. Italia; Vocaturo c. Italia), onde il principio del termine ragionevole enunciato dall'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea �non esonera i tribunali dall�obbligo di procedere senza dilazioni� (CEDU 7 luglio 1989, cit.) ed il fatto, in specie, che il ricorrente non abbia inoltrato alcuna istanza per far fissare con urgenza la discussione della causa costituisce una ragione che �non giustifica... i gravi ritardi in cui (siano) incorse le autorit� nazionali� (CEDU 24 maggio 1991, Vocaturo c. Italia, cit.). Se pure, quindi, nella sfera della giurisdizione amministrativa, al pari di quanto accade in 248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 quella civile (l� dove figura la possibilit� di ricorrere all�abbreviazione di termini, all�anticipazione di udienze e ad istanze sollecitatorie di vario genere) e a differenza di quanto affermato dalla stessa CEDU riguardo al processo penale (l� dove, pur negandosi che siano computabili i ritardi dovuti alla fuga o alla latitanza dell�imputato - CEDU 19 ottobre 1999, Gelli c. Italia - e, pi� in generale, i ritardi dovuti a condotte dilatorie o ostruzionistiche, non si � escluso dal calcolo della durata processuale il tempo trascorso per la semplice non collaborazione di chi sia sottoposto a procedimento penale: CEDU 15 luglio 1982, Eekle c. Repubblica Federale Tedesca; CEDU 25 febbraio 1993, Dobbertin c. Francia; CEDU 7 agosto 1996, Ferrantelli e Santangelo c. Italia), � ammissibile che la parte ricorrente abbia l�onere di attivarsi al fine di promuovere, con il suo comportamento, una speciale celerit� del processo o, comunque, la pi� rapida conclusione di esso, sollecitando appunto l�uso, da parte del giudice, dei suoi poteri officiosi e riducendo cos� la durata che si stia palesando irragionevole, occorre tuttavia riconoscere che l�Amministrazione deve comunque provvedere ad organizzare gli uffici giudiziari in modo tale che questi ultimi, pure nel caso in cui gli utenti non risultino diligenti nella cura dei propri interessi, siano in grado di provvedere in tempi sufficientemente celeri, ovvero in modo tale che venga assicurata la ragionevole durata dei processi, in condizioni non soltanto normali ma anche di emergenza (CEDU 13 luglio 1983, cit.; CEDU 25 giugno 1987, cit.). Ove, poi, a ci� si aggiunga il rilievo secondo il quale l�art. 2056 c.c., richiamato dall�art. 2 della legge n. 89 del 2001, costituisce un limite insuperabile alla liquidazione equitativa, cos� postulando che il giudice, da un lato, non possa comunque indennizzare (ad esempio) i pregiudizi prevedibili di cui all�art. 1225 c.c., non contemplato dal predetto art. 2056 c.c., nonch�, dall�altro lato, che il medesimo giudice debba considerare, ex art. 1227, secondo comma, c.c., i pregiudizi suscettibili di essere evitati dal postulante con l�uso dell�ordinaria diligenza, deve concludersi che il difetto di opportuni impulsi sollecitatori tesi ad ottenere una pi� spedita trattazione della causa (del genere appunto dell��istanza di prelievo� sopra considerata) non incida sul calcolo dei tempi del processo, nel senso che il difetto di un comportamento, ad opera della parte interessata, attivamente rivolto al conseguimento ed all�attuazione del diritto ad una ragionevole durata del processo stesso, la cui lesione si vuole compensata attraverso un ristoro economico, rileva ai soli fini della liquidazione dell�equa riparazione, operando la normativa in esame sul piano della quantificazione del danno e non dell��an debeatur�, onde la possibilit� di addivenire alla richiesta di anticipazioni di udienza (come, pi� in generale, ad istanze sollecitatorie di altra natura) integra l�ordinaria diligenza processuale ed il relativo, mancato esercizio, a differenza dell'ipotesi in cui mezzi siffatti non siano previsti dall�ordinamento, esclude che la durata irragionevole del processo venga imputata esclusivamente allo Stato. Pertanto, restando assorbite le ulteriori censure illustrate sotto le lettere 2a) e 2c) che precedono, atteso che i vizi rispettivamente denunciati con siffatte censure �dipendono� evidentemente dallo stesso assunto, erroneo, dal quale la Corte territoriale ha preso le mosse (potere cio� l�istanza di prelievo �essere considerata il momento decisivo per accertare l�esistenza o meno di un comportamento imputabile alla P.A.�) di cui alle censure sin qui esaminate, il ricorso merita accoglimento per quanto di ragione, onde il provvedimento impugnato va cassato in relazione alle censure accolte, con rinvio, anche ai fini delle spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, affinch� detto giudice provveda a statuire sulla controversia demandata alla sua cognizione facendo applicazione del seguente principio di diritto: �Ai fini dell�apprezzamento della fondatezza della domanda, proposta a norma degli articoli 2 e 3 della legge 24 marzo 2001, n. 89, di equa riparazione del danno, patrimoniale e non patrimo- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 249 niale, che possa essere derivato al ricorrente per effetto del ritardo eccedente il termine ragionevole di cui al primo comma del citato art. 2, la mancanza di opportuni impulsi sollecitatori, provenienti dalla parte interessata, tesi ad ottenere una pi� spedita trattazione della causa, del genere della cosiddetta �istanza di prelievo� nel processo amministrativo, non incide sul calcolo dei tempi del processo stesso, nel senso che il difetto di un tale comportamento rileva ai soli fini della liquidazione dell'equa riparazione anzidetta, onde la possibilit� di addivenire alla richiesta di simili anticipazioni (come, in senso pi� largo, ad altre istanze di natura analoga) integra l�ordinaria diligenza processuale ed il relativo, mancato esercizio, a differenza dell�ipotesi in cui mezzi siffatti non risultino previsti dall�ordinamento, esclude che la durata irragionevole del giudizio venga imputata esclusivamente allo Stato�. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa il provvedimento impugnato in relazione alle censure accolte e rinvia, anche ai fini delle spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione. Cos� deciso in Roma, il 30 settembre 2002. ** *** ** Cassazione civile, Sezione Prima, sentenza 17 aprile 2003 n. 6180 Svolgimento del processo Con ricorso - in riassunzione ex art. 6 L. n. 89 del 2001 dal procedimento instaurato innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell�Uomo - depositato innanzi alla Corte d�Appello di Roma, Russo Ennio lamentava, in contraddittorio con il Presidente del Consiglio dei Ministri, l�irragionevole durata di un procedimento svoltosi innanzi al TAR Campania ed avente ad oggetto l�annullamento di un atto della DPT di Benevento. Precisava all'uopo: di aver notificato il ricorso il 13 novembre 1996 depositandolo in data 12 dicembre 1996, contestualmente istando per la fissazione dell'udienza ai sensi dell�art. 23 L. n. 1034 del 1971, di aver depositato in data 17 febbraio 1999 la cd. istanza di prelievo, di non aver ancora visto decidere la causa; gli aver quindi diritto all�equa riparazione, essendo irragionevole la durata di un sol grado di giudizio di oltre cinque anni. Costituitosi il PdCdM, la ad�ta Corte di Roma con decreto 23 gennaio 2002 rigettava la domanda affermando: che il ricorso doveva ritenersi infondato per due concorrenti, ma autonome, �rationes decidendi�; che, in primo luogo, nella specie non poteva ravvisarsi durata irragionevole del processo dato che l'istanza di prelievo era del 17 febbraio 1999 e che una durata inferiore ai tre anni (computata dalla data dell'istanza) non poteva ritenersi irragionevole n� alla stregua della giurisprudenza della CEDU n� sulla base delle pronunzie italiane; che in secondo luogo il preteso danno non era neanche configurabile essendo stati innanzi al TAR chiesti accessori di un credito per l�importo di L. 5.544.924 senza che, allo stato, in difetto di una decisione, potesse intravedersene la fondatezza e posto che il danno patrimoniale sarebbe stato interamente eliminato dalla pronunzia e l'esiguit� del �petitum� induceva ad escludere alcun danno morale. Per la cassazione di tale decreto il Russo ha proposto ricorso notificandolo il 5 aprile 2002. Il PdCdM ha notificato controricorso il 30 aprile 2002. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. 250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Motivi della decisione Con il primo motivo del ricorso si denunzia violazione degli artt. 2 L. n. 89 del 2001, 23 L. n. 1034 del 1971, 51 e 53 R.D. n. 642 del 1907 e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto comportamento imputabile alla parte istante, ed escludente la durata irragionevole del processo, la formulazione di una istanza di prelievo solo nel febbraio 1999, cosi equivocando sulla natura, di semplice facolt� processuale, di tale sollecitazione e cosi trascurando di indagare sulla complessit� o semplicit� della causa e pertanto mancando di addebitare all�Autorit� Giudiziaria Amministrativa i cinque anni di totale sua inerzia nella (pur necessaria) trattazione del procedimento. Con il secondo motivo, al primo subordinato, si denunzia violazione dell�art. 2 co. 3 L. n. 89 del 2001, art. 2697 c.c., artt. 115-116 c.p.c., artt. 1223-1226-1227 c.c., artt. 2056-2059-2043 c.c., per avere la Corte di Roma escluso la sussistenza del danno risarcibile formulando all�uopo una prognosi sull�esito possibile del processo ed un giudizio sulla inesistenza del danno morale per l�esiguit� del �petitum� e, quindi, erroneamente collegando al diritto vantato l�interesse alla ragionevole durata del processo. Ritiene il Collegio, dissentendo dalle censure esposte nell'ampio primo motivo del ricorso, che la assai sintetica - ma chiara - statuizione della Corte territoriale, adottata come prima delle due alternative �rationes decidendi�, sia conforme al diritto (e pro parte non impugnata in modo pertinente) e vada pertanto, con le opportune integrazioni, pienamente confermata. Giova premettere che questa Corte ha gi� avuto modo di pronunziare sulla questione della rilevanza - in sede di accertamento della protesa violazione all�obbligo di rispetto del termine ragionevole di cui all�art. 6 par. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo (art. 2 comma 2 L. n. 89 del 2001) - della mancata tempestiva proposizione della cd. �istanza di prelievo� al Presidente del T.A.R. da parte del ricorrente che, pure, abbia adempiuto all�obbligo di avanzare la tempestiva istanza di fissazione di udienza (statuita a pena di perenzione del giudizio dall�art. 23 della L. n. 1034 del 1971, sul punto non novellato dall�art. 1 comma 3 della L. n. 205 del 2000). Ed in tutte e tre le pronunzie allo stato emesse (Cass. 15445/02, 15992/02, 3347/03) si � avuto modo di formulare alcune osservazioni - sulla premessa, comune alla vicenda processuale qui in esame, della inapplicabilit� �ratione temporis� delle nuove norme di cui alla legge n. 205 del 2000 - che appare opportuno rammentare ed integrare con ulteriori rilievi, utili alla soluzione della questione sottoposta. E� dunque da precisare che: - accanto all�obbligo (art. 23 L. n. 1034 del 1971) di presentazione dell�istanza di fissazione di udienza nel biennio dal deposito del ricorso e di sua rinnovazione all�esito dell'espletamento dell�eventuale istruttoria (la cui inosservanza � dall�art. 25 sanzionata dall�estinzione, per perenzione, del procedimento), sussiste l'onere della istanza di prelievo in discorso; - tale istanza � prevista dagli artt. 51 c. 2 e 53 c. 2 R.D. n. 642 del 1907 (Regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato) come strumento per pervenire - in ragione della dichiarata o ravvisata urgenza del ricorso - alla pi� sollecita trattazione della causa, determinando il Presidente dell�organo ad una fissazione con precedenza rispetto all'ordine di trattazione risultante dalle date di iscrizione dei ricorsi; - la test� cennata norma di procedura regolante l�istanza in discorso, nel trentennio di vita dei TAR ha ricevuto costante e diffusa applicazione nella fissazione delle udienze innanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali, essendo pervero prevista l�annotazione delle istanze di ur- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 251 genza nel registro delle domande di fissazione di udienza dal comma 1) dell�art. 24 del Regolamento di esecuzione della L. n. 1034 del 1971 approvato con D.P.R. n. 214 del 1973; - la diffusione dello strumento acceleratorio costituito dalla proposizione della menzionata istanza di prelievo al fine di pervenire alla (pi�) sollecita discussione del ricorso innanzi al T.A.R. � frutto, ad avviso del Collegio, ben pi� che di una prassi di applicazione estensiva ai relativi giudizi di norma posta in altra �sedes materiae�, di una applicazione diffusa e sistematica dei principi impliciti nella norma regolamentare dell�annotazione delle istanze d�urgenza (art. 24 c. 1 D.P.R. n. 214 del 1973 cit.), applicazione che ben si pu� definire come integrante il diritto vivente della procedura innanzi ai T.A.R. (che oggi vede il ricorso alla previsione di un invito alla riproposizione di istanza di sollecito per i ricorsi �ultradecennali�, la cui inosservanza � sanzionata con l�adozione del decreto di perenzione: art. 9 L. n. 205 del 2000); - test� rammentata �istituzionalizzazione� dello strumento acceleratorio costituito dalla istanza di prelievo per la fissazione dei ricorsi innanzi ai T.A.R. rende dunque sterile - ai fini che occupano - decidere se il ricorrente abbia facolt� od obbligo di proporla, quel che rileva essendo l�onere dal diritto assegnato alla parte ricorrente di avvalersi di tale istanza per trarre il suo ricorso da una condizione di inerte quiescenza a quella della sua (tempestiva e sollecita, od ingiustificatamente differita) effettiva trattazione. Fatte queste premesse � per� d�obbligo osservare che la soluzione data al quesito che su tali premesse deve trovare risposta non � stata - nelle pronunzie di questa Corte dianzi citate - del tutto omogenea, avendo le pronunzie pubblicate nel 2002 attestato la propria statuizione sulla rilevanza assorbente che assume il rinvio al comportamento delle parti nell'accertamento della violazione della durata ragionevole (art. 2 c. 2 L. n. 89 del 2001), s� da escludere addebitabilit� all�Amministrazione dei tempi imputabili alla negligente condotta delle parti stesse nel non avvalersi dello strumento acceleratorio disponibile, ed invece puntando la sent. 3347/03 - e con ampia e diffusa applicazione diretta dei principi della giurisprudenza della CEDU - sulla permanente inadempienza dell�Amministrazione nel non aver organizzato il servizio in guisa da assicurare celerit� �...anche a favore degli utenti che non risultino diligenti nella cura dei propri interessi...� e semmai potendo la negligenza delle parti private rilevare ai sensi dell�art. 1227 c.c. comma 2 nella sede della liquidazione di cui al comma 3 dell'art. 2 della L. n. 89 del 2001. Ritiene il Collegio, dissentendo dall�indirizzo seguito dal pi� recente pronunziato di questa Corte, che debbasi privilegiare la prima opzione ermeneutica, posto che: - la scelta legislativa - di collocare il comportamento delle parti, al pari di quello del giudice e di ogni altra pubblica autorit�, tra gli oggetti dello scrutinio di merito sulla irragionevolezza della durata del processo (art. 2 c. 2 L. n. 89 del 2001 cit.) - appare eloquente dell�obiettivo politico perseguito, in coerenza con il rifiuto di fissare astratti parametri cronologici di durata ragionevole: la valutazione di irragionevolezza non deve discendere dalla pervasiva presunzione di addebitabilit� all�Amministrazione di ogni durata rapportabile a carenza nell�organizzazione del servizio ma dalla equilibrata ponderazione del ruolo avuto, nel concreto del processo in disamina, dai suoi attori pubblici e privati rispetto alla domanda di giustizia che quella controversia, con la sua complessit� o semplicit�, proponeva allo Stato-apparato; - in tal senso, la negligenza della parte istante nel non essersi avvalsa dello strumento di attivazione od acceleratorio che il �diritto vivente� ha messo a sua disposizione nel processo innanzi ai T.A.R. rileva come comportamento oggettivo che ha dato causa - altrettanto oggettivamente - alla mancata attivazione dell'organo di giustizia e che l�art. 2 comma 2 L. n. 89 del 2001 pi� volte citato impone di valutare come causa, o concausa, della non ragionevo- 252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 lezza del tempo trascorso: ditalch�, se a nulla rileva sottolineare la non obbligatoriet� della proposizione dell'istanza e se altrettanto non rileva notare che, alla sua presentazione, non si rinviene l�espressa previsione di un obbligo per il Presidente del TAR di procedere alla immediata fissazione, � assolutamente rilevante il tempo in cui l�istanza viene proposta nel senso che con la sua proposizione, e solo da quella data, il decorrere del tempo diventa esclusivo parametro di valutazione del comportamento dell'organo di giustizia ai fini dello scrutinio della ragionevolezza della durata (a carico del quale la proposizione stessa, in forza del richiamato diritto vivente, determina una palese �traslatio� degli oneri di attivazione e del correlato disvalore per l�inosservanza); - se, dunque, l�efficienza causale della tempestiva o tardiva proposizione dell�istanza di prelievo trova la sua collocazione propria nello scrutinio di �adeguatezza� del comportamento. della parte (art. 2 c. 2 della L. n. 89 del 2001), ne discende l'impropriet� della sua considerazione nella �sedes materiae� della liquidazione del danno (l�art. 1227 c.c. cpv. richiamato dall�art. 2056 c.c. al quale fa rinvio il comma 3 dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001). Ed invero, l�uso che la parte faccia, od ometta, di una opportunit� processuale offertale dall�ordinamento � naturalmente quanto esclusivamente compreso tra gli oggetti dello scrutinio sulla irragionevolezza della durata del processo e cio� tra gli elementi costitutivi del fatto generatore dell�obbligo di indennizzo, e non pu� rifluire, in seconda battuta, anche nella sede dello scrutinio della diligenza del creditore nell�elidere al possibile i danni arrecati (a ci� ostando i formulati rilievi di ordine sistematico sul carattere assorbente del ruolo avuto dagli �attori� del processo nella sua durata). Alla luce delle esposte considerazioni appare immune da censure in diritto fa valutazione operata dalla Corte di merito la cui decisione, integrata e corretta la relativa motivazione nei sensi sopra indicati, ed immune da vizi logici restando la residua parte della statuizione, deve essere ritenuta conforme a diritto. L�impugnato decreto, infatti, ha preso atto della proposizione della istanza di prelievo ad oltre due anni dal deposito del ricorso e si � mosso sull�assunto della ragionevolezza del passaggio di meno di tre anni dopo la proposizione stessa. Orbene, pu� conclusivamente e sinteticamente affermarsi che: 1) da un canto, il decreto ha ravvisato nel negligente comportamento del ricorrente la ragione della imputabilit� a suo carico della durata del processo anteriore alla sua iniziativa; 2) dall�altro canto, il provvedimento ha considerato come ragionevole il tempo intercorso tra l'istanza stessa e la proposizione della domanda riparatoria; 3) il decreto � poi passato a formulare discutibili quanto pleonastiche considerazioni sulla assenza di danno in concreto; 4) la prima statuizione - con le integrazioni della motivazione in diritto dianzi precisate - pu� essere ritenuta conforme a diritto; 5) la seconda statuizione (afferente la durata del processo per la frazione temporale certamente imputabile all'Amministrazione) � frutto di una valutazione avverso la quale nel motivo non sono indicati vizi logici di sorta ma sono addotte solo generiche ragioni di dissenso nel merito (e con richiamo ad alcuni pronunziati della CEDU); 6) la terza statuizione - di sostegno di una alternativa �ratio decidendi� - non viene pi� in rilievo; 7) pertanto, deve essere rigettato il primo motivo, e dalla correlata conferma della statuizione di rispetto del termine ragionevole di durata del processo, va dichiarato discendere l'assorbimento del secondo mezzo, afferente le riportate considerazioni sulla esistenza e consistenza del danno risarcibile. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 253 Ritiene il Collegio che sussistano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimit�. P.Q.M. La Corte di Cassazione, rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio. Cos� deciso in Roma, il 13 Marzo 2003. ** *** ** Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 23 dicembre 2005 n. 28507 Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 17 aprile 2002 C.C.S. conveniva in giudizio dinanzi alla Corte d�appello di Genova la Presidenza del Consiglio dei Ministri per sentirla condannare al pagamento di una somma a titolo di equo indennizzo dei danni patrimoniali e non patrimoniali per la non ragionevole durata di cinque giudizi da lui promossi dinanzi al TAR per la Toscana, rispettivamente il 6 giugno 1990, il 9 novembre 1993, il 28 novembre 1997, il 16 febbraio 1998 e il 6 marzo 1998, tuttora in attesa di fissazione dell'udienza di discussione. Con decreto del 18 giugno-17 luglio 2002 la corte adita rigettava la domanda osservando preliminarmente che il ricorrente non aveva titolo per far valere eventuali danni riferibili a ritardi maturati prima del 18 aprile 2001, data di entrata in vigore della l. n. 89 del 2001. Quindi, passando a esaminare i vari processi pendenti, affermava che per il primo di essi, promosso dalla sig.ra M.T.S., madre del ricorrente che in qualit� di erede aveva provveduto alla riassunzione, la domanda non poteva trovare accoglimento poich� la riassunzione era avvenuta solo il 4 settembre 2001, e non era trascorso neppure un anno dal momento in cui era divenuto parte processuale; che per il secondo e il terzo la domanda era priva di fondamento essendo decorsi solo tre anni dalla presentazione dell'istanza di prelievo; che parimenti infondata doveva ritenersi la domanda per il quarto e il quinto processo per i quali l'istanza di prelievo non era stata neppure presentata. Contro la sentenza ricorre per cassazione con due motivi C.C.S. Non ha presentato difese la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Con ordinanza del 9 marzo-26 giugno 2002 � stata disposta la rimessione degli atti al Primo Presidente che ha provveduto all�assegnazione del ricorso alle Sezioni unite per la risoluzione della questione di particolare importanza relativa all'individuazione del momento in cui sorge il diritto alla durata ragionevole del processo nonch� del contrasto di giurisprudenza relativo all�accertamento del momento iniziale ai fini del computo del termine di durata del processo amministrativo. Motivi della decisione Con il primo motivo viene denunciata la violazione e la falsa applicazione dell�art. 6, n. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo ratificata con la l. 848/1955, in relazione all�art. 360, n. 3, c.p.c. e si contesta l�affermazione secondo cui solo dalla data di entrata in vigore della l. 89/2001 sarebbe sorto il diritto all�equa riparazione, prima non esistente nel vigente sistema positivo, con la conseguente esclusione della legittimazione degli eredi alla proposizione della domanda di equo indennizzo per l�eccessiva durata di un processo instaurato dal loro dante causa prima di tale data. 254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 La questione � stata sinora decisa in senso negativo dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha considerato che la l. 89/2001 contempla senza limitazioni temporali le violazioni del canone di ragionevole durata del processo verificatesi dopo la ratifica della Convenzione dei diritti dell'uomo, ma che, in assenza di una espressa previsione di retroattivit� della norma interna costitutiva del diritto all�equo indennizzo, resta esclusa la nascita di tale diritto in capo a un soggetto deceduto prima della sua entrata in vigore e, conseguentemente, la sua trasmissibilit� agli eredi (Cassazione 17650/2002; 360/2003); e ci� anche se la parte, poi deceduta, avesse gi� proposto ricorso alla Corte di Strasburgo in quanto la fattispecie riparatoria prevista dalla normativa comunitaria non costituiva un diritto azionabile dinanzi a un giudice diverso da quello europeo. Tali considerazioni trovavano un ulteriore elemento di conferma nel rilievo che la norma transitoria dell�art. 6 della l. 89/2001 aveva natura di norma sostanziale e non processuale e non prevedeva alcun traslatio iudicii ma consentiva unicamente una circoscritta e limitata applicazione retroattiva del nuovo istituto dell'equa riparazione con riferimento ai soli giudizi per i quali si fosse gi� avuto il tempestivo deposito del ricorso dinanzi alla Corte di Strasburgo e non fosse ancora intervenuta una dichiarazione di ricevibilit� del ricorso stesso (Cassazione 5264/2003). Ci� premesso, merita accoglimento l�invito a riconsiderare la fondatezza di tale orientamento interpretativo, contenuto nell'ordinanza di rimessione, sulla base dell'evoluzione della giurisprudenza delle Sezioni unite le quali, con le sentenze in data 1339/2004, 1340 e 1341 hanno identificato il fatto costitutivo prefigurato dall'art. 2 della l. 89/2001 proprio nel mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo stabilito dall'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, e hanno negato, conseguentemente, che la fattispecie prevista dalla norma interna assumesse connotati diversi da quelli stabiliti dalla Convenzione, rispetto alla quale essa andrebbe considerata non gi� costitutiva del diritto all'equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, bens� unicamente istitutiva della via di ricorso interno, prima inesistente, diretta ad assicurare una tutela pronta ed efficace alla vittima della violazione del canone di ragionevole durata del processo in attuazione del disposto dell�art. 13 della Convenzione il quale stabilisce il diritto a un ricorso effettivo davanti a un�istanza nazionale il cui esperimento preventivo opera, a norma dell'art. 35, come condizione di procedibilit� del ricorso alla Corte di Strasburgo che, ai sensi dell'art. 34, era proponibile in via immediata e diretta prima dell�introduzione del ricorso negli ordinamenti nazionali. Va ricordato al riguardo che l�art. 1 della Convenzione stabilisce che �le Parti Contraenti riconoscono ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libert� definiti dal titolo primo della Convenzione�, tra i quali � compreso il diritto ad un processo equo e di durata ragionevole (art. 6), che dev�essere tutelato attraverso il ricorso a un�istanza nazionale (art. 13), la cui introduzione nell�ordinamento vigente � avvenuta tardivamente, solo a seguito del moltiplicarsi delle condanne nei confronti dello stato in sede comunitaria per il pregiudizio derivante dalla non ragionevole durata dei processi. La l. 848/1955, provvedendo a ratificare e rendere esecutiva la Convenzione, ha introdotto nell�ordinamento interno i diritti fondamentali, aventi natura di diritti soggettivi pubblici, previsti dal titolo primo della Convenzione e in gran parte coincidenti con quelli gia indicati nell�art. 2 Cost., rispetto al quale il dettato della Convenzione assume una portata confermativa ed esemplificativa (Corte costituzionale, 388/1999). La natura immediatamente precettiva delle norme convenzionali a seguito di ratifica dello strumento di diritto internazionale � stata gi� del resto riconosciuta esplicitamente dalla giurisprudenza di questa Corte che ha affermato l�avvenuta abrogazione dell�art. 34, comma 2, IL CONTENZIOSO NAZIONALE 255 del r.d.l. 511/1946, nella parte in cui escludeva la pubblicit� della discussione della causa nel giudizio disciplinare a carico di magistrati per contrasto con la regola della pubblicit� delle udienze sancito dall'art. 6 della Convenzione che pone precisi limiti alla discussione della causa a porte chiuse (Sezioni unite 7662/1991); parimenti ha riconosciuto il carattere di diritto soggettivo fondamentale, insopprimibile anche dal legislatore ordinario, al diritto all�imparzialit� del giudice nell'amministrazione della giustizia, con richiamo allart. 6 della Convenzione (Cassazione 4297/2002), e, infine, ha espressamente riconosciuto la natura sovraordinata alle norme della Convenzione sancendo l�obbligo per il giudice di disapplicare la norma interna in contrasto con la norma pattizia dotata di immediata precettivit� nel caso concreto (Cassazione 10542/2002). Deve essere quindi superato l�orientamento secondo cui la fonte del riconoscimento del diritto all�equa riparazione dev'essere ravvisata nella sola normativa nazionale (Cassazione 11046/2002; 11987/2002; 16502/2002; 5664/2003; 13211/2003) e ribadito il principio che il fatto costitutivo del diritto all'indennizzo attribuito dalla legge nazionale coincide con la violazione della norma contenuta nell�art. 6 della convenzione, di immediata rilevanza nel diritto interno. N� appare meritevole di consenso la distinzione adombrata in sede di discussine orale, tra diritto ad un processo di ragionevole durata, introdotto dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo (o addirittura ad essa preesistente come valore costituzionalmente protetto), e diritto all'equa riparazione, che sarebbe stato introdotto solo con la l. 89/2001, in quanto la tutela assicurata dal giudice nazionale non si discosta da quella precedentemente offerta dalla Corte di Strasburgo, alla cui giurisprudenza � tenuto a conformarsi il giudice nazionale (Sezioni unite 1340/2004). Da ci� consegue che il diritto all�equa riparazione del pregiudizio derivato dalla non ragionevole durata del processo verificatosi prima dell�entrata in vigore della l. 99/2001 va riconosciuto dal giudice nazionale anche in favore degli eredi della parte che abbia introdotto prima di tale data il giudizio del quale si lamenta la non ragionevole durata, col solo limite che la domanda di equa riparazione non sia stata gi� proposta alla Corte di Strasburgo e che questa si sia pronunciata sulla sua ricevibilit�. L�accoglimento del primo motivo di ricorso non preclude l�esame del secondo motivo, avente natura autonoma, con il quale si lamenta il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia con riferimento all�affermazione, posta a fondamento della statuizione di rigetto della domanda di equa riparazione per l�eccessiva durata dei processi pendenti dinanzi al giudice amministrativo, secondo cui la mancata o tardiva presentazione dell'istanza di prelievo escluderebbe la permanenza di un interesse alla decisione in capo al ricorrente, non essendo dato riscontare l�esistenza di una presunzione generale in tal senso. Va premesso al riguardo che nel sistema vigente prima dell�entrata in vigore della l. 205/2000 - al quale deve farsi riferimento per i giudizi dei quali si lamenta nella specie la non ragionevole durata - il processo amministrativo richiede, dopo il deposito del ricorso, un solo necessario, infungibile impulso di parte costituito dalla presentazione nei due anni dal deposito del ricorso (o dall'ultimo atto della procedura quando venga ordinata un�attivit� istruttoria o la causa sia stata cancellata dal ruolo) di un�apposita istanza di fissazione, in mancanza della quale la causa si estingue per perenzione; una volta presentata tale istanza, infatti, il processo � dominato dal potere di iniziativa del giudice e non costituisce, perci�, adempimento necessario l�istanza di prelievo del ricorso dal ruolo, prevista dall�art. 51, comma 2, r.d. 642/1907, che ha il solo fine di fare dichiarare il ricorso urgente onde ottenerne la trattazione anticipata sovvertendo l�ordine cronologico di iscrizione delle domande di fissazione dell�udienza di 256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 discussione. Orbene, con riferimento al problema dell�individuazione del momento iniziale dal quale decorre la durata del procedimento amministrativo instaurato prima dellentrata in vigore della l. 205/2000 la giurisprudenza prevalente afferma che esso coincide con quello della presentazione dell'istanza di prelievo, ritenendo sufficiente a tal fine l�onere posto a carico del ricorrente di avvalersene per trarre il ricorso da una condizione di quiescenza e ottenerne l�effettiva trattazione, in considerazione del fatto che l�art. 2, comma 2, della l. 89/2001 esclude l�addebitabilit� all�Amministrazione dei tempi imputabili alla negligente condotta della parte che non si sia avvalsa dello strumento acceleratorio posto a sua disposizione, sicch� solo dal momento della presentazione di tale istanza il decorso del tempo potrebbe considerarsi parametro esclusivo di valutazione del comportamento del giudice adito al fine di valutare la ragionevolezza della durata del processo (Cassazione 15445/2002; 15992/2002; 6180/2003; 22503/2004). A tale interpretazione si contrappone un orientamento minoritario secondo cui la mancata presentazione dell�istanza di prelievo non pu� influire sul calcolo dei termini del processo, ma potrebbe incidere unicamente sulla determinazione dell�entit� dell'equa riparazione spettante con riferimento al dettato dell'art. 2056 c.c. richiamato nell�art. 2 della l. 89/2001, che a sua volta richiama l�art. 1227, il quale al secondo comma esclude il risarcimento dei danni che il danneggiato avrebbe potuto evitate usando l�ordinaria diligenza, col risultato che la durata irragionevole del processo, ancorch� accertata, non potrebbe porsi esclusivamente a carico dello Stato (Cassazione 3347/2003). Va segnalato che successivamente alla ordinanza di rimessione degli atti al Primo Presidente, � intervenuta una nuova pronuncia (Cassazione 23187/2004) con la quale, in adesione all�orientamento ripetutamente espresso dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ha gi� proceduto alla revisione dell�interpretazione sinora prevalente affermando che la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo va riscontrata, anche per le cause proposte davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo di tempo decorso dall�instaurazione del procedimento, senza che su di esso possa incidere la mancata o ritardata presentazione dell�istanza di prelievo. Tale interpretazione, che ha incontrato il consenso delle decisioni che si sono succedute sulla questione in esame (Cassazione 18759/2005; 19801/2005), merita ulteriore conferma in considerazione del fatto - evidenziato nella motivazione della citata pronuncia - che la presenza di strumenti sollecitatori non sospende n� differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, n� implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilit� per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell�apprezzamento dell'entit� del lamentato pregiudizio. In conclusione il ricorso merita accoglimento e conseguentemente il decreto impugnato dev�essere cassato con rinvio della causa ad altro giudice il quale si conformer� ai principi di diritto innanzi enunciati. Al giudice di rinvio viene rimessa altres� la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione P.Q.M. La Corte, pronunciando a Sezioni unite, accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Genova, cui rimette altres� la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. Cos� deciso in Roma, il 15 dicembre 2005. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 257 ** *** ** Cassazione civile, Sezione Prima, sentenza 28 novembre 2008 n. 28428 Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 16.4.2004, G.B. chiedeva alla Corte di Appello di Roma che, previo accertamento della violazione dell�art.6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo (d�ora in avanti, per brevit�, denominata semplicemente �Convenzione europea�), sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, venisse disposta la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di quanto dovutogli a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale subito in conseguenza del fatto: a) che, in data 28.10.1974, aveva proposto ricorso alla Corte dei Conti avverso il decreto n. 1056/l973 del Ministero della Difesa, mediante il quale gli era stato negato il trattamento di pensione privilegiata ordinaria; b) che, in data 30.6.1998, aveva presentato istanza di sollecito; c) che, in data 23.2.2001, detto Giudice aveva pronunciato sentenza di rigetto; d) che tale decisione, con ricorso notificato il 22.2.2002, era stata impugnata davanti alla Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Centrale, la quale aveva pronunciato sull�appello mediante sentenza in data 11.6.2003. Si costituiva in giudizio l�Amministrazione convenuta, resistendo alla pretesa avversaria. La Corte territoriale adita, con decreto emesso in data 25.10.2004/4.10.2005, rigettava il ricorso, assumendo che la durata del giudizio presupposto dovesse considerarsi ragionevole, atteso che il giudizio di primo grado era stato definito nel termine di anni tre circa dal deposito dell�istanza di prelievo, laddove il giudizio di secondo grado era stato definito nel termine di sedici mesi circa dalla proposizione dell�appello, onde non risultavano superati i termini solitamente indicati dalla Corte di Strasburgo per giudizi similari. Avverso tale decreto, ricorre per cassazione il B., deducendo due motivi di gravame, ai quali non resiste la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ai sensi dell�art.375 c.p.c., � stata fissata l�adunanza in camera di consiglio. Motivi della decisione Con il primo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6 della Convenzione europea, nonch� della L. n. 585 del 1971, art. 20 e della L. n. 19 del 1994, art. 6, concernenti le norme processuali del Giudice contabile, assumendo: a) che le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza n. 28507 del 2005, in adesione all�orientamento ripetutamente espresso dalla giurisprudenza europea, hanno affermato che la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo va riscontrata, anche per le cause proposte davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo di tempo decorso dall�instaurazione del procedimento, senza che su di esso possa incidere la mancata o ritardata presentazione dell�istanza di prelievo o di sollecito; b) che la Corte territoriale ha ignorato la speciale normativa processualistica del Giudice contabile, alla quale � completamente sconosciuto l�uso dell�istanza di prelievo; c) che, solo con la riforma del 1994 (L. n. 19) ed in riferimento ai processi pendenti, il legi- 258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 slatore ha espressamente prescritto all'art. 6 che la parte, la quale ne aveva interesse, doveva proporre, nel termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione della segreteria della sezione, istanza per la prosecuzione del giudizio, sanzionando l�inottemperanza con l�estinzione dello stesso, dichiarata d�ufficio; d) che, pertanto, fino alla novella del 1994, l�odierno ricorrente non aveva alcun potere di impulso processuale, governando il principio dell�officialit�, laddove, successivamente, egli ha utilizzato tutti gli strumenti messi a disposizione dall'ordinamento per il regolare svolgimento del processo. Il motivo � manifestamente fondato. La Corte territoriale, con apprezzamento di per s� incensurato, ha dato conto del fatto: a) che, in data 28.10.1974, � stato proposto dal B. ricorso alla Corte dei Conti avverso il Decreto n. 1056 del 1973, del Ministero della Difesa, mediante il quale gli era stato negato il trattamento di pensione privilegiata ordinaria; b) che, in data 30.6.1998, il medesimo B. ha presentato istanza di sollecito; c) che, in data 23.2.2001, il Giudice contabile ha pronunciato sentenza di rigetto; d) che tale decisione, con ricorso notificato il 22.2.2002, � stata impugnata davanti alla Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Centrale, la quale ha pronunciato sull�appello mediante sentenza in data 11.6.2003. La stessa Corte territoriale, peraltro, ha ritenuto che �il termine del giudizio presupposto deve considerarsi ragionevole, atteso che il giudizio di primo grado � stato definito nel termine di anni tre circa dal deposito dell'istanza di prelievo, mentre il giudizio di secondo grado � stato definito nel termine di sedici mesi circa dalla proposizione dell'appello, sicch� non risultano superati i termini solitamente indicati dalla Corte di Strasburgo per giudizi similari�. Argomentando in tal modo, il Giudice di merito non ha fatto corretta applicazione del principio, uniformemente enunciato da questa Corte all�esito della pronuncia delle Sezioni Unite n. 28507 del 23 dicembre 2005 (cos�, in termini, Cass. 29 marzo 2006, n. 7118; Cass. 21 aprile 2006, n. 9411; Cass. 28 aprile 2006, n. 9853; Cass. 11 maggio 2006, n. 10894; Cass. 7 luglio 2006, n. 15603; Cass. 14 novembre 2006, n. 24258; Cass. 16 novembre 2006, n. 24438, onde, in questo senso, appunto, la manifesta fondatezza del motivo in esame), secondo cui, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all�art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall�instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell�istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, l� dove, cio�, la previsione di strumenti sollecitatori non sospende n� differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, in caso di omesso esercizio degli stessi, n� implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilit� per il superamento del termine ragionevole di definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell'apprezzamento dell'entit� del lamentato pregiudizio. N�, in contrario, pu� essere tratto argomento dalla recente disposizione contenuta nel D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito nella L. 6 agosto 2008, n. 133, l� dove tale disposizione recita �La domanda di equa riparazione non � proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, non � stata presentata un'istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2�. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 259 Premesso, infatti, come il D.L. n. 112 del 2008 sia entrato in vigore il �25 giugno 2008�, ovvero (ai sensi dell'art. 85 di esso) �il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale�, deve, nella specie, osservarsi che, in difetto di esplicite previsioni contrarie (tale essendo esattamente il caso in esame), il principio dell�immediata applicazione della legge processuale sopravvenuta ha riguardo soltanto agli atti processuali successivi all�entrata in vigore della legge stessa, alla quale non � dato di incidere, pertanto, sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio del tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere (come, di nuovo nella specie, la domanda di equa riparazione avanzata il 16.4.2004), un generale criterio di �affidamento� legislativo (desumibile dall�art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale) precludendo la possibilit� di ritenere che gli effetti dell�atto processuale gi� formato al momento dell�entrata in vigore della nuova disposizione (domanda appunto di equa riparazione) siano da quest'ultima regolati, quanto meno nei casi (come quello in esame) in cui la retroattivit� della disciplina verrebbe a comprimere la tutela della parte, senza limitarsi a modificare la mera tecnica del processo (Cass. 12 maggio 2000, n. 6099). Del resto, � appena il caso di osservare come l�orientamento giurisprudenziale sopra riportato sia stato ribadito da questa Corte anche in relazione alle cause davanti al Giudice contabile e, segnatamente, a quelle pensionistiche, rispetto alle quali, cio�, trovasi parimenti affermato che la lesione del diritto alla definizione del processo nel termine ragionevole va riscontrata con riguardo al periodo intercorso dall�instaurazione del procedimento, ovvero tenendo conto del tempo complessivo dell'attesa della risposta sulla domanda di giustizia, senza che una simile decorrenza del predetto termine di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in seguito alla mancanza (o al ritardo nella presentazione) dell�istanza di prelievo o di sollecitazione o di trattazione anticipata, ove pure prevista dalla prassi degli uffici giudiziari quale strumento acceleratorio (Cass. 21 febbraio 2006, n. 3782; Cass. 7 aprile 2006, n. 8156). Pertanto, risultando inammissibile il secondo motivo di gravame (attraverso il quale � stato lamentato che, una volta accertata la violazione del termine ragionevole, non bisogna tener conto del solo tempo eccedente, ma l�indennizzo va riconosciuto e applicato per ogni anno di durata del processo e non per ogni anno di ritardo, laddove, per�, la Corte territoriale ha rigettato il ricorso per equa riparazione sulla base dell�assorbente rilievo di cui al motivo che precede, senza minimamente statuire in ordine al profilo dedotto con tale secondo motivo), il ricorso odierno merita accoglimento nei sensi di cui in motivazione, onde l�impugnato decreto deve essere cassato in relazione alle censure accolte e, ravvisata la sussistenza delle condizioni indicate dall�art. 384 c.p.c., comma 1, ultima parte, (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), nel senso esattamente che il periodo eccedente la ragionevole durata del giudizio presupposto risulta determinato in �24�anni (dovendosi detrarre dalla durata complessiva di quest�ultimo, da apprezzare in circa �29� anni, ovvero dall'inizio, in data 28.10.1974, sino alla pronuncia, in data 11.6.2003, della sentenza della Corte dei Conti in sede di appello, la durata �normale� di due gradi di giudizio, stimata pari a complessivi anni �5�) e che pu�, del resto, ripercorrendo gli arresti della Corte europea dei diritti dell�uomo, individuarsi nell'importo di Euro 1.000,00, la base di calcolo dell'equa riparazione per ciascun anno in relazione al danno non patrimoniale (Cass. 23 aprile 2005, n. 8568; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1630; Cass. 13 aprile 2006, n. 8714; Cass. 7 dicembre 2006, n. 26200; Cass. 22 dicembre 2006, n. 27503; Cass. 24 gennaio 2007, n. 1605; Cass. 1 marzo 2007, n. 4845), suscettibile di venire innalzata fino ad euro 1.500,00 (ed anche al di sopra) per le (sole) ipotesi che presentino specifiche e peculiari connotazioni di intensit� dello 260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 stress e dell�ansia da attesa di una decisione liberatoria, la Presidenza del Consiglio dei Ministri deve essere condannata al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 24.000,00, oltre agli interessi legali dalla domanda (16.4.2004) sino al saldo. La sorte delle spese del giudizio di merito e di quello di legittimit� segue il criterio della soccombenza, liquidandosi dette spese, rispettivamente, in complessivi Euro 1.075,00, di cui Euro 475,00 per diritti ed Euro 500,00 per onorari, nonch� in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 600,00 per onorari, oltre, in ambedue i casi, le spese generali (nella misura percentuale del 12,50% sull�importo degli onorari medesimi) e gli accessori (I.V.A. e Cassa Previdenza Avvocati) dovuti per legge. Le (sole) spese riguardanti il giudizio di legittimit� vanno, infine, distratte a vantaggio del difensore Avv. A. Marchetti, il quale se ne � dichiarato antistatario proponendo la relativa istanza ex art. 93 c.p.c., laddove analogo provvedimento non pu� essere adottato in ordine alle spese riguardanti il giudizio di merito, risultando dalla stessa intestazione dell'impugnato decreto come l�anzidetto difensore non fosse munito di �procura� (secondo quanto richiesto dal gi� citato art. 93 c.p.c.) in quest�ultimo giudizio. P.Q.M. La Corte: Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, decidendo la causa nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore di B.G., della somma di Euro 24.000,00, oltre agli interessi legali dalla domanda sino al saldo, nonch� al rimborso, in favore del ricorrente, delle spese dei giudizi di merito e di legittimit�, liquidate, rispettivamente, in complessivi Euro 1.075,00, di cui Euro 475,00, per diritti ed Euro 500,00, per onorari ed in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 600,00, per onorari, oltre, in ambedue i casi, le spese generali e gli accessori dovuti per legge, disponendo la distrazione delle spese del giudizio di legittimit� a vantaggio del difensore antistatario Avv. A. Marchetti. Cos� deciso in Roma, il 4 luglio 2008. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 261 Sugli effetti della cancellazione delle societ� dal registro delle imprese La parola alle Sezioni Unite (Corte di Cassazione, Sezione Prima, sentenza 15 settembre 2009 n. 19804) Con la sentenza interlocutoria del 15 settembre 2009 n. 19804, la I sez. civile della Corte di Cassazione, dopo aver preso atto dell'esistenza di un contrasto in seno alle sezioni semplici, ha rimesso la causa al Primo Presidente per l�eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, al fine di stabilire se la cancellazione dal registro delle imprese comporta o meno l�estinzione della societ�. Secondo una prima interpretazione - che ripropone l�orientamento giurisprudenziale tradizionale consolidatosi, antecedentemente alla riforma del diritto societario, con riguardo al previgente art. 2456, comma 2, c.c - anche a seguito della modifica apportata all�art. 2495 c.c., dall�art. 4, d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la formale cancellazione della societ� dal registro delle imprese non comporta la sua estinzione, che � determinata, invece, soltanto dalla effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti, che alla stessa societ� fanno capo, nonch� dalla definizione di tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi (cfr. Cass., sez. III civ., 15 gennaio 2007, n. 646; Id., sez. civ. III, 23 maggio 2006, n. 12114; prima della riforma delle societ�, cfr. Cass. 18 agosto 2003, n. 12078; Id. 26 aprile 2001, n. 6078; Id. 12 giugno 2000, n. 7972; Id. 4 ottobre 1999, n. 11021; Id. 14 maggio 1999, n. 4774; Id. 20 ottobre 1998, n. 10380 e Id. 5 settembre 1996, n. 8099). Secondo un altro indirizzo - che invece � divenuto maggioritario a seguito della riforma del diritto delle societ� - ai sensi del novellato art. 2495, comma 2, c.c., la cancellazione dal registro delle imprese produce l�effetto costitutivo dell�estinzione irreversibile della societ�, anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti ancora non definiti (cfr. Cass., sez. I civ., 12 dicembre 2008, n. 29242; Id., sez. II civ., 15 ottobre 2008, n. 25192; Id. sez. lav., 18 settembre 2007, n. 19347; Id. sez. I civ., 28 agosto 2006, n. 18618). L�orientamento giurisprudenziale favorevole all�estinzione delle societ� cancellate dal registro delle imprese si fonda sul rilievo secondo il quale il nuovo testo dell'art. 2495 c.c., comma 2, anteponendo al vecchio testo dell�art. 2456, comma 2, c.c. (che prevede le azioni dei creditori insoddisfatti nei confronti di soci e liquidatori), la proposizione "Ferma restando l'estinzione della societ�", manifesterebbe la volont� del legislatore di stabilire che la cancellazione produce l'effetto costitutivo dell'estinzione irreversibile della societ� anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti. Esso pu� essere cos� riassunto: 262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 a) a seguito della modifica apportata all�art. 2495 c.c., dall�art. 4, d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, oggi vige nel nostro ordinamento il principio generale secondo il quale alla cancellazione dal registro delle imprese consegue l�irreversibile estinzione della societ�; b) tale principio trova applicazione non solo alle societ� di capitali ed alle societ� cooperative (alle quali espressamente fa riferimento il vigente art. 2495 c.c.), ma anche alle societ� di persone (e ci� costituisce una novit� assoluta nel panorama giurisprudenziale, atteso che la stessa Corte di Cassazione aveva continuato a sostenere, anche dopo la riforma del diritto delle societ�, che l�art. 2495 c.c., non poteva trovare applicazione alle societ� di persone - cfr., per tutte, Cass., sez. civ. III, 23 maggio 2006, n. 12114). c) la natura meramente ricognitiva della nuova disposizione comporta che l�art. 2495 c.c. si applica retroattivamente, anche ai rapporti giuridici pendenti alla data del 1 gennaio 2004, con la sola esclusione dei rapporti giuridici gi� esauriti e degli effetti gi� in precedenza irreversibilmente verificatisi; d) con riguardo ai processi in corso, si afferma che questi non possano pi� proseguire nei confronti o su iniziativa della persona giuridica cancellata, con conseguente inammissibilit� delle azioni proposte nei confronti o su iniziativa della societ� estinta. Che l�incipit del comma 2 dell�art. 2495 c.c. abbia posto fine all�annosa querelle in ordine all�efficacia, costitutiva o dichiarativa, della cancellazione della societ� dal registro delle imprese, risolvendola in favore della prima soluzione (in tal senso si � espressa anche la prevalente dottrina commentando la riforma delle societ�, cfr. ASSOCIAZIONE PREITE, Il nuovo diritto delle societ�. Societ� di capitali e cooperative, a cura di G. Olivieri, G. Presti, F. Vella, Bologna, 2003, pagg. 356-366, V. BUONOCORE, in AA. VV., Istituzioni di diritto commerciale, a cura di V. Buonocore, Torino, 2003, pag. 272; G. F. CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2003, pag. 320; F. CORSI, Le nuove societ� di capitali, Milano, 2003, pag. 279; F. GALGANO, Il nuovo diritto delle societ�, nel Trattato Galgano, 2003, pag. 410; V. SALAFIA, Scioglimento e liquidazione delle societ� di capitali, in Societ�, 2003, pag. 382), � messo in discussione dalla sentenza in commento, n. 19804 del 15 settembre 2009, secondo la quale l'interpretazione proposta dell'art. 2495 c.c. troverebbe nella lettera della legge soltanto un modesto supporto, e nessuno nella legge delega, che dava, invece, mandato al legislatore delegato di disciplinare "gli effetti della cancellazione della societ� dal registro delle imprese" (L. 3 ottobre 2001, n. 366, art. 8, comma 1, lett. a). A ci� si aggiunga che dalla lettura della relazione illustrativa (ove si legge, al � 12, che: �Per la residua disciplina (artt. 2491 - 2496) si � ritenuto di poter riprodurre sostanzialmente la disciplina esistente�� ) emerge che il legislatore del 2003 non sembra essersi mosso, inequivocabilmente, nella direzione di assegnare efficacia costitutiva alla cancellazione della societ�. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 263 Ne deriva l�esigenza - evidenziata dalla sentenza in commento, e a cui dovranno dare risposta le Sezioni Unite della Corte di Cassazione - di ricercare una soluzione interpretativa che contemperi l�anzidetto orientamento giurisprudenziale favorevole all�estinzione della societ� cancellata, con l�interesse ad una effettiva tutela dei creditori sociali (specie, fra questi ultimi, quelli che come il fisco e gli enti previdenziali intervengono dopo un lungo periodo di tempo), e che potrebbe passare attraverso la distinzione, nell�ambito delle cc.dd. sopravvenienze, tra le sopravvenienze vere e proprie e le passivit� note, con la conseguenza di escludere l�effetto estintivo della cancellazione soltanto nel caso in cui i liquidatori abbiano omesso dolosamente o colposamente di soddisfare i creditori sociali, conosciuti o conoscibili usando l�ordinaria diligenza, al momento della cancellazione della societ� (cfr., in tal senso, G. MINERVINI, La fattispecie estintiva delle societ� per azioni e il problema delle cc.dd. sopravvenienze, in Riv. trim. dir, proc. civ., 1952, pag. 1009). Giuseppe Zuccaro* Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 15 settembre 2009 n. 19804 - Pres. Luccioli, Rel. Panzani - R. A. (Avv.ti S. Cersosimo e M. P.G. Guerra ) c. R.A.S., Riunione Adriatica di Sicurt� S.p.A. (Avv.ti R. Michele e C. F. Galantini). (... Omissis ...) MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo il R. deduce difetto e contraddittoriet� della motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione dell'art. 2456 c.c.. Argomentando anche dalla giurisprudenza formatasi dopo la riforma societaria con riferimento all'art. 2495 c.c. novellato, oltre che dall'insegnamento di Corte costituzionale 319/2000, il ricorrente sostiene che la cancellazione della societ� dal registro delle imprese ne determina l'estinzione, anche quando sopravvivano rapporti di debito e credito. La Corte d'appello nell'affermare che la cancellazione, secondo la disciplina pregressa dettata dall'art. 2456 vecchio testo c.c. avrebbe un valore dichiarativo e nel concludere, tuttavia, che si avrebbe non un'estinzione automatica, ma una semplice presunzione di estinzione, avrebbe reso un'affermazione contraddittoria. Ne deriverebbe che la notifica della sentenza 9786/93 alla societ� nella sua sede non potrebbe essere valida e non potrebbe pertanto aver avuto effetti interruttivi della prescrizione. Non si comprenderebbe inoltre in base a quali elementi la Corte di merito avrebbe potuto ritenere superata la presunzione di estinzione della societ� da essa stessa affermata. (... Omissis) 2. E' preliminare l'esame del primo motivo di ricorso. (*) Procuratore dello Stato. 264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Questa Corte con recenti decisioni ha affermato che in tema d'interpretazione del nuovo diritto societario, la modifica dell'art. 2495 cod. civ., D.Lgs. n. 6 del 2003, ex art. 4, secondo la quale la cancellazione dal registro delle imprese determina, contrariamente a quanto previsto per la disciplina previgente dall'art. 2456 c.c., l'estinzione della societ�, si applica anche alle societ� di persone, nonostante la prescrizione normativa indichi esclusivamente quelle di capitali e quelle cooperative ed, inoltre la norma, per la sua funzione ricognitiva, � retroattiva e trova applicazione anche in ordine alle cancellazioni intervenute anteriormente al 1 gennaio 2004, data di entrata in vigore delle modifiche introdotte dal citato D.Lgs. n. 6 del 2003, con la sola esclusione dei rapporti esauriti e degli effetti gi� irreversibilmente verificatisi (Cass. 28.8.2006, n. 18618; Cass, 18.9.2007, n. 19347; Cass. 15.10.2008, n. 25192; Cass. 12.12.2008, n. 29242). Nella fattispecie esaminata Cass. 18618/06 in sede di giudizio di opposizione a dichiarazione di fallimento ha ritenuto che, nel caso in cui la dichiarazione di fallimento sia stata chiesta da una societ� successivamente cancellata dal registro delle imprese, non occorre procedere all'integrazione del contraddittorio nei confronti della stessa, non avendo il giudizio ad oggetto l'accertamento del diritto di quest'ultima, e non vertendosi dunque in un'ipotesi di litisconsorzio sostanziale, giustificato dalla qualit� di parte del rapporto sostanziale controverso, ma in un'ipotesi di litisconsorzio processuale, in relazione alla quale la cancellazione della societ� istante esclude la possibilit� di una integrazione del contraddittorio nei confronti della stessa, in quanto estinta, ben potendo il giudizio proseguire tra le altre parti. Cass. 29242/08 ha ritenuto inammissibile la proposizione del ricorso per cassazione per inesistenza del soggetto proponente e conseguente difetto di rappresentanza processuale, trattandosi di societ� in nome collettivo cancellata dal registro delle imprese dopo la notifica dell'atto di appello, senza che l'evento fosse stato dichiarato in quel giudizio. Cass. 19347/07 ha, analogamente, dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei confronti di un consorzio cancellato dal registro delle imprese, in quanto soggetto inesistente e Cass. 25192/08 ha pronunciato negli stessi termini con riferimento a societ� in nome collettivo cancellata dal registro sin dall'8.1.2003. In senso contrario con numerose pronunce, anche recenti, la Corte, facendo seguito ad un orientamento giurisprudenziale consolidatosi nel tempo tanto da essere considerato dalla Corte costituzionale come "diritto vivente" (Corte Cost. 319/2000), e facendo riferimento alla disciplina vigente anteriormente alla riforma societaria, ha ritenuto con riguardo sia alle societ� di persone che alle societ� di capitali che l'atto formale di cancellazione di una societ� dal registro delle imprese, cos� come il suo scioglimento, con instaurazione della fase di liquidazione, non determina l'estinzione della societ� ove non siano esauriti tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo a seguito della procedura di liquidazione, ovvero non siano definite tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi, e non causa, conseguentemente, in relazione a detti rapporti rimasti in sospeso e non definiti, la perdita della legittimazione processuale della societ� e un mutamento nella rappresentanza sostanziale e processuale della stessa, che permane in capo ai medesimi organi che la rappresentavano prima della cancellazione (ex multis Cass. 15.1.2007, n. 646; in Cass. 23.5.2006, n. 12114; Cass. 2.3.2006, n. 4652; Cass. 28.5.2004, n. 10314; Cass. 12.6.2000, n. 7972; Cass. 17.3.1998, n. 2869; Cass. 2.4.1999, n. 3221; Cass. 11.6.1968, n. 1849). Il primo orientamento si fonda sul rilievo, compiutamente sviluppato da Cass. 18618/06 cui hanno aderito senza ulteriori argomenti le successive pronunce, che il nuovo testo dell'art. 2495 c.c., comma 2, antepone al vecchio testo, che prevede le azioni dei creditori insoddisfatti nei confronti di soci e liquidatori, la proposizione "ferma restando l'estinzione della societ�". IL CONTENZIOSO NAZIONALE 265 In tal modo, si afferma, il legislatore della riforma avrebbe chiaramente manifestato la volont� di stabilire che la cancellazione produce l'effetto costitutivo dell'estinzione irreversibile della societ� anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti. Tale volont� sarebbe implicitamente confermata dalla previsione che i creditori insoddisfatti possono, entro un anno dalla cancellazione, notificare presso l'ultima sede della societ� la domanda proposta nel confronti di soci e liquidatori; si tratterebbe di una agevolazione che riproduce esattamente quella prevista dall'art. 303 c.p.c., comma 2, per la notifica della riassunzione agli eredi della parte defunta. La disposizione in questione, entrata in vigore il 1 gennaio 2004, troverebbe applicazione anche alle cancellazioni gi� iscritte nel registro delle imprese. Essa, infatti, disciplinerebbe diversamente, rispetto al diritto vivente nella sino ad oggi incontroversa interpretazione giurisprudenziale (la dottrina prevalente gi� riteneva, invece, che la cancellazione determinasse l'irreversibile estinzione della societ�), non la cancellazione (ma i suoi effetti, id est la situazione giuridica della societ� cancellata. Si osserva in proposito che il principio della irretroattivit� della legge comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita, se in tal modo si disconoscano gli effetti gi� verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future dello stesso. Lo stesso principio comporta, invece, che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorch� conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore. In questa prospettiva l'art. 2495 c.c. nuovo testo non avrebbe disciplinato le condizioni per la cancellazione della societ�, che presuppone sempre la liquidazione e l'approvazione del relativo bilancio finale, ma i soli effetti della cancellazione. La nuova disciplina, pertanto, troverebbe applicazione "retroattivamente con l'attribuzione ex nunc di effetti nuovi a fatti pregressi". Va sottolineato che non incide sull'esegesi della norma dettata dall'art. 2495 c.c. nuovo testo la sentenza n. 319 del 21 luglio 2000 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimit� della L. Fall., art. 10, nella parte in cui prevedeva, secondo le conclusioni dell'orientamento giurisprudenziale all'epoca consolidato, "che il termine di un anno dalla cessazione dell'impresa, entro il quale pu� intervenire la dichiarazione di fallimento, decorra, per l'impresa collettiva, dalla liquidazione effettiva dei rapporti facenti capo alla societ�, invece che dalla cancellazione della societ� stessa dal registro delle imprese". L'individuazione per l'imprenditore collettivo di un dies a quo formale, perch� legato alla cancellazione, e non sostanziale, quale quello fondato sulla cessazione della attivit� d'impresa, � legata, infatti, nella pronuncia del giudice delle leggi( all'esigenza di una disciplina se non uniforme, quantomeno coordinata con quella stabilita per la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore individuale cessato, ove sia intervenuta la cancellazione dal registro delle imprese, rispettosa del principio di ragionevolezza in forza del quale l'imprenditore collettivo non pu� essere esposto sine die alla dichiarazione di fallimento e cio� fino all'estinzione di tutti i rapporti giuridici facenti capo alla societ� cancellata. Tale interpretazione non contrasta, ma anzi presuppone, l'orientamento giurisprudenziale disatteso da Cass. 18618/06 e dalle altre pronunce che a quest'ultima si sono conformate. Va poi aggiunto che l'interpretazione proposta dell'art. 2495 c.c. trova soltanto un modesto supporto nella lettera della legge (� stato infatti sostenuto che l'inciso "Ferma restando l'estin- 266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 zione della societ�", con cui si apre l'art. 2495 c.c., comma 2, sarebbe indizio della natura d'interpretazione autentica della norma) e nessuno nella legge delega, che dava mandato al legislatore delegato di disciplinare "gli effetti della cancellazione della societ� dal registro delle imprese" (L. 3 ottobre 2001, n. 366, art. 8, comma 1, lett. a), e che il legislatore della riforma societaria, modificando le disposizioni di attuazione del codice civile (cfr. in particolare gli artt. 223 bis e ss. disp. att. c.c.), � intervenuto in numerosi casi, ma non in quello in esame, a regolare il passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina. N� il nuovo orientamento fa propria l'interpretazione del vecchio art. 2456 c.c. sostenuta dalla dottrina, in contrasto con l'orientamento giurisprudenziale all'epoca consolidato, n� sostiene che la nuova norma detti una disposizione d'interpretazione autentica della vecchia disciplina, come pur � stato sostenuto, ma afferma, come s'� detto, che la nuova disposizione contenuta nell'art. 2495 c.c. si applica anche alle cancellazioni poste in essere anteriormente all'entrata in vigore della nuova normativa. Cass. 18618/06 e le altre pronunce ad essa conformi si sono inoltre occupate di questioni di carattere processuale (necessit� d'integrazione del contraddittorio o di prosecuzione del giudizio nei confronti della societ� estinta), mentre nel caso di specie � questione dell'effetto interruttivo della prescrizione connesso alla notificazione effettuata nei confronti della societ� cancellata, interruzione che secondo la sentenza impugnata gioverebbe al creditore anche nei confronti del socio condebitore solidale nei limiti della quota di liquidazione percepita. Tuttavia, ove si aderisca all'orientamento inaugurato da Cass. 18618/06, e si ritenga che l'effetto estintivo della societ� si determini con efficacia ex tunc sin dal momento della cancellazione, quale effetto sopravvenuto in ragione della nuova disposizione di legge, non sarebbe possibile considerare il rapporto esaurito, sussistendo controversia pendente tra le parti, n� si potrebbe arbitrariamente far decorrere l'effetto estintivo da una data diversa da quella della cancellazione della societ� dal registro delle imprese (rectius, all'epoca dal registro presso la cancelleria commerciale), ancorch� assai risalente nel tempo. Atteso il contrasto tra i due orientamenti, gi� denunciato dalla 3^ Sezione civile di questa Corte con l'ordinanza 9 aprile 2009, n. 8665, con rilievi in parte differenti da quelli qui svolti, e la complessit� delle questioni di cui le pronunce che hanno dato vita al nuovo orientamento non si sono potute occupare, appare opportuno che la questione sia rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte. P.Q.M. la Corte rimette la causa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. Cos� deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 luglio 2009. Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2009 IL CONTENZIOSO NAZIONALE 267 Il ripristino degli �esami di riparazione� Incertezze giurisprudenziali e questioni applicative in merito all�ordinanza ministeriale n. 92 del 5 novembre 2007 del Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca (Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Seconda, sentenza 12 settembre 2008 n. 1891) SOMMARIO: Premessa. 1.- I termini della questione. 2.- La decisione del T.A.R. e la ricostruzione del relativo panorama normativo e giurisprudenziale. 3.- Quale incidenza ha la mancata attivazione o la non ammissione ai corsi di recupero nel giudizio di non ammissione alla classe successiva, ammesso che vi sia un obbligo delle istituzioni scolastiche ad attivare le relative attivit�? Premessa I genitori di un alunno, frequentante il terzo anno di un liceo scientifico statale, ricorrevano al TAR Piemonte avverso il provvedimento di non ammissione alla classe successiva assunto all�esito dello scrutinio di classe di fine anno. I ricorrenti, nello specifico, denunciavano l�illegittimit� del giudizio espresso dal Consiglio di classe sotto diversi profili, evidenziando, in particolare, che le cinque insufficienze, causa della bocciatura, sarebbero state determinate dalla mancata ammissione dello studente alla frequenza dei corsi di recupero attivati dall�istituto scolastico. Il giudice ad�to riteneva la doglianza fondata e meritevole di accoglimento, annullando di conseguenza il provvedimento impugnato (1). Sul piano normativo la pronuncia risultava fondata sulla estrema valoriz- (1) Sentenza n. 1776/2008, di cui si trascrive parte della motivazione: � in relazione al primo dei motivi in valutazione, va rilevato che nel corso dell�anno scolastico 2007 � 2008 il Consiglio di Classe ha disposto interventi di recupero nei confronti dello studente Andrea Marconi solo in relazione alle insufficienze riscontrate in scienze e disegno, consistiti esclusivamente in attivit� di studio individuale. Tuttavia, dalla pagella del primo quadrimestre risulta un�insufficienza anche in lingua e letterature latine, mantenuta anche in sede di scrutinio finale, mentre dai verbali di riunione del Consiglio di Classe del 28.3.2008 e del 30.4.2008 sono emerse insufficienze anche in matematica, fisica ed educazione fisica, inoltre dalla scheda allegata al verbale di scrutinio di giugno 2008 risulta un�insufficienza pure in filosofia. A fronte di ulteriori insufficienze, espressive di �un peggioramento progressivo della situazione nel corso dell�anno�, di cui si d� atto nel verbale di scrutinio finale, il Consiglio di classe non ha predisposto interventi di recupero delle ulteriori carenze rilevate, pure attivati verso altri studenti gravati da plurime insufficienze, con conseguente violazione degli artt. 4 e 6 dell�ordinanza ministeriale n. 92 del 05.11.2007. Ne deriva la fondatezza del motivo in esame, in quanto l�amministrazione non ha predisposto interventi di recupero in relazione ad alcune delle insufficienze che pure erano state rilevate nel corso dell�anno scolastico a carico dello studente A. M.�. 268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 zazione dell�obbligo di �attivare gli interventi di recupero� che l�art. 2 comma IV della Ordinanza Ministeriale n. 92/2007 pone a carico degli istituti scolastici, postulando in sostanza il principio che la stessa insufficienza del profitto, rilevata all�esito dello scrutinio, fosse indice e dimostrazione della denunciata insufficienza degli interventi attivati. A fronte di un cos� pericoloso precedente, l�Amministrazione proponeva appello al Consiglio di Stato, il quale sospendeva in sede cautelare l�efficacia della sentenza impugnata (2). Nelle more della decisione l�istituto scolastico, ottemperando alla decisione assunta dal giudice di prime cure, aveva tuttavia provveduto a rinnovare lo scrutinio annullato dal TAR, riconvocando il consiglio di classe e adottando un nuovo provvedimento di non ammissione diversamente motivato, nuovamente impugnato dagli interessati dinanzi al medesimo TAR. Tale secondo giudizio veniva definito con la sentenza n. 1891/2008, qui pubblicata, con la quale il Tribunale, mutando il proprio precedente orientamento, respingeva il ricorso, in ragione della rilevata �inutilit� di eventuali corsi di recupero, a cagione della �presenza di insufficienze diffuse, tali da non permettere di pronosticare un esito positivo alle attivit� di recupero�, prognosi suffragata inoltre anche dalla constatazione che detti corsi � si sono rivelati improduttivi�. 1. I termini della questione La decisione con cui il TAR piemontese si � pronunciato sul secondo ricorso proposto dai genitori dello studente non ammesso alla classe successiva si segnala in particolare per l�agile e puntuale ricostruzione dei principi normativi in materia di giudizio di valutazione scolastica, in conformit� con consolidati indirizzi giurisprudenziali. Per meglio apprezzare il relativo iter logico, � opportuno prendere le mosse dalle censure mosse dai ricorrenti, articolate in sei motivi di ricorso. Con il primo motivo di gravame si deduceva sotto diversi profili la violazione del giudicato derivante dalla sentenza emessa dal collegio piemontese sul precedente ricorso, mentre le dedotte illegittimit� della valutazione adottata dal consiglio di classe con riferimento all�attivit� di recupero ed all�attribuzione dei voti costituivano oggetto di ulteriori motivi di doglianza. (2) Cons. Stato, ord. n. 5033/2008: �Ritenuto che, allo stato, ad una prima e sommaria delibazione, tipica di questa fase, il complessivo andamento dell�anno scolastico impedisce di prevedere agevolmente un esito della vertenza favorevole alla parte interessata (tenuto conto delle numerose insufficienze riscontrate in varie materie caratterizzanti o meno l�indirizzo d�istituto), il che impone l�accoglimento dell�istanza cautelare, con riforma dell�impugnata sentenza breve�. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 269 2. La decisione del Tar e la ricostruzione del relativo panorama normativo e giurisprudenziale sotteso La sentenza presenta rilevanti profili di interesse in relazione alla corretta applicazione dell�ordinanza ministeriale n. 92/2007, oltre che alla rilevanza della discrezionalit� tecnica insita nelle valutazioni espresse dal consiglio di classe in sede di scrutinio scolastico, insindacabili dal giudice amministrativo se non per profili di evidente illogicit� e contraddittoriet�. Traendo spunto dal primo motivo di ricorso (violazione di precedente giudicato), il collegio dipana l�iter argomentativo lungo il quale articola l�intera decisione. Segnatamente il giudice, richiamandosi ad una risalente giurisprudenza, ha ritenuto legittimo l�operato dell�istituto scolastico, il quale, ottemperando alla sentenza di annullamento, ha provveduto al riesame della posizione dello studente, riconvocando appositamente il consiglio di classe. Una diversa soluzione si sarebbe tradotta in una violazione della disposizione di cui all�art. 6, commi 5 e 3 dell�O.M. n. 92/2007 (3), in quanto l�istituto scolastico, in ipotesi di accoglimento della tesi dei ricorrenti, avrebbe dovuto ammettere lo studente ai corsi di recupero estivi, nonostante le cinque insufficienze ostative in tal senso. In parallelo il collegio coglie l�occasione per ribadire, in linea con la giurisprudenza maggioritaria (4), che la valutazione adottata dal consiglio di classe in sede di scrutinio finale costituisce espressione di attivit� valutativa discrezionale non sindacabile dal giudice amministrativo se non esclusivamente sotto (3) L�art. 6 dell�O.M. n. 92/2007 rubricato �Scrutinio Finale� ai commi 3 e 5 espressamente prevede: �Per gli studenti che in sede di scrutinio finale, presentino uno o pi� discipline valutazioni insufficienti, il consiglio di classe, sulla base dei criteri predeterminati stabiliti, procede ad una valutazione della possibilit� dell�alunno di raggiungere gli obbiettivi formativi e di contenuto propri delle discipline interessate entro il termine dell�anno scolastico, mediante lo studio personale svolto autonomamente o attraverso la frequenza di appositi interventi di recupero. Si procede invece al giudizio finale nei confronti degli studenti per i quali il consiglio di classe abbia espresso una valutazione positiva, anche a seguito degli interventi di recupero seguiti, nonch� nei confronti degli studenti che presentino insufficienze tali da comportare un immediato giudizio di non promozione�. (4) Non � superfluo richiamare la decisione del Consiglio di Stato del 14/1/2004 n. 68 a tenore della quale �la valutazione degli studenti da parte del consiglio di classe costituisce l�espressione di un giudizio sulla loro preparazione, frutto di un apprezzamento discrezionale di carattere tecnico didattico non sindacabile se non sotto il profilo della illogicit� o contraddittoriet��, nonch� la giurisprudenza di alcuni tribunali amministrativi concordi nel ritenere che �l�esito dello scrutinio finale relativo alla promozione di un alunno e la valutazione del grado di insufficienza della preparazione raggiunta nelle materie oggetto del corso, nonch� la compatibilit� di questa con le possibilit� di recupero dell�alunno, costituiscono espressione di un giudizio di merito � quale esercizio di discrezionalit� tecnica � che spetta unicamente al consiglio di classe, non censurabile in sede di legittimit� innanzi al giudice amministrativo se non in presenza di evidenti illogicit��. 270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 i profili della illogicit� manifesta e della palese contraddittoriet� (5). Entrando poi, nel vivo della questione, il giudice richiama la normativa vigente per effetto della quale, conformemente a quanto previsto dal citato art. 6 comma 3 dell�O.M. del 5/11/2007 n. 92, i Consigli di classe hanno il potere � dovere di valutare l�avvenuto raggiungimento da parte degli alunni degli obiettivi formativi entro la fine dell�anno scolastico, mediante lo studio personale svolto autonomamente o attraverso la frequenza di appositi interventi di recupero, dovendosi in caso contrario rinviare il giudizio finale, a norma del comma successivo; ci� che non toglie, peraltro, che, per gli studenti che abbiano riportato insufficienze tali da escludere la possibilit� di recupero, ci� si traduca, ai sensi del 5� comma, in un immediato giudizio di non promozione. A tal proposito il collegio ha cura di sottolineare che il numero e la tipologia delle insufficienze che determinano la non ammissione alla classe successiva sono definite ed adottate dal collegio docenti all�inizio dell�anno scolastico. Nel caso di specie l�istituto scolastico ha stabilito che non sarebbero stati ammessi alla classe successiva gli studenti che avessero riportato quattro insufficienze, ovvero tre insufficienze gravi. Lo studente interessato, oltre ad un pessimo curriculum scolastico connotato da due pregresse bocciature, all�esito dell�anno scolastico riportava ben sette insufficienze, ridotte poi benevolmente a cinque dal medesimo consiglio di classe, di cui tre conseguite nelle materie di indirizzo. A ci� si aggiunga il giudizio negativo espresso dagli insegnanti in sede di scrutinio finale, tradottosi in una previsione sfavorevole in ordine alle concrete possibilit� che l�alunno potesse colmare le proprie lacune e frequentare utilmente il successivo anno scolastico. In queste condizioni il collegio ha ritenuto l�operato del Consiglio di classe corretto non solo in sede di scrutinio finale perch� conseguente �alla cogente normativa di settore� (6), ma anche in sede di riesame, in ottempe- (5) Segnatamente il giudice adito osserva che: �la valutazione delle prove d�esame costituisce attivit� che � tipica manifestazione di discrezionalit� tecnica (T.A.R. Campania-Napoli, sez. VI, 16 aprile 2007, n. 3680) che non � sindacabile se non sotto il profilo di macroscopici errori e vizi estrinseci (T.A.R. Molise, 19 luglio2006, n. 610) o in presenza di evidenti illogicit� (T.A.R. Lombardia -Milano, sez. VI, 18 gennaio 2006, n. 102) o contraddittoriet� (Consiglio di Stato, sez. VI, 14.1.2004, n. 68) e rispetto alla quale, quindi, non essendo consentito al Giudice amministrativo di sostituirsi all�organo amministrativo valutatore, il suindacato giudiziale � ammesso �solo nei ristretti limiti dell�illogicit� e della contraddittoriet� manifeste in quanto, diversamente opinando, il tribunale indebitamente finirebbe per invadere l�area dell�insindacabile merito valutativo riservata al succitato organo tecnico�. ( T.A.R. Toscana, sez. I, 16 novembre 2005, n. 6223; in terminis T.A.R. Toscana, sez. I, 24.5.2007, n. 797)�. (6) Osserva il collegio: �Reputato, pertanto, corretto l�operato del Consiglio di classe l� dove ha formulato il giudizio di non ammissione del giovane Marconi alla classe successiva in applicazione dei criteri di non promozione prestabiliti nella citata riunione del Collegio dei docenti, in forza dei commi 3 e 5 dell�art. 6 dell�O.M. n. 92/2007 e considerato altres� che il provvedimento oltre ad enunciare i giudizi e i voti - con apprezzamento espressivo di discrezionalit� tecnica insindacabile se non per i pro- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 271 ranza alla precedente pronuncia dello stesso giudice. In merito, infatti, il TAR adito non ha rilevato alcuna violazione del precedente giudicato in contrasto con la decisione assunta dal medesimo qualche settimana prima: nella precedente occasione, infatti, non era dato rinvenire alcun riferimento in merito alle modalit� che il Consiglio di classe avrebbe dovuto seguire nel rinnovare lo scrutinio, e ci� in quanto � come riportato in sentenza � �ci� che rileva, ai fini dell�autotutela, promossa in sede cautelare, � che il nuovo giudizio si appalesi congruo, motivato e logico e mostri di fondarsi su tutti gli elementi di valutazione previsti� (7). Ed ecco farsi strada un nuovo principio giurisprudenziale riassumibile in questi termini: deve ritenersi pienamente legittimo l�operato del consiglio di classe che, in ottemperanza ad una pronuncia di annullamento del giudizio di non ammissione di uno studente alla classe successiva, abbia riesaminato il provvedimento assunto attraverso il riesame dei giudizi formulati nelle singole materie, posto che un nuovo scrutinio equivarrebbe ad un rinvio del giudizio non consentito per effetto dell�art. 6, commi 3 e 5 dell�O.M. n. 92/2007 (8). 3. Quale incidenza ha la mancata attivazione o la non ammissione ai corsi di recupero nel giudizio di non ammissione alla classe successiva, ammesso che vi sia un obbligo delle istituzioni scolastiche ad attivare le relative attivit�? Altro aspetto degno di nota e di non secondaria importanza, ad avviso di chi scrive, attiene all�incidenza o meno dell�attivazione e frequenza dei corsi fili, nella specie insussistenti, dell�evidente illogicit� e contraddittoriet� � ha anche illustrato, con un giudizio ugualmente di puro merito del pari insindacabile, che le insufficienze del Marconi sono diffuse e �tali da non permettere di pronosticare un esito positivo alle attivit� di recupero�, convincimento fondato anche sulla considerazione dell�improduttivit� in cui � esitata l�attivit� di recupero parzialmente effettuata dal ricorrente: �visti gli esiti di quelli svolti in itinere a gennaio��. (7) La difesa erariale aveva rilevato che il giudice nel disporre l�annullamento del provvedimento impugnato aveva omesso di definire gli obblighi di comportamento a cui l�Amministrazione avrebbe dovuto conformarsi nell�adozione del nuovo provvedimento. Dall�omessa indicazione � se pu� realmente ritenersi tale � la controparte ha tratto spunto per sostenere l�illegittimit� del nuovo provvedimento assunto dal consiglio di classe perch� elusivo del precedente giudicato. Ci� che � doveroso rammentare in questa sede, passato sotto banco, ma evidenziato dall�Avvocatura dello Stato, � che l�efficacia del precedente giudicato deve limitarsi alla verifica della correttezza formale dello scrutinio, non potendo estendersi alla valutazione di merito riservata, in quanto tale e per pacifica giurisprudenza, al consiglio di classe, il quale, nel rinnovare le operazioni, � pienamente libero di confermare il precedente orientamento, ancorch� sulla base di valutazioni in parte riformulate, purch� debitamente ed adeguatamente motivate. (8) �� (omissis) ... non potendosi quindi sostenere che l�Amministrazione avrebbe dovuto sottoporre a nuovo scrutinio lo studente, in quanto ci� sarebbe equivalso ad un rinvio del giudizio non consentito - a causa delle ben cinque insufficienze riportate dallo studente - dal combinato disposto dei commi 3 e 5 dell�art. 6 dell�O.M. n. 92/2007 in relazione ai �criteri preventivamente stabiliti� (art. 6, comma 3, O.M. n. 92/2007 cit.) assunti dall�Istituto in via generale nella deliberazione del Collegio dei docenti per l�A.S. 2007/2008 del 27/11/2007.� 272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 di recupero da parte dello studente sul giudizio finale di non ammissione alla classe successiva. In merito si rendono opportune alcune considerazioni, quanto mai necessarie a fronte dell�apparente inconciliabilit� fra quanto sostenuto dal TAR Piemonte nella sentenza n. 1766/2008 e quanto successivamente statuito dal medesimo Tribunale nella decisione in commento. Nella prima, infatti, il giudice aveva ritenuto fondato il ricorso dello studente bocciato sulla base della mancata predisposizione degli interventi di recupero in relazione ad alcune materie, nonch� in ragione della mancata ammissione del ricorrente alle attivit� di recupero attivate nei confronti di altri studenti. In realt�, entrambe le sentenze, nonostante la loro inconciliabilit� di fondo, costituiscono valida occasione per mettere in luce alcuni aspetti della normativa del settore. Nell�ottica di assicurare il diritto allo studio, l�art. 2, 6� comma, della pi� volte citata O.M. n. 92/2007 prevede espressamente a carico delle istituzioni scolastiche lo specifico obbligo di attivare gli interventi di recupero volti a sostenere gli studenti in difficolt� onde prevenire l�eventuale insuccesso scolastico. Tuttavia il diritto allo studio, al pari di altri diritti, � condizionato dall�attuazione che il legislatore stesso ne d� mediante il bilanciamento dell�interesse tutelato con altri interessi parimenti rilevanti, fra i quali si annovera la disponibilit� delle risorse organizzative e finanziarie. A conferma di ci�, la stessa disposizione ha cura di precisare che alla competenza dei singoli istituti scolastici spetta il compito di �provvedere alla determinazione del numero degli interventi e della consistenza oraria da assegnare a ciascuno di essi� avendo peraltro cura di commisurare i suddetti interventi �in modo coerente rispetto al numero degli studenti ed alla diversa natura dei relativi fabbisogni, nonch� all�articolazione dei moduli prescelti ed alla disponibilit� delle risorse�. Alla luce del suesposto dettato normativo si evince, pertanto, che la scuola, se vincolata alla predisposizione degli interventi di recupero, resta pienamente libera di determinarne contenuti e modalit� tali da assicurare all�utenza lo svolgimento di un adeguato programma. Ma la citata O.M. non lascia nulla al caso avendo cura di individuare specificamente i fruitori delle suddette attivit� di recupero: �gli studenti che riportano voti di insufficienza negli scrutini intermedi e coloro per i quali i consigli di classe deliberino di sospendere il giudizio di ammissione alla classe successiva negli scrutini finali� (9). La ricorrenza dei presupposti normativamente tipizzati � comunque ri- (9) 5� comma dell�art. 2 dell�O.M. n. 92/2007. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 273 messa all�apprezzamento discrezionale del consiglio di classe che, in considerazione dei giudizi insufficienti riportati nelle singole materie unitamente ad un giudizio prognostico di esito positivo sulle capacit� di recupero, riterr� opportuno inserire i singoli studenti fra i destinatari dei corsi, proprio in ragione delle loro concrete possibilit� di colmare le carenze accumulate, posto che �il diritto allo studio � tutelato dall�ordinamento come possibilit� concreta per i discenti di acquisire cognizioni ed abilit�, e non gi� come un mero passaggio da una classe scolastica a quella successiva a prescindere dall�effettivo incremento della preparazione, e ci� nell�interesse sia del discente stesso, sia nell�evidente interesse pubblico alla formazione culturale e professionale dei cittadini� (10). Coerentemente altro Tribunale amministrativo (11) osserva che �sul giudizio finale di non ammissione dello studente alla classe superiore non possono in alcun modo incidere l�incompleta, carente o addirittura omessa attivazione dei corsi di recupero da parte della scuola, tenuto conto che il giudizio di non ammissione si fonda sull�insufficiente rendimento scolastico e quindi sull�insufficiente preparazione e maturazione per accedere alla successiva e pi� impegnativa fase degli studi�. Dott.ssa Emanuela Pazzano* Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Seconda, sentenza 12 settembre 2008 n. 1891 - Pres. Bianchi - Est. Graziano - Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca (Avv. dello Stato M. Prinzivalli - AL 4742/08) c/ R.M. e C.S. n.q. di legali rappresentanti esercenti la patria potest� del minore A.M. (Avv. S. Guerrizio). (...Omissis) Ravvisato il carattere manifesto di uno dei requisiti e presupposti che a norma dell�art. 26, comma 4 della legge n. 1034/71, introdotto dalla legge n. 205/2000, consentono d�ufficio al Collegio, in sede di decisione dell�incidente cautelare, di definire il giudizio nel merito, con sentenza succintamente motivata, sulla sola base dell�accertata completezza e integrit� del contraddittorio, anche senza che sia dato avviso alle parti di siffatta possibilit�, come invece � necessario per la definizione in via immediata del giudizio a norma dell�art. 21, comma 9 della citata legge T.A.R. (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 5.7.2008, n. 1487; Sez. I, 9.9.2008, n. 1888); Constatato che a seguito della Sentenza della Sezione n. 1766 del 26.7.2008 l�Istituto scolastico intimato ha proceduto al riesame in via di autotutela del provvedimento di non ammissione dello studente alla classe successiva, in linea con quanto il Consiglio di Stato ha gi� ritenuto legittimo, addirittura in una fattispecie di riconvocazione della commissione degli (10) T.A.R. Sicilia - Catania ordinanza n. 1871/2001. (11) T.A.R. Puglia - Bari decisione n. 6504/2004. (*) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 esami di maturit� a seguito di un giudicato cautelare, statuendo che �ci� che rileva, ai fini dell�autotutela, promossa in sede cautelare, � che il nuovo giudizio si appalesi congruo, motivato e logico e mostri di fondarsi su tutti gli elementi di valutazione previsti� (Consiglio Stato, Sez. VI, 23 febbraio 1999, n. 195) non potendosi quindi sostenere che l�Amministrazione avrebbe dovuto sottoporre a nuovo scrutinio lo studente, in quanto ci� sarebbe equivalso ad un rinvio del giudizio non consentito � a causa delle ben cinque insufficienze riportate dallo studente - dal combinato disposto dei commi 5 e 3 dell�art. 6 dell�O.M. 5.11.2007, n. 92 in relazione ai �criteri preventivamente stabiliti� (art. 6, comma 3, O.M. 5.11.2007 cit.) assunti dall�Istituto in via generale nella deliberazione del Collegio dei docenti per l�A.S. 2007/2008 del 27.11.2007 (doc. 9 produz. Avv. Stato); rammentato, in punto di diritto, che la valutazione delle prove d'esame costituisce attivit� che � tipi-ca manifestazione di discrezionalit� tecnica (T.A.R. Campania - Napoli, sez. VI, 16 aprile 2007, n. 3680) che non � sindacabile se non sotto il profilo di macroscopici errori e vizi estrinseci (T.A.R. Molise, 19 luglio 2006, n. 610) o in presenza di evidenti illogicit� (T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. III, 18 gennaio 2006, n. 102) o contraddittoriet� (Consiglio di Stato, Sez. VI, 14.1.2004, n. 68) e rispetto alla quale quindi, non essendo consentito al Giudice amministrativo di sostituirsi all�organo amministrativo valutatore, il sindacato giudiziale � ammesso �solo nei ristretti limiti dell�illogicit� e della contraddittoriet� manifeste in quanto, diversamente opinando, il tribunale indebitamente finirebbe per invadere l�area dell�insindacabile merito valutativo riservata al succitato organo tecnico�. (T.A.R. Toscana, Sez. I, 16 novembre 2005, n. 6223; in terminis, T.A.R. Toscana, I, 24.5.2007, n. 797); considerato, conseguentemente, che il riesame del provvedimento compiuto dal Consiglio di Classe del Liceo Scientifico Statale intimato nella riunione del 12.8.2008, riesame che - ripetesi - � l�unico obbligo che poteva predicarsi gravare sull�Istituto in adempimento della Sentenza n. 1766/2008 della Sezione, appare immune dai profili di evidente illogicit� o contraddittoriet� nei cui ristretti limiti, come sopra ricordato, la giurisprudenza unanime, condivisa dalla Sezione, consente il sindacato del Giudice amministrativo, essendo, al contrario, il provvedimento impugnato, congruamente motivato atteso che � dato ricostruire con precisione l�iter logico seguito, in quanto dal verbale censurato emerge che: 1) i �singoli docenti relazionano sui risultati conseguiti dall�alunno e formulano la proposta di voto secondo i criteri di valutazione deliberati dal Collegio dei Docenti del 25.10.2005�, proposta di voto che, tra l�altro, viene �debitamente motivata con apposita scheda�costituente �parte integrante del presente verbale� (verbale del 12.8.2008, pag. 1 � doc. 1 Avvocatura di Stato) dovendosi pertanto escludere in modo assoluto profili di carenza di motivazione nei giudizi e nello stesso voto alfanumerico,dal momento che la predetta scheda riporta giudizi analitici, per ciascuna materia, riferiti ai parametri dell�impegno, dell� attenzione e partecipazione, del progresso nel corso dell�anno e del profitto, espressi in termini di �adeguato/inadeguato� (impegno), �situazione peggiorata, situazione invariata, situazione migliorata (progresso nel corso dell�anno), �scarsa/discontinua/costante(attenzione e partecipazione),�insufficiente/ insufficiente/sufficiente/discreto/buono/ottimo� (profitto). Traspare, dunque, dal giudizio per ciascuna materia espresso in riferimento ai singoli predetti parametri, un quadro motivatorio completo ed adeguato, dal quale poi scaturisce, sempre per ciascuna materia, l�espressione alfanumerica di un voto, che a parere del Collegio si profila coerente con il relativo giudizio (ad es., relativamente alla materia �filosofia�, il voto di cinque � la risultante dei giudizi di inadeguato impegno, scarsa attenzione e partecipazione, situazione peggiorata quanto al parametro del progresso nel corso dell�anno, insufficiente quanto al parametro del IL CONTENZIOSO NAZIONALE 275 profitto; relativamente alla materia �fisica� assolutamente caratterizzante un Liceo Scientifico, il voto di cinque � la risultante di insufficiente impegno, discontinua partecipazione e attenzione, situazione peggiorata quanto al parametro del progresso nel corso dell�anno, insufficiente profitto); 2) in base ai criteri di promozione prestabiliti in via generale e astratta, in ossequio all�art. 6, comma 3 dell�O.M. n. 92/2007, il Collegio dei docenti, in persona del Presidente, ha ricordato che sarebbero stati dichiarati non promossi gli alunni che avessero riportato quattro insufficienze o tre di cui due gravi e che solo in casi eccezionali e motivati gli studenti in questione potranno essere ammessi se avranno evidenziato sforzi per colmare le lacune della preparazione e se, malgrado la mediocrit� del profitto posseggano sufficienti capacit� critiche ed espressive; indicazioni che appaiono al Collegio assolvere gli obblighi di motivazione, di trasparenza e di buon andamento dell�azione amministrativa; 3) a pag. 2 del verbale in analisi vengono poi riportati i voti alfanumerici risultanti dalla tabella prima analizzata, dalla quale risultano cinque insufficienze, ancorch� lievi, tra l�alto in materie importanti (latino, fisica, filosofia, scienze e disegno) delle quali una addirittura caratterizzante il percorso di studi scientifici (fisica). Non solo, ma in matematica e storia il Consiglio di classe ha elevato il relativo voto, portandolo da un voto medio di 5,5 e 5,8 alla sufficienza piena; 4) indi nel verbale gravato vengono anche riportati i giudizi sinotticamente enunciati nella tabella allegata e prima scandagliata, i quali condensano la motivazione di non ammissione (Impegno inadeguato in quasi tutte le discipline; attenzione e partecipazione scarse e discontinue in quasi tutte le discipline; insufficienze di disegno e scienze relative al I� quadrimestre, non recuperate; peggioramento significativo nell�ultimo periodo dell�anno; carenza di risultati positivi in una situazione di ripetenza; assenza di risultati positivi anche in occasione della frequenza di corsi di recupero in latino: risulta, cio�, che l�alunno � stato ammesso ad attivit� i recupero in latino, svolte mediante corsi attivati il 10,15,16 3 e 17 gennaio 2008 e riuscite improduttive), il tutto evidenziando, a parere della Sezione, un quadro motivazionale assolutamente adeguato, congruo e dettagliato; ricordato che la determinazione di non ammissione di cui al censurato verbale del Consiglio di classe consegue necessariamente alla cogenza della normativa di settore, ove si consideri che l�O.M. 5.11.2007 n. 92, la quale, al pari di tutte le ordinanze ministeriali in materia scolastica ha, per giurisprudenza pacifica, natura regolamentare, cio� fonte di diritto, all�art. 6, comma 3 attribuisce al Consiglio di classe il potere � dovere di prestabilire in via generale ed astratta, dei criteri in base ai quali, per gli studenti riportanti in sede di scrutinio finale valutazioni insufficienti in una o pi� discipline, valutare la �possibilit� dell�alunno di raggiungere gli obiettivi formativi (�) entro il termine dell�anno scolastico, mediante lo studio personale svolto autonomamente o attraverso la frequenza di appositi interventi di recupero�, all�uopo rinviandosi, in siffatte, ipotesi, il giudizio finale (art. 6, comma 4, O.M. cit.), statuendo, peraltro, il comma 5 dell�art. 6 in analisi, che �si procede, invece, al giudizio finale (�) nei confronti degli studenti che presentino insufficienze tali da comportare un immediato giudizio di non promozione�. Orbene, in forza della delineata potest� di autoregolamentazione � che muove nel segno dell�autonomia didattica che il nuovo quadro ordinamentale ha vieppi� riconosciuto alle Istituzioni scolastiche - attribuita alle scuole dal combinato disposto dei commi 3 e 5 dell�art. 6 dell�O.M. n. 92/57 il Liceo Scientifico Cavalieri, nella riunione del Collegio dei Docenti del 27.11.2007 ha stabilito che l�alunno che avesse riportato quattro insufficienze, o tre di cui due gravi anche in assenza di debiti non colmati, non potesse essere promosso (v. Criteri di non promozione, pagg. 3-4 verbale Collegio Docenti del 27.11.2007 di cui a Doc. 276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 9, produz. Avvocatura Stato); reputato, pertanto, corretto l�operato del Consiglio di Classe l� dove ha formulato il giudizio di non ammissione del giovane M. alla classe successiva in applicazione dei Criteri di non promozione prestabiliti nella citata riunione del Collegio dei docenti, in forza dei commi 3 e 5 dell�art. 6 dell�O.M. n. 92/2007, e considerato altres� che il provvedimento (punto 7), oltre ad enunciare i giudizi e i voti - con un apprezzamento espressivo di discrezionalit� tecnica insindacabile se non per i profili, nella specie insussistenti, dell�evidente illogicit� e contraddittoriet� � ha anche illustrato, con un giudizio ugualmente di puro merito del pari insindacabile, che le insufficienze del M. sono diffuse e �tali da non permettere di pronosticare un esito positivo alle attivit� di recupero�, convincimento fondato anche sulla considerazione dell�improduttivit� in cui � esitata l�attivit� di recupero parzialmente effettuata per il ricorrente: �visti gli esiti di quelli svolti in itinere a gennaio� (va sottolineato che dal rapporto del Dirigente scolastico del 29.8.2008, versato in atti, emerge che �i corsi di scienze e disegno non sono stati attivati per la Classe 3A per nessuno degli allievi a causa di problemi di ordine finanziario�); ribadito che l�Istituto non aveva l�obbligo di rinviare il giudizio sul ricorrente ai sensi del comma 4 dell�art. 6 ,O.M. n. 92/2007, atteso che lo studente aveva riportato ben cinque insufficienze e che in applicazione dei ricordati Criteri di non promozione di cui alla deliberazione del Collegio Docenti del 27.11.2007 assunta in forza della potest� sopra delineata riconosciuta dall�art. 6, comma 3 dell�O.M. n. 92/2007, il conseguimento di sole 4 insufficienze � o tre di cui due gravi � comporta la non ammissione dello studente alla classe successiva; evidenziato ancora che alla riedizione, rectius, rinvio dello scrutinio del Marconi ai sensi dell�art. 6, comma 4 O.M. cit. richiesto dalla difesa nell�atto introduttivo, oltre che nella diffida all�Istituto, o-stava il disposto di cui al successivo comma 5 del medesimo art. 6 pi� volte citato, l� dove dispone che �si procede INVECE (cio�, invece che al rinvio del giudizio, n.d.s.) al GIUDIZIO FINALE (�) nei confronti degli studenti che presentino insufficienze tali da comportare un immediato giudizio di non promozione�, conseguendone che avendo il Marconi riportato ben 5 insufficienze, anche in esi-to al riesame approfondito del giudizio effettuato dal Consiglio di classe col provvedimento gravato in ottemperanza alla sentenza precedente della Sezione, l�alunno de quo andava sottoposto �al giudizio finale� in forza del riportato comma 5, poich� in applicazione dei pi� volte ricordati Criteri di non promozione, rivenienti fonte e legittimazione della potest� commessa ai Consigli di classe dall�art. 6, comma 3 O.M. cit., non poteva essere promosso alla successiva classe; reputato pertanto insussistenze e non predicabile il lamentato vizio di violazione del giudicato di cui alla precedente sentenza della Sezione, alla quale l�Istituto ha a parere del Collegio correttamente prestato esecuzione riesaminando approfonditamente e compiutamente il suo precedente giudizio; rammentato che questo Tribunale, tra l�altro, ha gi� giudicato �legittimo il giudizio di non promozione - basato su di un apprezzamento discrezionale di carattere tecnico-didattico, sindacabile solo per illogicit� o contraddittoriet� - di un allievo di liceo scientifico che abbia riportato insufficienze in numerose materie� (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 1 settembre 2006, n. 3185) e segnalato che anche altra giurisprudenza, nell�esprimere il medesimo avviso ha sancito, con riguardo a caso similare a quello all�esame, la legittimit� del giudizio di non promozione di uno studente in presenza di cinque insufficienze, affermando che �la mancata ammissione di uno studente alla classe superiore trova ragionevole ed esaustiva giustificazione nelle cinque insufficienze da lui riportate (�) e nella obiettiva impossibilit� di un recupero IL CONTENZIOSO NAZIONALE 277 nell�anno successivo a quello di scrutinio, in ragione delle carenze nella preparazione complessiva riscontrate dal Consiglio di classe�. (T.A.R. Puglia - Bari, Sez. I, 16.9.2004, n. 3998); ritenuto che si appalesa infondato anche il III, esteso motivo di ricorso, con il quale parte ricorrente ripropone in questo giudizio le censure gi� svolte in occasione del ricorso n. 973/2008, di violazione di vari articoli dell�O.M. n. 92/2007 e dell�O.M. n. 90/2001, nonch� di norme di legge, in relazione alla mancata effettuazione nei confronti dell�alunno M., di iniziative e corsi di recupero scolastico, carenza che gli avrebbe impedito di porre rimedio alla sua lacunosa formazione. La cennata ritenuta infondatezza origina in primis dall�osservazione, pi� sopra riportata, contenuta al punto 7 del verbale del 12.8.2008, l� dove il Consiglio di classe d� conto, secondo un apprezzamento prettamente discrezionale scevro di illogicit� e contraddittoriet� e come tale sottratto al sindacato di questo Giudice, dell�inutilit� di eventuali ulteriori corsi di recupero, a cagione della �presenza di insufficienze diffuse, tali da non permettere di pronosticare un esito positivo alle attivit� di recupero�, prognosi suffragata inoltre anche dalla constatazione che detti corsi (cui in parte il M. � stato ammesso) si sono rivelati improduttivi: � visti gli esiti di quelli svolti in itinere a gennaio�(relativamente al latino, nei giorni 10,15,16,17 gennaio). Infondatezza poi dichiarabile, in punto di diritto, sulle orme di pacifica giurisprudenza, che, vigente gi� l�O.M. 21.5.2001, n. 90 che all�art. 13 contemplava gi� l�adozione di iniziative di recupero, ha autorevolmente statuito anche di recente che �sulla legittimit� del giudizio finale espresso in sede di valutazione per l�ammissione alla classe successiva non possono in alcun modo incidere - per giurisprudenza consolidata - la mancata attivazione nel corso dell�anno scolastico delle iniziative di sostegno concretantesi in appositi corsi di recupero (�) che non sono di per s� sufficienti a giustificare o a modificare l�esito negativo delle prove di esame ed atteso che il giudizio di non ammissione di un alunno alla classe superiore si basa esclusivamente sulla constatazione sia dell�insufficiente preparazione dello studente, sia dell�incompleta maturazione professionale, ritenute necessarie per accedere alla successiva fase di studi�. (Consiglio di Stato, Sez. VI, 20.10.2005, n. 5914; in termini, T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. III, 18.1.2006, n. 102; T.A.R. Toscana, Sez. I, 15.10.2001, n. 1479); ritenuta del pari destituita di fondamento la censura di eccesso di potere per disparit� di trattamento dedotta con il VI motivo di ricorso, posto che tale doglianza non pu� trovare ingresso in materia di non ammissione di alunni alla classe successiva, secondo pacifica giurisprudenza condivisa dal Collegio: �in quanto si verte in materia di valutazione della complessiva personalit� del soggetto e, quindi, qualunque raffronto - avvenendo fra situazioni non omogenee, anche se i voti fossero uguali - non pu� assumere alcun valore dimostrativo della eventuale disparit�, potendo essere diversa la risposta di due soggetti all�impegno scolastico� (T.A.R. Sardegna, 15 luglio 2002, n. 882), affermandosi anche che �al giudice amministrativo non � consentito, se non in caso di manifesta e palese illogicit�, valutare la disparit� di trattamento nel giudizio attribuito ad uno studente rispetto ad altri compagni di classe, poich� ci� implicherebbe la sostituzione del giudice all'amministrazione scolastica nella valutazione del rendimento e del profitto degli alunni� (T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. IV, 3 febbraio 2006, n. 178); reputati pertanto insussistenti i vizi di violazione di legge, elusione del giudicato, violazione degli art. 2 e 5 della O.M. n. 92/2007, eccesso di potere per ingiustizia manifesta, irragionevolezza, contraddittoriet�, assoluta carenza di motivazione, erroneit� istruttoria e difetto dei presupposti e gli altri di cui a tutti i motivi di ricorso da intendersi, come sopra avvertito, richiamati in toto in questa sede; opinato, pertanto, che i provvedimenti in questa sede impugnati si appalesano legittimi poich� 278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 immuni dai lamentati vizi di violazione di legge - in riferimento alle varie norme invocate nei diversi motivi di gravame - eccesso di potere nelle figure sintomatiche tutte sviluppate nell�atto introduttivo e, in specie, relativamente alla lamentata insufficienza e assoluta carenza di motivazione, contraddittoriet�, disparit� di trattamento, difetto di istruttoria, sviamento, illogicit�; ritenuto, per tutte le ragioni sinora illustrate, che il ricorso si profila manifestamente infondato e che va pertanto respinto, ravvisando, peraltro, il Collegio eque ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite tra le costituite parti; P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, Seconda Sezione, definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe, lo Respinge. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 279 La revoca delle misure di prevenzione di natura patrimoniale Questioni insolute e nuove problematiche (Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, sentenza 28 gennaio 2009 n. 81) Il procedimento inerente la revoca delle misure di prevenzione di natura patrimoniale continua a prestarsi per l�approfondimento di taluni aspetti di ordine processuale e di diritto sostanziale. Ed infatti, un nodo non ancora sciolto attiene alla esatta individuazione dell�Amministrazione tenuta a partecipare al relativo giudizio; mentre nuove problematiche si affacciano dalla riconosciuta possibilit� di revoca della confisca definitiva, giusto sentenza della S.C. n. 57/2007. Si spiega, pertanto, come le due diverse controversie giudiziali intentate, di recente, rispettivamente, dinanzi al Tribunale civile ed al Tar di Reggio Calabria, con rituale notifica presso gli Uffici dell�Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, siano motivo per soffermarsi ulteriormente. ** *** ** Il giudizio pendente dinanzi al Tribunale Ordinario di Reggio Calabria. La legittimazione passiva dello Stato nei giudizi di approvazione del conto di gestione a seguito della revoca delle misure di prevenzione di natura patrimoniale. Con atto di citazione notificato in data 10.06.2008 il Ministero dell�Economia e delle Finanze � stato convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria perch� fosse pronunciata nei cuoi confronti la condanna al pagamento degli interessi legali che sarebbero �� maturati sulla complessiva somma di euro 555.746,20, anticipata per il pagamento delle spettanze dei custodi-amministratori e dei loro coadiutori e poi restituita in virt� della sentenza del 02.05.2003, interessi che vanno calcolati dalla data del distacco delle singole somme (componenti la maggior somma pari ad euro 555.746,20) dalla disponibilit� di essi attori, avvenuto a partire dal 3 marzo 1997, fino alla emissione della sentenza del 02.05.2003, con a quale ne fu disposta la restituzione e fino all�integrale e concreto pagamento; per l�effetto condannarla, a favore dei signori M. e B. al pagamento di euro 59.968,70 quali interessi che vanno calcolati dalla data del distacco delle singole somme (componenti la somma pari euro 555.746,20) rispettivamente separate per la gestione del patrimonio sottoposto a vincolo ablativo, a partire dal 3 marzo 280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 1997, sino alla sentenza del 02.05.2003, per come si evince dal prospetto analitico allegato (doc. 10) e sino all�integrale pagamento��. Al riguardo, chiariscono gli attori che �Con sentenza del 02.05.2003, depositata il 09.10.2003, divenuta definitiva in data 25.2.2004 8, il Tribunale di Reggio Calabria, sezione Misure di Prevenzione, dispose la restituzione delle somme anticipate dal signor M. R. che vennero, pertanto, poste a carico dello Stato� Tuttavia, nel procedimento di prevenzione a carico degli odierni attori non fu mai sancito alcunch� in senso alla corresponsione degli interessi legali maturati dalle suddette somme dalla data del rispettivo loro distacco dalla disponibilit� dei coniugi, fino alla emissione della sentenza del 2.9.2003, con la quale ne fu disposta la restituzione�. A corredo della esposizione dei fatti del giudizio gli attori spiegano che, prima di intraprendere il giudizio in oggetto, il Tribunale di Reggio Calabria, Sezione Misure di Prevenzione, adito dagli istanti, con decreto n.02/05 del 25.03.2005, ha dichiarato inammissibile l�istanza tesa a conseguire il pagamento degli interessi legali in oggetto, giacch� detta richiesta si sarebbe dovuto formulare in concomitanza alla richiesta di rendimento del conto. Provvedimento quest�ultimo confermato dalla Corte d�appello, giusto decreto n. 07/07 del 17.01.2007, e dalla Suprema Corte che, con sentenza n. 2558/07 del 21.06.2007, nel rigettare il ricorso in cassazione, ha affermato che �rilevato che il procedimento relativo al giudizio di rendiconto disciplinato dal regolamento adottato con decreto interministeriale 1.2.1991, n. 293, in attuazione dell�art. 7 d.l. n. 230/1989, convertito in l. n. 282/1989, e devoluto alla cognizione del collegio del giudice delegato alla procedura ed, in caso di contestazioni, del collegio competente per le misure di prevenzione, si esaurisce con l�approvazione del conto o con la pronuncia della sentenza conseguente alla istruzione della causa di cui al comma 6 del citato art. 5 e dell�eventuale fase dell�impugnazione, per cui, una volta � come nella specie � definito tale procedimento, viene a cessare la competenza del giudice della prevenzione ed ogni pretesa ulteriore creditoria non pu� che essere azionata secondo le ordinarie procedure del giudizio civile�. La controversia in oggetto che, evidentemente, si rivela interessante anche per quanto attiene la possibilit� che si possano esperire ulteriori azioni successivamente al procedimento di approvazione del rendiconto, consente di porre in discussione la consueta prassi giudiziaria per la quale il Ministero dell�Economia e delle Finanze � considerato contraddittore naturale in ordine ai procedimenti di revoca delle misure di prevenzione di natura patrimoniale, ovvero in ordine ai procedimenti di revoca del sequestro patrimoniale, di revoca della confisca non definiva e di revoca della confisca definitiva. Si ritiene cio� che il soggetto legittimato a partecipare all�approvazione del conto della gestione ed alla conseguente definitiva imputazione delle spese al patrimonio del proposto o all�erario, sia il predetto Ministero finan- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 281 ziario, il quale in tal modo garantirebbe con il suo intervento l�integrit� del contraddittorio necessaria affinch� si possa procedere ai siffatti incombenti. Del resto, in tal senso, si � registrata una presa di posizione dell�Avvocatura dello Stato che ha avuto modo di sostenere che l�Amministrazione a cui imputare le spese della procedura di prevenzione fosse quella finanziaria. Si fa riferimento ad un precedente del Tribunale di Reggio Calabria del 2002, nel quale procedimento la locale Avvocatura Distrettuale dello Stato si � costituita in giudizio spiegando le opportune difese per il Ministero dell�Economia e delle Finanze e sollevando, nel contempo, il difetto di legittimazione passiva dell�Agenzia del Demanio e dell�Agenzia delle Entrate. E� anche vero, tuttavia, che si conta un altro precedente con riferimento al quale l�Avvocatura erariale ha formulato ricorso per cassazione incidentale e condizionato, avverso una decisione del Tribunale di Milano, riproponendo, dinanzi ai giudici di legittimit�, il difetto di legittimazione passiva, gi� eccepito nella precedente fase di merito, sul rilievo che il Ministero della Giustizia non risponderebbe degli atti del Tribunale imputabili allo Stato persona e che il Ministero delle Finanze non avrebbe titolo ad essere evocato in giudizio in relazione a beni non acquisiti allo Stato per effetto della confisca. In mancanza della indicazione dell�Amministrazione che doveva considerarsi legittimata in luogo dei predetti dicasteri, ai sensi dell�art. 4 della legge 25.3.1958 n. 260, il relativo ricorso sul punto � stato rigettato (Cass. Civile, sezione I, 26 giugno 2001, n. 8697). La S.C. ha, al riguardo, precisato che il limite introdotto dalla disposizione di cui all�art. 4 della legge n. 260/1958, in virt� del quale l�errore di identificazione della persona alla quale l�atto introduttivo del giudizio e ogni altro atto si doveva notificare (e che deve essere eccepito dall�Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona a cui notificare l�atto), opera non solo con riguardo alla ipotesi di erronea �vocatio in ius� in luogo del Ministero titolare, di altra persona preposta ad un ufficio della stessa, ma anche con riferimento all�ipotesi di �vocatio in ius� di un Ministero diverso da quello effettivamente competente in relazione alla materia dedotto in giudizio. Ci� posto, considerato che correttamente si � proceduto a rilevare, nel primo dei casi citati, il difetto di legittimazione passiva delle Agenzie fiscali, secondo il modesto avviso di chi scrive, da una pi� attenta disamina della normativa in materia, soggetto legittimato passivamente in sede giudiziale nei giudizi di cui trattasi � l�Amministrazione della Giustizia. Al riguardo, l�art. 2-octies della legge 31.5.1965 n. 575 al primo comma stabilisce che �le spese necessarie o utili per la conservazione e l�amministrazione dei beni sono sostenute dall�amministratore mediante prelevamento delle somme da lui riscosse a qualunque titolo�; mentre al secondo comma la citata norma prevede che, nell�ipotesi in cui dalla gestione dei beni seque- 282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 strati non siano ricavabili somme sufficienti per il pagamento delle spese di cui al primo comma, le somme occorrenti �sono anticipate dallo Stato, con diritto al recupero nei confronti del titolare del bene in caso di revoca del sequestro�; il terzo comma, infine, statuisce che �� le somme per il pagamento del compenso all�amministratore, per il rimborso delle spese da lui sostenute per i suoi coadiutori e quelle di cui al comma 4 dell�articolo 2-septies sono inserite nel conto della gestione; qualora le disponibilit� del predetto conto non siano sufficienti per provvedere al pagamento delle anzidette spese, le somme correnti sono anticipate, in tutto o in parte, dallo Stato, senza diritto a recupero. Se il sequestro � revocato, le somme suddette sono poste a carico dello Stato�. Dal che discende che le spese necessarie o utili per la conservazione dei beni rimangono sempre imputabili al patrimonio dei prevenuti, ed, al contrario, quelle relative al compenso dell�amministratore e dei suoi coadiutori sono inserite nel conto di gestione e che qualora il predetto conto non abbia sufficiente disponibilit� provvede lo Stato senza diritto di recupero o, altrimenti, sono poste definitivamente a carico dello Stato se il sequestro � revocato. In merito, � proprio la Suprema Corte di Cassazione, con la gi� citata sentenza n. 8697/2001, a chiarire che �� coerentemente alla operata individuazione di una doppia categoria di spese � (a) necessarie per la conservazione e l�amministrazione dei beni; (b) per il pagamento del compenso all�amministratore � il legislatore ha approntato una doppia disciplina, rispettivamente, nei commi primo e secondo (per le spese sub a) e nel comma terzo dell�art. 2 octies l. 575-1965 (per quelle sub b). Disciplina cos� diversificata, dunque, in funzione della finalit� degli esborsi (e non della pretesa consecuzione o meno delle eventuale revoca del sequestro ad una precedente confisca del bene!, in applicazione, per le spese sub a), del principio che i costi di gestione e conservazione del bene sequestrato seguono il bene stesso e, con esso, il suo titolare (trattandosi di costi che sarebbero comunque su di lui gravanti anche se il bene non fosse uscito dalla sua sfera di disponibilit�); ed in applicazione, per le somme sub b), del parallelo principio, di pari portata generale, che le spese giudiziali (e tali sono quelle per compenso all�ausiliario giudiziario, in quanto inserite all�interno del procedimento giurisdizionale di applicazione della misura di sicurezza) debbono essere imputate secondo i criteri della soccombenza e della causalit�. Con la conseguenza che dette ultime spese (per compenso all�amministratore, in caso di revoca del sequestro, non possono far carico al titolare del bene, che � andato esente da ogni responsabilit� anche in ordine alla causazione della procedura, e debbono essere allora poste a carico dello Stato, come appunto dispone il riferito comma terzo (2� alinea) della norma in esame�. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 283 Ne deriva, alla stregua di quanto appena detto, che il diverso orientamento, in precedenza affermato, per il quale soggetto legittimato a sostenere le spese della procedura sia il Ministero finanziario, non sembra rivelarsi pertinente, considerato che l�Amministrazione in questione non � parte nella procedura di applicazione delle misure di prevenzione (n� lo diviene allorch� la confisca passi ingiudicato, subentrando in tal caso la competenza dell�Agenzia del Demanio). Parimenti, non sembra possibile sostenere nemmeno l�opposta interpretazione per la quale tanto il Ministero dell�Economia e delle Finanze che quello della Giustizia siano carenti di legittimazione in sede processuale, cos� come affermato nel precedente richiamato. Ed infatti, fermo quanto gi� argomentato per il primo dei due Ministeri, la individuazione dell�Amministrazione della Giustizia, quale organo competente ai fini della liquidazione dei compensi che ci occupano, si giustifica nella considerazione che gli amministratori giudiziari ed i loro coadiutori assumo, nella circostanza, la veste di ausiliari del Giudice competente (delegato) alla procedura; pertanto, il pagamento dei compensi agli amministratori ed ai coadiutori non pu� non essere ricollegato alla pi� generale previsione del rimborso dei compensi spettanti agli ausiliari dei giudici. Il che consente anche di poter dare il giusto rilievo alla circolare del 29.11.1995 n. 307 con la quale il Ministero delle Finanze ha chiarito, alla luce del nuovo impianto normativo dettato dal decreto legge 14.06.1989 n. 230 convertito, con modificazioni, nella legge 04.08.1989 n. 282, che la competenza a liquidare i compensi citati va differenziata a secondo se si tratti di sequestro, di confisca non definitiva o di confisca definitiva. Tale decreto contempla, tra l�altro, per quanto qui di interesse, quanto segue: - i beni confiscati ai sensi della citata legge n. 575/1965 sono devoluti allo Stato e la competenza dell�Amministrazione delle Finanze a gestire i beni in parola inizia dalla comunicazione alla Intendenza di Finanza competente, da parte delle Cancellerie dei Tribunali, delle Corti d�Appello e della Corte di Cassazione, della definitivit� del provvedimento di confisca; - la gestione dei beni confiscati viene continuata dall�amministratore, nominato a suo tempo dal Tribunale, sotto la direzione dell�Intendente di Finanza o di altro funzionario dal medesimo delegato sino all�esaurimento delle operazioni di liquidazione ovvero sino a quando non sia stata data attuazione al decreto del Ministero delle Finanze con il quale viene disposta la destinazione dei beni immobili e dei beni costituititi in azienda; - al rimborso ed all�anticipazione delle spese sostenute dall�amministratore per la gestione dei beni, nonch� alla liquidazione dei compensi spettanti all�amministratore ed ai suoi coadiutori, che non trovino copertura nelle risorse della gestione, provvede l�Intendente di finanza, a tal fine avvalendosi 284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 di apposite aperture di credito disposte a suo favore sui fondi dello specifico capitolo istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero delle Finanze. Secondo la predetta circolare tutta la fase del sequestro, poich� non determina alcuna devoluzione dei beni allo Stato, si svolge presso l�Autorit� giudiziaria e, pertanto, sar� quest�ultima a liquidare i compensi dovuti agli amministratori. Per quanto concerne la fase della confisca non definitiva deve distinguersi tra la confisca intervenuta prima dell�entrata i vigore del D.L. 14-6- 1989 n. 230 convertito in legge 4.8.1982 n. 282, e la confisca non definitiva adottata dopo l�entrata in vigore di detta normativa. Nel primo caso, poich� la confisca � considerata immediatamente esecutiva e gli amministratori operano - ai sensi dell�art. 7, comma 5, della stessa normativa - sotto la direzione dell�Intendente di finanza (ora il Responsabile o il Titolare degli Uffici delle locali Agenzie fiscali), il provvedimento di liquidazione dei compensi � rimesso alla diretta competenza dell�ex Intendenza di Finanza. Viceversa, nella rimanente ipotesi di confisca non definitiva, adottata dopo l�entrata in vigore della su menzionata legge, giacch� la misura patrimoniale non � pi� considerata immediatamente esecutiva, la liquidazione dei compensi in parola, contrariamente alle prime ipotesi, � attribuita all�Autorit� giudiziaria. Riguardo, infine, agli atti di confisca definitiva, che risultano consolidati sotto l�egida della normativa del 1989, la liquidazione dei compensi spetta, dal momento della sua istituzione, all�Agenzia del Demanio, che all�uopo attinge da appositi capitoli dello stato di previsione della spesa. Coerentemente alla ratio del quadro normativo su riportato e del contenuto della circolare test� citata, � parere dello scrivente, che anche per le fattispecie che derivino dall�accoglimento delle istanze di revoca della confisca definitiva, nei limiti in cui si discuta sulla imputazione delle spese per i compensi pagati agli amministratori ed alle ulteriori spese della medesima natura, deve ritenersi competente l�Amministrazione della Giustizia. E ci� per quelle stesse ragioni opportunamente messe in evidenza dalla Corte di cassazione secondo le quali ��. dette ultime spese (per compenso all�amministratore, in caso di revoca del sequestro, non possono far carico al titolare del bene, che � andato esente da ogni responsabilit� anche in ordine alla causazione della procedura, e debbono essere allora poste a carico dello Stato, come appunto dispone il riferito comma terzo (2� linea) della norma in esame�. In altri termini, dall�asserito principio affermato dalla S.C., � possibile evincere che: (a) nei casi di revoca delle misure di prevenzione patrimoniale, le spese per i compensi dovuti all�amministratore non debbono gravare sugli IL CONTENZIOSO NAZIONALE 285 interessati, non avendo questi dato causa alle misure di prevenzione di cui si tratta; e (b) che, poich� l�applicazione di siffatte misure interviene nell�ambito del procedimento giurisdizionale con riferimento al quale l�Amministrazione statale non risulta evocata (gli interessi pubblici sono rappresentati dagli Uffici della Procura della Repubblica presso i Tribunali o dalle Procure Generali presso le Corte d�Appello), le spese in oggetto non possono che configurasi come spese di giustizia. Per altro, il T.U. delle Spese di Giustizia di cui al D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, prevede all�art. 1 che �Le norme del presente testo unico disciplinano le voci e le procedure di spesa dei processi: il pagamento da parte dell�erario, il pagamento da parte dei privati, l�annotazione e la riscossione. Disciplinano, inoltre, il patrocinio a spese dello Stato, la riscossione delle spese di mantenimento, delle pene pecuniarie; delle sanzioni amministrative pecuniarie e delle sanzioni pecuniarie processuali�. Il successivo articolo 2 specifica, poi, il campo di applicazione, prevedendo che �Le norme del presente testo unico si applicano al processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario, con l�eccezione di quelle espressamente riferite dal presente testo unico ad uno o pi� processi...� Il quadro normativo regolato dal citato T.U. �, quindi, compatibile con l�interpretazione per la quale le spese inerenti i compensi degli amministratori del patrimonio oggetto delle misure di prevenzione di natura patrimoniale, poi revocate, siano da imputarsi all�Amministrazione della giustizia. ** *** ** Il giudizio pendente dinanzi al Tar di Reggio Calabria. Le conseguenze relative alla revoca della confisca definitiva: disamina e commento alla sentenza del Tar Reggio Calabria n. 81 del 11 febbraio 2009. SOMMARIO: 1. La sentenza della S.C. a Sezione unite n. 57/2007 (c.d. sentenza Auddino) sulla applicabilit� della revoca alla misura di prevenzione di natura patrimoniale della confisca; 2. La sentenza n. 81/2009 del Tar di Reggio Calabria sull�obbligo riparatore della perdita patrimoniale; 3. La determinazione dell�Amministrazione ai fini della restituzione del bene ed il giudice al quale appartiene la cognizione in merito; 4. Analogie con l�art. 43 del T.U. dpr 8 giugno 201 n. 327; 5. L�incidenza della sussistenza di condizioni oggettive che non consentono la restituzione del bene nella sua originaria consistenza; I limiti dei poteri conferiti al G.A. quale giudice dell�ottemperanza del giudicato civile; 6. La proponibilit� della ulteriore domanda risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo in sede di ottemperanza. 286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 1. La sentenza della S.C. a Sezione unite n. 57/2007 (c.d. sentenza Auddino) sulla applicabilit� della revoca alla misura di prevenzione di natura patrimoniale della confisca La S.C., a Sezioni unite, con sentenza n. 57 dell�8.1.2007, chiamata a risolvere il perdurante contrasto in merito alla questione se la misura della confisca di cui all�art. 2 ter, terzo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575, fosse revocabile alla stregua del procedimento previsto dall�art. 7, secondo comma, della legge 27.12.1956 n. 1423 (ed al pari delle misure personali di prevenzione), ne ha definitivamente sancito l�applicabilit�, connotando l�istituto, al pari del rimedio della revisione, con finalit� riparatoria rispetto ad un errore giudiziario. In particolare, con la citata sentenza la S.C. ha chiarito che l�istituto della revoca di cui all�art. 7, secondo comma, della legge 27.12.1956 n. 1423, si rivela strutturalmente incompatibile con la confisca, quale revoca ex nunc (essendo la revoca ex nunc ipotizzabile soltanto per le misure di prevenzione di cui � costante l�esecuzione al momento in cui viene avanzata la relativa richiesta), e, viceversa, pienamente compatibile con la predetta misura, quale rimedio da adottarsi in termini di revisione e, quindi, con effetti ex tunc, in contemplazione di una invalidit� genetica del provvedimento. Con la pronuncia in esame, quindi, la Corte di legittimit�, nel naturale bilanciamento tra le esigenze di certezza giuridica derivante dalla pretesa irreversibilit� della ablazione e la funzione di revisione del provvedimento sanzionatorio viziato fin dall�inizio, ha salvaguardato il preminente principio dell�obbligo riparatore prefigurato dall�art. 24 della Costituzione e circoscritto l�efficacia delle norme previste in materia di revidibilit� di giudicato ex artt. 630 e s.s. del codice di procedura penale al campo delle prove, condizionando la possibilit� di promuovere l�istanza di revoca della confisca ai casi di: a) prove nuove sopravvenute (e tali sono anche quelle non valutate nemmeno implicitamente); b) inconciliabilit� di provvedimenti giudiziari; c) di procedimento di prevenzione fondato su atti falsi o su un altro reato. L�avversa tesi, pur sostenuta in giurisprudenza (ed in dottrina), secondo la quale la revoca della confisca definitiva si poneva in contrasto con il principio della irreversibilit� degli esiti conseguenti alla disposta misura, in considerazione degli effetti istantanei e non permanenti (uno acto perficitur) della decisione che la conteneva, al pari di una sorta di espropriazione per pubblico interesse, dove il pubblico interesse � identificato nella generale finalit� di prevenzione penale (1), viene superata dal Supremo Collegio con l�obbiezione (1) E� appena il caso di ricordare che, ai sensi dell�art. 2 novies della legge 31-5-1965 n. 575, una volta intervenuta la confisca definitiva, l�immobile confiscato viene acquisto definitivamente al patri- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 287 che l�irreversibilit� dell�ablazione non esclude la possibilit� di una restituzione, per determinazione discrezionale della Pubblica amministrazione, e, quanto meno, provoca l�insorgenza di un obbligo riparatore della perdita patrimoniale. 2. La sentenza n. 81/2009 del TAR di Reggio Calabria sull�obbligo riparatore della perdita patrimoniale Per ci� che riguarda gli effetti restitutori, il punto nodale della recente sentenza n. 57/07 sembra proprio essere la previsione della restituzione del bene, per determinazione discrezionale dell�Amministrazione, ovvero l�insorgenza, in alternativa, dell�obbligo riparatore. Con la sentenza n. 81 dell�11.02.2009 il TAR di Reggio Calabria, in veste di Giudice dell�ottemperanza, ha accolto il ricorso con il quale il ricorrente ha chiesto, stante l�inefficacia delle rituali diffide, l�esecuzione del decreto penale di revoca della confisca definitiva passato in giudicato, oltre al risarcimento del danno. Il predetto Tribunale, in relazione alle domande proposte dall�interessato, e previo rigetto delle eccezioni sollevate dalla Difesa erariale, cos� statuiva: �... P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, pronunciando sul ricorso n. � limitatamente alla domanda di esecuzione del giudicato, lo accoglie e per l�effetto dichiara l�obbligo del Ministero delle Finanze e dell�Agenzia del Demanio di Reggio Calabria, per quanto di ciascuna competenza, di adottare le determinazioni amministrative e contabili necessarie per corrispondere alla sig.ra �. la somma di Euro �. salva la facolt� di procedere a restituzione in natura del bene indicato nel decreto n. 16/01 del 13.1 - 18.5.2001 della Corte di Appello di Reggio Calabria - Sezione Misure di Prevenzione. All�uopo assegna alle predette Amministrazioni il termine di giorni sessanta (60) dalla comunicazione o notificazione, anche a cura di parte, della presente sentenza, per ottemperare al giudicato. Per il caso di inadempienza ulteriore, nomina Commissario ad acta �. perch� provveda, entro ulteriori novanta (90) giorni dal termine predetto, al pagamento della somma sopra indicata, a spese delle Amministrazioni intimate. Liquida al verificatore Euro 2000,00. Riserva alla trattazione in pubblica udienza la decisione in ordine alla domanda risarcitoria, previa regolarizzazione, ove necessario del ricorso ai monio dello Stato e la successiva destinazione dei beni confiscati � effettuata con provvedimento del direttore centrale del demanio del Ministro delle finanze. Dopo la confisca anche l�amministratore di cui all�art. 2 sexies della legge citata svolge le proprie funzioni sotto il controllo del competente ufficio del Ministero delle finanze (le competenze prima affidate al Ministero sono ora dell�Agenzia del Demanio). 288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 fini del versamento del contributo unificato, mandando alla segreteria per la verifica di tale adempimento da parte dei ricorrenti ��. Il Tribunale � giunto a siffatta decisione dopo aver proceduto alla preliminare disamina sull�ammissibilit� del rimedio giurisdizionale azionato. La difesa erariale, invero, in sede di discussione e nel proprio atto di costituzione in giudizio, aveva eccepito il difetto di giurisdizione dell�adito TAR, quale giudice dell�ottemperanza, in relazione alla domanda con la quale il ricorrente ha chiesto, per l�appunto, la restituzione del bene in forza del predetto decreto penale di revoca di confisca. Il Collegio ha ritenuto che tale azione potesse essere esperita nulla incidendo il fatto che oggetto dell�ottemperanza fosse il decreto del Giudice penale, definitorio di giudizio di opposizione di terzo alla confisca preventiva. Scrive al riguardo il Collegio, �Oltre all�argomento testuale desumibile dall�art. 37 l. tar - che ammette il rimedio dell�ottemperanza per l�adempimento dell�obbligo di conformarsi al �giudicato� dell�autorit� giudiziaria ordinaria, senza limitare il rimedio alle sole sentenze -, depone in tal senso la qualificazione del decreto (di cui � incontestato il passaggio in giudicato) come provvedimento definitorio della controversia al pari della sentenza, sicch� nessun dubbio pu� porsi sulla proponibilit� del ricorso per ottemperanza davanti al giudice amministrativo per la sua esecuzione, al pari di quanto si ammette, ormai pacificamente, per i decreti ingiuntivi. Neppure pu� accedersi alla tesi, sostenuta dalla difesa erariale, secondo cui, venendo in rilievo posizioni di diritto soggettivo (in particolar modo la titolarit� della propriet� del bene in questione), la controversia apparterrebbe alla giurisdizione del giudice ordinario. Trattandosi, infatti, di giudizio per l�esecuzione del giudicato, la consistenza della posizione soggettiva � del tutto irrilevante, essendo la materia attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (v. art. 21 septies l. 241/90), dovendosi ammettere la g.e per le azioni di esecuzione del giudicato originate non solo da provvedimenti violativi o elusivi di questo (gli unici per cui la norma appena citata espressamente la prevede), ma anche da comportamenti inerti rispetto alle prescrizioni dell�autorit� giudiziaria. In altri termini, la considerazione dirimente che si agisce per l�esecuzione di una decisione passata in giudicato (poco importa se emessa nella forma di sentenza o decreto), vale ad escludere ogni rilievo della consistenza della posizione soggettiva fatta valere, ferma restando la eventuale giurisdizione concorrente del G.O. (come avviene in ipotesi di procedure esecutive proposte dinanzi a questo, ritenuti pacificamente ammissibili unitamente al giudizio di ottemperanza)�. Ad avviso, quindi, del Giudicante, il Giudice amministrativo, in sede di ottemperanza, � pienamente legittimato a statuire in merito alla domanda di restituzione del bene oggetto di revoca di confisca definitiva. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 289 3. La determinazione dell�Amministrazione ai fini della restituzione del bene ed il giudice al quale appartiene la cognizione in merito L�assunto, in verit� lascia perplessi, nonostante si sia a conoscenza che, secondo la giurisprudenza amministrativa, le sentenze di condanna dell�Amministrazione siano eseguibili tanto in sede ordinaria che amministrativa (vedi, ex plurimis, Consiglio Stato , sez. IV, 25 maggio 2005, n. 2670: �Anche per le sentenze di condanna dell'amministrazione al pagamento di somme di danaro da parte del g.o., il soggetto pu� scegliere tra l�esecuzione forzata secondo le norme del codice di rito e l�esecuzione in sede amministrativa ex art. 27 n. 4 r.d. 26 giugno 1924 n. 1054). A parere di chi scrive, infatti, il TAR con la decisione in commento non ha statuito sul punto nodale della recente sentenza n. 57/07, poich� non ha statuito in ordine alla facolt� rimessa all�Amministrazione di decidere se restituire il bene o meno. Sembrerebbe cio� che il Giudice adito, nel porre a carico dell�Amministrazione l�onere di adottare, nel termine di giorni 60, le determinazioni amministrative e contabili necessarie per corrispondere la somma all�uopo quantificata dal nominato verificatore, facendo salva la facolt� della P.A. di procedere a restituzione in natura del bene indicato, abbia sottovalutato la questione che pi� di ogni altro aspetto poteva giustificare il radicamento della sua giurisdizione: ossia l�obbligo dell�Amministrazione a determinarsi circa la restituzione del bene. Del resto, l�equivoca assegnazione a cura del TAR del termine entro il quale l�Amministrazione � tenuta a provvedere al pagamento del controvalore, salva la restituzione del bene, maschera chiaramente il tentativo di ordinare in via principale alla P.A. di determinarsi sul punto, e contraddice l�assunto iniziale dello stesso Giudicante secondo il quale l�Amministrazione non ha l�obbligo della restituzione in natura. Si ritiene, conseguentemente, che la giurisdizione del Giudice amministrativo possa sussistere - quale giudice dell�ottemperanza - nei limiti in cui occorra pregiudizialmente investire l�Amministrazione affinch� comunichi le sue determinazioni in merito e ci� anche se si � del parere che sia onere dell�Amministrazione manifestare la volont� di non voler restituire il bene che risulti vincolato ad una specifica destinazione o debitamente modificato ed utilizzato. 4. Analogie con l�art. 43 del T.U. dpr 8 giugno 201 n. 327 La problematica, in realt�, risulta gi� disciplinata in materia di espropriazione, e precisamente dall�art. 43 del testo unico di cui al DPR 8 giugno 2001 n. 327. Norma questa che, per evidente ragioni di identit� di ratio, pu� essere 290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 presa a riferimento anche nella fattispecie in esame, non fosse altro per il fatto che � la stessa S.C. che, nel motivare la sentenza n. 57/07, assimila la confisca, come su detto, ad un espropriazione per pubblico interesse. E� risaputo che in virt� della citata disposizione, con la quale si sono recepiti i principi provenienti della giurisprudenza comunitaria, ha cessato di avere efficacia nel nostro ordinamento l�istituto dell�occupazione acquisitiva (approvativa) e si � subordinata la possibilit� di acquisire gli immobili utilizzati e modificati, in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo di pubblica utilit�, per scopi di interesse pubblico, all�adozione di un espresso provvedimento discrezionale dell�ente espropriante. Prevede la disposizione in argomento che l�Autorit� che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilit�, pu� disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni. Prevede, ancora, la norma test� citata che l�atto di acquisizione pu� essere emanato anche quando sia stata esercitata una azione volta alla restituzione del bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, ed in questo caso, l�Amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il bene pu� chiedere che il giudice amministrativo disponga la condanna al risarcimento del danno con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo. Sembra allora sostenibile ritenere che anche nella situazione venutasi a creare a seguito della revoca della confisca definitiva l�Amministrazione debba attivarsi per emettere una sorta di atto di acquisizione qualora non volesse restituire l�immobile. Ora, mentre � indubbia la giurisdizione (esclusiva) del Giudice amministrativo per le controversie di cui all�art. 43 del su nominato T.U., almeno nei casi in cui l�azione risarcitoria � riconducibile all�esercizio del potere attribuito alla P.A. (2), non altrettanto pu� affermarsi, contrariamente alla decisone del Tar, con riferimento all�azione di restituzione derivante dalla revoca della confisca definitiva. L�azione di restituzione del bene oggetto di revoca di confisca dovrebbe (2) �Rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui all�art. 53 del T.U. n. 327 del 2001 un'azione di risarcimento dei danni proposta dai proprietari di un�area occupata dalla P.A. nel periodo di vigenza della dichiarazione di pubblica utilit�, allorch� la procedura ablatoria non abbia avuto la sua naturale conclusione mediante adozione di un tempestivo e valido decreto di esproprio; in tal caso, infatti, l�illecito costituito dalla radicale trasformazione del suolo occupato ai fini della realizzazione dell�opera pubblica appare comunque direttamente riconducibile all�esercizio da parte della P.A. dei poteri ad essa attribuiti dalla legge per la cura del pubblico interesse, risultando la vicenda sostanziale contrassegnata dal collegamento con l�esercizio, sia pure viziato, del potere amministrativo secondo le forme tipiche disegnate dall�ordinamento� (Consiglio di Stato, Sez. IV - sentenza 26 febbraio 2009 n. 1136). IL CONTENZIOSO NAZIONALE 291 trovare la sua naturale sede di trattazione giudiziale dinanzi al Giudice civile e dovrebbe essere questo Giudice a dover provvedere tanto in ordine alla presa in possesso del bene, quanto in merito alla domanda che attiene all�obbligo riparatore, accertando e quantificando l�equivalente monetario. I motivi addotti dal TAR, per i quali, a suo avviso, � possibile riconoscere la giurisdizione del G.A., si rivelano opinabili poich� non vi sono provvedimenti amministrativi da assumere nella dedotta circostanza, occorrendo piuttosto che l�interessato proceda in via esecutiva, immettendosi nel possesso dell�immobile con l�apposito istituto della esecuzione forzata. Le �determinazioni amministrative e contabili necessarie per corrispondere la somma di Euro complessivi �� quale controvalore dovuto a titolo riparatore, costituiscono incombenze solo eventuali, che non possono essere anteposte alla facolt� della P.A. di decidere sulla restituzione del bene e, comunque, seguono il relativo giudizio teso all�accertamento del valore da corrispondere per la causale. Si ritiene, cio�, che per l�accertamento dell�obbligo riparatore, la sede naturale sia quella del processo civile ordinario, che gi� conosce degli aspetti indennitari che derivino dal perpetrato pregiudizio che subiscono talune situazioni giuridiche perfette in forza di attivit� legittimamente intraprese (non vi pu� essere dubbio alcuno che l�attivit� giurisdizionale posta in essere nell�ambito della procedura di applicazione della misura della patrimoniale abbia carattere legittimo). Non di meno, risultava agli atti del procedimento dinanzi al Tar che l�Agenzia del Demanio, per motivi di opportunit�, aveva intrapreso bonarie trattative nei confronti di controparte per giungere ad una soluzione transattiva, visto che la restante parte dell�edificio (a sei piani f.t.), dopo l�intervenuta confisca, era stato adibito a finalit� di ordine pubblico (era stato adibito ad alloggio di servizio dei militari dell�Arma dei Carabinieri). Rilevava, poi, l�Agenzia del Demanio che la restituzione dei due appartamenti che occupavano l�intero secondo piano f.t., di cui l�interessato chiedeva la restituzione, sebbene astrattamente praticabile, (gli immobili non erano stati � volutamente - utilizzati per tutto il tempo della pendenza della lite) non poteva, per�, essere effettuata nella originaria consistenza, essendo stati eseguiti dei lavori per i quali erano state ricavate tre diverse unit�. 5. L�incidenza della sussistenza di condizioni oggettive che non consentono la restituzione del bene nella sua originaria consistenza. I limiti dei poteri conferiti al G.A. in sede di ottemperanza di un giudicato civile. Sebbene il TAR abbia dato atto della intervenuta modificazione della conformazione del bene, la pronuncia in commento lascia senza soluzione quanto rappresentato dall�Amministrazione in ordine alla possibilit� di restituire l�im- 292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 mobile nella sua originaria consistenza. Non di meno, ci si chiede se sia possibile che, nell�ambito dei poteri conferiti al G.A. nel giudizio di ottemperanza, il giudicante possa statuire obblighi (come l�eventuale obbligo di riduzione in pristino stato), che non emergono dal contenuto del giudicato formatosi sul decreto penale con cui la competente Corte d�appello ha disposto la revoca della confisca definitiva (e niente di pi�). E� stato gi� ben evidenziato, in un articolo a commento alla sentenza n. 997/03 del TAR Marche, come �il Giudice dell�ottemperanza, nello svolgimento della attivit� esecutiva ad esso demandata, non possa integrare la sentenza civile, entrando nel merito e ampliando il dictum del G.O., altrimenti sconfinerebbe in un campo di giurisdizione che non gli compete� (3). Ed ancora � stato evidenziato che �il G.A. pu� adottare statuizioni analoghe a quelle che potrebbero emettersi in un nuovo giudizio di cognizione solo in relazione a questioni devolute alla sua giurisdizione, mentre non pu� esercitare analoghi poteri di integrazione allorch� la sentenza della cui ottemperanza si tratta sia stata resa da un giudice appartenente ad un diverso ordine giurisdizionale e la questione rientri nella giurisdizione di quest�ultimo� (Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 7 ottobre 1999, n. 1099). E che �Se il Giudice dell�ottemperanza, con la sua decisione e con la nomina del commissario ad acta, si attribuisse un potere dispositivo che non trova la sua causa nella precedente decisione di merito, oltre che incidere in concreto su rapporti affidati alla giurisdizione dell�AGO, avrebbe anche quale ulteriore conseguenza quella di attribuire efficacia di giudicato ad un provvedimento amministrativo del tutto nuovo, adottato con la pi� ampia discrezionalit�, ed il cui esame sarebbe sottratto alla stessa giurisdizione amministrativa, non potendo di certo equipararsi il ricorso avverso i provvedimenti del commissario ad acta al normale controllo di legittimit� spettante agli organi della giurisdizione amministrativa� (Cass. Civ., Sez. Un., 15 luglio 1986, n. 4568) (4). Per altro, nel momento in cui l�Amministrazione ha mostrato interesse per una soluzione negoziale (viste le trattative di bonario componimento) e tenuto, comunque, conto che il bene non era utilizzato dall�Amministrazione, la fase giudiziale relativa al preventivo accertamento della determinazione (3 ) �Il G.A. dell�ottemperanza, a fronte di statuizioni giudiziali precise e determinate ed alla natura di diritto soggettivo delle posizioni azionate, deve svolgere una attivit� esecutiva (alla quale non sono del tutto estranei e preclusi i poteri di sostituzione nel merito delle determinazioni, anche negoziali), senza possibilit� d�integrare la sentenza civile e senza la facolt� di incidere sulla sfera di discrezionalit� della Amministrazione pubblica� (Tar Marche 19-09-2003 n.997). (4 ) �L�esecuzione del giudicato del giudice del lavoro innanzi al giudice amministrativo (Commento alla sentenza TAR Marche 19 settembre 2003 n. 997)� di FRANCESCA ZARLETTI- In Diritto & Diritti - Rivista giuridica elettronica, pubblicata su Internet all�indirizzo http://www.diritto.it, ISSN 1127-8579, inserito in Diritto & diritti nel marzo 2004. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 293 della P.A. che, come su riferito, poteva giustificare il radicamento della giurisdizione del TAR, non era da considerati dovuta, sicch�, in ossequio ai generali criteri di riparto della giurisdizione, si rivela erronea, per carenza dei presupposti processuali, la pronuncia con la quale il Tribunale ha condannato, l�Amministrazione al pagamento del controvalore del bene. Qualora, infine, si accrediti la plausibile interpretazione per la quale l�effetto restitutorio discenda direttamente dal decreto di revoca della confisca passato in giudicato, l�assunto motivazionale, con il quale il TAR riconosce in favore della P.A. solo la facolt� di restituire il bene in natura, non pare cogliere nel segno. In altri termini, l�ambito giudiziale pertinente alle pretese del ricorrente � sempre pi� corrispondente a quello processuale civile, potendo l�interessato, in questa sede, chiedere l�immissione in possesso nel bene nello stato di fatto e di diritto in cui si trova (5), ovvero ottenere, ai sensi dell�art. 2058 c.c. (6), il risarcimento del danno in forma specifica (la riduzione in pristino), facendo cos� sorgere in testa all�Amministrazione l�obbligo di ricostituire la situazione di fatto antecedente alla procurata lesione: sarebbe poi il giudicato formatosi su questa domanda a poter essere posto in esecuzione tramite il giudizio di ottemperanza. Salva l�azione diretta ad ottenere, in forza dell�art. 2931 c.c. (7), che l�obbligo della riduzione in pristino sia eseguito a spese dell�obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile. 6. La proponibilit� della ulteriore domanda risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo in sede di ottemperanza Strutturalmente, si ribadisce, al giudice dell�ottemperanza � fatto divieto di adottare misure che in qualche modo integrano (o che addirittura innovano) il contenuto del giudicato con comandi in esso non rinvenibili (Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza dell�11.11.2006 n. 6819) (8). (5) Si ricorda che ai sensi Art. 612, c.p.c.: [I] �Chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell'esecuzione. [II] Il giudice dell'esecuzione provvede sentita la parte obbligata. Nella sua ordinanza designa l'ufficiale giudiziario che deve procedere all'esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell'opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta�). (6) Recita l�art. 2058, c.c., che disciplina il Risarcimento in forma specifica: [I] �Il danneggiato pu� chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile. [II] Tuttavia il giudice pu� disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore�. (7) Secondo l�articolo 2931 c.c., rubricato �Esecuzione forzata degli obblighi di dare�: �Se non � adempiuto un obbligo di fare, l�avente diritto pu� ottenere che esso sia eseguito a spese dell�obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile�. (8) �Il ricorso, per il capo in cui � rivolto a chiedere l�esecuzione, da parte del Ministero per i beni e le attivit� culturali, dell�obbligo di compiere tutti gli atti necessari alla reintegrazione della dott.ssa D. nelle mansioni corrispondenti alle sue professionalit� e alla attribuzione di incarichi conformi alla sua 294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Coerentemente ai dettami giurisprudenziali su indicati, non � dato seguire come il TAR possa conoscere dei profili risarcitori che solo in via mediata si pongono in correlazione con il giudicato di cui si chiede l�ottemperanza. L�istituto dell�ottemperanza del giudicato civile, si rammenta, venne concepito, dapprima, come obbligo di annullare l�atto amministrativo che fosse stato disapplicato, in quanto non conforme a legge, dal giudice ordinario e, dopo qualche tempo, fu esteso, in via giurisprudenziale, anche alle decisioni di condanna al pagamento di somme di denaro. Si rimane, pertanto, inevitabilmente perplessi sul contenuto del capo di sentenza con la quale il TAR si � riservato di assumere la decisione sulla domanda con la quale il ricorrente ha chiesto il risarcimento dei danni in considerazione alla mancata restituzione del bene. Avv. Roberto Antillo* Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, sentenza 28 gennaio 2009 n. 81 - Pres. G. Caruso - Cons. D. Burzichelli - Ef. Estensore D. Zonno - Ministero Economia e Finanze e Agenzia del Demanio (avv. dello Stato R. Antillo - AL 4887/07) c/ M.C. M. (avv.ti S. Dattola e A. Gangemi). (... Omissis) FATTO e DIRITTO Con ricorso del 18.12.1991 innanzi al Tribunale di Reggio Calabria, Sezione per le misure di Prevenzione, la sig.ra ..... proponeva opposizione di terzo avverso il decreto di confisca di un fabbricato, del 20.12.1984, emesso a carico di L. D., allegando che, in virt� del contratto intercorso con la impresa costruttrice (riconducibile al proposto per la misura di prevenzione), ella aveva ceduto il terreno per la realizzazione dell�erigendo edificio, in cambio della propriet� di uno degli appartamenti da realizzarsi. Ne rivendicava, pertanto la propriet�, assumendo la sua totale estraneit� alla procedura di prevenzione, non ricorrendo nei suoi confronti i presupposti per la confisca. La Corte di Appello di Reggio Calabria - Sezione Misure di Prevenzione (investita della controversia su appello dell�Amministrazione), con decreto n. 16/01 del 13.1 - 18.5.2001, disponeva: �la revoca della confisca dell�appartamento sito alla seconda elevazione fuori terra, a qualifica, oltre alla dotazione di tutte le basilari risorse umane e strumentali dell�ufficio, � inammissibile. Ed invero, il giudicato del quale si discute, conformemente, del resto, al petitum proposto innanzi al giudice del lavoro (quale si evince dalla motivazione della sentenza di quest�ultimo), si � limitato a sanzionare, attraverso la condanna al risarcimento del danno, l�inadempimento dell�Amministrazione all'obbligo contrattualmente assunto di adibire la dipendente a mansioni proprie della qualifica da essa rivestita, senza recare, invece, anche la condanna della medesima Amministrazione a rimuovere gli effetti del �demansionamento�, affidando al lavoratore l�originario incarico ovvero un altro di contenuto equivalente� (per tale possibilit�, cfr. Cass. Sez. Lav., n. 425 del 12 gennaio 2006). (*) Avvocato dello Stato IL CONTENZIOSO NAZIONALE 295 destra dell�ingresso esteso mq. 175 circa e descritto planimetricamente nell�allegato 13 alla consulenza di parte redatta il 9.10.95 dal consulente di parte ing. Stefano De Luca, oltre al corrispondente posto macchina ed alla propriet� pro-quota delle parti condominiali, disponendo la consegna di tale bene alla legittima proprietaria C. M., vedova M., nata a Reggio Calabria il 4 dicembre 1910�. Il decreto della Corte non � stato impugnato ed � divenuto definitivo in data 28.7.2001. Nonostante il passaggio in giudicato del suddetto provvedimento e nonostante le espresse richieste formulate dall�istante a mezzo di diffida e messa in mora del 28.2.2003 (all.6) ed a mezzo atto di diffida ad adempiere entro il termine di 30 giorni, del 28.3.2007 notificato il 13.4.2007, con espresso avvertimento di azione in sede giudiziaria per l�esecuzione, l� Amministrazione non ha inteso dare esecuzione al giudicato. Nelle more l�Agenzia del Demanio, ha acquisito la gestione del bene e ne ha modificato la conformazione. Ricorrono i sig.ri M., in qualit� di procuratori della sig.ra C., per ottenere l�esecuzione del provvedimento sopra indicato, nonch� per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla protratta mancata disponibilit� del bene in questione, la cui locazione avrebbe consentito un guadagno. All�udienza del 28.1.09 la causa � stata trattenuta in decisione. Va preliminarmente vagliata l�ammissibilit� del rimedio giurisdizionale azionato, avendo la difesa erariale contestato, in sede di discussione e nel proprio atto di costituzione in giudizio, la possibilit� di agire con giudizio di ottemperanza per ottenere l�esecuzione di un decreto della Corte di Appello di restituzione di un bene confiscato a seguito di applicazione di misura di prevenzione. Il Collegio ritiene che possa esperirsi tale azione anche laddove la pronuncia per la cui ottemperanza si agisca sia rappresentata da decreto del Giudice penale, definitorio di giudizio di opposizione di terzo alla confisca preventiva. Oltre all�argomento testuale desumibile dall�art. 37 l. tar - che ammette il rimedio dell�ottemperanza per l�adempimento dell�obbligo di conformarsi al �giudicato� dell�autorit� giudiziaria ordinaria, senza limitare il rimedio alle sole sentenze -, depone in tal senso la qualificazione del decreto (di cui � incontestato il passaggio in giudicato) come provvedimento definitorio della controversia al pari della sentenza, sicch� nessun dubbio pu� porsi sulla proponibilit� del ricorso per ottemperanza davanti al giudice amministrativo per la sua esecuzione, al pari di quanto si ammette, ormai pacificamente, per i decreti ingiuntivi. Neppure pu� accedersi alla tesi, sostenuta dalla difesa erariale, secondo cui, venendo in rilievo posizioni di diritto soggettivo (in particolar modo la titolarit� della propriet� del bene in questione), la controversia apparterrebbe alla giurisdizione del giudice ordinario. Trattandosi, infatti, di giudizio per l�esecuzione del giudicato, la consistenza della posizione soggettiva � del tutto irrilevante, essendo la materia attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (v. art. 21 septies l. 241/90), dovendosi ammettere la g.e per le azioni di esecuzione del giudicato originate non solo da provvedimenti violativi o elusivi di questo (gli unici per cui la norma appena citata espressamente la prevede), ma anche da comportamenti inerti rispetto alle prescrizioni dell�autorit� giudiziaria. In altri termini, la considerazione dirimente che si agisce per l�esecuzione di una decisione passata in giudicato (poco importa se emessa nella forma di sentenza o decreto), vale ad escludere ogni rilievo della consistenza della posizione soggettiva fatta valere, ferma restando la eventuale giurisdizione concorrente del G.O. (come avviene in ipotesi di procedure esecutive 296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 proposte dinanzi a questo, ritenuti pacificamente ammissibili unitamente al giudizio di ottemperanza). Ci� posto il ricorso � nel merito fondato, sia pure nei limiti di seguito precisati. I ricorrenti, in qualit� di procuratori della destinataria del decreto di revoca della confisca del bene, ne hanno chiesto la restituzione, ovvero, ed in via subordinata, il pagamento dell�equivalente al valore venale del bene (v. dichiarazione a verbale di udienza dell�8.10.08). Non pu� essere accolta la domanda di restituzione in natura, mentre nulla pu� essere opposto all�accoglimento della domanda subordinata. Ostano all�accoglimento della domanda di restituzione i principi affermati dalla Suprema Corte e compiutamente espressi nella sentenza SU 57/06 (ricorrente Auddino). La Corte, nell�esaminare e risolvere in senso positivo la questione relativa all�ammissibilit� della revoca della confisca disposta in sede di misura di prevenzione (ipotesi del tutto identica a quella che ha dato origine alla pronuncia per la cui ottemperanza si agisce con il presente ricorso) ha puntualizzato in modo inequivoco che: �Dato dunque tale carattere istantaneo e non permanente (uno actu perficitur), la confisca si connota come irrevocabile, cosa sottolineata da autorevole dottrina anche sulla base della considerazione che la misura in questione rappresenta, in sostanza, una sorta di espropriazione per pubblico interesse, identificato, quest�ultimo, nella generale finalit� di prevenzione penale. Infatti, al provvedimento che la ordina consegue un trasferimento a titolo originario del bene sequestrato nel patrimonio dello Stato. Con il che si pone un suggello finale a una situazione che deve ritenersi ormai �esaurita�. Se simili considerazioni appaiono in s� fuori discussione, sembra tuttavia che per una sorta di equivoco esse siano state trasposte senza distinzioni di sorta nella problematica riguardante la revoca della confisca accessoria a una misura personale di prevenzione, prevista dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 7, comma 2. Pi� in particolare � vero che l'irreversibile risultato ablatorio, conseguente alla definitivit� del provvedimento, rende anche la confisca in esame insensibile a successivi mutamenti della situazione che abbiano recato modificazioni alla pericolosit� del soggetto inciso o che abbiano addirittura fatto cessare la sua pericolosit�. Risultato questo gi� derivante dal carattere istantaneo e non permanente di ogni disposizione di confisca in quanto tale, ma nella specie rafforzato dalla natura di sanzione patrimoniale, riconosciuta alla nostra confisca, risposta a una acquisizione illecita di beni, situazione per sua natura insuscettiva di evoluzione (giurisprudenza costante, cfr. ex plurimis Cass. sez. 2^, 28 marzo 1996, n. 1438 Olivieri). Non � per� egualmente vero che l�irreversibilit� dell�ablazione impedisca di accertare, oggi per allora, e nello spazio non precluso dalla definitivit� del provvedimento, l�originaria insussistenza dei presupposti che hanno condotto alla sua emanazione.� Dunque, in base al principio di diritto affermato con la sentenza citata deve ritenersi che: � consentita nell�ordinamento la revoca della confisca disposta in sede di misure di prevenzione; tuttavia, anche al verificarsi di tale evenienza, l�acquisto in capo al patrimonio dello Stato conseguente alla iniziale confisca (sia pure revocata con efficacia ex tunc, in seguito all�accertamento dell�originaria insussistenza dei presupposti che hanno condotto alla sua emanazione) resta immodificabile (si tratta cio� di �ablazione irreversibile�) ; �una volta riconosciuta l�invalidit� del titolo, la ritenuta irreversibilit� dell'ablazione non esclude la possibilit� di una restituzione, per determinazione discrezionale della Pubblica Amministrazione, e, quanto meno, provoca l�insorgenza di un obbligo riparatorio della perdita IL CONTENZIOSO NAZIONALE 297 patrimoniale, priva di giustificazione sin dal momento in cui si � verificata.� (cos� SU cit.). Ne consegue che la restituzione in natura del bene afferisce alla sfera della discrezionalit� dell�Amministrazione che pu�, pertanto, risolversi in tal senso, ma pu� legittimamente preferire la restituzione per equivalente, a titolo indennitario. Escluso, pertanto, l�obbligo di restituzione in natura (e ferma la possibilit� per l�amministrazione di optare per tale soluzione), non � ammissibile che la p.a. possa, con comportamenti dilatori quali quelli assunti in relazione alla vicenda portata all�attenzione del Collegio, sottrarsi a qualsivoglia esecuzione del decreto di revoca della confisca. Stante, pertanto: l�esistenza di una decisione passata in giudicato; la regolare diffida ex art, 90 reg. proc.; il perdurante inadempimento nell�esecuzione; l�amministrazione intimata va condannata al pagamento di somma equivalente al bene da restituire. In proposito il Collegio, per determinare esattamente tale valore, ha disposto apposita verificazione, ordinando di stimare l�appartamento oggetto di controversia, senza tener conto delle opere, medio tempore, realizzate dall�amministrazione. Il verificatore ha adempiuto con estrema precisione all�incarico affidato, eseguendo indagini che si segnalano per puntualit�, approfondimento e attendibilit�, avendo avuto cura di valutare il prezzo al mq di appartamenti posti in zone analoghe della citt�; di escutere operatori immobiliari; di esaminare l�epoca di costruzione dell�immobile e la sua collocazione nel territorio urbano, nonch� il suo pregio in relazione agli esercizi commerciali - e non - da cui � servita la zona, ai mezzi di trasporto ed ad altri indici tutti di rilievo; effettuando in ultimo la valutazione anche con metodo analitico o per capitalizzazione dei redditi e calcolando, cos�, il valore medio al mq. Il valore cos� ottenuto, pari ad Euro complessivi 237.722,84 esprime compiutamente il valore del bene all�attualit�. Al pagamento di tale somma va pertanto condannata l�amministrazione, salva la possibilit� di restituire il bene in natura. All�amministrazione va assegnato, per provvedere, in favore dei ricorrenti, quali procuratori della destinataria del provvedimento di revoca della confisca, il termine di giorni 60 (sessanta) dalla comunicazione, in via amministrativa (o dalla sua notificazione se anteriore), della presente decisione. Al tempo stesso il Collegio nomina, quale Commissario ad acta, il geom. Sorbello, dir. trib. in quiescenza, al quale � stato in precedenza affidato l�incarico di verificatore e che si � distinto per la puntualit� nell�adempimento e la cui nomina si rende opportuna perch� gi� a conoscenza degli atti di causa. Ove l�indicato termine di 60 (sessanta) giorni decorra infruttuosamente, dovr� provvedere a tutti gli adempimenti occorrenti per il pagamento della somma indicata nel successivo termine di 90 (novanta) giorni. In particolare il Commissario � legittimato ad eseguire tutti gli atti e gli adempimenti necessari per dare concreto soddisfacimento al diritto di credito, salvo che l�amministrazione non si determini nell�assegnato termine di 60 giorni per la restituzione in natura del bene. Resta esclusa dalla presente pronuncia ogni decisione in ordine all�ulteriore domanda risarcitoria determinata dal ritardo nella restituzione del bene. La trattazione di tale specifica richiesta di condanna va riservata alla pubblica udienza da de- 298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 terminarsi a seguito di decreto presidenziale su presentazione dell� istanza di fissazione udienza e previa regolarizzazione, ove necessario, del ricorso sotto il profilo fiscale, ai fini del contributo unificato. Le spese della presente fase seguono la soccombenza. In dispositivo vengono altres� liquidate le spese di verificazione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, pronunciando sul ricorso n. 837/07, limitatamente alla domanda di esecuzione del giudicato, lo accoglie e per l�effetto dichiara l�obbligo del Ministero delle Finanze e dell�Agenzia del Demanio di Reggio Calabria, per quanto di ciascuna competenza, di adottare le determinazioni amministrative e contabili necessarie per corrispondere alla sig.ra C. la somma di Euro complessivi 237.722,84, salva la facolt� di procedere a restituzione in natura del bene indicato nel decreto n. 16/01 del 13.1 - 18.5.2001 della Corte di Appello di Reggio Calabria - Sezione Misure di Prevenzione. All�uopo assegna alle predette Amministrazioni il termine di giorni sessanta (60) dalla comunicazione o notificazione, anche a cura di parte, della presente sentenza, per ottemperare al giudicato. Per il caso di inadempienza ulteriore, nomina Commissario ad acta, il geom. Sorbello Paolo, dir. trib. in quiescenza, perch� provveda, entro ulteriori novanta (90) giorni dal termine predetto, al pagamento della somma sopra indicata, a spese delle Amministrazioni intimate. Liquida al verificatore Euro 2000,00. Liquida in complessivi Euro 2000,00 il compenso del Commissario ad acta e pone l�onere della relativa spesa a carico dell�Amministrazione intimata. Riserva alla trattazione in pubblica udienza la decisione in ordine alla domanda risarcitoria, previa regolarizzazione, ove necessario del ricorso ai fini del versamento del contributo unificato, mandando alla segreteria per la verifica di tale adempimento da parte dei ricorrenti. Condanna le amministrazioni resistenti al pagamento in solido, in favore della parte ricorrente, delle spese per la verificazione, nonch� di quelle di lite che liquida in euro 2000,00 per diritti ed onorari, oltre al rimborso del contributo unificato, IVA e CPA come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. Cos� deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 28/01/2009. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 299 Il carattere assoluto dell�insindacabilit� degli atti politici (Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, Sezione Terza, sentenza 18 maggio 2009, n. 1183) SOMMARIO: 1.- La vicenda processuale. 2.- Sulla categoria degli atti politici: note distintive� 3.- � e possibili forme di tutela. 4.- Considerazioni conclusive. 1. La vicenda processuale La pronuncia in rassegna offre lo spunto per riflettere su taluni profili di indubbio rilievo indagando, tramite una motivazione efficace e pregnante, sull�ubi consistam dell�atto politico con argomentazioni difficilmente confutabili in linea di mero principio. In particolare, la sezione terza del tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, � stata chiamata a valutare se un decreto del Presidente della Repubblica, emanato su proposta del Ministro dell�Interno, volto a rideterminare i collegi uninominali provinciali di Bari, risponda effettivamente ad una scelta legittima attuata dal ministro e dal Capo dello Stato nell�esercizio delle loro prerogative o non leda l�asserito interesse del Comune ricorrente a mantenere integro il proprio elettorato. L�iter argomentativo che si snoda nell�intera pronuncia appare, gi� ad una prima lettura, chiaro ed incisivo, quasi non voglia lasciar campo a dubbi di ordine interpretativo. A venire in rilievo �, invero, il carattere �politico� che connota l�atto impugnato (il Decreto del Presidente della Repubblica del 6 aprile 2009 recante �Determinazione dei collegi uninominali provinciali della Provincia di Bari�): il tribunale amministrativo subito precisa che esso rappresenta �indiscutibilmente� un atto politico ai sensi dell�art. 31 r.d. n. 1054/1924 (norma da ritenersi tuttora vigente). Quindi, portandosi nel medesimo solco tracciato dalla giurisprudenza (Tar Lazio, Roma, sez. III, 16 novembre 2007, n. 11271; Tar Veneto, Venezia, sez. II, 5 marzo 2004, n. 527; Tar Abruzzo, L�Aquila, 07 ottobre 2003, n. 839; Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1397; Tar Puglia, Bari, sez. I, 19 dicembre 1998, n. 930), i giudici amministrativi pugliesi affermano che la �politicit�� (e la consequenziale insindacabilit� in sede giurisdizionale) di un atto debba desumersi dalla compresenza di tre elementi (cumulativi): 1) elemento soggettivo (dovendo provenire da un organo preposto all�indirizzo e alla direzione al massimo livello della cosa pubblica); 2) elemento oggettivo (dovendo inerire la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri 300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione ed essendo espressione della funzione di direzione e indirizzo politico coinvolgendo i supermi interessi dello Stato e delle sue istituzioni fondamentali); 3) libert� nella scelta dei fini, svincolata, cio�, da obiettivi prefissati e lasciata alla determinazione sovrana, sottratta a qualsivoglia controllo che non sia del pari politico dell�autorit�. Ebbene, nella specie, discutendosi di un atto promanante da un organo preposto all�indirizzo e alla direzione al massimo livello della cosa pubblica (il Ministro dell�Interno quale soggetto proponente e il Presidente della Repubblica quale soggetto emanante) (1), concernente il funzionamento di un pubblico potere nella sua organica struttura (id est, elezione del Consiglio provinciale di Bari), per di pi� libero nella scelta dei fini (con l�unico limite segnato dall�osservanza dei parametri costituzionali), non si pu� non riconoscerne la natura squisitamente �politica�. Affinch� un atto possa qualificarsi come �politico� ex art. 31 t.u.c.d.s. n. 1054/1924 � come tale sottratto a controllo giurisdizionale � non � sufficiente, infatti, che esso contenga una valutazione di ordine politico, essendo necessario altres� che costituisca espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico del Paese e coinvolga i supremi interessi dello Stato e delle sue istituzioni fondamentali. Con riferimento, invece, alla prospettazione offerta dal Comune, il Tar Puglia - Bari esclude la sussistenza dei dedotti vizi di legittimit� sub specie di violazione di legge, non avendo le censure sollevate dal medesimo ricorrente alcun fondato riscontro n� legislativo (lo stesso cita delle mere circolari amministrative e semplici ordini del giorno parlamentari, privi della bench� minima natura normativa vincolante) n� costituzionale (2). Parimenti, data la natura �politica� del d.p.r. impugnato, non ritiene configurabile alcun vizio di legittimit� sub specie di eccesso di potere nella decisione (politica, appunto, e come tale libera) di smembrare l�elettorato del Comune ricorrente, �come peraltro accaduto per altri Comuni di piccole dimensioni nell�ambito del medesimo d.p.r.� (1) Non a caso la sentenza in parola, richiamando la dottrina costituzionalistica, ritiene l�atto impugnato qualificabile come atto formalmente presidenziale e sostanzialmente governativo poich� deliberato su proposta di altro organo governativo (rectius Ministro dell�Interno). (2) Sostiene il Tar Puglia - Bari che �le norme costituzionali che il Comune ricorrente assume essere state violate dal d.p.r. impugnato (rectius artt. 3, 48 e 51 Cost.) non appaiono a questo Collegio ad una attenta disamina disattese. Invero la previsione di cui agli artt. 3, 48 e 51 Cost. relativamente all�eguaglianza del diritto di voto non pu� considerarsi violata dalla decisione �politica� impugnata poich� la nuova determinazione dei collegi uninominali provinciali della Provincia di Bari di cui al d.p.r. gravato nella parte in cui vengono ridefinite le circoscrizioni dei collegi uninominali n. 24 (Collegio di Molfetta I) e n. 34 (Collegio di Terlizzi-Giovinazzo) per l�elezione del Consiglio provinciale di Bari non rappresenta di certo una limitazione ovvero una discriminazione rispetto all�esercizio del diritto fondamentale di elettorato sia attivo che passivo ed anzi � neutra rispetto all�esercizio di tale diritto�. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 301 2. Sulla categoria degli atti politici: note distintive ... Come � noto, la categoria degli atti politici � stata individuata sin dall�origine con criteri rigorosi e tassativi, sia prima dell�entrata in vigore della Costituzione del 1948 - dove veniva ancorata dalla giurisprudenza alla sussistenza della cd. �ragion di Stato�, prescindendo dagli eventuali motivi specifici che ne potevano aver ispirato in concreto l�emanazione (3) -, sia dopo il 1948, allorquando, in ossequio al principio della indefettibilit� della tutela giurisdizionale ai sensi degli artt. 24 e 113 della Costituzione, sono stati inclusi in essa gli atti che attengono alla direzione suprema e generale dello Stato considerato nella sua unit� e nelle sue istituzioni fondamentali (4), la cui ratio � stata individuata dal giudice amministrativo (5) nelle esigenze unitarie, salvaguardate dagli organi decisionali dello Stato, chiamati ad adottare atti �liberi nella scelta dei fini�. Viceversa, come sottolineato dalle sezioni unite della Corte di cassazione (6), �gli atti amministrativi anche se connotati da un alto tasso di discrezionalit�, sono comunque legati ai fini posti dalla legge� nel perseguimento di obiettivi di funzionalit�, economicit� ed efficacia dell�azione amministrativa concretamente esercitabile. Infatti, per quanto ampia possa presentarsi, la discrezionalit� facente capo alla P.A. nell�esercizio dell�attivit� amministrativa risulter� sempre connotata da una duplice limitazione concretantesi, per un verso, nell�impossibilit� di destinare un atto per fini diversi da quelli per i quali il relativo potere di adozione � stato conferito e, per altro verso, nel vincolo fondamentale del perseguimento delle finalit� pubbliche, predeterminate in sede politico-legislativa, finalit� cui l�intera azione amministrativa deve tendere. Sicch�, come osservato da autorevole dottrina (7), la differenza che realmente intercorre tra atto politico ed atto amministrativo va ravvisata nella carenza di discrezionalit� nel primo. L�atto politico � totalmente libero da vincoli e nei fini. L�atto amministrativo, invece, poich� deve sottostare alla legge, � discrezionale, nel senso che deve rispettare i vincoli nell�apprezzamento della situazione di fatto che la legge pone alla determinazione dell�autorit� amministrativa. Sempre riguardo alla distinzione tra atti politici e provvedimenti amministrativi, si ritiene (8) l�atto politico, nel paradigma interpretativo, caratteriz- (3) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 dicembre 1946, n. 351. In dottrina, cfr. A. AMORTH, Scritti giuridici, 1931-1939, (a cura di E. FERRARI), Milano, 1999, 185, che sottolineava �il carattere politico di quegli atti che da queste supreme considerazioni dell�interesse generale dello Stato nella sua unit� sono causati��. (4) Cfr. l�accenno fatto in Corte Cost., 19 marzo 1993, n. 103, in Giur. Cost., 1993, 841 ss. (5) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2001, n. 340. (6) Cfr. Cass., sez. un., 13 novembre 2000, n. 1170, in Mass. Foro it., 2000, 1731. (7) Cfr. Cfr. P. VIRGA, Diritto Amministrativo, I principi, Milano, 2001, 15. (8) Cfr. P. VIRGA, op. cit., 16. 302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 zato dai due profili - richiamati anche nella sentenza in commento: il primo, di tipo soggettivo, �dovendo provenire l�atto da organo di pubblica amministrazione, seppure preposto in modo funzionale e, nella specifica vicenda, all�indirizzo e alla direzione al massimo livello della cosa pubblica�, e il secondo di tipo oggettivo, �dovendo riguardare la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione� (9). In altri termini, deve trattarsi di un atto proveniente da un organo il cui dovere istituzionale deve essere inequivocabilmente riconducibile alla cura - sub specie di attivit� di indirizzo e direzione - della cosa pubblica e deve essere formato sulla base di motivi ispirati esclusivamente dall�opportunit� politica, dunque non suscettibili di valutazione in sede giurisdizionale. Con la logica e necessitata conseguenza che, enunciando gli obiettivi fondamentali alla cui attuazione dovr� provvedere anche la P.A., deve armonizzarsi soltanto con la Costituzione e con le statuizioni in essa contenute (principio del numerus clausus degli atti politici). 3. �e possibili forme di tutela Si � detto che l�insindacabilit� giurisdizionale dell�atto politico scaturisce sul piano normativo direttamente dalla previsione di cui all�art. 31 t.u.c.d.s. 26 giugno 1924 n. 1054 (10), che riprendendo la disposizione di cui all�art. 24 della L. 31 marzo 1889, n. 5992, stabilisce l�inammissibilit� del ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale avverso atti e provvedimenti emanati dal Governo nell�esercizio del potere politico. Detta norma, �scritta sol perch� all�epoca alla quale risale � e cio� nel 1889 � si riteneva che gli atti posti in essere dal potere esecutivo nell�esercizio della funzione di governo non si distinguessero se non sul piano finalistico dagli atti amministrativi� (11) sembrerebbe non avere pi� diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento, stante l�inderogabilit� del principio sancito expressis verbis dall�art. 113 della Costituzione, secondo cui �contro gli atti della Pubblica Amministrazione � sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa�. (9) Cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1397; Cass., sez. un., 25 giugno 1993, n. 7075, in Foro it., 1994, I, 3175 ss. (10) L�art. 31 del T.U. 26 giugno 1924 n. 1054 configura un�ipotesi eccezionale (come tale soggetta a stretta interpretazione anche in applicazione del principio costituzionale di cui all�art. 113 Cost.) di sottrazione al sindacato giurisdizionale di atti soggettivamente e formalmente amministrativi, sul presupposto che gli stessi costituiscano espressione della fondamentale funzione di direzione ed indirizzo politico del Paese. (11) Cos� A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 18 ss. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 303 L�odierna �superfluit�� della norma in parola sarebbe confermata, secondo autorevole dottrina, anche dagli artt. 2 e 3 della legge Tar, relativi all�oggetto dell�impugnativa dinanzi all�organo di giustizia amministrativa di primo grado (ovvero �atti e provvedimenti� emessi da organi ed enti pubblici territoriali e non) che, letti in combinato disposto con l�art. 26 del r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 (che individua �gli atti o i provvedimenti di un�autorit� amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante�), chiariscono come non possano formare oggetto di impugnativa gli atti che non provengono da un�autorit� amministrativa o che non abbiano valore di atti amministrativi (12). Il venir meno dell�insindacabilit� degli atti politici sarebbe stato necessitato anche dalla mancata riproposizione formale dello sbarramento di cui all�art. 31 cit. nel testo della legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali. Tali rilievi, per�, possono essere facilmente superati laddove si consideri che la richiamata norma costituzionale (e il principio dalla stessa veicolato) deve essere intesa come riferita esclusivamente agli atti amministrativi, e non anche a quelli politici, per la sottoposizione di questi ultimi ad un regime del tutto particolare, ostativo alla loro inclusione nell�art. 113 Cost.. N� argomenti di segno contrario possono ricavarsi dal dato meramente letterale che la preclusione di cui all�art. 31 del t.u.c.d.s. non sia stata prevista nella legge TAR, posto che detta ultima normativa rinvia, per quanto non espressamente regolato, proprio al testo unico del 1924 (13). Tuttavia, pur nella sua attuale vigenza nel nostro ordinamento - come ricordato, per inciso, anche dalla decisione in commento - la norma di cui all�art. 31 cit. deve essere interpretata come avente carattere eccezionale, non suscettibile di applicazione analogica, proprio al fine di non vedere vanificata l�effettiva operativit� di uno dei principi costituzionali che rappresenta al contempo un baluardo per le garanzie del cittadino contro tutti gli atti della pubblica amministrazione ed un limite insuperabile - pena l�illegittimit� costituzionale della legge - per il Parlamento (14). (12) Cfr. A. M. SANDULLI, op. cit., 1336 ss. Si � soffermato sulla suddetta norma anche L. MAZZAROLLI, Quadro generale della giustizia amministrativa, in Diritto amministrativo, AA.VV., Bologna, 2005, 397, ss., uniformandosi alla tesi di Sandulli in ordine alla sua superfluit� e sottolineando che altrimenti, cio� �se a tale norma si attribuisse, un valore limitativo in ordine all�impugnabilit� degli atti, che in sua mancanza, dovrebbero ritenersi impugnabili davanti al giudice amministrativo�, la norma in questione ormai �dovrebbe reputarsi abrogata per effetto del disposto dell�art. 113 della Costituzione; conclusione cui invece non � dato pervenire se al citato art. 31 si attribuisce un rilievo meramente ricognitivo di un dato che comunque varrebbe, anche senza quella disposizione, cio� il riconoscimento dagli atti politici quali atti di natura diversa rispetto agli atti amministrativi�. (13) Sul punto, cfr. R. GALLI-D. GALLI, Corso di diritto amministrativo, Padova, 2001, 145 ss. (14) Cfr. G. BERTI, Commentario della Costituzione, a cura di G. BRANCA, La magistratura, tomo IV, artt. 111-113, Roma, 1987, 85 ss. In senso conforme, si � espresso anche G. ABBAMONTE, Completezza ed effettivit� della tutela giudiziario secondo gli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, in Studi in onore di FELICIANO BENVENUTI, Modena, 1996, 37 ss. 304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Del resto, � stata la stessa giurisprudenza sia civile che amministrativa (15) - richiamata nella pronuncia de qua - a difendere la portata generale dell�art. 113 Cost., postulando espressamente la necessit� che ogni scelta derogatoria rispetto ai principi ivi espressi sia supportata da norme di carattere costituzionale, sicch� esclusivamente lo specifico rilievo costituzionale e politico della scelta effettuata potrebbe giustificare una limitazione alla suddetta disposizione. Chiarito come in linea di principio gli atti politici sfuggano tuttora al sindacato di legittimit� del giudice amministrativo, in virt� dell�art. 31 cit., resta parimenti esclusa anche la possibilit� di esperire, avverso gli stessi, ricorso innanzi al giudice ordinario (16) per due ordini di ragioni concorrenti. Ora, se � vero che la funzione politica si esercita allo stesso livello di quella legislativa, la quale � essa stessa funzione politica, che l�azione politica viene svolta da organi superiorem non recognoscentes, che per essa opera, in base alla Costituzione, un sistema in s� conchiuso di controlli e sanzioni di ordine politico e di ordine giuridico (17), sembra doversene trarre la logica conclusione che l�ordinamento non ha voluto riconoscere ai singoli una tutela giurisdizionale immediata nei confronti dell�esercizio della funzione politica (ferma restando, comunque, per il giudice la facolt� di conoscere dell�atto politico, non fosse altro per stabilire se debba o meno qualificarsi come tale). L�insindacabilit� degli atti politici di cui all�art. 31 cit. presenta, infatti, carattere assoluto e vale, quindi, tanto nei confronti del G.A. quanto nei confronti dell�A.G.O (18). Inoltre, la fruibilit� della tutela invocabile in sede civile �, come noto, legislativamente limitata alle sole ipotesi in cui la lesione lamentata dal ricorrente concerna un diritto soggettivo (art. 2 della L. n. 2248 del 1865, all. E, sull�abolizione del contenzioso). Orbene, come meglio si dir� in seguito, risulta essere estremamente re- (15) Cfr. Cass., sez. un., 18 maggio 2006 n. 11623 e Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 2007, n. 209, in Rivista CdS, 131 ss. (16) Cfr. A. SANDULLI, op. cit., 18. L�Autore, muovendo dalla risalente impostazione che vedeva nel discrimen tra gli atti di gestione e atti d�imperio il criterio di riparto tra la giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo, giunge a formulare considerazioni di ordine critico rispetto alla norma di cui all�art. 2 della legge sul contenzioso amministrativo relativamente ai �provvedimenti del potere esecutivo o dell�autorit� amministrativa�. Quest�ultima, lungi dal poter giustificare la sindacabilit� da parte del giudice ordinario degli atti politici posti in essere dal potere esecutivo non autorizza a ritenere che il legislatore, parlando di �provvedimenti del potere esecutivo� abbia inteso riferirsi anche agli atti politici. (17) Esclusa, come illustrato, l�esperibilit� di tutti i rimedi utilizzabili a fronte di atti amministrativi, rispetto agli atti politici opera, tuttavia, un sistema di controlli e di sanzioni di carattere politico, di competenza del corpo elettorale e del Parlamento, i quali possono, ad esempio, non riconfermare gli organi che si siano resi responsabili di un�attivit� ritenuta meritevole di censura, ovvero (con riferimento alle Camere), esprimersi con un voto di sfiducia. (18) Cfr. G. PALATIELLO, Il concetto di atto politico �giustiziabile�, in questa Rassegna, 4, 2008, 324 ss. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 305 mota, se non addirittura inesistente, la possibilit� di una lesione immediata a seguito dell�emanazione di un atto politico, considerato che ogniqualvolta quest�ultimo venisse ad incidere direttamente su di una situazione di diritto soggettivo, l�interesse individuale verrebbe assorbito nell�interesse della collettivit� (19). In ogni caso, l�insindacabilit� degli atti politici in sede giurisdizionale risulta ampiamente giustificata dalla valutazione del loro ambito operativo. Considerato, infatti, che essi recano normalmente direttive di carattere generale, non si presentano idonei ad incidere immediatamente sulle posizioni giuridiche dei destinatari, che al pi� possono essere pregiudicate dall�emanazione di successivi atti volti a dargli attuazione. Nell�ipotesi, poi, in cui gli atti de quibus contengano delle disposizioni puntuali, capaci di sortire in maniera immediata il pregiudizio di posizioni individuali, il loro contrasto con i principi costituzionali � come detto, unico limite all�attivit� politica � potr� essere portato all�attenzione della magistratura attraverso due diversi strumenti: (i) la possibilit� di sollevare conflitto di attribuzione innanzi alla Corte Costituzionale; (ii) quindi, nel caso di atto politico avente carattere legislativo, la proponibilit� dell�eccezione di incostituzionalit�, il cui accoglimento impone allo Stato il ripristino della situazione pregressa o il risarcimento dei danni (20). 4. Considerazioni conclusive Con la sentenza in rassegna, il Tar Puglia ha respinto il ricorso presentato dal Comune di Giovinazzo, ritenendo che il provvedimento impugnato rientri nella categoria degli atti politici sottratti al sindacato giurisdizionale ex art. 31 t.u.c.d.s. La decisione s�impone all�attenzione dell�interprete, oltre che per la sua chiarezza espositiva, anche per la singolare virata impressa in un contesto giurisprudenziale ormai caratterizzato dalla progressiva erosione della categoria degli atti politici, erosione indotta proprio dalla diffusa necessit� di limitare il descritto deficit di tutela giurisdizionale attraverso una rigorosa interpretazione restrittiva del concetto di atto politico (21). Infatti, pur non allontanandosi dalle conclusioni restrittive cui sinora � giunta la giurisprudenza sia civile che amministrativa sull�insindacabilit� degli atti politici, il Tar Puglia - Bari, con la sentenza de qua, nel riconoscere la natura politica dell�atto impugnato, ha contribuito a ridare attualit� al principio (19) Cfr. A.M. SANDULLI, op. cit., 18. (20) Cfr. R. GALLI-D. GALLI, op. cit, 234. (21) Cfr., fra le pi� recenti, Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 2007, n. 209; TAR Sicilia, sez. I, 3 maggio 2007, n. 765; Tar Puglia �Lecce, sez. I, 10 ottobre 2007, n. 895 Tar Puglia - Lecce, sez. I, 9 gennaio 2008, n. 12 sulla natura non politica dell�atto di revoca dell�assessore comunale. 306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 contenuto nell�art. 31 t.u.c.d.s., nonch� un�autonoma dignit� ontologica e giuridica alla categoria stessa degli atti politici, spesso confusa o fatta confluire in quella, pi� garantistica, degli atti di cd. alta amministrazione, sindacabili in sede giurisdizionale (22). La decisione in commento perviene ad una lettura in termini di atto politico del decreto presidenziale impugnato attraverso un passaggio motivazionale molto chiaro che dalla rilevata �assenza di paramenti normativi alla cui stregua valutarne la legittimit� (se non le disposizioni di rango costituzionale)� fa scaturire la consequenziale non configurabilit� di �soggetti lesi interessati all�annullamento del medesimo�legittimati a contestare in sede giurisdizionale amministrativa la presente decisione politica� (23). Cos� argomentando (24), il tribunale amministrativo pugliese ha sostanzialmente fatto propria la tesi, sopra richiamata, di chi ravvisa la ratio ultima dell�insindacabilit� degli atti politici proprio nella loro intrinseca inidoneit� ad incidere in via immediata e diretta sulle posizioni giuridiche dei soggetti destinatari, atteso il loro contenuto fortemente �politico�, inerente cio� all�indirizzo generale da imprimere allo Stato in un dato momento storico. Ha cos� riguardato il problema dell�ubi consistam dell�atto politico dal punto di vista della posizione legittimante, ribadendo che di fronte agli atti politici non insorge in capo ad eventuali interessati, alcuna situazione giuridica soggettiva tutelabile. Dott. Fabrizio Doddi* (22) Si � soffermato sul rapporto tra principio di legalit� ed atti di alta amministrazione G. VACIRCA, Il principio di legalit� e il giudice amministrativo, relazione al 53� Convegno di studi amministrativi, Varenna, 20-22 settembre 2007, Il principio di legalit� nel diritto amministrativo che cambia, evidenziando come il principio di legalit� � stato sovente richiamato in sede giurisprudenziale per ammettere la sindacabilit� di provvedimenti connotati da elevata discrezionalit� (di alta amministrazione) di nomina e scelta dei dirigenti. L�Autore, inoltre, pone in rilievo come esclusivamente la ragionevole e adeguatamente ponderata valutazione della realt� di fatto � nel rispetto di un minimum di principi giuridici- nella quale opera l�amministrazione possa condurre la medesima ad una scelta di opportunit� che risponda al principio di buon andamento. (23) Cfr. Tar Puglia-Bari, sentenza in commento. (24) Si legge nella sentenza de qua che �Invero, se il Comune di Giovinazzo ricorrente agisce in giudizio quale ente locale autonomo non si configura nel caso di specie alcuna lesione delle sue prerogative nella scelta ministeriale e presidenziale di smembrare il territorio del Comune medesimo a livello di determinazione dei collegi elettorali uninominali; pertanto vi sarebbe in tal caso difetto di interesse e di legittimazione ad agire del Comune. Se viceversa il Comune ricorrente agisce in giudizio quale ente esponenziale della collettivit� locale va tuttavia evidenziato che le azioni popolari sono rigorosamente tassative e non � configurabile, n� � prevista dal legislatore nel caso di specie alcuna azione popolare in capo al singolo cui si possa sostituire il Sindaco del Comune quale rappresentante � come detto - della comunit� locale; ed anzi a tutto concedere la sostituzione che � implicita nelle azioni popolari tassativamente previste dal legislatore (cfr. art. 9 d.lgs. n. 267/2000 [TUEL]) avviene in senso opposto e cio� � il singolo a sostituirsi rispetto all�inerzia dell�ente locale�. (*) Dottore in giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 307 Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, Seziona Terza, sentenza 18 maggio 2009 n. 1183 - Pres. A. Urbano - Ref. Est. F. Cocomile - Comune di Giovinazzo (Avv. N. Calvani) c. Ministero dell�Interno + altri (Avv. dello Stato G. C. Matteo). (... Omissis) FATTO e DIRITTO Il presente ricorso deve essere respinto, dovendosi conseguentemente prescindere dall�eccezione di integrazione del contraddittorio nei confronti dei candidati e dei cittadini votanti nei collegi nn. 24 e 34 e dalle altre eccezioni preliminari sollevate dall�Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari. Invero il Comune di Giovinazzo in persona del Sindaco pro tempore chiede l�annullamento, previa sospensiva, del decreto del Presidente della Repubblica del 6 aprile 2009 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 82 del giorno 8 aprile 2009), recante in epigrafe �Determinazione dei collegi uninominali provinciali della Provincia di Bari� nella parte in cui vengono ridefinite le circoscrizioni dei collegi uninominali n. 24 (Collegio di Molfetta I) e n. 34 (Collegio di Terlizzi-Giovinazzo) per l�elezione del Consiglio provinciale di Bari, prevedendosi pertanto lo �smembramento� del Comune di Giovinazzo, andando cos� differenti porzioni di detto Comune a formare parte dei due menzionati collegi uninominali e privando in tal modo i cittadini di Giovinazzo - a dire del Comune ricorrente - della possibilit� di avere un proprio rappresentante nel Consiglio provinciale di Bari. Detto d.p.r. � stato adottato ai sensi dell�art. 9, comma 4 legge n. 122/1951 e successive modifiche recante norme per l�elezione dei Consigli provinciali (�La tabella delle circoscrizioni dei collegi sar� stabilita, su proposta del Ministro dell�Interno con decreto del Presidente della Repubblica da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale�). L�atto impugnato rappresenta indiscutibilmente un atto �politico� ai sensi dell�art. 31 r.d. n. 1054/1924 Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato) in forza del quale �Il ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale non � ammesso se trattasi di atti o provvedimenti emanati dal Governo nell�esercizio del potere politico� (norma da ritenersi tuttora vigente). Tale previsione normativa � certamente estensibile anche ai giudizi dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali in forza della disposizione di cui all�art. 19, comma 1, legge n. 1034/1971 alla stregua della quale nel corso di detti giudizi si osservano le norme di procedura operanti dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e quindi anche l�art. 31 r.d. n. 1054/1924. La �politicit�� (e la consequenziale insindacabilit� in sede giurisdizionale) dell�atto secondo giurisprudenza ormai consolidata (cfr. T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, 16 novembre 2007, n. 11271; T.A.R. Veneto Venezia, Sez. II, 05 marzo 2004, n. 527; T.A.R. Abruzzo L�Aquila, 07 ottobre 2003, n. 839; Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1397; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 19 dicembre 1998, n. 930; T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 25 gennaio 1993, n. 22) � desumibile da tre elementi che l�atto in questione deve possedere cumulativamente: 1) elemento soggettivo (dovendo provenire da organo preposto all�indirizzo e alla direzione al massimo livello della cosa pubblica); 2) elemento oggettivo (dovendo riguardare la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione ed essendo espressione della funzione di direzione e indirizzo politico coinvolgendo i supremi interessi dello Stato e delle sue istituzioni fondamentali); 3) libert� nella scelta dei fini, svincolata cio� da obiettivi prefissati e lasciata alla determinazione so- 308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 vrana, sottratta a qualsiasi controllo che non sia del pari politico dell�autorit�. Trattasi in altri termini di �... atti che, in apparenza soggettivamente e formalmente �amministrativi�, costituiscono tuttavia espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico del Paese e �coinvolgono i supremi interessi dello Stato e delle sue istituzioni fondamentali�, non essendo sufficiente (a qualificare un atto come �atto politico�) che �vi intervenga una valutazione di ordine politico�. In tali casi, ma solo in essi, che configurano ipotesi eccezionali, e di stretta interpretazione, l�atto considerato pu� sottrarsi a controllo giurisdizionale.� (cfr. T.A.R. Abruzzo L�Aquila, 07 ottobre 2003, n. 839). Come evidenziato dal Consiglio di Stato, Sez. V, 23 gennaio 2007, n. 209: �� fino ad epoca recente la categoria degli atti politici � stata individuata con criteri restrittivi, sia prima dell�entrata in vigore della Costituzione del 1948, evidenziandosi che essi debbono trovare causa obiettiva nella ragione di Stato indipendentemente dai motivi specifici che ne abbiano in concreto determinato l�emanazione (v. la decisione di questo Consiglio, Sez. IV n. 351 del 20.1.21946), sia principalmente dopo il 1948 in ossequio al principio della indefettibilit� della tutela giurisdizionale ai sensi degli artt. 24 e 113 della Costituzione, e sono stati inclusi in essa generalmente gli atti che attengono alla direzione suprema e generale dello Stato considerato nella sua unit� e nelle sue istituzioni fondamentali (v. l�accenno fatto in Corte cost. n. 103 del 19.3.1993). E� stato al riguardo precisato che gli atti politici costituiscono espressione della libert� (politica) commessa dalla Costituzione ai supremi organi decisionali dello Stato per la soddisfazione di esigenze unitarie ed indivisibili a questo inerenti (v. la decisione di questo Consiglio, sez. IV n. 340 del 14.4.2001) e che essi sono liberi nella scelta dei fini, mentre gli atti amministrativi, anche quando sono espressione di ampia discrezionalit�, sono comunque legati ai fini posti dalla legge (v. Cass. S.U. n. 1170 del 13.11.2000). Si � sottolineato inoltre che essi sono caratterizzati da due profili: l�uno soggettivo, dovendo provenire l�atto da organo di pubblica amministrazione, seppure preposto in modo funzionale e, nella specifica vicenda, all�indirizzo e alla direzione al massimo livello della cosa pubblica, e l�altro oggettivo, dovendo riguardare la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione (v. le decisioni di questo Consiglio, Sez. IV, n. 1397 del 12.3.2001 e n. 217 del 29.9.1996)�. Le Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr. sentenza n. 7075/1993) ad esempio hanno considerato il decreto presidenziale di nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica ai sensi dell�art. 59, comma 2 Cost. atto tipicamente �politico� ex art. 31 r.d. n. 1054/1924 insindacabile in sede giurisdizionale poich� posto in essere nell�esercizio di una funzione diversa da quella amministrativa classica. Non vi � dubbio che il d.p.r. impugnato in questa sede volto a rideterminare i collegi uninominali provinciali della Provincia di Bari in vista delle ormai imminenti elezioni amministrative ridefinendo, tra l�altro, la circoscrizioni dei collegi uninominali n. 24 (Collegio di Molfetta I) e n. 34 (Collegio di Terlizzi-Giovinazzo) presenti congiuntamente i tre requisiti predetti necessari alla configurazione dell�atto �politico� ex art. 31 r.d. n. 1054/1924. Trattasi infatti di atto promanante da un organo preposto all�indirizzo e alla direzione al massimo livello della cosa pubblica (nel caso di specie Ministro dell�Interno quale soggetto proponente e Presidente della Repubblica quale soggetto emanatite) il d.p.r. in esame riguarda poi il funzionamento di un pubblico potere nella sua organica struttura (i.e. elezione del Consiglio provinciale di Bari). Infine va evidenziato che � atto indubbiamente libero nella scelta dei fini rimessi alla valutazione insindacabile (se non con riferimento all�osservanza dei parametri costituzionali che IL CONTENZIOSO NAZIONALE 309 nel caso di specie, come si vedr�, non risultano violati) dell�organo lato sensu �politico�. Dal punto di vista della dottrina costituzionalistica l�atto in esame � qualificabile come atto formalmente presidenziale e sostanzialmente governativo poich� deliberato su proposta di altro organo governativo (rectius Ministro dell�Interno). La politicit� dell�atto � tale per cui non si configurano a fronte dello stesso soggetti lesi interessati all�annullamento del medesimo, data peraltro l�assenza di paramenti normativi alla cui stregua valutartie la legittimit� (se non le disposizioni di rango costituzionale). Non � caso che nella presente fattispecie le disposizioni (volte ad impedire o quantomeno a disincentivare lo smembramento dei comuni nella formazione dei collegi elettorali) asseritamente violate dal d.p.r. impugnato altro non sono che ordini del giorno dei due rami del Parlamento (in particolare ordine del giorno approvato dalla Camera dei deputati nella seduta dell�il.01.1951 ed ordine del giorno approvato dal Senato nella seduta del 27.02.1951) che certo non hanno natura normativa vincolante e dettano unicamente un indirizzo, peraltro assai risalente nel tempo, rivolto all�attivit� del Governo. Pertanto, non avendo le censure sollevate dal ricorrente fondamento e riscontro legislativo (lo stesso cita inoltre la circolare della Direzione centrale dei servizi elettorali n. 93 del 06.11.2002, la circolare del Ministero dell�Interno n. 2472 del 26.09.2007 e la circolare della Prefettura di Bari - Ufficio Territoriale del Governo prot. ti. 375/4.2.9/UPE che si muove nella stessa direzione dei menzionati ordini del giorno parlamentari), non � configurabile alcun vizio di legittimit� sub specie di violazione di legge. Peraltro le norme costituzionali che il Comune ricorrente assume essere state violate dal d.p.r. impugnato (rectius artt. 3, 48 e 51 Cost.) non appaiono a questo Collegio ad una attenta disamina disattese. Invero la previsione di cui agli artt. 3, 48 e 51 Cost. relativamente all�eguaglianza del diritto di voto non pu� considerarsi violata dalla decisione �politica� impugnata poich� la nuova determinazione dei collegi uninominali provinciali della Provincia di Bari di cui al d.p.r. gravato nella parte in cui vengono ridefinite le circoscrizioni dei collegi uninominali n. 24 (Collegio di Molfetta I) e n. 34 (Collegio di Terlizzi-Giovinazzo) per l�elezione del Consiglio provinciale di Bari non rappresenta di certo una limitazione ovvero una discriminazione rispetto all�esercizio del diritto fondamentale di elettorato sia attivo che passivo ed anzi � neutra rispetto all�esercizio di tale diritto. Data la natura �politica� del d.p.r. impugnato non � parimenti configurabile alcun vizio di legittimit� sub specie di eccesso di potere nella decisione di smembrare il Comune di Giovinazzo, come peraltro accaduto per altri Comuni di piccole dimensioni nell�ambito del medesimo d.p.r. Inoltre va evidenziato che l�argomento della �politicit�� e consequenziale insindacabilit� in sede giurisdizionale del d.p.r. de quo si riconnette inscindibilmente all�assenza di soggetti qualificati legittimati a contestare in sede giurisdizionale amministrativa la presente decisione �politica�. Invero, se il Comune di Giovinazzo ricorrente agisce in giudizio quale ente locale autonomo non si configura nel caso di specie alcuna lesione delle sue prerogative nella scelta ministeriale e presidenziale di smembrare il territorio del Comune medesimo a livello di determinazione dei collegi elettorali uninominali; pertanto vi sarebbe in tal caso difetto di interesse e di legittimazione ad agire del Comune. Se viceversa il Comune ricorrente agisce in giudizio quale ente esponenziale della collettivit� locale va tuttavia evidenziato che le azioni popolari sono rigorosamente tassative e non � configurabile, n� � prevista dal legislatore nel caso di specie alcuna azione popolare in capo al 310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 singolo cui si possa sostituire il Sindaco del Comune quale rappresentante - come detto - della comunit� locale; ed anzi a tutto concedere la sostituzione che � implicita nelle azioni popolari tassativamente previste dal legislatore (cfr. art. 9 d. lgs n. 267/2000 [TUELI]) avviene in senso opposto e cio� � il singolo a sostituirsi rispetto all�inerzia dell�ente locale. Come evidenziato dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 novembre 1987, n. 708) �Nel vigente ordinamento l�azione popolare costituisce rimedio del tutto eccezionale e non � pertanto ammissibile al di fuori dei casi tassativamente previsti dal legislatore.�. In tal senso si sono espressi anche T.A.R. Lombardia Milano, sez. Il, 14 maggio 2007, n. 3071, T.A.R. Molise, 20 gennaio 1989, n. 3 e Cons. Giust. Amm. Sicilia, 2 giugno 1987, n. 14. Non � quindi ammissibile alcuna azione popolare in capo al Sindaco del Comune di Giovinazzo ricorrente. Dalle considerazioni espresse in precedenza consegue il rigetto del ricorso. Considerata la peculiarit� della controversia, la natura e la qualit� delle parti, sussistono giuste ragioni di equit� per compensare le spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. III, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo respinge. Spese compensate. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 311 Sul rifiuto dell�ufficiale di stato civile di effettuare le pubblicazioni per un matrimonio tra omosessuali (Corte di Appello di Brescia, Sezione I civile, decreto del 2 luglio 2009 n. 69; Tribunale di Venezia, Sezione III civile, ordinanza del 4 aprile 2009) SOMMARIO: 1.- La fattispecie. 2.- La questione dell�applicabilit� dell�art. 98 c.c. 3.- La nozione di matrimonio secondo l�ordinamento interno ed il carattere essenziale dell�omosessualit� biologica dei nubendi. 4.- Profili di costituzionalit�. L�ordinanza Tribunale Venezia 4 febbraio - 3 aprile 2009. 5.- Il matrimonio negli ordinamenti comunitario ed internazionale. 1. La fattispecie Una coppia di omosessuali presenta all�ufficiale di stato civile richiesta di eseguire le pubblicazioni prescritte in vista della celebrazione del matrimonio; l�ufficiale di stato civile oppone formale rifiuto, in considerazione del fatto che entrambi i nubendi sono di sesso maschile mentre il matrimonio presuppone la loro eterosessualit�, dovendosi ritenere contrario all�ordine pubblico il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Contro il rifiuto i due propongono ricorso al Tribunale ai sensi dell�art. 98 cod. civ., chiedendo che sia ordinato all�ufficiale di stato civile di procedere alle pubblicazioni di matrimonio, previa eventuale rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimit� costituzionale degli artt. 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis cod. civ. (quelli cio� che fanno riferimento quanto meno implicito all�eterosessualit� dei nubendi) con riferimento agli artt. 2, 3, 10 co. 2, 13 e 29 Cost.. Il Tribunale di Bergamo, respinta l�eccezione preliminare di inammissibilit� del ricorso sollevata dalla difesa del Sindaco (passivamente legittimato in quanto ufficiale di stato civile ed in tale veste difeso dall�Avvocatura dello Stato quale ufficiale di Governo), rigetta la domanda con l�ordinanza in esame, attraverso l�iter motivazionale che cos� si pu� sintetizzare: - bench� nell�ordinamento manchi una definizione esplicita dell�istituto matrimoniale, ci� dipende dal fatto che si intende richiamata �la nozione di matrimonio frutto della evoluzione secolare del diritto privato, che, seppure implicita, fa parte del sentire comune, mai messo in discussione�, secondo cui �il matrimonio � una unione formale e stabile tra un uomo e una donna, essenzialmente diretta alla procreazione e all�educazione dei figli�; tale richiamo � confermato dalle disposizioni (artt. 107 e 143 c.c.) che fanno esplicito riferimento all�eterosessualit� dei coniugi; - la pretesa illegittimit� costituzionale delle disposizioni in esame, dedotta dai ricorrenti sul presupposto della definizione implicita fatta propria dal Tri- 312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 bunale, non sussiste, giacch� dagli artt. 2 e 3 Cost. non � ricavabile un diritto costituzionalmente garantito a contrarre matrimonio, a prescindere dalle disposizioni positive che regolano l�istituto; - l�insussistenza di impedimenti in senso proprio alla celebrazione del matrimonio (giacch� gli artt. 84 e seguenti c.c. non contemplano in tal senso l�identit� di sesso tra i nubendi) � irrilevante, giacch� il legislatore ha evidentemente inteso tale dato come assolutamente pacifico �sulla base della nozione consolidata e pacifica del matrimonio tradizionale�; - nessuna norma internazionale contempla il diritto di due persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio tra loro. In seguito a reclamo degli interessati, la Corte d�appello di Brescia conferma il provvedimento del giudice di primo grado, sia quanto alla reiezione dell�eccezione preliminare, sia quanto al merito; in particolare essa approfondisce la questione di legittimit� costituzionale e la dichiara manifestamente infondata osservando che la Costituzione �non contempla il matrimonio fra le esplicazioni della personalit� umana da garantire (artt. 2 e 3), n� rivolge attenzione a tale istituto giuridico se non, in via indiretta, attraverso l�art. 29, ove nel prevedere espressamente la tutela della famiglia e del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (quest�ultima affermazione direttamente collegata alla eterosessualit� dell�unione ed alla tradizionale disparit� di fatto e di diritto fra maschio e femmina), fa riferimento all�istituto del matrimonio solo quale necessario presupposto per la tutela cos� accordata�, mentre spetta al legislatore (che finora non ha ritenuto di dover intervenire) l�eventuale predisposizione di �istituti giuridici idonei a tutelare e regolamentare, con strumenti anche assimilabili a quelli previsti in materia matrimoniale, unioni non riconducibili al modello tradizionale del matrimonio e non necessariamente caratterizzate dall�identit� di sesso dei loro partecipanti�. 2. La questione dell�applicabilit� dell�art. 98 c.c. La difesa erariale aveva eccepito l�inammissibilit� del ricorso ex art. 98 cod. civ. sostenendo che questo rimedio concerne i casi di rifiuto di eseguire le pubblicazioni per ragioni connesse all�esistenza di impedimenti preclusivi, in concreto, di un matrimonio astrattamente celebrabile, laddove nella fattispecie la contestazione non verteva sull�esistenza di impedimenti, quanto sull�assenza di un requisito essenziale del matrimonio, talch� da un lato doveva escludersi che quello prefigurato dai ricorrenti potesse definirsi matrimonio, dall�altro oggetto della loro domanda non era tanto la pretesa di conseguire le pubblicazioni quanto piuttosto quella di veder riconosciuto il loro preteso diritto di celebrare il matrimonio, da cui la necessit� di procedere all�accertamento di tale diritto nelle forme processuali ordinarie. Il rimedio processuale apprestato dall�art. 98 c.c. integra un controllo in IL CONTENZIOSO NAZIONALE 313 sede di giurisdizione volontaria, diretto non tanto all�accertamento di diritti soggettivi, quanto piuttosto alla verifica della corretta attuazione delle proprie funzioni da parte dell�autorit� amministrativa, ancorch� attribuito alla competenza di un organo giurisdizionale; nella fattispecie, al contrario, non � realmente in discussione il fatto che l�ufficiale di stato civile abbia correttamente adempiuto agli obblighi del suo ufficio, valutando la regolarit� della documentazione presentatagli, bens� il fatto che tali obblighi sussistessero in presenza di una richiesta finalizzata a quello che egli ha ritenuto (in realt�) non essere un matrimonio. Si potrebbe forse chiosare che in realt� male ha fatto l�ufficiale di stato civile a ricevere la domanda di pubblicazione, giacch� questa gi� presupporrebbe la verifica della sua preordinazione ad un atto qualificabile come matrimonio: sicch�, in presenza di una richiesta presentata da una coppia omosessuale, egli avrebbe dovuto opporre il rifiuto (non gi� di eseguire le pubblicazioni, quanto) di ricevere la domanda stessa in quanto non preordinata ad un atto qualificabile come matrimonio. Solo dopo aver verificato che le pubblicazioni sono finalizzate ad un matrimonio, in quanto richieste da persone di sesso diverso, l�ufficiale di stato civile potrebbe procedere a verificare la regolarit� della documentazione presentata e l�eventuale esistenza di impedimenti, opponendo eventualmente un rifiuto impugnabile nella forma dell�art. 98 c.c. Tanto il Tribunale quanto la Corte d�appello hanno respinto l�eccezione sulla scorta di un�interpretazione rigorosa della domanda proposta in sede di volontaria giurisdizione: in sostanza, avendo i ricorrenti impugnato il diniego di pubblicazione � a questo che deve limitarsi la cognizione del giudice, verificando la legittimit� di tale rifiuto nelle forme per ci� prescritte dalla disposizione richiamata. Secondo la Corte d�appello, in particolare, l�ammissibilit� del matrimonio tra omosessuali � dedotta solo come questione incidentale per vagliare la legittimit� del rifiuto opposto dall�ufficiale di stato civile ad eseguire le pubblicazioni, che costituisce l�oggetto principale del processo. Tuttavia � innegabile, ad avviso di chi scrive, che il vero significato del rifiuto opposto alla richiesta dei ricorrenti fosse di negare non tanto la possibilit� di eseguire le pubblicazioni relative al matrimonio tra i richiedenti, quanto piuttosto la possibilit� di eseguire le pubblicazioni in funzione di un atto che non � qualificabile come matrimonio. D�altra parte oggetto della domanda non era tanto la pretesa che l�ufficiale di stato civile procedesse alle pubblicazioni, quanto piuttosto che successivamente celebrasse il matrimonio: in altri termini e al di l� delle formule usate, i ricorrenti chiedevano fosse accertato il loro (preteso) diritto soggettivo di celebrare il matrimonio. A ben vedere il Tribunale (a differenza della Corte d�appello) ha in qualche modo riconosciuto la fondatezza di tale osservazione, laddove ha affermato essere vero �che gli opponenti non tendono sostanzialmente a censurare la legittimit� del diniego opposto dall�ufficiale dello stato civile, n� a dimostrare l�esistenza di requisiti formali per contrarre matrimonio, negati dallo stesso, 314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 bens� ad ottenere una statuizione sul loro preteso diritto di contrarre matrimonio come persone dello stesso sesso, per le quali l�ordinamento esclude l�istituto del matrimonio�; tuttavia non ne ha tratte le logiche conseguenze, affermando di doversi in sostanza attenere al contenuto della domanda, quale emerge dal rimedio attivato dai ricorrenti. Cos� facendo, per�, esso non ha tenuto conto che il giudice � tenuto a qualificare la domanda in considerazione del suo effettivo contenuto, desumibile non solo da aspetti formali (quali il richiamo alla disposizione che si reputa applicabile o una particolare formulazione delle conclusioni), ma anche dalle argomentazioni spese a suo sostegno. D�altra parte, ponendosi nella diversa prospettiva di un�eventuale statuizione di accoglimento della domanda, pare indiscutibile che prima di stabilire se si debba ordinare all�Ufficiale di stato civile di procedere alle pubblicazioni matrimoniali, verificando se sussistano tutti i presupposti che la legge richiede a tale scopo, sia necessario accertare se quello cui le pubblicazioni sono preordinate sia effettivamente un matrimonio; in altri termini, prima di stabilire se esistano o meno i presupposti per eseguire le pubblicazioni relativamente a quella coppia di nubendi, occorre stabilire se in effetti essi si possano definire nubendi. Ad avviso di chi scrive, pertanto, la domanda proposta esulava dall�ambito del procedimento speciale previsto dall�art. 98 c.c. ed avrebbe dovuto essere qualificata come domanda di accertamento del diritto (soggettivo e di natura pubblicistica) preteso dai ricorrenti di contrarre matrimonio tra loro. Non si dimentichi che nel nostro ordinamento il matrimonio non pu� essere qualificato come negozio giuridico meramente privatistico, giacch� esso assume riflessi pubblicistici sia per quanto concerne le modalit� di perfezionamento, essendo necessario che esso sia dichiarato dall�Ufficiale di stato civile (art. 107 c.c.) o comunque di altro soggetto cui l�ordinamento riconosca eccezionalmente funzioni equipollenti (il sacerdote cattolico nel matrimonio concordatario o il ministro di altri culti religiosi, cfr. art. 83 c.c.), sia per quanto attiene ai rapporti giuridici che ne derivano, che non coinvolgono solo i coniugi, ma anche i terzi (con particolare riferimento alla prole) e lo Stato (che rispetto alle coppie di coniugi vanta pretese, ad esempio all�assolvimento dei doveri di cui all�art. 147 c.c., e riconosce diritti, incentrati sul principio di cui all�art. 29 Cost.) (1). Resta da chiedersi se sia poi cos� rilevante il rito da seguire, posto che si convenga sull�interpretazione dell�effettiva portata della domanda e quindi del processo e della statuizione finale. L�opinione di chi scrive � che il procedi- (1) Ci� consente anche di replicare agevolmente all�obiezione del Tribunale di Bergamo circa la difficolt� di individuare l�eventuale legittimato passivo di un ipotetico giudizio di accertamento del diritto di contrarre matrimonio, dovendosi convenire con l�indicazione, adombrata dallo stesso Tribunale, del Ministero dell�interno, quale ramo dell�amministrazione statale deputato alla cura dei rapporti di cui si � detto. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 315 mento previsto per i procedimenti di giurisdizione volontaria non offra sempre adeguate garanzie di rispetto del contraddittorio e di approfondimento probatorio; sotto il primo profilo, pu� essere significativo il richiamo a Trib. Roma 28.6.1980 (in Foro It. 1981, I, 869) non tanto per il contenuto della decisione (forse la prima sul tema oggetto di quella che qui si commenta), quanto per il fatto che ad essa il collegio pervenne omettendo di convocare ed ascoltare le parti in camera di consiglio, ritenendo la questione risolvibile de plano. Quanto al profilo probatorio, si potrebbe pensare che le valutazioni commesse al giudice in sede di giurisdizione volontaria non richiedano approfondimenti di fatto che vadano oltre l�esame di documenti, ma nella fattispecie, ad esempio, avrebbe assunto rilevanza essenziale l�affermazione dei ricorrenti circa la sopravvenuta modificazione dell�opinione pubblica a proposito delle unioni omosessuali, circostanza che avrebbe pur richiesto un adeguato sostegno probatorio. 3. La nozione di matrimonio secondo l�ordinamento interno ed il carattere essenziale dell�eterosessualit� biologica dei nubendi Il Tribunale di Bergamo (i cui rilievi la Corte d�appello si � limitata a definire �assolutamente pertinenti e (�) condivisi�) ha ritenuto che nell�ordinamento, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, esista una precisa, bench� implicita, nozione di matrimonio, e che ci� escluda il potere / dovere dell�interprete di ricostruirla di momento in momento storico, anche in funzione dell�evoluzione socio culturale del Paese. Sempre dal punto di vista dell�ordinamento interno, i ricorrenti sostenevano che non esisterebbe un esplicito divieto di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso (e che pertanto ci� sarebbe consentito). Le due questioni debbono essere esaminate congiuntamente, in quanto strettamente connesse: in tanto, infatti, si pu� porre la questione di un eventuale divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso in quanto si sia prima dimostrato che possa in astratto definirsi matrimonio, alla stregua dell�ordinamento italiano, l�atto con cui due persone dello stesso sesso, in presenza di tutti gli altri requisiti di legge e nelle forme prescritte dall�art. 107 c.c., dichiarino di volersi prendere l�un l�altro quale rispettivo coniuge. Orbene se � vero che non esiste nell�ordinamento una definizione esplicita del matrimonio � vero tuttavia che la nozione di esso � desumibile implicitamente dal sistema stesso e tra l�altro ed in particolare dalle disposizioni che sotto pi� aspetti fanno evidente riferimento alla disparit� di sesso tra i nubendi. Gli stessi ricorrenti non negavano tale circostanza, adducendo tuttavia che tale innegabile evidenza dipende dal fatto che, all�epoca di redazione del codice civile, la concezione del matrimonio secondo i canoni socialmente prevalenti non contemplava la prospettiva di coppie di nubendi dello stesso sesso: in sostanza, il legislatore non avrebbe inteso operare implicitamente una scelta 316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 esclusiva nel senso dell�eterosessualit� dei coniugi, ma si sarebbe limitato ad adottare il registro linguistico corrispondente al costume del tempo, implicitamente operando una sorta di rinvio formale alle concezioni socio - culturali che si sarebbero sviluppate in epoca successiva. Sicch� oggi, dovendosi ritenere superata la concezione di allora, dovrebbe riconoscersi che nell�ambito dell�istituto matrimoniale trovano collocazione anche i rapporti analoghi a quello coniugale ma intrattenuti tra persone dello stesso sesso. Una prima obiezione a tale opinione riguarda il fatto che, se � indubbiamente vero che la considerazione sociale dell�omosessualit� e delle relazioni tra persone omosessuali � decisamente mutata nell�odierna societ� rispetto all�epoca di redazione del codice civile, � tutto da dimostrare che tale mutamento implichi il riconoscimento della possibilit� di estendere l�istituto matrimoniale a comprendere anche coppie omosessuali (2). Ma siffatta opinione pare priva di fondamento in linea di diritto: la circostanza che la disciplina dettata nel codice civile presupponga, nella sua formulazione, la disparit� di sesso dei coniugi non � un mero accidente dovuto all�epoca di redazione del testo, ma significa in realt� che tale disparit� assurge a presupposto caratterizzante l�istituto cos� come recepito dal legislatore. In altri termini, il legislatore non ha inteso dettare una disciplina applicabile a qualsiasi fenomeno sociale definibile matrimonio nelle varie epoche successive, bens� disciplinare quella specifica fattispecie che nel 1941 si definiva matrimonio; non vi � traccia alcuna di una volont� del legislatore di individuare l�oggetto della disciplina mediante rinvio formale alle concezioni di matrimonio vigenti in una data epoca, mentre � evidente la sua intenzione di disciplinare l�istituto definito all�epoca come matrimonio e che era e resta caratterizzato dalla disparit� di sesso tra i nubendi, indipendentemente dall�evoluzione sociale e culturale che possa essere avvenuta in seguito (3). In questo senso la Suprema Corte, in accordo con la dottrina, ha pi� volte individuato la disparit� di sesso come elemento essenziale del matrimonio, la cui carenza ne comporta non la nullit�, ma l�inesistenza in quanto �profonda anormalit�� che �snatura essenzialmente la struttura e la funzione della fattispecie negoziale� (cfr. Cass. 14.2.1975, n. 569, nonch� pi� incidentalmente Cass. 24.11.1983, n. 7020). Sicch� la disparit� di sesso tra i nubendi costituisce principio essenziale della disciplina del matrimonio, al punto da essere coperto dall�inviolabilit� propria delle disposizioni di ordine pubblico internazionale (2) Sul punto, come gi� si � accennato sopra a proposito dei limiti del procedimento di giurisdizione volontaria, sarebbe stato comunque necessario un adeguato approfondimento probatorio. (3) Cfr. Corte d�appello di Firenze 27.6.2008: �L�istituto del matrimonio � storicamente delineato dalle legislazioni come una disciplina positiva di origine pubblica (�) volta a regolamentare gli effetti che l�ordinamento giuridico dello Stato, in un determinato contesto storico e sociale, riconosce alla convivenza tra persone. Non costituisce una istituzione pregiuridica (come ad esempio la famiglia), n� tanto meno un diritto fondamentale dell�individuo�. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 317 (4), e solo il legislatore pu� estenderne la disciplina a fattispecie cui essa non era originariamente riservata, quali pacificamente quella prospettata nel ricorso di cui si tratta. Non ha senso quindi porsi il problema dell�esistenza o meno di norme che vietano il matrimonio tra coppie omosessuali: l�eterosessualit� non � un requisito di validit� del matrimonio, ma rientra nella definizione stessa dell�istituto quale recepito dall�ordinamento, sicch� la questione non � se il matrimonio omosessuale sia vietato, ma se esso sia definibile matrimonio. La risposta, come precedentemente dimostrato, � negativa. 4. Profili di costituzionalit�. L�ordinanza Tribunale Venezia 4 febbraio - 3 aprile 2009 Tale impostazione pone in realt� il diverso problema se sia costituzionalmente legittimo che il contenuto (diritti e doveri, tra i coniugi e verso terzi) della disciplina del matrimonio sia limitato a questo ambito e non sia esteso a situazioni che, pur non definibili come matrimonio alla stregua della vigente legislazione, presentino caratteri di analogia con tale istituto. In effetti, nell�ambito del ricorso era stata prospettata la questione di legittimit� costituzionale degli artt. 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis c.c., per asserito contrasto con gli artt. 2, 3, 10 co. 2, 13, 29 e 117 co. 1 Cost., che il Tribunale ha ritenuto manifestamente infondata; a diversa conclusione � tuttavia giunto il Tribunale di Venezia che in analoga fattispecie ha sollevato questione di legittimit� costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis c.c., per contrasto con gli artt. 2, 3, 29 e 117 co. 1 Cost., �nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso� (ordinanza 4.2 - 3.4.2009). In realt� ad avviso di chi scrive � dubbia la stessa rilevanza della questione, cos� come prospettata, nei giudizi in cui � stata sollevata: oggetto della controversia, infatti, non sono i rapporti giuridici che conseguirebbero al rifiuto di considerare matrimonio l�atto che i ricorrenti vorrebbero compiere, bens� la qualificazione di tale atto come matrimonio o meno; la qualificazione giuridica di un fatto non pu� per s� essere lesiva di alcun principio costituzionale, laddove saranno eventualmente specifiche disposizioni relative al rapporto matrimoniale a poter essere valutate in termini di costituzionalit� ove si dubiti del fatto che sia legittima tale limitazione; ma anche in tale ipotesi, non ne deriverebbe l�illegittimit� costituzionale della nozione implicita di matrimonio posta a base della relativa disciplina, bens� quella delle singole disposizioni che disciplinano il rapporto matrimoniale in quanto non estese ad altre fatti- (4) Ci� tra l�altro giustifica il diniego di trascrivere nei registri di stato civile i matrimoni tra omosessuali contratti nei Paesi dove ci� � attualmente consentito. 318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 specie. L�errore del giudice remittente, ad avviso di chi scrive, risiede nell�aver ritenuto che il presunto divieto di qualificare come matrimonio l�unione omosessuale sia il risultato del combinato disposto delle disposizioni che fanno riferimento all�eterosessualit� degli sposi, laddove al contrario, come si ritiene di aver argomentato in precedenza, ci� � la conseguenza (e non la causa) dell�opzione del legislatore di fare riferimento ad un determinato fenomeno sociale per qualificarlo come matrimonio (5). In realt� l�esclusione di determinate situazioni dall�ambito applicativo della disciplina del matrimonio non pare in conflitto con alcuna disposizione costituzionale: per quanto concerne infatti i parametri di cui agli artt. 2 e 3 Cost., � agevole osservare da un lato che nessun ostacolo � posto ai ricorrenti a che contraggano matrimonio alle medesime condizioni in cui ci� � consentito a chiunque altro (e cio� con una persona dell�altro sesso), sicch� non vi � alcuna limitazione dei diritti inviolabili della persona n� alcuna disparit� di trattamento; in realt� la questione � mal posta, giacch� oggetto della denuncia dei ricorrenti non � tanto l�impossibilit� di contrarre matrimonio (per ci� che l�ordinamento qualifica come tale) bens� la limitazione della disciplina del matrimonio entro i limiti oggettivi che il legislatore ha stabilito e cio� con esclusione dell�unione tra persone dello stesso sesso. Posto che � ravvisabile tra le due situazioni una innegabile differenza (6), sia per l�intrinseca natura dell�unione (che nel caso di omosessuali non pu� neppure in astratto essere preordinata alla generazione della prole) sia per la differente considerazione sociale che le due forme di vincolo tuttora ricevono, la limitazione stabilita dal legislatore � senza dubbio razionale e giustificata e non pu� essere sospettata di violazione del principio di uguaglianza. Altra questione sarebbe eventualmente, come gi� sottolineato, se sia costituzionalmente legittimo, in relazione agli artt. 2 e 3 Cost., riservare al matrimonio (o ai coniugi o alla famiglia fondata sul matrimonio) determinati effetti che potrebbero in astratto essere ricondotti anche ad altre situazioni che con il matrimonio presentino parziale affinit�. Non sfugge tra l�altro che proprio questa � la prospettiva in cui si muovono gli atti comunitari ed internazionali su cui i ricorrenti avrebbero voluto far leva per sostenere la loro tesi: nessuno di essi indica la necessit� di qualificare come matrimonio la comunanza di vita di coppie omosessuali, al contrario essi pongono l�accento sulla (5) Tra l�altro gli artt. 93, 96 e 98, a differenza degli altri denunciati dal Tribunale di Venezia, non sembrano alludere ad alcuna differenza di sesso tra gli sposi, mentre ci� risulta chiaramente dalle altre disposizioni che presuppongono i concetti di marito e moglie. (6) Come ribadito anche di recente dalla Corte costituzionale, 24.3.2009, n. 86: �Questa Corte ha ripetutamente posto in evidenza la diversit� tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio, in ragione dei caratteri di stabilit�, certezza, reciprocit� e corrispettivit� dei diritti e doveri che nascono soltanto da tale vincolo, individuando le ragioni costituzionali che giustificano un differente trattamento normativo tra i due casi nella circostanza che il rapporto coniugale trova tutela diretta nell�art. 29 Cost.� IL CONTENZIOSO NAZIONALE 319 necessit� di garantire a tali coppie una tutela corrispondente a quella che il matrimonio consente (7). Premesso che pare evidentemente estranea al tema la menzione dell�art. 13 Cost., che riguarda la libert� personale fisica, sembra fuorviante per contro il tentativo di invocare a fondamento della pretesa in questa sede azionata la tutela della famiglia prevista dall�art. 29 Cost., giacch� questo (a differenza di quanto si � finora detto del matrimonio in relazione alla disciplina codicistica) rinvia ad un modello pregiuridico di famiglia definita societ� naturale e perci� caratterizzata (tra l�altro) dall�astratta idoneit� della coppia alla procreazione (essendo per contro irrilevante che tale idoneit� sussista in concreto) e quindi dalla disparit� di sesso (8). Sotto tale profilo l�ordinanza di rimessione del Tribunale di Venezia richiede tuttavia una chiosa, laddove argomenta sulla scorta delle pronunce della Corte costituzionale che, nel tempo, hanno contribuito a ridisegnare quella che il collegio veneziano definisce �accezione costituzionale di famiglia�, aprendola alle modificazioni imposte dall�evoluzione sociale per estendere la tutela apprestata dalla norma a tutte le situazioni di fatto avvicinabili alla famiglia legittima (donde la necessit� di disancorare il matrimonio, che della famiglia costituisce il fondamento costituzionale, dalla limitazione alla nozione del codice civile). Se non ch� il Tribunale veneziano pare ignorare che la giurisprudenza richiamata ridisegna i rapporti sul presupposto della nozione istituzionale di matrimonio, da un lato eliminando le differenze tra marito e moglie all�interno del matrimonio, dall�altro affermando la tendenziale equiparazione di figli legittimi e naturali. Sicch� la giurisprudenza richiamata dal Tribunale di Venezia, anzich� ridimensionare, presuppone la nozione codici- (7) Si pu� anzi ritenere che nel prescrivere il riconoscimento di una tutela corrispondente a quella delle coppie unite in matrimonio, queste stesse fonti presuppongano la qualificazione delle altre forme di convivenza in termini diversi dal matrimonio. (8) Si veda sul punto DAL CANTO, Matrimonio tra omosessuali e princip� della Costituzione italiana, in La legge spagnola sul matrimonio tra persone dello stesso sesso e la tutela delle coppie omosessuali in Italia, Foro It. 2005, V, 256 e segg.: �A noi sembra, in particolare, che l�art. 29 Cost. faccia riferimento ad un modello di famiglia che, pur suscettibile di sviluppi e cambiamenti, sia caratterizzato da un �nucleo duro� di cui il legislatore ordinario non pu� liberamente disporre. Tale previsione, in questo diversamente dal pi� essenziale art. 32 Cost. spagnola, deve interpretarsi nel senso che la tutela in essa prevista vada esclusivamente riferita ad un tipo di organizzazione familiare che, in mancanza di termini migliori, potremmo intendere come �tradizionale�, definibile nella sua essenza, citando da uno dei pi� diffusi dizionari della lingua italiana, quale �legame affettivo tra due persone di sesso diverso. (�) Accogliendo questa impostazione si deve allora respingere, nel senso di considerarla costituzionalmente illegittima, l�eventualit� che in Italia, attraverso una legge ordinaria, venga consentito l�accesso al matrimonio alle coppie di persone dello stesso sesso. N� pare di grande pregio l�argomento, talora richiamato a questo proposito, secondo cui impedire tale accesso determinerebbe una discriminazione nei confronti di alcuni soggetti rispetto ad altri: infatti, tale argomento presuppone di avere di fronte due situazioni equiparabili trattate in modo irragionevolmente diverso, mentre si tratta di situazioni dissimili, o meglio di situazioni che la Costituzione vigente impone di tenere distinte, e alle quali perci� devono essere dedicate discipline giuridiche, magari per alcuni aspetti analoghe, ma autonome e differenziate. 320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 stica del matrimonio, salvo eliminare le disparit� che ne possono derivare rispetto ad altre situazioni ad esso non riconducibili. A dir poco singolare � poi la menzione, sempre da parte del Tribunale di Venezia, della L. 14.4.1982, n. 164 �Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso�, che fa riferimento ad una situazione, quella del disallineamento tra sesso biologico e identit� sessuale, che non ha nulla a che vedere con l�omosessualit� (in cui sesso biologico ed identit� sessuale coincidono come nel caso delle persone eterosessuali, ma l�orientamento sessuale si manifesta verso persone dello stesso sesso). Sicch� prevedere lo scioglimento del matrimonio contratto precedentemente alla rettificazione del sesso attribuito nell�atto di nascita (art. 4) non fa che confermare l�essenziale caratterizzazione eterosessuale del matrimonio nel vigente ordinamento. 5. Il matrimonio negli ordinamenti comunitario ed internazionale Neppure le disposizioni sopranazionali, poste dai ricorrenti a fondamento della loro pretesa (sia in quanto ex se applicabili, sia in quanto parametri di legittimit� costituzionale attraverso il rinvio contenuto negli artt. 10 co. 2 e 117 co. 1 Cost.), contemplano il diritto delle coppie omosessuali ad accedere all�istituto matrimoniale; al contrario, la Corte di giustizia CE da un lato, nella sentenza 31.5.2001 in cause riunite C-122/99 P e C-125/99 P (in Giust. Civ. 2001, I, 2581), ha espressamente fatto ricorso alla nozione di matrimonio come �unione di due persone di sesso diverso� secondo la definizione comunemente accolta dagli Stati membri, ritenendola sottesa alle disposizioni dell�ordinamento comunitario che vi fanno riferimento e valendosene per giudicare su una questione in materia di trattamento retributivo del personale dipendente della Comunit� europea; dall�altro lato ha ribadito la netta distinzione tra la problematica dell�ammissibilit� del matrimonio tra omosessuali e quella dell�equiparazione, a determinati fini, tra matrimonio e convivenze di fatto registrate (sentenze 7 gennaio 2004 in causa C-117/01 e 1 aprile 2008 in causa C-267/06). Va ricordata anche la pi� risalente sentenza Corte di giustizia CE 17.2.1998 in causa C-249/96, nella quale il giudice comunitario aveva fornito un panorama delle posizioni espresse in argomento non solo da organi comunitari, ma anche da altri giudici sovranazionali, affermando che �31.(�) sebbene il Parlamento europeo abbia dichiarato (�) di deplorare qualsiasi discriminazione motivata dalla tendenza sessuale di un individuo, ci� nondimeno la Comunit� non ha sino ad ora emanato norme che comportino un�equiparazione del genere. 32. Per quanto riguarda lordinamento giuridico degli Stati membri, sebbene per taluni di essi la comunione di vita tra due persone dello stesso sesso venga equiparata al matrimonio, bench� in modo incompleto, nella maggior parte degli Stati membri essa non viene considerata equivalente alle relazioni eterosessuali stabili fuori del matrimonio se non per IL CONTENZIOSO NAZIONALE 321 quanto riguarda un numero limitato di diritti oppure non � oggetto di nessun riconoscimento particolare. 33. Da parte sua la Commissione europea dei diritti dell'uomo considera che, nonostante i mutamenti odierni delle mentalit� nei confronti dell�omosessualit�, le relazioni omosessuali durevoli non rientrano nell'ambito d'applicazione del diritto al rispetto della vita famigliare tutelato dall'art. 8 della Convenzione (v. in particolare le decisioni 3 maggio 1983, X e Y/Regno Unito, n. 9369/81, D R 32 pag. 220; 14 maggio 1986; S./Regno Unito, n. 11716/85, D R 47 pag. 274, paragrafo 2, e 19 maggio 1992, Kerkhoven e Hinke/Paesi Bassi, n. 15666/89, non pubblicata, paragrafo 1) e che norme nazionali volte a garantire, a scopo di tutela della famiglia, un trattamento pi� favorevole alle persone coniugate e alle persone di sesso opposto conviventi more uxorio rispetto alle persone dello stesso sesso che abbiano relazioni durevoli non sono in contrasto con l�art. 14 della Convenzione che vieta in particolare le discriminazioni fondate sul sesso (v. decisioni S./Regno Unito, loc. cit., paragrafo 7; 9 ottobre 1989; C e LM/Regno Unito, n. 14753/89, non pubblicata, paragrafo 2, e 10 febbraio 1990, B/Regno Unito, n. 16106/90, D R 64 pag. 278, paragrafo 2). 34. In un diverso contesto la Corte europea dei diritti dell'uomo interpreta del resto l�art. 12 della Convenzione nel senso che si applica unicamente al matrimonio tradizionale tra due persone di sesso biologico diverso (v. Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenze 17 ottobre 1986, Rees, Serie A n. 106, pag. 19, paragrafo 49, e 27 settembre 1990, Cossey, Serie A n. 184, pag. 17, paragrafo 43). 35. Da quanto precede si desume che allo stato attuale del diritto nella Comunit�, le relazioni stabili tra due persone dello stesso sesso non sono equiparate alle relazioni tra persone coniugate o alle relazioni stabili fuori del matrimonio tra persone di sesso opposto. Di conseguenza, un datore di lavoro non � tenuto in forza del diritto comunitario ad equiparare la situazione di una persona che abbia una relazione stabile con un compagno dello stesso sesso a quella di una persona che sia coniugata o abbia una relazione stabile fuori del matrimonio con un compagno di sesso opposto�. Anche la Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea, nella sua stesura pi� recente (Strasburgo, 12.12.2007, in Gazz. Uff. U.E., C 303/1 del 14.12.2007), prevede che �Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio� (art. 9); nella �Spiegazione relativa all'articolo 9 � Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia�, che accompagna la Carta si legge: �Questo articolo si basa sull'articolo 12 della CEDU, che recita: �A partire dall�et� minima per contrarre matrimonio, l�uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l�esercizio di tale diritto�. La formulazione di questo diritto � stata aggiornata al fine di disciplinare i casi in cui le legislazioni nazionali riconoscono modi diversi dal matrimonio per costituire una famiglia. L�articolo non vieta n� impone la 322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso. Questo diritto � pertanto simile a quello previsto dalla CEDU, ma la sua portata pu� essere pi� estesa qualora la legislazione nazionale lo preveda�. Infatti l�art. 12 Convenzione europea dei diritti dell�uomo (CEDU), richiamato come si � appena visto dalla Carta dei diritti fondamentali, stabilisce che �A partire dall�et� maritale, l�uomo e la donna hanno diritto di sposarsi e di formare una famiglia, secondo le leggi nazionali che regolano l�esercizio di questo diritto�. A questo riguardo la Corte europea dei diritti dell�uomo ha sottolineato che �Il diritto di sposarsi garantito dall�art. 12 si riferisce al tradizionale matrimonio tra persone di opposto sesso biologico. Ci� risulta anche dalla lettera della disposizione, che rende evidente che l�art. 12 � finalizzato soprattutto a tutelare il matrimonio come base della famiglia. Inoltre l�art. 12 dispone che l�esercizio del diritto sia soggetto alle leggi nazionali degli Stati contraenti. Le limitazioni in tal modo introdotte non devono limitare o ridurre il diritto in modo o misura tali da vanificare l�essenza fondamentale del diritto. Tuttavia, il divieto legale imposto nel Regno Unito al matrimonio di persone che non siano di opposto sesso biologico non pu� dirsi suscettibile di cagionare tale effetto�. Avv. Riccardo Montagnoli* Corte d�appello di Brescia, Sezione I Civile, decreto 2 luglio 2009 n. 69 - Pres. P. Dess� - Cons. Rel. D. Pianta - (Avv. dello Stato R. Montagnoli - AL 2206/08) (... Omissis) In data 1ottobre 2008 l�Ufficiale di Stato Civile del Comune di Bergamo aveva formalmente risposto negativamente alla richiesta di B. C. e D. S. riguardante le pubblicazioni di matrimonio, motivando con la contrariet� all�ordine pubblico del matrimonio fra persone dello stesso sesso, peraltro non disciplinato n� previsto da alcuna. norma vigente. Avverso tale provvedimento i predetti avevano proposto ricorso al Tribunale di Bergamo a sensi degli artt. 98 c.c., 95 d.P.R. n. 396/2000 e 737 cp.c., chiedendo ordinarsi all�Ufficiale di Stato Civile di procedere alle richieste pubblicazioni, eventualmente previa sospensione del processo al fine di rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimit� degli artt. 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis c.c. in relazione agli artt. 2, 3 10 comma 2, 13 e 29 della Costituzione. Si era costituito in giudizio il Sindaco del Comune di Bergamo, in qualit� di Ufficiale del Governo, eccependo l�inammissibilit� e comunque l�infondatezza del ricorso. Con il provvedimento ora assoggettato a reclamo il Tribunale di Bergamo, dopo aver respinto l�eccezione preliminare svolta dall�Avvocatura dello Stato e reputato manifestamente infondate le questioni di legittimit� costituzionale sollevate dai ricorrenti, ha respinto il ricorso. I primi Giudici hanno rilevato come sia infondata l�affermazione dei ricorrenti, a stregua della quale non esiste una definizione normativa di matrimonio, in quanto, in realt�, pur mancan- (*) Avvocato dello Stato IL CONTENZIOSO NAZIONALE 323 done una definizione generale, sono ripetuti i richiami fatti dal diritto positivo alla nozione di matrimonio quale risulta sia dalla secolare evoluzione del diritto privato che dal comune sentire sin qui mai messo in discussione. Cos� che, anche richiamandosi proprio quegli articoli del codice civile della cui conformit� al dettato costituzionale i ricorrenti dubitano, si ricava la pacifica configurazione del matrimonio quale unione fra due persone di sesso diverso che vogliono prendersi rispettivamente come marito e come moglie. N�, ad avviso del Tribunale, vi� spazio per le dedotte questioni di costituzionalit�, in quanto l�art. 29 della Costituzione, che si occupa espressamente della famiglia, come societ� naturale fondata sul matrimonio, fa palese riferimento alla rievocata, nozione derivante dall�evoluzione del diritto e del costume. E neppure dagli artt. 2 e 3 Cost., che tutelano i diritti inviolabili della persona e il diritto di uguaglianza, pu� ricavarsi l�esistenza di un diritto di rango costituzionale a contrarre matrimonio al di l� delle condizioni prefigurate dall�ordinamento giuridico o di un diritto incondizionato a sposarsi. � parimenti infondata, secondo il Tribunale, l�affermazione per cui il diritto qui propugnato troverebbe riscontro e riconoscimento nelle normative comunitarie e sopranazionali, anche perch� proprio l�art. 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell�Uomo si riferisce al matrimonio tradizionale fra due persone di sesso diverso. Avverso tale provvedimento B. C. e D. S. hanno proposto reclamo alla Corte d�Appello con ricorso depositato in data 5 marzo 2009, con il quale vengono, in sostanza, riproposte le questioni gi� devolute alla conoscenza del Tribunale, con riferimento: - alla effettiva nozione di matrimonio (non) ricavabile dal diritto positivo, ancorch� vi siano nel corpo del codice civile alcuni articoli che sembrano presupposte la. necessit� che i nubendi appartengano a sesso diverso, laddove sarebbe compito del Giudice applicare un�interpretazione evolutiva dell�istituto che tenga conto del mutare della societ�; - all�inesistenza di un divieto riguardante il matrimonio fra persone dello stesso sesso ed al dovere della magistratura, nell�inerzia del legislatore, di adeguare, in via interpretativa l�ordinamento giuridico in guisa da renderlo conforme ai principi costituzionali; - all�esistenza, in ogni caso, di un contrasto fra la Costituzione italiana e il divieto del matrimonio fra persone dello stesso sesso, cosi come � agevole trarre dal testo degli art. 2 e 29, anche alla luce di recenti pronunce del Giudice delle Leggi: di talch�, nel caso della ritenuta incompatibilit� fra la vigente normativa, come sopra richiamata, e l�eventualit� di un matrimonio fra persone dello stesso sesso, si sollecita ancora la rimessione della questione alla Corte Costituzionale. Si � costituita in giudizio l�Avvocatura dello Stato, nell�interesse del Ministero degli Esteri, rinnovando l�eccezione d�inammissibilit� del ricorso e chiedendo in ogni caso la reiezione dell�impugnazione. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo la reiezione del reclamo. A scioglimento della riserva assunta all�odierna udienza camerale, la Corte osserva quanto segue. Il ricorso � ammissibile, in quanto perfettamente corrispondente allo schema normativo dell�art. 98 c.c.: le parti hanno impugnato il diniego opposto dall�Ufficiale di Stato Civile alla richiesta delle pubblicazioni dei prospettato matrimonio richiedendo l�intervento del Tribunale al quale hanno sottoposto, in via incidentale, per vagliare la legittimit� del rifiuto, la questione riguardante la compatibilit� con il diritto vigente del matrimonio fra persone dello stesso sesso e prospettando, per il caso di risposta negativa, il dubbio di incostituzionalit� delle norma da cui si potrebbe ricavare il relativo divieto. Esso � comunque infondato. 324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Non pu� dubitarsi, innanzi tutto, che sotto nessun aspetto possa reputarsi la conformit� del matrimonio fra persone dello stesso sesso al modello prefigurato tanto dalla tradizione, quanto dal diritto positivo (prima e dopo la riforma del 1975), quanto infine dalla Costituzione della Repubblica. I richiami effettuati dal Tribunale di Bergamo sono assolutamente pertinenti e vanno in questa sede ampiamente condivisi (del resto anche i reclamanti finiscono per ritenerli insuperabili e ne traggono lo spunto per sollecitare la Corte affinch� sollevi questione d� legittimit� costituzionale). Appare opportuno affrontare pi� approfonditamente la questione di legittimit� costituzionale, su cui C. e S. hanno particolarmente insistito in sede di discussione orale. La questione � manifestamente infondata. Va premesso che storicamente all�istituto del matrimonio le legislazioni hanno da sempre affidato il ruolo di predisporre una disciplina positiva destinata a regolamentare gli effetti (di natura personale, patrimoniale e successorio) che di volta in volta vengono riconosciuti alla convivenza fra persone che nell�ambito ditale struttura giuridica vogliono inquadrare la convivenza famigliare. Di qui l�attenzione posta dal legislatore ordinario alla regolamentazione dei diritti e doveri reciproci fra i coniugi e fra questi e, se vi sono, i figli. La Costituzione della Repubblica italiana, invece, non contempla il matrimonio fra le esplicazioni della personalit� umana da garantire (artt. 2 e 3), n� rivolge attenzione a tale istituto giuridico se non, in via indiretta, attraverso l�art. 29, ove nel prevedere espressamente la tutela. della famiglia e dei principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi (quest�ultima affermazione direttamente collegata alla eterosessualit� dell�unione ed alla tradizionale disparit� di fatto e di diritto fra maschio e femmina), fa riferimento all�istituto del matrimonio solo quale necessario presupposto per la tutela cosi accordata. La doglianza espressa dai reclamanti, dunque, non pu� che rivolgersi al legislatore, che sino ad ora ha ritenuto di non dover apprestare istituti giuridici idonei a tutelare e regolamentare, con strumenti anche assimilabili a quelli previsti in materia matrimoniale, unioni non riconducibili al modello tradizionale dei matrimonio e non necessariamente caratterizzate dall�identit� di sesso dei loro partecipanti. Unioni che, tuttavia, non sono affatto vietate, ancorch� non siano, per come si � detto, allo stato suscettibili di generare al loro interno ed anche verso l�esterno specifiche situazioni giuridicamente regolate e protette. N�. come ha efficacemente sottolineato il Tribunale di Bergamo, alle ragioni espresse dai reclamanti pu� essere di giovamento l�invocare pretesi sostegni da parte della normativa comunitaria o sovranazionale, essendo paradigmatico l�esempio, portato in quella sede, dell�art. 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell�uomo, che non a caso riconosce il diritto dell�uomo e della donna di sposarsi e di formare una famiglia. La natura della controversia suggerisce l�opportunit� di compensare le spese della presente procedura. P.Q.M. Respinge il reclamo. Tribunale Ordinario di Venezia, Sezione III civile, ordinanza del 4 aprile 2009 - Pres. Gionfrida - Giud. Rel. Guerra. (... Omissis) I ricorrenti hanno proposto ricorso avverso il provvedimento datato 3.7.2008 con il quale l�ufficiale dello stato civile del Comune di Venezia ha rifiutato di procedere alla pubblicazione di IL CONTENZIOSO NAZIONALE 325 matrimonio dagli stessi richiesta, ritenendo l�assoluta illegittimit� della pubblicazione �in forza del complesso normativo fondante l�ordinamento giuridico italiano e la contrariet� all�ordine pubblico costituito da principi fondamentali di rango sia costituzionale che ordinario�, cos� motivando il diniego: �Considerato che la richiesta pubblicazione di matrimonio, intesa ad ottenere la celebrazione del matrimonio civile in questo Comune, � stata resa da due nubendi dello stesso sesso; Considerato che il fine della pubblicazione � quello di dare pubblicit� al matrimonio per consentire eventuali opposizioni e, soprattutto, di verificare preventivamente la sussistenza delle condizioni richieste e la mancanza di impedimenti previsti dal codice civile, al fine di avere garanzia che il matrimonio, una volta celebrato, sar� pienamente valido ed efficace; Considerato che l�istituto del matrimonio, nell�ordinamento giuridico italiano � inequivocabilmente incentrato sulla diversit� di sesso dei coniugi, desumibile dall�insieme delle disposizioni che disciplinano l�istituto del matrimonio, tanto che tale diversit� di sesso costituisce presupposto indispensabile, requisito fondamentale per la fattispecie del matrimonio, a tal punto che l�ipotesi contraria, relativa a persone dello stesso sesso, � giuridicamente inesistente e certamente estranea alla definizione del matrimonio, almeno secondo l�insieme delle normative tuttora vigenti; Richiamato il decreto 10 giugno 2005 del Tribunale di Latina, relativo ad una richiesta di trascrizione di matrimonio, contratto all�estero, tra persone dello stesso sesso, nel quale viene specificato che: �...Alla luce di quanto precede deve allora concludersi che elemento essenziale per poter qualificare nel nostro ordinamento la fattispecie matrimonio � la diversit� di sesso dei nubendi ed in tal senso si � pronunciata la Corte di Cassazione che nel distinguere in subiecta materia la categoria dell'inesistenza da quella della nullit�, ha precisato che ricorre l�ipotesi dell�inesistenza quando manchi quella realt� fenomenica che costituisce la base naturalistica della fattispecie, individuandone i requisiti minimi essenziali nella manifestazione di volont� matrimoniale resa da due persone di sesso diverso davanti ad un ufficiale celebrante (Cass. n. 7877/2000; 1304/1990; 1808/1976). D�altronde non � senza ragione che, nel nostro codice civile, tra gli impedimenti al matrimonio (quali et�, capacit�, libert� di stato, parentela, delitto - artt. 84, 86, 87, 88 c.c.-) non � prevista la diversit� di sesso dei coniugi e ci� ovviamente non perch� tale condizione sia irrilevante, bens� perch� essa, a differenza dei semplici impedimenti, incide sulla stessa identificazione della fattispecie civile che, nel nostro ordinamento, possa qualificarsi matrimonio�. Visto il parere del Ministero dell�Interno espresso con nota del 28.07.2004, prot. 04006451 - 15100/15952, nel quale viene specificato che: �...in merito alla possibilit� di trascrivere un atto di matrimonio contratto all�estero tra persone dello stesso sesso, si precisa che in Italia tale atto non � trascrivibile in quanto nel nostro ordinamento non � previsto il matrimonio tra soggetti dello stesso sesso in quanto contrario all�ordine pubblico, ai sensi dell'art. 18 del DPR 396/2000�. Visto la circolare del Ministero dell�Interno n. 55 in data 18.10.2007 prot. n. 15100/397/0009861, relativa ai matrimoni contratti all'estero tra persone dello stesso sesso, nella quale viene affermato che �...in mancanza di modifiche legislative in materia, il nostro ordinamento non ammette il matrimonio omosessuale e la richiesta di trascrizione di un simile atto compiuto all�estero deve essere rifiutata perch� in contrasto con l�ordine pubblico interno�, escludendo categoricamente qualsiasi possibilit� di matrimonio tra persone dello stesso sesso; Ritenuto, pertanto, che la sopraindicata richiesta di pubblicazione riguarda ipotesi giuridicamente inesistente e non assimilabile all'istituto del matrimonio secondo la disciplina prevista dal nostro ordinamento� (doc. 1 del fascicolo attoreo). A sostegno del ricorso sono state svolte ampie argomentazioni in diritto, con le quali si � rilevato che nel nostro ordinamento non esisterebbe una nozione di matrimonio, n� un divieto 326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 espresso di matrimonio tra persone dello stesso sesso - non essendo previsto tra i requisiti per contrarlo la disparit� sexus (ex art. 84 c.c.) -, che inoltre gli atti del Ministero degli Interni citati nel provvedimento si riferirebbero all�ordine pubblico internazionale e non all'ordine pubblico interno (che invece andrebbe richiamato nel caso di specie), che comunque tali atti sarebbero contrari alla Costituzione e alla Carta di Nizza e quindi da disapplicare, che in ogni caso l�interpretazione letterale delle norme codicistiche posta a fondamento dell�atto di diniego da parte del Comune sarebbe contraria alla Costituzione italiana, ed in particolare agli artt. 2, 3, 10 comma 2�, 13, 29. Sulla base di tali argomenti i ricorrenti hanno chiesto al Tribunale, in via principale, di ordinare all�ufficiale di stato civile del comune di Venezia di procedere alla pubblicazione del matrimonio rifiutata e, in via subordinata, di sollevare la questione di legittimit� costituzionale - previa positiva valutazione della rilevanza e non manifesta infondatezza - degli artt. 107, 108, 143, 143 bis e156 bis c.c. rispetto agli artt. 2, 3, 10 comma 2, 13, 29 Cost., rimettendo gli atti alla Corte Costituzionale. Con il ricorso in esame si chiede quindi che il Tribunale si pronunci in ordine al tema - assai dibattuto non solo fra i giuristi e non solo nel nostro Paese - relativo alla riconoscibilit� del diritto delle persone omosessuali di contrarre matrimonio con persone del proprio sesso. Nel nostro sistema il matrimonio tra persone dello stesso sesso non � n� previsto, n� vietato espressamente. � certo tuttavia che n� il legislatore del 1942, n� quello riformatore del 1975 si sono posti la questione del matrimonio omosessuale, all�epoca ancora non dibattuta, almeno nel nostro Paese. Pur non esistendo una norma definitoria espressa, l�istituto del matrimonio, cos� come previsto nell'attuale ordinamento italiano, si riferisce indiscutibilmente solo al matrimonio tra persone di sesso diverso. Se � vero che il codice civile non indica espressamente la differenza di sesso fra i requisiti per contrarre matrimonio, diverse sue norme, fra cui quelle menzionate nel ricorso e sospettate d�incostituzionalit�, si riferiscono al marito e alla moglie come �attori� della celebrazione (107 e 108), protagonisti del rapporto coniugale (art. 143 e ss. ) e autori della generazione (artt. 231 e ss.) . Reputa il Tribunale che, proprio per il chiaro tenore delle norme sopra indicate, non sia posibile - allo stato della normativa vigente - operare un�estensione dell�istituto del matrimonio anche a persone dello stesso sesso. Si tratterebbe di una forzatura non consentita ai giudici (diversi da quello costituzionale), a fronte di una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio come unione di un uomo e di una donna. D�altra parte, non si pu� ignorare il rapido trasformarsi della societ� e dei costumi avvenuto negli ultimi decenni, nel corso dei quali si � assistito al superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia normale, tradizionale e al contestuale sorgere spontaneo di forme diverse, seppur minoritarie, di convivenza, che chiedono protezione, si ispirano al modello tradizionale e come quello mirano ad essere considerate e disciplinate. Nuovi bisogni, legati anche all�evoluzione della cultura e della civilt�, chiedono tutela, imponendo un'attenta meditazione sulla persistente compatibilit� dell�interpretazione tradizionale con i principi costituzionali. Il primo riferimento costituzionale con il quale confrontarsi, suggerito anche dai ricorrenti, � sicuramente quello di cui all�art. 2 della Costituzione, nella parte in cui riconosce i diritti inviolabili dell�uomo (diritti gi� proclamati dalla Costituzione ovvero individuati dalla Corte Costituzionale) non solo nella sua sfera individuale ma anche, e forse soprattutto, nella sua sfera sociale, ossia, secondo la formula della norma, �nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalit��, fra le quali indiscutibilmente la famiglia deve essere considerata la prima IL CONTENZIOSO NAZIONALE 327 e fondamentale espressione. La famiglia � infatti la formazione sociale primaria nella quale si esplica la personalit� dell�individuo e nella quale vengono quindi tutelati i suoi diritti inviolabili, conferendogli uno status (quello di persona coniugata) che assurge a segno caratteristico all'interno della societ� e che conferisce un insieme di diritti e di doveri del tutto peculiari e non sostituibili tramite l�esercizio dell'autonomia negoziale. Il diritto di sposarsi configura un diritto fondamentale della persona riconosciuto sia a livello sovranazionale (artt. 12 e 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell�Uomo del 1948, artt. 8 e 12 CEDU e ora agli artt. 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione Europea proclamata a Nizza il 7.12.2000), sia dall�art. 2 della Costituzione. � un diritto inteso sia nella sua accezione positiva di libert� di contrarre matrimonio con la persona prescelta (cos� anche Corte Cost. n. 445/2002 ), sia in quella negativa di libert� di non sposarsi e di convivere senza formalizzare l'unione (cos� Corte Cost. 13.5.1998 n. 166). La libert� di sposarsi (o di non sposarsi) e di scegliere il coniuge autonomamente riguarda la sfera dell'autonomia e dell�individualit� ed � quindi una scelta sulla quale lo Stato non pu� interferire, a meno che non vi siano interessi prevalenti incompatibili; ora, nell�ipotesi in cui una persona intenda contrarre matrimonio con altra persona dello stesso sesso il Tribunale non individua alcun pericolo di lesione ad interessi pubblici o privati di rilevanza costituzionale, quali potrebbero essere la sicurezza o la salute pubblica . L�unico importante diritto con il quale potrebbe eventualmente ipotizzarsi un contrasto � quello dei figli di crescere in un ambiente familiare idoneo, diritto che corrisponde anche ad un indiscutibile interesse sociale. � chiaro tuttavia che tale interesse potrebbe incidere esclusivamente sul diritto delle coppie omosessuali coniugate di avere figli adottivi, diritto che � distinto, e non necessariamente connesso, rispetto a quello di contrarre matrimonio, tanto che alcuni ordinamenti stranieri, come si specificher� pi� avanti, pur introducendo il matrimonio tra omosessuali, hanno espressamente escluso il diritto di adozione; in ogni caso, nell'attuale ordinamento italiano ogni adozione di minorenni presuppone la valutazione di idoneit� affettiva e di capacit� genitoriale della coppia (si veda l�art. 6.2 della L. 184/1983), evidentemente funzionale alla valutazione dell�interesse del minore adottando, essendo cos� esclusa ogni automaticit� tra il matrimonio, la richiesta di adozione e la decisione del Tribunale per i minorenni. Il secondo parametro di riferimento da prendere in esame, strettamente connesso al precedente, � quello di cui all�art. 3 della Costituzione, che vieta ogni discriminazione irragionevole, conferendo a tutti i cittadini �...pari dignit� sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali�, impegnando lo Stato a �...rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libert� e l�eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana...� Essendo, per quanto sopra rilevato, il diritto di contrarre matrimonio un momento essenziale di espressione della dignit� umana, si ritiene che esso debba essere garantito a tutti, senza discriminazioni derivanti dal sesso o dalle condizioni personali (quali l�orientamento sessuale), con conseguente obbligo dello Stato d'intervenire in caso di impedimenti all�esercizio. Ne consegue che se lo scopo del principio di cui all�art. 3 della Costituzione � vietare irragionevoli disparit� di trattamento, la norma - implicita nel nostro sistema - che esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, cos� seguendo il proprio orientamento sessuale (n� patologico, n� illegale), non abbia alcuna giustificazione razionale, soprattutto se raffrontata con l�analoga situazione delle persone transessuali, che, ottenuta la rettificazione di attribuzione di sesso in applicazione della l. 14.4.1982 n. 164 possono contrarre matrimonio con persone del proprio sesso di nascita. Al riguardo va rammentato 328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 che la coerenza con la Costituzione della legge n. 164/1982 � stata riconosciuta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 165 del 6.5.1985 e che le valutazioni espresse dalla Corte sulla norma sospettata d'incostituzionalit� confortano la tesi qui sostenuta, essendo stata riconosciuta la legittimit� costituzionale non tanto sulla base del fatto che i soggetti abbiano compiuto e portato a termine un trattamento medico-chirurgico e che vi sia stato il provvedimento del Tribunale (che tramite una sorta di fictio iuris attribuisce il sesso opposto), ma sulla base di argomenti di ben pi� ampio respiro. In particolare, la Corte ha definito l�orientamento del transessuale come �naturale modo di essere� sostenendo che la legge sospettata d�incostituzionalit� �si � voluta dare carico di questi �diversi� ponendo una normativa intesa a consentire l�affermazione della loro personalit� e in tal modo ad aiutarli a superare l�isolamento, l�ostilit� e l�umiliazione che troppo spesso li accompagnano nella loro esistenza cos� operando il legislatore italiano si � allineato agli orientamenti legislativi, amministrativi e giurisprudenziali, gi� affermati in numerosi Stati, fatti propri, all�unanimit� dalla Commissione della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo (decisione 9 maggio 1978, nel caso Daniel OostenWijck contro Governo belga) e la cui adozione in tutti gli Stati membri della Comunit� � stata caldeggiata con una proposta di risoluzione presentata al Parlamento Europeo nel febbraio 1983 (...) la legge n. 164 del 1982 si colloca, dunque, nell�alveo di una civilt� giuridica in evoluzione, sempre pi� attenta ai valori, di libert� e dignit�, della persona umana�. In tale pronuncia si coglie l�attenzione della Corte nell�evidenziare le illegittime discriminazioni subite in precedenza dalle persone transessuali, con affermazioni pienamente mutuabili anche per gli omosessuali. La Corte � sembrata attenta a rispettare il principio secondo la quale il giudizio di costituzionalit� deve essere ancora pi� pregnante ove il sospetto riguardi categorie di persone che storicamente abbiano subito illegittime discriminazioni e che si debba presumere siano particolarmente suscettibili di subire ulteriori trattamenti ingiustificatamente sfavorevoli. Invero la legge n. 164 del 1982 ha profondamente mutato i connotati dell�istituto del matrimonio civile consentendone la celebrazione tra soggetti dello stesso sesso biologico d incapaci di procreare, valorizzando cos� l�orientamento psicosessuale della persona. Con riferimento all�assetto normativo sistematico delineato l�identit� di sesso biologico non pu� essere legittimamente invocata per escludere gli omosessuali dal matrimonio. Se � vero, infatti, che fattore meritevole di tutela � l�orientamento psicosessuale della persona, non appare in alcun modo giustificata la discriminazione tra coloro che hanno naturale orientamento psichico che li spinge ad una unione omosessuale, e non vogliono pertanto effettuare alcun interevento chirurgico di adattamento, n� ottenere la rettificazione anagrafica per conseguire un'attribuzione di sesso contraria al sesso biologico, - ai quali � precluso il matrimonio -, e i transessuali che sono ammessi al matrimonio pur appartenendo allo stesso sesso biologico ed essendo incapaci di procreare. D�altro canto, le opinioni contrarie al riconoscimento alla libert� matrimoniale tra persone dello stesso sesso, fatte proprie dall�Avvocatura dello Stato resistente, per giustificare la disparit� di trattamento invocano ragioni etiche, legate alla tradizione o alla natura. Si deve tuttavia obiettare che tali argomenti non sono idonei a soddisfare il rigore argomentativo richiesto dal giudizio di legittimit�, non solo perch�, come si � gi� messo in luce, i costumi familiari si sono radicalmente trasformati, ma soprattutto perch� si tratta di tesi alquanto pericolose quando si discute di diritti fondamentali, posto che l�etica e la natura sono state troppo spesso utilizzate per difendere gravi discriminazioni poi riconosciute illegittime; si pensi alla disuguaglianza tra i coniugi nel diritto matrimoniale italiano preriforma e al divieto delle donne di svolgere alcune professioni, entrambi fondati sulla convinzione che le donne fossero natu- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 329 ralmente pi� deboli; ancora, nell'esperienza anche attuale di altri Paesi, vanno ricordati il divieto di contrarre matrimoni interrazziali o interreligiosi e la punizione di atti sessuali tra omosessuali anche se privati, giustificati con la contrariet� all'etica, alla tradizione o addirittura alla religione. A ci� si aggiunga che, come si approfondir� pi� avanti, per i diritti degli omosessuali, cos� come per quelli dei transessuali, vi sono fortissime spinte, provenienti dal contesto europeo e sovranazionale, a superare le discriminazioni di ogni tipo, compresa quella che impedisce di formalizzare le unioni affettive. Tali sollecitazioni sono evidentemente tese a far s� che gli Stati introducano specifici supporti giuridici e non si limitino a mere affermazioni di principio; infatti, ogni difesa formale della libert�, priva di un reale supporto giuridico strutturale, � debole e priva di effettivit�, come insegna l�osservazione del cammino compiuto da altre categorie per raggiungere un livello accettabile di realizzazione dei propri diritti. Basti pensare, nell'esperienza italiana, a quanto � avvenuto per le persone detenute e per le persone affette da handicap: ci si riferisce, per i detenuti, alla c.d. riforma penitenziaria introdotta con la legge 26.7.1975 n. 354, con la quale il legislatore ha risposto con una normativa tra le pi� avanzate allo stimolo proveniente proprio da una storica sentenza della Corte Costituzionale dell�anno precedente (n. 204/1974), e per i disabili alla legge 5.2.1992 n. 104 (�Legge quadro per l�assistenza, l�integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate�). Un�ulteriore giustificazione per negare il matrimonio omosessuale � spesso individuata nel disposto dell�art. 29, 1� comma della Costituzione, laddove si afferma che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come �societ� naturale fondata sul matrimonio�, essendosi ritenuto che con tale espressione si sia inteso tutelare il solo nucleo legittimo di carattere tradizionale, ossia l�unione di un uomo ed una donna suggellata dal vincolo giuridico del matrimonio. In realt�, il significato di tale espressione non � quello di riconoscere il fondamento della famiglia in un non meglio definito �diritto naturale�, quanto piuttosto di affermare la preesistenza e l�autonomia della famiglia - come comunit� originaria e pregiuridica -, dallo Stato, cos� imponendo dei limiti al potere del legislatore statale. Che questa fosse l�intenzione del legislatore storico � messo ben in luce negli atti relativi al dibattito svolto in seno all�Assemblea Costituente in relazione all�art. 29 Cost., come emerge dall'intervento dell�on. A. M. nel corso della adunanza plenaria del 15 gennaio 1947. In particolare, in relazione alla formula �la famiglia � una societ� naturale�, egli sottoline� che � ... non � affatto una definizione, anche se ne ha la forma esterna, in quanto si tratta in questo caso di definire la sfera di competenza dello Stato nei confronti di una delle formazioni sociali alle quali la persona umana d� liberamente vita�. Ed ancora: �Escluso che qui �naturale� abbia un significato zoologico o animalesco, o accenni ad un legame puramente di fatto, non si vuole dire con questa formula che la famiglia sia una societ� creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed etico. Non � un fatto, la famiglia, ma � appunto un ordinamento giuridico e quindi qui �naturale� sta per �razionale�. D�altra parte non si vuole escludere che la famiglia abbia un suo processo di formazione storica, n� si vuole negare che vi sia sempre un pi� perfetto adeguamento della famiglia a questa razionalit� nel corso della storia; ma quando si dice �societ� naturale� in questo momento storico si allude a quell�ordinamento che, perfezionato attraverso il processo della storia, costituisce la linea ideale della vita familiare. Quando si afferma che la famiglia � una �societ� naturale�, si intende qualche cosa di pi� dei diritti della famiglia. Non si tratta soltanto di riconoscere i diritti naturali alla famiglia, ma di riconoscere la famiglia come societ� naturale, la quale abbia le sue leggi ed i suoi diritti di fronte ai quali 330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 lo Stato, nella sua attivit� legislativa, si deve inchinare. Era d�altra parte assai forte e recente il ricordo delle leggi razziali: il divieto di matrimonio di cittadini italiani di razza ariana con persone appartenenti ad altra razza, la subordinazione del matrimonio di cittadini italiani con persone di nazionalit� straniera al preventivo consenso del Ministero per l�Interno, il divieto per gli ebrei di sposarsi in terra italiana, l�obbligo d�improntare l�istruzione e l�educazione familiare al sentimento nazionale fascista, tutte norme dirette a salvaguardare uno specifico concetto di famiglia imposto dallo Stato. Proprio ricordando gli abusi compiuti a difesa di una certa tipologia di famiglia, i Costituenti intesero marcare il confine tra autonomia familiare e sovranit� statale, circoscrivendo i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua regolamentazione. Regolamentazione che � tuttavia consentita, rectius imposta, ai sensi del 2� comma dell�art. 29 Cost. e di quelli immediatamente seguenti, solo quando si rende necessario un intervento statale atto a garantire i valori, questi s� costituzionalizzati, dell�eguaglianza tra coniugi, dell�unit� familiare, del mantenimento, istruzione ed educazione dei figli. Il fatto che la tutela della tradizione non rientri nelle finalit� dell�art. 29 Cost. e che famiglia e matrimonio si presentino come istituti di carattere aperto alle trasformazioni che necessariamente si verificano nella storia, � poi indubitabilmente dimostrato dall�evoluzione che ha interessato la loro disciplina dal 1948 ad oggi. Il codice civile del 1942 recepiva un modello di famiglia basato su di un matrimonio indissolubile e su di una struttura gerarchica a subordinazione femminile; basti pensare al fatto che l�art. 143 parlava solo di obblighi reciproci e non di diritti, alla potest� maritale dell'art. 144, al dovere del marito di proteggere la moglie di cui all�art. 145, all�istituto della dote. Tale caratterizzazione autoritaria e gerarchica si traduceva, sul fronte penale, nella repressione del solo adulterio femminile, nella responsabilit� penale del marito solamente per abuso dei mezzi di correzione nei confronti della moglie, nella previsione del delitto d�onore, nell'estinzione del reato di violenza carnale a mezzo del matrimonio riparatore. Sono ben noti gli interventi della Corte Costituzionale a tutela dell�eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, fra cui la storica sentenza n. 126/1968 che, nel dichiarare l�illegittimit� costituzionale dell�art. 559 comma 1 e 2 c.p. che puniva il solo adulterio della moglie, ha sottolineato proprio il mutamento della societ�, superando cos� il proprio orientamento precedente solo di pochi anni, con il quale, richiamandosi al �tradizionale concetto della famiglia, quale tuttora vive nella coscienza del popolo�, aveva dichiarato non fondata la medesima questione (sentenza n. 64/1961). Anche in questo caso � stata proprio la Corte Costituzionale ad aprire la strada ad una riforma del diritto di famiglia, attuata con la legge del 1975, effettivamente in linea con i principi di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, superando la tradizione ultramillenaria secondo la quale la donna nell�ambito della famiglia doveva rivestire un ruolo subordinato. Ancora, vanno menzionati la mancata costituzionalizzazione dell'indissolubilit� del matrimonio e la conseguente introduzione legislativa del divorzio, nonch� la progressiva attuazione per via legislativa (da ultimo con la l. 54/2006) del principio costituzionale di eguaglianza tra figli legittimi e figli naturali: tutti esempi che dimostrano come l�accezione costituzionale di famiglia, lungi dall�essere ancorata ad una conformazione tipica ed inalterabile, si sia al contrario dimostrata permeabile ai mutamenti sociali, con le relative ripercussioni sul regime giuridico familiare. Le considerazioni che precedono sul significato dell�espressione �societ� naturale� e sull�estraneit� della tutela del �matrimonio tradizionale� alle finalit� dell�art. 29 Cost. portano a ritenere prive di fondamento quelle tesi che giustificano l�implicito divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso ricorrendo ad argomenti correlati alla capacit� procreativa della coppia ed alla tutela della procreazione. Al riguardo sarebbe, peraltro, sufficiente sottolineare come n� la IL CONTENZIOSO NAZIONALE 331 Costituzione, n� il diritto civile prevedano la capacit� di avere figli come condizione per contrarre matrimonio, ovvero l�assenza di tale capacit� come condizione di invalidit� o causa di scioglimento del matrimonio, essendo matrimonio e filiazione istituti nettamente distinti. Una volta escluso che sulla disposizione dell�art. 29 Cost. possa trovare fondamento il trattamento differenziato delle coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali, si ritiene che tale norma, proprio nel momento in cui attribuisce tutela costituzionale alla famiglia legittima - contribuendo essa, grazie alla stabilit� del quadro delle relazioni sociali, affettive ed economiche che comporta, alla realizzazione della personalit� dei coniugi -, lungi dal costituire un ostacolo al riconoscimento giuridico del matrimonio tra persone dello stesso sesso, possa assurgere ad ulteriore parametro, unitamente agli artt. 2 e 3, in base al quale valutare la costituzionalit� del divieto. Ulteriore riferimento costituzionale che rileva nella questione in esame �, pi� che quello di cui all�art. 10, 2� comma (suggerito dai ricorrenti) che riguarda la condizione giuridica dello straniero, quello di cui all'art. 117, 1� comma Cost., che vincola il legislatore al rispetto dei vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Vengono in rilievo al riguardo, quali norme interposte, innanzitutto gli artt. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), 12 (diritto al matrimonio) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell�Uomo e delle Libert� Fondamentali. Con riferimento in particolare all�art. 8, la Corte Europea dei Diritti dell�Uomo ha accolto una nozione di �vita privata� e di tutela dell'identit� personale in essa insita, non limitata alla sfera individuale, bens� estesa alla vita di relazione, arrivando a configurare un dovere di positivo intervento degli Stati di rimediare alle lacune suscettibili di impedire la piena realizzazione personale. Sempre in relazione al medesimo articolo, nel caso Goodwin c. Regno unito, 17/7/2002, la Corte di Strasburgo ha dichiarato contrario alla Convenzione il divieto di matrimonio del transessuale con persona del suo stesso sesso originario, per violazione del principio di rispetto della vita privata, superando il proprio precedente orientamento con il quale aveva ritenuto che il diritto di sposarsi garantito dall�art.12 CEDU potesse essere riferito solo a persone di sesso biologico opposto (Rees c. Regno Unito, 17/10/1986). Va evidenziato come, nel cambiare il proprio orientamento, la Corte abbia fatto riferimento a quello che ha definito come �the very essence of the right to marry� e all'artificiosit� dell�idea che i soggetti transessuali, dopo l�operazione, non sarebbero privati del diritto di sposarsi, potendo comunque sposare una persona del sesso opposto a quello loro originario. In altre parole, la Corte ha riconosciuto che non ha senso essere titolari di un diritto al matrimonio, se poi non si pu� scegliere con chi sposarsi. Richiamando e ampliando quanto sopra sostenuto relativamente al valore di quanto affermato nella sentenza n. 161/1985 della Corte Costituzionale, va ribadito che sono evidenti le analogie esistenti tra la fattispecie in merito alla quale la Corte Europea � stata chiamata ad esprimersi e quella del matrimonio omosessuale: anche le persone omosessuali non sono, formalmente, private del diritto di sposarsi con una persona del sesso opposto, ma � chiaro che non � a questo tipo di matrimonio al quale ambiscono al fine di realizzare la propria personalit�. Sempre con riguardo all�art. 117, 1� comma Cost., e specificamente in relazione all�obbligo per il legislatore statale e regionale di rispettare i vincoli posti dall�ordinamento comunitario, si deve ricordare come anche la Carta di Nizza sancisca i diritti al rispetto della vita privata e familiare (art. 7), a sposarsi ed a costituire una famiglia (art. 9) e a non essere discriminati (art. 21) fra i diritti fondamentali dell�Unione Europea. � interessante, peraltro, notare come l�art. 9 non contenga (deliberatamente secondo quanto affermato nelle �spiegazioni� della stessa Carta), a dif- 332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 ferenza dell'art. 12 CEDU, alcun riferimento �l�uomo e la donna�. Ora, � vero che la Carta di Nizza non assume valore vincolante, non essendo stato ratificato il Trattato di Lisbona nell'ambito del quale era stata inserita, tuttavia, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza, anche costituzionale, essa ha �carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti europei� (Corte Cost., sentenza n. 135/2002) e costituisce nella prassi un importante punto di riferimento sia per le istituzioni europee che per l'attivit� interpretativa dei giudici europei. Non si devono dimenticare in quest'ambito nemmeno gli atti delle Istituzioni Europee che da tempo invitano gli Stati a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al matrimonio di coppie omosessuali ovvero al riconoscimento di istituti giuridici equivalenti, atti che rappresentano, indipendentemente dal loro valore giuridico, la presa di posizione a favore del riconoscimento del diritto al matrimonio, o comunque, in termini pi� generali, alla unificazione legislativa, nell�ambito degli Stati membri, della disciplina dettata per la famiglia legittima da estendersi alle unioni omosessuali. Fin dal 1981, con la raccomandazione n� 924 del 1.10.1981, l�Assemblea Parlamentare del Consiglio d�Europa aveva sentito la necessit� di garantire la libert� di scelta dell�orientamento sessuale di ciascun individuo nonch� la dignit� delle coppie omosessuali all�interno della Comunit�. Sono seguite poi la Risoluzione sulla parit� dei diritti delle persone omosessuali nella Comunit� Europea in data 8.2.1994 con la quale il Parlamento europeo ha apertamente individuato come obiettivo delle azioni comunitarie la rimozione degli �ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni�, la Risoluzione sul rispetto dei diritti umani nell�Unione Europea del 16.3.2000 con cui il Parlamento europeo ha chiesto �agli Stati membri di garantire alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parit� di diritti rispetto alle coppie sposate e alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali�. Da ultimo, merita menzione anche la recentissima risoluzione del 14 gennaio 2009 sulla situazione dei diritti fondamentali nell�Unione Europea 2004-2008 che ha invitato gli Stati membri che si sono dotati di una legislazione relativa alle coppie dello stesso sesso a riconoscere le norme adottate da altri Stati membri e aventi effetti analoghi, ha esortato la Commissione a presentare proposte che garantiscano l�applicazione, da parte degli Stati membri, del principio di riconoscimento reciproco per le coppie omosessuali, sposate o legate da un�unione civile registrata, nella fattispecie quando esercitano il loro diritto alla libera circolazione previsto dal diritto dell�Unione Europea e ha invitato gli Stati membri che non l�abbiano ancora fatto, in ottemperanza al principio di parit�, ad adottare iniziative legislative per eliminare le discriminazioni cui sono confrontate alcune coppie in ragione del loro orientamento sessuale (par. 75-77). Infine, si deve prendere atto di come, in linea con tali risoluzioni del Parlamento Europeo e a conferma degli ormai consolidati mutamenti dei modelli e dei costumi familiari, nel diritto di molte nazioni di civilt� giuridica affine alla nostra, si stia delineando una nozione di relazioni familiari tale da includere le coppie omosessuali. In Olanda (l. 1/4/2001), Belgio (l. 1/6/2003) e Spagna (l. 30/6/2005) � stato rimosso tout court il divieto di sposare una persona dello stesso sesso; altri Paesi prevedono un istituto riservato alle unioni omosessuali (ci si riferisce alle Lebenspartnerschaft tedesche e alle registered partnership inglesi) con disciplina analoga a quella del matrimonio, o al quale � stata semplicemente estesa la disciplina matrimoniale, con l�esclusione, talvolta, delle disposizioni inerenti la potest� sui figli e l�adozione (Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Islanda). Fra i Paesi che ancora non hanno introdotto il matrimonio o forme di tutela paramatrimoniali, molti comunque prevedono forme di registrazione IL CONTENZIOSO NAZIONALE 333 pubblica delle famiglie di fatto, comprese quelle omosessuali (Francia, Lussemburgo, Repubblica Ceca). � sulla base di tutte le considerazioni esposte che il Tribunale � giunto al convincimento della non manifesta infondatezza della questione di illegittimit� costituzionale, pur parzialmente modificando i parametri di riferimento rispetto a quelli indicati dai ricorrenti, delle norme di cui agli artt. 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis e 231 c.c. laddove, sistematicamente interpretate, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso; valuter� la Corte, qualora ritenesse la questione fondata, se vi sia la necessit� di estendere la pronuncia anche ad altre disposizioni legislative interessate in via di consequenzialit� ai sensi dell�art. 27 della L. 87/1953. In punto di rilevanza, si osserva che l�applicazione delle norme indicate � evidentemente ineliminabile nell�iter logico-giuridico che questo remittente deve percorrere per la decisione: infatti, in caso di dichiarazione di fondatezza della questione cos� come sollevata, il rifiuto alle pubblicazioni - la cui richiesta dimostra inequivocabilmente la volont� di contrarre matrimonio - dovrebbe ritenersi, in assenza di altra causa di rifiuto, illegittima, mentre, in caso di non accoglimento, l�attuale stato della normativa imporrebbe una pronuncia di rigetto del ricorso. Per completezza si osserva che, a fronte del rifiuto alla pubblicazione da parte dell�ufficiale dello stato civile, essendo la pubblicazione una formalit� necessaria per poter procedere alla celebrazione del matrimonio, non � individuabile alcun altro procedimento nell'ambito del quale valutare la questione. P.Q.M. Visti gli artt. 134 Costituzione della Repubblica, 1 legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 e ss. della legge 11 marzo 1953 n. 87, Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis, nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, per contrasto con agli artt. 2, 3, 29 e 117, 1� comma della Costituzione, Dispone l�immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, sospendendo il procedimento in corso. ** *** ** Note critiche sul relativismo giuridico I due provvedimenti in commento ci offrono la possibilit� di esaminare i fondamenti della tutela giuridica e sociale del matrimonio. Con il primo, la Corte di Appello di Brescia, confermando una decisione del Tribunale di Bergamo, ha riconosciuto la legittimit� di un rifiuto dell�ufficiale di stato civile di procedere alla pubblicazione di un matrimonio tra omosessuali, tenuto conto che, secondo il sentire comune, �il matrimonio � una unione formale e stabile tra un uomo e una donna, essenzialmente diretta alla procreazione e all�educazione dei figli� (cos� il provvedimento del Tri- 334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 bunale di Bergamo, confermato dalla Corte). La Corte, in particolare, respingendo la relativa questione di costituzionalit�, ha precisato che la Costituzione �non contempla il matrimonio tra le esplicazioni della personalit� umane da garantire (artt. 2 e 3), n� rivolge attenzione a tale istituto giuridico se non, in via indiretta, attraverso l�art. 29 , ove nel prevedere espressamente la tutela della famiglia e del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (quest�ultima affermazione direttamente collegata alla eterosessualit� dell�unione ed alla tradizionale disparit� di fatto e di diritto tra maschio e femmina) fa riferimento all�istituto del matrimonio solo quale necessario presupposto per la tutela cos� accordata�. La Corte ha anche chiarito che spetterebbe, in ogni caso, al legislatore di predisporre �istituti giuridici idonei a tutelare e regolamentare, con strumenti anche assimilabili a quelli previsti in materia matrimoniale, unioni non riconducibili al modello tradizionale del matrimonio e non necessariamente caratterizzate dall�identit� di sesso dei loro partecipanti� Con il secondo il Tribunale di Venezia, sollevando una specifica questione di legittimit� costituzionale delle disposizioni del codice civile italiano che non consentono il matrimonio tra omosessuali, ha ritenuto che non ha �alcuna giustificazione razionale�, la norma, �implicita nel nostro sistema, che esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso�. Il Tribunale ha ritenuto che �il diritto di sposarsi configura un diritto fondamentale della persona, riconosciuto sia dalla Costituzione sia a livello sovranazionale�. E poich� �la libert� di sposarsi (o di non sposarsi) e di scegliere il coniuge autonomamente riguarda la sfera dell�individualit��, quella di sposarsi sarebbe �una scelta sulla quale lo Stato non pu� interferire, a meno che non vi siano interessi prevalenti incompatibili�, non essendo sussistenti �alcun pericolo di lesione ad interessi pubblici o privati di rilevanza costituzionale, quali potrebbero essere la sicurezza o la salute pubblica�, cos� come sarebbe stabilito anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell�Uomo, dalla Carta dei diritti fondamentali dell�Unione Europea e dalla Costituzione (in particolare gli articoli 2 e 3). Alla base delle istanze di coloro che chiedono una radicale riforma del diritto di famiglia, nel senso di provvedere al riconoscimento formale delle coppie omosessuali sembra esserci il desiderio di considerare il matrimonio ed ogni altra unione stabile tra individui, anche dello stesso sesso, non gi� un fatto sociale - quale esso � -, bens� un fatto �privato�, degno tuttavia di ricevere una piena tutela da parte dell�ordinamento. Gli omosessuali, cos� come hanno il diritto a non subire alcuna discriminazione a causa della loro identit�, hanno anche il diritto che i loro legami affettivi abbiano lo stesso riconoscimento dei corrispondenti legami IL CONTENZIOSO NAZIONALE 335 eterosessuali. Questo punto di vista sembra essere del tutto ragionevole, tenuto conto dell�evoluzione del pensiero giuridico e sociale e, nel provvedimento di Venezia, � stato ricostituito in maniera molto ben articolata e con dotti riferimenti. Come � stato, di recente, precisato dal prof. D�Agostino, presidente dei giuristi cattolici e gi� Presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, in un articolo pubblicato su �L�Osservatore romano�, in questa visuale si intrecciano, per la verit�, punti di vista differenti tra loro. Alcuni (i c.d. liberazionisti) muovono dalla necessit� di considerare ormai obsoleto e repressivo l�istituto del matrimonio, sicch� �per ricomprendere in se stesso l�unione tra omosessuali, il matrimonio legale dovrebbe essere �depubblicizzato�, reso cio� sempre pi� simile a un mero con tratto di diritto privato, che per definizione va affidato nei suoi contenuti concreti alla pi� piena disponibilit� dei contraenti�: questa istanza � diretta ad iniziare una vera e propria battaglia libertaria, che teorizza un nuovo modello di convivenza di tipo essenzialmente individualistico, liberata dal peso del diritto. Secondo altri (i c.d. liberali), sarebbe �definitivamente tramontato l�ideale (o l�illusione) di un�etica (e in particolare di un�etica sessuale) universalmente condivisa e meritevole quindi di essere tutelata istituzionalmente�(cos� ancora D�Agostino), cos� che diritto non dovrebbe e potrebbe privilegiare alcuna forma privata di vita, ma dovrebbe riconoscerle tutte, senza nessuna discriminazione. Il diritto dovrebbe cos� perdere la propria innata caratteristica di formalizzare e garantire in maniera obiettiva gli istituti meritevoli di tutela per la societ�, per mettersi al servizio esclusivo dell�individuo e dei suoi privati e insindacabili desideri. Questa visuale - di tipo essenzialmentente relativistico - istintivamente non soddisfa, tenuto conto che non tutte le istanze ed i rapporti tra privati sono �giuridizzabili�: l�amicizia, pur se apprezzabile, pacificamente non � meritevole di tutela giuridica perch�, appunto, fatto privato. Per il matrimonio non � cos�: la scelta di un uomo ed una donna di unirsi in matrimonio non risponde ad un criterio individualistico, trattandosi di un istituto che preesiste alla volont� dei coniugi e che si fonda, piuttosto, su un riconoscimento pubblico, che tutti gli ordinamenti nazionali ed in tutte le epoche, hanno ritenuto di difendere. Ma, sotto questo profilo, la difesa del matrimonio eterosessuale da parte del diritto non � in funzione del semplice legame affettivo che lega i coniugi, ma si spiega per la necessit� di difendere il bene superiore della famiglia, cio� della cellula fondamentale della societ�, istituzione che non � soggetta a condizionamenti culturali, economici, sociali. Come viene chiarito in un documento della Congregazione per la dottrina 336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 della fede, �Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali�, �Nessuna ideologia pu� cancellare dallo spirito umano la certezza secondo la quale esiste matrimonio soltanto tra due persone di sesso diverso, che per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, tendono alla comunione delle loro persone. In tal modo si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite�. L�intuizione di tutti gli ordinamenti giuridici, ed in tutte le epoche, � quella che la difesa del matrimonio, per cos� dire, tradizionale, si spiega perch� il matrimonio, per sua struttura, regolamenta l�esercizio della sessualit� al fine di garantire l�ordine delle generazioni. Nella nostra Costituzione, gli artt. 29-31 sono, appunto, dedicati ai �Rapporti etico-sociali� e riconoscono �i diritti della famiglia come societ� naturale fondata sul matrimonio�, e tale riconoscimento � in funzione della tutela delle nuove generazioni. Gli artt. 30 e 31, in particolare, rendono evidente che la tutela della famiglia � preordinata alla tutela della c.d. parte debole della famiglia, che per molti anni � stata essenzialmente la �moglie� (matrimonio significa, propriamente, tutela della madre), oggi a seguito della riforma del diritto di famiglia, i figli, �anche se nati al di fuori del matrimonio� (art. 30), s� da garantire ad essi una adeguata difesa anche �nei casi di incapacit� dei genitori�. Le disposizioni del codice civile non si limitano a regolare i rapporti tra i coniugi, ma si dilungano a tutelare i figli, specie nelle situazioni di conflitto (si pensi ai provvedimenti in materia di affidamento dei figli in casi di separazione) o di precariet� (adozione). In una parola, il nostro ordinamento tutela il matrimonio in vista della tutela della sopravvivenza della specie. Pi� in generale, in tutti gli ordinamenti la famiglia � laicamente vista come il �luogo� privilegiato in cui gli essere umani acquistano una propria identit� (di mariti e mogli, padri e madri, figli e figlie). Gli stessi psicologi riconoscono pacificamente la necessit� di un bambino di avere una famiglia in cui siano presenti i ruoli sia del padre che della madre, che - in modo complementare - sono in grado di assicurargli una crescita normale, ordinata e completa. Queste caratteristiche, in un legame tra omosessuali, non possono costitutivamente essere presenti, trattandosi di un legame oggettivamente sterile (non sterile di fatto, come nelle coppie eterosessuali). Il diritto, in questo senso, prescindendo da ogni giudizio etico, � chiamato a chiarire le ragioni per le quali non possono estendersi al rapporto tra omosessuali gli stessi principi e la medesima tutela del matrimonio eterosessuale, trattandosi di situazioni del tutto diverse tra loro e non equiparabili, anche alla luce di quanto disposto dagli artt. 2 e 3 Cost. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 337 Oltre che essere assente qualsiasi giudizio morale, non vi � alcuna discriminazione per i legami omosessuali, essendo - al contrario - pacifico che il diritto comune riconosce alle coppie omosessuali, oltre che a quelle di fatto, alcuni diritti, (e si pu� anche pensare di estendere ancora di pi� questi diritti), senza che sia necessario introdurre nel codice nuovi istituti (cos� si pensi al testamento, alla locazione della casa comune, all�acquisto in comune della propriet� di un bene, ad alcuni diritti in ambito sanitario, ecc). N� questa discriminazione pu� essere rinvenuta nella circostanza che alcuni di questi diritti devono essere attivati dalle persone conviventi di fatto, essendo questa caratteristica tipica del principio - questo s� moderno e laico - di autonomia della persona. Viene da pensare che il provvedimento di Venezia (cos� come gli argomenti utilizzati da alcuni giuristi) siano piuttosto diretti ad un riconoscimento, per cos� dire, �simbolico� delle unioni omosessuali, ma si tratta di una petizione che non pu� trovare ingresso in un rigoroso ragionamento giuridico. Il giurista deve, al contrario, interrogarsi sulle conseguenze che un istituto pu� portare alla evoluzione dell�ordinamento e ha il dovere di rigettare la richiesta di tutela, non perch� sia insensibile, tutte le volte che intuisce che tale tutela si risolve � come sembra nel caso di specie - in un danno e in un indebolimento delle strutture portanti della societ�. Avv. Vincenzo Rago* (*) Avvocato dello Stato. P A R E R I D E L C O M I TAT O C O N S U LT I V O A.G.S. - Parere del 2 febbraio 2009 prot. n. 33508 - Richiesta interessi per tardivo rimborso spese legali. (Avv. Massimo Bachetti - AL 19546/05). �In riferimento alla nota di cui sopra relativa alla pretesa da parte del funzionario in oggetto del pagamento degli interessi sulla tardiva corresponsione del rimborso delle spese legali, si rappresenta quanto segue. 1- Il Dott. L. F., funzionario di codesta Agenzia, ha chiesto la corresponsione di interessi per il tardivo rimborso delle spese legali dallo stesso sostenute sia per un giudizio penale che per quello da responsabilit� amministrativo contabile relative a parcelle liquidate dal Consiglio dell�Ordine degli avvocati di Venezia rispettivamente in data 8/9/2003 e 18/10/2004. Il predetto funzionario afferma di aver maturato il credito per interessi essendo intervenuto il relativo pagamento solo nel maggio 2006. L�Avvocatura distrettuale di Venezia con nota prot. 32805 del 10.3.2005, diretta per conoscenza anche a questa Avvocatura generale, in risposta alla nota prot. n. 10.01.2005/03/10 dell�Agenzia delle Entrate comunicava che l�istanza di rimborso spese in argomento era di competenza dell�Avvocatura Generale. Con nota datata 4 aprile ricevuta da questa avvocatura il 14.04.2005 l�Agenzia delle Entrate D.R. Veneto trasmetteva l�istanza del dott. F. con relativa documentazione facendo peraltro presente che nonostante i ripetuti inviti l�interessato non avrebbe prodotto le fonti documentali che comprovino l�effettivo svolgimento dell�attivit� difensiva in quanto la liquidazione operata dal consiglio forense avrebbe reso ultronea ogni ulteriore indagine. Con raccomandata dell�1l aprile 2005 pervenuta il 14.04.2005 il legale del dott. F. inviava a questa Avvocatura la documentazione in suo possesso relativa al giudizio avanti alla Corte dei Conti. Alla predetta comunicazione non faceva seguito alcun sollecito da parte del Dott. F. Con successiva nota del 28/11/2005 prot. nn. 159641 e 159635 questa Avvocatura esprimeva il proprio parere di congruit� relativamente al giudizio pendente avanti alla Corte dei Conti mentre non si � in alcun modo pronunciata 340 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 n� � stata investita di specifica richiesta relativamente al giudizio penale. 2- Le spese legali de quibus sono state rimborsate ai sensi dell�art. 2 bis della legge n. 639 del 1996 che recita �In caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell�articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall�amministrazione di appartenenza�. La norma ovviamente va coordinata con la disposizione generale dell�art. 21 comma 1 del regolamento di amministrazione dell�Agenzia delle Entrate, il quale stabilisce, senza prevedere alcun termine per la definizione del procedimento, che �1�Agenzia, nella tutela dei propri diritti ed interessi ove si verifichi l�apertura di un procedimento di responsabilit� civile, penale ed amministrativo - contabile nei confronti del dipendente, per fatti od atti compiuti nell�adempimento dei compiti d�ufficio eroga al dipendente stesso, su sua richiesta e previo parere di congruit� dell�Avvocatura Generale dello Stato, il rimborso�. Il Consiglio di Stato ha affermato che �il vaglio di congruit� dell�organo o legale dello Stato costituisce esercizio di una discrezionalit� tecnica conferita dalla legge il che comporta la sua sindacabilit� in sede giurisdizionale limitatamente all�attendibilit� dei criteri tecnici prescelti e del procedimento applicativo� (ex multis, CdS sez. VI n. 5367/2004). Da tale principio deriva, come logico corollario, che il credito per rimborso spese legali sostenuto dai dipendenti diventa liquido a seguito del giudizio di congruit� dell�Avvocatura dello Stato, prima del quale non � possibile una quantificazione dell�esatto ammontare con la conseguente operativit� del principio di cui all�art. 1182 c.c.. (�i crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi di pieno diritto salvo che la legge disponga diversamente�). Si pone per� il problema di stabilire se il rimborso in esame sia esigibile dal momento in cui viene reso all�amministrazione il parere di congruit� oppure sia necessario attendere la definizione del procedimento con l�atto che riconosce il diritto al rimborso da parte dell�amministrazione di appartenenza del dipendente. La questione va affrontata alla luce della giurisprudenza sia ordinaria (Cass.Sez.Unite 478 del 2006 ) che amministrativa (Consiglio di Stato sez. IV 1681/07) che ha riconosciuto al beneficio del rimborso delle spese legali in favore dei dipendenti pubblici sottoposti a giudizi di responsabilit� civile penale ed amministrativa la natura giuridica di diritto soggettivo. Ci� implica che il riconoscimento del rimborso non ha effetto costitutivo dell�obbligazione che diviene liquida con il parere dell�Avvocatura dello Stato. Per quanto attiene al verificarsi del requisito ultimo della esigibilit�, si rileva che, non risultando a questa Avvocatura dello Stato uno specifico regolamento dell�Agenzia delle Entrate sul procedimento amministrativo, va applicato PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 341 il termine generale di 90 giorni stabilito dall�art. 2 comma 3 legge 241 del 1990, che decorre dalla data in cui l�amministrazione riceve il parere dell�Avvocatura dello Stato. Si evidenzia, infine, che l�insorgenza del credito per interessi � subordinata alla effettiva corresponsione del compenso da parte del richiedente al proprio legale per l�attivit� professionale svolta e la decorrenza del termine di 90 giorni per il pagamento presuppone la previa produzione della quietanza di pagamento della somma di cui si chiede il rimborso. Nel caso di specie, non risulta che l�interessato abbia prodotto quietanza di pagamento del proprio legale contestualmente alla presentazione della istanza di rimborso provvedendo a tale incombenza solo al momento del pagamento da parte dell�amministrazione. Alla luce dei criteri suesposti, questa Avvocatura ritiene che non siano ravvisabili le condizioni per l�insorgenza del credito per interessi sulle spese legali rimborsate�. A.G.S. - Parere del 21 aprile 2009 prot. n. 124398 - Ricorso avverso cartella esattoriale, Nuova Tirrena S.p.A. c. Ministero Sviluppo Economico (Avv. Federica Varrone - AL 39982/08). �La Nuova Tirrena s.p.a., in data 29.7.1999, ha emesso polizza fideiussoria n. 403.566 a garanzia della restituzione delle anticipazioni provvisorie concesse da codesto Ministero alla Conceria San Salvator di Pierro Pompeo Carlo s.n.c. in forza della L. 488/1992. A seguito della revoca del decreto di concessione provvisoria, ed in assenza di restituzione di quanto indebitamente percepito, codesto Ministero, in esecuzione del provvedimento di revoca delle agevolazioni, ha provveduto ad attivare le procedure di recupero coattivo del credito a mezzo Concessionario per la Riscossione, con conseguente notifica all�impresa garante della cartella di pagamento. Avverso detta cartella la Nuova Tirrena s.p.a. ha proposto opposizione lamentandone l�illegittimit� per difetto di titolo esecutivo. In particolare, l�impresa ha eccepito che, nella specie, codesta Amministrazione non avrebbe potuto procedere all�iscrizione a ruolo del credito ai sensi dell�art. 21 del D.Lgs. 46/99, in quanto la pretesa creditoria scaturirebbe da un rapporto di diritto privato - consistente nella prestazione della garanzia fideiussoria riguardante l�erogazione delle agevolazioni previste dalla L. 488/92 a favore di un impresa destinataria del provvedimento ministeriale di revoca delle stesse - e che, quindi, sarebbe stato necessario ottenere previamente un titolo esecutivo. 342 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 La Nuova Tirrena s.p.a. ha eccepito, inoltre, l�inapplicabilit� nei propri confronti dell�art. 24, comma 32, della L. 449/1997, secondo cui �il provvedimento di revoca delle agevolazioni disposte dal Ministro dell�Industria, del Commercio e dell�Artigianato in materia di incentivi all�impresa costituisce titolo per l�iscrizione a ruolo, ai sensi dell�art. 67, comma 2, del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, e successive modificazioni, degli importi corrispondenti degli interessi e delle sanzioni�, in quanto detta norma si riferirebbe solo al diretto destinatario del provvedimento di revoca e non anche all�impresa garante. Il Tribunale di Roma ha disposto la sospensione della cartella esattoriale condividendo le argomentazioni difensive della ricorrente. Pi� precisamente, il Tribunale ha rilevato che per le entrate aventi causa in rapporti di diritto privato, come quelle oggetto di esame, l�iscrizione a ruolo � ammissibile solo in presenza di un titolo avente efficacia esecutiva, carente nella specie, e che l�art. 24, comma 32, D.Lgs. 449/1997 � applicabile solo nei confronti del soggetto beneficiario del contributo e non anche nei confronti dell�assicurazione garante. Ci� posto, considerati i recenti approdi giurisprudenziali, non sembra pi� sostenibile la tesi, rimarcata da codesta Amministrazione, secondo cui il provvedimento di revoca costituisce, ai sensi dell�art. 24, comma, 32, D.Lgs. 449/1997, valido titolo esecutivo anche nei confronti delle imprese garanti alle quali � stato indirizzato. Al riguardo si osserva quanto segue. In via preliminare occorre evidenziare che, secondo la giurisprudenza di legittimit�, il rapporto intercorrente tra codesta Amministrazione e le imprese garanti ha natura privatistica e, conseguentemente, le entrate aventi causa in detto rapporto, ai sensi dell�art. 21 del D.Lgs. 46/1999, possono essere iscritte a ruolo solo �quando risultano da titolo avente efficacia esecutiva�. La Corte Suprema di Cassazione, ha, al riguardo, avuto modo di precisare che l�obbligazione fideiussoria e l�obbligazione principale sono autonome sia da un punto di vista soggettivo che oggettivo, in quanto il fideiussore � estraneo al rapporto richiamato dalla garanzia e la relativa obbligazione ha ad oggetto non la restituzione del contributo ma il pagamento di una somma equivalente per l�ipotesi di mancato adempimento del debitore principale, e, pertanto, il recupero dei contributi, avendo causa in un rapporto di diritto privato, pu� essere effettuato, ai sensi dell�art. 21 del D.Lgs. 46/1999, solo previa formazione di titolo esecutivo (Cass. SS.UU. 2655/2008). Posta, pertanto, la necessit� di un titolo esecutivo per procedere all�iscrizione a ruolo nei confronti delle imprese garanti, occorre chiarire se detto titolo possa essere costituito, ai sensi dell�art. 24, comma 32, della L. 449/1997, dal provvedimento di revoca dei contributi. E� noto che la giurisprudenza di merito non condivide l�opzione ermeneutica prospettata da codesta Amministrazione, e sostenuta dalla Scrivente nei PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 343 numerosi giudizi pendenti, secondo cui il provvedimento di revoca costituisce titolo esecutivo anche nei confronti dell�impresa garante alla quale � stato indirizzato (cfr. ex multis, Corte di Appello di Roma, sentenza n. 4827/07; Tribunale di Roma sentenze nn. 16112/08; n. 6226/08; 14600/08; n. 20946/08; 24868/04; Tribunale di Potenza n. 910/06; Tribunale di Napoli n. 10280/03; Tribunale di Roma ordinanze depositate in data 4.2.2009, G.I. dott. Oddi; 9.1.2008, G.I. dott. Pontecorvo; 10.3.2008 G.I. dott.ssa Battisti; 10.4.2008, G.I. dott. Sacco). I principali argomenti posti a base delle pronunce giurisprudenziali sono i seguenti. In primo luogo si ritiene che l�efficacia soggettiva del titolo esecutivo (rectius, del provvedimento di revoca) non pu� estendersi a soggetti diversi dal diretto destinatario (o suo erede). In particolare, si afferma che il provvedimento di revoca ha efficacia limitata ai rapporti fra l�Amministrazione che eroga il contributo ed il beneficiario dello stesso, e soltanto nei rapporti tra tali soggetti pu� assumere valenza di titolo esecutivo per la restituzione delle somme erogate, mentre rispetto all�assicuratore ha semplicemente il valore di condizione sospensiva dell�attivazione della garanzia fideiussoria. La societ� garante �, infatti, totalmente estranea rispetto all�intero procedimento di attribuzione e successiva revoca del beneficio e la comunicazione della disposta revoca � effettuata al solo fine dell�attivazione della garanzia. Si osserva, inoltre, che l�art. 24, comma 32, della L. 449/1997, proprio in quanto derogante ad un principio generale di segno opposto sancito dall�art. 21 del D.Lgs. 467/1999, non pu� essere esteso oltre i casi in esso specificamente previsti. Considerato che il provvedimento di revoca ha effettivamente quale unico destinatario il beneficiario e non anche il garante al quale � meramente comunicato, tenuto conto del carattere eccezionale dell�art. 24, comma 32, della L. 449/1997, non appare pi� utilmente sostenibile la tesi che possa procedersi all�iscrizione a ruolo dei crediti nei confronti delle imprese obbligate in virt� della polizza fideiussoria sulla base del solo provvedimento di revoca. A conforto di quanto esposto si richiama anche l�art. 28 del D.L. 185/2008, convertito in Legge, con modificazioni, dall�art. 1, L. 28 gennaio 2009, n. 2, che dispone che �le pubbliche amministrazioni di cui all�articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, escutono le fideiussioni e le polizze fideiussorie a prima richiesta acquisite a garanzia di propri crediti di importo superiore a duecentocinquanta milioni di euro entro trenta giorni dal verificarsi dei presupposti dell�escussione; a tal fine, esse notificano al garante un invito, contenente l�indicazione delle somme dovute e dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa, a versare l�importo garantito entro trenta giorni o nel diverso termine eventualmente stabilito nell�atto di garanzia. In caso di inadempimento del garante, i predetti crediti sono iscritti a ruolo, in solido 344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 nei confronti del debitore principale e dello stesso garante, entro trenta giorni dall�inutile scadenza del termine di pagamento contenuto nell�invito�. Dalla lettura della citata previsione normativa si possono, infatti, trarre due ordini di considerazioni. In primo luogo si evince che il legislatore ammette la possibilit� per l�Amministrazione di procedere, senza titolo esecutivo, all�iscrizione a ruolo dei propri crediti nei confronti delle imprese garanti e dei debitori in via del tutto eccezionale, in quanto ci� � consentito solo per crediti di ingente valore (duecentocinquanta milioni di euro). In secondo luogo la possibilit� di procedere all�iscrizione a ruolo, senza titolo esecutivo, nei confronti delle imprese garanti � stata prevista �expressa verbis�. Alla luce di quanto esposto, al fine di evitare ogni possibile contestazione da parte del garante, appare opportuno che alla formazione del titolo esecutivo si pervenga tramite procedimento per decreto ingiuntivo di cui agli artt. 633 e ss. cpc, interessando l�Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova la sede dell�ente garante�. A.G.S. - Parere del 20 maggio 2009 prot. n. 159414 - Obbligo da parte dei pubblici ufficiali di segnalare alla Procura della Repubblica gli obiettori di coscienza che, seppure precettati, non hanno svolto il servizio di leva. (Avv. Luca Ventrella - AL 26186/08). �In ordine al quesito posto con la nota in epigrafe, esaminata la documentazione trasmessa, si osserva quanto segue. Deve ritenersi - conformemente ai pi� recenti arresti giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass., sez. I, 9 marzo 2007, n. 12363; 16 novembre 2006, n. 42399) - che le innovazioni legislative di cui alla L. 14 novembre 2000, n. 331 e successive integrazioni non abbiano abolito totalmente il servizio di leva militare obbligatoria, bens� ne abbiano soltanto limitato l�operativit� a specifiche situazioni e a casi eccezionali, di modo che non pu� considerarsi intervenuta l�abolitio criminis del reato relativo al rifiuto di prestare il servizio di leva, essendo invece tuttora vigente l�art. 14 della L. 8 luglio 1998 n. 98 che tale reato prevede. La Suprema Corte ha pi� volte, di recente, affermato che la nuova normativa non avrebbe comportato la totale e generalizzata eliminazione del servizio militare obbligatorio (che � ancora previsto in riferimento a specifiche situazioni e a determinati casi eccezionali), ma avrebbe avuto piuttosto un effetto parzialmente abrogativo, tale da determinare la modificazione del contenuto del precetto penale, il quale non ricomprenderebbe pi� la condotta PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 345 penalmente sanzionata dalle disposizioni di leggi precedenti. Le nuove disposizioni produrrebbero �riflessi peraltro anche per i giovani nati precedentemente e che non avevano risposto alla chiamata o avevano rifiutato di prestare il servizio di leva prima di averlo assunto, applicandosi anche in tal caso la disposizione pi� favorevole al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile� (Cass. pen. Sez. I, n. 12363/2007). Se � vero dunque che l�esito cui si giunge �, in ogni caso, quello di un�assoluzione perch� il fatto non � pi� previsto dalla legge come reato, in quanto �l�intervenuta sospensione del servizio militare di leva ridisegna la fattispecie penale del delitto di rifiuto della relativa prestazione eliminando il disvalore sociale della condotta incriminata� (Cass. pen. Sez. I, n. 25812/2007), � pur vero che - in mancanza, allo stato, di una pronuncia sul punto delle Sezioni Unite ed in attesa di un ulteriore consolidamento della giurisprudenza � tale orientamento della Suprema Corte non pu� ancora considerarsi alla stregua di �diritto vivente�. Allo stato, sembra dunque preferibile ritenere che i pubblici ufficiali siano ancora tenuti, ai sensi dell�art. 331 c.p.p., a denunciare alla competente Procura della Repubblica tutti gli obiettori che, seppur precettati, non abbiano adempiuto all�obbligo di leva, non potendo, peraltro, riconoscersi in capo ai medesimi pubblici ufficiali alcuna competenza in merito alla determinazione dell�attuale (ambito di) vigenza delle norme penali poste a tutela dell�obbligo di prestare il servizio civile; determinazione che invece spetta - in mancanza di un�espressa abrogazione - esclusivamente all�autorit� giudiziaria nell�esercizio della funzione giurisdizionale. Del resto, la stessa circostanza - segnalata da codesto Ufficio Nazionale per il Servizio Civile - secondo cui le Amministrazioni interessate spesso non sono in grado di accertare se il comportamento omissivo sia da attribuire a �rifiuto del servizio� oppure se sussistano condizioni tali da giustificare la mancata presentazione in servizio, non pu� che confermare la necessit� (e comunque l�opportunit�), de jure condito, di rimettere le relative valutazioni alla competente autorit� giudiziaria. Sul presente parere � stato sentito l�avviso del Comitato Consultivo di cui alla legge 103/79, che si � espresso in conformit� �. R E C E N S I O N I FEDERICO BASILICA e FIORENZA BARAZZONI, Diritto amministrativo e politiche di semplicifazione. (Maggioli Editore, 2009) L�evoluzione del diritto amministrativo � sempre pi� influenzata dalle politiche di semplificazione. Nel volume si descrive tale evoluzione, facendo riferimento all'ordinamento comunitario, all�influsso della cooperazione in ambito Ocse e all�analisi comparata tra i principali sistemi giuridici europei. Nella prima parte si esaminano le iniziative assunte delle istituzioni comunitarie con il programma di Better Regulation, che punta non solo sulla riduzione dell�acquis communautaire, ma anche sulla consultazione, sull�analisi d'impatto della regolazione e sulla misurazione e riduzione degli oneri amministrativi. La seconda parte � dedicata alla semplificazione in ambito nazionale, all�Action plan e agli strumenti introdotti dal legislatore per ridurre l�eccesso di regolamentazione, eliminare gli oneri burocratici e accellerare i tempi dell'azione amministrativa. Gli autori mettono in risalto l�importante ruolo del Consiglio di Stato e il �dialogo� istituzionale tra Stato, Regioni e Autonomie locali, e tra Governo e Parlamento, attraverso la Commissione parlamentare per la semplificazione della legislazione. Nell�ambito della semplificazione normativa si analizzano lo strumento del �taglia-leggi� e le altre misure contenute nel decreto-legge n. 112 del 2008 e nelle leggi n. 9 e n. 69 del 2009 volte ad assicurare l�accessibilit� del sistema e la �chiarezza dei testi normativi�. La parte conclusiva del volume si occupa della semplificazione ammini- Federico Basilica, Avvocato dello Stato. Fiorenza Barazzoni, Dirigente generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. 348 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 strativa, illustrando le riforme intervenute in materia di procedimento amministrativo, di digitalizzazione della pubblica amministrazione, nonch� gli istituti di semplificazione e liberalizzazione, che a vario titolo hanno trovato collocazione nelle novelle alla legge 241 del 1990. Particolare attenzione � dedicata alle novit� contenute nel decreto-legge n.112 del 2008 e nella legge n. 69 del 2009, tra le quali spiccano il programma di misurazione e di riduzione degli oneri amministrativi e le iniziative dirette alla riduzione dei tempi dell�attivit� amministrativa, che fanno leva sulla responsabilizzazione dei dirigenti pubblici. Prefazione di Franco Gaetano Scoca* Il bel libro di Federico Basilica e Fiorenza Barazzoni affronta con grande competenza un tema molto attuale in un sistema giuridico in cui i testi normativi sono sottoposti a continue riforme e il diritto amministrativo � alla ricerca di un equilibrato assetto delle regole sul procedimento amministrativo, che consenta il giusto contemperamento tra esigenze di celerit� e speditezza ed esigenze di garanzia dei destinatari e di ottimizzazione dell�interesse pubblico. � ormai generalmente riconosciuta, sia in ambito internazionale che nazionale, l�importanza delle politiche di semplificazione al fine di migliorare l�efficienza della pubblica amministrazione, sostenere la competitivit� del Paese ed alleggerire gli oneri per cittadini ed imprese. Gli Autori spiegano, con ampi riferimenti, come la semplificazione sia gradualmente divenuta sinonimo di �qualit� della regolazione� o di better regulation, secondo l�espressione in voga negli ambienti comunitari, attraverso strumenti che operano sul sistema normativo non solo ex post ma anche ex ante. L�esigenza di una normazione di qualit� implica coerenza e chiarezza delle regole da un punto di vista giuridico-formale, sia per gli operatori che per i cittadini, che non possono essere ritenuti responsabili dell�applicazione di regole su cui anche le amministrazioni e i giudici rivelano contraddizioni o incertezze. Si tratta di un aspetto di grande rilevanza che trova nel libro una sua compiuta e articolata ricostruzione, dalla quale emerge l�importanza di pervenire a regole �di qualit�� anche sul piano della essenzialit� e minore onerosit� della normazione da un punto di vista economico-sostanziale, per cui una regola deve essere introdotta solo quando sia considerata indispensabile e se i benefici che si presumono siano superiori ai costi che ne possono derivare. � difficile non condividere la tesi esposta nel libro che, forte di solidi agganci dottrinali, ritiene che, pur in mancanza di un espresso riferimento nella Carta fondamentale, alla qualit� e alla chiarezza della regolamentazione possa (*) Professore ordinario di Diritto amministrativo presso l�Universit� degli Studi di Roma �La Sapienza�, Membro del Comitato scientifico della Rassegna. RECENSIONI 349 essere attribuito valore costituzionale per la loro connessione con le istanze di certezza del diritto, nonch� con il principio di uguaglianza davanti alla legge. Per gli Autori, l�intelligibilit� e l�accessibilit� del diritto non sono che un mezzo per garantire lo scopo ultimo della protezione delle libert� costituzionalmente garantite. Si tratta di temi che impegnano il costituzionalista e l�amministrativista, ma che richiedono lo sforzo congiunto anche di economisti ed esperti di statistica per i connessi profili di analisi di impatto della regolazione e misurazione degli oneri amministrativi. Gli strumenti essenziali della better regulation trovano nel libro di Federico Basilica e Fiorenza Barazzoni una puntuale e chiara illustrazione: il ruolo di ciascuno di essi viene ricostruito sia in ambito comunitario che in ambito nazionale e a tale analisi viene affiancata l�esposizione della prospettiva comparata degli strumenti ex ante ed ex post di qualit� della normazione in Europa. La parte conclusiva illustra diffusamente le riforme che sono intervenute di recente sul procedimento amministrativo e gli istituti di semplificazione e liberalizzazione, che a vario titolo hanno trovato collocazione nelle novelle del 2005 alla legge 241/1990, con un occhio attento anche alle novit� contenute nella manovra finanziaria del quarto Governo Berlusconi, che ha di recente licenziato un disegno di legge (Delega al Governo finalizzata all�ottimizzazione della produttivit� del lavoro pubblico - Atto Senato n. 847) ed un decreto-legge (d.l. 25 giugno 2008, n. 112 - Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) che contengono iniziative di grande impatto sul piano della semplificazione amministrativa (si pensi alla discussa previsione di un indennizzo per ritardo dell�azione amministrativa) e della riduzione dell�inflazione legislativa (che ruota intorno allo strumento del c.d. taglia-leggi). Il libro non trascura la prospettiva comparatistica del fenomeno preso in esame e l�importanza della multilevel regulatory policy, ritenendo che le politiche e i meccanismi di coordinamento tra i diversi livelli di governo siano essenziali per lo sviluppo di una regolazione di alta qualit�. � stata in tal senso preziosa l�esperienza maturata sul campo dagli Autori, che in ambito OCSE hanno partecipato ai lavori del Gruppo Regulatory Management and Reform, sulla riforma della regolazione nei Paesi membri e non membri; in ambito comunitario hanno seguito i lavori del Consiglio Competitivit� e Crescita, con riferimento all�Agenda di Lisbona ed in particolare alle iniziative inerenti la c.d. Better Regulation; nell�ambito della cooperazione informale tra Ministri e Direttori Generali della Pubblica Amministrazione degli Stati membri dell�Unione Europea hanno partecipato alle attivit� dei Direttori 350 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 generali della Funzione Pubblica e del gruppo europeo dei Direttori per la Better Regulation. E infine, nell�ultimo lustro, hanno seguito, con varie responsabilit� e in posizione di primo piano, le attivit� del Governo italiano in materia di semplificazione, prendendo parte nel 2007 alla stesura del primo Piano d�azione italiano per la semplificazione e la qualit� della regolazione. Si tratta, in conclusione, di una opera utile, aggiornata e pienamente convincente. ** *** ** RENATO FEDERICI, Guerra o diritto? Il diritto umanitario e i conflitti armati tra ordinamenti giuridici. (Editoriale Scientifica, 2009) La guerra come strumento alternativo al diritto nella composizione dei contrasti politici ed economici nonch� come conseguenza di scelte sociali e religiose dei popoli, � contrapposta alla regolazione giuridica. Il recente e pregiatissimo studio del Prof. Renato Federici giunge alla dimostrazione dell�alternativit� assoluta tra guerra e diritto, attraverso la nota teoria di Santi Romano sugli ordinamenti giuridici, e dopo aver affermato che il genere prossimo del diritto � la guerra. Attraverso un�approfondita disamina del pensiero filosofico e dell�evoluzione della scienza giuridica l�Autore perviene ad una definizione di �guerra� intesa come negazione del diritto, la cui descrizione fenomenica � spiegabile quale conflitto tra ordinamenti giuridici. La tesi � rifiutando le teorie normativistiche inidonee a spiegare il rapporto antitetico sopra descritto � si pone come sviluppo dommatico ed applicazione metodologica della nota teoria di Santi Romano sugli ordinamenti giuridici. Ed infatti solo il relativismo sotteso alla citata teoria - l�esistenza di una pluralit� di ordinamenti come espressione di societ� organizzate e del loro reciproco riconoscimento - riesce a spiegare il rapporto antitetico della guerra rispetto al diritto ma al contempo e non senza paradosso, l�identit� di funzioni tra le due categorie concettuali. Diritto e guerra si pongono infatti come strumenti alternativi rispetto alla composizione dei conflitti, in un rapporto di regola ed eccezione nonch� di necessaria successione temporale di talch� dal fallimento del diritto si origina la guerra i cui esiti tornano ad essere consacrati da regole del diritto (di norma RECENSIONI 351 i Trattati di Pace) per il mantenimento dei nuovi equilibri socio - economici scaturiti dal conflitto armato. La dichiarata matrice filosofica � da ricondurre al pensiero di Platone, Kant, Montesquieu, e infine Bobbio che gi� prefiguravano nelle federazioni tra gli Stati il mezzo politico per scongiurare la guerra. La fiducia di fondo di tale impostazione � che ampliando la sfera di operativit� del �Diritto� anche nelle relazioni internazionali tra gli Stati, si possano limitare i conflitti armati, intesi come autodistruzione del genere umano e assassinio di massa. In questa logica, non vi � spazio alcuno per giustificare la violenza: non esiste n� la guerra giusta n� quella legittima. Considerato inoltre che lo �ius ad bellum� � inteso quale espressione della Sovranit� esterna degli Stati - presupponendo dunque il loro mutuo riconoscimento -l�evoluzione del Diritto internazionale conferma, sia pure con molta difficolt�, la volont� politica della Comunit� internazionale di �ripudiare� la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. La conseguenza di tale teoria � la negazione del �Diritto bellico� inteso come pretesa di disciplinare giuridicamente l�uso della forza e il ricorso alla violenza collettiva ed organizzata. Se infatti la guerra � negazione assoluta e imprescindibile del diritto nella risoluzione dei conflitti tra ordinamenti giuridici non vi � spazio per una qualificazione del diritto bellico inteso come �regolazione� dell�uso della forza. Semmai i compiti di Difesa nazionale e di disciplina delle Forze Armate sono espressione di Diritto interno volto ad organizzare gli apparati militari e non gi� i �rapporti bellici�, in s� considerati. Parimenti il Diritto umanitario � una branca del Diritto internazionale inteso come apposizione di limiti esterni ed eccezionali all�uso della forza a tutela dei fondamentali diritti naturali dell�Uomo e nel rispetto di sentimenti umanitari, universalmente condivisi (trattamento dei prigionieri, principi di proporzionalit�, difesa delle popolazioni civili, etc.). L�indagine - di estremo rigore scientifico - si snoda attraverso la chiara descrizione del processo evolutivo del diritto nella civilt� Occidentale, in una logica, condivisibile, di stretta connessione con i processi storici di riferimento. In questa prospettiva, l�evoluzione del pensiero filosofico greco - che rappresenta il fondamento di un primigenio �diritto pubblico�, in ragione del suo riferimento alla polis - � legata alla nascita di forme di governo in senso �democratico�; di converso le varie manifestazioni del potere politico e la ritenuta necessit� del ricorso alla guerra sono analizzate all�interno del pensiero bellicista: dal De Vitoria a Shmitt. Analogamente, secondo l�Autore, lo sviluppo della scienza giuridica e la diatriba tra giusnaturalisti (capostipite Grozio) e giuspositivisti (Kelsen) trova fondamento nella necessit� di individuare all�interno degli Stati moderni, l�es- 352 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 senza di �diritti umani� universalmente riconosciuti. In questa prospettiva l�origine del Diritto internazionale moderno � ricondotto all�equilibrio politico scaturito all�esito dei Trattati di Westfalia che segnano il passaggio epocale verso la nascita degli Stati moderni ed una pi� matura laicizzazione del diritto. Al di l� degli esiti ai quali approda la ricerca, lo studio ha anche il grande merito di collegare l�evoluzione del pensiero filosofico e giuridico, nonch� l�evoluzione del diritto occidentale, secondo una chiara ed accessibile lettura della Storia. Profondo conoscitore degli eventi storici e del loro pi� remoto significato l�Autore individua un percorso di progressiva �laicizzazione� del diritto e del mutamento graduale degli Stati in senso �democratico�. Da qui, nello sfondo dell�indagine, la descrizione della storia dell�Uomo, attraverso il pensiero filosofico e giuridico: dalla concezione platonica contrapposta a quella aristotelica, ai lineamenti del diritto feziale dei Romani; segue la descrizione del pensiero bellicista funzionale alle ragioni del potere temporale della Chiesa Cattolica fino alla rottura del protestantesimo quale base ideologica dei nuovi equilibri scaturiti dai Trattati di Westfalia, passaggio fondamentale per la nascita degli Stati moderni e del Diritto Internazionale. L�ulteriore stadio di questo processo storico - all�esito degli orrori dei conflitti mondiali e della guerra atomica - � rappresentato dallo Statuto delle Nazioni Unite sottoscritto a S. Francisco il 26 giugno 1945 e volto a porre limiti indiretti alla sovranit� statale. In tale contesto la guerra � posta - di norma - al di fuori dei sistemi di risoluzione dei conflitti. In tale nuovo contesto internazionale, gli Stati dovrebbero evitare il ricorso alla guerra per risolvere i contrasti che possono insorgere tra di essi col rivolgersi alla comunit� che rappresenta tutti gli Stati per chiedere di risolvere le controversie. Tuttavia la recente storia dimostra che raramente gli Stati rinunciano alla loro sovranit� per sottomettersi al giudizio, ad esempio, dell�ONU. Ci� potrebbe far credere che la guerra possa essere considerata come un istituto eccezionale previsto dal diritto rispetto a quelli ordinari, per la risoluzione delle contese. Invero, il fatto che le moderne costituzioni (e quindi anche quella italiana) ripudino la guerra come metodo di risoluzione delle diatribe internazionali non rende per ci� stesso giuridico questo metodo. Inoltre, il fatto che uno Stato preveda la possibilit� di difendesi dall�attacco dell�aggressore, non rende giuridica la guerra, ma consente all�aggredito di rispondere con gli stessi metodi utilizzati dall�assalitore. I quali, si ribadisce, sono diversi da quelli giuridici, ma non per questo inidonei a definire la controversia a favore dell�uno o dell�altro dei contendenti. Per questo motivo, tanto la guerra quanto la rivoluzione armata sono criteri di autodifesa primordiali con i quali si crede di poter risolvere una disputa con l�uso della violenza bellica, e cio� RECENSIONI 353 con l�utilizzo della forza che si contrappone all�esercito nemico. A tal proposito, giova ricordare che per vivere in pace occorre l�accordo, mentre per scatenare la guerra � sufficiente che uno Stato aggredisca un altro. In altre parole, lo studio del Federici completa e chiarisce la nota definizione del Clausewitz (secondo cui la guerra consiste nella prosecuzione della politica con altri mezzi), nel senso che la guerra � la continuazione delle scelte politiche con strumenti diversi non solo da quelli politici ma anche da quelli giuridici. Antonella Anselmo* (*) Avvocato del Foro di Roma. D O T T R I N A Rilevanza giuridica del deposito dell�istanza di prelievo nella applicazione della legge n.89/2001 di Sara Caiazza* Con la promulgazione dell�art. 54 del d.l. n. 112 del 25 giugno 2008, convertito in legge n. 133 del 6 agosto 2008, secondo cui �la domanda di equa riparazione non � proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all�art. 2, comma 1, legge 24 marzo 2001, n. 89, non � stata presentata una istanza ai sensi dell�art. 51 del Regio decreto 17 agosto 1907, n. 642� (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), il legislatore affronta la questione giuridica relativa alla rilevanza del mancato deposito dell�istanza di prelievo, ai fini della proponibilit� della domanda di equa riparazione ex lege n. 89/2001, che abbia ad oggetto l�eccessiva durata di un giudizio amministrativo. ComՏ noto, la legge 89/2001 (la cd. �Legge Pinto�) ha introdotto in Italia (anche a seguito delle pressioni esercitate dagli organi del Consiglio d�Europa, oltre che, soprattutto, dalla CEDU, presso cui veniva depositato un numero sempre maggiore di ricorsi �italiani�) il diritto all�equa riparazione per chiunque ritenga di avere subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, per effetto del mancato rispetto del termine di ragionevole durata del processo, previsto dall�art. 6 della Convenzione Europea sui Diritti dell�Uomo e delle libert� fondamentali, ratificata in Italia con la legge del 4 agosto 1955, n. 848 (*) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli. 356 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 (cos� come modificata dalla legge 1 agosto 1973, di introduzione del citato art. 6). Altrettanto noto � che l�art. 51, comma 2, del Regio decreto n. 642/1907, nello stabilire che �nello stesso decreto di fissazione di udienza il Presidente pu�, ad istanza di parte o d�ufficio, dichiarare il ricorso urgente�, prevede la possibilit�, in capo al ricorrente del giudizio amministrativo, di produrre un�istanza al fine di far dichiarare il ricorso urgente, onde ottenerne la trattazione anticipata, scavalcando cos� il criterio cronologico di iscrizione delle domande di fissazione dell�udienza di discussione, previsto in via ordinaria. L�istanza di prelievo rappresenta, dunque, un indice, non solo, dell�urgenza del ricorso amministrativo, ma anche, dell�interesse della parte ad una pi� sollecita definizione del giudizio. Allo stato, pertanto, la questione, relativa alla rilevanza del mancato deposito dell�istanza di prelievo nel corso di un giudizio amministrativo del quale si lamenti l�irragionevole durata a norma della legge 89/2001, viene risolta dal legislatore nel senso della improcedibilit� della domanda di equa riparazione, nell�ipotesi, appunto, di carenza di tale requisito. L�art. 54 citato, prima facie, potrebbe far pensare che il legislatore abbia recepito l�orientamento giurisprudenziale (precedente alla sentenza delle SS.UU. n. 28507/2005) secondo cui il mancato deposito dell�istanza di prelievo doveva essere interpretato alla luce di quanto previsto dall�art. 2, comma 2, della legge 89/2001, che, nel dare rilevanza, ai fini dell�accertamento della violazione, anche al comportamento delle parti, escludeva l�addebitabilit� all�Amministrazione dei tempi di eccessiva durata imputabili alla condotta della parte che non si era avvalsa dello strumento acceleratorio posto a sua disposizione: sosteneva la giurisprudenza, infatti, che solo a decorrere dal deposito dell�istanza di prelievo, l�eventuale ulteriore tempo decorso avrebbe potuto essere valutato dalla Corte di Appello adita al fine di giudicare della ragionevole durata (ex multis: Corte di Cassazione, sentenze nn. 22503/2004; 6180/2003; 15992/2002; 15445/2002). Il predetto orientamento, comՏ noto, cambiava poi radicalmente (anche in adesione a quello ripetutamente espresso dalla Corte di Strasburgo, presso cui nuovamente venivano ad essere depositatati ricorsi italiani), con la sentenza della Corte di Cassazione n. 23187/2004 del 13 dicembre 2004, a cui hanno aderito le SS.UU. della Corte di Cassazione, con la sentenza del 23 dicembre 2005, n. 28507/2005. Innovando la precedente interpretazione, la Corte di Cassazione escludeva che nei procedimenti davanti ai tribunali amministrativi regionali il ritardo riferibile all�organo di giustizia e la connessa insorgenza del diritto all�equa riparazione potessero essere configurabili soltanto se ed a partire dalla data in cui veniva depositata l�istanza di prelievo ed osservava che �il processo amministrativo richiede, dopo il deposito del ricorso, un solo necessario infun- DOTTRINA 357 gibile impulso di parte costituito dalla presentazione nei due anni dal deposito del ricorso (...) di una apposita istanza di fissazione, in mancanza della quale la causa si estingue per perenzione; una volta presentata tale istanza, infatti, il processo � dominato dal potere di iniziativa del giudice�. Tuttavia, veniva nel contempo evidenziato, che il mancato o ritardato deposito dell�istanza de quo potesse avere influenza sotto il diverso profilo della quantificazione dell�equa riparazione (1). Questo il quadro giurisprudenziale esistente, allorch� � intervenuta la disposizione normativa di cui all�art. 54 del d.l. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008, all�inizio citata che individua nel mancato deposito una condizione di procedibilit� del ricorso. In ordine alla sfera di applicabilit� dell�art. 54, legge 133/2008, occorre distinguere tra i giudizi introdotti precedentemente alla entrata in vigore della legge, da quelli introdotti successivamente. Per quanto concerne i primi, sia che siano stati gi� decisi, ovvero siano solo pendenti, in assenza di deroghe specifiche da parte del legislatore, � da ritenersi applicabile l�ordinario principio del tempus regit actum. Sul punto, del resto, � gi� intervenuta la Corte di Cassazione, 1 sez., con la recente sentenza n. 25421, del 17 ottobre 2008, che ha cos� chiarito: �In difetto di una disciplina transitoria e di esplicite previsioni contrarie, va infatti data continuit� all�orientamento di questa Corte, secondo il quale il principio dell�immediata applicabilit� della legge processuale concerne soltanto gli atti processuali (1) In relazione a tale indirizzo, interessante � stata la reazione della giurisprudenza della Corte di Appello di Napoli. Infatti, mentre alcuni decreti hanno interpretato il mancato deposito dell�istanza di prelievo, come circostanza del tutto irrilevante ai fini sia del riconoscimento del diritto, sia della quantificazione dell�indennizzo (cfr., ex multis, Corte di Appello di Napoli, 3 sez. civile, dr. Di Ruggiero, decreto n. 6742/2008 v.g); altri decreti, in conformit� con l�orientamento espresso dalle SS.UU., hanno interpretato tale mancato deposito esclusivamente come elemento configurabile un �concorso di colpa� della parte nell�avere determinato l�irragionevole durata; concorso di colpa sanzionato con una riduzione (in genere del 50%) dell�indennizzo annuo (cfr. ex multis Corte di Appello di Napoli, 2 sez. civile, dr. Di Mauro, decreto n. 1089/2007 v.g.). In altri decreti, invece, il mancato deposito dell�istanza � stato valutato sotto il profilo della carenza di interesse della parte ad una pi� sollecita prosecuzione del giudizio e, pertanto, si sono conclusi con il rigetto del ricorso (sul punto, cfr. Corte di Appello di Napoli, 3 sez. civile, dr. Piantadosi decreto n. 8702/2007 v.g.). In particolare, secondo tale ultimo isolato orientamento, la mancata presentazione dell�istanza di prelievo se non esclude la sussistenza del diritto all�equa riparazione, non soltanto influisce sulla determinazione della relativa misura, ma pu� assumere valore sintomatico della mancanza di plausibili attese circa la verosimile fondatezza della pretesa esperita. Tale indirizzo si segnala per avere posto l�accento, ai fini della valutazione circa la fondatezza della domanda, sul concetto di inerzia del ricorrente che non abbia assunto tutte le iniziative offerte dal legislatore al fine di ottenere una pi� sollecita prosecuzione del giudizio. Con la 1. n. 133/2008, art. 54, invece, il legislatore sposta il thema detidendum per la Corte, dall�esame del comportamento inerte - rilevante, con riferimento all�art. 2, comma 2, legge 89/2001, ai fini della valutazione circa la fondatezza della domanda - ad un profilo squisitamente processuale, agevolando, cos�, il compito del giudice, tenuto ad una pi� rapida decisione. 358 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 successivi alla entrata in vigore della legge stessa, come ha affermato anche la Corte Costituzionale (sentenza n. 155/1990), quindi non incide su quelli anteriormente compiuti, i cui effetti, in virt� del principio tempus regit actum, restano regolati dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti in essere�. Per tutti i giudizi introdotti prima della entrata in vigore della 1. 133/08 potr� considerarsi ancora valido, pertanto, l�orientamento consolidatosi con la sentenza delle SS.UU. n. 28507/05. Per quanto concerne i giudizi introdotti successivamente alla entrata in vigore dell�art. 54 della legge 133/08, si pone il problema della sfera di applicazione di quest�ultimo allorch� si lamenti l�eccessiva durata di giudizi amministrativi, ancora pendenti, con istanza di prelievo depositata dopo la entrata in vigore del predetto art. 54. Invero, con la disposizione in parola, il legislatore, ponendo una condizione di procedibilit� in ordine alla istanza di prelievo, esclude che tutto il periodo precedente al deposito di quest�ultima possa essere valutato; con la conseguenza che il periodo di fisiologica durata del processo amministrativo comincer� a decorrere successivamente al deposito dell�istanza e che, pertanto, un�eventuale eccessiva durata del processo potr� verificarsi solo dopo il decorso dei tre anni dal deposito della predetta istanza. Una differente interpretazione, del resto, renderebbe la norma priva di un campo di applicazione. DOTTRINA 359 "L�ingiustizia costituzionalmente qualificata" "a tipicit� elastica" e l�opzione "qualitativa" della "gravit� del danno" e della "seriet� della lesione" Il danno non patrimoniale nel seguito di SS.UU. 11 novembre 2008 di Pasquale Fava* SOMMARIO: 1.- La �tipicit� elastica� che fonda l��ingiustizia costituzionalmente qualificata� nella tripartizione categoriale delle �previsioni di legge� di cui all�art. 2059 c.c.: (la configurazione del danno non patrimoniale secondo Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972/3/4/5). 2.- Le perplessit� riconnesse ad un�interpretazione quantitativa della �gravit� del danno� e della �seriet� della lesione� perorante un�inedita regola �de minimis�. 2.1- (Segue) L�accoglimento di una prospettiva qualitativa che impone una valutazione giudiziale pi� rigorosa sulle conseguenze lesive di natura esistenziale. 3.- Il seguito giurisprudenziale delle decisioni Carbone-Preden del 2008: la posizione delle Sezioni Unite e della Sezione prima. 3.1- (Segue) Le decisioni della Sezione terza. 3.2.- L�orientamento della Corte dei conti, del Consiglio di Stato e dei giudici civili di merito. 4.- Considerazioni finali: periscono le vesti del �danno esistenziale� ma la sua ontologia si reincarna in quello biologico (come sua componente personalizzante) e morale (nella sua nuova e pi� ampia configurazione). 1. La �tipicit� elastica� che fonda l��ingiustizia costituzionalmente qualificata� nella tripartizione categoriale delle �previsioni di legge� di cui all�art. 2059 c.c.: (la configurazione del danno non patrimoniale secondo Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972/3/4/5) L�analisi sistematica della giurisprudenza di legittimit� intervenuta dopo le decisioni Carbone-Preden dell�11 novembre 2008 (1) attesta la sostanziale condivisione del modello proposto dal Supremo Collegio di nomofilachia se- (*) Giudice della Corte dei Conti (1) Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974 e 26975, in Foro it., 2009, I, 120 ss. con commento di A. PALMIERI, La rifondazione del danno non patrimoniale, all�insegna della tipicit� dell�interesse leso (con qualche attenuazione) e dell�unitariet�, di R. PARDOLESI, R. SIMONE, Danno esistenziale (e sistema fragile): �die hard�, e G. PONZANELLi, Sezioni unite: il �nuovo statuto� del danno non patrimoniale, in Giur. it., 2009, 61-72, con commento di G. CASSANO, Danno non patrimoniale ed esistenziale: primissime note critiche a Cassazione civile, Sezioni unite, 11 novembre 2008, n. 26972, 259-261 e di V. TOMARCHIO, L�unitariet� del danno non patrimoniale nella prospettiva delle Sezioni Unite, 318-325,in Corr. giur., 2009, 48 ss., con commento di M. FRANZONI, Il danno non patrimoniale 360 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 condo cui le lesioni inferte a situazioni soggettive costituzionalmente protette (antecedentemente etichettate come danni esistenziali) non devono essere risarcite come categoria formalmente autonoma bens� a titolo di danno biologico o di danno morale nella sua nuova e pi� ampia configurazione. Le decisioni in rassegna hanno pienamente condiviso la tripartizione delle categorie di �previsioni di legge� (che consentono la liquidazione dei danni non patrimoniali contemplati dall�art. 2059 c.c.) e la natura giuridica �tipicamente elastica� di quella fondata su un��ingiustizia costituzionalmente qualidel diritto vivente, in Danno resp., 2009, 19 ss., con commento di A. PROCIDAMIRABELLI DI LAURO, Il danno non patrimoniale secondo le Sezioni unite. Un �de profundis� per il danno esistenziale?, di S. LANDINI, Danno biologico e danno morale soggettivo nelle sentenze della Cass. SS.UU. 26972, 26973, 26974, 26975/2008, di C. SGANGA, Le Sezioni unite e l�art. 2059 c.c.: censure, riordini e innovazioni del dopo principio. Per la descrizione e l�inquadramento sistematico delle decisioni P. FAVA, Lineamenti storici, comparati e costituzionali del sistema di responsabilit� civile verso la European Civil Law, e G. DE ANGELIS, Il danno risarcibile (contrattuale, extracontrattuale e precontrattuale) ed il nesso di causalit�. La tutela per equivalente pecuniario: funzioni, tipologie e tecniche liquidative del risarcimento danni, in P. FAVA, La responsabilit� civile, Milano, Giuffr�, 2009. In dottrina, altres�, AA.VV., Il danno non patrimoniale. Guida commentata alle decisioni delle S.U., 11 novembre 2008, n. 26972/3/4/5, Milano, Giuffr�, 2009; C. CASTRONOVO, Danno esistenziale: il lungo addio, in Danno resp., 2009, 5 ss.; P.G. MONATERI, Il pregiudizio esistenziale come voce del danno non patrimoniale, in Riv. civ. prev., 2009, 56 ss.; E. NAVARRETTA, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessit� dei danni non patrimoniali, , in Riv. civ. prev., 2009, 63 ss.; S. PATTI, Le Sezioni Unite e la parabola del danno esistenziale, in Corr. giur., 2009, 415 ss.; D. POLETTI, La dualit� del sistema risarcitorio e l�unicit� della categoria dei danni non patrimoniali, in Riv. civ. prev., 2009, 76 ss.; C. SCOGNAMIGLIO, Il sistema del danno non patrimoniale dopo le decisioni delle Sezioni Unite, in Resp. civ. prev., 2009, ss.; G. VETTORI, Danno non patrimoniale e diritti inviolabili, in www.personamercato.it; P. ZIVIZ, Il danno non patrimoniale: istruzioni per l�uso, in Riv. civ. prev., 2009, 94 ss. Con le predette decisioni le Sezioni unite hanno avallato un sistema misto a tipicit� �stretta� ed �elastica� che ammette il risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. in presenza di: 1) un fatto astrattamente sussumibile all�interno di una fattispecie criminale (art. 185 c.p.), 2) una previsione specifica di legge che contempli espressamente la risarcibilit� del danno non patrimoniale e 3) un��ingiustizia costituzionalmente qualificata� chiarendo, in conformit� con quanto altrove gi� rilevato (P. FAVA, La rivitalizzazione costituzionalmente orientata del rapporto obbligatorio: gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale, di quella di legittimit� e della scienza giuridica italiana, in ID., Le obbligazioni. Diritto sostanziale e processuale, Milano, Giuffr�, 2008, 153-213, nonch� ID., Personalismo costituzionale, drittwirkung e �tutela risarcitoria minima� delle situazioni soggettive costituzionalmente garantite: l�art. 2059 c.c. � norma a tipicit� �stretta�, �elastica� oppure atipica? (La protezione degli interessi e dei valori della persona umana attraverso il danno esistenziale di nuovo al cospetto delle Sezioni Unite), in Riv. Corte conti, 2007, 316-326, ove si era concluso per il rigetto della tesi della �stretta tipicit�� e l�accoglimento di un sistema a �tipicit� elastica�), che �il catalogo dei casi [�] non costituisce numero chiuso. La tutela non � ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virt� dell�apertura dell�art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all�interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realt� sociale siano, non genericamente rilevanti per l�ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana� (le situazioni soggettive previste dalla Convenzione europea dei diritti dell�uomo non ricevendo una costituzionalizzazione automatica - in tal senso C. cost., 24 ottobre 2007, n. 348 e 349 - non possono beneficiare tout court della tutela risarcitoria minima - punto 2.11. della decisione 26972/08). DOTTRINA 361 ficata� (2). Difatti, la tipicit� contemplata dall�art. 2059 c.c. avrebbe natura �stretta� in relazione a previsioni di legge contemplanti fattispecie di reato o di risarcibilit� espressa dei danni non patrimoniali oltre che �elastica� per quelle fondate sull��ingiustizia costituzionalmente qualificata� per le quali verrebbe in rilievo un �rinvio mobile� a tutti i �nuovi interessi emersi nella realt� sociale perch� aventi rango costituzionale�. L��ingiustizia costituzionalmente rilevante� (che d� luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali previsti dall�art. 2059 c.c.), quindi, costituisce una categoria aperta a tutela della persona umana ed in linea con le decisioni della Corte costituzionale Maccarone (3), Dell�Andro (4) e Marini (5). 2. Le perplessit� riconnesse ad un�interpretazione quantitativa della �gravit� del danno� e della �seriet� della lesione� perorante un�inedita regola �de minimis� Il risarcimento del danno non patrimoniale per lesione di interessi e valori della persona (che diviene fruibile anche in relazione all�illecito contrattuale) (6), quindi, diviene possibile solo all�esito di un giudizio bifasico teso all�accertamento dell�esistenza di una lesione di una situazione soggettiva �costituzionalmente inviolabile� (c.d. �ingiustizia costituzionalmente rilevante�) (7) (2) In relazione alla tutela degli interessi e valori della persona umana, quindi, la Suprema Corte non ha accolto la tesi della �stretta tipicit�� alla tedesca (c.d. numerus clausus) aderendo, per converso, alla ricostruzione perorante �tipicit� elastica�. (3) C. cost., 12 luglio 1979, n. 87 e 26 luglio 1979, n. 88. (4) C. cost., 14 luglio 1986, n. 184. (5) C. cost., 11 luglio 2003, n. 233. (6) Punto 4.1. della decisione 26972/08. (7) Secondo le Sezioni unite, difatti, l��ingiustizia costituzionalmente qualificata� verrebbe in rilievo solo in relazione a situazioni soggettive �costituzionalmente inviolabili� (sembrerebbero esclusi dalle guarentigie della �tutela risarcitoria minima� quegli interessi che, pur costituzionalmente previsti, non abbiano tale carattere). Non � chiaro, tuttavia, se la Cassazione consideri �inviolabili� tutti gli interessi e i valori della persona umana, non identificando n� fornendo un catalogo esemplificativo di quelli che tali non siano. � noto che la Consulta, a differenza della Suprema Corte, non si sia mai impegnata (fino ad oggi) ad usare una terminologia simile che �, per converso, di conio dottrinale [E. NAVARRETTA, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino, Giappichelli, 1996; in seguito ID., I danni non patrimoniali. Lineamenti sistematici e guida alla liquidazione, Milano, Giuffr�, 2004, 18-19 e 35 ss. e G. COMAND�, Diritto privato europeo e diritti fondamentali. Saggi e ricerche, Torino, 2004, 34; la dottrina ha fatto leva sulla decisione della Consulta del 19 maggio 1971, n. 109. Va in contrario rilevato che, a parte il rilievo che la questione concreta interessava la materia previdenziale (un pensionato affermava di essere stato leso dalla legge di recepimento dell�accordo Italia-Libia sul trasferimento delle posizioni assicurative dell�INPS all�ente previdenziale libico il quale, in applicazione della legge libica, aveva corrisposto una pensione inferiore a quella che il ricorrente avrebbe percepito dall�INPS), la Corte non ha voluto espressamente prendere posizione sulla questione dei confini dell�inviolabilit�: �A prescindere da ogni altra considerazione sulla classificabilit� di un diritto, solo perch� costituzionalmente garantito, fra i diritti inviolabili dell�uomo�, punto 3 del �considerato in diritto�]. 362 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 e del superamento della soglia della �gravit� dell�offesa� e della �seriet� del danno�. L�introduzione di nuove categorie quali la �gravit� del danno� e la �seriet� della lesione� (8) spinge l�interprete a chiedersi quale possa essere la chiave di lettura pi� conforme alle istanze del personalismo costituzionale che ha prodotto nella materia della responsabilit� civile l�emersione del principio della tutela risarcitoria minima delle situazioni soggettive costituzionalmente rilevanti. Tra le possibili ricostruzioni accanto ad una opzione che valuta i predetti requisiti in senso qualitativo (di cui si tratter� in seguito) se ne giustappone una quantitativa (c.d. regola de minimis). L�interpretazione quantitativa non appare in linea con il principio costituzionale della �tutela risarcitoria minima�. Difatti, al riconoscimento giurisdizionale del carattere inviolabile della situazione soggettiva danneggiata dovrebbe ragionevolmente conseguire una tutela piena ed omnicomprensiva. � dubbio che, specie in assenza di base giuridica, possa essere applicata all�illecito civile un�inedita regola �de minimis� che, per converso, � stata positi- Nella trilogia Maccarone-Dell�Andro-Marini il Giudice delle Leggi, difatti, non ha limitato la fruibilit� della tutela risarcitoria minima alle violazioni di situazioni soggettive cui la Carta costituzionale riconosca il carattere dell�inviolabilit� (sul punto C. conti, 24 aprile 2009, n. 473 secondo cui �le previsioni costituzionali integrano pienamente il requisito previsto dall�art. 2059 c.c. (che contrariamente a quanto comunemente ritenuto non contempla una �riserva di legge� ma una mera �previsione di legge�), anche perch� le richiamate sentenze della Consulta (C. cost., 87 e 88/79, Id., 184/86 e Id., 233/03) non hanno subordinato la �tutela risarcitoria minima� al requisito dell�inviolabilit� ma esclusivamente alla copertura costituzionale della situazione soggettiva pregiudicata attivata in giudizio attraverso l�azione risarcitoria�), anzi, in numerose occasioni ha precisato che la predetta tutela risarcitoria deve essere sempre concessa in relazione a �tutti i danni che potenzialmente ostacolano le attivit� realizzatrici della persona umana� (sentt. Corte cost. nn. 184 del 1986 e 307 del 1990) (C. cost., 7 maggio 1991, n. 202)). A questo punto pare che, anche per l�espresso accoglimento da parte delle Sezioni unite della tesi della �tipicit� elastica�, i giudici di merito dovranno effettuare una valutazione che sia il pi� vicino possibile agli orientamenti della Corte costituzionale e alla coscienza comune attuale. Sotto tale questo profilo, dunque, dovr� chiarirsi se esistano e quali siano i valori ed interessi della persona �non inviolabili� e se sia costituzionalmente ammissibile privare questi ultimi della guarentigia (costituzionale) della �tutela risarcitoria minima�. (8) Le Sezioni unite, introducendo ai fini dell��ammissione a risarcimento� un �requisito ulteriore� non contemplato dall�art. 2059 c.c., hanno sancito che non tutti i pregiudizi inferti a situazioni soggettive �costituzionalmente inviolabili� possono dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ma esclusivamente quelli che determinino un��offesa grave� e un �danno serio� (�la gravit� dell�offesa costituisce requisito ulteriore per l�ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili� e che �il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio�; l�introduzione del requisito viene fondato sul dovere di tolleranza precisando che �la lesione deve eccedere una certa soglia di offensivit�, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza�, di guisa che �il filtro della gravit� della lesione e della seriet� del danno� possa attuare un �bilanciamento tra il principio di solidariet� verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale� sia �dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilit� ed il pregiudizio non sia futile�. Ci� perch� �pregiudizi connotati da futilit� ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virt� del dovere della tolleranza che la convivenza impone� (art. 2 Cost.) - punto 3.11. della decisione 26972/08). DOTTRINA 363 vamente introdotta in altre materie (concorrenza e divieto di aiuti di Stato) per soddisfare esigenze di public policy che difficilmente potrebbero essere estese ai rapporti interprivati. In relazione all�illecito civile, infatti, il principio compensativo specie in relazione a lesioni inferte ad interessi e valori della persona umana impone, per converso, l�integrale risarcimento dei danni cagionati come � stato del resto chiarito dalle Sezioni unite (�il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio�) (9). In altri termini, il riconoscimento del carattere inviolabile di una specifica situazione soggettiva dovrebbe implicare l�impossibilit� di falcidiare la tutela giurisdizionale per motivi prettamente quantitativi sulla base di una (criticabile) interpretazione dei dicta delle Sezioni unite che sembra confondere il piano delle valutazioni finalizzate all�accertamento dell�an debeatur con quello della liquidazione del quantum e, ancora, quest�ultimo con quello afferente la stessa �attivabilit�� giurisdizionale delle pretese fondate sul �personalismo costituzionale� dal quale � germogliato il principio della �tutela risarcitoria minima�. Pertanto, l�azione risarcitoria non pu� essere preclusa alle small claims (10). Diversamente opinando, mettendo da parte l�irragionevole discriminazione che si profilerebbe tra danni patrimoniali e non (11), si creerebbero vaste aree di immunit� giurisdizionale e, per tale ragione, la stessa convivenza sociale richiamata dalle Sezioni unite sarebbe irrimediabilmente pregiudicata nella misura in cui le Corti si sentissero autorizzate a non amministrare giustizia in relazione ad attivit� illecite che abbiano prodotto danni �di piccolo taglio�. Proprio in relazione a questi ultimi, tra l�altro, le politiche comunitarie e nazionali vanno in direzione opposta (si pensi al recente Libro Verde del 27 novembre 2008 �sui (9) Punto 4.8. della decisione 26972/08. (10) Non � chiaro per quale ragione debba escludersi l�attivabilit� giurisdizionale delle c.d. small claims (liti di piccolo taglio), laddove venga in rilievo una situazione soggettiva costituzionalmente rilevante, per giunta �inviolabile� (come affermano le Sezioni unite), che deve essere garantita e rispettata anche nei rapporti interprivati. Va chiarito, dunque, che, un conto � l�analisi degli aspetti qualitativi (attinente al se la situazione soggettiva sia costituzionalmente rilevante), altro la valutazione di quelli quantitativi che rilevano soltanto ai fini della liquidazione. Laddove l�interesse protetto abbia gi� superato la prima fase di valutazione (trattandosi di un caso di �ingiustizia costituzionalmente qualificata�) rinvenendo protezione a livello costituzionale (mantenendo, peraltro, le anzidette riserve al criterio limitante dell��inviolabilit��), non si comprende quale sia la base giuridica che consenta di introdurre la regola �de minimis�. Se il livello di protezione � cos� alto (�inviolabilit��) ci si aspetterebbe, infatti, una protezione quantitativa di ampio raggio. (11) Affermare che delle offese non gravi n� serie �non curat Praetor� (regola �de minimis�) significherebbe creare una disparit� di trattamento irragionevole tra danno patrimoniale e non senza alcuna base normativa. Nessuno, difatti, ha mai pensato, ad esempio, a falcidiare la tutela di lavoratori, pensionati o consumatori che si dolgano della mancata corresponsione di infinitesime voci stipendiali o pensionistiche oppure facciano valere questioni di natura contrattuale consumeristica sol perch� le pretese attivate siano di piccolo taglio (small claims). 364 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 mezzi di ricorso collettivo dei consumatori� (12) che ha indirizzato il problema aprendo un�ampia consultazione paneuropea nonch� all�introduzione della �class action all�italiana� nel codice del consumo). Del resto, parte della dottrina nostrana, proprio per assicurare il rispetto del principio �il torto non paga� in relazione a quelle condotte illecite ad ampia diffusivit� che producano una miriade di danni di �piccolo taglio�, ha scomodato la figura dei danni punitivi al fine di assicurare un minimo di deterrenza. Ci si potrebbe allora anche accontentare di una mera compensazione purch� per� sia realmente integrale! 2.1 (Segue) L�accoglimento di una prospettiva qualitativa che impone una valutazione giudiziale pi� rigorosa sulle conseguenze lesive di natura esistenziale Rilevata l�impossibilit� di aderire ad un approccio quantitativo, deve, quindi, indagarsi se un accertamento di tipo qualitativo dei requisiti in esame sia pi� in linea con il principio costituzionale della tutela risarcitoria minima (�gravit� dell�offesa� e �seriet� del danno�) come sembra sottendere il passaggio del punto 3.9. della decisione 26972/08 (�Palesemente non meritevoli della tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi, disappunti, ansie ed in ogni tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti pi� disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, ai quali ha prestato invece tutela la giustizia di prossimit��). Al di l� delle mere questioni classificatorie, i giudici di legittimit� e di merito stanno certamente manifestando un atteggiamento pi� prudente ed accorto nelle liquidazioni dei danni non patrimoniali. Sotto questo profilo la freccia delle Sezioni unite ha colto decisamente nel segno. L�analisi della giurisprudenza intervenuta dopo le decisioni delle Sezioni unite, difatti, conferma che, pur se la categoria del �danno esistenziale� viene formalmente abbandonata, l�ontologia della medesima continui ad essere ancora considerata risarcibile (e non avrebbe potuto essere altrimenti essendo la stessa preordinata ad assicurare la tutela risarcitoria minima alle lesioni dei valori ed interessi della persona), venendo liquidata, a seconda dei casi, attraverso le (sotto)categorie (che restano in vita allargandosi) del danno biologico e morale (13). In presenza di liti �battellari� pretestuose ed abusive, le Corti, utilizzando (12) COM(2008)794. (13) Le Sezioni unite precisano che laddove vengano �in considerazione pregiudizi che, in quanto attengano all�esistenza della persona, per comodit� di sintesi possono essere descritti e definiti come esistenziali� (punto 3.4.2.) non potrebbe comunque �configurarsi una autonoma categoria di danno� (punto 3.4.2.) dovendosi, per converso, ricorrere al danno biologico (che con riferimento ai pregiudizi alla vita di relazione ha una �portata tendenzialmente omnicomprensiva� (punto 2.1.)) oppure al �danno morale, nella sua rinnovata pi� ampia configurazione� (punto 4.9.). DOTTRINA 365 le nuove categorie della �gravit� dell�offesa� e della �seriet� del danno� in combinazione con il nuovo principio dell�inautonomia del danno esistenziale, hanno sovente concluso per la �futilit�� delle pretese attivate, mentre nelle ipotesi in cui sussistano reali conseguenze dannose derivanti da lesione di interessi e valori della persona non hanno esitato ad accogliere le richieste risarcitorie. In altri termini, dallo schema bifasico del danno esistenziale proposto dalle Sezioni unite in tema di demansionamento (14) i giudici sono passati a quello parimenti bipartito prospettato dalle medesime Sezioni nel novembre 2008. A livello strutturale, difatti, il test continua ad essere articolato in due fasi successive potendosi accedere alla seconda solo all�esito positivo della prima. Quest�ultima, tesa all�accertamento del requisito ribattezzato �ingiustizia costituzionalmente qualificata�, era sostanzialmente presente anche nelle sentenze gemelle del 2003 ed in quella in tema di danno esistenziale da demansionamento del 2006. Le categorie formali di riferimento per la seconda fase cambiano formalmente ma non sostanzialmente. Precedentemente, seguendosi la logica del danno-conseguenza, si richiedeva che il danneggiato avesse dato la dimostrazione (consentendosi �la prova testimoniale, documentale o presuntiva�) delle specifiche conseguenze dannose (di �natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabili�) derivanti dalla lesione di un preciso interesse costituzionalmente rilevante (15). Del pari, anche oggi, si afferma che non � sufficiente fermarsi all�accertamento di un��ingiustizia costituzionalmente qualificata�, dovendosi, per converso, accertare la �gravit� del danno� e la �seriet� della lesione� che non deve essere �futile�. In termini sostanziali, quindi, si dovr�, sia pure con l�estremo rigore peraltro gi� richiesto dalle medesime Sezioni unite nel 2006, effettuare una valutazione sulla reale esistenza nella sfera del danneggiato di conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla violazione di interessi e valori della persona umana. � evidente e fisiologico, dunque, che la sussunzione delle fattispecie concrete nelle descritte categorie astratte proposte dalle Sezioni unite possa dare luogo ad interpretazioni pi� o meno restrittive. Compete, difatti, all�alta sensibilit� dei giudici, sotto la guida orientativa della Corte costituzionale e delle Sezioni unite della Cassazione, la prudente applicazione del diritto ivi compreso quello emergente dal formate giurisprudenziale. (14) Cass. civ., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572. (15) Cass. civ., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572. 366 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 3. Il seguito giurisprudenziale delle decisioni Carbone-Preden del 2008: la posizione delle Sezioni unite e della Sezione prima L�analisi delle decisioni di legittimit� intervenute dopo le Sezioni unite del novembre 2008 conferma la richiamata prospettiva di tipo qualitativo. Nelle ipotesi di attivazione di situazioni soggettive abusive, pretestuose e macroscopicamente infondate anche in relazione a carenze processuali riscontrate, la Cassazione taglia corto utilizzando motivazioni secche e sintetiche (e, pur richiamando il principio dell�inconfigurabilit� di un�autonoma categoria di danno esistenziale, ha cura di evidenziare le carenze in punto di allegazione dei fatti costitutivi della pretesa e di asseverazione probatoria) (16). Sono numerose le decisioni che vanno in questa direzione specie in relazione alle controversie risarcitorie da irragionevole durata del processo (17). L�importanza del rispetto degli oneri di allegazione ed asseverazione � sottolineata anche in quelle decisioni in cui la Sezione prima ha censurato decisioni che abbiano apoditticamente escluso la liquidazione di danni esistenziali, biologici e morali in presenza di specifiche allegazioni probatorie (18). In particolare, criticando il percorso motivazionale della Corte d�appello (secondo cui �sebbene tale processo avesse superato di un anno e mezzo il termine di ragionevole durata, stimabile in anni 3 nonostante si trattasse di causa di lavoro, la pretesa indennitaria doveva essere disattesa, poich� il danno patrimoniale non era stato provato e l�esiguit� della somma oggetto della domanda, pari a L. 600.000, induceva ad escludere un apprezzabile patema esistenziale�), la Corte � stata molto chiara nell�affermare il principio che il modesto valore economico della controversia pu� �solo comportare una riduzione dell�indennizzo ma non escluderlo� (19). In altre ipotesi, a prescindere dalle categorie utilizzate dai giudici nelle decisioni impugnate, la Suprema Corte � entrata, sia pure solo ad abundantiam, �nel merito� della congruit� delle quantificazioni attraverso un giudizio di ragionevolezza della motivazione (20). Una delle pronunce pi� significative � sicuramente quella delle Se- (16) Cass. sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3677 �nessuna allegazione in fatto � stata effettuata sulla esistenza del pregiudizio�, punto 11; Cass., sez. lav., 26 febbraio 2009, n. 4665. (17) Cass., sez. I, 18 marzo 2009, n. 6574 (�nessuna specifica allegazione di tale danno � stata articolata�); Cass., sez. I, 13 gennaio 2009, n. 529 (�quanto al danno esistenziale, poich� la Corte territoriale ha correttamente individuato il relativo onere probatorio in capo al ricorrente, ha ritenuto l�assunto non provato e la statuizione non � stata oggetto di censura�). (18) Cass., sez. I, 6 marzo 2009, n. 5592, Id., sez. I, 23 marzo 2009, n. 7005. (19) Cass., sez. I, 6 marzo 2009, n. 5592 (punto 2). (20) Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 557, ove si afferma che correttamente il giudice di DOTTRINA 367 zioni unite intervenute in materia di azioni risarcitorie da pubblicit� ingannevole (caso delle c.d. sigarette lights) (21). L�impugnata decisione del Giudice di pace di Napoli aveva risarcito al consumatore �il danno da perdita della chance di scegliere liberamente una soluzione alternativa �rispetto al problema fumo� e quello esistenziale dovuto al peggioramento della qualit� della vita conseguente allo stress ed al turbamento per il rischio del verificarsi di gravi danni all�apparato cardiovascolare o respiratorio� (22). Le Sezioni unite non hanno fatto ricorso al principio di irrisarcibilit� del danno esistenziale come categoria autonoma che avrebbe determinato la cassazione della decisione senza rinvio, ma, precisando i principi di diritto che presiedono all�azione risarcitoria per danni da pubblicit� ingannevole, hanno rimesso la causa al Giudice di pace di Napoli affinch� possa applicarli al caso concreto. Quanto al danno, in particolare, le Sezioni unite, richiamando i principi gi� enucleati nelle decisioni del novembre 2008, hanno avuto cura di precisare che � risarcibile ex art. 2059 c.c. �il danno non patrimoniale [�] determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica� solo quando si sia �in presenza di un�ingiustizia costituzionalmente qualificata [�] Nello svolgere l�indagine sopra descritta, il giudice pu� anche servirsi delle presunzioni, nei limiti e nei modi in cui le ammette il codice di rito, ed, una volta individuato il danno, potr� procedere equitativamente alla liquidazione del relativo risarcimento, purch� essa non sia simbolica o affatto svincolata dagli elementi di fatto emersi� (23). Nella fattispecie appena descritta appare forte l�ontologia del danno esistenziale che non � stata negata sulla base di affermazioni formali quali quelle utilizzate nei confronti delle pretese bagattellari abusive ove, come si � evidenziato, la Cassazione ha fatto ricorso all�argomento dell�irrisarcibilit� autonoma della categoria. Tra l�altro le Sezioni unite, in relazione alla specifica azione risarcitoria attivata (danni da pubblicit� ingannevole), richiamando correttamente la necessit� di rispettare pienamente il principio del riparto dell�onere della prova (art. 2697 c.c.), ne hanno, altres�, ridefinito l�assetto concreto. merito ha riassorbito il danno da lesione del rapporto parentale nel danno morale. Per l�analisi sistematica della decisione F. FEDELI, M. CARNI, La responsabilit� per pubblicit� ingannevole e da spamming, in P. FAVA, La responsabilit� civile, Milano, Giuffr�, 2009. (21) Cass., sez. un., 15 gennaio 2009, n. 794. (22) In questi precisi termini Cass., sez. un., 15 gennaio 2009, n. 794. (23) Cass., sez. un., 15 gennaio 2009, n. 794. 368 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 3.1 Le decisioni della Sezione terza Sono, tuttavia, le decisioni della Sezione terza ad essere, ad oggi, le pi� interessanti. In relazione ad una richiesta risarcitoria avanzata dai congiunti di un soggetto deceduto a causa di un incidente stradale, in particolare, � stata confermata la decisione impugnata rilevandosi che il danno da perdita del rapporto parentale fosse stato gi� considerato nella liquidazione del danno morale in quanto �la sofferenza patita nel momento in cui la perdita � percepita e quella che accompagna l�esistenza del soggetto che l�ha subita altro non sono che componenti del complessivo pregiudizio� (24). Anche la mera lesione del rapporto parentale (illecito sanitario determinante la nascita di un figlio macroleso) � stata ricondotta all�ampia rinnovata categoria del danno morale (25). Pertanto, viene da chiedersi se si possa estendere il rapporto familiare sino a ricomprendervi le relazioni affettive con animali specie nelle ipotesi in cui venga ampiamente dimostrata in giudizio l�esistenza di un vincolo amorevole profondo (per esempio laddove la persona viva sola e abbia come unico o prevalente punto di riferimento esistenziale l�animale). Superando l�orientamento negativo manifestato sotto l�impero del danno esistenziale (26), la Sezione terza, di recente (27), sembrerebbe essersi allineata alle posizioni francesi (che riconoscono da tempo la risarcibilit� di questa tipologia di pregiudizi) (28). In realt�, la motivazione non si fonda sulla nuova e pi� ampia conformazione del danno morale bens� sull�assunto (con evidenza disallineato rispetto al decisum delle Sezioni unite) che i principi informatori della materia del danno non patrimoniale non vincolano il giudice di pace che decida secondo equit� nelle cause di valore inferiore a � 1100,00. Tale decisione, pertanto, appare non idonea a definire la questione sopra prospettata. Tra le pronunce in rassegna, inoltre, spicca, per la motivazione raffinata ed estesa, quella relativa ad un sinistro stradale (un giovane insegnante a bordo di una moto era stato urtato, riportando lesioni gravissime, da un autobus che aveva invaso la corsia di marcia opposta) laddove la Corte, cassando con rinvio la decisione impugnata, ha chiarito che il risarcimento della �qualit� delle vita quotidiana e di relazione� deve essere risarcito come �componente personalizzante del danno biologico� e che il �danno morale conserva una sua autonomia in relazione alla lesione del bene della sfera morale e della dignit� della (24) Cass., sez., III, 11 febbraio 2009, n. 3359. (25) Cass., sez., III, 13 gennaio 2009, n. 469. (26) Cass., sez. III, 27 giugno 2007, n. 14846. (27) Cass., sez. III, 25 febbraio 2009, n. 4493. (28) Secondo la Cassazione francese la morte di un animale (nella specie il �cavallo Lunus�) pu� costituire per il suo proprietario la scaturigine di un pregiudizio d�ordine soggettivo e affettivo suscettibile di dare luogo a riparazione monetaria (Cass., 1re, 16 gennaio 1962, D. 1962, 199; in termini Cass., 1re, 27 gennaio 1982, JCP 1983, II, 19923). DOTTRINA 369 persona e deve essere valutato in concreto tenendo conto della gravit� della lesione e della seriet� del danno� (29). Di rilievo anche la decisione che ha affermato la risarcibilit� a titolo di danno morale (da reato) non solo delle sofferenze transeunti ma anche di quelle �stabili e permanenti� quali i patemi d�animo e turbamenti psico-fisici derivanti dalla continua sottoposizione a controlli medici tesi ad accertare l�assenza di patologie tumorali cagionate dalla sottoposizione ad agenti inquinanti cancerogeni che comunque determinino, a prescindere dall�insorgenza del cancro, un peggioramento della qualit� della vita (30). Fin qui � stata ripercorsa la giurisprudenza della Sezione terza applicativa ad interessi di indiscussa rilevanza costituzionale (salute, integrit� fisica e morale, rapporti familiari) delle nuove tecniche liquidative. Quanto alle situazioni soggettive atipiche, la Sezione ha formato il proprio convincimento alla luce delle specificit� e caratteristiche proprie delle fattispecie concrete sottoposte al suo giudizio anche in considerazione degli elementi probatori forniti dalle parti attoree. In questo modo � stata ammessa la tutela risarcitoria della situazione soggettiva di coloro che avessero dettagliatamente prospettato �effetti molesti, fastidiosi e insalubri del fumo passivo� derivanti dalle �immissioni moleste di fumo di sigarette� prodotte dai vicini che li avevano costretti a �tenere chiuse le finestre anche in piena estate per tutelare la propria salute� rilevandosi, altres�, che �la sentenza impugnata [aveva] descritto le conseguenze delle lamentate immissioni sul modo di vivere la casa dei danneggiati� individuando �ci� che [avrebbe potuto] essere liquidato come danno non patrimoniale� (31). Un�interpretazione pi� rigorosa, per converso, � stata seguita in relazione alla cassazione senza rinvio di una decisione del Giudice di pace di Catania che aveva condannato l�Agenzia delle Entrate a pagare � 300,00 in favore di un cittadino a titolo di �danni morali e da stress subiti a seguito delle lungaggini dell�iter burocratico affrontato per ottenere lo sgravio di somme non dovute� (l�annullamento in autotutela era intervenuto solo a sei mesi di distanza dalla sua richiesta dopo reiterati solleciti e visite allo sportello). Per la Sezione terza un tale pregiudizio al �diritto alla tranquillit��non raggiunge la soglia dell��ingiustizia costituzionalmente qualificata� (32). (29) Cass., sez. III, 20 gennaio 2009, n. 1351. (30) Cass., sez. III, 13 maggio 2009, n. 11059. (31) Cass., sez. III, 31 marzo 2009, n. 7875. (32) Cass., sez. III, 9 aprile 2009, n. 8703 (�nella specie, non sussiste un��ingiustizia costituzionalmente qualificata�, tantomeno si verte in un�ipotesi di danno patrimoniale prevista dal legislatore ordinario, risultando, piuttosto, la ritenuta lesione del �diritto alla tranquillit�� insuscettibile di essere monetizzata, siccome inquadrabile in quegli sconvolgimenti quotidiani �consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro di insoddisfazione (c.d. bagattellari) ritenuti non meritevoli di tutela risarcitoria�). 370 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 La decisione, tuttavia, non deve essere letta come una bocciatura assoluta del c.d. �diritto alla tranquillit��. Probabilmente, la posizione della Corte sarebbe stata di segno diverso laddove quel cittadino fosse stato colpito da una serie di �cartelle pazze� emessa a causa di macroscopici errori del sistema informatico dell�ente impositore. In una fattispecie concreta quale quella esaminata dalla Sezione terza un cittadino dovrebbe tollerare e sopportare le inefficienze altrui, mentre nel secondo e diverso caso ipotizzato, attesa la gravit� qualitativa della lesione, sembra opportuno riconoscere una qualche forma di risarcimento. 3.2 L�orientamento della Corte dei conti, del Consiglio di Stato e dei giudici civili di merito. Anche la giurisprudenza contabile (33), amministrativa (34) e di me- (33) C. conti, sez. Campania, 24 aprile 2009, n. 473, secondo la quale il danno al senso di appartenenza alla repubblica (c.d. danno all�immagine), pur non avendo natura inviolabile, riceve sicuramente una copertura costituzionale (�Si evince dagli atti, del resto, la rilevante qualifica rivestita da tre dei quattro convenuti con funzione di sindaco, vice-sindaco e/o consigliere comunale mentre l�addebito per danno all�immagine pu� essere contestato solo entro certi limiti al P. titolare di una funzione non apicale quale quella di esperto amministrativo della commissione di gara. L�attivit� posta in essere dai convenuti, integrando astrattamente specifiche previsioni di reato (in concreto patteggiate o estinte per prescrizione o per morte del reo), costituisce, a prescindere da valutazioni penalistiche, un comportamento gravissimo anche in considerazione del fatto che tre dei quattro convenuti figuravano come il �vertice ideale� della comunit� amministrata. La cattiva gestione delle finanze pubbliche genera nei consociati un senso di sconforto e delusione, nonch� mina alle radici il senso di appartenenza allo �Stato-persona�. Tale pregiudizio, costituzionalmente rilevante ai sensi dell�art. 1, 5, 97, 114 Cost., deve essere risarcito in favore dell�Ente pubblico locale danneggiato (Comune di Forio). La Repubblica, difatti, una ed indivisibile, costituita da enti locali, regioni e dallo Stato, � sensibile alla promozione del senso civico dei cittadini e alla pubblicizzazione delle proprie attivit� promozionali dei beni e degli interessi della persona, nonch� accrescitive della concorrenzialit� e potenzialit� del sistema economico-sociale. Ingenti risorse pubbliche vengono riversate per migliorare la qualit� della comunicazione istituzionale (legge 7 giugno 2000, n. 150, recante �disciplina delle attivit� di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni�), anche con la costituzione di uffici stampa e l�implementazione di web sites pi� efficienti e chiari, nonch�, con particolare riferimento agli enti locali, attraverso la promozione di attivit� culturali, ricreative, sociali (per esempio feste di paese, manifestazioni, esposizioni, sagre, etc.). Tutte queste spese per promuovere la �cultura dello Stato� e il �senso di appartenenza dei cittadini e delle imprese alla Repubblica� sono vanificate da condotte quali quelle poste in essere dai convenuti che riescono a mandare in fumo gli sforzi di corretta e sana gestione della gran parte degli Amministratori italiani che giustificano, agli occhi della collettivit�, il prelievo fiscale pubblico che si dirige verso forme sempre pi� articolate di �federalismo fiscale�. Essendo, quindi, ammissibile in concreto una pretesa risarcitoria da lesione del senso di appartenenza dei cittadini alla Repubblica (c.d. �danno all�immagine� � Cass., sez. un., 25 giugno 1997, n. 5668; Id., 25 ottobre 1999, n. 744; Id., 4 aprile 2000, n. 98; Corte conti, sez. riun., 28 maggio 1999, n. 16/1999/QM, Id., 23 aprile 2003, n. 10/2003/QM), a prescindere dal dibattito sulla controversa natura giudica dello stesso (patrimoniale o non patrimoniale), l�esistenza della descritta situazione costituzionalmente rilevante (cos� C. cost. 233/03; in precedenza C. cost., 87 e 88/79 e Id., 184/86), lo rende sicuramente possibile oggetto di ristoro patrimoniale per equivalente pecuniario (ex art. DOTTRINA 371 2043-2059 c.c. e 1, 5, 97, 114 Cost.). Difatti le previsioni costituzionali integrano pienamente il requisito previsto dall�art. 2059 c.c. (che contrariamente a quanto comunemente ritenuto non contempla una �riserva di legge� ma una mera �previsione di legge�), anche perch� le richiamate sentenze della Consulta (C. cost., 87 e 88/79, Id., 184/86 e Id., 233/03) non hanno subordinato la �tutela risarcitoria minima� al requisito dell�inviolabilit� ma esclusivamente alla copertura costituzionale della situazione soggettiva pregiudicata attivata in giudizio attraverso l�azione risarcitoria. Il �danno al senso di appartenenza dei cittadini alla Repubblica� (c.d. danno all�immagine), peraltro, nel rispetto della sua natura giuridica di danno-conseguenza, risulta ampiamente asseverato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi: clamor fori, gravit� delle condotte, lesione del senso di appartenenza dei cittadini allo �Stato� (rectius Repubblica). Al riguardo, come ampiamente condiviso dalle Sezioni Unite della Cassazione, si pu� pacificamente far ricorso a presunzioni gravi, precise e concordanti (Cass., sez. un., 13 novembre 2008, n. 26972). Nel rispetto del principio compensativo [in Italia i danni punitivi sono contrari all�ordine pubblico (Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2007, 1183) e, secondo una certa ricostruzione, anche al principio di ragionevolezza posto dall�art. 3 Cost. (App. Trento, sez. Bolzano, 16 agosto 2008, n. 151)] il danno al senso di appartenenza dei cittadini alla Repubblica pu� ben essere liquidato equitativamente ex art. 1226-2056 c.c. Nel concreto i fatti dannosi tangentizi sono gravissimi e posti in essere da soggetti posti al vertice della comunit� amministrata in dispregio di ogni principio di �morale politica�). (34) Sul punto Cons. stato, sez. IV, 31 marzo 2009, n. 1899, secondo cui va accolta la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale subito da un magistrato per l�attribuzione dell�incarico al quale aveva diritto ad altro soggetto, ove si possano ragionevolmente ritenere effettivamente verificati e provati gli stress e i patemi d�animo conseguenti allo scavalcamento (nella specie disposto con un atto discostatosi dal giudicato), e allo svolgimento dell�incarico da parte del collega all�interno del medesimo ufficio (�13.1. Va premesso che il sereno svolgimento delle funzioni da parte dei magistrati ha un sicuro rilievo costituzionale, cos� come la loro aspirazione a conseguire gli incarichi direttivi, previsti dalla legge. L�art. 104 Cost., sulla indipendenza della magistratura, e l�art. 105 Cost., sulle funzioni del C.S.M., mirano a salvaguardare la magistratura nel suo complesso ed ogni suo singolo componente. Analoghi principi sono desumibili dalla Convenzione Europea dei diritti dell�uomo (rilevanti nell�ordinamento interno per l�art. 117 Cost. e l�art. 6 del Trattato di Maastricht), da cui emerge che le Amministrazioni devono dare pronta e integrale esecuzione alle decisioni irrevocabili di giustizia, emesse a tutela del magistrato (CEDU, Sez. V, 26-4-2006, Zubko c. Ucraina, � 68; CEDU, Sez. V, 20-12-2007, Ptashko c. Ucraina, � 19; Sez. V, 15-5-2008, Petrova, � 19). Pertanto, l�illecito commesso in violazione della posizione soggettiva del magistrato, inerente alle sue funzioni, comporta una ingiustizia costituzionalmente qualificata. Rilevano, conseguentemente, i principi individuati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 11 novembre 2008, n. 26972, per i quali l�art. 2059 del codice civile � anche nell�ambito dei rapporti di lavoro - consente la risarcibilit� dei pregiudizi di tipo esistenziale non solo quando l�illecito costituisca reato o comporti la violazione di un diritto inviolabile della persona, ma in ogni caso in cui sia ravvisabile la lesione di un bene costituzionalmente protetto. Di tali pregiudizi conosce il giudice amministrativo, nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva (Sez. Un., 13 ottobre 2006, n. 22101), sicch� � per la liquidazione del danno � si pu� tenere conto della incidenza dell�illecito sul sereno svolgimento delle funzioni da parte del magistrato e delle conseguenze di tipo esistenziale derivanti dal mancato conferimento di un incarico previsto dalla legge. 13.2. Ci� posto, risultano infondate le deduzioni delle Amministrazioni appellanti incidentali, secondo cui la mancata qualificazione dell�illecito come reato renderebbe irrilevante il danno non patrimoniale e precluderebbe la sua risarcibilit�. Infatti, anche con riferimento ai rapporti di lavoro, il danno non patrimoniale � risarcibile quando l�illecito e la lesione riguardino beni costituzionalmente protetti, tra cui rientrano le prerogative dei magistrati e del loro status nell�esercizio delle loro funzioni. Inoltre, nella specie si possono ragionevolmente ritenere effettivamente verificati e provati gli stress e i patemi d�animo (dedotti in primo grado e ritenuti sussistenti dal TAR) conseguenti allo scavalcamento disposto con l�atto discostatosi dal giudicato, e allo svolgimento dell�incarico da parte del collega all�interno del medesimo ufficio. 13.3. Quanto alle censure dell�interessato, volte a una liquidazione del danno non patrimoniale in misura supe- 372 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 rito (35), sia pure continuando talvolta ad utilizzare le vecchie categorie formali, si � allineata agli orientamenti della giurisprudenza di legittimit� attraverso un sindacato pi� cauto e ragionevole sui danni non patrimoniali conseguenti ad un��ingiustizia costituzionalmente qualificata�. Del resto, al di l� dei profili di �etichetta� (taluni giudici di merito hanno continuato a discorrere di danno esistenziale pur adeguandosi al nuovo rigore), le Sezioni unite saranno ben liete di riscontrare che conformemente alle loro indicazioni, il sindacato giurisdizionale si stia rivelando pi� severo nei risarcimenti dei danni non patrimoniali da lesioni di valori ed interessi della persona evitando sconfinamenti nell�area del patologico utilizzo abusivo del principio costituzionale della �tutela risarcitoria minima�. 4. Considerazioni finali: �restano in terra� le vesti del �danno esistenziale� ma la sua ontologia rivive nel danno biologico (come sua componente personalizzante) e in quello morale (nella sua nuova e pi� ampia configurazione). Terminata la rassegna della giurisprudenza in materia si possono firiore a quella statuita nella sentenza gravata, a pp. 4-17 l�appello principale si � soffermato sulla gravit� dell�illecito, ha riproposto le deduzioni originarie sul danno all�immagine, sulla umiliazione ricevuta e sul disagio e sullo stress derivante dalla incidenza sulla fiducia nella legge e nelle istituzioni ed ha chiesto che siano considerati il danno morale soggettivo, il danno biologico e quello esistenziale� (p. 16). Osserva al riguardo la Sezione che vanno respinte le deduzioni riguardanti il danno biologico, poich� non � stato n� dedotto n� provato che si sia verificata una lesione temporanea o permanente all'integrit� psicofisica della persona suscettibile di accertamento medicolegale. Quanto alle censure riguardanti la liquidazione �in misura esigua� del danno morale e dei pregiudizi di tipo esistenziale, ritiene la Sezione che per la determinazione del quantum possa essere presa in decisiva considerazione anche l�attivit� amministrativa susseguente alla commissione dell�illecito, specie quando essa sia positivamente valutabile, in quanto qualificabile secundum ius. Per la liquidazione del danno secondo equit�, rileva dunque anche la successiva emanazione della delibera dell�organo di autogoverno del 22 marzo 2007, favorevole all�interessato. La negativa incidenza sull�immagine e sul prestigio professionale dell�interessato si deve intendere senz�altro ridimensionata con l�emanazione di questa delibera, che gli ha conferito l�incarico di avvocato generale sulla base dei relativi apprezzamenti, a seguito della reiezione della formulata proposta di ritorno della �pratica in commissione� (che ha condotto alla definizione dell�annosa questione con il provvedimento finale divenuto inoppugnabile). L�approvazione di tale delibera � susseguente alla commissione dell�illecito � induce a ritenere che, gi� alla data di proposizione del ricorso di primo grado, risultava ridimensionato il danno non patrimoniale originariamente patito dall�interessato, nella misura equitativamente liquidata dal TAR. Inoltre, per escludere una liquidazione superiore a quella effettuata dal TAR rileva anche il fatto che per la prima volta nel presente giudizio sono stati indicati i principi applicabili per ravvisare la responsabilit� amministrativa dell�organo di autogoverno, nella specifica fattispecie in cui non vi sia stata la corretta esecuzione del giudicato�). (35) Trib. Nola, sez. II, 22 gennaio 2009 (danni riportati da un bambino per un morso di un cane improvviso ed inaspettato al viso); Trib. Milano, sez. V, 19 febbraio 2009, n. 2334 (danni da incidente stradale); Trib. Montepulciano, 20 febbraio 2009, n. 74 (danni da reiterata e protratta violazione della carta del servizio pubblico telefonico). DOTTRINA 373 nalmente tirare le fila. Nella giurisprudenza esaminata, quindi, non sembra sia scomparsa l�ontologia del danno esistenziale che �, a seconda delle ipotesi, refluita nel danno biologico (come sua �componente personalizzante�) (36) o nella rinnovata configurazione del danno morale (non pi� limitato alla sofferenza transeunte interiore) (37). Appare evidente, quindi, che, salvo l�allargamento del danno morale e biologico alle spese del danno esistenziale, nihil novi sub soli! Sulla scorta dell�analisi delle decisioni passate in rassegna, pertanto, ritornando solo descrittivamente al dibattito tra �esistenzialisti� ed �antiesistenzialisti�, sembra proprio possa ritenersi che le Sezioni unite, senza scontentare nessuno, abbiano soddisfatto entrambe le parti in causa (esistenzialisti ed antiesistenzialisti), soprattutto senza incidere sul principio costituzionale della �tutela risarcitoria minima� degli interessi e valori della persona umana. Negando cittadinanza formale al danno esistenziale come sottocategoria autonoma del danno non patrimoniale, non ne hanno disconosciuto l�ontologia facendola, per converso, refluire, a seconda dei casi, nelle sottocategorie (delle quali la giurisprudenza di legittimit� continua pacificamente a discorrere) del danno biologico (come sua �componente personalizzante�) (38) o del danno morale (in una rinnovata, pi� ampia, dimensione) (39). Le tecniche liquidative, specie se finalizzate a riportare chiarezza nella giungla dei risarcimenti, sono nella piena disponibilit� del giudice di nomofilachia semprech� non determinino nel concreto (come non pare sia accaduto in questo breve periodo) indebite falcidie di tutela giurisdizionale ai valori ed interessi della persona umana che, come chiarisce il preambolo al Trattato di Lisbona del dicembre 2007, � stata finalmente posta al centro delle politiche dell�Unione europea. Del resto, una soluzione diversa dall�interpretazione sinora prospettata sarebbe disallineata sia rispetto ai principi del quadro di riferimento comune per il diritto privato europeo (l�art. VI. - 2:101 del QCR accademico espressamente contempla la risarcibilit� di danni, sostanzialmente esistenziali, etichettati �impairment of quality of life�) (40), che con le principali esperienze continentali europee (in Francia, ad esempio, il danno esistenziale � risarcito da tempo (41) e ha di recente trovato l�im- (36) Cass., sez. III, 20 gennaio 2009, n. 1351. (37) Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 557; Id., sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3359. (38) Cass., sez. III, 20 gennaio 2009, n. 1351. (39) Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 557; Id., sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3359. (40) �In this Book [�] non-economic loss includes pain and suffering and impairment of the quality of life� (art. VI. � 2:101 dei Principles, Definitions and Model Rules of European Private Law � Draft Common Frame of Reference (DCFR) � Outiline Edition, 2009). (41) �L�indemnit� due par le responsable doit r�parer non seulment l�atteinte � l�int�grit� 374 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 portante conferma della Plenaria della Corte di cassazione d�oltralpe (42), ampiamente condivisa dalla giurisprudenza successiva) (43). physique de la victime, mais aussi, le cas �ch�ant, le pr�judice r�sultant de la diminution des plaisirs de la vie, caus�e notemment par l�impossibilit� ou la difficult� de se livrer � certaines activit�s normales d�agr�ment� (Paris, 2 dicembre 1977, D. 1978, 285, con commento di Lambert-Faivre). (42) La Cassazione francese danno esistenziale (pr�judice d�agr�ment) ogni pregiudizio di carattere personale risultante da turbamenti, disturbi o scompigli alle normali condizioni della vita che determinino privazioni e perdite dei piaceri ordinari dell�esistenza (�Le pr�judice d�agr�ment est le pr�judice subjectif de caract�re personnel r�sultant des troubles ressentis dans les conditions d�existence� Cass., ass. pl�n., 19 dicembre 2003, in Bull. civ., 8, in D., 2004, 161 e in RTD civ. 2004, 300). (43) Cass., 2e, 3 giugno 2004, in Bull. civ., II, n. 276; Id., 19 aprile 2005, in Bull. civ., II, n. 99; Id., 11 ottobre 2005, in Bull. civ., II, n. 242; Id., 5 ottobre 2006, in Bull. civ., II, n. 254). DOTTRINA 375 L�informazione, la formazione e le buone prassi: cardini per la sicurezza sui luoghi di lavoro di Flavio Ferdani* SOMMARIO:1.- Premessa. 2.- Quadro normativo. 3.- Formazione, informazione professionale e addestramento dei lavoratori. 4.- Qualit�, sicurezza, legalit�. 5.- Le buone prassi . 6.- Le conclusioni. 1. Premessa I gravi incidenti, spesso sfociati nelle cosiddette morti bianche che continuano a colpire il nostro paese, hanno riproposto in tutta la sua drammaticit� l�inaccettabilit� di un tributo cos� alto per l�espletamento di una attivit� lavorativa, anche se a livello nazionale secondo il Rapporto Inail, nel 2008 numero degli incidenti sul lavoro e le morti bianche sono scese sensibilmente (1). Pur a fronte di un calo nel 2008 di 37.500 incidenti rispetto all�anno precedente, tuttavia a livello Europeo il tasso di incidenza UE sugli infortuni l�Italia rimane - seppur leggermente - al di sopra della media Ue (il 2,6% rispetto 2,3%). Fra i fatti luttuosi che pi� di tutti hanno destato notevole allarme nell�opinione pubblica vanno annoverati fra tutti i gravissimi incidenti verificatisi a Torino all�interno della Thyssenkrupp e alla scuola di Rivoli, che sono stati purtroppo non gli ultimi di una lunga serie di eventi luttuosi, che secondo un� indagine condotta dall�Eurispes nel solo anno 2006 ha provocato pi� vittime che la guerra in Iraq. Tutto ci� ha spinto l�opinione pubblica e il Presidente della Repubblica, quale massimo garante della Costituzione, a richiamare con forza l�assoluta necessit� di porre in essere tutte le iniziative utili a frenare queste vere e proprie sciagure. Spinto da questa pressante azione il governo nell�agosto 2007 ha deciso di delegare l�attuazione di un sistema normativo che fosse in grado di dare una risposta pronta ed efficace alla domanda di sicurezza richiesta da tutto il paese. In esito a ci� l�esecutivo ha adottato norme ancora pi� stringenti in ma- (*) Capo di Gabinetto della Prefettura di Pisa. (1) Rapporto Inail - Totale infortuni a livello nazionale distinti per tipologia e per anno: 2007 2008 Var. % 2007 2008 Var. % Totale infortuni 912.410 874.940 -4,1 Casi mortali 1.207 1.120 -7,2 376 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 teria di sicurezza sui luoghi di lavoro, sia nell�ottica di una riorganizzazione di tutte le norme relative alla sicurezza sia per garantire una loro uniformit� a livello nazionale, tenuto conto del dettato di cui all�articolo 117 (2) della Costituzione che ripartisce fra Stato e Regioni la materia appunto della sicurezza sui luoghi di lavoro. E il legislatore nel 2008, accogliendo le determinazioni governative ha emanato i provvedimenti nell�ambito della delega ricevuta. Il sistema sanzionatorio adottato nel testo unico ha suscitato non poche perplessit� da parte del mondo imprenditoriale, che ha ritenuto il testo unico troppo basato su di un eccessivo inasprimento delle pene sostenendo che fin dai tempi di Beccaria non ha mai funzionato da efficace deterrente. Tra le principali novit� la nuova normativa ha previsto l�ampliamento del campo di applicazione delle disposizioni in materia di salute e sicurezza, ora riferite a tutti i lavoratori che si inseriscano in un ambiente di lavoro, senza alcuna differenziazione di tipo formale, il cosiddetto principio di effettivit� della tutela che implica la tutela di tutti coloro che, a qualunque titolo, operano in azienda e ricomprende anche i lavoratori autonomi, con conseguente innalzamento dei livelli di tutela di tutti i prestatori di lavoro. Il Testo Unico ha rappresentato quindi il tentativo del Governo di procedere ad una sistemazione organica delle norme che devono disciplinare la complessa delicata tematica della sicurezza sui luoghi di lavoro, al quale sarebbe opportuno seguisse da parte datoriale l�approvazione a livello aziendale di un codice di comportamento etico o di un codice di autodisciplina che, certo aiuterebbe la crescita della cultura di sicurezza negli ambienti di lavoro e nel contempo potrebbe accrescere il valore dell�impresa stessa. In particolare era necessario che la prevenzione della salute e della sicurezza assumesse caratteri di effettivit� e non fosse basata su regole formali, ma piuttosto su criteri che potessero integrare il sistema normativo tradizionale con strumenti quali: la formazione, l�informazione, le buone prassi, gli accordi collettivi, per dare vita ad una complessa rete che potesse favorire una sinergia fra imprenditori e lavoratori, parti sociali e pubbliche istituzioni in un sapiente mix di pubblico e privato. Al di l� di tutto questo le troppe morti sul lavoro devono per� indurci ad una amara riflessione: la mancanza negli ambienti di lavoro di una cultura che permetta di tenere la sicurezza nella dovuta considerazione, prendendo atto che, nessun fatturato, nessuna crisi economica e finanziaria, che pure sta avendo pesanti ripercussioni sul mondo delle imprese, nessun profitto ad ogni costo, nessuna concorrenza o una competitivit� spinta sempre pi� in alto sia (2) La potest� legislativa � esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonch� dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: �tutela e sicurezza del lavoro. DOTTRINA 377 nazionale che internazionale, pu� giustificare una morte bianca. La sicurezza non pu� n� essere ritenuta esistente per definizione, n� pu� ammettersi la mancanza di una adeguata cultura d�impresa sulla sicurezza, poich� il datore di lavoro deve sempre attivarsi per organizzare le attivit� lavorative in modo sicuro, atteso che la sua responsabilit� pu� derivare sia da comportamenti attivi ma anche omissivi (3) ad esempio non realizzando le misure di sicurezza o non informando i lavoratori circa i rischi della attivit�. Occorre invece lavorare per creare i presupposti che possono dare vita ad un percorso virtuoso all�interno dell�azienda che aumenti la sicurezza elevandola a cardine per la tutela dell�integrit� fisica del prestatore. E� necessario che i manager siano costantemente aggiornati sulle normative, abbiano capacit� organizzative per poter definire strategie di azione, possano pianificare interventi mirati finalizzati a ridurre gli incidenti al minimo, sappiano coordinare gli interventi nel campo della sicurezza. Tutto questo in quanto la sicurezza non pu� essere considerata un valore diviso per compartimenti stagni , ma un plusvalore che richiede una analisi completa che deve investire tutte le possibili combinazioni della vita aziendale e degli ambienti di lavoro in genere, atteso che l�obbligo di sicurezza si estende a tutto l�ambiente ove opera il lavoratore (4). A cominciare ad esempio dalle scuole che, non solo costituiscono un luogo di apprendimento e di studio per i giovani, ma sono anche un ambiente di lavoro per tutto il personale docente e non docente, che � chiamato a vigilare sulla sicurezza e sull�incolumit� degli alunni nel tempo in cui fruiscono della prestazione scolastica; esiste infatti tra i due soggetti un rapporto giuridico definito dalla Cassazione di �contatto sociale�. Proprio in base a tale presupposto in una recente sentenza la Suprema Corte ha riconosciuto il diritto dell�alunno ad un risarcimento del danno non patrimoniale da parte del docente, perch� proprio in virt� di quel �contatto sociale� per il docente si instaura, nel complessivo obbligo dell�istruzione anche quello di protezione e vigilanza (5). Questo per riaffermare che la tutela della sicurezza deve essere l�obiettivo di azioni positive nell�ambito di una rinnovata e pi� diffusa cultura della sicurezza che deve cominciare fin dagli anni della scuola dell�obbligo nel solco tracciato dai nostri Costituenti, che hanno colto nella salute non solo un diritto fondamentale dell�individuo, ma anche, e significativamente un interesse della collettivit�. Non a caso pur essendo riconosciuta la libert� di impresa essa va accompagnata dal monito che essa non deve mai recare danno alla sicurezza dell�in- (3) Cass. 18 maggio 2006 n. 11664. (4) Cass. 7 marzo 2006 n. 4840. (5) Cass. 11 novembre 2008 n. 26972. 378 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 dividuo, anche perch� finirebbe per incidere sulla sua libert� mortificandone la dignit� di uomo. 2. Quadro normativo La sicurezza sui luoghi di lavoro costituisce una priorit� fondamentale, o meglio ancora un obiettivo prioritario e ci� lo si desume dall�esame di una copiosa normativa esistente al riguardo. A livello europeo il Trattato istitutivo Cee all�articolo 118 prevede che gli stati membri si devono adoperare per promuovere il miglioramento in particolare dell�ambiente di lavoro per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori, e si fissano come obiettivo l�armonizzazione, in una prospettiva di progresso, delle condizioni esistenti in questo settore. Proprio l�adeguamento agli standards imposti dal recepimento della normativa comunitaria aveva portato all�emanazione del Decreto legislativo 19 settembre 1994 n.626, attuativo delle normative comunitarie e il cui perseguimento era appunto il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. A distanza di circa 14 anni ha fatto seguito il 15 maggio 2008 il il D.Lgs. n. 81/2008, ormai conosciuto come Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 101 del 30 aprile scorso ed attuativo dell�art. 1, legge n. 123/2007 che norma le misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega il governo �per il riassetto e la riforma della normativa in materia di salute e di sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in un testo normativo� (6). Il testo riscrive la materia della salute e sicurezza sul lavoro le cui regole, fino a oggi contenute in numerose disposizioni succedutesi nel tempo, sono state rivisitate in maniera maggiormente organica. Questo perch� la sicurezza deve costituire per l�azienda (7) sia un obiettivo, ma anche una condizione di limite ad un esercizio dell�attivit� d�impresa, che non pu� essere totalmente libera ma contenuta dall�esigenza del rispetto appunto delle norme sulla sicurezza che deve essere pensata come valore da difendere in chiave assoluta. Anche la Costituzione Europea non ha mancato di riaffermare l�esigenza della sicurezza prevedendo all�articolo 87 della Costituzione Europea il diritto dei lavoratori all�informazione e alla consultazione nell�ambito dell�impresa e all�articolo 91 il diritto di ogni lavoratore a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose. (6) Articolo 1 decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. (7) Il complesso della struttura organizzata dal datore di lavoro pubblico o privato. DOTTRINA 379 Anche la nostra Carta Costituzionale che pone il lavoro quale principio cardine stabilendo all�articolo 1 che �l�Italia � una Repubblica fondata sul lavoro� prevede diversi articoli con i quali riafferma l�importanza dell�obbligo della sicurezza nello svolgimento del rapporto di lavoro ed in particolare quello della tutela della salute come fondamentale diritto dell�individuo. L�articolo 32 si spinge anche oltre laddove riconosce la tutela della salute come fondamentale interesse della collettivit�, cio� come tutela dell�integrit� fisica e, pi� in generale della salute in quei rapporti caratterizzati da un coinvolgimento della persona nella fase di esecuzione del rapporto. Ha quindi affermato con forza la necessit� di limitare i pregiudizi che, eventualmente l�esecuzione del contratto stesso pu� arrecare alla salute di una delle parti contraenti. Ma la Costituzione contempla anche altri articoli in tema di sicurezza, quali l�art. 35 che tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni e l�art. 41 al comma 1, che pur stabilendo che l�iniziativa economica privata � libera, tuttavia pone un correttivo nel comma 2 laddove stabilisce che non pu� svolgersi in contrasto con l�utilit� sociale o in modo da recare danno alla sicurezza che deve intendersi oltre che in se senso proprio, anche come incolumit�, libert� e dignit� umana; valore quest�ultimo affermato esplicitamente nell�articolo 1 della Costituzione Europea. Quindi le norme che impongono all�imprenditore il rispetto delle misure di sicurezza costituiscono attuazione dei principi di cui agli artt. 32 e 41 comma 2 Cost. che riconoscono al diritto alla salute una valenza prevalente su quello alla libert� di iniziativa economica. Sulla base della graduazione degli interessi desumibile dal comma 2 dell�art. 41 Cost., l�interesse alla sicurezza del lavoratore � quindi prevalente rispetto a quello dell�imprenditore di organizzare liberamente la propria attivit� economica. Vi � poi l� articolo 2087 del codice civile che � norma definibile aperta in quanto supplisce alle carenze della normativa che ragionevolmente non pu� prevedere tutti i rischi e che ricorre ogni qualvolta venga accertato che il datore di lavoro non ha adottato le misure necessarie a tutela della integrit� fisica e delle condizioni di salute del prestatore d�opera. Pi� nel dettaglio l�art. 2087 codice civile, con particolare riferimento al contratto di lavoro subordinato, prevede che l�imprenditore � tenuto ad adottare nell�esercizio dell�impresa le misure a tutela della sicurezza secondo tre criteri: la particolarit� del lavoro, l�esperienza e la tecnica ottemperando non solo a regole cautelari scritte, ma anche alle norme prevenzionali che una figura-modello di buon imprenditore � in grado di ricavare dall�esperienza, secondo i canoni di diligenza, prudenza e perizia (8). (8) Cass. Sez. IV, 16 settembre 2008 n. 38819. 380 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 Questi tre presupposti dettano la via maestra per indirizzare la propria attivit� ed impongono di predisporre tutte quelle cautele che l�esperienza del momento storico suggerisce, quelle misure che il progresso tecnico scientifico o tecnologico pone a disposizione e che sono necessarie a tutelare l�integrit� fisica e la personalit� morale dei prestatori di lavoro. Tra i compiti di prevenzione che fanno capo al datore di lavoro vi � infatti anche quello di dotare il lavoratore di strumenti e macchinari del tutto sicuri, dovendo in proposito ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza, per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza (9). Detto articolo contiene sostanzialmente i precetti che devono essere rispettati per garantire la sicurezza sul lavoro. E� evidente che tali precetti sono riferiti in via esclusiva all�imprenditore e la ragione di tale precipuo riferimento va ricercata nel fatto che tale norma � contenuta nel codice civile ed � finalizzata a prevedere la responsabilit� civile per l�imprenditore che non rispetti tali precetti. Nel nostro ordinamento l�imprenditore � l�unico responsabile civile dell�impresa e il legislatore con l�art. 2087 ha posto a carico dell�imprenditore il dovere di sicurezza per quel che riguarda i lavoratori subordinati; tantՏ che la Suprema Corte con una recente sentenza (10) ha reso pi� facile il riconoscimento del danno morale dovuto ai parenti delle vittime, stabilendo che non � necessaria la prova specifica della sua sussistenza, atteso che la prova pu� essere desunta anche solo in base allo stretto vincolo familiare. E� quindi fondamentale ribadire la centralit� del ruolo del datore di lavoro che deve essere il cultore della sicurezza, dovendo arrivare non solo a predisporre le misure infortunistiche, ma anche a sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto in virt� della generale disposizione di cui all�articolo 2087 egli � individuato quale garante dell�incolumit� fisica dei prestatori di lavoro (11). Un datore di lavoro deve quindi porre in essere un modello organizzativo che metta in atto efficaci strategie di prevenzione (loss prevention) e gestione dei rischi (risk management), proprio per la sua posizione di garanzia di contenuto ampio, che richiede al datore di lavoro di allestire misure di sicurezza idonee e che si realizza attraverso delineati compiti di vigilanza, di controllo e provvedimenti impeditivi. Gli obblighi e le responsabilit� incombono in via prioritaria sul datore di lavoro e non trasferibili ad esempio ad un preposto seppur presente sul cantiere, fatto salva dell�esistenza della prova rigorosa di una delega espressa- (9) Cass. 5 dicembre 2008 n. 45335. (10) Cass. sent. n. 20188/2008. (11) Cass. Pen. Sez. IV, 12 aprile 2005, n. 20595. DOTTRINA 381 mente e formalmente conferitagli, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale e particolare competenza (12). A conferma del ruolo prioritario che l�imprenditore riveste, va rimarcato come il nuovo testo unico ha introdotto l�istituto della �compliance programs� secondo il quale, qualora l�imprenditore adotta modelli organizzativi migliorativi della sicurezza, gli stessi acquisiscono efficacia esimente ai fini di una eventuale responsabilit� penale. Anche la possibilit� di fruire da parte dell�imprenditore edile di una speciale riduzione contributiva prevista dell�11,50 dei premi Inail subordinata alla presentazione del Durc e alla mancanza di condanne passate in giudicato per violazioni delle norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro negli ultimi cinque anni, va nella direzione di riconoscere un ruolo premiale a quelle imprese che hanno avviato un circolo virtuoso nel campo della sicurezza, che hanno adottato un�etica come effettiva linea di condotta. Tutto ci� non deve per� indurci a ritenere assente o minoritario il ruolo dei lavoratori o meglio del rappresentante dei lavoratori che, in virt� dell�articolo 9 dello Statuto ha la possibilit� di controllare l�applicazione delle norme per la prevenzione infortuni e delle malattie professionali. E� soprattutto importante dare maggiore concretezza al binomio Rls /datore di lavoro che devono operare per un realizzare un benessere condiviso sul luogo di lavoro, attraverso la realizzazione di una sorta di leale collaborazione tra i due soggetti, atteso che il Rls deve collaborare alla tutela dell�incolumit� propria e delle altre persone presenti sul luogo di lavoro. L�auspicio � quindi di un nuovo patto d�impresa per la formazione tenendo conto che l�impresa � formata da personale. 3. Formazione, informazione professionale e addestramento dei lavoratori Fondamentale � poi il ruolo della formazione, della informazione professionale, dell�addestramento dei lavoratori che devono essere garantite attraverso l�apprendimento di competenze specifiche (la cosiddetta safety education and training) ed al quale il Testo unico ha riservato due distinti articoli: il 36 e il 37. In particolare secondo l�articolo 37 il datore di lavoro deve prevedere che ogni lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata sulla sicurezza lavoro. Va detto che esiste una perfetta osmosi tra informazione e formazione: la prima consiste nel porre a conoscenza il lavoratore della complessa realt� aziendale, quale conoscenza appunto dei rischi professionali che sussistono (12) Cass. Pen. Sez. IV, 10 febbraio 2009, n. 20395. 382 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 sul luogo di lavoro; cos� facendo si garantisce la conoscenza dei rischi e si da vita quindi ad un elemento fondamentale di prevenzione (13). Nel dettaglio � l�articolo 36 comma 1 e 2 che sancisce gli elementi sui quali il lavoratore deve ricevere una adeguata informazione (14). Parallela all�informazione esiste la formazione (15) mediante la quale possono essere forniti gli elementi conoscitivi (il cd sapere che) e le conoscenze professionali (il cd. sapere come). Esiste un dovere e un obbligo di mantenere e di migliorare la propria competenza professionale attraverso la formazione continua che � attivit� svolta ad assicurare e garantire le proprie aspettative. Qualificare le maestranze significa conseguire vantaggi sul piano della operativit� concreta dei lavoratori che possono ottenere una formazione quanto mai utile per evitare i rischi e porre in essere comportamenti pi� improntati alla consapevolezza, alla conoscenza e alla padronanza in un contesto lavorativo anche diverso dal precedente. Sotto questo profilo un ruolo importante pu� essere svolto dalla costituzione di una formazione pre-ingresso al mondo del lavoro; una sorta di apprendistato che � espressamente prevista dall�art. 55 del Testo Unico che permette di dedicare un determinato numero di ore alla formazione che viene svolta prima che venga costituito il rapporto di lavoro. Ci� permette a chi non � mai entrato nel ciclo produttivo di acquisire un vero e proprio valore aggiunto e cio� almeno quelle base essenziali, quelle conoscenze tecniche utili ai fini della salvaguardia della propria sicurezza; ma non solo ci� permette anche un altro risultato e cio� quello di contrastare eventuali illegalit� al momento dell�immissione di nuova manodopera nei cantieri. Sotto questo profilo utile ai fini di una maggiore sicurezza e consapevolezza professionale soprattutto in settori a rischio come il settore edile, potrebbe rivelarsi l�innovazione introdotta dalle parti sociali e dall�Ance che prevede che ciascun lavoratore prima dell�assunzione in impresa debba ricevere una formazione di mestiere presso la pi� vicina scuola edile. Ci� potrebbe agevolare l�inserimento professionale, per fornire al neoassunto ad un definitivo inserimento nel mondo del lavoro. Puntare sulla formazione e sulla consapevolezza soggettiva dei rischi, sulla conoscenza per evitare di restare vittima di operazioni sbagliate � l�arma (13) Il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarit� del lavoro, l�esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell�integrit� dell�ambiente esterno. (14) Art. 36, comma 1 e 2, sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi all�attivit� dell�impresa in generale, sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, evacuazione dai luoghi di lavoro, ecc. (15) Art. 37 D.Lgs. n. 81/2008. DOTTRINA 383 pi� adatta ed efficace per limitare gli infortuni. La cognizione dei rischi di infortunio costituisce un elemento di forza nella battaglia civile per una maggiore sicurezza sul lavoro in quanto da sempre il sistema formativo ritiene che conoscere le mansioni che si � chiamati a svolgere sia un elemento decisivo, insieme al pieno rispetto delle norme sulla sicurezza, per rafforzare la cultura della sicurezza nel mondo del lavoro. Quanto pi� il dipendente �tesorizza� per s� utili conoscenze tanto pi� si garantisce contro gli infortuni ma pu� altres� favorire una positiva ricaduta anche per gli altri lavoratori di tutte quelle conoscenze che potranno sicuramente tornare utili per la loro attivit� futura. Dare vita ad una formazione e informazione adeguata su tutti i rischi generici e specifici che sono connessi ad una determinata attivit� lavorativa, sulle attrezzature di lavoro, significa dare al lavoratore gli strumenti che possono permettere di ridurre gli infortuni sul lavoro. Significa soprattutto far acquisire al lavoratore piena consapevolezza sui rischi del lavoro e quindi dare vita ad un elemento irrinunciabile per garantire una maggiore sicurezza. La formazione deve riguardare quindi anche le fasce pi� deboli degli imprenditori per convincerli sulla consapevolezza dei diritti del dipendente tenuto conto che il T.U. ha esteso anche alle piccole imprese il valore della prevenzione. Per tali aziende potrebbe essere ad esempio percorribile la strada dei finanziamenti agevolati attraverso i quali permettere l�acquisto di nuovi macchinari pi� innovativi in tema di sicurezza, ottenere le certificazioni aziendali, fare corsi di formazione. Inoltre tutto ci� richiamerebbe l�attenzione delle imprese sul possibile binomio che chi investe in sicurezza viene premiato mediante la concessione di risorse finanziarie specifiche e tassi agevolati. Va presa coscienza da parte dell�imprenditore che la sicurezza non deve essere un lusso ma lo standard che deve tener conto delle aspettative dei dipendenti per cui va fatto un salto di qualit� culturale che non pu� che tornare a vantaggio delle imprese. Sulla formazione dovranno essere attuate e progettate azioni specifiche volte a definire percorsi utili alla crescita e alla professionalizzazione dei lavoratori; potremo parlare della necessit� di dare vita ad una responsabilit� etica delle imprese nell�adeguamento alle normative sulla sicurezza sia sugli imprenditori che sui lavoratori; dare vita ad una sorta di � business ethic�. Non pu� tacersi il fatto che l�imprenditore quale destinatario iure proprio della sicurezza � titolare o meglio ancora assume in s� una posizione di garante fissata ai sensi dell� articolo 18 comma 1 lettera f del Testo unico nella materia della prevenzione e della sicurezza ed anche della correttezza dell�agire del lavoratore e deve quindi esercitare un controllo continuo e pressante affinch� i lavoratori rispettino le norme sulla sicurezza, evitando che 384 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 questi possano sottrarvisi instaurando magari prassi di lavoro non corrette (16) eliminando anche quei comportamenti inusuali e fonti di pericolo. Il datore di lavoro, infatti, si trova in posizione di garanzia rispetto al dipendente in relazione all�obbligo di assicurare adeguate condizioni di sicurezza e non � sufficiente rispettare le prescrizioni, ma � anche necessario agire in ogni caso con la diligenza, la prudenza e l�accortezza necessarie ad evitare che dall�attivit� derivi un nocumento a terzi (17). Proprio il ruolo di �garante� del datore di lavoro fa si che lo stesso deve esigere dal lavoratore il rispetto delle regole di cautela, svolgendo un controllo continuo e pressante per evitare che il lavoratore ponga in essere prassi di lavoro non corrette e pericolose (18); ci� in quanto la normativa contro gli infortuni mira a salvaguardare l�incolumit� del lavoratore anche dai rischi derivanti da sue disattenzioni o sue imprudenze (19) e fermo restando comunque che - a fronte di comportamenti imprudenti e non abnormi - la responsabilit� del datore di lavoro non � automatica, ma presuppone sempre l�accertamento della sua colpa. Ne � riprova il fatto che anche le pi� recenti sentenze giurisprudenziali non escludono la responsabilit� del datore di lavoro neppure nel caso di sussistenza della colpa del lavoratore, fatto salvo il fatto che la condotta dello stesso abbia assunto i caratteri dell�abnormit�, interrompendo il quel caso il nesso causale di cui all�articolo 41 comma 2 (20) del Codice penale tra l�evento lesivo e la condotta del datore di lavoro (21). Solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri della eccezionalit�, della abnormit�, dell�esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile, il datore di lavoro pu� andare esente da responsabilit�. Occorre cio� un comportamento imprudente del lavoratore, che sia stato posto in essere da quest�ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidate - e pertanto - al di fuori di ogni prevedibilit� per il datore di lavoro o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e, (16) Cass. 23 ottobre 2008, n. 39888. (17) Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall�azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalit� fra l�azione od omissione e l�evento. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalit� quando sono state da sole sufficienti a determinare l�evento. In tal caso, se l�azione od omissione precedentemente commessa costituisce per s� un reato, si applica la pena per questo stabilita. Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui. (18) Cass. Pen. Sez . IV, 22 gennaio 2007, n. 10109. (19) Cass. Pen Sez. IV, 28 febbraio 2008. (20) Cass. Pen. Sez.IV, 6 maggio 2009. (21) Cass. 8.4.2008 n. 22615 e ancora Sez. IV 25.3.2009. DOTTRINA 385 quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (22). Pertanto, in ogni caso di ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall�assenza o inidoneit� delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale per escludere la responsabilit� del datore di lavoro pu� essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all�evento, quando questo sia comunque da ricondurre alla mancanza o alla insufficienza di quelle cautele che,se adottate sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (23). Non va dimenticato che anche la vigilanza sull�applicazione delle misure disposte dal RSPP e sulla loro osservanza da parte del lavoratore sono a carico del datore di lavoro (24), e anche quando nell�infortunio abbia concorso la colpa del lavoratore, il danno non risarcibile dall�INAIL non deve essere sopportato dall�Inps nel suo intero ammontare. L�imprenditore deve infatti provare l�imputabilit�, anche parziale, al lavoratore affinch� il concorso di colpa incida sull�ammontare del risarcimento (25). N� la responsabilit� del datore di lavoro viene meno in concorrenza di eventuali profili colposi del fabbricante che ha venduto un macchinario pur provvisto di marchio Ce, se l�imprenditore non ha svolto una attivit� di informazione mediante istruzioni chiare circa la pericolosit� della macchina, unita a tutte le altre misure di prevenzione previste ex lege contro gli infortuni (26). Ci� in quanto le norme in materia di prevenzione del rischio (la cosiddetta safety management) degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore anche contro gli incidenti intrinsecamente connaturati all�esercizio dell�attivit� svolta, anche se ci� non deve portarci a considerare come assoluta la responsabilit� del datore di lavoro altrimenti entreremo nel campo di una responsabilit� di tipo oggettivo. Non pu� infatti sottacersi come l�articolo 41 della Costituzione garantisce la libert� di iniziativa economica privata, precisando tuttavia che essa non pu� svolgersi in contrasto con l�utilit� sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libert� ed alla dignit� umana. Va tuttavia detto che anche il lavoratore preposto alla prevenzione pu� essere chiamato a rispondere personalmente degli infortuni subiti dagli altri lavoratori, per non aver ottemperato o fatto ottemperare al rispetto delle norme antinfortunistiche e non pu� certo costituire un esimente il trincerarsi (22) Cass. Sez. IV, 13 ottobre 2004, n. 40164. (23) Cass. Pen. sez. IV, 6 novembre 2006, n. 41951 e Cass. Pen. sez. IV, 18 gennaio 2007, n. 6348. (24) Cass. Sez. IV, sent. 20.5.2008 n. 27420. (25) Cass. Sez. Lavoro 4.8.2008 n. 21112. (26) Cass. Pen. n. 45335 del 5.12. 2008. 386 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 dietro un livello di qualifica ritenuto troppo basso, se quest�ultimo � stato adeguatamente formato e quindi sia in possesso delle nozioni adeguate a tale compito (27). 4. Qualit�, sicurezza, legalit�. Si tratta di una trilogia espressione della necessit� di adottare un sistema meritocratico nei confronti delle imprese per garantire una corretta puntuale valutazione dei rischi (il cosiddetto risk assment), che costituisce sinonimo di qualit� negli interventi, di corretta applicazione delle norme di sicurezza per i lavoratori. Quando si d� vita ad un sistema intero di totale legalit� in tutte le fasi della complessa attivit� lavorativa si ottiene un altro importante risultato : quello di eliminare quei soggetti che con comportamenti scorretti inquinano il mercato. Bisogna quindi riconoscere il know-how delle singole imprese assumendo atteggiamenti premiali verso quegli imprenditori che attraverso il rispetto dei doveri di sicurezza danno vita ad una attivit� di produzione connotata da condizioni di legalit�. Occorre che la parte datoriale prenda coscienza che operare in un ambiente di lavoro pi� sicuro e protetto aumenta il grado di reputazione e di affidabilit� dell�intera azienda, ne accresce la qualit� della vita lavorativa e di conseguenza il valore intangibile della stessa. Il compito di un lungimirante imprenditore � infine quello di analizzare e valutare il sistema di gestione interno gi� esistente ed eventualmente provvedere a un adeguamento del proprio modo di operare per cercare di migliorare e correggere le gestione aziendale, per prevenire ed evitare gli infortuni sul lavoro, assumendo un ruolo di �facilitatore naturale� della comunicazione tra valori aziendali e risorse umane. Solo in tale modo si pu� arginare o meglio ancora eliminare il rischio (28) che i lavoratori possono subire nell�esercizio della loro attivit� lavorativa e garantire la prevenzione dei reati. La prevenzione deve diventare un vero e proprio obiettivo di programma, che deve far parte magari di un codice di comportamento etico che non � solo produrre carta ma serve a stabilire norme da rispettare e fare rispettare per garantire la sicurezza propria e degli altri. (27) Cass. Pen. n. 29323 del 15 dicembre 2008. (28) Probabilit� di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione a un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione. DOTTRINA 387 5. Le buone prassi In tale contesto un passo in avanti importante pu� essere quindi costituito dalla politica delle buone prassi (29) che vede nel datore di lavoro un soggetto che pu� individuare soluzioni organizzative o procedurali per la riduzione dei rischi ed il miglioramento delle condizioni di lavoro. Tutto ci� che pu� seriamente aiutare a incrementare la sicurezza nei luoghi di lavoro, va apprezzata e sostenuta sia dalla parte datoriale che dei lavoratori. E� un passo importante in quanto il costante monitoraggio e l�aggiornamento delle procedure, dei modelli di gestione aziendale consente da un lato di revisionare sempre una procedura lavorativa, atteso che un modus operandi non costituisce un elemento immutabile ed immodificabile ma presenta sempre margini di miglioramento grazie ai mutamenti organizzativi e produttivi o evolutivi che la ricerca determina soprattutto nel campo tecnologico consentendo di raggiungere livelli di eccellenza. Quali possono essere gli scopi e gli obiettivi delle buona prassi: - rendere evidente, con esempi pratici, i vantaggi determinati dalle buone prassi in termini di sicurezza e salute a tutti i datori di lavoro, Rls e lavoratori; - incentivare la massima circolazione di informazioni sulle buone prassi; - favorire l�acquisizione di una mentalit� aperta e collaborativa con la forza lavoro, con conseguente miglioramento e valorizzazione dei rapporti; - aumentare il convincimento che accrescere la sicurezza migliora l�ambiente di lavoro, la qualit� della vita e il senso di appartenenza; - sostenere lo scambio e la diffusione di informazioni sui modi efficaci di prevenzione e sulle �soluzioni pratiche� adottate tramite Internet, siti Web e altri mezzi di comunicazione; - accrescere la consapevolezza che la prevenzione dei rischi � interesse di tutti; - promuovere azioni all�interno delle imprese per agevolare la prevenzione di rischi; - favorire la crescita di una mentalit� premiale verso quelle imprese, che hanno contribuito in modo rilevante e innovativo alla diffusione della cultura della legalit� nel mondo del lavoro. Vi � poi un altro profilo da considerare; il coinvolgimento del rappre- (29) Nozione buone prassi coerenti con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica , adottate volontariamente e finalizzate a promuovere la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso l�osservanza delle disposizioni e delle istruzioni impartite dall�azienda; l�utilizzo corretto di macchinari; apparecchiature e utensili; l�utilizzo appropriato dei dispositivi di protezione; la segnalazione immediata al datore di lavoro di deficienze dei mezzi e dispositivi; il non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo; non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre pericolose e fuori dalle sue mansioni; sottoporsi ai controlli sanitari previsti. 388 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 sentante dei lavoratori � importante per l�esperienza acquisita nel processo produttivo e quindi pu� meglio di ogni altro individuare eventuali criticit� e suggerire proposte migliorative; pu� quindi assumere un ruolo di �stakeholders�, in quanto primo soggetto interessato sotto vari profili che la sicurezza sia una priorit� di una organizzazione economica sia - come gi� detto - per il contributo che pu� portare in termini di esperienza, stimolando da parte del datore di lavoro l�adozione tutte quelle modifiche che sia il progresso che la tecnica ogni giorno ci pone davanti. Ma vi � un altro aspetto delle buone prassi e dei comportamenti virtuosi che non pu� essere trascurato ed � la ricaduta positiva che l�individuazione di una procedura ottimale pu� avere per le imprese proprio perch� produce un miglioramento della qualit� dei processi in tema di sicurezza e permette la possibilit� di una sua diffusione a tutte le attivit� similari facendo si che i miglioramenti ottenuti in tema di sicurezza siano acquisiti a costo zero da numerose altre imprese. Tutto ci� serve a sancire e ricondurre l�ambiente di lavoro al rispetto dei canoni della sicurezza garantendo forme di dialogo e di collaborazione tra i diversi ruoli quello datoriale e quello dei rappresentanti del lavoratore che devono essere entrambi impegnati nella difficile battaglia civile per elevare il valore della sicurezza. 6. Conclusioni I gravi e ripetuti incidenti sul lavoro richiedono che venga sempre pi� accresciuto il livello della sicurezza per il prestatore di lavoro attraverso una maggiore attenzione alla cultura della �safety� in azienda, mediante una mirata sorveglianza sul sistema, una metodica attivit� di vigilanza, una costante informazione e formazione del personale, una attenta definizione delle procedure, un�efficace comunicazione, un monitoraggio delle procedure e un pieno coinvolgimento dell�intera organizzazione aziendale. Partendo dal presupposto che nell�impresa operano delle persone, fondamentale � anche un maggiore coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori che sono i primi portatori di interessi e titolari di legittime aspettative affinch� gli obiettivi di un�azienda siano raggiunti rispettando le esigenza di sicurezza. Occorre poi che il datore di lavoro preveda che ogni lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata sulla sicurezza lavoro, che sia data rilevanza alla formazione, all�informazione professionale e all�addestramento dei lavoratori che devono essere garantite attraverso l�apprendimento di competenze specifiche (la cosiddetta safety education and training). Formare,informare ed addestrare le maestranze significa conseguire vantaggi sul piano della operativit� concreta dei lavoratori che possono ottenere DOTTRINA 389 una formazione quanto mai utile per evitare i rischi e porre in essere comportamenti pi� improntati alla consapevolezza, alla conoscenza e alla padronanza e finalizzati a evitare incidenti sul lavoro. E� un processo complesso, ma se pienamente realizzato potr� portare ad una gestione realmente etica dell�attivit� d�impresa, consentendo di dare vita ad un nuovo e proficuo rapporto fiduciario con i prestatori d�opera. 390 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 L�abuso del diritto spazia dalla propriet� al voto assembleare attraverso la violazione del principio di buona fede di Andrea Scalzo* Spesso nel linguaggio comune utilizziamo il concetto di abuso (dal latino ab uti, nel significato di usare male) per indicare un uso distorto, illecito, eccessivo di qualche cosa: di un potere, di un�attivit�, di una facolt� persino di un diritto. Ma, sotto quest�ultimo aspetto, parlare di �abuso del diritto� sembrerebbe quasi una contraddizione in terminis dal momento che in via generale un dato comportamento, purch� formalmente corrispondente al contenuto di un diritto non pu� risultare abusivo e, perci� illegittimo (in ossequio al brocardo latino �qui suo iure utitur neminem laedit � - (Chi esercita un proprio diritto non danneggia alcuno) (1). Infatti, coloro i quali negano l�elaborazione di un siffatto principio insistono proprio sulla incompatibilit� delle due espressioni �abuso� e �diritto�: se il diritto soggettivo � espressione di libert�, il suo esercizio deve essere garantito al titolare qualunque sia lo scopo che questi persegua (2). In realt�, l�ordinamento qualificando come lecito il compimento di un diritto, attribuisce al soggetto la libert� di porlo in essere ma in uno spazio di libert� e non di arbitrio (3), con la conseguenza che comportamenti (*) Dottore in giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. (1) In realt�, sin dall�epoca romana il diritto del singolo di godere e disporre delle sue cose, ha conosciuto limiti ben precisi, imposti in primo luogo dall�interesse pubblico oltre che dalle esigenze sociali: si pensi, ad esempio, alla figura arcaica dell�iter limitare, obbligo imposto a ciascun proprietario di lasciare libero dalle colture e da ogni forma di utilizzazione permanente uno spazio di due piedi e mezzo lungo il confine del suo fondo, antecedente storico della normativa sulle distanze legali. Ancora, le Istituzioni di Giustiniano ammonivano: conviene allo Stato che nessuno abusi delle proprie cose (expedit enim rei publicae, ne quis re sua male utatur). Al proposito riferivano come una costituzione di Antonino Pio avesse dato ai presidi delle provincie il potere di intervenire nel caso in cui il proprietario del fondo seviziasse senza ragione i propri schiavi, oggetti, come noto, di sua propriet�. Inoltre in altra autorevole fonte (Paulus libro XLIX ad Edictum, in D. 39.3.2.9) si riporta il caso del proprietario del fondo che diverta il corso delle acque di un torrente impedendone il deflusso nel fondo vicino. Riferendo l�opinione di Labeone, Paolo concorda nell�escludere che contro il proprietario sia esperibile l�actio acque pluviae arcendae, essendo l�azione volta ad impedire unicamente le manipolazioni che accrescano il deflusso dell�acqua. L�Autore significativamente aggiunge: �semprech� il proprietario abbia agito per evitare a s� un danno, non per nuocerti�. (2) Cfr. per tutti, F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, 1989, Napoli, 76 ss; ROTONDI, L�abuso del diritto, in Riv. dir. Civ., 1923, 105 ss; CANDIAN, Nozioni istituzionali del diritto privato, Milano, 1949, 28; V. SCIALOJA, Degli atti di emulazione nell�esercizio dei diritti, in Foro it., 1878, I, 481 ss. (3) Cfr., G. GUARINO, Potere giuridico e diritto soggettivo, in Rass. Dir.. pubbl., 1949, I, 259, nota 41 secondo cui �il diritto soggettivo ha ad oggetto �un comportamento futuro, che � gi� individuato e che, nello Stato moderno, � sempre limitato dalla norma�. DOTTRINA 391 arbitrari e, dunque, abusivi cessano di essere esercizio del diritto (4). Infatti, lo spirito della nostra Costituzione e la moderna coscienza sociale impongono un richiamo costante al preminente valore della �solidariet�� che, inevitabilmente attenua la concezione del diritto soggettivo quale �mera espressione di libert�� per attribuire sempre maggiore rilievo ai limiti che il singolo � tenuto ad osservare nell�esercizio, potenzialmente pieno ed assoluto, del diritto medesimo dal momento che �laddove inizia l�abuso l� finisce il diritto� (5). Tuttavia, manca nel nostro ordinamento una disposizione che, in via generale, consacri l�abuso del diritto (�abus du droit�, �Rechtsmissbrauch�, �abuse of rights�, �abuso del derecho�) stabilendo dei criteri per rilevarlo; il progetto preliminare del codice civile aveva predisposto (6), sul modello di quello svizzero (7), una norma di carattere generale anche se la formula non fu riprodotta nel testo finale in quanto fu giudicata tale da compromettere la certezza del diritto (attesa la grande latitudine di potere che essa avrebbe attribuito al giudice). La scelta del nostro codice � stata quella di utilizzare l�abuso come ratio giustificatrice di singole norme (8): ad esempio l�art. 833 cod. civ. disciplina il divieto degli atti emulativi (�il proprietario non pu� fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri�) al fine di reprimere l�abuso nell�ambito della propriet� (9), o ancora l�art. 330 cod. civ. prevede una decadenza del genitore in caso di abusi di questa o ancora nella materie delle obbligazioni e dei contratti assumono rilievo i limiti derivanti dalla clausola della buona fede (artt. 1175 e 1375 cod. civ.). Infatti, il di- (4) Cfr., P. RESCIGNO, L�abuso del diritto, in Riv. dir. Civ., 1965, I, 205. L�Autore individua l�abuso secondo due ordini di ideologie: quella cattolica e quella socialista. Secondo la visione cattolica l�abuso del diritto si ritrova in quell�atto moralmente riprovevole che lede la coscienza, il foro interno dell�individuo; viceversa, secondo il secondo punto di vista �socialista� abusivo � considerato quell�esercizio che non trova il consenso nella comunit� sociale, destinatario della funzione stessa del diritto. (5) Cfr., M.PLANOIL, Trait� �l�mentaire de droit civil, Paris, 1939, 269 �le droit cesse o� l�abus commense�. (6) Art 7: �Nessuno pu� esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per cui il diritto medesimo gli � stato riconosciuto�. Sul dibattito circa l�opportunit� di codificare il principio dell�abuso del diritto nella codificazione del 1942 v. GIORGIANNI, L�abuso del diritto nella teoria della norma giuridica, Milano, 1963, 5 ss. (7) Infatti, il modello tedesco reca, infatti, la regola, frutto di generalizzazione dell�antico divieto di atti di emulazione, secondo la quale �l�esercizio del diritto � inammissibile se pu� avere il solo scopo di provocare danno ad altri� ; l�art. 2 del codice civile svizzero ha adottato la pi� ampia formulazione secondo la quale �il manifesto abuso del proprio diritto non � protetto dalla legge�. (8) Occorre rilevare come il termine �abuso� ricorre spesso nel linguaggio del codice civile: si vedano l�art. 10 (�Abuso dell�immagine altrui�), l�art. 1015 c.c. (�Abusi dell�usufruttuario�), l�art. 2793 c.c. (�Se il creditore abusa della cosa data in pegno, il costituente pu� domandarne sequestro�; ma questa disposizione va letta congiuntamente a quella dell�art. 2792 c.c., che vieta al creditore l�uso della cosa, e quindi l�abuso � la violazione di una regola espressa); (9) Cfr., COMPORTI, Ideologia e norma nel diritto di propriet�, in Riv. dir. Civ., 1984, I, 309: �la teoria dell�abuso del diritto si pose in contrasto con gli enunciati del pensiero liberale classico e manifest� la crisi della concezione meramente individualistica della propriet�. 392 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 ritto di propriet� � stato spesso inteso quale diritto volto alla realizzazione di qualunque interesse egoistico del proprietario (ius utendi et abutendi), anzi, � stato ampiamente sostenuto al riguardo come �il proprietario si differenzi dai titolari di altri diritti reali proprio in quanto pu� fare tutto ci� che l�ordinamento non vieta, rispetto ai secondi i quali possono fare solo ci� che l�ordinamento permette� (10). Questa ricostruzione appare nettamente in contrasto con quella che la Costituzione indica come la �funzione sociale della propriet�� con la conseguenza di poter qualificare come abusivi (e dunque illeciti) atti che non realizzano alcun interesse del titolare ma un interesse, appunto, �diverso�. Ma, le stesse preoccupazioni che, durante i lavori di preparazione del codice, avevano sconsigliato di recepire l�abuso come categoria generale per il timore che essa potesse attentare alla certezza del diritto, hanno condotto verso interpretazioni restrittive dell�art. 833 cod. civ., riducendo nel contempo l�ambito di azione. Infatti, � costante l�indirizzo secondo cui, perch� un atto possa considerarsi emulativo (id est, abusivo), occorra la coesistenza di due elementi: il primo di carattere soggettivo, consistente nell�animus nocendi o aemulandi, ossia nell�intenzione del proprietario di arrecare pregiudizio o molestia ad altri, con relativo onere probatorio a carico del danneggiato; l�altro elemento, di carattere oggettivo, consistente nella totale assenza di utilit� che derivi al proprietario dall�atto compiuto (11). Tuttavia, tale ricostruzione (costantemente seguita a livello giurisprudenziale) � stata ampiamente criticata in dottrina, in quanto finirebbe sostanzialmente nel vanificare e annullare l�ambito di applicazione della norma, nonch� la possibilit�, da esso consentita, di reprimere abusi del proprietario. Basti pensare alla difficolt� di fornire la prova dell�animus nocendi (il cui onere � a carico dell�attore), senza trascurare la circostanza che, anche la minima utilit�, o meglio un vantaggio utile o capriccioso, avrebbe salvato l�atto dal divieto in questione. Cos�, onde evitare i risultati aberranti fatti propri dalla giurisprudenza, si � tentato di rivalutare in chiave ampliativa, i presupposti applicativi dell�art. 833 cod. civ. (12) cercando di neutralizzare l�elemento psicologico dell�intenzione di cagionare danno o molestia e spianando la strada a criteri �oggettivi� di valutazione della condotta abusiva (13). Infatti, l�art. 833 c.c., nel suo tenore letterale, non attribuisce rilevanza alcuna all�animus nocendi, in quanto lo �scopo� di cui al presente articolo, indicherebbe semplicemente la finalit� oggettivamente perseguita dall�atto (14), con (10) Cfr., V. SCIALOJA, Procedura civile romana. Esercizio e difesa dei diritti. Lezioni, Roma, 1894, 21. (11) Cfr., Cass. 9.10.98, n. 9998. (12) Si veda, in particolare, S. PATTi, (voce) Abuso del diritto, in Digesto disc. priv.,.6 ss. (13) Cos�, quanto all�elemento oggettivo, viene ravvisato nella sproporzione tra il sacrificio del destinatario degli effetti dell�atto e l�utilit� anche oggettivamente apprezzabile del dominus. (14) Cfr., PERLINGERI, Introduzione alla problematica della �propriet��, Milano, 1970, 199 ss; MAZZONI, Atti emulativi, utilit� sociale e abuso del diritto, in Riv. dir. Civ., 1969, II, 606. DOTTRINA 393 la conseguenza di poter valutare emulativi atti non giustificati da alcun interesse del proprietario e dunque inutili (15). Dunque, possiamo qualificare �emulativo� l�atto astrattamente rientrante nell�ambito delle prerogative del dominus, ma che in concreto, in relazione alle modalit� e alle circostanze del suo esercizio, risulta estraneo al contenuto del diritto perch� non riconducibile all�interesse ad esso sotteso. La qualificazione di una condotta come abusiva non esprime un giudizio valutativo condotto attraverso il riferimento ad un valore (etico, morale, etc.) ma un giudizio meramente logico di conformit� della condotta stessa all�interesse sotteso all�ascrizione del diritto (16). Ad esempio l�art. 1127 cod. civ. dopo aver riconosciuto al proprietario dell�ultimo piano di un edificio il diritto di elevare una nuova costruzione su di esso, attribuisce ai condomini la facolt� di opporvisi �solo se questa pregiudica l�aspetto architettonico dell�edificio ovvero diminuisce notevolmente l�aria o la luce dei piani sottostanti�. E� chiaro come la facolt� dei condomini di opporsi alla sopraelevazione � vincolata alla tutela di interessi specifici il cui ricorrere deve essere accertato in concreto al fine di rilevare, ove risulti uno sviamento dell�interesse tutelato, un�ipotesi di abuso. Ancora, nella diversa materia delle obbligazioni � significativo il dettato dell�art. 1180 cod. civ. �il creditore pu� opporsi all�adempimento del terzo solo se ha interesse a che il debitore esegua personalmente la sua prestazione�; � evidente che questa disposizione non intende consegnare al creditore un potere arbitrario di rifiutare la prestazione del terzo, ma l�interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione cui allude la disposizione deve essere inteso in senso oggettivo ossia l�esercizio della facolt� di opporsi all�adempimento del terzo deve essere vagliato individuando quale interesse venga dedotto dal creditore ed un eventuale sviamento dell�interesse tutelato evidenzier� una fattispecie di abuso. Quanto detto ci permette di porre in rilievo come fenomeni �abusivi� siano rinvenibili nell�esercizio di qualsiasi diritto e, dunque, anche in ambito contrattuale, rinvenendo nello sviamento dell�interesse e nella violazione della buona fede le due gambe che sorreggono e fondano la categoria dell�abuso del diritto (17). Ad esempio, una situazione tipicamente abusiva � configurabile nell�ambito della disciplina della condizione, come elemento accidentale del contratto. Nella fase di pendenza, l�art. 1358 c.c. richiede ai titolari dei diritti condizionati un comportamento impron- (15) Altro temperamento operato dalla giurisprudenza ritiene sufficiente per l�integrazione dell�elemento costitutivo dell�animus nocendi la mera consapevolezza del danno recato, operando dunque una scissione all�interno del dolo, tra volont� e rappresentazione. Cfr. Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1998, n. 999, in Giust. civ. Mass. 1998, 2046. (16) Cfr., C. SALVI, Abuso del diritto. I) Diritto civile, in Enc. giur., I, Roma, 1988, 132. (17) Cfr., U.NATOLI, Note preliminari a una teoria dell�abuso del diritto nell�ordinamento giuridico italiano, op cit., 26 ss; F.GALGANO, Il negozio giuridico, in Tratt. Dir. Civ. comm. Cicu-Messineo, III, 1, Milano, 2002; D.MESSINETTI, Abuso del diritto, in Enc. Dir., Agg., II, Milano, 1998, 8 ss; G.CATTENEO, Buona fede e abuso del diritto, in Riv. trim, dir. Proc. civ., 1971, 634. 394 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 tato a buona fede per conservare integre le ragioni della controparte. Ebbene, anche nella condizione, le parti dovranno esercitare il loro diritto rispettando dei limiti interni; il loro mancato rispetto determina una lesione delle situazioni giuridiche altrui con il relativo abuso, pur restandosi formalmente nell�ambito del diritto esercitato. A tutela della parte che subisce, nella fase di pendenza, l�esercizio abusivo del diritto, il legislatore prevede una tutela reale riconoscendo la finzione di avveramento della condizione non verificatasi per causa imputabile alla controparte ex art. 1359 c.c.. Dunque, attraverso il principio della buona fede, il giudice pu� effettuare un controllo ulteriore, oltre che diverso rispetto alla sua classica valutazione, individuando una soluzione, non fornita in modo espresso dal diritto scritto, in grado di correggere e porre nel nulla gli effetti di condotte abusive (18). Infatti, intesa la buona fede come oggetto di un obbligo che entra nel contratto integrandone il contenuto - specificandosi nel dovere (negativo) di non abusare della propria posizione al fine di non aggravare ingiustificatamente la condizione della controparte, nonch�, nel dovere (positivo) di attivarsi per salvaguardare l�utilit� della controparte nei limiti in cui ci� non comporti un apprezzabile sacrificio delle proprie ragioni - si � visto nella violazione della buona fede un indice sintomatico di abuso del diritto, sanzionato nelle forme tipiche della responsabilit� contrattuale o, talora, attraverso rimedi che potremmo definire di �esecuzione in forma specifica. Tuttavia, qualificando l�abuso quale sviamento d�interesse sotteso all�ascrizione del diritto, sorgono delle difficolt� nella individuazione delle ipotesi in cui si concretizzi un siffatto sviamento specie in tutte quelle situazioni in cui pi� semplicemente si verificano ipotesi di semplice �approfittamento�, ossia situazioni contingenti che pongono una parte, in punto di fatto, in una posizione di maggiore forza contrattuale, e le consente di imporre all�altro contraente condizioni pi� gravose (19). Ad esempio, nell�art. 9 L. 18 giugno 1998 n. 192 che, nel disciplinare la sub fornitura nelle attivit� produttive, sanziona con la nullit� l�accordo che realizza un eventuale abuso di dipendenza economia; l�art. 7 del D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, che stabilisce, in materia di ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, la nullit� dell�accordo gravemente iniquo in danno del creditore; ancora la L. 6 maggio 2004, n. 129, che disciplina il franching, predisponendo un apparato protettivo a tutela dell�affiliato quale contraente debole. Anche in ambito societario, specie nelle societ� di capitali, sono spesso ravvisabili comportamenti abusivi: infatti, l�art. 2247 c.c. qualifica la societ� quale �contratto�, in esecuzione del (18) Cass., 11 febbraio 1980, n. 960, in Giust. Civ., 1980, I, 1947, con nota di VIRGILIO. (19) Cfr., F. MACARIO, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola generale?, in Riv. dir. Civ., 2005, I, 663 ss; F.D. BUSNELLI - E. NAVARETTA, Abuso del diritto e responsabilit� civile, in Diritto privato, 1997, Padova, 171-174; G. VETTORI, Libert� di contratto e disparit� di potere, in Riv. dir. Priv., 2005, 743 ss; G. D�AMICO, �Regole di validit�� e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996, 337 ss. DOTTRINA 395 quale le parti dovranno, come sopra evidenziato, necessariamente comportasi secondo correttezza e buona fede. Basti pensare a tutti quei comportamenti posti in essere dalla maggioranza dei soci (specie nell�ambito delle societ� capitalistiche) (20) al solo scopo di arrecare danno �spingendo fuori� dalla compagine sociale alcuni soci (si pensi ad una delibera un aumento di capitale adottata al solo scopo di liberarsi di una scomoda minoranza, sapendo che questa non sar� in grado di sottoscrivere le azioni di nuova emissione, o ancora una deliberazione assembleare con cui i soci di maggioranza convengono di non distribuire utili puntando all�autofinanziamento). La dottrina � incerta sulla identificazione dello specifico vizio dal quale � in tal caso affetta la deliberazione. Mentre in passato la giurisprudenza aveva spesso fatto ricorso analogico alla figura dell�eccesso di potere, attinta dal diritto amministrativo, ora, invece, pi� correttamente ci si esprime in termini di violazione della buona fede (21): esercitando il diritto di voto, il socio d� esecuzione al contratto di societ� configurando l�abuso quale violazione del principio di buona fede (art. 1375 c.c.) (22). Infatti, tutti i contratti devono essere eseguiti secondo buona fede: essendo la societ� un contratto, i soci votando in assemblea, danno ad esso esecuzione, e dunque l�espressione del voto non pu� essere non soggetta al canone di cui all�art. 1375 c.c. Altre volte si � parlato di invalidit� per illiceit� del motivo (art. 1345 c.c.) (23). Ad ogni modo, a prescindere da queste ricostruzioni dottrinali, la conseguenza che ne deriva � sempre la stessa ossia la deliberazione assembleare � annullabile a norma dell�art. 2377 c.c. Infatti, sono impugnabili ex art 2377 cod. civ., le delibere che non sono prese in conformit� della legge o dell�atto costitutivo anche se, resta ad ogni modo escluso ogni sindacato di merito sulla convenienza o sulla opportunit� della deliberazione (24). Il giudice pu� semplicemente annullare una deliberazione la quale (20) Nell�ambito delle societ� di persone ciascun socio ha, a norma dell�art. 2262 c.c. un preciso diritto alla divisione annuale degli utili, ed un diritto alla loro integrale divisione � dopo l�approvazione del rendiconto� salvo patto contrario. (21) Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151 con la quale la Suprema Corte si � pronunciata per l�annullabilit� della deliberazione assembleare di societ� di capitali ispirata da un interesse extrasociale della maggioranza. La sentenza muove dalla premessa che, con l�esercizio del voto, il socio d� esecuzione al contratto di societ�, sicch� il diritto di voto deve, a norma dell�art. 1375, essere esercitato secondo buona fede. Dunque, in questa sentenza il canone della buona fede � utilizzato come criterio di valutazione dell�esercizio del diritto, atto a distinguere fra uso ed abuso del proprio diritto. (22) Cfr., PREITE, L�abuso della regola di maggioranza, Milano, 1993, 222. (23) Cfr., MENGONI, Appunti per una revisione della teoria sul conflitto di interessi nelle deliberazioni di assemblea delle societ� per azioni, in Riv. soc., 1956, 460 ss. (24) Cass., 26 ottobre 1995, n. 11151; Cass., 30 ottobre 1970 n. 2263, in Riv. dir. Comm., 1970,II, 398; Cass., 4 marzo 1963, n. 511, in Foro it., 1963, I, 684. Il principio � costantemente formulato in questi termini: il giudice �deve circoscrivere l�indagine entro i limiti del controllo di legittimit�, essendogli precluso ogni penetrante esame di merito, come lo stabilire se un atto deliberato sia o meno indispensabile oppure se il medesimo risultato non possa conseguirsi con altro mezzo tecnico diverso da quello prescelto�. 396 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2009 non appaia in nessun modo riferibile alle esigenze sociali facendo leva proprio sull�abuso commesso dalla maggioranza la quale, utilizzando la posizione di potere della quale gode, ha di fatto conseguito vantaggi esclusivamente ad essa riferibili. Trattasi di un sindacato di legittimit� e non di merito: dunque, si discute non della convenienza del provvedimento deliberato, ma della mancanza assoluta dei suoi presupposti e, soprattutto, dell�essersi l�assemblea servita di esso per scopo estranei alla sua funzione. Assunto il dovere di buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. come integrativo del contenuto stesso del contratto, la violazione di esso concreta un inadempimento contrattuale, con conseguente applicazione dei rimedi legislativamente previsti per reagire a quest�ultimo (quindi, oltre che 1218 c.c., anche 1453 o 1460 c.c.). Finora dell�abuso del voto si � parlato con riferimento al solo voto positivo che concorre a formare la deliberazione che si impugna ma, nulla osta alla impugnazione per violazione della buona fede contrattuale anche del voto negativo, che impedisca l�adozione della deliberazione (si pensi all�abuso perpetrato dal socio detentore del 50% delle azioni che, per esercitare una indebita pressione sull�altro socio o sugli altri soci detentori dell�altro 50%, voti sistematicamente contro l�approvazione del bilancio, limitandosi alla mera espressione del voto negativo, senza lamentare alcuno specifico vizio del bilancio). Dunque, sebbene il legislatore non abbia positivizzato il divieto di abuso del diritto (nonostante un tentativo in tal senso fosse stato fatto nel progetto preliminare del codice civile), trattasi questo di un principio valevole in ogni settore del diritto, che si pone �al di sopra� degli istituti fungendo da �sovrastruttura aggiuntiva rispetto alla disciplina positiva� (25). Infatti, il principio del divieto di abuso del diritto ha effettivamente un contenuto precettivo eccedente rispetto alla mera somma dei singoli istituti �costitutivi�, e tale eccedenza consiste in un potere di etero - integrazione del diritto. Che il divieto dell�abuso riesca ad eliminare ogni forma d�immoralit� o di arbitrio nei rapporti giuridici privati �, ad ogni modo, una illusione che nemmeno i primi commentatori della formulano nutrirono; � un�illusione che il divieto in questione sia sufficiente a moralizzare il diritto. Tuttavia la formula pu� servire, e si � rilevata uno strumento duttile e prezioso, almeno l� dove arbitrio, anormalit� ed offesa al comune sentimento siano un fenomeno non pi� individuale ma di un intero gruppo. E� significativo che lo stesso pensiero giuridico inglese, cos� restio a sondare la malizia del singolo, ritenga senz�altro possibile l�indagine quando si tratti di conspiracy, di combinazione di forza che si avvalgono di una libert� a danno di altri (26). (25) Cos� C. SALVI, Abuso del diritto. I) Diritto civile, in Enciclopedia Giuridica, vol. I, Istituto dell�Enciclopedia Italiana, Roma, 1988; in quest�ordine di idee, v. gi� A. SCIALOJA, Il �non uso� � �abuso� del diritto soggettivo?, in �Foro italiano�, 1961, I, cc. 256-258. (26) Cfr., R. O�SULLIVAN, Abuse of rights, Oxford, 1963, 71. Finito di stampare nel mese di ottobre 2009 Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma